Bambolina e Barracuda

di evelyn80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bambolina ***
Capitolo 2: *** Barracuda ***



Capitolo 1
*** Bambolina ***


Spazio autrice: L'ispirazione per scrivere questa breve storia, formata da due capitoli, mi è giunta ascoltando una bravissima Tribute Band di Luciano Ligabue. Di solito non ascolto le canzoni del Liga, ma loro quattro (ed in particolare il chitarrista :-P) mi hanno fatto innamorare di "Bambolina e barracuda". E' proprio da questa canzone, infatti, che ho ripreso il titolo. Spero che questo racconto possa piacervi e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate.
Evelyn 







BAMBOLINA E BARRACUDA
 
Capitolo 1 
Bambolina


 
Era la prima volta che scendevano così a sud per fare un concerto. Di solito non si allontanavano mai dalle loro amate montagne o, tutt’al più, potevano arrivare fino alla pianura, ma sempre in direzione nord.
L’odore penetrante dei pini resinosi e quello salmastro del mare pungeva le narici di Luca, che non erano abituate a tutti quei nuovi aromi. Con un sospiro il giovane uomo si tolse la tracolla della chitarra dalla spalla, posando con delicatezza la sua amata Stratocaster Sambora color madreperla accanto ad una delle casse, per poi stirarsi e sbadigliare rumorosamente. Lui ed i suoi amici avevano appena finito il soundcheck per lo spettacolo di quella sera quindi, fino all’ora di cena, sarebbe stato libero di fare ciò che voleva. Accese una sigaretta, aspirò una profonda boccata e, prima di scendere dal piccolo palco, fece un cenno con la mano ai suoi compagni come a dire “ci vediamo più tardi”.
Prese a camminare per la pineta che li ospitava, con la sinistra sprofondata nella tasca dei jeans e la destra a reggere la sigaretta che pian piano si consumava, al ritmo delle sue lente boccate. Il rumore del mare, poco lontano alla sua destra, accompagnava la sua passeggiata.
Una volta finito di fumare si ravviò all’indietro i lisci capelli biondo scuro che subito, però, gli ricaddero sulla fronte. 
Ho proprio bisogno di tagliarli di nuovo” pensò, grattandosi la guancia ruvida per la barba di una settimana e guardandosi distrattamente intorno. Quella piccola cittadina in riva al mare non era proprio niente male e quella pineta, dagli aromi così resinosi, gli rammentava gli amati boschi di abeti che circondavano la casa dei suoi nonni. 
Il ricordo lo riportò indietro nel tempo e fu quasi con occhi di bambino che osservò con interesse il chiosco dei gelati, piazzato proprio nel centro del boschetto. Gli venne l’acquolina in bocca, perciò decise di comprarsi un bel cono che consumò durante la sua lenta passeggiata. 
Ormai era quasi giunto in fondo alla stretta striscia alberata. Stava già per tornare sui suoi passi quando, alla sua sinistra, intravide un gruppetto di persone sedute a gambe incrociate sotto ad un pino particolarmente grande. Guardò meglio e si rese conto che si trattava di una giovane donna davanti alla quale, seduti a semicerchio, stavano una decina di bambini di età prescolare, intenti ad ascoltarla leggere una fiaba. Non riuscì a distinguere le parole ma, grazie al suo orecchio assoluto, poté percepire con chiarezza che la sua voce era molto musicale, anche se non propriamente soave come quella di un usignolo. Si avvicinò lentamente, cominciando ad identificare tutte le varie sfumature di cui si componeva quella voce, in cui predominava un tono basso e leggermente roco che gli piacque subito.
Si fermò a pochi passi di distanza, alle spalle della donna ancora ignara della sua presenza; si appoggiò al tronco del grosso pino marittimo e chiuse gli occhi, lasciando che la voce gli fluisse dalle orecchie nel resto del corpo. Un lieve sorriso gli comparve sulle labbra e così rimase per alcuni minuti, fin quando non si rese conto che la giovane donna aveva smesso di leggere.
Aprì gli occhi di scatto, rendendosi conto che era stato proprio lui la causa dell’interruzione. I bambini avevano alzato il capo, fissandolo con curioso interesse e la lettrice, nel notare il calo di attenzione del suo piccolo pubblico, aveva sospeso la lettura, voltandosi nella direzione dello sguardo dei piccoli ed accorgendosi, finalmente, della presenza del giovane uomo biondo che la ascoltava ad occhi chiusi e con un sorriso ebete in faccia.
Luca si sentì arrossire, imbarazzato.
«Scusa, non volevo disturbare» borbottò, passandosi una mano tra i capelli.
«Nessun disturbo» rispose lei, «ero solo curiosa di sapere cosa stessero guardando i bambini di così interessante.»
Cadde un silenzio impacciato, durante il quale la giovane donna ed i bambini rimasero a fissare il giovane uomo che pareva volesse strapparsi il cuoio capelluto a furia di grattarsi la testa per l’imbarazzo.
«Puoi sederti con noi, se vuoi» disse infine la lettrice, «anche se non credo che le nostre letture possano essere di tuo gradimento.»
«E chi può dirlo?» rispose Luca, smettendo finalmente di tormentarsi lo scalpo ed accomodandosi a gambe incrociate al fianco della giovane donna che, dopo essersi schiarita la voce, riprese a leggere la favoletta. 
I bambini parevano pendere dalle sue labbra e, ben presto, anche il chitarrista rimase vittima della stessa malia, incantato non tanto dalle parole bensì dal tono e dal timbro della sua voce.
Al termine dell’ora i genitori tornarono a prendere i bambini che, schiamazzando allegramente, salutarono la lettrice.
«Ciao Micaela!» gridò una bambina, protendendosi per darle un bacio sulla guancia.
«Ciao Aurora» rispose la giovane donna, per poi alzare la voce e rivolgersi al resto del gruppo. «Ci vediamo la settimana prossima, stesso posto e stessa ora!»
Una volta disperso il piccolo gruppetto, Micaela si rese conto che il giovane uomo era ancora seduto accanto a lei, gli occhi chiusi e le labbra leggermente dischiuse. La zazzera bionda, separata al centro dalla scriminatura, gli ricadeva sulla fronte incorniciando il volto dall’ovale perfetto. 
«Tutto bene?» gli chiese, cominciando a preoccuparsi per quella prolungata immobilità. Al suono della sua voce lui aprì gli occhi, di un azzurro talmente chiaro da sembrare di ghiaccio.
«Sì. Scusa, mi ero incantato ad ascoltare la tua voce.» Micaela inarcò un sopracciglio, esprimendo il suo profondo dubbio, e lui continuò. «È vero, non ti sto prendendo in giro. Mi piace molto il timbro della tua voce.»
La giovane donna si alzò, spolverandosi il fondo dei pantaloni per togliere gli aghi di pino rimasti attaccati alla stoffa ed il chitarrista la imitò, protendendo la mano per presentarsi.
«Mi chiamo Luca, piacere di conoscerti.»
«Piacere mio. Io sono Micaela» rispose la lettrice, afferrandogliela e stringendogliela con decisione. Poi si chinò a raccogliere una borsa di stoffa piena di libri di favole, mettendosi la spessa cinghia sulla spalla e respingendo l’aiuto che il giovane uomo prontamente le offrì.
«Grazie, ma non importa» disse, con un tono forse più duro di quanto avrebbe voluto in realtà. Si incamminò a passo spedito verso l’uscita della pineta tallonata dal giovanotto, evidentemente deciso ad attaccare bottone a tutti i costi.
«Fai la lettrice, di lavoro?»
«No, questo è solo un passatempo. Sono iscritta ad un programma didattico che è volto a stimolare la lettura anche nei bambini di età prescolare. Sono una lettrice volontaria.»
«Bello!» commentò Luca, allungando le falcate per mantenersi al passo. «Io invece sono un insegnante di chitarra, pratico musicoterapia e, nel tempo libero, suono con i miei amici. Formiamo una cover band che suona i più grandi successi rock dagli anni settanta ad oggi. Stasera ci esibiremo qui, nella pineta. Ti va di venire a sentirci?»
Aveva pronunciato quelle frasi parlando in fretta, nella speranza di concludere il suo invito prima che la giovane donna imboccasse il cancello di uscita che si avvicinava sempre più velocemente.
«Non lo so» rispose Micaela, il tono ancora più duro e secco di prima. «Forse ho già un altro impegno.»
«Ah…» esalò il chitarrista, rallentando il passo fino a fermarsi, «è un vero peccato…» Il suo tono si smorzò fino a spegnersi mentre fissava la schiena della giovane donna che si allontanava quasi di corsa. Poi, abbassando le spalle, tirò fuori un’altra sigaretta dal pacchetto spiegazzato e si rimise a fumare, anche se non con la stessa calma di poco prima.
 
* * *


Micaela raggiunse la sua auto quasi correndo. Lasciò cadere la borsa piena di libri sul sedile del passeggero poi si mise a sedere al posto di guida, ansimando per la corsa e per il turbinio di sensazioni che quel giovane uomo le aveva appena scatenato dentro.
Esalò un profondo sospiro, nel tentativo di calmare il battito tumultuoso del suo cuore. Aveva trattato Luca piuttosto freddamente, snobbando il suo evidente tentativo di approccio, ma aveva avuto le sue buone ragioni per farlo. Si guardò nello specchietto retrovisore, sospirando ancora, ed il volto scialbo che le apparve riflesso non le piacque affatto. In realtà lei non si era mai piaciuta. Aveva le sopracciglia troppo folte e gli occhi di un ordinario marrone scuro; il suo mento era troppo pronunciato e la sua bocca non aveva niente di sensuale. Solo il naso le piaceva, ma era davvero troppo poco per risollevare le sorti di tutto il resto. Per non parlare poi dei suoi capelli, inesorabilmente lisci come spaghetti e di uno sciatto color castano, e del resto del suo corpo: il seno troppo grande, la vita troppo morbida, i fianchi troppo larghi. Nessun ragazzo si era mai dimostrato attratto da lei o, meglio, quei pochi che ci avevano provato l’avevano fatto solo per divertirsi per un po’, approfittando della sua ingenuità. In seguito, visto che “l’esperienza insegna”, altri erano stati da lei rudemente respinti, proprio come aveva fatto con Luca quello stesso pomeriggio. Aveva così poca autostima che non riusciva proprio a credere che potesse esserci qualcuno veramente interessato alla sua persona. Figuriamoci, poi, un ragazzo come quel chitarrista che pareva quasi lo stereotipo del principe delle favole: alto, biondo e con gli occhi azzurri!
Oramai, a trentasei anni suonati, non aveva più nessuna velleità di riuscita.
Trasse l’ennesimo profondo respiro e mise finalmente in moto, immettendosi nel traffico crescente del sabato pomeriggio. Aveva mentito. Non aveva nessun altro appuntamento per quella sera, ma perché andare a veder suonare quel giovanotto, magari facendosi delle illusioni che poi di sicuro sarebbero state disattese?
Era talmente distratta che, per poco, non investì un anziano signore che attraversava la strada con passo malfermo appoggiandosi al suo bastone, ma che ebbe comunque la prontezza di spirito di mandarla a quel paese quando lei frenò all’ultimo istante, facendo stridere le gomme e rischiando di causare un tamponamento a catena.
Una volta a casa, comunque, non riuscì a trovare pace. L’idea di andare ad assistere al concerto un po’ la allettava, anche perché lei era una patita del rock anni ottanta e le avrebbe fatto veramente piacere ascoltare della buona musica. 
Ma sì, decise infine, non doveva mica per forza piazzarsi sotto al palco a prendere in faccia gli schizzi di saliva che – di sicuro – il cantante avrebbe sparato su tutta la folla! Avrebbe potuto sedersi sotto al suo amato pino, quello dove leggeva ogni sabato pomeriggio ai bambini e da lì, a distanza di sicurezza, ascoltare il concerto.
Sollevata dalla brillante idea che aveva avuto si cambiò per uscire, indossando un paio di jeans ed una maglietta puliti.
 
* * *


Alle dieci di sera Luca ed i suoi compagni – Flavio il cantante, Marco il bassista e Tony il batterista – salirono sul palco, pronti a cominciare il loro spettacolo. Si era radunata una bella quantità di gente, grazie anche alla buona stagione, ed i quattro erano sinceramente soddisfatti di avere un così buon pubblico. 
Il chitarrista imbracciò la sua amata Stratocaster guardandosi intorno, scrutando i volti tra la folla. Nonostante il rifiuto piuttosto netto della lettrice aveva lo stesso nutrito la speranza che Micaela avesse potuto cambiare idea, ed ora era alla sua frenetica ricerca. Benché non avesse nemmeno avuto modo di osservarla bene, visto che aveva trascorso la maggior parte del tempo ad ascoltarla ad occhi chiusi, sentiva di essersi già innamorato della sua voce, dalle sfumature così calde e variate, ricca di tonalità e, di certo, dalle notevoli potenzialità. Avrebbe tanto voluto chiederle se le piaceva cantare: chissà di cosa sarebbe stata capace, con una voce così…
Sospirò nel rendersi conto che non riusciva a vederla da nessuna parte. Concentrandosi su ciò che doveva fare, poggiò le dita sulle corde e, quando Tony batté con le bacchette “l’un, due, tre, quattro” attaccò a suonare, lasciando che la musica lo pervadesse.
 
* * *


Seduta ai piedi del pino marittimo, Micaela si godette i primi minuti dello spettacolo. La distanza era ideale, perfetta per ascoltare la musica senza i consueti stridii del volume troppo alto. Era sola, visto che il resto delle persone si era accalcato ai piedi del palco rispondendo all’invito del cantante che, prima di cominciare, li aveva chiamati a raccolta; ma di ciò non si dispiaceva affatto. Almeno, nessuno l’avrebbe sentita se avesse stonato mentre cantava.
A mano a mano, però, che il concerto entrava nel vivo, cominciò a desiderare di avvicinarsi pure lei, specialmente quando il gruppo eseguiva una delle sue canzoni preferite.
Lentamente si alzò in piedi ed altrettanto lentamente prese ad accostarsi, arrivando fin quasi ai piedi del palco, attirata dalla musica. Allora si trovò davanti Luca e si sorprese nel vederlo trasfigurato. 
Mentre suonava, per la maggior parte del tempo teneva gli occhi chiusi, come per isolarsi dal resto del gruppo ed anche del mondo. La musica pareva fluire non soltanto dalle corde della sua chitarra ma dalle fibre stesse del suo corpo, come se fosse diventato un tutt’uno con il suo strumento. Gli scorreva nelle vene, gli permeava i muscoli, gli inondava il cervello. Con la fronte appena aggrottata, le labbra socchiuse, la testa leggermente rivolta all’indietro ad esporre il collo, i nervi delle braccia contratti, le gambe divaricate e le ginocchia appena piegate, pareva in preda ad un’estasi mistica, quasi come se fosse sul punto di avere un orgasmo. 
Micaela si ritrovò a fissarlo a bocca aperta senza riuscire a staccargli gli occhi da dosso, convinta che, da un momento all’altro, il chitarrista avrebbe cominciato a svanire, trasformato nelle note musicali che lui stesso spandeva nell’aria.
Al termine delle canzoni, uno dei rari momenti in cui Luca apriva gli occhi e pareva riacquistare un minimo di controllo, ogni volta si scatenava un turbinio di grida isteriche. La giovane donna distolse gli occhi dal palco per rivolgere lo sguardo alla fonte delle urla scomposte. Un gruppetto di ragazze giovani, molto giovani, stava letteralmente sbavando ai piedi dei musicisti, facendo cenni con le braccia nel vano tentativo di attirare l’attenzione del chitarrista. Il cantante lo avvicinò e gli parlottò un po’ all’orecchio accennando, con un cenno del capo, allo schiamazzante stormo di oche, e Luca annuì e sorrise, mettendosi in posa ancora più plastica come se volesse farsi ammirare in tutta la sua bellezza. Le ragazze schiamazzarono ancora più forte prima che il loro grido venisse inghiottito dalla musica della nuova canzone che stavano attaccando. Allora il giovane uomo si trasfigurò di nuovo e tornò a vivere di musica. 
Micaela decise di allontanarsi e tornare al suo posto, sotto all’amato pino marittimo. Come poteva aver pensato che quel ragazzo potesse essere anche solo vagamente interessato a lei? In fondo, aveva a disposizione decine di pollastrelle che cadevano ai suoi piedi ogni volta che strimpellava sulle corde. Meglio per lei non farsi nemmeno vedere, così non avrebbe dovuto assistere alla sua fuga d’amore con una delle ochette. Chissà quale avrebbe scelto, poi, si chiese amaramente.
 
* * *


Dopo due ore e mezza di concerto la piccola band salutò infine il pubblico, prendendo congedo. I quattro amici posarono i loro strumenti, lasciandoli alla custodia del tecnico del suono, per concedersi l’ultimo meritato bicchiere di birra. In realtà ne avevano già trangugiati diversi durante l’esibizione e cominciavano a sentirsi piuttosto alticci. Una delle ragazze che fino ad allora aveva schiamazzato ai piedi del palco, forse la più coraggiosa, si fece largo tra la folla che si andava diradando raggiungendo l’oggetto dei suoi desideri.
«Ciao Luca, io sono Elisa!» proruppe, afferrando il chitarrista per un braccio e quasi strappandolo ai suoi compagni.
«Ciao Elisa. Scusami, ma io ed i miei amici abbiamo proprio bisogno di una birra» la liquidò, liberando il braccio con garbata decisione.
«Ok! Io ti aspetto qui, se non ti dispiace!» insisté la ragazza, piazzandosi in bella vista sotto ad uno dei lampioni che illuminavano la pineta. Luca fece un cenno distratto con la testa e si incamminò, raggiungendo gli altri che si erano allontanati di qualche passo.
«Ma come?!» lo apostrofò Flavio, che era molto più vecchio di lui e non aveva mai rifiutato un’avventura facile. «Hai avuto il coraggio di dirle di no? Beata gioventù…»
«Non sono così affamato da dovermi sbattere qualsiasi ragazza che me la sbandieri sotto al naso» replicò il chitarrista con un ghigno, facendo scoppiare a ridere Marco e Tony.
«Vorresti dire che io sono ridotto a quel punto?!» scherzò allora il cantante, unendosi alla risata.
Dopo la bevuta i quattro non tornarono subito verso il palco ma si incamminarono verso il fondo della pineta, per smaltire l’alcool in eccesso. Fu allora che Luca vide Micaela seduta tra le radici contorte del grosso pino, con la schiena appoggiata contro il tronco dalla corteccia ruvida e gli occhi chiusi. Salutò velocemente gli amici e si diresse nella sua direzione, mentre Flavio commentava ad alta voce: «Ecco perché ha detto di no alla pollastrella! Si era già trovato un’altra gallina! Eh… Bravo Luca! Gallina vecchia fa buon brodo!»
Il chitarrista lo fulminò con lo sguardo prima di allungare il passo verso la giovane donna, nella speranza che le parole sguaiate del cantante non l’avessero raggiunta.
«Allora sei venuta a sentirci!» esclamò senza riuscire a trattenersi, ancor prima di lasciarsi cadere seduto accanto a lei. 
Micaela sollevò le palpebre e lo fissò, sorpresa. «Cosa ci fai qui?! Credevo tu avessi un impegno» lo apostrofò, più duramente di quanto avrebbe voluto e, quando lui la guardò confuso, lei indicò con la testa la ragazza ancora ferma sotto al lampione. «Ho visto che una delle ochette si è fatta avanti e credevo tu avessi voglia di passare un po’ di tempo con lei. Di sicuro è molto meglio di me…» aggiunse a mezza voce, distogliendo lo sguardo dagli occhi color ghiaccio di Luca che, alla luce aranciata dei lampioni, avevano assunto lievi sfumature nocciola.
«Perché dici così?» chiese lui, il tono di voce basso, fissandola con tanta intensità da farle scendere i brividi lungo la schiena.
«Perché è la verità!» ribatté Micaela, stringendosi nelle spalle.
«Non sono d’accordo» rispose il chitarrista, alzandosi in piedi e porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. «Ti va di fare una passeggiata? Ti offro un gelato!»
Non credendo alle proprie orecchie, Micaela accettò il suo aiuto. Aveva sentito bene? Per un attimo pensò di essersi addormentata e di stare sognando. Probabilmente era ancora appoggiata al tronco dell’albero con gli occhi chiusi. “Oh, al diavolo!” pensò, “almeno godiamocelo, questo sogno!
Senza pensarci Luca la condusse verso il chiosco, dimenticando che Elisa lo stava ancora aspettando lì davanti.
Non appena lo vide arrivare in compagnia di un’altra, la ragazza incrociò le braccia sul petto e lo apostrofò: «Almeno potevi dirmelo che ti piacciono le tardone, così almeno non avrei perso tempo ad aspettarti!»
Per Micaela fu come ricevere uno schiaffo in piena faccia. A parte il fatto che a trentasei anni non si considerava ancora una tardona, quel commento le diede la conferma di ciò che aveva già cominciato a sospettare: temeva che Luca fosse più giovane di lei. Forse non di molti anni, ma comunque più giovane. “Se cominciano a piacermi i ragazzi più giovani di me significa che sto davvero invecchiando!” pensò con orrore, voltando le spalle al chitarrista ed allontanandosi più in fretta possibile. Non riuscì comunque ad andare molto lontano, perché Luca la afferrò per un braccio e la trattenne. 
«Aspetta, non andartene! Non dare ascolto a quella là!»
«Credo che abbia ragione, invece…» balbettò lei in risposta, «tu sei di sicuro più giovane di me! Lasciami perdere!» 
Tentò di divincolarsi, ma il chitarrista non mollò la presa.
«Ho trentun’anni. Non puoi certo essere tanto più vecchia di me.»
«Sì, invece!» ribatté lei. Cinque anni le parevano un abisso vasto come il mondo, ed in quel momento si sentiva tanto vecchia che avrebbe potuto essere sua zia. «Io ne ho trentasei!»
Luca non si scompose alla notizia. Con dolcezza, ma fermamente, prese ad attirarla verso di sé fino a farla aderire al suo corpo magro. «Non mi interessa la tua età» le sussurrò a fior di labbra. «Allora, ci prendiamo questo gelato?»
Senza avere nemmeno la forza di guardarlo in faccia Micaela annuì, lasciandosi trascinare da lui fino al chiosco dei gelati e poi, da lì, sulla spiaggia.
Finalmente soli i due camminarono lentamente sulla sabbia, assaporando il loro cono. Micaela non riusciva a spezzare il silenzio imbarazzato che si era creato, così fu Luca a rompere di nuovo il ghiaccio.
«Volevo chiedertelo già questo pomeriggio, ma poi non ne ho avuto il tempo. Ti piace cantare?»
Lei trovò finalmente il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi. «Sì, molto… Ma ciò non significa che lo faccia bene. Anzi… sono stonata come una campana!»
«Con la voce che hai, ne dubito.» Micaela lo guardò scettica, e lui continuò. «Non stavo scherzando, oggi, quando ti ho detto che hai una bella voce. Io ho l’orecchio assoluto e, per me, non esistono rumori, ma solo note musicali. La tua voce è così sensuale, con quel lieve tono roco, che mentre leggevi la favola ai bambini mi hai fatto venire la pelle d’oca.»
«L’orecchio assoluto? Ecco allora perché, mentre suoni, sembra che tu stesso sia fatto di musica!» si lasciò scappare la giovane donna, arrossendo alle sue stesse parole. «Beh, sì…» riprese imbarazzata, «mi sono avvicinata al palco durante il concerto e tu eri così preso dalla musica che pareva quasi ti scorresse nelle vene. Sembravi in estasi.»
«Già…» sorrise impacciato Luca, passandosi una mano tra i capelli, «molte delle persone che hanno assistito ai nostri concerti mi hanno detto che, mentre suono, pare che stia godendo.»
Micaela annuì. «Se devo essere sincera, anche a me hai dato la stessa impressione… Eri così sexy…» ammise, arrossendo ancor di più.
Cadde di nuovo il silenzio e di nuovo fu Luca a spezzarlo.
«Ti va di farmi sentire come canti?»
«Qui, ora?»
«Sì, perché? Siamo soli, in fondo, chi vuoi che ti senta?» le rispose, guardandosi in giro.
La donna sentì le guance andarle a fuoco. «Temo di vergognarmi troppo… Non ci riesco…»
«Vuoi che mi allontani un pochino?»
«Saprei lo stesso che mi stai ascoltando» replicò lei scuotendo la testa, sconsolata.
«Va bene, allora comincio io. Tu prova a venirmi dietro.»
Senza esitare, Luca iniziò a cantare a cappella, battendo il ritmo con la mano sulla coscia. Micaela lo ascoltò per un attimo, poi scosse la testa.
«Mi dispiace, ma non conosco questa canzone.»
Il chitarrista tacque, allontanandosi da lei fino ad arrivare sul bagnasciuga. Lì si tolse le scarpe, ripiegò i jeans fino alle ginocchia e lasciò che l’acqua del mare gli lambisse i piedi, sospirando di piacere. Gettò la testa all’indietro e socchiuse gli occhi, assumendo di nuovo quella posa così sexy. La luna piena faceva brillare i suoi capelli, rendendoli quasi d’argento e facendolo somigliare ad una creatura ultraterrena.
Micaela sospirò, pensando nuovamente che quello che stava vivendo fosse solamente un sogno e che, di solito, i suoi sogni non si avveravano mai. Le parole le giunsero spontanee alla bocca e cominciarono a fluire senza che lei se ne rendesse nemmeno conto.
«I never had a dream… that… I could follow through… Only tears… left to stain,  dry my eyes… once again…” intonò, cantando una delle sue canzoni preferite, “Picture of my life” dei Jamiroquai. Chiuse gli occhi e si lasciò accompagnare, nel canto, dal suono della risacca, senza pensare a niente, né a Luca che si era avvicinato in silenzio per sentirla meglio, né alla sua vita poco – per non dire per nulla – appagante. Ora c’erano solo le parole della canzone.
Il chitarrista la lasciò cantare per alcuni minuti ascoltandola rapito poi, quando la canzone giunse al termine, esclamò facendola trasalire: «Lo sapevo che non potevi essere stonata! Certo, c’è bisogno di qualche aggiustatina, ma niente che un po’ d’esercizio non possa rimediare.»
Micaela arrossì ancora e, quando Luca la strinse tra le sue braccia, prese a tremare per l’emozione e la paura.
«Hai freddo?» le chiese il giovane uomo e lei riuscì a malapena a scuotere il capo. Il contatto fisico con quel ragazzo che ai suoi occhi pareva così straordinariamente bello e straordinariamente giovane le stava facendo perdere ogni controllo. Luca si avvicinò ancora di più, facendola aderire al suo petto magro ma vigoroso. Abbassò il viso verso quello di Micaela, arrivando a sfiorarle il naso con il suo.
La giovane donna lo vide socchiudere gli occhi mentre, lentamente, le sue labbra si facevano sempre più vicine. Lei tentò di protestare, ma il bacio le impedì di proferire parola.
Fu un bacio casto, dolce e tenero, ma non per questo meno emozionante per Micaela che non era abituata a simili gentilezze. I pochi uomini che aveva conosciuto e con cui si era fidanzata per brevi periodi erano sempre stati meno teneri e più diretti. Luca le carezzò dolcemente la schiena e le braccia, poggiando la fronte contro la sua. Sempre con gli occhi chiusi, per paura di spezzare l’incantesimo e di svegliarsi da quello che – oramai ne era certa – era solo un sogno, Micaela tentò nuovamente di protestare.
«Luca… perché lo hai fatto…»
«Perché lo desideravo da oggi pomeriggio» la interruppe lui. «Non mi piace soltanto la tua voce, sai?»
«Ma… io sono più vecchia di te!» esclamò allora la giovane donna, appellandosi a quello che le pareva un ostacolo insormontabile.
«E allora?» le chiese invece semplicemente il chitarrista. «Per te è un problema? Per me, assolutamente no.»
«Ma…»
«Non hai mica l’età di mia madre! Tra te e me corrono solamente cinque anni.»
«Mi sento comunque decrepita!» esclamò di nuovo Micaela, facendolo scoppiare a ridere.
«Non essere sciocca, bambolina…»mormorò, chiamandola d’istinto con quel tenero appellativo. «O forse non ti piaccio?» chiese poi all’improvviso come colto da un fulmineo dubbio, scostandosi leggermente.
«No, tutt’altro… Sei bellissimo… ma anche giovanissimo
«Smettila di considerarti vecchia! Non lo sei!» esclamò allora Luca, poggiando di nuovo la fronte contro la sua. «Mi piaci così come sei e, se per te va bene, vorrei provare a costruire una storia con te.»
Micaela sentì sciogliersi tra le sue braccia. Si aggrappò allora al suo collo, come se fosse stato una boa in mezzo a quel mare che sciabordava ai loro piedi, e Luca la baciò di nuovo, questa volta mettendoci tutto se stesso.
 
* * *


La mattina successiva Micaela si svegliò con il collo un po’ indolenzito. Sbatté le palpebre e si stiracchiò, urtando qualcosa con il gomito sinistro. Si voltò in quella direzione e sorrise nel vedere Luca ancora placidamente addormentato, il petto ricoperto da minuti peli castano-dorati a malapena celato dal lenzuolo stropicciato ed i capelli biondo scuro sparsi sul cuscino.
Massaggiandosi la parte dolente, la giovane donna capì il perché di quel dolore: si era addormentata con la testa appoggiata su quel petto che ora si alzava ed abbassava lentamente, al ritmo del respiro lieve di Luca. 
Da quel bacio al finire a fare l’amore nel letto singolo di Micaela il passo era stato breve, molto breve, ed i vestiti ancora sparsi a terra per la stanza lo testimoniavano. La giovane donna si alzò silenziosamente ed andò in cucina a preparare il caffè, mentre con la mente tornava a tutto ciò che era accaduto quella notte. Luca era stato un amante meraviglioso, allo stesso tempo rude e tenero, che aveva badato prima di tutto al piacere di lei prima di passare a soddisfare il suo. Si erano amati guardandosi negli occhi e Micaela aveva desiderato che quel momento non finisse mai, che quel sogno bellissimo non scomparisse al sorgere del sole come una bolla di sapone.
Ma quello non era un sogno, non questa volta, no! Quella era la realtà, e le mani di Luca – svegliato dall’aroma del caffè – che si posavano sui suoi fianchi nudi e morbidi glielo confermarono. 
«Buongiorno bambolina…» mormorò il chitarrista, baciando dolcemente il collo di Micaela che, involontariamente, lo espose ancor di più, come ad offrirglielo. Luca non si lasciò sfuggire l’occasione e glielo mordicchiò, facendola gemere di eccitazione. Lentamente la fece voltare verso di lui, continuando a tenere le labbra sul suo collo, fino a che non furono l’uno di fronte all’altra, schiacciati contro il frigorifero. La giovane donna non avrebbe voluto, ma la passione e la tenerezza dell’uomo la infiammarono ancora e così finirono di nuovo a letto, a consumare un amplesso questa volta più irruento, ma non per questo meno appagante.
Una volta sazi rimasero a poltrire nel letto fino a che il cellulare di Luca non squillò. Era Flavio, che lo stava cercando disperatamente.
«Dove diavolo ti sei cacciato? E’ da ieri sera che ti cerchiamo inutilmente!»
«Sto bene. Sono in dolce compagnia» rispose il chitarrista laconico, passandosi una mano tra i capelli.
«Ah, bene! Tu te la spassi e non pensi neanche minimamente a noi! Ti ricordo che saremmo dovuti partire due ore fa!»
«Va bene, va bene, ho capito. Arrivo subito. Datemi almeno il tempo di vestirmi.»
«D’accordo… Ma sbrigati, puttaniere che non sei altro!»
Luca sorrise per quell’ultimo appellativo detto in tono scherzoso, poi si mise a raccogliere i suoi indumenti sparsi per tutta la camera. Micaela rimase ad osservarlo in silenzio, nell’attesa di una spiegazione per quella specie di fuga improvvisa.
«Mi dispiace bambolina» disse infine il chitarrista una volta vestito, «ma ora devo proprio andare. I miei compagni mi stanno aspettando per tornare a casa.»
«Tornerai a trovarmi?» chiese lei, con le spalle che già le si incurvavano per la delusione.
«Certo che sì!» la rassicurò lui, mettendosi seduto sul letto al suo fianco e prendendole il mento tra le dita per farla voltare dalla sua parte. «Anche se vivo piuttosto lontano da qui, ti prometto che tornerò il prossimo fine settimana!» 
Dopo essersi scambiati i numeri di cellulare e dopo un ultimo bacio Luca uscì dall’appartamento, lasciando Micaela da sola con i suoi sogni e le sue speranze.

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Capitolo 2
*** Barracuda ***


Capitolo 2
Barracuda


Il sabato mattina successivo Luca si stava preparando per scendere di nuovo al mare, da Micaela, quando il suo campanello trillò. Alla porta c’era Flavio.
«Bene, vedo che sei pronto! Non abbiamo un minuto da perdere!»
«Per fare cosa, scusa?»
«Ehi, pronto? C’è nessuno in casa?» chiese sarcastico il cantante, battendo con le nocche sulla testa del chitarrista. «Ti sei già dimenticato che abbiamo un concerto a trecento chilometri da qui?»
Luca cadde dalle nuvole: «Quale concerto?!»
«Quello alla Festa della Birra! Ci andiamo ogni mese!»
«Oh cazzo! Me ne ero completamente dimenticato!» esclamò il chitarrista. Preso com’era ad organizzare la sua visita a Micaela si era completamente scordato di quel concerto.
«Già… Ma per fortuna sono passato a prenderti. Andiamo, su!» e, senza ascoltare le sue lamentele, Flavio trascinò Luca fuori da casa sua, senza neanche dargli il tempo di prendere il suo cellulare che rimase abbandonato sul comodino.
 
* * *


Seduta a gambe incrociate sotto al pino marittimo Micaela leggeva una favola ai bambini, ma senza il consueto entusiasmo di sempre. Luca si era fatto sentire spesso durante il corso della settimana e lei aveva sperato di vederlo arrivare nella pineta proprio durante l’ora di lettura, come il fine settimana precedente quando si erano conosciuti. Ed invece oramai era quasi arrivata allo scadere del tempo e del chitarrista non aveva visto neanche l’ombra. 
Aveva persino controllato più e più volte il cellulare, che aveva messo in modalità silenziosa per non disturbare la lettura, nella speranza di ricevere una sua chiamata, magari per avvertirla del suo ritardo. Ma le sue speranze erano state disattese.
Al termine della favola i bambini si alzarono e raggiunsero i loro genitori, seduti sulle panchine poco lontano e la piccola Aurora, quando andò a salutarla come al solito con un bacio sulla guancia, le chiese se andava tutto bene.
«Stai bene, Micaela? Oggi non eri molto brava, a leggere.»
«Tutto bene, grazie piccola. Sono solo un po’ preoccupata perché aspetto notizie da una persona che non si è ancora fatta viva. La prossima settimana prometto che sarò una lettrice molto più brava!» rispose la giovane donna, abbozzando un sorriso tirato.
Una volta sola, prese in mano il cellulare per l’ennesima volta, tormentandosi con la domanda che si era posta quasi di continuo nel corso dell’ultima ora: “Lo chiamo o non lo chiamo?
Infine, dopo aver tratto un lungo sospiro tremolante, cercò in rubrica il numero del chitarrista ed avviò la chiamata. Dall’altro capo rispose una serie infinita di squilli che si concluse, infine, con un tristissimo segnale di occupato. Trattenendo a stento le lacrime, convinta che Luca le avesse dato una buca clamorosissima, Micaela decise di attendere ancora fino all’ora di cena prima di darsi definitivamente per vinta. Trasse un grosso romanzo dalla borsa di stoffa contenente i libri di favole e si rimise a leggere, con la schiena appoggiata al tronco. 
Rimase lì per due ore prima di decidersi ad andarsene, tornando a casa con passo lento e strascicato.
 
* * *


Luca si era accorto di aver dimenticato il cellulare soltanto un’ora dopo, quando ormai era impensabile tornare indietro al paese per recuperarlo. Maledisse più e più volte Flavio per avergli messo una fretta del diavolo e maledisse anche la tecnologia. Una volta, quando i cellulari non esistevano, spesso eri costretto ad imparare a memoria i numeri di telefono se volevi averli sempre a portata di mano. Ora, invece, con quelle dannatissime rubriche sui cellulari, bastava solo premere un tasto per averli tutti davanti agli occhi. “Se almeno lo avessi imparato a memoria!” pensò per l’ennesima volta. Allora avrebbe potuto farsi prestare il telefonino da uno dei suoi amici per avvertire Micaela di ciò che era successo, ma così poteva fare ben poco…
Fu più distratto del solito, sia durante il soundcheck sia durante il concerto, tanto che, ad un certo punto, Flavio decise di fare una pausa.
«Si può sapere che cazzo ti passa per la testa, stasera? Non sembri nemmeno tu!» esclamò il cantante alle orecchie del chitarrista, facendolo trasalire.
«Lo sai cosa mi succede! Se tu non mi avessi messo così tanta fretta…»
«Adesso basta con questa storia!» lo interruppe Flavio. «Non mi interessa se stasera avevi programmato di pucciare il biscotto al mare! Vedi di strimpellare bene quelle corde, altrimenti il prossimo ingaggio ce lo giochiamo! E poi, il biscotto lo puoi pucciare lo stesso: guarda quante pollastrelle che ci sono, in giro!»
Luca strinse le labbra per evitare di mandare il cantante a quel paese. In fondo aveva ragione: se volevano continuare a fare spettacoli dovevano farli bene. Annuì seccamente e tentò di impegnarsi al meglio nella seconda parte del concerto, anche se il pensiero di Micaela e del fatto di non averla chiamata continuò a tormentarlo per il resto della serata.
Lo spettacolo finì molto tardi e fu, come al solito, seguito da una cena abbondante innaffiata da generose dosi di birra, servita in boccali da litro. Per stordirsi e smettere così di pensare alla giovane donna che aveva miseramente abbandonato senza nemmeno una notizia, Luca ne scolò tre prima di essere assalito dai conati di vomito. Passò una notte d’inferno e la mattina successiva riuscì a svegliarsi solo dopo mezzogiorno, con la testa che gli pulsava come la grancassa di una batteria.
Il gruppo, quindi, fece ritorno al paese solo nel tardo pomeriggio. Il chitarrista corse subito in casa alla ricerca del cellulare: Micaela aveva provato a chiamarlo solo una volta. Premette immediatamente il tasto di chiamata, ma dall’altro capo della linea nessuno rispose. Non appena la comunicazione si interruppe provò una seconda volta, ma con lo stesso risultato. Guardò l’orologio: oramai erano le sei di sera e non avrebbe mai fatto in tempo ad arrivare da lei prima dell’ora di cena. Rassegnato si lasciò cadere sul divano, provando a chiamarla per altre tre o quattro volte durante la serata, sempre però senza ricevere nessuna risposta. Preoccupato che potesse esserle accaduto qualcosa andò comunque a dormire ma, anche se era esausto, i suoi timori gli impedirono di riposare bene.
La mattina successiva andò a scuola, deciso a chiedere al direttore un paio di giorni di vacanza. Immaginava già, però, che la risposta sarebbe stata negativa: non poteva permettersi di saltare nemmeno un’ora di lezione, non adesso che i suoi allievi erano così vicini al saggio finale del corso di musica.
Disperato, Luca fu costretto ad attendere il fine settimana successivo prima di poter scendere di nuovo al mare, senza aver mai ricevuto risposta da Micaela.
 
* * *


Micaela prese in mano il telefonino squillante per l’ennesima volta e, per l’ennesima volta, chiuse la comunicazione non appena vide che si trattava di Luca. Il chitarrista aveva provato a chiamarla a tutte le ore ma lei si era sempre negata. Era furibonda, con lui e con se stessa. Con lui, perché era stato un bugiardo e si era solamente preso gioco di lei; con se stessa, perché si era lasciata abbindolare un’altra volta nonostante dovesse avere ormai imparato la lezione, con tutte le volte che le era successo. Il sabato sera precedente quando, disperata, era tornata a casa dopo averlo atteso per ore, si era messa al computer ed era andata a guardare sul sito internet del gruppo. In quel momento aveva scoperto che Luca e gli altri erano in concerto in un paesino sperduto del nord. Concerto già pianificato da tempo, tra l’altro. Allora aveva capito che il chitarrista non sarebbe mai tornato. E lei c’era cascata come una stupida! Certo, non riusciva ancora a capire perché avesse preferito lei all’altra ragazza – decisamente più giovane e più bella – se aveva avuto soltanto voglia di una semplice avventura. Ma quello era solo un dettaglio che non modificava la sostanza dei fatti: Luca l’aveva bellamente presa per il culo.
Durante la settimana aveva tentato in tutti i modi di non pensarci, anche se le era stato quasi impossibile visto che quello stronzo continuava a chiamarla in continuazione. “Chissà perché, poi? Non potrebbe lasciarmi perdere e basta?” si era chiesta più volte. 
Il venerdì, tornando dal lavoro, incrociò per strada suo cugino Manrico. Da piccoli si erano frequentati spesso poi, crescendo, si erano persi di vista, anche perché Micaela non apprezzava molto il suo gruppo di amici e la brutta abitudine che aveva preso da ragazzo di ubriacarsi quasi ogni sera. Comunque non avevano mai smesso di volersi bene e per tale motivo la giovane donna non esitò a buttargli le braccia al collo quando lo vide.
«Manrico! Sei tornato al paese, finalmente!»
«Ciao cuginetta!» la apostrofò lui, di due anni più vecchio di lei e dalla figura tozza ma imponente. «Come ti va?»
«Al solito…» rispose Micaela con un sospiro, «e tu?»
«Alla grande! Sono tornato per aprire un bar in società con uno dei miei amici.»
«Fantastico!»
Stavano parlando di quest’ultima grandiosa novità quando il cellulare della giovane donna squillò. Le bastò una rapida occhiata per capire che si trattava, ancora una volta, di Luca, per cui senza esitazione premette il tasto rosso di spegnimento e ributtò il telefonino nella borsa.
«Come mai non rispondi?» le chiese stupito il cugino e Micaela raccontò a grandi linee cosa le era successo nei fine settimana precedenti.
«Se ti rompe ancora le palle dimmelo, che ci penso io a sistemarlo!» disse Manrico, facendo scrocchiare le enormi nocche.
«Grazie cugino, ma vive talmente lontano che non penso lo vedrò di nuovo.»
 
* * *


Non appena gli impegni scolastici lo lasciarono libero, Luca saltò in sella alla sua moto e prese l’autostrada come una furia, in direzione mare. Aveva una voglia matta di rivedere Micaela, nonostante la giovane donna non avesse mai risposto alle sue chiamate. Sapeva di essere in fallo e di doverle una spiegazione, così non se l’era presa troppo per i suoi reiterati rifiuti. Era convinto che, una volta l’uno di fronte all’altra, avrebbero potuto chiarire ogni cosa e sistemare tutto.
Arrivò al paese in riva al mare alle quattro e mezza di pomeriggio, perciò si diresse subito alla pineta dove sapeva che, mezz’ora più tardi, Micaela avrebbe letto le favole ai bambini. Si mise a passeggiare nervosamente intorno al grosso pino, fumando nel vano tentativo di allentare la tensione che sentiva aumentare esponenzialmente ogni minuto che passava. 
Finalmente la vide varcare il cancello di ingresso, con la sua solita enorme borsa di stoffa a tracolla. Non riuscì a trattenersi e le corse incontro.
«Micaela! Micaela!» gridò, sbracciandosi nella sua direzione.
La giovane donna si fermò di colpo non appena lo vide, guardandolo come si farebbe con un insetto nocivo.
«Cosa sei venuto a fare, quaggiù?» gli chiese, dura, non appena furono abbastanza vicini da non dover gridare.
Quella domanda smorzò l’entusiasmo del giovane chitarrista: «Sono venuto a cercarti, bambolina. Per spiegarti quello che è successo lo scorso fine settimana!»
«Lo so cosa è successo, non devi spiegarmi proprio niente! E smetti di chiamarmi bambolina!» ribatté lei, lasciando Luca ancora più perplesso. «Eri a fare un concerto. E magari, nel frattempo, ti sei anche divertito. Ti sei sbattuto una delle grupie che ti sbavano ai piedi? Oppure hai illuso un’altra ragazza perbene?»
Il chitarrista rimase a bocca aperta. Non si era certo aspettato una reazione del genere. Allora Micaela non aveva proprio capito niente?! Lui non era il solito Dongiovanni da strapazzo che aveva una donna sotto ad ogni palco! Se aveva fatto l’amore con lei era perché gli piaceva e se ne stava innamorando. Tentò di ribattere a quelle infamanti accuse, ma le parole gli morirono in gola quando vide avvicinarsi un uomo tarchiato, dal fisico taurino, che abbracciò Micaela.
«È questo il tizio che ti ha rotto le palle per tutta la settimana?» chiese il nuovo arrivato – che aveva assistito all’incontro da lontano – con voce minacciosa, senza staccare gli occhi da quelli di Luca.
«Sì, Manrico, è lui. E non riesco proprio a capire perché sia tornato!»
«Stammi a sentire, bamboccio: vedi di alzare i tacchi e sparire. Sono stato chiaro?»
Il giovane uomo fissò l’altro senza rispondere, poi si rivolse a Micaela.
«A quanto pare anche tu non hai impiegato troppo tempo per consolarti con qualcun altro» disse, la voce solitamente chiara e dolce resa dura dall’astio. «Hai ragione, non devo chiamarti bambolina. Tu sei un barracuda.»
E, con quelle ultime parole colme di furore e delusione, voltò le spalle ai due e si allontanò con passo fermo e deciso. Ma, invece di salire in sella alla sua moto ed andarsene, andò sulla spiaggia affollata, correndo tra i bagnanti stesi al sole che protestarono per la sabbia sollevata dal suo passo pesante. Giunto sul bagnasciuga si tolse con rabbia la maglietta e le scarpe e si buttò in acqua, mettendosi a nuotare come un forsennato, come a volersi lasciare tutto alle spalle e dimenticare, mentre le lacrime cominciavano a pizzicargli agli angoli degli occhi, mescolandosi con l’acqua salata.
 
* * *


«Perché non gli hai detto che sono tuo cugino?» chiese Manrico, guardando il giovane uomo allontanarsi.
Micaela si strinse nelle spalle: «Almeno così si deciderà a lasciarmi in pace una volta per tutte. Ora scusami, ma devo andare a leggere ai bambini.»
«Ancora a leggere favole? Non ti sei ancora stancata?» le chiese il cugino, prendendola in giro.
«No. Né mai mi stancherò di farlo. Ci vediamo, cugino!»
Convinta che Luca avesse alzato i tacchi e fosse tornato al suo paese, Micaela si rilassò completamente immergendosi nella lettura, i suoi piccoli ascoltatori che pendevano come sempre dalle sue labbra.
 
* * *


Una volta uscito dall’acqua Luca raccolse le sue cose e tornò verso la pineta, ravviando all’indietro i capelli nel frattempo. Durante la settimana aveva trovato il tempo di tagliarli, così la zazzera biondo scuro non gli ricadde sulla fronte ma rimase dritta come gli aculei di un porcospino. Nell’attesa che i suoi pantaloncini si asciugassero del tutto decise di concedersi un ultimo gelato – per quanto amaro avesse potuto essere – prima di partire. Una volta finito si diresse lentamente alla moto che aveva parcheggiato in un vicoletto scuro e sporco. La sera stava ormai scendendo e le prime ombre già si allungavano nella stretta viuzza deserta. Stava per mettere il casco quando una mano pesante gli batté due volte sulla spalla. Si voltò, sorpreso, giusto in tempo per ricevere un pugno in piena faccia che gli spaccò il labbro inferiore e lo fece barcollare come un ubriaco. Il casco gli sfuggì di mano e cadde rotolando fino al bordo del marciapiede.
Intontito dal colpo alzò lo sguardo sul suo aggressore e riconobbe il tale che gli aveva intimato di andarsene – Manrico, se ben ricordava – che ora lo guardava dall’alto in basso. Al suo fianco si trovavano altri due uomini, con la stessa espressione ostile.
«Mi pareva di essere stato chiaro, prima. Mia cugina non vuole più vedere la tua faccia» ringhiò l’uomo, le vene che si gonfiavano nel collo taurino.
Luca ebbe un brevissimo istante di sollievo. “Cugina? Ma allora questo tizio non è il suo ragazzo…” ebbe modo di pensare, prima che il conforto si tramutasse in paura. 
Con un cenno del capo, Manrico ordinò ai suoi compari di afferrarlo per le braccia e tenerlo fermo, mentre lui dava il via al pestaggio, colpendolo ripetutamente al volto ed al torace. Luca tentò di dimenarsi con tutte le sue forze per liberarsi da quella stretta ferrea, ma erano in tre contro uno e ben presto dovette soccombere alla violenza dei pugni.
«Micaela mi ha detto che sei un chitarrista» ringhiò ad un tratto Manrico e, mentre pronunciava quelle parole uno dei suoi compari, quasi come se si fossero già messi d’accordo, obbligò il giovane a stendere la mano sinistra a terra. «Come farai a strimpellare sulle corde con le dita fracassate?» gli chiese quindi l’uomo sarcastico, schiacciandogli le nocche con il tacco degli stivali e strappandogli un grido che fu subito azzittito dall’ennesimo pugno sulla bocca.
Infine, dopo quella che a Luca parve un’eternità, lo lasciarono agonizzante sull’asfalto ingombro di mozziconi di sigarette e lattine schiacciate, con uno zigomo fratturato, alcune costole rotte e le dita della mano sinistra ridotte in frantumi; senza contare le innumerevoli contusioni sparse su tutto il corpo. Aveva le labbra talmente gonfie da non riuscire nemmeno a parlare per chiedere aiuto e, ben presto, il dolore crebbe ad un livello tale da farlo sprofondare nell’abisso nero dell’incoscienza.
Fu trovato alcune ore più tardi, ormai a sera inoltrata, da una signora che stava portando a spasso il cane. L’animale aveva cominciato ad abbaiare ed a trascinarla verso il vicolo scuro dove, incredula, la donna aveva visto il corpo di un giovane uomo pestato a sangue, con i connotati talmente stravolti da essere pressoché irriconoscibile. La signora aveva subito chiamato un’ambulanza che, nel giro di pochi minuti, aveva prelevato il chitarrista portandolo all’ospedale più vicino, dove fu ricoverato in sala di rianimazione con prognosi riservata.
 
* * *


La domenica mattina Micaela scese molto presto. Le piaceva andare a passeggiare quando l’aria era ancora fresca e la brezza portava il profumo del mare. Passò davanti all’edicola proprio mentre il proprietario scaricava, dal furgone delle consegne, i pacchi del quotidiano locale. Il titolo in prima pagina, scritto a grosse lettere maiuscole nere, catturò la sua attenzione: “GIOVANE UOMO, PICCHIATO A SANGUE DA IGNOTI, IN FIN DI VITA ALL’OSPEDALE LOCALE”. Deglutendo a fatica Micaela ne acquistò una copia, correndo poi a casa già certa, nel profondo del suo cuore, che il giovane di cui si parlava doveva essere Luca.
I suoi sospetti furono subito confermati: oltre al nome, infatti, il giornale aveva pubblicato anche una recente foto del chitarrista scattata durante il concerto di due settimane prima. Mettendosi la mano sulla bocca per trattenere l’orrore che minacciava di travolgerla, Micaela fu fulminata anche da un’altra certezza. Il colpevole del pestaggio doveva essere Manrico.
Con le mani tremanti, la giovane donna prese il cellulare e compose il numero del cugino, che rispose al primo squillo.
«Io e te dobbiamo parlare!» esordì subito lei e Manrico capì al volo.
«Gli ho dato solo quello che si meritava» le rispose, crudo.
«Se l’hai ammazzato, giuro che poi io ammazzerò te!» gridò lei in risposta, chiudendo subito dopo la chiamata. 
Corse alla sua auto e guidò come una pazza fino all’ospedale, dove si scontrò contro il muro di gomma delle infermiere. I genitori di Luca, allertati dai Carabinieri, erano giunti nella notte ed ora a turno vegliavano al capezzale del figlio che i medici tenevano in coma farmacologico. Lei non era una parente quindi, gli dissero categoriche, non poteva assolutamente entrare nella sua stanza. Passeggiando nervosamente fuori dall’ingresso del reparto di terapia intensiva, Micaela non riusciva a darsi pace. Avrebbe dovuto correre dalle Forze dell’Ordine per denunciare suo cugino, ma non se la sentiva di compiere un tale passo. Era lacerata dal rimorso per aver trattato Luca a quel modo e per aver dato adito a Manrico di scatenare la sua furia ma, allo stesso tempo, il vincolo di sangue le impediva di agire con prontezza. 
Stava ancora arrovellandosi il cervello quando una coppia di mezza età uscì dalle porte dai vetri opachi che si trovavano alle sue spalle. La moglie era in lacrime ed era sostenuta dal marito che cercava in ogni modo di farle forza.
«Coraggio cara…» Micaela lo sentì sussurrare, «i medici hanno detto che la sua fibra è forte. Ce la farà, vedrai…»
«Il mio bambino… Il mio Luca…» ansimò la donna in risposta, lasciandosi trascinare verso una delle sedie.
Per molti minuti la giovane donna non ebbe il coraggio di avvicinarsi poi, attingendo ad una forza che non credeva nemmeno di avere, si decise.
«Voi siete i genitori di Luca?» chiese con voce tremante.
L’uomo si voltò a guardarla mentre sua moglie continuò a balbettare, dondolandosi sulla sedia e fissando vacuamente il pavimento.
«Sì. Tu sei Micaela?»
Sorpresa dal fatto che conoscesse il suo nome, la giovane donna riuscì solo ad annuire.
«Luca ci ha parlato molto di te in queste due settimane. Vorresti entrare a vederlo?»
Stava per rispondere affermativamente quando la madre si riscosse.
«Era venuto quaggiù per stare con te! Tu non eri con lui quando è stato aggredito? Perché? Chi è stato? Tu lo sai?» la assalì, subissandola di domande alle quali Micaela non poteva rispondere. 
La giovane donna si portò la mano alla gola, disperata per tutto quello che stava succedendo. Il padre di Luca, dopo aver calmato la moglie, le chiese nuovamente se voleva entrare a vederlo ma lei scosse la testa. Aveva finalmente preso la sua decisione.
«Tornerò da vostro figlio ma, prima, devo fare una cosa molto importante!» esclamò correndo via, lasciandoli soli.
Andò alla caserma dei Carabinieri e lì, senza mai esitare, raccontò ogni cosa al Maresciallo che raccolse la sua denuncia e che, alla fine del colloquio, le disse: «Lei sa che sta accusando suo cugino di un fatto gravissimo, non è vero? È certa di voler procedere?»
«Sì, come sono certa che l’uomo che amo, forse, sta per morire» rispose Micaela, lasciando la caserma e tornando di corsa in ospedale, temendo di non riuscire a fare più in tempo, di perdere Luca per sempre.
Quando arrivò al reparto trovò i genitori del chitarrista ancora seduti dove li aveva lasciati. La madre si era finalmente appisolata con la testa appoggiata al petto del marito, la tensione che infine si era sciolta in stanchezza. Il padre alzò lo sguardo su di lei e semplicemente annuì, dandole nuovamente il consenso ad accedere al capezzale del figlio.
 
* * *


Micaela trascorse molto tempo in ospedale, rimanendo in trepidante attesa di ogni nuova comunicazione da parte dei medici. Quando finalmente i dottori decisero di toglierlo dal coma, la giovane donna tirò un sospiro di sollievo grande come il mondo: il peggio era passato, anche se il calvario di Luca era tutt’altro che finito. Avrebbe dovuto, infatti, attendere a lungo prima che le sue ossa fossero tornate a posto, per non parlare della lunghissima riabilitazione all’uso della mano sinistra che avrebbe dovuto affrontare.
La giovane donna, a quel punto, fece un passo indietro, lasciando che fossero i genitori a prendersi totalmente cura di lui. Inoltre, aveva cominciato a temere che il chitarrista la incolpasse di quanto era successo, che credesse che l’ordine di picchiarlo fosse partito proprio da lei. Aveva paura di affrontarlo perché temeva di non essere in grado di guardarlo negli occhi, in quei pozzi di ghiaccio che tanto l’avevano colpita il giorno del loro primo incontro. Rimandò il momento della visita fin quando poté, fin quando la madre di Luca non venne a dirle che suo figlio chiedeva di lei.
Con il viso ed il corpo ancora coperti dai lividi che stavano pian piano assumendo una colorazione giallognola, vestito solo di un leggero pigiama e coperto dalle lenzuola candide, a Micaela il giovane uomo parve ancora più magro e smunto. La sua mano sinistra, ingessata, era posata sul letto, mentre nella destra stringeva forte il suo plettro – che teneva sempre con sé come una sorta di amuleto – quasi a voler promettere a se stesso che sarebbe presto tornato a suonare la sua amata Stratocaster color madreperla.  
Aveva il viso rivolto verso la finestra e Micaela fu costretta a deglutire più volte prima di riuscire a trovare la voce per chiamarlo.
«Luca…»
Lentamente, il chitarrista si voltò e, come lei aveva previsto, i suoi occhi di ghiaccio si incupirono alla sua vista.
«Sarai contenta, barracuda…» mormorò, la voce arrochita dai farmaci e dalla debolezza, «tuo cugino mi ha conciato proprio per le feste.»
«L'ho denunciato ai Carabinieri. È stato fermato ed ha confessato. L’hanno messo in galera tre giorni fa» gli rispose lei, atona. «Non volevo che andasse a finire così…» aggiunse poi, lasciandosi sfuggire un sospiro.
«Neanch’io. Lo sai, vero, che non potrò più suonare come prima?»
Micaela annuì, chinando lo sguardo sulla mano immobilizzata.
«Anche se potrò recuperare una buona mobilità non riuscirò più a fare gli accordi come si deve. La mia carriera di insegnante… e di musicista… è finita» riprese Luca, anche lui atono. La giovane donna si era aspettata che fremesse di rabbia ed invece in quel momento le parve tristemente svuotato di ogni sentimento.
«Mi dispiace…» balbettò ancora lei.
«A me ancor di più. Ora, se permetti vorrei restare da solo.»
Micaela annuì di nuovo poi, incapace di reagire, fece dietro front e lasciò la stanza. Riuscì a trattenersi solo per pochi passi poi scoppiò a piangere. Lasciò di corsa il reparto per non fargli sentire che piangeva, per fingere una forza d’animo che in realtà non aveva ma, non appena giunse alle scale, si appoggiò con la schiena al muro e si lasciò scivolare a terra, versando tutte le sue lacrime.
 
* * *


Nonostante Luca non avesse più chiesto di vederla, Micaela non mancò mai di andare ogni giorno in ospedale per avere sue notizie. Il chitarrista lo sapeva perché sua madre e suo padre lo informavano ogni volta in cui si presentava. 
Infine, fu trasferito all’ospedale del suo paese, dove tutti i suoi amici gli fecero visita.
Flavio, Marco e Tony furono coloro che gli stettero più vicino, cercando in ogni modo di consolarlo.
«Vedrai che le tue dita ritorneranno quelle di un tempo! Conosco un metodo infallibile per tenerle in allenamento!» gli disse Flavio uno degli ultimi giorni della sua degenza, durante la loro visita quotidiana, in cui tutti e quattro erano piuttosto allegri e desiderosi di scherzare.
«E quale?» chiese Luca, sinceramente incuriosito.
«Fare tanti ditalini!» gli rispose volgarmente il cantante, scoppiando poi in una risata sguaiata cui si unirono subito gli altri.
Anche il chitarrista rise, ma la sua fu una risata piuttosto forzata. Nonostante tutto quello che era successo, infatti, non riusciva ad odiare Micaela, che gli mancava terribilmente. Non riusciva a credere che fosse stata proprio lei a chiedere a suo cugino di vendicarla, eppure tutto lasciava presagire che fosse andata proprio così, anche se poi l’aveva denunciato ai Carabinieri. Fece un mezzo sospiro e si volse a guardare verso la finestra, da cui si vedeva parte del parcheggio. All’improvviso sussultò, correndo al vetro. Aveva appena visto passare una figura femminile che gli pareva incredibilmente somigliante alla lettrice dalla voce sensuale che tanto gli aveva infiammato il cuore. Aprì la finestra ma oramai la sagoma era svanita oltre il suo campo visivo.
No… Non è possibile, non può essere lei…” pensò, mentre la voce di Marco lo raggiungeva come un’eco lontana: «Che hai Luca? Sembra tu abbia appena visto un fantasma!»
Dopo alcuni minuti qualcuno bussò alla porta della stanza, che al loro arrivo Tony aveva chiuso alle sue spalle per mantenere un minimo di privacy.
«Avanti» disse Luca, con la voce che tremava impercettibilmente. 
La porta si aprì molto lentamente, rivelando al chitarrista che non era stata un’allucinazione, la sua. Era proprio lei, Micaela.
Flavio, Marco e Tony fissarono alternativamente prima l’uno e poi l’altra fermi ai due lati opposti della stanza, e subito si sentirono di troppo.
«Beh, noi ce ne andiamo, eh?» esordì Flavio, spingendo fuori gli altri due e lasciando Luca e la giovane donna da soli.
Si fissarono ancora per qualche istante, in silenzio, poi il chitarrista si azzardò a parlare.
«Cosa ci fai qui, barracuda?» chiese, tentando di parlarle rudemente ma senza riuscirci.
«Ti prego, non chiamarmi così. Non sono una bambolina, ma nemmeno un barracuda…» rispose lei, senza accennare minimamente ad avvicinarsi. «Sono venuta per chiarire ciò che è rimasto in sospeso tra di noi, perché non riuscivo a sopportare l'idea che ciò che c’è stato tra noi due finisse così malamente.» Trasse un lungo respiro e poi riprese: «Anche se tu di sicuro non mi crederai, voglio che tu sappia che non sono stata io a chiedere a quel debosciato di mio cugino di aggredirti. So che Manrico è un poco di buono, purtroppo, ma non credevo che potesse arrivare fino a questo punto. Pensavo che si limitasse semplicemente ad intimidirti. Scusami se ti ho lasciato credere che fosse il mio ragazzo… Ero ancora ferita perché mi avevi dato quella buca clamorosa e desideravo solo che tu te ne andassi e non ti facessi più vedere, per non soffrire ancora…» concluse con un ultimo sospiro.
«A proposito di ciò che è successo quel sabato» attaccò subito Luca, «forse neanche tu mi crederai, ma io avevo proprio dimenticato di avere quel concerto già programmato. Ero pronto per venire da te quando Flavio è passato a prendermi e mi ha messo tanta di quella fretta che mi sono dimenticato il telefonino a casa. Non ricordavo il tuo numero e così non ho potuto avvertirti, e non ho nemmeno potuto risponderti. Quando sono tornato a casa, la domenica pomeriggio, ho visto la tua chiamata, ma ogni volta in cui ho tentato di richiamarti tu non hai mai risposto.»
«Avevo paura che tu volessi prendermi ancora in giro» ammise Micaela, abbassando lo sguardo, «e quando ti ho visto arrivare il sabato successivo ho creduto che tu avessi solo voglia di una scopata facile…»
«Tu non sei stata solo una scopata facile! Io mi ero innamorato sul serio!» la interruppe con veemenza. «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, visto che ai concerti sono sempre circondato da ragazze che sbavano per me, non sono un tipo che si porta a letto la prima che capita! Anche perché, allora, avrei potuto farlo con l’altra ragazza che mi aveva messo gli occhi addosso. Ed invece sono venuto a cercare te» ribatté il chitarrista, avvicinandosi di qualche passo.
«Come potevo crederlo?» replicò Micaela. «Nessuno si è mai innamorato di me, fino ad ora. Le mie sono state solo semplici avventure. Tutti i ragazzi che ho conosciuto non sono mai rimasti per più di qualche mese. Tu sei bello, sei un figo e forse lo sai pure, e sei giovane, soprattutto giovane! Come potevo credere che tu mi amassi davvero?»
Anche lei mosse qualche passo nella sua direzione, finché non si ritrovarono l’una di fronte all’altro. 
«Luca…» esalò Micaela, prendendo la mano sinistra del chitarrista tra le sue e sollevandola fino all’altezza delle sue labbra. «Voglio solo che tu sappia che, se solo potessi darti le mie dita pur di farti tornare a suonare come prima, lo farei» aggiunse accorata, baciando delicatamente i polpastrelli che facevano capolino dall’ingessatura.
Il chitarrista chiuse gli occhi, piegando lievemente la testa all’indietro e lasciandosi sfuggire un lungo sospiro mentre pareva assaporare il dolce contatto delle labbra di lei sulle sue dita. «A me basta solo che tu mi dia il tuo amore» le disse infine, «e non avrò bisogno di altro al mondo.»
Con un unico movimento fluido Luca le passò il braccio destro dietro la schiena, attirandola a sé, e la baciò teneramente. Micaela si abbandonò tra le sue braccia e lasciò che le loro anime si fondessero insieme.
Fu molto difficile per loro interrompere il bacio senza lasciarsi travolgere dalla passione. Morivano dalla voglia di fare l’amore, ma quello non era né il luogo né il momento adatto. Avrebbero avuto tutto il tempo, dopo.
Prima di lasciarla andare via, però, Luca meravigliò Micaela con una domanda a bruciapelo: «Vorresti diventare la nostra corista?»
La giovane donna lo fissò negli occhi, quei due pozzi di ghiaccio ardente e, senza nemmeno riflettere, gli rispose di sì.
 
* * *


Due mesi dopo essere uscito dall’ospedale Luca aveva stupito tutti riacquistando, contrariamente ad ogni aspettativa, una perfetta mobilità delle dita. Più volte, mentre si rotolavano insieme nel letto, lui e Micaela si erano chiesti, ridendo, se era stato davvero merito dello stupido suggerimento di Flavio che Luca aveva deciso di seguire alla lettera.
Nessuno aveva potuto tenerlo lontano dal palco troppo a lungo e quella sera si sarebbe tenuto il loro primo concerto con la nuova formazione della band.
La musica era talmente forte da penetrare nelle membra e faceva vibrare piacevolmente il palco sotto i loro piedi. Flavio, da ottimo animale da palcoscenico qual era, intratteneva il pubblico, facendolo rumoreggiare selvaggiamente ad ogni nuova canzone che attaccavano. Per Micaela era la prima volta che saliva su un palco ma, contrariamente al suo carattere schivo, si era sentita subito a suo agio, forse per via della presenza di Luca che riusciva sempre a rassicurarla, e forse anche perché gli altri tre membri della band l’avevano accolta benevolmente, trattandola come una sorella. Tenendo il microfono tra le mani, alla giovane donna pareva di essere nata proprio per quello. Il canto le scorreva nelle vene, proprio come succedeva a Luca con la musica della sua chitarra, e poco importava che dovesse solo limitarsi ai cori. Pian piano – Flavio le aveva promesso – avrebbero cominciato a lasciarle anche il suo spazio da solista, ma per il momento Micaela si godeva ciò che la vita le offriva di così straordinario.
All’improvviso Luca le si accostò: benché avesse anche lui il suo microfono a disposizione, a volte le si avvicinava per cantare nello stesso gelato, fondendo così le loro voci come già avevano fatto con le loro essenze.
«Ba-ba-ba bambolina, ba-ba-ba barracuda, ba-ba-ba ma dolcissima…» cantarono insieme, celebrando un po’ quella che era diventata la loro canzone – Bambolina e barracuda di Luciano Ligabue – per via dei due nomignoli che il chitarrista le aveva affibbiato. Prima di allontanarsi di nuovo e tornare al suo posto, Luca si voltò nella sua direzione e le sussurrò all’orecchio: «Ti amo, bambolina e barracuda…»
Lei sorrise semplicemente e lasciò terminare la canzone, poi si accostò a Flavio e parlottò con lui sottovoce. Il cantante lanciò un’occhiata al chitarrista, che lo fissò perplesso, poi annuì ed accostandosi al microfono proclamò: «Ed ora, ragazzi, cedo un attimo la parola alla nostra corista, che ha un annuncio da fare!»
Micaela prese un grosso respiro e disse con voce chiara e forte, guardando il chitarrista: «So che tu lo sai già, ma voglio che lo sappia anche tutto il resto del mondo: ti amo, Luca!»
Il giovane uomo rimase a fissarla stupito per alcuni secondi, poi posò a terra la chitarra e strinse Micaela tra le braccia, baciandola appassionatamente. Il pubblico esplose in un boato assordante che per loro – persi com’erano l’uno nelle vibrazioni dell’altra – rimase solo un brusio di sottofondo. 
 
Fine


 
Spazio autrice:
Ringrazio tutti coloro che hanno letto la storia, ed in particolar modo la carissima Jarmione che mi ha seguito con particolare interesse! 
Scusatemi se ho usato un po' di parole volgari, ma nella lingua parlata a volte ci stanno bene, no?
E scusatemi anche per la mia inguaribile romanticheria!
Evelyn

 

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