Giornate strane

di Applepagly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di gonne e capelli corti ***
Capitolo 2: *** Di merito e demerito ***
Capitolo 3: *** Di amicizie e storie ***



Capitolo 1
*** Di gonne e capelli corti ***


Giornate strane - Di gonne e capelli corti
 
 
 
Diverso dal solito o dal comune, dal normale, molto singolare, tale quindi da destare meraviglia, stupore, curiosità; sostantivato, con valore neutro, cosa strana, fatto o elemento che suscita meraviglia, stupore, o che comunque lascia perplessi.        
 

 
I
 

Sospirò piano, richiudendo il dizionario. Lo posò sulla scrivania, diede un ultimo sguardo alla finestra e s'infilò finalmente sotto le coperte.
Il fatto è che talvolta capita di ritrovarsi a riflettere nel proprio letto, la sera, appena prima di abbracciare il mondo dei sogni; e, il più delle volte, si tirano un po' le somme di quella che è stata la giornata appena trascorsa.
Ebbene, Sawako Kuronuma era ormai un'esperta sognatrice, quel genere di persona che soppesava ogni parola al fine di comprendere se avesse in sé qualche significato nascosto; e così faceva per la sequela delle immagini di ciò che erano state le ultime ore fuori dalla sua stanza.
Le solite cose, nulla di che: le lezioni, le risate; la conversazione al telefono con Ayane-chan e Chizu-chan; quel piccolo abbraccio appena prima di rincasare... stava diventando una routine, ma non poteva far a meno di guardare ad ogni giorno come a quel che aveva sempre desiderato.
Eppure... eppure, chissà. Qualcosa non quadrava e la faceva sentire... strana.
Sin da quando aveva aperto gli occhi, quella mattina, aveva avuto il sentore che non sarebbe stato un giorno come gli altri, che qualcosa lo avrebbe turbato. Aveva avuto il sentore che sarebbe stato un giorno strano e il dizionario aveva confermato ogni suo dubbio circa l'adeguatezza di quel termine.
Sospirò di nuovo, voltandosi su un fianco. Proprio non riusciva a capire che cosa potesse averla turbata così tanto, o le avesse dato motivo di iniziare ad esserlo.
Si rannicchiò e, un attimo prima che la ragione venisse meno, un pensiero atroce riecheggiò nella sua coscienza, impedendole di non fare sogni in cui correva verso soglie che non riusciva a raggiungere.
 

 
II
 

 
Le temperature si stavano irreparabilmente alzando, e la trapunta cominciava ad essere di troppo. Sawako Kuronuma aprì gli occhi di scatto, sudata, non del tutto sicura che fosse dovuto solo all'afa.
Le vacanze estive erano appena iniziate e, come proposto - imposto - dalla cara Ayane-chan, quella sarebbe stata la mattinata delle grandi compere, perché iniziavano i saldi.
Si preparò con calma, cercando di sorridersi allo specchio e convincersi che quella che aveva pensato prima di addormentarsi fosse solo una sciocchezza dovuta alla stanchezza, e a tante altre cose su cui aveva taciuto per non sembrare sciocca.
Ma lei non era brava a mentire e lo specchio parlava chiaro. Si sentiva ancora strana.
All'improvviso, quei suoi capelli corvini parevano troppo scuri e lunghi, l'incarnato troppo chiaro e le mani troppo piccole; il suo sguardo era sgraziato e tornava ad essere quell'unica espressione che per tanti anni aveva scoraggiato chiunque ad avvicinarsi a lei. Per la prima volta, ebbe l'impressione di capire che cosa agghiacciasse tanto gli altri, di lei.
Perché? Perché proprio in quel momento?
Non aveva mai avuto problemi, con il proprio corpo. Che le prendeva?
Le provò tutte, quella mattina. Raccolse in alto i capelli, appuntò la frangia ai lati del viso, combinò un disastro con una di quelle creme per la pelle di Ayane-chan e si esercitò nella più vasta gamma di sorrisi. Si pastrugnò la faccia di trucco, richiamando alla memoria quei movimenti ipnotici che aveva seguito con lo sguardo tempo prima.
Ma ancora niente, anzi, appariva a metà tra il raccapriccio e il ridicolo.
Perché si sentiva brutta?
 

 
III
 

Mai il tragitto verso i negozi le era apparso più lungo e faticoso.
Aveva dormito abbastanza; eppure era stanca, e le gambe pesavano. Le sembrava che i suoi passi si facessero più gravi del solito man mano che avanzava per le strade assolate.
Che fosse il caldo? No. No, non era per colpa del caldo, se si vedeva in quel modo.
Forse era come aveva creduto prima di uscire, forse aveva davvero messo su peso; ecco perché la gonna che le piaceva tanto era più stretta sui fianchi e la canottiera tirava da tutte le parti. Chissà; magari Ayane-chan se n'era accorta e aveva proposto - imposto - di fare spese proprio per quello.
Oppure no. Chi poteva dirlo? Sawako Kuronuma era più brava a fraintendere, che chiedere.
Però.
Però, se quello strano pensiero fosse stato plausibile anche solo in minima parte, la passione di Ayane-chan per tutto ciò che riguardava trucco e parrucco poteva rivelarsi la cosa migliore.
D'accordo, nel caso in cui fosse davvero ingrassata, di certo la soluzione migliore non era di certo quella di comprare una gonna più larga ed una canottiera più grande... o sì?
Era poi così sicura di averli messi, quei chili?
 

 
IV
 

«Uhm... è un po' più corto di quelli che indossi di solito, ma ti sta bene!» trillò Chizuru.
Non se ne intendeva granché di moda ma, se aveva imparato qualcosa, era che a Sawako stava bene praticamente tutto. Certo, era insolito che proprio lei avesse portato in camerino quel vestito.
Di solito adocchiava uno di quei suoi pastrani lunghi ed ermetici, e balbettava dall'imbarazzo quando Yano-chin glieli strappava di mano, rimpiazzandoli con qualcosa meno da suora e più da... ragazza.
Ma quel giorno no; era stata lei per prima a voler provare una sfilza di corti abiti che - Chizuru ne era più che certa - su di sé o su qualunque altra sarebbero risultati volgari e che, al contrario, non avrebbero scalfito la grazia di Sawako nemmeno per sbaglio.
«Come mai proprio questo?» chiese all'amica, valutando la minuta figura in azzurro che si riproduceva più volte nelle pareti riflettenti del camerino.
Più lo guardava, e più quell'abitino le sembrava accorciarsi. Aveva le traveggole?
«Hey, Sawako!» il sorriso di Yano-chin spuntò da una delle corsie del negozio. Si avvicinò loro con un'espressione che non prometteva nulla di buono. «Che ne dici di questo?»
Trasparente, scollato e striminzito. Era troppo, perfino per quella spigliata di Ayane!
Eppure, Sawako non saltò, né borbottò qualcosa in preda alla vergogna. Prese il vestito tra le mani, ringraziò, e si richiuse nel camerino.
Chizuru si grattò la tempia, confusa; poi, incrociò lo sguardo scaltro dell'altra e capì le sue intenzioni.
«Va' a cercare qualcosa anche per te, Chizu. Fa' con calma...»
 

V
 

Il mondo degli adulti era una bella seccatura, e questo Ayane lo aveva capito sin dalla prima volta che era uscita con un ragazzo; tuttavia, per qualche ragione sconosciuta perfino a se stessa, non aveva mai pensato che Sawako potesse accedervi... non così.
Quel micro vestito era stato solo il primo di molti altri che avrebbe portato alla sua amica, per metterla alla prova; e, proprio come sospettava, lei stava attraversando quella fase.
Non riusciva a nascondere un sorrisetto, quando la vedeva annuire e trattenere la vergogna nell'atto di accettare quelle stoffe e indossarle. Era inequivocabile, ormai.
«Non ti sta affatto bene» lo disse con tutta la convinzione che aveva, mascherandola sotto i suoi soliti strati di indifferenza. Sawako aggrottò le sopracciglia, chinando il capo. «E sai perché?»
Lo risollevò appena, aspettando che continuasse e che confermasse tutte le teorie che aveva elaborato prima di arrivare là. Ma Ayane era sempre quella che vedeva più lontano e, ancora una volta, Sawako Kuronuma si sorprese di non esserselo ricordato.
«Perché non è quello che vuoi davvero» disse, semplicemente.
L'altra non seppe come replicare.
«Ma non importa. Avrai le tue ragioni, per farlo» concluse, tirando la tendina prima che la sua amica potesse farfugliare qualcosa in risposta.
Perché era vero: lei non era così, non voleva diventarlo, ma... e se i suoi sospetti fossero stati corretti?
No, non poteva tirarsi indietro proprio in quel momento. Doveva sopprimere l'imbarazzo e convincersi che, cambiando, avrebbe potuto distruggere per sempre quello strano dubbio che aveva preso a martellarle nel cuore.
 

 
VI
 

Era passato del tempo ed erano entrambi cresciuti; ma ogni volta era come la prima.
Lui non riusciva proprio a nascondere l'emozione, a non sentirsi fremere quando, seduto sulla solita panchina su cui l'aspettava, vedeva la sua Sawako sbucare da dietro l'angolo.
La sua Sawako... faceva sempre una gran fatica a chiamarla così, quando erano insieme. Era una sciocchezza, lo sapeva; eppure... quel nome lo faceva sempre sentire più vicino a lei.
Perché non riusciva a dirglielo? Le avrebbe fatto piacere sentirlo... no?
Ma, quel giorno, la sua bella fidanzata sembrava strana.
La sua Sawako era quella che si divertiva sempre e che, contrariamente a quanto si potesse pensare, era più ottimista di tutti; però... no, quel giorno aveva un'aria diversa.
Pareva turbata e insicura, a tratti triste. Cosa era successo?
Evitava il suo sguardo. Non era una novità ma, in genere, lo faceva per puro imbarazzo, perché quel tipo di connessione era ben più profonda di qualsiasi parola o bacio.
Adesso sembrava diverso, sembrava lo facesse perché si vergognava di se stessa.
«Va tutto bene?» gli pareva quasi di essere tornato ai primi tempi, quando la sua preoccupazione per lei era mera cortesia.
Non aveva ancora detto nulla, la sua Sawako. Sollevò lo sguardo, fissandolo nel vuoto.
Era distante.
«Sì...» mentì, cercando di sembrare convincente. Ma lui non se la bevve, perché lei non sapeva mentire e perché la conosceva abbastanza bene da riconoscere i momenti in cui gli nascondeva qualcosa.
«Ne sei sicura?» insistette, sfiorandole appena la mano.
La ragazza la ritrasse subito, come se si fosse scottata. Che doveva fare?
«Kazehaya, tu... mi... ecco...» com'era difficile, parlarne chiaramente! «Mi... trovi diversa?»
Proprio come quella volta; proprio come la loro prima estate insieme. I dubbi la divoravano ancora, frenandola dal cercare di cambiare per non apparire ridicola.
Ma era strana.
«Beh... sì, ma...» oh, e adesso cosa doveva dire? Si era fatta perfino più cupa.
All'improvviso, la sua Sawako scattò in piedi, a capo chino. I capelli oscillavano lievemente, respirando i loro ultimi attimi. «Scusami, io... mi sono ricordata di una commissione urgente»
Prima che potesse articolare la voce, lei si era dileguata.
Era veloce, la sua Sawako; e lo era anche di più, quando si trattava di scappare.
 

 
VII
 

Perché non è quello che vuoi davvero.
Era così?
«Come li facciamo?» la voce gentile della donna dietro di lei la riportò alla realtà.
Sawako Kuronuma aveva deciso. Sulle sue ginocchia, una rivista diceva chiaramente quale sarebbe stato il suo prossimo passo verso il non ritorno.
Quella pagina mostrava una bellissima modella dai tratti a metà tra il nipponico e l'occidentale. La conosceva, l'aveva vista qualche volta, in università.
Rei Gagne, la splendida studentessa dai capelli rossi naturali e gli occhi a mandorla. Il sorriso con cui era stata ripresa pareva il ritratto della naturalezza e della sicurezza; e Sawako Kuronuma voleva essere esattamente così.
«Oh...» già... «È una scelta molto coraggiosa, soprattutto perché credo che i tuoi splendidi capelli non vedano un paio di forbici da oltre dieci anni»
Annuì.
«Perdonami se te lo chiedo, ma... per caso c'entra qualche ragazzo? È per una... delusione amorosa?»
Oh, no; non ancora. Ma avrebbe potuto subirne presto una, se non avesse cercato di porre rimedio a quel problema, a quelle giornate che diventavano sempre più di routine; sempre più strane.
Scosse la testa, dicendo di aver solo voglia di cambiare.
«Capisco» concluse la donna, finendo di sciacquarle i capelli. «Sei proprio sicura di volerlo fare?»
Perché non avrebbe dovuto esserlo?
Perché non è quello che vuoi davvero.
No, probabilmente non lo era; ma, mentre le ciocche corvine danzavano verso il pavimento chiaro del salone, Sawako Kuronuma pensò che, forse, era ciò che voleva Kazehaya.
 

VIII
 

Il cielo imbruniva e i lampioni davano i primi segni di vita.
Tutto sommato, le piaceva la nuova sensazione che provava. Quel leggero fresco le solleticava il collo e la nuca, ricordandole di aver perso una parte importante di sé.
D'accordo, forse non era poi così piacevole: era proprio come quelle giornate. Era strana.
Ma era la soluzione.
Passando davanti ad una vetrina, contemplò la propria immagine per qualche istante. A stento si riconobbe, in quella gonnellina che arrivava a metà coscia e con quei capelli che, accidenti, erano anche più corti di quanto avesse voluto.
Era fatta. Adesso avrebbe portato con sé quel vento di novità che ci voleva; perché ci voleva, vero?
Pensò al colpo che si sarebbe preso suo padre, vedendola così. Pensò a sua madre, che l'avrebbe fatta sentire a suo agio in tutti i modi; e a Chizu-chan, che avrebbe riso; ad Ayane-chan, che aveva capito perfettamente le sue intenzioni ma, alla fine, le avrebbe detto che stava bene, come avevano fatto la parrucchiera e tutte le anziane con lei.
Pensò al maestro, il caro Kento Miura, che non mancava mai di darle tutto il suo sostegno; a Sanada-kun che, qual'ora fosse tornato, avrebbe abbozzato un tacito sorriso.
Non ebbe il tempo di pensare a cos'avrebbe fatto Kazehaya; perché Kazehaya era lì, davanti a casa sua, ad attendere le spiegazioni che meritava.
La sua reazione fu abbastanza eloquente.
Teneva la bocca spalancata ed aveva la gola secca, secchissima. D'un tratto, non sapeva come descrivere ciò che provava.
Quella era... la sua Sawako? Sawako Kuronuma?
Lei non disse nulla. Si fermò ad un passo da lui, fermamente convinta di avercela fatta, di aver salvato qualcosa di troppo importante, per sperperarlo con la routine.
La prima parola di cui il ragazzo ricordò l'esistenza fu "perché?". E la disse.
Tremando; ma la disse.
"Perché sei corsa via, oggi?"
"Perché i tuoi vestiti mi fanno girare la testa?"
"Perché tu mi fai girare la testa?"
"Perché hai tagliato i capelli?"
«Perché?» ripeté, con più sicurezza.
Si aspettava che piangesse. Ma la sua Sawako non lo fece, cercò di trattenersi, di dimostrare qualcosa che non aveva.
«Perché non volevo... non volevo...» farfugliò, sentendo le lacrime premere per essere versate. «Tu... cos'accadrebbe, se ti stufassi di me? Se trovassi qualcuna che... ti piaccia più di me?»
Oh, che idiozia. Non esisteva nessuna che potesse piacergli più di lei; né sarebbe mai esistita.
Anzi, era sbagliato dire così. Non esisteva nessuna che potesse amare più di lei; ma lei ne era consapevole, vero? Gliel'aveva mai detto?
No, certo che no; altrimenti, non avrebbe messo su tutta quella storia. Si diede dell'emerito idiota.
«Ho pensato... ho pensato che potessi esserti stufato. Che le cose fossero diventate noiose e ripetitive e che presto... tu...» continuò. «Ho pensato di essere brutta, di dover rimediare, così non ti saresti stufato di me e...»
«Sawako!» esclamò, stupendo lei e se stesso. Le afferrò le mani, obbligandola a guardarlo. «Che sciocchezze vai dicendo?»
Sawako Kuronuma si fece violenza ancora una volta, sforzandosi di non scoppiare in pianto; perché Ayane-chan aveva capito e aveva cercato di avvertirla, senza essere ascoltata.
«Non potrei mai stufarmi. Sawako...» disse, abbassando la voce. Oh; ma com'era bello, pronunciare il suo nome. «Non esiste nessuna che mi piaccia... che io ami più di te. Capito?»
Piangeva e lui la stringeva a sé. Erano stati entrambi dei babbei, come al solito.
«Non esiste» ripeté più volte. «Non esiste, Sawako»
 

 
IX
 

Ed ecco che le giornate strane erano volate via.
Certo, restava il fatto che avesse comprato qualche vestito - che, come da previsione, aveva fatto lanciare un urlo al povero signor Kuronuma - troppo... troppo per lei, e che le ci fossero voluti dieci minuti per cancellare oltre dieci anni di capelli.
Ma andava bene così.
«Devo ammettere che è stato un shock » balbettò Kazehaya, imbarazzato.
Seduto al tavolino della stanza di lei, cercava di non guardarla o, ne era certo, il sangue avrebbe preso a fioccare dal suo naso. «Ma... ecco... sei... sei bella, Kuron- Sawako» sì, d'ora in poi, avrebbe sempre cercato di chiamarla per nome.
Insomma: le giornate strane, proprio come diceva il dizionario, potevano lasciare perplessi; ma erano anche in grado di destare meraviglia e rinsaldare, ancora una volta, ciò che era prezioso, senza lasciare spazio ai dubbi.
«Però... non voglio che anche gli altri ti vedano vestita in questo modo!»
 
 


Noticine:

Salve! Se siete arrivati fin qui significa che ne avete, di coraggio!
Premetto che non ho ancora finito di leggere questo splendido manga, ma una mia amica mi ha raccontato più o meno a grandi linee le ultime vicende e così... beh, è nata questa raccolta.
Non so se ne sia uscito qualcosa di decente, ma lascio la parola a voi!
È stato divertente, e credo che tornerò presto a infastidire questi poveri personaggi con altri due capitoli (dedicati rispettivamente alla cara Yano-chin e a Chizu-quantoseifortunataadavereRyu-chan)!
Grazie e a presto!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 2
*** Di merito e demerito ***


 
Giornate strane - Di merito e demerito
 
 
Non voglio rovinare le cose. Chissà se ci riuscirò...
 

 
I
 

A volte si domandava che cosa avesse fatto, proprio lei, per ricevere un dono del genere.
Insomma, c'era stato Pin, una parentesi non troppo breve da farle capire certe cose; ma non avrebbe mai davvero pensato di poter meritare qualcosa di più, dei soliti idioti che la usavano per alimentare il proprio ego. Si era abituata a quel tipo di persona che, un po' come Mogi, si aspettava qualcosa da lei.
Non era mai stata lei ad aspettarsi qualcosa da qualcun altro.
E poi era arrivato lui, e farsi largo a spallate per raggiungerla. Era un bene, no?
Eppure... dopo l'episodio di due giorni prima, dopo aver visto una delle sue amiche più care in preda a degli sciocchi dubbi, questi avevano iniziato ad assillare anche lei. Non della stessa natura, ma abbastanza tenaci da inculcarle in mente un senso di stranezza che aveva provato solo tempo prima, quando la sua neo amicizia con Sawako era stata messa a repentaglio per delle sciocche dicerie.
Si sentiva come immersa nell'acqua, percepiva ogni cosa come ovattata, distante. L'unica voce che riuscisse a perforarle le orecchie sempre e comunque era quella del dono.
Beh, forse aveva esagerato, definendolo "dono".
«Oh, guarda questo! Ti piace? No, aspetta!» trillava allegro, trotterellando tra le bancarelle allestite per il matsuri. «Questo ti si addice di più! Che dici?»
Sospirò. Un dono chiacchierone, altroché...
 

 
II
 

Si domandava - sì, perché Ayane trascorreva molto tempo ad interrogarsi - per quale ragione avesse scelto proprio lei. Dopotutto, quel dono era sempre stato circondato da ragazze, dalle Kento Girls; avrebbe potuto sceglierne una qualunque e, sicuramente, avrebbe dimostrato molto più entusiasmo di lei.
Chiunque, vedendoli insieme, avrebbe potuto chiedersi se non stesse insieme a lui solo per sfruttarlo, per andare in giro a dire "ho il fidanzato" e basta. Non era la prima volta che pensava una cosa del genere ma, chissà perché, in quel momento l'incertezza si faceva strada verso di lei.
Forse avevano tutti ragione.
Lui, così allegro, premuroso e genuino; e lei, seria ed impassibile. Ma non lo faceva apposta, non sempre.
Le veniva naturale nascondersi dietro all'indifferenza, a quell'aria esasperata che assumeva ogni volta che il dono cercava di coinvolgerla; perché così non avrebbe compreso le sue preoccupazioni, e non si sarebbe dovuta esporre troppo. Nessuno lo aveva capito.
Perciò, lei era Ayane, quella fredda e calcolatrice che, nonostante i modi glaciali, riusciva a non raffreddare il povero Kento Miura. Lei appariva come una sorta di buco nero, insomma.
«Ecco a te» il ragazzo le porse un sacchetto.
Era stata così presa dai propri pensieri, da sé, da non averlo nemmeno ascoltato in tutto il suo lungo sproloquio. Se lo avesse fatto, non si sarebbe ritrovata tra le mani l'ennesimo regalo che non sapeva gestire, che non sapeva ricambiare.
«Perché?» domandò, scrutando il piccolo quarzo all'interno della stoffa.
Lui si strinse nelle spalle, sorridendo. «Mi andava di farti un regalo»
Come aveva detto? Ah, sì... sfruttarlo.
Quanto ancora sarebbe durata, prima che lui si stufasse della sua ingratitudine?
«Ayane-chan, ieri ho incontrato Sadako mentre andavo a fare la spesa. Non mi avevi detto che ha tagliato i capelli!»
 

 
III
 

La seccava dover abbassare la serranda ma, sfortunatamente, camera sua era la prima su cui batteva il sole, nel primo pomeriggio. E le toccava anche studiare...
Aprì quel maledetto quaderno su cui aveva scribacchiato qualche appunto e fece scorrere gli occhi su ogni singola parola, senza apprendere il significato di ciò che stava leggendo. Le parole si susseguivano, vuote; un po' perché sperava che il suo cervello le imparasse senza il minimo sforzo e un po' perché, ora come ora, l'ultimo dei suoi pensieri era quello.
Rivedeva Sawako nel camerino, nel tentativo di diventare un'altra persona per paura di perdere quella che amava. La rivedeva, mentre non si rendeva conto di quanto fosse in errore; Ayane sapeva perfettamente che era normale provare quel dubbio almeno una volta, in una relazione.
Ma lei non lo aveva mai sperimentato, non sulla propria pelle.
Sospirò, sdraiandosi completamente sul pavimento, lanciando il quaderno da qualche parte.
No, non lo aveva mai sperimentato... però forse stava accadendo. E ne aveva una paura matta.
 

 
IV
 

«Ecco a te» la scodella in ceramica pattinò sul tavolo, piazzandosi proprio davanti a lei. Dopo tutti quei ramen non le sarebbe più entrato alcun vestito, ne era certa. «Non mi sarei mai aspettata di vederti qui di tua spontanea volontà, Yano-chin» fece notare l'altra ragazza, passandosi appena una mano sulla fronte.
«Nemmeno io» ammise. C'era chi annegava i dispiaceri nell'alcool e chi nelle tagliatelle.
Quest'ultima non era esattamente la persona più perspicace del mondo ma, dopo tanto tempo, aveva imparato a capire quando qualcosa tormentava l'amica. Prese posto accanto a lei su uno sgabello, prendendo ad osservarla.
Ayane non batté ciglio. Assaporava i ramen quasi senza badare a quella cameriera fannullona.
«Non credo che il signor Sanada sarà molto felice di sapere che ti paga per restare seduta a fissare i clienti, sai?» fece, dopo un po'. «Non dovresti tornare al lavoro?»
«Non prima che tu abbia sputato il rospo» ribatté Chizuru, pur sapendo che non lo avrebbe fatto; non si sarebbe aperta con lei. Quella sciocca Yano-chin... la riteneva troppo stupida, per capire certe cose?
Tacque per un po', tenendo lo sguardo chino sulle bacchette che si muovevano a vuoto.
Avrebbe voluto farlo, dirlo a qualcuno. Ma tutti avevano già i propri pensieri, compresa l'altra; non era il caso di condividere qualcosa di così ansiogeno - strano - con Chizu, che aveva già il suo bel da fare.
E poi... e poi doveva risolverla da sola, quella questione.
S'alzò, lasciando dei soldi sul bancone. Prese la borsa e fece per uscire.
«Dove credi di andare? Non hai nemmeno finito di mangiare!» esclamò la cameriera.
Scrollò le spalle. Se doveva sistemare i suoi problemi, tanto valeva farlo subito. «Finiscili tu per me. E non fare quella faccia. So che sei più che ne saresti più che felice»
 

 
V
 

Non era abituata ad autoinvitarsi a casa degli altri - d'accordo, con Sawako accadeva spesso, ma solo spinta da Chizu - e l'idea di doversi spingere fino a casa di lui la seccava, soprattutto perché quel babbeo non si degnava nemmeno di rispondere al cellulare.
Sbuffò, premendo l'indice sul citofono.
Ecco, era arrivato il momento. Era il momento di farla finita.
Aveva riflettuto molto; prima, durante e dopo i ramen, ed aveva tratto le sue conclusioni. Era ora di porre la parola "fine" a quella cosa, anzi, a quei giorni che diventavano sempre più strani.
Perché non poteva continuare così, con quei dubbi, con il sospetto di essere davvero una ragazza tanto meschina da approfittarsi del dono frizzante ed allegro che aveva ricevuto, senza meritarlo davvero.
Dopo una manciata di interminabili minuti, Kento aprì la porta.
«Hey...» mugugnò, soffocando uno sbadiglio con la mano. «Entra, entra»
Si scostò, lasciando spazio alla sua bella fidanzata. «Scusami se piombo qui all'improvviso, ma non rispondevi alle e-mail. Che stavi facendo?»
«Dormivo» replicò, con tutta la semplicità del mondo. «E comunque, non è un problema. Non ci sono nemmeno i miei genitori. Posso offrirti qualcosa?»
«No, ti ringrazio. Andrò via presto» disse, guadagnandosi un'occhiata incuriosita.
Infatti, se Ayane aveva compreso una cosa, era che il dono era molto meno frivolo di quanto apparisse; anzi, era sincero, quando diceva di avere capacità da sensitivo. Kento le girò attorno un paio di volte stando ricurvo, tenendo le braccia dietro la schiena. Sembrava un vecchietto.
Lei lo guardò, trovando che sfoggiava una delle espressioni più irritanti di cui era capace. Stava facendo la faccia da bimbo dispettoso, quella di quando provava a tirarla su di morale o a farla confessare i suoi misfatti.
Proprio come pensava. Non meritava affatto il dono, non per rovinarlo in quel modo.
«Allora? Qual è il problema?» domandò il biondo, continuando con i suoi giri.
«Non c'è alcun problema. Noi...» iniziò, masticando a fatica quelle parole. «Noi non possiamo più stare insieme. Questo è quanto, e scusami per il disturbo»
Chinò lo sguardo, precipitandosi alla porta. Ma qualcosa la frenò; perché, come al solito, si era scordata della tenacia di lui. Quando diventava serio faceva quasi paura.
L'aveva afferrata per il polso, con risolutezza, come a voler trattenere disperatamente qualcosa che stava per cadere. «Come sarebbe? Non credo... di capire» domandò piano, senza diminuire la presa.
«Non c'è proprio niente, da capire!» sbottò lei, divincolandosi. «Non possiamo più stare insieme» ripeté, abbassando la voce.
Kento si voltò; annuì più volte, ridendo. «Dimmi almeno la ragione»
Poteva farlo? Era sempre stato sincero, con lei.
«Io non ti merito, Kento»
 

 
VI
 

Ayane era strana.
Strana non in un senso cattivo, ma nemmeno buono.
Sin da quando aveva fatto la sua conoscenza, Kento aveva avuto l'impressione di conoscerla, di riuscire a leggere dentro di lei; e non solo perché era un sensitivo. Sembrava sempre seria, sempre imbronciata, ma bisognava leggere bene tra le righe ogni singola variazione nel suo sguardo.
Eppure... non sapeva cosa pensare. Quando era scappata via, non aveva saputo leggere nulla, nei suoi occhi.
Perché? Quando erano diventati così distanti?
Sorrise mestamente. Che sciocco. Non erano mai stati poi tanto vicini; non c'era da sorprendersi, se lo aveva piantato in asso in quel modo, su due piedi.
Se fosse stato in grado di provare rancore, nella sua mente l'avrebbe ingiuriata a parole. Avrebbe pensato che era vero che stava con lui perché non aveva da fare; avrebbe pensato che, nella relazione, era l'unico ad amare, mentre lei era la frigida che non sapeva cogliere il suo entusiasmo.
Ma Kento non ne era capace, non sapeva odiare. E, soprattutto, non sapeva essere così superficiale, quando aveva a che fare con le persone - con la sua bella fidanzata.
Sì, la sua fidanzata; perché non riusciva davvero a prendere sul serio quella sciocca frase che lei aveva detto.
Ayane non lo meritava? Che idiozia.
Forse era il contrario.
 

 
VII
 

La maledetta pendola che c'era in salotto non dava tregua alle sue orecchie.
Quella dannatissima cosa continuava a risuonare gravemente, a ricordarle le ore che aveva trascorso lì, seduta su un cuscino, a non pensare a nulla.
A nulla? Ah, che bugiarda, che era.
Ayane si domandava - di nuovo; si faceva sempre molte domande - se avesse fatto la cosa giusta. Quante volte se lo era chiesto, in quegli anni?
Quando si era fidanzata con quell'universitario, lo aveva fatto; e anche quando aveva detto di sì a Mogi e quando lo aveva lasciato. Lo aveva fatto quando aveva disgraziatamente capito ciò che provava per quel cretino di Pin, e quando aveva deciso di lasciare le cose così com'erano, senza fare neppure un tentativo.
Tutte quelle situazioni... le aveva affrontate nella maniera corretta? E adesso?
Doveva convincersi che fosse così, perché non poteva e non voleva qualcosa che non meritava. Era stata lei stessa, agli inizi, a interrogarsi su loro due, a chiedersi se sarebbe stata capace di non distruggere quel che avevano?
Ma cos'avevano, di preciso?
Lei aveva ricevuto lui; e lui? Lui non aveva ricevuto lei.
Lo aveva illuso che potesse essere così; ma la verità era che lei teneva sempre il cuore così chiuso da non lasciar intravvedere lo spiraglio di felicità che provava quando era insieme a Kento, quando le diceva di essere maldestra, e quando la viziava.
Però, il dado era tratto, no? Era inutile piangere sul latte versato.
 

 
VII
 

«Che significa "Io non ti merito"?»
Lui era lì, oltre il portone a vetri; poteva vederlo, ma non sorrideva più. Il dono aveva perso l'allegria a causa sua, proprio come pensava.
Bussava ripetutamente alla soglia di casa, al buio, incurante dei passanti e di tutti quelli che lo scrutavano sospettosi, incerti se chiamare la polizia o meno. Era tardi, sua madre dormiva e non voleva si svegliasse.
Ma come poteva affrontarlo?
«Spiegami, Ayane!» esclamava.
Cosa doveva fare, adesso? Spalancare la porta e gettargli le braccia al collo? Implorare perdono per non essere mai, mai, capace di prendere delle decisioni senza rimuginarci su mille volte?
Oppure tenerla chiusa, salire in camera sua e spegnere le luci?
«Ti prego...» mormorò in fine.
Era strano, era tutto completamente strano; perché quel biondino, che il primo giorno di scuola insieme le aveva dato l'idea di uno svampitello ridanciano, adesso non rideva e sembrava più adulto.
Era quello che facevano, gli adulti? Si distruggevano l'un l'altro?
Aveva sempre creduto di essere quella matura, quella che era cresciuta in fretta. Aveva creduto di essere più grande solo perché aveva avuto diverse relazioni con ragazzi più grandi, solo perché si truccava e aveva le orecchie forate.
Che sciocchezza.
Lei era ancora una bambina che si tarpava le ali da sola, proprio come aveva detto Pin una volta. Era una bambina lunatica, che non sapeva mai cosa voleva e che pensava troppo prima di agire, non lasciandosi trasportare da qualcosa che non fosse la razionalità.
Ma con Kento era stato diverso.
Era stato lui a cercare di trascinarla con sé, con tutta la sua spontaneità, senza pretendere nulla; solo averla vicina, potersene prendere cura, come fosse stata un piccolo cucciolo ferito che non si avvicinava mai per paura di farsi del male.
E, all'improvviso, con le spalle ancora a ridosso del vetro, realizzò di aver ignorato la verità più ovvia.
Kento era stato sempre l'unico a capirla, a capire che la sua era tutta una maschera, una facciata. Oltre alle sue amiche, era stato il solo a provare a mostrarle che si sbagliava, che il mondo non era tutto bianco o tutto nero; aveva voluto insegnarle che qualcuno poteva amare le sue stranezze con sincerità e aveva voluto essere lui, quel qualcuno.
Aprì la porta.
 

 
IX
 

«Ecco; è lì che lo vendono. Normalmente non trovo mai quel gusto, in gelateria. Lo prendiamo?» come avrebbe potuto rinunciare a quel cicaleccio?
Sorrise. «Non mi va. Però lo prendo io per te» disse, avvicinandosi al banco che, accanto a tutti gli altri, era l'unico ancora affollato, nonostante l'ora. «Niente storie» fece, prima che lui potesse protestare.
Porse i soldi al venditore, afferrando il cono stracolmo di gelato al lampone. Fece per voltarsi, ma inciampò sui suoi stessi piedi, maledicendo quelle stupide scarpe con il tacchetto che non indossava mai.
Doveva ricordarsi di buttarle.
«Vedi? Ho sempre ragione» sorrise Kento, sorreggendola prima che potesse volare per terra e con lei il gelato. «Non avresti dovuto metterle. So che per me vuoi sempre essere al massimo, ma non importa; dico davvero. Saresti bellissima e più bassa in ogni caso, piccola Ayane»
«Bada a come parli, biondino» borbottò lei, voltandogli le spalle. «O lo faccio cadere per davvero»
Lui alzò le mani in segno di resa. «Non sia mai che io non sia felice. Tu non vuoi vedermi felice?»
Non rispose; perché lei voleva vederlo felice. Ma poteva esserlo, se stavano insieme?
«Saresti felice, se stessimo di nuovo insieme?» chiese, fingendo disinteresse.
«Oh, no. No, no, no. Non sarei felice» scosse la testa, facendo in modo di guardarla negli occhi. «Sarei felice all'ennesima potenza. Tu lo saresti?»
Lo sarebbe stata?
Sorrise. «Lo saprai se mi concederai un po' di gelato»
«Stai tentando di ricattarmi? Come sei maldestra, Ayane. Te l'ho già detto, no?» rise. «Sei maldestra. E anche lunatica, direi»
Prima che potesse rispondergli a tono, il gelato era suo e il dono si stava allontanando, con le mani affondate nelle tasche. «Te lo sei meritato!»
 
 

Noticine:

Avete sperato che non si riconciliassero, eh?
Salve, sono di nuovo io!
L'altra volta non c'era molto da dire; insomma, Sawako e Shotino sono Sawako e Shotino, non si può non amarli e non amare ciò che hanno.
Ma per questi altri due il discorso è un po' diverso ed è difficile stabilire che cosa abbiano davvero.
Nelle sue prime comparse, Kento non mi andava molto a genio. Insomma, mi sembrava un babbeo con la testa vuota, ma abbastanza subdolo da mettere i bastoni tra le ruote dei nostri protagonisti.
Oh, come mi sbagliavo. È inutile dirvi che è diventato uno dei miei personaggi preferiti, proprio perché credo che il suo carattere si sposi alla perfezione con Ayane, aiutandola a brillare.
Certo, l'avrei vista bene anche con Pin, perché sia lui che l'altro sono piuttosto frivoli in apparenza, ma nascondono bene la loro vera natura. Però va bene, l'autrice ha voluto così!
Ringrazio tutti voi che avete letto e spero di non star scrivendo castronerie.
La prossima sarà Chizu!
Grazie e a presto!
TheSeventhHeaven

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Capitolo 3
*** Di amicizie e storie ***


Giornate strane - Di amicizie e storie
 

 Era già finita, la nostra amicizia! Era già finita!

 
I
 

Adesso che ci rifletteva, già quando era bambina aveva spesso immaginato di lavorare lì.
Vedeva Tooru destreggiarsi tra i tavoli, con vassoi colmi di scodelle di ramen fumanti, e sognava di imitarlo. D'accordo, più che altro sognava di affiancarlo nel suo lavoro; ma non aveva importanza.
Il maggiore dei Sanada aveva smesso quando se n'era andato, e anche per lei si trattava di un impiego momentaneo; un po' per racimolare qualcosa da mettere da parte e un po' per essere d'aiuto al padre dei due fratelli, che aveva sempre fatto tanto, per lei.
Soprattutto, Chizuru lavorava di buon grado lì perché si tenessero reciprocamente compagnia e perché entrambi non pensassero a chi era lontano. Avrebbe potuto distrarsi semplicemente uscendo con le amiche, ma entrambe avevano le proprie grane, in quel periodo.
Dopo quella mattinata di spese proposte - imposte - da Yano-chin, Sawako-chan aveva finalmente rivelato loro cosa l'aveva spinta a comportarsi... beh, in quel modo; mentre l'altra, appena qualche ora prima, aveva fatto intendere di avere qualcosa che le frullava in quella testa fulva.
Non le aveva detto nulla, forse perché pensava non potesse capire... oppure no. D'altronde, quella canaglia di Ayane era fatta così. Chissà se aveva risolto.
Insomma, entrambe erano strane, ultimamente. Non che lei non lo fosse, anzi... ma non potevano vedere la sua situazione bene come il signor Sanada.
Chissà a cosa pensava, mentre stava dietro ai fornelli.
Mentre distribuiva quelle delizie, Chizuru non pensava a niente. O forse solo a quell'insolita sensazione che la metteva a disagio da un po'.
 

 
II

 
Il padre di Ryu e quest'ultimo si somigliavano in maniera incredibile.
Quando entrava in cucina per ritirare le ordinazioni era sempre come vedere il suo amico - quando avrebbe fatto l'abitudine a chiamarlo "fidanzato"? - da adulto; e questo le provocava un brivido.
Anche a livello comportamentale, erano oscenamente uguali. Poche parole ma buone; ed una grande generosità. In un certo senso, trascorrere le giornate in compagnia del signor Sanada era come trascorrerle con il figlio.
Oltretutto, spesso accadeva che allungasse un po' i turni e restasse a dormire lì, in camera di Ryu; dove ogni cosa portava con sé il sottile profumo del suo proprietario. Chizuru cadeva sulle coperte in un limbo tra la stanchezza ed il desiderio di restare sveglia e bearsi di quella gentile fragranza.
Si chiedeva come fosse dormire con lui. Da piccoli era successo; ma adesso sarebbe stato completamente diverso.
Poi, dopo essersi interrogata a sufficienza, si dava dell'emerita idiota e si diceva di star diventando troppo sdolcinata e sentimentale. Prometteva a se stessa che non avrebbe più riposato là e che durante i suoi turni avrebbe visto il signor Sanada come il signor Sanada, e non come Ryu.
Ma il giorno dopo tornava puntualmente sui propri passi.
 

 
III

 
«Vado e torno!» esclamò uscendo dall'ingresso del locale.
Sarebbe stata una cosa veloce: sarebbe tornata a casa, avrebbe preso con sé il pigiama e ciò che aveva da studiare e poi sarebbe tornata dai ramen e dal maestro che li preparava, per gli ultimi clienti e per essere d'aiuto nel riassettare il ristorante.
Fece una corsa, imprecando in tutte le lingue per trovare quella maledetta maglietta che sembrava essere scomparsa. Non ce n'erano altre.
Ingaggiò una furiosa lotta con l'armadio, i cassetti e ciò che nascondeva il suo letto - perché camera sua era un disastro - ma ancora niente. «Al diavolo!» sbraitò, afferrando la prima cosa che trovò per terra.
Scese le scale rischiando d'inciampare e a stento spiegò alla madre dove stesse andando; perché doveva precipitarsi lì e perché quella sera, ne era certa, dopo aver studiacchiato qualcosa sarebbe stata abbastanza pimpante da potersi dedicare a Ryu, agli averi impregnati di lui.
Rientrò nel locale come una furia, con la risata del signor Sanada che, per qualche motivo, Chizuru non comprese a cosa fosse dovuta. «Lascio su queste cose e poi arrivo!» esclamò, energica.
Ma quando spalancò la porta della stanza del suo amico - del suo fidanzato - vi trovò una sorpresa.
Ryu era lì. E lei avvertì di nuovo la stessa sensazione di stranezza che la metteva a disagio.
 

IV
 

Il fatto era che proprio non riusciva a capacitarsi di tutto quel che era successo.
Gli voleva un bene dell'anima, e lo trovava bello come nessun altro; era l'unico che la capisse fino in fondo e non avevano necessariamente bisogno di parole, per intendersi.
Ma c'era sempre quell'interrogativo a cui non sapeva rispondere.
Era diverso dai primi tempi, quando si vergognava e le dispiaceva di non poter provare quello che Ryu provava per lei; adesso che lo ricambiava, però, c'era qualcos'altro che non andava. E ne aveva avuto prova proprio in quel momento, quando aveva trovato l'amico - il fidanzato! - nella sua stanza.
Perché lui aveva sorriso, ma lei no. Lei si era sentita furiosa e lo aveva preso a male parole per non averle detto che sarebbe tornato e per averli fatti stare tutti in pensiero.
Eppure, sapeva di star mentendo e di non essere arrabbiata; non per quel motivo, almeno.
Ryu, dal canto suo, era rimasto raggelato; anche se aveva cercato di non darlo a vedere e di convincersi che, in fondo, lei si era solo preoccupata e che quel lampo di colpevolezza che aveva visto negli occhi di Chizu fosse stato solo un'impressione.
«Non mi abbracci nemmeno?»
 

 
V

 
Come ai vecchi tempi, sul greto del fiume. Era strano.
Lui avrebbe voluto stringerla, baciarla o anche di più; e anche lei avrebbe voluto potergli mostrare quanto fosse dannatamente felice di vedere quel suo sguardo tagliente che aveva fatto ammattire svariate ragazze, negli anni delle medie e del liceo.
Ricordava bene quella che gli si era dichiarata in gita, il secondo anno; e ricordava bene anche quanto l'aveva trovata fastidiosa ed inopportuna. Prima di allora, prima che Ryu le confessasse ciò che aveva nel cuore, Chizuru non si era mai sentita urtata all'idea che qualcuna potesse "portarglielo via".
Poi lui l'aveva fatto, lo aveva detto e lei aveva iniziato, senza realmente accorgersene, a detestare tutte quelle ochette che manifestavano un minimo di interesse per lui. Adesso era lo stesso, e avrebbe voluto rivelarglielo, rivelargli che aveva una paura folle del giorno in cui lui si sarebbe accorto di... beh, della verità.
Ma non ci riusciva; era come bloccata.
Alla fine glielo aveva dato, quell'abbraccio. Un gesto meccanico; e non per l'imbarazzo.
Ryu non era stupido, aveva capito che qualcosa non andava. Però era paziente, avrebbe aspettato che ne parlasse di sua spontanea volontà; oppure non l'avrebbe fatto.
«Allora? Come... come ti trovi?» chiese Chizuru, per spezzare quel silenzio snervante.
Lui rise, perché lei era così e gli era mancata terribilmente. Quando era a disagio, si sentiva in dovere di dire qualcosa... qualsiasi cosa.
E questo avvalorò la sua tesi. C'era qualcosa che non andava.
«Bene. È un po' diverso da ciò a cui sono abituato» replicò, sdraiandosi sull'erba. Lo scroscio dell'acqua lì vicino gli fece desiderare una doccia gelata, ma prima urgeva altro. «E voi? Come state?»
«Oh, stiamo tutti bene. Yano-chin è un po' giù, credo, ma si risolleverà... sai, non credo che qualcuno possa davvero trovare un modo per evitare tutti i fiorellini che emana quel Miura» iniziò a raccontare, sentendosi tornata alla normalità, per un attimo. «Mentre Sawako-chan l'altro giorno sembrava impazzita. Avresti dovuto vederla, Ryu! Non sembrava nemmeno lei. Provava dei vestiti cortissimi e... te l'ho detto che si è tagliata i capelli?»
Ryu aggrottò appena le sopracciglia.
«Già, sembra incredibile! Però le stanno bene, non sembra più nemmeno la protagonista di The Ring... e vuoi sapere qual è stata la ragione di tutto quel trambusto?» esclamò, teatrale.
Eccola, la vera Chizuru. Era di nuovo lei, ma... ciò che stava per dire la riportò alla natura delle cose, e al suo dubbio. E al suo sentirsi strana.
«Pensava che Kazehaya potesse essersi stufato di lei. Insomma, non è che si sia svegliata una mattina con quell'idea in testa... era già un po'... timorosa. Sai com'è fatta; e lui è davvero impegnatissimo e...» si concesse una pausa, con un sorriso amaro. «È sciocco avere questi dubbi, vero...? Voglio dire... chissà cosa penseresti se io... se all'improvviso...»
Si ammutolì, non sapendo esattamente cosa dire.
«Ah, ma com'è tardi! Devo andare a casa!» esclamò ad un tratto, balzando in piedi.
 

 
VI
 

Proprio come ricordava, la stanza di lei era in un perenne stato di disordine.
Fin da piccolo, nella sua mente Chizu era la persona più caotica che conoscesse; e non solo quando si trattava dei vestiti buttati tutti su una sedia, dei fogli e dei quaderni sparpagliati per la scrivania o degli svariati sacchetti di snacks disseminati per il pavimento e che - solo il cielo sapeva come - sembrava lei fosse capace di ingurgitare senza la minima ripercussione sulla sua salute.
Adesso che stavano insieme, tornarci era ogni volta diverso, però.
Ogni volta si sentiva fremere all'idea di essere lì, in mezzo a tutta quella confusione, come se desiderasse quasi che lei replicasse lo stesso caos ovunque.
Chizu non c'era, avrebbe tardato un po', ma gli aveva detto di precederlo e di aspettarlo a casa sua. Da quando era di nuovo a Kitahoro, la ragazza aveva preso a comportarsi in modo strano; e chissà, forse gliene avrebbe parlato proprio quando avesse fatto ritorno.
Mentre Ryu ispezionava ogni centimetro, l'occhio gli cadde su un blocchetto che appena si intravvedeva da sotto le coperte del letto. Lo afferrò e gli venne da sorridere, proprio nel momento in cui la sua - finalmente - fidanzata fece irruzione nella stanza.
«Ti avevo detto di aspettarmi qui, non di rovistare tra le mie...» iniziò a sbraitare, zittendosi non appena si accorse di ciò che lui aveva in mano. «Oh...»
Il ragazzo le si avvicinò, sventolandole i foglietti sotto il naso. «Posso sfruttarli tutti in un'unica seduta?»
 

 
VII
 

Era una teppista, una schiacciasassi, senza peli sulla lingua e senza alcun riguardo per tutte le idiozie che le volavano quotidianamente fuori dalla bocca.
Ma il suo tocco era quanto di più delicato e piacevole esistesse.
In tutti quegli anni - i compleanni, per lo più - se lo era ripetuto ad ogni massaggio che lei gli faceva. Forse avrebbe dovuto dirglielo, forse le avrebbe fatto piacere... no?
Però non sembrava disposta ad ascoltarlo. Aveva la testa tra le nuvole e, stranamente, non si era opposta al capriccio di lui di utilizzare i suoi buoni in una sola volta.
«Chizu...»
«Taci!» esclamò, stringendogli la spalla più forte di quanto avrebbe dovuto, facendolo sussultare. D'accordo, forse avrebbe dovuto rivedere la parentesi del tocco delicato e tutto il resto... «Devi rilassarti, perciò non fiatare!»
Non fiatare, o vado in crisi...
Era stata più brusca di quanto avesse voluto, ma diversamente non avrebbe potuto concentrarsi e tenere a freno tutte le emozioni che la stavano uccidendo.
Perché Ryu era così bello? Perché la sua schiena era così ampia ed il suo sguardo così sottile?
Quando, esattamente, aveva iniziato ad accorgersi di tutto ciò? Quando lui le si era dichiarato, certo... no, forse prima. Forse sapeva già tutte quelle cose e aveva scioccamente insistito per sopprimerle, per non rovinare quell'amicizia che era già finita da tempo.
Lo aveva detto lui, no?
E adesso la loro storia era iniziata e, forse, forse, non era in realtà la cosa migliore.
Perché Chizuru aveva paura di non amarlo abbastanza, di non meritarlo. Aveva paura che la loro relazione fosse una di quelle in cui uno dei due ci tiene più dell'altro e si illude di essere ricambiato allo stesso modo.
 

VIII

 
«Mi spieghi qual è il problema?» chiese, infilandosi nuovamente la maglietta.
«Non c'è nessunissimo problema. Ma è tardi. Devi andare a casa»
Lui inarcò un sopracciglio. «Alle sei di sera?»
L'aveva messa con le spalle al muro, e lei lo sapeva. Si lanciò sul letto, sbuffando sonoramente e maledicendosi per essere una simile sempliciotta.
Ryu parlava poco, ma sapeva far tirare fuori agli altri quello che voleva sentire.
«Pensi mai che potrei non amarti? Che potresti non piacermi e che io possa soltanto voler provare l'ebbrezza di essere fidanzata?» chiese, tutto d'un fiato.
«No» rispose l'altro, senza neppure pensarci. Si sedette accanto a lei, scuotendo la testa; ecco cosa la perseguitava, quindi... «Non sei abbastanza intelligente e brava a mentire»
«Che cattiveria!»
«È la verità»
Calò il silenzio, a tratti interrotto dal cellulare di Chizuru, che non la smetteva più di suonare. Sicuramente era quell'antipatica di Yano-chin, per quella loro ipotetica uscita tutti insieme.
«Se fosse come dici... se non provassi quello che provo io, lo avrei capito. Ti conosco da una vita» disse Ryu, guardandola negli occhi.
«È che io... non voglio che una mattina tu ti accorga che hai sbagliato a scegliere me e...» borbottò. «Oh, sto diventando sdolcinata, ma... io ti sono sempre piaciuta in quei termini, mentre tu... non voglio che tu pensi che ti abbia scelto per pietà, anzi, non voglio averti scelto per pietà»
«Quante paranoie... stai facendo tutto tu. Quando dovresti pensare agisci; quando dovresti agire pensi» replicò Ryu, alzandosi e prendendo il telefono, porgendolo alla fidanzata. «Rispondi a Yano»
 

 
IX
 

Miura rideva, asfissiava la perfida Yano-chin - beh, almeno sembrava essersi tirata su di morale, quella strega che non le aveva voluto dire niente.
Poi era arrivata Sawako, con quei capelli a caschetto e quel sorriso che faceva arrossire tanto il suo Kazehaya; e tutti erano felici di rivedere Ryu, quello stesso Ryu che diceva sempre tutto senza aprir bocca.
E Chizuru aveva capito che il suo fidanzato - incredibile, era riuscita a chiamarla così! - sapeva davvero leggerle dentro. Quello sciocco dubbio non esisteva, per lui; e ne aveva avuto prova proprio per il fatto che lei si era preoccupata, per il fatto che aveva temuto di non essere abbastanza.
Ma ora aveva compreso, e lui le avrebbe sempre mostrato la verità a modo suo: ridendo di lei, consolandola, apostrofandola o solo baciandola, tenendola stretta a sé; la sua Chizu, quanto di più prezioso avesse mai trovato.
Insomma; anche quando un'amicizia finisce, non è detto che non possa esserci qualche risvolto positivo.
Forse inizia qualcos'altro; forse inizia una storia.
Ed è durante le giornate strane, che tutto cambia.

 
 
Noticine:
Ebbene, ce l'ho fatta!
Salve! Vi ricordate di me?
Sì, avrei dovuto aggiornare circa una settimana fa, ma la scuola è tiranna come al solito...
Comunque, in questo capitolo ho voluto lasciare un po' più di spazio ai pensieri della dolce metà della protagonista (perché, hey, Ryu meriterebbe un fumetto tutto per sé; o forse no) che, come sempre, vede la verità laddove lei non ci riesce.
Spero di non aver combinato un disastro!
Le giornate strane sono finite (non nella vita reale, perché purtroppo non possiamo vivere nello stesso mondo di Ryu "Arrivare a te". Insomma, spero di reincarnarmi in un personaggio di un manga, così posso essere immortale), ma un giorno mi piacerebbe tornare qui!
Ringrazio di cuore voi che avete letto e redmabon, la dolce creatura che mi ha lasciato dei commenti e che mi ha rallegrato la serata!
Grazie a tutti e alla prossima!
TheSeventhHeaven

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