Völuspá - La profezia della Völva

di Sophja99
(/viewuser.php?uid=845359)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La ladra ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - La caccia ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Lo sconosciuto ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - La sfida ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Gelo ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - L'ospite ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Passato ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Il dio ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - La rivelazione ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - L'elfo ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - L'eredità ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Il patto ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Sleipnir ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Le rune magiche ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Giorni futuri ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Vecchi vizi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Occhi ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Perdita di tempo ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Tentativo ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Pratica ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - Senza scampo ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Pista ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Viaggio ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - La signora degli Inferi ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - In trappola ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 - Prigionia ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 - Fuga ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 - Fiducia e rispetto ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 - Chiarimenti ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 - Sangue ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 - Døkkr Vargr ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 - Ricercati ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 - Giusto o sbagliato ***
Capitolo 35: *** Capitolo 34 - Verso Gudir ***
Capitolo 36: *** Capitolo 35 - Piano ***
Capitolo 37: *** Capitolo 36 - Il castello ***
Capitolo 38: *** Capitolo 37 - Nella tana del lupo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Intorno a sé non vedeva altro che distruzione, morte e dolore. Infine, il Ragnarok, la fine del mondo allora conosciuto, era davvero arrivata e aveva sconvolto ognuno dei Nove mondi: Asgard, dimora degli dei, che si ergeva sopra il Midgaror, regione degli umani; lo Jötunheimr, regno dei giganti di ghiaccio; il Mùspellsheimer, dove abitavano i giganti di fuoco; il sotterraneo mondo dei morti, Helheim; Álfheimr, terra degli elfi chiari; Svartálfaheimr, dimora degli elfi oscuri; Nidavellir, dove abitavano i nani e si trovavano le loro miniere.

Dopo secoli di pace e prosperità, la fine non aveva tardato ad arrivare, come profetizzato dalla veggente, la völva.

Era stato preceduto da un inverno durato tre anni, che aveva impedito ai raccolti di fruttare e aveva provocato la morte per freddo o fame di milioni di esseri viventi. Quindi, la corruzione e l'odio erano dilagati in ognuno dei nove mondi, provocando liti e assassini, fossero essi tra amici, familiari, fratelli e sorelle, coniugi. Nessuno era stato risparmiato da questo vortice di sangue e violenza. In seguito sparirono il sole, la luna e le stelle e sulla terra avvennerono innumerevoli catastrofi naturali, quali terremoti, alluvioni e terribili eruzioni vulcaniche.

Gli dei si erano riuniti per lo scontro finale tra il bene e il male sulla pianura di Vígrídr, scelta come campo di battaglia. Odino, il più forte e saggio tra gli dei, si schierò con le divinità al suo seguito e con le anime dei guerrieri morti in battaglia che erano state portate dalle valchirie nel Valhalla, un palazzo situato ad Asgard dove questi avevano continuato ad allenarsi in attesa della battaglia finale. Combatterono con vigore contro il dio del caos, Loki, alleato dei giganti di fuoco e di ghiaccio e di ogni altra creatura demoniaca mandata da Hel, dea degli Inferi, e liberatasi con l'inizio del Ragnarok.

Ed ora Vidar, giovane figlio di Odino, vedeva la battaglia imperversare davanti a sé, mentre ogni dio si scontrava contro il proprio nemico. Già in tanti erano morti e si erano uccisi a vicenda. Sembrava evidente che quella guerra non avrebbe salvato quasi nessuno se non i pochi eletti, tanto fortunati da poter vedere il nuovo mondo nascere.

Lui e suo fratello, Váli, insieme ai figli di Thor, il dio del tuono, Módi e Magni, erano stati lasciati nel palazzo di Asgard sotto la supervisione di Nanna, la dea della ferilità, per questioni di sicurezza e per evitare che venissero coinvolti, in quanto ancora troppo giovani per partecipare alla battaglia. Non potevano fare altro che guardare da lontano mentre i loro genitori e amici cadevano uno ad uno sotto i loro occhi. Sembrava certo che alla fine non sarebbero rimasti né vincitori, né vinti, dato che chiunque riuscisse a sconfiggere il proprio nemico veniva subito a sua volta ucciso. Fino al quel momento già gran parte degli dei e dei nemici erano stati ammazati ed erano rimasti solo i più forti, tra cui Odino e Thor, che erano impegnati in un furioso combattimento contro le più potenti e pericolose tra le creature demoniache, il grande lupo Fenrir e il Midgardsormr, un enorme serpente velenoso.

Vidar vide suo padre maneggiare abilmente la sua potente e immancabile lancia poco prima di tirarla contro il lupo. Quella si andò a conficcare sul suo petto e Fenrir emise un ululato di dolore, ma aveva mancato il cuore o qualcunque altro organo che avrebbe potuto procurargli la morte. Odino frappose qualche metro di distanza tra lui e il lupo, quindi prese la rincorsa e gli balzò contro, reggendosi alla lancia ancora piantata nell'animale. Si issò su di essa e si preparò a sferrare un pugno sulla mandibola del lupo, grande quanto lo stesso Odino, ma venne intercettato dalla zampa dell'animale, che lo colpì facendolo volare a terra. Il respiro di Vidar si fece più rapido. Se il padre non fosse riuscito a recuperare la sua arma, non avrebbe avuto altro che le sole mani per uccidere Fenrir.

Mentre tutta la sua concentrazione era focalizzata su suo padre, sentì un urlo e un forte lamento levarsi accanto a lui. Provenivano da Módi e Magni e per lui non fu difficile capire il motivo della loro disperazione. Thor era riuscito a sconfiggere il serpente con l'aiuto del suo imbattibile martello, ma non poté fare più di qualche passo prima di accasciarsi a terra, colpito dal veleno dell'animale entrato in circolo dentro di lui dopo essere stato morso dai suoi denti durante lo scontro. Si dispiacque per lui, che era oltretutto suo fratellastro, ma tutta la sua concentrazione era richiamata dal combattimento tra Odino e l'animale. Questo stavolta provò a balzare di nuovo su di lui dalla schiena, per arrivare al collo e tentare di strangolarlo, ma al lupo bastò agitarsi per fare perdere la presa al dio. Lo afferrò al volo e Vidar vide con orrore le fauci del mostro chiudersi intorno al suo corpo. Anche a quella lontananza poteva sentire le ossa del padre rompersi sotto la potenza dei suoi denti. Lanciò un urlo disperato con tutta la voce che aveva. L'immagine del lupo divorare Odino dissipò ogni altro pensiero nella sua testa e il suo corpo si mise in movimento ancora prima che il cervello gli ordinasse di farlo. Il fratello aveva iniziato a piangere, piegato su sé stesso, ma, come vide Vidar allontanarsi, gli chiese tra un gemito e l'altro: «Dove stai andando?»

Non gli rispose, accecato dal dolore e dal desiderio di vendetta. Come poteva suo fratello non capire? Non era anche suo padre quello che era stato appena mangiato da quell'animale come fosse stato solo un pezzo di carne al posto del re degli dei? Aveva sempre voluto bene a suo fratello Váli, ma in quel momento sentì di non averlo mai odiato così tanto, neanche nel più acceso dei loro litigi infantili, per non stare facendo altro che piangere invece di aiutarlo a vendicare Odino.

Sentì una mano amorevole e comprensiva prendergli il braccio e trattenerlo per convincerlo a fermarsi. Era Nanna. «Non fare sciocchezze. Non puoi competere con Fenrir.»

«Stanne fuori» gridò rabbioso, strattonandola per liberarsene. Le avrebbe chiesto scusa per il suo comportamento dopo, quando la sua furia si sarebbe sbollita.

Uscì dalla grande terrazza del castello e percorse più veloce che poteva ogni corridoio e scala per arrivare all'ingresso. Quindi, uscì e corse come il vento le migliaia di metri che lo separavano dal punto in cui si trovavano il cadavere di Odino e il mostro che lo aveva inghiottito. Puntò subito quest'ultimo e, senza smettere di correre, spiccò un balzo quando si trovò a pochi passsi da Fenrir che era distratto a gustare ancora i resti di suo padre. Atterrò sul suo collo e, forte dell'elemento sorpresa, si calò davanti e, lasciandosi cadere a terra, afferrò la lancia, staccandola dal corpo dell'animale. Quello, non aspettandosi il suo arrivo fulmineo, si allontanò guadagnando un po' di distanza per osservare il suo nuovo avversario.

Tu sei Vidar, figlio di Odino una voce gli entrò nella testa e solo in un secondo momento capì che era stato Fenrir a parlare. Il lupo si mise in posizione difensiva e aprì le fauci, scoprendo i denti sporchi del sangue del dio. Sei stato sciocco a venire. Farai la stessa fine di tuo padre.

Non appena finì di parlare, levò un grido di battaglia e gli andò contro, la lancia tesa verso il lupo. Quello ringhiò e si preparò ad azzannarlo. Quando si trovò vicino ad una delle zampe anteriori, prima che Fenrir avesse il tempo di alzarla e colpirlo con i sui artigli affilati, Vidar si issò su di essa e la risalì aggrappandosi sui peli del lupo e evitando che lo afferrasse con l'altro arto. Vedendo che ogni sforzo era inutile, quando Vidar fu abbastanza vicino, il lupo cambiò strategia e cercò di azzannarlo con le fauci. Il ragazzo approfittò della bocca aperta del lupo per fermarla mettendo un piede sulla mascella inferiore e una mano su quella superiore. Servendosi di tutta la forza che aveva, riuscì ad aprirle così tanto da spaccarle. Quindi, con la lancia stretta nell'altra mano, si lasciò ricadere a terra, mentre il lupo emetteva violenti e disperati guaiti. Si accasciò a terra, i sensi annebbiati dal dolore.

Vidar gli si avvicinò e pose un piede sulla sua gola. «Ed ora chi avrà la stessa fine di mio padre?» sibilò, con ancora in testa l'immagine della morte precoce del padre.

Il lupo non rispose. Sembrava si fosse ormai arreso al suo irrevocabile destino.

Vidar sollevò Gungnir, la lancia di Odino, e la calò sull'animale, trafiggendogli il cuore. I lamenti dell'animale si fermarono di colpo, insieme alla sua agonia.

Vidar estrasse la lancia macchiata del sangue del lupo e si guardò intorno. Il campo era ricoperto di corpi senza vita, gli stessi che una volta avevano ospitato divinità tanto potenti, e gli unici rimasti erano lui e un gigante di fuoco. Lo conosceva, molte volte lo aveva sentito nominare: era Sutr, il più forte tra i giganti del suo mondo. Si guardarono da lontano e lo vide alzare la sua spada fiammeggiante. Con questa sarebbe stato capace di far bruciare tutti i Nove mondi e comprese dal suo sguardo che era proprio questo ciò che stava per fare. Avrebbe distrutto ogni cosa, proprio come profetizzato. Nel suo viso ricoperto dalle fiamme, come il resto del suo corpo, poté leggere tristezza per aver perso tutti i suoi compagni ed essere rimasto l'unico sopravvissuto della sua specie. Vidar pensò che quello era esattamente ciò che stava provando lui. Sutr sollevò l'arma verso l'alto e iniziò a muoverla in circolo, prima piano, poi sempre più veloce, fino a creare un enorme tornado di fiamme. Vidar indietreggiò. Le fiamme si estesero in fretta, divorando l'ossigeno per ampliarsi e occupare maggiore spazio. Dopo pochi istanti, il fuoco già dominava l'intera pianura. Vidar cominciò a pensare che sarebbe stato travolto anche lui da quel turbine infuocato, ma, con sua sorpresa, come approcciò il fuoco, quello venne deviato da una sorta di scudo invisibile.

Non poté fare a meno di sentirsi sollevato, ma questo sentimento venne subito soppresso dal destino riservato ai cadaveri di suo padre e di tutte le persone che lo avevano visto crescere ad Asgard. Il pensiero corse poi a ogni essere vivente di tutti i Nove mondi che sarebbe stato carbonizzato prima che potesse anche solo accorgersene. Nonostante la rabbia che aveva provato per il fratello, pregò perché venisse risparmiato insieme a lui. Non poté fare altro che chiudere gli occhi e aspettare che le fiamme concludessero in fretta il loro macabro lavoro e si dileguassero.

 

Image and video hosting by TinyPic



Angolo dell'autrice: Non farò spesso questi "angoli", perché preferisco interagire con eventuali lettori attraverso le parole della mia storia, senza fare un mio personale commento sotto ogni capitolo. Dico solo che questa è la prima storia che pubblico su efp e che non so se avrò molto tempo per aggiornarla con continuità a causa della fine delle vacanze, nonostante io stia scrivendo anticipatamente già da tempo i capitoli della storia. Spero solo che vi piaccia e che non riterrete minuti sprecati quelli che impiegherete nel leggerla. E magari lasciatemi una recensione, anche piccolapiccola, facendomi notare eventuali errori che potrebbero essermi sfuggiti nella revisione del testo ed esprimendo un vostro parere;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La ladra ***


 


Image and video hosting by TinyPic


Capitolo uno

La ladra

 

Era incredibilmente facile rubare. L'aveva fatto talmente tante volte che ormai le veniva naturale, come mangiare o bere. Per lei era diventato il suo pane quotidiano, qualcosa senza cui non poteva stare, e con il tempo aveva affinato le sue tecniche, tanto da vederlo ormai come un gioco da ragazzi.

Prima di tutto doveva scegliere la sua preda: i più facili erano gli svampiti che dimenticavano di chiudere i bottoni delle borse o i bambini che venivano incaricati dai genitori troppo occupati di andare a comprare del pane o un po' di frutta al mercato e non avevano altro posto dove mettere gli spiccioli se non in mano. Neanche si accorgevano del furto e, quando lo facevano, era ormai troppo tardi per recuperare ciò che avevano perso.

Poi vi erano le vittime più complicate e che richiedevano più impegno: chi si teneva ben stretta la propria scarsella (in questi casi, doveva aspettare che venissero distratti da qualcosa o creare lei stessa la distrazione) e gli uomini di corporatura massiccia. Le donne erano già più facili e vulnerabili, soprattutto quando erano al mercato o nei negozi e si fermavano a vedere e tastare la qualità della merce messa in vendita. Passava un'eternità prima che fossero pienamente sicure di stare compiendo un buon acquisto, specialmente se si trattava di cibo e vestiti. Gli uomini, d'altro canto, erano più sbrigativi e celeri e non poteva mai sapere il tempo preciso che avrebbero passato girati e assenti. Diverse volte, quando era più giovane, le era capitato di essere scoperta proprio da questi e allora doveva decidere in fretta se lasciare perdere o compiere la scelta azzardata di affrontarlo e tentare di strappargli di mano il borsello e tutto il suo contenuto.

Quel giorno era stata fortunata, complice il fatto che quella era una giornata festiva e l'intero villaggio di Vargr era colmo di gente che, libera dal lavoro e da impegni di ogni sorta, riempiva tutte le vie e le piazze. Era anche riuscita a prendere la tracolla di una signora nella calca della strada senza che nessuno se ne accorgesse.

E ora aveva appena avvistato la sua prossima vittima. Si calò il cappuccio del mantello scuro sulla testa per nascondere la massa di riccioli rossi e per evitare di fornire segnali di riconoscimento della sua identità. La preda occhiata era un'anziana donna piegata un poco in avanti nell'intento di controllare delle verdure di una bancarella particolarmente in alto. Vestiva un abito blu molto bello, indossato appositamente per quel giorno di festa. Aveva capelli corti e bianchi, con ancora qualche ciuffo nero sparso. La sacca che portava a tracolla si era tirata in avanti con tre bottoni slacciati, lasciando aperta quasi la metà di essa, quanto bastava per introdurvi una mano. L'attenzione di Silye venne totalmente attratta da essa. Era come se la stesse chiamando, pregando che vi infilasse le dita.

"Niente di più semplice" penso, lasciandosi scappare un ghigno, che subito soppresse per non destare sospetti sulle sue intenzioni. Si avvicinò al negozio. Fortunatamente la bancarella era piccola e c'era spazio per poco più di quattro persone. Così avrebbe avuto il pretesto per mettersi il più vicino possibile a lei e nascondere la mano e quello che avrebbe tratto fuori dalla borsa. Si sistemò accanto a lei e si finse attratta da delle verdure davanti a sé. Quella si tirò indietro e si rigirò tra le mani due cetrioli. Come accortasi della sua presenza, si voltò verso di lei e Silye le sorrise. Riprese a guardare le patate di fronte a lei e, vedendo le casse quasi completamente vuote, le venne un'idea sulla conversazione da intrattenere.

«Questo mese la raccolta non è stata molto abbondante» affermò, aggiungendo un leggero sospiro.

«Già, la neve ha reso le cose molto difficili» ribatté quella, lanciandole un'altra occhiata, per poi tornare a soppesare le verdure tra le sue mani.

Era il momento perfetto. Si finse interessata a dei ceci e, nell'intento di prenderne un paio, si avvicinò di più alla donna distratta, mentre l'altra mano entrava nella sacca e, cercando di fare i minimi movimenti, afferrava un borsellino in cui era certa si trovassero i soldi. Lo scosse piano e il leggero e quasi impercettibile tintinnio che le arrivò alle orecchie le diede la risposta che cercava. Tirò in fretta fuori la mano e fece per nasconderla nel mantello, ma in quel momento l'anziana portò una mano sulla corda della tracolla, come se fosse indecisa se tirare fuori i soldi e pagare o no. Così facendo, sfiorò quella di Silye e bastò quel leggero contatto per trasportarla lontano da quella bancarella e da quel villaggio. Cercò di aggrapparsi all'immagine che aveva dell'anziana che si voltava di nuovo verso di lei, ma venne inesorabilmente sostiuita da un'altra. Ora vedeva sempre quella stessa donna, solo in un'età molto più avanzata, illuminata dalla tenue luce proveniente da una candela che stava per esaurirsi. Era su un letto, forse quello di casa sua, ed era troppo debole per alzarsi. Aveva il viso rugoso imperlato di sudore e sulla fronte un panno bagnato di acqua gelida, nel tentativo di far abbassare quella febbre che le stava così violentemente strappando la vita. Vicino a lei stava in piedi una donna adulta, dal viso grazioso vagamente simile a quello dell'anziana e deteriorato da una smorfia di dolore e da copiose lacrime che cadevano senza freno fino a scenderle sul collo. Accanto a lei c'era un bambino dai capelli mori, con in viso un'espressione confusa e spaventata. Alla sua tenera età non poteva capire il motivo per cui la madre era tanto disperata e la nonna era seduta su quel letto. L'anziana li guardò con affetto e allo stesso tempo sofferenza. Sentiva le poche forze rimastele venire prosciugate dalla malattia e le palpebre farsi sempre più pesanti. Voleva solo dormire. Era certa che se si fosse riposata un po' si sarebbe ripresa. Ed è con quell'ultimo pensiero che la vita la lasciò, proprio nel momento in cui la fiamma già fioca si spegneva, gettando la stanza in una profonda tenebra, la stessa a cui era andata incontro l'anziana.

Intorno a lei divenne tutto buio e dopo poco la realtà e il presente tornarono ad accoglierla. Fece fatica a mettere a fuoco le immagini sfocate che le si presentarono di nuovo davanti ai suoi occhi. La prima cosa che vide fu la faccia sorpresa dell'anziana, la stessa che solo pochi attimi prima aveva visto morire. Aveva notato il borsellino di sua proprietà stretto forte tra le dita di Silye ed ora il suo viso si stava oscurando man mano che comprendeva cosa stava accadendo. Tutto era ripreso a scorrere dall'attimo stesso in cui si era fermato.

Silye chiuse gli occhi e li aprì subito dopo. E solo allora, sentendo le urla della donna che gridavano «È una ladra! Sta rubando il mio denaro!» e gli sguardi curiosi delle persone che si fermavano a guardare la scena, capì cosa doveva fare.

Iniziò a scappare proprio quando vide dei soldati della corona andare nel punto da cui provenivano le grida dell'anziana. Riuscì a confondersi facilmente tra la gente e continuò a camminare spedita fin quando non fu più possibile per lei udire quella voce acuta.

Ormai la giornata era andata sprecata. Se si fosse messa a rubare di nuovo sarebbe dovuto stare attenta a non incrociare più l'anziana, né i passanti che avevano assistito alla scena. Non poteva correre il rischio di essere scoperta e arrestata. Sarebbe stato più saggio tornare a casa, nonostante quello che aveva guadagnato bastava a malapena per comprare qualche stupidaggine da mangiare. Si concesse solo un pezzo di pane, giusto per non rischiare di rimanere a digiuno fino a sera.

Dovette fare più strada del solito, poiché quel giorno aveva deciso di provare a visitare un villaggio diverso da quello in cui era solita andare. Vargr era piuttosto lontano da casa sua, se così si poteva chiamare. Non viveva in una vera e propria abitazione, quanto più in una minuscola capanna dispersa nel bosco di Hoddmímir, il luogo perfetto per andare a caccia e procurarsi del cibo tutti i giorni, nonché il nascondiglio perfetto per una ladra come lei. Se anche un giorno avessero scoperto la sua identità, non sarebbero mai arrivati a cercarla in quella catapecchia. Una volta doveva essere stata una sorta di bottega di un fabbro ora abbandonata da tempo. Non aveva un letto, né alcun mobile di cui solitamente si riempivano le case più spaziose. Le bastava dormire per terra su un cumulo di erba e l'importante era che avesse un camino per scaldarsi l'inverno, che una volta veniva usato dal fabbro per forgiare i suoi attrezzi e le armi. C'erano addirittura un tavolo e una sedia su cui appoggiarsi per mangiare. Praticamente il paradiso. Come aprì la porta, venne travolta dalla gioia nel rivederla tornata a casa di Úlfur, un cane husky di colore grigio e a tratti bianco.

«Piccolo birbante!» esclamò, tirandosi giù il cappuccio e accarezzandolo. Quello in risposta tirò fuori la lingua. Silye rise.

Úlfur le era stato regalato dal padre all'età di dieci anni, quando era solo un piccolo cucciolo nato da qualche mese, e fin da allora le era sempre stato accanto. Si era sentita accomunata a lui sin dalla prima volta che lo aveva visto. Forse era perché entrambi si sentivano diversi dal resto della società, legati dalle loro differenze. Silye per i suoi capelli selvaggi e i suoi occhi grigi, visti da tutti con diffidenza a causa delle solite e ridicole superstizioni a cui tanti credevano morbosamente, e il cane per la sua rara eterocromia: infatti, aveva un'iride azzurra e l'altra tendente al giallo. Dalla morte del padre, avvenuta quando aveva dodici anni, lui era stato il suo unico amico e la sua unica compagnia. Stando con Úlfur, era come se tenesse vivo il suo ricordo. Arild Dahl, suo padre, era stato il più grande ladro di tutta Midgard, ricercato in ogni terra e paese in cui avevano messo piede nei loro innumerevoli viaggi. Era stato lui ad insegnarle l'arte della sopravvivenza, della caccia e, soprattutto, del furto. Lo aveva sempre visto come un modello di vita da cui prendere esempio nel futuro e gli anni passati con lui sono stati i più felici della sua vita. La sua morte aveva creato un vuoto dentro di lei, molto più profondo di quello lasciato dalla madre, che non aveva mai conosciuto perché morta partorendo lei. Quando l'aveva saputo, aveva cominciato a darsi la colpa per questo, a dire che era stata lei ad ucciderla, ma fu Arild a convincerla del contrario, affermando che, invece, doveva sentirsi grata per l'opportunità che le aveva dato sua madre, senza perdere tempo a rimembrare dolorosi eventi passati. Era grazie al suo sacrificio che ora poteva vivere e doveva esserne solamente grata. Lei le aveva dato la vita e Arild aveva fatto in modo che non andasse sprecata, insegnandole tutte le sue conoscenze. Nel corso degli anni aveva affinato le sue tecniche nel furto, sempre con l'aiuto del padre, tanto da diventare abile quasi quanto lui. Spesso Arild rapinava di notte le case delle persone o i negozi, ma non le aveva mai permesso di accompagnarlo. Lei preferiva rubare nella maniera più semplice e veloce, a diretto contatto con le persone, in cui era particolarmente avveduta. Solo poche volte era stata scoperta, incluso l'episodio di quel giorno con l'anziana, e in ogni caso era stata colpa di quelle strane visioni. Avvenivano solo quando toccava qualcuno, ma fortunatamente non tutte le volte, altrimenti sarebbe stato impossibile per lei continuare a praticare il suo mestiere di ladra. Con il tempo ci aveva fatto l'abitudine e non le creavano troppi problemi, ma la faceva comunque infuriare. Non sempre la facevano scoprire, ma ogni volta, dopo aver visto tutta la morte e la sofferenza in esse, la lasciavano debole e intimorita. Odiava farsi vedere in questo modo. Lei era forte e come tale doveva mostrarsi. Eppure, spesso sperava che suo padre fosse ancora lì con lei, per proteggerla e aiutarla nella sua dura vita.

Scosse la testa. Ogni volta che pensava ad Arild si riapriva dentro di lei una voragine che più volte aveva sperato di essere riuscita a richiudere o sanare crescendo. Ma il dolore per la sua morte era ancora vivo dentro di lei, insieme ad una rabbia che non voleva provare, ma che non riusciva a sopprimere.

Tentò di distrarsi da quei pensieri accarezzando il cane nel punto che più gli piaceva, cioè sotto le orecchie.

«Ti va di mangiare qualcosa e poi andare un po' a caccia?» gli chiese, conoscendo già la risposta. Úlfur, che si era steso a terra per farsi coccolare, si tirò subito su e iniziò a scodinzolare felice dopo aver sentito quell'ultima magica parola.
 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

Image and video hosting by TinyPic


Salve a tutti! Ringrazio subito coloro che hanno recensito il prologo: siete stati gentilissimi! Devo solo avvertirvi che dovrete aspettare una settimana e forse più per leggere il secondo capitolo perché non potrò pubblicarlo prima di allora. Intanto auguro a tutti un buon inizio scuola a chi è già rientrato, se c'è qualcosa di "buono" nel riniziare la scuola:)
Un'ultima cosa: il secondo disegno è fatto da me. So che non sono proprio brava, ma ci tenevo a fare qualcosa di mio da integrare alla storia, poter dare una mia personale interpretazione di come immagino esteticamente la protagonista, ispirandomi ad un'artista i cui disegni ritengo siano semplicemente spettacolari, Cris Ortega. Ancora tanti saluti!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - La caccia ***


 

Capitolo due

La caccia

 

Úlfur si era allontanato più del solito. Era sempre stato un cane molto giocoso e adorava esplorare quel bosco immenso e, soprattutto, cacciarvi con lei. Doveva sempre fare attenzione a non perderlo troppo di vista e di continuare a seguirlo facendo meno rumore possibile per non far fuggire eventuali prede, cosa che le veniva molto bene grazie alle sue doti da ladra.

Nonostante il bosco fosse vastissimo e corressero diverse storie di persone che si erano perse in quell'intrico di rami e piante all'apparenza impenetrabili ed erano morte non trovando la via di uscita, lei non aveva mai avuto problemi nell'orientarsi. La sua casa si trovava quasi ai margini della parte settentrionale del bosco, mentre la direzione per arrivare ai villaggi più vicini era sempre a sud. Con il tempo si era abituata al tragitto e ormai riusciva a farlo anche senza ricorrere all'uso della sua bussola, un altro regalo del padre su cui aveva fatto moltissimo affidamento dopo la sua morte e i primi mesi in cui era andata a vivere in quella capanna trovata per caso mentre stava esplorando il territorio.

Ad ogni modo, sebbene corressero molte leggende e racconti terrificanti su quel bosco, lei ci viveva benissimo. A volte aveva incontrato animali selvaggi e pericolosi come orsi o lupi, ma ne era sempre uscita indenne, poiché sapeva come comportarsi e difendersi in situazioni del genere. Molti vi stavano alla larga anche per il clima rigido. Infatti, per tutto l'inverno e perciò per la maggior parte dell'anno, nevicava abbondantemente, diventando un posto piuttosto ostile in cui cacciare e, soprattutto, vivere. Eppure, a lei piaceva moltissimo quel luogo. A quanto aveva sentito, e bastava vedere gli alberi per averne conferma, quello era il bosco più antico del regno. Oltre a coprire la più larga parte dell'intero territorio di Midgardr, avrebbe anche scampato per miracolo la leggendaria fine del mondo che avrebbe preceduto la rinascita di quello allora conosciuto. Ormai quasi nessuno credeva a queste bazzecole e di certo non lo faceva lei. Aveva ben altro a cui pensare che fantasticare su assurde congetture e catastrofi naturali che potrebbero essere o non essere accadute.

Eppure, che il bosco di Hoddmímir fosse anteriore e in qualche modo più eccezionale e stupefacente degli altri era un dato di fatto. Gli alberi erano più alti e sviluppati del normale, ma uno in particolare aveva riscosso molte chiacchiere. Una volta era riuscita ad arrivare sul punto più alto di una di quelle piante giganti, impiegando quasi mezz'ora nell'arrampicata, e, sbucandone fuori, era rimasta impressionata dal panorama mozzafiato. Il bosco sembrava uno sterminato labirinto di fronde e foglie e su tutto capeggiava un unico, immenso frassino, i cui innumerevoli rami, protesi verso l'alto, parevano voler arrivare a toccare il cielo. Mancavano solo pochi metri e la parte superiore sarebbe entrata in contatto con le nuvole. Era visibile soprattutto da chi si trovava fuori dal bosco ed era stato denominato da tutti l'Albero degli Dei.

Per lei era una fortuna che ogni altro abitante del regno si rifiutasse di mettervi piede per timore dei racconti che circolavano su creature mostruose e feroci che provenivano dal mondo antecedente alla fantomatica catastrofe. Altri parlavano di guardie invisibili che proteggevano quel particolare albero per volere degli dei. Anche i cacciatori più arditi e coraggiosi preferivano rimanere nei boschetti più piccoli e recenti di quello che circondavano diversi villaggi.

Tanto meglio per lei. Lì aveva tutto quello che le serviva.

Nel bosco di Hoddmímir si trovavano anche innumerevoli specie di erbe medicinali che spesso raccoglieva per tenersi pronta nel caso si ammalasse di una delle tante malattie che poteva prendere stando a contatto con la gente che derubava o anche solo per il freddo. I nomi delle piante e le loro facoltà curative le venivano in mente in modo del tutto naturale. Non sapeva da dove provenissero tutte queste sue conoscenze, dato che Arild aveva appreso solo quelle necessarie a curare le malattie più diffuse, come il mirtillo, l'iperico e il vischio bianco.

Affrettò il passo, ma dovette fermarsi di colpo. Diversi rumori provenivano da qualche metro di distanza e comprese che doveva trattarsi di Úlfur. Infatti, dopo pochi minuti di attesa, quello rispuntò da dietro un albero trotterellando felice con in bocca una lepre. Lei gli sorrise e lo accarezzò mentre il cane appoggiava il corpo della sua preda a terra. Silye lo prese e lo depose nella sacca che si era portata.

«Bravissimo. Ora tocca a me portare a casa qualcosa.»

Si rialzò stringendo forte l'arco nella mano sinistra, mentre con la destra prendeva una freccia dalla faretra che aveva in spalla, posizionandola sul punto preciso in cui andava messa la punta. Quindi si guardò intorno e, assicurando arco e freccia su una mano, con l'altra si piegò e afferrò un sasso abbastanza grande. Si allontanò di qualche passo per scegliere l'albero da cui provenivano maggiori cinguettii e movimenti e lì lo tirò con tutta la forza del braccio. Non riuscì a sentirlo sbattere contro le foglie e ricadere perché il rumore venne coperto dai suoni delle decine di ali sbattute e uccelli diversi che si alzarono in volo. Subito imbracciò l'arco e, miratone uno, lo perforò con il dardo. Sorrise, soddisfatta. Quello ricadde a terra e Úlfur scattò per andarlo a prendere.

Poteva fare ancora in tempo a beccarne un altro se si sbrigava e rapidamente sfilò un'altra freccia dalla custodia, puntando al primo che vide. Riuscì a trafiggergli un'ala. Non lo aveva del tutto centrato, ma questo bastava per impedirgli di volare via.

Úlfur tornò con il primo uccello, un tordo. La freccia era ancora inserita nel corpo dell'animale. La sfilò e la ripose nella faretra. Avrebbe ripensato a ripulirla dal sangue una volta tornata a casa.

Quindi, si misero alla ricerca del secondo uccello, che le era sembrato essere una beccaccia. Non le capitava spesso di prenderla, poiché era molto veloce. Infatti, era riuscita ad acchiapparla per un pelo. Pochi millimetri più a destra e l'avrebbe certamente mancata. Si diressero nel punto in cui Silye l'aveva vista sparire e ebbe la conferma che vi fosse dalla freccia tesa verso l'alto.

L'animale emetteva versi di dolore e Silye, dopo aver ripreso l'arma, tirò fuori un pugnale che teneva nella tracolla. Voleva terminare velocemente la sofferenza della povera bestia. Appoggiò la lama dove sapeva si trovasse il suo cuore e con un movimento rapido penetrò all'interno, lacerando tutto ciò che si trovava sulla traiettoria del pugnale. L'uccello smise di agitarsi e opporre resistenza di colpo. Fece fuoriuscire il coltello e lo ripose nella borsa, insieme al corpo della beccaccia.

Quindi, guardò il cane. «Contento?» domandò, come quello iniziò a scondinzolare. «Io non ancora.»

Non le bastavano due piccoli uccellini. Voleva assicurarsi più cibo, soprattutto con il tempo che sembrava presagire giornate molto fredde. Ormai l'inverno era arrivato da un pezzo e negli ultimi giorni era già scesa molta neve, nonostante quella mattina fosse più soleggiata del solito, per quanto potesse esserla in quelle terre, e gran parte degli strati che si erano creati si stavano sciogliendo molto lentamente. Afferrò un'altra freccia e gironzolò per il bosco alla ricerca della sua prossima preda, seguita fedelmente da Úlfur, che si metteva sull'attenti ogni volta che riusciva a captare qualcosa.

Sentì il leggero rumore del legno calpestato e si appostò dietro ad alcuni cespugli per vedere da dove provenisse. C'era un cervo. Un maestoso cervo adulto, impegnato a mangiucchiare alcune erbe che spuntavano tra i pochi mucchietti di neve rimasti. Le corna erano enormi, svettanti. Non poteva farsi scappare questa opportunità. Imbracciò l'arco con azioni lente. Tese la freccia e la indirizzò su un punto tra il collo e il cuore. In questo modo avrebbe reso la sua morte rapida e quasi indolore.

Stava per scoccare il dardo quando dei rumori forti e improvvisi fecero scattare l'animale. Tentò di prenderlo ugualmente anche nella fuga, ma era troppo veloce e la freccia si andò a conficcare nel tronco di un albero dietro. Si rialzò e tirò l'arco nel cespuglio in un gesto di rabbia. Represse a fatica uno strillo, mettendosi una mano nella bocca. Cercò di calmarsi e riprese l'arma di legno. Uscì da dietro il nascondiglio di alberi e cespugli per vedere cosa avesse provocato la fuga del cervo e rimase stupita nel trovarsi davanti un uomo.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Lo sconosciuto ***


 

Capitolo tre

Lo sconosciuto

 

Davanti a lei c'era un uomo. Anzi, sembrava più un ragazzo. Nonostante il fisico massiccio e abbastanza muscoloso, che si poteva intuire anche attraverso gli indumenti, i tratti del viso erano giovani e privi di qualunque ruga o difetto. I capelli biondi si allungavano in grandi e ordinati ricci fino a poco sotto le orecchie, mentre da quella distanza non riusciva a distinguere se i suoi occhi fossero castani o gialli. Qualunque colore avessero, ciò non cambiava il fascino che Silye non poteva negare che lui emanasse. Ma era pur sempre uno sconosciuto, di cui non poteva in alcun modo fidarsi. Non incontrava mai nessuno in quei boschi, poiché nessuno era tanto stolto da sfidare i pregiudizi comuni e le avversità che si incontravano ad ogni angolo da avventurarsi così a nord, fino ad arrivare ai piedi dei ghiacciai Kala. Ed ora si ritrovava davanti questo tizio, che non sembrava portare alcuna arma, né viveri con sé ed indossava solo un leggero mantello nero a proteggerlo dal vento gelido che si infiltrava tra le foglie degli alberi alti e antichi. Certo, neanche lei portava indumenti troppo pesanti: un semplice abito lungo e rosso e una mantella scura, ma ciò perché ormai si era abituata al clima rigido tipico di Midgard e riusciva a sopportarlo facilmente anche in inverno inoltrato, rimanendo fuori casa, lontana dal rassicurante calore del fuoco nel camino, a caccia più tempo di quanto vi si trattenessero la maggior parte dei cacciatori.

Un movimento del giovane la fece riscuotere dall'analisi che stava facendo di lui, cercando di capire perché quello sconosciuto si trovasse lì. Di certo, non per cacciare, non portando alcuna arma con lui, ma non poteva neanche essere di passaggio. Nella direzione in cui stava andando, cioé i monti del nord, non vi erano centri abitati e non era consigliabile andarci in quel periodo, con l'inverno alle porte. E se anche fosse in viaggio avrebbe portato con sé almeno una borsa dove tenere i soldi, il cibo e l'acqua. Sembrava fosse venuto appositamente per lei, ma questo non era possibile. Lei non aveva più stretto rapporti con praticamente nessuno dopo la morte del padre; aveva sempre badato a sé stessa da sola, e non aveva mai visto quel ragazzo in vita sua.

Si era leggermente avvicinato a lei, con un piede davanti all'altro. Silye indietreggiò e la sua mano corse alla custodia di freccie dietro di lei. Fu più un riflesso naturale, anche se si accorse con fastidio che era inutile, poiché aveva gettato a terra l'arco. Identificò la sua posizione, continuando a tenere d'occhio il ragazzo. Non riusciva a capire se dovesse identificarlo come un possibile nemico o solo una persona innocua e per questo era sulla difensiva.

Con un movimento fulmineo Silye raccolse l'arma, che fortunatamente non era finita troppo lontana e si mise subito sulla difensiva.

Vedendo il suo atto, quello trasalì e alzò le mani in segno di resa. «Tranquilla, non sono un pericolo.»

«Questo sta a me deciderlo» ribatté, stringendo forte l'arco.

Una parte di lei voleva solo tirargli una freccia in fretta e farla finita, ma non voleva uccidere un innocente. Lei era una ladra, non un'assassina. Tuttavia, se avesse visto anche solo un movimento sospetto, si sarebbe difesa come meglio credeva. Forse avrebbe fatto meglio a fuggire, ma non poteva sapere quali fossero le sue intenzioni, se l'avrebbe seguita e aggredita in seguito.

«Hai fatto scappare la mia cena» sapeva che una frase del genere non avrebbe aiutato, ma l'offesa e l'irritazione per avergliela fatta sfuggire dalle mani bruciavano ancora.

«Scusa. Non mi ero accorto del cervo.»

Lei sbuffò.

«Allora? Cosa vuoi?» domandò, stufa di quella situazione. Voleva solo andare a casa e cuocere la carne degli uccelli. I morsi della fame iniziavano già a farsi sentire dopo aver mangiato quasi niente per tutta la mattina, eccetto per quel minuscolo pezzo di pane.

«Parlare con te.»

Parlarmi? Cosa voleva questo sconosciuto da lei? Forse era una trappola. Avrebbe cercato di indurla a fidarsi di lui, di renderla più vulnerabile, e ne avrebbe approfittatto. Ma dove voleva arrivare di preciso? Un mucchio di domande senza risposta le vorticavano nella testa e l'unica opzione che le sembrava la più plausibile da fare in quel momento era scappare. Iniziò a indietreggiare e girare un poco la testa sia per vedere la strada che avrebbe preso sia per continuare a controllare il ragazzo. Se avesse provato ad aggredirla o colpirla, avrebbe potuto sfruttare la sua agilità per evitare di essere presa. Non credeva di poter eguagliare la sua forza in uno scontro fisico, ma di certo non si sarebbe lasciata mettere i piedi in testa tanto facilmente. Sapeva bene come difendersi.

Lui dovette accorgersi dei pensieri che le ronzavano nella mente dagli sguardi che lanciava attorno a sé e dal modo con cui aveva cominciato ad allontanarsi di pochi centimetri. «Aspetta!» provò a gridare, ma lei si era già messa in fuga.

Iniziò a correre a perdifiato, come quando veniva scoperta a rubare soldi o gioielli ed era costretta ad allontanarsi in fretta prima che riuscissero a catturarla i soldati del Konungr, cioè del re, denominati Liði.

Aveva passato intere giornate a correre per il bosco, prima con il padre, poi da sola, proprio per prevenire di essere acciuffata da questi. Sarebbe stato un gioco da ragazzi lasciare indietro quel tizio che sembrava un vero e proprio sprovveduto. Non sarebbe sopravvissuto nemmeno un giorno in quelle regioni. Fore avrebbe potuto usare i muscoli e la sua forza per cacciare e anche crearsi una propria arma, di cui era privo, ma anche così dubitava che sarebbe rimasto in vita a lungo.

Non sentiva nulla dietro di sé, nessun calpestio dei piedi sul terreno, e da questo dedusse che aveva provato a seguirla, ma si era poi arreso, o che non era neanche partito.

Sorrise nonostante il respiro stesse diventando sempre più rapido e pesante. Cercò di tenerlo sotto controllo, inspirando dal naso ed espirando dalla bocca, come si era abituata a fare. Avrebbe potuto resistere per ancora un'ora alla stessa velocità, sebbene il vestito rappresentasse un impedimento e fosse molto più scomodo dei pantaloni che preferiva di gran lunga indossare. Molte volte si era esercitata correndo con un abito, semmai le si fosse presentata l'occasione concreta di farlo, come in quel caso.

Cominciò a rallentare. Ormai era impossibile che lui fosse riuscito a raggiungerla; aveva frapposto troppa distanza tra loro. Si ritrovò a ridere per la stupidità di quel ragazzo. Come credeva di poter competere con lei, la più scaltra ladra di Midgard? Se davvero voleva parlarle, avrebbe dovuto batterla e costringerla con la forza ad ascoltarla, perché lei non avrebbe obbedito contro la propria volontà e non si sarebbe piegata davanti a un tizio qualsiasi.

La corsa divenne una camminata veloce. Ora che aveva eliminato il problema, si guardò intorno, chiedendosi se avrebbe fatto in tempo a cacciare un altro po' o se fosse meglio tornare subito a casa per evitare di imbattersi nuovamente in quel ragazzo. Mentre rifletteva su queste cose, non si accorse dell'ombra che si calò su di lei, facendola cadere in avanti e bloccandola con le gambe. Silye sbatté la testa sulla terra e, quando se la andò a toccare la ritrovò bagnata. Temette che fosse sangue, ma poi vide che era solo neve. Si scostò i capelli dal viso per guardare in faccia il suo assalitore.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 - La sfida ***


 

Capitolo quattro

La sfida

 

«Spero che ora sarai più propensa a collaborare e a sentire quello che ho da dirti.» Era di nuovo lui. Il ragazzo che aveva incontrato poco prima. Ma come aveva fatto a seguirla e ad arrampicarsi tra i rami dell'albero senza che lei lo avvertisse? Non riusciva a spiegarselo. L'espressione di sorpresa si tramutò presto in una colma di collera e odio.

Nella caduta l'arco le era sfuggito lontano e alcune freccie erano uscita dalla custodia, sparpagliandosi tra la neve, ma la sacca era ancora lì accanto a lei. Con le mani lasciate libere dalla stretta dello sconosciuto, che la teneva inchiodata a terra dalle gambe, prese il coltello ancora sporco del sangue dell'uccello ucciso e con un movimento rapido, prima che lui potesse scorgerlo, lo avvicinò al collo di lui. «Fai una sola mossa e ti sgozzo» sibilò. «E ora lasciami.»

Lui sgranò gli occhi. Non si aspettava una risposta del genere da parte della ragazza, ma la stretta sulle sue gambe non si allentò.

«Ti ho detto di lasciarmi» ripeté, ponendo l'arma ancora più vicina al pomo d'Adamo. Mancavano solo pochi millimetri e la lama sarebbe affondata nella pelle, lacerando tutto ciò che avrebbe trovato davanti.

Quindi, i lati delle labbra si alzarono in un sorriso, lasciandola sorpresa e perplessa allo stesso tempo. Come riusciva a ridere con un pugnale puntato alla gola?

«Sappiamo entrambi che non mi farai niente.»

«Tu non mi conosci» cercò di usare un tono freddo e neutro, ma non riuscì a coprire la rabbia che quella frase le provocò.

«Non ne hai il coraggio.» La sua voce era calma, quasi distaccata, come se stesse vivendo tutto quello da spettatore esterno e non come qualcuno la cui vita era in bilico sul filo del coltello a poca distanza dalla sua gola. Questo non fece altro che farla infuriare di più.

«Ho il coraggio di fare molto peggio» affermò, pur sapendo bene di stare mentendo. Era il suo orgoglio a parlare.

Il ragazzo si avvicinò al suo viso, trascinando con sé il pugnale. Sembrava non avere la minima paura di poter morire da un momento all'altro. La sua vita era in mano a lei, ma confidava ciecamente nel fatto che lei non sarebbe riuscita a farlo, come se la conoscesse meglio di quanto pensasse. «Dimostramelo» sussurrò, il volto a poca distanza dal suo. Poteva sentire il suo respiro caldo solleticarle il viso e creare un forte constrasto con il vento gelido che si era alzato.

Voleva fargli vedere di che pasta era fatta, provargli che aveva il fegato di ucciderlo, ma una parte di lei la frenava. Il suo cuore iniziò a batterle tanto forte, che iniziò a temere che potesse balzarle fuori dal petto in qualsiasi minuto, mentre il sangue le pulsava nelle orecchie. Sentiva una vocina dentro di sé urlare: Fallo. Fallo. Fallo. La mano che impugnava l'arma iniziò a tremarle leggermente. Fallo. Uccidilo.

«Avanti» la sfidò lui. «Uccidimi.»

Uccidilo!

Nonostante ogni fibra del suo corpo fremesse perché spingesse il coltello più vicino e recidesse con un solo gesto la sua gola, lei si allontanò piano da lui, con l'arma sempre tesa e puntata contro di lui come difesa.

Il suo orgoglio gridava, sembrava una belva che si dimenava e ribellava nel suo petto, bramando di uscire, impossessarsi delle sue facoltà intellettiva e prendere possesso del suo corpo per fare ciò che una parte di lei desiderava ardentemente portare a termine. Ma lei aveva già preso la sua decisione.

Io non sono un'assassina.

Il ragazzo rise, vittorioso. «Lo sapevo» disse, senza staccarle un attimo gli occhi di dosso. Forse per controllare che non provasse a scappare di nuovo. «Sapevo che non ti saresti lasciata trascinare dal tuo irascibile istinto.»

«Perché non vuoi lasciarmi in pace?» urlò. Per un momento prese in considerazione l'idea di tirargli un po' della neve che ricopriva il terreno e di cui si erano ricoperti i loro abiti dopo la caduta, ma così non avrebbe risolto nulla. Avrebbe solo fatto l'infantile figura della bambina imbronciata e capricciosa che, dopo essere stata battuta in un gioco, voleva vendicarsi facendo dispetti idioti.

«Te l'ho già detto. Lo farò solo dopo aver parlato con te.»

«Bene. Sono tutta orecchi.»

«Non qui. Non mi prenderesti sul serio.»

«Come potrei anche solo pensare di prenderti sul serio, data la situazione? Sei spuntato dal nulla, non hai smesso un attimo di starmi alle calcagna. Mi sei addirittura piombato addosso!»

Una parte della bocca del tizio si sollevò, formando un sorriso storto che gli regalava un'aria quasi minacciosa, ma sempre molto attraente. «Hai ragione. Allora che ne diresti di lasciarci alle spalle il nostro impetuoso incontro, che non è iniziato nei migliori dei modi, e offrirmi ospitalità a casa tua?» Quindi, aggiunse sottovoce: «Se “casa” si può chiamare.»

Silye aveva sentito perfettamente questa sua ultima frase e gli lanciò uno sguardo di fuoco. Ignorò la domanda che le sorse immediatamente nella testa: Come fa a sapere come è fatta casa mia? «Non offrirei mai ospitalità ad uno sconosciuto, soprattutto uno come te.»

«E allora temo che dovremo rimanere qui fuori al freddo per un bel po'. Almeno finché non accetterai di darmi udienza.»

«Fai pure. Io non ho problemi. Sono abituata a resistere al gelo invernale.»

«Lo stesso io. Sarà una gara divertente a chi cede per primo.»

«Se è questo che devo fare per liberarmi di te, sarà un piacere rimanere qui.»

Lui si allontanò da lei e si stese con i gomiti coperti dal mantello puntati sul terreno, gli occhi fissi su quelli di lei. Silye si mise comoda sull'erba fresca e bagnata. Non si sarebbe arresa tanto facilmente.

 

 

Trascorsero ore semplicemente l'uno davanti all'altra. Non si tolsero gli occhi di dosso, come se si aspettassero che l'altro sarebbe sparito nel nulla, se avessero distolto lo sguardo.

Silye lo guardava con stizza e diffidenza, mentre lui non si toglieva dalla faccia quell'espressione divertita e a tratti canzonatoria. Lei non riusciva proprio a capire il motivo di quello sguardo, che avrebbe sopra ogni cosa desiderato togliergli con un pugno dritto in faccia, né soprattutto della sua presenza lì. Come poteva conoscerla e sapere dove avrebbe potuto trovarla? L'unica persona con cui aveva stretto un qualche tipo di rapporto era stata la sorella del padre, Astrid, che viveva nel villaggio Máni e che erano andati spesso a trovare. Ma, dopo la morte di Arild, aveva tagliato ogni contatto con lei ed ora non sapeva nemmeno se fosse ancora viva. Aveva preso questa dolorosa decisione perché lei le ricordava troppo il padre e la sua vecchia vita, che aveva condiviso con lui. Guardandola, rivedeva lui e tutto ciò che aveva perso, e lei non poteva sopportarlo.

«Puoi almeno dirmi il tuo nome? Solo per dare un'identità allo sconosciuto che mi sta tenendo in ostaggio.»

Lui scoppiò in una fragorosa risata. Silye non voleva altro che togliergli quell'espressione dalla faccia, ora più che mai. «In ostaggio? Forse hai ragione, ma non puoi negare che tu vuoi rimanere qui, perché ti ho sfidata e tu non conosci la parola “sconfitta”.»

«Cosa vai blaterando? È solo colpa tua se non posso muovermi di qui» affermò orgogliosamente, ma conscia del fatto di essere stata punta nel vivo. Era come se quel ragazzo riuscisse a leggerla dentro ed era questo a spaventarla più di tutto.

Lui si limitò a sorridere, fuorviando l'argomento. «Dì prima il tuo nome.»

«Non sai come mi chiamo? E allora come hai fatto a trovarmi?»

«Ovvio che lo so, ma voglio sentirtelo pronunciare» lo disse in un modo tale che le fece capire che per lui tutto quello era solo un gioco. Non colse la sfida e rimase ostinatamente muta per un'altra mezz'ora.

Quel tipo era davvero enigmatico. Di solito Silye riusciva sempre ad inquadrare le persone che derubava ed era diventata piuttosto brava nel farlo, ma con lui non ci riusciva proprio. Questo le creava un senso di impotenza, perché si sentiva alla sua totale mercé. Era lui ad avere il coltello dalla parte del manico, nonostante in realtà la situazione sembrasse capovolta, poiché era lei a tenere stretta l'arma nella mano.

Il silenzio regnava sovrano, interrotto solo talvolta dai versi degli uccelli sopra di loro. Sembrava un macigno che li opprimeva dall'alto e appesantiva.

Silye venne distratta da una goccia d'acqua che cadde sulla mano che reggeva il pugnale e che creava una barriera tra lei e il ragazzo. Solo in un secondo momento capì che non era pioggia, bensì neve. Iniziò a cadere lentamente, prima pochi fiocchi alla volta, che divennero poi sempre più numerosi. Poteva sentirli posarsi sui suoi capelli e indumenti, inumidendoli e lasciandole brividi di freddo. Nonostante questi, non accennò ad abbassare lo sguardo da quello di lui. Doveva resistere, mostrarsi forte, come le aveva ripetuto continuamente suo padre nei loro stancanti ed estenuanti esercizi. Non sarebbe stata un po' di neve, né quell'arrogante ragazzo a farla cedere.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Gelo ***


 

Capitolo cinque

Gelo

 

Le ore passavano, mentre la neve creava strati sempre più alti man mano che il suolo attecchiva. Ormai la mano che teneva pogiata a terra era completamente sommersa e sapeva che, se avesse provato a muoverla, le dita avrebbero a stento risposto ai comandi. Nonostante indossasse dei guanti che lasciavano scoperte le dita, era certa che questi non sarebbero serviti a nulla.

Un forte tremore iniziò a scuoterla, partendo dal braccio, fino ad arrivarle in ogni parte del corpo. Anche il ragazzo era ricoperto di neve come lei, ma non lo vedeva tremare o stentare qualche tipo di insofferenza.

Come se non bastasse, il sole stava calando e un gelido e forte vento si alzò sferzando impetuosamente i loro corpi, man mano il pomeriggio inoltrato cedeva spazio alla sera. Venne travolta da brividi violenti, che cercò di trattenere e dissimulare con un'espressione indifferente e tenace. Non si sarebbe arresa. Avrebbe preferito morire di freddo ed essere sepolta sotto la neve che dargliela vinta.

Ora lo strato di neve era aumentato e le ricopriva tutto il polso, ma il giovane non sembrava minimamente affetto dal freddo, né preoccupato per le condizioni in cui lei versava, che andavano peggiorando di minuto in minuto. Silye cominciò ad abbassare la mano con il coltello, su cui si era depositata e andata a formare una montagnola di neve; sentiva che si era congelata e non riusciva più a tenerla sollevata.

Le forze la stavano gradualmente abbandonando ed era sempre più scossa da fremiti. Con la consapevolezza che non sarebbe riuscita a resistere ancora a lungo, arrivò anche una cieca rabbia verso il ragazzo; perché il gelo e la neve non sembravano sortire alcun effetto su di lui?

«Vidar» disse lui di punto in bianco.

«Cosa?» sussurrò lei, con voce roca.

«Il mio nome» ripeté «è Vidar.»

Come poteva uscirsene così in una tale situazione? La sua mente era attraversata da pensieri sconnessi e insensati, certamente causati dal freddo. Passava da un Ora lo ammazzo a un Come fa ad essere così bello anche quando sta congelando?, da un Quanto vorrei trovarmi davanti ad un bel fuoco, sotto un mucchio di coperte pesanti! ad un Morirò qui.

Cercò di rabbuiarsi e concentrarsi su ciò che era davvero importante: sopravvivere, ma era più forte di lei. I capelli, totalmente bagnati, erano ricoperti dalla neve che si era accumulata sulla sua testa.

Ma come aveva fatto a cacciarsi in quella faccenda? Era tutta colpa di quel Vidar. Doveva ucciderlo, farla finita una volta per tutte, ma, quando tentò di muovere le mani per stringerle intorno al collo del ragazzo, quelle rimasero dov'erano, immobili.

Era davvero finita. Sarebbe rimasta sepolta sotto cumuli di neve e nessuno avrebbe più trovato il corpo di Silye Dahl, nessuno avrebbe avuto l'occasione o il tempo di darle degna sepoltura. Ma, in fondo, a nessuno sarebbe importato della sua morte, perché nessuno la conosceva. Per la prima volta nella sua vita, ebbe paura. Paura di morire sola e dimenticata da tutti. Forse se lo meritava. Aveva scelto una vita di stenti e aveva tagliato ogni contatto con le persone. Se avesse scelto di vivere con sua zia Astrid, questo non sarebbe mai accaduto. L'unico pensiero che avrebbe avuto era di farsi bella per le feste del villaggio e riuscire a trovare un ragazzo da sposare e con cui mettere su famiglia. Avrebbe anche potuto trovare un lavoro, ma di certo non si sarebbe mai ritrovata nella medesima situazione in cui versava ora.

Improvvisamente il tremore che la scuoteva diminuì e le sembrò di essere attraversata da leggere scariche di calore. Forse era la sua mente che in punto di morte le giocava brutti scherzi. Eppure, ricordava che qualcuno una volta le aveva detto che chi stava per morire per assideramento sentiva caldo poco prima di perdere completamente la sensibilità di tutti gli arti del corpo, ma non ricordava chi. Questo era esattamente quello che stava accadendo a lei.

Strizzò le palpabre. Le sentiva pesanti; sicuramente si erano congelate anche quelle. Sapeva che doveva rimanere sveglia, che avrebbe dovuto combattere per rimanere attaccata alla vita, come sicuramente i suoi genitori avrebbero voluto, ma in quel momento sentiva troppo sonno. Era stanca di tutto. Voleva solo addormentarsi e lasciarsi cullare dai soffici fiocchi di neve che cadevano su di lei, ricoprendola. Stavano diventando incredibilmente familiari, quasi piacevoli, come una ninna nanna, di quelle che le madri cantavano ai bambini, ma che lei non aveva mai avuto l'opportunità di ascoltare.

Neanche si accorse di essersi accasciata a terra. Davanti a lei ora c'erano i rami degli alberi che ondeggiavano, ricoperti di bianco, e sopra quelli poteva scorgere le stelle. O erano fiocchi di neve? Non poteva saperlo. L'unica cosa di cui era certa era che tutto era meraviglioso, perfetto. La notte stava già iniziando a calare; non si era accorta di tutte le ore che avevano passato seduti in quel luogo, ma ora non le importava più. Voleva solo chiudere gli occhi. L'unico pensiero che riuscì a fare, mentre questi le si richiudevano lentamente, fu che era felice di morire lì, sotto il cielo stellato e la neve. Era molto più di quanto meritasse.

L'ultima cosa che vide fu il volto oscurato del giovane occupare tutto il suo campo visivo.

 

Era ancora nel bosco, ma stavolta era diverso. La neve era sparita e sembrava che l'inverno avesse lasciato spazio all'improvviso alla primavera. Gli alberi erano pieni di foglie e fiori di ogni colore, tanto che davano l'impressione che sarebbe caduti di lì a poco per tutto il carico che portavano. Sul bosco aleggiava un piacevole profumo che non riusciva bene a definire. Era certa che provenisse dai petali dei fiori, ma non era sicura di quali fossero poiché l'odore cambiava continuamente. Un attimo sapeva di rosa, quello dopo di lavanda, poi orchidea e vaniglia. Non riusciva a spiegarsi come facesse a conoscere quei fiori e a ricondurne gli odori, dato che non li aveva mai visti né sentiti in vita sua. I fiori riuscivano a crescere solo nel periodo primaverile, cioé quello più caldo dell'anno, ma solo per poco perché venivano subito scacciati dall'autunno e dall'avanzare del freddo, ma non ne aveva mai visti in una tale quantità. Il bosco le sembrava sconosciuto e irriconoscibile sotto quelle vesti, ma ricollegò subito quegli alberi così alti a quelli di Hoddmímir. Mosse qualche passo sull'erba fresca e si accorse, da come le strusciava sulle gambe, di stare indossando una veste bianca molto leggera. Era impensabile poter portare qualcosa di tanto sottile anche nelle giornate più calde nella foresta. C'era qualcosa di strano in quella situazione, ma non ebbe tempo di starci a rimurginare, perché sentì qualcosa di simile a un sussurro arrivarle alle orecchie. All'inizio non capì cosa fosse, ma dopo pochi attimi definì quello che una debole voce le stava ripetendo: Vieni. Non sapeva da dove provenisse, né chi fosse stato a parlare, ma i suoi piedi si azionarono senza che lei desse loro il comando. Il suo primo istinto fu quello di ribellarsi, ma poi si lasciò trasportare dalla voce dolce che continuava a invogliarla a seguirla. Non era un ordine, ma un invito. Man mano che avanzava, iniziò a riconoscere la strada che stava facendo e dove essa conduceva: al maestoso albero che sormontava l'intera foresta. Bastò qualche minuto ed esso apparì in tutta la sua imponenza e splendore. Ornato da fiori e germogli era ancora più bello di quanto ricordava che fosse. Con la sua vicinanza, la voce si fece più potente, ma rimase soave e gentile come prima. Era come se l'albero stesso la stesse chiamando. Appena gli si fu accostata, sul tronco apparvero delle linee verdi e gialle che sembravano trasportare liquidi su e giù attraverso il busto, mettendo in contatto le radici con i rami e le foglie. È la forza vitale dell'Yggdrasill disse la voce, nonostante lei non comprese cosa volesse dire quel nome. All'improvviso ai piedi dell'albero, poco distante dal punto in cui le sue grandi radici spuntavano e si rifiondavano nel terreno, il suolo si aprì lentamente, lasciando intravedere una grande buca buia. Affacciati sussurrò la voce. Lei fece come le disse e guardò all'interno. Come vi pose lo sguardo, la cavità si illuminò di una luce dorata e con stupore Silye si accorse che essa proveniva da un libro dalla fodera grigia. Questo si aprì da solo e le mostrò alcune pagine, senza darle la possibilità di vedere cosa vi era scritto. I fogli si fermarono di scatto e una parola brillò fra tutte le altre, in modo che lei potesse leggere perfettamente: Le völve.

Trovalo pronunciò la voce. Trova il libro e scoprirai il tuo passato.

 

Aprì gli occhi di scatto. Si ritrovò davanti il muso di Úlfur, che, come vide che si era svegliata, tirò subito fuori la lingua e iniziò a leccarla. «Basta!» disse, divertita dalle feste del cane e cercando allo stesso tempo di allontanarlo. Poiché Úlfur le aveva lasciato un po' di spazio, Silye poté guardarsi intorno e realizzare dove si trovasse. Vide davanti a sé un allegro fuoco scoppiettare in un camino. Era a casa, al sicuro nella sua familiare capanna. Tentò di alzarsi dal giaciglio su cui era solita dormire, ma il movimento venne ostacolato dai cinque strati di coperte che qualcuno aveva messo sopra di lei per riscaldarla. Stava quasi sudando per tutto il caldo accumulato. Tutt'altra condizione rispetto a quella con cui ricordava di avere perso i sensi. Era stata vicinissima alla morte, lo ricordava benissimo, ma qualcuno l'aveva salvata. Ma chi? Si ricordava di un giovane, Vidar, ma era impensabile che fosse stato lui, nonostante il suo viso fosse stata l'ultima cosa che avesse visto prima di svenire. Non riusciva a credere che quel tizio, lo stesso che l'aveva sfidata ad arrivare ai limiti delle sue capacità e l'aveva guardata con espressioni tanto boriose e sfrontate, l'avesse trasportata lì e trattata con una tale cura. Eppure, non riusciva a pensare a chi altro avrebbe potuto farlo.

Scansò le coperte pesanti e notò che indossava dei vestiti differenti e asciutti rispetto all'abito che si era totalmente inzuppato per la neve. Una semplice maglietta grigia a maniche lunghe e dei pantaloni marrone scuro. Chiunque l'aveva portata là, l'aveva anche cambiata. Involontariamente si ritrovò a pensare che questo lui doveva per forza di cose averla vista nuda. Si riscosse per evitare pensieri tanto imbarazzanti.

Dentro la stanza non c'era nessun altro oltre lei e Úlfur. Forse Vidar, o chi per lui, si era deciso ad andarsene e a lasciarla stare dopo quello che la aveva indotta a fare e a passare. Meglio così. Avrebbe cercato di dimenticare quello strano incontro e quei fatti e sarebbe tornata alla sua vita di sempre, come se non fosse mai accaduto nulla. Un brontolio la riportò alla realtà e si rese conto che proveniva dal suo stomaco. Da quanto tempo non mangiava? L'ultima volta era stata prima di andare a caccia e incontrare quel ragazzo, ma non poteva sapere quanto tempo le fosse servito per riprendersi dal freddo, asciugarsi e svegliarsi. Notò che la luce proveniente dalla piccola finestra a vetri della capanna era tenue. Si affacciò e vide che fuori infuriava una bufera di neve, ma nonostante questa si rese conto che doveva essere l'alba. Fece girare lo sguardo per la stanza e le ricadde in quello che stava cercando: la sua borsa, vicino alle coperte che erano rimaste stese a terra. La prese e la svuotò sul tavolo: vi trovò solo i corpi dei due uccelli. Il pugnale era stato poggiato sulla sedia, vicino alla faretra e l'arco. Chi l'aveva salvata, aveva pensato anche a riportare indietro tutta la sua roba. Si chiese se avrebbe avuto l'occasione di ringraziarlo per quello che aveva fatto, sempre che non si fosse tratto di Vidar. In quel caso l'unico modo con cui l'avrebbe ringraziato sarebbe stato con un bel pugno. Ora, però, l'importante era pulire e cuocere quella succulenta carne. Afferrò il coltello e si mise al lavoro: strappò le penne marroncine del tordo e gli tagliò la testa, asportando esofago e trachea. Quindi, praticò un'incisione poco sotto il petto dell'animale ed esportò tutte le viscere e gli organi principali, infilandovi un dito. Le prime volte in cui il padre le aveva permesso di tentare di ripulire le prede cacciate, aveva quasi vomitato. A forza di farlo, poi, ci prese l'abitudine e divenne un qualcosa di comunissimo, che le provocava sempre una sensazione di ribrezzo, ma che andava fatto comunque.

Lo infilzò in una grande stecca di legno che fissò sopra il camino. Ora non doveva fare altro che controllarlo perché non finisse per bruciarsi e girarlo quando vi era bisogno. Stava finendo di saldarla quando sentì la porta aprirsi, facendo entrare una gelida raffica di vento. D'istinto lanciò uno sguardo sul coltello macchiato del sangue del tordo e lasciato sul tavolo e con uno scatto lo afferrò per difendersi da eventuali ladri o maniaci. Rimase di stucco quando vide spuntarvi Vidar, con in mano un mucchio di rami e legna.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 - L'ospite ***


 

Capitolo sei

L'ospite

 

Il mantello di Vidar era sempre ricoperto di neve, come ricordava di averlo visto prima di perdere i sensi, ma probabilmente ora era dovuto alla tempesta che intravedeva imperversare fuori attraverso la porta.

«Finalmente ti sei svegliata» disse, rivolgendole un sorriso e andando a riporre la legna a terra. «Questa dovrebbe bastare per un po' di giorni.»

«Cosa ci fai qui?» domandò con spregio. «Vattene da casa mia.»

«Chiamarla casa è esagerato» affermò, sarcastico. «Vedo che hai anche cucinato l'uccello. Bene, stavo morendo di fame.»

«Per me puoi anche farlo, non ho problemi. In fondo, è colpa tua se stavo quasi per morire congelata.»

Scosse la testa vigorosamente. «Non darmi tutta la colpa di quello che è successo. Ti saresti potuta tirare subito indietro, ma sei così tenace! Se mi avessi dato ascolto subito, nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto.»

Silye non poteva negare che in parte avesse ragione, ma sapeva anche che tutta quella storia era iniziata quando aveva incontrato quel tizio. «Come vuoi. Basta che te ne vai e non metti più piede qui dentro. Sei nel mio territorio ora.»

Lui alzò le mani come a volersi proteggere da lei. «Calmati, lupetta. Ti sto solo aiutando. Potresti mettere via quel coltello e smetterla di puntarmi continuamente? L'ho visto abbastanza per oggi.»

Lei lo abbassò molto lentamente. Non si fidava di lui, ma non credeva che avrebbe voluto farle del male. «D'accordo, finiamo questa storia. Parlami di quello che vuoi e poi lasciami in pace.»

«Finalmente vedo che vuoi collaborare! È stato così difficile e stancante convincerti» affermò, alzando gli occhi al cielo. «Prima però mangiamo qualcosa. Ne avrai bisogno.»

Lei annuì, sebbene fosse l'ultima cosa che avrebbe voluto fare. Aveva troppa fame per ricominciare a battibeccare con lui.

Attesero quasi un'ora seduti per terra davanti al fuoco, in silenzio. Le sembrava di rivivere quel pomeriggio che avevano passato l'uno davanti all'altra, solo che ora Silye evitava di guardarlo e tutta la sua concentrazione era attratta dalla carne che stava girando, sebbene poteva sentire il suo sguardo posato su di lei tutto il tempo. Si chiese il perché; forse la stava studiando, esaminava ogni suo comportamento e atteggiamento. Ma per quale motivo?

«Potresti smetterla di fissarmi? È seccante.»

«Non sto osservando te, ma il cibo. Avrei una certa fame» disse, ma Silye sapeva che stava mentendo. L'aveva visto con la coda dell'occhio e lui non aveva fatto in tempo a voltarsi.

«Ecco qua» disse, togliendo lo spiedo dal camino, e sfilò la carne da esso. Ripulì il pugnale in un panno e lo usò per spezzare la carne in due parti, una per lei e una per Vidar. Gli passò la sua porzione e lui iniziò subito a mangiarla. Lei non poteva nascondere il desiderio che aveva nell'addentare subito quella carne succulenta, ma prima spezzò una coscia e la lasciò a terra per Úlfur. Lui si fiondò sul cibo e lo morse famelico. Silye pensò che gli uomini affamati non erano tanto diversi dagli animali. Sarebbero potuti arrivare ad uccidere un proprio simile e usarlo come pranzo pur di mettere qualcosa tra i denti e nello stomaco. Si focalizzò sulla carne davanti a lei e in poco meno di qualche minuto aveva già mangiato tutto e rosicchiato ogni ossicino. Sospirò, finalmente sazia. Aspettò un altro po' che Vidar finisse e, quando anche lui posò la parte dell'uccello interamente mangiucchiata, lei gli rivolse la parola. «Te lo sei proprio gustato» disse, dando un'occhiata agli avanzi; vi erano rimaste solo le ossa. «Non ringraziarmi per averlo cacciato e per averti permesso di mangiarlo» aggiunse, con una nota palesemente ironica.

«Grazie» bofonchiò l'altro.

«Quindi?» chiese Silye, irritata. «Possiamo arrivare al punto in cui tu mi dici perché sei venuto e di cosa vuoi parlarmi?»

«Sì» affermò Vidar, con un leggero sorriso sulle labbra. «Direi che è ora.»

 

Il giovane rimase seduto sul tavolo, concentrato nel guardare il fuoco e il suo allegro scoppiettìo, mentre Silye si alzò per andare a rimettersi sul suo giaciglio, con le spalle appoggiate al muro. Si disse che lo aveva fatto per stare più comoda, ma la verità era che lei aveva paura di Vidar e di quello che aveva da dirle. Se aveva fatto tutta quella strada per incontrarla, doveva trattarsi di qualcosa di importante.

Lui le dava le spalle, con le gambe posate comodamente sul tavolo. Silye dovette fare un enorme sforzo per non gridargli di togliere i piedi dal ripiano in cui lei mangiava: non voleva iniziare un'altra discussione e perdere altro tempo. Tentò di calmarsi pensando che prima avrebbe parlato, prima se ne sarebbe andato.

«Vuoi sbrigarti?» chiese, stufa di quel silenzio, di quell'attesa e soprattutto di quel Vidar. «Dovrei andare a Vél entro oggi pomeriggio.»

«A rubare?» la sua voce sembrò carica di severità e disappunto, come non la aveva mai sentita prima. Certo, lo conosceva da meno di un giorno, ma fino ad allora lo aveva sempre visto divertito, come se tutto quello per lui fosse solo un dispetto verso di lei. Sentì la rabbia montare, insieme alla confusione. Come faceva a sapere che Silye fosse una ladra e perché usava quel tono da maestro con lei? Lui non sapeva niente, non poteva giudicare la sua vita.

«Qualche problema?» cercò di suonare impassibile davanti al suo atteggiamento sfrontato.

«Hai così tante potenzialità» disse, lasciandola stupita. «Perché sprecarle in derubare gente più povera di te? Magari persone che non devono mantenere solo sé stesse, ma un'intera famiglia.»

«Non lo faccio per piacere o divertimento, ma per necessità» ribatté.

«Si può vivere anche senza ricorrere ad attività così meschine.»

«Sei venuto fin qui solo per farmi la ramanzina? Oppure sei...» d'un tratto smise di parlare, dimenticando subito quello che stava per dire, quando un'ipotesi le si formò nella testa, colpendola come un fulmine. Il cuore perse un battito e si sentì attraversare da una scarica di collera tanto forte da farle fremere le mani. «Sei stato mandato dal re? È così, vero? Per questo sapevi dove trovarmi e cosa faccio. Che stupida che sono stata! Avrei dovuto pensarci prima! Cosa vuole? Uccidere anche me oltre a mio padre?» Nemmeno si accorse di essersi alzata e di avere iniziato a gridare, travolta da ricordi troppo dolorosi da poter sopportare.

Tutto filava. Forse l'avevano controllata per giorni per accertarsi che lei fosse realmente la figlia di Arild ed era poi stato ordinato a Vidar di parlarle, forse per indurla a fidarsi di lui per poi farle ciò che gli era stato comandato nel momento in cui lei sarebbe stata più vulnerabile. Non sapeva nemmeno se quello fosse il suo vero nome o avesse mentito anche su quel punto.

«No! Calmati,» si era girato di scatto e, vedendola così infuriata e fuori di sé, la guardò come se fosse pazza «non mi ha mandato lui! Pensi che se fosse stato così, avrei aspettato così tanto per acquistare un minimo di fiducia da te? Quando stavi per morire assiderata, ti avrei portata dritta da lui, anziché qui. Ho avuto milioni di possibilità per farlo, ma non è successo, perché io non c'entro nulla con lui. Qualunque cosa abbia fatto a te e a tuo padre, io non c'entro.»

Quelle parole riuscirono a farle riacquistare un po' di lucidità, a calmarla e farle scartare quella possibilità. In effetti, non poteva non dargli ragione.

«E allora per cosa sei venuto? Vai dritto al punto.»

«E va bene. Sbrighiamoci, perché mi hai fatto già perdere troppo tempo.» Fece una pausa, come se fosse indeciso su dove partire. «So che talvolta ti accadono cose... strane, giusto?»

Lei incrociò le braccia, già sapendo a cosa si stesse riferendo, ma volerna esserne sicura per non essere presa per matta. «Cosa intendi con strane

«Tipo delle visioni.»

«Non so di cosa tu stia parlando» non voleva affrontare quell'argomento con uno sconosciuto, che oltretutto non sapeva come potesse essere a conoscenza di quel particolare.

«È inutile cercare di mentire o fare l'indifferente. Lo sai benissimo.»

«Forse. Qual è il punto?»

«Io posso insegnarti a controllarle.»

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Passato ***


 

Capitolo sette

Passato

 

Silye rimase a bocca aperta di fronte a quella affermazione. Già era di per sé strano che quel ragazzo fosse a conoscenza delle sue visioni, ma... addirittura insegnarle a controllarle? Era serio?

«Come?» chiese perplessa e ancora diffidente.

«Te lo dirò dopo» disse, lasciandola ancora più confusa e con l'asciutto in bocca.

«Dimmelo ora!» trillò. Se era vero ciò che stava dicendo, voleva saperlo subito. Era stanca di quelle visioni senza controllo che ogni volta la facevano sentire fragile e impotente. Inoltre, erano solo d'intralcio mentre rubava ed era a contatto con le persone.

«No» ribatté perentorio. «Ci sono altre cose che devi apprendere prima.»

Silye stava per rispondergli per le rime, ma quelle parole così severe la bloccarono. Era come quando da piccola il padre la riprendeva per qualcosa: perché si faceva scoprire dalle persone che stava derubando o perché si faceva scappare una preda facile facendo troppo rumore. Odiava quando sucedeva. Lei aveva sempre voluto essere all'altezza delle sfide che Arild le presentava, pronta a scattare e vincere. Ed ora questo Vidar, poco più grande di lei, si permetteva di trattarla in questo modo, neanche fosse stato un suo genitore o il re in persona. Digrignò i denti, ma celò la sua rabbia sotto uno sguardo carico di freddezza. «Va bene» disse, suo malgrado.

Lui fece un'altra pausa e tornò a guardare il fuoco che emanava un piacevole calore. «Per anni si sono sentite storie su un mondo precedente a questo, in cui divinità e uomini vivevano in pace tra loro, insieme ad altre mitiche creature e specie, e che sarebbe stato in seguito distrutto per poi risorgere dalle sue ceneri. Tutte queste leggende, eccetto per alcuni particolari che sono totalmente prive di fondamento e che sono evidentemente opera di menti fantasiose, sono vere. Gli dei, la fine del mondo, la sua rinascita: tutto realmente accaduto» parlò lentamente, come per accertarsi che ogni singola parola pronunciata arrivasse forte e chiara nelle orecchie di Silye.

Lei rimase qualche attimo in silenzio, quasi a volersi assicurare che stesse dicendo sul serio, poi scoppiò in una fragorosa risata. Era più forte di lei; non riusciva a fermarsi. Per tutto il tempo lui rimase immobile con lo sguardo perso sul muro davanti a sé. Sembrava non si fosse neanche accorto che lei si stesse facendo beffe di quello che aveva detto. «Stai delirando. La neve deve averti fatto un brutto effetto» disse lei, quando riuscì a smettere.

«È una reazione più che normale, soprattutto per una come te» affermò tranquillamente.

«Puoi dirlo forte. E io che pensavo che mi avresti presa per pazza se ti avessi parlato delle mie visioni...» ridacchiò. «Tu sei completamente folle!»

«E tu sapresti dirmi qual è il confine tra la realtà e la pazzia? Non è già una cosa impossibile il fatto che tu possa prevedere il futuro delle persone solo toccandole?»

«Sì, però...» incespicò nelle parole. «Un conto sono le mie visioni, un conto è credere in sciocche storielle di paese.»

«E chi dice che non ci sia un fondo di verità anche nelle sciocche storielle di paese? Tutte devono essere state ispirate da qualcosa, un qualcosa che ha dato inizio alla catena di trasmissione che si è prolungata per anni e anni fino ad oggi.»

«Io... Non ci ho mai creduto.»

«Sei più cinica di quanto mi aspettassi.»

Quella frase le provocò un'ondata di irritazione. «Mi dispiace di aver deluso le tue alte aspettative.»

Lui non si girò verso di lei, ma Silye poté sentire un'impercettibile e breve risata provenire da Vidar. «Il mondo precedente era abbastanza diverso da questo. Vi vivevano moltissime specie, spartite in Nove regni: gli dei, gli umani, gli elfi della luce, gli elfi oscuri, i nani, i giganti di ghiaccio e quelli di fuoco. Con l'arrivo della fine del mondo, anticamente denominata Ragnarok, gli dei si scontrarono in una terribile lotta con l'esercito di Hel, l'allora divinità che era a capo del mondo dei morti, e di Loki, dio del caos, aiutati da altre creature potenti e temibili» la sua voce si incrinò. Sembrava si stesse preparando per quello che stava per dire, qualcosa per lui troppo doloroso. Poteva sentirlo nel leggero tremolìo della voce, non potendo vederlo in faccia. «Morirono tutti. Gli unici rimasti furono il più potente tra i giganti di fuoco, che incendiò i mondi, e gli dei destinati a sopravvivere e a rigenerare una nuova stirpe di divinità.»

«Una bella storia, non c'è che dire. Semmai deciderò di avere dei figli, me ne ricorderò e gliela racconterò ogni sera prima che si addormentino.»

«È tutto vero e credimi se ti dico che io sono una fonte affidabile, perché ho vissuto io stesso tutto ciò che ti ho appena detto.»

Silye strabuzzò gli occhi. Non poteva averlo detto. Si chiese se fosse solo uno svitato o un totale malato di mente.

«Senti, ora ne ho abbastanza con questi scherzi e queste stupidaggini. Ho cose più importanti da fare» disse, alzandosi e scrollandosi di dosso la polvere che ricopriva il pavimento della stanza e che le era finita sui pantaloni.

«Aspetta» affermò, tirandosi su a sua volta e guardandola negli occhi. «Toccami e lo vedrai te stessa.»

«Toccarti? Ora sto iniziando a pensare che tu sia anche un maniaco. Se non mi avessi salvato la vita, ti avrei buttato fuori da casa mia da un bel po'.»

Per un momento pensò di averlo offeso per averlo chiamato maniaco, ma lui in risposta le porse la mano. «Provaci. Tentare non costa nulla.»

Nonostante tutta quella storia le suonasse bizzarra e stupida, pensò che se gli avesse dato lo sfizio di tentare, senza che accadesse nulla, avrebbe potuto dimostrargli la pazzia di quella situazione e convincerlo a lasciarla perdere. Avrebbe dovuto solo accontentarlo. Eppure, esitò mentre tendeva la mano, perché una parte di sé aveva paura di quello che sarebbe successo, qualunque cosa sarebbe dovuta accadere.

Le sue dita toccarono il palmo morbido di Vidar e, proprio quando si era convinta che non aveva nulla di cui avere paura, una sensazione ormai tremendamente familiare la travolse. Intorno a lei ogni immagine e colore svanì, sostituito da una scena che rimpiazzò la capanna, il camino con il fuoco e il volto di Vidar e si fece sempre più nitida. L'unica cosa che continuava a tenerla ancorata nel mondo reale era la mano di Vidar che stringeva la sua, ma anche quel contatto si fece sempre più lontano, lasciando spazio a qualcosa che non aveva mai visto prima. Davanti a lei si andò a formare un campo di battaglia. Uomini combattevano contro esseri dalla pelle bianca e raggrinzita, che sembravano dei morti appena risorti dal terreno in cui erano stati sepolti, e strani e mostruosi animali, come una serpe gigante e un lupo. Quest'ultimo, in particolare, veniva contrastato da un uomo dai capelli e la barba lunghi e biondi con in testa un elmetto argentato decorato con due larghe ali ai lati e con in mano una lunga lancia. Vi era qualcosa in lui che le fece credere che non fosse umano. Forse lo capì dalla forza con cui si stava scontrando con il suo nemico o dall'importanza che traspariva dal suo aspetto vigoroso e da ogni particolare, come armatura, elmo e lancia. Si stava battendo con tutta la potenza che aveva, ma non sembrò bastare, perché in un momento di debolezza il lupo non esitò a sbranarlo come fosse un semplice osso. Fu come se il tempo si fosse fermato per un attimo; ogni altro combattente si prese qualche attimo per rendersi conto che quello che doveva essere stato un personaggio molto importante era morto. Non passò molto tempo prima che un'altra figura subentrasse come una furia nella scena, mentre l'animale era ancora impegnato a mangiucchiare la carcassa e la carne delle braccia dell'uomo. Mirava al lupo e sembrava non riuscisse a vedere nient'altro, solo il suo obiettivo. Non poteva sapere le ragioni per cui stese correndo in quel modo, ma indovinò che fosse una persona vicina all'uomo defunto. La scena si allargò, permettendole di vedere più da vicino gli eventi. Proprio quando il ragazzo aveva ormai raggiunto il lupo, Silye riconobbe con stupore le sembianze di Vidar dai suoi ormai ben noti capelli biondi. Con un balzo repentino si issò sul mostro e afferrò la lancia che era rimasta infilata nel corpo del lupo. Accortosi quest'ultimo della sua presenza, iniziò una lotta tra i due nemici. La bestia aveva una forza inaudita, ma nulla poteva contro quella del giovane, guidata da una furia che non si sarebbe mai aspettata di vedere nel volto sempre calmo di Vidar. Combatterono con violenza, ma la battaglia appariva ormai conclusa quando Vidar spezzò la mascella dell'animale, che si accasciò a terra per il dolore. Il giovane, con il viso attraversato dall'odio e da un disprezzo senza limiti, si posizionò all'altezza del collo della bestia ansante e sofferente e, alzata la lancia, la fece ricadere subito, spezzandogli la gola. Ciò che avvenne dopo fu un tripudio di fuoco che si espandeva sempre di più, bruciando tutto ciò che trovava sulla sua strada: alberi, villaggi, uomini, animali, montagne. Non sapeva da chi fosse stata provocata, perché i margini del campo visivo non le permettevano di vedere l'origine del fuoco, ma poteva immaginarne le conseguenze: ogni cosa era distrutta e intorno a lei non vedeva altro che fiamme di un rosso acceso e accecante. Rosso come il sangue versato.

Improvvisamente tutto si spense e sprofondò in una fitta oscurità, fin quando davanti a lei non tornò a formarsi il rassicurante marrone delle pareti. Si era accasciata a terra e intorno a sé sentì le rassicuranti braccia di Vidar stringerla in un abbraccio forte e protettivo.

«Cos'è successo? Che cos'era quello che ho visto?» sussurrò con voce flebile. Solo ora si rese conto di avere le guance umide. Aveva pianto. Si sentiva ancora travolta da mille emozioni contrastanti: odio, desiderio di vendetta, disperazione. Dovevano essere le medesime sensazioni che aveva provato Vidar nella sua visione.

«Ora pensa a calmarti» la cullò lui nella sua stretta ferrea.

«Sto benissimo» disse, quasi strappandosi le lacrime dalla faccia e liberandosi dalle braccia del ragazzo. Non era abituata a gesti così espansivi.

Lui prese una coperta e gliela appoggiò sulle spalle. Silye dovette combattere con l'istinto di togliersela di dosso. In fondo, le stava solo facendo un favore.

«Con le tue visioni puoi non solo prevedere il futuro, ma anche rivedere ricordi passati.»

«Quindi... Quelli erano ricordi. Tuoi ricordi. Ma... com'è possibile?» balbettò, stremata. Ogni volta che aveva quelle visioni, era come se prosciugassero parte delle sue forze, ma questa volta era stato diverso. Questa era stata molto più potente, molto più vera.

«Io ho vissuto nel mondo antecedente. Quando è avvenuto il Ragnarok, io c'ero, ho combattuto, come hai potuto vedere poco fa, e sono stato tra i pochi eletti a scamparlo. Io sono un dio.»

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Il dio ***


 

Capitolo otto

Il dio

 

Silye spalacò gli occhi, incapace di muoversi. «Tu... un dio

«Certamente avrai già capito che c'era qualcosa di inumano in me, come quando stavi scappando e io ti ho raggiunta facilmente e senza farmi sentire, atterrando su di te.»

«Sì, lo ricordo bene» disse, lasciando trapelare una punta di disappunto per non essere riuscita ad evitare che accadesse.

«Non tormentarti così; pochi sarebbero riusciti a sfuggirmi. Prima mi chiamavano Il silenzioso perché mi piaceva isolarmi nelle foreste e trascorrere il tempo ad arrampicarmi sugli alberi e saltare da uno all'altro di questi, cercando di fare il meno rumore possibile. Sono stati gli elfi silvani ad insegnarmi come» spiegò, con lo sguardo perso sul fuoco, come se tra le fiamme potessero spuntare le immagini di tutti i fatti passati che le stava raccontando.

«Vuoi scoprire di più sul mio passato?» chiese quindi, porgendole di nuovo la mano garbatamente. Lei si ritrasse d'istinto. «Cercherò di farti vedere solo i ricordi più belli.»

Silye si lasciò convincere e prese la mano di Vidar nella sua, sempre con un po' di esitazione.

La visione non tardò ad arrivare e sentì una forza esterna che la prelevava e portava nell'oscurità, dove si andarono a definire immagini mai viste.

La prima ad apparire raffigurava Vidar che correva veloce in una foresta in groppa ad un cavallo. Aveva arco, faretra e una fodera legata alla cintura da cui spuntava l'impugnatura dorata di una spada. Era intento a scoccare una freccia proprio in quel momento e, dopo averla rilasciata, doveva aver preso in pieno qualche animale, sicuramente uno o più uccelli, poiché aveva la stessa espressione sorridente e trionfante che gli aveva più volte visto in viso, solo che stavolta la stava rivolgendo verso l'alto, in un punto che Silye non poteva guardare. Un'altra figura a cavallo subentrò nella scena, qualcuno che non riconobbe, ma che era molto simile a Vidar. Stessi capelli biondi e occhi ambra, ma fisico un poco più magro e lineamenti più dolci. Doveva anche essere più giovane di lui. Questo gli diede una pacca sulla schiena con fare amorevole, dicendogli qualcosa che lei non riuscì a comprendere. Quindi, ripartirono per recuperare gli animali beccati da Vidar.

Lo scenario cambiò e stavolta si ritrovò in un ampio salone dalle mura di un fulgente colore oro, decorate con quadri e dipinti ritraenti scene di caccia tra i cieli e le nuvole e gloriose battaglie. Vi era un grande camino, funzionale per scaldare una'ambiente di quelle dimensioni, ed enormi vetrate che offrivano uno scorcio su un panorama mozzafiato composto da colline verdeggianti e, all'orizzonte, alte montagne da cui spuntava il sole. Da queste entrava una piacevole e intensa luce che illuminava una tavola imbandita su cui sedevano varie e a lei sconosciute persone impegnate a parlare animatamente e a bere un liquido molto alcolico, a giudicare dalle loro faccie allegre e brille e le loro risate. Ma tra tutti i commensali, venne attratta in particolare da tre personaggi. A capotavola vide lo stesso uomo che aveva già osservato morire nella visione precedente. Indossava sempre quel pesante elmetto, nonostante non fosse più impegnato in una battaglia, come se, portando quell'oggetto, volesse dimostrare a tutti i presenti la sua potenza e superiorità. Alla sua destra vi era Vidar, che sorseggiava spensierato il suo boccale, mentre dall'altro lato vi era il ragazzo che gli assomigliava in modo impressionante. L'uomo guardava divertito l'intera tavola, conversando con tutti, ma spesso il suo sguardo si posava sui due giovani con orgoglio e amore. Guardandoli, Silye comprese immediatamente che quello doveva essere loro padre e l'altro ragazzo il fratello di Vidar.

Non riuscì a terminare di formulare quel pensiero, che l'immagine svanì, lasciando il posto ad un bosco molto simile a quello di Hoddmímir, solo che in questo vi erano costruite numerose case di legno tra gli alberi, collegate tra loro da stretti ponticelli. Ovunque lei posasse lo sguardo vedeva strane creature per certi aspetti similari agli uomini, se non fosse stato che tutti loro avevano capelli tanto chiari da sembrare argentati, e talvolta verdi, e orecchie grandi e appuntite. Poteva sentire un coro di voci armoniose cantare canzoni meravigliose, ma di cui non poteva godere a fondo perché le arrivavano attutite. Le sue visioni dovevano avere certi limiti e uno di essi erano i suoni, che sentiva a volume molto più basso del normale e talvolta non sentiva proprio. Vi erano creature molto alte, che dovevano essere nel pieno del loro sviluppo, e altre più giovani, tutte vestite di abiti verdi e marroni, forse fatti da loro con erbe e arbusti. I più grandi portavano con sé archi e lunghe freccie, costruite molto più accuratamente rispetto alle sue, e delle spade sottili e argentate legate ai vestiti tramite delle lunghe radici, a mo' di cinture. Saltavano da un albero all'altro, sorreggendosi sui rami più estesi e possenti, in grado di sopportare il loro peso, e i più piccoli li seguivano ricopiando le loro mosse. Silye pensò che forse quello era il modo di giocare, notando le loro risate cristalline che riuscivano a giungere alle sue orecchie. C'era qualcosa nei loro movimenti e nel modo in cui spiccavano i loro balzi, così aggraziati e sinuosi, di completamente non umano. Era come se fossero un tutt'uno con la natura in cui vivevano e potessero tranquillamente confondersi tra il verde degli alberi. Come se loro stessi fossero collegati alle piante e a tutto ciò che li circondava. E poi lo vide: l'unica nota in un certo senso stonata della sinfonia. Vidar. In mezzo a tutto quel verde, i suoi capelli e i suoi occhi così incredibilmente biondi risaltavano ancora di più, apparivano più belli di quanto non fossero, illuminati dal sorriso puro che rendeva il suo viso radioso, uno di quelli che scaldavano il cuore e potevano far brillare anche il più buio dei posti. Non uno dei soliti che rivolgeva sempre a lei, enigmatici e derisori; quello era un sorriso vero. Rimase incantata a guardarlo, accovacciato su un ramo, lo sguardo che esprimeva una tale felicità quanta lei non ne aveva mai conosciuta in vita sua. Si ricordò di ciò che le aveva detto prima che le permettesse di scrutare i suoi ricordi: Sono stati gli elfi silvani ad insegnarmi come.

Elfi. Uno di loro gli venne vicino e, scambiatosi uno sguardo d'intesa, si buttarono a capofitto nel vuoto.

Silye riaprì gli occhi di scatto. Anzi, in realtà non li aveva mai chiusi: erano rimasti sempre aperti, solo ruotati verso l'alto, per vedere qualcosa che non era di quel mondo. Stava tremando, perché la visione era stata più lunga di quelle a cui era abituata, ma allo stesso tempo si sentì il cuore pieno di sensazioni mai provate prima in un modo tanto forte e genuino: amore, amicizia, gioia, spensieratezza. Tutte cose che aveva solo sfiorato con le dita della mano, ma che non aveva mai vissuto fino in fondo.

«Che ne pensi?» chiese lui, con un viso un po' sbilenco, nulla rispetto alla meravigliosa risata che gli aveva visto stampata in faccia solo qualche istante prima.

«Che la tua vita non è niente male» rispose, cercando in ogni modo di fermare il tremolio che non permetteva alle sue mani di stare ferme.

«Era» osservò lui, fattosi improvvisamente malinconico, ma senza mostrare troppa tristezza.

Rimasero in silenzio per alcuni minuti. Lei dopo poco riuscì finalmente a calmarsi, mentre l'espressione di Vidar esprimeva una tranquillità disarmante, come se non l'avesse appena fatta entrare nella sua testa e avesse condiviso con lei alcuni dei momenti più felici della sua vita. «Quelli erano tuo padre e tuo fratello?» chiese, irrompendo nei suoi pensieri.

Il suo viso si adombrò come lei pronunciò quella domanda. «Sì.»

«E... tuo fratello è ancora vivo? Anche lui ha superato il...» si prese del tempo per ripensare alla parola che lui aveva usato «Ragnarok, come te?» Aveva notato come il suo volto si fosse oscurato al ricordo del padre e del fratello, ma voleva ugualmente saperlo. La sua era pura curiosità, per riuscire a comprendere bene lui e tutta quella storia.

Lui non rispose nemmeno, facendole intuire che ciò che stava chiedendo era una questione delicata per lui. «Va bene, allora dimmi questo: perché mi stai dicendo tutte queste cose e mi hai mostrato i tuoi ricordi? Cosa c'entra tutto questo con me?»

Lui si riscosse, come a scacciare dalla testa eventi passati troppo dolorosi per essere ricordati. «Era per darti un assaggio del mondo da cui provieni, o almeno in parte.»

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 9 - La rivelazione ***


 

Capitolo nove

La rivelazione

 

Silye rimase interdetta. «In che senso?» domandò, reprimendo l'idea di dirgli “tante grazie per la storiella” e mandarlo subito via. Quella situazione le aveva già tolto troppo tempo. «Io appartengo a questo mondo, a questa Midgardr. Quella di cui parli tu è scomparsa, perduta, perfino dimenticata da tutti.»

«Hai parzialmente ragione, ma, se mi avessi ascoltato bene, mi avresti sentito quando dicevo “almeno in parte”.»

«Sì, ti ho sentito fin troppo bene, e ti rispondo che non è una cosa possibile.»

«Bè, teoricamente nemmeno le tue visioni sarebbero una cosa possibile.»

Si sentì colta nel vivo, ma tentò ugualmente di difendersi: «Quelle sono qualcosa di inspiegabile, non di impossibile.»

«E non è la stessa cosa?» chiese con tono compiaciuto. Lei sbuffò rumorosamente.

«Allora prova a spiegarmi cosa intendi con “almeno in parte”. Starà a me giudicare se è una cosa possibile o no» disse lei, senza abbandonare quell'aria di sfida che le veniva spontaneo tenere quando stava con Vidar.

Lui sospirò per la sua cocciutaggine, ma subito dopo iniziò a parlare: «Ti avevo già parlato delle varie specie e sottospecie che popolavano i Nove Regni, ma a questi va aggiunta un'ulteriore categoria a parte: le völve. Potenti maghe dalle fattezze umane, grazie alle quali riescono a confondersi tra gli esseri viventi di Midgardr, ma dotate del dono della preveggenza: potevano vedere tutto ciò che era accaduto e sarebbe accaduto in ogni mondo. Una grande dote, ma anche un grande fardello e per questo molte di loro tendevano ad isolarsi dagli umani e ogni altra forma di vita. È grazie ad una di loro che che mio padre, Odino, è venuto a conoscenza del Ragnarok prima ancora che succedesse.»

«Ed io che ruolo ho in quello che mi stai raccontando?» chiese Silye, invogliandolo a spiegarsi meglio, sebbene iniziasse a capire il collegamento tra quelle figure e lei.

«Dopo il compimento del Ragnarok, molte cose sono cambiate nel mondo. Specie e intere generazioni si erano estinte e l'unica rimasta era ormai quella umana, a cui avrebbero dato di nuovo vita Lìf e Lìfprasil. I nove mondi, gli elfi, i nani, i giganti... tutto distrutto e dissolto nel nulla, come se non fosse mai esistito. E lo stesso avvenne con le völve, o almeno pensavamo questo, fin quando non sei nata tu e non sono riuscito a contattarti.»

«Perciò io sarei... una völva?» domandò, confusa. I fatti a cui non riusciva a dare una spiegazione sensata andavano aumentando a dismisura e quella storia stava ingarbugliando e annullando ogni sua certezza sempre di più man mano che Vidar aggiungeva maggiori dettagli.

«Esattamente, capace di vedere qualunque avvenimento nel mondo tu voglia. Una veggente.»

«E come avresti fatto a contattarmi se hai detto che le völve sono tanto difficili da localizzare?» domandò, nonostante le suonasse strano accorpare sé stessa con le völve, come se fosse definitivamente una di loro.

«Nel tempo avevano sviluppato tecniche per mascherare la loro aura di magia, la stessa che mi ha guidato fino a te. Tu non sapevi nulla sul tuo passato ed era impensabile che potessi conoscere i modi per nasconderti come facevano loro all'epoca.»

Ma Silye già non lo stava ascoltando più. Una völva. Una veggente. Quelle parole continuavano a rimbobarle nella testa, senza che lei riuscisse ad afferrarle e intenderle appieno. «È tutto così... non so neanche come chiamarlo. Non sono più sicura di nulla» sussurrò con la mente annebbiata. Non riusciva a credergli, nonostante avesse semrpe saputo che le sue visioni erano strane, qualcosa che aveva solo lei e nessun'altro. Non ne aveva mai fatto parola con il padre, poiché all'epoca in cui lui era ancora vivo, ne aveva avuta solo una: la sua prima visione. Queste erano andate aumentando con gli anni, sebbene di poco.

Vidar non cercò di rassicurarla o tentare di convincerla ad accettare la sua natura. Semplicemente non disse nulla e lei glie ne fu grata. Le serviva qualche minuto per riflettere tra sé e sé. Lei non era mai stata altro che una ladra, la figlia del famigerato Arild Dahl, che passava le giornate a cacciare con un cane e fare tutto il possibile per non morire per fame, freddo o altre tra le milione di cose che potevano ammazzare un essere vivente. Ed ora spuntava un ragazzo, certamente bello, ma all'apparenza pericoloso e pari ad un maniaco, che si scopre invece essere un dio. Questo le rivela che lei è una veggente, una völva. Non tutto le quadrava. «Raccontami di più. Fai uno sforzo maggiore per farmi bere questa storia e convincermi a non sbatterti immediatamente fuori a calci» disse, cercando di mostrarsi abbastanza minacciosa.

«D'accordo, ti dirò quello che so, anche se non è molto» continuò. «L'ultima völva di cui si sa qualcosa è quella che predisse a mio padre la profezia sul Ragnarok e quello che ne sarebbe seguito. Da allora noi dei non siamo più entrati a contatto con nessuna di loro. Se non volevano farsi trovare, era inutile cercarle. In qualche modo devono essere riuscite a catalizzare il loro potere e tenerlo custodito perché sopravvivesse alla fine del mondo e trovasse la persona adatta a proseguire la loro stirpe. E il tutto a nostra insaputa, anche se questa è l'unica spiegazione plausibile.»

«Perché avrebbero scelto proprio me? Cosa ho di tanto speciale da rendermi la persona adatta?» chiese spazientita.

«Non ne ho idea» ammise lui. «La magia è imprevedibile, soprattutto quando si parla delle völve, figure completamente avvolte nel mistero.»

«Tuo padre però ne ha conosciuta una...» le sembrava una pazzia discutere realmente su quella faccenda, ma una parte di lei, quella ben conscia delle sue frequenti visioni, era tentata a credergli e curiosa di saperne di più.

«Sì, ma è stato solo per riferirgli degli eventi futuri, l'unica cosa che anche lo stesso re degli dei non era in grado di conoscere con la sua sola e personale saggezza. Nessuno ha mai davvero conosciuto una veggente fino in fondo e solo pochi ne hanno mai incontrata una. Erano persone molto schive e solitarie. Tu sei la prima e l'unica che abbia mai visto.»

«Mi sembra così strano parlare di cose accadute millenni fa e persone ormai morte...» poi un pensiero le balenò nella testa e si diede una stupida per non avervi pensato molto prima. «Sei... immortale? Altrimenti come avresti fatto a vivere per così tanti anni senza invecchiare?»

«Non proprio» sorrise. «Almeno non per natura. Prima potevamo non invecchiare grazie ai frutti coltivati dalla dea Idun, ma ora che lei non c'è più ci pensa un'altra dea a prendersi cura di essi e a fornirceli. Nanna.»

Sul suo volto scese un'ombra che ormai Silye aveva imparato a riconoscere. Era la stessa che aveva avuto quando avevano parlato di suo padre e suo fratello. Quella Nanna doveva essere una persona molto importante per lui...

Lei annuì, come se tutto quello che le aveva detto Vidar fosse chiarissimo e facilmente comprensibile da parte sua. Come se facesse ormai effettivamente parte del suo mondo.

«Questo bosco esiste da prima della mia nascita» si guardò intorno, quasi i suoi occhi potessero bucare le pareti della capanna e guardarvi attraverso. «È forse il luogo più importante di tutti i Nove Regni, anche di Asgard, la dimora degli dei. Qui si trova il cuore pulsante di ogni mondo, il centro vitale che permette ad ogni cosa di esistere: l'Yggdrasill.»

Lei si fece ancora più attenta. Aveva già sentito quel nome, nello strano sogno che aveva fatto la notte prima. «Ovvero?» domandò, per togliersi quel dubbio.

«Quell'albero che ha tanta fama a Midgardr. Il più eminente e antico del bosco.»

«Ecco perché mi sembrava così particolare. Ogni volta che lo guardavo, avevo sempre l'impressione che dentro di lui scorresse una forza incredibile.»

«Riesci a percepirlo per le tue origini. Le völve erano delle abili guaritrici e avevano un legame speciale e potente con la natura e i cinque elementi, proprio come gli elfi delle stelle. Sotto certi aspetti, si assomigliano molto.»

Decise di parlare con lui del suo sogno. Era molto informato e forse l'avrebbe aiutata ad interpretarlo. «Quando ero ancora priva di sensi, ho sognato l'Yggdrasill. Era stato abbastanza... inconsueto.» Lui la guardò per invogliarla a continuare e lei gli raccontò ogni cosa per filo e per segno: la voce, l'albero, il libro.

Vidar rimase in silenzio per qualche istante, ponderando sulle sue parole. Infine disse: «È chiaramente un segnale. L'Yggdrasill ti sta chiamando e sicuramente quel libro è il motivo. Deve essere qualcosa di importante che ti appartiene.»

«Perché mai un albero dovrebbe farmi avere un libro?»

«È quello che dobbiamo scoprire» affermò il ragazzo, alzandosi di scatto e afferrando il suo mantello.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 10 - L'elfo ***


 

Capitolo dieci

L'elfo

 

«Aspetta! Vuoi andare dall'Yggdrasill? Adesso?» domandò lei, colta alla sprovvista. Solo qualche ora prima aveva rischiato di morire congelata ed ora Vidar si buttava tranquillamente nel mezzo di una bufera di neve senza farsi nessun problema.

«Certo. Quando, altrimenti?» affermò quasi con disinteresse. Poi sembrò ricordarsi di qualcosa e si fermò. «A proposito, hai detto che il libro era sotto terra?»

Lei passò in rassegna il sogno che aveva avuto e poi annuì con sicurezza.

«Allora ci serviranno delle pale. Il fabbro che prima viveva qui ne aveva un paio?»

Lei gli indicò un baule all'angolo della stanza, dove erano riposti gli attrezzi dell'uomo. Vidar vi rovistò per un po', tirando poi fuori due pale, proprio ciò che cercavano. «Era ben fornito il nostro uomo» scherzò lui, mentre aspettava che anche lei si bardasse prima di porgergliene una.

Come Vidar fece per aprire la porta, Úlfur si tirò su dal giaciglio di Silye su cui si era appisolato e corse da loro. «Lui viene con noi» affermò la ladra in tono perentorio. Il ragazzo scrollò le spalle, facendole intendere che non dava troppo peso alla faccenda. Silye, dopo che Vidar ebbe aperto la porta e fu ben visibile la tempesta di neve, che tuttavia era divenuta più leggera e sopportabile rispetto a quella mattina, si strinse più forte nel pesante mantello, memore dell'orribile esperienza vissuta la sera prima.

Non aveva bisogno della bussola per arrivare all'Yggdrasill, che si trovava esattamente al centro del bosco, come aveva potuto constatare negli anni. Riconobbe la strada solo guardando i tronchi e le forme degli alberi, gli stessi che aveva osservato nel suo sogno e che ora erano ricoperti di un candido bianco al posto dei vivaci colori dei fiori. Impiegarono un quart'ora per giungere all'Yggdrasill, speso in un silenzio tombale, interrotto solo dal rumore del vento che sferzava i loro corpi e i loro indumenti. L'albero si stagliò davanti ai loro occhi, fiero e possente. Nonostante nel suo sogno fosse splendido, ora le sembrò ancora più bello, con i rami ricoperti di neve, che lo faceva apparire più etereo e luminoso.

Ancorò la pala a terra e Vidar si voltò a guardarla, aspettando che lei dicesse qualcosa. Silye interpetò quello sguardo come una tacita domanda sulla posizione del libro. Si concentrò e fece qualche passo verso le enormi radici dell'albero, ripercorrendo le mosse della sé stessa onirica. «Qui» indicò un pezzo di terra proprio ai piedi della grande pianta, lo stesso che nel sogno si era aperto per lasciarle vedere il libro grigio.

Vidar le si avvicinò e fece per iniziare a scavare, quando sentì qualcosa sferzare l'aria a grande rapidità. Si piegò appena in tempo per evitare un dardo che si andò a conficcare a terra, accanto ad una radice. Silye aveva già visto quella freccia prima di allora, nei ricordi di Vidar... Prima che riuscisse a finire di formulare quel pensiero, il ragazzo diede voce alle sue preoccupazioni: «Elfi. Dobbiamo andarcene.» Si rialzò e prendendola per un braccio, si nascosero dietro l'albero più vicino. Silye non riusciva a credere che gli stessi elfi che aveva visto gioire e ridere insieme a Vidar nella visione ora li stessero attaccando. Non li riteneva capaci di ferire un essere umano, ma se erano davvero ostili allora potevano essere pericolosi, date le grandi abilità che avevano ostentato nei ricordi del dio. Potevano essere ovunque e coglierli impreparati in qualsiasi momento.

Poi un pensiero la folgorò. Úlfur! Non era con loro, era rimasto accanto all'albero ad annusare la freccia. Fece per corrergli incontro, ma Vidar la trattenne appena in tempo per fare evitare una freccia che le sfiorò solo per poco l'orecchio.

Una figura calò accanto all'Yggdrasill con un salto aggraziato, tanto che lo fece sembrare più un volo che una caduta. «Come osate danneggiare l'Albero della Vita?» disse con voce cristallina, nonostante il tono rabbioso. Silye si accorse che, sebbene parlasse bene la loro lingua, poteva distinguere un accento che non aveva mia sentito prima di allora. Era solo uno, ma potevano essercene altri appostati sugli alberi. Vedendo le loro pale, doveva aver pensato che il loro intento fosse di rovinare le radici dell'Yggdrasill, quando quella fosse l'ultima cosa che volevano fare. Quello prese un'altra lunga freccia e Silye temette che meditasse di uccidere il cane, ma per sua fortuna non sembrava volerlo fare, anche se si fosse evidentemente già accorto della sua presenza e del fatto che sarebbe potuto apparire un bersaglio facile. Tutta la sua attenzione era concentrata su Silye e Vidar.

Quest'ultimo prese subito la parola. «Non erano queste le nostre intenzioni. Portiamo rispetto per l'Yggdrasill.»

Per un po' non giunse nessuna risposta e Silye si sporse per vedere l'elfo. Questo era rimasto immobile con un'espressione stupita in viso. «An i himnar ar stjǫrna!¹» sussurrò poi in una strana lingua e, una volta svanita la rabbia, la sua voce aveva i tratti di una melodia. «Vidar?» Una delle frecce gli cadde dalle mani ed ora si stava avvicinando a loro.

«Elurín?» disse Vidar, come se stesse vedendo un morto che cammina. «Sei ancora vivo?»

«Solo per fortuna. Quando abbiamo visto il fuoco avanzare, ci siamo rifuggiati nel bosco di Hoddmímir, l'unico luogo scampato al Ragnarok. Eravamo in pochi ad essere sopravvissuti, ma gli altri che erano con me sono stati uccisi dagli umani rigeneratisi dopo la catastrofe. Ci siamo difesi come meglio potevamo per proteggere noi stessi e l'albero e siamo riusciti a scacciarne in tanti, ma ora sono l'unico rimasto» nella sua voce e nel suo viso traboccavano dolore e solitudine.

«Mi dispiace molto, vinir²» rispose il ragazzo, appoggiando una mano sulla spalla dell'elfo e stringendola forte, come a voler trasmettergli un po' della sua forza e dimostrargli la sua compassione.

«Sa naa nain?³» chiese poi Elurín, rivolgendo lo sguardo su Silye, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza.

La ragazza si sentì sotto pressione. Le sembrava quasi di essere un terzo incomodo, comprendendo solo sprazzi della conversazione tra Vidar e l'elfo, ed ora tutta l'attenzione si era spostata improvvisamente su di lei. Vidar lo prese da parte, in modo che lei non potesse ascoltare ciò che aveva da dirgli, quando lei non avrebbe comunque avuto modo di capirlo, dato che non conosceva la lingua dell'elfo.

Sentì una scarica di collera, poiché era stata completamente ignorata e tagliata fuori quando i due stavano evidentemente parlando di lei. Decise di non rimanere con le mani in mano e andò a prendere la sua pala per ricominciare il lavoro da dove era stato interrotto. Calò l'arnese con forza nel terreno e, raccolto un mucchietto di neve, lo tirò da una parte. Non dovette aspettare troppo prima che Vidar finisse di parlare con l'elfo. Una volta terminato il suo discorso, Elurín annuì con fare comprensivo. Si abbracciarono e Silye sentì l'elfo pronunciare: «Aa' stjǫrnor blíkja ar' skriða.⁴»

Quando si separarono, Vidar gli rispose: «Aa' fogr en lle coia orn n' omenta gurtha.⁵»

Silye non poteva afferrare il loro significato, ma dall'espressioni dei due capì che dovevano essere delle frasi di saluto particolarmente solenni.

Si stava accingendo a gettare altra neve mischiata a terra nella montagnola che si era andata a formare, quando Elurín le si avvicinò. «Aa' strykir nora lanne'lle, Istar» disse con rispetto.

La ragazza rimase zitta, con sguardo confuso e affascinato allo stesso tempo. Avrebbe tanto voluto essere in grado di capire quello che le aveva appena detto e rispondere con qualcosa di altrettanto significativo, ma non ne era in grado. Aprì la bocca come per dire qualcosa, ma non le venne nulla in mente, così la richiuse di scatto. Ora che l'elfo le era venuto più vicino, ebbe la possibilità di guardare meglio il suo aspetto così diafano e selvaggio. Era molto simile agli elfi della sua visione: pelle chiara, argentea, capelli dello stesso colore del riflesso della luna sull'acqua, con diverse ciocche ribelli e disordinate che gli coprivano la fronte e un viso dolce e giovane, per nulla scalfito da anni e anni di vita. Ma ciò che più la sorprese furono gli occhi, che non aveva avuto modo di osservare dal vivo e da vicino nei ricordi di Vidar: un argento incredibilmente puro, trasparente, come se dentro vi si potesse leggere ogni attimo della sua vita passata nel fitto della natura. Occhi che avevano visto, amato e sofferto. Dentro di essi si confondevano cieli stellati e boschi notturni, venti montani e limpide acque.

Continuò ad osservarlo mentre si voltava, riprendeva la freccia che prima aveva lasciato cadere e spariva nel folto della foresta con passo felpato e senza aver emesso il minimo suono.

«Era un mio caro amico» disse poi Vidar, riscuotendosi. «Uno degli elfi con cui condivisi tante giornate come quella che hai visto tra i miei ricordi.»

«Che cosa mi ha detto prima di andarsene?» chiese Silye, certa che lui avesse assistito alla scena.

«Possa il vento gonfiare le tue vele, maga.»

 

 

Note:

¹ Per il cielo e per le stelle! in lingua elfica.

² Amico in lingua elfica.

³ Chi è lei? in lingua elfica

Che sempre le stelle brillino sul tuo cammino in lingua elfica.

Che le foglie del tuo Albero della Vita mai appassiscano in lingua elfica.

Le espressioni elfiche usate sono ispirate a quelle del romanzo Il Signore degli Anelli, di Tolkien. Per creare la lingua elfica, ho usato parole appartenenti a quella norrena.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 11 - L'eredità ***


 

Capitolo undici

L'eredità

 

Continuarono a scavare fin quando non si formò una buca profonda circa un metro.

«Quanto si trova in profondità il libro?» chiese Vidar. Non sembrava per niente stanco, al contrario di Silye, che sentiva le braccia doloranti.

«Non ne ho idea» sussurrò lei. Nel sogno il testo era spuntato da solo.

«Dobbiamo scavare di più» ribatté l'altro, gettandosi nella fossa. Silye vide la terra tirata dal ragazzo dall'interno della buca dove aveva ripreso a scavare: sembrava alzarsi da sola. Saltò anche lei e si ritrovò accanto a Vidar. Fortunatamente la neve aveva smesso di cadere da un pezzo; almeno non avrebbero rischiato di rimanere sepolti lì dentro. Le metteva già abbastanza soggezione trovarsi con Vidar in uno spazio così stretto. Erano tanto vicini che Silye poteva sentire chiaramente il suo odore: muschio, guastato solo dalla pungente puzza di sudore maschile. Strinse forte l'attrezzo di legno per liberare la mente da quegli insoliti pensieri e si sforzò di continuare a spalare, nonostante i movimenti che le erano permessi fare fossero limitati.

«Chi lo ha seppellito qui dentro doveva tenerci davvero molto» commentò lei.

«Già, forse voleva soltanto renderci le cose più difficili. Farci un dispetto» vide l'ombra di un sorriso attraversargli il viso, nonostante avesse la testa abbassata e concentrata.

«Credo che chiunque abbia scritto quel libro avesse cose ben più importanti a cui pensare che a fare uno scherzo a noi. Tipo la fine del mondo» ribatté, ma non riuscì a nascondere il tono divertito. Forse era la stanchezza che la spingeva scherzare con quel ragazzo che fin'ora non aveva fatto altro che crearle problemi.

«Ma dov'è?» pensò, sconsolata. Voleva risolvere al più presto quel mistero per poter tornare alla normalità. Iniziò a scavare con più foga, nonostante il forte bruciore ai muscoli delle braccia, ma fu costretta a fermarsi quando la pala incontrò un'ostacolo duro. «Ho trovato qualcosa» avvertì Vidar con il fiato corto. Lui si arrestò di colpo e riprese invece a scavare intorno al punto in cui era affondata la pala di Silye. Quando ritenne di aver tolto abbastanza terra, la ragazza si piegò e ne scansò altra con le mani, per paura che la pala avrebbe potuto scalfire un oggetto così antico. Aumentò la velocità dei movimenti quando scorse qualcosa di ferro dal colore nero. Rimase attonita: si aspettava di vedere il libro del suo sogno, non quello, qualsiasi cosa fosse.

Facendosi aiutare da Vidar, lo alzò e vide che si trattava di una sorta di scrigno non troppo grande, né pesante. «Ci penso io» affermò lui e si impegnò nel forzare il lucchetto che impediva di dischiudere la cassetta. Quello si ruppe con facilità e il dio sollevò la parte superiore dello scrigno, rivelando una copertina grigia, la stessa che Silye ricordava di aver già visto. Lo prese e lo tenne con grande reverenza e cura, come avendo paura che potesse disintegrarsi tra le sue mani. Lo aprì e tastò le pagine ormai ingiallite e ruvide al tatto. Lo richiuse di scatto e disse: «Torniamo su. Qui non c'è abbastanza luce.»

Ripose il libro nella piccola sacca da cui era ormai divenuta inseparabile e che si portava sempre dietro per sicurezza, e la spostò sulla schiena, perché non le fosse d'intralcio nei movimenti.

«Vuoi un aiuto?» chiese Vidar con fare galante e spaccone, reggendosi con un braccio sulla pala fissata nel terreno, ma lei non abboccò.

«So cavarmela» e, detto ciò, si arrampicò issandosi sulle pareti della buca scavata, che era diventata ancora più profonda di prima, e dei detriti sottoterra. Impiegò qualche secondo nella risalita e, quando toccò finalmente il suolo con una mano, scoprì con amarezza che Vidar era già arrivato e si trovava in piedi davanti a lei ad aspettarla. «Hai barato» bofonchiò lei, facendo un ultimo sforzo per issarsi ed uscire definitivamente.

«Oh, era una gara? Se me lo avessi detto prima, ci avrei messo più impegno.»

Silye ignorò il commento di Vidar e tirò fuori nuovamente il libro dalla sacca. Ora poteva osservarlo più attentamente: era un volume abbastanza grande. Aprì una pagina a caso e vi trovò l'immagine di un elfo molto simile a Elurín e quelli che aveva già avuto modo di vedere, con accanto una minuziosa descrizione della specie, le loro abitudini e tutte le varie tipologie esistenti, cioè elfi delle stelle, elfi silvani e mezz'elfi. Girò altre pagine e vide la raffigurazione di un uomo basso e grassoccio, con il volto per metà coperto da una folta barba, in alcuni punti raccolta in treccine, e il corpo pesantemente armato. Teneva in mano una grande ascia e in viso aveva un'espressione minacciosa e scontrosa, come se fosse pronto ad attaccare chiunque avesse provato ad avvicinarglisi. Sopra capeggiava la scritta Nano. Voltò un altro paio di pagine e vi notò un disegno del padre di Vidar, Odino, con vicino ogni informazione sul suo aspetto, le sue abitudini, qualità, difetti e poteri. Vi erano pagine simili per molte altre divinità: Baldr, Forseti, Freyja, Freyr, Dagr, Frigg, Heimdallr, Hel, Loki, Thor, Hodr, Máni, Módi, Sif, Váli. Vidar. Fu tentata di soffermarsi sulla parte dedicata alla sua descrizione, ma subito la girò come lo vide tornare verso di lei. In quel lasso di tempo si era occupato di riempire la buca con la terra alla bell'e meglio.

«È un'enciclopedia di tutto il sapere del tuo mondo» disse interdetta. Si era aspettata qualcosa di più dopo tutta la fatica fatta.

«Prova a vedere se c'è scritto qualcosa all'inizio, magari da colui che l'ha redatto» suggerì il dio. «Solitamente gli umani lo fanno quando devono scrivere un appunto per il lettore o un'introduzione all'argomento.»

Silye fece come le aveva consigliato e tornò alle prime pagine. Sfogliatene alcune vuote, finalmente trovò un lungo testo scritto a caratteri abbastanza grandi da risultare comprensibili ma con una scrittura molto arzigogolata ed elegante. Impiegò un po' per decifrare quei caratteri ben più arcaici di quelli a cui era abituata. Non aveva ricevuto una normale istruzione come la avevano molti altri bambini e ragazzi, sebbene anche quella durasse pochi anni e potesse essere portata avanti solo dai più ricchi, né aveva letto molti libri in vita sua, ma il padre le aveva insegnato almeno le basi della lingua perché non fosse totalmente analfabeta e potessero ritornarle utili in determinate circostanze come quella.

«Vuoi che legga io?» propose Vidar, per evitarle la fatica e restringere i tempi.

«No, ce la faccio» rispose lei, troppo presa e occupata dal brano. “Delle völve e la magia” recitava il titolo di esso. Iniziò a leggere ad alta voce, perché anche Vidar potesse sentire:

 

Questo libro è stato conservato e protetto per secoli e secoli sotto le radici del potente Yggdrasill per adempiere al suo compito da noi affidato: arrivare alla predestinata, colei nella quale convergeranno tutti i poteri delle völve esistete in tutta la durata del mondo antecedente al Ragnarok, dalle sue origini più remote fino alla sua fine. Grazie ad un potente incantesimo pronunciato dalle ultime tre veggenti rimaste in vita prima che la catastrofe si abbattesse sui Nove Regni, la loro magia, insieme a quella di tutte le völve vissute e decedute nel corso degli anni, è stata protetta dall'albero cosmico ed è sopravvissuta alla forza distruttrice che ha raso al suolo il mondo. Ora questi immensi poteri stanno reclamando di essere trovati e sfruttati da chi verrà considerato degno dall'Yggdrasill. In lei rivivrà l'antica potenza delle immortali völve che tutto vedono e tutto odono. Ella non potrà ricordare il mondo antecedente ed è per questo che abbiamo scritto questo libro: per mantenere viva la memoria di ciò che è stato ed impedire che le nostre conoscenze vadano perdute e vengano dimenticate. Un grande compito attende la predestinata: quello di impedire che la profezia della viverna si avveri. Un'ombra, una grande minaccia grava sul giovane mondo e sta a lei interpretarla ed ostacolare il ritorno del più grande male che i Nove Mondi abbiano mai affrontato.

 

«Allora è tutto vero» sussurrò Silye una volta terminata la lettura. «Sono davvero la prima e unica völva esistente di questo mondo.»

«Ci è voluta tutta questa fatica per convincerti!» affermò Vidar, che si era seduto su un grande masso mentre lei leggeva.

Le venne voglia di gridargli contro di stare zitto almeno per una volta, ma si limitò a chiedergli: «Tu come facevi a saperlo? A sapere che sono una veggente?»

«Semplicemente sono figlio di mio padre. Odino non era il re degli dei per caso: lui era il più saggio di ogni creatura di tutti i Nove Regni. Gareggiò con i più savi dei nani, dei giganti e degli umani, ma nessuno riuscì a batterlo. Era a conoscenza di tutte le cose passate e presenti, mentre quelle future gli vennero predette da una völva. Prima del Ragnarok mi ha insegnato come localizzare la magia ed essa mi ha guidato fino a te.»

«Perché mi stavi cercando?» ed ecco la domanda che aveva continuato a chiedere a sé stessa e a Vidar sin da quando lo aveva conosciuto. Finalmente avrebbe conosciuto la risposta.

«Ho bisogno di conoscere il futuro di Midgardr e tu sei l'unica che può così aiutarmi a combattere la minaccia che da anni è stata profetizzata e che è destinata a distruggere questo mondo, se nessuno tenterà di fermarla.»


Image and video hosting by TinyPic


Angolo dell'autrice:
Perdonate l'enorme ritardo nelle pubblicazioni, ma ultimamente la scuola e gli impegni mi stanno "massacrando" e l'ispirazione non mi è molto amica. Potrebbero verificarsi anche ritardi più lunghi nelle prossime settimane: perciò, non faccio alcuna promessa (è proprio questo il motivo per cui non pongo una data fissa; sono troppo sbadata per tenerle fede :D). Mi serve solo del tempo per rimettermi in pari con i capitoli della storia e poi, durante le vacanze di Natale, potrò riprendere a pubblicare con maggiore frequenza. Un rinnovato grazie a chi continua a leggere e recensire questa mia piccola creazione. :)

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Il patto ***


 

Capitolo dodici

Il patto

 

«E quale sarebbe questa minaccia?» chiese, ricordandosi solo successivamente del passo letto sul libro grigio. «Impedire che la profezia della viverna si avveri... È questo il motivo per cui mi hai cercata e mi hai rivelato tutto questo?»

«Sì. Su di lui non so molto, solo il suo nome: Nidhöggr. È un lindworm, cioé una viverna, come dice anche sul testo, una specie di grande serpe alata, ma non conosco di più. Di lui si parla solo nell'ultima parte della Völuspá, la profezia rivelata a mio padre dalla völva: E viene di tenebra, il drago che vola, la serpe scintillante dai monti Nidafjöll. Porta tra le sue ali, sulla pianura vola, Nidhöggr, i morti. Ora lei si inabissa.»

«Ed io cosa dovrei fare in tutto ciò?»

«Solo dirmi dove posso trovarlo per batterlo sul tempo, prima che possa nuocere questo mondo.»

«Quindi, basterà una visione e potrò tornare alla mia vita di prima.»

«Già. Poi sparirò e non ci rivedremo mai più. A meno che non abbia bisogno di qualcos'altro, si intende.»

Stava per annuire, quando le tornò in mente un'altra cosa che il ragazzo le aveva detto proprio quella mattina. «Non così in fretta. Avevi detto che mi avresti insegnato a controllare le mie visioni.»

«Ora non ne hai più bisogno. Puoi impararlo direttamente dalle tue...» si zittì, cercando la parola più adatta «antenate. Sempre se ci troverai scritto qualcosa che possa essere utile per il tuo problema.»

«Ma prima non sapevi del libro...» non poté finire la frase, perché realizzò cosa Vidar aveva davvero fatto. Sapeva riconoscere una bugia quando la sentiva, ma prima era talmente colpita e frastornata da tutte quelle rivelazioni, che non vi aveva nemmeno fatto caso. «Tu non hai mai saputo come fare a controllare le mie visioni. Mi hai mentito.»

Il viso di Vidar non venne attraversato nemmeno da un accenno di stupore, per essere stato scoperto, o senso di colpa. «Andiamo, era solo un'innocente bugia. Eri talmente cocciuta e sulla difensiva! Dovevo trovare qualcosa che potesse allettarti per convincerti a credermi e darmi una mano.»

«Pensavo davvero che volessi aiutarmi a liberarmi da questo fardello...» Silye sentì la voglia di dargli uno schiaffo dritto in faccia tornare con prepotenza. «Sei uno sporco...»

«Una ragazza come te non dovrebbe dire parole volgari» la interruppe lui e quella frase sembrò a Silye quelle tipiche che pronunciavano le anziane del villaggio quando assistevano alle risse tra bambini e bambine, in cui volavano costantemente parolacce.

Si chiese dove fosse finito il ragazzo che l'aveva sorretta in un suo momento di debolezza e le aveva permesso di guardare nella sua vita. Ma forse anche quella era stata solo una tattica per indurla a fidarsi di lui. “Che ipocrita!” pensò. Ricordò le parole di suo padre: Mai fidarsi degli sconosciuti, Silye. Dietro la loro gentilezza, si nasconde sempre un secondo fine e, fidandoti di loro, cadi solo nelle loro trappole, rimanendoci derubata o peggio. Lei si era fatta fregare proprio come Arild le aveva più e più volte ripetuto di non permettere.

«Ora ti faccio vedere io cosa posso e non posso dire» e il suo braccio era già partito, pronto a lasciargli un segno rosso sulla guancia, ma venne intercettato da Vidar, che lo fermò senza apparentemente fare il minimo sforzo. Ora il suo sguardo si era indurito e non c'era più traccia dell'insolenza di poco prima.

«Calmati. Prima mi mostrerai ciò che voglio, prima ti lascerò in pace.»

Lei fece un respiro profondo, cercando di sopprimere la rabbia. “Solo qualche minuto. Ci metterai solo qualche minuto. Dagli quello che vuole e se ne andrà per sempre” si ripeté mentalmente, facendo quasi diventare queste parole un mantra. Prese di scatto e furiosamente la sua mano. Se lui rimase attonito dall'impazienza e rapidità del suo gesto, di certo non lo diede a vedere.

Chiuse gli occhi tentando di focalizzarsi sulla visione, anziché sulla morbidezza delle mani di Vidar, che tanto l'avevano meravigliata, né sulla vicinanza del suo corpo a quello di Silye. Aspettò di essere trascinata via da lui, dall'Yggdrasill e dal bosco dalla familiare forza esterna, ma non accadde nulla. C'era solo l'oscurità.

«Allora?» fece Vidar.

«Allora niente» ribatté, incollerita. Perché quando le servivano davvero le visioni non si presentavano mai?

«Mettici più impegno.»

«Credimi, ci sto mettendo lo stesso impegno che impiego ogni minuto che passo con te per impedirmi di tirarti un pugno, ed è davvero tanto. Non funziona» riaprì gli occhi; tanto era ovvio che fosse inutile continuare a provare.

«Non sei abbastanza preparata» concluse Vidar, lasciandole la mano, che lei sentì improvvisamente vuota e accaldata.

«Ora stai dando la colpa a me? Magari invece è tua, perché mi stai mettendo sotto pressione» si difese subito lei, interpretando la sua frase come una provocazione.

«Non intendevo quello» si accigliò e lei gli rivolse uno sguardo interrogativo. Vidar si affrettò a spiegare. «La völva che aveva pronunciato la Völuspá era la più potente tra le maghe del tempo. Devi esercitarti sui loro metodi ed incantesimi. Rinforzare i tuoi poteri.» Indicò il libro che Silye ancora teneva in mano. «In esso sono contenute tutte le memorie delle veggenti e del mondo precedente. Devono esserci scritti tutti i segreti del loro mestiere.»

«E se non lo facessi?» chiese, alzando la testa con aria di sfida.

«Vorrà dire che non ti libererai mai di me.»

Aveva la vaga impressione di essere tornata al giorno prima, quando si erano confrontati in una lotta di sguardi a chi cedeva prima. Ora stava avvenendo la stessa cosa, solo che adesso Silye sapeva che lui era molto più resistente di lei. In fondo, lui era un dio, mentre lei una semplice umana. O una völva: non sapeva più nemmeno lei cosa fosse oramai. Ma di una cosa era certa: pur essendo una veggente, non poteva competere con Vidar.

Si chiuse in un silenzio ostinato, ma senza smettere di fissarlo negli occhi. Era così che le aveva detto di fare suo padre. Poteva ancora sentire chiaramente la sua voce: Di fronte al tuo nemico, non abbassare mai lo sguardo. Non fargli pensare di non riuscire a sorreggerlo o sopportarlo. Non indurlo nemmeno per un momento a pensare che, perché sei una ragazza, loro potranno fare di te ciò che vogliono senza che tu ti ribelli. Mostrati sempre forte e fiera, come io so che sei veramente.

Forte e fiera. Quelle tre semplici parole continuarono a rieccheggiarle nella mente per tutto il tempo in cui si osservarono, finché le labbra di Vidar non si sollevarono in un sorriso altezzoso. «Facciamo un patto: tu farai in modo di diventare più potente per mostrarmi il futuro di Midgardr e io, in cambio, sparirò e non ti importunerò mai più.»

Si prese qualche istante per far finta di stare valutando la proposta, ma era già sicura della risposta da dargli: «Accetto.»
 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Sleipnir ***


 

Capitolo tredici

Sleipnir

 

Nel viaggio di ritorno non scambiarono più di qualche parola. Silye non pensava ad altro che tenersi stretta il libro, l'unico contatto che aveva con il suo passato ancora ignoto di cui era venuta a conoscenza solo da quella mattina. Rifletté su quante cose aveva appreso e scoperto in quel breve lasso di tempo: lei, che non aveva mai creduto alla moltitudine di leggende che da secoli giravano a Midgardr, ora si ritrovava catapultata in quello stesso oscuro mondo. Pensava che questo suo ignorare i miti e le storie che giravano per i villaggi del regno la distinguesse dalla massa di creduloni e superstiziosi che popolavano quelle terre e si era sempre sentita fiera per questo, ma adesso ogni sua certezza era crollata e si ritrovò a ritenere che forse, dopotutto, quelle persone non erano totalmente matte e lontane dalla verità.

Certo, doveva ancora abituarsi a quel nuovo modo di guardare al passato e a Midgardr e la sua mente, o almeno la parte di essa più cinica e con i piedi per terra, si rifiutava ancora con tutta sé stessa di lasciarsi fregare da quelle che avevano tutta l'aria di essere solo frottole. Eppure, con tutte le prove che Vidar le aveva fornito, come le visioni, il libro e l'incontro con l'elfo, l'avevano convinta della veridicità delle sue parole e di quello che lei aveva visto nei suoi ricordi.

«A cosa pensi?» chiese Vidar, quando erano ormai quasi arrivati.

Silye si soffermò a guardare il pelo grigio chiaro di Úlfur leggermente mosso dal vento. Le era rimasto fedelmente accanto per tutto il tempo, anche se talvolta si era allontanato ed era entrato nel fitto della foresta, attratto da qualche rumore provocato da altri animali. Silye non se ne preoccupava: sapeva che lui conosceva bene la strada per tornare a casa, forse anche meglio di lei, ma odiava quando accadeva perché la costringeva a rimanere sola con il dio. «Direi che ho abbastanza materiale su cui riflettere.»

«Hai ragione» ribatté con un tono più gentile del solito che sorprese la ladra. Fino a quel momento non lo aveva mai sentito dire una cosa del genere in modo tanto sincero.

Lo guardò con la coda dell'occhio: teneva le mani a pugni chiusi, i lineamenti del viso si erano induriti e aveva contratto la mascella. «Anche tu hai parecchi pensieri per la testa» notò lei, ma, come si era aspettata, non ricevette risposta.

Finalmente intravide le mura della casetta immersa nel fitto della boscaglia, ma si accorse che c'era qualcosa che stonava in mezzo a quello scenario, altresì tanto familiare. Un cavallo, le cui redini erano state legate al ramo di un albero vicino all'abitazione. Silye non aveva mai visto una bestia tanto grande e possente nel suo genere. Certamente ne aveva incontrati di cavalli, ed anche tanti, ma nessuno era minimamente paragonabile a quello che aveva davanti. Era di colore grigio scuro e sembrava essere stato diligentemente addomesticato dal suo padrone, perché non si dibatteva, né nitriva nella speranza di vederlo tornare, ma se ne stava tranquillo con il collo teso verso il suolo ad annusare la neve e cercare invano erba da mangiare, poiché era ancora coperta. Cercò di andare oltre l'aspetto e le evidenti doti dell'animale, per pensare a cosa significava vedere un cavallo sellato vicino a casa sua.

«Stranieri» disse, dando voce alle sue preoccupazioni e affrettando il passo. «C'è qualcuno in casa. Dobbiamo sbrigarci.»

Vidar la raggiunse in un lampo e le prese il braccio, impedendole di andare oltre. Lei si girò ed era già pronta a strattonarlo o a fargli una sfuriata, quando vide che lui stava sorridendo. Anzi, stava ridendo di gusto. Silye si irrigidì, stupita e arrabbiata allo stesso tempo da quella reazione. “Qualcuno è entrato in casa mia e starà rubando le poche cose che possiedo e lui se la ride?”

«Si può sapere che ti prende?» domandò, indicando poi il punto in cui la sua mano ancora stringeva il braccio della ladra. «Lasciami.»

Lui, terminata la scarica di risa, si affrettò a lasciarla andare. «Vedi, quel cavallo» disse «è il mio.»

«Tuo? Come mai lo vedo solo ora dopo tutto il tempo che ho passato con te?»

«Bé, quando ti ho incontrata, non era prudente farmi vedere a cavallo: avresti pensato che fossi stato un cavaliere del re. Dopo sei svenuta e ti ho fatto montare su di lui per riportarti a casa, ma eri priva di coscienza. Quando, invece, siamo andati alla ricerca del libro delle völve c'era ancora la tempesta di neve e non ti eri accorta di lui.»

Dovette dargli ragione su tutta la linea. «Posso... accarezzarlo?»

«Certo. È docile come un cagnolino. Era stato educato da mio padre» lo sentì interrompersi e deglutire. «È una delle poche cose che mi rimangono di lui, insieme alla sua lancia, Gungnir.»

Silye si avvicinò all'animale, timorosa. Non aveva mai visto un cavallo di quella stazza: la superava in altezza di diversi centimetri e lei non aveva una corporatura bassa, anzi.

Lentamente tese una mano, che appoggiò sul muso del cavallo, proprio sotto agli occhi. Questo nitrì dolcemente, apprezzando il gesto e facendole intendere che si era già guadagnata la sua fiducia. «È bellissimo. Come si chiama?» Quando l'animale aveva leggermente aperto la bocca, le era sembrato di notare qualcosa di inusuale, ma, come questo la richiuse, considerò quel pensiero solo una sua svista o frutto della sua immaginazione.

«Sleipnir» rispose Vidar, accostandosi a loro.

«Non è un nome molto comune» fece notare lei. Iniziò ad accarezzargli anche il collo e, quando l'animale emise un altro nitrio, stavolta Silye capì di non essersi sbagliata. Aveva davvero visto dei strani segni incisi sui denti dell'animale. Indietreggiò all'improvviso, andando così a sbattere contro Vidar. Sentì la sua schiena aderire al petto del dio e si voltò per interrompere quell'imbarazzante contatto e frapporre maggiore distanza tra loro due. «Ma cosa...» iniziò a dire lui, ma Silye lo precedette.

«Perché il tuo cavallo ha dei simboli impressi sui denti?»

«Sono rune: dei segni magici. Non possono essere visti dagli umani, ma solo da individui forniti di magia o capaci di individuarla, come me e te.»

«E perché un cavallo dovrebbe averli?»

«Servono a potenziarlo. È per questo che appare più grande e forte di ogni altro cavallo normale.»

«E possono essere usate anche sugli umani e ogni altra creatura vivente?»

«Dovrebbero, anche se io non sono molto esperto sul loro funzionamento. Mio padre, per ottenere la loro conoscenza che è preclusa a tutti tranne che alle maghe, si impiccò sull'Yggdrasill. Infatti, per noi l'unico modo per imparare a comprenderle è uccidersi e rinascere; gli dei possono contare sulla propria immortalità dovuta ai frutti per avere la certezza di non morire effettivamente, ma gli umani e ogni altra creatura mortale non ci riuscirebbero.»

«E che tipo di poteri possono apportare le rune?»

«Da quanto mi ha detto mio padre, e non gli era permesso riferirmi troppi dettagli, possono rendere invisibili, più forti e recare il dono temporaneo della divinazione. Tu ce l'hai per natura, insieme alla conoscenze di tutti i simboli, e il potere conferito dalla runa è certamente inferiore al tuo: in parole povere, si avrebbero visioni molto meno vivide di quelle che hai tu.»

«E se la runa della divinazione potesse rafforzare ancora di più i miei poteri?» chiese, folgorata da quell'idea improvvisa.

Vidar meditò per qualche attimo con la fronte aggrottata e una mano affondata nei suoi riccioli biondi. «Potrebbe funzionare.»

«Dovrò solo capire come fare a usare queste rune. Posso provare a cercare un capitolo del libro in cui si parla di esse, sperando che ci sia qualcosa di utile» affermò la ragazza, tirando fuori il volume dalla sacca. Quando si girò per guardare di nuovo Sleipnir, rimase di stucco notando un particolare che doveva esserle sfuggito prima: il cavallo aveva otto zampe. «Che mi prenda un colpo...» sussurrò, a bocca aperta. Si disse che forse era lei che ci vedeva doppio o male, ma, quando riposò di nuovo lo sguardo sull'animale, le sue zampe rimanevano otto. «Da quando i cavalli hanno così tante gambe?»

«In realtà, solo Sleipnir le ha.»

«Questo è ovvio» affermò Silye, ancora sbalordita nel vedere il cavallo muovere simultaneamente tutti gli otto zoccoli. «Eppure, è impossibile che io non me ne sia accorta prima. Io... ero certa di aver visto solo quattro zampe.»

«Lo ricordi perché hai effettivamente visto così» spiegò Vidar. «Era un'immagine provocata dalla runa del camuffamento, che gli permette di mostrarsi come un normale cavallo, anziché nel suo vero aspetto. Dopo esserti accorta delle rune, in qualche modo la tua natura da völva deve averti permesso di guardare oltre l'apparenza.»

Silye richiuse la bocca, man mano che si abituava a vedere il cavallo sotto quelle sembianze. «Ho capito» affermò. Rivolse, quindi, la mente ai pensieri che più li premevano al momento. «Beh, ora vado ad occuparmi di questa storia.»

Entrò in casa, seguita da Úlfur che, stanco per gli eventi di quel giorno, si andò ad accoccolare sull'angolo che condivideva con la ragazza. Silye notò con dispiacere che nel tempo che avevano passato fuori, il fuoco si era quasi spento e la stanza era piombata ad una temperatura troppo bassa da poter sopportare. I denti le iniziarono a battere e, dopo aver appoggiato il libro sul tavolo lontano dal camino per evitare spiacevoli problemi, come l'eventualità che potesse prendere fuoco, andò ad attizzare le fiamme, aggiungendo un po' della legna lasciata a terra.

Il cane rimase a guardarla per tutto il tempo con un'espressione che faceva ben intendere la sua implicita richiesta. Come lo vide, Silye capì che aveva fame e prese un po' di pane avanzato dal giorno precedente. Úlfur si alzò subito e si sollevò su due piedi, reggendosi su di lei e tentando di afferrare il cibo che la ragaza teneva in mano. “Incredibile. Anche quando ha sonno, ha sempre voglia di giocare” pensò, notando come si era ripreso subito al solo vedere il pane. Gli porse amorevolmente la fetta. “Eppure, sa anche essere spietato quando andiamo a caccia. Spesso le apparenze ingannano.”

Rimase ad osservarlo finché non finì di mangiare. Quindi, prese anche lei l'unico piccolo pezzo rimasto da mangiucchiare, per poi aprire il libro e iniziare a sfogliarlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Le rune magiche ***


 

Capitolo quattordici

Le rune magiche

 

Le rune

Fin da tempi immemori, il nostro popolo ha usato la scrittura per comunicare, scrivere sulle lapidi, onorando così al meglio il defunto e le gloriose imprese da lui portate a termine in vita, e occuparsi dell'amministrazione della giustizia nel modo più corretto ed equo grazie alla redazione di leggi scritte. È stata di un'importanza cruciale per l'evoluzione di tutte le specie ora esistenti. Questa consisteva nell'alfabeto runico: ventiquattro simboli che ci permettono di parlare tra noi, comprenderci e mettere per iscritto i nostri pensieri e le nostre necessità.

Ma ciò che pochi hanno la capacità di sapere è che vi sono altre rune che, se incise nella maniera corretta, possono donare all'oggetto o la persona poteri inimmaginabili. Coloro che sono in possesso di questo dono sono denominati erilaz. Degli esempi sono le völve, che lo hanno per natura, e il grande Odino, che per ottenerlo rimase appeso all'Yggdrasill per nove giorni e nove notti, diventando il primo erilaz della storia.

Le rune possono recare incredibili facoltà, ma, perché questo avvenga, devono essere incise sull'oggetto in questione, come nel caso del leggendario cavallo di Odino, Sleipnir, che ha potenti rune sui denti. Se si tratta, invece, di una persona, per fare in modo che esse funzionino, devono essere iscritte sulla pelle, nel sangue. Solo in questo modo potranno davvero entrare in contatto con le forze vitali che scorrono nell'individuo e potenziarlo.

I poteri che possono essere conferiti sono svariati: guarigione, furtività, forza, velocità, vista notturna o attraverso gli oggetti...

 

Il testo si soffermava su ogni singola runa, mostrandone la forma e descrivendone le particolarità e le abilità, ma Silye le saltò tutte, alla ricerca di una specifica. Dovette arrivare alla fine delle quattro pagine dedicate all'argomento Rune prima di leggere finalmente quella che la interessava davvero. Runa della divinazione o Runa Wyrd, capace di predire il fato. Sotto vi erano scritte una marea di parole, ma non se ne interessò. Lesse solo la prima frase, in cui raccontavano che quella era anche chiamata “runa bianca” perché visibile solo a poche persone, mentre tutta la sua attenzione venne catturata dal disegno della stessa. Le linee erano state definite con molta cura e precisione. Si immaginò la persona che lo aveva disegnato: a detta di Vidar e del libro, erano state certamente una o più völve e queste potevano essere solo di sesso femminile. Provò a indovinare l'aspetto di una di loro. Forse era simile al suo, perché accomunate dallo stesso passato e dallo stesso carattere: fiero, coraggioso, determinato. Non sapeva nulla di quelle maghe; i loro volti, il loro carattere, le loro vite, esperienze, gioie e dolori: nulla, se non la magia che le legava a lei.

Delle mani si posarono sulle sue spalle e una testa fece capolino nel suo campo visivo; non dovette compiere un grande sforzo per capire che si trattava di Vidar. Fu tentata di scrollarselo di dosso, ma lui sembrava intento a leggere la sezione sulle rune. «Come farebbero a funzionare le rune?» chiese lui. Era ovvio che il padre non gli avesse rivelato molti dettagli sull'argomento.

«È lo stesso procedimento dei denti di Sleipnir: devono essere incise sulla pelle, impresse nel sangue» le si rivoltava lo stomaco al solo pensiero di doverlo fare, ma si disse che non c'era altra scelta se voleva arrivare alla fine di quella faccenda.

Lui annuì e alcune ciocche bionde gli caddero sulla fronte, arrivando a sfiorare la pelle accanto all'occhio di Silye. Fu solo un leggero contatto, ma quello e la vicinanza di Vidar le provocarono un lieve e quasi impercettibile brivido. Cercò di ignorare queste sue sensazioni e darsi una controllata, ma era difficile quando continuava a sentire chiaramente il peso del suo corpo sulla sua spalla, la breve distanza tra le mani di Vidar e il suo collo scoperto... Sbarrò gli occhi e li fissò sulla runa della divinazione per non permettere a dei pensieri così strani e fuoriluogo di distrarla ulteriormente.

«Qual è la runa della preveggenza?» domandò Vidar, scrutando il testo.

«Questa» rispose Silye, indicandone una con una forma che ricordava vagamente una ragnatela. Secondo il libro, rappresentava i fili intrecciati dalle tre Norne: Urd, Verdandi, Skuld. Ognuno rappresentava la vita di ogni mortale, decisa, quindi, dalle tre divinità, che segnavano il destino di tutti gli umani. Si chiese se fossero esistite davvero e se fossero sopravvissute al Ragnarok.

Non ricevendo nessuna risposta da Vidar, Silye si voltò a guardarlo e notò che aveva uno sguardo perplesso. «Qui non c'è niente.»

«Cosa vai blaterando? Sei forse diventato...» poi si bloccò e ricordò che quella era anche chiamata Runa bianca perché coloro che non erano forniti della saggezza necessaria non erano in grado di vederla. Al suo posto c'era solo uno spazio vuoto, bianco, per l'appunto. «Tu non puoi vederla. Solo io.»

«E come farai ad inciderla da sola? Ti servirà il mio aiuto.»

«Me la caverò» affermò afferrando il pugnale con cui più volte aveva minacciato di tagliare la gola a Vidar. Le sarebbe servita una lama sottile e quella era perfetta. Osservò attentamente la runa, ogni sua linea e curva, per poterla ricalcare al meglio. Alzò, quindi, la manica della maglietta del braccio sinistro, scoprendo il polso dove poteva sentire il sangue pompare nelle vene. Deglutì, ma tenne l'arma ben ferma nella mano che la stringeva mentre accostava la lama affilata al braccio, pronta a partire.

Premette con sicurezza il pugnale sulla pelle e, dopo aver esercitato una leggera pressione, questo bucò lo strato. Trattenne il fiato, mentre vedeva la prima goccia di sangue uscire, sebbene il dolore non fosse molto forte; era più simile a un pizzico. Ma quello era solo il primo passo.

Continuò a spingere il coltello, lacerando sempre più centimetri di pelle. Si creò una lunga linea rossa e il bruciore aumentò quando ne creò un altre due accanto. Ora il dolore era più acuto, ma ancora sopportabile. Sollevò la lama e la riappoggiò poco sopra dove incise altre tre rette oblique che passavano sopra a quelle già tracciate. Pensò che alla fine era come se stesse affettando il pane o la carne degli animali cacciati, solo che ora si trattava della sua pelle. Come terminò parte del disegno, dovette fermarsi qualche istante per riprendere fiato.

«Ce la fai?» domandò Vidar. Nel suo viso e nella sua voce sentì una nota di preoccupazione.

«Sì...» sussurrò. Doveva risparmiare le forze per gli ultimi dettagli della runa, che già iniziava ad assomigliare a quella disegnata sul libro. «Tu non riesci a vederla?»

«È sfocata...» rivelò. «Posso leggere la sofferenza che stai provando dalla faccia e alcune chiazze di sangue dal polso, ma non riesco a mettere a fuoco il tutto nella sua interezza.»

Lei annuì e strinse nuovamente il pugnale. Voleva concludere quel lavoro il più in fretta possibile. Cercò di ignorare il dolore sempre maggiore mentre incideva altri tre tratti obliqui che intersecavano quelli già incisi. All'inizio non accadde nulla e iniziò a chiedersi se non si fosse procurata quelle ferite invano. Poi vide il rosso del suo sangue che tratteggiava la runa farsi più scuro, di una tonalità del tutto anormale, mentre il bruciore che già provava diventava più forte e dilagava in ogni altra parte del suo corpo. Lasciò cadere a terra il pugnale e con l'altra mano si prese il polso che le sembrava le stesse andando a fuoco. Il sangue sgorgava copioso, una reazione del tutto eccessiva. Solitamente non ne usciva così tanto nemmeno per ferite più profonde, mentre ora le stava sporcando anche tutta l'altra mano e gocciolando sul pavimento. Dalla ferita bruciante e dolorante partì una luce che per un momento riempì l'intera stanza e l'accecò. Intorno a sé non vedeva altro che il bianco e il rosso che si alternavano, come se si stessere contendendo il primato e il diritto ad occupare i suoi occhi. Urlò mentre la sensazione di bruciore avanzava ovunque e la sofferenza diventava interminabile.


Image and video hosting by TinyPic



Image and video hosting by TinyPic
Ecco un mio disegno raffigurante Vidar. Non è un granché, perché io sono una totale frana con i volti maschili. XD Ad ogni modo, spero che non sia completamente inguardabile e che possa dare un'idea della mia personale interpretazione del personaggio.
Buone feste a tutti e auguri di felice anno nuovo!^^

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Giorni futuri ***



Capitolo quindici

Giorni futuri


Provò le stesse cose di sempre: prima solo buio e silenzio, poi rimpiazzati dalle consuete visioni, ma stavolta era diverso. Ogni sensazione era acuita; la provava a livelli di gran lunga più alti del normale. Dolore, solitudine, tristezza, morte: quelle emozioni la colpirono tutte insieme come uno schiaffo, come una spada piantata nel petto senza che se la aspettasse. Intorno a sé era ancora tutto scuro, quando arrivarono le urla. All'inizio erano fioche, lontane, ma in pochi istanti aumentarono così tanto da farle desiderare di potersi tappare le orecchie e sottrarsi a quei forti lamenti. Ma non poteva, perché, per quanto accanitamente tentasse, le mani non rispondevano ai comandi. Anzi, non era più nemmeno sicura di avere delle mani e un corpo. Poi un'immagine accompagnò le grida e prese forma davanti a lei: il cielo, tappezzato di nuvole morbide come batuffoli di lana. Eppure, contrariamente al solito, quel cielo non riuscì a darle il conforto e la calma che aveva inizialmente sperato di trovare. Infatti, era di una tonalità strana e inquietante, tendente al rosso, che rendeva le nuvole tanto scure da risultare nere. Era qualcosa che non aveva mai visto prima, contrario alla natura e ad ogni comune logica. Capì subito che quello non era segno di un buon presagio.

Strisciò fulminea all'interno della scena una figura che si adattava perfettamente all'atmosfera tetra che impregnava quel luogo. Era simile ad una enorme serpe a due zampe e una testa mostruosa tra le cui fauci spuntavano corpi di uomini. Silye si accorse che le urla strazianti che la stavano assordando provenivano da loro. Alcuni erano rimasti attaccati ai grandi denti aguzzi della bestia, altri non trovando alcun appiglio cadevano giù e Silye poteva solo immaginare che fine facessero, dato che la serpe gigante spuntava dai rami di un albero. Anche i primi, cioè coloro risparmiati alla funesta fine che aspettava gli altri al termine della caduta da quella altezza, non avevano maggiori speranze di sopravvivenza. Molti erano mutili di parti del corpo, staccate dalle dentate del mostro, o trafitti e ancora attaccati ai suoi denti tinti di rosso. Dai lati della bocca colava un liquido il cui colore variava dal verde al giallastro, che doveva essere saliva, mischiato al sangue delle vittime agonizzanti.

Per quanto l'albero si ergesse su ogni altra pianta della foresta, era palese che la fiera fosse di gran lunga più grande di esso, poiché la coda ricoperta di squame arrivava fino alle radici. Silye riconobbe subito l'Yggdrasill e, ricodandosi di quello che le aveva detto Vidar, capì che quella serpe fosse Nidhoggr, il nemico che minacciava la salvezza di Midgard e che il dio aveva tutta l'intenzione di sconfiggere.

Silye guardò con più attenzione l'animale e si accorse che i corpi degli uomini moribondi sembravano cadaveri per la pelle bianca e raggrinzita come quella dei morti, nonostante continuassero a dimenarsi ed urlare, sia gli anziani sia i giovani. Non era affatto una cosa normale e doveva essere un effetto provocato da Nidhoggr, da come la sua lingua biforcuta scattava e afferrava i loro corpi, trascinandoli fino giù nella gola. Ci mise un po' per capire cosa stava facendo: non si stava solo nutrendo della loro carne, ma succhiava la loro energia. Le venne quasi da vomitare quando vide una ragazza della sua età afferrata dalla sua lingua e il suo grazioso corpo trasformato in un quello di un morto, pallido e debole, e stritolata dalla sua forza omicida. A nulla servivano le sue ormai sommesse grida.

Aveva una gran voglia di andare ad aiutarli e far cessare il loro dolore, ma dall'altra parte voleva solo che quei lamenti insopportabili smettessero di tormentarla. Quando provò a muoversi, nonostante già sapeva che fosse tutto inutile, rimase sconvolta nell'accorgersi che ora poteva sentire il braccio e tutto il suo corpo. Era accucciata vicino all'albero e alla serpe. Era la prima volta che accadeva che potesse davvero entrare nella visione e partecipare agli eventi che le venivano mostrati. Tentò di alzarsi, ma quasi scivolò su qualcosa di morbido e cedevole. Guardò sotto i suoi piedi e dovette trattenere un conato di vomito. Si trovava su una montagnola di corpi umani e arti staccati dal resto del cadavere. Proprio vicino a lei si trovava abbandonata una testa mozzata che un tempo doveva essere stata di un uomo suppergiù dell'età di suo padre Arild al momento della sua morte. Aveva gli occhi spalancati e la fissavano con un'espressione di stupore e paura stampata in faccia. Stava ancora guardando il capo quando improvvisamente i suoi piedi cedettero e si ritrovò immersa in quella catasta di cadaveri fino alla vita, con le gambe e le braccia imbrattate del loro sangue. Non riuscì a sopprimere un urlo d'incredulità e spavento, mentre continuava a cadere di qualche centimetro e le parti di corpo rotolavano, spostando senza sosta la loro posizione nel cumulo. Provò a reggersi sui cadaveri che sporgevano, ma le mani le scivolarono per la saliva della serpe che impregnava ognuno di essi e in pochi istanti si ritrovò completamente stretta tra quei corpi senza vita e ingombranti. Anche i pochi spiragli di luce che erano riusciti a infiltrarsi in mezzo alla moltitudine di resti sparirono e Silye si ritrovò sempre più risucchiata in quel buco nero, dove non c'era spazio nemmeno per le urla.

All'improvviso toccò terra. Riaprì gli occhi e si accorse che non era più circondata dalle spoglie putride e in decomposizione in cui poco prima era immersa totalmente, ma si trovava di nuovo nella sua confortevole casupola.

Doveva essere caduta dalla sedia perché si trovava a terra in un bagno di sudore. Vidar le era vicino, ma sempre ad una certa distanza. «Cosa hai visto?» la incalzò appena la vide tornare in sé.

«Ho bisogno di un po' d'acqua» disse, accorgendosi solo in quell'istante di avere la bocca asciutta e rialzandosi. Aveva ancora nitide nella mente le orribili immagini che aveva visto e le sensazioni provate nello stare a contatto con i corpi rugosi ed esamini. Vidar andò a prendere un bicchiere in legno e vi mise l'acqua di una caraffa in cui avevano prima messo un po' di neve e aspettato che si sciogliesse davanti al fuoco. Come Silye lo ebbe fra le mani, tracannò l'acqua con avidità e questo le bastò a riprendere un po' delle forze.

«Nidhoggr» affermò, rispondendo alla domanda che lui le aveva rivolto prima. Dopo averle dato il bicchiere, Vidar era andato a prendere dei panni puliti per fermare l'uscita di sangue dalla ferita che Silye si era inferta al braccio, ma il solo sentire quel nome lo fece bloccare. «Era sull'Yggdrasill. Mangiava delle persone. Anzi, succhiava le loro forze.»

Lui riprese ad avvicinarsi con le bende in mano e le prese dolcemente il polso. Lei tentò di ritrarsi, ma subito si fece guidare dal tocco leggero ed esperto di Vidar. Intinse i panni nell'acqua e li premette sul sangue che iniziava già a raggrumarsi, togliendo quello ancora vivo, per poi avvolgerle il polso con delle fasce asciutte. Come vi passò sopra le bende, queste si tinsero di rosso, del suo sangue.

«Solo questo?» chiese tranquillamente quando ebbe finito l'opera.

«Solo questo?» trillò Silye, indignata. «Dopo tutto quello che ho fatto per darti questa dannata visione, tu non sei ancora soddisfatto?»

«I patti erano che tu mi avresti mostrato la posizione di Nidhoggr. Dovevi darmi delle informazioni importanti per trovarlo, non cose che già sapevo.»

«Ma ti ho dato qualcosa! La serpe stava sull'Yggdrasill... Dovrà pur significare qualcosa.»

«Ci siamo già stati e non c'era. Devo sapere dove si nasconde, dove potrò trovarlo per batterlo sul tempo e ucciderlo prima che possa nuocere a qualcun altro...»

«Perché vuoi saperlo così disperatamente?» chiese lei, cogliendolo alla sprovvista, e lo vide sbiancare. Aveva appena toccato un nervo scoperto.

«Non sono cose che ti riguardano.»

«Sì che mi riguardano. Ho rischiato di dissanguarmi, mi sono tagliata le vene per aiutarti!» sbraitò.

«Non fare tanto la melodrammatica! Non ci si dissangua per qualche graffietto» ribatté lui. «E poi non erano questi gli accordi: dovevi darmi qualcosa di utile su Nidhoggr e ancora non mi sembra che tu l'abbia fatto. Perciò, datti da fare per diventare una völva degna del tuo nome e dei tuoi poteri.»

Lei lo guardò con uno sguardo infuriato e per un po' si fronteggiarono senza dire una parola, entrambi con il mento alzato in segno d'orgoglio e gli occhi che mandavano tuoni e lampi. Ciò che avrebbe tanto desiderato urlargli contro era che non gli interessava nulla della sua stupida serpe e che non se li era cercati lei quei poteri da veggente, ma questo non avrebbe risolto nulla. «E va bene» concesse infine Silye. «Ultimo tentativo.»

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Colgo l'occasione per ringraziare tutti i lettori, sia quelli silenziosi, sia quelli che mi hanno regalato una recensione con i loro pareri e pensieri. Vi ringrazio infinitamente, perché in tal modo mi invogliate a continuare questa storia a cui tengo moltissimo. <3

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Vecchi vizi ***


 

Capitolo sedici

Vecchi vizi

 

Vedendo che la luce si era fatta flebile, cenarono con l'altro uccello cacciato da Silye, una beccaccia. Non parlarono quasi mai; solo Vidar per dirle che il giorno dopo sarebbero andati nel villaggio di Vél per comprare qualcos'altro da mangiare e qualsia cosa che sarebbe stata loro utile. Silye dormì nel suo solito giaciglio e non permise al ragazzo di mettervi piede. Lui fu costretto a stare sul pavimento, nell'angolo opposto della stanza. Quella notte la ladra faticò a prendere sonno, nonostante dovesse averne in abbondanza per tutti gli sforzi e le scoperte di quella giornata. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva l'immagine della serpe che si cibava di esseri viventi urlanti e nei sogni riviveva quella scena in modo ancora più vivido, poiché faceva parte dei corpi sanguinanti e incastrati tra i suoi denti acuminati. Si alzò come vide apparire le prime luci dell'alba e, poiché era rispuntato il sole e non si vedevano nuvole di pioggia o neve, uscì a fare una passeggiata e a cacciare con Úlfur. Quando tornò con una lepre morta in mano, vide che Vidar era giò sveglio e si stava rimettendo gli stivali in pelle e il mantello, già pronto a partire.

Arrivarono a Vél dopo circa mezz'ora, quando i cittadini del paesino si erano già messi a lavoro e diversi abitanti affollavano le strade per svolgere le loro consuete mansioni giornaliere. Silye si stava quasi facendo trasportare dalla vitalità di quel paese, quando si rese conto di non aver pensato ad una cosa fondamentale. «Con cosa pagheremo il cibo?» chiese a Vidar. Aveva già speso per comprare un pezzo di pane, ormai interamente mangiato, tutti gli ultimi spiccioli che aveva rubato ad un'anziana del mercato di Vargr. Perciò, non aveva niente in tasca.

Ruberò qualcosa e il problema è risolto pensò, e questo la aiutò a calmarsi.

«Non preoccuparti. Ho io i soldi» e tirò fuori dalla tasca interna del mantello una sorta di sasso dal colore dorato. Un lingotto d'oro. Rimase a guardarlo a bocca aperta, tanto scioccata da non riuscire nemmeno più a respirare; non aveva mai visto così tanto oro tutto insieme, se non in mano dei più ricchi tra i cittadini e nei gioielli che questi indossavano e che spesso gli aveva sottratto, ma mai di quelle dimensioni e in quella quantità. Fu tentata di darsi uno schiaffo o un pizzicotto per avere la certezza che quello non era un sogno meraviglioso, ma la dolce realtà.

«Bello, eh? E comodo. Basta uno solo di questi per comprarsi qualunque cosa tu voglia e avere da mangiare per più di un anno, e io ne ho a quintali ad Asgard. Provengono dalle miniere dei nani.»

«I nani esistono ancora?» domandò Silye, stupita.

«Certo, come gli elfi, a quanto ho potuto vedere con Elurín. Le specie precedenti si sono estinte, ma in alcuni casi ne sono rinate delle nuove.»

«Come mai nessun umano ne sa nulla se esistono tutt'ora?»

«Perché i vostri re hanno fatto in modo di tenervi lontani dagli umani, con la costruzione delle cinte murarie Grindr ad est ed ovest del regno.» Silye era già a conoscenza di quelle mura. Non le aveva mai viste dal vivo, perché non si era mai spinta così lontana dal bosco di Hoddmímir; solo da una mappa di Midgardr e allora non vi aveva dato tanto peso.

«Come avete fatto ad ottenere tanto denaro dai nani?» chiese poi, tornando all'argomento principale che più la interessava.

«Vedi, sono individui egoisti e il più delle volte intrattabili, ma diventano facilmente malleabili quando gli presenti qualcosa di pari valore. E se c'è qualcosa che i nani adorano quanto l'oro, questo è il bere.»

«Ovvero?»

«Idromele, la bevanda degli dei. Cento volte meglio della birra, soprattutto quando si tratta di quella magica, cioè che solo noi possiamo coltivare. Per quella pagherebbero... oro, appunto.»

«Be', l'importante è che lo abbiamo» Silye indicò il metallo che Vidar teneva in mano. «Dovresti andarlo a convertire in monete nella zecca più vicina. Io, nel frattempo, vado a fare un giro per il mercato per vedere se trovo qualcosa che possa interessarci» aggiunse con aria innocente.

Lui annuì e Silye fece per allontanarsi quando lui le riprese il braccio, riavvicinandola a sé fin quando la sua bocca non le fu accanto all'orecchio, in modo che lei potesse ascoltare chiaramente. «Stai attenta» bisbigliò e la lasciò andare. Sarebbe potuto sembrare un'avvertimento dettato dall'appensione, ma a Silye suonò più come una minaccia.

Sapeva perché l'aveva messa in guardia. Nessun villaggio a Midgardr era pienamente sicuro, soprattutto per chi viaggiava da solo. I criminali si annidavano dietro ogni angolo: ladri, assassini, tagliagole, ubriaconi. Si sentiva parlare ogni giorni di gente derubata e, nei casi peggiori, in cui il malfattore era particolarmente violento, uccisa, ragazze e donne violentate, persone innocenti coinvolte nelle risse di alcolizzati. Lei spesso si era trovata a un passo dall'essere implicata in scenari di questo genere, ma se ne era sempre tirata fuori. Sapeva riconoscere a distanza un ladro quando lo vedeva. Poteva leggere nei suoi occhi le sue intenzioni, le stesse che aveva lei quando era alla ricerca della vittima perfetta. Sapeva difendersi da chiunque cercasse di avvicinarsi e farle del male, grazie alla sua agilità e ai preziosi consigli e tecniche impartitele dal padre. Le punizioni per chi veniva beccato in flagrante dai Liði erano il doppio peggiori del crimine e spesso vigeva la legge dell'occhio per occhio. Ai ladri, se gli andava bene e la merce rubata era di poco valore, venivano tagliate le mani; alla peggio, oltre questo, venivano frustati. Quando il derubato in questione era il Konungr o uno dei suoi funzionari o della sua famiglia, il ladro veniva impiccato. Gli assassini venivano ripagati con la stessa moneta: prima tormentati, poi uccisi. Chi violentava una donna di ceto medio o basso, veniva castrato; se questa era di origini nobili, lo stupratore veniva mandato a morte.

Alcune di quelle leggi, come quella sugli stupratori e gli assassini, sembravano a Silye più che giuste. Non concordava con le pene date ai ladri, troppo dure e crudeli, ma lei era di parte. Ciò, tuttavia, non le impediva di continuare la sua attività. Anzi, forse quelle erano alcune delle ragioni che la spingevano a farlo. Il desiderio del malloppo, il rischio di essere presa, le conseguenza che la attendevano se la scoprivano; tutto ciò le creava un brivido di eccitazione e quasi divertimento a cui non riusciva a sottrarsi.

Ed era proprio a questo che stava pensando mentre passeggiava per le vie del paese, cercando una vittima facile e veloce, fin quando non la trovò. Era un ragazzo basso e magrolino, intorno ai quattordici anni, dai capelli castani e la carnagione pallida. Teneva in spalla una sacca, legata da una corda. Niente di più facile pensò, sopprimendo un sorriso.

Erano separati da altre persone. Accelerò il passo per superarle e si ritrovò subito accanto al ragazzino. Gli si accostò, fingendo che fosse per la quantità di gente che affollava la strada, e, cercando di nascondere il pugnale come meglio poteva nel mantello nero, lo tirò fuori. Bastò sfregare un po' la lama sulla corda per romperla e con un movimento fulmineo prese la sacca e scappò via prima che il ragazzo potesse girarsi e rendersi conto di cosa fosse accaduto. Iniziò a sentire le grida del giovane solo quando arrivò alla fine della strada, ma ormai si era allontanata troppo perché potesse raggiungerla.

Silye prese per una via secondaria e buia, poiché la luce non riusciva a filtrare per la presenza di numerosi balconi che quasi toccavano le mura dell'edificio davanti. Qui si fermò per riposarsi e rovesciò a terra il contenuto della sacca. Con frustazione vide che c'erano solo pochi spiccioli, ma non erano tanto quelli che le interessavano. Respirò profondamente: era così bello sperimentare di nuovo le sensazioni che l'avevano accompagnata ogni singolo giorno da quando Arild le aveva insegnato a rubare.

Infilò le monete nella tasca dell'abito e, tiratosi su il cappuccio del mantello, uscì dalla via per tornare verso la piazza dove si affacciavano diversi negozi e botteghe, ed erano aperte molte bancarelle. Non sapendo cos'altro fare, decise di cercare Vidar e chiese alla prima passante dove si trovava la zecca del villaggio. Quella le diede le indicazioni e Silye le seguì fin quando non si trovò davanti un edificio abbastanza grande su cui svettava un'insegna incisa su un pezzo di legno, che recava scritto Mynte¹. Come vi mise piede, riconobbe subito la voce di Vidar, profonda e vagamente infuriata, nonostante lui stesse cercando di controllarsi. Si chiese il motivo di quella rabbia.

«Vidar?» lo chiamò e lui si interruppe, voltandosi a guardarla. Poi il suo sguardo tornò all'uomo massiccio e grassottello che stava dietro al bancone pieno di monete d'oro e fogli. Erano in una stanza lunga e stretta; sulla parete alla sinistra del tavolo, accanto al quale stavano bisticciando Vidar e l'uomo, vi era una porta e una finestra aperta dal quale provenivano svariati rumori e voci. Riusciva a intravedere un gruppo di uomini intenti alcuni a martellare le monete, altri a ritagliarle e a coniarle. Poteva percepire la puzza di fumo che riempiva la stanza antigua, dove il metallo veniva fuso per dargli la forma della moneta. Le venne un'incredibile voglia di entrarvi e rubare tutte quelle monete tintinnanti e appena create, ma tentò di concentrarsi sul problema più importante.

«Questo zoticone non vuole darmi la somma di monete precisa e pari all'oro che ho. Come se io fossi uno stupido e non sapessi contare!» sbraitò.

«Questo è quanto offro per il lingotto d'oro. Non ho di più: prendere o lasciare.»

«Andiamo, lascia perdere» si intromise Silye, racimolando la montagna di monete e facendole ricadere nella sacca. Non aveva mai visto così tanti soldi tutti insieme. «Ne abbiamo già in abbondanza.»

Vidar borbottò qualcosa di scortese verso il commerciante e uscì senza salutare, rivolgendogli un unico sguardo furente. Per rimediare alla pessima figura che avevano fatto, Silye disse «È stato un piacere fare affari con lei» prima di uscire anche lei e andare dietro al ragazzo.

«Non ti facevo così attaccabrighe» scherzò Silye, mentre si dirigevano al mercato cittadino.

«Dì quello che ti pare, ma io non mi faccio fregare da un vecchio avido» sbuffò l'altro.

Fecero un giro per le bancarelle e comprarono un po' di frutta e verdura. Alla carne avrebbe pensato Silye con Úlfur.

Mentre era piegata a vedere meglio delle patate, sentì delle grida dietro di sé. «È lei! È la ladra che mi ha derubato!» disse la voce e, voltandosi, vide che si trattava del ragazzino di prima insieme ai soldati armati del re. Stavano indicando proprio nella sua direzione.

Non credeva che quello sarebbe riuscita a vederla nel momento in cui l'aveva derubato e, addirittura, riconoscerla in mezzo a tutta la calca di gente con il suo mantello come unico indizio, perché Silye si era curata di non mostrargli in alcun modo il volto.

Gli uomini si mossero immediatamente, ma lei ebbe la prontezza di scattare subito. Gettò una rapida occhiata al volto scioccato di Vidar e gli gridò solo «Corri!», prima di buttarsi in una corsa forsennata.

 

 

¹ “Zecca”, “moneta”, in norvegese.

 

Image and video hosting by TinyPic

 

Angolo dell'autrice:

Finalmente si scopre di più sulla società di Midgardr. Finora non le avevo dato molto spazio, dato che Silye vive in una zona isolata rispetto al resto del regno. Insomma, il clima di Midgardr non è dei migliori: ubriaconi, ladri, assassini e chi più ne ha, più ne metta. Ovviamente questi elementi verranno approfonditi con il proseguire della storia e vi anticipo che riguarderanno direttamente azioni e situazioni future connesse a Silye. Un grazie a chi continua a leggere e seguire!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Occhi ***



Capitolo diciassette

Occhi


Corsero a perdifiato e si fermarono per riprendere fiato solo quando si inoltrarono nella fitta foresta di Hoddmímir. Silye si appoggiò al tronco di un albero. Le venne quasi voglia di ridere; come poteva quello stupido ragazzino pensare di poter beccare lei? Era agile, molto più di ogni altro uomo che avesse incontrato, eccetto Vidar, l'unico che fosse mai riuscito a batterla.

Socchiuse gli occhi per un attimo e, quando li riaprì, si trovò lo sguardo infuocato di Vidar puntato su di lei con aria accusatrice.

«Hai derubato quel ragazzo?» chiese e lei sentì di nuovo raffiorare quel tono da giudice che tanto odiava.

«La risposta è ovvia» ribatté, alzando il viso e tendendolo verso l'alto, indirizzato al cielo, per evitare il suo sguardo.

«Era solo un ragazzo.»

Anch'io ero solo una ragazza quando mio padre è morto e ho dovuto badare a me stessa completamente da sola. Hai la più pallida idea di quanto questo sia potuto essere duro e doloroso? avrebbe voluto dirgli, ma, invece, si chiuse in un silenzio ostinato, fin quando non realizzò i veri motivi che fomentavano la rabbia di Vidar.

«Stai reagendo così solo perché non vuoi che io venga arrestata dai Liði e frustata. O peggio ancora: impiccata. Ti farei perdere del tempo prezioso e, se io mi indebolissi o morissi, dopo chi ci sarebbe a darti quella stupida e dannata visione?» gridò alle foglie e alle nuvole, perché continuava a rifiutarsi di guardarlo.

«Davvero pensi questo di me? Mi reputi così infimo ed egoista?»

«Tu non puoi sapere quello che ho passato in diciassette anni di vita o quanto feroce e crudele possa essere il mondo qua fuori. Tu sei sempre rimasto nella tua cappa di cristallo, prottetto e reverito, intoccabile e pieno fino alla testa di oro nel tuo bel regno. Asgard, giusto?» pronunciò, con la voce carica di disprezzo.

«Credi che, perché sono un dio, questo mi abbia reso le cose più facili? Hai ragione, forse un tempo, prima che vedessi mio padre ucciso davanti a me, tutti i regni distrutti, gli altri dei, miei amici e compagni, morti, insieme ad ogni altro essere vivente» disse e Silye si sentì quasi in colpa per avergli rivolto parole tanto dure, ma cercò di non darlo a vedere.

«Pensavo fossi meglio di così» rincarò Vidar.

Questo le fece abbassare la testa, contrariamente ai suoi propositi, e il rimorso cedette subito il posto alla rabbia. Silye gli rivolse uno sguardo gelido. «Cosa ti aspettavi da una ladra? Che passassi le giornate a raccogliere fiorellini e far crescere piantine nel mio giardino, sperando che i soldi mi cadano dal cielo o spuntino dalla terra miracolosamente? Per più di sette anni non ho fatto altro che rubare per guadagnarmi da vivere. Ormai è diventato un'abitudine. È come una malattia che ha contaminato parte del mio corpo. Dovrei amputare le zone infette per fermare la sua avanzata e impedire che mi uccida, ma non ci riesco. Non ce la faccio. Senza quella parte di me, il mio corpo non sarebbe più lo stesso. Io non sarei più la stessa.» Parlò di getto, senza neanche meditare su ciò che diceva.

Lui le venne accanto e il suo sguardo si addolcì. «Non hai bisogno di rubare per essere te stessa. Sono certo che Silye Dahl è molto più di una semplice ladra; in te ci sono ancora molte qualità da scoprire, cose che potrebbero stupire il mondo e avere la forza di cambiarlo» le appoggiò una mano sulla guancia e asciugò l'unica, solitaria lacrima che fuoriuscì dall'occhio di Silye.

Lei fu tentata di credergli, di fidarsi di quelle parole sincere. Sarebbe stato bello lasciarsi cullare dalla convinzione di essere destinata a più di quanto avesse pensato fino ad allora. Avrebbe voluto poter cancellare o dimenticare il passato, per ricominciare tutto da capo, ma lei sapeva bene che era impossibile e che quello che le stava dicendo di Vidar era solo mera illusione. Ma, almeno per quel momento, le stava bene.

Si soffermò a guardare gli occhi di Vidar. Quante volte li aveva guardati con rabbia, orgoglio e disprezzo? Non riusciva a contarle. Eppure, allora le sembrò che ogni conflitto che avevano avuto fosse sparito, le barriere abbattute e le liti dimenticate. Si stupì a notare che le sue pupille erano di un giallo tanto chiaro da sembrare il sole nelle prime ore del mattino, appena faceva capolino tra le montagne e quando il suo calore non bastava ancora a spazzare via la brezza notturna. Avrebbe voluto esplorare quegli occhi, perdervisi dentro, provare all'infinito le scariche di calore che la assalivano ogni volta che il loro tocco accarezzava la sua pelle e le sue labbra, ma Vidar si allontanò repentinamente, interrompendo quel profondo contatto. L'improvviso freddo che le provocò la mancanza della sua mano sulla guancia e la sua presenza accanto a sé la lasciarono stordita.

Lo seguì mentre compivano il viaggio a ritroso verso la casa di Silye. Lasciò volutamente diverso spazio tra loro, per poter dimenticare le sensazioni che lui le aveva fatto provare solo pochi secondi prima e che le provocavano una fitta di imbarazzo ogni volta che vi ripensava. Nessuno le aveva mai provocato delle emozioni così forti. A dire il vero, gli unici ragazzi della sua età che aveva mai incontrato erano gli abitanti dei villaggi in cui andava e l'unico pensiero che faceva su di loro era il modo più efficace per derubarli, anziché se fossero belli o no.

Scosse la testa per cancellare quei pensieri. Nella sua vita non c'era mai stato spazio per i ragazzi o per l'amore. Innamorarsi, vivere insieme, fare figli, mettere su famiglia... erano tutte cose a lei estranee. E tali rimarranno si disse. L'unica cosa che conta è sopravvivere. Si era ripetuta quella frase costantemente in ogni attimo delle giornate. Ormai era diventato il suo motto, l'unica regola che doveva seguire, ad ogni costo e con ogni mezzo.

Quando arrivarono trovarono Úlfur intento a giocare con Sleipnir. O almeno a tentare di farlo, perché il cavallo non era molto partecipe e non sembrava avere tanta voglia di correre con il cane. Lo ignorava e mangiava, brucando l'erba. Il sole aveva sciolto gran parte della neve ed ora non rimanevano altro che pozzanghere d'acqua, da cui spuntavano in alcuni punti ciuffi di piantine di cui andava proprio alla ricerca il cavallo.

Silye chiamò con un fischio Úlfur e quello la raggiunse scodinzolando e facendo le feste. Lei gli sorrise ed entrò dentro casa per preparare qualcosa da mangiare in vista dell'ora di pranzo, ma, come mise piede nell'abitazione, la ferita fasciata dalla forma della runa Wyrd sul polso iniziò a pulsare e Silye fu assalita da sprazzi di immagini, ognuna della durata di pochi secondi.

Dopo averne avute un paio, capì che era sempre la stessa, ma non riusciva ad essere continua. C'era un qualcosa che le impediva di vederla chiaramente, come fosse stata intercettata da una forza esterna. Tutte raffiguravano la medesima creatura: Nidhöggr, racchiuso in uno spazio stretto, buio ed angusto. Era circondato da spesse e grandi radici e quel luogo così chiuso le provocò un forte senso di claustrofobia, perché era come se anche lei fosse rinchiusa all'interno. La fiera aveva i piccoli occhi serrati e sembrava che stesse dormendo. Ma nell'ultima sequenza qualcosa era cambiato rispetto alle precedenti: i suoi occhi ora erano aperti e parevano poter attraversare la sottile barriera che separava Silye da ciò che accadeva nella visione. La stava guardando e gli occhi della serpe sembravano due fessure nere ricolme di odio e morte.

Image and video
hosting by
TinyPic

Angolo dell'autrice:

Voglio solo fare un ringraziamento speciale sia ai nuovi lettori e recensori, sia ai vecchi per il continuo sostegno. Inoltre, in questo capitolo troviamo una Silye molto confusa riguardo a degli strani sentimenti verso Vidar: chissà cosa proverà la veggente verso il bel dio. Al momento, non lo sa nemmeno lei. XD Un abbraccio a tutti!^^

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Perdita di tempo ***



Capitolo diciotto

Perdita di tempo


Si lasciò sfuggire dalle mani le verdure e i frutti comprati, che ricaddero sul pavimento di legno con un tonfo e Silye si precipitò fuori casa. Quasi si scontrò con Vidar, che stava rientrando in quel momento. «Ce l'ho!» esclamò lei, entusiasta.

Lui le rivolse prima un'espressione interrogativa; poi il suo sguardo si posò oltre le spalle di Silye e attraverso la porta lasciata spalancata da lei per guardare il cibo sparso a terra. La superò e si affrettò a raccoglierlo con un sospiro. «Cosa?»

«La posizione di Nidhöggr» rispose e Vidar si voltò verso di lei con un'espressione stupita. «Ho appena avuto una visione. Era frammentata, ma sono comunque riuscita a vederlo: si trovava tra le radici di un albero ed era dormiente.» Evitò di riferirgli l'ultima parte della visione, in cui vedeva i suoi occhi aprirsi e guardarla, perché lo riteneva troppo inquietante da raccontare. «A giudicare dall'ultima visione e dalle dimensioni della serpe, solo un albero in tutta Midgardr può avere delle radici così grandi da riuscire a contenerlo.»

«L'Yggdrasill...» sussurrò il ragazzo, dando voce a ciò che entrambi stavano pensando. «Ma è quasi impossibile...»

L'umore della ladra si oscurò di colpo e un moto di sconforto la assalì. «Perché?»

«È impossibile riuscire a penetrare nelle radici dell'Albero Sacro, soprattutto per un mostro come Nidhöggr. Come può un male così grande annidarsi in un luogo tanto puro?»

«Io non credo che sia tanto impossibile come dici» ribatté Silye. Prese il libro delle völve e, dopo una breve ricerca, lo aprì nella parte dedicata all'Yggdrasill. La notte prima aveva letto un paio di pagine, tra cui quella in questione. Indicò il disegno articolato che rappresentava l'albero in modo molto dettagliato e realistico. Si era stupita del tratto lineare e preciso del pittore: era come se l'albero potesse bucare il foglio e fuoriuscire dal piano. «Qui dice che l'Yggdrasill rappresenta un portale d'ingresso al regno dei morti, come uno strano ponte chiamato Bifröst.»

Vidar annuì. «Era l'unico mezzo in grado di trasportare gli dei da Asgard agli altri otto regni e viceversa, ma è andato distrutto con il Ragnarok e mai più ricostruito.»

Silye fremeva per continuare il discorso che aveva cominciato, ma si concesse di fargli una domanda su un dubbio che le parole di Vidar le avevano fatto sorgere in testa. «E allora come hai fatto a venire a Midgardr da Asgard?»

«Grazie a Sleipnir. Non era conosciuto in tutti i nove mondi solo per le sue incredibili doti, ma anche perché è in grado di viaggiare attraverso i regni.»

«Un cavallo prodigio» commentò Silye. «Tornando al libro, l'Yggdrasill sarebbe collegato al regno dei morti in qualche modo e così potremo anche raggiungere Nidhöggr, che suppongo si troverà nel mezzo del percorso. Basterà andare là, estirpare un po' di radici, uccidere la serpe e via» concluse, come se fosse la cosa più semplice da fare al mondo.

«Calma» la bloccò Vidar. «Non è così facile: non possiamo tagliare le radici che collegano l'Yggdrasill alla terra. Senza di esse, l'albero morirebbe e con lui tutti i regni e le creature che li abitano.»

«E allora cosa possiamo fare?»

«Trovare un altro modo per avere la certezza che effettivamente Nidhöggr si trovi sotto l'Yggdrasill senza nuocere l'albero» disse, pogiando tutto il cibo sul tavolo. «Ti consiglio di iniziare subito a cercare sul tuo libro qualche soluzione. E alla svelta.»

«E va bene...» sbuffò. Si era immaginata qualcosa di più pericoloso e pieno di azione, che potesse tenerla occupata e farle distogliere la mente dal desiderio di andare subito nel villaggio più vicino e rubare quanto voleva senza scocciature di ogni genere. E invece doveva passare un altro pomeriggio intero tra le pagine sporche e ingiallite di quel vecchio libro.

Vidar si riaffacciò dalla porta di casa dove era rientrato poco prima e le disse con sguardo innocente: «Dimenticavo: prima di iniziare la tua lunga sessione di lettura, prepara qualcosa da mangiare, perché sto morendo di fame.»


Le ombre degli alberi si erano allungate fino a sembrare enormi giganti neri, segno che la sera incombeva sul pomeriggio, e lei continuava a sfogliare svogliatamente le pagine. Stava leggendo da tanto tempo che le lettere iniziavano a confondersi tra loro e sentiva un leggero fastidio agli occhi. Si fermò un attimo a guardare Vidar che stava seduto dalla parte opposta del tavolo ed era impegnato a tirare in aria un sasso per poi riprenderlo, annoiato. Erano ormai ore che non faceva altro che quello e Silye era vicina allo scoppiare. Era già difficile concentrarsi e non addormentarsi proprio sopra il libro; se ci si metteva anche Vidar con la sua pietra, Silye era sicura che non mancava tanto dal cacciarlo fuori e lasciarlo al freddo per tutta la notte.

«Ancora niente?» domandò per la millesima volta.

Silye tentò di ignorarlo, ma lui la incalzò. «Allora?»

«Allora un bel niente!» gridò, con i nervi tesi.

«Va bene, va bene» si affrettò a dire Vidar, per farla calmare, ma non funzionò.

«Senti, puoi almeno farmi il piacere di lasciarmi leggere in pace? Ho già un tale sonno che non riesco neanche a tenere gli occhi aperti. Non ti ci mettere anche te» voltò la pagina con impeto, rischiando pure di strapparla.

Vidar si alzò senza dire nulla e le venne dietro, a leggere il testo che Silye aveva sotto gli occhi. Appoggiò un braccio sulla sua spalla, reggendosi su di lei con tutto il suo peso. Lo stava facendo apposta per farla innervosire. Silye socchiuse gli occhi e cercò con tutta se stessa di non perdere la calma, ma era davvero difficile riuscire a sopportarlo. Riprese la lettura da dove l'aveva interrotta. «Come sei lenta» fece notare Vidar con un sorriso beffardo.

«Ora mi hai davvero stancata» disse Silye, scrollandoselo di dosso e allontanandolo.

«Perché? Non ti piace il mio intrattenimento?» chiese con una finta espressione ferita.

«Piantala» Silye voltò di nuovo pagina e si ritrovò a leggere di nuovo il titolo Le Rune magiche. Aveva già studiato le rune e osservato le varie particolarità di ognuna. Il suo sguardo vagante e distratto, però, cadde su una in particolare: Runa Kenaz. Sotto vi era scritto che il suo significato era “torcia, fiaccola” perché aveva il potere di illuminare e portare alla vista anche le cose più lontane o buie. Riusciva a conferire una vista di gran lunga superiore a quella normale, permettendo, infatti, di vedere chiaramente al buio, quasi come se fosse giorno, e anche attraverso gli oggetti.

«Forse ho trovato qualcosa» disse, improvvisamente seria, e sentì Vidar avvicinarsi di più a lei, ma stavolta davvero interessato. «La runa Kenaz: della vista.»

Era un simbolo molto semplice: una v girata verso destra, come un angolo. «Tu non puoi vedere neanche questa, giusto?»

«Questa sì. Il fatto che non possa vederle vale solo per la runa Wyrd. Per tutte le altre non ho problemi: credo che sia perché sono il figlio di Odino, l'unico dio ad avere una conoscenza completa delle rune.»

«Ad ogni modo» riprese Silye. «posso incidermi la runa per vedere attraverso le radici se c'è Nidhöggr; in questo modo non rischieremo di distruggere l'albero inutilmente.»

«In realtà non è per non rischiare, ma perché non possiamo nel modo più categorico possibile» la corresse.

«Come dici tu» sbuffò Silye, già pronta a prendere il coltello.

«Aspetta» la trattenne lui. La ragazza si voltò per ascoltare cosa voleva. «Non devi farlo da sola. Posso aiutarti, ora che sono in grado di vedere la runa.»

«Non ne ho alcun bisogno. Questa sarà una passeggiata rispetto alla runa Wyrd.»

«D'accordo. Forse, però, è meglio farlo direttamente là. Per evitare che si indebolisca nel tempo che impiegheremo ad andare dall'Yggdrasill.»

«Già. Allora andiamo.»


Percorsero la strada ormai ben nota ad entrambi che conduceva all'Albero della Vita, circondati dall'oscurità della sera ormai calata, rischiarata solo dalla tenue luce proveniente dalla candela che Vidar stava reggendo. Nonostante l'assenza di luminosità, avvistarono subito da lontano l'Yggdrasill, con il suo fusto robusto e possente e i suoi enormi rami. Anzi, al buio Silye poteva vedere anche con più chiarezza le linee gialle e verdi che scorrevano sul fusto, le stesse che aveva visto nel sogno dove era venuta a conoscenza del libro. Non le aveva mai viste prima d'ora nella realtà, forse perché tutte le volte che vi era andata, da sola o con Vidar, era sempre stato alla luce del giorno.

Silye si prese un istante per toccare il tronco e sentire tutta la sua energia che le entrava nelle membra, rinvigorendola e infondendole un senso di forza e risolutezza. Tirò, quindi, fuori il coltello dal pesante mantello e si scoprì il braccio sano, in cui non aveva inciso la precedente runa. La pelle rabbrividì al diretto contatto con il freddo notturno e il gelo si propagò in ogni altra parte del suo corpo, che i vestiti non riuscivano a riscaldare abbastanza. Lo premette sulla pelle senza alcun indugio e incise due linee oblique che convergevano sullo stesso vertice, ignorando il dolore, che ormai considerava sopportabile dopo tutto ciò che aveva passato.

Sollevò la punta insanguinata del pugnale e lo passò a Vidar. Dalla profonda ferita cominciarono ad uscire grandi fiotti di sangue che dopo poco colò lungo il braccio fino a cadere al suolo, macchiando di rosso i residui di neve bianca e incontaminata che ancora coprivano la terra. Fece per voltarsi di nuovo verso Vidar, ma improvvisamente la vista le si oscurò. Conosceva bene quella sensazione: precedeva sempre le visioni, ma stavolta qualcosa cambiò. Dopo il buio, venne la luce, tanto forte da accecarla; dopo qualche istante, tuttavia, questa si fece più fioca e tollerabile.

Mise a fuoco il suo polso su cui spiccava la runa Kenaz e il suolo dietro quello. Guardò alla sua destra e vi trovò l'albero; questo, però, non era reso tenebroso dal buio, ma era illuminato come se fosse stato alla luce del giorno. La cosa più strana era che, dopo un po' che lo vide, fu come se potesse studiare tutto l'interno. Ora non vedeva più soltanto le linee colorate che trasportavano la linfa vitale dell'albero, ma l'intera struttura: l'Yggdrasill era gremito di milioni di linee giallo-verdi in continuo movimento verso l'alto e il basso. Silye rimase a bocca aperta davanti ad uno spettacolo tanto incredibile; l'albero appariva ancora più maestoso e vivo di come lo aveva sempre visto.

Confusa da ciò che aveva davanti, si girò verso Vidar, ma non lo trovò. O meglio: non lo vide in carne ed ossa, poiché era visibile solo la costituzione interna del suo corpo. Ossa, vene, muscoli... Era come se qualcuno avesse strappato via la pelle per mostrare le parti e gli organi celati nella struttura umana. «Che diavoleria è mai questa?» sussurrò Silye, senza parole per ciò che stava sperimentando. Le visioni per lei erano diventate un fatto abitudinario, non riusciva più a vederle come un qualcosa di fuori dal comune, ma questo era ben differente.

«Cosa c'è?» chiese lo strano essere che era diventato Vidar. Silye poté vedere l'osso della mascella muoversi mentre il dio pronunciava la domanda e dovette fare un grande sforzo per non ridere.

«Proprio nulla» affermò, mentre si lasciava andare ad una lunga risata davanti ad un Vidar interdetto e confuso.

«Non ne sono molto sicuro...» ribatté l'altro, mentre Silye si calmava e si asciugava le lacrime che le erano sgorgate dagli occhi per il tanto ridere. «Se hai finito di perdere tempo, potresti anche fare ciò per cui sei arrivata a tagliarti il polso.»

Come Vidar le ricordò il motivo per cui si trovavano là in quel momento, cercò di ritrovare un po' di contegno e guardò sotto di sé, proprio accanto al punto in cui le numerose ed enormi radici dell'Yggdrasill rientravano nel sottosuolo. Per un momento fu attraversata da un senso di vertigine: sotto di lei non c'era la terra, ma migliaia di linee vivaci che passavano attraverso il tronco dell'albero e sfociavano al di sotto del suolo.

Da lì aveva la completa visione di tutti i livelli di terra su cui camminavano ogni giorno. Certamente non riusciva a spingersi al di là di un certo limite, ma poteva arrivare a vedere la fine della radice più lunga. In mezzo ad un tale sfarzo di luci, sarebbe dovuto essere facile trovare Nidhöggr, un essere oscuro e gigante, ma non riusciva ad individuarlo. A un tratto le parve di scorgere qualcosa: una zona con meno luce rispetto a tutto il resto, era una buca in mezzo a metri e metri di terreno, la stessa che aveva visto nella sua visione, ma con una piccola differenza. Nidhöggr non c'era.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Tentativo ***



Capitolo diciannove

Tentativo


«È stato tutto inutile!» ringhiò Vidar, mentre camminava furiosamente da un lato all'altro della stanza, azione che stava ripetendo da ormai più di un'ora.

«Se non la smetti di muoverti mi verrà il mal di testa» lo riprese Silye, seduta sul tavolo con le gambe incrociate e intenta a tamponarsi la ferita con un panno bagnato. Quando ritenne di averla ripulita da tutto il sangue, prese delle fasce e avvolse il polso con quelle. «Troverai un altro modo per individuarlo, ma considerami fuori dalla tua missione di salvataggio.»

Vidar si fermò di colpo, voltandosi verso di lei con sguardo duro.

«Mi accontento anche solo di qualche moneta per l'aiuto che ti ho dato. Pensa che ti sto facendo un grande favore: avrei potuto chiederti tutto l'oro che so bene che tu possiedi, ma mi sono limitata a qualche spicciolo. Non ti sembra un accordo più che ragionevole?»

«Assolutamente no» ribatté lui. «Voglio dire: io sto facendo di tutto per scovare un essere che potrebbe distruggere l'intera Midgardr e tu pensi solo ai soldi?»

«Non prenderla male, ma io questa serpe devo ancora vederla in carne ed ossa. Solo allora crederò davvero nella sua esistenza e nella minaccia che costituisce per gli esseri umani. Ora l'unica cosa che mi importa è andare a caccia e domani mattina guadagnare qualche soldo.»

«Ma sentiti: guadagnare. Come se te li meritassi i soldi che rubi» affermò Vidar. Silye sapeva che era frustrato per il fallimento nella ricerca di Nidhöggr, ma le sue parole le diedero comunque fastidio, soprattutto dopo il discorso che avevano fatto nel bosco di Hoddmímir, di ritorno dal villaggio di Vél.

«Va bene: ascolta» disse la ragazza, scendendo dal tavolo e muovendo il braccio per constatare quanto le facesse ancora male. «Abbiamo provato di tutto per trovare questa fantomatica serpe; io ho provato di tutto. Devi arrenderti all'evidenza: non capiremo mai dove si trovi o se esista davvero. E direi che mi sono più che meritata una ricompensa per tutto quello che ho fatto per te.»

Lo sguardo del ragazzo era fisso sul pavimento e non faceva altro che aprire e chiudere le mani a pugno. «No.»

«No?» Silye strabuzzò gli occhi.

«Proprio così. Non me ne andrò e non ti lascerò stare fin quando non mi darai un maledetto indizio» ribatté, riprendendo a camminare in circolo lungo la stanza. «Devi solo potenziare le tue abilità ed esercitarti.»

«Ne ho abbastanza» affermò Silye. «Non ne voglio più sapere di tutta questa storia. Voglio solo che tu te ne vada, con o senza i soldi.»

«Non capisci perché ti sto chiedendo tutto questo?» insistette il dio, fermandosi e guardandola negli occhi. Silye lesse nel suo volto una disperazione che raramente gli aveva visto. «Ormai sei la mia ultima possibilità. Davanti ad un essere del genere nemmeno un dio può fare nulla. Mio padre è morto proprio a causa di una di queste creature ed era la divinità più potente di Asgard. Cosa pensi che io possa riuscire a fare da solo contro Nidhöggr, la più grande minaccia che questo mondo abbia mai affrontato?»

«Non ne ho idea» sussurrò Silye. «È proprio questo il problema: tu vuoi che io ti dia tutte le risposte, che ti aiuti, ma io non so come farlo. Non sono ancora pronta ad affrontare questa nuova realtà in cui mi hai catapultata.»

«Sì che lo sei» Vidar le si avvicinò, prendendole con delicatezza entrambi i polsi fasciati. «E ne ho la prova proprio davanti ai miei occhi.»

Silye abbassò gli occhi per evitare il suo sguardo. Nonostante quello che aveva passato, più volte i fatti le avevano dimostrato di essere ancora inadeguata a prendere il posto delle innumerevoli stirpi di völve che l'avevano preceduta.

«Ti prego» disse Vidar, la voce diventata un leggero sussurro. Silye non l'aveva mai sentito dirle una cosa del genere e le sue parole la sorpresero. «Ti prego, tenta ancora.»

La ragazza cercò di ignorare il tono supplichevole e triste di Vidar e la pressione delle sue dita sui bracci. Aveva la vaga impressione che il suo tocco le stesse diminuendo il dolore alle ferite e che stesse avendo un effetto curativo e benefico su di lei, ma il suo era solo un pensiero sciocco. Eppure, quando incontrò di sfuggita i suoi occhi e vide tutto il suo sconforto, non poté fare a meno di dirgli: «Sì. Tenterò.»


Silye si strinse più forte il mantello addosso e tirò gli orli delle maniche per arrivare a coprire le intere mani, sebbene, così facendo, rischiasse di strappare il tessuto. La mattina era sorta da poco e le fronde degli alberi sempreverdi erano mossi da un vento più forte e capriccioso del solito. La ragazza racimolò un mucchietto di ghiaccio e, sollevatolo da terra, lo ripose in una piccola bacinella in legno. Quando ritenne che ne avesse presa abbastanza, si alzò e rientrò nella casa. Vidar stranamente stava ancora dormendo; lei era sempre stata una persona mattiniera, ma anche lui, nelle poche notti che avevano trascorso condividendo la stessa baracca, si svegliava poco dopo di lei. Silye posò la bacinella con un tonfo accanto al camino in cui era acceso il fuoco per far sciogliere il ghiaccio e potersi lavare il viso. Il rumore svegliò Vidar, che si alzò di soprassalto.

«Fatto sogni d'oro?» domandò Silye, senza guardarlo.

«Tutt'altro» disse il ragazzo con la voce ancora impastata e roca. Silye si voltò per vederlo con la punta dell'occhio: si stava stiracchiando e la maglietta chiara si era leggermente sollevata, mostrando un piccolo pezzo di pelle. La ragazza si girò nuovamente di scatto, cercando di sopprimere la vampata di calore che l'aveva assalita, certamente non provocata dal fuoco. «Come mai?»

Lui non le rispose. Silye dovette ammettere di essersi aspettata una reazione del genere; nonostante le avesse dato la possibilità di vedere tra i suoi ricordi, Vidar evitava sempre di parlare di quell'argomento e di cosa lo stesse tormentando. Durante la notte, la ragazza si era accorta che spesso lui si rigirava senza riuscire a trovare sonno e a notte fonda si rivestiva e rimaneva fuori dalla casa per ore, rifacendosi vivo solo all'alba. Nelle rare sere in cui si addormentava, veniva perseguitato da incubi a cui non accennava mai durante la giornata, sebbene sapesse benissimo che Silye ne era a conoscenza.

«Vuoi il mio aiuto nell'allenamento di oggi?» disse poi Vidar.

Silye si prese qualche attimo a pensare a quello che avrebbe fatto quel giorno e all'esercizio sulle arti delle völve che la aspettava; un tempo la sua giornata tipo era totalmente differente. Le parti di essa erano un continuo alternarsi di ruberie, compere ai villaggi, viaggi tra questi e il bosco di Hoddmímir e caccie. «No, non ne ho bisogno.»

«Chissà perché, mi aspettavo questa risposta.» Vidar si alzò e andò verso il tavolo, dove stavano poggiati i residui di pane della cena della sera precedente. Ne prese un pezzo e se lo portò alla bocca per mangiarlo. «D'accordo, allora fallo fuori, perché io ho proprio bisogno di lavarmi.»

«Già, si sente» affermò la ragazza, enfatizzando l'ultimo concetto.

«Come se tu non puzzassi» ribatté Vidar, prendendo il libro dal tavolo e lanciadoglielo. Silye fortunatamente lo prese al volo, ma gli rivolse un'espressione contrariata. Era un oggetto molto fragile e non potevano permettere che si rovinasse.

«Rilassati» disse il dio, dandole le spalle e afferrando un panno per il bagno. «Non te l'avrei tirato se non fossi stato sicuro che tu l'avresti preso.»

Silye rimase un secondo a cercare di interpretare la sua affermazione, ma, infine, vi rinunciò e con uno sbuffo si infilò il mantello e uscì di casa.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Buonasera, miei carissimi lettori! Devo avvertirvi che dopo questo ci saranno alcuni capitoli abbastanza corti (mi scuso in partenza), perché di passaggio e preludio della prima vera avventura di Silye e Vidar. Rappresentano un po' la quiete prima della tempesta e delle fatiche dei nostri protagonisti, ma ciò non significa che per questo saranno meno importanti. ;)

Come sempre, un enorme grazie a chi continua a leggere e seguire la storia!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Pratica ***



Capitolo venti

Pratica


Silye non si era mai pienamente resa conto di quanto casa sua fosse tutta a un tratto diventata piccola e affollata. Prima l'aveva sempre considerata l'abitazione perfetta per lei: nascosta, minuscola, ma molto comoda. L'arrivo di Vidar, tuttavia, aveva scombinato tutta la sua vita, a partire dalle cose più piccole e insignificanti, come, appunto, la sua casa, che ora rivelava tutte le scomodità del vivere in due in una sola stanza. Erano costretti a stabilire dei turni quando qualcuno doveva lavarsi, spogliarsi e cambiarsi e, in generale, doveva convivere ogni giorno con un uomo impossibile.

Non sapeva proprio in che altro modo descrivere Vidar, se non come un uomo impossibile, incomprensibile. Un momento prima era sarcastico e spocchioso, quello dopo mite e comprensivo. Certe volte pensava che Vidar l'avrebbe fatta diventare pazza per questi suoi strani atteggiamenti. E poi, come se non bastasse, vi era anche l'argomento passato, divenuto quasi un tabù. Di qualunque cosa stessero parlando, quando arrivavano a toccare quel tema, lui si azzittiva improvvisamente, tagliando ogni contatto con lei, per poi riacquistare il suo consueto comportamento da antipatico.

Silye si lasciò andare ad uno sbuffo esasperato e quasi teatrale, invogliata dal fatto che finalmente era sola e poteva dare libero sfogo alla tensione accumulata. Si accucciò a terra ed appoggiò il libro sul suolo, davanti a sé. Lo aprì e iniziò a sfogliare pagine a caso, alla ricerca di qualcosa che potesse tentare di fare tra le arti delle völve che venivano descritte.

Pensò che fosse meglio iniziare con un esercizio semplice, che non la fiaccasse subito, privandola di tutte le sue energie.


Le völve hanno un legame speciale con la natura: hanno il potere di darle o ricevere da essa energia. Con la sola forza della mente può creare un contatto con qualsiasi elemento naturale, a partire dalla più piccola foglia o fiore, fino ad arrivare ad intere montagne. Gran parte del potere delle maghe è racchiuso proprio nel potente rapporto con la natura e con il mondo circostante.


Questo era tutto ciò che era scritto sul libro riguardo la natura e il suo legame con le völve. Le sembrava strano che fosse stato scritto così poco su quell'argomento; forse perché davano per scontato che lei sarebbe riuscita anche da sola a rafforzare questo contatto. Di certo, l'avevano sopravvalutata. Per un secondo venne dominata da un impeto di rabbia: le avevano affidato quell'enorme compito, di cui a lei poco importava, come se le avessere offerto un frutto, anziché la salvezza di Midgardr, senza preoccuparsi delle conseguenze di questo. Le avevano lasciato solo un misero libro, come se qualche pagina le avrebbe dato l'intera conoscenza del mondo precedente e delle sue facoltà. La verità, tuttavia, era che poteva leggere quanto voleva, ma non sarebbe mai riuscita a comprendere fino in fondo chi ci viveva e come, perché ormai faceva parte di una realtà del tutto nuova e lontana da lei.

Strinse nella mano una foglia secca, fino a farla a pezzi, per calmarsi; quindi, fece ricadere i resti e ripose di nuovo la sua attenzione sul libro. Se le völve l'avessero vista, avrebbero sicuramente disapprovato il suo comportamento, ma non le importava affatto il giudizio di burbere anziane morte da secoli. “Eppure, le burbere anziane hanno ancora una grande influenza su di me, sfortunatamente” pensò.

Talvolta si sentiva in trappola, chiusa in una vita e un destino che altri avevano fabbricato per lei, ma che Silye non desiderava. Quando ripensava ad anni prima, quando Arild era ancora vivo e le visioni non erano un problema, un groppo in gola la assaliva, impedendole di parlare. Socchiuse gli occhi e toccò il terreno davanti a lei. Le mani sfiorarono l'erba e le foglie cadute dagli alberi durante gli ultimi mesi autunnali, per poi affondare nella terra umida e leggermente fangosa perché la neve dei giorni prima non si era ancora completamente sciolta. Come il palmo delle mani toccò il suolo, sentì uno strano calore diramarsi dalle mani lungo il braccio. Stupita, aprì di scatto gli occhi per vedere cosa stesse accadendo, ma, quando si guardò le braccia, queste tornarono fredde e non sembrava esserci più traccia di quello che aveva sentito solo pochi istanti prima. Sollevò le mani da terra e pulì lo sporco dal colore nero e marroncino sull'abito sotto al mantello, brontolando frasi tipo «Dove diavolo sbaglio?»

Questo stupido libro non dice nient'altro sul come stabilire un contatto con le piante” disse tra sé, esasperata. “Ma tu pensa: sto iniziando davvero a parlare come una völva. Ci manca che ora mi metto a parlare con gli alberi e allora sarà davvero il colmo. Aspetta: l'ho già fatto.”

Mentre era impegnata a sbuffare e formulare questi pensieri, si accorse di sentire all'improvviso un'aroma di lavanda, che stonava con l'ambiente freddo, poiché quella pianta poteva crescere solo nelle terre più a sud di Midgardr, dove il clima era più mite e permetteva la coltivazione. Quell'odore poteva provenire solo dal sapone con cui Vidar doveva essersi lavato. «Mi sembra che tu sia riuscita a concludere poco e niente.»

Stavolta Silye non si stupì del suo arrivo, avvertito dall'odore, soprattutto perché oramai si era abituata alle sue repentine comparse, dovute alla sua capacità di sopraggiungere senza farsi minimamente sentire. «I miei progressi non ti devono interessare» ribatté la ragazza. «In fondo, ciò che conta per te è il risultato, no?»

«Esattamente» Vidar le venne davanti e si sedette a terra, proprio di fronte a Silye. «Ed è per questo che terrò d'occhio i tuoi miglioramenti, se questi effettivamente ci saranno.»

Silye lo guardò accigliata. «Come mai hai finito così presto di farti il bagno? Credevo che avresti passato molto più tempo ad osservarti e vantarti. Non fai altro tutto il giorno.»

Lui le rivolse un'occhiata un poco infastidita. «Almeno io mi lavo» affermò con lentezza, per ribadire bene il concetto e pronunciare chiaramente ogni singola parola.

La ragazza assunse un tono falsamente offeso, mettendoci impegno e teatralità. «Mi stai dicendo che puzzo? Oh, mi sento profondamente oltragiata per questa insolente affermazione, ma anche dispiaciuta perché devi convivere ogni giorno con il mio tanfo!»

«Sì, d'accordo...» ribatté l'altro, stufo della presa in giro della ragazza. «Allora vuoi metterti al lavoro?»

«Con piacere, pur di non parlare con te» Silye si ricompose e riprese da dove si era interrotta.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 21 - Senza scampo ***



Capitolo ventuno

Senza scampo


Silye strizzò gli occhi e aggrottò la fronte, manifestando tutta la sua concentrazione. “Cresci” pensò. “Andiamo: cresci!” Continuò a ripetere quelle semplici parole per qualche minuto nel silenzio totale, interrotto solo da lievi rumori che non era ancora riuscita bene ad identificare, ma di cui sospettava la fonte.

Aprì gli occhi, convinta di trovare davanti a sé un rigoglioso fiore, lo stesso che aveva assiduamente visualizzato nella sua mente lungo tutto l'ultimo quarto d'ora, ma, con suo estremo disappunto, vide solo la comune e monotona erba.

«Peccato» commentò Vidar, seduto in ginocchio di fronte a lei, mentre lanciava in aria una mela per poi riafferrarla e ricominciare da capo. Ecco spiegato il rumore che lei aveva sentito per tutto il tempo che aveva trascorso ad occhi chiusi. «È davvero un peccato perché ti eri molto concentrata su quelle piantine.»

Silye sospirò, massaggiandosi la fronte con le dita. «Smettila. Mi farai venire il mal di testa...»

Vidar afferrò la mela al volo e le diede un morso. «Contenta?» chiese con la bocca piena.

Silye fece una faccia disgustata, prima di lanciare un altro sguardo alle pagine del libro e alle istruzioni scritte. «È inutile» disse, quindi, sconsolata. «Non ce la faccio.»

«Non ci credo» Vidar scosse la testa.

«Cosa non credi?» domandò Silye, non comprendendo il motivo della sua affermazione.

«Che tu ti arrenda così facilmente in qualcosa in cui io non c'entro, o, almeno, non direttamente» rispose, alludendo alle innumerevoli volte in cui lei non era riuscita a batterlo, il che diede non poco fastidio alla ragazza. «Non riesco a credere che Silye Dahl lasci perdere tanto velocemente.»

Silye comprese subito la sua tattica: premere sull'orgoglio ferito della ladra per indurla a perseverare. Non le andava giù che lui la considerasse tanto stupida da abboccare, ma allo stesso tempo le era grata per i tentativi che stava facendo per spingerla a non darsi per vinta. “Forse è vero” pensò, tuttavia. “Sono davvero più debole di prima.”

Come terminò di formulare quel pensiero, si ritrovò il viso e gli occhi di Vidar a pochi centimetri dai suoi. «Allora?» insistette lui. A quella vicinanza, Silye poteva sentire il respiro del dio solleticarle le guance e vedere ogni singolo dettaglio della sua bocca: le labbra leggermente screpolate per il freddo, come le erano anche quelle della ragazza, e il loro colore roseo. «Sei una perdente o una vincitrice?»

Forte e fiera. Forse si era davvero fiaccata, ma rimaneva pur sempre una Dahl, una ladra, una che non lasciava perdere alle prime difficoltà. Una vincitrice.

Socchiuse nuovamente gli occhi e fece sprofondare con impeto le mani nella terra; sentì immediatamente quel caldo e potente contatto con la natura. Stavolta, però, era diverso; questa volta aveva più fiducia in se stessa. Riversò tutto il suo essere e la sua forza nella terra, sfruttò quel ponte tra lei e la natura per convogliare le energie al suolo e nella sua mente si andarono a delineare tante piccole radici, che proprio in quel momento stavano fuoriuscendo dalle sue dita. Continuò a cedere energia al suolo fin quando non iniziò a sentirsi stanca e pesante, e allora sollevò finalmente le palpebre.

Davanti a lei, proprio nello spazio tra i punti in cui le mani si trovavano immerse nella terra, era apparso come per magia un fiorellino dai petali dello stesso rosso dei capelli di Silye e dagli stami colmi di polline. La ragazza tirò fuori dal suolo gli arti, senza smettere di guardare la pianta appena sbocciata.

«Ce l'hai fatta!» esultò Vidar, emettendo una risata quasi di sollievo. Silye ancora non riusciva a capire come ci fosse riuscita e da dove le fosse venuta l'improvvisa idea di dare la sua energia alla terra, cosa che non aveva fatto durante gli esercizi di quei giorni. «Io...» mormorò, spostando lo sguardo dal fiore alle proprie mani sporche di terra, che era talmente umida da somigliare a melma. Toccò delicatamente un petalo con un dito, come per accertarsi che fosse vero, e non una delle sue tanti visioni, e, quando lo sfiorò, la ritrasse subito. In quel momento, la sua mente era un insieme confusionario di pensieri e domande a cui non riusciva a dare un ordine o una spiegazione plausibile per ciò che aveva appena compiuto.

«Ho bisogno d'aria» disse, sebbene fosse conscia del fatto che si trovassero già all'aperto. Sentiva solo il bisogno di stare da sola e realizzare quello era accaduto.

«Vuoi che io venga con te?» chiese Vidar, guardandola per la prima volta da quando Silye aveva inspiegabilmente fatto nascere quel fiore, che lui era stato ad osservare con un'espressione di incredulità.

«No. Mi serve solo qualche minuto senza nessun altro che non sia io» affermò, alzandosi a allontanandosi dal luogo dove era avvenuto quello che non sapeva in che altro modo definire se non un qualcosa di magico e incredibile.

Vagò per quelle che le parvero ore nella foresta, senza guardarsi intorno e senza controllare la strada che stava facendo. All'improvviso, iniziò a correre. Sfrecciò tra i tronchi degli alberi, saltando laddove le radici erano troppo alte e rischiavano di farla inciampare. Si lasciò andare alla sensazione del vento che le sferzava la pelle e i capelli, cercando di svuotare la mente da ogni pensiero e preoccupazione e focalizzandosi soltanto sul suo respiro affannato e sulla terra sotto i suoi piedi. All'improvviso si fermò e si accasciò vicino alla corteccia di un grande albero. Appoggiò sul legno il capo e socchiuse gli occhi, mentre prendeva un profondo respiro.

Sono una völva pensò, mentre gli occhi le iniziarono a pizzicare, segno che le lacrime stavano per uscire. Non voleva. Non voleva piangere e, come per impedire a se stessa di farlo, sbatté la testa sul tronco.

Sono una völva e non posso fare nulla per tornare indietro. Una lacrima riuscì a penetrare la barriera che aveva cercato di creare a tutti costi e colò lungo la guancia. Colpì di nuovo la dura corteccia, lanciando un grido.

Lo fece di nuovo: una, due, tre volte. Si fermò solo quando iniziò a sentire un liquido denso colarle sul collo e un forte dolore dietro la testa. Forse la sofferenza fisica sarebbe bastata a coprire quella che sentiva dentro, a cui non trovava altro modo per farla smettere se non facendosi del male.

Ormai non aveva più scampo. Da quel momento in poi avrebbe dovuto dimenticare lo stile di vita con cui aveva vissuto fino a quel momento, ciò che aveva imparato da suo padre, il suo mestiere di ladra. Tutto. Era divenuta una völva a tutti gli effetti e non poteva in alcun modo tornare indietro nel tempo, a quando era solo una ladra e una cacciatrice. Si chiese a cosa fossero serviti anni e anni di insegnamento e fatiche, se poi ogni cosa era stata soffiata via dall'arrivo di Vidar e dalla scoperta che aveva conseguito. Finora non si era davvero resa conto di quanto quello che era successo avesse cambiato la sua vita, ma ora che aveva per la prima volta agito in tutto e per tutto come una völva la situazione le era fin troppo chiara. Facendo crescere un piccolo fiore, aveva irrevocabilmente segnato il suo futuro.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Buonsalve carissimi lettori! Anche questo è un capitolo abbastanza corto, ma vi prometto che mi sto impegnando per farli più lunghi (dovrete sopportarne solo un altro, prima che arrivi il bello)! Nel frattempo, Silye inizia a fare progressi nelle sue lezioni per imparare le arti delle völve, ma per lei la situazione non è affatto facile da accettare. Sono momenti duri per la povera ladra, e questo non è ancora niente (non sto mettendo ansia, vero?).^^

Vi ringrazio immensamente per continuare a leggere e lasciare le vostre opinioni alla storia. Il vostro contributo è fondamentale per permettermi di migliorare nella scrittura!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Pista ***



Capitolo ventidue

Pista


Silye strinse la presa sull'arco e sull'estremità della freccia, inspirando profondamente. Il solo contatto con la sua arma le dava un senso di sicurezza e tranquillità, facendole dimenticare qualsiasi problema e immergendola nel dolce flusso dei ricordi delle sue abitudini ed esperienze ordinarie, in cui la caccia aveva sempre avuto un ruolo preminente. Si aggirò con movimenti lenti nella foresta, nel tentativo di cogliere il più piccolo rumore.

A un tratto captò il suono quasi impercettibile di un ramo spezzato. Si voltò di scatto e si ritrovò davanti gli occhi ambra di Vidar. Questo, prima che lei avesse modo di allontanarsi o parlargli, le tappò la bocca con una mano. Quando Silye cercò di ribellarsi, lanciandogli uno sguardo a metà tra la confusione e la collera, lui le intimò di fare silenzio, mormorando un Shh, per poi fare un cenno con la testa verso qualcosa che stava alle spalle di Silye. La ragazza scansò bruscamente la mano di Vidar dalla sua bocca e si voltò nel punto in cui il dio stava guardando, dove ora si trovava un giovane cerbiatto, di cui Silye non si era accorta prima, perché coperto dalla boscaglia. L'animale era totalmente concentrato nel brucare l'erba e a quella distanza non sembrava essersi accorto della loro presenza.

Silye si accostò con lentezza maniacale all'albero più vicino e si abbassò, preparando la sua arma. Posizionò la freccia e flesse il filo dell'arco, mirando esattamente con la punta al petto. Quindi, rilasciò la freccia, che partì sibilando nell'aria, fino a conficcarsi nel bersaglio. Il cerbiatto sollevò di scatto la testa e bramì per l'incredulità e l'improvviso dolore. Prima che avesse il tempo di fuggire, Silye prese un'altra freccia e la tirò con la medesima precisione, tanto che penetrò nella pelle dell'animale poco lontano dal punto in cui si trovava la prima. La ladra scattò e si avvicinò al cerbiatto, che si era gettato al suolo, in preda all'agonia per le ferite. Silye sentì montarle nel petto uno strano e improvviso sentimento, che inizialmente non fu in grado di decifrare. Dopo pochi attimi, man mano che si faceva più forte, comprese di cosa si trattasse: senso di colpa.

Rimase stupita da quella nuova sensazione, comprendendo solo in un secondo momento che era per l'uccisione del cerbiatto. Probabilmente era uno degli effetti del suo rafforzato legame con la foresta e ogni suo elemento, inclusi gli animali. Eppure, mai avrebbe abbandonato la caccia, neanche se ciò significava vivere per sempre in preda al rimorso per le sue azioni. Si sedette a terra, accanto al cerbiatto morente, e tirò fuori il pugnale. Si lasciò andare, tuttavia, ad un atteggiamento diverso dal solito: iniziò ad accarezzare il manto dell'animale, come a volerlo rassicurare per rendergli la morte meno dolorosa, e, mentre continuava a passare con delicatezza la mano sul suo petto, che si alzava e riabassava a ritmo sempre più lento, calò la lama nel punto in cui era certa che si trovasse il cuore. Il cerbiatto emise un ultimo verso di dolore, poco prima che la vita venisse prosciugata via dal suo corpo. «Kvedju, félagi¹» mormorò Silye, tanto piano da non essere udita neanche da Vidar. Non sapeva che cosa l'avesse spinta a dirlo, poiché non aveva mai pronunciato parole del genere, ma le venne come naturale. Forse anche quello era uno dei tanti lasciti del suo oscuro passato da völva.

Quindi, Silye, quando fu certa che l'animale fosse morto, estrasse il pugnale e ne pulì in modo superficiale la lama sul suo mantello. Solo con l'acqua sarebbe riuscita a lavare via tutto lo sporco. «Mi serve aiuto per trasportarlo a casa» disse poi a Vidar, che per tutto il tempo era rimasto in disparte ad osservare, con le mani puntate sui fianchi. «In fondo, non hai detto tu stesso che un tempo eri il più forte tra gli dei?»

«Sì» assentì Vidar, avvicinandosi alla carcassa e afferrando le zampe dell'animale, per poi buttarsi tutto il peso sulle spalle. «Ora andiamo.»

«Grazie» esclamò all'improvviso la ladra.

Vidar si fermò, voltandosi a guardarla con un'espressioe incredula: di certo non si sarebbe mai aspettato che Silye sarebbe mai arrivata a ringraziarlo per qualcosa.

«Se non ci fossi stato te, forse non avrei mai visto quel cerbiatto.»

«Beh... prego» rispose lui, prima di girarsi e incamminarsi nuovamente.

Silye si assicurò l'arco alla schiena e ripose il pugnale nella sacca, ma, quando fece per avviarsi, sopraggiunse il consueto torpore e il successivo annebbiamento e si sentì presa e sbalzata in un altro posto, lontano dal bosco di Hoddmímir.


Il luogo era tetro, colmo di sole tenebre. La völva non riusciva a vedere altro che un nero angosciante e senza fine. Dopo pochi minuti, i suoi occhi iniziarono ad abituarsi al buio e i contorni del posto si andarono a delineare con sempre maggiore chiarezza, sebbene l'oscurità continuasse a permeare ogni angolo di quel luogo. Non poteva vedere molto di ciò che la circondava, ma di una cosa poteva essere sicura: quel posto puzzava di sangue e morte. L'acuto odore di carne putrefatta e di cadaveri era talmente forte da riuscire a superare le barriere che dividevano i sensi della völva da ciò che avveniva nella visione. Da ciò che riusciva a scorgere, il luogo era in realtà una landa scura e desolata, su cui si trovavano due figure, l'una nettamente più alta e grande dell'altra. Con un po' di difficoltà, distinse la prima di esse, poiché ormai aveva imparato a conoscere le sue fattezze: Nidhöggr, in tutta la sua mole e pericolosità. Ma ciò che più attirò l'attenzione della völva fu la seconda figura: era una donna. Era di profilo e si trovava proprio di fronte alla viverna. Silye pensò che fosse davvero bellissima: era circondata da un alone di forte sensualità e mistero, ma anche di pericolo. I lineamenti del viso erano morbidi e armoniosi e la pelle tanto pallida da sembrare bianca. Le labbra erano grandi e carnose e in quel momento sollevate in un sorriso indecifrabile. Silye non riusciva a definire se fosse di gioia o, addirittura, di rabbia o tristezza; era talmente enigmatico, da non riuscire a far trasparire l'emozione che realmente la donna voleva comunicare. Il viso era contornato da una massa di lunghi capelli mori, che creavano un forte contrasto con la pelle bianca e che le arrivavano sino al ginocchio. Indossava un lungo abito nero, il cui strascico poteva benissimo essere confuso con i capelli. Nella sua semplicità, il vestito non faceva altro che accrescere la bellezza e l'importanza che quella donna doveva avere. La curiosità di Silye aumentò quando si acorse di un particolare che prima le era sfuggito, poiché troppo presa nell'osservare la donna: questa aveva un braccio proteso ad accarezzare il muso dell'animale, con una grazia e quasi un amore di cui non la avrebbe mai creduta capace. La serpe le offriva la testa anche lui, alla ricerca delle carezze che la donna non indugiava a offrirgli. Per la prima volta, vedeva la mostruosa creatura sotto una luce totalmente diversa: visto in quel modo e con quell'atteggiamento di sottomissione, Nidhöggr quasi non incuteva alcun terrore, come le aveva fatto nelle visioni precedenti. Appariva mansueto come un cane, nonostante il suo aspetto.


Le luci della prima mattina si infiltrarono tra le ciglia degli occhi di Silye, colpendole le pupille e facendola ripiombare nella foresta. Man mano che riprendeva coscienza, Silye si rese conto di non trovarsi più nel posto buio della visione e, anziché quello, davanti a sé si andarono a definire i contorni e i lineamenti del volto di Vidar, diventato ormai assai familiare. Ormai aveva capito di essere caduta durante la visione e di stare stesa a terra, ma stranamente dietro la testa Silye non sentì il fogliame umido del terreno, poiché qualcosa la stava sollevando in modo da non toccarlo. Solo in un secondo momento realizzò che quel qualcosa era la mano di Vidar.

«Una visione?» domandò, probabilmente già conoscendo la risposta, perché, quando Silye annuì, il dio non sembrò stupito.

«Cosa hai visto?» Il suo volto era tanto vicino che Silye poteva vedere anche il più piccolo filamento che componeva l'iride. Davanti all'espressione seria di Vidar, la ragazza si sentì messa a nudo, come se solo con la forza del suo sguardo il dio avesse avuto il potere di scandagliare ogni singolo angolo della mente di Silye e tirare fuori qualsiasi cosa volesse. La ladra abbassò di scatto gli occhi per interrompere quel contatto e si rialzò in modo che lui non dovesse più sorreggerla.

«Nidhöggr» raccontò. «Ed era in compagnia: con lui c'era un donna... particolare.»

«Descrivila.»

«Non potevo vederla interamente, ma, da ciò che riuscivo ad osservare, aveva la pelle cerea e i capelli lunghissimi e mori. Era davvero... incantevole, ma sinistra. C'era qualcosa in lei che mi affascinava e intimoriva allo stesso tempo.»

«Hai detto di non essere riuscita a vederla tutta? Come mai?» chiese, improvvisamente attento, sebbene Silye non capisse perché le stesse ponendo domande del genere.

«Era di profilo.»

Il viso di Vidar si illuminò di sentimenti contrastanti: incredulità, disprezzo e constatazione. «Hel» sibilò.

«Cosa? Chi è... Hel

«La regina degli Inferi, tessitrice di inganni e portatrice di caos e dolore.»

«Beh... si è fatta una gran bella fama» commentò Silye, continuando, tuttavia, a guardare Vidar interessata.

«Cosa ti aspetti dalla figlia di Loki, il dio dell'inganno?»

Loki. Ricordava di aver letto quel nome nel libro delle völve e anche che la sua immagine, come la sua descrizione, le aveva trasmesso non poca soggezione. Tuttavia, quel dio non aveva scampato il Ragnarok, come come altre.

«Hel è sopravvissuta al Ragnarok?» domandò poi.

«Sfortuntamente sì. Il suo regno non è stato toccato dalla distruzione degli altri otto e, di conseguenza, anche lei è rimasta viva e vegeta.»

«E lei è... cattiva

«Direi più ambigua e indecifrabile. Non si può mai sapere cosa deciderà, con chi si schiererà o cosa è intenzionata a fare.»

«Allora che si fa con lei?»

«Se davvero ha incontrato Nidhöggr, dovremmo andare a farle una visita e chiederle qualcosa della sua amica serpe.»

«Amica mi sembra proprio la parola giusta, perché nella visione lei gli stava accarezzando il muso» mormorò Silye.

«A maggior ragione dobbimo andare da lei» disse Vidar, concedendole un ampio sorriso. «Stavolta mi hai fornito una vera pista.»




¹ Addio, compagno. In realtà, nel formulare questa frase ho unito una parola islandese, Kvedju, una forma di saluto e congedo, insieme all'altro termine di origine norrena.

<a href="http://it.tinypic.com?ref=zkh283" target="_blank"><img src="http://i64.tinypic.com/zkh283.png" border="0" alt="Image and video hosting by TinyPic"></a>

Angolo dell'autrice:

Eccoci arrivati alla fine di questa serie di capitoli di transizione. Vi aspettavate che sarebbe stato introdotto un personaggio del genere? Non vedo l'ora di sentire i vostri pareri! Devo dire che mi sono divertita molto nel descrivere Hel e spero che anche voi apprezzerete i prossimi capitoli, in cui il suo regno e il suo personaggio verrano delineati con maggiore precisione.

Ringrazio tutti i lettori, sia i silenziosi, sia quelli che commentano, sia quelli che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite!^^ A presto!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Viaggio ***



Capitolo ventitre

Viaggio


«Insomma, non sarà una visita piacevole, giusto?» domandò Silye, mentre radunava tutto il cibo che avevano comprato il giorno prima e lo racchiudeva in un panno, legando i due lembi alle estremità e creando un fagotto.

«Affatto, ma non abbiamo altra scelta» rispose Vidar, anche lui affaccendato a preparare le scorte e sellare Sleipnir.

«C'è sempre una scelta: non che tu me ne abbia lasciate molte ultimamente, però» affermò l'altra, stizzita, poco prima di volgere lo sguardo verso il dio. «Andremo a cavallo?»

«Non c'è altro mezzo per raggiungere l'Hel, o almeno da vivi. Infatti, solitamente solo i morti possono arrivarvi, subito dopo aver terminato la loro vita sulla terra. Oltretutto, si trova nell'entroterra e non è raggiungibile a piedi.»

«Se non possiamo arrivarci a piedi, perché, invece, possiamo a cavallo? Non capisco...»

«Certe volte ti comporti da vera idiota» esclamò Vidar, guadagnandosi un'occhiata di fuoco da parte della ladra. «A piedi o a cavallo non cambia nulla: ciò che varia è il tipo di destriero. Potremo arrivarci grazie a Sleipnir e alle sue rune.»

«Se magari ti fossi subito spiegato meglio, non ci sarebbe stato alcun bisogno per me di farti delle domande, idiota

«Non ti consiglio di insultare un dio» affermò Vidar, con un tono che avrebbe dovuto spaventare Silye, ma che la fece solo ridere.

«Perché? Altrimenti cosa mi fai? Sai bene che sono troppo preziosa per te e dovrò servirti nel caso Nidhöggr non si trovi da Hel» disse lei, guardandolo con fare altezzoso per mostrargli che non era affatto intimorita da lui. «E, fino a prova contraria, io sono una völva e nemmeno a te conviene insultarmi.»

«E tu vorresti spaventarmi in questo modo? Vediamo un po': cosa mi farai? Mi farai crescere un fiore in testa?» la derise lui, poco prima di uscire dalla casa. «Che paura!»

Silye sbuffò, guardandolo male, mentre richiudeva la porta dietro di sé. Almeno le aveva lasciato qualche minuto da passare con Úlfur, prima della separazione. Le faceva male il pensiero di doverlo lasciare andare, perché in tutti quegli anni il cane era stato il suo unico compagno e amico. La sua presenza era stata fondamentale e aveva reso la permanenza nel solitario bosco di Hoddmímir più vivibile. Le si strinse il cuore a guardare il muso del cane, ignaro che di lì in poi non avrebbe più rivisto Silye, o comunque non prima di un tempo indeterminato. Lei sperava con tutto il cuore che, una volta conclusa quella storia, sarebbe potuta tornare a casa sua per riprendere la sua normale vita con Úlfur, ma in quel momento, - doveva dare ragione a Vidar -, il cane non sarebbe stato altro che un impiccio nel viaggio verso l'Helheimr. Sarebbe stato impensabile portarlo con loro, dati i pericoli che avrebbero dovuto affrontare, e Silye si sarebbe sentita più sicura a saperlo nella foresta, dove il cane sapeva destreggiarsi e avrebbe certamente trovato un modo per sopravvivere.

Lasciò un po' di cibo accanto al loro giaciglio e abbracciò stretto a sé Úlfur, che le leccò la guancia e la faccia. «Ci vediamo presto» mormorò. “O almeno spero” aggiunse nella sua mente.

A malincuore uscì dalla casa con in mano la scorta di cibo, che andò a deporre nella sacca collegata alla sella di Sleipnir. Vidar si stava ancora assicurando che le cinghie fossero ben strette, quando Silye venne attratta da un lungo bastone, ricoperto da un panno che sbucava dalla bisaccia opposta a quella in cui lei aveva riposto i viveri. Afferrò l'asta in legno, ma come vi mise mano, venne scossa da una fulminea visione.

Era solo un immagine, che si stagliò nella sua mente come un fulmine, e con la stessa rapidità scomparve, ma non prima che lei ebbe il tempo di osservarne i dettagli.

Un uomo possente e dai muscoli ben visibili da sotto l'armatura e il mantello che lo coprivano, sedeva su un cavallo ad otto zampe, che lo portava a trotto in quella che pareva essere una foresta. Odino. Lo riconobbe immediatamente, dopo le innumerevoli volte che le era capitato di vederlo nelle visioni; ma stavolta identificò anche Sleipnir, il formidabile destriero che ora era divenuto di Vidar. Il particolare che più attrasse l'attenzione di Silye fu la lancia che teneva in mano; questa aveva una lunga asta, la stessa che aveva visto spuntare dalla bisaccia, che culminava su una grande lama appuntita. All'apparenza dava l'impressione di essere un'arma molto semplice, nulla di epico o potente, ma in mano a Odino incuteva un senso di paura e rispetto.

Come Silye si riprese, lasciò andare il bastone, che aveva scoperto essere una lancia. Riposizionò bene il panno in modo che non si vedesse più nulla della lancia, lanciò poi un'occhiata a Vidar da sopra Sleipnir e si accorse che la stava guardando. Aveva finito di legare la sella ed ora la osservava con la testa leggermente piegata, come faceva sempre quando studiava i suoi movimenti e cercava di comprendere qualcosa. “Avrà forse capito che ho appena avuto una visione?” si chiese, sebbene lo credesse improbabile, poiché solitamente gli altri non si accorgevano di quando lei ne aveva corta e leggera come era stata quella e Vidar, nonostante avesse sicuramente captato qualcosa, probabilmente non se ne era accorto.

«Tutto a posto?» domandò e lei annuì in risposta. “Sì, eccetto il fatto che ho appena visto tuo padre” pensò.

Abbassò di nuovo la testa. Sapeva che lei non c'entrava nulla nella storia e nel passato di Vidar, ma la curiosità di vedere dal vivo la lancia di cui aveva appena vuto la visione era troppo forte. Tirò fuori dalla bisaccia la lunga lancia, scostando di nuovo il panno e rivelando la punta prima coperta e cammuffata in modo da far apparire l'arma come un semplice bastone. È una delle poche cose che mi rimangono di lui, insieme alla sua lancia, Gungnir. Queste erano state le parole di Vidar, quando le aveva parlato di Sleipnir. Aveva fatto solo un lieve accenno alla lancia, ma, trovandola e vedendola, Silye lo aveva subito rammentato. «La lancia Gungnir» mormorò, passando la mano lungo il legno saggiamente intagliato e prodotto. «Era di tuo padre.»

Vidar le venne accanto e ammutolì quando la vide con in mano la lancia di Odino. «Sì» sussurrò, improvvisamente con la voce un poco roca. Tossì per schiarirsela e continuò: «L'ho presa poco dopo la sua morte e con essa l'ho vendicata uccidendo il lupo Fenrir.»

Silye se la rigirò tra le mani, saggiandone la consistenza e la facilità di movimento grazie alla leggerezza dell'arma, prima di riconsegnarla al legittimo proprietario. «Tieni.»

Lui la prese e rimase per qualche secondo ad osservarla, come in trance. Silye avrebbe voluto lasciargli qualche minuto per riflettere, perché evidentemente a quella lancia erano connessi avvenimenti molto sofferti di cui non aveva alcuna intenzione di parlare, ma quello non era il momento adatto. “Ognuno di noi deve combattere con i propri demoni interiori, ma ora abbiamo cose più impellenti di cui occuparci.”

«Ehm, avrei un problemino con... il cavallo.»

Vidar si riscosse e, dopo aver nuovamente riposto la lancia nella bisaccia, in modo tale che non desse fastidio ai loro piedi, domandò: «Di che tipo?»

«Non ci sono mai salita.»

«Mai salita su un cavallo?» rincarò Vidar, che pian piano iniziava a riacquistare la vitalità e l'ironia ormai tipiche del suo carattere.

«Se te l'ho detto significa di no, altrimenti non mi sarei posta il problema. Che dici?» esclamò Silye, infastidita e imbarazzata per avergli mostrato una delle sue debolezze.

«Beh, il salire non è difficile» disse Vidar, posizionandosi accanto a Sleipnir e facendole spazio. «Lo è il rimanerci.»

Silye lo guardò male, ma la sua espressione ebbe l'effetto contrario, poiché Vidar scoppiò in una breve risata, prima di riprendersi e iniziare a darle le direttive sul come salire a cavallo. «Devi poggiare il piede destro sulla staffa. Quindi, ti spingi verso l'alto e alzi l'altra gamba per sederti sulla sella. Semplice, no?»

«Come rubare a un bambino» sibilò Silye, mentre tentava di fare come aveva detto Vidar e spiccarsi su. Il dio fece per aiutarla appoggiandole una mano sulla gamba e l'altra sulla schiena, ma, come sentì Vidar toccarla, sebbene lo stesse facendo per aiutarla, istintivamente si girò ad intimargli di smetterla. «Toglimi le mani di dosso. Faccio da sola.»

«Va bene, va bene» affermò Vidar, alzandole e allontanandosi, rimanendole comunque abbastanza vicino in modo da riuscire ad afferrarla in tempo nel caso scivolasse e cadesse a terra.

Silye alla fine, non con poca difficoltà, riuscì a mettersi seduta sulla sella e tirò un sospiro di sollievo quando finalmente si accomodò su Sleipnir.

«Tirati indietro» disse poi Vidar. «Devo salire anch'io.»

«Ma come? C'entriamo in due?»

«Naturalmente. Come ogni cavallo normale, Sleipnir è in grado di portare tranquillamente due persone insieme.» Vidar salì nello stesso modo in cui aveva fatto poco prima la ladra e si sedette poco davanti a lei. «Pronta?»

«A dire il vero, no.»

Silye poté percepire Vidar sorridere, sebbene lui non la stesse guardando. «Tieniti forte.»

«E dove?»

«A me, ovviamente.»

«Non ci penso neanche» ribatté Silye, incrociando le braccia.

«Allora vale a dire che cadrai e non potrai reggerti a niente.»

«Bene» pronunciò e subito dopo Vidar tirò le redini e serrò i polpacci, facendo partire improvvisamente Sleipnir. Per la rapidità con cui il cavallo si mosse, Silye venne sballottata indietro e sarebbe certamente caduta se non si fosse aggrappata al mantello di Vidar. Si avvicinò a lui per paura di essere sbalzata a terra, ma, quando si rese conto di quanto si trovasse vicino al suo collo, si allontanò leggermente.

Non le piacevano quei contatti fisici, anche se occasionali e spesso innocenti, come quello che c'era stato mentre saliva su Sleipnir; sebbene a separarli ci fossero strati di indumenti anche molto pesanti, quando lui la toccava, si sentiva nuda e indifesa: fragile. E lei odiava sentirsi così, a maggior ragione nei confronti di un individuo come Vidar.

«Vedo che ti sei decisa a reggerti a me» disse il dio, girandosi leggermente in modo che Silye potesse vedere metà del suo viso.

La ragazza evitò di rispondere perché sapeva che, se avesse aperto bocca, da essa non sarebbe uscito altro che parolacce e imprecazioni.

«Preparati» esclamò Vidar, mentre il cavallo passava dal trotto alla corsa, per quanto gli alberi riuscissero a permettergli. «Si parte.»

Sleipnir aumentò talmente il passo che il vento fece calare il cappuccio del mantello di Silye, scoprendo i capelli rossi, che si alzavano e riabbassavano a seconda dell'andamento del cavallo.

Improvvisamente gli alberi si fecero offuscati e evanescenti, fin quasi a scomparire, mentre davanti a loro compariva un grande vortice azzurro, verso il quale si stavano dirigendo rapidamente. D'istinto Silye si fece più vicina a Vidar e si strinse a lui, come temendo cosa stava accadendo e dove li avrebbe portati quel vortice dai riflessi celesti e bianchi.

Sleipnir vi passò attraverso e la ladra venne attraversata da una sensazione di stordimento. Sentiva la testa e lo stomaco in subbuglio, come dopo una lunga corsa, che le lasciava ogni singolo muscolo del corpo fiaccato. Il bianco e l'azzurro del vortice sparirono improvvisamente e si ritrovò nello stesso luogo buio e tetro della visione di quella mattina. Quando si girò per guardare il turbine che li aveva portati fin là, non vide nulla, se non il paesaggio nero che li circondava e che già ricordava dalla visione. L'Helheimr.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Ed ecco a voi l'Helheimr! Nel prossimo capitolo incontrerete da vicino la dea degli Inferi, ma ancora non posso rivelarvi se sarà un incontro piacevole o meno.

Inoltre, devo avvertirvi che non so se la prossima settimana riuscirò a pubblicare con regolarità (tendo ad aggiornare ogni settimana, a volte la domenica, altre il lunedì, ma ovviamente ciò varia dalle possibilità che ho di farlo), perché sarò occupatissima a causa della scuola (me sventurata!). Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e ci tengo a conoscere le vostre impressioni e a ringraziarvi!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 24 - La signora degli Inferi ***



Capitolo ventiquattro

La signora degli Inferi


«Posticino molto accogliente» commentò Vidar, con il solito umorismo che utilizzava anche quando non era affatto richiesto dalla ladra. Questa venne attraversata da una folata di vento molto più gelido di quelli a cui era abituata nella foresta di Hoddmímir e, dato che quella si trovava molto a nord, quasi vicino alle montagne e ai ghiacciai che cingevano il regno, nel bosco permeava un freddo pungente anche nei mesi più miti. Perciò, era davvero difficile riuscire a superare le sue temperature basse; eppure, in confronto all'Helheimr, il bosco poteva anche essere considerato un luogo “caldo”.

Quel posto le dava l'impressione di essere completamente vuoto e morto. Freddo e silenzioso come un cadavere.

Da lontano sentì alzarsi un urlo spettrale, subito seguito da mille altri, fin quando dopo pochi istanti tutto cessò e tornò il silenzio. Successivamente se ne sentirono altri, probabilmente a grande distanza da loro.

«Come riesce Hel a vivere in un luogo del genere?» domandò Silye, mentre il dio scendeva da Sleipnir e poi le tendeva le braccia per aiutarla a fare altrettanto.

«Lo capirai quando la vedrai.»

La ragazza scansò in malo modo le mani di Vidar e, puntando il piede sulla staffa e girando il corpo, saltò a terra, per poi mostrare uno sguardo vittorioso all'altro, che la era stata a guardare con aria divertita.

«Non male per una che va per la prima volta a cavallo» ammise Vidar, andando a tirare fuori la lancia Gungnir dalla bisaccia, scostando il panno che la copriva e ammirandola in tutta la sua maestosità. Se la rigirò tra le mani, come saggiandola, finché non affermò: «Andiamo.»

Silye prese le briglie del cavallo e, dopo avergli lasciato una carezza sul muso, si incamminò a fianco di Vidar. Si accorse che il terreno era anch'esso nero come il paesaggio scuro e nebuloso che li circondava, ma era tanto umido da sembrare a metà tra il fango e la neve. Fece una smorfia mentre continuavano ad andare avanti in quelle lande deserte e tenebrose.

«Sei certo della strada che stiamo facendo?» domandò dopo qualche minuto.

«No» ammise Vidar, guardandosi intorno.

«Cosa? E come faremo a non perderci?» trillò Silye. Non voleva rimanere per troppo tempo in quel luogo, che le trasmetteva brividi sempre più grandi, man mano che il tempo passava. Il pensiero di rimanervi intrappolata le faceva venire la pelle d'oca.

«Tranquilla, non dovremo essere arrivati troppo lontano dal palazzo si Hel. Sono sicuro che se continuiamo a camminare alla fine ci arriveremo.»

«E se invece dovessimo metterci giorni? Oppure potremo benissimo non trovarlo mai. Non possiamo esserne certi. Secondo me stiamo solo camminando a vuoto.»

«Devi solo fidarti di me. Non hai nulla da temere.»

«Beh, che magra consolazione» ribatté la ladra. «Perché mai dovrei farlo? Perché sei un dio bello e intoccabile?»

«Mi reputi bello? È il primo complimento che ti sento fare nei miei confronti» disse Vidar, con un lato della bocca sollevato a dipingergli un sorriso storto.

Silye si voltò verso Sleipnir per coprire il rossore che le era venuto sulle guance per l'imbarazzo. «Ovvio che no. Ti prendevo in giro.»

Per sua fortuna Vidar non rispose, ma proseguirono come se quella conversazione non fosse mai avvenuta. L'unico suono che si sentiva erano di tanto in tanto le grida di persone ignote, che si alzavano da luoghi indefiniti del regno, giungendo fino alle loro orecchie e manifestando un dolore e una disperazione tanto acuti da spaventare la ladra. Ogni volta che le sentiva, infatti, veniva attraversata da un tremito di paura al pensiero di cosa stesse provocando delle urla così sofferenti.

Silye durante il cammino sollevò lo sguardo verso l'alto e si sorprese di non trovare il cielo. In lontananza si potevano scorgere delle rocce anch'esse dalle tonalità molto scure e in molti punti coperti dalla nebbia che sembrava permeare l'intero luogo. Solo allora si ricordò che l'Helheimr era un regno sotterraneo e che da là sotto non si poteva certo vedere il cielo.

«Eccolo!» esclamò Vidar, inducendo immediatamente la ragazza a voltarsi per guardare il punto che il dio stava indicando. In lontananza, scorse un'enorme costruzione interamente in ghiaccio, che si adattava perfettamente all'atmosfera cupa che permeava quella terra desolata. Aveva alte mura e sembrava quasi un'imponente roccaforte che dall'alto osservava minacciosamente coloro che osavano avvicinarsi. Silye pensò che fosse la dimora esemplare per la regina degli Inferi, di un luogo talmente grigio e pieno di disperazione. L'unica cosa che lo differenziava dai dintorni era il fatto che in alcuni punti e sulla parte superiore era ricoperto da una sorta di manto bianco che appariva simile alla neve. Il castello era composto da miriadi di torri dalle dimensioni variabili, che non facevano altro che accrescere la maestosità della costruzione, insieme all'enorme cancello che lo circondava.

Tuttavia, per arrivarvi, avrebbero dovuto attraversare un largo fiume tramite un ponte dal colore simile all'oro, che, però, ancora Silye non riusciva a osservare attentamente a causa della distanza frapposta tra questo e loro.

«A quanto pare, Hel si tratta molto bene» disse Silye, stupita e spaventata allo stesso tempo da quel palazzo talmente grandioso.

«Già» asserì Vidar. «Quello è il fiume Gjöll. Se mai dovessi cadervi dentro, verresti trafitta dalle milioni di lame di spade che scorrono al suo interno.»

«Posso immaginare che bagno rilassante dovrà essere» scherzò Silye, per sdramatizzare e nel tentativo di diminuire tutta la paura e l'inquietudine che in realtà provava. «Farò attenzione quando ci passerò sopra.»

Man mano che si avvicinavano, la ladra iniziò a distinguere una figura che si trovava in piedi proprio davanti al ponte e la cui attenzione sembrava tutta rivolta verso di loro. Come si furono fatti più vicini, Silye si accorse che si trattava di una ragazza. Questa aveva lunghi capelli castani e dei tratti molto delicati, nonostante il corpo muscoloso e le vesti da guerriera. Lanciò loro uno sguardo interrogativo e vagamente minaccioso.

«Móðguðr» affermò Vidar, chiamandola per nome. «La guardiana del Gjallarbrú, l'unico ponte attraverso il quale si può accedere al castello di Hel» aggiunse successivamente, spiegando a Silye chi fosse quella donna.

«Chi siete, stranieri? Cosa ci fanno due vivi nella dimora dei morti e della loro regina?» chiese quella, con voce imperiosa.

«Dobbiamo incontrare Hel» si intromise Silye e Vidar le lanciò uno sguardo ammonitore, come a volerle dire: Lascia che sia io a parlare.

«Per quale motivo volete farlo?»

«Ti basti sapere che sono il figlio di Odino e devo urgentemente parlare con lei» disse, mostrando con fierezza la lancia appartenuta a suo padre.

Quella inizialmente sembrò impallidire, ma riassunse quasi subito il suo cipiglio indagatore. «Il figlio di Odino» mormorò. «Abbassa la tua arma, dio. Non ti servirà a nulla contro di me. Per quanto tu possa essere forte, non ti conviene sfidare una gigantessa.»

Silye restò stupita quando sentì la ragazza pronunciare il nome della sua specie: aveva sì una corporatura molto robusta, più del normale, ma a prima vista non le era apparsa tanto grande quanto un gigante.

«Però, credo che la regina non negherà di ricevere la visita del figlio di Odino e accoglierti nella sua dimora.» Silye tirò un sospiro di sollievo: quella donna le metteva una certa soggezione con i suoi modi bruschi. I due fecero per avviarsi sul ponte, quando quella li bloccò: «E la ragazza?»

«Io...» mormorò Silye. Già, lei chi era? Una ladra, quella che era stata da sempre, o una veggente, nome in cui ancora non riusciva completamente a ritrovarsi?

«Lei è una völva» affermò con tono deciso Vidar. «È con me.»

Inizialmente la gigantessa parve stupita, ma mascherò subito la sorpresa, affermando un semplice «Bene». Quindi si fece da parte per permettere loro di salire sul ponte.

Ora che poteva guardarlo da vicino, Silye si meravigliò nel constatare che effettivamente il colore dorato del ponte era dovuto al fatto che il materiale di cui era composto era proprio oro. Vederne così tanto, in dimensioni ancora maggiori del lingotto d'oro di Vidar, la lasciò stordita. Non sarebbe riuscita a guadagnare tante ricchezze neanche rubando ogni singolo abitante di Midgard, eccezion fatta per il Konungr e la sua famiglia.

«Come ho detto prima, Hel si tratta davvero bene» disse Silye, appoggiando una mano sulla ringhiera splendente del ponte, prima di correre per raggiungere Vidar e Sleipnir, che lo avevano già percorso tutto, arrivando fino all'altra sponda. La ladra lanciò un ultimo sguardo al fiume, in cui notò, come le aveva rivelato il dio, degli oggetti affilati che si muovevano al di sotto della superficie dell'acqua.

Si accorse, inoltre, che, una volta superato il ponte e essere arrivata sull'altra riva, il terreno era ora ricoperto da un sottile strato di neve, che, tuttavia, non era ancora abbastanza da riempire tutto il suolo. Proseguirono dritti in direzione del castello, percorrendo una stretta via. Ai lati della strada a Silye parve di vedere delle pietre, ma, guardandole con più attenzione, si rese conto che in realtà erano ossa di cranio e scheletri che un tempo erano stati parti di corpi ormai logorate dal tempo e dal clima ostile e perenne che vigeva nell'Helheimr e, in particolare, in quella zona del regno. Man mano che continuavano sulla stessa via, le ossa si moltiplicavano, fino a creare delle vere e proprie montagnole che emanavano una puzza insopportabile di muffa e morte.

«Questo posto avrebbe bisogno di un po' di pulizia» notò Vidar, tappandosi il naso per risparmiarsi l'odore nauseante.

Silye annuì, concordando con lui. Aumentarono il passo per sfuggire al massacro che li circondava e nel giro di poco si ritrovarono davanti ai cancelli d'ingresso del castello. Questi erano fatti di ghiaccio e, quando Silye vi posò una mano, venne attraversata da una scarica di freddo che la fece tremare. Provò a spingere il cancello e quello si aprì con un cigolio, che risuonò tanto forte da coprire le grida che continuavano a giungere in lontananza.

Come entrarono, i due vennero attraversati da una folata gelida: nel palazzo di Hel doveva essere ancora più freddo di quanto fosse nel resto del regno. Davanti a loro si stagliò l'enorme palazzo della dea, che, al solo vederlo, ebbe il potere di far accapponare la pelle a Silye.

«Ecco Éljúðnir, la grande reggia di Hel» mormorò Vidar, mentre si avvicinavano ad essa. La ladra vide che davanti al portone d'ingresso si trovava un'alta figura, che, tuttavia, a quella lontananza non riusciva bene a distinguere.

Quando si fecero più vicini, comprese subito chi era la persona che li stava evidentemente accogliendo: Hel. Lo capì dai lunghi capelli neri e l'abito raffinato che indossava, dello stesso colore scuro. Tuttavia, c'era un particolare che forse le era sfuggito nella visione: parte del viso e del petto che si intravedeva attraverso il vestito erano ossa. Nessuna pelle, né muscolo: solo uno scheletro bianco e vuoto. Poi si ricordò che nella visione Hel era posizionata di profilo, sicuramente dalla parte del volto umana. Rimase a bocca aperta quando vide il suo strano aspetto. La metà scheletrica del viso era inespressiva e in alcuni punti putrefatta; inoltre, al posto dell'occhio vi era solo un buco nero. Anche la parte di corpo normale aveva un qualcosa di cadaverico: la carnagione era pallida e le labbra anch'esse innaturalmente chiare. Ciò che, però, davvero la inquietava era l'unico occhio che aveva: questo, infatti, eran di un azzurro tanto chiaro e profondo da rendere il suo sguardo ancora più duro e crudele di quanto già sembrasse. Un occhio di ghiaccio, come il suo cuore. Difatto, tutto in lei dava l'impressione di un completo gelo, un rigido inverno senza la speranza dell'arrivo della primavera.

«Guarda chi è venuto a farci visita» disse la dea, con una voce che gelò il sangue nelle vene di Silye, trasmettendole un forte senso di disagio e paura. «Per la prima volta ho il piacere di vedere il più forte dei figli di Odino e di tutti gli dei.»

«Sei molto gentile, Hel, ma le tue lusinghe non mi interessano.»

«E allora cosa sei venuto a fare se non per sentirti lodato?» replicò Hel, con un leggero filo di ironia.

«Vogliamo sapere dei tuoi rapporti con la viverna Nidhöggr e, se non vuoi avere problemi con Asgard, ti consiglio di dirci tutto.»

«Nidhöggr? La serpe che un tempo viveva nel mio regno? Mi duole dirti che hai fatto un viaggio a vuoto» disse Hel. Silye si sentì del tutto estraniata dalla conversazione, come era avvenuto anche durante l'incontro con l'elfo Elurín. La dea non le aveva ancora rivolto la parola, né aveva posato i suoi occhi su di lei. Da una parte si sentì sollevata da ciò, ma la sua marginale importanza nella missione di Vidar non faceva altro che convincerla sempre di più di essere una completa sconosciuta in quel nuovo mondo e inadeguata ad essere una völva.

«È inutile mentire: so benissimo che l'hai incontrato. Quando? Lui dove si trova?» continuò Vidar.

«Quante domande, giovane dio. Tuo padre non ti ha insegnato nulla sul come trattare i tuoi pari e superiori?»

«Non osare parlare di lui, traditrice» ringhiò Vidar. Silye poteva chiaramente percepire la rabbia che traspariva dalle sue parole, ma non riusciva a spiegarsi per quale motivo.

«Io, una traditrice?» le labbra di Hel, insieme all'osso della mandibola del teschio, si aprirono in una risata. «Sei troppo giovane per sapere il trattamento che gli altri dei, compreso Odino, riservarono a mio padre Loki e ai miei fratelli.»

«Forse perché se lo meritavano.»

«Come tuo padre meritava di morire?» domandò Hel, stavolta con un tono ancora più alto e duro.

Silye non si accorse subito di cosa stesse accadendo, ma, prima che i suoi occhi riuscissero anche solo a vederlo e la sua testa a comprenderlo, Vidar era già scattato. Hel rimase ferma immobile, senza alcun segno di preoccupazione sulla parte del volto di carne, e Silye sentì che c'era qualcosa di strano nella sua espressione: si era aspettata quella mossa. L'aveva provocato apposta.

Vidar stava correndo verso Hel per colpirla, ma nel giro di pochi secondi vennero circondati da una schiera di individui coperti solo da un lungo e scuro mantello che impediva di definirne le fattezze. Vidar venne fermato da uno di loro e subito cercò di ribellarsi, riuscendo a liberarsi solo facendolo cadere a terra. Indietreggiò fin quando non si trovò accanto a Silye, ma senza smettere un attimo di fissare il volto di Hel oltre le spalle degli incappucciati.

«Non è leale, né educato cogliere così di sorpresa una donna» affermò quella.

«Maledetta!» ruggì Vidar, posseduto da una furia immensa e cieca, come Silye non lo aveva mai visto.

«Dopo ciò che hai fatto in passato, non potevi credere di riuscire a entrare nel mio regno senza che io ti chiedessi il prezzo delle tue azioni» disse Hel e nel suo sguardo la ladra vide puro odio.

Silye guardò Vidar, che era ancora fremente di rabbia. Ciò che più avrebbe voluto fare era domandargli a cosa stesse alludendo la dea e cosa Vidar avesse compiuto di tanto terribile da farla adirare in tal modo, ma comprese che quello non fosse il momento adatto e si limitò a chiedere: «E ora?»

«Scappiamo» sussurrò lui.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Ed ecco a voi Hel! Un incontro abbastanza agitato per Silye e Vidar, non credete? Hel e Vidar hanno diversi conti in sospeso, che daranno non pochi problemi a lui e alla ladra. Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Vi mostro anche un mio disegno su Hel:

commercial photography
locations

Non so se riesce a dare l'idea dell'aspetto e anche in parte del carattere che di lei trapela dalla storia.^^

A presto!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 25 - In trappola ***



Capitolo venticinque

In trappola


Vidar colpì alcuni degli esseri incappucciati con la lancia in un'unica, precisa e potente mossa: quelli vennero scaraventati lontano, scoprendo una via verso i cancelli del palazzo. «Corri, corri!» gridò il dio a Silye, mentre coglievano al volo l'opportunità di fuga.

«Dov'è Sleipnir?» urlò la ragazza, per farsi sentire oltre la voce imperiosa di Hel che comandava: «Inseguiteli!»

«Ora non c'è tempo» disse Vidar, senza alcun segno di affanno dopo il colpo con la lancia e la corsa.

Avevano guadagnato un po' di tempo per la velocità con cui gli ultimi eventi erano accaduti e loro si erano dati alla fuga, lasciando gli avversari, Hel in primis, sbigottiti. Tuttavia, quelli si erano lanciati subito al loro inseguimento e i due dovevano sbrigarsi se volevano riuscire a sfuggirgli.

Silye correva più che poteva, come innumerevoli volte aveva fatto nel bosco di Hoddmímir e per quanto lo strato di neve che copriva il suolo le permetteva; in poco raggiunsero il cancello di ghiaccio, ma la ladra, quando fece per aprirlo, si accorse che quello era chiuso.

«Non possiamo uscire» strillò Silye, mentre l'ansia, mischiata alla fatica, prendeva il possesso di lei e delle sue facoltà.

«C'è sempre un modo» affermò Vidar, risoluto. Almeno uno di noi riesce a pensare lucidamente si disse Silye, cambiando subito idea quando lo vide arrampicarsi sul cancello e scalarlo.

«Sei matto? È di ghiaccio: scivoleremo.»

«Avanti! Non c'è tempo» le gridò Vidar, poco prima di saltare dall'altra parte. Silye lanciò uno sguardo dietro di sé e vide le figure ammantate di nero avvicinarsi sempre più pericolosamente, correndo talmente veloci da sembrare che stessero volando, senza toccare il terreno. La ladra lasciò da parte ogni buon senso e si issò anch'essa sulle grate ghiacciate del cancello, arrivando sulla sommità.

«Lanciati, Silye!» esclamò Vidar sotto di lei, con la braccia aperte come a volerla rassicurare che poteva gettarsi senza temere di farsi male. La ragazza chiuse gli occhi e si tuffò, atterrando accanto al dio. Rischiò di sbilanciarsi e cadere di lato, ma le braccia forti e protettive di Vidar la sorressero, per poi lasciarla subito dopo, mentre Vidar riprendeva a correre lontano dal cancello di ghiaccio. Silye lo seguì, cercando quanto poteva di restargli dietro.

La ragazza ebbe appena il tempo di dare un'occhiata alle creature dietro di loro, che ora stavano tranquillamente oltrepassando il cancello probabilmente aperto da Hel, che si lanciò immediatamente in una corsa sfrenata. In pochi istanti ripercorsero a ritroso la via che portava fino al palazzo della dea e giunsero al ponte controllato dalla gigantessa Móðguðr. Anche stavolta la videro, in piedi e vigile, dando loro le spalle. La circuiorono e, quando lei li vide scappare e tentò di acchiapparli, ormai era troppo tardi, perché loro si erano già allontanati in fretta. Silye non riuscì a capire se la gigantessa si fosse gettata nell'inseguimento, perché non aveva più il coraggio, né il tempo o la forza di girarsi o fare altro se non correre.

Nonostante l'ansia e la paura che le creature potessero raggiungerli e prenderli e il luogo spettrale che li circondava, Silye trasse conforto dal movimento continuo delle gambe e dal leggero dolore che iniziavano a manifestare i muscoli dopo aver corso tanto. Era come se quelle rapide azioni le riportassero alla mente i giorni spensierati passati nel bosco insieme ad Úlfur e le innumerevoli volte in cui aveva percorso di corsa l'intero bosco seguita dal cane, impiegando quasi un'intera giornata.

Pensare al passato e al lungo periodo di vita e solitudine a Hoddmímir con Úlfur aveva il potere di calmarla, di farla concentrare sulla corsa e sul suo respiro e riflettere lucidamente sulla situazione. Per qualche motivo Hel aveva mandato alle loro calcagna degli strani individui vestiti di nero ed ora loro stavano scappando senza una meta, né una via d'uscita, dato che Sleipnir era rimasto nel palazzo della dea e non c'era modo di andarsene senza di lui. Erano in trappola.

«Dove stiamo andando? Come faremo ad uscire dall'Helheimr?» domandò Silye, con il fiato corto.

«Pensa solo a correre» disse di rimando Vidar, senza fermarsi, né girarsi verso di lei.

«Dimmelo!»

Finalmente il dio voltò la testa, anche se solo per poco, guardandola in faccia. «Non ne ho la più pallida idea.»

«Rassicurante!» affermò Silye, per mascherare la preoccupazione con l'ironia. «E allora cosa facciamo? Continuiamo a girare in tondo fin quando non ci reggeremo più in piedi?»

«Quello è il piano» ghignò Vidar.

«Andiamo: sono seria! Deve esserci qualcosa che possiamo fare per andarcene, oltre a questa pazzia.»

«Pensa a correre» ripeté ancora una volta il dio, facendo saltare i nervi a Silye, che si chiuse in un silenzio ostinato, lasciando che i piedi e le gambe si muovessero da sé, quasi in modo meccanico. Avanzavano tra la nebbia e il buio degli Inferi, lasciandosi dietro l'imponente e freddo palazzo di Hel.

Proseguirono ininterrottamente per quelle che a Silye parvero ore, fin quando non fu costretta a fermarsi, sfinita e con il petto che le sembrava in procinto di scoppiare per quanto velocemente si alzava e riabbassava. «Vidar» chiamò il dio, che finalmente si fermò e si voltò verso di lei. Silye notò che, nonostante l'enorme fatica, non dava alcun segno di stanchezza, né sudore. «Non possiamo continuare così» disse, per poi aggiungere sottovoce, per non farsi udire da Vidar. «Non ce la faccio.»

«D'accordo. Ormai dovremmo aver messo molte miglia tra noi ed Hel. Possiamo proseguire camminando.»

Silye annuì. Era sempre un'alternativa migliore al continuare a correre senza un luogo preciso verso cui si stavano precipitando.

A un certo punto la ladra iniziò a distinguere strane sagome in lontananza, sebbene queste fossero offuscate dalla nebbia. «Là!» gridò, indicando verso l'alto, dove aveva visto le ombre. «Là c'è qualcosa!»

«Quello... è l'Yggdrasill» mormorò Vidar, mentre l'oggetto si mostrava davanti a loro con sempre maggiore nitidezza man mano che gli si avvicinavano. Silye vide delle colline scure e sopra di esse lunghe radici che si levavano fino ad un punto non ben preciso, poiché doveva trovarsi troppo in alto da poter essere raggiunto ad occhio nudo. Dava una sensazione spettacolare vedere fin dove si spingevano le enormi radici dell'albero: un'ulteriore prova della sua grandezza e maestosità.

Si chiese come mai, quando era sotto l'effetto della runa della vista, non fosse riuscita a vedere anche l'Hel. Forse aveva potuto raggiungere la punta dell'ultima radice dell'Yggdrasill, che ora vedeva distintamente, ma non oltre. O forse quel luogo era talmente oscuro e nebbioso che la runa non riusciva a illuminarlo.

«Le radici ci porteranno all'Yggdrasill e a Midgardr...» disse il dio e Silye si voltò a guardarlo, trovando un'espressione pensosa, ma in cui traspariva una certa eccitazione, come se quell'idea lo entusiasmasse profondamente.

«Sul serio? Come pensi di riuscire a reggerti sulle radici e risalire? Insomma, guardale: ci metteremo una vita a scalarle e non è neanche detto che riusciremo a tornare in superficie!»

«C'è sempre un modo» affermò Vidar.

«Sei troppo ottimista. Io la vedo solo come una missione suicida. E se uno di noi cadesse? A quella altezza non oso pensare cosa potrebbe succedere...»

«Abbi un po' di fiducia. Sei insieme ad un dio, non ad un garzone qualunque» la rassicurò Vidar, ma quell'affermazione non aiutò affatto a calmare Silye. Odiava ammetterlo, ma l'idea di scalare quell'enorme concentrato e intreccio di radici, con il costante pericolo di rovinare e spiaccicarsi al suolo, la terrorizzava.

Vidar si voltò a guardarla per la prima volta dopo ore. Sul suo viso Silye poté leggere quanta risolutezza avesse il dio. Sarebbe stato bello lasciarsi andare e fidarsi di lui, ma come poteva se sapeva già in partenza che lui non si sarebbe minimamente preoccupato per lei e la sua incolumità? Se non ci avesse pensato lei stessa, nessuno l'avrebbe fatto al suo posto, né lei voleva che accadesse. Voleva decidere da sola le sue scelte e il suo futuro, secondo le sue sole esigenze.

«Allora?» domandò Vidar. «Ti fidi?»

«Affatto. Ma abbiamo altra scelta?»

Il dio non disse nulla, perché la risposta era già perfettamente chiara ad entrambi.

«Bene. Facciamolo.»

Nonostante il sangue le si stesse ghiacciando nelle vene mentre guardava le meravigliose radici dell'Yggdrasill, pensò che sarebbe stata pronta a tutto pur di lasciare quel regno infernale e Hel.

Raggiunsero la collina che si trovava esattamente sotto alle radici, come a creare un passaggio diretto tra esse e la terra, tant'è che il punto più alto di essa si trovava a breve distanza dalla radice più lunga. Tuttavia, man mano che salivano, Silye si accorse che il suolo era bagnato e scivoloso. Abbassò lo sguardo e vide che aveva le scarpe tutte sporche di una sostanza melmosa e nera, che ben poco somigliava alla normale terra. «Vidar...» iniziò, ma qualcosa la interruppe. Una scossa. Molto leggera, ma l'aveva percepita distintamente. La terra si era mossa e non sembrava l'unica ad essersene accorta, dallo sguardo interrogativo che il dio le rivolse.

«Ma cosa...» domandò l'altro, prima che un altro tremore li scuotesse. Silye si abbassò e toccò la terra con le mani, come nel tentativo di cercare un appiglio. Per pochi attimi tutto tacque e sembrò tornare alla normalità, quando improvvisamente arrivò un'altra scossa.

«Cosa sta succedendo?» chiese Silye, sebbene Vidar ne sapesse quanto lei.

E, infatti, lui le rispose: «Non ne ho la minima idea.»

La terra riprese a muoversi, ma non solo: si stava letteralmente sollevando. Di fronte a loro si alzò una sorta di mucchietto di terra, o almeno tale appariva da quella angolazione. In seguito, la terra davanti a loro emise un suono molto simile ad un ringhio profondo e che fece accapponare la pelle a Silye.

«Oh no» ebbe il tempo di mormorare la ragazza, troppo scossa e spaventata per dire altro.

Il suolo continuò a muoversi, solo che stavolta si stava come rigirando, mentre si sollevava e la terra cadeva ai lati, rivelando uno strato inferiore che tutto sembrava eccetto il terriccio su cui finora avevano camminato. Al suo posto apparve una superficie sempre dai colori scuri. Silye andò a scostare la pelle sopra e si meravigliò di vedere e percepire sotto il palmo della mano delle squame. Ritrasse subito la mano e fece per voltarsi verso Vidar per chiamarlo e dirgli cosa c'era sotto di loro, quando il rumore si fece più forte e da un semplice ringhio divenne un acuto ruggito. «Dobbiamo andarcene!» strillò, abbastanza forte da riscuotere Vidar dal torpore che sembrava averlo avvinto. La terra continuò ad alzarsi e ora rischiavano di cadere indietro se non si fossero appigliati a qualcosa. «Reggiti alle squame» disse Silye, afferrando una grossa scaglia.

Vidar seguì il suo consiglio e anche lui si piegò. «Questa non è una collina... È una creatura.»

«L'avevo capito» ebbe la forza di commentare Silye, nonostante le tremasseo le gambe e le mani per la paura.

L'essere si sollevò, costringendo i due a reggersi più forte su di lui per non cadere, per poi ricadere in avanti. Quindi, la parte anteriore ruotò, girandosi verso di loro e mostrando quello che doveva essere il muso della bestia. Le fauci si aprirono, facendo sfoggio di due lunghe file di denti aguzzi e sottili e stordendoli con la puzza dell'alito proveniente dall'interno della bocca. Silye si rese conto che quella creatura assomigliava moltissimo alla serpe che aveva più volte visto nelle sue visioni, Nidhöggr, ma allo stesso tempo era diversa. Forse erano gli occhi, non abbastanza sottili e neri, o le dimensioni, di gran lunga minori rispetto a quelle che pensava fossero di Nidhöggr. Tuttavia, poteva essere certa di trovarsi per la prima volta davanti ad una viverna in carne e ossa.

Silye dovette spostarsi per evitare un morso della creatura e in quel momento Vidar si alzò, infilzando il muso della bestia con la lancia. Quella inizialmente si ribellò e tentò di ritrarsi, ma fu tutto inutile; ormai il colpo era stato sferrato e non le rimaneva altro che una lenta agonia. Vidar estrasse la lancia e, per rendere la morte della viverna più veloce, la fece ricadere anche sul punto in cui doveva trovarsi il collo della creatura, spezzandoglielo.

Vidar stava per girarsi verso Silye, che per tutto il tempo era rimasta accucciata, quando si levarono altri ruggiti. Quella non era l'unica viverna a trovarsi là.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Beh, si profilano molti problemi per Silye e Vidar (come se non ne avessero già abbastanzaXD). Come pensate che riusciranno a tirarsi fuori da questa situazione spiacevole?

Ringrazio tutti i lettori che continuano a darmi un incredibile e sentito supporto. Grazie mille!^^ A presto.

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 26 - Prigionia ***



Capitolo ventisei

Prigionia


«Dobbiamo scendere da qui» disse Vidar. Silye si guardò dietro e, oltre la coda acuminata della viverna, ormai accasciata senza vita come il resto del corpo della belva morente, e si accorse che la fine del pendio non era troppo distante da loro. Se avessero saltato, forse con un po' di fortuna sarebbero riusciti a scendere dalla collina e allontanarsi dalle serpi.

«Va bene» gridò, prima che Vidar le tendesse la mano libera dalla lancia. Silye ebbe un attimo di esitazione: e se fossero atterrati male e si fossero rotti qualche ossa? Allora sarebbe stato quasi impossibile riuscire a scappare o contrattaccare le serpi.

«Dannazione. Per una volta vuoi fidarti di me? Cos'è? Vuoi rimanere qui e finire il pasto di queste viverne?»

Silye scosse la testa e si decise: afferrò la mano di Vidar. Quindi presero la rincorsa e saltarono. La ragazza sussultò quando sentì improvvisamente la terra mancarle sotto i piedi. Vide il suolo diversi metri sotto di loro avvicinarsi pericolosamente, finché non atterrarono; per la violenza dell'impatto, Silye cadde di lato, lasciando la mano di Vidar, che, al contrario di lei, stava piegato a terra. Quando la sua spalla entrò a contatto con il terreno, anche la sua testa rimbalzò a terra per la velocità e la forza con cui il tutto era avvenuto, lasciandola frastornata e dolorante.

Vidar si sollevò pochi istanti dopo, non sembrando affatto provato dal salto e la successiva caduta. Le venne accanto e si abbassò, offrendole una mano. «Non vorrei metterti fretta, ma abbiamo delle viverne alle calcagna.»

«Vargdropi¹» sibilò Silye, più per sfogare l'adrenalina che aveva in corpo, che per insultare Vidar. Lui, tuttavia, non parve affatto offeso dall'insulto.

«Dici me o alle serpi?» chiese ironicamente Vidar, quindi sembrò improvvisamente irrigidarsi, attratto da qualcosa che stava alle spalle della ragazza, in direzione del pendio poco distante da loro. «Silye...»

Lei si voltò per guardare anche lei nel punto che Vidar adesso fissava con un cipiglio preoccupato. Quella che era sembrata una semplice collina si stava rivelando in realtà un covo di viverne: erano così tante da apparire impossibile contarle. Si muovevano, alzavano le enormi teste, ruggivano e si scrollavano di dosso la terra che finora li aveva coperti. E poi quelli più vicini si voltarono verso di loro, aprendo i loro piccoli e minacciosi occhi, ora liberi dalla melma.

Bastarono pochi attimi e quelli scattarono. Vidar non rimase fermo a guardarli, ma strinse in entrambe le mani la lancia e si preparò a colpirli. Silye non poté fare altro che mettersi dietro il dio per proteggersi dalle bestie. Odiava il fatto che non potesse fare nulla per aiutarlo e dovesse farsi difendere da lui, ma al momento era tutt'altro che utile. Si rammaricò di non aver pensato prima a portare il suo pugnale; era ben poca cosa rispetto alla lancia di Vidar, ma almeno avrebbe potuto dare il suo contributo, anziché rimanere indifesa, come la vittima e il pasto perfetto delle serpi.

Vide i muscoli delle spalle di Vidar, non coperti dalla maglia bianca, tendersi mentre il dio si preparava all'attacco. Una delle viverne sibilò, mostrando la lingua biforcuta. Silye, osservandole meglio, si accorse che c'era un altro dettaglio che le differenziava da Nidhöggr: non avevano le ali. Queste apparivano più come grandi serpenti, solo munite di zampe anteriori e posteriori.

Quindi due di esse scattarono all'unisono, tentando di assaltare Vidar, che però non si fece trovare impreparato. Evitò il muso di una e piantò la punta della lancia nell'occhio dell'altra. Quella ruggì di dolore e, non appena il dio estrasse l'arma, lo attaccò nuovamente con rinnovata furia. Anche stavolta il dio piantò Gungnir prima sulla zampa che la serpe aveva sollevato nel tentativo di artigliare la sua pelle, poi di nuovo nel muso con un movimento rapido e agile, stavolta affondando la lancia nella testa fino a farla risbucare nelle fauci e successivamente sotto la mandibola. Ormai non c'era più speranza per la serpe, che si accasciò al suolo, inerte.

Vidar riprese svelto la lancia per difendersi dalle altre belve. Ne arrivavano sempre in maggior numero e man mano che il tempo passava si riducevano anche le speranze di Silye di riuscire a sconfiggerle tutte. «Vidar, non possiamo farcela. Se vogliamo salvarci, l'unica alternativa è scappare.»

Il dio non si voltò, ma tornò all'attacco contro due viverne contemporaneamente.

«Vidar!» gridò Silye, e lui si girò a guardarla proprio nel momento in cui con la lancia tranciava di netto il corpo della bestia e schizzi di sangue rosso scuro, quasi nero, gli andavano a macchiare la faccia e la maglia bianca.

«Un figlio di Odino non può tirarsi indietro da una battaglia» ruggì di rimando, distogliendo subito lo sguardo, troppo occupato dal combattimento. Tagliò la testa a un'altra serpe che gli si era avvicinata sibilando e trapassò quella di un'altra ancora.

«Non puoi vincere da solo questa battaglia!» affermò Silye, con un tono quasi disperato. Vidar si stava lasciando travolgere dall'eccitazione della battaglia e dal desiderio del massacro; però, nemmeno la sua immensa forza sarebbe bastata ad uccidere tutte quelle viverne. Si girò alla ricerca di una via di fuga, ma il cuore le salì in gola quando si accorse che non c'era. Alcune serpi erano strisciate fino alle sue spalle, accerchiandoli.

La ladra si rese conto che quelle bestie dovevano essere molto più intelligenti di quanto apparissero; animali del tutto guidati dall'istinto non avrebbero mai pensato ad una strategia simile.

«Vidar...» mormorò, troppo spaventata anche per urlare. Vidar, tuttavia, sembrava completamente preso dalla battaglia, mentre sferrava colpi precisi e veloci, lasciando dietro di sé una fila di cadaveri. Silye indietreggiò mentre le serpi che aveva davanti si avvicinavano lentamente. «Vidar!» ripeté, stavolta con un grido, nell'esatto istante in cui una di esse si sollevava sulle zampe posteriori, troneggiando su di lei. Ricadde a pochi centimetri da lei e, aprendo le sue grandi e mostruose fauci, le azzannò il braccio destro.

Come Silye sentì i denti della bestia penetrare nella sua pelle e trafiggerle la carne, urlò con tutto il fiato che aveva. Il dolore era intenso e insopportabile, affatto comparabile a quello di quando si era volutamente tagliata i polsi, poiché la ferita era molto più profonda e la serpe l'aveva colpita con tanta forza e rapidità da coglierla di sopresa e rendere il morso più doloroso. La serpe continuò a stringere la presa sul suo braccio, affondando i denti più in profondità nella carne, fin quando Silye non credette di sentire l'osso rompersi.

All'improvviso la presa dell'animale si attenuò leggermente, ma la ragazza, con gli occhi socchiusi e ancora urlante per il dolore, non si accorse nemmeno che ormai i denti della viverna non erano più conficcati in lei. Dimentica di ogni sua conoscenza sulle ferite e sulle loro cure, portò una mano al braccio e, quando questa entrò a contatto con il sangue e la carne viva, il dolore aumentò, stordendola. Si morse le labbra fino a farle sanguinare; non aveva neanche il coraggio di guardarsi la ferita per paura di ciò che avrebbe trovato. Riuscì comunque a tenere gli occhi aperti, anche se solo per pochi istanti. Giusto il tempo di vedere Vidar dare il colpo di grazia alla serpe, che aveva ancora brandelli della sua pelle tra i denti, prima di cadere in ginocchio a terra e perdere i sensi.


La prima cosa che sentì non appena si risvegliò fu il freddo, accompagnato da un lancinante dolore in ogni parte del corpo, ma in particolare al braccio. Quasi non riusciva a muovere le dita per quanto le sentiva gelate.

Solo dopo pochi istanti si ricordò ciò che era accaduto gli ultimi minuti prima che perdesse conoscenza. L'attacco delle viverne, il duello di Vidar e poi la ferita al braccio e la sofferenza, subito seguita dall'incoscienza.

Riaprì lentamente gli occhi e si accorse di trovarsi sdraiata sulla neve, con parte del volto appoggiato sulla terra gelida. Tentò di muoversi, ma, come si spostò, il dolore al braccio si acuì, poiché era stata gettata a terra con la ferita rivolta verso il suolo. Gemette, cercando di sopprimere un urlo. Ignorò le fitte che il braccio e ogni altra parte del corpo le mandavano e si mosse quanto bastava perché il braccio non fosse più a contatto con la neve.

Quindi, in mezzo a tutto quel bianco fecero la loro comparsa delle scarpe nere, non molto ben visibili a causa del lungo strascico dell'abito dallo stesso colore. Sebbene quello fosse tutto ciò che riuscisse a vedere, comprese subito chi si trovasse di fronte a lei.

«Guarda chi ha fatto ritorno dal mondo dei sogni» affermò una voce canzonatoria. Silye riconobbe subito la persona a cui apparteneva: Hel. La donna si piegò in modo tale che la ladra riuscisse a vederne il volto, da una parte di una bellezza sconvolgente ed inquietante, dall'altra deteriorato. Le labbra carnose si aprirono in un sorriso che fece raggelare il sangue a Silye. «Il braccio ti fa molto male? Devi scusare le mie serpi, ma non sono abituate ad avere ospiti.»

Silye serrò le labbra per impedire che da esse uscissero altri lamenti, sebbene già il suo viso mostrasse tutta la sofferenza che stava patendo.

Il sorriso di Hel si fece più ampio, come se traesse gioia dalla sua sofferenza. «Sai, Vidar, non mi hai ancora detto chi sia questa ragazzina» disse, non distogliendo l'occhio azzurro da lei. «Sono davvero curiosa di sapere perché te la sia portata dietro come un cane.»

«Vuoi dire come fai tu con il tuo sposo? Non te lo porti anche te dietro come fosse un cane o un gioiello?» ribatté la voce tagliente del dio. Silye, tuttavia, colse una nota affatto abituale: sembrava stanco, tanto debole da non riuscire a parlare con la fermezza con cui finora era sempre stato solito prenderla in giro.

Il sorriso di Hel non vacillò, ma Silye vide chiaramente il fastidio che le aveva procurato il commento di Vidar. «Dyggvi² in vita fu un grande re, ma il destino non è stato dalla sua parte, dandogli la morte nel suo letto, anziché in battaglia e precludendogli il Valhalla. Io ho reso la sua esistenza nell'Helheimr migliore, sposandolo, ma questo rimane il mio regno ed io la regina indiscussa.» In seguito, aggiunse, guardando direttamente davanti a sé, dove Silye dedusse che si trovasse Vidar: «Fossi in te terrei a freno la lingua, giovane dio.»

Mentre la dea parlava con Vidar, Silye sollevò il capo per guardarsi intorno: si trovavano in un'enorme sala dalle pareti di ghiaccio e dal pavimento su cui era sdraiata ricoperto di neve. Doveva essere l'interno del palazzo di Hel a giudicare dal grande trono nero, su cui erano state poste diverse pellicce, che sovrastava ogni angolo della stanza. Si soffermò ad osservare quest'ultimo e notò che in realtà era costruito su migliaia di ossa e teschi tanto rovinati e sporchi da essere diventati gialli e marroni dal bianco originale. Rabbrividì al pensiero delle persone a cui dovevano essere appartenuti quegli scheletri.

«Sarai anche la regina di questa topaia, ma rimani la figlia del dio più buffone e odiato di tutti» continuò fieramente Vidar.

Hel si alzò di scatto, punta sul vivo, e gli lanciò uno sguardo che sarebbe stato capace di incenerirlo. Subito dopo, però, chiudendo le mani a pugno e prendendo un profondo respiro, sembrò ritrovare la calma e il contegno perduti, tornando l'Hel glaciale di pochi attimi prima.

«Ancora non mi hai spiegato chi sia lei» disse poi, spostando nuovamente lo sguardo su di lei.

«Come mai tutta questa curiosità, Hel? Hai paura che possa essere qualcuno di più forte di te?»

Silye, cercando come poteva di ignorare le fitte al braccio e muovendosi cautamente per limitarne il più possibile il dolore, si girò dall'altra parte, nella direzione di Vidar. Come lo vide, rimase allibita. Vidar era seduto a terra, forse troppo debole per stare in piedi, tenuto, però, leggermente sollevato da due degli individui incappucciati che lo tenevano per la maglia. Questa ormai era irriconoscibile: interamente rossa e in molti punti strappata, da cui si intravedevano ferite e graffi superficiali. Il suo viso, tuttavia, fu ciò che più spaventò Silye: tanto pieno di chiazze di sangue rosso scuro che era difficile trovare il naturale rosa della pelle. Anche le ciocche bionde dei capelli, soprattutto all'attaccatura della fronte, erano sporchi di sangue e terra. Eccetto i tagli al petto, non sembrava aver riportato gravi ferite dallo scontro, al contrario di lei, ma tutto quel sangue, sebbene sapesse che non fosse del dio, le faceva impressione e allo stesso tempo le dava un senso di timore verso Vidar. Quella era la prima volta che lo aveva visto uccidere e combattere dal vivo, non attraverso le visioni, e ora si rendeva davvero conto delle reali capacità del dio. Se avesse voluto, avrebbe potuto ucciderla in pochi attimi, senza neanche farle realizzare di stare per morire.

Vidar la guardò e, poco prima che Silye distogliesse lo sguardo, vide un leggero sorriso di incoraggiamento. La ragazza si voltò, sdraiandosi sulla pancia, per poi cercare di sollevarsi sulle ginocchia, riuscendoci solo con grande fatica e sofferenza.

«Sono solo curiosa di sapere qualcosa di più sugli sconosciuti che hanno avuto l'audacia di entrare nel mio regno. O forse è solo stoltezza» affermò, velenosa.

«Vámr³» sibilò Silye, mentre si scostava dal viso i ricci umidi per il lungo contatto con la neve.

Hel si girò lentamente verso di lei, scoppiando in una risata gelida e priva di alcuna vera allegria. «Sarà anche bella, ma manca totalmente di tatto. Potevi almeno insegnarle come si parla correttamente ad una divinità e spiegarle le conseguenze in cui incorre se ne insulta una» disse a Vidar, ignorando la ladra, sebbene continuasse a guardarla. Silye capì che era un modo per farle capire la sua inferiorità rispetto a loro e questo non fece che farla arrabbiare di più. «A quanto pare non sei riuscito ad ammansire il tuo cagnolino.»

Silye le lanciò uno sguardo infuriato, al quale Hel rispose con un'espressione divertita e avvicinandosi a lei. «A cuccia.»

La ladra le sputò in faccia, cogliendola del tutto di sorpresa e togliendole il sorriso dalla faccia. Hel fece una smorfia disgustata, ma, anziché ritrarsi, si asciugò il viso con la manica dell'abito, per poi afferrarle il viso con la mano umana. «Non sei affatto gentile» mormorò, graffiandole la guancia con le lunghe unghie.

Silye gemette man mano che quelle affondavano più in profondità nella pelle e lasciavano graffi sempre più estesi, ma non gridò. Il sangue le colò lungo la pelle, fino a raggiungere il lato della bocca e il profilo del viso.

Vidar gridò un « Lasciala stare!», che, tuttavia, arrivò attutito alle orecchie di Silye. Infatti, all'improvviso, il dolore al viso e al braccio e anche il volto spietato di Hel si erano fatti ovattati e lontani, mentre veniva trasportata lontano e colta dal familiare senso di incoscienza delle visioni.

Davanti a lei si materializzò un grande salone, in cui tutto, dal pavimento alle pareti, dal camino al trono che capeggiava su un lato di essa, sembrava costruito in oro. Sul trono stava seduto un uomo che indossava abiti scuri e all'apparenza raffinati, con posata sulla testa una corona gemmata. Silye ebbe subito la certezza che quell'individuo era il Konungr in persona. Vederlo là, circondato dal suo lusso e dalle sue ricchezze, le diede un moto di rabbia irrefrenabile. In piedi di fronte a lui c'era Hel, con lo stesso abito, ma stavolta coperto da un lungo mantello nero e con il cappuccio calato sul viso, forse nel tentativo di nascondere la sua parte scheletrica. Hel stava guardando il Konungr con in viso un'espressione profondamente soddisfatta, ricambiata dallo stesso sovrano, con una tale complicità che due individui potevano avere solo dopo essersi accordati su qualcosa o condividere gli stessi segreti e interessi. C'era qualcosa di losco e inquietante in quella scena e Silye moriva dalla voglia di sapere cosa si fossero detti durante il loro incontro.

Non appena la ladra si risvegliò dal torpore dovuto alla visione, sentì una presa ferrea sul suo viso, ancora artigliato con violenza dalle unghie della dea.

«Conosco quello sguardo. Sei una völva, non è così? Cosa hai visto?» stava urlando Hel, infuriata e fuori di sé. «Cosa? Dimmelo!»

Il suo occhio azzurro era puntato su di lei ed era certa che, se avesse potuto, la avrebbe incenerita con la sola forza dello sguardo. Silye sorrise, vittoriosa, e si ritrovò a godere della rabbia della dea. Aveva trovato un suo punto debole, qualcosa in cui Hel si ritrovava in netta inferiorità rispetto a lei. «Questo senso di impotenza...» iniziò, anche se ogni parola pronunciata le provocava una fitta per i graffi alla guancia. «Il fatto che tu non abbia la minima idea di cosa io abbia visto nella tua mente ti fa andare fuori di testa, vero? Beh, a quanto pare la piccola e indisciplinata völva è un passo avanti a te, vámr.»

La dea la lasciò di scatto con odio e disgusto. «Legatela» ringhiò e subito Silye si sentì afferrare e torcere indietro le mani. La ladra digrignò i denti quando il braccio ferito venne strattonato con violenza e lei venne fatta alzare in malo modo. «Portateli nelle segrete. State attenti a non fare del male al dio, o, almeno, non tanto da ucciderlo. Mi serve vivo. A lei, invece, potete fare ciò che volete.»

Anche a Vidar gli incappucciati legarono le mani, ma prima che Silye venisse trascinata via, sentì Hel dire a Vidar: «Presto il peso delle tue colpe ti schiaccerà, figlio di Odino.»



¹ Insulto norreno che letteralmente significa “Figlio di un criminale”, ma che potrebbe essere tradotto anche come “Figlio di un lupo”, dato che allora i lupi non erano animali molto apprezzati.

² Mitologico re svedese, che, a seguito della morte naturale, negli Inferi divenne consorte di Hel.

³ Insulto norreno che indica un individuo ripugnante e nauseante.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Salve! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Lo ammetto: mi sono divertita molto a scrivere di come Silye tiene testa a Hel. Un po' meno di quando è stata morsa dalla viverna, ma un minimo di violenza è necessaria in una storia come questa.

Ad ogni modo, era da giorni che mi ronzava nella testa l'idea di creare una sorta di trailer su di essa, sia perché ultimamente ne ho visti molti su Wattpad, sia perché alcuni video mi avevano ispirata e ricordato Völuspá. E allora, avendo già qualche esperienza con il montaggio di video, ho pensato: perché non fare un tentativo? Non aspettatevi granché: questo è solo un video senza pretesa, fatto più per divertimento, ma, dato l'impegno che ci ho messo, nel mio piccolo mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato.

Eccolo: https://www.youtube.com/watch?v=h63HctS7PWo

Mi sono fatta anche un'idea degli attori prestavolto dei personaggi, che vedrete anche nel "trailer", anche se ammetto che non è stata un'impresa facile, dato quanto sono puntigliosa in queste cose. Silye me la immagino come Rachel Hurd-Wood (naturalmente quando ha i capelli ricci e rossi come lei), ma in alcune clip del video ho anche usato Amy Manson (la Merida di Once upon a time) per rappresentarla, mentre Vidar come Finn Jones (per chi lo ha presente, ha interpretato Loras Tyrell in Got), ma anche nel suo caso ho messo video e scene in cui viene impersonato da Travis Fimmel (Ragnar di Vikings) e da Chris Hemsworth.

Un'ultima cosa: semmai deciderete di dargli uno sguardo, fate molta attenzione ad alcuni personaggi che ho inserito appositamente e di cui sentirete presto parlare.

Spero che il video riesca a restituirvi l'atmosfera della storia e che possa piacervi.^^ Grazie mille a tutti e un abbraccio!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 27 - Fuga ***



Capitolo ventisette

Fuga


Venne trascinata malamente per delle scale che le sembravano infinite e arrivare sempre più in profondità, laddove non vi era alcuna possibilità di fuga e salvezza. Man mano che scendevano, la poca luce che aveva illuminato la sala del trono, aumentata dalle pareti di ghiaccio e dalla neve, diminuiva sempre più, fin quando non rimase altro che buio e fanghiglia.

Spesso durante la discesa, come se non bastassero già le ferite che aveva riportato nello scontro con le viverne, venne molteplici volte percossa o sbattuta contro il muro dagli incappucciati. Quando le loro mani entravano in contatto con la sua pelle, per invogliarla a camminare o per colpirla, sentiva un brivido freddo percorrerle la schiena. Tutto ciò che riusciva a vedere di quegli individui e che non era coperto dal mantello e dal cappuccio erano le mani, totalmente bianche e fredde, simili a quelle di un cadavere.

Finalmente giunsero alla fine delle scale e venne portata in un luogo stretto e lungo, in cui non si riusciva a vedere e sentire nulla oltre all'oscurità e al gelo. Gli uomini la fecero avanzare di qualche passo, prima di muoversi per andare ad aprire qualcosa di simile ad una porta o ad un cancello, dato che Silye, sebbene non riuscisse a vedere nulla, sentì un cigolio. In seguito venne sospinta da un lato e gettata a terra con uno spintone. Silye mise avanti le mani per proteggere il petto e il viso nella caduta, provocandosi altro dolore al braccio, che finì dritto nel fango che sembrava trovarsi ovunque a quella profondità. La porta venne richiusa di scatto.

Silye non se ne intendeva molto di ferite, - tutto ciò di cui era aconoscenza apparteneva alle reminescenze delle völve vissute prima di lei e che aveva ereditato -, ma sapeva che, se nella ferita entrava lo sporco e non si ripuliva subito, c'era il rischio che questa si infettasse. La ladra si mise a sedere e strisciò finché non sentì dietro di sé un muro di pietra. Quando si fu appoggiata, si pulì una mano sul davanti dell'abito, la parte meno sporca del suo corpo e degli indumenti, e cercò di togliere la terra sul braccio intorno alla ferita, da cui partiva un dolore ancora più atroce di prima dopo la spinta degli uomini. Era ben poca cosa, ma al momento quello era tutto ciò che poteva fare per cercare di pulire la ferita e limitare la sofferenza.

Posò la testa sul muro, grata di quel momento di calma dopo le peripezie che avevano affrontato a seguito del loro tentativo di fuga dall'Helheimr, che si era rivelato del tutto inutile. Socchiuse gli occhi e si lasciò scappare un gemito; in quel momento, cullata dal buio e dal silenzio, si sentiva completamente sola e libera di dare sfogo alla stanchezza e al dolore.

Tuttavia, quel minuto di fragile tranquillità venne spezzato dal sopraggiungere di alcune voci. Silye spalancò gli occhi, nonostante ciò fosse totalmente vano date le tenebre che la circondavano, e cercò di cogliere a chi appartenessero. Dopo poco comprese che era solo una persona a parlare: Vidar. Si stava sicuramente ribellando alla ferrea presa degli incappucciati, cercando invano una scappatoia e un modo per liberarsi di loro.

«In nome di tutti gli dei, lasciatemi! Sporchi fífl¹!» stava urlando, ma gli individui non sembravano avere neanche cura di rispondergli. Si limitavano a stringerlo forte, per poi spingerlo e rinchiudere anche lui in una cella diversa da quella in cui si trovava Silye.

La ragazza continuò a sentire le sue grida, gli insulti e i tentativi di scassinare il cancello per qualche minuto, finché non si decise a parlare. «Smettila. È del tutto inutile. Non si può uscire da qui.»

«Non vale per me. Non può valere anche per me» affermò risoluto, per poi aggiungere in un sussurro. «Sono un dio.»

«Questo non ti rende invincibile.»

Non sentì alcuna risposta giungere da Vidar, solo un'altra botta al cancello, che risuonò forte nelle prigioni, rimbombando sulle pareti. Silye pensò che fosse stato più un atto di rabbia che un vero e proprio sforzo per uscire.

Per qualche minuto, tutto tacque. Si sentiva solo il leggero e lontano suono di gocce d'acqua che dal soffitto cadevano a terra, tuffandosi in altrettante pozzanghere. Silye rifletté che dovevano trovarsi in una specie di grotta, a giudicare dai rumori e dall'eco.

«A cosa alludeva Hel quando ha parlato del peso delle tue colpe

Vidar rimase in silenzio, lasciando la domanda di Silye sospesa nell'aria, irrisolta. La ladra iniziò a spazientirsi del suo comportamento.

«Ho bisogno di conoscere colui per cui rischio la vita ogni singolo giorno. Voglio sapere cosa hai fatto per far arrabbiare tanto Hel, perché, a causa di un qualcosa che, a quanto pare, non è altro che opera tua, ho rischiato di rimetterci le penne.»

«Quindi vorresti sapere di più su di me» disse Vidar, con una nota di leggero divertimento nella voce che non sfuggì a Silye.

«No, io esigo di saperlo.»

«Ognuno porta sulle proprio spalle pesi, colpe e segreti che mai vorrebbe rivelare agli altri. Non è così anche per te, ladra?»

Silye rimase stupita di come la voce del dio fosse cambiata così velocemente e diventata tanto tagliente. Deglutì, senza dire nulla, ma conoscendo già bene in mente la risposta a quella domanda retorica.

Nonostante morisse dalla voglia di sapere cosa Vidar avesse commesso di tanto grave da essere più volte ribadito da Hel, comprendeva fin troppo bene perché Vidar si tenesse ben stretto i suoi segreti: in fondo, non lo faceva anche lei?

«Come pensavo» concluse Vidar e il silenzio tornò a regnare tra di loro.

Silye in un primo tempo cercò di rimanere sveglia, attenta al minimo segno della presenza di qualcuno e alla più piccola possibilità di fuga, ma nessuno scese nelle prigioni e sembrava che non ci fossero altri che lei e Vidar. Dopo pochi minuti la stanchezza prese piede, dopo fatiche ed eventi tanto turbinosi, e i suoi occhi si chiusero lentamente, man mano che sprofondava nel sonno agognato.


«Silye» mormorò la voce di Vidar, facendola tornare dal mondo dei sogni. «Rispondimi! Sta arrivando qualcuno.»

La ladra spalancò gli occhi e si sollevò a sedere. Effettivamente percepì anche lei dei passi lontani, che si stavano facendo sempre più forti. «Sarà Hel?»

«Molto probabile.»

«Perché pensi che abbia detto che tu le servi vivo?» domandò Silye, ricordando una delle ultime parole pronunciate dalla dea prima che venissero mandati là sotto.

«Non ho la più pallida idea di cosa abbia in mente quella megera.»

O forse erano i suoi servitori, venuti per torturarla o, peggio, ucciderla. In fondo, Hel stessa aveva detto loro che avrebbero potuto fare di lei ciò che volevano, dato che era inutile. O magari l'avrebbero seviziata per constringerla a rivelare a Hel cosa aveva visto nella visione, di cui la dea si era effettivamente accorta. Silye venne attraversata da un brivido al solo pensiero.

Intanto, chiunque stava facendo le scale doveva essere giunto alla fine di esse, perché i passi si fermarono di colpo. Dopo pochi istanti ripresero a risuonare per l'intera caverna, fino a bloccarsi poco più avanti. Poi Silye sentì un suono metallico come di chiavi sbattere tra loro e di nuovo l'individuo farsi vicino alla sua cella. Ora che le stava di fronte, la ladra riusciva a distinguere una figura dietro alle sbarre nere del cancello, poiché dopo tanto tempo passato nel buio più totale i suoi occhi avevano iniziato a scorgere qualcosa oltre la coltre scura delle tenebre. Altro rumore di chiavi e stavolta le sembrò che queste fossero state infilate nella toppa del cancello e girate. Questo si aprì con un cigolio e Silye si sollevò, ora più rinvigorita di prima per il breve riposo, ma pur sempre dolorante al braccio, alla guancia e alle gambe per la lunga corsa nel tentativo fallito di fuggire dall'Helheimr.

«Chi sei?» provò a chiedere, ma la figura non rispose, bensì si allontanò, sparendo dalla sua fioca vista. Era certa che non potesse essere Hel, perché l'individuo non le assomigliava affatto d'aspetto, per quel poco che era riuscita a scorgere, e soprattutto lei non si sarebbe mai comportata in quel modo, aprendole il cancello e lasciandole la possibilità di scappare.

Sentì nuovamente il suono delle chiavi e del cancello di un'altra cella aprirsi. Silye camminò verso la porta dell'angusta stanza in cui non riusciva a calcolare quanto tempo avesse passato. Quando ebbe raggiunto il cancello e vi si fu appoggiata, guardando nel punto dove presumeva si trovasse la cella di Vidar e l'individuo, si accorse che là non c'era più nessuno.

All'improvviso il luogo venne illuminato da una luce rossastra e debole. Si girò verso la fonte dell'illuminazione e rimase stupita nel vedere colui che li stava liberando da quelle prigioni. Era un uomo, adulto e dalla corporatura vigorosa e robusta. Aveva un viso bello e giovane, quasi senza età, sebbene fosse evidente dalla sua espressione dura tutta la sua maturità. I suoi capelli, lunghi fino alle spalle, erano tanto biondi da apparire bianchi alla tenue luce del fuoco proveniente da una fiaccola improvvisata e alcune ciocche erano unite in sottili treccine. Il mento era coperto da una barba incolta che gli contornava il viso, donandogli un aspetto più selvaggio e allo stesso tempo severo. Indossava vesti di pelle, marroni: abiti da battaglia. Le sue intenzioni erano rese ancora più chiare dall'ascia che teneva in mano.

Silye, come vide quell'uomo e l'arma, indietreggiò. Eppure, sentì di avere già visto quell'individuo. Forse era a causa della straordinaria somiglianza con Vidar, ma le appariva incredibilmente familiare.

«Baldr?» esclamò Vidar stupefatto, dietro la ragazza.

Baldr. Un pensiero colse la mente di Silye: aveva visto un suo disegno nel libro lasciatole dalle völve. Non era facile ricordarsi i nomi di tutte le divinità esistenti e lei era certa che non fossero state scritte tutte, o solo quelle abitanti Asgard, poiché non vi era traccia di Hel, ma Baldr era uno dei pochi che le era saltato all'occhio. Vi era stata riportata la leggenda di alcuni suoi fatti di vita e vicende, come l'ammirazione che tutti gli dei provavano per lui e il suo ingiusto assassinio.

Ma ora proprio quel dio era davanti a loro, in carne ed ossa.

«Fratellino» disse lui, abbandonando l'espressione di serietà e guardandolo con affetto.

Vidar gli andò incontro e lo abbracciò, dandogli delle forti pacche sulla spalla. Sembrava sinceramente commosso e felice di vederlo e lei ancora una volta, come era già avvenuto con l'elfo Elurín ed Hel, si sentì fuori posto, un'estranea non gradita.

«Non posso lasciarti solo neanche per meno di una settimana che già ti infili in un guaio» affermò Baldr, sciogliendo l'abbraccio. «Cosa ti è saltato in mente quando hai deciso di venire nell'Helheimr? Sai bene che Hel è pericolosa.»

«Tu invece sai benissimo che sono anche capace di badare da solo ai miei problemi.»

«Questo» disse il dio, aprendo le braccia come ad indicare tutto quel luogo e quella situazione «non è il modo di badare e risolvere i tuoi problemi. È il modo più efficace per farti ammazzare.»

«Andiamo, Baldr: non sono più un ragazzo imperbe.»

«E allora dimostralo, senza cacciarti nei guai ogni singolo giorno.»

Sul volto di Vidar sembrava essere scomparso ogni segno di gioia per l'incontro con il fratello, soppiantato dalla ferita bruciante all'orgoglio. Silye poteva capire benissimo cosa stava provando, perché era esattamente come lui stesso l'aveva fatta sentire innumerevoli volte.

«Andiamocene di qui prima che Hel si accorga che vi ho fatti uscire.»

Baldr fece strada ai due, mettendo davanti la fiaccola per illuminare il percorso. Silye fece un leggero sospiro affranto constatando quante scale avrebbero dovuto fare. Di certo sarebbe stato meno doloroso senza le sevizie degli uomini di Hel, ma non meno faticoso.

«Già stanca?» chiese Vidar, venendole vicino e distaccandosi dal fratello.

«Ormai dovresti aver capito che non conosco la parola stanchezza» affermò Silye, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso.

«Il tuo braccio non è per niente messo bene» notò di Vidar, toccandolo e facendola fermare. «Hai perso molto sangue.»

Silye, ora che erano illuminati alla luce, seppur flebile, delle fiamme, si guardò l'arto, poco sotto la spalla, e vide finalmente la causa del suo continuo dolore. La maglia era completamente strappata e sporca di sangue, che la rendeva ancora più scura di quanto fosse nei lembi lacerati che circondavano la ferita aperta. La pelle in quel punto era stata completamente tirata via dalla furia del morso della serpe e non rimaneva altro che carne danneggiata, come una poltiglia di sangue. Se la guardava attentamente in alcune parti poteva anche intravedere il bianco dell'osso. La viverna non era riuscita a raggiungerlo, ma in compenso poteva dirsi soddisfatta poiché le aveva lasciato davvero un gran bel regalo.

«Se trovo la viverna che mi ha fatto questo, la uccido con le mie mani.»

«Nelle tue condizioni non riusciresti neanche ad accostarti a lei.»

«Muovetevi voi due!» gridò Baldr, dalla fine di una delle innumerevoli rampe di scale che avrebbero dovuto salire.

Silye rivolse un ultimo sguardo al braccio, che continuava a mandarle un fastidioso bruciore, e proseguì dietro a Vidar.

Via via che salivano, la luce si infiltrava attraverso le grate che si trovavano sulla sommità delle scale e non vi fu più bisogno di continuare a tenere accesa la fiaccola. Baldr, il primo a terminare l'ultima rampa e arrivare alla porta, la aprì con facilità. Probabilmente prima del suo arrivo quella era stata chiusa a chiave su ordine di Hel per privarli anche della minima possibilità di fuga, ma non aveva programmato che Baldr sarebbe arrivato ad aiutarli. Come la porta si aprì, vennero investiti da un vento gelido proveniente dal resto del palazzo, comparabile solo al freddo delle celle e degli inverni più rigidi di Midgardr. Silye si strinse di più nel mantello, passandoselo meglio sul davanti in modo da coprire l'intero corpo.

«Sai come fare per andarcene o sei venuto del tutto sprovveduto?» chiese Vidar, avvicinandosi al fratellastro.

«Credi davvero che sarei venuto a salvarti la pelle se non avessi conosciuto un modo per andarcene?» ribatté l'altro e la sicurezza che trapelò dalle sue parole convinse entrambi che il dio sapeva cosa stava facendo. «Dovete solo seguirmi.»

Fecero come Baldr ordinò loro, andandogli dietro mentre attraversavano i labirintici corridoi dell'Éljúðnir, costituiti da lunghi blocchi di ghiaccio come pareti, attraverso i quali si riusciva ad intravedere in lontananza il tetro panorama offerto dall'Helheimr. Baldr capeggiava la fila, camminando lentamente e attento a percepire la presenza dei servi al servizio di Hel, per evitare di rivelare la sua presenza alla regina dell'Aldilà.

Dopo svariati minuti di giri, Silye iniziò a riconoscere il percorso che stavano compiendo, poiché era lo stesso, solo a ritroso, che la avevano costretta a fare quando la avevano trascinata fino alle profondità delle prigioni. Stavano ritornando nella sala del trono.

«Vidar, non sarà pericoloso tornare là?» sussurrò Silye, afferrando il braccio del dio e facendolo fermare.

«Non abbiamo altra scelta.»

«Perché?»

«Dobbiamo recuperare Sleipnir e andarcene. Vuoi forse rimanere qua?»

«Come sai che si trova proprio da Hel?»

«Me l'ha detto Baldr.»

«Capisco. Ovviamente io non sono degna di partecipare alle vostre conversazioni ed essere informata» affermò, sentendosi offesa, per quanto tentasse di combattere quel sentimento. Lei stessa non comprendeva il suo atteggiamento: aveva cercato in ogni modo di togliersi di dosso il peso della sua eredità e del mondo a cui Vidar e Baldr appartenevano, ma, come veniva estromessa dai loro discorsi, si stizziva.

«Sarebbe cambiato qualcosa? Rimane il fatto che dobbiamo andarci per liberare Sleipnir.»

La ladra sospirò e si affrettarono a raggiungere Baldr, che era andato avanti e che proprio in quel momento si stava voltando per accertarsi che fossero ancora dietro di lui. «Dopo avrete tutto il tempo per parlare. Adesso dovete solo rimanere concentrati.»

Quindi il dio si accostò all'alta porta che permetteva di accedere alla sala del trono; questa sembrava essere di un colore tra il marrone e il verde scuro. Quando Silye si fece più vicina, si accorse che in realtà la porta si muoveva ed era composta da serpenti che scivolavano l'uno sull'altro, rimanendo, però, tutti attaccati alla parete. Il volto della ladra assunse un'espressione di disgusto. Però, dei serpenti non si vedeva altro se non il corpo, senza la testa: Silye ipotizzò che le teste dovessero trovarsi rivolte verso l'altra parte, o forse semplicemente non le avevano.

Baldr fu l'unico a trovare il coraggio di appoggiare la mano sul dorso di uno dei milioni di serpenti e spingerla un poco, il minimo per poter vedere all'interno se vi era segno di Hel. Il dio si voltò verso di loro e scosse la testa: lei non c'era. Spalancò la porta ed entrò insieme a Silye e Vidar. La ladra fece una smorfia quando vide al centro della stanza la neve macchiata del sangue uscito dalla sua ferita.

Da una parte vi era il trono di Hel, stavolta, però, vuoto, il che gli dava un maggiore senso di gelo. Accanto a questo vi era Sleipnir, tutte le otto zampe legate da catene di ferro allo scranno.

Vidar gli corse incontro e gli accarezzò amorevolmente il muso, come a volerlo calmare e rassicurare della sua presenza in un ambiente così ostile. Quindi, la sua attenzione si spostò sulle catene. Cercò di spezzarle con le mani, ma, per quanto si sforzasse, quelle rimanevano intatte. «Se solo avessi Grugnir...» ringhiò, sbuffando per lo sforzo.

«Basta, Vidar. Non ci riesci» disse Silye e il dio sembrò aver deciso di rinunciare, poiché lasciò con uno scatto le catene e si allontanò.

«Non sono abbastanza forte» mormorò Vidar, il viso fisso sulla parete di fronte a lui, con un tono di voce che non pareva esprimere alcuna emozione.

«Non è questo» ribatté Baldr. «È certamente opera di Hel: deve aver fatto qualcosa alle catene in modo che non possano essere infrante dagli dei. O, almeno, non a mani nude.» Sollevò l'ascia e la fece ricadere sulle catene, con un movimento tanto rapido che Silye faticò a seguire il percorso della lama. Le catene andarono immediatamente in frantumi sotto la potenza dell'arma. «Nulla da fare. I nani rimangono i migliori fabbri di tutti i nove regni» commentò, sorridendo.

«Baldr» tuonò una voce dietro di loro. Silye si voltò e vide Hel in piedi davanti alla porta di serpenti. «Mi sarei dovuta aspettare il tuo arrivo.»

«Hel. Da quanto tempo» rispose il dio, reggendo il suo sguardo d'odio con fermezza.

«Sei rimasto quello di un tempo: la solita seccatura. Amato da tutta la sfilza di patetici dei che si godono la bella vita ad Asgard. Non è sempre stato così?» la voce di Hel trasudava rabbia e disprezzo.

«Incolpi me per il tuo penoso destino e regno?»

«Questo è il mio regno!» gridò, come in preda all'isteria. «Non puoi fare ciò che vuoi e portarti via i miei prigionieri! Loro sono miei! Lui è mio.» Continuò, lanciando uno sguardo furioso a Vidar.

«Troppo tardi, Hel» affermò Baldr, mentre Vidar saliva su Sleipnir e poi tendeva la mano verso Silye, che per tutto il tempo era rimasta immobile a osservare la dea. La ladra si riscosse e si diresse da Vidar, stavolta lasciandosi aiutare a salire in groppa al cavallo per non perdere secondi preziosi.

«Se non potrò avere te, giovane dio, mi accontenterò della tua inestimabile lancia» disse, svelando Grugnir, tenuta stretta nella mano scheletrica che finora aveva tenuto nascosta dietro l'abito.

«No!» gridò Vidar, che fece per scendere, ma venne bloccato da Silye, che lo resse per le braccia, e dallo sguardo di ammonizione di Baldr. «Ridammela!»

«Ruberò e distruggerò tutto ciò che è importante per te, sciocco ragazzino» sibilò Hel e quella fu l'ultima cosa che Silye sentì prima che Sleipnir, libero dalle catene e guidato per le redini da Baldr, saltasse nel vortice azzurro da lui stesso creato.



¹ Insulto norreno dal significato di “idiota, stupido”.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Silye e Vidar sono salvi, tutto grazie a Baldr, che nella storia, ve lo dico subito, non avrà una grande importanza. È più una "guest star". XD

Mi sento di farvi una premonizione: nel prossimo capitolo molto probabilmente arriverete ad odiare Vidar. Diciamo che però sarà fondamentale per il rapporto tra lui e Silye, perché porterà a un lieve cambiamento, che si farà sempre più lampante nel corso della storia.^^

Grazie mille a chi è arrivato a leggere fino a questo capitolo e a chi mi lascerà anche un piccolo, ma sempre gradito commento! <3

A presto!

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 28 - Fiducia e rispetto ***



Capitolo ventotto

Fiducia e rispetto


Silye scese da sola da Sleipnir, facendo attenzione a non posizionare male il piede sulla staffa per non rompersi anche una gamba, oltre al braccio.

Il cavallo li aveva condotti all'estremità settentrionale del bosco di Hoddmímir, proprio nel punto, non troppo lontano dalla sua casa, dove gli alberi della foresta incontravano i piedi delle montagne Hlekker, una lunga e immensa catena montuosa che faceva da scudo all'intero regno di Midgardr, del tutto chiuso dall'esterno, oltre che dai monti, dalle mura a est e ovest e dal mare a sud.

Da quando erano risbucati nel bosco Vidar non la aveva degnata di una parola e nemmeno di uno sguardo. Era sceso dal cavallo ed era andato da Baldr, che aveva attraversato il vortice insieme a loro. Si erano allontanati da lei, parlando animatamente, come con la precisa intenzione di estrainarla e non lasciarle ascoltare le loro conversazioni.

Da lontano, dopo che la ladra era finalmente riuscita nell'impresa di toccare terra senza rompersi alcun osso, Vidar le lanciò un'occhiata, interrompendo la discussione con il fratello, dicendole: «Occupati te di riportare indietro Sleipnir.» Quindi, seguì Baldr, svanendo nel fitto della boscaglia.

Dopo pochi istanti, in cui Silye rimase immobile e in silenzio, come a cercare di interpretare il suo atteggiamento, la ragazza si decise a distogliere lo sguardo dal punto in cui aveva visto per l'ultima volta il dio, per volgerli al suolo. Vide una manciata di sassolini innocui e cercò di sfogare la rabbia calciandoli e scagliandoli lontano. «Non sono la tua servetta, diamine!» gridò, rivolta a Vidar, ormai troppo distante per riuscire a sentirla.

Si girò verso Sleipnir, che per tutto il tempo se ne era stato tranquillo a brucare l'erba e scuotere la nuca nel vano tentativo di allontanare un manipolo di moscerini che lo stavano infastidendo, ma invano, poiché quelli si riavventavano subito su di lui. «A quanto pare siamo in due a non riuscire a liberarci di ospiti indesiderati» disse, accarezzandogli il collo e prendendo le briglie per trasportarlo di nuovo nella sua capanna.

L'orizzonte di montagne, tanto grandi da arrivare fin sopra alle nuvole, venne coperto dagli alti alberi della foresta. Silye inspirò a pieni polmoni l'aria fresca della sua terra: le era mancato Hoddmímir. Gli inferi e le vicende vissute là le avevano lasciato un senso di spaesamento e profonda inquietudine, che, tuttavia, si stavano iniziando ad acquietare una volta tornata nel bosco. La vista di quel paesaggio così familiare e calmo era riuscito anche ad attenuare il dolore al braccio, a cui stava iniziando ad abituarsi. Rimaneva indicibilmente forte, ma ormai le fitte stavano diventando regolari e abbastanza sopportabili. Era un po' come Vidar: all'inizio era, -e continuava ad essere-, fastidioso e irritante, ma con il tempo stava iniziando ad imparare a conviverci, anche se con immensa difficoltà.

Ora che poteva vederla alla luce del sole, si accorse delle reali e pessime condizioni della ferita. Si fermò per strappare la manica ormai del tutto lacerata per vederla meglio. La pelle intorno ad essa era arrossata, tanto da darle un fastidioso prurito, e ricoperta da piccole striscette rosse intorno ai lembi. Reprimendo il disgusto, si soffermò a osservare l'interno e si accorse che, mischiato al sangue, vi era un liquido giallastro. Doveva sbrigarsi a rientrare e curarsi la ferita, perché questa si era infettata dopo tutto il tempo passato all'aperto e nel fango delle segrete dell'Éljúðnir.

«Forza, Sleipnir» incitò il cavallo, riprendendo a camminare, ma a passo più spedito.

Impiegò solo una manciata di minuti per raggiungere la sua casa, che ritrovò uguale a prima. Come si fece vicina all'edificio, sentì dei passi rapidi correre verso di lei. Silye lasciò la presa sulle briglie di Sleipnir e si preparò ad accogliere tra le braccia Úlfur. «Cucciolo, sono tornata!» Il cagnolino era attivo e felice come mai lo aveva visto prima: forse perché non era mai stata via così a lungo e il più delle volte tendeva a portarlo con sé, quando andava nei villaggi solo per comprare i viveri e non per rubare. «Ti sono mancata, minn stjarna¹?» affermò, grattando il muso di Úlfur, perfettamente conscia di quale fosse la risposta alla sua domanda retorica.

Quando Silye gli si accovacciò accanto e il cane si appoggiò a lei, Úlfur fu attirato dalla sua ferita e si avvicinò a odorarla, ritaendosi subito dopo. «Non ho una bella cera, vero?» disse. «Vieni, devo andare a preparare qualche unguento per rimediare all'infiammazione e lenire il dolore.»

Si rialzò e fece per entrare in casa, quando trovò la porta socchiusa e delle voci alte provenire dall'interno. Erano di Vidar e Baldr. Si accostò ad essa, origliando. Era sbagliato, ma voleva sapere cosa le stava nascondendo il dio e forse sarebbe riuscita a sentirlo nella loro conversazione.

«...ti ho detto che so quello che faccio» stava dicendo Vidar con fermezza.

«Non mi pare, dato che, se io non fossi intervenuto, a quest'ora saresti ancora rinchiuso nelle prigioni di Hel» ribatté il fratellastro, il tono severo e duro come la roccia.

«E allora? Avrei trovato un altro modo per uscire. Ti ricordo che anch'io sono il figlio di Odino.»

«Sì, lo so benissimo, ma tirare continuamente in ballo nostro padre non ti salverà sempre. Anzi, spesso, come è accaduto da Hel, non otterrai altro che metterti nei guai fino al collo.»

«Ti ripeto che avevo tutto sotto controllo.»

«Davvero? Come lo hai avuto anni fa con Váli?»

«Non metterlo in mezzo in queste questioni, Baldr!» Vidar alzò la voce. Silye si chiese perché mai il solo nominare quell'individuo, -Váli-, lo avesse fatto infuriare tanto. «Basta parlarne.»

«È per lui che lo stai facendo? Per quello che è successo?»

«No» ribatté Vidar. «Ti ho già detto che lo sto facendo per aiutare gli umani.»

«Credi davvero che meritino le tue sofferenze? Sin da prima del Ragnarok non sono stati altro che individui egoisti e privi di scrupoli. Perché pensi che sia cambiato qualcosa?»

«Sbagli. Non sono tutti così. Sono certo del fatto che non meritano la morte e la distruzione che porterebbe Nidhöggr semmai dovesse risorgere.»

Baldr tacque. «E che mi dici della ragazza?» continuò, cambiando argomento.

Il cuore di Silye perse un battito quando sentì il dio parlare di lei.

«Possiamo fidarci di lei. O, almeno, questa è l'impressione che mi ha dato nei giorni che ho passato con lei.»

«Vidar, sei troppo ingenuo. Non è come le völve di un tempo. È cresciuta come un'umana, una ladra. Ammetto che abbia un aspetto gradevole, ma non farti strane illusioni con lei. Non è interessata alla salvezza di Midgardr, glielo posso leggere in faccia. Come ogni ladro, mira solo al denaro e ai suoi scopi egoistici. Se vuoi divertirti con lei, fai pure; ma che rimanga solo puro svago.»

Vidar non rispose. Silye non poteva vederlo, ma immaginò che avesse annuito, dando ragione al fratello, il che non fece altro che acuire la rabbia che già il dio le aveva provocato pochi minuti prima.

«Forse sono stato troppo duro con te, Vidar, e me ne dispiaccio, ma sei ancora giovane. Devi sapere come funziona il mondo qua fuori o, dio o meno, ne rimarrai schiacciato.»

Silye fu colta da un'improvvisa fitta alla ferita, le cui condizioni andavano peggiorando di secondo in secondo, e, andando a toccarsi il braccio, la mano le andò a sbattere contro la porta, che si aprì di qualche centimetro, cigolando.

Baldr, che aveva ripreso a parlare, si interruppe subito e Silye capì di essere stata scoperta. A questo punto non poteva fare altro che mostrarsi, nella possibilità che potessero pensare che fosse arrivata solo in quel momento. «Sc-scusate» esordì, maledicendosi per essersi fatta sfuggire quel balbettio. «Devo curare la ferita... ecco, si è infettata.»

Baldr la guardò e nel suo sguardo Silye colse un sentimento molto simile alla disapprovazione; sicuramente credeva che avesse origliato la loro conversazione. La ladra cercò ad ogni costo di evitare di posare gli occhi su Vidar. «Io ho qualcosa che potrebbe aiutarti.»

Tirò fuori da una piccola sacca che teneva legata alla cintura una boccetta, che passò a Silye. «È un rimedio naturale elfico, capace di lenire qualsiasi ferita e dolore. Puoi anche prenderlo tutto, nell'eventualità che possa riservirti in futuro.»

La ragazza si stupì della sua improvvisa gentilezza, sebbene sapesse che dietro l'apparenza il dio nascondeva quasi vero e proprio disprezzo nei suoi confronti. Perché gli dei devono sempre essere così arroganti? si chiese, accettando la boccetta e sforzandosi di restituirgli uno sguardo di riconoscenza, anche se in verità non vedeva l'ora che se ne andasse dalla sua casa. L'ostilità che il dio ostentava nei suoi confronti la feceva sentire a disagio, soprattutto perché Silye era ben conscia della sua netta superiorità in un eventuale scontro. Era pur sempre un ultramillenario con innumerevole esperienza alle spalle e una semplice ladra come lei non avrebbe potuto nulla contro di lui, semmai Baldr avesse iniziato a considerarla come un nemico.

Rilasciò un leggerissimo sospiro di sollievo quando il dio le diede le spalle e andò da Vidar, abbracciandolo. Guardandoli, Silye si rese conto di quanto fossero uniti, come fossero una vera famiglia, sebbene condividessero solo il padre. Dovette distogliere lo sguardo, perchè in qualche modo i due fratelli le ricordavano l'amore paterno che troppo presto e con violenza le era stato negato.

Baldr sussurrò piano qualcosa a Vidar, forse appositamente per evitare che lei li sentisse, ma Silye riuscì ugualmente a captare qualcosa di simile a un Stai attento. Quindi il dio prese la sua ascia e uscì dalla casupola, facendo sbattere la porta dietro di sé.



Dopo la partenza di Baldr, nella stanza era calato un innaturale e opprimente silenzio. Era come se, dopo i turbinosi eventi vissuti all'Helheimr, non riuscissero più ad abituarsi alla calma.

Silye si avvicinò al tavolo e vi pose la boccetta datale da Baldr. «Non ci sono più scorte» esordì la ragazza.

«Va' a comprarle» ribatté Vidar, con voce atona e fredda.

«Non ne ho alcuna intenzione. L'ultima volta ci sono andata io; ora tocca a te.»

Non le giunse nessuna risposta da Vidar, che le dava le spalle e sembrava avere lo sguardo perso sul pavimento.

«Devi iniziare a darti da fare anche tu» continuò Silye.

«Non faccio abbastanza? Ti ho protetta ben due volte, durante l'attacco degli schiavi di Hel e delle viverne, e non mi hai nemmeno ringraziato» disse all'improvviso, girandosi verso di lei. «Se non fosse stato per me, ora quelle viverne starebbero banchettando con la tua carne.»

Silye deglutì al ricordo delle belve e del dolore che una di esse le aveva procurato. «E come mi sarei potuta difendere? Ti ricordo che è la prima volta che mi sono ritrovata ad affrontare delle creature simili.»

«Già, ed è proprio per questo che non dovresti affatto lamentarti. Credimi, ho fatto fin troppo per te e dovresti solo ripagarmi con qualcosa di concreto.» Il suo volto si dipinse di una sfumatura severa e quasi rabbiosa.

«Ti ho già detto miliardi di volte che ci sto provando» ribadì. Sapeva che avrebbe dovuto dirgli della visione strappata da Hel, ma in quel momento voleva che Vidar si rendesse conto della fatica che stava facendo e dei pericoli che aveva affrontato per lui. Voleva rispetto.

«E io ti ho ribadito altrettante volte che voglio risultati. Siamo andati da Hel e cosa abbiamo trovato? Niente» il dio scalciò la sedia mandandola a sbattere contro la parete. Silye sussultò davanti a quell'improvviso scatto di rabbia. «Mi aspetto molto più di qualche stupida e falsa visione, völva.»

Non l'aveva mai chiamata in quel modo, con tanta freddezza e scostanza, come se tutto a un tratto fossero diventati due completi estranei.

«Non basta ordinare per ottenere ciò che vuoi. Devi anche dimostrare di meritartelo» affermò Silye, con lo stesso disprezzo che le stava mostrando Vidar.

«Ne sei certa? Credi davvero che con la violenza non si possa ottenere nulla?» disse il dio, avvicinandosi a lei. Silye cercò di indietreggiare, ma dovette fermarsi quando sentì il tavolo dietro di lei. Era bloccata e ormai il viso di Vidar era a un passo dal suo. Sentì i battiti del cuore aumentare, ma non per la vicinanza di Vidar, bensì perché l'espressione ostile e aggressiva sul volto del dio le dava un senso di disagio.

«Cosa c'è? Ora hai paura? Non mentirmi, perché posso leggerlo nei tuoi occhi. È forse perché ti sei finalmente resa conto che la tua stolta determinazione non può nulla contro la forza fisica di un dio? Temi forse che io possa farti del male?» Con l'indice il dio seguì il contorno del suo viso, lasciandole leggeri brividi. «O forse è il problema opposto: hai paura che qualcuno possa volerti bene. O, peggio, amarti. Non è questo il motivo per cui hai allontanato tutti e ti sei isolata in questo bosco? Sono certo che in questo momento tu sia più spaventata al pensiero che io possa baciarti, anziché ferirti.» Vidar accorciò ancora di più le distanze, tanto che ora Silye poteva sentire il suo respiro solleticarle le labbra. Il suo volto era una maschera di derisione e malizia. «Allora dimmi: di cosa hai davvero paura? Se è per il secondo motivo, non hai nulla da temere, perché non c'è alcuna possibilità che mi possa piacere una ragazzina come te.»

Vidar aveva davvero superato il limite. Silye ne aveva abbastanza: del dover sempre sopportare le battute insolenti e beffarde del dio, ma soprattutto di dover convivere con un individuo che aveva una così bassa considerazione nei suoi confronti. Non si sarebbe tirata indietro, né avrebbe lasciato cadere nel vuoto passivamente quell'affronto: non quella volta. Si mosse così velocemente che Vidar non fece in tempo a spostarsi o deviarlo: gli tirò uno schiaffo. Il dio indietreggiò, stordito, mentre si andava definendo un vistoso segno rosso sulla sua pelle. Poi, come fosse stato un riflesso naturale per lui, le prese il polso ancora alzato dopo l'atto e la bloccò per impedirle qualsiasi altro movimento.

«Lasciami» ringhiò Silye, ignorando le fitte al braccio stretto con troppa forza. Vidar si guardò la mano, come se si fosse accorto solo in quel momento di averle afferrato il polso con troppa forza, e lo lasciò andare.

«Ascoltami bene, dio dei miei stivali» sibilò la ladra. «Non sono una servizioevole schiava da comandare. Sarò anche una ladra, ma prima di tutto sono un essere umano, e pretendo lo stesso rispetto che riserveresti ad un tuo qualunque altro simile.»

Il dio non rispose, ma si allontanò da lei senza distogliere lo sguardo dalla mano che pochi attimi prima le aveva cinto il polso.

«Vuoi sempre avere e avere, senza dare mai nulla in cambio» continuò la ladra. «Sei convinto che tutti debbano stare ai tuoi piedi, ubbidirti e riverirti, solo perché sei un dio. Già, sei un dio e tu non fai altro che ripeterlo vantandotene, ma questo tuo titolo non vale nulla se non riesci ad essere all'altezza del tuo nome e a fare ciò che davvero ci si aspetta da te.»

Vidar, senza neanche rivolgerle un'occhiata, uscì dalla casupola, lasciando Silye in un turbine di rabbia, confusione e mille altri pensieri sconnessi.



¹ Espressione norrena significante “Mia stella”.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo autrice:

Stavolta Vidar ha proprio esagerato e si è meritato lo schiaffo di Silye. Nella prima bozza di questo capitolo, in realtà, Vidar diceva anche di peggio, ma ho pensato che dopo Silye non si sarebbe fermata a un solo schiaffo: conoscendola, l'avrebbe proprio riempito di botte e non gli avrebbe più rivolto la parola.XD Fate però attenzione all'atteggiamento del dio alla fine del capitolo, così come alla conversazione con Baldr, perché prelude un dettaglio del suo passato, di cui si saprà di più in seguito.

Comunque, perdonatemi per il ritardo, ma, tra Via Crucis e pranzi e cene varie, non ho proprio trovato il tempo di revisionare il capitolo e pubblicarlo! Ringrazio comunque tutti i lettori! A presto.^^

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 29 - Chiarimenti ***



Capitolo ventinove

Chiarimenti


La stanza era piombata nel silenzio più totale sin da quando Vidar se n'era andato senza dire nulla su cosa gli passasse per la testa o dove si stesse dirigendo. Silye si sedette con un tonfo sulla sedia, toccandosi la fronte con una mano; era fremente di rabbia e ciò era evidente da quanto le mani le stessero tremando. Vidar non aveva alcuna giustificazione: ciò che le aveva detto e fatto era stato un atto ignobile, ma allo stesso tempo la ragazza non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine dello sguardo sbigottito e allarmato che il dio aveva lanciato alla mano con cui le aveva stretto il polso.

La ladra se lo andò a guardare e vide che si era formato il leggero segno scuro della contusione nei punti in cui Vidar l'aveva afferrata. Si chiese il motivo di una reazione così violenta e del conseguente e fulmineo cambiamento, come se si fosse tutto a un tratto pentito della sua azione.

Si tolse la maglia ormai logora, sia perché era tutta sporca di terra e sangue, sia perché in più punti era strappata, rimanendo con una leggera maglietta senza maniche. Prese la boccetta contenente il rimedio donatole da Baldr e tolse il tappo, lasciando scivolare un po' della sostanza sul palmo della mano. Era un materiale dal colore verdastro, vischioso e umido. Lo spalmò sulla ferita al braccio e subito da essa partirono delle fitte di piacere, capaci di farle immediatamente dimenticare il dolore provato fino a quel momento. Cosparse della sostanza anche i punti che attorniavano la lacerazione e su cui si stava lentamente diffondendo l'infiammazione. Prese poi delle bende bianche e le arrotolò intorno all'arto, per poi legarle.

Restò alcuni secondi ad ammirare il suo lavoro, prima di spogliarsi completamente, stando sempre attenta a non sforzare troppo il braccio, per indossare uno dei pochi abiti che possedeva, blu scuro.

Rimase per qualche ora dentro la casa a giocare e coccolare Úlfur, fin quando non iniziò a sentire un languorio allo stomaco e si accorse che non vi erano più scorte di cibo. Andò quindi a caccia insieme al cane; sebbene girò una lunga fetta del bosco alla ricerca degli uccelli e gli animali più semplici da catturare, non vide l'ombra di Vidar, segno che non aveva nessuna intenzione di farsi trovare da lei. Tanto meglio pensò la ladra, poco prima di avvistare una ghiandaia e trafiggerla proprio nel momento in cui l'uccello stava per alzarsi in volo. Appena in tempo.

Quando rientrò nella capanna, con il corpo della ghiandaia riposto con cura nella sacca, rimase immobile all'ingresso, senza riuscire a fare un solo passo all'interno. Vidar stava seduto a terra con lo sguardo rivolto alle deboli fiamme rimaste del fuoco che avevano acceso appena tornati. Eppure, non sembrava realmente guardarlo: il suo volto era vuoto, privo di qualsiasi espressione o emozione. Il dio era fisicamente presente, ma la sua mente sembrava essere altrove. Nemmeno si volse a guardarla quando sentì la porta aprirsi, né diede segno di essersi accorto della sua presenza.

Rassicurata dal suo atteggiamento scostante, Silye si convinse a mettere piede nella stanza, sperando con tutta se stessa che il dio non decidesse di aprire bocca o dirle qualcos'altro di sprezzante come quella mattina, perché in quel caso non sarebbe riuscita a controllare le sue azioni, il che sarebbe senza ombra di dubbio andato a svantaggio del dio, poiché lo schiaffo di qualche ora prima era stato solo un assaggio di ciò che sarebbe stata davvero capace di fare in uno scatto di ira.

«Mi dispiace» disse Vidar, con una voce esente da ogni ombra di derisione e rabbia, facendo cadere tutte le intenzioni di Silye.

La ragazza non rispose, guardandolo con aria stupita. Lui però ancora non le aveva rivolto nemmeno un'occhiata, nulla oltre a quelle due misere parole, che, tuttavia, per qualche motivo erano suonate a Silye più sincere di qualsiasi discorso lui le avesse rivolto fino ad allora. Perciò rimase ferma ad attendere, per vedere quali fossero le intenzioni di Vidar.

«So perfettamente quanto tu sia infuriata con me e non nego che tu abbia tutto il diritto ad esserlo» iniziò, per poi bloccarsi come a cercare le parole giuste da dirle. Si passò una mano tra i ricci biondi, scostandoseli dalla fronte, prima di continuare. «Mi dispiace per le parole che ti ho rivolto, ma certe volte non riesco a reprimere la parte peggiore di me, quella che mi ha spinto a dire quelle cose. Ero solo nervoso per il punto morto in cui ci troviamo nella missione.»

Silye continuò a tacere, anche dopo che Vidar smise di parlare; forse per lui quel piccolo discorsetto di scuse poteva anche bastare, ma a lei no. Solo quella mattina Vidar l'aveva offesa e umiliata, con le sue frecciatine, le sue insinuazioni e i suoi commenti tutt'altro che piacevoli. Per non parlare del modo in cui le aveva afferrato il polso, lasciandole quei piccoli lividi. Una ferita da nulla, del tutto sopportabile, se non fosse stato per il fatto che colui che le aveva provocate era stato Vidar, il dio con cui aveva condiviso la sua casa durante tutta l'ultima settimana e aveva passato esperienze terribili ed esaltanti allo stesso tempo e verso cui aveva iniziato a nutrire una sorta di fiducia. Aveva bisogno di qualcosa di più convincente perché riuscisse almeno a continuare a stare con lui ogni giorno finché non avessero trovato la viverna. Tutto ciò che Vidar le stava offrendo in quel momento erano parole senza alcun valore.

Forse rendendosi conto della tacita richiesta di Silye, il dio riprese a parlare. «Non avrei dovuto trattarti in quel modo. Ti trovavi in una situazione difficile e delicata ed io non ti sono stato per niente di aiuto. È solo che questa missione non è per me un passatempo: ho bisogno di trovare Nidhöggr ed evitare le sofferenze che il suo arrivo potrebbe portare al mondo.»

«Perché?» domandò Silye. «Perché tutto questo interesse nella salvaguardia di Midgardr? Qual è il tuo secondo fine?»

«La risposta alle tue domande non c'entra nulla con il motivo per cui sto cercando di scusarmi.»

«Invece c'entra. Devo conoscere la persona che mi sta accanto per poter ricominciare a fidarmi di te.»

«Conoscere il mio passato non ti aiuterà a sopportarmi di più.»

«Mi aiuterà a comprenderti meglio.»

«Cosa c'è da comprendere di me?» la sua testa fece un movimento appena percettibile, ma sufficiente a far intendere a Silye che si era girato verso di lei, sebbene la ladra si trovasse dietro di lui.

«Fai sempre il misterioso e, come arriviamo a parlare del passato, ti chiudi dietro a delle barriere invisibili.»

«Non mi sembra di essere l'unico a farlo» esclamò lui, piccato. «Allora perché non parliamo di tuo padre?»

Silye sussultò al solo sentire quell'ultima parola.

«Io non ti ho mai fatto domande su di lui.»

Su questo la ragazza non poteva dargli torto. Lei era stata l'unica a fargli domande con tanta insistenza sul suo passato, in parte mossa dalla necessità, in parte dalla curiosità. Ma, in fondo, Hel non li aveva attaccati per dei trascorsi con Vidar di cui lui non l'aveva mai messa a parte e a cui non aveva mai neanche accennato? Forse, se fosse partita già avvertita di quel turbolento rapporto prima del viaggio nel'Helheimr, avrebbero trovato un modo per evitare le turbinose vicende là vissute e magari anche l'aiuto di Baldr.

«Le cose che mi hai detto...» disse Silye, per spostare la discussione su un altro argomento. «Lo hai fatto per la discussione avuta con Baldr?»

Vidar si alzò per prendere altra legna da aggiungere per ravvivare il fuoco ormai morente. «Sai, quella sarebbe dovuta essere una conversazione privata» fece notare.

«Non quando l'argomento principale sono io.»

Lui sospirò e, dopo aver posizionato bene la legna, si voltò a guardarla per la prima volta dagli eventi di quella mattina. «Quanto esattamente hai sentito di quello che ci siamo detti io e mio fratello?»

«La parte incentrata su di me, quando Baldr ti ha detto che non puoi fidarti di una ladra e che sarebbe indecoroso e sbagliato legarsi a me. Solo svago e divertimento, eh?» affermò, senza nemmeno cercare di celare la nota di disappunto e risentimento che traspariva dalle sue parole. Omise, però, la parte in cui il dio aveva pronunciato il nome che aveva provocato una reazione tanto rapida e violenta da parte di Vidar, - Váli. Avevano già chiarito il fatto che di lì in poi nessuno dei due si sarebbe dovuto impicciare negli affari personali e nel passato dell'altro.

«Non fargliene una colpa: persone come te non sono ben viste ad Asgard, tanto meno se un dio decide di legarsi sentimentalmente con una di esse.»

«Per il fatto che sono una ladra?»

«Non solo; semplicemente perché per gli altri dei non sei abbastanza. Non sei come loro.»

«E tu? La pensi come i tuoi amici di Asgard?»

«All'inizio sì, ma adesso... Prima non ero mai venuto nel mondo degli umani. Li consideravo semplicemente come degli esseri inferiori e deboli, ma, venendo qui e vedendoli più da vicino, mi sono reso conto che non sono affatto così. Anzi, in quanto a indoli e sentimenti, sono più simili a noi dei di qualsiasi altra specie vivente.»

«Ed ora come ci stimi?» domandò Silye, senza essersi nemmeno accorta di aver usato il pronome ci; lei, nonostante la scoperta sulla sua vera natura, si considerava ancora un'umana in tutto e per tutto, aldilà dei suoi poteri e delle visioni.

«Molti di voi sanno spesso essere spietati, arroganti ed egoisti, come è naturale che sia, poiché non esiste nessuno che abbia solo qualità positive. Ma mi sono accorto che non siete dei deboli» sollevò lo sguardo che fino ad allora aveva tenuto abbassato verso il pavimento, guardandola dritto negli occhi. «Anzi, quando siete in difficoltà o venite messi alle strette o è in pericolo la vostra stessa vita o quella delle persone a cui tenete di più, dimostrate una grandissima forza d'animo e coraggio, degni del più valido dio.»

Silye sostenne il suo sguardo. Nonostante si trovassero ai lati opposti della stanza, sentiva che sarebbe stato in grado di trapassarla con la sola forza di quegli occhi così intensi e belli. «Non sono la ladra egoista che Baldr crede che sia» affermò. «Posso anche sembrare interessata solo al denaro, ma non è così, non quando c'è di mezzo la vita di ogni altro essere umano di questa terra. Spesso ti ho dimostrato il contrario, ma l'ho fatto solo perché ero spaventata da quello che mi sta accadendo e da ciò di cui sono venuta a conoscenza. Il mio primo istinto è stato quello di tirarmi indietro e dimenticare cosa tu e le völve attraverso il libro mi avete detto, ma con il tempo mi sono accorta che non basta. Devo affrontare tutto ciò o non riuscirò mai più a vivere in pace con me stessa.»

«Ti credo» disse Vidar, risoluto.

«Eppure ti sei lasciato abbindolare dai discorsi di tuo fratello, pur conoscendomi di certo meglio di lui» esclamò Silye, senza nascondere il tono leggermente irritato.

«Temevo che, proprio perché ho passato tanto tempo con te, questo avesse limitato la mia capacità di giudizio. In quel momento ero convinto che le sue parole potessero avere un fondo di verità. In fondo, lui è più grande di me di diversi anni e credevo che avesse molta più esperienza nel mondo degli umani.»

«Beh, il suo ragionamento è sbagliato. Non si può giudicare a spada tratta una persona senza nemmeno conoscerla» affermò la ladra, sollevando una mano per andarsi a tirare i capelli dietro all'orecchio. «Comunque intendo dimostrarti che non tengo solo ai soldi, ma anche alla salvezza del mio stesso mondo. Ho una nuova pista.»

«Stavolta vera?» domandò Vidar, ma si vedeva che era interessato dal modo intenso in cui la guardava.

«Lo spero. Quando eravamo intrappolati da Hel e lei mi ha graffiata» si portò d'istinto una mano alla guancia, accorgendosi che il sangue fuoriuscito dai graffi ormai si era asciugato; si era quasi dimenticata di quelle ferite, fortunatamente solo superficiali «ho avuto una visione. È così che lei ha capito che sono una völva.»

Si interruppe quando vide Vidar alzarsi in piedi e muoversi fino al tavolo, dove prese uno dei panni che Silye aveva lasciato là quando si era andata a fasciare il braccio. «Cosa fai?»

Vidar non le rispose, ma continuò nei suoi movimenti, intingendo il panno in una scodella piena d'acqua. Quindi fece per avvicinarsi a lei, ma Silye si ritrasse. «Non voglio farti del male» disse, con voce calma e tanto sincera da convincere la ragazza.

Il dio le accostò il panno umido alla guancia e la strofinò, per levare via le macchie lasciate quando il sangue era colato dai graffi. «Continua» la invogliò, senza smettere di pulirle il viso.

Anche se con un po' di imbarazzo per la vicinanza di Vidar, che era da quella mattina che non si accostava così tanto a lei, fece come lui le aveva detto. «Ecco, nella visione c'erano Hel e il Konungr e credo che fossero al palazzo del re. O comunque in un luogo molto sontuoso. Dagli sguardi che si lanciavano sembravano... sì, complici. Alleati.»

«Ne sei sicura?» domandò, indugiando per qualche istante di più con la mano che reggeva la pezza sulla sua pelle. «Non potresti aver solo frainteso le loro espressioni?»

Lei inarcò un sopracciglio, adottando un tono scettico. «Sono certa di ciò che vedo.»

«Allora direi che non abbiamo altre strade. Dobbiamo seguire questa pista, sperando che ci conduca sulla via giusta.»

Silye annuì, ignorando il nodo in gola che le si formò al pensiero di dirigersi proprio dal Konungr. «Quando partiamo?» domandò, sebbene l'idea di abbandonare di nuovo la sua casa e Úlfur le facesse storcere il naso, dandole un senso di tristezza.

«Domani sera. Non sei ancora nelle condizioni di affrontare un viaggio così lungo fino alla capitale di Midgardr. Devi prenderti un giorno per riposare e rimetterti in forze.»

«Non ho bisogno di riposare» ribatté Silye. In quel momento quella era l'ultima cosa che aveva intenzione di fare; aveva bisogno di muoversi e fare qualcosa come distrazione.

«Partiremo lo stesso domani» disse Vidar perentorio, allontanandosi da lei e lasciando la stoffa bagnata e sporca sul tavolo. «Ti consiglio di spalmartici l'unguento elfico» aggiunse, indicandole il viso. Si avviò verso la porta, ma, proprio quando ormai era a un passo da essa, si bloccò. «Ho sempre avuto problemi nel controllare la rabbia. Mi dispiace.» E uscì, facendo rimanere ancora una volta Silye da sola con gli interrogativi che la sua affermazione le aveva fatto sorgere.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

E dopo dei più che dovuti chiarimenti, tuffiamoci a capofitto in questa nuova traccia! Già nei prossimi due capitoli la situazione si smuoverà parecchio e i due dovranno affrontare nuovi problemi (insieme all'imminente entrata in scena di un altro personaggio cardine nella storia).

A presto, carissimi! Un saluto e un enorme ringraziamento per il vostro immenso e stupendo supporto!<3

Sophja99

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 30 - Sangue ***



Capitolo trenta

Sangue


Silye si svegliò non appena le prime luci dell'alba si infiltrarono nella casupola attraverso l'unica piccola finestra che vi era. Si stropicciò gli occhi e fece per stiracchiarsi, quando qualcosa si mosse accanto a lei, alzandosi ed allontanandosi. Úlfur doveva essere rimasto accocolato accanto a lei durante la notte ed ora lei l'aveva svegliato di soprassalto con i suoi movimenti improvvisi, per quanto lenti. Sollevò la testa dal giaciglio per guardarsi intorno: nessun segno di Vidar. Voleva davvero sapere cosa faceva tutto quel tempo fuori, lontano da lei. Pensò che forse era proprio quello il motivo per cui dalla mattina precedente non faceva altro che evitarla: non la voleva tra i piedi.

Vidar almeno poteva essere certo che lei ricambiasse quel suo desiderio. Nonostante lui si fosse scusato ben due volte con lei, Silye non riusciva proprio a perdonarlo. Le offese che le aveva rivolto, sebbene dettate dall'ira del momento, le bruciavano ancora sulla pelle e lei non sopportava l'idea che qualcuno potesse trattarla così e passarla liscia come se non fosse accaduto nulla.

Si tirò dietro le spalle l'ingombrante massa di ricci rossi e si alzò in piedi. Con sua sorpresa vide che il fuoco, che si era spento la sera precedente, ora scoppiettava nel camino e che di fronte vi era poggiato a terra il catino che solitamente usava per lavarsi. A fare tutto ciò non poteva essere stato nessun'altro oltre Vidar. Si chiese perché tutto a un tratto la stesse ricoprendo di quelle piccole premure. Allungò un dito per toccare l'acqua: era calda.

Da una parte era indecisa se cogliere l'opportunità e farsi un bagno, di cui aveva un grande bisogno, ma dall'altra temeva anche che Vidar, non avvertito del fatto che lei si stesse lavando, rientrasse e la vedesse nuda. Il pensiero di una scena simile la faceva rabbrividire dall'imbarazzo, ma l'acqua bollente era troppo invitante per non entrare, tanto che le fece superare il pudore. Si era abituata a lavarsi ad una temperatura a metà tra il ghiacciato e il tiepido e non si era mai curata di scaldare l'acqua fino a quel punto. Dopo l'esperienza da Hel, tuttavia, sentiva l'impellente bisogno di togliersi di dosso il freddo che la dea le aveva lasciato, oltre che lo sporco e quel poco di sangue uscito dalle ferite che ancora non era riuscita a lavare via.

Iniziò a spogliarsi, continuando a guardare guardinga la porta; quindi si infilò svelta nella bacinella, beandosi della sensazione di calore che l'acqua le stava offrendo. Piegò le gambe in modo da immergere anche la testa e l'enorme quantità di capelli che si portava dietro, che presero a galleggiare intorno al suo viso. Cercò di godersi al massimo quel momento di pace e piacevole calore, che le ristorava le membra e la rilassava, distendendole i nervi.

Si trattenne nell'acqua per diversi minuti, lasciando che questa le lavasse via lo sporco e, almeno per quel breve tempo, ogni pensiero che le dava preoccupazione, confusione e rabbia. Si sentì come se tutto ciò che di negativo le passava per la testa fosse stato espulso da lei.

Quando riemerse dall'acqua e riaprì gli occhi, tuttavia, vide l'acqua di un colore diverso da quello naturale: era rossa, come il sangue. Iniziò a boccheggiare, quasi fosse alla ricerca dell'aria che le mancava per la sorpresa, tirandosi subito su a sedere. Quando alzò le mani dall'acqua si accorse che anch'esse erano rosse, come ogni parte del corpo che fino a quel momento era stata sommersa, ed emanavano un forte sentore di sangue, lo stesso che permeava l'Helheimr. Quello, tuttavia, non era l'unico dettaglio inquietante: le braccia, così come le gambe, erano ricoperte di graffi da cui fuoriuscivano grandi fiotti di sangue.

Sangue... sentì una voce debole, poco più di un mormorio che le sibillava nella mente.

Avrebbe voluto urlare, ma riuscì a reprimere a fatica l'istinto.

Sangue sarà versato... continuò la voce, mentre più sussurri si ammassavano uno sopra l'altro, intontendola e costringendola a portarsi le mani alle orecchie pur di farli smettere, anche se sapeva che era una mossa inutile. Nonostante la confusione prodotta dall'insieme di voci, si rese conto che tutte dicevano la stessa parola: sangue.

Strizzò gli occhi, fin quando le voci non si quietarono all'improvviso. Abbassò le mani e, quando si strofinò con forza gli occhi, si accorse che il sangue era scomparso. L'acqua era tornata al suo colore originale e trasparente, così come la pelle al suo rosa naturale e tutti i tagli si erano dissolti. Iniziò a chiedersi se non si fosse sognata tutto e se non stesse diventando pazza. O forse era una visione pensò, rabbrividendo il momento dopo. Se così era, allora significava che le allucinazioni stavano diventando sempre più reali e tangenti, invadendo con maggiore irruenza la sua vita quotidiana. Doveva a tutti i costi imparare a controllarle o sarebbero arrivate a disturbarla in qualsiasi momento della giornata.

Ancora scossa da quello strano presagio, Silye uscì dal catino e afferrò un panno che Vidar le aveva lasciato sulla sedia, usandolo per asciugarsi. Quindi si rivestì in fretta, con il costante timore che il dio potesse rientrare quando meno se lo aspettava, cogliendola nuda e di sopresa. Quando ebbe finito, si intrecciò i capelli bagnati in una lunga treccia, cercando di controllare il fremito alle mani tenendole occupate in quei movimenti lenti e meccanici. Per quanto tentasse di convicersi che quella era stata solo una visione come un'altra, non poteva nascondere quanto questa l'avesse profondamente agitata.

Si passò una mano sulla fronte, come a scacciare quei cupi pensieri, e si affrettò a scaldare sul fuoco gli avanzi della sera prima. In realtà si era svegliata senza molta fame, e la poca che le era venuta nel corso della mattina era stata scacciata dalla visione ripugnante e inquietante del sangue.

Sentì la porta aprirsi dietro di sé e si voltò subito a guardare, nonostante avesse già chiaro in mente chi fosse entrato. «Vidar» lo chiamò, poiché l'altro teneva la testa bassa e i ricci che gli ricadevano sul viso lasciavano intravedere ben poco. «Buongiorno.»

Lui si scostò i capelli biondi dal volto e, quando alzò la testa per guardarla, Silye notò due lunghe ed evidenti occhiaie che facevano da contorno agli occhi evidentemente stanchi.

«Dormito poco?»

«Mi sono esercitato tutta la notte» disse lui, con voce innaturalmente bassa. «Non mi sono neanche avvicinato al letto. Se così si può chiamare l'angolo di pavimento che mi hai lasciato.»

«Oltre che esausto, mi sembri anche piuttosto nervoso» commentò Silye, mettendo su un piatto una delle cosce dell'uccello, le uniche parti rimaste dalla sera prima. Lo appoggiò sul tavolo e Vidar vi si sedette subito davanti, afferrando la carne e facendo per mangiarla. «Quella era mia!»

«Che differenza c'è tra una e l'altra coscia?» domandò il dio, già con i denti affondati nella carne dell'uccello.

La ladra sbuffò, tanto rumorosamente da far girare Vidar verso di lei.

«Che ti prende?» chiese lui a bocca piena. «Oggi non mi sembra di essere l'unico irritato qui dentro.»

«Nulla» rispose la ragazza. Ovviamente stava mentendo: la visione di quella mattina le aveva lasciato un gelo dentro che nemmeno l'acqua calda era riuscito a lavare via. Fino ad allora si era sempre sentita al sicuro dentro la sua casa; per lei rappresentava il rifugio in cui rintanarsi quando non si sentiva accettata dal resto del mondo e cercava protezione. Un tempo tutto ciò per lei era stato suo padre Arild; la sua morte, però, l'aveva lasciata del tutto spaesata, oltre che addolorata. Da quando lui non c'era più, nella sua vita si era creato un vuoto che solo con estrema fatica e tempo era riuscita a risanare, e ancora non completamente.

Ma ora, con quella fulminea e tangente visione, aveva capito che i pericoli in cui era stata trascinata da Vidar e dal suo destino si annidavano anche nella sua stessa casa: non era più al sicuro da nessuna parte.

«Mi sembri più pensierosa del solito.»

Silye liquidò la faccenda e agitò la mano come a spazzare via quei pensieri e l'argomento. Mise l'altra coscia su un piatto, stavolta destinato davvero a lei, e si andò a sedere davanti a Vidar. «In cosa ti sei esercitato stanotte?»

«A combattere, dato che ora sarà più difficile proteggere te e me stesso senza la mia lancia. Ancora non riesco a credere che Gungnir sia tra le mani di quella schifosa tík¹.»

Silye si soffermò a guardarlo mentre era impegnato a spolpare l'osso. Capì che quel suo atteggiamento era un modo per mostrarsi quasi disinteressato all'argomento e per nascondere ciò che davvero provava. Lei lo sapeva bene, perché anche lei ricorreva spesso a quella tattica. «Capisco come ti senti. La rabbia e il dolore per la morte di un genitore sono emozioni che faticano ad estinguersi e placarsi, ma non devi lasciare che prendano possesso della tua mente. Non puoi permettere loro di prevalere sulla razionalità. Ricorda che anch'io ho affrontato la perdita di mia madre e mio padre e conosco fin troppo bene ciò che si prova.»

«Tu non sai un bel niente» sussurrò Vidar, lasciando ricadere l'osso sul piatto. Non c'era disprezzo o crudeltà nella sua voce: solo rassegnazione e una malcelata sofferenza.

«Potrei dire lo stesso di te» ribatté Silye, non avendo alcuna intenzione di lasciar cadere quel discorso nel vuoto. «Durante il nostro primo incontro non mi conoscevi affatto e ti sei messo a sputare sentenze su di me e su ciò che faccio per vivere.»

«Tu mi hai minacciato con un pugnale» ribatté Vidar. «Tra l'altro non è un grande metodo per uccidere un dio, dato che probabilmente la lama non mi avrebbe nemmeno scalfito.»

«Beh, prova a metterti nei miei panni. Tu cosa avresti fatto in una simile situazione?»

«Probabilmente ti avrei trattata con gentilezza e ti avrei accolta nella topaia in cui vivo.»

«Naturalmente. Sai, non credo proprio che ti saresti comportato in quel modo, soprattutto dopo aver visto come tratti gli sconosciuti, come, per fare un esempio, le viverne dell'Helheimr.»

«Se mi fossi comportato diversamente allora, tu ora con ogni probabilità saresti morta e in questo momento il tuo cadavere starebbe marcendo nella reggia della tík.»

«Grazie mille, mi è passata la fame» disse Silye, appoggiando la carne, di cui aveva preso solo pochi bocconi. In realtà il riferimento alla morte le aveva fatto tornare in mente l'acqua del catino trasformatasi in sangue.

Vidar fece una smorfia. «Se proprio non ti va più, lo prendo io. Altrimenti andrebbe sprecato.»

«Fai pure.» Silye diede una spinta al piatto, che venne prontamente afferrato dal dio prima che cadesse dal tavolo e si frantumasse.

Per risparmiarsi la vista nauseante del cibo nella bocca di Vidar, la ladra si alzò dal tavolo e, preso l'arco e le freccie, uscì dalla casa per concedersi un'ultima battuta di caccia prima della partenza, giusto per assicurarsi qualcosa da mettere sotto i denti quella sera. L'arto ferito non le avrebbe certo facilitato i movimenti, ma necessitava al più presto qualcosa con cui svagare la mente e solo la calma della foresta e l'eccitazione della caccia avrebbero allontanato la visione dalla sua testa.


Quella sera cenarono in silenzio. Sarebbe stato saggio parlare del viaggio che avrebbero dovuto affrontare, decidere la strada da percorrere e stimare il tempo che avrebbero impiegato, ma in quel momento non aveva alcuna voglia di parlare e prevedibilmente discutere con lui. Tanto alla fine lui avrebbe fatto come gli pareva; semmai in seguito si fosse accorta che qualcosa non andava o non era fattibile, glielo avrebbe reso noto. Quelle poche ore che aveva a disposizione, però, voleva passarle tutte con Úlfur. In seguito avrebbe avuto fin troppo tempo da trascorrere insieme a Vidar, suo malgrado.

Non provava più per lui vero e proprio disprezzo, come era stato quando lo aveva conosciuto e durante la loro ultima lite, poiché aveva capito che gran parte delle parole che le aveva rivolto e il comportamento che teneva con lei era dovuto a dei suoi particolari e tristi ricordi. Eppure, non riusciva ancora a fidarsi del dio, forse a causa dei suoi continui cambiamenti d'umore, che rendevano difficile e instabile il loro rapporto. Per questo preferiva semplicemente evitarlo e limitare le possibilità di litigi infruttuosi e inutili.

Conclusa la cena, Vidar uscì, forse per andare a preparare Sleipnir, mentre Silye rimase in casa per riporre nella sacca gli oggetti che le sarebbero potuti servire durante il viaggio e per salutare il cane. Prese qualche vestito, giusto per essere sicura di avere dietro dei ricambi per ogni evenienza, e il suo pugnale, di cui tanto aveva sentito la mancanza durante la terribile esperienza nell'Helheimr. A malincuore dovette lasciare abbandonati nella casupola il suo arco e le frecce, poiché sarebbero stati solo un impiccio nel cammino.

Strinse forte a sé il cane, accarezzando il suo morbido pelo grigio.

«Stai pur certo che ci rivedremo molto presto» gli assicurò, lasciandolo e rialzandosi.

Afferrò la sacca e se la mise in spalla, mentre usciva fuori. Quando accostò dietro di sé la porta, in modo che Úlfur nei giorni di sua assenza potesse uscire e rientrare come preferiva dalla casa, vide Vidar intento a legarsi sulla spalla a mo' di sacca la bisaccia che prima era attaccata alla sella di Sleipnir.

«Non andiamo a cavallo?» domandò Silye, stupita perché non vedeva Sleipnir da nessuna parte.

Vidar interruppe per qualche secondo il lavoro di legare le cinghie della borsa, la guardò e scoppiò a ridere. «Ovviamente no. Non credi che un cavallo a otto gambe desterebbe non poca incredulità tra la gente?»

«Non può magicamente portarci fino al palazzo del Konungr, come abbiamo fatto per arrivare da Hel?»

«Funziona solo per passare da un regno all'altro. All'interno dei singoli mondi, Sleipnir è come un cavallo normale.»

«E se evitassimo i villaggi?»

«Per prima cosa non abbiamo abbastanza viveri per coprire l'intero viaggio. E poi non dobbiamo dare nell'occhio, né possiamo rischiare di incontrare casualmente qualcuno, pur passando per i boschi. Se la tua visione è veritiera...»

«Lo è» ribatté Silye, interrompendolo.

«Dati i precedenti, sarebbe meglio usare se. Perciò, ripeto, se la visione è veritiera, Hel e il Konungr devono aver stretto una sorta di patto, il che significa che non esiteranno a contattarsi tra loro e aiutarsi a vicenda. È altamente probabile che Hel abbia già avvertito il re della nostra fuga e useranno tutti i loro mezzi per trovarci, ovunque ci troviamo. Dobbiamo evitare di farci notare. Un punto a nostro favore potrebbe essere il fatto che, con l'intervento di Baldr, Hel potrebbe aver pensato che fossimo andati ad Asgard dagli altri dei.»

«Speriamo di avere almeno questo vantaggio» rifletté Silye, convinta dalle parole di Vidar.

Quando Vidar ebbe terminato di armeggiare con la bisaccia, sollevò lo sguardo su di lei, osservandolo con sguardo severo e attento. «Non dobbiamo destare sospetti.»

«L'hai già detto. Ho capito» ribadì Silye, incrociando le braccia sul petto.

«Voglio che la cosa sia chiara» si avvicinò di qualche passo a lei. «Non fare cose indicibilmente stupide, come hai fatto l'ultima volta al villaggio di Vél. Niente furti, niente liti con gli abitanti o altro che possa attirare attenzione indiscreta su di noi.»

«Guarda che quello che ha litigato con l'usuraio del villaggio sei stato tu, non io» disse Silye, accennando un sorriso, più derisorio che puramente divertito.

«Silye, sto parlando sul serio» affermò il dio, ma con un tono di voce leggermente più dolce. «Il viaggio potrebbe rivelarsi molto pericoloso se Hel si mette in mezzo e non voglio rischiare o avere nulla di cui preoccuparmi.»

«Va bene» ripeté la ragazza, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. «E Sleipnir dove rimarrà?»

«Qui. Gli ho lasciato un po' della mia scorta di cibo, ma non dovrebbe avere problemi. Grazie alle rune, ha una resistenza alla fame e alla sete superiore al normale.»

«Bene, allora direi di metterci in cammino» disse Silye, guardando in direzione del sole in procinto di svanire tra gli alberi e le montagne.



¹ Termine norreno dal significato di “cagna”.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 31 - Døkkr Vargr ***



Capitolo trentuno

Døkkr Vargr


Silye si sedette su una roccia, circondata da cespugli e un intrico di rami, tanto grande che dovette stare attenta perché i suoi ricci non finissero impigliati tra di essi. Avevano camminato solo pochi minuti, giusto il tempo di arrivare fino all'estremità del bosco di Hoddmímir, esattamente all'inizio di esso.

Quando Vidar le aveva detto di fermarsi, lei inizialmente aveva protestato poiché, a suo parere, avevano percorso ben poca strada e la capitale era ancora lontana, ma, dopo che lui le ebbe spiegato che era per riflettere sulla strada da prendere, lei accolse la sua decisione. Il ragazzo aveva quindi tirato fuori dalla bisaccia un foglio di carta leggermente rovinato ai lati e sgualcito; doveva essere rimasto a lungo chiuso nella sua borsa e questo doveva averlo danneggiato.

«Cos'è?» aveva chiesto la ragazza, allungandosi per guardare cosa vi fosse scritto. Rimase stupita invece nel vedere disegni di alberi, montagne e case tutte in miniatura. Erano stati riprodotti in modo maniacale e con estrema cura, quasi come le raffigurazioni del suo libro delle völve.

«Una mappa» disse, quando Silye era già arrivata a capirlo. Riconobbe la sua casa, il bosco di Hoddmímir, che occupava gran parte del regno e che arrivava fino ai monti Hlekker e, ancora più in alto, ai ghiacciai Kala. Intorno e sotto alla foresta, invece, stavano disseminati i vari villaggi, molti dei quali non conosceva nemmeno, come quelli che si trovavano ai confini più lontani del regno. Per contro, avrebbe saputo ripetere a memoria ogni abitazione, strada e bottega di quelli in cui più e più volte era andata a rubare, come Vél, Býl, e Bǿnir.

«Non so se sia meglio passare per Dugr e ripercorrere il corso del fiume Net o per Bǿnir, il bosco di Lundr e infine Trúar per raggiungere la capitale Gudir. Il problema della seconda opzione è che non potremo abbeverarci con l'acqua del fiume e noi non abbiamo abbastanza riserve. Dovremo per forza fermarci in qualche osteria.»

«Per me non è un problema» affermò Silye, sedendosi accanto a lui. «Anzi, credo che sia meglio passare proprio per il bosco; ci offrirà una migliore protezione.»

«E allora vada per Bǿnir» disse Vidar, piegando di nuovo la cartina e riponendola nella bisaccia.

«Dove hai preso quella mappa?» chiese la ladra, incuriosita. Non esistevano molti libri e fogli come quello di Vidar e i pochi che si potevano trovare a Midgardr erano costosi e accessibili solo ai più ricchi. Arild era riuscito a rubarne qualcuno e tramite quelli le aveva insegnato l'alfabeto e perlomeno a leggere i testi più facili, ma sempre con qualche difficoltà.

«L'ho trovata ad Asgard. È vecchia di diversi anni. Deve averla comprata da un umano uno degli dei che sono ancora in vita come me. Forse anche Baldr.» I suoi occhi incontrarono quelli di lei. «Come mai ti interessa tanto?»

«È solo che... Non ho mai avuto l'opportunità di vedere sul serio l'assetto del regno. Insomma, conosco i suoi tratti generali, ma solo per sentito dire. Non avevo mai visto Midgardr nella sua interezza. Mai attraverso la carta, figurati se l'ho vista dal vivo.»

Si rese conto di quanto dovesse sembrare stupida agli occhi di Vidar, un dio che nella sua vita doveva aver visto milioni di cose. Insomma, non conosceva nemmeno il suo stesso regno, e dire che era anche una veggente, con il dono di poter vedere anche gli eventi e i fenomeni lontani nel tempo e nello spazio. Eppure, nello sguardo di Vidar non c'era alcun segno di sprezzo o altezzosità. «Forse un giorno avrai la possibilità di vederla. Ti auguro davvero di renderti conto della bellezza di cui sei circondata» disse, guardandosi intorno come a sottintendere di stare parlando dell'intera Midgardr.

Lo spero pensò Silye, abbassando lo sguardo per evitare quello di Vidar. Era in quei frangenti che si rendeva conto dell'enorme abisso che li divideva. Lui un dio ultracentenario, un eterno ragazzo, mentre lei un'umana con la patetica capacità di vedere il futuro, del tutto inutile dato che non stava portando i suoi frutti e che ancora non riusciva a controllarla e sfruttarla.

Silye si riscosse da quei pensieri. Non era il momento di soffermarsi a riflettere sulle loro esistenze, non quando li attendeva un lungo e difficoltoso viaggio. Si alzò insieme a lui e imboccarono la strada che portava al villaggio.


Fecero una sola tappa a Bǿnir, dove arrivarono all'alba e rimasero per poco, giusto il tempo di comprare qualcosa al mercato cittadino da tenersi da parte per il resto del viaggio. Quindi oltrepassarono senza problemi Bǿnir e il bosco di Lundr che lo circondava, spesso utilizzato dai cacciatori dei villaggi vicini per andarvi a caccia, non avendo il coraggio di entrare in quello di Hoddmímir. Silye quasi non era abituata a vedere un bosco tanto piccolo, praticamente nulla rispetto alla foresta in cui aveva vissuto gran parte della sua esistenza. Nonostante fossero lampanti le differenze, come soprattutto negli alberi, più bassi rispetto a quelli di Hoddmímir, in quel bosco si sentiva bene, più di quanto potesse in un qualsiasi villaggio. Probabilmente, se avesse potuto tornare indietro al momento in cui aveva deciso di declinare la richiesta di sua zia Astrid di andare a vivere da lei, avrebbe lasciato tutto invariato, senza cambiare la scelta che aveva fatto.

Quasi le dispiacque dover lasciare il bosco e la sua tranquillità, ma dovevano proseguire il viaggio se volevano arrivare a Gudir il prima possibile.

Camminarono tutto il pomeriggio lungo le terre e le pianure deserte che li dividevano dal villaggio, dove giunsero al tramonto. Trúar era una cittadina ben più grande e popolosa di quelle che circondavano Hoddmímir, poiché là risiedevano diverse famiglie nobili per la vicinanza a Gudir. Tra le due città, infatti, si frapponeva solo un piccolo bosco e di solito a Trúar vi si recavano gli aristocratici durante il periodo estivo per allontanarsi per un po' dalla vita di corte e della capitale e per godersi la campagna. Ora, però, era inverno e con ogni probabilità avrebbero trovato la città quasi deserta.

E, di fatto, forse anche perché erano arrivati proprio nell'ora in cui tutti si erano ormai rintanati a casa per mangiare con le loro famiglie, vennero accolti da un silenzio innaturale e quasi spettrale, che regnava sulle strade del paese. Gli unici rumori che si potevano sentire provenivano dai piani alti degli edifici, in cui si trovavano le abitazioni, mentre il pianterreno era riservato alle botteghe e ai locali mercantili, ora tutti chiusi. Le vie erano illuminate solo dalla fioca luce proveniente dalle finestre e dai palazzi, poiché il sole era già tramontato da un pezzo.

«Ci fermiamo alla prima locanda che vediamo» ripeté Vidar, mentre si guardava intorno alla ricerca di un'insegna o qualsiasi cosa che segnalasse la presenza di un'osteria.

«Lo so: me l'hai già detto prima di entrare a Trúar» ribatté la ladra.

«È solo per assicurarmi che tu abbia capito e che ti sia tolta di testa qualsiasi strana idea.»

«Tranquillo, non ho alcuna intenzione di mettermi a rubare. E poi non ci guadagnerei nulla a quest'ora del giorno. Insomma, guarda: questo villaggio sembra abbandonato.»

«Intendi che non merita che i suoi cittadini siano derubati da te perché non è abbastanza popoloso? Devi perdonarlo se non è all'altezza...»

«Idiota» disse Silye, già pronta a nuove frecciatine e liti, ma, quando si voltò a guardarlo, si accorse che lui stava ridendo. Non era un sorriso canzonatorio o vagamente sprezzante, bensì uno genuino, come solo rare volte aveva avuto la fortuna di guardare. Detestava ammetterlo, ma le piaceva vederlo sorridere, osservare il modo in cui gli si illuminava il viso e gli occhi ambra mentre lo faceva.

Distolse subito lo sguardo, imbarazzata da quei pensieri. Ma cosa le stava succedendo?

«Guarda» disse Vidar all'improvviso, indicandole un locale poco più avanti, su cui capeggiava un'insegna con su scritto Døkkr Vargr¹. «Quella dovrebbe essere un'osteria.»

«Sì. Andiamo.» Da fuori sembrava deserta, il luogo perfetto in cui passare tranquillamente la serata, poiché alle loro orecchie giungevano solo voci e suoni attutiti, ma, quando aprirono la porta e fecero il loro ingresso, si accorsero che in realtà la locanda era pienza zeppa di gente. Era come essere entrati nel caos più totale, con persone, la maggior parte già ubriache a quell'ora ancora non troppo tarda, a chiacchierare o urlare contro gli altri. Molti giocavano a carte e non mancavano liti e zuffe con chi aveva barato o vinto tutto il denaro degli altri giocatori; a un lato un musicista suonava un'incantevole melodia con il fiato, circondato da un gruppo di persone rapite da quel canto armonioso. L'attrattiva, però, non erano solo il cibo e il liquore, che, eppure, scorrevano e passavano a volontà tra i clienti, ma le prostitute, che giravano per la stanza nei loro abiti succinti, cercando di abbordare gli avventori, soprattutto quelli ubriachi e più accondiscendenti. Oltre che locanda, quello doveva essere anche un bordello.

«Dove siamo finiti?» domandò Silye, esterrefatta. Era stata milioni di volte in botteghe e locande, per approfittare del disordine che si creava nella notte per rubare dalle persone più distratte o troppo sbronze per accorgersene, ma mai in un bordello.

«Se lo stai chiedendo a me, in un posto meraviglioso» disse Vidar, soffermandosi sulla profonda e generosa scollatura di una donna, che, passando loro davanti, lanciò uno sguardo lascivo al dio.

«Tieni a freno i bollori, dobbiamo ripartire tra meno di un'ora» lo avvertì la ladra.

«Posso fare in fretta. Sarò svelto come un fulmine» provò Vidar.

«Non provarci nemmeno» lo ammonì Silye, con espressione disgustata, afferrandogli il braccio e trascinandolo verso uno dei pochi tavoli liberi. «Non possiamo perdere tempo e dobbiamo rimanere lucidi.»

Si misero seduti e Silye alzò il braccio per cercare di attirare l'attenzione di una delle cameriere, evidentemente molto impegnate a prendere le varie ordinazioni e a servire i numerosi clienti. Per sua sfortuna, nessuna la notò, tutte troppo occupate a consegnare boccali stracolmi di birra e altri liquori o piatti riempiti di cibo.

«Rimani qua. Vado io ad ordinare» disse Vidar, alzandosi.

Silye annuì. «Ma nessuna distrazione. Se ci metti troppo, vengo a cercarti e, se ti vedo a fartela con una di queste prostitute, ti strozzo con le mie mani» lo avvertì. L'altro rispose con un sorriso, prima di sparire tra la gente presa a fare baldoria e azzuffarsi.

Dovettero passare solo pochi minuti prima che il dio ricomparisse, con due bicchieri tenuti tutti in una mano per i manici e sull'altra un piatto su cui poteva scorgere qualche pezzo di pane e carne.

Vidar si mise seduto e poggiò tutto sul tavolo.

«Sono fiera di te, sei riuscito a resistere alla tentazione.»

«E non è stato facile, perché sono subito stato adocchiato da una decina di donne.»

«Modesto» commentò. «Cos'è?» chiese poi Silye, scorgendo un liquido tra il rosso scuro e il nero nel boccale che il ragazzo le passò. Non aveva mai bevuto liquori, né conosceva molto di essi; a stento ricordava i nomi. In quegli anni aveva avuto mansioni più importanti di cui occuparsi di sbronze notturne nelle locande.

«Assaggia e lo scoprirai» disse, già con il bicchiere alla bocca a trangugiare il liquore.

La ladra lo guardò con aria interrogativa, ma in seguito si decise a provarlo, sebbene il colore non fosse affatto invitante. Se lo portò alla bocca e ne assaggiò un po'. Come inghiottì il liquido, sentì la gola e lo stomaco bruciarle e tossì. «Cos'è questa roba?» chiese.

«Vino. Tranquilla, al secondo sorso sarà più facile mandarlo giù.»

Lei lanciò un'occhiata sospettosa alla bevanda, ma dovette ammettere che il gusto non era male. Ne bevve un altro po' e dopo altri sorsi cominciò ad abituarsi alla sensazione di calore che l'alcolico le infondeva. «Beh, non è male.»

Nel giro di pochi minuti arrivò fino al fondo del bicchiere e se ne accorse con una punta di dispiacere.

«Ne vuoi ancora?» chiese Vidar, anche lui con il boccale vuoto.

Silye annuì. «Beh, i soldi non ci mancano. Quindi, perché no?»

Vidar si affrettò ad andare ad ordinare, mentre la ladra mangiucchiava qualche pezzo di carne. Il dio tornò poco dopo con un'intera brocca colma di vino fino all'orlo.

«Ma sei matto? Perché ne hai preso tanto?»

«Zitta e bevi» affermò, versandole dell'altro vino nel bicchiere.

Silye avrebbe dovuto rifiutare, poiché non era abituata a bere una tale quantità di alcolici, ma quella bevanda era troppo buona per rifiutarsi. E, dopotutto, cosa c'era di male? Si meritava una serata di baldoria dopo tutto quello che aveva passato per dare a Vidar le visioni che tanto voleva.

«Skål²» gridò Vidar, per farsi sentire sopra le urla degli altri avventori, facendo cozzare i loro bicchieri.

La ladra mandò giù due lunghe sorsate, ignorando il pizzicore alla gola e al petto che queste le provocarono. Lanciò un'occhiata a Vidar, che finì l'intero boccale nel giro di pochi secondi, con una tale voracità che alcuni rivoli di vino colarono fino al mento, scendendo fino al collo. Silye rimase a fissare la parte di pelle lasciata scoperta dalla maglia e il pomo d'Adamo sollevarsi ed abbassarsi mentre Vidar aveva la testa reclinata indietro, intento a mandare giù il liquido. Si immaginò come dovesse essere toccargli la pelle, sentirla tendersi sotto il passaggio delle sue dita...

I suoi pensieri, però, si bloccarono bruscamente quando lui abbassò di nuovo la testa, sbattendo il bicchiere sul tavolo. Cosa diavolo mi prende? si domandò Silye, colpita dalla reazione che il solo vedere il collo scoperto di Vidar le aveva provocato. Cercò di non pensare a ciò a cui l'aveva portata la sua immaginazione e si affrettò a finire il bicchiere.

«Allora, che ne pensi?» chiese il dio, versando altro vino nei loro bicchieri.

«Che questa roba è davvero buona» disse Silye, sorridendo e bevendone dell'altro. Fino ad allora non aveva mai nemmeno posato lo sguardo su degli alcolici, eccetto in quelli bevuti dalle vittime delle sue ruberie; nelle occasioni in cui era andata in altre locande, non aveva mai preso birra o altri liquori altrettanto forti, perché doveva rimanere lucida e al massimo delle sue facoltà per far riuscire il furto. Ora, però, si sentiva incredibilmente leggera: non aveva nulla ad appesantire la sua mente, nessuna ruberia, né altro. Non doveva pensare a guadagnarsi il denaro sufficiente per vivere; poteva averne quanto voleva, grazie a Vidar e ai suoi lingotti d'oro. In realtà, in quel momento, anche il pensiero delle völve e del suo compito le appariva lontano, insignificante. In fondo, cosa le poteva importare a lei di quelle stupide megere e di Nidhöggr?

All'improvviso scoppiò a ridere. Tra centinaia di persone, quelle idiote sono andate a scegliere proprio me. La ladra più sfortunata dell'intera Midgardr. Stranamente la cosa la divertiva, anziché sconvolgerla.

«Che ti prende?» le domandò Vidar, guardandola con un soppracciglio aggrottato, come se la considerasse una matta.

Lei scosse la testa, ma senza smettere di sghignazzare e continuare a sorseggiare il vino, rischiando di buttarselo addosso.

Silye si guardò intorno, ma si accorse che improvvisamente le grida e le risate degli altri avventori le giugevano come ovattate. Poteva sentirle, ma non chiaramente. Era come se tutti i suoi sensi e la sua mente andassero a rilento. Per certi versi rasentava i momenti immediatamente precedenti ad una visione, solo che in quel caso non giungeva nulla, ma tutto rimaneva smorzato.

In tutta quella confusione, però, riuscì a scorgere in lontananza cinque individui entrare e farsi largo tra la gente, per avvicinarsi al bancone e all'oste. Non sapeva perché li stesse guardando, ma c'era qualcosa in loro, nei loro movimenti e nel modo in cui si guardavano intorno, che le diede un senso di preoccupazione. Gli uomini mostrarono all'oste due fogli, che Silye non riuscì a vedere perché girati, chiedendogli qualcosa. L'uomo rispose indicando proprio verso il loro tavolo. Quelli si voltarono a guardarli e vide alcuni di loro tirare fuori cautamente dei coltelli.

La ladra si girò a guardare Vidar, intento a bere e a gettare a volte lo sguardo verso un gruppo di prostitute. «Guai in vista» mormorò Silye.



¹ Lupo Nero

² Alla salute

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

E per la serie "Situazioni improbabili" ecco Silye e Vidar in un bordello e una Silye più sbronza del solito (e anche del dovuto). Chi saranno poi gli uomini che li hanno puntati e cosa avranno intenzione di fare?

Spero il capitolo vi sia piaciuto! Grazie mille a tutti coloro che continuano a leggere!<3

A presto, carissimi!

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 32 - Ricercati ***



Capitolo trentadue

Ricercati


«Di che parli?» chiese Vidar, tornando subito serio e sbattendo il bicchiere sul tavolo.

Silye indicò alle proprio spalle, verso gli uomini che ora si stavano facendo largo tra la folla, puntando proprio il loro tavolo.

«Diamine!» ringhiò il dio. «Non si può mai stare tranquilli in questo regno.»

«Cosa vorranno?» chiese Silye, facendo per alzarsi, ma venne prontamente trattenuta da Vidar, che allungò una mano per toccarle il polso. «Che fai?»

«Ferma. Vediamo cosa vogliono e se riusciamo a liberarci di loro senza scappare, né combattere. Continua a bere come se non li avessi visti.»

Silye annuì e riprese in mano il bicchiere, anche se improvvisamente tutta la voglia di bere il vino era totalmente scomparsa, sostituita da un brutto presentimento. Si limitò ad abbassare il capo sulla tazza.

«Buonasera» esclamò una voce maschile e profonda dietro di lei. Subito dopo l'uomo entrò nella sua visuale, prendendo uno sgabello e avvicinandolo al tavolo.

«Salve!» disse Vidar, mostrando un incredibile sangue freddo. Deve essere abituato a trattare con gente pericolosa pensò la ladra. O forse è il vino che lo ha reso così espansivo. «Favorite, ragazzi? Stasera mi sento clemente: pago io per tutti e cinque. Non lasciatevi sfuggire questa offerta» continuò, sorseggiando un altro po' di vino e facendo loro l'occhiolino.

«Ti ringrazio, ma, purtroppo, non abbiamo molta sete, anche se abbiamo fatto molta strada per venire fin qua» affermò l'individuo, con gli altri quattro posizionati intorno al tavolo e dietro a Silye e Vidar, come ad impedirgli ogni via di fuga. Sebbene la ladra avesse la vista leggermente offuscata e non fosse nel pieno delle sue facoltà, aveva la netta impressione che quegli uomini non avevano affatto buone intenzioni.

Guardò con più attenzione l'uomo che si era seduto accanto a loro; non doveva avere più di quarant'anni, era calvo e di corporatura parecchio robusta, con una lunga cicatrice sulla fronte, ormai poco visibile, e labbra sottili, ora sollevate in un ghigno. Un individuo del tutto normale, se non fosse stato per il modo con cui si era approcciato a loro insieme ai suoi compagni e la stava osservando in quel momento.

«Beh, è davvero un peccato, perché vi state perdendo un vino davvero ottimo.»

Sentì la mano di uno di quegli uomini posarsi sulla sua spalla e Silye venne attraversato da un leggero brivido di paura. Cosa volevano quegli uomini? Vidar fece una smorfia quando vide che uno di loro l'aveva toccata.

«Sfortunatamente per voi, non è il vino ad interessarci» mentre l'uomo parlava, lo stesso individuo che le stava stringendo la spalla in una presa ferrea le avvicinò la lama di un coltello alla gola con lentezza studiata per non farsi notare dalle altre persone presenti.

Vidar aggrottò un sopracciglio, unico segno della preoccupazione che cercava di non rendere manifesta a quegli uomini. «Chi diamine siete?» ringhiò poi, lanciando uno sguardo duro all'uomo seduto al loro tavolo, che aveva preso il bicchiere di Silye e aveva bevuto la bevanda rimasta.

La ragazza trattenne il respiro, mentre la lama si faceva pericolosamente più vicina al suo collo, tanto da poterne chiaramente sentire il freddo contro la pelle.

«Solo delle persone parecchio interessate a voi. Dovrete solo seguirci e nessuno si farà male» disse l'uomo, mentre il suo ghigno si apriva, divenendo un ampio sorriso.

«Beh, questo è quello che volete voi. Noi avremmo di meglio da fare» ribatté Vidar, senza staccare gli occhi dall'individuo.

«Se vi ribellerete, sarò costretto a fare del male alla ragazza, anche se mi servite entrambi vivi» continuò, lanciandole uno sguardo divertito. Al che l'uomo che teneva il coltello le strinse i capelli, tirandole indietro la testa e scoprendo ancora di più il collo.

«E poi sarebbe un peccato ucciderla, Jørgen. Sai quante cose si potrebbero fare con lei» scoppiò a ridere quello, avvicinandole il coltello a tal punto da penetrare la pelle e far colare un rivolo di sangue.

«Lasciatemi stare, bastardi» sibilò Silye, per quanto le fosse possibile parlare in quella posizione scomoda.

«Beh, lei non sembra molto propensa» ribatté l'altro, evidentemente sarcastico.

«Lo diventerà» sogghignò l'uomo, tirandole di più i capelli e strappandole un lamento.

«Sareste così gentili da rispondere alla mia domanda e spiegarmi perché siete venuti a disturbarci?» chiese Vidar, con una calma che Silye non sarebbe mai riuscita a mantenere in una situazione del genere.

«Fai troppe domande, ragazzo. Andiamo, abbiamo già perso troppo tempo. Prendete anche lui e andiamocene.»

Sebbene da quella posizione non potesse vedere i movimenti di Vidar nella loro interezza, Silye riuscì a scorgere gli altri due uomini muoversi e cercare di afferrarlo, ma il dio fu più svelto. Diede un pugno al più basso e scansò il colpo dell'altro individuo, dal fisico ben più corpulento del compagno. Il terzò sguainò una spada e tirò un fendente a Vidar, che riuscì ad evitarlo solo con grande fortuna. Silye si rese conto che, nonostante Vidar avesse ben più forza di loro, era disarmato e gli uomini, numericamente maggiori, erano anch'essi addestrati e abili spadaccini.

La ladra decise di agire e conficcò le unghie di entrambe le mani sul polso dell'uomo che la teneva bloccata, fino a far fuoriuscire il sangue. Quello imprecò e lasciò cadere il coltello. Silye provò ad alzarsi e allontanarsi da lui, ma l'uomo non aveva lasciato la presa sui suoi capelli. Anzi, li tirò, facendola cadere a terra.

«Sporca cagna» sibilò con sprezzo quello, recuperando il pugnale caduto.

Silye cercò di scappare tirando i capelli anche a costo di strapparseli, pur di sfuggire alla sua presa, o tentando di raggiungere la mano che la teneva, per costringerlo a lasciarla, ma era troppo in alto. Pur non smettendo di lottare, capì che non c'era modo di liberarsi e attese che l'uomo la colpisse con il coltello. Ma la pugnalata non arrivò.

All'improvviso sentì la presa sui suoi capelli allentarsi, fino a sparire. Silye si voltò e vide l'uomo accasciarsi, con cocci infranti tra i capelli e a terra, mentre dietro di lui sbucava una ragazza.

Era minuta, ma dalla corporatura muscolosa e leggermente prosperosa. Indossava uno strato di pelliccia sotto un corpetto di metallo, molto simile ad un'armatura, e dei pantaloni scuri di pelle, sebbene le vesti si potessero solo intravedere attraverso un lungo mantello. L'unica cosa che in quel momento riusciva a vedere con completa chiarezza di lei erano i capelli lunghi fino a poco sotto le spalle, lisci e biondi, raccolti in trecce e tirati indietro, e gli occhi grandi e verdi.

La guardò a bocca aperta: quella piccola ragazza le aveva appena salvato la vita, rompendo un vassoio di coccio sulla testa dell'uomo. «G-grazie» fu l'unica cosa che Silye riuscì a dire.

Quella le fece solo un cenno in risposta, prima di scostare il mantello e svelare una spada, prima accuratamente tenuta nascosta, che sfilò dal fodero; quindi la superò e andò a tirare un montante ad uno dei tre individui superstiti. Nonostante, però, la ragazza aveva un'arma nettamente superiore all'uomo, che aveva in meno solo un pugnale, quello riuscì a sviare il colpo con incredibile agilità. Avrebbe avuto non pochi problemi a vincerlo.

Silye stava osservando ancora allibita la scena, quando sentì qualcuno tapparle la bocca con una fascia, che le legò dietro la testa, nonostante le opposizioni della ladra. Silye iniziò a sudare freddo, quando, però, vide, abbandonato a terra poco distante dalla sua mano, il pugnale usato dall'uomo che l'aveva minacciata e riuscì ad afferrarlo poco prima che l'altro le prendesse le spalle e la costringesse ad alzarsi in piedi. «Finora siete stati fortunati, ma non credere che ti lascerò sfuggire così facilmente» disse e Silye riconobbe la voce di Jørgen. Fece per afferrarle le mani per immobilizzarla, ma la ladra fu più veloce e gli affondò il pugnale in un punto imprecisato dietro di sé e del suo corpo, forse il ventre.

L'uomo sussultò e Silye sentì la presa su di lei alleggerirsi, ma non abbastanza da permetterle di scappare; quindi, si fece di nuovo forte, mentre Jørgen scoppiava a ridere. «Forse ti ho sottovalutata, ragazzina, ma sappi che questo non basta affatto ad uccidermi» le sussurrò, sprezzante, lanciando un rapido sguardo oltre lei, verso Vidar e la ragazza, ancora impegnati a difendersi dai loro avversari. Nonostante la forza del dio fosse superiore a quella dei due uomini, quelli avevano il vantaggio di essere armati di spade e molto abili nel loro uso, combattendo con incredibile precisione e concordanza tra loro. Sebbene sia lui sia la giovane si stessero battendo con costanza, non poteva sperare in un loro aiuto per liberarsi di Jørgen.

Poi questo posò di nuovo lo sguardo su di lei e la fece girare, serrandole le mani intorno al collo e iniziando a trascinarla verso la porta del locale. «L'altro non sembra altrettanto facile da catturare, perciò mi accontenterò di te. Mi permetterai lo stesso di guadagnare un bel po' di soldi.»

Respirare diveniva sempre più difficile man mano che aumentava la forza con cui le faceva presa sulla gola. Silye aprì la bocca, come alla ricerca dell'aria che iniziava a scarseggiare nei polmoni, mentre lo sguardo crudele di Jørgen che aveva davanti a lei si riempiva di miriadi di stelline.

Aveva capito cosa intendeva fare: voleva arrivare a farle perdere la coscienza e sfiaccarla, fin quando non avesse avuto più alcuna forza in corpo per ribellarsi. Lei, però, non era una ragazza qualunque: era Silye Dahl, una ladra e una völva. Radunò le ultime energie che le erano rimaste in corpo e, attingendo alla ferrea forza di volontà che l'aveva sempre caratterizzata, arrancò con le mani fino al punto in cui ricordava di averlo colpito, trovando il manico del pugnale.

Proprio quando erano giunti ad un passo dall'ingresso del Døkkr Vargr, con un unico gesto fulmineo lei lo sfilò e lo conficcò poco sotto la gola dell'uomo, da cui uscì un fiotto di sangue che arrivò fino alla sua mano quando tirò di nuovo fuori la lama dalla pelle.

Il ghigno di Jørgen in un attimo si tramutò in un'espressione di puro dolore e sconcerto. Lasciò la presa sul suo collo e si portò le mani alla gola, spalancando la bocca come se fosse alla ricerca di aria e stesse cercando di chiamare aiuto o urlare per il dolore. La ferita presto si riempì di sangue, che prese a colare lungo i lati, mentre l'uomo si appoggiava ad un tavolo della locanda, per poi perdere la presa e scivolare a terra.

Silye continuò a guadrare Jørgen come se non riuscisse a realizzare il gesto che aveva appena compiuto. Poi, quando vide tutto il sangue fuoriuscito e lui cadere, lasciò andare di colpo il pugnale e rovinò al suolo, accanto all'uomo agonizzante. Si guardò intorno e vide i visi allibiti dei clienti che avevano assistito all'intera scena senza fiatare, né intervenire, per poi abbassarlo sul volto di Jørgen, sfigurato da una smorfia di dolore, e sulle proprie mani imbrattate del suo sangue.

Assassina. Non riusciva a pensare ad altro. Nella sua mente rimbombava solo quell'unica, tagliente parola, insieme alla nitida immagine del momento in cui aveva decretato la fine della vita di quell'uomo, colpendolo.

Non si accorse nemmeno delle mani che si posarono sulle sue braccia e la aiutarono ad alzarsi, né del volto di Vidar, che cercava di risvegliarla dallo stato di confusione che si era impossessato della sua mente. Assassina.

Venne condotta fuori dalla locanda e le uniche cose di cui riuscì a rendersi conto furono l'improvviso freddo e la sensazione di acido sulla bocca. Venne colta da un conato di vomito e fu costretta a piegarsi a terra per rimettere tutto il vino che aveva bevuto e il poco di pane ingerito. Assassina.

Quando ebbe finito, si ripulì la bocca con la manica dell'abito, mentre veniva scossa da un singhiozzo. «Silye» le sussurrò Vidar, che le era stato vicino tutto il tempo, scostandole i capelli e tenendoli fermi. «È pericoloso rimanere qui. Lei ha detto che ci aiuterà, che ci offrirà un rifugio, ma dobbiamo sbrigarci.»

Lei annuì, con le guance già umide dal pianto, dovuto sia allo sforzo impiegato duranto il vomito, sia a ciò che aveva compiuto. Si alzò e si lasciò portare da Vidar laddove la ragazza che li aveva aiutati li stava conducendo.


«Sono Ashild» si presentò la ragazza, mentre camminavano per arrivare in quello che lei aveva definito “rifugio”.

«Perché ci hai soccorsi contro quegli uomini?» domandò Vidar, che proseguiva accanto a Silye, che solo apparentemente asoltava la loro conversazione, chiusa nei suoi pensieri.

«Aiuto sempre le persone invise alla società e soprattutto... al re» rispose quella, riponendo la spada sporca di sangue nel fodero.

«Cosa intendi?»

Quella si fermò, voltandosi a guardarli. Indicò il muro di una casa lì vicino, dove erano infissi due fogli su cui erano spiccavano i disegni di due volti fin troppo simili ai loro e con su scritto Accusati di furti e omicidi. Ricercati per ordine di sua eccellenza il Konungr. Chi li troverà otterrà un riscatto di novecento corone.

«Gli uomini che vi hanno attaccati erano cacciatori di taglie e, se non vi avessi aiutati, a quest'ora vi starebbero portando al Konungr in persona, legati come animali.»

«Non avevamo alcun bisogno del tuo aiuto. Ci stavo già pensando io» ribatté Vidar.

«Ah, sì?» domandò quella, con aria spavalda. «E scommetto che, una volta usciti da quella locanda, ne avreste subito trovati degli altri, perché questa città pullula di cacciatori di taglie e gente affamata di denaro. Vi sto offrendo un porto sicuro: non farmi cambiare idea e lasciarti qui.»

Vidar si azzittì e Silye avrebbe potuto complimentarsi con Ashild, se solo non fosse stata troppo sconvolta per l'orribile atto che aveva compiuto. «Questo, però, non spiega perché ci hai aiutati, invece di restartene nel tuo tavolo a fregartene come gli altri.»

«Perché sono ricercata proprio come voi, solo che io lo sono da due anni» affermò, senza voltarsi, mentre percorrevano le strade strette e anguste di Trúar. «E quella gente non ha fatto nulla perché qui le persone sanno che è meglio farsi i cazzi propri e non rimanere immischiati in quelli degli altri.»

«Tu, però, ti sei interessata dei nostri problemi. Perché?»

«Perché questo modo di pensare egoistico mi sembra una stronzata. Se qualcuno ha bisogno di aiuto e tu hai i mezzi per soccorrerlo, perché non farlo?»

Vidar non fece più domande. Sia lui, sia Silye si limitarono a guardarsi intorno, curiosi di scoprire dove la ragazza li stesse conducendo e troppo presi dai loro pensieri. Dopo poco si resero conto che Ashild li stava portando fuori da Trúar, attraverso i campi coltivati, su cui a quell'ora non si vedeva nemmeno l'ombra di un contadino, tutti chiusi nelle loro case a dormire e a prepararsi ad un'altra faticosa giornata. Camminarono lungo le terre finché non si fermarono davanti una casa piccola, anche se certamente più grande di quella di Silye.

Ashild li invitò ad entrare e i due si accorsero che l'edificio era molto più spazioso di quanto apparisse da fuori e, soprattutto, parecchio confortevole. Nella stanza in cui si erano ritrovati vi erano numerosi mobili: scaffali alle pareti colmi di libri, cianfrusaglie e altri oggetti utili o puramente ornamentali, un tavolo con diverse sedie, una dispensa e un camino in cui scoppiettava allegro il fuoco. Vi erano poi due porte che dovevano portare ad altrettante camere. Molto più di quanto Silye aveva mai posseduto.

«Proprio una bella casa. Di gran lunga migliore di quella in cui ho vissuto nelle ultime settimane» scherzò Vidar, rivolto evidentemente a Silye, che, però, non colse o ignorò volutamente la battuta.

«Già, sentitevi come se foste a casa vostra» disse lei, per poi ghignare. «Ovviamente stavo scherzando: se mi rompete qualcosa, lo ripagate e anche profumatamente. Se vi azzardate a rubare, vi taglio le dita.»

«Afferrato» ribatté Vidar, andandosi a sedere su una sedia.

«Per cambiarvi o appoggiare le vostre robe, potete andare nell'altra stanza» continuò Ashild, mentre si toglieva il mantello e si slacciava la cintura su cui era fissata la fodera, che appoggiò alla parete. «Ho anche un paio di pellicce. Qui ancora il clima è temperato, ma la notte fa parecchio freddo.»

«Grazie» mormorò Silye, alludendo a tutto l'aiuto che quella ragazza stava dando loro.

Quella si bloccò, girandosi nella sua direzione. Era dal momento dell'attacco che Silye non apriva bocca e soprattutto non rivolgeva la parola ad Ashild. «Non c'è di che» rispose quella, prima di dirigersi nell'altra stanza.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Ed ecco a voi Ashild, la nuova co-protagonista, che fa un'entrata in scena molto rocambolesca, accorrendo in aiuto di Silye. Cosa ne pensate di lei?:)

Tra poco pubblicherò un suo disegno sul mio profilo facebook, a questo link: https://www.facebook.com/Sophja99/?ref=aymt_homepage_panel

Mi preme anche rassicurarvi su una cosa: per la gioia di tutti noi, non ci sarà un triangolo tra i tre. So che, quando vi sono tre personaggi principali in una storia, il più delle volte si finisce a pensare ad un probabile triangolo amoroso; non che io sia contraria ad esso, ma ormai siamo talmente pieni di libri, film e serie tv con questa tematica che in un certo senso sono arrivata a non sopportarla quasi più, soprattutto quando essa viene trattata con superficialità.

Bene, chiudo questa parentesi augurandomi che abbiate gradito il capitolo. E, beh, posso solo aggiungere che il prossimo sarà pieno di sorprese... ^^

A presto, carissimi!

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 33 - Giusto o sbagliato ***



Capitolo trentatre

Giusto o sbagliato


Silye affondò le mani chiuse a coppa nella bacinella che le aveva fornito Ashild, prendendo un po' d'acqua, e abbassò il viso per sciaquarselo, come se tramite quel gesto avesse potuto lavare via non solo il sangue dell'uomo che aveva ucciso, ma anche le sue colpe.

Gettò uno sguardo ai polsi: se li era strofinati talmente tanto da far arrossare la pelle e non lasciare nemmeno l'ombra delle macchie di sangue. Avrebbe voluto cancellare per sempre ciò che aveva compiuto o il ricordo di esso, ma sapeva fin troppo bene che ciò non era possibile. Non riusciva a smettere di ripercorrere il momento dell'uccisione e desiderare di cambiarlo, di essersi comportata differentemente e avergli risparmiato la vita.

La parola assassina continuava a rimbombarle nella testa senza tregua, facendole ogni volta salire di nuovo sulla bocca il sapore acido della bile. Era davvero diventata un'assassina? Aveva davvero privato un uomo della sua vita?

Per anni era cresciuta imparando a difendersi dai malintenzionati di cui i villaggi e le città di Midgardr erano piene, ma mai era arrivata a superare il limite che si era imposta dopo la morte del padre: l'omicidio, fosse esso pure per legittima difesa.

Aveva sottratto miriadi di soldi e oggetti alle persone, ma mai la loro vita. Fino ad allora.

«Silye» si sentì chiamare da Vidar, entrato in quel momento nella stanza. Lei, però, non si voltò a guardarlo; rimase a fissare il proprio riflesso opaco nell'acqua del catino. Vidar si sedette a terra accanto a lei, di fronte al camino in cui continuava a scoppiettare allegro un piccolo fuoco. «Stai bene?»

«Sono un'assassina» mormorò lei, dando voce ai pensieri che non facevano altro che tormentarla dal momento in cui aveva messo piede fuori dalla locanda.

«Sotto un certo punto di vista, si potrebbe dire di sì» disse lui. «Ma l'hai fatto per un giusto motivo. Ti stava facendo del male, Silye. Non dico che sarebbe arrivato ad ucciderti, perché gli servivi viva, ma avrebbe fatto di tutto pur di costringerti ad andare con lui.»

«Ma non meritava di morire.»

«E chi merita di morire in questo mondo? Potrei cercare di farmi apparire come una persona benevola dicendoti nessuno, ma non sarebbe vero. Alla fine di questa vita a tutti non aspetta nient'altro che la morte, chi prima, chi dopo. Bisogna solo prenderne atto e cercare di vivere come meglio si crede. E non credere che anche il dopo sia migliore: chi è fortunato, cioè i morti in battaglia, vanno nel Valhalla, ma la maggior parte della gente finisce da Hel. Potrei farti un bel discorso sul fatto che tutti hanno la possibilità di riscattarsi e mostrare che c'è del buono in loro, ma starei mentendo. Certa gente semplicemente merita il peggio» mentre parlava, la sua voce si era incrinata, facendo voltare Silye al percepire quel cambiamento.

«Che ragionamento... cinico. Sei convinto che la redenzione e il perdono non contino nulla?»

«Credo solo che siano molto difficili da ottenere, se non quasi impossibili.»

«Cosa... Cosa ti ha spinto a pensarla così? A diventare così... pessimista e freddo?»

«Credo... me stesso» disse, sollevando il viso e volgendo lo sguardo verso di lei, fino a poco prima puntato sul fuoco. «Ho fatto cose orribili, Silye. Se tu sapessi... probabilmente mi odieresti più di quanto tu già non faccia.»

Negli attimi di silenzio che seguirono, Silye cercò di interpretare il suo sguardo e le sue parole, chiedendosi cosa avesse fatto di tanto grave da arrivare a disprezzarsi tanto, come era trasparito dal tono della sua voce. Poteva la sua colpa essere più grande di quella che ora gravava su di lei?

Quindi spezzò il silenzio, ribattendo: «Io non ti odio.»

«Cosa?»

«All'inizio sì, ti odiavo, e anche quando mi hai detto quelle parole l'altro giorno. Ma adesso... Sto imparando a guardarti sotto una luce diversa» disse di getto, senza smettere di guardare i suoi occhi ambra, che in quel momento alla luce delle fiamme avevano acquisito una tonalità di giallo più spiccata ed accesa, tanto da sembrare essi stessi due fuochi divampanti.

Ormai Silye non riusciva più a mettere ordine nella sua mente, dove la confusione, il senso di colpa e la stanchezza regnavano incondizionati, forse anche per gli effetti non ancora scomparsi del troppo alcol ingerito. Sentiva la sua mente e il suo cuore in subbuglio e in tutto ciò l'unica cosa su cui riusciva a soffermarsi era il volto di Vidar, così vicino al suo.

Tutti i diverbi che avevano avuto, le cattiverie che si erano urlati, i segreti celati e i pericoli che avevano attraversato in quel momento sembrarono sfumare, diventare insignificanti e lontani. Vi erano solo lei e il dio, senza più differenze e disprezzo.

«Lo pensi davvero?» chiese il dio, ma non le diede nemmeno il tempo di rispondere, perché in un attimo ricoprì la distanza che li separava, unendo le loro labbra.

Silye all'inizio, colta alla sprovvista, rimase pietrificata per la sorpresa. Quando poi sentì la mano di Vidar risalire sul suo collo con lentezza e dolcezza, lasciandole una scia di brividi, fino a toccarle i capelli, affondando nei riccioli rossi, si decise a mettere da parte ogni insicurezza e paura, schiudendo le labbra ed approfondendo il bacio. Socchiuse gli occhi e si lasciò trascinare dall'istinto, ignorando una vocina lontana che le diceva di smetterla, di allontanarsi il prima possibile da lui. Una parte di lei sapeva che diceva il vero, ma non riusciva proprio a rompere quel contatto; più le mani calde e morbide di Vidar le accarezzavano la pelle e le sue labbra si appropiavano delle sue, più lei desiderava che quel momento durasse in eterno.

Man mano che il bacio si faceva più passionale, Silye divenne più ardita e andò a passare le mani sui riccioli biondi di Vidar, che tante volte aveva inconsciamente desiderato toccare, avvicinandolo di più a sé.

Non avrebbe mai creduto che baciare qualcuno ed essere ricambiata con tanta enfasi potesse essere una sensazione così bella e totalizzante. Era come per l'alcol: dopo il primo assaggio, non riusciva a fare a meno di volerne sempre di più, senza curarsi dei problemi e delle conseguenze.

I suoi movimenti si fecero audaci e le sue mani scesero fino all'attaccatura dei capelli e il collo, arrivando sino al petto, nel punto in cui iniziava la maglietta, di cui strinse l'orlo. Era come se in entrambi fosse divampato un invincibile fuoco, che li divorava da dentro e li guidava.

All'improvviso ebbe un attimo di lucidità e si rese conto di ciò che stava davvero accadendo. Ripensò alle innumerevoli volte in cui lui l'aveva derisa e alle loro liti. Se vuoi divertirti con lei, fai pure; ma che rimanga solo puro svago. Quella frase le tornò in mente con una dolorosa realizzazione. Stava seguendo il “consiglio” di Baldr? La stava usando solo per divertimento?

«Vidar...» mormorò, ma senza trovare il coraggio di staccarsi da lui. «Dobbiamo smetterla. È sbagliato.»

Sapeva che dovevano fermarsi, che quel bacio non avrebbe fatto altro che peggiorare il loro instabile rapporto, ma il vero problema era che lei lo voleva. In quel momento non desiderava altro che sentire le labbra di Vidar sulle sue, le sue mani sul suo corpo e tra i suoi capelli. Lo voleva accanto a sé e avrebbe desiderato che il tempo si fermasse e che quei meravigliosi attimi di passione e follia non avessero mai fine.

«In vita mia non ho mai fatto cosa più giusta di questa» ribatté Vidar, continuando a baciarla e a stringerle delicatamente il collo con entrambe le mani.

All'improvviso un colpo di tosse li fece trasalire, facendo loro riacquistare la ragione, e dividere. Silye guardò la porta spalancata su cui era apparsa Ashild, per poi abbassare subito lo sguardo, troppo imbarazzata per sostenere la sua espressione divertita.

«Mi dispiace interrompervi, perché sembrava che ve la steste spassando parecchio, ma ho trovato qualcosa che potrebbe interessare tutti e tre» disse, mostrano l'oggetto di cui era entrata in possesso: il libro delle völve.

Silye sbiancò quando lo vide nelle mani di una sconosciuta, una ragazza che dopotutto, sebbene li avesse aiutati, non conoscevano affatto. Avrebbe potuto fare domande o addirittura per qualche motivo pretendere di volere il libro e tutti gli altri loro averi come pegno del suo aiuto. Che stupidi erano stati a fidarsi di lei! L'imbarazzo di poco prima si tramutò in fastidio e rabbia. «Ridammelo immediatamente» ringhiò, alzandosi e andandole incontro, ma quella, anziché mostrarsi spaventata o accondiscente alla sua richiesta, rimase immobile e, anzi, sorrise.

«Prima voglio delle risposte» affermò. «E credo proprio che me le dobbiate, dopo ciò che ho fatto per voi.»

La ladra ci aveva visto giusto: quella ragazza, sotto l'aspetto esteriore di una giovane affascinante e combattiva, in realtà era una gran ficcanaso, seppur parecchio astuta.

«Non credo proprio. Dammi il libro o finirai per rovinarlo. È un importante manufatto.»

Ashild se lo mise davanti e prese a sfogliare velocemente le pagine, sinceramente interessata a ciò che vi era scritto. «È tutto come mi raccontava lei...»

Chi è lei?” pensò Silye, ma liquidò in fretta la faccenda. Al momento aveva un problema ben maggiore che la premeva.

«Vacci piano! È antico» la ammonì Silye, lanciandole un'espressione rabbiosa.

«Cosa vuoi sapere?» chiese Vidar, che si era alzato anche lui e aveva affiancato la ladra.

«Questo. Tutto questo» Ashild indicò il libro. «Sono vere le cose scritte qui? Come siete entrati in possesso di un oggetto simile?»

«Ciò che ci stai chiedendo è al di fuori della tua portata.»

«Credo di meritare la verità, non lo pensate?»

«Bene, vuoi la verità? Tutto ciò che vedi scritto e raccontato in quel libro è falso. Non sono altro che frottole e, ora che hai ricevuto le tue risposte, restituiscici il libro.»

«Se fosse davvero falso, il libro non dovrebbe essere così prezioso come pare che sia per voi» insistette quella, chiudendo di scatto l'oggetto e osservando la copertina rovinata.

Vidar tentò di prenderlo, ma quella fece resistenza e se lo tenne ben stretto tra le mani, tanto che il dio fu costretto a lasciare la presa, per evitare di rompere il fragile oggetto. «Ti prego, non fare la bambina. Ti ringraziamo per l'aiuto che ci hai dato ma d'ora in poi possiamo anche cavarcela da soli. Dacci il libro e toglieremo il disturbo.»

«Bene, ne ho abbastanza» Ashild superò i due e si avviò verso il camino, avvicinando pericolosamente il libro alle fiamme. «Ora ditemi tutto o brucio il vostro prezioso libro.»

«Non provarci» ringhiò Silye, facendo per scagliarsi contro di lei, ma venne trattenuta da Vidar.

«Non peggiorare la situazione» le sussurrò lui e lei si liberò dalla sua presa con uno strattone.

«Sto aspettando» affermò Ashild.

«D'accordo, d'accordo» Vidar alzò le braccia, come a dichiarare la resa. «Vuoi sapere la verità? Sì, le cose scritte su quel libro sono reali, o almeno lo erano. Appartengono al mondo che esistette prima del Ragnarok, che ne provocò la distruzione, e solo poche di esse sono sopravvissute attraverso i secoli. Perciò, direi che non c'è proprio nulla che possa interessarti.»

«E voi chi siete? Come fate a sapere tutto ciò?» chiese la ragazza, guardandoli guardinga e dubbiosa.

Vidar sorrise. «Io sono un dio e lei è una völva, cioè una veggente.»

Silye si girò a fissarlo come se fosse diventato matto, lanciandogli uno sguardo insieme confuso e infuriato. Cosa gli era saltato in testa? Perché rivelare tutti quei dettagli a un'umana sconosciuta?

Con suo immenso stupore, Ashild non scoppiò a ridere o li osservò come se fossero entrambi pazzi, ma li guardò con estrema serietà, come se credeva davvero a ciò che le avevano raccontato. «Sapevo che era tutto vero... Mia madre non era matta» disse, più a se stessa che a Vidar e Silye, che la fissarono interdetti.

«Cosa... cosa intendi?» domandò la ladra, abbandonando ogni sentimento di ira nei suoi confronti.

«Mia madre... lei... sapeva che le leggende tramandate erano vere» mormorò la ragazza. «E... lui» nel pronunciare quell'ultima parola, la sua voce si caricò di rabbia e dolore, sentimenti che Silye comprendeva bene e riusciva facilmente a riconoscere. «Lui l'ha uccisa.»

«Chi? Spiegati meglio» disse Silye, avvicinandosi a lei.

«Il Konungr» affermò con disprezzo.

La ladra trasalì al sentire quella parola. Perché mai il sovrano aveva avuto interesse nel mandare a morte la madre di Ashild? «Cosa c'entra lui in questa storia?»

«È mio padre» disse, distogliendo lo sguardo da loro e puntandolo sulle fiamme, mentre allontanava da esse il libro e lo appoggiava a terra. Silye avrebbe benissimo potuto afferrarlo e andarsene il prima possibile, ma al sentire quella rivelazione non poté fare a meno di mostrare interesse nelle vicende di Ashild.

«Tu sei... la figlia del Konungr? Come è possibile? La principessa è morta molti anni fa.»

«Già, la bella storiella che si è inventato mio padre per coprire la mia fuga. E ormai non sono più la principessa. Quella parte di me è morta quando me ne sono andata.»

«Sei scappata dal suo palazzo? Perché?» continuò a chiedere Silye, lanciando un'occhiata eloquente a Vidar. Se era vero ciò che quella ragazza stava dicendo, avrebbe potuto aiutarli ad incontrare il re.

Ashild evitò di rispondere alle sue domande e, invece, spostò lo sguardo su di lei. «Ti interessa il Konungr? O, piuttosto, la taglia sulla mia testa? Sono due anni che mio padre mi cerca in ogni angolo del regno, senza successo. Sai, ho i miei trucchi per non farmi scovare.»

«Ora sono diventata una ricercata come te, non ho alcuna intenzione di tradirti e consegnarti ai soldati del re, ma sì, in un certo senso lui mi interessa. Abbiamo bisogno di incontrarlo e tu potresti aiutarci a entrare nel suo castello.»

La ragazza rimase per un po' in silenzio, come se stesse riflettendo sulle sue parole. Quindi si alzò e disse loro, indicando con un dito il libro lasciato a terra: «Bene. Vi aiuterò, ma a patto che voi mi diciate tutto ciò che sapete su questi miti.»

«Abbiamo un accordo» concluse Silye, girandosi verso Vidar, che la guardava con un'espressione dura. La ladra dovette fare un enorme sforzo per evitare di ricordare la sensazione delle sue labbra e mani sulla sua pelle, senza riuscire a sopprimere il rossore che le salì al viso.

«Sei stata troppo avventata ad accettare; potrebbe essere pericoloso» disse, prendendola da parte e parlando a voce bassa.

«Hai alternative? Hai intenzione di fare irruzione nel suo castello senza un briciolo di piano, come da Hel? E devo rammentarti quanto male è andato il nostro viaggio negli Inferi?»

Lui in risposta strinse le labbra. «Potrebbe stare mentendo. E ancora sappiamo pochissimo su di lei e su ciò che è accaduto ai suoi genitori. Potrebbe benissimo essere solo una pazza o una bugiarda.»

Silye ricordò la lucidità e la fierezza dimostrate dalla ragazza durante il duello con i cacciatori di taglie e la disperazione e l'ira che aveva scorto nel suo volto quando aveva parlato della madre e del re. No, entrambe le opzioni erano da escludere.

«Io dico che dobbiamo fidarci. Facciamo almeno un tentativo. Se poi si rivelerà inutile, come dici tu, ce la toglieremo di dosso senza problemi.»

«E va bene. Ma sappi che, se poi vengo a scoprire che non sa nulla sul re e che in realtà è solo un peso, non esiterò a liberarmene.»

«Come vuoi» affermò Silye, abbassando lo sguardo per evitare di incontrare i suoi occhi. “A causa di quello stupido bacio, ora sarà molto più difficile sopportare la sua vicinanza e parlargli” pensò, affrettandosi ad allontanarsi da lui.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Beh, la situazione si è parecchio riscaldata...XD Finalmente quelle due teste dure si sono accorti di provare qualcosa l'uno per l'altro, ma il bacio sarà positivo per il loro rapporto oppure, come pensa Silye, servirà solo a complicare la situazione? E vi aspettavate che Ashild fosse la figlia del Konungr?

Spero che abbiate gradito il capitolo! Grazie mille per le sempre gentilissime recensioni e a presto. ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 34 - Verso Gudir ***



Capitolo trentaquattro

Verso Gudir


«Ripartiamo questo pomeriggio» esordì Vidar, quando le due ragazze furono entrate nella stanza principale della casa.

Quella notte avevano dormito ognuno in una camera diversa: il dio sul pavimento, Ashild nella sua stanza e Silye nell'altra, che aveva anch'essa un letto, come fosse stato per gli ospiti.

«Appena pranzo» puntualizzò Ashild. «Non un minuto più tardi.»

Silye annuì, senza troppa convinzione. Non era riuscita a chiudere occhio per tutta la notte e ora si sentiva le membra talmente pesanti da riuscire a stento a reggersi in piedi. Era dalla sera precedente che il ricordo del bacio tra lei e Vidar la tormentava, impedendole di pensare ad altro. Il lato positivo era che aveva limitato il senso di colpa per l'assassinio del cacciatore di taglie, ma ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse potuto accadere quel bacio. Si era sempre tenuta lontana da lui, al sicuro dietro un muro di indifferenza e odio; però, ora che quella barriera era caduta, si sentiva del tutto esposta e fragile, perché non era riuscita a tenere a freno l'irrefrenabile attrazione che aveva sempre sentito nei confronti di Vidar, ma di cui si era accorta solo la sera prima. Stava lentamente perdendo il controllo delle proprie facoltà, impressione che fino ad allora le era capitato di sentire solo quando riceveva una visione. Doveva tornare padrona della propria mente e dei suoi istinti al più presto e porre un freno a quella situazione.

«Iniziate a raccontarmi qualcosa del Ragnarok» disse Ashild, afferrando una mela e andandosi a sedere accanto al camino.

«È stata la più grande catastrofe accaduta su questo mondo,» iniziò Vidar, di certo ben più esperto di Silye in materia, mentre si andava a sedere accanto a lei, «preceduta da una terribile battaglia che vide contrapporsi divinità e altre specie, come i giganti e numerose creature degli Inferi. Io e pochi altri siamo stati abbastanza fortunati da scamparla e creare una nuova stirpe divina, o così almeno era stato profetizzato.»

«E poi cosa è successo? Come hanno fatto gli uomini a sopravvivere?» lo incalzò la ragazza, sinceramente interessata alla conversazione.

«L'unico luogo dei Nove Regni a rimanere intatto, oltre ad Asgard, fu il bosco di Hoddmímir, dove si trova l'Yggdrasill, l'Albero della Vita, da cui dipende l'esistenza del mondo. Lì si rifugiarono una coppia di umani, Lìf e Lìfprasil, un uomo e una donna che diedero avvio ad una nuova stirpe. Da poco ho scoperto che anche alcuni elfi sono sopravvissuti, rimanendo a Hoddmímir, di cui, però, solo uno è ancora vivo.»

«Yggdrasill, elfi, profezie... È incredibile quanto passato abbiamo dietro di noi, che è stato distrutto e dimenticato nel corso degli anni.»

Silye la capiva. Anche lei aveva avuto più o meno la medesima reazione quando aveva sentito di tutte quelle storie, sebbene inizialmente se la fosse presa con Vidar, giudicandolo un completo pazzo. Nonostante in tutta la sua vita non si fosse mai interessata della cultura del suo regno, né delle leggende che vi erano sempre state sugli dei e sul Ragnarok, le era dispiaciuto sentire di quante morti vi erano state, quasi inutili, perché ora il mondo si trovava ancora una volta minacciato da una forza esterna, Nidhöggr. Si chiese se sarebbero davvero riusciti a fermarlo. Si trovavano ancora a un punto morto nella ricerca e non aveva la più pallida idea di dove potesse essere la viverna. Quanto ancora avrebbero dovuto attendere prima di potersi dire al sicuro insieme all'intera Midgardr?

Eppure, c'era qualcosa che non tornava in quella ragazza: anzi, parecchie cose. Perché accoglieva quelle informazioni come più che veritiere, quando a un qualsiasi altro umano sarebbero potute apparire strambe? E, soprattutto, cosa l'aveva spinta ad abbandonare il re, suo padre, e ritirarsi in quella casa di Trúar, ricercata dallo stesso Konungr come lo erano anche loro solo dal giorno prima?

«È comprensibile che tu faccia fatica a credere davvero a tutti questi eventi. Ormai non considerati altro che miti lontani. Le persone hanno perso il contatto con il loro passato e con il loro mondo, insieme alla fede negli dei» affermò Vidar, guardandola con un'espressione seria in viso.

«Una parte di me ha sempre creduto che in realtà fossero tutti fatti reali. In fondo, se sono tramandati ancora oggi, devono pur avere un fondo di verità.»

La ladra, però, capì che non era solo quello il motivo che la spingeva ad essere così ciecamente certa dell'autenticità delle leggende di Midgardr. Dal modo in cui si atteggiava e aveva combattuto accanto a loro, non appariva affatto come una ragazza stupida e credulona. No, doveva esserci certamente un'altra ragione, che stava ancora celando loro, insieme al suo rapporto con il Konungr. Sarebbe stato troppo pericoloso indagare su quello che stava nascondendo quella ragazza: quando fosse riuscita a scoprire di più sul suo conto, avrebbe giudicato cosa fare. In quel momento, però, non poteva permettersi di perdere il suo aiuto o non avrebbero avuto speranze nel tentativo di infiltrarsi nel palazzo del re.

«Silye» quasi trasalì nel sentirsi chiamare proprio da Ashild. Sollevò lo sguardo, fino a poco primo rivolto al pavimento, per allacciarlo a quello della ragazza, che la stava guardando con fare apprensivo. «Dovresti uscire un po'; sei rimasta rinchiusa qui dentro da quando sei arrivata. Ti farebbe bene prendere una boccata d'aria.»

Capì che si stava riferendo a quello che era accaduto alla locanda e al modo in cui aveva reagito al suo stesso atto. Non si era ancora del tutto ripresa, ma il pensiero dell'omicidio compiuto era stato lievemente messo da parte da tutto ciò che era accaduto dopo: la conversazione con Ashild, il viaggio che si apprestavano a riprendere e il bacio. “Già, quel bacio...” pensò Silye. “Sì, forse ho davvero bisogno di fare una camminata per levarmelo dalla mente.”

«Credo sia una buona idea.»

«Stai attenta» la ammonì però Ashild. «Qui siamo lontani dalla città e abbastanza isolati, ma ciò non toglie che tu possa correre il rischio di incontrare un gruppo di Liði.»

«Sono sempre attenta» disse, proprio mentre Vidar si alzava, rimettendo la sedia al suo posto vicino al muro.

«Ti accompagno.»

«No» affermò di getto Silye, accorgendosi solo dopo di aver alzato troppo la voce. «Cioè... Non ne ho bisogno. Non vedo perché dovresti venire.»

«Hai sentito anche tu Ashild: potresti incontrare dei Liði» disse quello, afferrando il suo mantello.

Silye, però, non si mosse di un passo. Perché ora voleva seguirla a tutti i costi? Non era quella la vera ragione, ne era più che certa.

«Hai già cambiato idea?»

Beh, l'unica possibilità che ho per scoprirlo è andare con lui” pensò, un attimo prima di afferrare la sua cappa e uscire dalla casa di Ashild.

Come mise piede fuori dalla porta, venne sferzata da un fascio di luce e da una brezza fresca, segno che lì il clima era ancora abbastanza mite e che l'inverno non aveva ancora ricoperto di neve l'intero regno. Fu anche tentata di togliersi il mantello per cogliere fino all'ultimo di quei piacevoli e caldi raggi, ma sarebbe stato un atto del tutto sconsiderato, che avrebbe reso il suo riconoscimento ancora più facile ad eventuali soldati di passaggio.

Attese che anche Vidar fosse uscito, prima di incamminarsi verso i campi poco lontani, dove i contadini, che si erano alzati e recatisi a lavorare ormai da diverse ore, erano impegnati nelle loro stancanti occupazioni.

«Riusciresti ad immaginarti se, invece di essere la figlia di un ladro, mio padre fosse stato un contadino? Lavorare i campi, vivere dei frutti della propria fatica e sentirsene orgogliosi...» si stupì a chiedere, più a se stessa che a Vidar, che ora l'aveva affiancata.

«Non ti ci vedrei come contadina, anche se le forze per un lavoro faticoso come questo non ti mancano di certo» ribatté il dio. «Ma, sai, non è detto che tu non possa mai diventarlo solo perché sei stata cresciuta come una ladra sin da piccola.»

«Già, da una parte vorrei fosse davvero possibile...» mormorò, per poi voltarsi a guardarlo. «Perché sei voluto venire a tutti i costi?»

«Dobbiamo parlare.»

Silye dovette fare un enorme sforzo per non distogliere lo sguardo dai suoi occhi, sebbene sapesse benissimo che le sue guance erano subito arrossite al sentire quelle parole e all'istantaneo ricordo del bacio, a cui Vidar stava evidentemente facendo riferimento.

«Non c'è nulla di cui parlare. È stato solo un errore. Un madornale errore che non dobbiamo commettere mai più per non rendere il nostro rapporto ancora più... critico. E imbarazzante.»

Appena pronunciò quelle parole, Silye vide il volto di Vidar oscurarsi all'improvviso. «Errore? Silye, non è stato affatto uno sbaglio. Quando ci siamo baciati... È successo qualcosa e devi essertene accorta anche te. Ciò che ho provato... È stato del tutto nuovo per me, qualcosa che non mi è mai capitato prima. E ora come puoi venirmi a dire di fare come se non fosse accaduto nulla?»

Il cuore di Silye perse un battito nell'accorgersi di quanto lui in realtà avesse considerato importante quel bacio, come se davvero non la credeva solo come un breve passatempo. Sembrava che stesse iniziando a tenere a lei. Silye, però, non poteva permettere che la situazione venisse complicata più di quanto già non fosse.

«Perché non è accaduto nulla! Quel bacio non ha significato nulla per me e non dovrebbe averlo fatto nemmeno a te. È stato solo un errore» ripeté, quasi volesse convincere anche se stessa di ciò che stava dicendo. «Solo un errore.»

«Non mi è sembrato che la pensassi così quando hai contraccambiato il bacio. Avresti potuto staccarti o schiaffeggiarmi o qualsiasi altra cosa ti fosse venuta in mente, ma non ti sei fermata, né mi hai allontanato. E, se Ashild non fosse entrata in quella stanza, non sarebbe cambiato niente.»

«Ti prego, lascia perdere quello che è accaduto. Non parliamone più» disse Silye, volgendo lo sguardo alla campagna, incapace di sostenere quello di Vidar.

«Bene» disse lui dopo una pausa, la voce improvvisamente fredda e atona. «Hai ragione, è stato solo un enorme sbaglio.» Sentì i suoi passi farsi sempre più lontani da lei e dovette mordersi le labbra fino a farle sanguinare per fermarsi dal corrergli dietro e fare qualcosa di cui dopo assai probabilmente si sarebbe pentita, perché erano innegabili i segni che quel bacio le aveva lasciato sulla sua pelle e l'attrazione che si era scoperta a sentire nei confronti di Vidar.


Camminò per ore nelle vicinanze della casa, senza incontrare nessun soldato, per sua fortuna. Quando cominciò a sentire un leggero laguorio allo stomaco, si rese conto che doveva rientrare per pranzo e, quando lo fece, vi trovò Vidar e Ashild già seduti a tavola, con davanti due piatti colmi di verdure.

«Per arrivare a Gudir impieheremo all'incirca mezza giornata, senza fare pause. Ma, contando che dovremo fermarci per forza per riprendere le forze e mangiare, cosa che faremo sempre all'interno del bosco di Rǫdd, arriveremo a notte fonda, proprio nel momento perfetto per entrare nel palazzo, cioè quando saremo avvantaggiati dal buio e, con un po' di fortuna, dalla stanchezza dei Liði» stava dicendo Ashild, mentre con una mano afferrava del cibo e con l'altra indicava il cammino sulla mappa di Vidar.

«E i viveri? Non possiamo rientrare a Trúar, perché ormai l'intera città sarà sulle nostre tracce, né incontreremo nessun'altra città nel cammino.»

«Di questo non devi preoccuparti. Sono più che fornita» replicò l'altra con un sorriso scaltro.

Vidar lo ricambiò, per poi voltarsi verso Silye, che, - lei ne era certa -, aveva volutamente ignorato sin da quando questa era rientrata. «Ti sei goduta la passeggiata?»

Silye evitò la domanda, affermando invece: «Non ho fame», prima di lasciare la stanza e andare a raccogliere i pochi oggetti che aveva lasciato fuori dalla sacca, come i vestiti della sera prima, ancora lievemente sporchi del sangue di Jørgen. Ovviamente aveva mentito, ma non aveva alcuna voglia di passare ulteriore tempo faccia a faccia con Vidar, soprattutto sapendo che di lì a poco avrebbe dovuto ancora rimanere al suo fianco per un tempo indeterminato, fin quando il loro viaggio non si fosse concluso e non avessero scovato la viverna.

Nemmeno lei riusciva bene a spiegarsi perché stesse reagendo in quel modo alla conversazione avuto con lui poco tempo prima. Si sarebbe dovuta sentire sollevata al pensiero che quello strano sentimento che aveva spinto entrambi a baciarsi fosse stato stroncato subito sul nascere, ma non poteva fare a meno di provare qualcosa di simile alla stizza, sebbene non sapesse se fosse verso Vidar, che con il suo arrivo le aveva scombussolato la vita, così come con quel bacio, o verso se stessa, per avergli dato l'opportunità di avvicinarsi tanto a lei.

Ripose la veste e il libro di nuovo nella borsa e si preparò per l'imminente partenza.


Il viaggio trascorse senza troppi impedimenti. Solo due volte rischiarono di incontrare i soldati reali: poco lontano da Trúar, dove furono costretti ad abbandonare la strada maestra che conduceva al bosco di Rǫdd per prendere vie secondarie, che, però, allungarono ulteriormente il percorso, e nel bosco stesso, sebbene Silye credesse che si sarebbe potuto anche trattare di semplici e comuni cacciatori, anziché dei Liði.

Vidar non provò più alcun approccio con lei che non fosse puramente formale e inerente il viaggio stesso, ma di questo il dio preferiva parlare con Ashild, che appariva ben più informata di lei su quelle terre. Talvolta Silye interveniva nella conversazione, dicendo la sua, ma il più delle volte se ne rimaneva per conto proprio, preparandosi mentalmente al suo primo vero faccia a faccia con il Konungr.

Ormai la notte era calata da diverse ore, quando arrivarono al limitare del bosco, trovandosi davanti l'immensa città di Gudir, che si dispiegò sotto i loro occhi fino a toccare le rive del mare di Flǿtr. La capitale si trovava immediatamente sotto una bassa pianura, su cui ora stavano i tre ad osservare il pianura, e si estendeva per chilometri e chilometri in un intrico di strade, edifici e palazzi, questi ultimi appartenenti alle famiglie nobiliari che abitavano Gudir, su cui svettava la grande reggia del Konungr.

Erano arrivati. Presto avrebbe potuto conoscere l'uomo che aveva ucciso suo padre, mandando in pezzi parte della sua vita.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

E bam. Ecco il motivo per cui Silye cova tanto risentimento nei confronti del Konungr, il che non è affatto poco. Presto incontreremo il re di Midgardr: che idea vi siete fatti di lui, da quel poco che si è potuto sapere di lui, e come ve lo immaginate? Sono curiosa!^^

Inoltre, un applauso va a Silye e Vidar, che sono riusciti ad affrontare la faccenda del bacio senza litigare (come sono maturi!XD).

Sappiate che potrebbe passare più tempo del normale prima della pubblicazione del prossimo capitolo, perché sono indietrissimo con la stesura della storia. Cercherò di fare il prima possibile.

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 35 - Piano ***



Capitolo trentacinque

Piano


Gudir era esattamente come la ricordava dall'ultima e unica volta che aveva avuto l'occasione di visitarla. In tutti quegli anni sembrava non essere cambiato nulla, eccetto le persone che incontravano per le strade, talmente tante che sarebbe stato impossibile rammentarle tutte e ricordarle dopo anni. Ciò che era certo era che lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare l'ultima e unica visita fatta alla città, sebbene con gli anni i ricordi si fossero come annebbiati. Allora, poi, aveva avuto ben altri pensieri nella testa e faccende più serie di cui occuparsi che guardare la comunità in sé e studiare le persone che la abitavano.

Nonostante tutto il tempo trascorso, però, la città non era minimamente cambiata e poteva ancora riconoscere le vie percorse e le case osservate anni addietro.

Le strade erano talmente affollate di persone e bancarelle dei mercati che i tre facevano fatica a passare e farsi largo tra esse. In quella città i tetti delle case erano leggermente meno a punta dei villaggi del nord di Midgardr: l'inverno rimaneva lungo e rigido in ogni angolo del regno, ma a Gudir e negli altri villaggi del sud esso era temperato per la presenza del mare.

«Casa dolce casa» Silye udì Ashild, che stava camminando accanto a lei, mormorare con un tono di voce da cui traboccava puro disprezzo.

Non poteva trattenersi dal desiderare di sapere cosa fosse accaduto alla giovane guerriera: cosa l'aveva portata a scappare e come aveva fatto a diventare tanto abile con la spada? Le aristocratiche, soprattutto se queste erano delle principesse, non solevano dedicarsi all'apprendimento delle arti della guerra, ma a tutt'altri tipi di insegnamenti.

Si soffermò ad osservare la ragazza di profilo. Il volto era leggermente accigliato e ogni sua parte del corpo, dal modo in cui camminava a quello in cui si guardava intorno, con una mano infilata sotto il mantello a toccare il pomello della spada, trasudava sicurezza e fermezza. Si ritrovò ad invidiarla: avrebbe tanto voluto avere la sua stessa risolutezza anche nei momenti di maggiore difficoltà e pericolo, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva mai a reprimere le sue emozioni, che fossero di odio, paura o amore. Ashild mostrava una disinvoltura e al tempo stesso un distacco da ciò che le accadeva intorno che lei non sarebbe mai riuscita a raggiungere, sebbene la stessa guerriera talvolta si lasciasse sfuggire momenti di fragilità, come era accaduto la sera prima.

«Entriamo in questa locanda» disse loro piano, facendoli fermare e facendo un cenno con la testa in direzione di una piccola via che si diramava dalla strada principale, dove si poteva vedere l'insegna dell'osteria posta lateralmente.

«Non sarà pericoloso? Dopo quello che abbiamo passato a Trúar non mi sembra una buona idea rimettere piede in una locanda...» avanzò Silye, ma Ashild era ferma nelle proprie idee e certa di ciò che faceva.

«Di questo non dovete preoccuparvi. Conosco questo posto come le mie tasche. L'oste è un uomo di fiducia... Qui potremo parlare con piena libertà.»

Li superò e fece loro strada fino alla taverna, il cui nome sull'insegna era tanto sbiadito da non essere più leggibile.

«Salve, Edwin» disse, subito dopo essere entrata, rivolta all'oste. Quello sollevò subito il capo non appena si accorse dei nuovi avventori.

Era un uomo sulla quarantina, con il capo rasato, una lunga e riccioluta barba ramata e occhi piccoli, ma svegli. Il suo volto si colorò di stupore e la sua bocca accennò un sorriso quando si accorse che la nuova arrivata era Ashild. Però, non disse nulla, limitandosi a rivolgerle un cenno con la testa calva.

«Rimaniamo per poco.» Edwin indicò loro uno dei tavoli liberi, dove si andarono a sedere. «Portaci qualcosa da bere. Tre birre» aggiunse Ashild.

L'uomo si affrettò ad accontentare il suo ordine, mentre la guerriera tirava fuori da una piccola scarsella, l'unico oggetto che si era portata dietro e che, però, poteva contenere ben pochi averi, una mappa sgualcita, ma sempre in condizioni migliori di quella che Vidar possedeva di Midgardr.

«Questa è la pianta del castello. Conosco i turni delle guardie poste all'entrata nord e di quelle che si trovano nella sala reale, dove il Konungr passa gran parte della giornata con i suoi funzionari ad occuparsi di affari statali e altre idiozie simili.»

«Non credo sia corretto chiamare idiozie argomenti e mansioni importanti quanto quelle che sono nelle mani di un re» puntualizzò Vidar, facendo una smorfia di disappunto.

Edwin raggiunse il loro tavolo con tre boccali pieni. Ashild attese che l'oste se ne fosse andato per ribattere a Vidar: «Senti, dio, da voi sarà anche diverso da come è qua, ma lascia che ti spieghi una cosa: qui non c'è giustizia. Il re fa passare per tale gli ordini che impartisce ogni giorno e le leggi a cui lui si aggrappa così disperatamente, ma questa non è giustizia. Siamo dilaniati dall'odio, dalla corruzione e dal sangue che ogni giorno scorre su queste terre, ad ogni singola condanna a morte ed esecuzione.»

Silye abbassò il viso sulle mani giunte in grembo, ignorando completamente il bicchiere di birra davanti a lei. Non credeva che la situazione a Midgardr fosse tanto critica, vivendo tanto lontano dal sud, dove solitamente si svolgevano il maggior numero di pene capitali ed uccisioni, descritto come un covo di intrighi, criminali ed omicidi. Lei aveva sempre operato nella tranquillità dei villaggi che attorniavano la foresta, del tutto tirata fuori da ciò che nel frattempo tutti i giorni si svolgeva a poca distanza da lei.

«Certe volte voi umani mi fate proprio ridere» affermò il dio, accennando un sorriso di scherno. «Siete tanto attaccati alla vita e alla vostra sopravvivenza da arrivare ad uccidervi l'un l'altro pur di guadagnare qualche anno in più di vita, come se alla fine la morte non dovesse arrivare per tutti voi.»

Silye deglutì quando Vidar fece accenno all'uccidersi l'un l'altro, poiché le tornò in mente il momento preciso in cui aveva assassinato il cacciatore di taglie. Avrebbe dovuto smettere di ripensarci e farsene una colpa, ma non riusciva a fare altrettanto; il rimorso continuava ad attanagliarla.

«Questo perché semplicemente non sai cosa vuol dire combattere per la propria sopravvivenza. Tu sei immortale, perché mai dovresti preoccuparti della morte?» ironizzò Ashild, per poi sembrare riflettere seriamente sulla sua affermazione. «Quindi, intendevi dire che non hai mai ucciso un tuo simile? Un altro dio?»

Vidar parve sbiancare all'improvviso, colto sul vivo, mentre si affrettava a ribattere: «Non intendevo questo. Io... sì, ho ucciso un mio simile, ma non per la mia sopravvivenza. A dire il vero, è stato l'esatto opposto: quello è stato l'unico momento della mia vita in cui io abbia desiderato di morire.»

Silye aggrottò la fronte quando lo sentì pronunciare quelle parole. Non sarebbe mai neanche riuscita ad immaginarsi un Vidar desideroso di togliersi la vita. Cosa sarà accaduto di tanto grave con questo dio da fargli preferire la morte?

«A quanto pare, anche gli dei a loro modo sono... beh, umani» commentò Ashild, prima di liquidare la faccenda conuna scrollata di spalle. «Ad ogni modo, non mi interessano affatto i tuoi affari e la tua vita privata. Sono una donna d'onore e non verrò meno alla mia parte dell'accordo. Vi aiuterò ad entrare nel castello e, una volta lì, le nostre strade si separeranno per sempre.»

«Questo era sottinteso nell'accordo» affermò Silye, intervenendo per la prima volta nella discussione. «Ora pensiamo al modo più efficace per entrare nel palazzo senza farci scoprire.»

Ashild la guardò e annuì, per poi rivolgere di nuovo lo sguardo sulla mappa. Iniziò a dire qualcosa e la sua mano passò sopra il foglio, ma tutto ad un tratto quella cominciò ad apparire sfocata alla ladra.

Silye si portò una mano alla tempia, conscia di ciò che stava per avvenire. L'immagine della locanda e del tavolo lasciò il posto ad una ancora più confusa. I colori si mescolavano tra loro senza un ordine, fin quando non andarono a formare una scena precisa. Vedeva una ragazza, ma solo da lontano; ella si trovava su un'impalcatura, su cui si trovava un palo, che ne sorreggeva uno orizzontale, da cui pendeva una corda. Era un patibolo e degli uomini erano impegnati a stringere la fune intorno al collo della giovane.

Quello che più la sconvolse non fu l'orrore provocato nel vedere quello strumento della morte accingersi a privare quella ragazza della sua vita, ma il fatto che quella che stava per essere impiccata era proprio lei. Quei capelli rosso fuoco e l'espressione imperscrutabile e determinata che la giovane aveva in viso erano inconfondibili.

La ragazza che stava per essere impiccata era senza ombra di dubbio Silye.

Proprio mentre l'uomo aveva appena finito di stringerle al collo la corda e faceva per andare a tirare la leva che avrebbe aperto la botola sotto i piedi della giovane, decretandone la morte, Silye si accorse che quella era ferita al braccio e gocce di sangue colavano dal suo arto, finendo a terra. Quindi, il suo campo visivo venne interamente occupato dalla discesa delle stille al legno del patibolo, come fossero state ingrandite e rallentate, per poi vedere il pavimento duro variare in neve, su cui queste si posarono macchiando quel bianco candido.

Sangue sarà versato le disse quello che le parve essere un coro indecifrabile di voci.

L'immagine sembrò quindi sfumare, facendola tornare con i piedi per terra, nella locanda insieme a Vidar e Ashild, che avevano entrambi le teste abbassate sulla cartina, troppo occupati a parlare sottovoce per accorgersi di ciò che aveva appena visto.

Silye si portò entrambe le mani alla fronte, per tentare di affievolire il terribile mal di testa che quella visione le aveva lasciato.

«Tutto bene?» domandò Vidar, facendole alzare lo sguardo. Il dio doveva essersi accorto di quel suo repentino movimento; sembrava leggermente allarmato.

«Naturalmente» mentì Silye. Chi potrebbe sentirsi bene dopo aver visto la propria morte? si domandò, realizzando solo in quel momento che le sue mani sudavano e tremavano. Cercò di nasconderlo agli occhi indagatori di Vidar portandole sotto il tavolo.

Quella risposta, però, almeno apparentemente, sembrò dissipare i suoi dubbi, sebbene, dall'occhiata eloquente che le rivolse, la ladra capì che il sospetto persisteva in lui.

«Scusate, mi sono distratta. Di cosa avete parlato?» chiese, per sottrarsi allo sguardo guardingo del dio.

«Non ho idea del perché tu ti sia distratta, ma ti farò comunque un piccolo riassunto di ciò che ho detto. Stavolta, però, vedi di stare attenta, perché non ho intenzione di ripeterlo ancora» iniziò Ashild. «Il castello è circondato da delle mura, che avrete sicuramente notato una volta arrivati a Gudir, perché si trova più in alto rispetto al resto della città, su una collina, perché sia meglio difendibile durante un eventuale attacco. In tutto vi sono quattro torrette, da cui le sentinelle osservano e identificano chiunque provi ad avvicinarsi alle mura, e vi è un'unica entrata, controllata costantemente dalle guardie, notte e giorno. Potremmo tentare di travestirci e fingerci dei normali servi che lavorano al castello, ma non riusciremmo ad entrare perché i Liði ci riconoscerebbero in meno di qualche secondo. Sono addestrati per questo, soprattutto i soldati posti a guardia della porta d'entrata.»

«E allora come faremo a fare irruzione?» domandò Vidar. Probabilmente fino ad allora avevano preso in considerazione solo quella opzione.

«Beh, noi abbiamo dalla nostra qualcosa su cui loro non potranno mai contare...»

«Ovvero?» intervenne Silye.

«Un dio» affermò la guerriera, rivolgendo a Vidar un'occhiata soddisfatta.

La ladra dovette trattenere una risata. «Ah, sì? Beh, finora la sua presenza non mi è stata molto di aiuto per la mia sopravvivenza.»

«Ti ho salvata più volte di quanto tu riesca ad ammettere. È solo che finora ci siamo imbattuti in avversari non facili da battere; i cacciatori di taglie dell'altro giorno sono un'eccezione» ribatté l'altro, senza riuscire a mascherare un sorriso quando Silye levò gli occhi al cielo dopo la sua affermazione. Poi si rivolse ad Ashild: «Cosa intendi dire?»

«Insomma, non è cosa da tutti i giorni avere come alleato un dio, per di più il figlio di Odino... Entreremo alla vecchia maniera, stanotte stessa.»

«Alla vecchia maniera?» domandò Silye.

«Ci infiltreremo nel castello, stordendo le guardie, e da lì vi guiderò fino alla camera di mio padre. Una volta superate le mura che circondano il castello, allora entrare sarà un gioco da ragazzi: lo faremo passando per una porta che usavo sempre da bambina. So dov'è nascosta la chiave.»

«Hai pensato al fatto che è un piano davvero rischioso? Se qualcosa dovesse andare storto, anche il minimo particolare, i Liði potrebbero chiamare rinforzi e allora non vi è certezza che riusciremo a uscirne vivi.»

«Mi stupisco di te, Silye. Una ladra che teme di entrare nelle case degli altri. Dovresti essere un'esperta in questo campo» disse Vidar.

«Io non mi sono mai introdotta nelle abitazioni altrui per derubarle. Quello lo faceva... mio padre» disse, deglutendo prima di pronunciare quelle due ultime parole.

«Un po' di attenzione, per piacere» li richiamò Ashild. «Vorrei ricordarvi che sono riuscita a fuggire da quel posto; se vi dico che possiamo farcela ad introdurci all'interno in questo modo, dovete credermi.»

«Già, ma, se crederti equivale a farci uccidere, allora preferisco evitare» ribatté il dio.

«Non abbiamo altra scelta» affermò Silye. «Tu potrai anche essere un esperto del tuo mondo magico, ma qui, soprattutto in questa città, quella che ne sa di più è Ashild.»

L'altra annuì. «E poi a te cosa importa, dio? Siamo noi che dovremmo preoccuparci. Tu sei immortale.»

«Sì, ma non sono invincibile, né invulnerabile. Vi è meno probabilità che le armi umane possano ferirmi o uccidermi, ma, se anche non mi portano alla morte, mi indeboliscono.»

«Insomma, alla fin fine sei più simile a noi comuni mortali di quanto ti piacerebbe ammettere.»

Il dio sbuffò e Ashild si lasciò sfuggire un risolino.

«Direi che abbiamo detto tutto. Preparatevi perché tra pochi minuti si comincia» disse quella, ghignando e alzandosi.

Raccolse le sue cose, lasciò dei soldi sul tavolo e si avviò alla porta insieme a loro. Prima di uscire, Silye si girò un'ultima volta per aspettare Ashild, che era rimasta indietro rispetto a loro. La vide accanto ad Edwin a dirgli qualcosa, probabilmente per salutarlo. Ciò che captò dalla loro breve conversazione, però, la lasciò interdetta.

«Giungerà l'ora in cui Crimilde reclamerà la sua vendetta.»

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo autrice:

Ed eccomi tornata, dopo una settimana e passa di pausa.^^

I nostri sono pronti per entrare nel castello del Konungr: secondo voi avranno fortuna o la sfiga non li abbandonerà anche stavolta?XD

Che ne pensate dell'ultima frase pronunciata da Ashild? Cosa potrebbe stare ad indicare?

Spero anche questo capitolo vi sia piaciuto e non vedo l'ora di leggere le vostre impressioni e opinioni. A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 36 - Il castello ***



Capitolo trentasei

Il castello


Silye si fermò a guardare con un'espressione interdetta Ashild, che, subito dopo aver pronunciato quella frase, si voltò verso di lei e la superò con aria apparentemente indifferente. Era ovvio che sapesse che la ladra l'avesse ascoltata, ma questo fatto non sembrò affatto interessarla, sebbene, dal modo in cui aveva detto quelle poche parole, pareva che quelle rappresentassero qualcosa di molto importante per lei.

Rivolse un ultimo sguardo all'oste Edwin, che si era girato per tornare dietro al bancone della locanda, per poi uscire e raggiungere i suoi due compagni, che si erano fermati ad aspettarla poco fuori dal locale.

«Silye, muoviti. Dobbiamo riuscire ad entrare nel castello prima che sorga il sole, tra qualche ora, e non possiamo sapere quanto tempo impiegheremo nel liberarci delle sentinelle.»

«Lo so bene» ribatté lei. All'improvviso la colse un pensiero: «Promettemi una cosa.»

«Quale?» chiese Vidar, aggrottando le sopracciglia chiare.

«Non ucciderete nessuna guardia reale.»

«Sei diventata matta? Sono soldati esperti. Se non lo faremo noi, saranno loro ad ucciderci» proruppe Ashild, rivolgendole uno sguardo interdetto.

«Questo è l'unico favore che vi chiedo. Nelle ultime settimane la mia vita è stata in balìa del destino e del volere di altre persone. Stavolta voglio agire a modo mio ed evitare che avvenga la stessa cosa accaduta nel Døkkr Vargr» ribatté Silye, determinata a convincerli. «I Liði saranno anche dei soldati addestrati, ma non meritano di morire solo perché sono al servizio del re per ottenere qualche denaro con cui vivere.»

«Ci farai uccidere tutti quanti» sibilò Ashild, che evidentemente non condivideva il suo punto di vista.

«Va bene» intervenne Vidar, sorprendendo entrambe le ragazze. «Faremo come dici. Ci limiteremo a stordire i Liði, senza arrivare ad ammazzarli.»

«Non avrai davvero intenzione di darle retta!» esclamò la guerriera, guardandolo in cagnesco.

«Ha ragione. Quegli uomini non meritano la morte.»

«D'accordo, voi fate come volete. Io, invece, agirò a modo mio.»

Ashild non diede nemmeno loro il tempo di controbattere, che si girò e riprese il cammino verso il palazzo. Dopo un momento di silenzio, Silye e Vidar la raggiunsero.

Di notte le vie della capitale erano poco meno affollate del giorno; sebbene la maggior parte del popolo si trovava chiusa in casa a dormire, tante erano le persone, sia nobili, sia di basso rango, che uscivano per andare a bere, a giocare d'azzardo o a trascorrere qualche ora con una o più prostitute.

Le torri del castello erano visibili in ogni parte e vicolo della città, anche quando l'intera struttura era parzialmente o quasi tutta coperta dalla moltitudine di abitazioni di Gudir. La notte regalava all'edificio un'aria tetra, creata dal gioco di ombre che si veniva a creare con la poca luce proveniente dalla luna, anche se offuscata dalle nuvole, e dalle fiaccole. Svoltarono l'ultimo angolo e si ritrovarono di fronte all'immenso palazzo. Proprio come Ashild aveva loro detto, vi era solo un unico grande portone che dava al cortile interno del castello, difeso da due Liði, vestiti nelle loro usuali armature nere.

«Iniziavo a credere che non avrei più rivisto questo posto infernale» sussurrò la guerriera, ma le parole giunsero ugualmente alle orecchie di Silye, che le stava accanto. «Mi ero ripromessa di non mettervi più piede dentro, ma prima o poi tutti dobbiamo combattere i mostri del nostro passato.»

«Già...» assentì l'altra. In fondo, anche lei stava andando incontro al suo passato e a quello che aveva sempre identificato come il suo maggiore nemico dopo la morte del padre.

«Andremo là insieme, ma il primo a parlare e ad agire sarà Vidar, intesi? Tra di noi è sicuramente il meno riconoscibile.»

«Perché non io? Ho una certa esperienza nel raggirare i Liði» domandò Silye. Iniziava a sentire la stessa sensazione di adrenalina che le percorreva le vene quando sceglieva la sua vittima da derubare. I suoi piedi e le sue mani fremenano perché cominciassero il prima possibile a muoversi. Desiderava l'azione.

«Tesoro, ti sei mai specchiata? Con quei capelli, anche sul più lontano e sperduto dei ghiacciai Kala riuscirebbero a riconoscerti» la zittì Ashild, rivolgendole uno sguardo che non ammetteva repliche.

La ladra fu tentata di risponderle per le rime, ma non le sembravano le circostanze adatte per iniziare una lite; poteva solo fidarsi della decisione della ragazza e sperare che tutto sarebbe filato liscio.

Si posizionò meglio il cappuccio in modo che quasi tutte le ciocche fossero nascoste all'interno e, quando posò di sfuggita lo sguardo su Vidar, si accorse che anche lui la stava guardando.

«Pronta?» mormorò.

Affatto. Il loro piano era audace, pericoloso. Una mossa sbagliata e avrebbero messo in allarme l'intero castello; e allora non avrebbero più avuto l'opportunità di incontrare il re e di avvalersi dell'effetto sorpresa. Però, doveva rimanere positiva e pensare che ce l'avrebbero fatta. Annuì a Vidar, prima che si avviassero verso la porta delle mura.

Come le guardie li avvistarono da lontano, sguainarono le spade e attesero che si ponessero maggiormente alla loro vista. Se avessero fatto rumore, avrebbero fatto scattare i soldati che dall'alto delle torrette in quel momento osservavano ogni loro movimento.

Silye sentì il proprio respiro accelerare sempre più man mano che le mura del castello si facevano più vicine, ma cercò di controllarlo per non darlo a vedere ad Ashild, che accanto a lei appariva tranquilla come sempre. Non poteva sapere se quella era solo una maschera o era davvero così calma, ma certamente, se lei si fosse trovata al suo posto e nelle sue condizioni, non si sarebbe comportata con la sua stessa apparente imperturbabilità.

«Mostrate i vostri volti» disse una delle guardie, prendendo una fiaccola dal supporto affisso alla parete delle mura, per poterli osservare più chiaramente anche in mezzo a quel fitto buio. «Identificatevi ed esplicitate quali sono le vostre intenzioni.»

«Vorremmo entrare nel castello» affermò Vidar, ma senza scoprirsi. Questo loro atteggiamento avrebbe iniziato a far insospettire le sentinelle e dovevano affrettarsi se volevano arrivare al Konungr prima che fosse troppo tardi.

«Non così in fretta. Scopritevi» ingiunse l'altra guardia, con una voce più profonda e adulta di quella che aveva prima parlato loro.

Vidar stavolta non diede loro alcuna risposta, ma passò direttamente all'azione. Sferrò un pugno alla prima guardia, facendole colpire le mura di pietra. Quello sbatté la testa e si accasciò a terra, incosciente.

Senza dare il tempo all'altra sentinella di chiamare altre sentinelle, Ashild sfoderò un coltello e gli tagliò la gola quando era troppo preso a guardare il compagno.

Silye lanciò uno sguardo rabbioso alla principessa, che, dopo aver trascinato il corpo più vicino alla porta di legno, pulì il pugnale dal sangue sulla gamba.

«Ti avevo già avvertita» sussurrò la bionda, «che non avevo intenzione di rispettare la tua stupida condizione.»

La ladra guardò per un'ultima volta il cadavere del guerriero. Per fortuna il tutto era avvenuto nella rientranza delle mura, cosicché i Liði che si trovavano sulle torrette non avevano potuto vederli.

«Questa porta non è serrata. Quella per entrare nel castello, invece, lo è. Ma noi non passeremo dalla principale. Seguite me.»

Detto questo, Ashild girò la maniglia e aprì la porta, quanto bastava per farli passare uno ad uno. «Appiattitevi alle mura» mormorò lei.

Strisciarono sulle pareti fin quando non arrivarono all'altro lato delle mura e la ragazza non fece loro segno di fermarsi. Indicò la parte del castello che avevano di fronte. «L'entrata è qui davanti. Dovremo correre per attraversare il cortile senza farci vedere dalle sentinelle.»

Con un po' di fortuna e aiutati dal buio, sarebbero riusciti a non farsi scoprire. Vidar non avrebbe avuto problemi grazie alle sue doti insegnategli dagli elfi, mentre lei era stata istruita da suo padre a muoversi il più silenziosamente possibile; ce l'avrebbero potuta fare. «Adesso» sussurrò Ashild, poco prima di partire.

La guerriera fu la prima a toccare le pareti del castello, seguita da Vidar, che si mosse veloce come un lupo. Lei cercò di correre il più agilmente possibile, ma qualcosa dovette tradirla, perché all'improvviso sentì levarsi una voce dalla distante torretta. Le sembrò di sentire gridare la parola «intrusi», ma lei si constrinse a rimanere concentrata sulla sua corsa, anziché su ciò che accadeva a qualche chilometro da lei.

Finalmente le sue mani entrarono a contatto con le mura di pietra del palazzo e, quando si girò verso gli altri, udì Ashild mormorare, mentre tastava le piccole fessure tra i blocchi di pietra: «Non trovo la chiave. Di solito la nascondevo qui da piccola.»

«Sbrigati. Ci hanno scoperti» la incitò Vidar. Dietro di loro, le voci si erano fatte più forti e frenetiche.

«Eccola!» esultò la principessa, proprio nel momento in cui uno dei soldati scagliava contro di loro una freccia, che fortunatamente li mancò, andando a colpire la parete. Quindi Ashild si affrettò ad inserirla nel chiavistello.

«Non so se l'hai notato, ma ci stanno attaccando» affermò Silye, guardando con apprensione la torretta da cui era stata lanciata la prima freccia. Altri arcieri, molto più numerosi, si stavano preparando a scoccarne altrettante.

Finalmente la porta si aprì e i tre vi entrarono, proprio quando le freccie vennero scagliate. Una di esse colpì di striscio la spalla di Silye, strappandole solo leggermente la stoffa del mantello e senza lasciarle ferite di alcun tipo. Si ritrovarono in un corridoio buio, dalle pareti di pietra come il resto del castello e tenuemente illuminato da qualche torcia.

Vidar richiuse prontamente la porta, pur sapendo che quello non sarebbe bastato a fermare i soldati reali. «Mostraci la strada, principessa.»

Al sentire quell'ultima parola, Ashild si voltò verso di lui, un'espressione dura e minacciosa in volto. «Non chiamarmi mai più in quel modo» sibilò. «La principessa di Midgardr è morta nel momento stesso in cui ho messo piede fuori da questo posto e sono scappata.»

La ragazza si incamminò lungo il corridoio e Silye si affrettò a raggiungerla. Era da quando erano usciti dalla locanda che moriva dalla voglia di farle quella domanda e, sebbene sapesse che quello non fosse il momento migliore per una chiacchierata, decise di porla lo stesso. «Cosa intendevi quando hai detto quella frase all'oste? Giungerà l'ora in cui...»

La ladra si interruppe, non ricordando bene il nome che lei aveva pronunciato, e Ashild concluse la frase per lei: «...Crimilde reclamerà la sua vendetta. È una sorta di segno di riconoscimento.» Poi aggiunse: «Forse più di avvertimento.»

«Avvertimento per chi?»

«Per il Konungr.» Ashild si azzittì non appena si sentirono dei passi risuonare lungo il corridoio. I tre si appiattirono lungo la parete e, quando due guardie sbucarono all'angolo, li attaccarono. La guerriera piantò la spada sul petto di uno di loro, tappandogli la bocca in modo che non potesse richiamare l'attenzione di altri soldati urlando. Vidar, invece, si occupò dell'altro, colpendolo alla testa con il manico del pugnale che Ashild gli aveva prestato, in maniera talmente forte e precisa che quello stramazzò immediatamente a terra.

«E chi è Crimilde? Perché vuole vendetta?» chiese Silye, mentre Ashild recuperava la spada.

«Una donna mitologica, anche detta Gudrun. E aveva le sue buone ragioni per volerla, come me» disse, senza scendere nei dettagli.

Nonostante Silye si fosse incuriosita molto da quella faccenda e da quell'ultimo nome, che ricordava di aver già sentito da qualche parte, capì che quello non era il momento adatto per parlarne. Avrebbe chiesto di più una volta usciti di lì; ora doveva concentrarsi sul Konungr e sulla missione di Vidar.

Quindi Ashild, avvertendoli di camminare sempre rasenti la parete, li guidò lungo una rampa di scale, che li condusse ad un altro corridoio, ma stavolta più ampio, segno che erano entrati nel castello vero e proprio, dove si muovevano il re, la sua famiglia, i suoi funzionari e altri importanti e ricchi ospiti. Nella parte inferiore, invece, come la guerriera aveva loro attentamente spiegato, vi erano le segrete, l'armeria e i locali dei servi.

Da allora in poi avrebbero dovuto fare maggiore attenzione, perché vi sarebbe stata maggiore possibilità di incorrere in Liði in ricognizione nei vari corridoi e stanze del palazzo.

Dovettero attraversare diversi saloni e percorrere altrettante rampe di scale prima di raggiungere il piano in cui si trovava la stanza del re e non senza difficoltà. Avevano incontrato numerose guardie, ma stavolta avevano cercato di superarle senza attaccarle direttamente, perché lì vi sarebbe stata maggiore probabilità di richiamare l'attenzione di altre sentinelle e farsi scoprire. Però, più il tempo passava, più il numero di Liði aumentava, segno che dovevano stare tutti all'erta ed essere stati avverti della loro presenza. Dovevano affrettarsi prima che andassero ad informare anche il Konungr.

Le stanze reali si trovavano al secondo piano, quello più elevato, mentre al primo vi erano le camere degli ospiti e al piano terra le cucine, la sala del trono, da ballo e da pranzo e lo studio dove il re si ritirava per discutere con i suoi funzionari e più stretti confidenti sulle condizioni del regno.

Camminarono nel silenzio più totale sul pavimento coperto da un lussuoso tappeto rosso, posto sulle ampie scale a ricoprire il marmo di cui esse erano composte. Arrivati al piano superiore, sentirono delle voci e suoni di passi sul lungo corridoio in cui sbucarono. Trovandosi lì il re, quello doveva essere il punto del castello più controllato dai Liði.

Percorsero l'intero corridoio e, una volta raggiunto l'angolo, Ashild fu l'unica ad affacciarsi per vedere quanti fossero i soldati posti a presidio della camera reale. Poi la guerriera, dopo essersene accertata, si tirò indietro e si voltò verso di loro, mormorando: «Sei.»

Grandioso. Due per ognuno. Silye dovette reprimere un sospiro esasperato. Avevano già saputo sin dall'inizio che quell'impresa non sarebbe stata affatto facile, ma il pensiero che ancora sei uomini la separassero dall'uomo che aveva firmato la condanna di suo padre la innervosiva oltre ogni dire. Alla fine, però, si costrinse ad annuire ed attendere pazientemente il segnale di Ashild.

Quindi, le labbra della guerriera scandirono la parola Ora, senza pronunciarla ad alta voce. Come quelle si richiusero, i tre si mossero simultaneamente e con precisa rapidità, sguainando le loro armi e cogliendo così del tutto alla sprovvista le guardie.

All'improvviso Silye si pentì di non aver portato con sé il suo arco e le freccie, al posto del misero pugnale che usava a caccia. Quello non le sarebbe servito a granché, in confronto alle spade dei Liði, ben più addestrati e abili di lei. Soprattutto dal momento che lei non aveva alcuna intenzione di uccidere nessuno di quegli uomini, al contrario di quelle che erano le loro intenzioni. Poteva solo confidare nella bravura di Ashild e Vidar.

Questi ultimi, infatti, si erano subito scagliati contro il gruppo di soldati. Il dio aveva già mandato a terra uno di loro, aggirando la sua difesa e facendolo cadere con un calcio. Ashild, nel frattempo, se la stava vedendo con due Liði insieme, parando agilmente i loro attacchi.

Silye fu costretta a smettere di guardare i suoi compagni per focalizzarsi sull'uomo che le si era parato davanti e che stava tirando fuori la sua spada proprio in quel momento.

«Ragazzina, con quello non ci farai niente» sghignazzò, scoprendo i denti gialli e avvicinandosi minacciosamente a lei.

Silye non rispose, perché già sapeva che qualsiasi parola sarebbe stata inutile: quel soldato aveva ragione. A cosa le serviva un pugnale, in confronto ad una spada?

L'uomo non le diede nemmeno il tempo di formulare quel pensiero che prese ad agitare l'arma, provando a tirarle un fendente, che Silye riuscì ad evitare indietreggiando. C'era un unico modo che le avrebbe permesso di uscire indenne da quello scontro.

Quindi il soldato, continuando a ridere, tentò un affondo. La ladra, spostandosi di lato, colse subito l'opportunità datale dalla guardia lasciata scoperta al termine del movimento compiuto dall'uomo e lanciò con tutta la forza che aveva nel braccio il pugnale. Quello si andò a conficcare precisamente sul suo fianco destro. La ferita non sarebbe arrivata ad ucciderlo, ma l'emorragia provocata dal profondo taglio l'avrebbe certamente indebolito. L'unico problema era che, per arrivare a stancarlo a tal punto da non essere più in grado di attaccarla, doveva colpirlo in molteplici zone, senza, però, arrivare a infliggergli ferite mortali. Per fare ciò, avrebbe dovuto prima estrarre e recuperare il pugnale e non sarebbe stato facile avvicinarsi tanto all'uomo, ancora perfettamente in grado di difendersi.

«Credevi di potermi uccidermi? Dovresti migliorare la mira» disse quello, senza emettere nemmeno un lamento. Le uniche cose che si era limitato a fare erano state trasalire e guardarsi la ferita.

«La mia mira non ha nessun problema» ribatté Silye, mettendosi in posizione di difesa. Ora, però, era disarmata e la ferita al fianco non sembrava procurare alcun fastidio al soldato. Dovevano essere addestrati alla sopportazione del dolore, oltre che all'ordine, all'obbedienza e all'uso delle armi.

Quello fece per ripartire all'attacco, quando la lama di un coltello spuntò al centro del suo petto, per poi sparire di nuovo, come risucchiata. La guardia si guardò il torace in uno stato di confusione, quasi non capisse cosa fosse accaduto. Vi portò una mano e in poco se la ritrovò coperta dal sangue che colava dall'ampia ferita. Un attimo dopo perse l'equilibrio e cadde a terra.

Dietro di lui apparve Vidar, con in mano il pugnale ormai completamente rosso del sangue del soldato. L'aveva ucciso. Me l'avevi promesso.

Forse Silye doveva avere scritta in faccia la delusione che provava, perché, come se il dio fosse riuscito a leggerla nel pensiero, le disse: «Mi dispiace, ma ho dovuto farlo. Preferivo morisse lui al posto tuo, perché, credimi, lui non ci avrebbe pensato due volte prima di ucciderti.»

Silye aprì la bocca per dire qualcosa, - o forse per non dire nulla, ma questo non l'avrebbe mai potuto sapere -, quando la porta della camera del re si aprì di scatto.

L'uomo che si mostrò era proprio il Konungr in persona; e non era solo. Ai suoi fianchi vi erano due creature. Queste erano a metà tra segugi e lupi, per le loro dimensioni, ben più grandi di quelle di normali cani, e i denti aguzzi che entrambi avevano scoperto mentre ringhiavano loro contro.

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo 37 - Nella tana del lupo ***



Capitolo trentasette

Nella tana del lupo


«Siete arrivati prima di quanto mi aspettassi» disse il Konungr, mentre un sorriso si formava sul suo viso.

Silye rimase stupita dalla somiglianza che aveva con la figlia: stessi capelli biondi e occhi verdi, solo che in più aveva che il suo mento era coperto da un filo di barba dello stesso colore chiaro. Non doveva avere più di una quarantina d'anni; nonostante non fosse più giovane come un tempo, dimostrava comunque una grande forza, sia d'animo, sia fisica, a giudicare dalla corporatura ancora massiccia che si poteva intuire sotto le vesti regali. Indossava, infatti, una camicia bianca e dei pantaloni neri dall'aria molto costosi; l'attenzione, però, veniva tutta catturata dalla corona dorata che portava in testa. Il dettaglio più particolare e che dava un aspetto ancora più sinistro al Konungr era che sul davanti questa era decorata da una piccola testa di lupo, intento a scoprire i denti, come fosse pronto ad attaccare e azzannare chiunque anche solo provasse ad avvicinarsi al suo padrone.

E lo stesso stavano facendo le due bestie accanto a lui, che osservavano torve da lontano i tre, studiando ogni loro movimento.

La paura provocata da quelle creature, però, non riuscì a sovrastare lo stupore che l'entrata del re e le sue parole avevano provocato in Silye. In che senso li stava aspettando? Erano state le guardie ad avvertirlo del loro arrivo? Potevano essere riuscite a raggiungerlo in così poco tempo?

Il Konungr guardò ognuno di loro, per poi andare a posare lo sguardo su Ashild. Il suo sorriso si incrinò, sostituito da un'espressione che esprimeva insieme sconcerto e rimorso. «Bambina mia...»

«Smettila» lo zittì subito la guerriera, nella voce un'accentuata nota di furore che raramente Silye aveva avuto l'occasione di sentire. «Non sono mai stata la tua bambina. E di certo non la diventerò adesso.»

«Da chi sei stato avvertito del nostro arrivo?» cambiò argomento Vidar. «Dai tuoi uomini?»

Il re parve riprendersi da quel breve momento di distrazione, per focalizzarsi di nuovo su loro due. «Oh, no. Anzi, si sono rivelati dei veri incompetenti a riuscire a farsi sfuggire tre ragazzini come voi. No, di certo non sono stati loro... È stato qualcuno di così gentile da regalarmi questi due bravi segugi.»

«Hel» mormorò Silye, ripensando alla visione che era riuscita a strappare alla dea degli Inferi. A quanto pareva, ella aveva più assi nella manica di quanto avessero sospettato. Quella dei manifesti e delle taglie era stata solo una farsa per depistarli, per fare loro credere che non avevano la minima idea di dove fossero. Invece, loro l'avevano saputo fin dall'inizio. Ma come ci erano riusciti?

«Siete più informati di quanto credessi» disse quello, accovacciandosi accanto ad uno dei segugi per accarezzarne il lungo pelo del dorso. Quello si lasciò sfuggire un mugugno, pur rimanendo sempre in allerta e non distogliendo gli occhi da loro. Naturalmente in quel modo il Konungr voleva inviare loro un messaggio: lì dentro era lui il padrone e anche gli animali più feroci dovevano sottomettersi alla sua autorità. «In realtà all'inizio non sapevamo quali fossero le vostre intenzioni. Però avevamo intuito che voi aveste scoperto qualcosa su di noi e sulla nostra alleanza, dato che vi stavate dirigendo proprio a Gudir.»

Gli occhi di Silye corsero a Vidar. Pur non levando gli occhi di dosso del Konungr, sembrava che il dio fosse distratto, che stesse riflettendo su qualcosa. Probabilmente su come il re ed Hel fossero riusciti ad individuare la loro posizione, come stava facendo anche lei. All'improvviso si voltò verso di lei, come se si fosse accorto solo in quel momento di qualcosa di importante.

La voce di Ashild, però, li sottrasse ai loro pensieri: «Sei sempre stato un vile. E vedo che le cose non sono affatto cambiate. Ti nascondi nella tua gabbia dorata, protetto dal tuo esercito e ora anche da queste creature infernali. Il veleno non sembra più bastarti come arma di difesa, non è così?»

«Ashild, smettila di giocare con il fuoco» lo sguardo del re si indurì quando si andò a posare sulla figlia. «Credi che non sia informato di ciò che stai facendo nel resto del regno? La lotta che stai portando avanti è del tutto insensata. Sai bene che io non c'entro niente con la morte di tua madre.»

Anche Silye, però, si accorse che il Konungr non aveva pronunciato quelle ultime parole con fermezza, come chi crede fermamente di essere nel vero: quella frase era carica di tristezza e rimorso. Continuando ad ascoltare la conversazione tra il re e sua figlia, la ladra raggiunse con lentezza, per non richiamare l'attenzione delle creature, il cadavere della guardia uccisa da Vidar per recuperare il suo pugnale. Data la pericolosità della situazione e la sempre maggiore tensione, doveva fare tutto il possibile per farsi trovare pronta nell'eventualità di uno scontro.

«Bugiardo!» gridò la guerriera, alzando la spada e puntandola sul padre, nonostante vi fosse diversa distanza tra i due. «Ne ho abbastanza di queste patetiche menzogne! Tu l'hai uccisa. L'hai uccisa per tenerti stretta la corona e proteggere i tuoi adorati segreti.»

Gli occhi le si inumidirono, creando un netto contrasto rispetto all'ira e all'odio che trasparivano dal suo volto, alterato da una smorfia.

«Ashild, vattene. Non ho intenzione di combattere contro di te, né di ferirti.»

«Ma con la mamma non ti sei fatto alcun problema, quando l'hai avvelenata» sibilò Ashild, riducendo le distanze tra di loro e attaccandolo, ma il Konungr non si fece trovare impreparato e con grande agilità sfoderò anche lui una spada, bloccando il colpo.

I due segugi le ringhiarono contro, ma il re, allontanandosi per qualche istante da Ashild, indicò loro Silye e Vidar, ancora fermi nel corridoio.

Uno di essi iniziò ad avvicinarsi a passi lenti e minacciosi a Silye, come se stesse studiando la sua preda e aspettando il momento più propizio per scagliarlesi contro. La ladra sollevò il pugnale come unica difesa tra lei e l'animale, cosciente, tuttavia, che a ben poco sarebbe servita a difendersi dagli artigli e le fauci del lupo.

Silye lanciò una veloce occhiata a Vidar: l'altro animale aveva preso a girare intorno a lui e gli saltò addosso proprio nel momento in cui la ladra fu costretta a rivolgere lo sguardo altrove, sul pericolo che incombeva di fronte a lei e che aveva appena emesso un lungo e cupo ringhio.

Il lupo flesse le gambe anteriori, segno che stava per spiccare un balzo. Silye indietreggiò finché non toccò la parete con la schiena. Riuscì ad evitare l'attacco dell'animale gettandosi di lato e guadagnando qualche prezioso secondo, mentre quello era ancora stordito dal colpo ricevuto andando a sbattere contro il muro. Il segugio, però, si riprese ancora prima che lei avesse il tempo di alzarsi, saltandole addosso e artigliandole la schiena.

Silye gemette per il dolore, ma decise di non sprecare altro tempo a lamentarsi, per non dare ancora una volta al lupo la possibilità di artigliarla. Riflettendo che a quel punto l'animale avrebbe cercato di morderle il collo, lei sollevò il braccio con il coltello e lo fece ricadere dietro di sé, dove immaginò che quello dovesse trovarsi, dati gli artigli ancora piantati nella sua pelle. Quando sentì il coltello affondare nella carne e la creatura guaire, capì di non avere sbagliato. Eppure, le sue zampe non si mossero di un centimetro. Ancora non bastava.

Si diede una spinta all'indietro, facendo ulteriormente sbattere il segugio sul muro dietro di loro. Dato che ancora non stava avendo granché successo, Silye ci riprovò, stavolta ripetutamente e con molta più forza. Smise solo quando sentì i lamenti dell'animale acuirsi e quello lasciare la presa su di lei.

Silye si accasciò a terra, sfinita, e lanciò uno sguardo all'animale ormai senza vita dietro di sé. Era enorme, molto più di un normale lupo. Era stata fortunata a batterlo e a non guadagnarsi troppe ferite.

Il pugnale si era conficcato proprio sulla sua testa, tra gli occhi. Silye represse un conato, mentre afferrava l'arma per tirarla fuori dal cranio. Non riuscì però ad evitare di provare pietà per quel segugio, pur essendo quella una creatura infernale nata solo per distruggere e uccidere.

A fatica distolse gli occhi dalla carcassa dell'animale, per focalizzarsi su cosa stava avvenendo intorno a lei. Vidar troneggiava sull'altra creatura, lottando con le sole mani. Aveva una gamba appoggiata sull'addome dell'animale, per immobilizzarlo, mentre con le mani gli teneva le fauci aperte, tanto da far sembrare che si stessero per rompere, tper quanta forza stava impiegando. E proprio questo dovette succedere pochi istanti dopo, dato che, quando il dio lo lasciò andare, l'animale non si ribellò, ma, anzi, emise dei lamenti strazianti e si raggomitolò su se stesso.

Non riuscendo più a sopportare la sofferenza del segugio, Silye spostò lo sguardo su Vidar. Aveva i ricci biondi scompigliati e la maglia chiara macchiata di rosso in diversi punti, soprattutto sulle braccia, dove il lupo doveva averlo morso.

«Sei ferita?» le chiese.

Silye abbassò lo sguardo per vedere le condizioni in cui versava. La schiena le faceva tanto male da darle quasi l'impressione che fosse in fiamme, ma, a parte quel punto, non si era procurata nulla di eccessivamente serio.

Fece per rispondere a Vidar, ma la sua voce venne coperta da quella di Ashild.

«Sei solo un vile. Lo sei sempre stato.» Sulle sue guance scorrevano senza freno lacrime, se di tristezza o rabbia Silye non sarebbe riuscita a dirlo, ma il suo viso non era contratto in una smofia di pianto. Anzi, vi era dipinta più tenacia e sicurezza di quante la ladra avesse avuto l'occasione di vedere nella guerriera. «Per tutti questi anni non hai fatto altro che nasconderti dietro ai tuoi stupidi giochetti e alle tue guardie, a crogiolarti sul tuo adorato trono.»

I movimenti di Ashild si fecero sempre più precisi e i suoi colpi fatali, tanto che il re a stento riusciva a pararli, pur essendo di gran lunga più adulto e forte della giovane. Mentre, però, lui era mosso solo dal suo istinto di sopravvivenza, la ragazza combatteva spinta da una furia accecante e dal desiderio di vendicare la morte della madre. Se si fosse impegnata abbastanza, sarebbe stata anche in grado di ucciderlo: e proprio quella sembrava essere la sua intenzione.

A questo pensiero, Silye si voltò allarmata verso Vidar, gridando il suo nome per sovrastare il rumore della lotta e richiamare la sua attenzione. «Dobbiamo fermarla. Se lo uccide, non avremo mai le risposte che cerchiamo su Nidhöggr.»

A quelle parole, anche lui sembrò rendersi conto solo in quel momento di quel fatto e annuì in risposta. Si precipitarono nella camera del re, dove padre e figlia avevano lottato durante tutto quel tempo, ma non ebbero il tempo di fare nulla, perché, dopo una mossa fulminea del Konungr, questo riuscì a disarcionare Ashild, la cui spada le sfuggì dalle mani e finì all'angolo della stanza. La ragazza si lasciò sfuggire un urlo di collera e sdegno.

Il re non infoderò di nuovo la spada, nell'eventualità che la figlia riuscisse a recuperare la sua arma e lo attaccasse ancora, ma era evidente che lui non l'avrebbe colpita, né ferita. Teneva troppo a lei, nonostante le accuse che la giovane gli aveva rivolto e l'odio che ancora serbava.

Silye ebbe il tempo di guardarsi intorno e rendersi conto solo in quel momento che quella non poteva essere la camera del re, dato che la stanza era vuota. Nessun mobile, nessun letto, nulla che facesse pensare che qualcuno, soprattutto un re, potesse dormire lì dentro. Era illuminata solo grazie alla luce delle candele proveniente dal corridoio fuori da essa; quasi in ogni lato della camera, perciò, regnavano le tenebre.

All'improvviso Silye avvertì qualcosa muoversi quasi impercettibilmente nell'ombra, proprio all'angolo del suo campo visivo. Le parve di distinguere diversi spostamenti, accompagnati dal rumore dei fruscìi di numerose vesti. In quel momento le ombre apparivano come una grande distesa nera di mare e di onde.

Poco lontano dal Konungr, si palesò, uscendo dal turbinio di oscurità e ombre, Hel, la crudele dea degli Inferi. Aveva i lunghi capelli neri intrecciati e appoggiati sulla spalla destra, in modo da scoprire completamente e mettere in maggiore risalto la parte sinistra e tumefatta del volto. Indossava gli stessi abiti che Silye ricordava dalla visione avuta nell'Helheimr: la lunga veste nera e sopra una pelliccia dello stesso colore, ma che lasciava scoperte le braccia, l'una dalla carnagione tanto pallida da sembrare bianca, l'altra scheletrica. Aveva l'aspetto di un lupo intimidatorio e famelico, pronto ad attaccarli e a banchettare sulle loro ossa. Sotto l'aspetto di una donna affascinante, si nascondeva una pericolosa predatrice.

«Questa sì che è una piacevole sorpresa» disse, sorridendo. «Ero assolutamente convinta che vi avrei ritrovati, ma non dopo così poco tempo. Siete stati degli stolti a venire dal Konungr.»

Altre figure uscirono dai punti della stanza in ombra, rivelandosi come gli stessi uomini vestiti solo di un mantello nero che li avevano seguiti nel regno di Hel. Erano i suoi servitori.

«Eppure, devo ammettere che la tua forza mi ha stupita, völva» disse la dea, volgendo i suoi occhi di ghiaccio su Silye, senza più l'ombra di un sorriso sul suo volto, sostituito da un'espressione fredda e seria. La giovane sussultò quando si sentì chiamata. «Sei riuscita a nascondermi la tua natura e a rubarmi un ricordo. Peccato che stavolta non permetterò più che ciò accada.»

Nel frattempo, Ashild si guardava intorno con aria sperduta e terrorizzata, soffermandosi soprattutto su Hel e sul suo spaventoso aspetto. Silye riusciva a capirla benissimo: anche lei si era sentita in quel modo, quando si era ritrovata a dover viaggiare verso l'Helheimr e ad affrontare un'orda di gigantesche serpi.

«E questa deve essere tua figlia, Bjarne» continuò la dea, volgendo la sua attenzione sulla giovane. «Complimenti, è davvero una bellissima ragazza. Sfortunatamente, non ha un altrettanto mite carattere, stando a quanto è successo anni fa. Sei una piccola ribelle, o sbaglio?»

«Lasciala fuori da tutto questo» affermò il Konungr, girandosi verso Hel e ponendosi davanti ad Ashild con fare protettivo. Quest'ultima, però, indietreggiò, come se la sola vicinanza al padre fosse per lei nociva ed insopportabile.

«Io direi che è lei che si sta tirando fuori da tutto ciò» osservò Hel, divertita, puntando il dito verso la porta. Infatti, in quel poco tempo, la guerriera non se n'era rimasta ferma a guardare, ma aveva recuperato la spada ed era fuggita via dalla camera.

Quando il re si voltò e si accorse che lei non c'era più, il suo sguardo corse alla porta, verso cui si precipitò, ma troppo tardi. Di Ashild non c'era più traccia.

Se n'era andata lasciandoli soli. Silye non si sarebbe mai aspettata che la guerriera sarebbe potuta essere tanto egoista e vile, ma, in fondo, il suo passato da fuggitiva la diceva lunga sul suo carattere e sulla sua mentalità.

«Ashild!» gridava il Konungr. «Guardie! Riportatemela indietro!»

«Avanti, Bjarne. Non ho tempo per i tuoi insulsi problemi familiari. Vediamo di sbrigare questa faccenda quanto più in fretta possibile» affermò Hel, stizzita.

Quando il re fece per raggiungere l'uscita della stanza ed inseguire lui stesso la figlia, la porta si richiuse da sola, creando un boato che si propagò in ogni centimetro della stanza, mentre le fiaccole all'interno si accendevano una dopo l'altra. Adesso il gioco di luci e ombre si era fatto ancora più caotico e minaccioso, in quanto rivelava con più chiarezza la folla di figure che li circondavano. Ora che anche la loro unica via di fuga era scomparsa, Silye e Vidar erano caduti nella trappola tessuta da Hel.

«Questo non era nell'accordo» ringhiò il Konungr, battendo i pugni sul legno del portone, inutilmente. «Ti avrei dovuto solo consegnare i due mocciosi e in seguito mi avresti lasciato in pace.»

«Ancora non l'hai capito, insulso re?» ribatté Hel, prorompendo in una risata più di scherno e disprezzo, che di vero e proprio divertimento. «Non esiste più nessun accordo, almeno non da parte mia. Sapevi quanto potesse essere rischioso stringere un accordo con una dea, figurarsi con me, la signora dei morti.»

Il re rimase in silenzio, con la testa appoggiata alla porta e dando loro le spalle, i cui continui e rapidi alzarsi ed abbassarsi facevano comprendere quanta rabbia provasse in quel momento.

Hel fece una pausa, forse felice della reazione che le sue parole avevano creato nel suo “alleato”. «Sfortunatamente, però, mi servi ancora. Perciò, dovrai ancora aspettare prima di poter ottenere la tua ricompensa per il tuo aiuto.»

Silye, con le mani tremanti e il cuore che batteva all'impazzata, guardò istitnivamente verso Vidar; cercava un segno di speranza, qualsiasi cosa che potesse farle pensare che sarebbero riusciti ad uscire vivi anche da quella situazione. Comprese subito, però, che stavolta nemmeno il dio poteva fare molto. Vidar si limitava a scoccare sguardi accigliati e rabbiosi ad Hel, i pugni talmente stretti da poter scorgere che le nocche gli erano divenute bianche.

All'improvviso l'espressione del suo viso si indurì ulteriormente e la ladra potè ben presto constatarne il motivo: Hel ora aveva tutta la sua attenzione rivolta su di lui.

«Non mi importa nulla della ragazza. Di lei puoi fare ciò che desideri. Sbarazzatene, se ciò ti aggrada» affermò, mentre i suoi occhi trafiggevano Vidar, pur standosi rivolgendo ancora al re. «È lui che voglio.»

Per pochi istanti un pesante silenzio aleggiò su di loro, mentre attendevano la risposta del Konungr, che non tardò ad arrivare. «E sia» disse, voltandosi di nuovo verso di loro. Hel sorrise; sembrava più grata di aver risparmiato tempo prezioso, non avendo già dubbi a priori di ciò che il re avrebbe deciso. «Puoi anche ordinare ai tuoi uomini di stordirla. Non è ancora il momento di ucciderla.»

«Come desideri» affermò la dea, un attimo prima che i suoi servitori si facessero avanti e si avvicinassero a lei.

«No!» gridò Silye, indietreggiando e cercando con gli occhi Vidar. «No! Vidar!»

L'ultima cosa che vide, prima che venisse completamente circondata da quegli uomini e che uno di essi scoprisse un pugnale e la colpisse alla testa con il manico, fu il viso spaventato del dio, nell'ultimo disperato tentativo di raggiungerla.

«Ti porgerò i saluti di Nidhöggr» la ladra sentì Hel dire, forse rivolta al Konungr, un secondo prima che l'arma venisse calata su di lei e tutto divenisse dolore e buio.

Image and video
hosting by TinyPic

Angolo dell'autrice:

Sono dispiaciutissima di aver fatto correre così tanto tempo dall'ultima pubblicazione, ma, a parte il fatto che sono stata parecchio via in vacanza, mi è servita questa pausa per mettere ordine non solo a Völuspá, ma anche, e soprattutto, alle mie altre storie, sia quelle in corso, sia quelle concluse.

Intanto, posso dirvi che da questo capitolo in poi si cambia registro. Il duo Silye-Vidar si sfascia momentaneamente, anche se ancora  li attendono molte sventur- ehm, cose belle.

Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire la storia!<3 A presto!

Sophja99

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3524611