The Prince and the frog.

di Miss Mistery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Sento qualcosa camminarmi sulla pancia.Qualcosa di piccolo e leggero che mi fa una lieve pressione dove si posa. Sorrido ancora mezza addormentata e con una mano cerco la mia gatta, Achab, e le accarezzo il folto pelo nero. Ormai mi sono abituata a questa sveglia mattutina e non sobbalzo più dalla paura come facevo una volta. 

Apro lentamente gli occhi e mi ritrovo a fissare quelle verde smeraldo brillanti di lei. Sorrido ancora e le bacio il nasino, lei fa una smorfia buffa e, scuotendo la testa a destra e a sinistra, salta giù dal letto e esce dalla porta semi socchiusa. 

Metto giù i piedi e rabbrividisco al contatto con il freddo marmo del pavimento mentre con le punta delle dita cerco di trovare le pantofole. C'è un silenzio totale nella casa e capisco che mia madre non deve essere ancora tornata da lavoro oppure è già andata via dopo essere tornata sta notte. Prendo il cellulare che segna le 6:57 su uno sfondo verde e come sempre, niente notifiche Facebook e niente messaggi su Whatsapp. Sto ancora fissando il cellulare quando sento la porta scricchiolare e vedo riapparire Achab sull'uscio della camera che mi fissa con quei suoi occhietti vitrei e miagola lentamente. 

"Si si, ho capito. Adesso ti do da mangiare" le dico sospirando mentre quella soddisfatta della risposta va via di nuovo , probabilmente in cucina ad attendere il pasto. 

Trascinandomi a fatica riesco a raggiungere la cucina e prendo da uno scaffale le bustine di carne assortita per darlo alla gatta e poi preparo qualcosa per me. 

La macchinetta del caffé rimane ancora rotta anche se, presa da un momento di speranza illusoria, cerco di accederla. 

"Che palle" sospiro ancora. 

Mi bevo un bicchiere di succo all'arancia e mangio due biscotti al cioccolato prima di lavarmi i denti. 

Il bagno è una specie di ripostiglio con il minimo indispensabile: un box doccia così piccolo che anche se volessi non potrei sedermici, un water di quelli vecchi con la cordicella che pende dall'alto di una specie di scatola di marmo piena d'acqua, un bidet messo in uno spazio strettissimo tra il box doccia e il water che per usare bisogna fare acrobazie e un lavandino alto e stretto con sopra uno scaffale a cui è integrato uno specchio, tra l'altro screpolato su un lato. Insomma, un bagno da vere principesse. 

Il resto della casa di certo non è da meno; la cucina  e il salotto sono tutti e due nella stessa stanza e non fanno di certo un bel effetto come in quelle grandi case spaziose dove buttano giù il muro apposta per metterle in contatto, perché va di moda. L'unica stanza da letto è quella che uso io e sono ancora scettica su come diavolo il letto, la scrivania e l'armadio ci siano entrati in quella specie di sgabuzzino. Mia madre dorme sull'orribile divano color cachi su cui di tanto in tanto Achab si lima le unghie. Abbiamo la tv, un vecchio modello a scatola grigio che però funziona ancora ed anche questo è un miracolo. 

Non so se la cosa si sia capita ma lo dico per ogni evenienza: sono povera. Oddio, non quel tipo di povera che non hai casa e stai in mezzo alla strada a raccogliere spazzatura con un carrello rotto di un qualche supermercato, ma quel tipo che non puoi comprare tutto quello che vuoi, qualche volta ti devi accontentare di pasta con sugo e basta per settimane ed è sconsigliato uscire con gli amici per una pizza o un gelato. Quel tipo di povero. 

La cosa buffa è che non mi lamento. Non sono mai stata una persona particolarmente bisognosa di cose, mi accontento di quello che c'è; anche perché non posso fare altrimenti. 

Prendo lo spazzolino da denti e lo guardo con amarezza, ha tutte le setole piegate sui lati anziché dritte; credo che sia ora di comprarne uno nuovo. Metto il dentifricio e comincio a muovere su e giù lo spazzolino in bocca. Dopo aver finito mi guardo allo specchio e come sempre non mi piace quello che vedo. Viso ovale, naso un po' all'insù , labbra gonfie e screpolate, orribili iridi azzurro-grigi incorniciate da ciglia all'ingiù che mi danno un'espressione di perenne noia. Come se la natura fosse stata particolarmente cattiva nel giorno in cui mi ha creata, ho anche dei cappelli lisci come spaghetti di un anonimo colore marrone chiaro divisi da una riga a metà sulla testa che, ancora spettinati, mi conferiscono un'aria tutt'altro che da "ragazza".

Mi guardo per qualche altro secondo e poi alzo le spalle: non mi importa. Non mi importa di come appaio ormai da un sacco di tempo. Io sono così e non ci posso fare un bel niente. 

Uscita dal bagno guardo l'orologio sulla parete che segna le 7: 25. Sobbalzo per la sorpresa e mi precipito alla velocità della luce in camera mia.Mi metto i jeans e la T-shirt che ho indossato anche ieri e, preso al volo lo zaino, mi precipito fuori dalla porta dopo aver lasciato sul frigo un post-it che riporta il seguente messaggio: " Non mi aspettare per pranzo...né per cena, torno tardi perché ho il turno a lavoro." 

L'autobus lo prendo appena in tempo ma come sempre è così pieno che vengo immediatamente schiacciata contro il vetro della porta e non ho altra scelta se non fissare la schiena di un energumeno che mi sta proprio davanti e mi schiaccia come una sardina con il suo peso.

Dieci minuti dopo vengo letteralmente sbattuta fuori dall'autobus insieme ad un'altra manciata di ragazzi e ragazze e mi sembra quasi di vedere le persone rimaste sull'autobus tirare un sospiro di sollievo poiché sono finalmente più liberi di muoversi...e respirare normalmente.

Non faccio in tempo a riprendermi dallo stordimento che vengo travolta da una valanga di cappelli biondi e profumo di limone. Sorrido sapendo già chi è.

"Fai veramente schifo!" mi grida la mia migliore amica staccandosi dall'abbraccio.

"Wow. Grazie per questo meraviglioso buongiorno" dico sarcastica squadrandola.

E' come sempre perfetta. Indossa un vestito nero lungo fino alle caviglie con dei motivi bianchi sul colletto e sulla vita. I piedi sono avvolti in un paio di espadrillas nere e alcune ciocche dei cappelli biondi sciolti sono trattenute dietro la testa da una spilla con un motivo floreale. Ha i soliti occhiali da sole alla Jonh Lennon che le stanno da dio e gli orecchini piumati che le ho regalato lo scorso natale.

"E' l'ultima giorno di scuola. L'ULTIMO GIORNO DI SCUOLA." grida attirando l'attenzione di non pochi passanti, ma mi viene subito da pensare che piuttosto che il suo discutibile tono di voce sia proprio lei, il suo modo così sicuro di essere, il suo modo così "wow" di vestire, ad attirare l'attenzione. Vedo qualche ragazzo della nostra scuola fissarla mentre si dirige verso l'edificio. Alzo gli occhi al cielo e li guardo in modo truce , ma visto che non ne sono capace ottengo solo l'effetto di farmi guardare come se fossi un qualche piccolo insetto insignificante che ronza intorno ad un fiore troppo bello; e in effetti è così che qualche volta mi sento. 

Mi giro nuovamente verso di lei: "Veronica, so che giorno dell'anno è."

"Non mi sembra proprio! Ti sembra questo il modo di vestire?" mi aggredisce ancora, questa volta con voce un po' più bassa.

" Cosa c'è che non va nei miei vestiti?" dico guardandomi i pantaloni di jeans lunghi e consunti e la T-Shirt nera con scritta bianca.

Lei alza gli occhi al cielo, mi squadra dalla testa ai piedi, sospira, chiude gli occhi e so già perfettamente quello che sta per dire infatti mentre lei lo dice lo ripeto in contemporanea nella mia testa.

"Non hai sex appeal." mi sussurra quasi all'orecchio e io scoppio a ridere.

Lei mi guarda come se mi stessi prendendo gioco di un malato terminale e io la lascio lì dirigendomi verso l'edificio del liceo davanti al quale si stanno radunando tutti gli alunni in attesa di entrare.

"Io non ci vedo davvero niente di divertente!" esclama seguendomi.

"A me i vestiti vanno benissimo così" le rispondo impassibile.

"Insomma, Nora! Non troverai mai un ragazzo in questo modo" dice in modo non curante ma poi si blocca subito e so già che sa quello che le sto per dire.

"Ci sono tre cose che odio a questo mondo" inizio "1. I bugiardi.2. I romanzi rosa.3. La matematica. Ma c'è una cosa che odio più di tutte queste tre cose messe insieme: i ragazzi." 

"D'accordo d'accordo" si arrende alzando le mani al cielo " Però dovresti almeno avere un po' di orgoglio femminile, per amor di dio" riesce a dirmi prima di essere travolta da un gruppetto di ragazze e ragazzi che la salutano tutti sorridenti. Lei ricambia i loro saluti e si mettono a parlare animatamente. In quel gruppetto ci sono ragazzi e ragazze anche di classi più grandi di noi ma le parlano in modo tranquillo, come se fosse normale. 

Mi allontano con nonchalance. Odio quando succede così. Odio quando parliamo e lei viene all'improvviso portata via da qualche ragazzo che la vuole rimorchiare o qualche ragazza che vuole essere sua amica. Odio il fatto che lei sia così perfetta in tutto: studio, vita, carattere, amicizie, bellezza, charme. Odio il fatto che abbia quel potere unico e speciale che io non avrò mai: attirare le persone intorno a se. Odio provare questo sentimento per la mia migliore amica, odio provare gelosia per la mia migliore amica, ma non posso farci niente. E' per questo che cerco di fregarmene di tutto, così non sentirò più quel mostro divorarmi da dentro quando la vedrò così rilassata e a suo aggio in mezzo a tutta quella gente che la adora. 

La campanella suona e una folla si riversa nell'atrio dell'istituto. Il consiglio scolastico aveva deciso di fare l'assemblea l'ultimo giorno, il che significa che per cinque ore non facciamo assolutamente niente. Nelle prime tre ore ci sono delle attività organizzate e io scelgo di vedere il film; una qualche brodaglia in bianco e nero su un banchiere fallito e poi nelle ultime due ore facciamo Assemblea D'istituto in palestra. Io e Veronica, insieme al resto della classe, ci sediamo per terra vicino a una delle porte da calcio e ci appoggiamo ai pali morbidi rivestiti di un materiale simil spugna. Iniziano a suonare l'orchestra e qualche gruppetto di studenti che invece di studiare si dilettano come boy-band. Poi si passa al coro che di coro sembra avere solo il nome visto che le sue componenti sono stonate come campane arrugginite. Si parla di qualcosa riguardante i maturandi, poi il giornalino, qualche altra menata tecnica sulla scuola e infine, come per dimostrare che il Liceo Classico non è tutto 'Greco, Latino, studio e libri", due ragazzi del quinto anno, che a quanto pare nel tempo libero si dilettano come DJ, improvvisano una discoteca e ovviamente la mia cara migliore amica si butta fra le prime a ballare in mezzo alla palestra. Odio anche questo lato di lei; si butta, fa ciò che le va di fare incurante di quello che gli altri pensano. Io non ci riesco. Rimango  incollata a terra come se qualcuno ci avesse spalmato della vinavil e non mi muovo nemmeno quando, ormai con quasi tutta la scuola in mezzo alla palestra, qualche mio compagno viene a chiedermi di unirmi alla mischia. 

Con mio grande sollievo e il rammarico di tutti gli altri, la campanella suona e i più furbi prendono al volo gli zaini e si precipitano come ossessi verso le uscite nell'intento di evitare il solito "bagno" da parte degli studenti o di finire, in un modo o in un'altro, a galleggiare nella fontana che sta in mezzo alla piazza di fronte a scuola. 

 Io cerco di fare lo stesso ma qualcuno mi trattiene per il braccio. Vedo gli occhi marrone chiaro di Veronica fissarmi con rimprovero. Faccio un lunghissimo sospiro con cui, se credessi alle superstiziose credenze popolari, ho buttato via circa quaranta anni della mia felicità. 

"Dove credi di andare?" mi dice lei dopo avermi trascinato in un angolo della palestra per evitare di essere travolte dalla mischia. 

Vedo i primi delle file già fuori nel cortile interno che escono dall'uscita posteriore, hanno un viso trionfante e si stanno dando delle pacche sulle spalle perché sono riusciti sicuramente , in questo modo, di evitare il bagno. Io invece sono bloccata ancora qui e mi preparo già psicologicamente ad essere buttata nella fontana da qualche cretino delle altre scuole, come era successo l'anno scorso....e l'anno prima ancora. 

"Mi stai ascoltando!" mi grida Veronica facendomi girare a forza la testa verso di lei.

Ho completamente dimenticato che fosse lì e adesso la sto fissando con uno sguardo spaesato. Lei scuote la testa perché capisce che non ho sentito una parola di quello che ha detto. 

"Ascoltami bene. " dice piano scandendo bene tutte le sillabe, come se fossi una bambina a cui si sta insegnando a fare o non fare qualcosa. 

"Ti ascolto" le dico con un tono un po' irritato. Odio quando mi parlano come se fossi una scema. 

"Adesso noi andremo da Tally Weijl".... Oh, no...... " Tu non dirai una parola e farai tutto ciò che io voglio"..... ti prego no..... " E io, visto che è L'ULTIMO GIORNO DI SCUOLA, ti vestirò e ti farò tutto ciò che voglio"....oh, perfetto..... 

"Veronica, non credo che sia il.." non mi fa finire la frase e mi trascina fuori dalla palestra.

 Percorriamo a passo di marcia i corridoi quasi ormai vuoti della scuola; oh meglio, lei cammina veloce e io vengo trascinata contro la mia volontà verso un destino crudele che speravo di non vedere mai. 

Durante il tragitto cerco di dissuaderla da questo suo intento pazzo ma lei continua a interrompermi e a sgridarmi a proposito del fatto che non mi curo del mio aspetto, che è L'ULTIMO GIORNO DI SCUOLA e che comunque ho il lavoro fra due ore e quindi abbiamo tempo per farmi mettere qualcosa di carino e mettermi apposto i cappelli. 

Mi rassegno. Ormai so come è fatta questa ragazza. Quando decide qualcosa, niente può fermarla. 

Siamo fuori e quello che mi si presenta davanti è proprio quello che più temevo e che avevo cercato di evitare. La piazza è piena di studenti di tutte le età; gridano, corrono,ridono, vedo volare palloncini pieni d'acqua , bottigliette di plastica, qualcuno ha addirittura delle pistole ad acqua e altri sono già finiti nella fontana. Ci fermiamo un attimo sulle scale per valutare la situazione. 

Il negozio in cui dobbiamo andare è nel centro città, il centro città è proprio dall'altro lato della pizza, la piazza è piena di gente e quindi anche fare il giro non servirebbe a niente. Sto per proporre di andare a casa di Veronica, che si raggiunge prendendo una via laterale completamente opposta alla piazza, e di lasciar perdere Tally Weijl ma lei , ancora più decisa, mi afferra per la mano e mi trascina proprio in mezzo ai fuochi. Vedo davanti ai miei occhi il futuro di noi due, bagnate come pulcini sedute su una panchina con gli occhi colanti e neri. Che gioia. 

Riusciamo ad arrivare a metà piazza, ovvero proprio vicino alla fontana completamente asciutte e penso che Dio sia particolarmente in vena di miracoli oggi.  Poi il record si spezza e vedo arrivarci addosso con una velocità assurda un ragazzo senza maglietta con una di quelle pistole ad acqua. Siamo perdute, penso ormai. 

"NON CI PROVARE, ANIMALE!" le mie orecchie per un attimo perdono la facoltà uditiva. Mi giro sorpresa verso Veronica che ha gridato e la vedo guardare in cagnesco il ragazzo che, sorpreso, si era fermato a qualche metro da noi. A causa dell'urlo anche molti altri ragazzi si erano fermati e la fissavano allibiti.

"Non osare!" continua lei fissandolo ancora. Vedo il povero ragazzo che probabilmente è di un anno più grande di noi sbattere gli occhi velocemente come se il suo cervello stesse ancora elaborando la faccenda e poi con una mezza faccia scocciata andarsene via. 

"Bene" sento sussurrare la mia amica e, mentre gli altri riprendono a bagnarsi, noi in tutta tranquillità camminiamo e raggiungiamo l'altro lato completamente indenni. 

Passiamo sulle strisce pedonali e arrivate sul marciapiede ci guardiamo. Io non resisto e scoppio a ridere come una pazza e lei mi segue a ruota. 

"H-hai visto la sua faccia?!" sto letteralmente piegata in due. 

Lei fa fatica a parlare per quanto sta ridendo così annuisce vigorosamente. I passanti ci guardano come se fossimo delle pazze ed effettivamente non hanno tutti i torti. Quando smettiamo e finalmente ci ricomponiamo andiamo a passo spedito verso il centro, anche quello pullulante di persone e, con mia disgrazia e la felicità di Veronica, entriamo nel suo negozio di vestiario preferito: Tally Weijl. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Mi guardo allo specchio. 

Non c'è niente da fare, anche con un bel vestito rimango sempre quello che sono: una ragazza di sedici anni sciatta e trascurata. Anzi, quasi quasi il fatto che quel vestito sia indossato da una come me lo rovina. 

Mi giro per guardare la mia migliore amica intenta ad osservarsi allo specchio mentre indossa lo stesso vestito ma di tre taglie più piccolo. 

'Ecco' penso tra me e me con un po' di amarezza. ' E' così che deve essere una ragazza con un bel vestito' 

Le sta da dio e questo nessuno lo può negare , per non parlare di tutte le curve al posto giusto. Certe volte mi chiedo come facciamo ad essere amiche. 

Lei si volta e mi sorride e io non riesco a non sorriderle di risposta. Lei ha questo potere speciale su di me, mi rende felice anche quando sono triste con un semplice sorriso. 

"Ti sta bene!" si avvicina e me lo grida quasi in faccia. 

"Sta meglio a te, fidati." le dico e continuo a sorridere. 

Fa una smorfia e mi tira un pugno amichevole sulla spalla. 

"Devi smetterla di sminuirti sempre, accidenti a te!" 

"Non mi sminuisco...dico solo la realtà dei fatti" metto il broncio. 

"Vorrei entrare un giorno nella tua testa perché la tua realtà dei fatti deve essere proprio contorta lo sai?"

"Io dico solo la verità."

Lo dico a bassa voce ma lei già non mi ascolta più e guarda un paio di jeans neri attillati che formano un completo con una maglietta rossa a frange. Ha il simbolo di qualche gruppo rock sopra ma non lo riconosco. 

"Questo completo ti starà benissimo vedrai!" e dopo avermelo tirato mi fa segno di andarlo a provare mentre lei va a vedere gli altri vestiti in esposizione. 

Effettivamente non mi sta tanto male. Diciamo che rispetto a un vestitino rosa con fiori dei jeans e una maglietta sono più il mio stile. Inoltre i pantaloni neri sono molto attillati e mi avvolgono bene le gambe. Se dovessi dire l'unica cosa che mi piace di me sono decisamente le gambe che rimangono snelle e lunghe qualsiasi cosa io mangi o faccia. 

Esco dal camerino un po' titubante. Non mi è mai piaciuto fare shopping sopratutto perché si ci deve cambiare e farsi vedere dagli altri. Lo trovo una scocciatura.

Veronica mi vede e fa una faccia strana ma non riesco a decifrarla. 

"Dio, ti sta proprio bene lo sai?"si riprende subito e sorride come sempre. 

"Bene. E' deciso" dice tutta convinta. 

Io faccio un passo indietro.Non è mai una cosa buona quando dice 'E' deciso'. 

Infatti cinque minuti dopo usciamo dal negozi, io con i jeans neri e la maglietta rossa addosso e lei con il vestito che si era provata prima. Per festeggiare la fine della scuola ha voluto offrire lei e così mi ha comprato tutto a sue spese. 

Ci dirigiamo al bar davanti al negozio che vende delle cioccolate calde buonissime e , no, non importa se ormai è estate perché per noi due la cioccolata è sacra. 

"Salve!" entriamo al negozio e il commesso ci sorride. Ormai ci conosce bene, siamo praticamente delle clienti storiche. 

"Ragazze! Per voi il solito?" lo chiede come se non sapesse già la risposta. 

"Ci puoi contare" gli rispondo e faccio un occhiolino. 

Io e Veronica ci sediamo insieme a un tavolino fuori dal bar e lei continua a fissarmi. 

"Cosa? Ho qualcosa in faccia?" 

"No...sto pensando che sei proprio strana" mi dice con tutta calma come se fosse normale. 

"Cos..." rimango sorpresa " Grazie eh." 

"Si, ma insomma. Prima non hai avuto problemi a parlare con Francesco, il commesso e sembrava quasi che si stessi flirtando. Mentre quando si tratta di altri ragazzi perdi il dono della parola e fai la fredda" 

"Dio! Ma sei fuori? Flirtando? Ma se Francesco potrebbe essere mio padre" le dico allarmata. Certe volte le vengono in mente delle idee assurde. 

"Si, hai capito cosa voglio dire. Non cambiare discorso." Mi guarda seria e si avvicina con la sedia al tavolo.

"Semplicemente, come ti ho già ripetuto mille volte, non mi piacciono i ragazzi. Sono egocentrici, ipocriti, meschini e stupidi. " 

Alza gli occhi al cielo.

"Nora, la tua visione del genere maschile è un po' troppo insudiciata, se capisci cosa intendo" 

"Parlo per esperienza personale! Cosa vuoi da me?" le grido perché lei sa cosa ho passato. 

"Ho capito ma quelle sono storie vecchie dovresti darci un taglio e passare davanti. A volte mi sembri proprio una bambina."

Apro la bocca e poi la richiudo senza dire una parola. L'aria tra di noi si fa più pesante e so che se parlo sicuramente litigheremo. In quel momento arriva il cameriere con la cioccolata. E' nuovo e sembra uno studente universitario, sui ventitré anni. Abbastanza carino da poter essere il tipo di Veronica, infatti lei gli fa gli occhi dolci e quando lui va via si alza e mi fa cenno di aspettarla lì e poi lo segue. Ci risiamo, eccola in azione. 

La vedo parlare con lui. Quasi riesco a sentire la sua voce come il miele e gli atteggiamenti civettuoli. Non importa quanti anni abbia il ragazzo in questione; cadrà sempre ai suoi piedi in un modo o nell'altro. 

Le suona il cellulare che aveva lasciato sul tavolo. Mi ha sempre detto di non disturbarla quando "rimorchia" quindi decido di vedere chi è. E' un messaggio Whatsapp da Andrea, un nostro amico che si illude ancora di poterle piacere e le manda sempre messaggi dolci. 

Mi guardo in giro e vedo che lei è ancora impegnata a parlare così, anche se con un po' di esitazione, apro la conversazione per leggere i messaggi. Non farà alcuna differenza visto che lei non gli risponde quasi mai. Scorro un po' in su e quello che leggo mi fa gelare il sangue. Poso il cellulare sul tavolo con la mano un po' tremante e trattengo a stento le lacrime. Non voglio piangere in pubblico. Prendo con un po' di fatica due euro e cinquanta dalla borsa e gli poso sul tavolo. 

Lei è così impegnata a flirtare che non si accorge nemmeno di quando vado via con la cioccolata calda ancora intatta. 

Non posso crede a quello ho letto, non voglio crederci ma i fatti sono quelli e gli ho visti con i miei occhi. Sento uno strano dolore all'altezza dello stomaco e mi viene quasi da vomitare. Non so nemmeno dove sto andando, muovo semplicemente i piedi come un'automa. Gli occhi continuano a pizzicarmi ma uso tutta la mia buona volontà per non piangere. 

Il mio cellulare suona e non voglio rispondere ma quello non smette. Non leggo nemmeno il nome sullo schermo, rispondo e basta. 

"Si?" la mia voce mi esce più stridula e tremula di quello che voglio e mi mordo il labbro. 

"Nora? Sono Stefano." 

La sua voce mi fa come uscire da una specie di trans e il panico mi assale. Mi guardo in giro e vedo che sono vicino al Cinema Centrale e proprio davanti alle strisce pedonali. Stacco il telefono dall'orecchio e guardo l'ora. Sono le 15:25. 

Merda penso perché tra cinque minuti dovrei essere già a lavoro e me ne sono dimenticata. 

"Stefano! Scusa arrivo subito, mi ero completamente di..." mi interrompe proprio mentre sto parlando. 
"No, no. Non venire. Ieri mi sono dimenticato io di dirti che oggi il negozio e chiuso quindi non devi lavorare. Vai a divertirti con i tuoi amici." 

"Oh, allora va bene. Ci vediamo Lunedì." gli dico e spengo. Sullo schermo nessuna chiamata persa ne nessun messaggio. Non si sarà ancora accorta della mia assenza e in qualche modo questa cosa mi fa sentire più sollevata. 

Mi avvicino alle strisce pedonali e vedo che il semaforo è ancora rosso anche se la strada è praticamente deserta. Guardo dall'arte parte della strada e vedo un ragazzo con un cappello in testa e delle cuffie che cammina con la testa china sul cellulare e non guarda per strada. 

Poi sento un rumore fortissimo e quando mi giro vedo arrivare a tutta velocità una macchina rosso fiammante. Il ragazzo è già a metà strisce pedonali e non sembra essersi accorto della macchina e quella , nonostante so che ha tutto il tempo per fermarsi non lo fa e anzi accelera. 

Non mi fermo nemmeno a pensare alle conseguenze e corro incontro al ragazzo.Sento il rumore della macchina avvicinarsi sempre più e qualcuno gridare. Corro con tutto le mie forze cercando di non pensare che quella macchina potrebbe schiacciarmi e uccidermi e proprio mentre questa è ormai troppo vicina, mi butto sul ragazzo e lo slancio ci fa finire entrambi quasi sul marciapiede. Batto fortissimo i le ginocchia e la testa e anche lui finisce male per terra e le sue cuffie si rompono. Mi guarda allarmata e scandalizzato come se lo stessi derubando invece di avergli appena salvato la vita. 

Poi vede la macchina rossa che invece di fermarsi a controllare se stavamo bene era sfrecciata via e impallidisce. Una folla confusa e preoccupata ci si raduna intorno; alcuni con facce scioccate altri che gridano di chiamare un'ambulanza man non c'è nessuno, nella confusione e nel disordine, che lo fa.  

Mi alzo a fatica e mi guardo prima i palmi delle mani trovandoli, senza particolare sorpresa piene di graffi e sangue, poi abbasso lo sguardo ma non vedo niente sui jeans neri anche se so che molto probabilmente mi resteranno due belle ferite. Il mio zaino è per terra mezzo aperto e vicino ci sono le cuffie del ragazzo tutte rotte e ormai inutilizzabili. 

Mi giro verso di lui che è ancora seduto per terra con  uno sguardo un po' confuso, poi si rialza e prende il cappello e se lo rimette. Solo allora sembra accorgersi di me e passa dalla confusione alla preoccupazione. Mi si avvicina di slancio e mi prende le mani guardando i palmi. 

"Are you okay?" mi chiede con una voce dolce ma colpevole. 

Quando mi rendo conto che mi ha appena parlato in inglese nella mia testa si fa buio. E' vero quando dicono che anche se sai una cosa perfettamente quando viene il momento di dirla ti dimentichi  tutto. Non succede a tutti ma io sono una di quelle persone che soffre di questa 'malattia'. Nonostante io sia la più brava della classe, insieme a Veronica, in inglese in questo momento non riesco nemmeno a ricordarmi come si dice 'si' e 'no'. 

Lo guardo imbambolata e probabilmente lui pensa che nello sbattere la testa io abbia avuto qualche trauma cranico perché mi mette una mano sui cappelli. All'improvviso mi sento più debole e le voci cominciano a farsi sempre più confuse, vedo la bocca del ragazzo muoversi ma non sento una parola di quello che dice, la vista mi si fa sempre più sfocata e all'improvviso vedo tutto buio. L'ultima cosa che sento prima di svenire sono le sirene dell'ambulanza in lontananza. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Che male! Perché mi fa così male la testa?

Cerco di aprire gli occhi ma non ci riesco,sembrano quasi incollati. Mi porta una mano alla testa e sento qualcosa di morbido. Piano piano comincio a prendere lucidità e sento delle voci in lontananza e anche quel tipico odore di ospedale che mi fa venire un groppo alla pancia. 

Cerco di aprire piano piano gli occhi e la prima cosa che mi compare davanti sono due occhi verdissimi con delle sfumature gialle. 

"Raffaele?" lo dico senza nemmeno pensarci come in un sogno. 

"E' il tuo fidanzato?" sento una voce sconosciuta ma la cosa che mi sconvolge di più è il fatto che sia maschile. 

"Cosa?" riprendo tutta la lucidità e mi alzo all'improvviso sbattendo la fronte contro qualcosa. Mi massaggio e giro la testa in quella direzione dove vedo il ragazzo di prima che a sua volta si massaggia la fronte. 

Mi viene di nuovo il panico perché mi ricordo che mi ha parlato in inglese e cerco di formare una frase di senso compiuto. 

"Ah...H-hi... my...my name is.."  mi maledico interiormente. Accidenti! Sono sempre la più brava della classe e invece adesso sembro una bambina che non ha mai studiato niente. 

Lui mi fissa come se gli stessi dicendo che fra poco andrò sulla luna a prendere un frappè e poi scoppia a ridere. Mi sento un'idiota completa, adesso. 

"Cos'ha da ridere? Io so l'inglese e che oggi non riesco a parlare bene per qualche ragione" dico tra me e me a voce abbastanza alta perché penso che tanto lui non può capire niente. 

Lui smette di ridere e si asciuga una lacrima che gli era venuta per la foga. 

"Io parlo l'italiano, lo sai? " me lo dice così all'improvviso che faccio un salto sul posto e apro la bocca. 

"Wow, hai delle reazioni fantastiche" mi si avvicina e mi poggia un dito sulla guancia, come se fosse normale. 

Io continuo a guardarlo scandalizzata e con una guancia schiacciata dal suo dito devo avere un'espressione ancora più buffa perché scoppia a ridere nuovamente. 

"Behi!" boffonchio ma con il suo dito premuto mi esce un suono strano. 

Mi arrabbio perché lui continua a ridere e allora prendo la sua mano e la spingo via. 

"Ho detto ehi!"  gli grido e lui smette di ridere a fatica e si siede sul bordo del letto. 

Mi guardo intorno e capisco di essere in una stanza d'ospedale. La cosa morbida che aveva sentito prima sulla mia testa erano le bende che mi hanno messo probabilmente dopo l'incidente. Mi sento ancora un po' frastornata e ho una leggera nausea probabilmente dovuta alla botta in testa. 

"Come ti senti?" mi guarda serio questa volta e questa cosa mi fa salire un brivido lunga la schiena. 

"Potrei stare meglio" replico e lui sorride di nuovo. 

Cosa diavolo ha da sorridere così tanto? Proprio non lo capisco. 

In quel momento entra nella stanza un'infermiera e mi sorride anche lei. 

"Sono felice che tu ti sia svegliata così presto, è un buon segno." mi si avvicina e mi prende il polso con due dita e poi si mette a guardare l'orologio sull'altro braccio. 

"Le pulsazioni sono regolari e non hai nessuna emorragia interna quindi, se te la senti, puoi anche andare a casa. " si stacca dal letto e tira fuori dalla tasca il mio cellulare. 

"Abbiamo provato a chiamare tua madre ma nessuno ha risposto." 

Probabilmente sarà troppo occupata con il lavoro e quindi non si è accorta della chiamata. E' sempre la solita. 

"Ah, si. Lei lavora quindi non guarda spesso il cellulare" cerco di fare un sorriso ma mi esce troppo forzato. 

"Bene, però ho bisogno della firma di un maggiorenne per farti uscire da qui" mentre lo dice posa il cellulare sul comodino accanto al mio letto. "Dovrai aspettare che tua madre ti risponda, mi dispiace. Intanto puoi rimanere qui e riposarti ancora un po' " sorride ed esce dalla stessa porta da cui è entrata. 

"Che palle!" grido per la frustrazione. 

"Ohi Nora, calma con le parole" mentre lo dice ride ancora. 

Mi ero quasi dimenticata di lui e il fatto che lui sappia il mio nome non mi piace per niente.

"Come fai a sapere come mi chiamo?" glielo chiedo un po' timorosa. 

Lui mi guarda sempre sorridente e poi indica il tavolo su cui c'è il mio zaino e poggiati vicino il mio portafoglio e la carta d'identità. 

"Ehi! Non ti hanno mai detto che è un reato rovistare nelle cose della gente?" dico scocciata e abbandono il tono di cautela di prima.

"Non sono mica stato io" si mette le mani davanti come per difendersi. "L'ospedale aveva bisogno di sapere il tuo nome per ricoverarti e darti una stanza"

"Oh" mi sento veramente stupida per averlo incolpato e abbasso lo sguardo. 

Lo alzo solo quando sento la porta della stanza aprirsi e chiudersi e quando lo faccio lui non c'è più.

"Che cavolo, se n'è andato solo perché l'ho accusato? Volevo anche scusarmi" borbotto a bassa voce e mi sdraio di nuovo sul cuscino. "Non ha nemmeno salutato, il maleducato." 

Mi giro dall'altra parte coprendomi con il lenzuolo fino alla faccia. Sento ancora una leggera pressione alla testa, come il ricordo di un dolore. Chiudo gli occhi cercando di dormire ma proprio in quel momento la porta si riapre di nuovo e qualcuno mi butta addosso il mio zaino. 

"Ehi!" grido e quando mi giro rimango un po' stupita. 

E' di nuovo quel ragazzo. 

"Forza, prendi le tue cose e andiamo" me lo dice in modo del tutto naturale e intanto prende dal tavolo anche la carta d'identità e il portafoglio. 

"Cosa?" non riesco a capire. 

"Ho firmato il permesso di uscita, andiamo via adesso" mi sorride ancora e poi prende le mie scarpe dall'angolo della stanza in cui stavano. 

"Hai firmato il permesso? Stai scherzando?" 

"Perché dovrei? Ho diciannove anni quindi in Italia sono maggiorenne. Visto che lo sono mi hanno permesso di firmare il foglio e così non dovrai aspettare finché arriva tua madre. Semplice no?" 

Lo guardo con gli occhi sbarrati. 

"Ma anche no." lo dico calma e lui perde il suo sorriso.

"Boya! I yeoja!" dice questa frase con un po' di fastidio nella voce e non capisco una parola. 

"Cosa? Che lingua stai parlando proprio adesso?" lo guardo confusa. Sembra cinese, o giapponese. Insomma, non capisco una parola. 

Lui mi guarda e sospira scuotendo la testa. 

"E' coreano, coreano." mentre lo dice si siede sul bordo del letto poco lontano da me. 

"Sei coreano?" lo guardo sorpresa ma ora che ci vedo più chiaramente, in effetti ha alcuni tratti asiatici, anche se si vedono poco. 

"Per metà. Mio padre è coreano mia madre è italiana, è nata qui a Udine" sorride di nuovo. 

"Oh, wow! Quindi sai parlare sia Italiano che Coreano. Proprio come me che so anche il russo" sorrido anche io e non so nemmeno perché. 

"Quindi sei per metà russa?" 

"Si,da parte di mia madre." lo guardo e poi mi viene in mente qualcosa. "Ma...perché prima mi hai parlato in inglese?" 

Lui ci pensa un po' su e poi si ricorda. 

"Ah! Intendi prima per la strada. E' perché stavo parlando al telefono con una persona in inglese e quindi è stato automatico. Mi spiace" si gratta la testa imbarazzato.

Annuisco e lo guardo.

' E' un ragazzo bello, probabilmente piacerebbe a Veronica.' 

Appena lo penso scuoto la testa e cerco di non pensare a lei. 

"ALLORA!" mi prende un colpo quando lo grida e lo guardo scandalizzata. 

Intanto lui si era alzato e stava davanti alla porta con il mio zaino in mano. 

"Andiamo?" mi sorride con la testa un po' inclinata. 

Sospiro rassegnata e, dopo aver messo le scarpe, decido di seguirlo. Non ho niente da perdere comunque. 

Usciamo dall'ospedale e finalmente respiro un po' di aria fresca priva del tipico odore di farmaci dell'edificio appena lasciato. 

Mi volto verso di lui e tendo una mano. 

"Cosa?" mi chiede un po' confuso guardando ora me ora la mia mano.

"Lo zaino, genio. Dammelo così potrò andare a casa finalmente" alzo gli occhi al cielo.

Lui inarca un sopracciglio e stringe più forte lo zaino in mano. Non sopporto le persone che riescono ad inarcare le sopracciglia, perché io non ne sono capace.

"Sei davvero maleducata, lo sai? Non mi dici nemmeno grazie per averti tirato fuori da lì?" indica l'ospedale alle nostre spalle e intanto io mi sposto per far passare un gruppetto di turisti sul marciapiede.

"Grazie." glielo dico con la solita voce acida che riservo esclusivamente al genere maschile. " Adesso posso avere il mio zaino, per favore?" marco le ultime parole apposta. 

Lui mi guarda per un po' con un'espressione mista tra un sorriso e una smorfia e poi sospira.

"Aish, sei veramente antipatica. Te lo ha mai detto nessuno?" 

Usa di nuovo una parola strana che non capisco e mi fa saltare ancora di più i nervi. 

Sto per rispondergli che si, si me lo dicono spesso quando lui si gira dall'altra parte ed alza una mano all'aria sventolandola. Lo guardo sorpresa anche perché non vedo nessuna arrivare da quella direzione. 

Poi in lontananza scorgo due moto tutte nere avvicinarsi a tutta velocità. Penso che ci sorpasseranno e invece quelle sfrenano all'ultimo minuto producendo un suono stridulo. 

Non faccio in tempo a realizzare la situazione quando il tizio sulla seconda moto scende, afferra al volo il mio zaino e poi, salito dietro alla moto del primo, va via a tutta velocità con il mio portafoglio, il mio telefono e le chiavi di casa. 

Sono così scioccata che non riesco a fare altro che guardare con la bocca mezza spalancata la moto sparire a tutta velocità sulla strada con vicino a me il deficiente mezzo coreano che ride di gusto. 

"Tu hai delle reazioni veramente divertenti, lo ripeto" mi si mette davanti agli occhi guardando la mia espressione divertito. 

Io serro la bocca e poi, senza riflettere, gli sferro un pugno dritto in faccia. Sarebbe stata una scena degna di un film, la ragazza che stende il ragazzo con un pugno e alla fine si innamorano e hanno tre bambini, un cane e un pesce rosso di nome Marvin. Peccato che; uno, sono del tutto negata in qualsiasi tipo di combattimento e due, lui a quanto pare conosce qualche arte marziale perché mi schiva abilmente e poi me lo ritrovo all'improvviso dietro la schiena. 

"Ci hai provato" mi fa la linguaccia. " Sai, non vorrei pavoneggiarmi ma sono cintura nera di karate, hapkido e Tai Chi. " lo dice palesemente pavoneggiandosi. 

Alzo gli occhi al cielo e mi allontano da lui. 

"Giuro che se non riavrò in questo istante il mio zaino preso da quei specie di gangster sulle moto chiamerò la polizia" incrocio le braccia. 

"Non vorrei contraddirti ma non hai un cellulare" mi guarda con sfida e sorride. 

"Non mi faccio problemi a chiedere il cellulare ad un estraneo e se proprio devo andrò alla stazione di polizia a piedi" 

"Dovresti rilassarti un po', tutta questa rabbia ti farà venire le rughe" 

Perdo la pazienza e mi giro verso un signore di mezz'età che stava passando da lì. 

"Mi scusi signore.." non riesco a finire la frase perché lui mi mette una mano sulla bocca mentre il passante, confuso, prosegue per la sua strada. 

"Okay, okay. Stai calma" mi lascia andare. "Ti prometto che riavrai il tuo zaino ma ad una condizione"

"Stai scherzando?" esclamo. " Mi hai appena derubato e mi dai anche delle condizioni? Roba da non credere!" sono veramente infuriata e se non sapessi che lui è cintura nera di tutte quelle arti marziali probabilmente cercherei di tirargli un calcio nei gioielli di famiglia, dove fa più male. 

"Beh....vista da questo punto di vista."ci riflette un po' su. "Comunque, ti ridarò lo zaino se mi farai da guida turistica in questa città.Ho un paio di posti che vorrei vedere ma che non ho la più pallida idea di dove siano."

La prima cosa che mi viene in mente è 'Quindi non è di qui.' e la seconda è 'EHHHH?'. Pensiero che esprimo poco dopo ad alta voce, forse un po' troppa visto che attiro lo sguardo persino dei passanti dall'altra parte della strada. Mi zittisco un po' imbarazzata e lui trattiene un sorriso. 

Cerco di stare calma e di pensare lucidamente. Ovviamente non posso batterlo con la forza, inoltre ora come ora non posso andare da nessuna parte senza soldi e telefono, e poi non ha l'aria di essere un'assassino o stupratore. Anche se i tizi di prima non sembravano molto raccomandabili vestiti tutti di nero e su quelle moto. Sospiro rassegnata e penso che in fondo non ho niente da fare oggi, comunque avevo bisogno di distrarmi da quello che è successo con Veronica e poi nel peggiore dei casi la mia morte sarà sui giornali di domani e sarò famosa. Yeahh. 

"Ci stai?" mi riprendo dai miei pensieri quando me lo chiede. 

Annuisco senza molto entusiasmo mentre lui, al mio assenso, sorride di nuovo in quel modo idiota e poi si mette al volante della secondo moto lasciata dai tipi di prima. La chiave è già inserita e ci sono due caschi pronti. Mi fa salire dietro e me ne passa uno che mi allaccio sulla testa. 

"Tieniti stretta" e mentre lo dice mi afferra le braccia e me le porta alla sua vita. 

'Per amor del cielo, mi sembra di stare in un romanzo rosa. Mi sto già pentendo di questa cosa...' questa è la prima cosa che riesco a pensare prima di essere sbalzata a tutta velocità per le strade di Udine.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Non lo ammetterò se qualcuno me lo chiederà mai, ma mi sto divertendo su questa moto. Sono sempre stata una grande amante della velocità, adoravo le giostre pericolose e tutto quello che ti faceva venire i brividi e quel groppo quasi piacevole alla bocca dello stomaco. 

Senza rendermene conto sorrido, poi chiudo gli occhi e mi stringo di più a lui godendomi il vento tra i vestiti. 

Peccato che la moto all'improvviso si ferma e io vengo sbalzata in avanti anandando a battere il mio casco contro quello di lui. 
 

"Ma che diavolo!" grido scendendo dalla moto e togliendomi il casco. 

Lui abbassa il cavaletto della moto e lo sente ridere nel casco mentre inclina la testa verso il basso fino ad appoggiarla al manubrio. 

Alzo nuovamente gli occhi al cielo. Lo sto facendo veramente troppe volte da quando l'ho incontrato ma non posso farne a meno. 

"Cosa c'è ora?" gli chiedo cercando di mantenere un tono di voce serie. Lo faccio a fatica perché la sua risata è davvero contaggiosa. 

Lui alza la testa e si toglie il casco, i capelli scompigliati gli danno un'aria da bambino. 

"Sono partito tutto convinto quando invece non ho idea di dove siano i posti dove andare ed è per questo che tu sei qui" ridacchia di nuovo e si porta una mano ai capelli scompigliandoseli. 

'CAZZO.' Si, ho appena pensato che sia carino quando fa quella cosa con i capelli e me ne sono pentita subito. Accidenti a me.  Cerco di mantenere la mia scompostezza e incrocio le braccia con il casco ancora in mano. 

"Sei scemo, lo sei davvero." 

Mi guarda con una faccia imbronciata. 

"Hai davvero una lingua tagliente Nora" me lo dice protendendo una mano verso di me e scompigliando i capelli anche a me. 

Mi dà così fastidio il modo in cui si comporta! Come se il fatto di parlare così naturalmente e scompigliare i capelli a una sconosciuta appena incontrata sia normale. Ahhhh-

 "Si, lo so." mi rimetto il casco e salgo di nuovo dietro. "Dove vuoi andare?" 

Lui mi guarda per un po', poi si gira e si rimette il casco anche lui. 

"Cominciamo con la scuola di mia madre... Mhh." Sembra essersi dimenticato il nome. 

"Okay, sai per caso cosa ci aveva studiato tua madre in questa scuola?" Chiedo spazientita. 

"Si, ricordo che mi diceva come avvolte fosse stressata per colpa del greco." 

Sgrano gli occhi sorpresa. Sua madre aveva frequentato il classico? Aveva fatto la mia scuola? Cos'è uno scherzo? 

Decido di non dirgli niente, non ha bisogno di sapere che frequento quella scuola anche io. 

"Ho capito, è il liceo classico. Non è lontano da qui. Intanto vai dritto per di qua, poi ti guido io." Gli indico la strada gridando per farmi sentire nel frastuono creato dal vento a causa della velocità e avvolte uso anche le mani per farmi caapire meglio. 

Arriviamo in pochissimo tempo davanti alla scuola e per mia sfortuna la festa non era ancora terminata. La piazza davanti era ancora piena di ragazzi che si stavano bagnando, si buttavano nella fontana o stavano seduti sul prato a mangiare. Anche davanti alla scuola alcuni, seduti sulle scale, fumavano e parlavano animatamente. 

Scendo dalla moto ma aspetto a togliermi il casco, ho paura di essere riconosciuta. Lui parcheggia la moto e scende togliendosi il casco. Se la già la moto aveva attirato parecchi sguardi verso di noi, la sua faccia finisce decisamente il lavoro. Le ragazze lì vicino lo hanno già addocchiato e lo guardano senza nemmeno nascondere l'interesse. 

L'avevo detto che era un bel ragazzo. Ma non il mio tipo, per niente. 

Io cerco di farmi piccola piccola e di fare qualche passo indietro per non farmi notare. Lui ovviamente rovina tutto. 

"Ehi, Nora. Togliti il casco cosa fai?" 

Ma perché deve gridare!?

Mi si avvicina e contro la mia volontà mi toglie il casco e mi scompiglia di nuovo i capelli sorridendo. 

Lo odio. 

Adesso gente che conosco mi sta guardando e non mi piace per niente. Voglio sparire. Tra l'altro lui si comporta come se niente fosse. Non credo che non si accorga di tutti questi sguardi. 

Comincio a pregare Dio affiché nessuno mi si avvicini o mi parli, mentre lo porto verso l'ingresso della scuola. Ci fermiamo proprio davanti alle scale e lui alza lo sguardo verso l'edificio. 

Gaurdando il suo viso per un attimo mi dimentico di dove siamo e di tutte le persone nei intorno a noi. Sta sorridendo si, come sempre. Però è un sorriso così strano. Un sorriso per metà felice e per metà triste, un sorriso malinconico, un sorriso che ti stringe il cuore e ti fa venir voglia di piangere. Non riesco a smettere di guardarlo. 

Sto per afferarlo per la camicia e dirgli qualcosa quando una voce mi interrompe a metà strada. Ritiro velocemente il braccio proteso e arrossisco leggeremente mentre lui si gira perplesso verso la ragazza che stava venendo nella nostra direzione. 

Ma che diavolo stavo facendo? Per fortuna non si è accorto di nulla. 

"Nora..." Mi riscuoto dai miei pensieri e vedo lui che mi guarda. 

"Si?" Scommeto di avere un'aria davvero stupida ora. 

"La conosci?" mi fa un cenno con la testa dietro alle mie spalle. Mi giro e mi trovo davanti una persona che mai pensavo sarebbe mai venuta a parlare con me. 

La guardo scioccata, mentre Allegra sta lì tutta sorridente con i suoi pantaloncini praticamente inesistenti e la sua magliettà trasparente. 

"Nora! Pensavo fossi già andata a casa. Ti stai perdendo tutto il divertimento." Me lo dice con una gentilezza quasi snervante e mi appoggia la mano sul  braccio. 

Ma cosa cazzo .....? 

Lui guarda prima lei e poi me prima di dire: "E' una tua amica?" 

Lo guardo ancora senza parole e ripeto: "Un'amica?" 

"Oh si, siamo in classe insieme noi due. Proprio in questa scuola." Sorride e indica l'edificio davanti a noi. 

Lui sgrana leggermente gli occhi. 

"Non mi avevi detto che fosse anche la tua scuola." 

"Beh, non me lo hai chiesto." Faccio la distaccata e finalmente riesco ad allontanarmi da Allegra. 

"Ehi ehi, te l'ho già detto. Devi essere più simpatica altrimenti non avrai mai un ragazzo" scuote la testa sorridendo. 

"Eh chi lo vuole un ragazzo.." mi esce quasi come un sussuro. 

"Cosa?" sgrana gli occhi con una faccia fintamente scandalizzata. "Non dirmi che sei dell'altra sponda?" 

"No che non lo sono, cretino" gli tiro un pugno leggero sulla spalla e lui scoppia a ridere riuscendo a far sorridere leggermente anche me. 

Proprio in quel momento sentiamo un colpetto di tosse e ci ricordiamo di Allegra che era ancora lì tutta sorridente ma qualcosa sembrava essere cambiato nella sua espressione. Sembrava infastidita. 

"Forza Nora, non mi presenti il tuo amico?" 

Sta facendo gli occhi dolci? Oh, non ci credo! Gli sta facendo gli occhi dolci. Questo è troppo, e non siamo nemmeno amiche. Oca bugiarda. 

"Lo farei volentieri, davvero. Però purtroppo non so chi sia. Gli ho salvato la vita, sono stata investta, lui mi ha fatto uscire dall'ospedale e ora mi tiene in ostaggio per fargli da guida a Udine." 

Solo quando pronuncio queste parole ad alta voce mi rendo conto di quanto siano ridicole le cose che sto dicendo, seppur vere. 

Lei mi guarda come se fossi pazza e lui si trattiene dal ridere. Allegra guardandolo ridere scoppia a ridere anche lei con quella sua voce in falsetto. 

"Oh, andiamo Nora. Sei davvero divertente! Ma come ti vengono?" 

AH AH AH. La faccio fuori. 

Alzo gli occhi al cielo. "Chissà come mi vengono.." replico solamente. 

Lei smette di sorridere e mi guarda torvo come se le avessi fatto qualcosa. Ma che problemi ha? 

Poi, all'improvviso, mi supera e si avvicina a lui. 

"Ehi, mi dici il tuo nome? Io e le mie amiche laggiù pensiamo che tu sia davvero carino." Indica un gruppetto di quattro ragazze e due ragazzi più in là. "Vuoi restare a divertirti con noi?"

'E' finita' penso. Allegra ha fatto la sua mossa. Perfetto, addesso riavrò il mio zaino e potrò tornare a casa mentre lui farà il giro turistico con una delle ragazze più popolari della scuola.

Lui la squadra per un attimo e poi, con mia enorme sopresa, mi si avvicina e mi prende la mano. 

"Scusa, ma sono già impegnato con Nora e poi non credo che mi divertirei molto rimanendo a fumare e a bere con voi." le sorride ma con un sorriso freddo. 

Allegra sembra non capire e infatti sbatte le ciglie un paio di volte prima di dire "Scusami?" 

"C'è qualcosa che non hai capito forse?" Questa volta la sua voce è davvero fredda e mi fa venire leggermente i brividi. Lo guardo di traverso ancora con la mia mano nella sua. 

Lui non aspetta la risposta di Allegra e semplicemente si gira e mi trascina con sè verso l'entrata della scuola, ancora aperta. 

Mentre saliamo gli scalini mi guarda sorridendo: "Non era davvero tua amica, vero?" 

Ricambio il suo sguardo e scoppio a ridere ripensando alla faccia sconvolta di Allegra. 

"No, non lo era per niente." 

Senza pensarci stringo  un po' più forte la sua mano.

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