Ai confini del tempo

di Piuma_di_cigno
(/viewuser.php?uid=848200)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Ricordi ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - La proposta ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - La scelta ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - L'Isola ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Tempo ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Nuovi incontri ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Tornare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Attraversai la strada di corsa, trascinandomi dietro l'ombrello. Era così difficile? Davvero, era così difficile che a Londra, per un solo, un solo istante non piovesse? Evidentemente sì.

Ero furiosa.

Oh, certo, non che non mi piacesse andare in quella maledetta scuola ogni maledetto giorno della mia vita, per non sapere che diamine fare in futuro. Per ora, l'unica cosa che sapevo era che dovevo dare retta ai miei genitori.

E crescere. Certo. Non si smetteva mai di crescere. Mai.

Ero così furiosa! Sbatacchiai inutilmente l'ombrello sgualcito. Era novembre e sentivo sempre più nostalgia di un raggio di sole caldo. Solo uno. Era chiedere troppo? Insomma! Stavo facendo la muffa!

E poi quell'insegnante! Perché rimproverarmi? Sempre puntuale, sempre perfetta, sempre dritta. E le altre lo facevano, questo era il peggio.

Non era giusto. Perché io non ci riuscivo? Le altre sembravano felici di adempiere a questa perfezione continua. Ma non io. Un tempo ero stata libera.

Quelle parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. Attraversarono di colpo la mia testa, per poi sparire troppo veloci perché potessi afferrarne il significato.

Per un attimo, un attimo solo, mi immobilizzai nonostante la pioggia, mi immobilizzai in mezzo alla strada, come paralizzata.

Una volta ero stata libera.

Libera.

Libera come se volassi.

Ebbi un senso di terribile vertigine, come se un ricordo incredibile, ma inafferrabile, cercasse a tutti i costi di penetrare nella mia mente.

Mentre la mia vista si annebbiava, vidi un paio di occhi verdi scrutarmi tra la folla di Londra.

Rimasi senza fiato.

Appoggiato all'angolo, laggiù, accanto a quel palazzo, un ragazzo con l'impermeabile mi fissava.

Ma quando mi ripresi, non c'era più, ed io mi convinsi di averlo sognato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 1 - Ricordi ***


Capitolo 1 – Ricordi

Arrivai a casa trafelata e bagnata fradicia. Appena tolsi l'impermeabile sgocciolante e appoggiai l'ombrello all'entrata, mi sentii addosso una voglia terribile di piangere.

Una volta ero stata libera.

Una volta.

Salii le scale con il morale a terra. Non volevo più tornarci in quella scuola. Ero stufa di essere perfetta.

Quando arrivai in camera, la scena fu quella di sempre: John steso sul letto con un libro di storia, e Michael a giocare con i soldatini. Anche per lui, erano gli ultimi momenti di giochi tanto infantili. Tra poco sarebbe finita anche per lui e anche lui sarebbe andato in chissà quale scuola.

Anche lui sarebbe diventato come John: razionale, composto, severo.

Non ci rivolgevamo granché la parola, ormai.

“Ciao Wendy.” mi salutò invece Michael. Gli lanciai un sorriso di gratitudine, ma in una giornata nera come quella, era il massimo di cui ero capace.

 

Fissavo il soffitto, stesa a pancia in su sul letto. Non riuscivo a dormire.

Una volta ero stata libera.

Perché l'avevo pensato? Era stato come … Un pensiero sfuggito al mio controllo, ma intuivo che ci fosse qualcosa di più dietro. Un ricordo potente, un ricordo meraviglioso. Sbuffai.

Mi innervosiva non ricordare nulla.
Comparvero anche gli occhi verdi dello sconosciuto, nella mia memoria di quel giorno. Chi era? Perché era immobile, in mezzo alla folla? Mi conosceva, forse?

Mi rigirai inquieta nel letto.

Avevo la stessa sensazione di quando stavo con un ragazzo: che non avrei dovuto farlo. Per questo non avevo mai accettato più di un appuntamento. Come se … L'avessi già fatto?

Ma cosa avevo fatto? E perché me lo chiedevo solo ora?

Quella notte non mi addormentai.

Rimasi sveglia fino a quando le prime luci dell'alba si videro all'orizzonte, un orizzonte coperto di pioggia. In silenzio, mi alzai, perché non sopportavo più la tortura di pensieri senza fine che si susseguivano l'un l'altro senza darmi pace.

Non mi importava se era domenica.

Io dovevo uscire.

Mi chiusi in bagno e, dopo essermi sfilata la camicia da notte, indossai il vestito più semplice che fui capace di trovare. Va bene. Sì, lo ammettevo. Contro tutte le belle fanciulle fissate con gli abiti lunghi e pomposi, la cosa che più avrei adorato indossare era un semplice paio di pantaloni. Sarei stata disposta a travestirmi da maschio, un giorno o l'altro.

Senza farmi sentire da nessuno in casa, saltai la colazione e uscii indossando un enorme impermeabile nero che mia madre indossava quando pioveva troppo e non poteva assolutamente bagnarsi il vestito.

In realtà, volevo camuffarmi per bene. Niente fronzoli. Un semplice vestito blu che ricadeva fino ai piedi, morbido, e un impermeabile che per un giorno mi nascondesse al resto di Londra: questo volevo.

Sgusciai fuori e l'aria fredda di novembre mi sferzò in viso mentre mi dirigevo verso il parco. A quell'ora non c'era nessuno per strada. Avevo lasciato i capelli sciolti e una folata di vento li scompigliò. Mi piacque da impazzire.

Per un attimo, immaginai di volare e di sentire sempre quella sensazione. Ma ovviamente, non sarebbe mai stato possibile.

Mi addentrai tra gli alberi, in uno dei parchi di Londra.

Sapevo che spesso lì si nascondevano malviventi e brutti ceffi, ma per fortuna il mio gancio destro non era niente male e, oltretutto, non avevo nulla con me. Niente soldi, niente collanine o braccialettini dorati.

Il silenzio del parco mi faceva sentire più libera di quello che ero.

Gli stivali sotto il vestito mi aiutavano a non fare rumore.

E all'improvviso, un'altra folata di vento mi spettinò, e quando mi voltai vidi lo sconosciuto dagli occhi verdi, con lo stesso impermeabile, a pochi metri da me.

Quegli occhi …

Una volta ero stata libera.

Quegli occhi erano libertà. Mi chiamavano, mi imploravano di venire verso di lui ed essere libera, e invece, mi voltai e scappai, terrorizzata.

Il mio errore fu dar retta alla ragione.

La mia corsa prese velocità, sempre di più, sempre di più, finché non ebbi più fiato e dovetti girarmi un istante. Ma lui non c'era.

Me l'ero immaginato di nuovo.

 

Quando tornai a casa, mamma e papà mi sgridarono a lungo: non era raccomandabile che una signorina per bene uscisse in quelle condizioni a ore del mattino così disdicevoli. Chissà se avessero saputo che ero andata al parco! Sarebbe stato un vero disastro …

Ma tutti tornarono allegri, ricordandomi il ballo di quella sera.
“Il tuo primo ballo!” disse la mamma. “Sei felice, Wendy?”

Sorrisi cortesemente, ma non avrei potuto essere più triste. Il morale mi stava lentamente scivolando di nuovo verso i piedi e i miei pensieri vertevano tutti in quell'unico, cruciale punto: gli occhi verdi dello sconosciuto e la sensazione che mi avevano fatto provare.

Mamma e papà cercarono di darmi delle dritte che la zia non mi avesse già dato su come comportarmi al ballo.

Quando tornai in camera mia ero distrutta, e mi sdraiai sul letto, con gli occhi lucidi di lacrime. Era questa la mia vita? Sarebbe stata così per sempre? Il lavoro, un ballo, un marito, più avanti? Perché lo sapevo. A quel ballo i miei genitori mi avrebbero presentata a tutti i possibili candidati per essere miei sposi.

Non dovevo dare risposte disdicevoli.

Non dovevo stare curva con la schiena.

Non dovevo sorridere scoprendo i denti.

Io non ero una bambolina di porcellana!

Eppure, quella sera mi infilarono in un corsetto troppo stretto, mi misero un vestito troppo sfarzoso, mi misero troppa cipria e mi raccolsero i capelli. Avrebbe dovuto sorprendermi? No, certo.

Mi sedetti davanti allo specchio, in camera, per indossare gli orecchini.

Michael, in pigiama, si sedette sul letto dietro di me.

“Wendy?” chiamò con voce incerta. Gli lanciai un'occhiata che lui non ricambiò; teneva le mani in grembo e fissava il pavimento.

“Dimmi.”
“Wendy, tu ...” sospirò, “Tu ricordi?”

Lo fissai, perplessa.

“Cosa … Cosa dovrei ricordare?” chiesi, pensando quasi che stesse scherzando, nonostante la sua espressione fosse terribilmente seria.

Michael scosse la testa.

“Niente.”

Uscì dalla stanza prima che potessi aggiungere altro. Che strano, pensai fra me e me. Eppure, nel momento in cui me l'aveva chiesto, mi era sembrato che quel discorso fosse molto carico di sottintesi. Quali? Non ne avevo idea.

Mi alzai e scesi le scale per arrivare all'entrata, dove i miei mi aspettavano. Mio padre aveva già il cilindro in testa.

“Sei davvero bella, Wendy.” disse con un sorriso freddo.

“Grazie.” risposi, altrettanto fredda.

La strada verso il ballo fu terribilmente gelida. La bellezza era una cosa faticosa e, il più delle volte, ti procurava un raffreddore. Detestavo quella scollatura vertiginosa sul mio seno. Insomma! Va bene che le mie cure si erano fatte piuttosto evidenti negli ultimi tempi, ma questo era davvero troppo!

Cercai di tirarla su senza farmi notare, ma mamma mi lanciò un'occhiata severa, che mi fece desistere dall'impresa con un sospiro.

Arrivammo davanti al salone. Papà si aggiustò il cilindro, mamma lo scialle.

“E ricorda,” disse con un'occhiata sorridente, “sii cortese, non ridere sguaiatamente, sta dritta con la schiena, attenta all'inchino e non pestare i piedi a nessuno.”

Feci il sorriso più falso che riuscii a trovare.

“Certo.”

Inutile dirlo: la serata fu un disastro. Mamma e papà mi presentarono ai giovani più idioti che avessi mai conosciuto. Avrebbero battuto persino John.

Il primo, mi pestò i piedi un sacco di volte.

“Siete incantevole signorina Darling.”

“Grazie, Mr Ross.”

Ahia!!

Il secondo aveva l'aria cortese.

“Siete incantevole signorina Dargling.”

“Grazie Mr Wiston.”

“Questa scollatura, tuttavia, è piuttosto disdicevole su di voi.”

“Uhm … Vi chiedo scura Mr Wiston.”

“Oh, no, sono io che chiedo scusa a voi, signorina Darling. Si capisce, mi sono reso troppo esplicito.” mi rivolse un sorriso che di esplicito aveva fin troppo. Questa volta, fui io a pestare il piede a qualcuno.

“Ma questi … Quest'acconciatura!” esclamò Mr Wilson, il terzo accompagnatore, “Non capirò mai come fate voi signore! Devono volerci ore!”

“Ci vogliono ore.”

“Oh, signorina Darling, vi trovo di cattivo umore nonostante il vostro aspetto così piacente.”

“Ma non mi dica.” è per colpa di certi idioti come te che sono di cattivo umore.

“E anche scortese, aggiungerei.”

Lo fissai indispettita. Il bellimbusto biondo che mi stava davanti fece una smorfia.

“Molto bene, Mr Wilson, mi faccia sapere quando avrà finito di enumerare tutti i miei difetti, io comincerò presto con i suoi.”

Parve sorpreso, quasi sgomento.

“Oh … Ah! … Quale arroganza!”

Per grazia voluta, il ballo finì e appena potei scappai fuori, sul terrazzo. Avevo intravisto i miei genitori venire verso di me, ma confondendomi con la folla speravo di averli seminati.

Quasi scoppiai a piangere appena vidi la luna.

Ma che diamine ci facevo lì? Io non volevo.

Non era quella la mia vita.

D'un tratto, sentii un fruscio accanto a me.

Mi voltai di scatto.

Di fronte a me, appoggiato al bordo opposto della terrazza, c'era lo sconosciuto dagli occhi verdi.

Spazio autrice: ciao a tutti! Questa è la mia prima storia su Peter Pan, anche se ho sempre desiderato scrivere una continuazione della storia tra lui e Wendy. Sarò breve, quindi. Buona lettura a tutti e lasciate quante più recensioni possibili, mi farebbe tanto tanto piacere!
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 2 - La proposta ***


Capitolo 2 – La proposta

 

Ero in trappola. Non c'erano scuse, non c'erano vie di scampo.

Nonostante questo, nonostante tutto non avevo paura.

Non di lui.

Mi avvicinai con cautela e lo sconosciuto, il volto coperto da un cilindro nero, alzò la testa. I suoi occhi verdi si fermarono nei miei per un istante.

Cominciò ad avanzare anche lui verso di me.

La luna illuminò il suo cappello e il lungo impermeabile.

Ero quasi ipnotizzata da lui, quando ci ritrovammo a un passo l'uno dall'altra.

Si tolse il cappello e l'impermeabile, gettandoli a terra, e io rimasi senza fiato. Aveva la mia età, i suoi capelli erano biondi, ramati e i suoi occhi più splendidi che mai.

Senza distogliere lo sguardo dal mio, mi fece un profondo inchino. Risposi con una riverenza.

Ero senza fiato.

“Peter Pan.” non era una domanda. Era la chiave di tutti i ricordi. Dei ricordi del volo, dell'Isola che non c'è, dei pirati, della libertà. Di lui. Del nostro bacio.

“Wendy.” replicò lui, senza distogliere lo sguardo.

Abbozzò un sorriso.

“Sei cresciuta.” disse porgendomi una mano. La presi senza esitare.

“Anche tu.” dissi in un soffio. Il cuore mi batteva forte, e accelerò quando Peter mi tirò in un abbraccio e sentii in lui un profumo dolce di bosco, e di vento.

“Cosa ti è successo?” mormorai contro il suo petto.

Cominciammo a dondolarci lentamente, in un ballo tutto nostro. Era così … Naturale. Come se fossimo insieme da sempre. Come se ci fossimo sempre rivisti. Come se non ci fossero stati anni ed anni a dividerci.

“Dopo averti … Lasciata … L'Isola è diventata noiosa. Ecco, terribilmente noiosa. E … Io sono venuto … Sulla Terra per qualche anno.”

“Peter!” esclamai alzando lo sguardo. “Perché non sei venuto da me?”

Alzò le spalle.

“Non lo so. E poi, non credevo che ricordassi. Al parco sei scappata.”

Mi sentii in colpa per quello che avevo fatto, e abbassai lo sguardo con un sospiro.

“Mi dispiace.” dissi. “In effetti, non ricordavo nulla, finché non ti ho … Visto.”

Peter proruppe in una breve risata amara.

“Succede a tutti. Anche ai tuoi fratelli.” mi scrutò. “E quelli che rimangono giovani e continuano a ricordare pensano di essere pazzi, perché i più grandi non ricordano.”

Sospirai debolmente e abbassai lo sguardo.

“Vi convincete che le avventure non sono mai esistite.”

Mi staccai a lui e mi diressi verso il bordo della terrazza. Mi affacciai al giardino, con la luce della luna davanti a me.

“Oh, Peter.” dissi, scuotendo la testa. “Non si … Dimentica per propria volontà. Ma perché altrimenti non riusciremmo ad andare avanti, nessuno di noi ci riuscirebbe.”

Peter si avvicinò e mi scrutò. Notai quanto era cambiato, vedendolo alla luce della luna.

“E' per questo che mi hai dimenticato, allora?”

Annuii.

“Probabilmente sì. La vita qui ti toglie la voglia di volare e sognare non è più così facile. E se non sogni,” gli sorrisi, “come puoi pensare che esistano un ragazzo che vola e l'Isola che non c'è?”

Peter alzò le spalle; non capiva. Probabilmente l'avevo persino offeso.

“Ciò non toglie ...” dissi per rimediare, “che quella con te sia stata la migliore avventura della mia vita.”

Gli comparve un sorriso sul volto, che si allargò e fece brillare i suoi occhi, che incontrarono i miei.

“Che ne dici?” chiese facendo un cenno verso la sala. “Inizierà un nuovo ballo tra poco. Vuoi concedermelo?”

Mi sentii arrossire.

“Ovviamente Peter.”

Mi prese per mano e il mio cuore sobbalzò al ricordo di tutte le volte che l'aveva fatto all'Isola. Di quella volta che avevamo ballato in mezzo alle fate. La magia e la luce della luna che ci avevano circondati … Credevo di amarlo, quella volta.

Aveva ragione: appena entrammo, le coppie in sala si disposero per il ballo. Ci preparammo anche noi, e quando Peter intrecciò le sue dita alle mie e mi guardò negli occhi sentii un brivido lungo la schiena.

Lui se ne accorse e mi indirizzò un sorrisetto sghembo, che mi ricordò il suo terribile carattere da bambino: sicuro di sé e, a volte, anche arrogante. Mi fece sorridere il pensiero di quanto mi faceva arrabbiare.

Cercai di non pensare a cosa avrei fatto ora che ricordavo. Avrei faticato molto a non andare alla ricerca di una fata per volare fino all'Isola che non c'è.

I nostri passi si mossero in sincronia perfetta. Non sapevo dove avesse imparato a ballare così, ma era maledettamente bravo.

Per un attimo, mi parve che la musica fosse più attutita in sottofondo, come fossimo in una bolla. Solo io, lui, i nostri ricordi. Mentre ballavamo in quella sala, credetti che fossimo di nuovo laggiù, all'Isola che non c'è, a ballare con le fate.

Peter era serio e, guardando i suoi occhi fissi nei miei, ero sicura che i suoi pensieri fossero esattamente in linea come i miei e lo furono per tutta la durata del ballo, finché, confondendoci tra la folla di dame e cavalieri, raggiungemmo una scala e scendemmo.

Sapevo che portava ai giardini; ero stata una volta laggiù.

Peter mi strinse la mano e si mise a correre giù per le scale.

La luce della luna inondava il giardino, mentre quella del salone ormai non si vedeva più. Ci scambiammo uno sguardo complice e cominciammo a correre, sempre per mano, verso la fontana argentea e poi giù, giù, verso il bosco che costeggiava la grande villa del ballo. Continuammo fino a quando io inciampai – maledette scarpe – e caddi.

Peter si voltò verso di me.

“Stai bene?” chiese inginocchiandomisi davanti. Annuii con una smorfia.

“Scarpe dolorose.”

Un sorrisetto gli attraversò il viso.

“Toglitele.”

Sgranai gli occhi.

“Dovrei andare in giro scalza!?” strepitai, suscitando una risata.

“Da piccola lo facevi.”

Feci una smorfia.

“Oh, ma per favore.” mi voltai, ma sentii il fiato caldo di Peter su di me, come l'avevo sentito anni prima, quando stavo per volare via dalla finestra.

“E se io ti sfidassi, Wendy Darling?”

Sentii il mio cuore accelerare a dismisura. Le sfide pungolavano il mio orgoglio più di quanto mi piacesse ammettere.

“D'accordo.” accettai, pentendomene subito. Peter si allontanò sogghignando e io mi abbassai a togliermi le scarpe. Provai un immenso sollievo quando finalmente i miei piedi toccarono l'erba, come non succedeva da anni.

Un senso di euforia mi invase e prima di poterci riflettere slacciai la parte superiore del vestito, rimanendo solo in sottoveste e mi misi a correre, superando Peter. Senza tutto il peso di quei fronzoli addosso, andava molto, molto, molto meglio.

Saltai sull'erba e mi voltai: arrivava di corsa verso di me.

Mi lasciai inseguire per un po' intorno alla fontana e tra gli alberi, ma poi riuscì a prendermi da dietro e mi abbracciò stretta. Stranamente, non mi sentii a disagio. Erano passati anni dall'ultima volta che ci eravamo visti, eppure quel gesto mi parve talmente naturale che non mi scostai nemmeno.

“Va meglio adesso, dico bene, Wendy?” sorrisi e annuii.

Peter si staccò e io mi voltai verso di lui; incontrai i suoi occhi, ad un centimetro dai miei, brillanti come non mai.

Erano carichi di sogni e di speranze.

“Torna con me, Wendy. Torniamo insieme all'Isola che non c'è.”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 3 - La scelta ***


 Capitolo 3 – La scelta

Nel momento in cui dubiti di poter volare, perdi per sempre la facoltà di farlo.
(Peter Pan, J. M. Barrie)


Quando, il mattino dopo, mi svegliai, pensai fosse stato tutto un sogno. Un assurdo sogno … E come potevo anche solo pensare che fosse reale? Non c'era nessuna prova a testimoniarlo.

Era un giorno qualunque.

Dovevo alzarmi e andare a scuola, nonostante avessi fatto tardi. Dovevo mettermi la divisa e pettinarmi bene i capelli. Dovevo affrontare un altro giorno piovigginoso nella Londra piovigginosa per arrivare in una classe piovigginosa e umida.

Rimpiansi davvero che il sogno non fosse reale … In quel momento, avrei accettato senza nemmeno pensarci.

Con un sospiro, scesi dal letto.

Finsi di non notare che ero scalza e con i piedi pieni di terra e con qualche filo d'erba. John, nell'altra stanza, si rigirò nel letto e sentii Michael emettere un sospiro.

Michael!

No … No … Cosa!?

Mi costrinsi a fare respiri lenti e profondi.

Poteva anche essere stato un sogno, Peter Pan. L'incontro della sera precedente poteva anche essere stato un sogno, certo, certo che sì, ma tutto il resto, quello che ricordavo, quello che mi aveva detto … Era tutto vero!

Esisteva un'Isola che non c'è, io ci ero stata.

Lui esisteva!

L'avventura … Tutto era vero! Ecco cosa avrei dovuto ricordare la sera precedente, secondo Michael! Ecco cos'avevo dimenticato!

Fui tentata di svegliarlo subito.

Mi trattenni a stento e sgusciai in bagno con i vestiti. Non potevo parlarne di fronte a John, sapevo che non mi credeva, ma dovevo dirlo a Michael, assolutamente.

Dovevo dirgli che non era pazzo e che gli credevo, in tutto. Che ricordavo anch'io.

Ci vollero ore prima che potessi farlo.

Dovetti aspettare che un'interminabile giornata di scuola volgesse finalmente al termine, fra insegnanti pazzi e compagne pettegole, e arrivare al tragitto di ritorno verso casa. Solo allora, riuscii a staccare Michael da John, rimanendo indietro con lui.

Aveva intuito subito che c'era qualcosa che non andava, e non protestò quando lo feci camminare più lentamente al mio fianco, con una scusa.

“Allora, Wendy, che c'è?” chiese subito, appena fummo abbastanza distanti da John. Almeno non pioveva.

“Mmm … Michael?”

“Sì?”
Gli lanciai un'occhiata. Sembrava così tranquillo, ancora. Così … Spensierato.

“Io … Ti ricordi quando, ieri sera, mi hai chiesto … Se … Se io ricordavo?” mi chiesi perché sembrassi così spaventata, tanto da balbettare. Non gli stavo dicendo nulla di male.

Sentii gli occhi sorpresi di Michael su di me.

“Perché me lo chiedi?”

Deglutii.

“Ecco … Io, sì, ricordo.” lo sguardo di mio fratello si fece stupito, e poi incredibilmente sollevato. “Non sei pazzo, credimi.”

Michael cominciò a sorridere.

“Allora hai visto anche tu Peter!” disse, a voce tutto a un tratto bassa, ma profondamente felice ed eccitata. Lanciai un'occhiata al viso lentigginoso di mio fratello e mi sentii arrossire.

Altro che sogno!

“Sì.” annuii, prendendo finalmente coscienza del fatto che, la sera precedente, avevo davvero visto Peter Pan e che lui se n'era davvero andato via da quella terrazza in volo.

“Anche a te l'ha chiesto?”

Lo fissai.

“Anche a te ha chiesto di tornare sull'Isola?”

Meravigliata, annuii di nuovo. L'aveva chiesto anche a Michael? E allora …

“Hai detto di no?”

Mio fratello si rattristò un po'.

“Esatto.”

Per un attimo, non riuscii a dire nulla, spaesata. Ma … Come? Michael desiderava più di tutti noi messi assieme di tornare all'Isola che non c'è. Ne ero assolutamente sicura. Tutto, in lui, lo dimostrava, dalla felicità nella sua voce quando ne aveva parlato, alla tristezza quando, la sera precedente, aveva capito che non ricordavo nulla.

“Perché?” chiesi infine.

Michael alzò le spalle.

“Non voglio tornarci. Voglio diventare grande, è questa la sola avventura che voglio.” mi sorrise, sorprendendomi ancora di più. “Ho già avuto la mia avventura da bambino, adesso è ora di andare avanti.”

Rimasi ancora più indietro, mentre lui procedeva davanti a me e le prime gocce di pioggia cominciavano a cadere.

Per come camminava, con la cartella sulle spalle, fischiettando, e per la grandezza delle spalle, notai per la prima volta che Michael stava diventando un uomo.

E io? Io non mi sentivo per niente una donna, mi sentivo solo una ragazzina sperduta.

Mentre correvo verso casa, con l'acquazzone che mi scrosciava intorno, mi resi conto che non ero mai cresciuta, in fondo. La mia avventura non era finita.

 

Quella sera, spalancai la finestra di camera mia, nonostante il freddo e la pioggia. Avevo bisogno di sentire un po' di quell'antica libertà perduta, pensai togliendomi i vestiti fradici e indossando la camicia da notte.

Sciolsi le trecce e osservai la mia immagine allo specchio.

Quanto ero cambiata, da allora.

I capelli erano lunghissimi, ormai, e forse la mamma me li avrebbe fatti tagliare presto, anche se a me piacevano così. Si erano un po' scuriti da quando ero piccola, e ora erano più castani che biondi e mi facevano sembrare il viso più pallido.

Le guance rosse erano scomparse, cancellate dal freddo, dalla pioggia e dallo stress di essere sempre perfetta.

Mi strofinai con forza il viso e sospirai, spettinandomi più che potevo, per somigliare di più a quella persona che ero stata, e che desideravo tanto, tanto, tanto tornare ad essere. Non potevo desiderare di nuovo un po' di libertà?

Un'unica candela tremolante faceva luce nella stanza, proiettando ombre ovunque guardassi. Per questo non feci subito caso all'ombra alla finestra … Fino a quando non si mosse verso di me.

Mi voltai di scatto, afferrando quasi d'istinto la prima cosa che mi capitò sottomano. Un portagioie, per la precisione.

Ma, quando lo straniero si fece avanti alla luce tremula della candela, lo rimisi subito a posto.

“Peter.” sussurrai.

Si inchinò davanti a me con un sorriso sarcastico.
“Wendy.”

Indossava una semplice camicia bianca, larga, da pirata, e dei pantaloni attillati, in cuoio. Ma era sempre scalzo. Come me.

Vidi una visione di noi due da piccoli, lui vestito di foglie soltanto, e io, come allora, in camicia da notte.

I suoi occhi verdi erano splendidi, tinti di una luce dorata.

Per un istante, rimanemmo entrambi immobili, occhi negli occhi, e in silenzio.

Poi, una voce arrivò dalle scale, facendomi sobbalzare.

“Wendy, scendi cara, è ora della lezione di piano!”

“Arrivo!” risposi a mia madre.

Peter si accigliò.

“Wendy … Hai deciso?”

Gli avevo chiesto del tempo per pensare. La mia scelta, la mia scelta, la mia scelta.

Non avevo ancora deciso, non completamente.

Qualcosa, l'amore per la mia famiglia, forse, mi tratteneva.

Pensai a tutte le giornate uguali, ai giorni di pioggia, all'essere continuamente perfetta, a tutti quei vestiti, ai balli, al mio futuro sposo, ai miei genitori, ai miei fratelli … Tutto in un unico attimo.

Poi, mamma chiamò una seconda volta, ma io non risposi.

Pensai all'Isola e guardai Peter, che abbozzò un sorriso, e pensai alla libertà, al volo, a tutto.

Udii i passi di mamma.

“Renditi presentabile, cara, oggi sarà il signor Wilson, quel così caro ragazzo, a darti le lezioni di piano!”

Fu l'ultima goccia.

Udii i suoi passi avviarsi verso le scale e poi cominciare a salirle.

Era davvero questa la vita che volevo? Era questo? Un marito sconosciuto, lezioni di piano, una scuola che odiavo … Con un ultimo impeto, me ne resi conto.

Pensavano davvero di intrappolare anche me come un uccellino nella gabbia!?

Udii i passi di mamma farsi più vicini.

Guardai Peter e vidi una scintilla accendersi nei suoi occhi. Speranza? O felicità? O malinconia?

“Vieni con me dove non dovrai mai, mai più pensare alle cose dei grandi.”

Sentii il mio cuore scoppiare di gioia.

“Mai è un tempo seriamente lungo.”

“Mai significa per sempre.”

Mamma continuò a chiamarmi dalle scale, e poi entrò in camera mia. Quando non mi trovò, scoppiò il putiferio e persino la zia fu coinvolta nella situazione, da tanto grave.

Mentre mamma sospirava sulla poltrona, papà cercava in città e la zia elaborava teorie, ampiamente sostenute da John, solo Michael aveva capito cosa fosse davvero successo.

Non mi avrebbero intrappolata.

Ero volata via.

Spazio autrice: ecco il nuovo capitolo! Finalmente Wendy se n'è andata ... Anche se, lo sappiamo, per sempre è un tempo molto, molto, molto lungo e non basta saperlo: bisogna rendersene conto.
Nel prossimo capicolo ho in programma il suo ritorno all'Isola, ovviamente, ma Peter sarà come lo ricordava? Tutto sarà come lo ricordava?
Lascio al mistero!
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 4 - L'Isola ***


 Capitolo 4 – L'Isola

 

Librarmi in aria fu una delle cose più belle che avrei mai potuto sperare di fare. Quando Peter mi prese per mano e mi sollevò, sentii il mio cuore sollevarsi con lui, prima ancora dei piedi.

Mi guardò negli occhi. I suoi erano verdi, con sfumature grigie, che in quel momento scintillavano come argento: era felice che io avessi accettato.

Quando uscii dalla finestra, come in sogno, e vidi Londra illuminata sotto i miei piedi, sentii il cuore battere ancora più forte.

Peter mi tenne la mano, mentre volavamo sempre più in alto, finché la casa fu lontana e persino le urla di mamma e papà furono prive di importanza. C'era qualcosa nel volo che faceva sì che le persone si staccassero dalla realtà, come si staccavano dal suolo: immaginai fosse quello che faceva dei bambini quello che erano.

All'improvviso divenne tutto più distante e meno importante: mamma, papà, John, Michael, la scuola … E mi chiesi come potesse essere così facile.

Peter mi strinse più forte la mano e si avvicinò.

“Pronta ad andare?”

Annuii. Non avevo portato nulla con me, se non quello che indossavo. I miei capelli erano sciolti, il viso privo di qualunque trucco, le mani libere, senza anelli o bracciali, e al mio collo non c'era nessuna collana.

Peter mi guidò verso di lui e mi strinse, quando cominciammo a vorticare abbracciati nel buio, sempre più veloci, sempre più in alto, verso l'unica stella che conoscevo, che amavo, che ricordavo.

Le andammo così vicini, così vicini che mi parve potesse inghiottirci. Ma proprio quando dovetti chiudere gli occhi perché la luce era troppo forte, sentii la pressione del vortice abbandonarci, e una luce più flebile apparire davanti alle mie palpebre chiuse.

Mi accorsi che Peter mi stringeva ancora, un braccio sul mio fianco e una mano sul collo, e arrossii, sperando che non lo notasse.

“Siamo arrivati, Wendy, apri gli occhi.” mormorò, e mi accorsi di quanto anche il suo viso fosse vicino al mio. Sentii il suo fiato caldo sul collo.
 

Aprii gli occhi e guardai in basso.

Il paesaggio mozzava il fiato: il sole stava sorgendo sull'immensa isola che popolava da sempre i miei sogni, e tingeva di verde smeraldo le cime degli alberi, mentre illuminava la cima della montagna innevata come fosse un arcobaleno.

L'acqua del mare era limpida e cristallina sotto di noi, il cielo violaceo andava tingendosi d'azzurro. Per un attimo rimasi senza fiato, paralizzata tra le braccia di Peter, a fissare quella meraviglia che si stagliava davanti a noi.

Poi, cominciammo a scendere piano e io intravidi la chioma di un grosso albero, al centro dell'isola, a cui eravamo diretti. I ricordi affioravano continuamente.

Il posto in cui avrei dovuto vedere la nave dei pirati, il combattimento con il Capitano, e il bacio che avevo dato a Peter … Mi sentii arrossire di nuovo. Il suo corpo era caldo contro il mio e mi aiutava a non rabbrividire per il vento freddo che ci soffiava contro, mentre atterravamo dolcemente davanti al grande albero che, un tempo, era stato la casa dei Bimbi Sperduti.

Peter sorrise e mi fece entrare attraverso una grossa apertura nella corteccia.

“Niente più porte camuffate?” chiesi, notando che gran parte delle misure di sicurezza erano sparite. Sorrise.

“Sull'Isola non sono rimasti altro che fate, sirene e indiani e nessuno di loro è troppo interessato a me.”

Scrollai le spalle.

“Deve esserci una grande pace qui.” commentai. E non esistono né perfezione né buone maniere.

Peter annuì, dirigendosi verso un armadietto poco distante.

Ne aprì le ante ed estrasse quelli che sembravano vestiti. Me li porse, arrossendo.

“Se vuoi indossare qualcosa di più pratico … Insomma, niente contro la tua camicia da notte, ma gli indiani sono piuttosto ferrei su queste cose ...”

Evitai di fare commenti, solo perché il discorso era troppo imbarazzante, e afferrai i vestiti che mi porgeva. Andai in un angolo della stanza e, dopo essermi assicurata che non sbirciasse, mi tolsi la camicia da notte.

Quando vidi i vestiti che mi aveva dato, quasi non mi parve vero.

Pantaloni! Potevo indossare dei pantaloni! Li misi di corsa, felicissima. Poi, fu la volta di una camicia da nera, probabilmente intessuta da qualche indiano. La stoffa era soffice e leggera.

Uscii da dietro l'angolo, e trovai Peter seduto su quello che, durante i nostri giochi, utilizzavamo come trono.

Sorrise vedendomi, una scintilla gli attraversò gli occhi.

“Stai molto bene così, Wendy.” disse.

Sorrisi anch'io.

“Grazie, Peter.”

 

I giorni seguenti furono incredibili. Io e Peter eravamo soli sull'Isola, e ogni mio contatto con la realtà fu ufficialmente tagliato.

Volavamo sulle vette delle montagne, correvamo attraverso la foresta sotto di esse, ci tuffavamo nelle acque cristalline del mare, ci arrampicavamo sugli alberi, ridevamo, e tutto completamente scalzi, ogni tanto anche bagnati fradici, senza preoccuparcene mai.

Peter si rivelò essere davvero cresciuto; non era più un bambino nei modi di fare e di parlare, e persino di pensare, ma non aveva perso quella vena di fantasia che avevo amato in lui, il desiderio di divertirsi e di godersi il momento, fino a cristallizzarlo per sempre.

E, se con le persone normali quello rimaneva un desiderio, con lui era reale.

Dormivamo persino come capitava, addormentandoci e svegliandoci alle ore più assurde. Non che sapessi esattamente che ore fossero … Sull'Isola non c'era alcun genere di orologio.

Peter mi mostrò i luoghi più belli, quelli che la prima volta non avevo visto: prati fioriti, limpidi laghi, baie dalle acque cristalline, splendide radure in mezzo alla foresta dell'Isola. Era il paradiso. Era un paradiso fatto apposta per essere liberi.

Di solito era lui ad occuparsi del cibo, visto che io non sapevo né cacciare, né trattare con gli indiani per avere la selvaggina.

Coglievamo la frutta dagli alberi, e tanto ci bastava.

Quella sera, eravamo distesi in una radura, lontani da casa, e un cielo pieno di stelle splendeva sopra di noi.

“Qual è il tuo colore preferito?” chiese d'un tratto Peter.

Ci pensai su un attimo.

“Azzurro cielo.” dissi infine. “Il tuo?”

“Oro, come i raggi del sole.” rispose, e mi sorrise, il viso poco distante dal mio. Riuscivo a distinguere ogni sfaccettatura dei suoi occhi verdi, in quel momento screziati d'argento e illuminati dalla luce della luna.

“Qual è il regalo più bello che ti abbiano mai fatto?”

Sentii il mio cuore accelerare. Un ditale, avrei voluto rispondere, ma non volevo dirglielo. Era troppo imbarazzante e il mio orgoglio troppo sconfinato … Eppure, gli occhi di Peter mi fissavano. Non c'era nulla di male in questo, ma quella curiosità e il suo sguardo su di me bastarono a far inceppare i miei pensieri, tanto che alla fine l'unica parola che ricordavo era proprio quella.

“Un ditale.” dissi, arrossendo.

Vidi un guizzo di felicità attraversare gli occhi di Peter.

“Il tuo?”

“Lo stesso.”

Spazio autrice: nuovo capitolo! Spero tanto che vi sia piaciuto ... Il prossimo sarà ancora più all'insegna di quello che è destinato a tornare a galla tra Peter e Wendy. Quindi, spero che continuerete a seguire la storia!
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Tempo ***


Capitolo 5 – Tempo

 

Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando me n'ero andata; inizialmente avevo tenuto il conto guardando il sorgere della luna o del sole, ma quando dormire era diventato un'opzione di qualsiasi ora del giorno o della notte, avevo smesso. Non capivo mai quando mi svegliavo, e già ne ero poco sicura quando mi addormentavo, perciò figurarsi.

Non mi ero mai resa conto di quanto fosse fondamentale per me lo scorrere del tempo: tutta la mia vecchia vita era stata regolata, imbrigliata e imprigionata in orologi e impegni. Solo al mio arrivo sull'Isola avevo capito che non ero scappata prima semplicemente perché non ce n'era mai stata l'occasione.

Ogni tanto, mentre Peter era in giro, mi sedevo sulla scogliera e guardavo il mare calmo davanti a me, e pensavo che la mia fuga non era stata la decisione più apprezzabile dell'universo -eticamente parlando-, ma era la cosa giusta. Ogni giorno che passava mi rendevo conto di quanto fosse giusta la mia decisione. Come avevo detto a Peter quella sera in terrazza, le persone dimenticano, e così avrebbero fatto con me i miei fratelli e i miei genitori; che senso avrebbe avuto rimanere e soffrire, e al contempo far soffrire tutti loro, rigirando ogni giorno il coltello nella mia e nella loro ferita? Un taglio netto era meno doloroso.

L'unica cosa che forse rimpiangevo era di non aver detto loro addio, ma lo consideravo un giusto pagamento per il loro tentativo di rubare quella che avrebbe dovuto essere la mia vita e per il loro desiderio di imprigionarmi in una vita che non volevo.

Avevo nostalgia di alcune cose, eppure sentivo che un immenso peso era sparito dalle mie spalle: mio Dio, non dovevo più sposarmi, non dovevo più pensare ogni secondo alla scuola e allo studio, non dovevo sopportare l'atteggiamento freddo di mio padre e di John, non dovevo più essere perfetta … Ero libera.

Quasi non ricordavo più come fosse avere una gonna e un paio di scarpe. Ogni volta che andavo alla scogliera tornavo indietro attraverso la foresta tropicale che cresceva rigogliosa su tutta l'Isola e raccoglievo i frutti che trovavo sugli alberi; Peter mi aveva insegnato ad arrampicarmi e, anche se non ero agile come lui, me la cavavo senza rompermi l'osso del collo.

Per volare tenevamo con noi una piccola borsa con polvere di fata, che io tenevo appesa alla cintura. Quando ero piccola non ero rimasta abbastanza sull'Isola per capire quanto mi piacesse volare e tutti i modi migliori per farlo. Anche in quel caso Peter era un ottimo insegnante: di notte, con la luna grande e tonda che illuminava il mare, mi insegnava a fare le giravolte nel vento, a prendere velocità, a sfiorare la superficie dell'acqua con la punta dei piedi, a lasciarmi cadere nel vuoto e poi a volare di nuovo quando le onde erano a pochi centimetri da me.

Usavamo spesso questo sistema per fare i tuffi: salivamo in alto fino alle nuvole e poi ci lasciavamo cadere in acqua. Non avevo mai nuotato così tanto in vita mia.

Anche quella mattina -una delle tante- andavo verso il grande albero tornando dalla spiaggia dopo una nuotata. Avrei potuto farlo in volo, ma camminare in mezzo a quella foresta era qualcosa di impareggiabile.

I raggi del sole illuminavano di tanto in tanto il mio viso o i miei capelli sciolti. Non li avrei legati mai più.

“Buongiorno.” mi salutò Peter con un sorriso quando entrai in casa. Sorrisi a mia volta.

“Com'è andata con gli indiani?”

Scrollò le spalle.

“Alle solite. Non sono particolarmente amichevoli, ma ora abbiamo provviste per almeno una settimana. Tu sei andata a fare una nuotata?”

Annuii, anche se doveva essere chiaro: i miei capelli erano ancora bagnati e mi ricadevano sulle spalle. Con il clima mite dell'Isola si sarebbero asciugati in fretta, non dovevo certo preoccuparmi di prendermi un malanno. Altro che Londra …

“A proposito di gente poco amichevole,” disse con la testa ficcata in una specie di armadietto, “uno di questi giorni potrebbe presentarsi qualcuno dei Bimbi Sperduti … Be', ora non esattamente Bimbi.”

Lo fissai esterrefatta.

“Vuoi dire che c'è anche qualcun altro che viene qui?”

Scrollò le spalle con un sorrisetto.

“Sì, ma solo ogni tanto. Altri che, come noi, conoscono l'Isola e ci credono ancora.”

“Come fai a sapere quando arrivano?”
Peter mi guardò come cercando di dirmi che era assolutamente ovvio.

“Vacanze. La scuola chiude per un po' e loro hanno abbastanza tempo libero da venire da queste parti. Ogni tanto portano anche qualcosa dalla Terra Ferma.”

Non mi ci volle molto per fare due calcoli. Ero partita a novembre …

“Quindi vuoi dirmi che stanno per iniziare le vacanze di Natale?” sentii un grosso vuoto farsi strada nel mio petto e la mia gola chiudersi, come se stessi per scoppiare a piangere. Se era così, io ero via da più di un mese e la mia famiglia avrebbe festeggiato senza di me. Sapevo di essermi ripromessa di dare un taglio netto e di cercare di non far soffrire nessuno, ma era lo stesso doloroso pensare a come sarebbe stato per loro.

Peter mi riportò alla realtà quando annuì.

“Sì. Oggi dovremmo essere il 23.” il suo tono era circospetto e aveva smesso di sistemare le provviste per studiare la mia espressione. Non volevo guardarlo negli occhi e lasciare che vedesse qualcosa che non provavo davvero … Come il rimpianto. Non rimpiangevo la mia decisione, ma ciò non toglieva che facesse male. Avevano fatto il mio funerale? Era un mese e mezzo che me n'ero andata. Era abbastanza per dichiarare una persona spacciata? Per dire che non sarebbe più tornata? E Michael? Aveva detto quello che sapeva o era rimasto in silenzio temendo che l'avrebbero preso per pazzo?

“Wendy.” sentii Peter appoggiare delicatamente le mani sulle mie spalle. “Cos'hai?”

Scossi la testa con lo sguardo basso.

“Niente. Non è niente.”

“Dai. Cosa c'è?” Alzai subito la testa, sorpresa. Gli anni lo avevano davvero cambiato; da bambino avrebbe sorriso spavaldamente e mi avrebbe detto di andare a divertirmi. Non mi avrebbe mai chiesto cosa non andava.

“Allora?” mi resi conto che per lo stupore non gli avevo ancora risposto.

“Come fai a tenere il conto dei giorni?” non era quello che si aspettava molto probabilmente, ma una parte di me continuava a pensare che se non avessi detto quello che mi passava per la testa, forse sarebbe sparito da solo insieme alla nostalgia e all'incertezza.

Peter sorrise, ironico.

“Immagino che ci si faccia l'abitudine … Ma ho comunque perso il conto degli anni.” mi fece l'occhiolino e tolse le mani dalle mie spalle. Cercando di togliermi di dosso la tristezza misi la frutta raccolta in un cestino, mentre guardavo Peter di sottecchi; non era cresciuto solo fisicamente. La sua personalità era rimasta quella di un tempo, ma era anche profondamente cambiata.

Non era nemmeno più così sfrontato, perlomeno con me.

Mi chiesi cosa gli fosse capitato in quel periodo trascorso sulla Terra: io non gliel'avevo mai chiesto, né lui l'aveva mai accennato all'argomento. Si era solo presentato a me in giacca e cravatta e mi aveva invitata a ballare, niente da cui io potessi capire o immaginare cosa avesse fatto o dove fosse stato per tutti quegli anni.

“Tutto bene Wendy?”

“Uh?”

Sorpresa, vidi che ricambiava il mio sguardo.

“Mi stavi fissando.” rispose alla mia implicita domanda. “E anche piuttosto insistentemente direi.”

Arrossii e abbozzai un sorriso.

“Tutto bene.”

Mi guardò perplesso per un istante, ma alla fine lasciò perdere.

Quella sera, seduti sulla spiaggia dopo una nuotata, trovai il coraggio di fargli una delle tante domande che ronzavano nella mia testa da giorni.

“Peter?”
“Sì?”

“Perché … Perché hai scelto di portare me sull'Isola?”

Peter era disteso nella sabbia e io seduta. Il mio rossore, fortunatamente, fu protetto dalla notte anche quando aumentò sentendo che lui si metteva a sedere. Il mio orgoglio mi spingeva a stare zitta, ma ero davvero curiosa di sapere perché aveva scelto me.

“In che senso?” chiese, la voce carica di stupore.

“Nel senso che … Sei stato per un po' sulla Terra e noi non ci vedevamo da tantissimi anni. Possibile che tu non abbia trovato un'altra persona così speciale da portare qui con te? Sei venuto a cercarmi e anche dopo avermi vista scappare da te, mi hai lo stesso proposto di venire. Perché?”

Lo sentii ridacchiare nell'oscurità accanto a me.

“Davvero … Che ne è stato dell'inguaribile e orgogliosa Wendy?”

Rimasi in silenzio, piccata per quella frecciatina. Non era il solo ad essere cambiato in tanti anni … Come se avesse capito il motivo del mio mutismo, avvicinò il viso al mio.

“Dai, non mettere il muso ora. Scherzavo.” il suo tono era talmente bonario che non potei fare a meno di voltarmi verso di lui e sorridergli a mia volta. I suoi occhi riflettevano la luce della luna e sembravano d'argento. “Non ho dovuto scegliere quando ho deciso di portarti con me. Non c'era nessun altro che mi conoscesse abbastanza bene, o che mi credesse quando parlavo dell'Isola … Inizialmente non avevo intenzione di coinvolgerti, nemmeno quando avevo capito che sarei tornato qui, ma ho deciso che non volevo tornare indietro senza rivederti nemmeno una volta. Quando ti ho vista in quella strada, con quell'impermeabile nero, il viso pallido, sotto la pioggia … Ho capito che in qualche modo avevi bisogno di andartene.”

Sorrisi.

“Grazie per avermi portata con te, Peter Pan.”

Spazio autrice: dopo tanto, tanto, tanto tempo, finalmente eccomi qui! L'estate è il momento ideale per scrivere e per farsi venire buone idee, soprattutto se si parla di tempo e di libertà ... In fondo, ci si sente davvero liberi in vacanza, anche se mai potremo provare la stessa, totale assenza di vincoli di Peter e Wendy. :) In ogni caso, ho scritto questo capitolo più per riprendere la storia -che probabilmente più di qualcuno si è dimenticato, vista la mia lunga assenza- e per saldare un po' il legame tra i due protagonisti. Penso che già nella prossima parte entrerà in scena qualche nuovo personaggio, e allora ce ne saranno delle belle ;)
Per adesso, buona lettura!
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Nuovi incontri ***


Capitolo 6 – Nuovi incontri

 

Nei giorni successivi l'isola divenne straordinariamente affollata: arrivarono Emma, Cassidy, Jack ed Alexander. Il primo ad arrivare fu Jack e il mio incontro con lui fu alquanto rocambolesco; stavo raccogliendo qualche frutto dagli alberi, quando avevo visto qualcosa nel cielo. Sulle prime mi era sembrato un volatile, ma non stava affatto sbattendo le ali e sembrava indossare una camicia, così ero scesa e avevo messo la frutta in un cestino prima di mettermi ad osservarlo lontana dalle cime degli alberi.

Non capivo cosa fosse. Come avrei scoperto poco dopo, Jack indossava un mantello nero con cappuccio oltre alla camicia bianca e portava sulle spalle uno zaino, tutte cose che mi avevano confusa non poco, e che mi fecero pensare a una nuova creatura dell'isola.

Per essere un volatile era straordinariamente veloce, stava scendendo dal cielo come un proiettile … Dritto verso di me. Non feci nemmeno in tempo ad urlare o a scansarmi che la creatura mi investì demolendomi letteralmente e cadendomi addosso con un tonfo. Accidenti se era pesante!

Dopo essermi tolta i capelli dal viso -con non poca fatica- vidi che si trattava di un ragazzo dagli occhi verde smeraldo che mi fissava esterrefatto.

“E tu chi saresti?”

“Ma … Chi sei tu semmai! Sono forse io ad esserti caduta addosso dal cielo!? E vorresti scansarti, per favore??”

Non accennava a farlo; il suo peso mi schiacciava le costole.

“Non è che per caso sei Wendy?”

Sorpresa, annuii.
“Come fai a saperlo?”

“Peter mi ha parlato di te.” Peter aveva parlato di me!? Con questo qui!?

“Fantastico. Tu chi sei?”

“Jack.”

“Grandioso Jack, vorresti toglierti da qui o hai intenzione di rendere conto a Peter del soffocamento di Wendy?”

“Oh, certo, scusa.”

Jack finalmente si alzò ed ebbe la buona grazia di tendermi una mano per aiutarmi. La accettai, anche se con esitazione, e una volta in piedi presi il cestino della frutta.

“Allora, cerchi Peter?”

“Sì. Puoi accompagnarmi da lui per favore?”

“Ovvio.” cominciai a fargli strada “Come mai sei qui?”

“Vacanza” rispose scrollando le spalle; già, avrei dovuto aspettarmelo visto che Peter mi aveva avvertita, ma come si fa ad aspettarsi che uno arrivi dal cielo e ti metta k.o.? Perché io non me l'aspettavo proprio. Di sottecchi mi misi ad osservare lo straniero. Era più robusto di Peter e non trasmetteva il suo stesso senso di velocità e agilità, i suoi lineamenti erano piuttosto affilati anche se il colore degli occhi smorzava l'insieme. Erano di un verde molto raro, particolarmente acceso.

Sembrava molto interessato a quello che vedeva nella foresta e guardava tutto con grande attenzione, come a memorizzare i dettagli o a vedere se tutto fosse al suo posto. Quasi di sicuro era già stato sull'Isola perché anche se mi aveva chiesto di accompagnarlo sapeva esattamente dove mettere i piedi e questo senza nemmeno farci caso.

Al suo arrivo da Peter, dopo saluti e convenevoli, avevano avuto molto di cui parlare riguardo a cose di cui io non sapevo niente; provai una piccola fitta di gelosia sentendo parlare di quel periodo trascorso da lui sulla Terra e di cui però io non ero a conoscenza, ma poi mi convinsi che era ridicolo e uscii per una nuotata.

Quando arrivai nei pressi della spiaggia vidi che c'era qualcuno dall'aria completamente fradicia e furiosa che camminava sulla battigia. Il qualcuno portava un'elegante … Camicia da notte bianca. Ne fui incuriosita visto che era la stessa cosa che indossavo io da bambina quando ero arrivata lì, perciò mi avvicinai e scoprii che era una ragazza dai lunghi capelli neri legati in un'acconciatura sbilenca.

La camicia da notte era zuppa e le si era appiccicata tutta al corpo, facendo intravedere cose che forse non avrei dovuto vedere.

“Ehi!” attirai la sua attenzione. La ragazza si voltò di scatto.

“Ciao! Se di queste parti?”

“Più o meno.”

“Benissimo, allora sai dov'è Peter?”

“Certo. Vieni con me.” mi voltai e lei mi seguì, così ne approfittai per chiederle cosa le fosse successo.

“Purtroppo non è semplice ricordare sempre come volare, ogni vacanza che passa è più difficile. Mi sono praticamente schiantata qui; sono già fortunata ad essere finita in acqua e a non schiantarmi su qualche albero.” mi sorrise “A proposito, io sono Emma. Piacere.”

Strinsi la sua mano.

“Wendy.”

“Sei un'amica di Peter?”

“Credo di sì.” eravamo amici, giusto? Chissà perché ma Peter sotto la definizione di amico mi faceva pensare a quando Michael imparava a scrivere e scriveva la A al posto della B. Avevamo ballato insieme … Ma anche gli amici ballano insieme, no? Gli amici non vivevano insieme però. Anche se quella era una circostanza particolare perché avevamo un'isola tutta per noi, e tuttavia io avevo accettato di seguirlo …

“Allora?”

Alzai la testa, sorpresa.

“Uh?”

“Come mai se qui?”

“Ah, … Ecco, è complicato.” non avevo intenzione di spiegare il delirio totale della mia storia a una sconosciuta. “E tu?”

“Per colpa di una serata in un pub. E non mi interessa quello che blatererai sulle donne, sì ero da sola, sì ero ubriaca, sì indossavo abiti non particolarmente adatti alla mia circostanza. In ogni caso era una brutta serata.” le lanciai un'occhiata per capire quanti anni avesse. Forse uno più di me. “Non so come abbia agganciato te, ma con me sono bastate le chiacchiere di Peter su un'isola in cui non si invecchia mai e non ci sono adulti. Forse per disperazione gli ho creduto e sono arrivata qui.”

“Perché ti eri ubriacata quella sera?”

Scrollò le spalle.

“Non me lo ricordo e non voglio nemmeno ricordarlo. Vengo qui quando il lavoro me lo permette.”

“Dove lavori?”
“Su una nave mercantile. Travestita da ragazzo, ovviamente, o non mi avrebbero permesso di salirci; dicono che le donne portano sfortuna quando si va per mare.”

“Non sai come ti capisco ...” per un periodo, appena tornata dall'Isola, avevo pregato mio padre di lasciarmi studiare da apprendista per diventare capitano di una nave e salpare verso il mare aperto, anche se solo come mozzo, ma lui si era arrabbiato tantissimo e mi aveva fatto una lunga predica su quanto fosse disdicevole che una donna salisse su una nave da sola con un equipaggio interamente maschile. E poi lui voleva un futuro diverso per me: voleva che diventassi come mia madre, una brava moglie e una brava mamma, sempre bellissima e perfetta e sempre a fianco di suo marito. Ma non lo ero e non lo desideravo; io ero sempre stata un maschiaccio indipendente e orgoglioso, ecco cosa.

Era bella l'idea di amare qualcuno, tuttavia l'ultima cosa che volevo era che in virtù di questo sentimento mi ritrovassi a dipendere da lui o, peggio, a non poter fare un passo senza di lui.

“Mi spiace che tu capisca.” interruppe i miei pensieri Emma “Con tutte quelle che capitano sulle navi di trasporto merci, è davvero terribile che tu capisca; per un periodo sono persino stata ostaggio di una ciurma di pirati. Non so quante volte mi sono ritrovata sballottata da una parte all'altra dell'oceano in attesa di tornare a casa e senza sperare di farlo.”

Non risposi perché avrebbe significato spiegarle troppo di me, e certe cose non le volevo spiegare nemmeno a me stessa. Se sarei mai tornata sulla Terra era una di queste. Io volevo bene a Peter, anche se non sapevo ancora in quale senso, ma non ero pronta a tagliare per sempre i ponti con la mia vecchia vita. Sapere qualcosa sulla mia famiglia in quel momento sarebbe stato doloroso, perché avrebbe reso più forte la tentazione di tornare, eppure mi sarebbe piaciuto avere loro notizie; stavano bene? Avevano … Avevano celebrato il mio funerale? Se era così non mi avrebbero mai più accettata in famiglia, pensai, mio padre prima di tutti: lo scandalo sarebbe stato troppo grande e la gente avrebbe iniziato a mormorare. Se non ero stata uccisa da qualche mal intenzionato, allora dov'ero stata tutto quel tempo senza un uomo che mi accompagnasse? A quel punto avrebbero detto che mi ero segretamente innamorata di qualcuno e che ero scappata con lui e solo Dio sapeva chi avrebbero pensato che fosse quel qualcuno. Sicuramente non una persona per bene, o non avrei avuto motivo di scappare … Come se non bastasse, quelle domande le avrebbero fatte anche i miei genitori. E cosa avrei risposto? Dov'ero stata? Com'ero sopravvissuta da sola?

Guardai il cielo del pomeriggio, con il sole che splendeva dorato sopra di noi, e mi resi conto che ormai era passato troppo tempo. Potevo tornare, ma non dalla mia famiglia. Per la prima volta in tutto quel tempo capii che potevo averli lasciati per sempre senza averci pensato abbastanza.

“Ehi Wendy ci sei? Sogni un sacco ad occhi aperti, eh?”

Magari fossero sogni!

“Ci sono, come no. Peter è lì dentro.” dissi indicando il grande albero in cui fino a prima si trovavano Peter e Jack. Emma fece qualche passo nella direzione che le avevo indicato, ma si voltò quando vide che non la seguivo.

“Tu non vieni?”

“No … Ho delle cose da fare.” e prima che potesse replicare me ne andai nella foresta. Non avrei sopportato, oltre alla morsa che ora sentivo nel cuore, di vedere Peter immerso nell'ennesima conversazione che non capivo e di cui non sapevo niente.

Era giusto che lui avesse cose di cui non mi parlava; io stessa non gli avevo detto nulla degli ultimi anni, eppure mi sarebbe piaciuto che lui mi avesse raccontato qualcosa. Non potei evitare di sentirmi sola in quell'Isola, perché a parte Peter e gli ultimi arrivati non c'era nessun altro; la lingua degli indiani era incomprensibile, e in ogni caso non mi sopportavano, e a parte loro potevo contare solo su meloni, manghi e altri frutti non identificati se proprio volevo parlare.

Non che a casa fosse diverso … Lì c'erano alberi, a casa pareti. Nessuno dei due parlava.

 

Il sole stava ormai tramontando quando arrivai alla spiaggia e mi sedetti sugli scogli a guardare il mare e ad ascoltarne le onde. Io e i miei fratelli ci eravamo dimenticati di Peter Pan in quegli anni, anche loro si sarebbero dimenticati di me? Il mare non mi diede risposta, così appoggiai la testa contro uno scoglio e chiusi gli occhi. Rimasi lì per un tempo che mi parve infinito, quando una voce sorprendentemente vicina mi fece fare un salto per lo spavento:”Che ci fai qui?”

Mi voltai di scatto e trovai il viso di Peter a un centimetro dal mio, gli occhi verdi che mi scrutavano indagatori, e arrossii. Non ero preparata a mentire.
“Guardo il mare.” in fondo era vero.

“Certo. Lo guardi da sola e con gli occhi chiusi?”
Distolsi lo sguardo ma non replicai. Avevo le guance in fiamme e fu persino peggio quando si sedette accanto a me, la spalla che sfiorava la mia.

“Qual è il problema, Wendy?”

“Nessuno.”

“Dimmelo.” eccolo, il ragazzino testardo che conoscevo. Per mia sfortuna, quella sera non avevo né la voglia né il fegato di tenergli testa, perciò mi limitai a chiudermi come un riccio abbracciandomi le ginocchia e a rimanere in silenzio.

Rimanemmo così per qualche minuto senza dire nulla, poi Peter parlò.

“Quando sono arrivato sulla Terra non pensavo di rimanerci davvero. Sono andato avanti e indietro un paio di volte prima di decidermi, ma per me è stato facile perché non avevo nessuno da lasciare.” guardava fisso il mare “Sono stato da solo per un po' e come ogni bambino da solo in una città non ci ho messo molto ad attirare l'attenzione. È così che sono finito in un orfanotrofio e ho conosciuto Jack. Abbiamo fatto amicizia, grazie a lui ho scoperto quello che non sapevo su come ci si comporta a Londra di questi tempi e anche quali fossero le persone da evitare. Io gli ho raccontato la mia storia e del posto da cui provenivo. Mi ha creduto solo quando mi ha visto volare e da allora ci siamo ripromessi di scappare alla prima occasione, in modo che io potessi portarlo sull'Isola. Sfortunatamente dovevo trovare una fata per far volare anche lui, perciò abbiamo passato gli anni successivi alla sua ricerca quelle rare volte in cui uscivamo dall'orfanotrofio. Nel frattempo siamo cresciuti; in un pub, durante una delle nostre fughe, ho conosciuto Emma ed Alexander: scommettevano praticamente su qualsiasi cosa e tre quarti delle volte ci guadagnavano. Ho mostrato loro quello che sapevo fare e raccontato la mia storia, così ci hanno insegnato tutti i loro trucchi in cambio di un viaggio sull'Isola appena ne avessimo avuto la possibilità. Con i nostri guadagni io e Jack ci eravamo stabiliti in una locanda e le nostre ricerche, ora che non eravamo più all'orfanotrofio, duravano più a lungo e diedero i loro frutti perché trovammo finalmente una fata venuta sulla Terra. Così ho conosciuto Cassidy, con cui ho dovuto contrattare per la polvere di fata, e siamo venuti tutti sull'Isola. Ci siamo rimasti tutti per un po', ma poi siamo tornati tutti sulla Terra con una scorta di polvere ciascuno: io a cercare te, gli altri a cercare fortuna. Non ci è voluto molto a trovarti, e così eccoci qua.”

Fissai esterrefatta Peter, troppo sorpresa per capire tutto quello che mi aveva raccontato … Era assolutamente incredibile! Quante cose mi ero persa. Riuscì persino a distrarmi dal dolore per la mia famiglia e i miei fratelli.

“Ora tocca a te raccontare.” guardai i suoi occhi e il suo sorriso e improvvisamente mi sentii davvero grata del fatto che fosse tornato a cercarmi e felice di essere lì. Peter dovette vederlo nella mia espressione perché circondò le mie spalle con un braccio e mi attirò a lui mentre raccontavo gli ultimi anni sulla Terra.

Lì con lui sugli scogli al tramonto mi sentivo a casa.

Spazio autrice: eccovi il sesto capitolo! Non scrivo molto nello spazio autrice perché pubblico molto tardi e ho davvero un sacco di sonno ... Spero che questo capitolo vi piaccia e aggiornerò appena potrò con il prossimo. Mi piacerebbe finire la storia prima dell'inizio della scuola, anche se non so se mi sarà possibile. Nel frattempo, grazie a tutti i lettori che seguono la mia storia, aspetto le vostre recensioni!
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Tornare ***


Capitolo 7 – Tornare

 

Passarono solo tre giorni prima che si presentassero altri tre amici di Peter sull'Isola, tanto che il Grande Albero ormai era pieno di gente. Furono i giorni più divertenti che potessi immaginare, perché diventammo grandi amici con facilità; intorno al fuoco, la sera, si raccontavano esperienze vissute. Io ero quella che aveva meno da raccontare a causa della monotonia della mia, ma adoravo ascoltare i racconti degli altri, che avevano vissuto avventure incredibili anche prima dell'incontro con Peter. Anche quello era stato divertente per alcuni, traumatico per altri, ma in ogni caso era fantastico ascoltarne le storie.

Di giorno c'era chi nuotava nella baia, chi imparava a volare, chi correva nel bosco. Per certi versi eravamo tornati tutti bambini, sebbene per altri non lo fossimo più: insieme a Emma, Cassidy, Jack e Alexander erano arrivati anche Pierre, Sebastian e Kate, che a quanto pare era stata una delle prime a conoscere Peter fuori dall'orfanotrofio, anche se lui non le aveva detto subito il suo segreto.

Loro due godevano di un'amicizia tutta loro, in cui lui scherzava con lei e lei rideva delle sue battute, si spingevano a vicenda giù dalla scogliera e si rincorrevano nella foresta. Cercavo di ripetermi il più possibile di non essere gelosa, ma sapevo di esserlo, e nonostante questo … Cosa potevo dirgli? Io e Peter non eravamo fidanzati e io non gli avevo mai chiesto più di quello che avevamo. Eravamo amici; la presenza di tutte quelle persone sull'Isola dimostrava che lui non aveva fatto nulla di particolare per me portandomi con lui. Gelosa o no, non potevo lamentarmi e in ogni caso il mio orgoglio non me l'avrebbe permesso.

Questo non significava tuttavia che non ci stessi male, perciò continuavo a girovagare per l'Isola più lontano che potevo da loro due e ad ignorare Peter e Kate per quanto fosse possibile. Nonostante i miei sforzi immani per non far trasparire nulla, Peter se ne accorse -vivevamo pur sempre insieme- e parve esserne divertito. In certi momenti accentuava addirittura la cosa o mi punzecchiava e io mi arrovellavo continuamente per capire cosa significasse questo suo atteggiamento; voleva dirmi qualcosa, forse? Non gliene importava? Gliene importava? Non mi ero mai sforzata tanto di capire i pensieri di qualcuno, nemmeno quando mio padre era allegro a tavola e questo portava sempre cattive notizie per me.

A causa delle tante persone presenti, io e Peter finivamo sempre per dormire vicini e la cosa era praticamente insopportabile oltre che imbarazzante, perciò vagavo quasi sempre in giro per l'Isola anche di notte, addormentandomi poi sul ramo di un albero o sulla scogliera. Avevo sempre saputo che Peter mi piaceva, certo, ma non avevo mai pensato che avrei dovuto affrontare la cosa prima o poi o che ne sarei stata gelosa.

Non era giusto. E poi, come diavolo facevo ad ammetterlo? Non potevo. Era impossibile, assolutamente no, mi diventavano rosse le orecchie al solo pensiero. Mi avrebbe presa in giro per chissà quanto tempo e poi avrebbe pensato che io volevo stare con lui … E sì, in effetti lo volevo, ma non ne ero sicura. Non mi ero mai sentita tanto confusa in vita mia, non riuscivo a ragionare. Da cosa si capiva di amare una persona? Nessuno a casa me l'aveva spiegato. L'amore era un optional, visto che in genere i matrimoni erano combinati … Se poi ci si amava anche, oltre a sistemare la questione economica, era sicuramente meglio. Non avevo mai visto nessuno scegliere qualcuno perché lo amava.

In classe con me c'era stato qualcuno che sosteneva di essere innamorato di me, ma non mi ero mai posta il problema di quello che provava … Avevo solo tentato di evitarne i monologhi appassionati il più possibile. E no, non volevo fare un monologo appassionato a Peter.

Mentre la mia mente si contorceva duramente per arrivare alla soluzione del dilemma, conobbi meglio tutti gli altri e scoprii una certa affinità con Pierre e Cassidy; Pierre era un marinaio di grado piuttosto alto e aveva una ventina d'anni, forse di più, mentre Cassidy era una sorta di pianista nomade. Viaggiava, fermandosi di tanto in tanto in giro per locande e osterie a suonare e si guadagnava così da vivere; la ammiravo molto per essere riuscita a trovare una sorta di libertà anche nel nostro mondo nonostante la giovane età. Aveva infatti i miei stessi anni o forse di meno.

Lei aveva conosciuto Peter su un ponte, di notte. Era inciampata e lui l'aveva aiutata, da lì avevano iniziato a parlare e lui aveva deciso di seguirla per un po' in giro per la città e di andare a sentirla suonare. Pierre l'aveva invece conosciuto al porto.

In pochi giorni io, lui e Cassidy passammo più tempo insieme di quanto non ne passassi io con i miei fratelli e, anche se avevano intuito la mia situazione con Peter, ebbero la delicatezza di non parlarne mai.

Mi chiesero di raccontare la mia storia, perciò raccontai loro del mio primo viaggio all'Isola e di come ero arrivata lì anche questa volta. Si dimostrarono entrambi sorpresi a sentire tutte quelle vicende assurde e mi sommersero con un fiume di domande: davvero lì c'erano dei bambini? Dov'erano in quel momento? Ero felice di aver ritrovato Peter? Davvero mi ero dimenticata di lui? Com'era possibile?

Risposi a tutto quel che sapevo rispondere con tutto quello che ricordavo e man mano che parlavamo rimasi sorpresa di quanto mi sentissi … Felice. Per la prima volta da quando ero arrivata sull'Isola mi accorsi del vuoto che si era formato dentro di me e che, malgrado tutto, quel vuoto era una certa solitudine.

I miei giorni lì erano fantastici e meravigliosi, ero libera e mi divertivo ma dopotutto c'eravamo solo io e Peter, e avevo dimenticato come fosse una conversazione con altre persone, conoscerle e lasciarsi conoscere. Era una sensazione piacevole che per un po' mi indusse a chiedermi come sarebbe stato se fossi tornata sulla Terra. Non dai miei genitori, era chiaro, ma solo … Da quelle parti. Magari avrei potuto andare in giro con Cassidy, o navigare con Pierre e forse anche Peter sarebbe venuto con noi, sperando che non lo facesse anche Kate.

Dopo una settimana della loro permanenza, considerai seriamente l'idea di tornare a Londra.

Spazio autrice: cari lettori, mi scuso per la brevità di questo capitolo, ma l'ho scritto piuttosto in fretta e programmo in ogni caso di scrivere qualcosa di meglio nel capitolo successivo. Purtroppo devo anticiparvi che non lo pubblicherò a breve: domani la scuola inizierà anche per me, perciò dubito seriamente che avrò tempo di aggiornare. Questo sarà il mio ultimo capitolo per un po' di tempo, vi prego di avere pazienza e ringrazio tutti quelli che mi hanno lasciato qualche recensione; le leggerò e risponderò volentieri anche se non riuscirò ad aggiornare la storia :)
Nel frattempo, inizio il conto alla rovescia alle prossime vacanze, che spero arrivino veloci, e spero di arrivarci tutta intera.
Baci,
Piuma_di_cigno.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3176550