Intruso

di iamsemiautomatic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I. Sporca di Sangue ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

Era un soleggiato pomeriggio di fine luglio quando Alexander Walker, diciotto anni, morì. Stava camminando sul ciglio della strada, poco trafficata in quel periodo, mentre tornava dalla casa della sua fidanzata, Cassandra. Stava ascoltando tranquillamente la musica a tutto volume, tirando di tanto in tanto dei calci ai sassi facendoli ruzzolare giù dalla collina ai lati dell'asfalto. Proprio calciando uno di questi il ragazzo era inciampato, cadendo in mezzo all'erba e sbattendo la testa contro un masso. Un colpo fatale, dietro la nuca, che fece scorrere il suo sangue, lentamente, fino al piccolo ruscello , proprio dietro di lui, che gli bagnava la mano con cui stringeva il cellulare. Alexander era frastornato, lo sguardo vitreo era rivolto al cielo, il rumore delle macchine e del mondo in generale si affievoliva sempre di più.

Alexander Walker aveva appena finito la scuola secondaria e si sarebbe trasferito, di lì a poche settimane, a Edimburgo per studiare all'Università, facoltà di medicina. Bellissimo, volto angelico e carriera scolastica perfetta, era sempre desideroso di stare al centro dell'attenzione, tanto da sentirsi quasi male quando qualcuno, al liceo, non lo salutava.

Paradossale, morire così, da solo, senza che nessuno lo avesse notato.

Ma, in realtà, quando, la morte non è plateale?

Una lacrima gli scese dal viso, un rantolo uscì dalla bocca aperta leggermente.

Mancava poco, lo sentiva.

Stava per finire tutto.

Un'ombra oscurò il sole caldo che carezzava il suo viso, ma non era la sua vista che si stava annebbiando.

Mosse gli occhi verso la sua destra ed emise un altro rantolo, ma se avesse potuto, avrebbe cominciato ad urlare.

Un essere deforme e bianco, nudo, stava accanto a lui e ansimava. Non aveva il naso, la bocca priva di labbra mostrava i denti lunghi e aguzzi, bagnati dalla saliva che scendeva copiosamente dalla lingua a penzoloni, che si muoveva ad intermittenza come se stesse per assaggiare qualcosa di gustoso. Gli occhi... beh, non c'erano: mancavano i bulbi oculari. Le braccia erano lunghissime e lentamente si posavano a terra, facendo assumere a quella cosa la posizione di un gorilla. Emetteva dei versi strani, come se stesse soffrendo.

O come se avesse fame.

Fissandolo, si avvicinò quasi istericamente, fino a che non si trovò praticamente attaccato al viso del ragazzo, la cui vita stava sempre più abbandonando il suo corpo. Il diciottenne era spaventato, ma il suo cuore non batteva all'impazzata, come avrebbe dovuto fare in quella situazione.

La creatura muoveva il viso freneticamente avvicinandosi sempre di più con aria famelica, ma ormai Alexander non sentiva più paura.

Anzi, non sentiva più nulla.

Mentre il sangue scorreva verso il ruscello, così la vita del diciottenne si allontanava da lui.

Chiuse gli occhi, in attesa di morire del tutto. Proprio quando sembrava che tutto fosse finito, sentì un dolore lancinante alla testa e al petto e, con sua sorpresa, riuscì ad urlare.

Era un soleggiato pomeriggio di fine luglio quando Alexander Walker, diciotto anni, mentre camminava per tornare a casa, cadde dal ciglio della strada e sbatté la testa contro un masso svenendo per qualche minuto. Riprendendosi si massaggiò la nuca e si sedette, rintronato. Sbuffando, poi, si alzò e tentò di asciugare con la felpa il cellulare bagnato.

-Ma tu guarda che idiota- disse, per poi tornare sulla via di casa. Prima, però, gettò un'occhiata verso il ruscello, dove scorreva un liquido rosso, come un filo di lana. Avvicinandosi, vide che proveniva dal corpo di un topo bianco piuttosto grosso a sinistra del masso dove aveva sbattuto poco prima. Notando che l'animale aveva una una fila di denti più lunghi e aguzzi di quelli che in genere avevano i topi, e vedendo che non aveva gli occhi, emise un verso di disgusto e disprezzo, per poi voltarsi andarsene.

Andava tutto come previsto.

 

 

 

N.d.A: Salve! Questo prologo è un po' corto, purtroppo le introduzioni non sono il mio forte, comunque i prossimi capitoli saranno più lunghi. Mh, che dire, l'idea della storia mi è venuta da un sogno (ehm... sì, faccio sogni molto particolari) che ho fatto circa due anni fa. Ho sempre voluto scriverci qualcosa sopra per la particolarità ma solo ora mi è venuta l'idea. Purtroppo, causa la mia inattività sono un po' arrugginita, quindi potrei non brillare nella scrittura. Proprio per questo, potrei non aggiornare spesso, anche a causa università, ma spero almeno di pubblicare almeno una volta ogni due settimane.. bene, ora vi lascio, grazie per essere passati!

 

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Capitolo 2
*** I. Sporca di Sangue ***


CAPITOLO 1:

Sporca di sangue

 

 

Claire Anderson camminava lentamente, quasi trascinandosi. Le gambe le pesavano, ma non riusciva a fermarsi. La testa le doleva leggermente e tenere l'ombrello nero le richiedeva uno sforzo piuttosto eccessivo per un' azione così semplice.
Pioveva a dirotto a Tamura, quella mattina. L' aria era umida e un insolito giallo ocra colorava il cielo. Piuttosto strano,visto l' orario.
In un altro momento, quell'atmosfera avrebbe affascinato la ventiduenne, ma ora non faceva altro che rattristarla ancora di più.
Del perché stesse male, in realtà Claire non lo sapeva di preciso. O meglio, forse lo sapeva, ma tentava di non pensarci.
Camminava annoiata, non curandosi neanche delle pozzanghere che le bagnavano gli stivaletti neri.
Quella mattina si era alzata con una certa pesantezza, tanto che non aveva badato più di tanto al suo aspetto esteriore. Infatti, aveva pettinato in maniera molto distratta i suoi corti capelli castani, applicando una piccola molletta in modo che la lunga frangia non le cadesse davanti gli occhi color nocciola, rivelando così l'angioma nella parte destra della fronte. Non si curò neanche di coprirlo con il fondotinta, né di truccarsi proprio. Aveva indossato un paio di jeans semplici e una maglietta bianca con gli occhi azzurri di un gatto, per poi proteggersi dal freddo con una felpa grigia ed un k-way blu scuro. Non proprio un look che ci si aspetterebbe da un' universitaria. Ma dopotutto, il bello di quell'ambiente era proprio il fatto che non vi era una divisa, e la cosa aveva sollevato la ventiduenne, la quale non indossava molto piacevolmente le gonne e le calze della sua vecchia scuola. O, meglio, le gonne e le calze in generale.
Ad un certo punto, arrivata alla fermata del pullman, si fermò e controllò l'orario: le sette e mezzo del mattino.
Si sedette, sbuffando, ma leggermente sollevata del fatto che l'autobus che l'avrebbe portata ad Edimburgo sarebbe arrivato a momenti, e che quindi avrebbe rivisto presto Syria.
Un rumore di passi dietro di sé attirò la sua attenzione.
Si voltò di scatto guardandosi attorno, ma non vide nessuno.
La fermata si trovava poco fuori Tamura, per cui non vi erano edifici lì intorno, se non un bar praticamente dietro di lei. Altrimenti vi era la strada , cui lati stava la campagna.
Decise di prendere in mano il cellulare, quando, ancora una volta, un rumore di passi la fece voltare a destra, ma ancora nulla.
Fu quando si girò dall'altra parte, che lanciò un grido dallo spavento.
Si portò una mano al cuore, fulminando con lo sguardo il ragazzo biondo che si era praticamente materializzato accanto a lei.
-Ma sei impazzito?- , gli disse scontrosamente.
Il ragazzo la guardò accigliato.
Claire aprì più del solito gli occhi, assumendo uno sguardo sorpreso e gli sventolò una mano davanti al viso, come a volerlo risvegliare da un sogno a occhi aperti.
-Ci sei?- , chiese.
Il biondo la fissò, ma non disse nulla. Si leccò le labbra , e solo in quel momento Claire vide che quello superiore era macchiato di un qualcosa di... rosso.
Ok, questo è strano, pensò leggermente spaventata, scostandosi e mettendo l'ombrello aperto tra di loro, come a creare un muro.
Non disse nulla, ma non smise di lanciargli qualche occhiata di tanto intanto.
L' ho già visto,si disse ,ha un volto familiare.
Notando che il ragazzo non smetteva di fissarla, innervosita, si rivolse a lui:
-Ci conosciamo per caso?-
L'altro piegò il collo di lato, come se fosse incuriosito.
-Ti manca molto-, mormorò.
-Scusa?-, chiese Claire, confusa.
Fortunatamente per lei, arrivò il pullman.
Così, la ventiduenne si strinse nelle spalle e, dopo un saluto distratto rivolto allo sconosciuto, chiuso l'ombrello, salì. Si diresse subito verso una ragazza dai capelli castani, lisci, lunghi fino alle spalle, lo sguardo perso nel vuoto. Claire e Syria si conoscevano dalle medie, quando stavano ancora a Edimburgo sebbene non avessero frequentato la stessa scuola. Successivamente, erano state nello stesso liceo, ma solo per due anni, poiché l'amica si era poi trasferita a Tamura, cosa che Claire aveva fatto il primo anno di università. Dal momento che la sede si trovata nella sua vecchia città, la scelta sembrava azzardata, ma la madre aveva ricevuto una richiesta di lavoro nella piccola cittadina, per cui si erano trasferiti lì. Fortunatamente, Tamura distava a meno di un'ora dalla capitale.
Comunque, le due avevano mantenuto i rapporti, sebbene avessero legato sopratutto dopo il ritorno di Claire. Frequentavano perfino la stessa facoltà, ad Edimburgo, ovvero quella di lingue, anche se l'amica si stava specializzando in cinese, mentre lei in giapponese.
-Buongiorno-, le disse, sedendovisi accanto. La guardò, sorridendo leggermente. L’amica indossava un vestito nero senza maniche, che nella parte inferiore aveva delle piccole rose stilizzate. Delle calze scure pesanti e uno spolverino del medesimo colore e di lana compensavano la leggerezza del tessuto. Sulle gambe della ragazza stava poi il suo solito giacchetto jeans con una felpa grigia cucita al suo interno e la sua borsa a tracolla di finto cuoio marrone.
Syria si staccò dal finestrino e le sorrise -Buondì, come ti senti?-.
Claire stava per rispondere, quando notò che il ragazzo biondo che stava fermata si era appena seduto nella fila di sedili accanto alla sua.
E non smetteva di fissarla.

 

 

Ajar Mittal spostò la tovaglia sporca di sangue, sospirando. Accovacciandosi, si passò l’indice e il pollice lungo la corta barba nera, scuotendo la testa. Mentre si infilava i guanti in lattice osservava la scena con un certo ribrezzo. Lo spettacolo che si parlava davanti a lui era così macabro che pochi colleghi si erano avvicinati al cadavere, e quasi nessuno di loro, fatta eccezione per Ajar stesso, era riuscito a trattenere un conato di vomito.
-Siete riusciti a identificare la vittima?-, chiese il detective, mentre prendeva il resto degli strumenti al fine di raccogliere più prove possibile senza contaminare la scena del crimine.
L’uomo a pochi passi da lui stava riverso sul pavimento, supino, il cranio aperto, così come il petto. Era il secondo, in una settimana e il decimo in due mesi.
-Sì, signore. È il proprietario di questo bar, si chiamava Stephen Myers. Stiamo tentando di…-
-Chi ha chiamato la stazione?- chiese Ajar, interrompendo bruscamente il collega, il quale lo guardò leggermente infastidito.
-Layla Smith, signore. È fuori dal locale, la vado a chiamare?-
Il detective emise un sonoro sospiro. Razza di idiota , pensò.
-Ma certo, Thomson. Così può guardare meglio la testa senza cervello del cadavere, magari questo ridurrà lo stato di shock in cui si trova ora in modo che possa aiutarci, eh?-, gli disse, irritato. Scosse la testa e gli fece segno di andare via -Le parlo io dopo, piuttosto mandami Cleveland-
-Sì signore-, rispose l’altro, a bassa voce.
Il detective Mittal si mise una mascherina davanti alla bocca e, assieme un altro uomo della scientifica che aveva avvicinato, esaminò il cadavere.
Come l’altro corpo ritrovato in settimana, anche a quello davanti Ajar mancavano il cervello e il cuore.
-Secondo lei sono collegati alle altre morti di questi anni?-, chiese l’uomo accanto a lui.
-Se intendi i cadaveri con il marchio,non vedo quale collegamento ci possa essere. Qui non abbiamo quella sorta di tatuaggio, come negli altri cadaveri a cui non mancano cuore e cervello.-, disse duramente, mentre continuava ad esaminare.
-Perdonate il mio collega e i suoi toni, signore. Il detective Mittal ha una delicatezza pari a quella di un elefante che si lancia contro un treno-
-I tuoi paragoni sono sempre così stupidi, te ne rendi conto Cleveland?-, lo rimbeccò Ajar alzandosi.
-Che c’è? Tu sei indiano, in India ci sono gli elefanti…-
L’uomo lo fulminò con lo sguardo.
Samuel Cleveland era l’unico collega che riusciva a sopportare o comunque, l’unico che ammirasse e che considerasse al suo pari.
Voltò leggermente il viso, per guardarlo mentre sorseggiava del caffè.
Ti prego, dimmi che non l’ha preso da qui, pensò.
Il collega lavorava nel distretto di Edimburgo da molto prima di Ajar, ma per l'indiano ciò significava nulla. Infatti, quello che differenziava Samuel dagli altri colleghi non era la furbizia o l'attenzione ai dettagli – caratteristiche piuttosto comuni tra i detective- , quanto l'oratoria e una peculiare indifferenza nei confronti della morte. Per quanto riguardava il saper parlare, Cleveland riusciva a far chiacchierare anche il più diffidente degli indagati – cosa che a Mittal non riusciva bene, data la sua poca pazienza- e a calmare testimoni, o parenti di una vittima. Per quanto riguarda l'altra particolare caratteristica, sembrava che Samuel avesse vissuto a braccetto con la morte.
Tutto era cominciato quando il biondo scozzese aveva sette anni e suo fratello, a soli undici, morì a causa di un incidente stradale. Quattro anni dopo fu la volta della madre, deceduta a causa di un tumore ai polmoni, e di suo padre, il cui cuore non aveva retto la perdita. Inutile stilare un elenco con altri nomi, basti sapere che questi eventi aggiunti alla natura della sua carriera avevano fatto sì che, in quel momento, Samuel stesse bevendo sorridente del caffè caldo fatto da un barista steso davanti a loro cui erano stati tolti cuore e cervello.
-Peccato sia morto-, commentò il biondo.
-Lo conoscevi?-
Scrollò le spalle -No, ma un caffè così buono chi altro lo sa fare in questa cittadina ?-
Ajar sospirò e si passò una mano sul viso dalla carnagione scura, per poi lasciarla cadere su un fianco.
-Allora, smettila di sparare stronzate e dimmi cosa sappiamo fino ad adesso-
-In realtà non molto. Sappiamo l'identità della vittima, Stephen Myers, sessant'anni. Sappiamo che questo locale è suo e che la testimone, una certa Layla Smith, vent'anni, ha scoperto il cadavere alle otto di stamane- fece una pausa per girare i fogli del piccolo fascicolo che si portava sempre appresso, poi controllò l'orario e continuò -Quindi, praticamente quarantacinque minuti fa-
-Cosa stava facendo qui?-
-Doveva prendere il pullman per andare all'Università, ma avendolo perso aveva deciso di aspettare fino al prossimo prendendo qui qualcosa-
Il detective Mittal schioccò le labbra -Altro?-
-A quanto pare quelli della scientifica non hanno trovato quello strano marchio che è stato rinvenuto nei cadaveri che abbiamo trovato nei mesi scorsi-
-Quindi, nessun collegamento?-
Samuel scosse la testa -Apparentemente no. Però le dinamiche sono le stesse del cadavere di martedì scorso, o comunque di quest'ultimo mese, i quali a sua volta non presentano quel simbolo strano-
Che situazione di merda.
L'anno scorso, alcuni dei detective di Edimburgo erano stati trasferiti nella cittadina di Tamura dopo il ritrovamento di un cadavere che presentava un simbolo sul torace.
Questo somigliava ad un tatuaggio a forma di cerchio color cremisi. Il bordo era una scritta in una lingua incomprensibile, dentro vi erano due figure: una rappresentava la sagoma di un umano, privo di dettagli, l'altra, accanto alla prima ma rovesciata, rappresentava una sorta di creatura senza occhi, con una bocca priva di labbra che mostrava dei denti lunghi e aguzzi e due braccia che arrivavano fino ai piedi.
Erano avvenuti atri quattro ritrovamenti di persone morte, con lo stesso marchio , e dopo il loro arrivo, il numero era aumentato, fino ad arrivare al dodicesimo cadavere. Se non fosse stato per quel singolo dettaglio, la polizia locale non avrebbe considerato neanche lontanamente l'ipotesi di omicidio: le morti non solo erano di completamente diverse l'une dalle altre, ma molte di queste secondo i medici legali erano... “naturali”.
Ad esempio Abigail Martin, diciannove anni, morta di infarto. Oppure Adam Ryan, cinquantanove anni: aveva un tumore alla prostata, da cui sembrava essere in qualche modo guarito, ma che poi era tornato, uccidendolo.
Altre morti, invece, erano dovuti a incidenti o effettivamente omicidi, come nel caso di Samantha Jones, il cui assassino è stato preso e arrestato ma che non aveva nulla a che fare con gli altri, sopratutto per il fatto che durante la sua permanenza in carcere le morti continuarono. Tra l'altro, il modo con cui aveva ucciso la povera donna aveva lasciato intendere che non fosse un professionista. E comunque, non sapeva neanche del marchio.
Tutti questi elementi avevano portato la polizia ad asserire che fossero stati fatti dopo le morti da un pazzo maniaco che aveva trovato i cadaveri per strada. Ovviamente, qualcosa non tornava, ma visto che era da più tre mesi che non accadeva nulla, il caso era stato eclissato.
Fino a due mesi prima, quando il cadavere di un falegname era stato trovato privo degli stessi organi dell'uomo di quella mattina. Si ipotizzava fosse stato un orso, dal momento che le vittime che seguirono furono persone che si erano addentrate troppo nella foresta e presentavano segni di artigli.
Quella stessa settimana, però, un certo Chester Walker era stato trovato dal figlio Alexander nella loro abitazione nelle stesse condizioni cui stava ora Stephen Myers.
Niente cuore. Niente cervello. Niente marchio. Lontani dal cuore del bosco.
-Non c'è bisogno che tu vada a parlare con la testimone, è da un'ora che ci penso io. Purtroppo non ha saputo dirmi cose utili, se non il fatto che il bar apre alle cinque del mattino e che di solito alla fermata qui davanti vi sono sempre i sei soliti studenti. Mi ha anche detto i nomi, ma per sicurezza condurrei delle indagini su tutti i ragazzi di Tamura che vanno all'università- aggiunse, guardando Ajar come per chiedere conferma.
Il detective annuì.
-Bene, ora lasciamo controllare la scena a quelli, io torno in ufficio-, disse poi, indicando i colleghi della scientifica.
Fece per andare, quando Samuel si avvicinò a lui, come per dirgli qualcosa all'orecchio.
-Che dici, stasera ci vediamo da te?-
-Non ora-, rispose a denti stretti Ajar, fulminandolo con lo sguardo.
Possibile che non capiva mai quando fosse il momento di dire certe cose?
-Va bene, signore. Ci vediamo in ufficio- lo prese in giro il biondo.
L'indiano scosse la testa, uscendo dal locale.
Una volta fuori si accese una sigaretta e si avvicinò alla sua auto. La sua attenzione fu però attirata dalla fermata del pullman, dove nessuno pareva aver controllato.
Un po' per noia, un po' perché sperava di trovare un motivo in più per appurare che i suoi colleghi fossero degli emeriti incapaci, si avvicinò a questa e scoprì che aveva ragione.
Sulla panchina vi era l'impronta di una parte del palmo di una mano sporca.
Sporca di sangue.



N.d.A.: Salve! Spero che questo capitolo sia piaciuto, sebbene abbia dovuto tagliarlo praticamente a metà, altrimenti veniva fuori troppo lungo. A proposito, mi piacerebbe sapere se questa lunghezza sia giusta oppure se posso aggiungere qualche pagina in più, non so proprio. Comunque, questo primo capitolo è stato un po' lento, e con i primi sarà così anche perché mancano altri personaggi da presentare, sebbene anche nel prossimo i protagonisti saranno Ajar e Claire.

Nel capitolo due dovrei riuscire ad inserire una scena “rosa” tra due personaggi, e spero anche qualcosa di più movimentato.

Volevo ringraziare Sagas, che mi hanno lasciato la recensione al Prologo, mi avete fatto veramente contenta!

Beh, credo non ci sia altro da aggiungere.. al prossimo capitolo che spero di aggiornare il prima possibile!

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