Warmness on the soul

di LunaMag
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** New place to live. ***
Capitolo 2: *** He is stupid, I know. ***
Capitolo 3: *** Crazy. ***
Capitolo 4: *** Shook me all night long. ***
Capitolo 5: *** Both heaven, both hell. ***
Capitolo 6: *** A spike into my vein. ***
Capitolo 7: *** Full heart...or not? ***
Capitolo 8: *** The truth hurts. ***
Capitolo 9: *** I'll tell it to someone. ***
Capitolo 10: *** Park in the night. ***
Capitolo 11: *** Caos. ***
Capitolo 12: *** What the hell!? ***
Capitolo 13: *** Lost. ***
Capitolo 14: *** Broken ***



Capitolo 1
*** New place to live. ***


Ero su una spiaggia. La distesa di sabbia era enorme, il mare era mosso, e le onde sembravano voler picchiare con forza l’acqua. Il tempo si stava oscurando tutt’ad un tratto, era in arrivo una bufera. Una figura si stava avvicinando a me: era un uomo, con una chitarra elettrica, dei ricci foltissimi e il petto nudo. I pochi raggi di sole rimasti mi impedivano di guardare il suo volto, ma il suo stile era fin troppo riconoscibile: era Jimi Hendrix.  Lentamente aprì la bocca, e parlò:
“Onice, dai, non ti puoi addormentare mentre fai colazione!” 
Mi svegliai, perdendo la bellissima immagine che si era formata nella mia mente. Stropicciai un occhio, guardando in cagnesco mia madre. 
“Mamma, puoi morire male, stavo sognando Hendrix”. Mi guardò con un sorrisetto malizioso.
“Io devo andare a lavoro, puoi cucinare quel che vuoi, ma nel caso tu voglia comprare qualcosa i soldi sono sul mobile del salotto, ci vediamo stasera!” 
Continuai a masticare i cereali, immersa nel mio sogno ormai in frantumi. Mia madre mosse la mano davanti alla mia faccia.
"Oooohh, ci sei? Dai!"
“Va bene, ci si vede!” Lei mi sorrise, e mi lasciò un lieve bacio sulla fronte, poi prese due biscotti e se li portò verso la bocca, raccogliendo le chiavi che le erano cadute e uscendo velocemente di casa.
Stava iniziando un altro anno scolastico, il terzo per la precisione. Avevo delle buone prospettive, dato che avevo superato due anni particolarmente difficili dopo la morte di mio padre. Proprio per questo io e mia madre avevamo deciso di trasferirci, dato che troppi ricordi erano legati alla nostra vecchia casa. 
Tutto era tornato a girare, per fortuna, e anche il rapporto con mia madre andava a gonfie vele. 
Ciò che continuava ad andare storto era l’amicizia, dato che il mio odio verso tutti e la mia diffidenza mi bloccavano e non riuscivo mai a farmi dei veri amici, ma d’altronde non m’importava: l’aver risolto molti dei miei problemi mi faceva sentire già meglio. Ero rimasta sola prima, quindi sarei potuta sopravvivere ancora senza nessuno. 
La sveglia mi fece allontanare dai miei pensieri. Ne impostavo sempre una per ricordarmi di uscire in orario di casa. 
Indossai in fretta una camicia a quadrettoni rossi e neri, e le mie amate vans e uscii.
Avevo già visto dove si trovava la scuola, quindi non mi fu difficile raggiungerla. 
Il mio viso mostrava uno sguardo impassibile, e in realtà un po’ lo ero. Non sopportavo l’idea di trovarmi tantissime persone dinanzi. In realtà non sopportavo l’idea che mi guardassero o parlassero. Ero arrabbiata con il mondo per la morte di mio padre, ma con i ragazzi della mia età più di tutti perché mi avevano sempre messa in ridicolo per i miei gusti musicali e per il modo in cui mi sono sempre vestita. "Sei troppo punk", "Sei una sfigata metallara" mi dicevano.
Qualche settimana prima di partire qualcuno tentò di rallegrarmi dicendomi che la gente di Huntington Beach era molto cordiale, e io speravo con tutta me stessa che non fosse vero, perché l’ultima cosa che desideravo erano persone che sarebbero venute a presentarsi.
Sospirai e aprii il portone, entrando subito. C’era tantissima gente, e moltissime ragazze che indossavano vestiti fin troppo sgarcianti e corti per i miei gusti. Potevo cambiare vita, casa, scuola, ma non ero ancora riuscita a cambiare me stessa. Cercai di chiudermi il più possibile nelle mie stesse spalle, stringendo tra le braccia quei pochi quaderni che avevo portato. 
Nessuno sembrava essersi accorto di me, e quasi per riceverne una conferma, un ragazzo non mi vide, rischiando di cadere a causa mia. Lo guardai arrabbiata, lui si girò spaesato, mostrandomi i suoi bellissimi occhi color cioccolata...o per meglio dire, color nocciola. Si, senz'altro erano color nocciola. Ci perdemmo di vista e in fretta mi diressi verso la presidenza.
Nell’altra scuola ero stata etichettata come “la sfigata”, dato che ero una ragazza diversa, infatti c'erano solo ragazze piene di sé e fin troppo oche per i miei gusti. Quindi essere invisibile non mi dispiaceva affatto, era sempre meglio dell’etichetta che avevo avuto per due lunghi anni. 
Non appena arrivai dinanzi alla porta, suonò la campanella che segnava l’inizio della prima ora. La segretaria mi fece subito entrare.
“Su su piccola, sei in ritardo, la preside ti sta aspettando!” Mi toccò la spalla infondendomi tranquillità.
Bussai.
“Prego.” Sentii dall’altra parte della porta. Entrai senza esitare. 
“Ooooh, Onice, finalmente sei arrivata. Stai facendo tardi il tuo primo giorno di scuola! Seguimi, e tieni questo foglietto, ci sono gli orari e le aule per le materie che stai seguendo.” Mi porse il foglietto e la ringraziai gentilmente. 
Carry era la preside della mia nuova scuola. Era un po’ grassottella, vestita sempre in modo elegante ed impeccabile.  Aveva un’acconciatura un po’ stravagante, ma alla fine era una donna molto gentile. 
La seguii, e mi portò dinanzi ad un aula con su scritto a caratteri cubitari ‘Matematica’. 
Oh perfetto, avrei iniziato la giornata con una delle materie obbligatorie che più odiavo. 
Carry bussò alla porta. “Prof Smith, potrebbe uscire un secondo?” 
Il professor Smith era un tipico insegnante di matematica: sulla sessantina, capelli bianchi (per quei pochi che gli erano rimasti), viso severo e serio e labbra sottili. Soliti pantaloni marroni e una camicia bianca. Nulla di speciale, in poche parole.
“Lei è la nuova arrivata. Si chiama Onice Horlot. La lascio nelle sue mani.” Carry se ne andò, sorridendomi per darmi fiducia, e il porf. Smith tentò di sorridermi, incutendomi un sentimento misto tra terrore e ribrezzo.
Entrammo. 
“Bene ragazzi, questa è la vostra nuova compagna la signorina Harlot”. Ma che cosa stava dicendo? Tutti ridacchiarono sotto i baffi, e io volevo solo nascondermi.
“Horlot, mi chiamo Onice Horlot.” Lo ripresi severamente e trafiggendolo con gli occhi. 
“Oh si, scusate ragazzi. Horlot si chiama Horlot.” 
Ormai il danno era fatto: tutti avevano gli occhi puntati su di me, e non riuscivo a scollarli. Cercai disperatamente con gli occhi un posto, che per fortuna trovai quasi subito. Era in fondo alla sala, quasi all’angolino, il posto più nascosto di tutti.
Passai disinvolta tra i banchi, raggiungendo la mia postazione e sedendomi.  Tutti continuavano a guardarmi, ma per fortuna, qualche minuto dopo, tutti iniziarono a guardare punti indefiniti della stanza. Tutto merito della noia mortale che stava causando il signor Smith.
A questo punto decisi di guardare un pò le persone che c'erano in quella stanza. Ero nell'ultima fila, quindi potevo dare solo uno sguardo approssimativo. 
C'erano dei ragazzi che parlavano, altri che ascoltavano musica, altri ancora che vedevano un film con il cellulare. E poi c'era quel ragazzo con cui mi ero scontrata, che posava di continuo i suoi occhi nocciola nei miei, che sono sempre stati cristallini, come il ghiaccio. 
Cercai di osservare meglio quel ragazzo: aveva i capelli non troppo corti, che gli ricadevano dolcemente sulla fronte, un orecchino a forma di cerchio, un helix, e dei lievi tratti di barba. Indossava una semplice t- shirt e dei pantaloni neri non attillati. 
Nel complesso non sembrava male. Ci guardammo di nuovo,e lui alzò un sopracciglio, mettendo in mostra uno strano sorrisino, e io, per fargli capire sin da subito i miei modi di fare, gli alzai il dito medio, accompagnato da un sorrisino beffardo. Lui mi guardò in modo strano, poi sorrise, girandosi verso due ragazzi con cui stava parlando già da un pò. Poi soddisfatta, mi girai e presi il mio i-pod, che mi permise di ascoltare un pò di musica in santa pace. 


Ormai mancavano pochi minuti al suono della campanella, così decisi di vedere quale altra materia mi aspettava, scoprendo con noia che ne avevo un'altra di matematica. Il sig. Smith ora stava parlando della sua famiglia, ma non riuscivo proprio a capire cosa c'entrasse con la matematica. Sentii la campanella suonare. 
"Ragazzi, ora vi lascio quindici minuti di pausa, devo andare un attimo in presidenza." Tutti tirarono un sospiro di sollievo. Almeno avevamo un pò tempo per scacciare via la noia. 
"mi raccomando non uscite, altrimenti vi chiudo nella stanza." Ci guardò puntandoci un dito contro, poi chiuse la porta dietro le sue spalle, facendo tremare leggermente il vetro sottile. 
Molti si alzarono, raggiungendo così i loro compagni. 
Vidi il ragazzo dagli occhi nocciola venire verso di me, anche se speravo con tutta me stessa che non fosse così. 
Si fermò proprio davanti a me, poggiando la mano sul mio banco. E prendendo il mio ipod ancora acceso.
"Uhm...Walk dei Pantera. Hai buoni gusti." Mi guardò dritta negli occhi, poi riprese: 
"Sai, guardandoti ti immagino un pò Pantera,specialmente a letto. Che ne dici di darmi il tuo numero?" 
No, non poteva essere davvero così squallido. 
"Sono così pantera che il tuo piccolo pisellino non reggerebbe, quindi smamma." 
"Uo uo uo, tu non sai con chi stai parlando. Io sono quello migliore sotto questo punto di vista". Si avvicinò pericolosamente a me. Il suo odore era strano, sembrava quasi odore di Lime, era unito a quello inconfondibile delle mie amate Marlboro Rosse. Sentii una strana sensazione, e quasi per scacciarla deglutii.
"Non sò chi sei perchè non ti sei nemmeno presentato, genio." Lui tornò al suo posto, grattandosi dietro la testa e assumendo un'espressione da bambino, sembrava quasi tenero, e riuscì a farmi sciogliere un pò, così accennai un piccolo sorriso.
"Oh, si è vero, scusami. Mi chiamo Brian Haner, piacere." 
Mi porse la mano, ma io rimasi ferma. 
"Io sono Onice, ma questo già lo sai." Gli dissi quasi ironica.
Lui ritrasse la mano, e si poteva notare lontano chilometri il disagio che gli aveva causato il fatto che non gliel'avessi stretta.
Per fortuna, una ragazza si avvicinò a me e Brian. 
"Brian, cazzo, ma sei sempre il solito! Lasciala in pace, e torna dagli altri!" 
Lui la guardò con fare interrogativo. 
"Haner hai sentito che cazzo ho detto? SMAMMA." 
Bene, questa ragazza già mi piaceva. Aveva i capelli corti da un lato, lunghi dall'altro e con le punte verde acceso. Indossava un collarino borchiato molto simile al mio, e anche per quanto riguarda i vestiti eravamo molto simili. Indossava una maglia a righe, dei pantaloni neri, che coincidenza, avevo anche io, e delle vans.
Mi guardò: 
"Lascialo perdere, è un deficente. Crede di essere il ragazzo più bello di tutti!".
"Tranquilla, non fa niente." Mi sorrise ancora una volta.
"Vado da lui, che sono certa mi vorrà uccidere, se ti và qualsiasi cosa basta chiedere!" Le sorrisi.
"Grazie mille".
"Ah comunque io sono Mars. A presto, spero!" Disse mentre si allontanava.
Va bene, quella ragazza mi stava davvero simpatica. Aveva capito che non volevo nessuno che mi rompesse e ha cacciato quel Brian. Poi se n'è subito andata evitando preamboli. Stavo iniziando a valutare l'ipotesi che saremmo potute diventare ottime amiche. In più aveva uno stile a dir poco bellissimo.
Mentre Brian continuava a lanciarmi occhiatine, arrivo il prof. Smith, per un'altra ora di estenuante e noiosa lezione. 






Bene bene, eccomi qui, come promesso, con un'altra fanfiction :3 
(Che ho scritto per non deprimermi dopo aver letto la scaletta del concerto di domani a cui io non andrò ç.ç Ma l'avete vista?? IMPLODO. è spettacolora ç.ç) 
Tornando a noi...Che ne pensate? :3 
Sono ansiosa di sentire vostre considerazioni :3
A presto c: 

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Capitolo 2
*** He is stupid, I know. ***


Dopo aver subito un'altra noiosa ora dei racconti del professore di matematica, avevo un'altra ora: teatro, per fortuna.
Avevo grandi aspettative su quel corso. La recitazione era sempre stata una delle mie più grandi passioni.
Appena entrata nella sala adibita a teatro, rimasi spaesata dalla grandezza e dalla bellezza di quel posto. Rimasi impalata a fissarlo per qualche minuto, come fanno i bambini davanti ad una barretta di cioccolata formato gigante. Il soffito era altissimo, pieno di ricami dorati e neri, il palco era enorme, con sotto dei grandi e comodi divanetti. Le luci davano un aspetto completamente diverso al tutto, illuminavano come solo il sole alle 12 del mattino poteva fare.
"Proprio per questo teatro ho scelto questa scuola." Mi girai, notando Mars.
"Non sapevo fosse così bello, wow." Ero ancora senza parole. Mars mi sorrise dolcemente.
"Senti Mars, dopo scuola e a pranzo hai da fare? Io sono sola a casa." Prese un'agenda dalla borsa. 
"Uhm". Iniziò a sfogliare le pagine senza nemmeno una macchia d'inchiostro. "La mia agenda è COMPLETAMENTE piena, quindi verrò con te!". Le sorrisi. 
"Posso venire anche io? Così vi dò il dolce!" Esordì Brian spuntando da dietro una poltrona e guardandoci maliziosamente.
Lo guardai in cagnesco, insieme a Mars. Ero stata proprio sfortunata a trovarlo anche nel corso di teatro.
"Tu hai qualche problema serio!". All'affermazione di Mars risi, non molto per quello che aveva detto, ma più per la faccia che fece nel dirlo: un misto tra schifata e inorridita.
Subito si avvicinarono a noi i ragazzi che avevo visto insieme a Brian nell'aula di Matematica. 
"Loro sono Zacky e Matt. Non hanno la stessa testa di cazzo di Brian, tranquilla." Dopo aver detto ciò, Mars si meritò un forte schiaffetto scherzoso da Brian. Matt era un ragazzo molto semplice. Aveva i capelli corti, pieni di gelatina, gli occhi verde smeraldo, un bellissimo sorriso e delle fossette stupende. 
Zacky invece, aveva dei basettoni enormi, gli occhi azzurri, più scuri dei miei, e le guance paffutelle.
"Se io sono testa di cazzo, Zacky e Matt sono froci." Pronunciò altezzoso.
"SSSSSI TESSSSORO" Dissero Vee e Matt atteggiandosi da ragazza e sfiorandosi le guance con le mani.
"VADERETRO SATANAAAA." Urlò Brian allontanandosi e mettendo le dita in modo tale da formare una croce. 
"Passerei qualche minuto da frocio pur di fargli ammettere che è una testa di cazzo!" Disse silenzioso Matt, facendomi l'occhiolino. 
Entrò un ragazzo alto, con gli occhi un  pò più scuri dei miei. Tutti lo salutarono.
"Lui è Jimmy, o Jimbo, vedi tu!" Io accennai un saluto con la mano. 
"Io sono Onice." Rimase a fissarmi, poi gli altri lo tirarono verso di loro, chiedendogli un parere su qualcosa. 
Poco dopo tutti si presentarono dinanzi a me e Mars.
"Bene, vi andrebbe di andare a mare dopo scuola?" Chiese subito Brian.
Mars mi guardò.
"No ragazzi, per lei è il primo giorno, diamole un pò più di tempo per ambientarsi e che cazzo!" Lei rise, insieme agli altri.
"Poi ho delle cose importanti da fare a casa, sarà per un'altra volta." Mi intromisi, ringraziando mentalmente Mars per aver capito al volo. Era assurdo come mi capisse nonostante ci fossimo conosciute da poco più di un'ora.
Brian si avvicinò pericolosamente a me, sussurrando:
"Mmmh, io dico che verrai." Poi mi fece un occhiolino e raggiunse gli amici che se n'era andato. 
-Quel ragazzo è un idiota- pensai. 
Entrò il professore, così ognuno di noi si sedette sui piccoli divanetti che erano sparsi per il teatro.



Io e Mars eravamo uscite da scuola subito dopo aver salutato i ragazzi, e stavamo percorrendo la strada per raggiungere casa mia. 
"Beh, che ne pensi della scuola?" Mars mi sorrise.
"Uhm...non male. Il prof Smith è un rompipalle assurdo, ma cazzarola, il teatro è spettacolare, per non parlare del professore! Somiglia a..." Lei mi interruppe.
"Johnny Depp?" Io annuii, con gli occhi a cuoricino.
"Io lo amo." Dissi subito. 
"Oddio anche io!" Iniziammo a parlare dei suoi numerosi film, e di tutto ciò che riguardasse quell'attore spettacolare.
Parlando e parlando eravamo già arrivate dinanzi al vialetto di casa. Iniziai a frugare nella borsa, alla ricerca dei borsellino in cui avevo messo le chiavi di casa. Lo vidi, così lo presi, ma notai che era fin troppo leggero. Lo aprii, trovandoci un foglietto. Subito lo aprii e lo lessi. 

"Le rivuoi le chiavi? Vieni a mare a prenderle! A mali estremi, estremi rimedi! 
Brian." 


La rabbia e il nervosismo si potevano leggere nei miei occhi. Quel ragazzo era davvero un cretino.
"Mars, portami a mare dai ragazzi." Le dissi ridendo in modo isterico.
"Che è successo?" Le passaii il foglietto.
"Merda...io...Onice, non sò che dire." 
Iniziai a muovermi nervosamente.
"Non dire niente, portami da lui. SUBITO."  
Lei inizò a camminare, la seguii, rimanendo in silenzio per tutto il tempo. 
Non appena lo vidi, accelerai il passo. Lo conoscevo da poche ore e già lo volevo uccidere.


*Brian's P.O.V.*

"Haner come fai ad essere così sicuro che verrà?" Mi chiese Zacky.
"Tu non ti preoccupare, ho i miei metodi." Mi sedetti tranquillo sulla sabbia, muovendo le gambe, nell'attesa di vedere quello scricciolo di Onice apparire nella strada. 
Finalmente la vidi arrivare, notando sin da subito la sua rabbia.
Io mi alzai. 
"Guardate chi viene! Che vi avevo detto?". Risi, mentre parlavo con i miei amici. 
Lei si avvicinò in fretta a me, lasciando Mars più dietro e puntandomi un dito contro.
"TU, EMERITO BEOTA. Come ti sei permesso di mettermi le mani in borsa? E anche di fregarmi le chiavi!". Io le risi in faccia, stringendo la sua vita alla mia.
"Su scricciolo, volevo solo che tu venissi qui." Il suo volto si fece ancora più scuro. Iniziò a dimenarsi tra le mie forti braccia, ma più lei lo faceva, più io stringevo la presa.
"Lasciami, deficiente, ti faccio male!" Urlò lei a squarciagola.
"Brian, smettila!" Disse Jimmy guardandomi storto. 
Onice riuscì a liberarsi un braccio, assestandomi così un pugno, abbastanza forte. Non riuscivo a capire da dove fosse venuta fuori tutta quella forza. 
Subito lasciai la presa. Il labbro mi bruciava leggermente: me lo aveva rotto. 
Lei mosse la mano, probabilmente le faceva male, e si allontanò subito da me. 
"E vaffanculo." Si girò e se ne andò.
Avevo gli occhi dei ragazzi tutti su di me.
"Brian, te la sei proprio cercata...ma che cazzo ti prende? Mi chiese subito Matt. 
"Niente". Io risi ancora una volta e mi sdraiai sulla sabbia, leccandomi il labbro ferito.
"Però smettila, ti sta già odiando." Continuò lui.
"Mh mh." Continuai a rimanere sdraiato, abbandonandomi al relax.




*ONICE P.O.V*

"Io non riesco a capire come mai sia così cretino!" Continuavo a ripetere a Mars, sdraiandomi sul divano, per rilassarmi ancora un pò dopo aver smaltito la rabbia direttamente sul viso di Gates.
"Ma di solito non lo è, credimi." Disse lei seguendomi sul divano e sprofondando nella sua morbidezza.
"Com'è di solito?"
"Non così cretino, questo è sicuro. Lui è serio quando serve, e fa ridere, fa ridere tantissimo. è un fratello, la persona a cui puoi dire ogni tuo piccolo segreto, nella certezza che non svelerà mai nemmeno una virgola di tutto ciò che gli hai detto." 
Sospirai. Probabilmente si comportava così per creare una specie di protezione. Ma perchè? Perchè si sarebbe voluto proteggere da me? Sospirai.
"Comunque il divano è comodissimo." Esordì Mars.
"Si, è una delle cose che preferisco in casa. Cosa vogliamo mangiare? Potremmo preparare delle omelette. Oppure se conosci qualche posto dove si mangia bene potremmo andarci." 
Lei assunse una smorfia pensierosa.
"Uhm..si ne conosco parecchi! Ma c'è n'è uno che ti voglio far provare. Andiamo al greko, è a un paio di isolati da qui." Lei sorrise.
"Perfetto, allora andiamo, ho voglia di ingozzarmi come se non ci fosse un domani!"
Sorridemmo. Scrissi un biglietto a mia madre, avvertendola nel caso non mi trovasse a casa.
Presi le chiavi e i soldi dal mobile.
"Questi sono i tuoi genitori?" Mi disse guardando la foto che si trovava nell'ingresso.
"Si." 
"Tuo padre è davvero un bell'uomo." Sospirai.
"Lo so, gli voglio un bene dell'anima. Anche a mia madre, lei mi è stata molto vicina." Evitai di parlare della morte di mio padre, non mi sembrava il caso.
Tirai la porta e uscimmo: ormai avevo quasi smaltito del tutto la rabbia.




Beeene :3 Rieccomi! 
Vi piace? Spero vivamente di si :3 Mi farebbe tanto piacere sapere delle vostre considerazioni :3
P.s. Oggi c'è il concerto dei metallica, rosico. :c 
A prestoo :3 <3

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Capitolo 3
*** Crazy. ***


Erano le sei del pomeriggio e Mars mi stava accompagnando a casa. 
"Senti, stasera usciamo, ti andrebbe di venire con me e con il gruppo?" Io ero un pò titubante. Mi ero aperta con lei, ma con i ragazzi non ero certa che sarebbe stato lo stesso.
"Ehm, non saprei. Non vorrei lasciare sola in casa mia madre." Le dissi mentendole solo in parte. 
Proprio sulla strada di casa incrociammo mia madre.
"Mamma!" Le dissi subito abbracciandola. "Lei è Mars, segue i corsi di matematica e teatro con me." Mia madre le porse dolcemente la mano, presentandosi, e mostrando il suo volto raggiante di felicità. E sapevo perchè lo era: finalmente mi aveva  vista uscire con qualcuno.
"Allora io vado, fammi sapere per stasera!" Mi diede un bacio sulla guancia, che ricambiai con un pò di riluttanza. Non ero abituata a dimostrare il mio affetto ad una persona che non fosse mia madre.
"Cosa c'è stasera?" Chiese subito curiosa lei.
"Niente, mi ha invitata ad uscire." Le dissi secca, ma con un pò di svogliatezza. Mia madre voleva sempre che uscissi, che facessi conoscenza. Ma io no. Io avevo imparato a stare sola, senza ragazzi della mia età che mi parlassero o aiutassero in qualche modo. Solo con Mars ero riuscita a fare un'eccezione.
"Secondo me dovresti andarci. Lei sembra una brava ragazza." Entrammo in casa. Io rimasi in silenzio, poi mi sdraiai dolcemente sul divano, seguita da mia madre.
Stava per dire qualcosa ma, sapendo che mi avrebbe detto qualcosa in riferimento all'uscita, decisi di anticiparla.
"Come sta andando a lavoro? Ormai sono quasi tre mesi che ci vai." Ero distratta.
"Bene, bene, ma dovrei dirti una cosa." Mi disse guardando un pò più in basso del solito. Avevo un bruttissimo presentimento.
"Cosa?" Iniziai ad utilizzare qualche punta di arroganza nella voce e nei movimenti. 
"Sto andando da un pò a lavoro, e lì ho conosciuto una persona. Usciamo spesso insieme, praticamente da quando ci siamo trasferiti e..."
Continuava a non avere un contatto visivo con me, muoveva spasmodicamente gli occhi a destra e sinistra, in modo tale che non si incrociassero mai con i miei. Questa cosa non mi piaceva. L'ultima volta che ebbe quel comportamento, mi disse che mio padre aveva fatto un maledetto incidente d'auto. 
Lo stesso incidente che lo portò  via da me, per sempre.
"E?" La incitai a proseguire, con i nervi a fior di pelle.
"E, dato che sono tre mesi che va avanti così, abbiamo deciso di fidanzarci."
Sentii una morsa stringermi il petto. Il mio tono divenne severo.
"Così tradisci papà." 
"Ma tesoro, cerca di capire, sono passati due anni, due lunghissimi anni. Anche tuo padre sarebbe d'accordo." Mi accarezzò la gamba, io le spostai bruscamente la mano.
"Lo pensi tu." Mi alzai.
"Dove stai andando?" Mi chiese subito.
"In camera mia, mi devo sistemare: stasera esco." Le dissi secca, stabilendo finalmente un contatto visivo, che lei riuscì a reggere per un secondo scarso.
Salii in fretta le scale, presi il telefono e aprii l'icona di Whatsapp.

"Ciao Mars. Senti stasera ho deciso di uscire. Dove ci vediamo? E a che ora?"

 Mi sdraiai sul letto, nell'attesa di una su risposta che arrivò quasi subito.

"Alle otto passo a prenderti di casa."

Dopo aver letto il messaggio, bloccai la schermata e mi diressi immediatamente sotto il getto tiepido della doccia, che, come sempre, riuscì a tranquillizzarmi. 
Dopo aver finito, asciugai dolcemente il corpo con un asciugamano, che lasciai addosso, come era mio solito fare, dirigendomi poi nella mia stanza.
Indossai un paio di pantaloncini di jeans che avevo modificato, dato che in precedenza erano fin troppo lunghi, un paio di vans nere, e una maglia nera con la scritta glow in the dark. Quella maglia era stata uno dei miei primi acquisti lì ad Hungtinton Beach.
Non ero una brava truccatrice, ma decisi di dare del mio meglio per sembrare apparentemente carina. Quella sera avevo deciso di fare colpo su Brian. Non ero ancora ben conscia del perchè mi fosse venuta questa assurda voglia, volevo solo che lui mi notasse di più, e avrei voluto rifiutarlo, ancora. Poteva sembrare una cosa cattiva, forse lo era realmente, ma la mia sadicità non aveva limiti.
Misi un tratto marcato di matita nera, che facesse risaltare i miei occhi azzurro ghiaccio e poi molto mascara, per far sembrare le ciglia lunghissime. Le labbra le sporcai con un rossetto rosso fastidiosissimo, ma che metteva ancor più in risalto la loro natura carnosa.
Erano ormai le otto in punto, così decisi di scendere. Vidi mia madre vestita benissimo, sistemata e truccata. Erano anni che non la vedevo così. Mi sentii maledettamente in colpa per la sfuriata che avevo fatto poche ore prima.
Lei si fermò appena mi vide.
"Onice, stai benissimo così truccata". Accennò un sorriso, guardando immediatamente il pavimento.
"Non mi compri così. Sono ancora arrabbiata con te. Potevi anche dirmelo prima, forse non mi sarei arrabbiata molto."
La evitai, uscendo di casa. "Ci vediamo stanotte".
Chiusi immediatamente la porta. Mars non era ancora arrivata, così decisi di sedermi subito dopo il vialetto. Ebbi appena il tempo di accendere una sigaretta, poi, vidi la figura della mia amica avvicinarsi.
"Uoooooo, stai benissimo!" Esordì appena la vicinanza tra noi fu tale che potesse vedermi. 
"Grazie, anche tu". 
"Sono contenta che tu sia venuta, stasera andiamo a fare un pò di baldoria in un locale. Si beve, si balla e si rimorchia. Insomma è il meglio!" Cotinuò a dire lei sorridendo. Io annuii. Dopo un pò di isolati percorsi, arrivammo nel parco in cui dovevamo vederci con gli altri. 




*Jimmy's P.O.V.*

Stavamo aspettando Mars. Ci aveva detto che aveva una sorpresa per noi. Non appena la vedemmo arrivare capii immediatamente quale fosse la sopresa: Onice era dei nostri. Era anche più carina del solito, e la faccia da ebete che fece Brian appena la vide confermò tutto. Ci raggiunsero, Brian intanto non si era mosso di un centimetro.
"Chiudi la bocca, che entrano le mosche!" Gli sussurrai. Lui si riprese, più imbarazzato che mai. 
Tutti la salutammo calorosamente, per farla sentire più a suo agio, ma evidentemente ci sbagliavamo, perchè lei sembrava più che rigida. 
Subito ci incamminammo verso il locale, che quella sera aveva il free drink.
Entrammo, sentendo subito la musica riempirci le orecchie. Prendemmo un tavolo, iniziando a parlare.
"Onice, che lavoro fanno i tuoi?". Chiesi subito io, per rompere un pò il ghiaccio. 
"Ehm...mia madre lavora in uno studio, come segretaria. Mio padre era un meccanico."
"Che lavoro fa adesso?" Probabilmente stavo osando troppo. Anche mia madre ormai era disoccupata, e dirlo in giro non mi faceva molto piacere.
"Niente, non può lavorare più. è morto." Ero un emerito cretino. Mi sarei dovuto stare zitto. 
"Ehm...scusami. Davvero." Lei si rattristò un pò. Si, ero proprio un coglione che non si faceva i fatti suoi. 




*Onice's P.O.V.*
"Non ti preoccupare, figurati!" Dissi a Jimmy alzandomi e raggiungendo il piano bar.
"Un sex on the beach" dissi in fretta.
"Fanne due" Riconobbi subito la voce alle mie spalle.
"Io non ho più mia madre, i miei si sono separati da secoli, non è la stessa cosa, ma quasi." Wow, rimasi pietrificata. Da quando quel ragazzo aveva messo in funzione il cervello?
"Brian, tranquillo, è ok." Presi il mio drink e lo bevvi tutto d'un sorso, come si fa con i cicchetti, per intenderci. Mi avvicinai pericolosamente a Syn, gli toccai il braccio.
"Sai, hai proprio una bella pelle." Non gli diedi il tempo di rispondere o reagire, che cercai di allontanarmi, ma lui mi prese per il polso.
"Sai, la tua è bellissima." Non sapevo come liberarmi dalla sua presa, dovevo fare qualcosa, perchè il mio piano era solamente quello di punzecchiarlo. Così ebbi un'illuminazione: gli diedi un lieve e velocissimo bacio a stampo.
Lui rimase sbigottito, non se l'aspettava, quindi lasciò la presa, così mi diressi in fretta verso la caotica pista da ballo, lasciandolo in balia della confusione.

Iniziai a ballare, e quasi subito due ragazzi mi vennero vicino, assecondando i miei movimenti, e facendo aderire la loro pelle alla mia.
Il calore iniziava ad invadere i nostri corpi, poi uno di loro iniziò a parlare.
"Non ti ho mai vista qui, di dove sei?" La musica faceva capire ben poco, ma perfortuna sapevo leggere il labbiale.
"Mi sono trasferita da poco." Lui annuì, poi mi fece capire che per parlare sarebbe stato meglio spostarsi in un posto un pò meno caotico.
Lasciammo il suo amico lì, che intanto era riuscito ad avvicinarsi ad un'altra ragazza.
"Comunque sono Simon, piacere di conoscerti!." Gli diedi la mano. 
"Onice, piacere mio." 
Ora riuscivo a guardarlo meglio. Aveva dei lunghi capelli ricci che gli scendevano sulle spalle, cinque buchi alle orecchie, e degli occhi marroni chiari, ma intensi.
-Onice,non perdere tempo a parlare, agisci, per una cazzo di volta nella tua vita, agisci!- Pensai.
Immediatamente lo baciai, sperando in una sua reazione positiva. E così fu, infatti mi spinse sul muro che era proprio dietro di me, ed iniziò a baciarmi con passione. 
Ringraziai il mio cervello almeno 500 volte in quegli istanti. Aprii gli occhi, e vidi Brian in lontananza che ci fissava, con lo sguardo di uno che è appena stato tradito. 
Simon iniziò ad allungare le mani, io lo lasciai fare. Dopo un pò mi risultò parecchio noioso perdere tutta la serata con quel ragazzo, quindi inventai una scusa, ci scambiammo i numeri di telefono e tornai al tavolo. 
Brian sembrava essere depresso. Gli toccai le spalle, mi avvicinai al suo orecchio sussurrando:
"Tutto ok?" Mi ignorò completamente. Mi sedetti accanto a lui.
"Che cazzo ti prende?" 
"Un insieme di cose." Merda, forse mi ero comportata un pò da stronza con lui, e forse era anche il momento sbagliato. Dei lievi sensi di colpa inziarono a spuntarmi nel cervello.
"Vieni fuori." Gli dissi senza pensarci. 
uscimmo dal locale, allontanandoci, e sedendoci sulla panchina più vicina.
"Su sputa il rospo, non farti pregare."  
"Mio padre mi ha detto da un pò che si è fidanzato." Silenzio tombale. Lo capivo, lo capivo fin troppo bene.
"Non riesco a farmene una ragione, in più prima mi baci, poi ti devo pomiciare allegramente con quel tipo,lo stesso che mi ha fregato la ragazza l'anno scorso." -Merda, sono una cogliona- Pensai subito. Lo guardai neglio occhi,lo abbracciai. -Da quando abbracci qualcuno, Onice, da quando?-
"Ti capisco, anche mia madre si è fidanzata, me l'ha detto oggi." Mi staccai da quell'abbraccio, che stranamente non mi dispiaceva.
"Scusami per il fatto del tipo,non sapevo.."
"Sh, tranquilla, non fa niente." Ci furono altri momenti di silenzio, imbarazzante. Non avevo idea che Brian potesse star male. Dovevamo assolutamente cambiare discorso, in più volevo approfondire la conoscenza con lui, probabilmente mi sarebbe potuto essere simpatico, se avessi dimenticato l'approccio che aveva avuto con me all'inizio.
"Su dai, non ci pensiamo, in fondo le vite sono le loro, e se hanno deciso di trovare dei compagni, forse è giusto che sia così. Cosa fai nella vita oltre che rompere le palle alle ragazze e abbordarle?" Lui rise, cazzarola, aveva davvero un bel sorriso. -Onice,  che diavolo stai pensando?- 
"Suono la chitarra, fumo e boh, amo fare stronzate." Di nuovo quel dannato sorriso. Ci guardammo,,il suo sguardò si illuminò poi lui riprese.
"Io amo le caramelle gommose, a te piacciono?"
"Certo che si,le amo!" Il suo sorriso aumentò di volume.
"E sai che adesso mi sta venendo in mente una bella, anzi bellissima stronzata?"
Io lo guardai, sorrisi. 
"Vieni, seguimi." Senza esitare mi affiancai a lui, camminammo per un pò, poi ci trovammo dinanzi ad una struttura enorme. 
"Questo è il centro commerciale, non ci sono le guardie notturne, ma occhio ai sensori, se si attivano la polizia sarà subito qui." Annuii, continuando a seguirlo. Iniziò a guardare la rete, trovando un punto in cui era rotta. Entrammo, dirigendoci subito verso una specie di sfogo del condotto d'areazione.
Lo percorremmo, fino a che non ci portò proprio all'interno del centro commerciale,nel negozio di dolciumi. Mi sorrise, l'adrenalina stava iniziando a circolare nel mio corpo, non mi ero mai messa talmente tanto in gioco. 
"I sensori sono quei puntini rossi" Annuii. 
Quel negozio aveva tutti i tipi di caramelle, e appena iniziammo a vederle, sembravamo essere tornati bambini. Assaggiammo tutte quelle che il nostro stomaco potette concederci, scherzammo e ci divertimmo come non mai,poi pieni come maiali, ci dirigemmo al gabbiotto, dove c'era la cassa.
"Fra poco devi correre, preparati." Senza che mi facesse dire una minima parola, sfondò con il pugno il vetro, prendendo più soldi che potette. L'allarme scattò, e in fretta tornammo nel condotto, chiudendolo e cercando di non far capire che eravamo entrati da lì. Il cuore mi stava per uscire dal petto, percorremmo a gattoni tutto il condotto, più in fretta che mai, e uscimmo, sentendo già le sirene in lontananza.
"Corri, se gli sbirri ti prendono sono cazzi!"
Brian scavalcò un cancello, io lo seguii. Eravamo entrati nel parchetto. Ci sedemmo dietro dei cespugli.
"Divertita?" Io gli tirai un pugno sulla spalla.
"Cazzo, ma avvisami, mi stava per prendere un infarto!" Mi fece una linguaccia, poi iniziò a contare i soldi.
"Bene, questa volta sono 250." Me ne porse la metà.Lo guardai interrogativa.
"Sei stata mia complice, tieni!" Li presi, e non sapendo dove metterli, li misi nella coppa del reggiseno, in modo da nasconderli.
"Mmh, bel nascondiglio." Fece un sorrisetto malizioso.
"Dai, adesso andiamo, usciamo dall'altro lato, così ti accompagno a casa." Mi diede una mano per alzarmi, e sempre silenziosamente, cercammo di raggiungere l'altro lato del parco. La polizia era ancora lì, e stava perlustrando la zona.
Scavalcammo, la strada di casa non era lontana, e continuammo a parlare del più e del meno per tutto il tragitto. Arrivammo dinanzi al cortile,vidi la macchina, il che significava che mia madre era già tornata.
Guardai l'orologio, erano le due e mezza. Il tempo era volato.
"Per essere la mia prima uscita qui è stata divertente". Ammisi, portandomi una marlboro rossa alle labbra.
"Non ci credo, fumi anche tu le red?" Mi guardò sbalordito. "Qui non le fuma quasi nessuno!" disse, poi sorrise.
Accesi la sigaretta. 
"Credo andremo molto d'accordo ragazza!" Esordì Brian. 
"Mh, può darsi." Lo guardai sorridendo e continuando a fumare la sigaretta.
Intanto un messaggio di Mars fece vibrare il telefono.

"Ma dove cazzo siete finiti? Mi devo preoccupare? Se ti sta dando fastidio gli vengo a tirare un pugno sul naso!"

Feci leggere il messaggio a Brian, che scoppiò in una sonora risata.

"Tranquilla, è tutto ok, mi ha riportata a casa. Grazie della serata, ci vediamo più tardi a scuola!"

"Aaaah, che carattere che ha quella ragazza!" Passò giusto il tempo di finire di parlare e di terminare la sigaretta che ci salutammo. Gli diedi il mio numero che gentilmente (si, stranamente quel ragazzo era anche gentile) mi aveva chiesto ed entrai a casa.
Subito mi cambiai, e sfinita mi buttai sul letto.
Era stata una giornata intensa, avevo inziato a scoprire il vero Brian, e ne ero più che entusiasta. Il telefono vibrò.


"Ci si becca domani a scuola, se vuoi, noi ragazzi e Mars ci vediamo una mezz'oretta prima al bar 'Sylos'. Spero di vederti lì, grazie per la serata. [se non l'avessi capito sono Brian].


Non ne capii nemmeno il perchè, ma appena lessi quel messaggio sorrisi. Forse avevo trovato i ragazzi giusti con cui condividere il mio tempo.

"Allora ci si becca al bar, ciao!" 

Sorrisi, cadendo subito in un sonno profondo.






E bene si, dopo essere sparita sono tornata. Mi scuso per il madornale ritardo, ma sono stata un mese fuori casa e dopo aver avuto un sacco di impegni, sono tornata :3 (per vostra sfortuna *risata malefica*).
Coooomunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se mi sembra un pò lungo.
Mi raccomando, non siate timidi, fatemi sapere che ne pensate! Sono mooolto curiosa di ricevere pareri, e ovviamente anche consigli :3
Un bacio, ma farò viva il prima possibile. :3

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Capitolo 4
*** Shook me all night long. ***


Mi alzai lentamente dal letto, notando di essermi scordata di togliere il trucco, ormai spalmato in maniera disomogenea sulla faccia.
Presi una salvietta struccante, e me la stofinai sulla faccia. -Quanto cazzo mi ero truccata ieri sera?-
"Onice, la colazione è pronta!"
Scesi un paio di scalini, poi dissi: "Faccio colazione con degli amici, tranquilla." Ripensai alla litigata del pomeriggio precedente. Mi sentivo un pò in colpa. Tuttavia, riuscivo a provare anche un pò di sdegno. Come poteva tradire papà così? Erano passati due anni,è vero, ma erano volati, ricordavo perfettamente quel maledetto giorno,come se fosse stato recente.
Mi tolsi il pigiama, mi lavai velocemente.
Indossai i jeans, la catena, un maglia nera e un giacchetto in maglia verde militare. Mi misi le calze e le vans.
Scesi lentamente le scale,decidendo a quale dei miei due sentimenti dare sfogo.
Mi sedetti accanto a mia madre.
"Rimani ferma. Ho da dirti delle cose." Lei rimase impassibile. "La situazione non mi piace molto. Mi sembra un tradimento, lo sai. Ma ho visto come sei tornata a curarti, ieri sera, ed ho rivisto la mamma bella e felice che ho sempre avuto. Ti voglio bene e non voglio perdere anche te. Per questo proverò ad accettare la cosa. Ma lo faccio solo per te."
Non disse nulla, mi abbracciò. Il suo abbraccio era caldo, amoroso. Non si poteva fare a meno di ricambiarlo.
"Sei sempre stata molto matura, cara. Ti voglio bene." Le sorrisi.
"Beh, basta con le smancerie, mi sganci i soldi?" Ridemmo. Si alzò, aprì il borsellino, porgendomi i soldi. Le diedi un bacio ed uscii.
Chiamai Mars.
"Io vi raggiungo al bar, ma non ho idea di dove sia, quel cazzone di Brian non me l'ha detto."
"Casa mia è poco lontana dalla tua, rimani lì, tra qualche minuto sono da te." Attaccai, mi accesi una sigaretta e attesi. La sigaretta di prima mattina era un rituale a cui non potevo rinunciare: mi rilassava e mi aiutava ad affrontare la giornata.
Poco tempo dopo, vidi arrivare Mars.
Il bar era quasi di fronte la scuola, e appena prima dell'ingresso, trovammo Vee, Matt, Jimbo e Brian. Entrammo, adocchiando subito un perfetto tavolo con sei posti, distribuiti per tre: io mi misi tra Brian e Jimbo, Mars, tra Vee e Matt.
"Ma che diamine di fine avete fatto ieri sera?" Disse Matt ammiccante.
"Testa di merda, l'ho portata al centro commerciale" Rispose Brian notevolmente imbarazzato.
"Aaah, quindi ormai sei dei nostri. è una sorta di rito, ogni persona del nostro gruppo si è introdotta lì fregando. Bene, a pranzo puoi sederti ufficialmente nel nostro tavolo." Disse Matt con aria altezzosa, ma allo stesso tempo scherzosa.
Fu una colazione veloce, ma divertente, poi, in fretta, entrammo a scuola, dividendoci.
Notai con piacere che Jimbo sarebbe rimasto con me nell'ora di Italiano.
"M-mi dispiace per ieri sera,i-io.." Lo interruppi. "Non potevi saperlo, tranquillo."
La mattinata ed il primo pomeriggio passarono in fretta, e con mio sollievo, ancora nessuno, oltre il branco, mi aveva notata. Ci ritrovammo fuori scuola.
"Beh che si fa stasera?"
"Falò sulla spiaggia? Tanto domani non c'è scuola." Rispose Mars.
"Ottimo, Onice, sei dei nostri?"
Esitai. Non vorrei dire che non mi avrebbe fatto piacere partecipare, ma non avrei voluto lasciare mia madre da sola, di notte. Rimasi qualche secondo ferma nei miei pensieri.
"Onice?" Mi squadrarono.
"Non lo so." Risposi secca, con qualche tono di indecisione.
"Se non ti va tranquilla, alla fine ci conosci solo da un paio di giorni." Proclamò imbarazzato un comprensivo Vee.
"N-no..è che..parlo con mia madre e vi faccio sapere."
Tornai a casa con Mars, perchè la strada era bene o male la stessa.
Aprii la porta, notando che mia madre era già in casa.
"Ciao mamma."
"Ciao cara, com è andata a scuola? Stasera esci con i tuoi amici?" Mi chiese avvicinandosi e lasciandomi un dolce bacio sulla guancia.
"Tutto bene, riguardo stasera..beh non lo so. Fanno un falò sulla spiaggia, tutta la notte." Sottolineai queste ultime parole.
"Aaah che belli i falò! Beh allora dovrai portarti un telo!" Rispose felice come una Pasqua. E come biasimarla: erano due anni che non uscivo con un nessuno, che rimanevo chiusa in casa, ed in maniera analoga con me stessa.
"In realtà pensavo di non andarci. Non voglio lasciarti sola.."
"Ma non è un problema!" La guardai severamente.
"Ma chi vuoi prendere in giro? Non ti lascerei mai da sola di notte."
"Ma posso non essere sola, mi basta avvisare qualcuno.." azzardò lei. Ed io compresi al volo. Avrebbe chiamato il suo ragazzo. Ribrezzo. Tentai di scacciarlo, in fondo se lei stava bene, per me non ci sarebbero dovuti essere molti problemi.
"Va bene, ho capito, ci vado, tranquilla." Iniziai a salire le scale. "Lui non deve assolutamente entrare nella mia stanza e/o toccare le mie cose. Sappilo. Me ne accorgo,eh."
"Tranquilla tesoro" Un sorriso le si stampò sul volto.
Dormii un pò, preparai tutto e, sempre con Mars, mi incamminai per raggiungere il luogo del falò, a me sconosciuto.
Mano a mano che camminavamo, ci allontanavamo sempre più dai centri abitati.
Pian piano iniziai a vedere i ragazzi, ma altre persone erano con loro. Il che mi turbò, parecchio. Mi sentivo come se fossi entrata in un labirinto e fossi finita in un vicolo cieco. Non volevo avere niente a che fare con altre persone.
Riconobbi subito Jimmy dalla sua altezza, mi tolsi le scarpe e continuai a camminare, calpestando la fresca e morbida sabbia.
"Io continuo a dire che il falò rovinerebbe il buio." Così dicendo, si allontanò verso uno scoglio, da solo, tritando un pò d'erba per la sua canna.
Aveva parlato un ragazzo alto, capelli lunghi,barbetta incolta.
"Lui è Paul." Disse Jimmy. "Non ama molto la compagnia." Alzò le spalle e si girò, prese qualcosa da una cassa di ghiaccio e me la porse, aprendola con i denti: era una birra. La guardai
"Mmh. Alta fermentazione, importata, Franziskaner. Ottimo". La presi, iniziai a bere e sorrisi.
"Vedo che te ne intendi.." Gli feci un occhiolino e tornai dai Mars, sentivo il suo sguardo seguirmi.
Salutai quelli del gruppo, poi mi sedetti in disparte, portandomi dietro qualche altra birra.
"Sai che ai falò si sta tutti insieme?" Brian si sedette accanto a me.
"Si, ma c'è troppa gente e non mi va." Ci fu silenzio per un paio di secondi. Porsi una birra a Brian.
"Non ci sto credendo, ti sto passando una birra, mentre fino a qualche giorno fa ti odiavo. Quant è assurda la vita, eh?" Ridemmo.
"Si, sono un coglione all'inizio." Fece spallucce. "E non solo..."
Si fiondò su di me, ed inizio a solleticarmi i fianchi.
Odiavo il solletico, odiavo il contatto fisico, nonostante ciò mi risultava impossibile non ridere.
"Br..ian..la..sciami" Urlavo. Si fermò, bloccandomi i polsi.
"Aaah. Sei una merdaccia, ti odio. Lasciami. Ora. Giuro che ti mordo." Gli morsi il braccio, liberandomi.
"Lo scricciolo vince due a zero Bri". Urlò Matt. Io iniziai a correre il più lontano possibile da lui, non sopportavo le persone che si prendevano troppa confidenza. -Sono stata una stupida nel pensare che avesse un briciolo di cervello-.
Appena notai che la distanza tra me e quel cerebroleso fosse parecchia, mi sedetti, con le mie altre bimbe, bevendole una dopo l'altra.
Dopo un pò, una figura si avvicinò.
"Ti serve qualcosa per sbollentare la rabbia?"
"Chi diamine sei tu?" Risposi.
"Poco acida eh? Ho qualcosa che può fare al caso tuo." Sospirai diffidente. -Tutti a me rompono le palle-.
"Sputa il rospo. Ho poca pazienza, spicciati." La mia rabbia aumentava.
Percepivo i miei nervi in tensione, i muscoli nello sforzo di non mandare male due persone in soli dieci minuti.
"Ho della roba buona, cose che ti fanno stare in pace con il mondo." Silenzio. "Posso darti la meth, la coca o l'ero".
Deglutii. Che cosa avrei dovuto fare? Avevo bisogno di qualcosa per calmarmi, questo era certo. -Non potevo rimanere a casa? Merda.-
"E se l'ero mi uccidesse?"
Lo sconosciuto iniziò a ridere. "Una spada, una sola, non ha mai ucciso nessuno." Forse aveva ragione. -Una sola. Non toccherò più quella merda.-
"Non ho soldi, come te la pago?"
"Il primo quartino te lo offro" Iniziò a cercare qualcosa nelle sue tasche.
"Sarà il primo e l'ultimo." Risposi decisa.
"Si,si. Se hai bisogno di me mi troverai qui fra una settimana esatta."
"Non avrò bisogno di te." La uscì. "Vena?"
"Come vuoi, ma voglio una siringa pulita." Aprì il pacco di una piccola siringa davanti ai miei occhi, mise delle gocce di non so cosa in un cucchiaino e ci aggiunse il quartino di roba, poi riscaldò il cucchiaino e l'aspirò con la siringa.
Gli porsi il braccio, mi sentivo agitata. Il cuore mi danzava nel petto. Afferrò il braccio con forza, usò la sua stessa cinta come laccio omeostatico. La siringa entrò nella vena, la sentivo. Aspirò ed il liquido divenne rossastro in un secondo, poi lo spinse nel mio corpo.
Sentii un piacere immenso. Mi rilassai all'istante e mi stesi sulla sabbia. Sentivo orgasmi percorrere tutto il mio corpo. Tutta la tensione e l'ansia del mio corpo si erano totalmente liquefatte: che sensazione stupenda.
Il poco freddo che sentivo fino a pochi isanti prima era del tutto svanito.
Il ragazzo mi girò di lato e se ne andò.
Dopo pochi minuti fui quasi in grado di alzarmi senza cadere. Mi sentivo calma, rilassata.
Raggiunsi gli altri. Ero stranamente ed incomprensibilmente soddisfatta, mi sedetti vicinoad altre persone, ma la cosa non mi tangeva, provavo un forte senso di distacco verso quello che succedeva fuori di me, ero troppa concentrata sulla parte interiore.
Sentivo pian piano sempre più calore,oltre alla secchezza della bocca.
"Scricciolo, che hai?" Mi guardò stranito Jimmy.
Lo ignorai, le sue parole mi raggiungevano sottili, erano così facili da infrangere.
Presi una birra, la bevvi. Iniziai a sentire lo stomaco in subbuglio. Mi allontanai lentamente e vomitai dietro uno scoglio.
Mi ci sedetti vicino e rimasi sdraiata,continuavo a sentire un forte senso di pace.
"Ti sei ubriacata eh? Pensavo reggessi di più, scricciolo. Resto a farti compagnia." Si sdraiò accanto a me, di fianco, proprio come me.
Dopo i primi effetti iniziai a provare apatia e spossatezza, quindi mi addormentai, con gli occhi di Jimmy che mi fissavano.


Chiedo umilmente perdono per l'immenso ritardo, ma prometto che d'ora in poi sarò più presente, mi è tornata l'ispirazione. Fatemi sapere cosa ne pensate! A presto c:

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Capitolo 5
*** Both heaven, both hell. ***


I primi raggi del sole mi svegliarono. Il mio naso era a pochi millimetri di distanza da quello di Jimmy, ed io ero avvinghiata a lui in un abbraccio. 
Alzai la testa, sconcertata, vedendo Brian fissarmi e fumare. 
"Vedo che ti piace Jimmy, eh?" Che fosse geloso?
Non ebbi nemmeno il tempo di rispondergli, che dei coniati di vomito presero il sopravvento. Corsi nel primo posto nascosto, vomitando ancora. Guardai il quasi impercettibile buchetto sul braccio, riuscendo, con molta fatica, a ricordare il piacere che una spada era riuscita a procurarmi. 
Iniziai a sentire forte prurito ovunque, ed in maniera davvero esagerata sui polpacci. 
Iniziai a grattarmi in continuazione. 
"Io vado a casa, salutami gli altri appena si svegliano".
"Aspetta". 
"Dimmi." 
"Ti accompagno. Cioè, se ti va..non voglio farti andare da sola in giro così presto." Sorrise. Maledetto sorriso. 
Camminammo e parlammo un pò. Stranamente, i suoi modi di fare non mi infastidirono. 
"Perchè continui a grattarti?" -Inventa una scusa, inventa una scusa-.
"Ehm..La sabbia! Si...cioè, deve avermi fatto irritazione." Mi grattai la testa.
Accesi una sigaretta con disinvoltura e poco dopo arrivammo a casa. 
"Grazie della compagnia." Gli dissi.
"Grazie a te." Mi diede un bacio sulla guancia.
Nonostante il vomito ed il prurito, la bellissima sensazione che avevo sentito la sera prima, seppur più lieve, mi rimase dentro.
Appena entrata a casa vidi mia madre in pigiama ed un uomo di spalle, anch'egli con un pigiama. 
Il sorriso di mia madre si spense. Io ignorai entrambi, stavo troppo bene persino per poter provare rabbia in una situazione come quella.
Lei, comunque, mi raggiunse in camera. 
"Scusami..non pensavo tornassi così presto." Abbassò la testa.
Io sorrisi, continuando a rimanere in quello stato di pace ed imperturbabilità. 
"Tranquilla mà, non è un problema. Non mi ha dato fastidio. Ora mi lavo e poi dormo un pò." Lei sorrise,si girò, e torno felice da quell'uomo. 
Non sentivo la necessità di dirle quello che era successo la sera prima. Non sentivo la necessità di dirlo a nessuno, in realtà: sarebbe stato il mio piccolo segreto.
I giorni successivi sentii la vita andarmi meglio. Non odiavo più la gente, camminavo disinvolta, passavo il tempo con i miei amici e tutto filava liscio come l'olio. Era come se quell'input, o meglio, quell'estremo piacere, avesse risvegliato un pò di voglia di vivere in me.
Riuscivo persino ad andare d'accordo con Brian, così, dopo suo esplicito invito, all'incirca sei giorni dopo il falò, accettai di vedermi da sola con lui, tanto per perdere un pò di tempo.
Andammo in villa, che, in orari come quelli, era totalmente deserta. Vedemmo un uomo in un angolino, sdraiato, con una siringa proprio accanto a lui. Sembrava uno scheletro vivente. Era una futura vittima dell'eroina, ne ero certa.
-Non farò mai quella fine.- Continuavo a pensare decisa. Dopo pochi istanti ci sdraiammo sul prato fresco e ben mantenuto. 
-Nel mio corpo circola la stessa merda che ha quel tipo. Non la toccherò mai più.- 
Era la prima volta che raggiungevo ragionamenti del genere, da quando mi ero bucata. 
Come poteva, qualcosa che era riuscita a farmi stare così in pace con il mondo, uccidere così?
"A che pensi?" Mi disse lasciando lo sguardo fisso al cielo.
"Nulla di importante." Mentii, continuai a tenere gelosamente con me il mio segreto.
Haner che si preoccupava di ciò che pensassi. Haner che mi chiedeva se mi piacesse Jimmy. Haner si comportava in modo strano e, negli ultimi tempi, non si era portato nemmeno una ragazza a letto. Tutto, nel complesso, mi risultava davvero strano.
"Perché mi hai chiesto se mi piacesse Jimmy, dopo il falò?" Gli chiesi senza pensarci. Quelle parole mi uscirono naturali, come il sangue dopo una sbucciatura.
Dopo qualche istante, in cui Syn sembrò parecchio inpanicato, rispose: "Perché eravate praticamente appiccicati." Contrasse la mascella.
Girammo simultaneamente la testa, incrociando gli sguardi.
"E ti dava fastidio la cosa?" Lo sfidai, con un sorrisetto beffardo.
Lui mi saltò addosso, si mise cavalcioni su di me. Quel contatto, per la prima volta, non mi disturbò. Lo lasciai fare. -Che ti prende, ragazza? Perché lo lasci stare così?- Il mio cervello continuava a rendersi conto di quanto tutto fosse strano.
Si avvicinò pericolosamente a me, lasciandomi un forte bacio sulle labbra, poi si staccò di pochi millimetri. Riuscivo a sentire il suo fiato, infranto sulla mia pelle delicata.
"Tremendamente." Ammise silenziosamente, con uno sguardo malizioso che mi faceva andare su di giri. Prima che potessi rendermene conto, gli ormoni presero il sopravvento. Capovolsi la situazione e le spalle di Brian rimasero in pieno contatto con l'erba.
Iniziai a baciarlo con passione, probabilmente la droga aveva risvegliato qualcosa in me...o forse stava iniziando ad abbattere alcune barriere.
Sentii subito la sua erezione, nascosta non bene dai vestiti, premere su di me. 
Passai la mia mano su quella protuberanza, con lieve pressione, raggiungendo la parte più bassa del cavallo dei pantaloni. I suoi occhi mi fissarono intensamente, quel nocciola si voleva quasi insinuare nel mio azzurro puro. Ebbi la strana sensazione che con un solo sguardo, fosse riuscito a leggermi dentro, raggiungendo anche i meandri più nascosti e bui della mia anima.  
Improvvisamente mi fermò. "Vieni con me". 














Quella fu la prima volta che vidi la sua stanza. Ma mi importava ben poco. Appena entrati, mi avvicinai a lui, lo spinsi sul letto, e ripristinai la situazione precedente. Gli lasciai dei succhiotti ben visibili sul collo, che ben presto divennero di un intenso viola.
Lui mi toccò dolcemente i capelli, spostandomi una ciocca dietro l'orecchio.
"Sei bellissima." Mi squadrò. Il mio cuore perse un battito. Brian sapeva anche essere dolce. 
Gli tolsi la maglia, osservando per la prima volta il suo fisico, che mi risultò attraente. Lo accarezzai,poi pian piano scesi verso la sua erezione. Lui intanto continuava a toccarmi i seni, scorrendo poi verso i fianchi. Mi tolsi i pantaloni, poi gli abbassai la zip. Lo feci entrare nel mio intimo, con lentezza. 
Brian schiuse le labbra, strozzando in gola dei gemiti. Io continuai a muovermi piano, in maniera stabile. Mi piaceva vedere come cercasse di non dimostrare quanto mi desiderasse. Ma non ci riuscì. 
Prese il mio piccolo bacino con le sue forti mani, iniziando a dare un ritmo sempre più veloce. 
Quella sembrava una delle migliori scopate che avessi mai avuto in vita mia.
Sentivo qualcosa di diverso, con lui. Sentivo che ad ogni sguardo le nostre anime si sfioravano, creando scintille così forti che avremmo potuto fermare anche il traffico di New York.
Poco dopo, raggiungemmo entrambi l'orgasmo, dopo di chè, lui mi lascio un bacio passionale e caloroso.
Appoggiai la testa sul suo petto, ed iniziai a rilassarmi, mentre lui mi accarezzava i capelli.
Mi lasciò un lieve bacio sulla fronte: un brivido si insinuò nelle mie membra.













Era ormai passata una settimana dal falò, era già pomeriggio e stavo raggiungendo il mio posto nell'aula di matematica, in cui ero arrivata in anticipo. 
Poco dopo, si sedette Mars accanto a me, raccontandomi di quello strano ragazzo con cui sta iniziando ad uscire.
Entrò Brian. 
"E niente, alla fine ci siamo presi una birra..." 
Mi fissò con quel suo sguardo penetrante.
"...e poi siamo stati sulla spiaggia..."
Mi sorrise, senza staccare i suoi occhi dai miei. -Onice, che ti prende?-
"...Onice, mi stai ascoltando?". Mi ripresi.
Brian, si sedette al suo posto, più vicino alla cattedra rispetto a me.
"Oh si, si, scusami." Lei riprese a raccontarmi la sua ultima avventura, non nascondendo qualche nota di un sentimento strano, un sentimento che mai avrei voluto provare: l'amore.
La lezione risultava noiosa, come sempre. -Cazzo, devo farmi una pera.- Pensai all'improvviso.
-Ma cosa mi salta in mente?- Il mio pensiero continuava ad andare all'eroina. Volevo continuare a stare bene, ad avere la stessa voglia di vivere che, da una settimana a quel giorno, mi aveva sopraffatta.
Magari sarei potuta andare da quel tipo, in spiaggia, dato che ricordavo perfettamente il fatto che quella stessa sera l'avrei potuto trovare lì, avrei potuto comprare un quartino e tenerlo, facendomi solo una volta al mese.
In fondo che male c'era nel farlo una volta al mese? Non sarei diventata fisicamente dipendente, e non mi sarei ridotta come qualche morto che cammina che si vedeva in giro. 
-Si, una volta al mese non dev'essere sbagliato-. E così, sopraffatta dall'estrema noia della lezione, presi la decisione che avrebbe cambiato il mio futuro, permettendomi si abbozzare nel terreno qualcosa che somigliasse ad una fossa, con le mie stesse mani. 










Salve a tutti, come promesso sono tornata presto. Attendo con ansia vostri pareri e considerazioni attraverso le recensioni, per migliorare.
Spero di vedervi numerosi anche al prossimo capitolo, ma ancora di più, spero che la piega che sta prendendo la storia sia gradita.
A presto cari. c:

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Capitolo 6
*** A spike into my vein. ***


*Brian's P.O.V.*

Appena quella lezione fu finita, mi avvicinai ad Onice, che sembrava sommersa nei suoi pensieri. Era bella, come sempre, ed era fottutamente attraente. 
Il solo guardarla mi faceva pensare alla bellissima scopata che c'era stata tra noi il giorno prima, ed i miei ormoni, ma non solo quelli, iniziavano a svegliarsi. Scacciai ogni fantasia fuori dalla mia testa.
"Ho bisogno di parlarti, ti va se ci vediamo stasera, da soli?" Puntai i miei occhi nei suoi, estremamente cristallini, e mi persi. Era come se in quelle due piccole orbite ci fosse un oceano. 
"Certo, ma non posso fare troppo tardi." Fece una breve pausa di silenzio, poi mi scrutò. "Hai finito di fissarmi? Mi metti angoscia." Fece una piccola risata nervosa, e si passò una mano tra i capelli. 
Tutt'ad un tratto divenni bordeaux, e sentii le orecchie quasi bruciarmi. Da quando una ragazza mi faceva quell'effetto? Cristo, ero proprio cotto.
"Ma non sto guardando te. Guardo le tette della biondina lì dietro." Ringraziai il mio cervello, in alcuni casi riusciva a salvarmi. 
"Oh..beh meglio." Abbassò la testa, ignorandomi, quindi decisi di uscire, per raggiungere la classe della lezione successiva.
Come faceva a non ingelosirsi? Era possibile che non le interessassi minimamente? 
Sovrappensiero raggiunsi Jimmy, il mio migliore amico, e quasi lo costrinsi a marinare le lezioni, avevo uno sfrenato bisogno di parlare con lui. 
Ce ne andammo in una casa abbandonata, portandoci un paio di birre a testa. 
All'interno di quell'enorme casa lasciata a sè stessa, c'era un divano, dal gusto molto discutibile, ma discretamente pulito.
Appena entrato mi ci buttai sopra, poi aprii la mia birra.
"Ho scopato con una ragazza ieri."
"Com è stato?" Mi disse indifferente, sedendosi accanto a me, ed iniziando a sorseggiare dalla sua bottiglia.
"Beh, direi stupendo, la migliore scopata della mia vita." Al solo pensiero, mi sentivo in un'altra dimensione. Quei ricordi sembravano quasi non appartenere a questo mondo.
"E allora dove sta il problema?" 
"Mi sa che sono cotto di quella ragazza." Contrassi la mascella. Che cosa stupida. Come poteva piacermi qualcuno?
"E questo sarebbe un problema?" Posò la sua birra sul pavimento, sospirando e tornando a parlare. "Cazzo, corteggiala, se è venuta a letto con te sicuramente le interessi!"
"Non è così facile." Puntai il mio sguardo sul pavimento. Mi sembrava tutto così assurdo.
"Perchè? Esci un pò le palle, amico." 
"La ragazza in questione è Onice." Si girò di scatto, allargò gli occhi.
"Cosa?!"












*Onice P.O.V* 
"Ero seduta su un marciapiede, in attesa che Brian arrivasse. Ero agitata, non ben conscia del motivo per cui lo fossi. 
Presi una Marlboro dal pacchetto, ed iniziai a fumare.
Dopo poco, vidi in lontanaza la sua inconfondibile figura. Era verosimile alla scena di un film: sole che tramonta alle sue spalle, la sua figura ben distinta, con spalle larghe, che farebbero invidia ad ogni uomo, camminata lenta. Ci mancava solo un qualche pezzo strappalacrime in sottofondo, come Snuff degli Slipknot.
"Ehi" Mi sorrise debolmente, quasi sulla pelle riuscivo a sentire qualche nota di agitazione in lui.
"Ciao." Gli sorrisi. 
Poi ci fu un momento di fortissimo imbarazzo. Entrambi rimanemmo in silenzio, guardandoci negli occhi, come se in quel preciso istante fossero l'unico modo che avevamo per comunicare, poi si sedette accanto a me e sospirò.
"Beh, a questo punto te lo dico subito, così mi tolgo un bel peso dallo stomaco. Cristo non pensavo di poter mai provare una sensazione del genere." 
"Che angoscia." Risposi impulsivamente.
"Beh, penso che tu ti ricorda di ieri, no?" Sorrise. Avrebbe potuto stendere una dozzina di ragazze solo sorridendo in quel modo.
"Io volevo solo dirti che..." -Ora mi dirà che è stato un errore e bla bla bla. Non ci parleremo più e vaffanculo.- I miei pensieri cercavano di precedere le sue parole, per smorzare sul nascere qualsivoglia film mentale che mi sarei potuta fare.
"...non vorrei che tu fraintendessi le mie intenzioni." -Ecco, lo sapevo.- 
"Non voglio che tu sia una delle tante, da botta e via, perchè sò che non lo sei. Quindi niente, mi piaci."
Rimasi del tutto sbigottita. 
"Syn, sei ubriaco?" Gli dissi ridendo. La confusione iniziò ad assalirmi. 
"Sobrio come te nei primi 13 anni della tua vita, spero."
Rimasi in silenzio per un secondo, guardandolo negli occhi: non mi mentiva, avevo quasi del tutto imparato a leggergli dentro.
"B-beh. Non mi dispiaci affatto...cioè, provo un interesse per te. Cioènonvogliodirechenonseibelloochenonmipiacciailtuocarattereanzi" Iniziai a parlare in fretta, presa da un'infondata agitazione, mista ad un senso di imbarazzo che aveva colorato il mio viso. Ma lui mi interruppe, baciandomi di nuovo a stampo. Le sue labbra avevano un gusto dannatamente buono. Schiusi gli occhi.
"Mi stai baciando perchè ti faccio pena?" Mi nascosi il viso sotto il cappuccio della felpa, sentendo forti vampate di calore. Mi prese il mento con due dita, mi abbassò il cappuccio della felpa.
"No. Perchè voglio...e un pochino per farti stare zitta." Ridemmo entrambi, baciandoci ancora. 
Era tutto così strano. Verso di lui provavo davvero molto interesse, ma solo quando non si faceva odiare. Ma c'era qualcosa di diverso in me. Volevo mettermi in gioco, sentivo di doverlo fare.
Inoltre avevo sentito qualcosa in quel momento di intimità del giorno precedente, qualcosa di saldo e forte, che non avevo mai provato prima d'ora.
"Bene, allora, dato che la mia presentazione, il primo giorno non è stata delle migliori, che ne dici di iniziare da capo?" 
"Okay, ci sto." Si alzò, poi mi porse la sua mano per aiutarmi a mettermi in piedi, ed io l'accettai. 
Ci dirigemmo in un bar, per prendere una birra insieme e per approfondire ancora di più la nostra conoscenza.
Dopo quasi due anni di buio riuscivo a percepire una flebile luce farsi spazio nell'oscurità...che stessi iniziando a vedere la fine di questo straziante tunnel?










Si stava facendo tardi, guardavo in continuazione l'orologio. 
"Bri, mi ha fatto davvero molto piacere uscire con te, ma si sta facendo troppo tardi, devo andare." Mi guardò dritto negli occhi. 
"Aspetta. Dimmi solo che sarai mia, dammi questa certezza, e potrò tornare felice a casa." Un tuffo al cuore. In quegli istanti credo che il mio cuore si fosse fermato, riprendendo la sua corsa inesorabile subito dopo, a tutta velocità. 
"Lo sarò." Lo guardai seria, e con convinzione.
"Dai ti accompagno a casa." Prese il suo giubbotto in pelle.
"Mmh. No..cioè, mi farebbe molto piacere, ma non devo tornare a casa. Ho una cosa importante da fare." Vidi la sua faccia sospettosa. Cosa diamine avrei potuto dire? Non gli avrei certo rivelato tutto. Il panico mi assalì. Non mi piaceva mentire, e quasi sicuramente mi avrebbe chiesto spiegazioni.
"Va bene, mi fido di te." Disse sospirando. Non mi aspettavo una risposta del genere. Gli sorrisi, cercando di infondergli tranquillità.
"Io...mi sto affezionando davvero a te." Lo baciai. Fu un bacio lungo e lento, cercai di assaporare ogni secondo.
Appena uscita iniziai a camminare, sperando che quel misterioso ragazzo non se ne fosse già andato.
Raggiunsi la spiaggia prima del previsto, trovando una figura seduta nel punto esatto della settimana precedente.
"Sei tornata eh? Che ti dicevo?" Non riuscivo ancora a vedere il suo volto, e le sue parole mi avevano innervosita più di quanto avrei potuto immaginare.
"La prenderò solo per usarla quando mi andrà. Non diventerò dipendente da questa merda, posso farne a meno quando voglio." Il ragazzo accennò una risatina, smorzandola subito dopo.
"Quanto ti devo per un quartino?" 
"11 dollari. Credimi che è un buon prezzo. Lo faccio solo per il tuo bel visino." Io annui, prendendo i soldi dalla tasca.
"Senti, questo posto è troppo lontano da raggiungere. Possiamo trovarci quando vuoi, se ti serve roba, tanto vengo alla tua stessa scuola. Sono Henk." Così dicendo abbassò il cappuccio e si illuminò il viso con la luce flebile del telefono. Aveva i capelli biondi, tendenti al rosso, con tre o quattro dread che vi spuntavano da sotto. Gli occhi erano di un marrone qualunque, che non trasmettevano granchè. Aveva una corporatura media, ed un'altezza nella norma. Non ricordavo di averlo mai visto. 
"Come fai a sapere in che scuola vado?" Corrugai la fronte.
"Beh, non passi di certo inosservata, cara." Il panico mi assalì. Lui, invece, si alzò tranquillamente, scostando la sabbia dai pantaloni. Gli avvicinai i soldi, lui mi diede il quartino. Dopo pochissimo mi passò anche un borsellino. 
"Tieni anche questo, omaggio della casa." Mi sorrise.
"A-aspetta. Non so come fare.." Abbassai la testa, continuando a pensare al fatto che la mia speranza di passare inosservata a scuola si era totalmente distrutta.
"Non avevi detto di volerti fare fra qualche settimana?". Io feci spallucce.
"Non fa nulla." Mi guardò con occhi da calcolatore, come se avesse immaginato in precedenza tutto questo.
"Allora. Nel borsellino c'è tutto quello che ti serve, ascolta attentamente,e mentre lo faccio esegui. Non te lo spiegherò ancora." Io annuii.
"Prendi il cucchiaino. Mettici l'ero ed il succo di limone, magari anche un pò d'acqua non guasterebbe. Ehi, basta così, troppa non va bene. Riscalda con l'accendino. Bene, bravissima. Appena vedi che raggiunge questo stato, mettici un pò di ovatta, e poi aspira con la siringa. L'ovatta ti serve per filtrarla. Perfetto.  Adesso ti spiego, poi lo farai."
Continuai ad annuire. Sapevo che quello che stavo per fare era tremendamente sbagliato, lo sentivo dentro, e sentivo anche crescere un forte senso di agitazione. 
"Lega il laccio, cerca la vena. Non sarà difficile, si gonfierà. In più basta che tocchi con il dito, dove senti tutto molto morbido c'è la vena. Inserisci l'ago, inclinandolo, poi aspira. Deve diventare rosso, solo così capirai di aver beccato la vena. Poi inietta, e levati subito la siringa. Se ti sdrai cerca di stare di lato, che se ti prende la botta e vomiti rischi di soffocarti." 
Eseguii tutta la procedura, riuscendo nel mio intento. Appena la droga mi entrò in corpo risentii quella stupenda sensazione.
Henk sospirò, mi lasciò un lieve bacio sulla fronte e se ne andò.
Sentii i miei battiti rallentare, mi sentivo quasi parte della sabbia che era sotto di me. 
Non sentivo una differenza tra la mia anima ed il mio corpo. 
Tutti i problemi che pensavo di avere erano svaniti, come per magia. Mi sentivo leggera e...pura.
Passarono dei minuti, o forse delle ore, questo non saprei dirlo. La percezione del tempo fu fortemente alterata dalla droga che mi sparai nella vene. Tuttavia riuscii ad arrivare a casa, lentamente, buttandomi il prima possibile sul letto, sempre di lato,assaporando quelle sensazioni paradisiache e sprofondando, poi, in un piacevole sonno.







Salve! ^-^
Sembra come se la nostra cara Onice stia iniziando a vivere una doppia vita...che ne pensate? 
Avete già qualche idea su quello che accadrà? 
Lasciate una piccola recensione, se vi va, sono davvero curiosa di sapere cosa pensate di questa storia. 
A presto c:

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Capitolo 7
*** Full heart...or not? ***


"Onice! Ti vuoi svegliare, pigrona!"
Le urla di mia madre dal piano di sotto mi svegliarono. Presi con lentezza il telefono, constatando di avere all'incirca dieci minuti per vestirmi, lavarmi e fare colazione. Non ce l'avrei mai fatta.
"Sono sveglia!" Urlai sentendo ancora una bella sensazione di benessere. Non avevo voglia di correre, o di sbrigarmi, non avevo alcuna fretta. -Potrei saltare un paio di lezioni oggi-. 
Entrai lentamente nel bagno, aprendo la doccia e lavandomi con molta calma.
"Onice, io sto andando via,.." Continuò a parlare, ma non sentii il resto della frase. 
Uscii dalla doccia, indossai l'accappatoio morbido, e scesi per fare colazione. 
Vidi una figura in cucina. 
"Brian!" Arrossii violentemente. "N-non sapevo che fossi qui." 
"Tu madre te lo ha urlato qualche minuto fa." Sorrise maliziosamente. "Guarda che non mi dispiace che tu stia così." 
Maledetto sorrisino. Mi mandava davvero su di giri. Sentivo i miei ormoni spargesi ovunque, come i semi di grano durante una semina. 
"Vieni, ti faccio vedere la mia stanza." 






*Brian's P.O.V*

Appena entrato nella sua stanza scoprii un enorme tesoro: tanti cd e vinili, alcuni dei più rari compresi. Avrei potuto amare quella ragazza sul serio. 
"Come diamine fai ad averli?" Lei fece spallucce. "Eredità di mio padre, lui si che era un grande. Suonava anche la batteria." 
Si alzò. I suoi lunghi capelli neri lasciano goccioline sul pavimento. 
Aveva perso tutta la vergogna che l'aveva assalita in cucina. Si fermò quasi dietro di me, iniziando a mordicchiarmi il collo. 
"Merda." Imprecai sottovoce. 
"O-onice, questo non va bene." Le dissi quasi sorridendo e cercando di contenermi. "Io non voglio solo scoparti, scricciolo. Credimi. Se non stiamo insieme è meglio evitare." Cercai di ritrarmi alle sue attenzioni.
Ma lei mi prese improvvisamente il volto, in modo che potessi fissare i miei occhi nei suoi.
"Chi ti dice che io non voglia stare con te?" Rimasi di stucco. Il mio cuore perse un battito, forse due. "Se vuoi possiamo iniziare a stare insieme adesso." 
Non capii bene se avesse le mie stesse intenzioni, ma il mio cuore si gonfiò, ed io mi lasciai andare.
Lei iniziò ad alternare leggeri morsi ad enormi succhiotti, seguendo tutto il percorso del mio collo. Ero su di giri. Le aprii l'accappatoio,palpandole poi i seni, e avvicinando la mia erezione molto visibile al suo bacino.
Mi liberò dei pantaloni e dei boxer, iniziando ad toccare la punta del mio membro con la lingua. Non riuscii a trattenere un gemito. Lei continuava a lavorare di lingua e a guardarmi, era una sensazione magnifica. Le tenni i capelli raccolti, per vederla meglio, poi iniziai ad assecondare i suoi movimenti con la mano. 
Dopo qualche minuto la fermai, avevo raggiunto livelli d'eccitamento che credevo irraggiungibili, e sarei potuto venire di lì a pochi minuti, e di certo non avrei voluto che lei pensasse che soffrissi di eiaculazione precoce. 
Le leccai i capezzoli, sentendo il suo respiro aumentare a dismisura. Continuai, ed intanto portai le dita sul suo clitoride, stuzzicandolo, non poco. 
Onice emise dei gemiti strozzati. La sua voce, unita alla visione di quel corpo mozzafiato, mi fecero perdere la testa. 
Le portai le spalle contro il materasso, spinsi la mia erezione dentro di lei, ed iniziai a muovermi con tutta la forza del mio corpo. 
Ormai non riusciva più a strozzare alcun gemito.
Sorrisi, spingendo ancora più forte.
Le sue unghie premettero contro la mia schiena. 
Stavo per raggiungere il piacere. 
Unghie nella carne. 
Sentivo ogni singolo muscolo del mio corpo contratto.
Lei raggiunse il piacere poco prima di me, poco dopo mi rotolai stanco accanto a lei. 
Avevamo entrambi il fiatone. 
"Cazzo..." Disse debolmente mentre i suoi seni si muovevano su e giù, mostrando il suo respiro affannoso. "...Brian..." 
"Shh." La baciai. 
Lei strinse a me, abbracciandomi, e chiudendo gli occhi. Sentivo il suo respiro caldo sui miei pettorali. 
Le accarezzai i capelli ancora bagnati, notando un lieve arrossamento intorno alle sue palpebre. Ci passai un dito sopra. 
"Sei fenomenale." Mi disse fissandomi. "E sappi che voglio essere la tua ragazza non solo per questo."
Sarei potuto morire di gioia da un momento all'altro. 
Rimanemmo accoccolati a scherzare sul letto per un pò di tempo, poi capimmo che saltare anche l'ultima lezione non sarebbe stato il massimo,quindi iniziammo a vestirci.








*Onice's P.O.V.*

Era successo qualcosa di molto strano. Avevo sentito una connessione fortissima tra me e Brian, come se i nostri cuori si fossero uniti. Avevo anche provato un piacere immenso, mai provato prima d'ora. Che fosse merito anche del quartino che mi ero sparata nelle vene poche ore prima? Quasi certamente si, ma sapevo che di fondo c'erano dei sentimenti che ci univano. Speravo solo che mantenesse la parola e non giocasse con me. Se mi avesse fatto del male sarebbe stato peggio per lui. 
Era la prima volta che mi fidavo così tanto di un maschio che non fosse mio padre.
"Su, andiamo." Mi alzai, avvicinandomi al settimino che conteneva i miei vestiti. Intanto Brian raccolse le sue robe dal pavimento. 
Controllai velocemente, e senza che se ne accorgesse, il braccio, che sentivo pungermi leggermente. 
No, non si sarebbe accorto di nulla. 
Lo sfilai, lasciandolo cadere a terra. Sentivo i suoi occhi sul mio corpo nudo. 
"Non ne hai ancora abbastanza? Lo guardai con aria di sfida." 
"Un altro round non mi dispiacerebbe." Sorrise.
"Il tuo sorriso...è bellissimo." Lo spiazzai. 
"Oh..uhm...grazie scricciolo." Abbassò la testa per allacciarsi le scarpe, allargando ancor più il suo sorriso. In casi come quelli sembrava mostrare il bambino che si trovava ancora all'interno della sua anima.
Appena fummo entrambi pronti, mi abbracciò teneramente, lasciandomi lunghi baci sulle labbra. 
I succhiotti erano più che visibili. 
Uscimmo di casa, lui mi cingeva le spalle con il suo braccio. 
"Tutti sapranno che stiamo insieme se entreremo così." Gli dissi cercando di nascondere qualche nota di panico nella mia voce, e ricordando le parole di Henk. 
"Che fa, voglio che tutti lo sappiano. Così i ragazzi staranno lontani da te, e le ragazze da me." Sembrava davvero soddisfatto. Il panico mi assalì lo stomaco, come se delle tenaglie lo stessero stringendo. Brian era uno dei ragazzi più conosciuti della scuola, TUTTI avrebbero saputo della mia esistenza in quell'istituto. 
"S-si ma...non l'ho ancora detto a Mars! Sai, non sa nulla...e non vorrei se la prendesse." Ringraziai mentalmente il mio cervello per la scusa geniale che era riuscito ad elaborare. Brian ridacchiò ignaro.
"Oh, beh. Hai ragione." 
Si guardò intorno per assicurarsi che non ci fosse nessuno, mi lasciò un lungo bacio, e ci dirigemmo come due semplici amici verso la nostra scuola. 
Arrivammo appena in tempo per l'ultima lezione, che passò in fretta. 
Raggiunsi in fretta Mars nel corridoio. 
"Oggi pomeriggio ci vediamo con gli altri, vero?" Le dissi contenta. 
"Certo. Ehi, Onice, non ti ho mai vista così raggiante! Che succede?" Rise dolcemente.
"Oggi pomeriggio lo scoprirai." La guardai altezzosa, lei mi lasciò un pugno leggero sul braccio. 
Notammo almeno una ventina di ragazzi attorno a Brian, che guardavano i succhiotti e gli chiedevano spiegazioni. 
Le voci basse e cupe dei ragazzi si sentivano anche a metri di distanza.
"Ragazzi ho trovato una ragazza che è un fenomeno. Sia chiaro, è mia, solo mia." Scrutò gli occhi di molti dei suoi conoscenti. 
"Ma chi è?" 
"Una ragazza fenomenale, prima o poi ve la presenterò." Mi fissò in lontananza.  Era assurdo come non riuscisse a togliermi gli occhi di dosso. Sentivo il suo sguardo posarmisi addosso, come una coperta leggera.


Qualche ora dopo ci trovammo tutti nella casa abbandonata, che ormai era diventata il nostro punto di ritrovo. Avevamo completamente arredato una stanza, con sedie, piccoli divani e un tappeto.
James mi lanciò un'occhiata furtiva e maliziosa mentre mi sedevo, con l'eleganza e la leggerezza di un elefante, su uno dei divanetti.
Brian prese una pentola da non so dove, ed iniziò a fare rumore.
"Annuncio! Ho un annuncio da fare." Io mi nascosi nelle mie stesse spalle. 
"Io e Onice..stiamo insieme."
Zacky fece uno strano verso di dissenso. "Pff, non ci crederò mai."
Tutti mi guardarono. Arrossii violentemente, dando a tutti conferma della veridicità dell'annuncio. 
"Quindi quelli glieli hai fatti tu?" Johnny indicò i succhiotti, fissandomi malizioso.
"Ehi nano, lei è mia." Brian lo fissò in cagnesco. 
"Scherzavo, gelosone." 
Brian arrossì, per la prima volta.
"Questo momento è da ricordare!" Matt gli scattò una foto, mostrando le sue fossette.
"Matt e sei un cazzone! Elimina quella foto. Adesso." Brian iniziò a rincorrerlo. Il telefono passò tra le mani di tutti i ragazzi, finchè sfiniti, non si sedettero. 
"I morti delle sigarette." Esclamò Brian ridendo e respirando piano. 
"Beh ragazzi, ora passiamo alle cose serie." Disse Jimmy sospirando ed estraendo da dietro il divano birre e una bustina di erba. 
Jimmy mi lanciò il grinder. "Vediamo di che pasta sei fatta, la sai rollare una canna?" 
"Ehi non sono una pischella!" 
Presi tutto l'occorrente, preparando velocemente sei canne perfette. 
"Jimmy, le fa meglio di te!" Tutti risero. 
Iniziammo ad accenderle e fumarle. Facemmo il giro della morte più di una volta, poi, totalmente fatti, iniziammo a bere un paio di birre a testa.
"Perchè ti fai chiamare Synyster Gates?" Chiesi curiosa a Brian.
Lui subito rise, guardando Jimmy. 
"Hai presente quelle mega sbronze colossali?" Io annuii, sorridendo.
"Ecco, ero in macchina con quella pippa di James, quando ad un tratto sono andato a sbattere contro un fottuto cancello, così ho iniziato a dire 'I'm Synyster Fuckin' Gates and I'm awesome."
Tutti ridemmo come degli ebeti,immaginando la scena. 
"Poi c'è chi è una porchetta è quindi lo chiameremo Spider Pork, come il maialino di Homer." Disse Brian guardando Zacky. 
"Provaci e ti tiro ogni singolo dente con una tenaglia". Annunciò molto tranquillamente Zacky. 
Dopo aver smaltito la fattanza di quel pomeriggio, Brian mi accompagnò a casa. 
"Domattina passo a prenderti, questa volta cerca di essere puntuale." 
Gli sorrisi, lasciandogli poi un bacio colmo di tenerezza.
"Buonanotte Gates." 
"Buonanotte Scricciolo."
Entrai in casa, chiudendo la porta alle mie spalle. 
Un forte odore di vodka violentò le mie narici. -Merda- Il mio cuore si strinse. Era passato già così tanto tempo? 
I sensi di colpa mi pervasero. Non avrei dovuto lasciare mia madre da sola. 
Sentivo i suoi singhiozzi. 
Mi avvicinai lentamente a lei. 
"Mamma..." Le accarezzai la schiena. 
La vodka era vuota.
"NON TOCCARMI." Mi urlò contro. Si alzò di scatto, lanciandomi la bottiglia sul volto, che si ruppe in mille pezzi.
"M-mamma.." Le lacrime iniziarono a farsi spazio tra i miei occhi. Sentivo un forte bruciore sull'arcata sopraciliare. 
"Non dovevi farlo. Mamma mi senti? Avevi smesso. Hai capito?" Iniziai ad urlarle contro. 
Sentivo il mio cuore che cadeva a pezzi, proprio come quella maledetta bottiglia di vodka. Eppure, quella stessa mattina, l'avevo sentito più pieno che mai. 
Mia madre scoppiò improvvisamente in lacrime, rannicchiandosi sulla sedia. 
"Mamma...calma..." Mi avvicinai nuovamente a lei, accarezzandola dopo qualche secondo, con molta titubanza. 
Feci scorrere il suo braccio lungo la mia spalla, la sollevai piano e iniziai a condurla verso la sua stanza. La coprii, restai qualche minuto seduta sul piumone, tamponando con la felpa il sangue che era scorreva lungo il mio viso.
Aspettai che si addormentasse, poi andai a farmi una doccia, il più bollente possibile, sperando che così i pensieri si sarebbero potuti allontanare dalla mia testa.

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Capitolo 8
*** The truth hurts. ***


Un suono mi stava portando alla realtà: la sveglia stava già suonando.
Aprii gli occhi gonfi, iniziando a mettere a fuoco gli avvenimenti della sera prima. Avevo pianto come non mai, pensavo stoltamente che lacrime mi fossero finite, ed invece, al solo ricordo, si stavano già facendo spazio alla base dei miei occhi. 
Erano ufficialmente passati due anni dalla morte di mio padre, e quattro mesi da quando mia madre aveva smesso di bere. AVEVA, per l'appunto. Sentivo farsi spazio dentro di me un enorme vuoto, come se stesse avanzando una malattia dolorosa e potente.
Mi alzai lentamente dal letto, sentendo le tempie e l'arcata sopraccigliare pulsare. 
Mi guardai allo specchio: un enorme livido mi circondava il sopracciglio, ed un taglio verticale lo solcava. L'occhio si era gonfiato ed arrossato. Toccai con un dito quella zona, molto lentamente, ed un dolore lancinante percorse tutta la ferita.  
Entrai lentamente e silenziosamente nella stanza di mia madre, che singhiozzava a pieni polmoni. Non ebbi il coraggio, o forse seplicemente la forza, di consolarla, di aiutarla. Ero arrabbiata, troppo arrabbiata con lei, per rivolgerle la parola. 
Trattenni il respiro, esitai, e poi tornai in camera. La rabbia continuava a crescere nel mio cuore, e riuscivo a sentire quelle belle sensazioni provate solo il giorno prima, più lontane che mai, come se si trovassero dietro ad una lastra di vetro opaco, e mi fosse concesso solo il loro ricordo. 
Mi fermai nel bel mezzo della stanza, con una tranquillità angosciante. -Mi ha fatto del male-. Non lo faceva da mesi, ormai. L'ultima volta era accaduto appena prima di farle frequentare la comunità. 
Mi tolsi le robe del giorno prima di dosso, presi i primi indumenti che mi capitarono sotto tiro, indossai una felpa con il cappuccio ed un paio di occhiali e scesi con la stessa forza e velocità di una mandria di tori, iniziando a cercare degli alcolici che ero certa mia madre avesse nascosto in giro per la casa.
Trovai un'altra bottiglia di vodka ed una di chivas regal. Le misi in fretta nello zaino, ed uscii di casa, sbattendo la porta. 
Mi sedetti sulla panchina di un giardinetto che si affacciava sulla strada da cui sarebbe dovuto comparire Brian. Mi ranicchiai su me stessa, sentendo l'impulso fortissimo di grattarmi: quello sarebbe stato il momento migliore per un buco,ma non avevo roba con me. Che inferno. 
Aprii la vodka, cercando di scacciare da me questo pensiero. Dovevo essere più forte io. 
Grosse lacrime mi solcarono il viso, le sentivo scendere calde e veloci sulle mia guance pallide e morbide. Tirai su il cappuccio della felpa, rendendo invisibile il taglio sul sopracciglio. Diedi una grande sorsata alla vodka, bevendone quasi un terzo del suo contenuto,sentendo poi lo stomaco quasi bruciare. Brian stava già arrivando. Misi in cartella la bottiglia, mangiai una caramella alla menta per non far sentire l'odore dell'alcol e gli feci un fischio, iniziando a camminare verso di lui.
"Ehi piccola". Mi baciò sorridente. Io non parlai, non volevo si accorgesse della mia voce incrinata, mi limitai, quindi, a ricambiare quel lievo e dolce bacio.
"Ti stanno bene questi occhiali, ma mi piaci di più senza, i tuoi occhi non vanno coperti." Così dicendo fece per togliermeli, ma io mi ritrassi. 
Lui rimase stupito. Si allontanò leggermente. 
"Perchè?" Mi disse con un tono del voce lievemente nervoso. Io esitai. Sentivo il cuore quasi implodere, non volevo mentirgli.
"T-ti spiegherò dopo. Ma ti prego, non allontanarti." La mia voce risultò alle mie stesse orecchie maledettamente pietosa, ma sperai fosse stata solo una mia impressione. 
Mi abbracciò, poi mi baciò lentamente. Sospirò, e ci incamminammo verso l'edificio scolastico. -Dovrò parlargliene prima o poi.-
Cinsi il mio braccio sinistro al suo fianco, cercando di aspirare gelosamente il suo profumo. Lo stringevo sempre più a me, avevo bisogno di sentire il suo amore, di provare quel brivido che mi avrebbe fatto tremare l'anima. 
Rimanemmo nel breve tragitto in silenzio, e la cosa dopo un pò mi sollevò. Non avrei avuto il coraggio, per l'ennesima volta, di affrontare dei discorsi tanto dolorosi per me, non dopo tutto quello che era successo la sera prima.
Un lampo mi squarciò il cervello in due: non dovevo farmi notare. E se fossi entrata a scuola abbracciata a lui mi sarei fatta notare, ed era l'ultima cosa che desiderassi, quel giorno. Cercai di pensare ad una soluzione che non lo facesse insospettire, e non trovandola, iniziò ad assalirmi una sensazione di panico. 
Caso volle, fortunatamente, che trovassimo, qualche isolato prima della nostra destinazione, il branco. 
Si, ormai eravamo soliti chiamarci branco, tra noi. 
"Ehi piccioncini!" Gridò Zacky. "Noi saltiamo la prima, voi che fate?"
"Cazzo si, non avevo proprio voglia di seguire biologia." Rispose subito Brian. Dovevo cogliore la palla al balzo.
"No ragazzi, io entro, ho già saltato due lezioni di filosofia." Dissi silenziosamente.
"Ma che studentessa modello! Non è che stai diventando una brava ragazza!?" Si intromise Jimmy. 
"Devo almeno far finta, non credi?" Dissi quasi ignorando il mio stato d'animo, e facendo un sorrisetto malizioso. 
"Beh cari, vi lascio alle vostre cose da Bad Boys." Lasciai un bacio sulle labbra a Brian, poi salutai gli altri con un cenno della mano, camminando lentamente. 
La fortuna aveva girato per una volta nel verso giusto. 








La scuola era piena zeppa di gente, un ammasso di topi che guizzava da un lato all'altro dell'edificio, e, con velocità e maestria quasi elfica, mi diressi verso la classe di filosofia. La nostra docente era davvero molto brava, in più la materia mi interessava, e non poco. 
In momenti come quelli, mi resi realmente conto della soggettività del tempo: la lezione mi piacque, e l'ora passò veramente in fretta. 
Uscii, cercando di fare attenzione a non incrociarmi con Brian. Se lo avessi evitato, avrei evitato anche effusioni in pubblico senza ferirlo o farlo stranire, ed avrei anche evitato gli occhi puntati su di me. Era un'ossessione, ma non sopportavo l'idea di avere occhi giudici e scrutatori che mi fissassero. 
La mia attenzione fu distolta da Henk, che notai in lontananza per la prima volta tra quelle quattro mura. Il peso della serata precedente, e di tutti i dolori della mia vita, tornarono a gravarmi sulle spalle, come se ci avessero appena posato uno zaino colmo di pietre pesanti. Per un secondo iniziai a lottare contro me stessa per andare oltre la tentazione.
Iniziai a seguirlo, mi misi ad una decina di metri di distanza, lo vidi parlare con della gente. 
Lo fissai, finchè non mi notò anche lui, e gli feci cenno di seguirmi. 
Appenai pensai di aver trovato il posto con il minor numero di gente possibile, mi guardai intorno, poi mi fermai, aspettando che mi raggiungesse. 
"Già mi cerchi?" Disse lui con tono strafottente. 
"Dammene due, fai veloce, nessuno deve vederci." Sentivo talmente tanto bisogno di farmi che le mie mani iniziarono a tremare, mi risultava persino difficile cacciare fuori i ventidue dollari. Mi passò i due quartini, che misi subito in tasca, io lo pagai. 
"Non farne parola con nessuno." Lo fissai dritto negli occhi. 
"Altrimenti..?" Rise leggermente. Rimasi stupefatta. Non mi aspettavo che potesse davvero dirlo in giro.  
"Altrimenti saranno cazzi tuoi." Lui mi fermò, bloccandomi dalle spalle con entrambe le mani. 
"Dai scherzavo. Non posso dirlo a nessuno, nessuno deve sapere che sono uno spacciatore, tranne i clienti, e di certo non mi interessa perderne per dire qualche cazzata in giro. Tutti vogliono che non si sappia, anche se il loro corpo prima o poi li tradisce.." Rise leggermente.
"Puoi stra tranquilla con me, piccola nana." Mi smosse i capelli, e se ne andò. 
Camminai velocemente verso l'aula per la seconda lezione, tenendo le mani in tesca per la paura di perdere i quartini. Vidi Brian e mi si gelò il sangue, cambiai velocemente rotta, girando nel corridoio che si trovava appena alla mia destra. Mi intrufolai tra un gruppo di persone, e lui mi perse di vista. 
Sospirai, raggiungendo l'aula di teatro. Ero convinta che la vita stessa mi avrebbe distrutta, prima o poi.




*Brian's P.O.V.* 

Dovevo parlarle, assolutamente. La raggiunsi, ma sembrava avermi evitato di proposito. Che cazzo le stava succedendo? 
Saltai un'altra ora di lezione, solo per appostarmi dietro la classe da cui sarebbe uscita, dopo la seconda ora. Appena sentii la campanella, mi misi proprio accanto all'uscita del teatro. La vidi, ma non riuscii a capire se lei avesse visto me, perchè portava ancora quei maledetti occhiali. Mi aveva detto di non sopportare di stare negli spazi chiusi con gli occhiali da sole, eppure lo stava facendo. 
Un'ondata di confusione mi travolse, specialmente quando mi resi conto che, a passo spedito, si dirigeva nella direzione opposta alla mia, e anche all'aula in cui sarebbe andata. 
Iniziai a seguirla, quasi correndole dietro per non perderla di vista. All'altezza di uno stanzino, la raggiunsi, tirandola a me e facendola entrare in quel piccolo ripostiglio. 
"Ma sei impazzito? Cazzo Bri." Urlò comprendosi meglio il volto con il cappuccio. 
"IO? Tu pensi che IO sia impazzito? Perchè cazzo mi eviti?" Mi protesi imponente verso di lei, e la vidi farsi piccola piccola. Una lacrima le scese lungo la guancia. 
Le avevo fatto paura? Mi allontanai leggermente.
"S-scusa, non volevo spaventarti. Avevo solo il bisogno di parlarti, è davvero urgente." Allungai una mano verso di lei, ma la respinse. Mi sentii fortemente in colpa. 
Lei iniziò a singhiozzare. Non pensavo di averla spaventata così tanto. 
Si sedette a terra, con le ginocchia strette vicino al petto. Vederla così piccola e gracile mi fece allargare il cuore, ma le sue lacrime amare me lo stavano contorcendo. 
Non parlai, mi sedetti e la strinsi forte, quasi convinto che per osmosi le avrei passato un po' del mio amore. 
Dopo qualche minuto, il suo respiro tornò regolare, e le lacrime smisero di scendere. La sentii sospirare divincolandosi poi dal mio abbraccio.
"Cosa devi dirmi?" La sua voce era diversa, affranta, quasi smarrita. 
Mi ripresi, tornando alla mia gelosia.
"Che voleva da te il biondo? Se ti ha fatto del male ti giuro che gli spacco la faccia." La luce era scarsa, ma la vidi impallidire, mettendo in tensione poi tutti i muscoli. 
"Q-quale biondo?" 
"Henk. Quello con i dread." 
"N-no, non mi ha fatto del male, non voleva nulla." 
"Perchè ti ha presa per le spalle? L'ho visto, con i miei occhi. Se ti ha minacciata dimmelo, ti prego." La supplicai. Il solo ricordo di quella scena mi faceva bollire il sangue nelle vene. Non poteva permettersi nemmeno di sfiorare il mio scricciolo. Lei era mia, mia e basta.
"M-mi era caduto un libro, me l'ha restituito, e... e mi ha detto di fare attenzione alla gente di questa scuola, dice che girano degli etilici qui. Mi ha tenuto le spalle solo per avvisarmi all'ultimo di questo."
Un macigno mi si tolse dallo stomaco. La abbracciai. Fu un abbraccio lungo, interminabile. E ora, conscio di quello che mi disse dopo, avrei preferito che rimanasse tale. 
Scostai leggermente la testa, abbassandole il cappuccio. Lei portò in fretta la mano verso la testa per coprirsi, ma non fece in tempo. Vidi un livido percorrere il sopracciglio, ed un taglio. Il sangue tornò a ribollirmi, il doppio. 
Le tolsi istintivamente anche gli occhiali. Il suo sguardo era impaurito, smarrito. Cosa le avevano fatto? 
"Chi è stato?" Alzai la voce, più del normale. 
Lei rimase in silenzio. 
"Chi cazzo è stato?!" 
Distolse lo sguardo, poi sussurrò: "Mia madre..."
Il mio cuore si fermò. 












*INFORMAZIONE DI SERVIZIO, VI PREGO GENTILMENTE DI LEGGERE*

Avevo scritto questo capitolo prima di apprendere di un lutto, ergo non sò quando avrò voglia di scrivere ancora. Forse molto presto, per distrarmi, o non lo so. E niente, era solo questo. A presto.

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Capitolo 9
*** I'll tell it to someone. ***


Brian divenne pallido, allargò gli occhi più che mai e rimase sbigottito. Sembrava sentirsi male. Poco dopo strinse i pugni, i suoi occhi divennero iniettati di sangue e gli zigomi riacquistarono colore. Le nocche gli si fecero bianche, strinse i pugni talmente tanto da farli tremare e le vene erano ben visibili. 
La sua reazione mi lasciò sconvolta.
"L-lei ti ha fatto questo?" La sua voce era colma d'ira, non riusciva nemmeno a parlare.
Abbassai lo sguardo, mi accasciai. Dovevo farmi, altrimenti sarei impazzita.
"Calmati, cazzo. Ti spiego tutto, ma calmati." Cercai di non scoppiare ancora a piangere, dovevo calmarmi, nonostante mi stessi facendo prendere dal terrore che Brian potesse farsi prendere da un attacco d'ira.
Lo abbracciai, lo strinsi il più possibile a me. 
-Dovrei essere io quella che deve essere consolata ed abbracciata.-
Lo baciai, finchè non sentii le sue labbra ricambiare ed i suoi nervi distendersi.
Mi strinse con le sue braccia calde e forti. Una scarica di energia e di forza mi penetrarono l'anima. Era il momento giusto, dovevo dirgli ogni cosa, aprirmi.
"Tutto iniziò con la morte di mio padre. Un incidente d'auto mentre tornava da lavoro, e non c'è stato nulla da fare, è morto sul colpo. Mio madre e mio padre erano due persone in un'anima sola, e credimi quando lo dico, in quell'incidente è morta anche una parte di lei.." Sospirai. Poi ripresi. "Iniziò bevendo un po' dopo il lavoro, prima di andare a letto. Poi aumentò, sempre più, in brevissimo tempo. Ed ogni volta che perdeva il controllo, mi faceva del male. Non se ne accorgeva nemmeno, perchè era sempre ubriaca. Io dovevo nascondere tutto, ogni tumefazione, ogni dolore, ogni sfumatura violacea della mia pelle, e ci riuscivo bene. 
Un giorno, dopo scuola, tornai a casa. Trovai mia madre sul pavimento, inerte. Chiamai l'ambulanza ed era in forte rischio di coma etilico. La tennero in ospedale per qualche giorno, e lei riacquisì lucidità e...e si rese conto di tutto." Senza che me ne accorgessi le lacrime iniziarono a rigarmi il viso, sentivo le forze venire a mancare, così mi rannicchiai con le spalle poggiate al muro. Merda, mi sarebbe venuta una crisi d'ansia. 
Iniziai a regolare il respiro, a concentrarmi. Brian era immobile, non sapeva cosa fare, o cosa dire, glielo leggevo negli occhi. Mi ripresi in qualche minuto, lui si sedette accanto a me.
"E poi ha frequentato una comunità, e ci siamo trasferite, per cambiare vita. Ed oggi sono due anni che lui è morto, e lei ieri sera ha bevuto, e mi ha lanciato la bottiglia." 
Quelle parole mi uscirono con naturalezza, come se stessi parlando della partita di rugby della settimana precedente.
"Tu a casa tua non ci torni." Digrignò i denti. Riuscivo quasi a sentire il rumore della sua mandibola che si contraeva.
"Tu non capisci. Se la dovessi lasciare sola adesso, lei riprenderebbe. Non lo farà più, ma solo se ci sarò io." 
Si girò, i suoi occhi mi entrarono fin dentro l'anima. Erano di un'intensità strabiliante. Sembrava che stesse cercando di leggere il futuro attraverso i miei occhi, per capire se fosse stato meglio portarmi via con sè.
"Okay, va bene. Ma ti giuro, che se dovesse succedere ancora una volta, ti porterò via da lei. Intesi? Nessuno può far del male al mio scricciolo" Continuava a fissarmi, mi sentivo in trance.
"Intesi." 
Mi baciò a lungo, mi strinse a sè. Non c'era bisogno di dire nulla. Ero il suo scricciolo, e in quegli istanti solo quello contava.
Prima di alzarci, mi lasciò un lieve bacio sulla fronte, poi uscimmo con disinvoltura da quello stanzino. 
Una miriade di sentimenti mi attanagliavano lo stomaco, sentivo e provavo una forte confusione. 
Non mi preoccupavo che la gente mi notasse, perchè ero con Brian, ero certa che con lui sarei stata sempre al sicuro. 
Mi accompagnò davanti alla classe di letteratura,mi baciò un'ultima volta, poi se ne andò verso la sua classe. Controllai che se ne fosse andato, e mi diressi in fretta in bagno. 
Avevo davvero bisogno di farmi. Non riuscivo a pensare a nulla che non fosse la droga. Sarei stata meglio, sarei stata in pace ed in armonia con me stessa.
-In fondo non è così male-
Mi preparai la dose. 
-Non soffro le crisi d'astinenza, e sto da dio quando mi faccio.- 
Preparai la vena.
-...-
La pace dei sensi. Non pensavo più a nulla. Rimasi seduta lì per un po', mi sentivo felicemente stordita. Sentii la gola secca, così bevvi subito un po' d'acqua, ma subito dopo sentii risalire tutto, così rigettai nel wc. 
Mi venne una bella botta, le labbra mi divennero pallide. Dopo un po' mi ripresi, e mi trascinai in aula, dove rimasi buttata sul banco per entrambe le ore. Non avevo voglia di fare nulla, ero così in pace che quasi mi ero convinta che muovermi avrebbe scombussolato quel precario equilibrio che mi si era creato dentro. 











"Amore, svegliati!" Sentivo la voce di Brian arrivarmi leggera al cervello.
"Dai, ti sei addormentata! E pensare che io ti aspettavo fuori!" Disse ridacchiando. Aprii gli occhi. Il down era finito, e sentivo ancora gli effetti, seppure deboli, dell'eroina. 
Alzai la testa dal banco sbadigliando. -Strano, sta durando molto meno.- 
Sorrisi a Brian, abbracciandolo e raggiungendo gli altri. Nel corridoio tutti si giravano verso di noi, ma la cosa non mi turbò. E come avrebbe potuto? Con la mia droga tutto andava per il meglio.
Decidemmo di mangiare tutti insieme, quindi andammo ad un sushi da asporto e portammo tutto alla casa.
Il branco iniziò a divorare cibo, come se fossero appena tornati da un campo di concentramento e fossero stati a stecchetto per mesi, io, invece, non avevo affatto fame. Avevo solo voglia di farmi ancora, perchè il mondo stava tornando normale, ed i sentimenti iniziarono a ronzarmi nel petto e nel cervello.
"Ho una sorpresa per voi." Dissi sorridendo compiaciuta. Gli porsi le bottiglie, animando un po' quella giornata.
Mi riempii un bicchiere, poi lasciai che gli altri svuotassero entrambe le bottiglie, come erano soliti fare e finissero di mangiare anche il mio pranzo, che non avevo toccato.
Mi sedetti su uno dei divani, da sola, e bevvi lentamente, attendendo che si ubriacassero almeno un po'. 
Appena ebbi finito, mi alzai, andando in una stanza, e preparando tutto l'occorrente per farmi ancora. 
Due buchi in un giorno. -Quel bastardo deve avermi fregata, me ne ha data di meno, ne sono certa, non può durare così poco.- 
Ormai i movimenti per prepararmi la roba erano diventati abituali, non mi ci voleva più la concentrazione della prima volta. Riposi tutto l'occorrente già nella borsa, per non destare sospetti, lasciando solo la siringa tra le mani, che era sempre la stessa, quella che mi aveva dato Henk.
Mi bucai, e la botta arrivò subito. 
Mi prese così tanto che non riuscii a fare a meno di rimanere immobile, con l'ago ancora nel braccio. Gli occhi mi si chiusero da soli, e la mia anima partì da qualche parte, lasciando il corpo lì, per terra.













*Jimmy's P.O.V.*

"Brian, vai a fare compagnia ad Onice. Lo sai che gira gente strana qui ogni tanto." Lui non rispose. "Brian..?"
Si era addormentato. Alcool, tanto cibo e un pò di fumo l'avevano piegato completamente. -Mi sa proprio che dovrò andarci io-. 
Mi alzai, iniziando a cercare in ogni stanza che la ragazza già conosceva, cioè solo un paio rispetto a tutte quelle che la casa conteneva, però non la trovai.
Ed ecco una nota di panico presentarsi. 
Controllai tutto il primo piano, ma niente.
Il panico iniziava a salire. 
E se le fosse successo qualcosa?
L'ansia cresceva, come una pianta con il concime. 
Salii al secondo piano. C'era una piccola stanza, e vidi qualcuno sul pavimento, con la testa poggiata al muro. Non riuscii a capire chi fosse, ma nella penombra, riuscii a vedere solo la pelle più che pallida del corpo, sembrava un cadavere. 
Mi avvicinai, con il terrore nel cuore. Spesso si trovava gente morta nei posti abbandonati.
Più mi avvicinavo, più riuscivo a vedere. Riconobbi i capelli corvini ed il giubbotto buttato proprio accanto al corpo. Il cuore mi si strinse, non riuscii a parlare. 
"O-Onice.." Mi avvicinai. Rimasi fermo impalato. Si era addormentata? Ma che senso aveva? Non riuscivo a muovermi per controllare che fosse viva. 
Iniziai ad avvicinarmi, come se si trattasse di un cane feroce, e avvicinai la mano al suo naso: percepivo un lieve spostamento d'aria. Era viva. 
La morsa allo stomaco si allargò, ed allo stesso tempo, la foschia che stava bloccando il mio cervello, iniziò a dissolversi. 
"Onice, Onice mi senti?" Le sue palpebre si mossero. 
"Onice, cazzo, che ti prende?" Cercai di farla stendere, per migliorarle la respirazione, e fu in quel momento che la vidi: aveva una siringa conficcata nel braccio. 











*Onice P.O.V.*

"O-Onice.." Ero persa in un buio totale, in un mondo di vuoto e relax che mai ero riuscita a raggiungere. Sentii la voce di Jimbo, con la stessa intensità del fruscio di una brezza leggera.
"Onice, Onice mi senti?" La sentivo sempre più vicina, come se stesse per infrangere le barriere di quel mondo meraviglioso.
"Onice, cazzo, che ti prende?" Sentii il mio corpo muoversi, poi una strana sensazione al braccio, come se qualcuno stesse togliendo una scheggia. Aprii gli occhi, vedendo l'immagine di Jimbo che mi toglieva la siringa che era rimasta ancora conficcata nella carne.
Jimmy era pallido. Provai a parlargli, ma non ero ancora riuscita a stabilire il controllo pieno del mio corpo. 
"Cosa cazzo fai?! Sei impazzita!? Da quando cazzo prendi questa merda?! E cos'è?!" Mi prese per le spalle, scuotendomi con forza. 
Rimasi in silenzio. Lui si fermò, si inginocchiò a terra, io mi sedetti pian piano. 
"Non urlare cazzo." Dissi con voce flebile. Lui sgranò gli occhi. Abbassando il tono di voce.
"Non urlare?! Mi chiedi di non urlare?! Tu ti ammazzi ed io non devo urlare?!" 
Mi prese le braccia, cercando di vedere con chiarezza la zona delle mie vene. Vide gli altri buchi. 
"Cazzo Onice.." Ci furono due minuti di interminabile silenzio.
"è eroina. Non farmi cadere la siringa, che mi serve." Iniziavo già a riprendermi, quindi mi alzai, togliendogliela dalle mani e coprendola con il tappo.
"Non dirlo a nessuno, Jimmy." 
Feci per andarmene, ma lui mi fermò bloccandomi dal braccio.
"Ed hai intenzione di andartene?! Tu ora mi dici ogni fottuta cosa e poi troviamo una soluzione. Okay? Non mi aspetto un no come risposta."
Mi tolsi gli occhiali, lo guardai fisso negli occhi, cercando di trasmettergli in uno sguardo tutto il mio dolore. Dopo poco spostò gli occhi verso il muro, come pensavo: non avrebbe retto. 
"Non ho iniziato da molto e non sono dipendente. Non lo diventerò, stai tranquillo. Ho provato e basta, okay?"
"Tre buchi visibili secondo te sono un 'ho provato e basta'? E poi spiegami, perchè? E che cazzo ti è successo al viso?" Il suo viso si fece preoccupato.
"Diciamo che è uno dei motivi per cui ho deciso di provare. Ma ti ripeto, tranquillo, non diventerò dipendente da quella merda." Continuavo a ripeterlo, per convincere Jimmy, ma anche me stessa. Parlavo anche dell'eroina come se fosse una cosa a me estranea, mentre in realtà ce l'avevo in corpo.
"Per quanto riguarda il viso.." Gli raccontai, tutto. 
In mezza giornata avevo rivelato a due delle persone a cui tenevo di più il mio più grande segreto, e mi sentivo stranamente sollevata.
Lui mi abbracciò. "Non dirlo a nessuno Jimmy, ti prego. Sei l'unico che lo sa, okay? Si preoccuperebbero per nulla. Non voglio farmi del male, voglio solo allontanare il dolore quando diventa troppo opprimente, e non succede spesso, te lo giuro." 
Lui sospirò. "Non voglio vederti mai più fare una cosa del genere, cazzo. Quando starai male, chiama noi, non spararti merda nelle vene. Perchè quella è merda, credimi." Io annuii non convinta.
Mi abbracciò ancora, io lo strinsi. 
Ci dirigemmo verso gli altri. Brian si era addormentato sul divano, gli altri ridacchiavano e tentavano di fargli uno scherzo.
-Merda, la prossima volta devo stare più attenta.-
Mi stesi accanto a Brian, lasciando che il relax della dose mi attanagliasse le membra e mi facesse sprofondare in un piacevole e leggero riposo.

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Capitolo 10
*** Park in the night. ***



"Sono le otto, io devo tornare per cena, stasera ci sono ospiti.." Disse sbuffando Vee. 
"Penso che ti seguiremo a ruota, alcol e fumo ci hanno un pò devastati." 
Ci separammo, e Brian mi accompagnò fin sul vialetto di casa. 
Guardai casa mia e sospirai: non mi sentivo abbastanza forte per farcela. Avevo un uragano dentro, un maledetto uragano che mi avrebbe fatta implodere da un momento all'altro, risucchiandomi l'anima.
Brian mi cinse il fianco con le braccia. 
"Se vuoi, puoi venire a casa mia.."
"No. Non posso." Risposi decisa. Non potevo, ma avrei voluto. Lo abbracciai, lui mi lasciò un pò di fumo, cartine e dei biglietti del pullman per il filtro,io gli lascai un bacio dolce sulle labbra e cercai di trovare un pò di coraggio per rientrare a casa.
Mi bloccai sull'uscio: sapevo che avrei trovato mia madre ubriaca, sapevo che qualcosa sarebbe andato storto.
Feci immediatamente retro-front, accendendo una sigaretta e dirigendomi verso il parchetto che a quell'ora era già stato chiuso dal custode.
Scavalcarlo fu un gioco da ragazzi, e in men che non si dica trovai un posticino perfetto, nascosto e per nulla sporco, perfetto nel caso in cui avrei voluto schiacciare un pisolino.

Mi sedetti con le gambe incrociate, ed iniziai a rollarmi una canna. Una voce calda ruppe il silenzio.
"Siamo temerarie, tutta sola in un parco chiuso..." Persi un battito. Che fosse il custode? Una figura incappucciata spunto da dietro il cespuglio.
"Cazzo, Henk, mi hai fatta spaventare!" Lui rise di gusto.
"Fai la dura, ma in realtà ti caghi addosso." Questa affermazione,troppo vera, mi innervosì.
"Che cazzo ci fai tu qui?" Si sedette accanto a me.
"Io ci lavoro. Spaccio, cara, e di solito qui viene gente per farsi. Secondo te perché chiudono?" Rise nuovamente di gusto. Mi palpai le tasche: avevo ancora i miei venti dollari.
"Ho venti dollari." Gli annunciai. 
"Non ero certo ti saresti davvero rovinata con questa merda, ma se ne vuoi non posso dirti nulla, io ci guadagno."
"Dammi un quartino." Gli dissi secca, rimettendo nello zaino il fumo e le altre cose.
"Anzi, dammene due e ti do un mezzo panetto di fumo." 
"Merda Onice!" Il suo tono di voce divenne più alto. 
"Cazzo, abbassa la voce! Ci sente il custode. Dammi la roba. Pensi che non sappia che oggi mi hai fregata? Mi devi aver dato meno roba, o della roba scadente, ci sono andata giù di brutto, ma per meno tempo.."
Rise nuovamente di gusto. Maledetta risata, era snervante. 
"Sbagli alla grande ragazza. La roba era la stessa, quantità e qualità identiche...sei già assuefatta, solo questo. Quando ti sei fatta l'ultima volta?"
Corrugai la fronte. "A pranzo, ma che c'entra?" 
"Fra un pò inizierai ad avere astinenza."
"No. Impossibile, non ne sono dipendente." Mi guardò, scoccò la lingua.
"Lo conosco meglio di te, questo mondo. Fidati."
Rimanemmo in silenzio per un pò. "Beh, questi quartini?" Gli dissi impaziente.
"Aspetta un altro pò, ti faccio fare un giro nel parco."
Ci alzammo, dirigendoci verso il laghetto.
"Bel posto, non credi?" Io annuii, sedendomi nuovamente a terra, mi sentivo spossata, e il freddo iniziava a farsi sentire, perciò mi strinsi le ginocchia al petto.
"Perché hai iniziato? Non mi dire che era solo per la rabbia con quel coglione di Brian, altrimenti avresti già smesso, dato che sei la sua ragazza." 
"Cazzi miei." Mi fissò dritto negli occhi, cosa che nessuno riusciva mai a fare. Involontariamente gli trasmessi tutto il mio dolore, e tramite quel contatto visivo, l'uragano che avevo dentro, uscì. 
Non avevo mai provato una sensazione del genere, prima di quel momento. Mi sentii leggera, liberata. 
"Ragazza, tu hai un buco nero dentro. La droga lo coprirà soltanto, ma non lo colmerà." 
Le mie mani iniziarono a tremare, sentivo le vene pomparmi nel cervello. 
Iniziai a respirare lentamente. Possibile che mi stesse venendo un attacco di panico proprio in quel momento? Henk se ne accorse, mi tirò fuori le dosi, io gli diedi i soldi ed il fumo. 
"Non agitarti, sei solo a rota, ti avevo detto che sarebbe successo."
Presi di fretta l'occorrente per bucarmi, ma già nel provare ad aprire la roba, ebbi dei problemi, dato che le mani iniziarono a tremarmi davvero troppo. 
"Il tuo corpo ti ha portata troppo presto alla dipendenza, non sei fatta per la droga. Cerca di starne fuori." Lì sbottai.
"Cazzo Henk! Me l'hai fatta provare tu! Hai fatto da fottuto diavolo tentatore, ed ora pretendi di fare l'angioletto del cazzo? Mi hai trascinata tu nella merda!"
"Non pensavo avessi questo buco nero dentro, intesi?" 
Io mi stavo innervosendo sempre più, continuavo a non riuscire ad aprire la dose. Rimasi in silenzio.
"Aiutami, ti prego." Lo guardai con una faccia fin troppo pietosa. Lui sospirò, gettò gli occhi al cielo, poi con prepotenza prese la dose, mi agganciò dal braccio, e mi portò in un posto più nascosto. 
Preparò tutto. Le mie mani continuavano a tremare, ero impaziente.
"Muoviti, ti prego." 
Mi mise l'ago nella vena. 
"Sei nella merda, ragazza. Non ti darò più di due pere al giorno, sia chiaro." 
Così detto, mi iniettò la droga nel corpo. 
Il paradiso. La bellissima sensazione era tornata, il vuoto dentro di me si era colmato. Stavo letteralmente raggiungendo l'estasi. 
Sapevo che Henk stesse continuando a parlarmi, ma non riuscivo a percepire la sua voce. In quel momento, la mia vita era fantastica. 








*Henk's P.O.V*

Le sparai la droga nelle vene. 
L'avevo tirata nella merda. Non pensavo sarebbe andata così in fondo. Non pensavo avesse quel vuoto dentro. Non pensavo fosse così incline alla dipendenza. In fondo, la droga era stata solo una scusa per avvicinarla. 
Non volevo finisse così. Avevo fatto un gran bel casino.
"Onice, stasera resto con te." La guardai, lei era in estasi, semiseduta sul pavimento, non riusciva a mantenere il busto in equilibrio. Era totalmente assente. Le presi il viso, sperando che il contatto fisico la riportasse sulla terra. 
"Resterò qui con te, Onice, stasera resto con te. Mi hai sentito?" Gli dissi deciso. Lei sembrava non sentirmi.
La testa sembrava essere troppo grande per il suo corpicino esile, barcollava da un lato all'altro, finché non si poggiò sulla mia spalla. 
Mi guardai intorno, per evitare che qualcuno vedesse, altrimenti un Brian incazzato sarebbe arrivato a picchiarmi, uno dei giorni seguenti.
Ma non c'era anima viva, nemmeno quelli che di solito mi cercano per una dose.
La spostai verso di me, poi la posai sulle mie gambe: era davvero leggera. L'abbracciai, e lei posò la testa sulla mia spalla, nuovamente. 
L'odore dei suoi capelli mi violentava le narici, un misto di mango e cocco, era facile da riconoscere. 
Le baciai la fronte, sprofondando la testa sull'incavo della sua spalla, e di conseguenza, nei suoi capelli profumati. Era ancora sveglia, ma non sembrava essere cosciente di ciò che accadeva nel mondo.






*Onice P.O.V.*

Pian piano tornai nel mondo reale. L'eroina girava ancora nel mio sangue, la sentivo, ma stavo tornando a percepire anche il mondo. 
Mi trovai su Henk, che mi stringeva forte. 
"Che cazzo...?" Bisbigliai. 
"Bentornata nel mondo." 
Alzai la testa, rotolando subito di lato. 
"Cosa.." Lui mi zittì subito. 
"Sono due ore che stai così, non ti preoccupare, volevo solo assicurarmi che stessi bene. Ora inizia il giro per me, devo vendere qualcosa stasera."
Guardai l'orologio: era mezzanotte. Possibile che non ricordassi nulla? 
"Ehm...grazie". Lui mosse la mano, come per dirmi che non avrei dovuto ringraziarlo. Si alzò, scosse un pò di foglie dai pantaloni e si allontanò. 
"Vattene prima delle quattro, a quell'ora passa il custode a controllare prima di riaprire." Annuii. 
Avevo i muscoli rilassatissimi, e la stanchezza, oltre la fame, iniziarono a crearsi spazio. 
Mi nascosi meglio dietro un cespuglio, e usando lo zaino come cuscino, mi addormentai lentamente, dimenticando che durante tutto il giorno non avessi toccato cibo.












Beh si, sono tornata. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi farebbe davvero molto piacere. A presto gentaglia!

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Capitolo 11
*** Caos. ***


"Onice".
Sentivo la sua voce, famigliare, molto distante.
"Onice, nana, svegliati! Sono le tre e mezza e sei ancora buttata nel parco."
Questa volta una mano mi scosse la spalla, portandomi violentemente via dal sonno privo di sogni che mi stava attanagliando.
"Henk..." Farfugliai in preda alla stanchezza e stropicciandomi un occhio.
"Lei è nel giro?" Questa volta non era Henk. Aprii meglio gli occhi, mettendo a fuoco una ragazza distrutta, magra, con i capelli scompigliati e secchi, di un colore simile al verde appassito ed il viso rovinato dalla droga.
"Si, da poco." Disse Henk arricciando il lato delle labbra, in segno di dissenso.
"Lei è Crystal. Crystal, lei è Onice." Mi fece un cenno della mano, io mi alzai, prendendo il mio zaino e spostando le foglie scricchiolanti dai miei vestiti.
Avevo già visto quella ragazza, la si trovava spesso in stazione, alla ricerca di soldi facili, sicuramente per le sue dosi. Può veramente ridursi così una persona?
"Henk, controllo che non ce ne siano altri così andiamo" Disse Crystal allontanandosi e non degnandoci di uno sguardo.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
"Perchè pattugliate il parco?" Chiesi stranita. Henk rise, innervosendomi. 
"Certo che sei proprio ingenua. Se ci trovano dei tossici, chiamano la polizia, se dovesse essere chiamata la polizia,qualche tossico potrebbe fare il mio nome."
"Non sono ingenua, stronzo." Feci una breve pausa. "E lei che ti aiuta? Perchè lo fa?" 
Lui fece spallucce. "Beh perchè così mi muovo prima e in cambio le dò un quartino."
Ripensai alla droga. Ne avevo solo un'altra dose, che mi sarebbe servita per la mattina. Ed ero anche senza soldi.
"Henk..." lo guardai con occhi pietosi. 
"Che vuoi, nana?" Lo fissai dritto negli occhi. 
"Ho bisogno di altre due dosi." Lui arricciò le sopracciglia, guardandomi imbronciato.
"Non te le sei già sparate entrambe, vero?" Scossi la testa, mostrandogli un no secco. 
"Fammi vedere la dose allora." Disse lui. 
Perfetto, neanche mi credeva. Roteai gli occhi al cielo, sbuffai e presi il mio portafogli, uscendo il quartino che mi era rimasto con lentezza, come se avessi paura di perderlo nel nulla, o che uscendolo per non usarlo si sarebbe potuto dissorvere nel nulla. Quante paranoie da tossica del cazzo.
"E come pensi di pagarmela?" Mi guardò con un altro mezzo sorrisino, facendomi notare la sua spavalderia.
"Dammene due e te li pago domani a scuola, te lo giuro. Ci vediamo mezz'ora prima della mensa vicino al ripostiglio del primo piano." 
Lui sospirò, uscendo i miei preziosi quartini.
"Non faccio mai così con nessuno, e non abituartici, voglio che tu lo sappia e te lo ficchi in quella testa da tossica. E sappi che se dovesse ricapitare sceglierò io come essere ripagato." Aveva un tono di voce schifato e sicuro di sè.
"Henk. Smettila. Non sono una cazzo di tossica, non sono come Crystal." Lo guardai fucilandolo con gli occhi.
"Poco mi importa. Oltre le due dosi al giorno non avrai altro da me." Disse tranquillo continuando a tenere stretti i suoi quartini, che continuavo a guardare desiderosa di averli con me.
Tuttavia, le sue parole iniziali mi imbrattarono il cervello, e la paura di rimanere con la voglia di farmi, e senza roba, mi pervase. Me la presi con Henk.
"Cazzo Henk. Non ti dovrebbe importare solo il guadagno? Che ti frega della mia vita, o di quanti quartini mi sparo? Neanche ci conosciamo, neanche abbiamo mai parlato seriamente. Dammi la mia cazzo di droga quando te lo dico e basta, cazzo."
Mi passò i quartini, che nascosi subito e gelosamente nel portafogli. 
"Onice, con te, dei soldi mi importa poco. Quindi farò ciò che dico io. Non rompere." Quelle parole mi stranirono. Cosa intendeva dire? 
Crystal ci raggiunse, indicando che potevamo andare via tranquilli.
Henk le passò un quartino, staccandosi da lei e aumentando il passo per rimanere accanto a me.
Silenzio.
Si sentivano solo il rumore delle foglie che si spezzavano sotto di noi.
"Dove abiti nana? Ti accompagno. Da sola a quest'ora di notte... qualcuno potrebbe far male al tuo bel faccino".
"Potrei far male io al tuo di faccino, se non la smetti. Lasciami in pace Henk, ci becchiamo domani a scuola, per i soldi." Infilai le mani nella felpa, per scaldarle.
"Mmh" Lui sorrise "Che bel caratterino che hai piccolina...mi piace, mi piace". Mi sorrise maliziosamente,mi fece un occhiolino e poi si allontanò, dirigendosi da un'altra parte.
Camminai, raggiungendo il vialetto di casa mia.
Erano le quattro e mezza del mattino e la stessa paura di poche ore prima mi stava riempiendo il cervello. -E se mi picchiasse? E se avesse bevuto ancora?- E se, e se. quante domande. Respirai profondamente l'aria fredda del primo mattino, notando le luci spente. -Probabilmente dorme, e se faccio piano non si sveglia-
Presi le chiavi dallo zaino, cercando di fare meno rumore possibile. Ma non servì a nulla...mia madre...beh, lei era stesa sul pavimento, inerme, ancora.
Corsi subito da lei, che era fredda come il pavimento di marmo. Fortunatamente respirava ancora.
-Devo chiamare l'ambulanza. Cazzo- 
Fu allora che ricordai l'assistente sociale, che già al primo rischio di coma etilico si era intrufolata nelle nostre vite.
Sarebbe potuto andare tutto a puttane, tutto per colpa sua, che si rifugia nell'alcool. Tutto per colpa delle sue debolezze. Ma non potevo lasciarla lì, rischiava di morire.
Presi il telefono tremando, avvertendo un'ambulanza per soccorrere mia madre. Doveva essere successo da molto tempo.
Lei puzzava in una maniera incredibile di alcool.
Mi dovevo fare di nuovo, lo sentivo dentro. Sentivo il mio sangue pulsare e richiedere la dose, facendo parlare il mio corpo.
Guardai mia madre, e con un'indifferenza che non mi era mai appartenuta mi preparai la dose,che sparai nelle vene il più in fretta possibile, sudando freddo per l'inizio della rota, e per l'ansia dell'arrivo dell'ambulanza.
La dose iniziò ad riavvelenare il mio sangue, una tranquillità assurda mi pervase. Sentii le sirene, mi alzai a fatica.
I paramedici parlavano, mi chiedevano informazioni. Ma le loro voci sembravano provenire da un altro mondo. 
"Deve essere in shock". Riferì un ragazzo ad un altro.
Mi fecero salire con mia madre in ambulanza.
"H-ha bevuto." Farfugliai con l'unico filo di voce che la droga non era riuscito a trattenere nel mondo in cui trasportava il mio organismo e la mia anima spezzata. Il paramedico di prima, mi rivolse la parola.
"Cosa ha detto? Lo ripeta, la prego." Io cercai di concetrarmi, ma delle lacrime iniziarono a rigarmi il volto. Riuscivo a guardare solo un punto vuoto, ed i paramedici che si muovevano avanti e dietro come topi, erano lentissimi ai miei occhi.
"Ha bevuto. Credo." Questa volta riuscii a dirlo più forte.
Il paramedico iniziò a dire delle cose in codice in una radio per preparare l'ospedale all'arrivo di mia madre. Furono allertate le forze dell'ordine, che come l'ultima volta avrebbero mandato un'assistente sociale in ospedale. 
Mi andava bene così, con la mia droga in corpo ero pronta a riaffrontare tutto.
Una volta arrivata in ospedale, rimasi immobile nella sala attesa, con le mie vene sporche a farmi compagnia.







Dopo un pò di tempo, un uomo arrivò correndo, con l'ansia nel petto visibile a chilometri di distanza. Avevo visto di sfuggita quel viso, una volta. Ma poco mi importava,al momento non lo ricordai nemmeno e rimasi ipnotizzata nei miei pensieri.
"Onice." Si fermò accanto a me, sembrava volesse abbracciarmi, ma io non ne avevo nè l'intenzione, nè la voglia.
"Onice." Disse con più calma, posando una delle sue possenti mani sulla mia spalla. La presi e la tolsi, lo guardai con lentezza. 
"Cosa vuole da me?" -E come fa a sapere il mio cazzo di nome quel vecchio pervertito?!- Pensai.
"Sono il ragazzo di tua madre." A quelle parole successe qualcosa. Sembrava come se il mio stesso sangue, stesse combattendo contro la droga per farmi riprendere la piena coscienza di me e dei miei pensieri. E fu esattamente così, mi ripresi da quell'inifinito torpore in pochissimo tempo.
Squadrai dalla testa ai piedi quella persona che avrei odiato a prescindere e che aveva osato persino toccarmi la spalla.
Aveva un viso famigliare, ricordai quel giorno che lo vidi di sfuggita, ma c'era qualcos'altro che non riuscivo a capire. All'improvviso sentii il peso di tutto quello che era successo gravarmi sulla schiena, come se un lottatore di sumo avesse appena deciso di buttarsi sul mio corpo esile.
Scoppiai in un pianto disperato. L'uomo mi guardò, allargò le sue grandi braccia e mi abbracciaò mostrandomi uno strano sorriso amorevole.
Io cercai di stringermi in me stessa il più possibile, sentendomi stupida, anche per la potenza dei miei singhiozzi. 




Erano ormai le sei di mattina, e nessuno aveva notizie di mia madre.
Iniziai a sbraitare.
"Possibile che qui nessuno possa dirmi che cazzo sta succedendo a mia madre!" Feci un respiro profondo. "Medici del cazzo". Le mie gambe cedettero, non dormivo da ore, e l'eroina, che in quei giorni mi saziava, lasciandomi lontana dal cibo, mi aveva indebolita talmente tanto da farmi cedere.
Le mie gambe, mi lasciarono inginocchiata inerme su quel pavimento freddo.
L'uomo di mia madre, mi prese in braccio e mi fece sedere su una sedia. -Se si azzarda ancora a toccarmi gli spacco la faccia appena ne avrò le forze- Pensai con tutta me stessa.
Improvvisamente, un dottore dal camice candido ci raggiunse.
"La signora starà meglio, la stiamo monitorando. Tuttavia, c'è un'assistente sociale che necessita di parlare con la signorina Onice."
Dalle spalle del medico spuntò una signora bassa ed esile, con i capelli corti e la faccia che mi ricordava il piccolo orsacchiotto che mi aveva regalato mio padre per il mio terzo compleanno.
"Sono l'assistente sociale Barbra, chi è l'uomo qui presente?" Il ragazzo di mia madre si schiarì la voce, sistemandosi la cravatta che precedentemente aveva allargato.
"Sono il ragazzo della madre". 
"Mmmh" Barbra guardò entrambi, facendoci cenno di seguirla.
Si sedete con le gambe incociate, mantenendo una posizione elegante come il suo vestito. "Io qui ho dei precedenti sulla signora, e questa volta, non sarà tutto rose e fiori. La scorsa volta avevamo fatto un'eccezione, ma ora bisogna capire, ci sono già dei precedenti." Fece un secondo di pausa, guardandomi dritta negli occhi. "Regolarmente la ragazza dovrebbe essere portata in una casa famiglia temporanea per il tempo che la madre passerà in una comunità da cui non potrà uscire fino a che non sarà totalmente sobria da almeno 365 giorni".
Avevo perso mio padre, ed ora anche mia madre. Potevamo cambiare città, potevo farmi degli amici, ma la sfiga nella mia vita non avrebbe mai avuto fine. MAI.
"Mi scusi se la interrompo." Irruppe il ragazzo di mia madre di cui ancora non conoscevo il nome. "Potrei fare da tutore alla ragazza. In fondo, è come se fossi il suo patrigno." -Ma chi cazzo si crede di essere questo, ma chi lo conosce.- Sbottai nella mia mente.
La signora Barbra si portò la penna sulle labbra, pensierosa.
"Beh, si, non è una cattiva idea. Mi procurerò i documenti per rendere la cosa ufficiale." 
Un anno con un completo sconosciuto. E senza che nessuno mi avesse chiesto cosa ne pensassi. Ed in maniera così veloce. Lui potrebbe essere uno strupratore, un drogatom un alcolizzato o non so cosa. Belle le leggi del cazzo.
I due si scambiarono i numeri di telefono, dicendo che sarebbero rimasti in contatto.
Poco dopo, ci permisero finalmente di vedere mia madre.
Era tutto esattamente come la prima volta.
Varcai la soglia della sua camera, le mie narici furono disgustate dall'odore tremendo di spirito, e i miei occhi piansero quasi sangue nel vedere mia madre su quel letto, pallidissima, con tutte quelle flebo, per la seconda volta.
Si sarebbe ripresa in una settimana circa, il che significava che sarei stata 372 giorni con il suo cazzo di ragazzo, di cui io, fino a qualche giorno prima, non sapevo nemmeno l'esistenza.
Era ancora svenuta, sembrava morta.
Il suo ragazzo le lasciò un bacio dolcissimo sulla fronte, accarezzandole poi la mano.
"Vieni con me ragazzina, è già tardi, dobbiamo fare molte cose." 
"Io non vengo da nessuna parte, io rimango con mia madre." Incrociai le braccia al petto.
"Hai bisogno di fare colazione, hai bisogno di dormire. Baderò io a tua madre, te lo prometto." Sembrava sincero, ed anche molto dolce. Sotto alcuni aspetti mi ricordava mio padre. Il che non migliorò affatto la voragine che mi si era formata nel petto. 
"Va bene, va bene". Cedetti.
Mi accompagnò a casa, io uscii dalla macchina e lo vidi uscire con me e seguirmi fin sul vialotto. Corrugai la fronte.
"Vuole entrare in casa con me?" Lui rise, quasi divertito.
"Ma non hai capito, credo" Sorrise. "Prendi le prime cose che ti servono per riposare, mettile in uno zaino, mentre mangi qualcosa io ti preparo il resto delle robe, verrai a vivere da me".
Lo guardai incerto. 
"Io non la conosco, non penso sia il caso di vivere con lei". Lui roteò gli occhi al cielo.
"Va bene, ma non lascio da sola la figlia di una delle persone a cui più tengo al mondo. E non ti lascerò finire in una casa famiglia. E a quanto pare l'assistente sociale è anche d'accordo, temo tu non abbia molta scelta."
Rimasi in silenzio. Poi ripresi. "Si, ma lei la mia roba non la tocca. Lei prepari qualcosa per colazione, io vado a preparare tutto." 
Avevo le mani legate.
Salii con lentezza nella mia stanza ed iniziai ad uscire le valigie che pochi mesi fa avevo utilizzato per trasferirmi in questa stupida città in cui pensavo che le cose sarebbero cambiate, ed invece no. Il mondo non cambia, non vuol cambiare.
Sentivo il sangue ed il mio corpo inziare a reclamare il veleno di cui mi nutrivo: erano circa le nove, e sarebbe stata già la mia seconda dose. Ne avevo solo altre due per tutto il giorno, avrei dovuto resistere, ed era molto più facile dirlo, piuttosto che farlo.
Il peso di quella notte si impossessava sempre più di me, come una piccola perla nera che si nutriva dei miei problemi, delle mie paure, crescendo sempre più. Quasi riuscivo a localizzarla nel mio petto, quasi riuscivo a sentirne la freddezza e la scurezza.
Il mio cellulare vibrò. 


"Come mai non sei venuta al bar? E a scuola?"
Era Syn. Ignorai il messaggio, posando il telefono accanto alle valigie quasi pronte.



Il telefono vibrò di nuovo dopo pochi minuti.
"Perchè visualizzi e non rispondi? Devo preoccuparmi?"
Non sapevo che fare.
Risposi. "Te ne parlerò più tardi, ci vediamo stasera".
Mandai il messaggio e lanciai il cellulare dall'altro lato del letto. 


La pelle iniziò ad infastidirmi. Sentivo prurito ovunque. Sentivo la stessa sensazione che si prova ad indossare un irritante e pungente maglione di lana. 
Volevo staccarmi la pelle in qualche modo. Cercai di passare un getto di acqua fresca sulle braccia e le gambe, che migliorò per pochi secondi quella straziante sensazione.
Entrai in bagno, per prendere il mio penultimo quartino e spararmelo nelle vene. 
Estasi.
Piacere.
Prurito svanito.
La grande perla nera nel mio petto svanita.
Mi sentivo così leggera da poter volare.
Presi tutta la mia roba, la avvicinai pian piano all'inizio delle scale, e con tanti viaggi portai il tutto davanti alla porta.
Quel signore stranamente premuroso aveva preparato del latte caldo, aveva uscito i cereali, e si era preparato un caffè bollente.
Mangiai poco, dato che le mie palpebre divennero improvvisamente pesanti, rendendomi così conto che erano circa 24 ore che non riposavo. 
Dopo aver sistemato tutto, entrai di nuovo nella macchina di quel signore, guardando la mia casa scomparire in lontananza.
Arrivammo alla sua abitazione, che mi sembrava di aver già visto. -La stanchezza mi sta dando al cervello-. Pensai.
Entrai nella sua casa, rimanendo immobile nell'ingresso.
"Può mostrarmi la mia stanza? Sono estremamente stanca." 
Mi fece salire al piano di sopra, aiutandomi a portare la mia roba.
Mi mostrò una stanza molto anonima, con un bagno che portava ad un'altra stanza.
"Quella è la stanza di mio figlio, i bagni sono comunicanti, e questa in cui sei tu è la stanza degli ospiti." Rimase in silenzio per un paio di secondi. "Io adesso devo andare a lavoro, tornerò per cena."
Lo ringraziai, lui chiuse la porta e sentii i suoi passi allontanarsi pesanti nel corridoio.
Mi buttai sul letto, mi ricordai dell'appuntamento con Henk, ed impostai una sveglia per uscire al momento giusto.
Stava succedendo tutto così in fretta, ed io stessa non stavo ancora realizzando che quello sarebbe stato solo un ulteriore passo verso la mia autodistruzione.

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Capitolo 12
*** What the hell!? ***


La sveglia suonò prima di quanto potessi immaginare.
Mi sembrava di aver riposato solo per pochi minuti, quando in realtà non fu così. Sentivo le tempie pulsare,gli occhi gonfi ed il corpo a pezzi.
Aprii gli occhi, quasi convinta che fosse stato tutto un brutto sogno, ed invece no. Le coperte candide, così diverse da quelle viola che avevo nella mia stanza, mi riportarono subito alla realtà: ero nella casa di un completo sconosciuto.
Posai i piedi nudi sul marmo freddo,dirigendomi subito verso il bagno e sentire un brivido percorrermi la schiena. Feci una doccia veloce, ma estremamente calda, cercando quasi di dimenticare tutto con la forza del vapore.
Uscii e mi avvolsi un accappatoio morbido attorno al corpo. 
Vidi la porta della stanza del ragazzo che avrei conosciuto, con cui avrei vissuto e che sarebbe stato il mio fratellastro. Ero così tremendamente curiosa di vedere che tipo fosse...lo ero così tanto che in men che non si dica mi ritrovai a camminare verso quella direzione.
Mi fermai un secondo, riuscivo a sentire l'aria entrare ed uscire dai miei polmoni. Tesi la mano per aprire la porta, tremando, la posai sulla maniglia, tirandola verso il basso e...era chiusa.
Imprecai.
Voltai le spalle a quella misteriosa porta, che aumentava a dismisura la mia curiosità, uscendo poi dal bagno e dirigendomi verso la mia valigia. Ancora non avevo sistemato nulla nell'armadio e nei cassetti.
Indossai un leggins nero ed aderente, un felpone largo che copriva di poco il mio sedere prospero ed i miei anfibi vecchi.
Prima di lasciare casa di mia madre, fortunatamente, avevo preso tutti i soldi che io e mia madre usavamo nascondere in parti diverse della casa.
Da quel piccolo fondo presi circa 50 dollari, per poi nascondere il resto nel fondo di un cassetto della scrivania.
Scesi al piano inferiore, trovando le chiavi di casa proprio dietro la porta. Le afferrai, assicurandomi che entrassero nella serratura ed uscii.














Arrivata nel giardino della scuola, nonostante ci fossero solo due o tre persone, iniziai a sentirmi osservata.
I loro occhi mi guardavano, e la mia pelle sembrava così distrutta dal lasciar passare i loro occhi dentro le mie incertezze e le mie delusioni. Sembrava come se sapessero del caos che stava riempiendo me stessa, e della voragine nera che stava risucchiando la mia anima stanca.
Pensai, dunque, di alzare il cappuccio della felpa, chiudendomi in me stessa. Fortunatamente le lezioni non erano ancora finite, quindi avrei avuto un pò di tempo prima che tutti sarebbero usciti. 
Speravo solo che Henk fosse puntuale.
Raggiunsi il posto di cui gli avevo parlato quella notte, trovandolo già lì con mia grande sorpresa.
Non appena mi vide mi sorrise largamente. "Bellezza, mi fa piacere vedere che mantieni le promesse." Ammiccò.
"Che credevi, che fossi una tossica del cazzo?" Risi nervosamente, guardandomi intorno. Il corridoio era completamente vuoto. 
Uscii i soldi dalla tasca, passandoli al mio spacciatore. Lo guardai dritto negli occhi, ricordando perfettamente tutto ciò che mi avesse detto la notte appena passata, ma cercando in qualche modo di fargli cambiare idea.
"Onice, non guardarmi così. Le tue dosi per oggi sono finite qui." 
Sospirai, imprecando subito dopo.
"Cazzo Henk, ne ho bisogno". Lui si avvicinò pericolosamente al mio volto, il suo naso era ad un granello di polvere dal mio, ed i suoi occhi scuri cercavano di penetrare nei miei, azzurri come il ghiaccio.
"Non ti rovinerò più di quanto abbia già fatto. E non dirmi che ti sei sparata già le dosi..." rimase perplesso per qualche secondo.
Mi toccò il taglio sull'occhio, come se lo avesse visto solo in quell'istante. Ci passò dolcemente il pollice sopra.
Dopo qualche secondo di silenzio, in quella strana situazione surreale, mi scostai brutalmente da lui, spostandogli il braccio.
"Me ne rimane una sola...è che ho avuto una nottata incasinata, se non mi fossi fatta sarei impazzita"
Lui mi prese per le spalle, portandomi in uno sgabuzzino che si trovava proprio alle nostre spalle.
"Sei forse rincoglionita?! Ti sei sparata tre dosi in una notte?!"
Il suo respiro divenne pesante, i suoi occhi viaggiano alla velocità della luce, toccando i  miei occhi e le mie braccia nude, dato che mi aveva alzato la manica della felpa per constatare in che stato fosse il mio braccio.
"Non m'importa che problemi hai avuto, ma non voglio vederti morire perchè ti comporti da stupida!"
Io rimasi immobile. Le mani mi tremavano. Volevo solo che la smettesse di parlare. Avevo solo bisogno di drogarmi un pò. 
Tirai immediatamente giù la manica della felpa, lo guardai dritto negli occhi.
"Non sei nessuno per comandarmi. Non sai nulla di me, non c'è motivo che tu inizi a preoccuparti della mia cazzo di vita."
Sentii il bisogno di fuggire da lì...e lo feci, prima che un attacco di panico potesse divorarmi dall'interno.
Vidi Henk seguirmi per poco e gridare il mio nome. 
Tornai in quella mia nuova casa,correndo, e buttandomi immediatamente a letto, cercando di calmare i primi sintomi dell'astinenza: avevo a disposizione solo una dose.
















Delle urla mi svegliarono dal sonno a cui ero riuscita ad aggrapparmi con fatica.
"Una ragazza in casa?! Mi prendi per il culo papà!?"
"Figliolo, cerca di calm..."
"Io non mi calmo neanche per il cazzo! Hai capito?! Fai le cose di testa tua, e pretendi che io acconsenta a tutto?! Userà persino il mio cazzo di bagno! Ti rendi conto?!"
Rimasi in silenzio. -Peggio di così non potrebbe proprio andare.- Pensai.
Sentii dei brividi scuotermi e una forte nausea mi attanagliò le membra, non ero mai arrivata a stare così tanto tempo senza farmi, avrei dovuto farlo il prima possibile.
"Così ti sentirà, è già in camera, abbi un pò di rispetto, non ha passato una nottata facile..."
"Voglio proprio vedere chi cazzo è." Disse il ragazzo con voce decisa. Sentii dei passi pesanti venire verso la mia stanza.
In quel momento, indossavo solo una maglia larga, che a stento mi copriva il sedere. Mi alzai, dando le spalle alla finestra, che si trovava proprio di fronte la porta, poi abbassai la testa, rimanendo immobile.
"Cosa diamine fai!? Non entrare in quella stanza!" Disse il padre che aveva la voce molto più pronunciata, rispetto a quella del figlio, che era molto profonda e cupa.
"Faccio ciò che voglio." Sentii la maniglia aprirsi, poi la porta cigolare. La stanza era buia, l'unica luce era quella del corridoio che creava un'atmosfera soffusa. Alzai leggermente il viso, per rendermi conto di come potesse essere questo ragazzo, che era riuscito a farmi sentire già di troppo. Rimasi immobile, non avrei mai potuto immaginare che fosse lui.
"O-onice..tu.." Lui sbarrò gli occhi, iniziando a balbettare. "T-tu non puoi essere..."
"...la tua sorellastra, Henk". Accennai un lieve sorriso.
"Voi due vi conoscete?" Intervenne subito il padre.
"S-si papà, frequentiamo la stessa scuola" Rispose timoroso Henk. "Ci potresti lasciare soli qualche minuto, papà?" Lui annuì, uscendo, e lasciando la porta aperta. Henk la chiuse prontamente, poi, visibilmente a disagio, si avvicinò a me.
"T-tu lo sapevi?" Feci di no con la testa. Non riuscivo nemmeno a parlare. La sicurezza che volli mostrare nei secondi precedenti, svanì, lasciando spazio all'unica cosa che in quel momento mi importava: farmi. Crollai rovinosamente a terra, cercando di capire come avessi fatto a rimanere in piedi poco prima. Henk si avvicinò subito a me, prendendomi in braccio e posandomi sul letto.
La mia pelle era madida di sudore, alcuni capelli mi si erano appiccicati al viso ed al collo. 
"Onice...dove l'hai? Dov è l'ultima dose?"
Alzai leggermente il braccio, indicandogli il mio portafogli. Lui lo raggiunse in fretta, aprendolo e trovando il mio ultimo quartino. Io mi rannicchiai, iniziando a lamentarmi.
"Onice cazzo, Onice, dove cazzo hai messo la siringa? Porca troia." Lui camminava velocemente dalla valigia al mio zaino, cercando di capirci qualcosa.
"Lo zaino..cazzo. Henk, lo zaino." Soffrivo come non mai. "M-muoviti, ti prego.."
Era la sensazione più brutta che avessi mai potuto provare. Stringevo le lenzuola con le mani, non riuscivo a smettere di star male. Vedevo Henk preparare la mia dose, ma ai miei occhi risultava essere estremamente lento. 
Serrai la mascella dal dolore. "Henk cazzo muoviti". Farfugliavo quelle parole, con lievi intervalli che mostravano tutto il mio dolore.
Mi prese il braccio, sparandomi la dose. Rimosse lentamente la siringa, guardandomi con aria nervosa. Io sentii subito il mio sangue avvelenarsi di quel dolce veleno,che iniziò a calmare la mia astinenza sin da subito.
Il dolore iniziò pian piano a dissolversi, ed il mio esile corpo cedette, troppo stanco dopo tutta quella sofferenza.
Mi rannicchiai maggiormente, sentendomi come una piccola pallina fatta di dolore e sofferenze.
Sentii il telefono squillare, proveniva dal mio cellulare, ma io ero troppo debole per rispondere.












*Jimmy's P.O.V.*

Brian era agitatissimo, sin da quando si era reso conto che Onice non sarebbe arrivata a scuola, eppure continuò a sperarci, in fondo, io ne ero certo.
Dopo scuola mi sembrava scontato stargli vicino, dovevo anche capire cosa sapesse, di Onice.
"Syn, amico, ti va di parlare?" Gli posai una delle mie enormi mani sulla sua spalla, lui sospirò.
"Cosa c'è da dire? La prima volta che mi innamoro di una ragazza, dopo pochissimo tempo questa inizia già a staccarsi da me.."
"Amico, ma che dici? Sarà successo qualcosa, non credo che lei si allontanerebbe così, dal nulla.." Lanciai l'amo sperando che il pesce abboccasse, e che, quindi, Brian mi avrebbe rivelato ciò di cui era a conoscenza.
"Tutto quello che so è che ha dei problemi con la madre, anche per questo sono così preoccupato."
Arricciai le sopracciglia, cercando di capire cosa fare. Certamente non sapeva della droga, ed io speravo sempre più che quella ragazzina avesse seguito il mio consiglio.
"Jimmy, io provo ad andare a casa sua, voglio vedere come sta."
"Ti seguo, amico."
Il tragitto fu silenzioso, estremamente silenzioso. Brian fumava nervosamente le sue Marlboro rosse.
"Se fosse successo qualcosa mi avrebbe potuta avvertire. Secondo me vuole rompere con me." Si passò una mano tra i capelli, nervosamente. Lo fermai, tenendolo dalle spalle, casa di Onice si trovava proprio di fronte a noi.
"Guardami negli occhi. Non le hai fatto nulla. Non è cambiato nulla tra voi, quindi smettila di sparare stronzate." Mi fermai un attimo, non avevo mai visto Brian stare così per qualcuno, in fondo sapevo che le sue mura sarebbero state abbattute, prima o poi.
Lui annuì, poco sicuro di se stesso. "Le luci sono spente..." Mi fece notare.
Questo iniziò ad insospettirci. Suonammo, con l'ansia nel cuore. Mentre attendevamo, iniziai ad immaginare Onice per terra, svenuta per un'overdose, o anche peggio, morta. Quel pensiero, come un verme fa con una mela, mi trapassò il cervello.
Cercai di lasciarlo andare, così come era venuto. I minuti scorrevano, ma nessuno veniva ad aprirci. 
"Potrebbe essere uscita con la madre". Dissi prontamente.
Brian si sedette sul pianerottolo. "Io la chiamo." Anuii, accendendomi una sigaretta.
"Metti il vivavoce, voglio sentire anche io."
Il cellulare iniziò a squillare, all'inizio temevo non rispondesse.
Poi una voce maschile rispose al telefono.
"E tu chi diamine sei?!" Esclamò subito Brian. La persona che aveva risposto al telefono di Onice, aveva una voce cupa, notevolmente agitata.
"Brian, sono Henk.." Brian sbiancò, non permettendo al ragazzo di finire la frase.
"Cosa diamine ci fai con lei? Che diamine sta succedendo?!" Brian si alzò di scatto, con un'espressione d'odio e gli occhi iniettati di sangue.
"Brian, non è come sembra, lasciami spiegare.." Lui lo interruppe di nuovo.
"Lasciarti spiegare!? Non c'è nulla da spiegare. Tu sei morto. Passami Onice."
"N-non può risponderti adesso.." Brian riattaccò subito, muovendosi subito dopo verso l'uscita di quella villa.
"Brian, cazzo fermati." Lo bloccai, impedendogli di passare.
"Jimmy lasciami. Devo spaccare la faccia a qualcuno."
"Tu devi calmarti." Iniziai a gridare. "Vuoi finire in galera o cosa?" Brian mi abbracciò, iniziando a piangere. Erano anni che ci conoscevamo, e non aveva mai, e ribadisco, mai, pianto. Per niente, per nessuno. Poi era arrivata Onice, e tutto era cambiato. 
"Capiremo che diamine sta succedendo appena ti riprenderai, ma ora, sfogati amico mio.." Gli diedi delle pacche sulla spalla, senza riuscire a togliermi dalla testa il fatto che Henk fosse uno spacciatore, e che probabilmente, il tradimento non aveva nulla a che fare in questa storia.
Ma la cosa che mi preoccupava ancora di più era il tono di voce di Henk, fin troggo agitato per i miei gusti.
Decisi di tenere Brian all'oscuro di ciò che sapevo su Onice, sarebbe stata lei a doverlo dire, mi sembrò la cosa più giusta da fare.
O forse mi sbagliavo?

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Capitolo 13
*** Lost. ***


Aprii lentamente gli occhi, sentii la mano di qualcuno nella mia. Lo guardai.
"Henk.."
Lui allontanò subito il braccio da me, come se non volesse farmi capire che mi avesse stretta tutto il tempo.
"Ben sveglia piccolina".
Mi sedetti sul materasso. "Quindi il mio guturo fratello e il mio spacciatore sono la stessa persona?" Ironizzai stupidamente.
Gli occhi di Henk si abbassarono.
"Dovremo parlare di questo prima o poi. Dai vieni, non hai ancora cenato, e dovresti iniziare a mangiare un pò di più, sembri uno scheletro."
Lui si alzò e si avvicinò alla porta, rimase poi fermo in mia attesa.
Mi alzai, indossavo ancora la maglia che a stento riusciva a coprire il mio sedere, e notai subito che Henk non riusciva a smettere di guardarmi.
"Dovrei cambiarmi..." Lo fissai, come per fargli capire che volevo avere un pò di privacy.
Lui sembrò sciogliere l'incantesimo che manteneva il suo sguardo incatenato al mio corpo. 
"Papà ci aspetta al piano di sotto, ci vediamo lì". Disse debolmente e chiudendo la porta.
Mi piegai verso la valigia, presi uno dei miei pigiami migliori, e mi diressi verso il cellulare. 
C'erano parecchi messaggi. 
Mi resi conto di essere totalmente sparita. Anche per BRIAN.
Sarei voluta sprofondare nel materasso e finire in un universo parallelo.
Aprii la chat con il suo nome. 
"Onice, amore" -mi aveva chiamata amore- "non ti ho vista a scuola, che succede?
Amore, è ora di pranzo, non vorrei preoccuparmi inutilmente..
Onice sto venendo a casa tua
MI SPIEGHI CHE CAZZO CI FAI CON HENK? COME MAI HA RISPOSTO AL TUO CELLULARE?
Tra noi è finita, non voglio saperne nulla."
Un colpo al cuore. Panico. Vuoto.
Gli risposi tremante, con un semplice "Vediamoci di fronte casa mia tra due ore esatte, non è come credi".
Scesi in fretta le scale, raggiungendo Henk e suo padre, nonchè il mio futuro patrigno.
"Avrei preferito ci conoscessimo in un modo migliore" disse prontamente il padre di Henk. "Mi chiamo Peter."
Mi sentivo piccola e smarrita, in quella enorme casa che non avevo mai visto prima. Mi sedetti, guardando la tavola imbandita, piena di cibo.
"Papà è sempre stato un ottimo cuoco, dovresti mangiare qualcosa e cercare di prendere un pò di forze."
Anuii, mettendo un pò di purea nel mio piatto, per poi mangiarla lentamente.
"Fra poco dovrei vedere una persona, devo spiegargli delle cose...posso, Peter?"
Lui annuì, spiegandomi che non sarei dovuta tornare tardi, visto che era stata una giornata dura ed impegnativa.
La cena finì in silenzio, come se fossero tutti a disagio per la mia presenza.
Mi diressi in camera, non appena ebbi finito, per cambiarmi e cercare di calmare le acque con Brian, per chiedergli anche scusa.













Ero appena arrivata davanti quella che ormai sarebbe stata la mia vecchia casa.
Brian sarebbe già dovuto essere qui. 
Accesi nervosamente una sigaretta. Poi un'altra, poi un'altra ancora. Non si presentò nessuno. 
Gli scrissi, provai a chiamarlo, ma non ricevetti alcuna risposta.
Iniziai a camminare nervosamente, avanti ed indietro, cercando di capire cosa gli fosse preso.
Mi incamminai verso casa sua,decisa a parlargli ad ogni costo.
In men che non si dica mi trovai dinanzi alla sua porta, un sorriso mi si formò sul viso non appena ricordai la prima volta che varcai questa soglia.
Suonai il campanello: non rispose nessuno. Possibile che fossero le dieci di sera e nessuno fosse in casa? Mi allontanai leggermente, vedendo la casa completamente avvolta nel buio.
Decisi di rimanere ad aspettare in un parchetto a pochi metri dalla casa di Brian.
Mi sembrava così assurdo dover rincorrere e cercare quel maledetto ragazzo, che mi aveva fatta innamorare in così poco tempo. -Innamorata Onice, ma che ti prende?-
Quel ragazzo aveva distrutto le mie barriere. Mi aveva totalmente scoperta dalle uniche protezioni che avevo...e quello fu il mio errore.
Lo vidi avvicinarsi verso casa sua, con le mani posate sul fianco della titolare delle Cheerleader: Cassidy. Era disinvolto, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. 
Sentii una lancia entrare nel cuore. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
Vidi Cassidy prendergli la mano, lui stringere il bacino di quella biondina a sè, stampandole un bacio passionale.
Stupido verme. Avrei dovuto immaginarlo. 
Mi nascosi dietro la siepe, mi sedetti e cercai di respirare lentamente. Sentivo l'ansia attanagliarmi le membra.
Inoltre i rumori della serratura di Brian, e gli schiamazzi di quella stronzetta, non riuscivano a rendermi la vita facile. Mi stava tradendo. 
Non avrei mai dovuto permetterglielo. I brividi iniziarono a percorrermi la schiena, rimasi immobile, cercando di non farmi prendere in pieno dalla crisi.
Iniziai a tremare, il cuore batteva così forte che avrebbe potuto lacerare le mie costole. Mi strinsi in me stessa, raccolsi le gambe al petto, cercando il più possibile di proteggermi. 
Ma ormai era troppo tardi, ormai il mio cuore perdeva sangue, e il metodo migliore per ricucirlo, sarebbe stato una bella dosa della mia nuova migliore amica.
Mi alzai, forte del pensiero che del veleno mi avrebbe fatta stare meglio. 
In poco tempo raggiunsi la mia nuova casa.
Guardai l'orologio situato nell'ingresso, rendendomi conto di aver fatto più tardi del previsto: era già l'una di notte.
Non appena chiusi la porta, vidi la faccia di Henk spuntare dal piano di sopra.
Lo raggiunsi subito.
"Che fine hai fatto?" Evitai il suo sguardo.
"Ne ho bisogno Henk." Abbassai la testa.
Lui mi prese per un braccio trascinandomi nella sua stanza.
"Sei pazza? Magari vuoi far sapere a mio padre che io sia uno spaccino?"
Evitai nuovamente il suo sguardo, nonostante lui cercasse in tutti i modi di incollare i miei occhi ai suoi. 
Lo presi dal viso, gli accarezzai una guancia, poi lo abbracciai, sentendo quei pochi rimasugli di armatura sgretolarsi. Senti le sue braccia stringermi forte.
"La droga non ti aiuterà, credimi. Ti renderà solo più fragile." Disse con voce profonda e seria. Iniziò ad accarezzarmi i capelli, lentamente. Stringendomi ancora il più possibile.
Mi accompagnò nella mia stanza. "Dovresti riposare e cambiarti, piccola"
Annuii lentamente, iniziando a spogliarmi, proprio davanti a lui. Rimase immobile, ed io lo guardai dritto negli occhi, sperando che si decidesse a darmi un pò di droga. Sarei stata disposta a tutto pur di farmi. 
"I-io...forse è meglio che torni in camera mia".
Chiuse la porta alle sue spalle mi lasciò da sola. Mi tolsi anche il reggiseno, lasciandomi poi andare sul letto, quasi completamente nuda.
Cercai di colmare la solitudine che sentivo, mettendomi ranicchiata nel letto, abbandonandomi poi a dei sogni tormentati.





Mi svegliai qualche ora dopo, gridando, madida di sudore, in preda alla rota. Iniziai a gridare, ancora, con la faccia poggiata sul cuscino.
Sentivo la pelle non appartenermi, avrei voluto strapparla via. 
Iniziai a grattarmi ferocemente.
Un altro grido si preparava a venire fuori dalla mia gola. 
Ripresi il cuscino.
Sentii la porta spalancarsi. Henk era con me. 
"Henk, dammela. Ti prego."
Lui rimase in silenzio, scostò il piumone candido, e si sdraiò accanto a me. Poi iniziò a sussurrare "Fidati di me".
Mi diede una pillolina e dell'acqua, solo dopo scoprii che si trattasse di metadone.
Mi strinse forte a sè, io quasi infilai le unghie nella sua carne,graffiandolo ed aspettando che la pillola potesse fare effetto.
Poco dopo, mi accovvacciai tra le sue braccia, non appena la calma riuscì ad attanagliarmi le membra.
Sentivo il suo fiato caldo sul mio volto, e le sue braccia muscolose e forti avvolgermi. 
"Non ti lascerò mai sola." Mi accarezzò i capelli, e mi addormentai, tra le sue braccia forti e allo stesso tempo delicate.

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Capitolo 14
*** Broken ***


Mi svegliai abbracciata e quasi completamente nuda, tra le braccia di Henk.
Scene della serata precedente mi invasero, trafiggendomi.
Mi scostai dal corpo di Henk, svegliandolo e coprendomi il seno nudo, come se non lo avesse già visto.
"Dovresti andare, tuo padre potrebbe pensare qualcosa di sbagliato.." Lui si alzò, lentamente, dirigendosi poi verso la sua stanza.
Seguii la mia routine mattutina, per poi percorrere la strada verso scuola accanto ad Henk.




















Eravamo quasi in ritardo, Henk mi accompagnò proprio davanti la classe.
Mi aspettavano due ore di matematica. Mi aspettava Brian. Non appena varcai la soglia di quella classe, gli occhi nocciola mi fulminarono. Lui mi guardò, intensamente. Io lo ignorai, cercando di sedermi il più lontano possibile da lui.
Jimmy mi vide camminare, seguendo ogni mio movimento con gli occhi. 
Avrei voluto guardare Brian, avrei voluto urlargli contro quanto mi facesse schifo, avrei voluto spaccargli quel maledetto naso stupendo che si ritrovava.
Dopo pochi minuti seduta in quella classe, mi resi conto di quanto non fossi pronta a rimanere seduta nella stessa stanza di quel traditore.
Mi alzai, e con uno scatto veloce, fuggii fuori dall'aula. Sentii gli occhi di tutti fissarmi.
Mi nascosi in cortile, lontana da tutto e tutti.
Mi sentivo fragile, mi sentivo morta dentro. Avrei voluto prendere una corda, ed impiccarmi sul palo del campo da basket.
Rimasi seduta lì per ore, finchè non arrivò il momento di tornare a casa.
Fuori da scuola, distinguevo il gruppo dei ragazzi, e purtroppo, io ed Henk fummo costretti a passarvi vicino.
Jimmy mi guardò, fugace. Ricambiai il suo sguardo, colma di rabbia. Mi si avvicinarono e mi salutarono tutti. 
Brian mi fissava,intensamente, non riuscendo a levare gli occhi di dosso ad Henk. 
Si avvicinò a me, pericolosamente, ed il mio cervello mi impose di proteggermi. 
"Sparisci". Lo spinsi, sotto gli occhi increduli di tutti. 
La rabbia che avevo dentro stava per scoppiare. "Non avvicinarti mai più a me." Lo guardai intensamente, passandogli tutto il nero che colmava il mio piccolo corpo.
Jimmy mi guardò, interrogativo.
Gli occhi mi si stavano per inondare di lacrime, Henk mi prese il braccio, per farmi andare via. 
"Henk. Vai." La rabbia mi riportò alla realtà, facendo prosciugare quasi subito i miei occhi.
"Henk, aspettami a casa." Un pò indeciso mi lasciò lì, mi voltai verso Brian.
"Cos'è, cacci anche lui adesso? Troia." La voce di Brian, bassa, sommessa, mi fece scattare.
Mi diressi veloce nella sua direzione, lasciandogli uno schiaffo talmente forte, che sentii subito la mano bruciare.
"Lurido verme schifoso. IO MI ERO FIDATA DI TE." Gli lascai un pugno sul labbro. Jimmy mi prese dalle spalle, fermandomi. Non volevo fermarmi, volevo fargli provare tutto il dolore che avevo provato nel vederlo baciare Cassidy.
Però Jimmy non voleva lasciarmi. Mi guardai lei nocche arrossate, una lasciava colare un piccolo rivolino di sangue.
Brian rise. La sua risata rieccheggiò nel mio cervello. Ripensai a quanto fossi stata stupida, nell'essermi fidata di una persona come lui, di avergli permesso di toccare il mio corpo, di avergli permesso di contaminarlo.
"Tu ti eri fidata di me? Cosa avrei fatto io di sbagliato, eh?"
Jimmy mi bloccò maggiormente, io cercavo di uscire tutta la mia forza per poter aggredire quello stupido ragazzo.


























*Jimmy's P.O.V.*


Quella piccoletta non la smetteva, continuava a voler raggiungere Brian con le sue mani. 
Decisi di prenderla su una spalla, dunque la sollevai di peso.
"James Sullivan fammi scendere subito!" Sentivo i suoi piedi sbattere sul mio inguine, i suoi pugni sulla mia schiena. 
Continuai a camminare, posandole poi una mano sulla bocca per farla stare in silenzio.
Non appena fummo abbastanza lontani, e lei si fu calmata, la feci scendere. Crollò subito a terra, singhiozzando.
"Onice, che ti sta succedendo?" Lei scoppiò in un pianto ancora più disperato.
La raccolsi tra le mie braccia, portandola nel garage di casa mia, luogo in cui io e i miei amici ci divertivamo a suonare.
La posai lentamente sul divano, sedendomi accanto a lei.
Era così piccola, fragile, ed indifesa.
Stava tremando. Il suo corpo era dannatamente caldo.
"J-j.." Non riusciva nemmeno a parlare.Tremava fortemente e si ranicchiò, mordendosi il braccio. 
Raggiunsi l'altezza del gomito, per notare che i suoi buchi erano "freschi", se così si sarebbe potuto dire.
Capii in fretta.
Le avvicinai un secchio, sapendo che avrebbe potuto vomitare.
Onice iniziò a martoriarsi il corpo. Vederla in quelle condizioni mi fece assopire.
Mi avvicinai a lei, cercando di accarezzarla e di darle coraggio.
"D-devo farmi."
Stringeva le braccia con forza, iniziò a sudare, ma notavo i brividi percorrerle il corpo.
Sentivo un fuoco iniziare a bruciarmi dentro. Lei continuava a torturarsi la pelle. Iniziò a voler sfogare quel martirio gridando.
Prontamente le tappai la bocca con le mani, per non creare caos in casa.
Come se fossi stato stregato, premetti il mio corpo sul suo, sentendo lo stomaco uccidermi. Tolsi la mano dalla sua bocca, poggiando poi le mie labbra sulle sue. 
La baciai violentemente, come a farle capire che si sarebbe potuta sfogare su di me. 
Lei mi prese un braccio, con forza. Mi strinse a sè e mi morse una spalla. Affondò i denti nella carne. Il dolore non riuscivo a sentirlo, avevo occhi e pensieri solo per lei. 
Improvvisamente reclinò la testa indietro, le vene del collo le si gonfiarono.
Mi spinse bruscamente ed iniziò a vomitare nel cestino.
Le tenni i capelli, massaggiandole la nuca.
Presi il telefono, e chiamai subito Henk.
"James, dov'è Onice?" mi disse prontamente, senza nemmeno farmi riuscire a parlare.
"Vieni nel mio garage, e porta qualche cazzo di cosa che le faccia calmare questa crisi di astinenza. Sta soffrendo un sacco."
"Controllale le pupille, sono dilatate?"
Le spinsi la testa indietro, con molta delicatezza, e le aprii uno degli occhi, che lei teneva semichiuso.
"Sono dilatatissime"
Era la prima volta che assistevo dal vivo ad una cosa del genere.
Mi sentivo così impotente.
"Prendi dell'acqua, io arrivo subito."
Henk chiuse subito il telefono, io mi limitai ad accarezzare Onice.
Mi alzai per andare a prendere dell'acqua fresca e dei panni. Riempii una bacinella, in più portai una bottiglia d'acqua.
Bagnai i panni nella bacinella gelida, per poi posarli sulla fronte di Onice. Lei ebbe un sussulto.
Intanto, sentii bussare sulla porta del garage, aprii, ed Henk si presentò subito accanto a lei. Dandole una pillola di non so cosa e facendogliela ingoiare il prima possibile.
Onice continuò a soffrire per una mezz'oretta circa, poi, il metadone, la aiutò facendola addormentare.
"James, non ho altro metadone, dobbiamo trovare un modo per averne tanto. Dobbiamo farla disintossicare."
Lo guardai smarrito, tutta questa situazione era spuntata dal nulla.
"Dobbiamo portarla a casa, Henk"
Henk annuì.
"Dobbiamo sbrigarci, mio padre tornerà a casa a breve."
"E che c'entra tuo padre con lei?"
Lui sospirò. 
"Voi ancora non sapete nulla..Vieni a casa con me, James, ti spiegherà tutto lei quando si sveglierà." 
Fissai Onice, il viso pallido creava un contrasto pazzesco con i suoi capelli corvini.
La presi subito tra le braccia, cercando di non svegliarla e mi diressi a casa di Henk, per provare a capire che cosa diamine stesse succedendo.













 


*Angolo autrice*
Cari ragazzi, mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensiate. Francamente avevo pensato più volte di lasciar perdere questa storia, perchè ho avuto l'ispirazione per qualcosa di più fantasy e passionale. 
Anche perchè, ho notato che non stia prendendo molta gente, questa storia qui.
Vorrei tanto avere dei pareri. Vi ringrazio in anticipo e vi lascio una bella pizza.
Al prossimo capitolo!

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