Torna alla ragione, Delsin!

di Lady I H V E Byron
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Ancora vivo ***
Capitolo 2: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 3: *** Visioni ***
Capitolo 4: *** Paper Trail ***
Capitolo 5: *** "Der Sandmann" ***



Capitolo 1
*** Prologo - Ancora vivo ***


Note dell'autrice: oggi fanfiction su uno dei giochi che ha attirato la mia attenzione: Infamous: Second Son. Gli altri due capitoli li avevo già giocati e mi sono piaciuti il giusto, ma il "Second Son" ha qualcosa che negli altri due Infamous (o tre, includendo "Festival of Blood) manca, ovvero l'amore fraterno, l'elemento che mi è piaciuto in questo gioco. No, quella tra Cole e Zeke era amicizia, che poi è andata a farsi "macerare" con il tradimento di quest'ultimo nel primo gioco... Cioé, mi piace l'affetto tra Delsin e Reggie e come quest'ultimo abbia accettato il fratello minore per quello che era, con i poteri e tutto. ("No, tu sei mio fratello, capito?!"; frase della prima parte di "Infamous: Second Son", quando Delsin usa i poteri del fumo per liberare Reggie dall'auto) Vi rendete conto che ho pianto alla scena della sua morte? Ci sono rimasta troppo male per Delsin, rimasto solo al mondo (come Wanda Maximoff di "The Avengers: Age of Ultron"), escludendo gli Akomish (o come cacchio si scrive). Guardando quella scena in lingua originale ho letto commenti del tipo: "No, Reggie è ancora vivo. Perché anche lui è un Conduit, vero?". Ebbene, ho intenzione di far resuscitare Reggie, per il bene di Delsin e per tutti i fans della coppia fraterna Delsin/Reggie. Non avendo fratelli, posso solo idealizzare il rapporto/amore fraterno. Ancora non riesco a capire (più o meno) perché certa gente vorrebbe rimanere figlio/a unico/a... rimani solo come un cane, soprattutto se non hai nemmeno cugini coetanei!
Ora passiamo alla storia, ho perso troppo tempo con queste castronerie...
 
Prologo: Ancora vivo
 

"Delsin, guardami. Devi lasciarmi!"
"No, no! Ce la faccio! Ce la faccio!"
"Ascolta, non devi beccare questo schifo! Cazzo... sono orgoglioso di te. Lo sono sempre stato."
"No, Reggie, no!"
"Ti voglio bene, fratello."
"NOOOOO!!!"

Era passato solo un giorno, ma sembrava esser passata un'eternità da quella tragedia.
Il giorno in cui Delsin Rowe, teppista di strada diventato Conduit per caso, aveva perso suo fratello, per mano di Brooke Augustine, capo del D.U.P.
Quell'evento lo aveva segnato profondamente.
Era rimasto solo.
Prima i genitori, poi il fratello.
Da quel giorno, Delsin non fu più lo stesso. L'ira lo aveva completamente accecato.
L'urlo che emise, prima di affrontare Augustine, determinò l'inizio del suo cambiamento psicologico.
Nessuna squadra di recupero, dopo quello scontro, si era preoccupata di controllare le macerie cadute nel mare.
In mezzo ad esse vi si poteva scorgere un pezzo irregolare di cemento.
Non era piatto e nemmeno liscio.
Sembravano vari pezzi di ghiaccio messi insieme.
Nessuno avrebbe mai pensato che ivi si celasse una persona.
Un uomo sulla trentina, corporatura robusta, pelle olivastra, capelli corvini con un distintivo da sceriffo sulla giacca.
Reggie Rowe, il fratello maggiore di Delsin.
Appariva svenuto, a causa dello scarso ossigeno.
L'acqua del mare non lo aveva nemmeno tocccato.
Ma dentro di lui, qualcosa stava crescendo. Un potere che non sapeva nemmeno di possedere. Un potere venuto da lui, forse per aiutarlo a liberarsi da quella prigione di cemento.
Quella strana sensazione lo svegliò di soprassalto. Non poteva muovere nemmeno la testa. Poteva solo muovere gli occhi, per vedere ciò che lo circondava.
"Ma... cosa...?" mormorò, sorpreso "Sono ancora vivo? Ma come è possibile? Cosa succede? Dove mi trovo? E cos'è questa strana sensazione?"
Improvvisamente, sentì qualcosa come spingere dai palmi delle mani, come se volesse uscire.
"Ma cosa mi sta succedendo?!" Reggie cominciava ad agitarsi e il fastidio sulle mani si faceva sempre più forte.
"Devo uscire da qui... Ma dove mi trovo? Delsin... ricordo che mi teneva, mentre questa merda mi stava circondando... Oddio... sono nell'abisso del mare, quindi... Devo liberarmi. Devo liberarmi... Ma come?!"
Da semplice fastidio, ciò che sentì in particolare sulla mano sinistra divenne un vero e proprio dolore. Qualcosa voleva uscire da lì.
"E Delsin? Oh, no... e se Augustine lo avesse...? No, no, no,no... Devo... Devo trovarlo... Devo trovarlo!"
L'ultima frase garantì la sua libertà.
Qualcosa uscì dalla mano di Reggie, una forte onda d'urto che distrusse la sua "corazza" di cemento.
E non solo.
Si accorse di essere in mezzo ad una zona asciutta.
All'inizio, pensò che si trovasse su una spiaggia, ma poi guardò in alto e si stupì: l'onda d'urto aveva creato una specie di conca d'acqua e lui era proprio lì in mezzo.
Non ebbe nemmeno il tempo di pensare, che le acque si richiusero su di lui. La corrente gli fece fare due capriole in acqua. Sentì come mille pugni sullo stomaco a causa della pressione. L'aria quasi gli mancava, ma era troppo lontano dalla superficie.
Non poteva sopravvivere semplicemente nuotando.
Quella sensazione che aveva sulle mani... lo sentiva in tutto il suo corpo. Un potere che aspettava di uscire per salvare colui che lo deteneva.
Reggie doveva aggrapparsi ad esso, per salvarsi.
Concentrandosi, aprì le mani verso il basso e di nuovo l'onda d'urto che prima lo aveva liberato dal cemento di Augustine si scatenò, spingendolo verso l'alto, come un missile.
Uscì dall'acqua, eseguendo un salto di circa venti metri.
Forse si era dato troppa spinta, mentre cercava di salvarsi.
Cercò di restare a galla, mentre si guardava intorno.
"Già... sono a Seattle." mormorò, serio "Devo trovare Delsin. Ma come diavolo ho fatto a sopravvivere lì dentro senza ossigeno? Nessun umano ci riuscirebbe. Nessun umano... nessun umano... ma io... oh, no..."
Si osservò le mani, confuso e quasi impaurito.
Gli bastò puntare la mano destra in avanti, che si scatenò una breve tromba d'aria, che mosse le acque del mare.
Reggie guerdò la sua mano, spaventato, con il cuore che gli batteva a mille.
"Anch'io sono un Conduit!"
 

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Capitolo 2
*** Di nuovo insieme ***


Di nuovo insieme


Un’altra tromba d’aria.
Il mare sembrava quasi si dividesse come il Mar Rosso si era diviso per Mosé e gli ebrei.
Su uno spiazzo di cemento, Reggie teneva le mani in avanti e sorrideva.
Molto meglio.”  disse, soddisfatto. “Sto migliorando con le onde d’urto…”
Si guardò le mani, continuando a sorridere.
“Ora capisco Delsin...”
Guardò dietro di lui, preoccupato. Non per se stesso. Ma per suo fratello.
“Dove ti trovi adesso? Avrai ottenuto il potere di Augustine? Avrai salvato la nostra gente?” mormorò.
Scosse la testa, per riprendere la concentrazione.
Si era allenato tutta la notte per controllare i suoi nuovi poteri. Ma gli mancava ancora una cosa da fare.
Mise le mani lungo i fianchi e aprì le mani verso il basso.
Ok, Reggie, piano…”
Chiuse gli occhi e si concentrò. Pensò a Delsin, a quanto fosse preoccupato per lui.
Cercò di concentrare i suoi poteri sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi.
Quando aprì gli occhi, per poco non barcollò dalla sorpresa: era già ad un metro di altezza.
“Evvai!” esultò, sorridendo “Ce l’ho fatta! Adesso… decollo!”
Si mise in posa da supereroe in volo e  volò in direzione del mare, quasi alla velocità della luce.
“Wow! Forse sono stato troppo precipitoso!” commentò l’uomo, quasi barcollando. Stava alzando un’enorme scia d’acqua, causata dalla sua velocità.
“Vai piano , Reggie! Dove cavolo sono i freni?!” esclamò, riprendendo il controllo.
Era riuscito a prendere quota ed a rallentare.
Fece un paio di giri sul mare, il tempo di controllare il volo.
Di tanto in tanto girava su se stesso, ridendo, divertito.
“Oh, sì! Ora sì che capisco Del!”
Al solo pensare a Delsin, l’espressione di Reggie cambiò in allegro a preoccupato.
Da orizzontale si mise in posizione verticale e allargò i piedi, con le piante puntate in avanti, per frenare.
Restando concentrato, riuscì a stare sospeso in aria, senza cadere.
Osservò Seattle, alle sue spalle.
“Devo andare a cercarlo…” mormorò, dirigendosi verso lo Space Needle.  “Spero solo sia ancora vivo!”
Volò sopra le strade di Seattle, senza farsi vedere. Proprio per evitare di attirare l’attenzione con la sua abilità del volo, Reggie cercò di alternare il volo al viaggiare di tetto in tetto, come suo fratello. Avevano fatto parkuor insieme, ma lui non lo aveva più praticato da quando era divenuto sceriffo. Per fortuna fu come andare in bicicletta.
Nessuna traccia del fratello, non dall’alto. Tuttavia, trovò qualcos’altro che attirò la sua attenzione.
Dei civili con le mani sopra la testa, seguiti da uomini armati di fucili.
Erano degli uomini del D.U.P.
Reggie si sentì mancare, appena li vide.
“Oh, no…” mormorò, mentre il cuore gli batteva a mille “Se il D.U.P. è ancora in giro, vuol dire che Augustine è ancora viva e Del… No! No! Non ci voglio credere! NON POSSO CREDERLO!”
Scese in picchiata, furioso, e atterrò vicino ai militari, scatenando una mezza onda d’urto.
Due di quegli uomini gli puntarono il fucile contro.
“E’ un Bioterrorista! Catturiamolo!” urlò uno, prima di cominciare a sparare.
Reggie faceva il possibile per schivare le pallottole, contrattaccando con delle onde d’urto.
“DOV’E’ MIO FRATELLO!?” esclamava ad ogni colpo, preoccupato e infuriato insieme.
Ma al posto di risposte ricevette alcune pallottole, in gran parte sul torace.
In un momento, temette la sua morte, ma sentì come degli spifferi nelle ferite lasciate dalle pallottole. Era il suo potere che lo stava rigenerando.
“Merda, ma è fantastico! E io che mi lamentavo delle capacità dei Conduit…” si stupì il Conduit, sorridendo.
I militari del D.U.P. non si stupirono dell’improvvisa guarigione, essendo abituati a soggetti simili. Lo stavano solo tenendo occupato per fare in modo che un altro collega catturasse Reggie, cogliendolo di sorpresa alle spalle.
Infatti, una manona prese l’uomo per la giacca.
“Vedrai, ora, cosa abbiamo in riserbo per te, Bioterrorista…” minacciò il soldato del D.U.P., con voce forte.
Ma il neo-Conduit non poteva lasciarsi catturare: scivolò giù dalla giacca e mise a tappeto il militare con una mossa di arti marziali che aveva imparato quando era ancora un cadetto dell’Istituto per la Difesa del Paese: aveva preso l’aggressore per i polsi, mentre scivolava giù, e poi, mettendo un piede sul suo addome e aveva fatto cadere l’uomo, facendogli eseguire una capriola.
Dopodiché, senza esitazioni, mosse le braccia verso destra, formando un semicerchio, scatenando una forte raffica da far spazzare i tre militari del D.U.P.
“Quella giacca mi è costata 60 dollari!” esclamò, ironico.
Ma non gli importava della giacca. Si guardò le mani: era davvero entusiasta dei suoi nuovi poteri.
“C’è qualcun altro che osa affrontarmi?”
Sembrava una frase di suo fratello.
Si accorse troppo tardi dei blindati del D.U.P., con dei soldati, all’interno, pronti a catturarlo.
Reggie si preparò ad attaccarli con un’altra raffica, più forte della precedente; tuttavia, dei fulmini caddero dal cielo, colpendo i blindati in pieno, facendoli praticamente esplodere.
Il neo-Conduit si coprì gli occhi prima dal lampo, poi dall’esplosione.
I blindati erano spariti, come i soldati del D.U.P.
Tra il fumo, Reggie notò una figura camminare verso di lui. Una figura che, appena vide l’uomo, si sconvolse.
“Reggie?!”
Anche Reggie fu come sconvolto, ma anche sollevato.
“Delsin…”
Il ragazzo scoppiò in lacrime dalla gioia e saltò addosso al fratello, abbracciandolo.
“Reggie! Reggie! Reggie!” esclamava, felice come non mai.
Anche Reggie pianse dalla gioia di rivedere suo fratello. Lo stringeva a sé, come se non lo volesse mai lasciare.
I due fratelli si guardarono in faccia, sorridendo tra le lacrime.
“Ti credevo morto…” disse Delsin, tirando su con il naso.
“Lo credevo anch’io…”
Il ragazzo si staccò dall’uomo, ma il sorriso gli svanì. Il suo cuore si fece pesante.
“Ma… allora… Li ho uccisi per niente…” mormorò, voltandosi da un’altra parte.
Anche Reggie cambiò espressione.
“Uccisi? Chi hai ucciso?” domandò, preoccupato.
Delsin osservò di nuovo il fratello e si morse il labbro inferiore.
“Vederti morire davanti ai miei occhi è stato uno spettacolo orribile per me. Anzi, penso che niente nella mia vita mi abbia sconvolto di più. Io volevo salvarti, fratellone, buttarmi in acqua e liberarti, ma poi ho pensato che prima l’avrei fatta pagare ai responsabili della tua morte. Non mi sono mai perdonato per non averti ascoltato riguardo ad Hank, Reggie. Ho promesso a me stesso che gliel’avrei fatta pagare molto cara. E così è stato. E lo stronzo aveva giustificato il suo inganno dicendo che Augustine “non aveva mai ucciso un Conduit” oppure “aveva mia figlia”. Non gli volevo credere, ma poi ho sentito una voce femminile che lo chiamava. Poi ho preso la catena e gliel’ho legata al collo… “Occhio per occhio, dente per dente”, così dice la Bibbia, no?”
Reggie era spaventato da quel discorso. Da come Delsin era cambiato.
“E… che mi dici… di Augustine?” domandò, deglutendo.
“Quella troia…” raccontò il ragazzo, sorridendo lievemente “Sai perché ha fondato il D.U.P.? Per disegnare ogni Conduit come un mostro, un mostro che solo lei poteva sconfiggere. Voleva essere una specie di paladina. Patetico, vero? Dare la caccia ai propri simili per esibizionismo. Ovvio che doveva morire. Se l’avessi rinchiusa da qualche parte, l’avrebbero liberata e lei avrebbe ricominciato il suo piano. E alla sua morte, Fetch, Eugene ed io abbiamo liberato tutti i Conduit da Curdun Cay e io, oh, Reggie… ho acquisito poteri su poteri. Come un bambino in un negozio di caramelle! E poi, da quel giorno, abbiamo eliminato ogni militare del D.U.P., simpatizzante delle idee di quella pazza, o chi disprezzasse ancora noi Conduit.”
“Ma almeno tutta Seattle sa del piano di Augustine?”
“Certo che no! Era una cosa privata, tra me e lei!”
“Almeno hai ottenuto il suo potere? Salvato gli Akomish?”
“No…” fu la risposta, con tono deluso.
Reggie sentì il suo stomaco gelare.
“Cosa?!” esclamò “E tutto quello che abbiamo passato?! Io ho dato letteralmente la mia vita per salvare la nostra gente… e tu… mi dici che non sei andato a salvarli?!”
“Ehi, io HO ottenuto il potere di Augustine… e l’ho sconfitta grazie ad esso. Oh… dovevi vedere il suo volto, Reg… Sorrido al solo pensare a quello sguardo di paura, come se tutto il mondo che ha costruito fosse crollato intorno a lei. Per non parlare poi di quando l’ho gettata dalla sommità del suo caro carcere. Esattamente gli stessi sentimenti che ho provato io, quando ti ho visto cadere in mare, coperto di cemento. E poi sono tornato a casa, nella Casa Longa, ma nessuno voleva il mio aiuto, una volta che ho raccontato loro come sono andate le cose. Betty, alla fine, ha fatto: “Hai disonorato i nostri antenati e hai disonorato la memoria di tuo fratello!”. Io ho sempre voluto bene a Betty, ma quando ti ha messo in mezzo l’ho odiata con tutto me stesso. E quando mi ha detto che non ero più Akomish… non ho avuto scelta.”
Reggie indietreggiò, scuotendo la testa, con aria terrorizzata.
“Hai reso una bambina orfana… Hai reso Augustine una martire… e hai ucciso la nostra gente…”
“Per gli Akomish non cambiava nulla!” giustificò Delsin “Senza il mio aiuto sarebbero morti comunque, come mi hai detto tu, che te l’hanno detto i medici!”
“Non è una giustificazione valida!”
“Ma che differenza fa, adesso? Ora sei qui e sei vivo! A proposito… come hai fatto a sopravvivere in quella gabbia di cemento?” domandò il ragazzo, avvicinandosi al fratello e prenderlo per mano.
“NO! FERMO!”
Era troppo tardi. Delsin gli aveva ormai preso la mano. Entrambi sentirono un formicolio insopportabile nelle loro mani e avambracci, che li fecero gemere dal dolore, mentre il potere del vento passava, anche se in parte, da Reggie a Delsin. Nella testa di quest’ultimo si materializzarono delle immagini, come era successo con tutti gli altri Conduit a cui aveva “stretto la mano”.
Entrambi i fratelli Rowe giacquero incoscienti per pochi minuti.
“Anche tu… un Conduit?!” si stupì il ragazzo.
Tossendo, Reggie affermò tale domanda: “Già… è stato improvviso…”
Ma ciò non fece allarmare Delsin, che abbracciò di nuovo il fratello.
“Oh, Reg! E’ meraviglioso!” esclamò, entusiasta “Potrai unirti alla mia causa!”
“La tua causa?”
“Sì! Da quando ho ucciso Augustine, Fetch, Eugene ed io ci stiamo impegnando per far reintegrare i Conduit nella società, per dimostrare che non siamo così diversi dagli esseri umani. Ovviamente, ci sono ancora coloro che sostengono che siamo dei mostri e hanno già tentato di ucciderci. Purtroppo, noi non abbiamo avuto altra scelta che “contrattaccare”, oserei dire. Ma pensa, Reggie: se ti unisci a me, potremo comandare Seattle!”
“E come vuoi fare, Delsin?” rimproverò l’uomo, con aria severa “Uccidendo degli innocenti? Costringere la gente a pensarla come te? Così sei persino peggio di Augustine!”
“Non ho altra scelta, Reggie: loro continueranno sempre a vederci come mostri!”
“Ma uccidere le persone non aiuta di certo e non è la soluzione!”
“Credi che nessuno di noi abbia provato a comportarsi da essere umano normale? Ti rendi conto com’è essere chiamati “mostri” a priori, senza aver fatto nulla di male? Non abbiamo altra scelta, Reggie!”
“C’è sempre un’altra scelta!” ribatté l’uomo, preparandosi al volo “E io non ti aiuterò di certo a fare una strage di persone innocenti!”
“Reggie, ti prego, fermati!” tagliò corto Delsin, quasi in lacrime “Quando hai scoperto che io ero un Conduit, non mi hai mai abbandonato! Lo hai anche detto quando abbiamo catturato Fetch, ricordi? Che non mi avresti mai abbandonato. Non farlo adesso che ti ho ritrovato, ti prego. Non voglio perderti un'altra volta...”
Reggie osservò in basso, serrando le labbra. Le sue parole erano vere: lui non avrebbe mai abbandonato suo fratello. Ma in quel momento era confuso e sconvolto. Le parole che gli uscivano dalla sua bocca non erano nemmeno frutto della sua volontà.
“Prima non eri un assassino!” questo disse, prima di spiccare il volo, lasciando Delsin in preda alle lacrime e ai gridi di dolore, più forti di quando lo credeva morto.
Anche Reggie pianse, ma non solo per la trasformazione di Delsin, ma per le sue parole.
Era diretto alla loro vecchia casa, dove una volta risiedevano gli Akomish.
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Capitolo 3
*** Visioni ***


Note dell'autrice: in questo punto mescolerò parti del finale buono e cattivo del gioco, oltre a mettere qualcosa di mio. Spero di non averlo puntato troppo sul "patetico" (d'accordo che l'elemento chiave di questa storia è l'amore fraterno, ma spero di non aver esagerato), ma... ditemi voi!

 

Visioni
 



Non ci volle molto per raggiungere la sua vecchia casa.
Rivide tutti i paesaggi che sia lui che Delsin avevano attraversato nel loro viaggio di andata. Passò persino accanto al punto in cui lui stava rischiando di cadere, mentre Augustine faceva crollare il ponte. Delsin era apparso per salvarlo e con una punta di ironia aveva detto al fratello: “Bella posa da lanciatore.”
Ma entrambi sapevano che il ragazzo era preoccupato per Reggie, e usava l’ironia solo per coprire tale preoccupazione.
Era un vizio che avevano entrambi, quello di coprire la preoccupazione uno con l’ironia (Delsin) e l’altro con l’arroganza (Reggie).
Gli eventi di Seattle li avevano uniti più che mai, ma in quel momento erano separati e ciò fece soffrire Reggie, che scuoteva continuamente la testa, come per scrollarsi di dosso i ricordi del loro arrivo nella città.
Dal primo momento si era promesso che non avrebbe mai abbandonato il fratello minore, ma nel momento attuale regnava un tale caos nella sua testa che non sapeva cosa fare.
Tornare nel punto in cui tutto ebbe inizio per i fratelli Rowe lo avrebbe aiutato a cercare un modo per aiutare Delsin.
Una volta arrivato, Reggie restò senza fiato dallo shock: esattamente come raccontato da Delsin, la Casa Longa era stata distrutta. Non rimanevano che macerie del posto in cui i fratelli Rowe erano cresciuti.
Non vide nemmeno un abitante: anche di loro non rimaneva che polvere.
Delsin era l’unica speranza per salvare gli Akomish , invece si rivelò la loro rovina. Lui e Reggie erano gli ultimi.
“Del, ma cosa diavolo hai combinato…?”
Improvvisamente, il paesaggio intorno a lui mutò, dopo un vento improvviso: la Casa Longa era tornata come prima.
Gli Akomish stavano ancora male, a causa dei pezzi di cemento che fuoriuscivano dalla loro pelle.
“Ma… cosa…?” si chiese Reggie, confuso.
La porta principale si aprì. Delsin entrò, sorridendo.
“Delsin? Ehi, ascolta…”
Il ragazzo sembrava non vedere il fratello, poiché continuava a camminare verso di lui, senza fermarsi. Infatti, con grande stupore da parte di Reggie, Delsin gli passò attraverso.
“E’ una visione!” rivelò l’uomo “Ma come può essere? A meno che… non sia frutto dei miei poteri. Sì… sembra che il vento voglia mostrarmi come sono andate veramente le cose.”
Il fratello non si era fermato a curare il primo Akomish che trovava: era diretto verso Betty. La donna stava ancora dormendo. Aprì gli occhi non appena sentì la mano del ragazzo toccarle la gamba con i pezzi di cemento.
“Betty…”
“Delsin. Sei qui.”
Con sorpresa, notò che il cemento era scomparso.
“E’ scomparso. Sono scomparsi tutti.” osservò, ridendo dalla felicità.
Anche Delsin sorrise.
“Una promessa è una promessa, no?”
“E… gli altri?”
“Sono appena arrivato. Tu sei la prima.”
La donna gli porse le mani e lui gliele strinse, come gesto affettuoso.
“Mi hai salvata, Delsin Rowe.”
“Ehi, siamo Akomish. Ci aiutiamo l’un l’altro, giusto?”
“Dov’è Reggie?” domandò Betty, guardandosi intorno, continuando a sorridere.
Delsin abbassò lo sguardo, mentre delle lacrime scendevano sulle sue guance, facendo preoccupare la donna.
“E’ morto.” disse “Quella stronza di Augustine lo ha ucciso.”
Anche Betty provò lo stesso dolore del ragazzo e lo strinse a sé.
“Oh, povero caro! Mi dispiace tanto, Delsin!”
Il ragazzo si mise a singhiozzare, versando lacrime sulla spalla di Betty.
“So quanto volessi bene a Reggie…”
“Reggie era tutto il mio mondo e lei me lo ha portato via! Quindi io ho distrutto il SUO di mondo, oltre a distruggere lei stessa!”
Sgomenta, Betty osservò il ragazzo in faccia.
“Cosa hai fatto?!”
“L’ho uccisa, Betty.” rivelò Delsin, ancora con le lacrime agli occhi “L’ho uccisa per vendicare voi e Reggie. Era una sadica psicopatica e maniaca. Meritava di morire! Così nessuno avrebbe sofferto come voi dalle sue inutili torture! Ho ucciso anche il responsabile della morte di Reggie, il tizio con i poteri del fumo, ricordi? Lui mi ha ingannato e ha fatto in modo che quella stronza mi portasse via mio fratello! E sperava di salvarsi con la storia della figlia rapita, ma con me non ha funzionato. Non potevo fargliela passare liscia, dopo tutto quello che mi aveva fatto…”
Il televisore era acceso sul canale del telegiornale: stavano parlando di Augustine, di come era stata uccisa brutalmente da un Conduit. Delle persone stavano parlando di lei, disegnandola come un’eroina, una paladina che combatteva contro i “demoni” Conduit.
Betty, sconvolta, si staccò da Delsin; esattamente la stessa reazione di Reggie quando anche lui era venuto a conoscenza della verità.
Scattò in piedi e cominciò a spingere il ragazzo verso l’uscita.
“Betty! Ma cosa…? Non fare così, ti sei appena ripresa.”
“Fuori! FUORI!”
Delsin fu buttato fuori dalla Casa Longa.
“Si può sapere cosa ti è preso?!” esclamò, confuso.
“Delsin, quello che hai fatto è stato oltraggioso!” chiarì Betty, severa “Hai ucciso delle persone!”
“Ehi, ho fatto quello che potevo per salvarvi! Non hai idea di quello che Reggie ed io abbiamo dovuto passare per ottenere il potere di Augustine, soprattutto Reggie! E questo lo chiami ringraziamento?”
“Uccidere non è la soluzione giusta!”
“E cosa volevi che facessi?! Lasciarla libera di torturare altri innocenti?!”
“Tu hai reso di una bambina un’orfana e hai lasciato che i media santificassero un essere orribile come quella sgualdrina!”
Erano le stesse identiche parole di Reggie. Delsin, però, con Betty, non provò assolutamente nulla.
“Hai disonorato la nostra gente.” accusò la donna “Hai disonorato i nostri antenati. E hai disonorato la memoria di tuo fratello.”
All’ultima frase, il ragazzo assunse un’aria feroce, come quella di un animale a digiuno da giorni davanti ad una preda, mentre il sangue gli ribolliva nelle vene. Nessuno doveva osare accusarlo di aver disonorato la memoria di Reggie. Aveva ucciso Hank e Augustine per lui.
“Tu non sei più un Akomish.”
“Senza di me, moriranno tutti. O lo hai dimenticato?”
“Non l’ho fatto. Nessuno lo ha fatto. E non lo dimenticheremo mai.”
Detto ciò, la porta fu chiusa, lasciando Delsin fuori.
Gli Akomish avrebbero preferito morire, piuttosto che continuare a vivere a spesa della vita di altra gente.
Reggie, che assisteva alla visione, fu terrorizzato al pensiero di cosa sarebbe accaduto: Delsin digrignò i denti, stringendo talmente forte che mancava poco alla formazione di qualche crepa su di essi. Nello stesso modo, strinse i pugni.
“Non volete il mio aiuto, eh?” sibilò, furioso e deluso “Bene, allora potete tranquillamente morire!”
Invocò il potere del fumo e saltò in alto, eseguendo, poi, la “Meteora Fumo”, distruggendo la Casa Longa.
La visione finì, lasciando l’uomo completamente sconvolto. Cadde sulle sue ginocchia, ansimando.
“Delsin… come hai potuto…?”
Il vento si alzò di nuovo: un’altra visione.
Delsin stava camminando verso il cartellone-annuncio della nomina di Reggie come sceriffo, che aveva “modificato” prima degli eventi di Seattle. Ma non era più come lo avevano lasciato: Reggie non era più versione burattino, con la pistola ad acqua e il donught nelle mani.
Lui era tornato “normale”, con dietro un distintivo gigante da sceriffo. Davanti ad uno sfondo bianco e azzurro, c’era Seattle, con lo Space Needle al centro. A sinistra, vi erano raffigurati Reggie e Delsin, davanti ad un’aquila azzurra con le ali spiegate, mentre il primo cingeva le spalle al secondo. In basso, invece, vi fu l’elemento che fece commuovere Reggie: un nastro con scritto “In memoria e amore di Reggie Rowe”
Accanto a lui, vide la visione di Delsin che ultimava il graffito, con aria triste.
Fece un passo indietro, per ammirare la sua opera.
Una lacrima scese sulla sua guancia.
“Ti voglio bene.” mormorò, prima di posare la bomboletta spray “Mi mancherai, fratello.”
Non poteva permettere che il sacrificio del fratello venisse sprofondato nell’oblio.
Continuando a piangere, Reggie sfiorò con la mano la sua raffigurazione con il fratello: quel graffito era diventato l’ultima briciola di umanità rimasta in Delsin.
“Delsin, mi dispiace!” si scusò, coprendosi la bocca con l’altra mano “E’ anche colpa mia se sei diventato così! Se io fossi stato più forte o se fossi stato più pronto, niente di tutto questo sarebbe successo! Sei diventato un mostro, è vero, ma ora ho scoperto che c’è ancora del buono in te. E quel buono sono io, i tuoi ricordi legati a me. Hai sempre preso la decisione giusta, finché c’ero io, esattamente come hai sempre cercato di proteggermi. Mi spiace averti abbandonato, fratello. Ero confuso e avevo… no, ho ancora paura, ma non posso lasciarti da solo.”
Osservò Seattle e spiccò il volo verso tale direzione.
“Sto arrivando, Del! Riuscirò a salvarti da te stesso e farti ritornare alla ragione, fosse l’ultima cosa che farò!” pensò, determinato.

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Capitolo 4
*** Paper Trail ***


Note dell'autrice: da qui inizia la comparsa dei personaggi secondari. E il titolo non ha niente a che vedere con la missione omonima.

 

Paper Trail



Reggie tornò, determinato più che mai, a Seattle.
Non sapeva perché, ma la trovò improvvisamente diversa, rispetto a come era solito osservarla.
Probabilmente la causa risiedeva nelle circostanze.
Non poteva volare, per evitare di attirare l’attenzione dei civili e degli ultimi militari del D.U.P.
L’unica soluzione era mescolarsi alla gente comune.
In tal modo, nessuno avrebbe sospettato della sua natura; tuttavia, ora che Delsin aveva scoperto che suo fratello era ancora vivo, avrebbe avvertito gli altri Conduit, magari aprendo la caccia al Conduit.
Per la prima volta, Reggie fu costretto a infrangere la legge: aggredì e poi rapì un barbone, per poi prendere i suoi abiti, scarpe da ginnastica, dei jeans logori, una canottiera blu notte, una felpa scura e un cappello con la visiera.
Nessuno lo avrebbe riconosciuto.
Camminando tra le strade di Seattle, l’uomo si rese conto di come Delsin la avesse trasformata: c’erano graffiti ovunque, tutti raffiguranti immagini macabre, in cui almeno una persona moriva, le persone si guardavano l’un l’altro con diffidenza e paura, oltre a vivere in una situazione persino peggiore di quando Augustine era viva e il D.U.P. seminava il panico in tutta Seattle.
Ora erano i Conduit a seminare il terrore.
Reggie se ne rese conto osservando dei televisori all’interno di un negozio di elettronica, davanti al quale erano radunate alcune persone.
Vide Delsin, con un ghigno malefico sul volto.
-Salve, Seattle.- salutò, sarcastico –Mi auguro stiate passando un’altra magnifica giornata, perché uno di voi ve l’ha accidentalmente… rovinata.-
Venne inquadrato un civile, con le mani legate dietro la schiena, tremante di paura.
-N-non farmi del male… ti prego… Rimangio tutto quello che ho detto, lo prometto!-
Ma il ragazzo non sembrava ascoltarlo.
-Quest’uomo…- disse, quasi ringhiando –Ha osato ribellarsi contro di noi. Non ha usato il termine “mostri”, per riferirsi a noi, ma “tiranni”! Tiranno, io?! Io vi ho salvato da Augustine! Dalla tirannia del D.U.P.! Ed è così che mi ringraziate?! Vedendo me… no… vedendo noi Conduit non solo come mostri, ma come tiranni?! Noi siamo PERSONE, come voi, solo con i poteri! Avere poteri non sta nell’averli quanto per cosa usarli. Se solo ci deste una possibilità… noi potremo aiutarvi! Ma voi ci respingete, ci odiate, ci allontanate, ci chiamate “mostri” solo perché abbiamo i poteri. Sì, forse siamo dei mostri, ma è solo per colpa vostra e dei vostri pregiudizi del cazzo! Guardate cosa avete provocato a trattarci così!-
Schioccò le dita e di fronte al civile comparve un ragazzo circa coetaneo di Delsin.
-Ti supplico! Ho moglie e figli!-
-Dovevi pensarci prima di rivolgerti a noi in quel modo…-
Bastò un solo movimento di mano che l’uomo venne circondato dalle fiamme, fino a quando non rimase che cenere.
-Che vi serva di lezione a tutti coloro che osano mettersi contro di noi…-
Le ultime parole e lo sguardo malefico di Delsin chiusero il collegamento. Sui televisori non vi erano altro che interferenze.
Sui volti dei presenti altro non vi era che orrore, compreso in quello di Reggie, mescolato a preoccupazione.
“Delsin… ma cosa sei diventato…?” pensò, aggrottando le sopracciglia e stringendo il pugno con determinazione “Il mio fratellino non farebbe così… ma il ragazzo che ho visto non è il mio fratellino! E’ solo un mostro che si è impossessato di lui e io devo salvarlo!”
Non si era accorto che qualcuno si stava avvicinando a lui.
-Tu sei Reggie, vero?-
L’uomo si voltò di scatto, pronto ad attaccare.
Non trovò nessuno dietro di lui: solo un biglietto di carta piegato in due.
Curioso, Reggie lo aprì.
“Devo parlarti, ma non qui. Segui l’uccellino di carta.”
-“Segui l’uccellino di carta”? Cosa significa?-
Improvvisamente, il foglietto di carta si piegò su se stesso, formando l’origami di un uccellino che volò verso il versante opposto della strada, proprio come un uccellino vero.
Confuso, l’uomo decise di seguirlo.
Non sapeva chi fosse il mittente del messaggio: c’era la possibilità che fosse una trappola o da parte del D.U.P. o da parte dei Conduit.
In tal caso, avrebbe eseguito un’onda d’urto e avrebbe tentato la fuga con il volo.
Per fortuna, l’uccellino non lo portò sopra i tetti: girava tra le stradine di Seattle, quelle più nascoste e popolate principalmente da cani e topi.
Raggiunsero una porticina di un palazzo a tre piani. Era aperta.
Raggiunse una terrazza ampia.
A prima vista sembrava un luogo troppo esposto per un incontro fra Conduit e un luogo adatto ad un agguato. Tuttavia era ben nascosto dagli edifici circostanti, più grandi e alti.
Ma Reggie non si sentiva ugualmente a suo agio: temeva costantemente di essere finito in una trappola.
-Ok, chiunque tu sia…- mormorò, guardandosi intorno –Ho seguito il tuo origami fino qui. Il minimo che tu possa fare è rivelarti.-
-Ma io sono già qui, Reggie…-
L’uomo si voltò nella direzione da cui aveva udito la voce.
Concentrò i poteri del vento sulle mani, in caso di agguato.
Ma la persona di fronte a lui sembrava tutt’altro che intenzionata a fargli del male.
Era una ragazza di circa quindici anni, capelli neri raccolti in due codini bassi, carnagione leggermente più chiara rispetto a quella di Reggie, vestita con un’uniforme da college e una maschera di carta a forma di coniglio che le nascondeva il volto.
Era circondata da uccellini di carta che le volavano intorno.
Senza alcuna ombra di timore, l’uomo parlò alla ragazza.
- Chi sei tu? E perché mi hai portato qui?-
Senza dire una parola, ella si tolse la maschera: occhi scuri come la pece osservavano Reggie con un miscuglio di sentimenti non ben definiti.
-Mi chiamo Celia…- disse, con voce fievole –E sono una Conduit.-
-Ma non mi dire… E io che pensavo che l’origami volante fosse frutto della mia immaginazione…- ironizzò Reggie, con sguardo serio.
-C’è poco da scherzare…- tagliò corto Celia –Sono stata la prima Conduit catturata da Augustine.-
L’uomo si sorprese, appena udì il nome “Augustine”.
-Tu… conoscevi Augustine?-
La ragazza annuì.
-E’ successo tutto sette anni fa.- raccontò –Allora ero una bambina e Augustine era un normale militare. Il suo plotone  era, diciamo, impegnato a combattere contro i primi Conduit. Fu in quel periodo in cui ci incontrammo. Non ricordo molto di allora, se non una grande esplosione che distrusse mezza città. Augustine ed io eravamo le uniche sopravvissute: lei con il potere del cemento e io con il potere della carta. Lo so, non è un granché, ma è utile per inviare messaggi, oltre ad essere un ottimo piano di fuga. Ma alla gente non importava e non importa tutt’ora come noi Conduit utilizziamo i nostri poteri: ai loro occhi noi siamo dei mostri.-
Le esatte parole di Delsin, prima di uccidere quel civile.
-Augustine ed io avevamo fatto di tutto per sfuggire agli occhi dei civili, fino a quando lei non tornò nell’esercito. Di fronte ai suoi colleghi, non so come, ma la vidi… confusa. Era come se stesse dicendo: “Non posso essere sia Conduit che militare”. Poi, utilizzando i suoi poteri, mi imprigionò. Per sette anni rimasi in prigione, ma ancora non sono sicura se per proteggere il mondo dai Conduit o per proteggere i Conduit dal mondo. In ogni caso, tutti i Conduit furono privati della loro libertà e delle loro vite. Quando tuo fratello Delsin ci ha liberati, Dio… ho come sentito la vita scorrere dentro di me. Dalla prigione udivo delle imprese di Delsin nel liberare Seattle dal D.U.P., di come ha ucciso quella dannata Augustine. Lo ammiravo. Lui era il nostro paladino. Il simbolo della nostra libertà. Pensavo che con Delsin sarebbe iniziata una nuova era, in cui uomini e Conduit avrebbero vissuto insieme, senza pregiudizi o timori. Ma mi sbagliavo. Non è cambiato nulla rispetto a quando Augustine era viva! Ha radunato tutti i Conduit rinchiusi a Curdun Cay e ha instaurato una dittatura dei Conduit. Tutti lo seguono, credendo che questo sia l’unico modo per rientrare in società, o perché hanno paura dei suoi poteri. Ha assorbito i poteri di tutti noi, lo sapevi? Io sono riuscita a scappare e cercare aiuto. Per fortuna ho trovato te, Reggie! So che tu sei la persona cui Delsin tiene di più. Ho visto come ti parlava. Se riesci a parlargli, sono sicura che lo riporterai alla ragione!-
Reggie rifletté sulle parole di Celia: era per quel motivo per cui lui era tornato a Seattle. Come fratello maggiore, doveva fare del suo meglio per proteggere il fratello minore.
Osservò la ragazza con aria decisa.
-Dove si trova il luogo di raduno dei Conduit?-
Celia sorrise, anche lei determinata.
Una terza persona, improvvisamente, si unì a loro: la porta di alluminio si aprì di nuovo.
Era una bambina di circa dodici anni, capelli bruni raccolti in una coda di cavallo, una felpa rosa, gonna blu, calze a righe e converse.
-Voglio venire con voi!- esclamò, correndo verso i due Conduit.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, appena la vide.
-Felicia!- rimproverò –Ti avevo detto di aspettarmi a casa!-
-Sono stufa di aspettare!- protestò la bambina –Voglio uccidere quel Delsin!-
Reggie quasi sobbalzò a tali parole.
-Aspetta… cosa?! Chi vuoi uccidere tu?!-
-E tu chi sei?- domandò, maleducatamente, Felicia.
Fu Celia a rispondere per lui.
-Lui è Reggie, il fratello maggiore di Delsin. Anche lui è un Conduit.-
-Sì, ma per miracolo.- aggiunse l’uomo, prima di rivolgersi alla bambina –Perché vuoi uccidere Delsin?-
-Ha ucciso ingiustamente mio padre! Devo vendicarlo!-
-E chi era tuo padre?-
Gli bastò guardarla in faccia per ottenere la sua risposta.
-O mio Dio… i tuoi occhi… sono uguali a quelli di… Tu sei la figlia di Henry Daughtry!-
-Il GRANDE Henry Daughtry!- corresse Felicia –Augustine mi aveva rapita per ricattare papà e costringerlo a fare tutto quello che voleva lei. La sera in cui mi avevano liberata, Delsin lo ha ucciso, di fronte a me! Per mesi mi avevano tenuta lontana da lui, per mesi ci avevano impedito di vederci, di abbracciarci… Sai quanto ho desiderato rivederlo? Adesso lui ed io non potremo più stare insieme per colpa di tuo fratello!-
Reggie sentì il suo stomaco improvvisamente pesante. Si sentiva responsabile per la morte di Hank.
-Felicia, posso spiegarti…- mormorò –Delsin e neppure io non sapevamo che tuo padre avesse una figlia. Noi tre ci eravamo infiltrati nella struttura del D.U.P. per liberare degli amici, ma poi si è scoperto che era una trappola. Tuo padre, ovviamente, non poteva aspettarsi che le cose fossero finite in quel modo, ma la tua libertà è costata la mia vita. Il vero obiettivo di Augustine era Delsin, ma io ero un ostacolo per lei, per questo… mi ha eliminato. E’ colpa mia se Delsin è diventato un mostro ed ha ucciso tuo padre. Troppo tardi ho scoperto di essere un Conduit, altrimenti avrei potuto salvare entrambi.-
-Reggie, non ti colpevolizzare.- aggiunse Celia –La vera responsabile è Augustine.-
Ma la bambina non era convinta.
-Ma ad uccidere mio padre non è stata Augustine, ma Delsin e lui pagherà per questo!-
La ragazza sospirò, rassegnata: convincere Felicia non era semplice.
-E sia, verrai anche tu. Delsin ha radunato tutti i Conduit in una vecchia struttura del D.U.P. Non è molto lontana da qui, solo due isolati da qui.-
Le due ragazze erano già dirette alla porta. Reggie, invece, restò immobile, con lo sguardo verso il basso.
Prese il suo portafoglio e tirò fuori una foto: c’erano lui e Delsin, piccoli, insieme ai loro genitori.
Prima dell’epidemia Conduit, la loro vita era serena e tranquilla. Era una vita normale. La morte dei genitori da parte di un gruppo di Conduit aveva segnato le vite dei fratelli Rowe. Erano passati più di sette anni da allora, ma il ricordo non era ancora svanito nelle menti di Reggie e Delsin.
“Da quando mamma e papà sono morti…” pensò l’uomo, fissando la foto, in particolare Delsin “Ho sempre fatto quello che ho potuto per proteggerti, Del… e nonostante il mio odio per i Conduit, ho continuato a proteggerti anche se avevi sviluppato i poteri. E non ho certo intenzione di smettere!”
Dopodiché esclamò.
-No, voi due restatene fuori! E’ una questione tra fratelli!-
Celia e Felicia si fermarono e si voltarono verso di lui.
-Cosa? Vuoi affrontare Delsin da solo?!- si stupì la ragazza –Lui ha dalla sua parte tutti i Conduit di Seattle e tu sei da solo! Non puoi farcela!-
-Invece sì! Delsin non mi farà del male.- osservò di nuovo la foto, sorridendo lievemente –Io sono il suo lato buono.-
Nello stesso momento, in una vecchia struttura del D.U.P., lo stesso luogo in cui Eugene lo salvò da Augustine, Delsin stava osservando la stessa foto, ma con aria triste.
Le parole del fratello lo avevano colpito nel profondo. Il solo pensiero di essere stato allontanato dalla persona a lui più cara, la stessa persona che aveva giurato che non lo avrebbe mai abbandonato, aveva lasciato un vuoto incolmabile nel suo cuore.
-Reg…- mormorò, lacrimando.
Improvvisamente, la porta della stanza si aprì e il ragazzo si asciugò subito le lacrime, prima di nascondere la foto.
Fetch.
-Delsin… stanno aspettando tutti te.- disse, con tono calmo.
-Sì, arrivo.-
L’espressione della ragazza non esprimeva lealtà: esprimeva, piuttosto, preoccupazione per l’amico.
Lo prese per un polso, mentre lui usciva.
-Delsin, non devi farlo per forza. Ci deve pur essere un altro modo.-
Delsin rimase un attimo in silenzio.
-Devo.- decise, liberandosi il polso -Non ho altra scelta.-
Uscì, lasciando una Fetch perplessa in mezzo alla stanza.
Scosse la testa.
-Se te lo avessi detto io qualche settimana fa, come minimo mi avresti di nuovo affrontato…-

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Capitolo 5
*** "Der Sandmann" ***


Note dell'autrice: in questo capitolo tornerà un personaggio alquanto... noto nella saga di Infamous...


 
Der Sandmann





Attendevano tutti Delsin.
I Conduit una volta rinchiusi a Cudun Cay.
Erano riuniti nella stessa piazza in cui uno degli angeli di Eugene aveva salvato Delsin da Augustine.
Appena videro il loro nuovo capo, iniziarono gli urli e gli applausi.
Fetch non era con lui: era rimasta nella stanza, ma spiava l’esterno dalla porta socchiusa.
Delsin fece loro cenno di fare silenzio.
-Miei cari fratelli Conduit…- disse, con lo stesso affetto di un generale verso i suoi soldati fidati, o quello di un padre verso i figli –Non “amici”, proprio “fratelli”, perché noi siamo molto più di un gruppo di persone con una cosa in comune: siamo una famiglia. E come tale ci stiamo aiutando a vicenda per affrontare tutti coloro che sono ancora contro di noi, tutti coloro che ci vedono ancora come mostri. Augustine e il D.U.P. ci hanno sempre disegnati come mostri, solo per il fatto di avere poteri. Il primo Conduit, Cole McGrath, disse che non sono i poteri che devono essere temuti, ma chi si cela dietro ai poteri. L’importante non è avere i poteri, ma come li usiamo. Ma Seattle, per colpa di Augustine, non ci da l’opportunità di usare i poteri per fare del bene: preferiscono piuttosto vederci ancora come mostri! Vogliono i mostri? Bene, allora è quello che daremo loro!-
Improvvisamente, guardò in alto, e il resto dei Conduit lo imitarono: una scia bianca, nel cielo, si stava avvicinando alla piazza, veloce quanto un jet.
Ma non era un jet.
Reggie atterrò in mezzo alla piazza sulle ginocchia, come un supereroe. I Conduit si erano spostati per non essere travolti.
Gli sguardi dei due fratelli Rowe si incrociarono.
Delsin non apparve minimamente turbato: sorrise in modo strano e alzò le braccia.
-Gioite, fratelli Conduit!- esclamò –E accogliamo con noi mio fratello Reggie, che ci onora della sua presenza e magari si unisce alla nostra causa!-
L’uomo si osservò intorno, sia spaventato sia prudente: le persone intorno a loro erano tutti i prigionieri di Curdun Cay, imprigionati da chissà quanti anni, forse persino più di quelle persone imprigionate e schiavizzate nei lager nazisti. Come era ovvio, avevano visto in Delsin il loro salvatore, in quanto li aveva liberati da Augustine e dal suo progetto folle. Alcuni gli erano grati a tal punto da giurare di seguirlo fino alla morte, altri, forse, lo seguivano solo per timore; probabilmente avevano inteso che era cambiato poco o nulla dai tempi del D.U.P.
Fece un lungo respiro e incrociò nuovamente lo sguardo del fratello minore.
-Delsin…- cominciò, con tono determinato –Mi dispiace per le parole che ti ho detto. Ero molto spaventato, soprattutto confuso. Ti prego, abbandona questo progetto folle! Insieme potremo risolvere tutto!-
Il ragazzo ascoltò tali parole, mostrando indifferenza. Ma dentro, nel suo cuore, il dubbio aveva già cominciato ad albergarvi, dal momento in cui aveva scoperto che il fratello era ancora vivo.
Celando tale pensiero, rispose alla proposta.
-L’unica cosa da fare, Reggie…- mormorò, allungando una mano verso di lui –E’ di unirti a noi per la liberazione di Seattle. No… di tutto il mondo!-
Reggie indietreggiò di un passo, scuotendo la testa.
-Mi dispiace, fratellino… Non mi unirò alla tua causa. Non vi rendete conto che state uccidendo degli innocenti?! Dite di liberare Seattle dall’influenza del D.U.P., ma state ripetendo gli stessi mezzi di Augustine per eliminare il pericolo! No! Non vi permetterò di attuare uno sterminio di massa!-
Si mise in posizione di battaglia, serrando le labbra.
Delsin, come risposta, strinse la mano a pugno, ed assunse lo stesso sguardo del fratello.
-In tal caso…- sibilò, deluso –Se non sei con noi, sei contro di noi!-
Fetch, nel frattempo, era rimasta nella stanza. Non se la sentiva di uscire. Osservava il tutto dalla porta socchiusa.
Lo stupore che provò nel vedere Reggie ancora vivo le provocò una sincope, forse per sorpresa, forse per invidia. Avrebbe tanto voluto che anche Brent fosse stato un Conduit…
-Un Conduit si sta ribellando contro i suoi simili, fratelli!- annunciò Delsin, rivolto a tutte le persone ivi presenti –Mostriamo a questo traditore cosa vuol dire mettersi contro di noi! Jackson! E’ tutto tuo!-
Reggie si preparò psicologicamente a quanto sarebbe succeduto: dagli spalti più alti cadde un omone muscoloso, alto un metro e novanta circa.
Essendo Conduit, la caduta non gli nocque.
Non sarebbe stato facile batterlo.
Delsin osservò i due contendenti.
“Ora vediamo che potere detiene il mio fratellone…” pensò, sorridendo in modo strano “Magari avrò un altro potere da aggiungere alla mia collezione…”
Il resto dei Conduit si stava quasi esaltando per il combattimento a venire.
Reggie studiò attentamente il suo avversario, attendendo una sua mossa e scoprire quale potere controllasse.
Ma il pugno che schivò era normale, umano, senza il ricorso di alcun potere. Dall’urlo che aveva emanato l’omone doveva essere molto potente. Per fortuna, Reggie era riuscito a schivarlo in tempo, girando, o non sarebbe sopravvissuto al colpo, anche da Conduit.
Come risposta, eseguì un calcio a martello sullo stomaco.
Quanto avvenne subito dopo lo lasciò a bocca aperta: la gamba gli era passata attraverso.
Quando la ritrasse, della sabbia era presente sui pantaloni.
Jackson non era più di carne, da quando ottenne i poteri.
-E così il tuo potere è la sabbia, eh…?- domandò, sorridendo per un breve periodo –Quando Delsin ed io eravamo piccoli, nostro padre, una sera, ci ha letto “L’uomo di sabbia”. La classica storiella per spaventare i bambini e ammetto che faceva paura anche a noi.-
Stava parlando a voce alta, in modo che anche Delsin potesse ascoltare.
-Ma tu non mi fai paura. So che la debolezza della sabbia è l’acqua. Ma l’acqua non è il mio potere, però ho qualcosa di egualmente utile per sconfiggerti, ragazzone.-
Concentrò i suoi poteri al centro dei palmi delle mani e spinse in avanti, scatenando un’onda d’urto che fece barcollare Jackson.
Anche alcuni Conduit sugli spalti barcollarono a causa della folata di vento.
Il combattimento sembrava non avere una fine: Jackson restava fermo al centro della piazza, lanciando senza sosta sfere di sabbia verso Reggie, che le schivava volando.
Non era possibile uno scontro ravvicinato: appena l’uomo si avvicinava, l’avversario si tramutava in sabbia, scompariva per il terreno e compariva un istante dopo alle sue spalle, colpendo con i ganci sulla mandibola.
In quegli istanti, Reggie comprese di non essere ancora abbastanza forte da sostenere un incontro con un suo simile, un Conduit primario.
La cosa migliore, per lui, da fare, era tenere un’adeguata distanza da Jackson ed eseguire attacchi a lungo raggio.
Ma il Conduit di sabbia riusciva sempre a raggiungerlo.
L’ultima mossa che tentò fu una presa, proprio sulla gola di Reggie, sollevandolo da terra.
Delsin, dal punto più alto della piazza, stava osservando il combattimento, alternando l’espressione da indifferente a preoccupato, senza farsi scoprire.
Nonostante fossero divenuti nemici, il ragazzo teneva ancora molto al fratello maggiore. Dopotutto, era l’unica vera famiglia che aveva, non i Conduit.
“Non morire, Reg… ti prego…” pensava spesso.
Fu proprio nel momento della presa che si lasciò sfuggire, involontariamente, un preoccupato: -No!-
Reggie fu l’unico a sentirlo.
Ne era felice.
Aveva ottenuto la risposta al suo unico dubbio e a quello di tutti gli abitanti di Seattle.
C’era ancora del buono dentro Delsin.
E quel buono era lui.
Le dita di Jackson premevano con forza contro la sua giugulare.
Se non avesse fatto qualcosa, sarebbe morto soffocato.
Forse il fratello non glielo avrebbe permesso, forse glielo avrebbe concesso, per non farsi mostrare, agli occhi dei Conduit ivi presenti, come un traditore.
Era giunto il momento di svelare, veramente, il suo potere.
Aprì una mano, proprio di fronte al volto di Jackson.
Stringendo i denti, concentrò in quella mano tutto il potere possibile.
Un vento forte improvviso disperse il volto dell’omone, che si frantumò in tanti piccoli granelli di sabbia, che si dispersero nell’aria.
Spaventato, Jackson lasciò Reggie, e mise le mani di fronte al vuoto, in direzione del luogo in cui, pochi istanti prima, vi era il volto.
I Conduit presenti, compresi Delsin e Fetch (ancora nascosta), si stupirono.
“E quindi hai il potere del vento, eh, fratellone…?” pensò il primo, con aria incuriosita “Proprio quello che mi mancava…”
Nel frattempo, il Conduit di sabbia, ancora privo della propria testa, continuava a girarsi senza sosta, cercando l’avversario, che si stava muovendo quasi silenziosamente, elaborando, nella sua mente, il prossimo attacco.
Puntò il suo sguardo sulle sue mani, che continuava ad agitare, nella speranza di colpire Reggie.
Quest’ultimo non ricorse al suo potere, per disintegrarle: gli bastarono un paio di calci diretti al centro dei palmi, per tramutarli in due grandi mucchi di sabbia.
Sapeva bene che non poteva distruggerlo, ma almeno gli aveva privato dei suoi due punti di forza.
O almeno, lo credeva.
Dopotutto, il suo potere era il vento, non l’acqua.
I mucchi di sabbia tornarono ad essere le grandi mani di Jackson e i granelli di sabbia che componevano la testa non erano dispersi così lontano dal corpo. Non avevano raggiunto nemmeno il mare.
Il Conduit di sabbia si ricompose.
Mosse il collo, facendolo crocchiare.
Reggie si morse il labbro inferiore, preoccupato e nervoso insieme.
-Merda…- mormorò.
Senza pensarci due volte, Jackson colpì il suo avversario con un altro gancio, il più forte che avesse eseguito in quel combattimento, diretto allo stomaco, e lo scaraventò lontano, facendogli eseguire un volo da due metri, prima di rotolare per cinque metri.
Reggie, appena di fermò, batté la testa contro il cemento.
Sputò sangue, tossendo.
Cercò di aprire gli occhi, soprattutto mettere a fuoco, ma invano: vedeva solo macchie sfocate, che si muovevano in modo ondeggiante, accompagnato da suoni sordi, come se avesse avuto dei pezzi di ovatta nelle orecchie.
E il colpo ricevuto gli impedì di rialzarsi, nonostante il fattore autorigenerante dei Conduit.
Ciononostante, notò qualcosa che si stava avvicinando a lui con passo pesante, e sapeva bene che si trattava di Jackson.
Qualcosa lo bloccava.
Reggie non riusciva più a muoversi.
Non immaginava che un solo colpo lo avesse sfinito in quel modo.
Tuttavia, mentre riceveva il pugno, non sapeva come, ma aveva percepito rabbia, tantissima rabbia e rancore. Tutti sentimenti che, in realtà, provava per il D.U.P., specie dopo quanto aveva dovuto subire con Augustine.
L’omone era ormai vicino, e si scrocchiò le ossa delle mani, in attesa del colpo finale.
Il pubblico, compreso Delsin, restò con il fiato sospeso. Quest’ultimo, preoccupato per la vita del fratello.
Nessuno udì la frequenza dei suoi respiri.
Reggie non aveva la forza di scostarsi. Ne aveva a malapena per osservare il suo avversario.
-E’ giunta la tua ora, uomo vento…- sibilò Jackson, alzando un pugno –Dovevi unirti a noi quando ne avevi l’occasione. Che dispiacere hai recato al capo…-
L’uomo, temendo per la sua vita, chiuse gli occhi ed urlò, come ultima parola, prima di morire: -DELSIN!-
Il ragazzo avrebbe tanto voluto interrompere lo scontro per salvare il fratello.
Era persino pronto a farlo, ma qualcos’altro catturò la sua attenzione e quella dei presenti: una scia di carta aveva colpito Jackson sul volto, spingendolo a guardarsi intorno.
Poi, un altro colpo, che lo fece barcollare e allontanare da Reggie, che fu stupito quanto l’avversario.
Successivamente, un turbine di carta lo circondò, nascondendolo alla vista del resto dei Conduit.
L’uomo continuava a guardarsi intorno, più sorpreso che spaventato.
Celia, con la sua maschera di carta da coniglio apparve di fronte a lui, porgendogli una mano.
-Reggie, presto! Dobbiamo scappare!- esclamò, frettolosa.
Non aveva tutti i torti: all’esterno del turbine, i Conduit si stavano preparando, sotto ordine del loro capo, ad un attacco, per abbatterlo.
-Cosa…?-
-Presto! Non resisterà a lungo! Dobbiamo andarcene da qui!-
-D’accordo! Reggiti a me, Celia!-
La vista della ragazza fece recuperare immediatamente a Reggie l’energia necessaria per volare via dalla piazza.
Stringendo Celia per il punto vita, infatti, il Conduit del vento decollò come un missile, formando una piccola crepa sul punto del decollo.
Delsin si mise proprio al centro, osservando in alto e digrignando i denti dalla delusione.
-Celia…- mormorò, furioso –Per quanto tempo continuerai a mettermi i bastoni tra le ruote…?-
Mezz’ora dopo, Celia e Reggie raggiunsero un vicolo cieco, abbastanza lontano dagli occhi dei Conduit.
L’uomo era seduto sulle sue ginocchia, ansimando.
Stava cercando di recuperare tutte le sue forze che aveva impiegato nel combattimento e, poi, nel volo.
-Ti avevo detto che non era una buona idea affrontare quei Conduit da solo…- mormorò la ragazza, scuotendo la testa.
-Ma dovevo farlo!- fu la risposta, decisa.
-Avrebbero potuto ucciderti!-
-Non sarebbe mai accaduto. Delsin non lo avrebbe permesso.-
-Sei ancora convinto che ci sia del buono dentro di lui?-
-Io SO che c’è ancora del buono in lui!- ribatté Reggie, osservando la ragazza con aria severa –Io sentivo che era preoccupato per me! Lo vedevo che si affliggeva per me! Celia, mio fratello può essere ancora salvato! Io ho fiducia in questo!-
Celia storse la bocca, scettica.
In quel momento, una terza persona si unì a loro: era un uomo che aveva dai trenta ai quarant’anni, corporatura grassa, altezza media, barba appena accennata, collo taurino, capelli tirati indietro con un gel e occhi piccoli nascosti dietro ad un paio di occhiali scuri.
Sembrava un camionista.
Parlò a Reggie con una voce quasi roca e con tono apprensivo.
-Ehi, amico, ti serve per caso un medico?- domandò, porgendogli una mano, per aiutarlo ad alzarsi.
-Ecco un alleato, Reggie.- annunciò Celia, sorridendo, sollevata.
Il Conduit osservò l’uomo dalla testa ai piedi, con aria incuriosita, come un poliziotto quando osserva un sospettato, ma strinse ugualmente la mano porta.
-Zeke Dunbar, al tuo servizio!- si presentò l’altro.
Reggie, mentre si alzava, aiutato da lui, si illuminò.
-Aspetta! Io ti conosco!- esclamò, sgranando gli occhi -Tu sei l’amico di quel Conduit… come si chiamava…? Ah, Cole McGrath!-
-Wow… la mia fama mi precede, a quanto pare…- fu la risposta, con tono tra il differente e il divertito, come se, per lui, quella frase non gli suonasse nuova -E tu devi essere Reggie Rowe, il fratello maggiore di Delsin. Celia mi ha parlato di te. A quanto mi risultava, tu dovresti essere morto.-
-Beh… è una storia lunga e dettagliata da raccontare… Figurati che non so neppure io come sia successo…- concluse Reggie, mettendo la mano dietro la nuca, imbarazzato.
-Zeke è a capo della ribellione contro i Conduit, Reggie.- spiegò Celia.
-Sì, ma di questo ne parleremo al campo. Qui non è sicuro.- tagliò corto Zeke, invitando i due Condui a seguirlo.
-Un campo?- domandò il Conduit maschio –E se i Conduit vi scoprissero?-
-Abbiamo cambiato più volte postazione, infatti.- spiegò l’uomo, senza voltarsi –Ma stavolta abbiamo scelto un luogo sicuro. Verrai a conoscenza di molte cose, mio caro…-
Nel frattempo, nella piazza in cui si era svolto il combattimento tra Jackson e Reggie, l’atmosfera si stava facendo molto pressante.
Delsin, per la prima volta, si sentì in difficoltà. Gli capitava ogni volta che non aveva la situazione sotto controllo.
Era necessario prestare estrema cautela, o lui avrebbe fatto ricorso ad uno dei poteri per eliminare uno dei Conduit.
-Boss, stai bene?- domandò una ragazza, appena fu vicina a lui.
-PER NIENTE!- tuonò Delsin, voltandosi verso i presenti –Ascoltate tutti! Ho una missione importante da darvi: a salvare mio fratello è stata Celia, la Conduit che lavora per la Ribellione, rinnegando tutti noi! Quindi è possibile che a quest’ora il capo stia cercando di portare Reggie dalla loro parte! La vostra missione, pertanto, è: trovate mio fratello. E, se possibile, trovate la nuova postazione della Ribellione e distruggetela, compresi i ribelli. Ma badate: mio fratello lo voglio VIVO, chiaro?! Guai a voi se osate torcergli un capello!-
I Conduit presenti fecero un inchino e poi misero i pugni sui propri cuori.
-AGLI ORDINI!- risposero, prima di dividersi per la caccia al Conduit e ai ribelli.
Fetch, dalla scomparsa di Reggie per opera di Celia, aveva chiuso la porta, ma aveva ugualmente udito quanto ordinato da Delsin.
Stava perdendo il senno. E i Conduit fuori non avevano il coraggio di farlo riflettere sulle sue azioni.
Doveva essere lei fare qualcosa.
Delsin l’aveva aiutata nella sua lotta contro gli spacciatori, salvandola da se stessa, ora toccava a lei salvare il ragazzo da se stesso.
Prese un cellulare e, con dita tremanti, per timore che lui rientrasse da un momento all’altro, compose un numero particolare.
-Eugene!-
-Fetch! Ho visto uno strano turbine provenire là da voi! E’ successo qualcosa?-
-Se te lo dico, non ci crederesti…-

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