L'altra metà del mio mondo

di jess803
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Al di fuori di me ***
Capitolo 2: *** Vibrante tensione ***
Capitolo 3: *** Non l'ho dimenticato ***
Capitolo 4: *** Escursione notturna ***
Capitolo 5: *** Bugie e incomprensioni ***
Capitolo 6: *** Battiti ***
Capitolo 7: *** Storia di un'amicizia ***
Capitolo 8: *** Storia di un amore ***
Capitolo 9: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Al di fuori di me ***


1


Riccardo ha 17 anni e da ben dieci vive con la sua famiglia nella casetta al secondo piano a destra, in via dei Pioppi n 33. Riccardo è un ragazzino abbastanza alto per la sua età. Il suo viso è dolce, ma dai lineamenti ben definiti; la fronte è alta e spaziosa, sormontata da un folto ciuffo di capelli castani che cadono disordinati; le labbra, rosse e carnose, incorniciano un bellissimo e dolce sorriso. La madre amava dire in giro che era stata lei a donargli quel sorriso disarmante, che era sicuramente il tratto migliore del ragazzo.
<< Peccato che non lo mostri molto spesso agli altri >> aggiungeva poi la donna, sospirando. In realtà, quello che la mamma di Riccardo non aveva mai capito, era che il tratto migliore di suo figlio erano i due grandi e profondi occhi scuri; occhi che erano in grado di guardare le cose in modo diverso, che sapevano trovare la poesia in ogni angolo del mondo, anche quello più triste e malandato. Riccardo non è un ragazzino semplice e spesso, la sua famiglia, composta da madre, padre e fratellino minore, non era in grado di percepire la sua profonda e allo stesso tempo sottile diversità. La sua stanza si affaccia direttamente sull’ampio cortile del condominio; dall’esterno, si intravedono delle semplici tende color panna appese alla finestra, che lasciano passare la giusta quantità di luce per illuminare l’antro di un artista. La stanza del ragazzo ha una carta da parati molto modesta, è di color bianco calce, impreziosita da piccoli orsetti di vari colori e misure.
<< Non se ne parla! Sono ricordi del passato >> esclamava sempre la madre, ogni volta che il ragazzo, ormai adolescente, le chiedeva di cambiarla. << E comunque >> continuava la donna << ci sono talmente tante cose appese al muro che gli orsi neanche si vedono più >>.
Negli ultimi anni infatti, data la reticenza della signora a disfarsi di tale miniera di ricordi, Riccardo aveva deciso di risolversi il problema da solo. Ma, mentre un qualsiasi altro ragazzo avrebbe comprato un barattolo di vernice e ridipinto tutta la stanza, Riccardo aveva coperto quei fastidiosi orsetti a modo suo, nel modo più consono al suo modo di essere: aveva passato notti intere a disegnare paesaggi e persone con le sue matite colorate, aveva disegnato porti, strade, case, montagne e colline. E li aveva disegnati su ogni pezzo di carta disponibile: fogli volanti, tovagliette da pizzeria, fazzolettini tascabili e una volta anche su una T-shirt. Tutti questi disegni venivano poi attaccati alla parete con una puntina, che veniva infilata sulla sommità delle orecchie di un piccolo orso. E così, con gli anni, le mura della sua stanza erano diventate la rappresentazione dell’universo; non l’universo che conosciamo noi, ma l’universo che esisteva solo nei suoi pensieri, ricco di luce e colori, di paesaggi incontaminati e fantasiosi, un universo ricco di persone strambe, uomini senza capelli, bambini giganti, animali volanti, guerrieri senza scrupoli e avventuriere tenebrose. L’universo in cui viveva il ragazzo era proprio così, assurdo e incontaminato, tanto bello quanto chiuso e impenetrabile al resto del mondo. Quasi ogni anno, Riccardo faceva una gita da solo al lago, per tentare di riprodurre con gli acquerelli lo splendore del panorama al tramonto. Per qualche motivo, purtroppo, fino ad allora, non era mai rimasto particolarmente soddisfatto dei suoi paesaggi; stilisticamente e tecnicamente parlando erano buoni, ma li vedeva spenti e privi di anima, come se mancasse loro qualcosa. A parte qualche scampagnata qua e là per trovare ispirazione, Riccardo non aveva molti ricordi della sua infanzia, del resto non aveva vissuto una vita così ricca di avvenimenti entusiasmanti che valesse la pena ricordare; non ricordava il giorno del suo decimo compleanno, quando andò in gita allo zoo con la famiglia, nonostante la madre avesse appeso la foto di quella giornata al frigorifero con una calamita trovata nella scatola dei biscotti; non ricordava il suo primo giorno di scuola, quando era l’unico bambino a non essere scoppiato in lacrime dopo essere stato lasciato in classe dai genitori; non ricordava il giorno in cui era nato suo fratello Davide, eppure il piccolo mostriciattolo con i denti a fisarmonica era proprio lì, davanti ai suoi occhi ogni giorno. Ma c’era una cosa che Riccardo ricordava perfettamente, una giornata d’estate come le altre, la giornata in cui Riccardo aveva conosciuto l’altra metà del suo mondo.

Era passata qualche settimana da quando la famiglia Morello si era trasferita nella nuova casa, in via dei Pioppi, dal centro città. La signora Morello era una donna pratica e chiacchierona, aveva subito fatto amicizia con gli altri condomini e preparato dei dolcetti alle noci da offrire ai vicini. Il piccolo primogenito dei Morello avrebbe cominciato a frequentare la scuola del quartiere solo a settembre, ma all’inizio delle lezioni mancavano ancora due mesi e la simpatica signora, conoscendo il disinteresse che il figlio aveva sempre mostrato nel giocare e socializzare con gli altri bambini, aveva deciso di trovargli una compagnia per l’estate. Doveva evitare a tutti i costi che il piccolo trascorresse un’altra stagione chiuso nella sua solitudine, a giocherellare con le matite e le biglie colorate. Aveva quindi preparato una rinfrescante granita al limone da offrire ai bambini che ogni giorno giocavano nell’atrio, combattendo coraggiosamente contro la calura estiva, e aveva deciso, che a consegnare quelle granite, sarebbe stato proprio il tranquillo figlioletto.
<< Ricky, lascia stare un attimo quelle matite e vieni in cucina, ho preparato la granita al limone che ti piace tanto >> disse la donna, urlando dalla cucina. Il piccolo Riccardo fece finta di non aver sentito nulla e continuò imperterrito a colorare la schiena della sua amica Milla la tartaruga. Così la signora riprese, con voce più alta: << Ricky, sbrigati a venire che la granita si scioglie! >>. Ormai il piccolo aveva capito di non avere scampo, per questo si alzò e, sbuffando, si avviò nella piccola cucina della nuova casa. Quello che trovò quel giorno sul tavolo bianco al centro della stanza era a dir poco sorprendente: un’enorme quantità di giallo apparve davanti ai suoi occhi. Bucce di limoni e ghiaccio semi-sciolto coprivano quasi metà del tavolo, mentre l’altra metà era ricoperta da piccoli bicchieri di plastica colorati, pieni di granita fino all’orlo. Il piccolo si chiese se la mamma avesse intenzioni di fargli mangiare tutte quelle granite, ma subito dopo capì quale fosse il suo reale obiettivo.
<< Ehi guarda Riccardo, ci sono dei bambini che giocano a calcio in cortile, ti va di portare anche a loro un po’ di granita? Questa è troppa da poter mangiare da solo >>. Con un’espressione alquanto perplessa, il bambino chiese alla madre per quale motivo avesse preparato granita per un’intera scolaresca e la donna, perfettamente consapevole del fatto che il figlio era molto più sveglio di qualunque altro bambino della sua età, si limitò a rispondere frettolosamente: << avevo dei limoni da consumare! Su ora andiamo a portare queste granite giù, ti accompagno io >>. E così, senza alcuna possibilità di scelta, il piccolo e la madre si avviarono verso il cortile retrostante il portone, dove una decina di ragazzini, maschi e femmine di età compresa tra i 5 e i 10 anni, si stavano divertendo a lanciarsi la palla, in un gioco dalla regole non precisamente definite. La maggior parte di essi non viva nel condominio, ma si riuniva ogni pomeriggio a giocare insieme alle figlie delle portinaia e degli inquilini del primo piano. Quando la Signora Morello e il figlio si piantarono al centro del cortile con un vassoio pieno di granite, furono presi d’assalto dai bambini assetati e accaldati in cerca di frescura. Le granite scomparvero nel giro di 30 secondi.
<< Ricky, hai visto che la nostra idea è piaciuta? Che ne dici di restare qui a giocare mentre io finisco le faccende di sopra? >> disse la donna al figlio, con un sorriso smagliante. Riccardo scrollò le spalle: sembrava non essere interessato alla faccenda. La donna quindi si rivolse ad un ragazzino biondo che sembrava il capo della cricca: << Potete far giocare anche Riccardo con voi? >>.
E il bambino, con aria annoiata, rispose: << Beh, sì. Ci manca il portiere per una partita a calcio >>.
<< Ottimo! Io vado allora, buon divertimento caro! >> disse la donna raggiante, mentre spingeva con veemenza il figlio verso gli altri bambini. Dopo qualche minuto, assicuratasi che Riccardo avesse cominciato a giocare con gli altri, rientrò in casa, per finire di sbrigare le sue faccende domestiche.
<< Allora >> riprese il biondo spettinato rivolgendosi a Riccardo << sai stare a porta? >>.
<< Io…io…non lo so, credo di sì >> rispose balbettando il giovane solitario, troppo imbarazzato per poter dire che non aveva mai giocato in porta in vita sua.
<< Bene, allora giochiamo >> replicò il biondo, con aria di sfida.
Dall’espressione vagamente inquietante e sadica del biondino, Riccardo aveva già intuito che avrebbe passato un brutto quarto d’ora. Poco dopo, infatti, si ritrovò sommerso dalle pallonate delle piccola furia bionda, che miravano più alle sue ginocchia che alla rete immaginaria della porta . Finita la partita e fallita miseramente l’operazione amicizia messa in atto dalla madre, il piccolo Riccardo si avviò verso casa, non con aria triste e sconsolata, ma con l’aria di qualcuno che finalmente si era liberato di una scocciatura notevole, mentre da lontano, una bambina dai capelli scuri che aveva osservato tutta la scena, lo salutò con un sorriso smagliante.
<< Io sono Sara, la figlia della portinaia, abito anche io in questo palazzo. Giochiamo insieme con le carte? >> gli disse cortesemente la fanciulla.
Riccardo non ebbe neanche il tempo di rispondere che la bambina aveva già disposto, entusiasta, tutte le carte raffiguranti strani animaletti sul prato, pronta ad una sfida senza esclusione di colpi. Riccardo timidamente le disse di non esser capace di giocare con quelle carte, ma la bambina, sveglia e ottimista, non si fece certo scoraggiare da quel piccolo ostacolo. In appena dieci minuti, insegnò al suo nuovo amico tutte le regole principali del gioco, permettendogli così di dimenticare in fretta la delusione per la partita di calcio.
Riccardo quel giorno, aveva trovato, probabilmente, la prima amica della sua vita. La piccola Sara non solo gli aveva offerto protezione da quella terribile minaccia dorata, ma gli aveva anche messo a disposizione la sua amicizia. Nelle settimane successive, Riccardo e Sara si incontrarono regolarmente per le loro sfide quotidiane; non che Riccardo preferisse giocare a carte piuttosto che completare i suoi amati disegni, ma in quei giorni aveva capito che in fondo era bello avere un’amica con cui giocare. Insieme alle sfide a carte, negli assolati pomeriggi d’estate, non mancarono mai i dispetti della terribile furia bionda, che con una pallonata o un calcio, riusciva sempre a scombinare le carte dei due amici.
Solo dopo qualche giorno, Riccardo scoprì che la piccola peste era figlia della coppia che abitava al primo piano a sinistra e aveva sette anni come lui. Nonostante avesse delle strane tendenze violente, dall’aspetto sembrava un innocente angioletto: capelli biondi arruffati, naso piccolo e all’insù, occhi grandi color verde acqua. Malgrado i dispetti del piccolo angelo del male, l’estate di Riccardo trascorse tranquilla e, a settembre, cominciò finalmente la scuola.

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Capitolo 2
*** Vibrante tensione ***


2



L’estate di dieci anni dopo, in via dei Pioppi, aveva assunto dei colori completamente diversi. I bambini, che prima popolavano il cortile del condominio, erano ormai cresciuti ed erano diversi anni che non si vedevano finestre rotte a causa delle pallonate tirate dai piccoli calciatori. Quella mattina, in particolare, era tutto silenzioso e tranquillo. Solo dalla finestra del secondo piano provenivano della note stonate di una chitarra classica, quella di Riccardo, che aveva iniziato a studiare da circa sei anni.
Il suo momento di pace, immerso nella musica, fu interrotto da una squillante voce che proveniva dalla cucina: << Riccardoooooo, c’è qualcuno che ha bussato alla porta! Sbrigati ad aprire che ho le mani bagnate! >>.
Il ragazzo con aria annoiata ripose la chitarra e andò ad aprire. Alla porta c’era una ragazza bassina, magra, di carnagione scura, con capelli castani lunghi fino a metà schiena e l’aria scanzonata, vestita con un semplice jeans chiaro e una T-shirt nera con il logo degli Alice in Chains, che disse con un sorriso smagliante: << Oh Ricky andiamo a fare un giro? Fa troppo caldo stamattina per stare chiusi in casa >>.
<< In realtà mi stavo esercitando, non so se… >> le rispose il ragazzo, indicando le chitarra riposta nella stanzetta.
<< E dai, muoviti, c’è tutta l’estate per esercitarsi! A proposito, hai già cominciato a preparare le valigie per la gita con quelli dell’oratorio? >> replicò con energia la giovane.
<< No Sara, partiamo tra una settimana, non ho ancora cominciato a fare le valigie. Credo che comincerò tra qualche giorno >> disse con aria scanzonata Riccardo.
<< Beh, come ben sai, io sono un tipo previdente, quindi ho già cominciato a preparare qualcosa. Piuttosto, hai sentito che quest’anno parteciperanno anche i ragazzi della squadra di calcio? >> la ragazza ammiccò, dandogli una poderosa gomitata allo stomaco.
Riccardo strinse gli occhi per il dolore, poi cominciò a massaggiarsi con la mano il punto in cui era stato colpito, << Si l’ho sentito. Voi ragazze sarete contente, no? >>.
<< Sì beh, certo! A proposito, ci sarà anche “lui”? >> chiese la ragazza, virgolettando con le dita la parola Lui.
<< Con “lui” intendi Daniele? Certo che ci sarà, è il capitano! Giocherà nella finale del campionato >> rispose l'altro con aria pensierosa, << Ora basta stare in piedi all’ingresso, usciamo. Ma ti avviso, prendiamo giusto un gelato e rientriamo, ho delle cose da fare >> disse, chiudendosi la porta alle spalle.
Un attimo dopo, i due ragazzi si diressero verso la gelateria nella piazzetta antistante la biblioteca, a pochi passi da via dei Pioppi. Presero posto in uno dei tavoli liberi all’aperto e ordinarono due coni alla fragola e limone. Poco dopo, un nutrito gruppo di ragazzi in tenuta sportiva si accomodò a pochi tavoli di distanza. Da essi si staccò un giovane alto e prestante, che si avvicinò al tavolo di Sara e Riccardo.
<< Ciao Dan, cosa ti porta da queste parti? >> chiese affabilmente Sara al giovane appena arrivato.
<< Ciao Sara. Abbiamo appena finito gli allenamenti all’oratorio e siamo venuti a bere qualcosa di fresco >> rispose il ragazzo, passandosi la mano tra i capelli.
<< Come procedono gli allenamenti? Vincerete la finale quest’anno? >>.
<< Beh è quello che speriamo >> le rispose sorridendo Daniele, poi si rivolse a Riccardo, dandosi un colpetto sulla fronte : << Ah Rick, prima che mi dimentichi, quando hai finito qui passo a casa tua a riprendermi il quaderno che ho lasciato ieri, ok? >>.
<< Ok, tanto non ci tratterremo a lungo>> rispose con indifferenza l'amico, senza guardarlo negli occh.
<< Perfetto allora, ci vediamo dopo! Sara, è sempre un piacere vederti >>. Il biondo si congedò dai due con un cenno del capo, poi ritornò al suo tavolo.
Sara lanciò un'occhiataccia all'amico,<< Ehi chi l’ha detto che stiamo rientrando? Volevo passare in biblioteca dopo >>.
<< Ti avevo detto che dovevo studiare. Finiamo il gelato e poi rientriamo, ok? In biblioteca ci andiamo domani >> rispose Riccardo, mentre addentava il suo gelato.
<< Sempre il solito noioso! Volevo solo farti prendere un po’ d’aria! Lo sai che insisto perché ti voglio bene >>.
Riccardo sorrise imbarazzato, poi rispose secco: << sì, lo so che lo fai per me, ma potresti anche impegnarti di meno qualche volta >>.
La moretta, notando l'imbarazzo dell'amico, cambiò rapidamente discorso: << Quest’anno perché non cambiamo la meta delle nostre escursioni? Sono anni che andiamo nello stesso posto, sono stufa di quella montagna >>.
<< Per me è uguale, ma se andiamo in qualche posto in cui c’è un maneggio nelle vicinanze, ricorda di portati un ricambio. Sai, nel caso dovessi di nuovo avere la brillante idea di immergerti nello sterco dei cavalli come l’anno scorso >> Riccardo ridacchiò coprendosi la bocca con la mano, facendo gocciolare sul tavolo tutto il gelato.
<< Shhhh non urlare! C’è gente qui intorno >> esclamò Sara inferocita, guardando con la coda degli occhi gli sportivi seduti a poca distanza.
L’amico continuò a ridere di gusto, ignorandola.
<< Ok, porterò un ricambio, ma smettila di ridere ora! >> lo pregò Sara, stavolta sbattendo i piedi a terra.
<< Ok, ok la smetto! Comunque inizia a cercare il posto, al ritorno dalla gita dell’oratorio ci andiamo >>.

Nel pomeriggio si sentì di nuovo bussare alla porta dei Morello. Il giovane Daniele fu aperto dal padre di Riccardo, che gentilmente lo accompagnò verso la stanza del figlio maggiore. Quando Daniele vi entrò, trovò Riccardo immerso tra i fogli da disegno e la china, pieno zeppo di macchie di inchiostro sul viso e sui vestiti, intento a completare un paesaggio marino notturno.
<< Mio dio, è questo il modo in cui accogli i tuoi ospiti? Hai l'inchiostro fin dentro alle mutande! >> chiese il biondo, con un’espressione disgustata.
<< Idiota, cosa dovrei dire io allora, quando mi vieni a trovare dopo gli allenamenti senza essere passato da casa tua a farti la doccia? prenditi il quaderno sulla mensola e vattene, sono nel pieno dell’ispirazione >> rispose impassibile Riccardo, senza staccare gli occhi dal suo disegno.
Daniele rise di gusto. << Ma dai, sarà capitato al massimo un paio di volte >> e, recuperando il quaderno dalla mensola, aggiunse con fare disinteressato: << Sara mi detesta ancora vero? È un peccato perché è davvero carina >>.
<< Ma no che non ti detesta! Sono solo impressioni tue! Ma poi scusa, non ce l’hai già una ragazza? Quella lì, Simona la ballerina… o forse era Giovanna? >> chise spostandosi il ciuffo da davanti agli occhi Riccardo.
<< Sono entrambe andate molto tempo fa amico mio! Sono di nuovo sulla piazza ora, pronto ad essere agguantato e ad agguantare masse di giovani donzelle >> rispose ammiccando Daniele.
<< Sì sì, le masse, come no... Comunque, hai già preso il quaderno no? Ora vai via che sto finendo qui, mi deconcentri >>.
<< Mi stai sul serio cacciando? E l’educazione dov’è andata a finire? >> chiese fintamente indignato il biondo, << lascio correre solo perché domani pomeriggio mi devi aiutare con matematica, ho l’esame per recuperare il debito tra poche settimane e non ho ancora idea di cosa sia un’ellisse. Tolgo il disturbo adesso, non mi piace stare dove la mia compagnia non è desiderata. Adieu! >> Daniele se ne andò sbattendo di proposito la porta.
Da una parte e dall'altra, il viso dei due i ragazzi fu segnato da un sorriso, poi ognuno riprese la propria attività.

Il giorno dopo, puntuale come un orologio, Daniele si presentò a casa Morello. Ogni volta che incrociava lo sguardo del ragazzo, la madre di Riccardo esclamava: << Quanto mi piacerebbe avere un figlio bello ed estroverso come te Daniele! Peccato che non ho figlie femmine, altrimenti ti avrei preso come genero. Guarda che faccia da angelo che hai! >>.
Daniele era un ragazzo che aveva molto successo tra il gentil sesso: era alto, bello e sportivo e come tutti i ragazzi della sua età, provava un particolare piacere nel pavoneggiarsi davanti agli altri per tutte le sue conquiste. Lui e Riccardo erano amici da anni e quest’ultimo era sicuramente il testimone privilegiato delle sue vanterie, soprattutto perché il giovane solitario non aveva una vita sentimentale piena come quella dell’amico. Non che Riccardo non avesse mai avuto delle ragazze o delle spasimanti, ma, a causa del suo carattere riflessivo e introverso, non era sicuramente il più ambito dal popolo femminile. Veniva comunemente considerato “strano”. Del resto a lui non importava affatto di quello che le persone pensassero di lui, né mai gli era passata per la testa l’idea di dover cambiare qualcosa del suo modo di vivere per piacere agli altri; lui viveva per la sua arte e la sua musica, tutto ciò che c’era al di fuori non aveva importanza.
Seduti alla scrivania posizionata sotto alla finestra della stanza, Riccardo e Daniele stavano studiando da qualche ora soffrendo l’afa. Il sole che attraversava i vetri della finestra batteva forte, illuminando le pareti della stanza e facendo risplendere ancora di più la miriade di fogli colorati che tappezzavano le pareti con gli orsetti. Stanchi e annoiati, i due ragazzi decisero che la dose di matematica che avevano sopportato per quel pomeriggio era sufficiente e si lanciarono in una sfida a fifa alla X-box del fratellino di Riccardo. La partita volse velocemente in favore di Daniele, che aveva rifilato all’amico ben 5 goal.
<< Non c’è gusto a giocare contro di te, se ti va bene vinco 3 a 0! >> si lamentò Daniele con finta modestia.
<< Lo sai che non amo i videogiochi, preferisco fare altro >> rispose prontamente Riccardo, sbuffando.
<< Sì lo sappiamo, leggere un libro, scrivere una canzone, fare un disegno... perché tu sei un genio e non ti diverti come noi comuni mortali. La verità è che sei noioso, tutto qui >>, lo prese in giro il biondo.
Dalle spalle dei due ragazzi il piccolo Davide si intromise nella conversazione, << è vero, hai ragione tu Dan! Ricky è insopportabile! >>.
<< Hai visto? Lo dice anche tuo fratello che sei noioso e i bambini hanno sempre ragione>> disse l’atleta. Davide e Daniele si diedero il cinque ridacchiando.
<< Ma quanto siete simpatici voi due, eh? Insieme poi, siete peggio dell’orticaria! >> fece Riccardo, che con un balzo improvviso prese in braccio il fratellino e cominciò a fargli il solletico sui fianchi.
Il bambino cominciò a ridere di gusto, al punto da non riuscire a respirare. Daniele prese un cuscino e cominciò a dare dei leggeri colpi sulla testa dell’amico, riuscendo a liberare il piccolo alleato dalla tortura ridanciana. I tre continuarono per un po’ la lotta con i cuscini fino a che Riccardo, asciugandosi le lacrime per le risate, disse: << Ora basta, mi sento male. Vado a leggere qualche fumetto in camera mia, se volete continuate pure a giocare >>.
Riccardo tornò nella sua stanza, prese un fumetto di Batman a caso dalla libreria e si mise a leggerlo a pancia in sotto. Mezz’ora e 60 pagine dopo, venne raggiunto da Daniele, il quale si stese accanto a lui fissando il soffitto. Dopo qualche attimo di silenzio il giovane biondino fece: << Quest’anno è la prima volta che andiamo in gita insieme, vero? >>.
<< Già, proprio così >> disse distrattamente Riccardo, mentre osservava con attenzione una colorata illustrazione a due pagine.
<< Credi che ci saranno molte ragazze carine? >> chiese voltandosi verso di lui Daniele.
Riccardo lo guardò perplesso: in genere era lui, quello ad avere maggiori informazioni su queste cose. << Non saprei. Le solite, molto probabilmente >>.
Daniele si girò a pancia in sotto e, giocherellando con i fili della T-shirt dell’amico, gli chiese: << ci sarà anche Sara no? >>.
Riccardo si alzò dal letto con uno scatto, poi disse divertito: << Certo che siete strani voi due! >>.
<< Perché? >> chiese sorpreso Daniele.
<< Ieri Sara mi ha fatto lo stessa identica domanda >>.
<< Davvero? Ti ha chiesto se avrei partecipato alla gita? >> replicò ancora più sorpreso l’atleta.
<< Esattamente. Se volete avere informazioni l’uno sull’altro dovreste cominciare a parlarvi invece di usare me come intermediario>> rispose faceto Riccardo, mentre metteva apposto l’albo di Batman.
Daniele rimase per un attimo in silenzio a guardare il soffitto, poi disse grattandosi nervosamente la nuca: << Ehi, credi che io le piaccia? >>.
Riccardo si morse l'interno della guancia, abbassando lo sguardo, << Forse, non lo so, non parliamo di certe cose noi due. Cioè, è possibile... non sarebbe né la prima né l’ultima, no? >>.
<< Non lo so, ho sempre pensato che mi odiasse, che fosse immune al mio fascino >> fece pensieroso l'altro, poi chiese un po' esitante: << E a te darebbe fastidio se ci frequentassimo? >>.
Alla domanda dell’amico, Riccardo reagì in modo inaspettato. Avvertì una sorta di piccolo fastidio al centro dell’addome e che si diffuse poi nel resto del corpo, come un brivido di freddo. Dopo un attimo di silenzio, ripose: << Ma chi? Tu e Sara? No, l’importante è che mi teniate fuori dalle vostre faccende >>.
Riccardo si stese nuovamente sul letto e, tentando di fare ordine nei suoi pensieri, socchiuse leggermente gli occhi. Daniele avvertì distintamente una certa tensione nell’aria e dopo un lungo e imbarazzante silenzio, decise di prendere la borsa con i libri e di tornarsene a casa.

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Capitolo 3
*** Non l'ho dimenticato ***


3



Nel fine settimana immediatamente precedente alla partenza per il campo estivo, Riccardo e Sara si erano organizzati per partecipare ad una festa a casa di un compagno di classe. A Riccardo non piacevano molto le feste distruttive organizzate dai suoi coetanei, ma quella volta Sara era stata particolarmente insistente, quindi decise di indossare dei jeans e una camicia bianca ed accompagnarla.
Quella sera, la ragazza aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo alta e indossava un semplice ma elegante vestito blu con delle ballerine bianche. Quando la vide, Riccardo pensò che stesse molto bene e che ogni tanto non le facesse male vestirsi in modo più femminile, nonostante la preferisse comunque con i soliti jeans e converse. I ragazzi si incontrarono nel cortile del vecchio palazzo e si incamminarono verso la casa di Marco, il ragazzo che aveva organizzato il party. Lungo il tragitto, incrociarono Daniele, che si stava avviando alla festa in auto, insieme ad un amico più grande e tre ragazze. A Riccardo bastò dare uno sguardo alla compagnia del giovane per capire immediatamente che quella notte aveva deciso di folleggiare. Nonostante la sua giovane età, Daniele era un ragazzo incline ad ogni sorta di divertimento sfrenato, tra ragazze, spinelli e alcol; erano state numerose le sere in cui Riccardo aveva ricevuto delle chiamate da parte degli amici di Daniele che gli chiedevano di riportarlo a casa dopo una sbronza. Riccardo non si era mai tirato indietro, anche se non riusciva, in tutta onestà, a capire per quale motivo a quei ragazzi piacesse così tanto ridursi in stato catatonico. A dirla tutta, non riusciva neanche a spiegarsi bene il motivo per cui lui e Daniele erano amici. Avevano caratteri e interessi completamente diversi: estroverso, spavaldo e sicuro di sé l’uno, quanto impassibile e insofferente nei confronti del mondo l’altro. I due ragazzi litigavano spesso, soprattutto a causa delle loro diverse visioni della vita. Qualche volta Daniele aveva invitato Riccardo ad uscire con lui e la sua cricca abituale, ma il ragazzo si era sempre rifiutato di partecipare, usando le scuse più varie. Nonostante a Riccardo non piacesse la comitiva dell’amico, criticandone soprattutto i comportamenti spregiudicati tenuti nei confronti delle ragazze e degli insegnanti, per non parlare dell’abbondante consumo di alcol nei week-end, non si era mai mostrato più di tanto interessato alla faccenda, non fino al punto da dirgli chiaramente il motivo per cui non usciva mai con loro o di lasciar perdere quelle amicizie così dannose. Per quanto potesse volergli bene, semplicemente, cosa facesse per divertirsi e con chi lo facesse, non lo riguardava.
Dal canto suo, Daniele detestava la totale indifferenza dell’amico nei confronti di qualunque cosa non lo riguardasse direttamente e di come, se pur non esplicitamente, lo guardasse sempre con una certa aria di superiorità. Una volta, dopo l’ennesima buca non giustificata rifilatagli da Riccardo, il biondo si arrabbiò talmente tanto che gli sferrò un bel pugno in piena faccia, davanti a tutta la scuola. Fortunatamente il livido scomparve nel giro di pochi giorni e una volta fattesi le scuse vicendevoli, la faccenda finì nel dimenticatoio. Malgrado fossero spesso presenti questo genere di tensioni, Riccardo era consapevole del fatto che l’amico gli fosse molto affezionato. A Daniele non piacevano i fumetti, eppure l’aveva accompagnato ogni anno al Lucca Comics, anche sotto la pioggia e il vento. Non gli piacevano neanche i vecchi film in bianco e nero in lingua originale sottotitolati, eppure ogni volta che Riccardo gli chiedeva compagnia lui c’era, anche se rischiava puntualmente di addormentarsi sulla poltrona del cinema semi-vuoto. A Daniele non piaceva neanche passare i pomeriggi in casa a leggere o a disegnare, eppure ne avevano passati tanti così: Riccardo alla scrivania preso dalle sue matite e Daniele sprofondato nel letto ad ascoltare la musica con il suo mp4, mentre osservava l’amico perso tra i suoi pensieri. Daniele c’era sempre stato per lui, gli aveva sempre raccontato tutti i suoi problemi e le sue preoccupazioni, ma il ragazzo era anche cosciente del fatto che non sempre trattava l’amico allo stesso modo. Ma lui era fatto così, non ci poteva fare nulla. Non riusciva ad aprirsi troppo con gli altri, neanche con la sua stessa famiglia.

Arrivati alla festa e superati i convenevoli, Riccardo si fiondò verso il tavolo delle birre e delle patatine, dove aveva programmato di restare per il resto della serata. Sara, salutate alcune ragazze della squadra di Pallavolo, si sedette accanto all’amico, intento a mangiare delle strane patatine alla paprika, mentre al centro della stanza una decina di persone improvvisavano strani balli sulle note di musica Techno. Sara aveva confidato a Riccardo che quella sera aveva intenzione di divertirsi, che nel gergo dei suoi coetanei significava bere fino allo svenimento. Era quello il motivo che aveva spinto il giovane solitario a partecipare alla festa: trovarsi subito pronto a raccattare la giovane amica addormentata da qualche parte e poi riportarla a casa. La ragazza trascinò il povero Riccardo al centro della “pista” e cominciò a volteggiare intorno a lui intrecciando strani movimenti con le mani. In quel momento arrivarono anche Daniele con la sua combriccola, pronti a dirigersi verso il tipo che distribuiva i super alcolici. Alla vista di Riccardo al centro della stanza che indossava una camicia con Sara che gli ballava intorno, Daniele ebbe un attimo di sconcerto. Dopodiché si girò dall’altra parte e continuò la sua scalata verso il banco della vodka. Affidata Sara ad un giovane ragazzotto che ballava accanto a loro, Riccardo tornò a sedersi nella sua postazione, nell’area Birra-Patatine, deciso più che mai a non schiodarsi più dal divano per il resto della serata.

Era ormai passata mezzanotte. Coloro che avevano fatto il proposito di ubriacarsi erano già da un pezzo arrivati al loro obiettivo e stavano per passare alla fase successiva: la totale incoscienza. Sara e Daniele facevano parte di questa categoria. Riccardo dava ogni tanto un’occhiatina fugace agli amici dalla sua postazione B-P, accertandosi che nessuno dei due cominciasse a denudarsi correndo in circolo, mentre osservava i più insulsi particolari della casa, come una strana lampada a forma di gatto che si trovava sul caminetto di fronte al divano. Riccardo si chiedeva da più di qualche minuto quale mente disturbata avesse mai potuto immaginare e dare una vita ad una simile bruttura, ma i suoi futili pensieri furono interrotti da Sara, che, barcollante e parzialmente incosciente, si lanciò letteralmente addosso all’amico annoiato e decise di rimanere appollaiata sulle sue gambe per il resto della serata. Era la prima volta che i due amici erano così vicini e Riccardo provava in merito una strana sensazione, una sorta di disagio misto a imbarazzo. Sara aveva avvolto le braccia intorno al collo dell’amico e appoggiato la testa sulla sua spalla, mentre continuava a farfugliare frasi sconnesse che Riccardo non osò tentare di decifrare.
Passato l’iniziale smarrimento, Riccardo cominciò a sentirsi più a suo agio e posò la testa contro quella dell’amica. I ragazzi rimasero in quella strana posizione per circa dieci minuti, in cui il giovane sentì distintamente l’odore dolce che la pelle di lei emanava, notò per la prima volta che aveva un piccolo neo accanto alle labbra e uno strano orecchino a forma di spirale sulla parte esterna dell’orecchio. Si stupì della quantità di cose che aveva scoperto in appena dieci minuti sulla ragazza che conosceva da quasi dieci anni. D’improvviso, si accorse che da lontano Daniele li stava fissando, mentre un gruppo di ragazze gli ronzava intorno tentando di attirare la sua attenzione; il disagio che aveva provato qualche minuto prima riapparve magicamente. Decise quindi di lasciare Sara dormiente sul divano e di andare al bagno.
Riccardo si portò velocemente verso la stanzetta che si trovava nel corridoio in fonda a destra, nel tentativo di stemperare un po’ la tensione che si era creata un attimo prima in salotto.
Il ragazzo, ripensando a quello sguardo malinconico di prima, si chiese se a Daniele potesse piacere veramente l’amica e come si sarebbe sentito se i due avessero iniziato a frequentarsi. Di nuovo un brivido corse lungo la sua schiena, una sensazione di angoscia, che non si riusciva a spiegare, lo prese alla sprovvista di fronte ai cumuli di boccettine di profumo appoggiate al lavandino.
Cercando di liberarsi dai pensieri negativi, si sciacquò di nuovo il volto, poi tornò a passi lenti nel salone. Dall’uscio della porta, nascosto dietro al muro, notò che accanto a Sara, ancora dormiente, si era ora seduto Daniele, il quale, allungando un braccio verso di lei, aveva cominciato accarezzarle dolcemente i capelli.
Quella assurda scena gli confermò i suoi già forti sospetti: probabilmente aveva solo paura di essere escluso se i due si fossero messi insieme, ecco il perché di quegli strani brividi che negli ultimi giorni stava provando appena si toccava l’argomento Daniele-Sara. Del resto, oltre a loro Riccardo non aveva nessuno. Cosa avrebbe fatto se i due avessero cominciato ad escluderlo? Si sarebbe sentito solo o sarebbe riuscito a cavarsela, come al solito? Tutte queste domande gli frullarono nella testa incessanti per almeno cinque minuti, poi, consapevole che era arrivato il momento di riportare Sara a casa, velocemente si avvicinò ai due.
Mentre scrollava energicamente la ragazza, le disse bisbigliando: <>.
<< Se volete vi posso far dare un passaggio dal mio amico. E’ qui con l’auto, sarà più semplice trasportarla >> disse Daniele, che si era staccato dalla ragazza appena aveva visto sopraggiungere l’amico dal corridoio.
<< Non ti preoccupare, sono sicuro che il tuo amico non abbia alcuna voglia di scortare una sconosciuta ubriaca a casa nel pieno della festa. Cammineremo a piedi, l’ho fatto tante volte con te e non è mai stato un problema >> rispose piccato Riccardo.
Sara alla fine si svegliò, riprese parte della sua coscienza e si mise in piedi, pronta a rincasare. Daniele decise di rientrare a casa con loro per aiutare Riccardo a sorreggere l’amica ancora brilla. I tre ragazzi accennarono qualche saluto al padrone di casa e si avviarono verso l’uscita.
Lungo la strada, però, Sara cominciò di nuovo ad agitarsi e a cantare a squarciagola, motivo per cui i due amici decisero di fermarsi per un po’ sedendosi su una panchina, nel tentativo di farla calmare prima di riportarla a casa.
Daniele e Riccardo cominciarono a parlare del più e del meno, delle vacanze, della scuola, della festa che si era appena conclusa e a pensare ad una valida soluzione per riportare l’amica a casa senza che la madre e la sorella si accorgessero del suo stato. Scartate le soluzioni più assurde, come farla passare dalla finestra e abbandonarla sul pavimento o costruire uno smaterializzatore che la trasportasse direttamente nel suo letto, decisero semplicemente di entrare nell’appartamento della portinaia e di guidarla, facendo attenzione a non svegliare nessuno, verso la sua stanza, per poi scappare e andare ognuno per la sua strada.
Passata la critica fase canterina, i ragazzi si incamminarono nuovamente e arrivarono al palazzo in via dei Pioppi esattamente un’ora e mezza dopo essere usciti dalla casa dell’amico, nonostante questi abitasse ad appena un chilometro di distanza. Superato il portone rosso principale, i tre si avviarono verso casa di Sara, che si trovava in un edificio separato dal palazzo principale, alla destra del cortile; recuperarono le chiavi dalla borsa di Sara e le girarono lentamente nella serratura.
Una volta entrati nel piccolo appartamento, svoltarono a sinistra accanto alla cucina, fecero qualche passo nel buio, poi si trovarono davanti alla camera della ragazza, situata proprio di fronte a quella della madre.
Era la prima volta che Riccardo entrava nella sua cameretta, in genere si era sempre fermato in cucina per fare merenda o nello studio della sorella a giocare ai videogiochi, cosa che giustificava lo stupore che provò quando vide che attaccate al muro, sopra al suo letto, c’erano diverse foto di loro due insieme.
Foto scattate a scuola e nel cortile di via dei Pioppi, durante le loro escursioni estive, ai compleanni e alle feste di carnevale.
Superata per un attimo la sorpresa per quel dolce spazio che l’amica le aveva riservato, Riccardo, aiutato da Daniele, fece distendere la ragazza sul letto, le tolse le scarpe, poi si preparò per andarsene in silenzio verso l’uscita.
Prima che i due potessero dileguarsi, però, sentirono la porta d’ingresso, lasciata precedentemente socchiusa, chiudersi violentemente, probabilmente a causa di un colpo di vento. Una piccola lucina si accese nel buio della stanza di fronte: la portinaia, svegliata dal rumore, si era appena alzata dal letto. I ragazzi si lanciarono delle occhiate impaurite e d’istinto si misero a correre all’impazzata infilandosi all’interno di una piccola stanzetta adiacente alla cucina.
Scoprirono loro malgrado che erano finiti all’interno dello sgabuzzino delle scope. Il ripostiglio era stretto e angusto, fuori era buio pesto e faceva anche tremendamente caldo. Erano posti l’uno di fronte all’altro, con le schiene appoggiate alle due pareti sottili e i piedi incastrati tra secchi e bottiglie di detersivo.
Daniele mise una mano sulla bocca di Riccardo per fermare il rumore del suo respiro, mentre il moro lo guardava fisso nei grandi occhi verde acqua, impaurito e anche un po’ divertito da quella assurda situazione. Percepirono la presenza della portinaia nella cucina, sentirono il rumore di alcuni mobili che si aprivano e capirono che se volevano uscire indenni da quella casa, dovevano mantenere il silenzio più assoluto. Quella manciata di minuti sembrò non finire mai. Solo quando la signora uscì dalla cucina per recarsi nel bagno in fondo al corridoio, poterono finalmente riprendere fiato.
Superato il delicato momento e tirato un sospiro di sollievo, una strana atmosfera si impadronì di quello stanzino di un metro per un metro.
I due, infatti, si resero conto che i loro nasi erano a pochi centimetri di distanza, che le loro gambe erano intrecciate le une nelle altre e che le loro ginocchia riuscivano a toccare l’altro all’attaccatura delle cosce, sotto al bacino. Si guardarono fissi negli occhi per qualche istante, poi la mano di Daniele si spostò dalla bocca dell’amico alle sue guance e infine ai suoi capelli. Il biondo prese ad accarezzargli dolcemente i ciuffi castani che cadevano sulla nuca e per un attimo il cuore di Riccardo sembrò essersi paralizzato.
Sentiva il suo respiro, ancora intriso dall’odore della vodka, a pochi centimetri di distanza, sentiva il calore delle sue mani che gli accarezzavano dolcemente i capelli, sentiva su di sé tutto il peso del suo sguardo impenetrabile. Quando finalmente sentirono la porta della stanza della donna chiudersi, i ragazzi rimasero ancora per un attimo immobili in quella strana situazione, dopodiché Riccardo uscì bruscamente dallo stanzino e, seguito da Daniele, uscì da quella casa chiudendosi la porta alle spalle senza far rumore.
Appena arrivati in cortile i due scoppiarono a ridere, in una risata a metà tra l’imbarazzato e il divertito. << Potresti fare il ladro di professione sai? >> disse Riccardo a Daniele tra una risata e l’altra, mentre si avviavano verso il portoncino interno del condominio.
<< Io posso fare tutto nella vita, da piccolo mi chiamavano la Furia Bionda, te lo sei dimenticato? >> aggiunse orgoglioso Daniele mentre infilava le chiavi nella toppa della porta, al primo piano a sinistra del palazzo.
<< No, non l’ho dimenticato >> rispose sospirando l’altro.
<< Bene! Buonanotte allora, a domani! >> disse sottovoce Daniele, chiudendo lentamente la porta di casa.
Una volta arrivato nella sua stanza, Riccardo sì lanciò direttamente sul letto, senza neanche spogliarsi. Per qualche strana ragione, sentiva ancora nella sua testa rimbombare il suono del respiro dell’amico, sentiva ancora le sue guance ardere al tocco della sua mano. “Non l’ho dimenticato” pensò di nuovo, prima di appoggiare la testa sul cuscino e sprofondare in un sonno ristoratore.

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Capitolo 4
*** Escursione notturna ***


4



Il lunedì successivo erano tutti pronti per i tre giorni e le due notti da trascorrere al campo estivo organizzato dalla chiesa. Almeno una quarantina di ragazzi, di età compresa tra i 14 e i 18 anni, si erano ritrovati al mattino presto nel parcheggio davanti all’oratorio, dove un pullman rosso, con la tappezzeria di un discutibile verde radioattivo, li stava aspettando. Sara era radiosa e pimpante e aveva un aspetto completamente diverso da quello del sabato prima, quando non riusciva neanche a stare in piedi sulle sue gambe. Riccardo, al contrario, aveva un aspetto terribile e non aveva alcuna voglia di sorbirsi ore e ore di chiacchiericcio e canzoni da gita: avrebbe solo voluto un letto su cui stendersi e recuperare tutte le ore di sonno arretrato delle ultime notti. Dopo aver aspettato i soliti ritardatari, la truppa finalmente si decise a partire. La squadra di calcio occupò i posti infondo al pullman, mentre Sara e Riccardo si sedettero l’uno accanto all’altro in una delle prime file. Riccardo aveva il posto accanto al finestrino e aveva tutta l’intenzione di trascorrere il viaggio tra le braccia di Morfeo; Sara, invece, non era dello stesso avviso.
L’intero gruppo cominciò, come da manuale, a cantare a squarciagola le canzoni pop passate alla radio, con buona pace dell’autista, avvezzo, probabilmente, ad ogni tipo repertorio. Sara partecipò attivamente alla performance corale, motivo che spinse il ragazzo a sedersi in solitudine qualche fila più dietro, in modo da poter poggiare la testa sul finestrino e riposare gli occhi. Il viaggio durò tutto sommato poco e, fortunatamente, i canti finirono prima del previsto, per cui il giovane riuscì a schiacciare un pisolino prima di arrivare a destinazione: una baita sperduta tra le montagne. I ragazzi e le ragazze furono divisi in due grosse stanze adiacenti, con ampie finestre alle estremità, che affacciavano su un grande prato verde; sui lati della stanza dei ragazzi si aprivano due file di letti a castello, disposti gli uni accanto agli altri, mentre in fondo della camerata, c’era un tavolo di plastica con delle sedie e un piccolo fornellino a gas, su cui campeggiava trionfale una Moka. Riccardo si diresse verso il letto all’estremità della stanza, prese posto nella cuccetta inferiore, posò la borsa sul comodino adiacente e si stese per qualche secondo per riordinare le idee. Dopo pochi minuti arrivò Daniele che occupò la cuccetta sovrastante.
<< Non è un problema dormire sopra per te, vero?>> chiese con gentilezza Riccardo.
L’amico fece cenno di no col capo e sorrise, cominciando a stendere le sue lenzuola sul materasso.
<< Non sono mai stato in grado di farlo da solo, mi daresti una mano?>> chiese Daniele educatamente a Riccardo, che nel frattempo aveva già sistemato le sue.
<< Devo aiutarti per forza, se te lo facessi fare da solo non finiresti neanche per domani>> disse ironicamente il giovane.
Sistemate le proprie cose nelle stanze, i ragazzi vennero chiamati per l’adunata nel cortile principale. Il programma della gita prevedeva escursioni, partite di pallavolo, visite alle sorgenti di acqua della montagna, serate di musica davanti al fuoco e infine la famosa finale del campionato di calcio regionale, in cui erano impegnati i ragazzi della squadra dell’oratorio, per un totale di tre giorni di divertimento no-stop. La prima giornata trascorse tranquilla con un’escursione e un bagno al lago nelle vicinanze; Riccardo e Sara ebbero modo di abbronzarsi e fare lunghe nuotate, mentre i ragazzi della squadra di calcio, compreso Daniele, seguirono gli allenamenti fino all’ora di cena. La mensa era all’aperto, dove un enorme tavolata, che si estendeva tra le due estremità del cortile principale, era stata allestita per l’occasione; delle simpatiche signore erano responsabili della cucina e, quella sera, avevano preparato dei piatti semplici e freschi, che però lasciarono un certo languorino alla maggior parte degli sportivi affamati.
I ragazzi decisero di improvvisare una serata Karaoke nella propria stanza, a cui furono invitate anche le ragazze. Di sicuro non fu scoperto nessun grande talento quella sera, ciò nonostante la serata fu piacevole e divertente, al punto che persino Riccardo e Daniele furono coinvolti in un improbabile quartetto canoro con altri ragazzi della camerata. Chiusa la prima giornata tra stonature e risate, calò la notte sulla baita e il silenzio più assoluto cominciò a regnare nelle camere. Riccardo non riusciva a dormire a causa del bruciore alle spalle causato dall’abbronzatura e continuava a rigirarsi tra le lenzuola, in cerca di pace.
Daniele, percependo i continui movimenti della brandina sottostante, chiese con un filo di voce all’amico: << Rick, è tutto ok? C’è qualcosa che non va?>>.
<< Nulla, non ti preoccupare>> rispose il ragazzo << scusami se ti ho svegliato, è solo che mi bruciano un po’ le spalle>>.
<< Non hai ancora imparato a mettere la protezione? Aspetta che forse ho un po’ di dopo sole in valigia>> disse Daniele, che scese lentamente dal letto e con la sola luce del cellulare, iniziò a cercare la crema nella borsa, mentre Riccardo continuava a rotolarsi nel letto disperato.
<< Trovata!>> esclamò poi il biondo, agitando il tubetto bianco in aria. Il ragazzo porse la lozione all’amico, che cominciò a stendersela lentamente sulle sue spalle.
<< Ahhh, finalmente un po’ di frescura!>> disse sollevato Riccardo, che ormai aveva le spalle mezze ricoperte dalla crema alla menta.
<< Vuoi che ti aiuti a stenderla dove non arrivi da solo?>> gli chiese gentilmente Daniele, vedendo il pessimo lavoro che l’amico aveva fatto.
Riccardo ebbe un attimo di esitazione, poi rispose: << Sì, magari. Grazie>>.
Si sedette al centro del suo letto incrociando le gambe, il biondo prese posto dietro di lui e cominciò a stendergli delicatamente la lozione sulle spalle arrossate.
Quando ebbe raggiunto ogni angolo della schiena, Daniele gli chiese bisbigliando: <>.
<< Molto meglio, grazie! Credo che con questa riuscirò a dormire>> rispose Riccardo dopo averci riflettuto un po’.
In realtà per lui non andava affatto meglio. Quella strana agitazione e senso di soffocamento, percepiti già qualche giorno prima nello sgabuzzino della portinaia, si erano ripresentati in tutta la loro forza, facendolo tremare ancora di più di quanto non facesse prima a causa dell’insolazione.
Preso dall’imbarazzo, Riccardo si girò bruscamente verso il compagno e fece: << Va bene, grazie, così dovrebbe bastare! Torniamo a dormire ora, che domani c’è la sveglia alle sette>>.
Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte, dopodiché, completamente immerso nel buio, Daniele si alzò dal letto dell’amico e, messe al volo le scarpe, lo tirò giù dalla brandina, facendogli cenno di seguirlo all’esterno.
Riccardo, ancora un po’ intontito, con un filo di voce gli chiese: << Che diavolo hai intenzione di fare? Non possiamo uscire la notte! Se ci beccano ci spediscono dritti a casa!>>.
Daniele sbuffò, portò l’indice al naso intimando all’amico di fare silenzio, poi lo trascinò nel cortile, facendo attenzione a non svegliare l’animatore nel letto accanto alla porta. Superato il cancello del cortile, i due ragazzi si trovarono in mezzo ad una strada sterrata, completamente deserta.
Libero di poter parlare ad alta voce, Riccardo si liberò dalla presa stretta dell’amico e gli chiese: << Mi spieghi perché siamo usciti come dei ladri?>>.
Daniele, con nonchalance, rispose candidamente: << Voglio fare anche io il bagno al lago! Perché voi potete stare lì a cazzeggiare in giro, mentre noi della squadra dobbiamo allenarci sotto al sole cocente? E’ un’ingiustizia!>>.
Riccardo guardò l’amico con disappunto incrociando le braccia, poi sarcasticamente gli chiese: << Hai mai pensato di fondare una Union per la difesa dei diritti dei calciatori dilettanti? Sono sicuro che faresti faville come sindacalista. Chissà, magari un giorno potresti anche avere un’udienza dal Papa in persona>>.
<< Ah, ah, ah. Quanto sei simpatico! Smettila di piagnucolare adesso, se ci sbrighiamo, nessuno si accorgerà che siamo usciti>> rispose con fare concitato Daniele, che cominciò a correre a tutta velocità giù per la strada. Dopo aver percorso circa 800 metri, Riccardo, le cui doti atletiche erano nettamente inferiori a quelle dell’amico, si fermò un attimo per riprendere fiato, mentre l’altro si avviò senza aspettarlo. Quando vide finalmente il lago, fino ad allora coperto da una lunga schiera di alti alberi, il ragazzo rimase per qualche minuto a bocca aperta a contemplare la bellezza dello scenario. Con la suggestiva atmosfera notturna, il panorama assumeva tutt’altro aspetto rispetto a quello del mattino precedente: le acque, piatte e trasparenti, lasciavano intravedere alcuni piccoli pesci sul fondale che si rincorrevano, mentre il frinire dei grilli e il rumore del vento tra gli alberi, insieme al riflesso del chiarore della luna sull’acqua, trasportavano l’osservatore in un’altra dimensione.
Senza neanche dare il tempo all’amico di godersi fino in fondo il panorama, Daniele si spogliò completamente e si gettò in acqua, portandosi a qualche metro dalla riva. Riccardo, timidamente, fece lo stesso e lo raggiunse al largo. I due ragazzi cominciarono a giocare, spruzzandosi acqua addosso e a fare brevi gare di nuoto e apnea. Passarono circa quaranta minuti dal loro arrivo e i due ragazzi decisero di tornare a riva per asciugarsi e vestirsi, in modo da poter rientrare senza essere scoperti dagli organizzatori. Mentre aspettavano pazientemente che sgocciolasse tutta l’acqua dai capelli, i due si sedettero accanto alla riva, dove Riccardo ebbe finalmente modo di guardare meglio il panorama.
<< Cosa fissi così attentamente?>> chiese Daniele all’amico, che continuava a scrutare con attenzione l’orizzonte.
<< Niente di preciso, sto solo cercando di fissare il paesaggio. Voglio riprodurlo con le tempere quando torno a casa>> rispose distrattamente Riccardo, mentre con le mani tentava di inquadrare la prospettiva degli alberi al lato opposto della riva.
Daniele abbozzò un sorriso, << Non pensi ad altro, vero? Sei sempre lo stesso>>.
<< Non è vero, ho tante altre passioni oltre al disegno…>> disse con un po’ di incertezza l’altro. Il biondo fece un sorrisetto ironico, poi chiese: << Ah sì? Tipo?>>.
Riccardo ci pensò su per qualche minuto grattandosi il mento, poi, con aria soddisfatta, rispose: << Non saprei, tante comunque. La musica, per esempio!>>.
<< E a parte quella?>>. Riccardo schiuse le labbra come per dire qualcosa, ma poi rimase in silenzio, con lo sguardo basso.
<< Ecco, appunto…>> aggiunse sconsolato l’amico, << se qualcuno ti chiedesse cosa o chi ti porteresti su un’isola deserta, tu risponderesti una matita e una chitarra. Il resto delle cose e delle persone per te, semplicemente non esistono>>.
<< Non è proprio così, in realtà. Più che altro, credo di saper stare bene anche da solo. Non ho il bisogno imperativo di essere circondato da cose o persone per essere felice. Credo che tutti, a questo mondo, dovrebbero imparare a bastarsi da soli. Tutto qui>> disse con decisione Riccardo, mentre giocherellava con delle piccole pietre bianche e luccicanti.
Davanti a quella risposta così cinica e fredda, Daniele mostrò tutto il suo disappunto scuotendo la testa e scagliando con forza un sasso nell’acqua, per poi chiudersi in un silenzio religioso a osservare il cielo, senza mai guardare l’amico negli occhi.
Forse era stato davvero troppo duro nel pronunciare quelle parole, pensò Riccardo subito dopo aver visto l’espressione delusa sul volto dell’altro. Avrebbe dovuto imparare ad essere più diplomatico, glielo diceva sempre anche Sara.
Di lì a poco il sonno cominciò a farsi sentire e Daniele, sfiancato anche dagli allenamenti del mattino, si distese completamente sui freddi sassi della riva dando le spalle all’amico, poi socchiuse gli occhi, cadendo subito in uno stato di dormiveglia.
Riccardo continuò per tutto il tempo a immergere nervosamente le dita nella sabbia e a fare grossi sospiri, non riuscendo a farsi passare quel senso di inadeguatezza che sentiva da qualche tempo in presenza del suo migliore amico; poi, tutt’ad un tratto, come se avesse avuto un’illuminazione inaspettata, si volse verso di lui e gli disse: << Ehi Dan, senti…>>. Daniele rispose con un mugolio.
Il moro allora si fece coraggio e continuò, << sabato scorso tu… Ecco, quando stavamo nello stanzino della casa di Sara… Beh…>> continuava a farfugliare frasi senza senso compiuto, << hai fatto una cosa un po’ strana e…>>. Daniele lo interruppe bruscamente, restando immobile nella sua posizione fetale.
<< Non ricordo molto di quella sera. Ero ubriaco perso>> affermò senza possibilità di replica.
<< Ah sì, certo. Hai ragione, scusa>> disse Riccardo, un po’ deluso, ma allo stesso tempo sollevato da quella netta stroncatura dell’amico. Perché era stato più contento di non andare fino in fondo alla sua domanda, piuttosto che udire la risposta dell’altro? Perché non riusciva a togliersi dalla testa quella maledetta scena di Daniele che carezza dolcemente i capelli a Sara? Stava forse impazzendo? Era davvero geloso di quei due? Non lo credeva possibile, eppure non riusciva a spiegarsi altrimenti quel macigno che si portava dentro da un po’, quella sensazione di pesantezza che non lo faceva pensare lucidamente.
Confuso da tutte quelle domande senza risposta e iniziando a sentire su di se tutta la stanchezza accumulata in giornata, il giovane artista si distese accanto all’amico e chiuse gli occhi, concedendosi un leggero sonnellino. Dopo essersi completamente asciugati, i due si rivestirono, si infilarono le scarpe e si incamminarono a passo svelto verso la baita. Quando arrivarono alla camera dei ragazzi, si resero conto che stavano ancora tutti dormendo profondamente e che nessuno si era accorto della loro assenza. Sollevati per averla fatta franca, i due si sistemarono nelle loro cuccette e, dopo essersi augurati la buona notte, si addormentarono profondamente.

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Capitolo 5
*** Bugie e incomprensioni ***


5



Le attività del secondo giorno erano tutte dedicate allo sport, in attesa della finale del campionato di calcio del giorno successivo. Furono organizzati mini tornei di basket, pallavolo e calcio, a cui ognuno era libero di iscriversi, anche i ragazzi della squadra, che non avevano allenamenti in programma. Riccardo optò per il basket, mentre Sara e, inaspettatamente Daniele, per la gioia di tutte le ragazze, avevano deciso di dedicarsi alla pallavolo. Riccardo non ebbe modo di vedere i suoi amici per tutta la mattinata e fu particolarmente felice di stare un po’ da solo con i suoi pensieri. Non riusciva a togliersi dalla testa gli avvenimenti degli ultimi giorni e si chiedeva se Daniele si sentisse allo stesso modo. Non sapeva neanche se c’era davvero qualcosa su cui arrovellarsi, se l’ambiguità del sabato precedente l’avesse avvertita anche l’amico o se fosse solo frutto della sua immaginazione. Questi pensieri lo tormentavano mentre cercava di mettere a segno qualche canestro contro la squadra delle ragazze, che, inaspettatamente, stavano vincendo 24-20 contro i ragazzi. Riccardo non era un tipo sportivo, sin da bambino aveva preferito attività più creative a quelle pratiche. Per questo motivo era spesso stato escluso e preso di mira dai bambini più vivaci; lo stesso Daniele gli aveva fatto passare le pene dell’inferno a scuola.

Erano finiti in classe insieme alle elementari e lì, così come nel cortile di casa, la piccola furia bionda non gli aveva risparmiato scherzi e prese in giro davanti agli altri compagni, che puntualmente lo seguivano e copiavano in ogni suo movimento; per il timido Riccardo l’ambiente scolastico si era immediatamente presentato ostico. Deciso a non subire più le angherie del coetaneo, il bambino si convinse a porre rimedio alla faccenda prendendo di petto il problema: avrebbe parlato con Daniele e gli avrebbe chiesto di smetterla con le prepotenze. Anche questo tentativo si risolse in un nulla di fatto, dato che il piccolo Angelo del male prese la richiesta di Riccardo come un invito a fare di peggio. Il piccolo Riccardo non riusciva proprio a spiegarsi perché il compagno di classe ce l’avesse così tanto con lui. Durante l’estate precedente aveva praticamente giocato solo con Sara e Matteo -un altro bimbo del cortile, poi trasferitosi in Germania- e spesso, proprio a causa dei dispetti del biondino, i tre si erano visti in casa, stando alla larga dal cortile, dominio incontrastato del piccolo Daniele Rocca. Fu durante la recita di Natale che la situazione arrivò ad un punto di non ritorno: Daniele, che aveva ottenuto il ruolo di uno dei tre magi, fece inciampare Riccardo con uno sgambetto, proprio mentre il bambino, che impersonava il magio con la mirra, stava porgendo il dono al finto Gesù. L’accaduto sconvolse Riccardo al punto tale che chiese alla mamma, più o meno alla fine del primo quadrimestre, di potersi trasferire in un altro istituto. La mamma escluse categoricamente la possibilità, dato che la scuola elementare più vicina, tolta quella frequentata dal bambino, si trovava dalla parte opposta della città. << Sarebbe troppo complicato accompagnarti fin laggiù tutte le mattine>> rispose la donna. Eliminata sul nascere l’opzione trasferimento, a Riccardo non rimase altra scelta che sopportare le angherie del vicino di casa, sviluppando però, una sempre maggiore insofferenza nei confronti suoi e degli altri compagni di classe. La situazione si risolse solo alla fine dell’anno, quando i due bambini furono assegnati ad un progetto sulla fauna cittadina, da svolgere in coppia. Evidentemente contrariati, i due misero in atto ogni sorta di protesta pur di evitare di affrontarsi anche al di fuori delle aule; ma la maestra rimase ferma sulle sue posizioni: i due dovevano lavorare insieme e completare il progetto prima dell’inizio delle vacanze estive. Anche se all’inizio fu difficile per i due bimbi mettere da parte le ostilità e iniziare a collaborare, successivamente, durante le loro passeggiate pomeridiane per le strade della città alla ricerca di animaletti da fotografare, Daniele e Riccardo si resero conto che non era poi così male stare in compagnia l’uno dell’altro. Scoprirono che avevano entrambi una passione per il gelato alla frutta, per i cartoni animati pomeridiani, per le lucertole arrampicatrici e per i supereroi. E per dei bambini di sette anni, questi interessi comuni sono più che sufficienti per cominciare una nuova amicizia. Così, giorno dopo giorno, tra una risata e l’altra, la loro amicizia cresceva, l’imbarazzo e le ostilità venivano messe da parte e finalmente, l’anno successivo, per Riccardo la scuola tornò un luogo di pace e spensieratezza, con il suo nuovo e inaspettato amico, che mise anche fine alle angherie perpetrate dagli altri compagni.

Superata con fatica la mattinata sportiva, i ragazzi si riunirono per il pranzo. Sara si sedette accanto a Riccardo e prese a raccontargli tutti i dettagli della partita di pallavolo, conclusasi poco prima. Riccardo si fingeva interessato al racconto dell’amica mentre addentava la gustosa cotoletta di pollo con le patate, piatto principe di ogni menù per adolescenti insieme alla pasta al pomodoro. Poco dopo, anche Daniele si aggiunse ai due amici, prendendo posto di fronte al ragazzo. Finita la telecronaca in differita, Sara prese a parlare del falò che era stato organizzato per la sera: la ragazza era entusiasta dell’idea del ballo di coppia intorno al fuoco.
<< Non credi che sarebbe fantastico se qualcuno dichiarasse il proprio amore stasera, davanti al fuoco?>> chiese la giovane con occhi luminosi.
<< Capirai, tanto tra un paio di settimane si romperebbero comunque>> rispose Riccardo annoiato.
<< Mamma mia quanto sei cinico! Non credi che un amore tra due adolescenti possa durare per sempre?>>.
<< No, non ci credo. Si dichiarano amore eterno e reciproco un giorno prima e il giorno dopo sono già pronti a fare altre conquiste. Siamo la generazione del parlare troppo e a sproposito, non lo sai?>>.
<< E’ inutile parlare con te, riesci sempre a distruggere i mie slanci sentimentali!>> disse Sara, con un’espressione di disapprovazione. La ragazza poi aggiunse, ammiccando: << Sai, stamattina Marta mi ha mandato un sms. Mi chiesto di nuovo di te>>.
Riccardo strabuzzò gli occhi e, con tono sorpreso, le chiese: << E chi sarebbe?>>.
All’amica caddero le braccia dallo stupore. << Come chi sarebbe? Mio Dio Rick, sei incredibile! E’ quella mia compagna di classe con i capelli castani, quella a cui hai prestato gli appunti di matematica! Te ne ho parlato anche ieri nel pullman. Accidenti, ma a che diavolo pensi mentre ti parlo? Ad ogni modo, credo che tu le piaccia>> rispose a voce alta, non riuscendo a trattenere l’indignazione per l’atteggiamento dell’amico.
<< Ah davvero? Devo averlo rimosso, scusa>> aggiunse impassibile Riccardo.
Daniele, che dall’altra parte del tavolo si stava godendo la simpatica scenetta, portò una mano alla fronte e cominciò a scuotere il capo davanti all’indifferenza mostrata dall’amico.
<< Sei incredibile. Veramente incredibile>> aggiunse poi sospirando Daniele.
Sara rise e concluse dicendo: << Ad ogni modo le ho già detto che non sei interessato. Se quella poveretta si mettesse ad aspettare te probabilmente morirebbe zitella. Comunque stasera mettiti in ghingheri, che il primo ballo lo concederai a me>>.

Arrivata la famosa sera del Falò e arrostite varie tonnellate di costolette e salsicce, la festa cominciò. Le ragazze, capeggiate da Sara, chiesero insistentemente a Riccardo di suonare la chitarra durante la cena. Riccardo era chiaramente contrariato, ma nulla poté fare contro le insistenti richieste delle compagne, a cui poi si aggiunsero anche quelle dei responsabili dell’oratorio. Il ragazzo era molto bravo con la chitarra e anche la sua voce non era male, ma non aveva mai avuto modo di suonare o cantare davanti ai suoi compagni. Una leggera ansia lo assalì prima di cominciare a pizzicare le corde dello strumento, ma una volta presa in braccio la chitarra, come spesso succedeva, dimenticò completamente il mondo circostante e iniziò a suonare e cantare una vecchia canzone rock riarrangiata. I ragazzi intorno al fuoco si stupirono della dolcezza e dell’abilità con cui Riccardo stava suonando, primi tra tutti Sara e Daniele, che non avevano mai sentito l’amico cantare e suonare così a lungo. Finito il pezzo, partì un applauso scrosciante e Riccardo si sentì per un attimo osservato da tutti, sensazione che lo mise leggermente a disagio.
Da qualche parte, dal fondo del tavolo, si sentì qualcuno urlare: << Che ne dite se apriamo le danze ora?>>.
Detto fatto, la musica partì dal vecchio stereo appoggiato al tavolo: la prima canzone messa su dalle ragazze era una ballata romantica di un gruppo pop commerciale. Sara, come promesso, portò in pista l’amico, mise le sue mani intorno al collo e quelle di lui intorno alla proprio vita, cominciando un breve lento a cui parteciparono numerose altre coppie. Sara e Riccardo ballavano al calore del fuoco vicini come due innamorati, mentre a poca distanza c’era Daniele, anch’egli impegnato in un tenero ballo con una ragazza bionda della squadra di pallavolo. “Ci risiamo – pensò Riccardo – un’altra delle sue conquiste”.
Nonostante il ragazzo fosse abituato a veder l’amico passare da una ragazza all’altra, quella sera non riusciva proprio a staccargli gli occhi di dosso, chiedendosi da quanto era così vicino alla tipa da cingerle così fortemente i fianchi. Riccardo era tremendamente infastidito dalla situazione per qualche motivo che non riusciva bene a spiegarsi, mentre si accorse che anche Daniele lo stava fissando da un po’.
Sara continuava a bisbigliargli qualcosa all’orecchio, ma Riccardo, perso nei suoi pensieri, riuscì solo a cogliere qualche parola. Resasi conto della scarsa attenzione che il suo compagno di danze le stava prestando, con voce più forte la ragazza disse: << Ecco io… Io non voglio morire vecchia e sola, aspettando per tutta la vita che tu faccia la prima mossa!>>.
Riccardo si girò nuovamente verso l’amica e le disse: << Scusami, mi ero un attimo distratto. Cosa stavi dicendo?>>.
Lo sguardo di Sara si rabbuiò: aveva appena confessato, con grosse difficoltà, i suoi sentimenti all’amico storico, ma quest’ultimo, troppo impegnato a pensare ad altro, non l’aveva neanche degnata di uno sguardo. Stanca di essere continuamente messa da parte, con uno spirito e una forza d’animo che non pensava di avere, si avvicinò lentamente alle sue labbra e gli diede un tenero bacio. Riccardo rimase per un attimo di sasso, poi, istintivamente, allontanò l’amica e guardò nella direzione di Daniele, il quale stava osservando la scena, come tutti gli altri presenti, con un sorriso sulle labbra. Sara, resasi conto di essere al centro dell’attenzione, si allontanò rapidamente dal cortile e si recò verso la sua stanza, dove Riccardo, ancora frastornato per quello che era successo, la raggiunse poco dopo.
L’imbarazzo creatosi era palpabile e un lungo silenzio fu interrotto solo dalle parole di Riccardo, che balbettando, chiese spiegazioni alla ragazza, ancora immobile sul letto, con la testa affondata nel cuscino.
Davanti al persistente silenzio dell’amica, il giovane decise di smorzare i toni, riducendo tutto l’accaduto ad un mero momento di debolezza. << Dai Sara, non fare così. Ci conosciamo da una vita, non c’è bisogno di sentirsi in imbarazzo con me. Per quanto riguarda gli altri… beh lo sai, dimenticano in fretta tutto! Su, ora alzati e torniamo alla festa>> le disse accarezzandole i capelli Riccardo.
Sara, il cui viso era diventato completamente rosso, si alzò con rabbia dal letto e, asciugandosi le lacrime, gli disse: << Non è successo nulla. Hai ragione. Scusami se ho creduto che potesse esserci qualcosa in più tra noi! Scusami se ho pensato che dopo quella maledetta festa a casa di Marco fossimo finalmente pronti a fare un passo avanti! Ho sbagliato tutto! Sono una stupida>>.
L’unica cosa che il ragazzo seppe fare davanti alle parole dell’amica, fu di tirarla su ed abbracciarla. La ragazza si divincolò con forza e gli disse con aria affranta: << No, no! Non abbracciarmi! Vattene ora, voglio restare da sola. Vai via… ti prego>>.
Con gli occhi lucidi Riccardo si alzò dal letto, lanciò un altro sguardo afflitto all’amica e, avendo intuito di non poter fare nulla per consolarla o renderle meno gravosa la situazione, si avviò tristemente verso la stanza dei ragazzi, deciso a lanciarsi sul letto e a rimettere in ordine le idee.
Era rimasto sconvolto dalla dichiarazione di Sara: mai avrebbe pensato che l’amica provasse per lui quel genere di sentimenti o che avesse pensato a qualcosa di più che ad una semplice amicizia tra loro. Qualche volta sua madre, scherzando, aveva definito Sara la sua futura nuora, ma il ragazzo non le aveva mai dato troppa importanza; del resto, la donna lo aveva visto bene accanto ad un’infinità di altre ragazze. Arrivato nella stanza dei maschi, Riccardo si stese sulla brandina cigolante e, per la prima volta da quando era arrivato, si accorse dell’incavo che si era formato al centro della rete, forse a causa delle troppe persone in sovrappeso che vi avevano dormito precedentemente. Non era solo la deformità del letto che quella notte non lo fece dormire; continuava a chiedersi perché, in effetti, non avesse mai pensato a Sara come a qualcosa in più che ad una semplice amica. Nella sua mente cominciò ad elencare tutte le caratteristiche che dovrebbe avere una fidanzata ideale: essere capace di capirti e sostenerti nei momenti più difficili; conoscerti fin nel profondo della tua anima; essere in grado di farti divertire e condividere con te numerosi interessi e infine, essere di bell’aspetto e intelligente. A conti fatti, Sara rispondeva perfettamente a tutte le caratteristiche che gli erano venute in mente e, per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare un solo, singolo motivo, per cui non avrebbe dovuto almeno provare a ricambiare i suoi sentimenti. Eppure, nonostante tutto, non riusciva a vedersi con Sara accanto, di sicuro non come qualcosa in più di un’amica. I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dagli altri ragazzi che, conclusasi ormai la serata danzante, si stavano ritirando nella stanza, in attesa della partita del giorno successivo. Daniele diede un’occhiata veloce all’amico e, senza dire una parola, si ritirò nella sua cuccetta. Riccardo si chiese se era il caso di confidargli i suoi pensieri quella notte, se dovesse chiedergli qualche consiglio sulla faccenda di Sara.
“Di ragazze ne capisce sicuramente più di me” pensò il giovane e così, timidamente, gli chiese incerto: << Ehi Dan. Cosa ne pensi di tutta questa faccenda di Sara? Insomma, prima le ho parlato e mi ha fatto capire che a lei farebbe piacere se tra di noi ci fosse qualcosa in più di una semplice amicizia. Il punto è che io non avevo mai pensato a lei in quel modo, capisci? Non mi ero mai accorto dei suoi sentimenti>>.
Daniele rimase in silenzio per un po’, dopodiché si girò verso l’amico e gli disse: << Rick, detto molto francamente, che Sara fosse non dico proprio innamorata di te, ma che quanto meno fosse interessata a qualcosa in più, lo avevamo capito tutti da un bel pezzo. Il tuo problema è che dormi, sembra che tu provenga dall’isola che non c’è>>.
Riccardo si risentì un po’ alle parole dell’amico, ma, dopo averci riflettuto attentamente, non poté fare altro che convenire con lui: non era in grado di capire i sentimenti delle persone. << Sai, credo che tu abbia ragione. Se avessi prestato più attenzione ai suoi atteggiamenti, probabilmente l’avrei capito prima>> aggiunse affranto Riccardo.
Daniele lo guardò dall’alto della sua brandina e gli disse: << Non credo proprio, davvero. Non ti offendere, ma anche se ti fossi sforzato, non l’avresti intuito. A volte penso che le persone che ti frequentano dovrebbero andare in giro con un cartello e un pennarello: le cose le devi vedere scritte nero su bianco per capirle. Ad ogni modo… cos’hai intenzione di fare ora?>>.
Riccardo colse un che di polemico nell’affermazione dell’amico, ma, come suo solito, decise di non dargli troppa importanza. << Non lo so, devo rifletterci un po’. In fondo Sara è carina ed intelligente, quando siamo insieme ci divertiamo e mi conosce meglio di chiunque altro. Forse non sarebbe una cattiva idea frequentarci…>>.
Riccardo mentì. Sapeva perfettamente che quello che provava per Sara non era altro che uno smisurato affetto e un profondo attaccamento, nulla che si avvicinasse lontanamente all’amore o all’attrazione fisica; ma quella sera, per qualche strana ragione, mentì spudoratamente e consapevolmente, cosa che lo fece stupire di se stesso. Ma la cosa che lo sorprese ancora di più, fu la delusione che provò all’udire la risposta dell’amico. Daniele, infatti, dopo aver riflettuto un attimo sulle parole del ragazzo, gli disse: << Beh se è quello che vuoi allora dovresti darle un’opportunità. Credo che stareste bene insieme. Ora scusami ma vorrei dormire, domani ho la partita>>.
<< Hai ragione, scusa se ti ho trattenuto. Buonanotte Dan>> aggiunse Riccardo con un velo di delusione, dopodiché si infilò nuovamente sotto le lenzuola, cercando di capire in che modo si sarebbe dovuto comportare con Sara la mattina successiva.

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Capitolo 6
*** Battiti ***


6



L’indomani, la tanto attesa finale di campionato di calcio regionale arrivò. I ragazzi dell’oratorio, con le loro magliette bianche a strisce blu, scorazzavano per il campo facendo esercizi di riscaldamento, seguiti a ruota dai proprio avversari. Il resto della truppa, invece, sedeva sugli spalti del piccolo palazzetto del paese, a mezz’ora dalla baita. Nel pullman che li aveva portati a destinazione, Sara era salita per ultima, piazzandosi comodamente nella parte anteriore del bus, ad una distanza non casualmente grande dal posto dove sedeva Riccardo. Immaginando che la ragazza non avesse ancora intenzione di rivolgergli la parola, Riccardo, con le palpebre cadenti dal sonno, prese posto sugli spalti superiori, meditando non solo di poter schiacciare un pisolino tra un tempo e l’altro, ma anche di poter sapientemente evitare lo sguardo dell’amica.
Dopo una lunga attesa, l’arbitro fischiò finalmente il calcio d’inizio. La squadra avversaria, che giocava in rosso, si dimostrò superiore durante tutto il primo tempo, ma i ragazzi dell’oratorio seppero tenere testa all’attacco aggressivo degli avversari, fomentati e sostenuti dal tifo caloroso delle ragazze e dei ragazzi in tribuna. Purtroppo però, complice un Daniele particolarmente spento e una evidente disattenzione della difesa bianco-blu, intorno al ’40 arrivò il primo gol dei Rossi, che lasciò l’amaro in bocca ai numerosi tifosi sugli spalti. Al doppio fischio dell’arbitro, i ragazzi, demoralizzati, lasciarono il campo e le tifoserie presero a sedersi quietamente sui freddi gradini di pietra del palazzetto. Riccardo, dal canto suo, si stese a pancia in su, scrutando le nuvole nel cielo e maledicendosi ancora una volta per non aver portato con sé il blocco da disegno e i pastelli ad olio.
<< Ci sarebbe venuto su un bello schizzo>> disse ad alta voce, mentre ripensava al momento in cui la madre gli aveva “gentilmente imposto” di non portare materiale da disegno con sé, almeno quella volta.
Poco prima della partenza, infatti, il ragazzo, facendo attenzione a non farsi notare dalla madre, aveva aggiunto qualche pastello nello zaino all’ultimo secondo, contando di trovare qualche foglio a destinazione. A quanto pareva, però, aveva di nuovo commesso uno dei più grandi errori della sua vita: aveva sottovalutato sua madre. Errore di cui si accorse, suo malgrado, una volta arrivato in camera, quando al posto dei pastelli trovò nello zaino una fetta di dolce avvolta nei tovaglioli e un biglietto con su scritto: “mangia invece di disegnare” .
Riccardo, stufo di continuare a pensare a quanti bei disegni avrebbe potuto fare durate quella gita se avesse prestato più attenzione alle diaboliche intenzioni materne, decise di avvicinarsi alle panchine per sentire qual era la strategia della squadra per il secondo tempo. Una volta avvicinatosi, il ragazzo non poté fare a meno di notare che le parole dell’allenatore erano tutte rivolte al povero Daniele, in genere grande trascinatore della squadra, che quella mattina non era particolarmente in forma. Il ragazzo dagli ondulanti capelli biondi aveva uno sguardo pensieroso: le spesse sopracciglia abbassate e la fronte corrugata gli segnavano il viso stanco e preoccupato, mentre lo spasmodico mordicchiarsi delle labbra e il battito frenetico del piede sul terreno lasciavano trasparire il suo nervosismo. Il ragazzo portava sulle sue spalle il peso delle aspettative di tutti i compagni di squadra, che si erano sforzati e impegnati durante l’anno, non solo per poter arrivare alla tanto agognata finale, ma anche per poter accedere alla divisione superiore e smettere di essere una semplice squadretta di quartiere. Daniele lo sapeva. Sapeva perfettamente quali erano i suoi doveri quel giorno. Doveva ritrovare la sua forma migliore e lo doveva fare in fretta, poiché i primi dieci minuti della pausa erano già trascorsi. Riccardo riuscì a percepire i pensieri e la preoccupazione dell’amico con un semplice sguardo; lo conosceva talmente bene, che poteva dire perfettamente tutto quello che passava nella testa del ragazzo, senza neanche aprire bocca. Sapeva quanto egli tenesse a quella partita e quanto significasse per lui vincere. In fondo, Daniele voleva fare del calcio la sua principale fonte di sostentamento da adulto, dato che non poteva contare sulle sue doti scolastiche per garantirsi un futuro. Il ragazzo decise quindi di scavalcare il muretto che lo separava dalla panchina e di parlare un po’ con l’amico, nella speranza di poterlo aiutare prima dell’inizio della ripresa.
<< Ehi Dan, come va?>> gli chiese Riccardo con aria gentile.
<< Male, non lo vedi? Non riesco ad azzeccare una sola azione>> rispose Daniele seccato.
<< Beh, non sono un esperto di calcio, ma hai ancora 45 minuti a disposizione per far vedere chi sei. La partita è recuperabile, siete sotto di un solo goal>> rispose con le migliori intenzioni Riccardo.
<< Già, è semplice parlare per chi non c’è dentro, vorrei vedere te. Comunque che ci fai qui? Non dovresti essere con Sara?>> replicò Daniele in modo sgarbato. << In realtà è da stamattina che mi evita, non sono riuscito ad incrociare il suo sguardo per più di un millisecondo. Credo sia meglio rinviare la nostra conversazione a quando saremo tornati a casa>> rispose con nonchalance il ragazzo. Daniele sospirò e disse: << Sì, probabilmente è meglio così. Cosa le dirai?>>.
<< Ci ho pensato molto ieri notte. Ho pensato a tutti i pro e i contro della situazione, ma non sono ancora arrivato ad una conclusione. Forse…>> Riccardo si fermò un attimo a riflettere prima di continuare la frase; poi, con una inaspettata indole sadica, mordendosi le labbra, aggiunse: << Forse le darò una possibilità>>.
<< Capisco. E’ un bel progetto. Beh, comunque tra poco cominciamo, è meglio che tu vada>> disse Daniele, mentre si congedava dall’amico con un cenno del capo.
Riccardo strinse i pugni e con lo sguardo basso, pensò tra sé e sé: “Accidenti, perché l’ho fatto di nuovo?”.
Come previsto, dopo qualche minuto l’arbitro richiamò le squadre in campo. Durante il secondo tempo ci fu un netto cambiamento nella compagine dell’oratorio. Daniele aveva parzialmente ritrovato il suo estro, così come aveva fatto anche la difesa. Dopo appena 15 minuti dall’inizio della ripresa, Palvetti, della squadra dei biancoblu, segnò il goal dell’1-1, facendo letteralmente esplodere la gioia dei tifosi sugli spalti. Ormai tutta la panchina e i ragazzi dell’oratorio si aspettavano il colpo di genio del loro Capitano, che avrebbe messo la firma alla vittoria della squadra e determinato il passaggio alla divisione superiore. I minuti però passarono veloci e la partita entrò in una situazione di stallo, che si protrasse fino quasi al 38esimo, con le tifoserie che si accendevano sempre di più e i giocatori con il fiato sempre più corto. Finalmente arrivò il secondo goal dalla squadra dell’oratorio, di nuovo dal talentuoso Palvetti, che, con la sua doppietta, aveva siglato la vittoria del campionato. La tifoseria esplose nuovamente in festa, partirono cori e abbracci spontanei, che si intensificarono quando finalmente l’arbitro diete voce tre volte al fischietto. Riccardo, nonostante fosse felice per come si era risolto il match, sentiva una certa tristezza per l’amico, che non era riuscito a chiudere la stagione con una prestazione degna del suo talento.
Dopo che i ragazzi della squadra ebbero finito di lavarsi, una grande festa li accolse nel pullman che li avrebbe riaccompagnati a casa. I quattro giorni di campo estivo erano giunti al termine, la truppa sarebbe rientrata in città per le 23 della sera stessa e nonostante quel giorno fosse stato l’ultimo di quella magnifica esperienza, neanche un velo di tristezza aveva segnato i volti dei ragazzi. La gioia per la vittoria della finale aveva sovrastato tutto il resto. Le ragazze avevano dato il via a canti e balli nello stretto corridoio del bus dai sedili verde antrace, mentre i ragazzi continuavano a riportare minuto per minuto tutte le azioni della partita. Alcune bottiglie di plastica contenenti Vodka erano finite, con delle manovre degne dei migliori contrabbandieri, nelle borse dei ragazzi, che avevano cominciato a bere di nascosto dagli organizzatori, seduti pochi metri più avanti.
L’entusiasmo aveva coinvolto tutti, eccetto Riccardo e Daniele. Quest’ultimo, infatti, si era rannicchiato da solo in un angolo, all’estremità del bus, col viso coperto dal cappuccio della felpa. Riccardo, accortosi dell’umore dell’amico, si sedette cautamente sul sediolino accanto, cercando nella sua mente qualche parola di conforto per il ragazzo. Improvvisamente, si rese conto di quanto fosse impacciato nel rapportarsi con gli altri: conosceva Daniele da dieci anni, ma non riusciva a pensare ad un modo semplice e non invadente per consolare l’amico. Presa definitivamente coscienza della propria naturale misantropia, il giovane decise che il meglio che potesse fare per l’amico era restargli accanto, in silenzio, pronto ad ascoltarlo qualora avesse deciso di confidargli quale fosse il motivo di tanta frustrazione. Daniele, come se avesse letto nei pensieri dell’amico, si voltò verso di lui e gli disse: << non sei obbligato a stare qui, puoi anche andare a cantare con gli altri se vuoi>>. Riccardo fece un sospiro profondo, << se non sapessi che è impossibile, avrei cominciato già da un pezzo a pensare che ti abbiano rapito gli alieni e sostituito con un clone: primo, sei qui da solo a rimuginare invece di star davanti a far baldoria. Secondo, come puoi pensare che vorrei unirmi agli altri per cantare?>>.
Daniele rise alle parole dell’amico e con aria più serena gli disse: << Hai ragione. Devo essere proprio impazzito eh?>>.
Riccardo fece sì col capo e con tono più serio gli chiese: << Beh, cos’hai allora? Non dirmi che stai così solo per non aver segnato durante la finale. Insomma, sono cose che capitano>>.
<< No, non è solo per la partita>> rispose abbassando lo sguardo Daniele << diciamo che è semplicemente un periodo difficile>>.
Riccardo aggrottò le sopracciglia, << è successo qualcosa di cui non sono a conoscenza?>> chiese.
<< Niente che non avresti potuto capire già da qualche anno>> rispose istintivamente l’amico. Daniele guardò Riccardo fisso negli occhi e, accortosi della sua espressione inerte, aggiunse: << Lasciamo stare, fai finta che non ti abbia detto niente. Il tempo della tristezza è finito comunque. La vodka mi aspetta e il capitano deve prendere di nuovo in mano le redini della situazione>>.
Con aria trionfante, Daniele scattò in piedi, si avvicinò ai compagni di squadra e cominciò a cantare a squarciagola insieme agli altri. Riccardo si sentì sollevato alla vista dell’amico nuovamente raggiante, ma era consapevole del fatto che l’atteggiamento spavaldo di Daniele era una solo maschera, indossata momentaneamente per nascondere qualcosa che lo turbava nel profondo.

Il Bus arrivò a destinazione alle 23 precise nel cortile dell’oratorio, dove i genitori dei ragazzi si erano riuniti per riaccompagnare a casa i figli e caricare in auto le valigie. L’oratorio si trovava a poche centinaia di metri di distanza da Via dei Pioppi, per questo motivo, considerando anche il peso contenuto del suo bagaglio, Riccardo aveva detto ai genitori che avrebbe fatto rientro a piedi. Non era stata dallo stesso avviso Sara, la quale aveva preteso di essere riaccompagnata a casa dalla sorella maggiore Cat, che, con tanta pazienza, aveva caricato in auto il set di valigie della piccola.
La ragazza, vedendo Riccardo avviarsi a piedi col bagaglio in spalla, gli chiese: << Ehi Rick, sei a piedi? Se vuoi ti do uno strappo. Sappi però, che dovrai tenere la valigia sulle gambe. Tra quelle di Sara e le scartoffie per il mio lavoro, il bagagliaio è completamente occupato>>.
<< Ti ringrazio Cat>> disse educatamente Riccardo << ma ho bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe e in ogni caso staremmo stretti in auto. Sarà per la prossima!>>.
Alla risposta del ragazzo, Sara, evidentemente infastidita, fece cenno alla sorella di non insistere ulteriormente. La donna quindi, con aria perplessa, disse: << Beh allora non insisto, anche perché domani ho delle cose da fare in ufficio. Sai, il commissario a breve va in pensione e dobbiamo chiudere in frette certe questioni. Ci vediamo domani!>>.
La piccola auto blu si allontanò sfrecciando attraverso l’uscita del cortile, con le sagome delle due ragazze che si facevano sempre più indistinte, fino ad essere inghiottite dal buio della strada. Un sorriso appena accennato comparve sulle labbra di Riccardo, al pensiero di quanto poco l’amica si fosse sforzata per nascondere la sua rabbia. Voltandosi indietro, il giovane si accorse che Daniele aveva avuto la sua stessa idea e che si stava allontanando a piedi, barcollando, col suo trolley. Aveva decisamente esagerato con la vodka. << Ehi Dan! Fermati! Dove hai intenzione di andare così? Nessuno di è accorto dello stato in cui ti trovi?>> disse Riccardo, correndo affannosamente verso l’amico. << La valigia te la porto io, tu pensa a reggerti in piedi>> aggiunse poi con tono seccato, mentre Daniele fissava il vuoto con gli occhi sbarrati. Svoltato l’angolo, i due si ritrovarono sulla strada deserta.
<< Com’è possibile bere fino a questo punto in un pullman pieno di zeppo di animatori? Cosa avresti fatto se non ci fossi stato io ad aiutarti? Saresti rimasto qui, nel cortile dell’oratorio, abbracciato alla valigia fino a domattina?>> sbottò Riccardo, mentre cercava in qualche modo di trascinare entrambe le valigie lungo via dei Pioppi.
<< Scusami mamma, la prossima volta non lo faccio più>> disse annoiato Daniele. Riccardo rimase fortemente infastidito dall’atteggiamento infantile dell’amico.
Percorsi in silenzio tombale i circa trecento metri che li separavano da casa, Riccardo fu costretto prima a trasportare le valigie all’interno dello stabile e poi a ritornare fuori a prendere Daniele, ormai incapace di reggersi in piedi. Il ragazzo si mise il braccio dell’amico intorno al collo e, prima di varcare la soglia del cortile, diede un rapido sguardo in giro: via dei Pioppi era completamente deserta, la calura della città si era fatta opprimente e il palazzo al n° 33 era avvolto da un tenebroso silenzio.
“Probabilmente siamo i soli ad essere svegli” pensò tra sé e sé Riccardo.
<< Menomale>> disse ad alta voce il ragazzo << cosa avrebbero detto i tuoi se ti avessero visto così? Ti avrebbero fatto di sicuro una bella strigliata>>.
Avvolti dall’oscurità, i due amici superarono il portone rosso principale, facendo particolare attenzione al piccolo gradino che vi si trovava davanti, e si diressero verso il cancello interno. A pochi passi dalla meta, Daniele si liberò dalla stretta di Riccardo e si andò a sedere sul piccolo marciapiede alla sinistra del cortile, al lato opposto della casa della portinaia.
Riccardo, ormai sfinito, raggiunse con le braccia penzoloni l’amico e, con voce bassa e leggermente irritata, gli chiese: << Che stai facendo ora? Dan, tirati su, per l’amor di Dio!>>. Per tutta risposta, Daniele si voltò dall’altro lato e socchiuse gli occhi.
<< Hai proprio deciso di sfinirmi stasera, eh?>> fece Riccardo, tirando un enorme sospiro, e aggiunse: << beh, se proprio vuoi restare qui, io vado ad avvisare i nostri genitori che siamo fuori a chiacchierare, sono sicuro che mia madre a breve chiamerà la polizia, i Nas e quelli del SISMI>>.
Il ragazzo rimase qualche secondo a riflettere sulle sue parole e poi aggiunse: << No aspetta, il SISMI non esiste più. Mhm… com’è che si chiamano ora i servizi segreti italiani?>>.
<< Cosa vuoi che ne sappia io? Che razza di domande fai alle undici e mezza di sera? Anzi, che razza di domande fai, punto>> disse con un’espressione di disgusto Daniele.
<< Ah ma allora sei sveglio! Alzati su, come hai già fatto notare, è tardi>> gli intimò con aria decisa l’amico.
<< Se vuoi rientrare fai pure, io ho intenzione di restare qui ancora per un po’>> rispose Daniele sbadigliando.
<< Credi davvero che ti lascerei qui, sdraiato sul marciapiede del cortile, in solitudine, a fissare il vuoto cosmico?>> disse sempre più irritato il povero Riccardo.
Daniele si girò di scatto verso l’amico e con tono provocatorio gli disse: << Perché non dovresti? Del resto, è molto probabile che da oggi in poi non sarai presente come prima, no?>>. Riccardo non era sicuro di aver capito a cosa si riferisse l’amico.
<< Sai, vorrei proprio sapere cosa ti passa per la testa oggi>> disse il giovane sconsolato , sedendosi silenziosamente accanto a lui, << comunque, mi spieghi come diavolo avete fatto a portare delle bottiglie di vodka su un pullman di ritorno da una gita organizzata dall’oratorio della chiesa? E soprattutto, come hai fatto a ridurti in questo stato, senza che nessuno degli organizzatori se ne accorgesse? Sei un irresponsabile, se ti avessero beccato avresti potuto essere cacciato dalla squadra>>.
<< Riccardo versione mamma, mode: on. E per ben due volte in una giornata signore e signori! Mio Dio, devo aver commesso davvero degli orribili peccati nella mia vita precedente per meritarmi tutto questo>> disse Daniele con tono ironico, alzando gli occhi al cielo.
<< Mi piacerebbe tantissimo svestire i panni della mammina pedante e comportarmi da amico, peccato che ti ostini a mantenere questo ridicolo silenzio stampa e a non dirmi cos’hai che non va in questi giorni>> rispose con tono truce Riccardo.
Alle parole dell’amico, Daniele scattò improvvisamente in piedi, come se qualcosa lo avesse profondamente turbato. Il giovane cominciò irrequieto a girare in tondo, prima stringendo i pugni, poi mettendosi le mani in faccia. Riccardo era seriamente preoccupato per il comportamento del giovane e, alzatosi anche lui, gli si avvicinò cautamente; con una mano sulla spalla e sfoderando il più dolce sorriso di cui era capace, gli disse : << Qualunque cosa sia, lo sai che ne puoi parlare con me, vero?>>.
Daniele si fermò bruscamente. Guardò per un attimo l’amico negli occhi e, dopo qualche secondo, tornò di nuovo a girare in tondo, mentre intonava una rumorosa risata isterica. Riccardo sospirò di nuovo e, dopo aver dato uno sguardo all’orologio, disse: << Quando hai finito di girare in tondo come un pazzo schizzato, avvisami, che io avrei delle cose da fare. Tipo dormire>>.
Proprio mentre stava girando le spalle per andare via, Daniele tirò l'amico per il braccio, prese il suo viso tra le mani, lo spinse contro al muro e gli diede un bacio sulle labbra. Il suo cuore sembrò perdere un battito. Il ragazzo sentiva le gote bruciare e le gambe cedere. La sua testa si era trasformata in una polveriera pronta ad esplodere e il suo corpo era pesante come un macigno, incapace di compiere il benché minimo movimento. Dopo qualche secondo di stordimento totale, Riccardo cominciò a ricambiare quel bacio, senza neanche capire precisamente perché: in quel momento aveva scordato tutto, persino il suo nome. L'unica cosa che sapeva è che le sue labbra non riuscivano a staccarsi da quelle dell'altro, che in quel momento, quel bacio, era la cosa che voleva di più al mondo, che non c'era altro posto dove avrebbe voluto essere. Lì, in quel cortile, al buio, a cingere i fianchi dell'amico, ad accarezzargli dolcemente i capelli biondi e a respirare il suo stesso respiro. Come una bottiglia di vetro che cade a terra facendosi in mille pezzi, Riccardo improvvisamente si svegliò dal tepore che lo aveva avvolto qualche secondo prima. Allontanò bruscamente l'amico e, superato lo shock, si prese qualche minuto per riflettere su quel bacio. Di sicuro, pensò, era stato un gesto dettato dall'ubriachezza di Daniele. Non c'era alcun motivo apparente che indicasse che quel bacio significava qualcos'altro. "Forse mi ha scambiato per una ragazza" si ripeté più volte il giovane. Ma se Daniele era completamente preda dei fumi dell'alcol, perché lui, perfettamente sobrio, aveva ricambiato con tanto ardore?
<< Ne ho abbastanza delle tue follie per stasera>> disse Riccardo con tono greve << me ne vado a dormire davvero ora. Tu se vuoi resta. Oppure torna a casa con me. Insomma, fai quello che ti pare>>.
Daniele, palesemente scosso e irritato, gli disse sottovoce: << La mia follia dici, eh? E la tua? La tua di follia, non la vedi?>>.
<< Oh per l’amor del cielo, di che accidenti stai parlando adesso?>> piagnucolò Riccardo.
<< Parlo del modo in cui vivi. Parlo di te e di me! Parlo del fatto che ho appena trovato il coraggio di fare qualcosa che avrei voluto fare da non ricordo neanche quanto tempo e l’unica cosa che hai saputo fare è stata girare le spalle e andartene. Ecco di cosa parlo!>> disse il ragazzo all’amico, che tuttavia rimase in silenzio, impassibile. << Sei sempre sulle tue, in silenzio, perso negli angoli bui della tua mente. Non confidi mai niente a nessuno, né alla tua famiglia, né a me, né a Sara, coloro che definisci i tuoi migliori amici. Non permetti al resto del mondo di vedere i tuoi bellissimi disegni, né di ascoltare le tue canzoni. Non permetti a te stesso di divertirti come tutti i ragazzi normali, non mi permetti di aiutarti quando hai un problema, non mi fai capire cosa ti passa per la testa quando parliamo, non lasci che qualcuno, qualunque essere vivente dotato di parola in questo mondo, ti si avvicini a più di un metro di distanza!>> riprese poi Daniele urlando, facendo uscire tutto d’un fiato quelle parole dalla sua bocca, quasi come un flusso inarrestabile che non era più in grado di controllare. << Tu saresti solo anche in mezzo ad un milione di persone. La verità è che io… io, mi sento maledettamente solo quando sono con te. E non ce la faccio più a sentirmi solo quando sono con la persona che mi è più cara al mondo, lo capisci?>> concluse il ragazzo, con le lacrime agli occhi.
Riccardo era sconvolto, bruciante, dolorante dalla rabbia. Davanti alle dure parole dell’amico non poteva fare altro che restare in silenzio, immobile, impassibile. Anche volendo dire qualcosa, non avrebbe saputo da dove cominciare. La verità era che Daniele aveva ragione. Aveva ragione su tutta la linea. E l’aver avuto spiattellato, così, d’improvviso,davanti agli occhi, tutto il racconto della sua vita, lo aveva profondamente toccato. Dopo qualche minuto di silenzio, Riccardo finalmente prese coraggio e riuscì ad abbozzare delle parole sconnesse da dire all’amico, l’amico di una vita, quello più intimo, che, tuttavia, quella sera non avrebbe potuto essere più lontano: << Mi dispiace>>.
Il giovane recuperò il suo bagaglio e si avviò velocemente verso il portoncino d’ingresso, senza voltarsi indietro. Il breve percorso che lo portava dal cortile alla portoncino dello stabile non gli era mai sembrato così lungo e la semi-oscurità che lo avvolgeva, non gli era mai stata così congeniale come in quel momento. Salite le scale e raggiunta la porta di casa, si rese conto che le sue mani stavano tremando al punto di impedirgli di infilare le chiavi nella toppa. Entrato in casa, si diresse immediatamente verso la sua stanza, tentando di evitare in ogni modo di incrociare gli occhi e soprattutto la lingua affilata della madre. Superato con non poche difficoltà l’interrogatorio a cui la donna lo sottopose, Riccardo si chiuse nella sua camera, l’unico posto del mondo in cui, in quel momento, avrebbe potuto sentirsi al sicuro. Ora, finalmente, poteva tornare a respirare.

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Capitolo 7
*** Storia di un'amicizia ***


7



I giorni seguenti il ritorno dalla gita, il figlio era sembrato più strano e solitario del solito alla signora Morello. Il ragazzo aveva sapientemente glissato qualunque domanda in merito al soggiorno nella baita e aveva preso la strana abitudine di uscire dalla sua camera solo per mangiare ed usare il bagno. La donna aveva anche notato che non c’erano state visite da parte di Sara e Daniele da quel giorno, fatto insolito che non capitava da quando si erano trasferiti in via dei Pioppi. Nonostante avesse tentato più volte di avvicinarsi al figlio per capire cosa gli stesse succedendo, la donna non aveva cavato un ragno dal buco e la situazione la stava mettendo notevolmente a disagio; di certo non era mai stata una confidente per Riccardo, né tantomeno era mai riuscita a capire cosa gli passasse per la testa, ma una madre è pur sempre una madre e il pensiero che il ragazzo potesse di nuovo restare solo, come da bambino, la tormentava. Decise quindi, perfettamente consapevole del fatto di poter scatenare le ire del figlio, di chiedere aiuto a Sara. Armatasi di coraggio e di una buona dose di sfacciataggine, la donna bussò alla porta della casetta al lato destro del cortile. Dopo tre tentativi vani, fu proprio la piccola Sara ad aprirle la porta, che tentò malamente di nascondere un certo imbarazzo.
<< Salve signora>> disse timidamente Sara << se cerca mia madre mi sa che dovrà ritornare più tardi, è uscita presto per sbrigare alcune cose alla posta stamattina>>.
<< No, no tesoro caro, in realtà stavo cercando proprio te, mi fai entrare per un attimo?>> disse la Signora Morello, con un norme sorriso stampato in faccia.
<< Sì prego, entri pure>> aggiunse esitando la ragazza. Le due donne si accomodarono in cucina, al piccolo tavolo di legno verniciato posto al centro della stanza.
<< Vuole del caffè per caso? O dei biscotti?>> chiese Sara all’ospite.
<< Il caffè lo prendo volentieri, i biscotti no grazie. Sai, devo mantenere la linea>>.
Mentre Sara armeggiava ai fornelli per preparare il caffè, la donna si guardava intorno per studiare l’ambiente. La stanza era esposta ad est, la luce del sole colorava di un giallo paglierino tutte le pareti, tappezzate con una carta da parati beige con ornamenti floreali. Un enorme vaso bianco, con dei bei fiori Arancioni, era stato sistemato accanto alla porta d’ingresso. Alla destra del tavolo, c’era un piccolo divanetto bianco, posto esattamente davanti alla vecchia televisione analogica, che richiamava il color panna delle tende. La Signora Morello pensò che la casa, per quanto modesta, fosse graziosa e accogliente, esattamente come ci si aspetterebbe da una casa abitata da tre donne.
Servito il caffè e onorate tutte le cerimonie, la madre di Riccardo con fare disinteressato chiese alla giovane: << Ho notato che non ci sei venuta a trovare di recente. E’ successo qualcosa tra te e mio figlio per caso?>>.
Sara, che si sentiva terribilmente a disagio, tentò di non incrociare lo sguardo della donna e rispose: << No in realtà non è successo nulla di particolare. Ecco ho solo avuto molto da studiare, poi Riccardo doveva fare pratica con la chitarra e così…>>.
<< Quindi è tutto ok tra voi? Mi fa proprio piacere sentirlo. Sai, ultimamente Riccardo è talmente giù di morale che pensavo fosse successo qualcosa in gita. Neanche Daniele si è più fatto vedere dal giorno del vostro rientro>>.
<< Davvero? Daniele non è più venuto a casa vostra?>> chiese Sara sorpresa.
<< No, affatto. Ed è proprio per questo che sono venuta qui oggi, volevo chiederti se sapessi qualcosa. Lo sai che mio figlio non ama parlare con me, ma forse tu potresti capirci qualcosa in più di questa storia se gli parlassi. Non trovi?>> disse senza fare troppi giri di parole la donna.
<< Beh ecco io non saprei, forse non vuole parlarne con nessuno>> disse Sara esitante.
<< Ma no, sono sicura che con te parlerà volentieri. Siete amici da sempre! Bene, conto su di te allora>> disse la donna, bevendo l’ultimo sorso di caffè << se vuoi puoi raggiungerlo ora, è solo in casa: Davide è al campo estivo e mio marito al lavoro>>.
La donna uscì velocemente sbattendo la porta d’ingresso, bloccando sul nascere ogni possibile tentativo della ragazza di svincolarsi dall’ingrato compito.
Sara era stata messa in un bel pasticcio. Non aveva alcuna voglia di parlare con Riccardo dopo gli avvenimenti della sera del Falò, né tantomeno aveva voglia di consolarlo da qualunque problema lo affliggesse, specialmente se fosse stato qualcosa che riguardava Daniele. Purtroppo non poteva venire meno alla promessa estorta dalla madre dell’amico, motivo per cui decise di chiudere in fretta la situazione e ad andare a parlargli. Arrivata alla porta di casa Morello, il coraggio da leoni, che aveva appena trovato giù in cortile, scomparve come neve al sole. L’indice della sua mano destra aveva tentato almeno dieci volte di pigiare sul campanello, ma purtroppo si bloccava ogni qualvolta ripensava a quel bacio di trenta secondi scambiato davanti al fuoco. Per fortuna, ci pensò il fato a porre fine alle sofferenze della ragazza. Dalla casa dei Morello venne fuori Riccardo, che, uscito a comprare dei colori ad olio, rimase profondamente stupito alla visione di Sara sul pianerottolo. Superato l’iniziale smarrimento, il ragazzo invitò l’amica ad entrare. Sara notò che la sua stanza era più disordinata del solito: c’erano macchie di tempera su tutte le lenzuola, i fogli da disegno erano sparsi qui e lì e non trovava soluzione di continuità sulla carta da parati, ormai completamente tappezzata di schizza fatti a matita.
<< E’ esplosa una bomba qui dentro di recente?>> chiese sarcastica Sara a Riccardo, che tentava di fare un po’ di spazio sulla scrivania inondata da CD senza custodia e carte di merendine.
<< Se fosse esplosa una bomba probabilmente questa stanza sarebbe stata in condizioni migliori >> le disse con tono serio il ragazzo.
<< Già, lo penso anche io>> disse Sara sorridendo. Erano bastate appena tre battute ai due ragazzi per rompere il ghiaccio e ritrovare la complicità di sempre, fatto che rese l’atmosfera molto più rilassata e incoraggiò Riccardo a parlare per primo.
<< So che avrei dovuto cercarti subito dopo il rientro dalla gita, il fatto è che non sapevo precisamente cosa dirti. Io ho pensato a lungo a me e a te, ho pensato che non ci sarebbe nulla di sbagliato nel portare ad un altro livello il nostro rapporto, ma… >> prima che potesse completare la frase, Sara fece cenno a Riccardo di restare in silenzio, portando la sua piccola mano sulle labbra dell’amico.
<< Non c’è bisogno che continui a parlare, so cosa vuoi dire. Anche io per un po’ -un bel po’, a dire il vero- ho pensato che non ci sarebbe stato niente di sbagliato nel cambiare il nostro rapporto e anzi, ad un certo punto mi sono auto convinta che sarebbe stato giusto e quasi obbligatorio cominciare una relazione più intima ma… lo sai? questi giorni in cui non ci siamo visti mi hanno fatto capire che in realtà il nostro rapporto mi piace moltissimo così com’è e non vorrei cambiarlo per nulla al mondo>> la ragazza mise le sue braccia intorno al collo dell’amico e proseguì dicendo <>.
Riccardo abbracciò stretto stretto l’amica, probabilmente come non aveva mai fatto fino ad allora, e dolcemente le sussurrò all’orecchio: << mi sei mancata molto anche tu>>.
<< Smettiamola con queste smancerie ora e raccontami cosa diavolo ti è successo per aver ridotto ad un porcile questa stanza>> disse con voce tagliente la ragazza.
Riccardo cominciò a mordersi nervosamente le labbra e, alzandosi dalla sedia, prese in maniera convulsa a raccogliere i fogli sparsi in giro per la stanza. Tra le mani gli capitò un ritratto, fatto qualche anno prima, che non aveva mai avuto il coraggio di appendere alla parete: un giovane uomo alto e slanciato alla fermata del bus, che, infreddolito, cercava di scaldarsi le mani soffiandoci sopra. Riccardo si fermò qualche istante ad osservare il disegno, poi con tono serio chiese all’amica: << Cosa credi che sia l’amore?>>.
L’espressione interrogativa di Sara alla sua domanda, lo spinsero a tentare di spiegarsi meglio: << Non intendo quello romantico e sdolcinato che si vede fin troppo spesso nei film. Intendo quello vero. Sai, quello che ti cambia la vita>>.
<< Beh è una domanda un po’ difficile a cui rispondere così, su due piedi>> rispose pensierosa l’amica, che poi gli chiese a sua volta: << Tu cosa credi che sia?>>.
<< Ci ho pensato a lungo e francamente non credo che esista una risposta universale, una risposta che valga per tutti. Credo che ognuno abbia la propria concezione dell’amore. C’è chi lo trova nelle parole non dette e negli guardi furtivi, c’è chi lo trova nei gesti eclatanti e sensazionali, c’è chi lo trova in un’attività o uno sport e c’è addirittura chi lo trova in cose materiali. Per quanto riguarda me… beh, posso dire che se mi avessero posto questa domanda qualche tempo fa, avrei risposto che l’amore è nella mia arte. Avrei detto che l’amore si trova in tutti gli universi fantastici che ho immaginato nella mia testa e che ho riportato su carta, in ogni luogo che mi ha permesso di fuggire dalla realtà che mi circonda, in ogni personaggio che ho animato con cui avrei voluto scambiare quattro chiacchiere quando ero stufo delle conversazioni con chi avevo accanto. Non c’era nient’altro al di fuori di me e dei miei pensieri. Questa sarebbe stata la mia risposta>> rispose con grande sincerità il ragazzo, che fissava le pareti della sua stanza, ormai completamente coperte dai fogli.
<< E ora? Quale sarebbe la tua risposta ora?>> chiese di rimando Sara, che aveva già intuito quale sarebbe stata la risposta dell’amico.
<< Ora ti direi che l’amore è quella cosa che mi ha sempre riportato indietro. Non importa quanto possa essere andato lontano, quanto possa aver desiderato fuggire, quanto possa aver sognato e bramato e fantasticato. Sono sempre tornato a casa. L’amore è quella cosa che ti riporta a casa>> rispose il ragazzo.
<< A giudicare da quanto hai pasticciato con le tempere in questi giorni, credo che questa cosa sia mancata per un po’, eh? Forse è arrivato il momento che sia tu a riportarla indietro, stavolta>> disse lei, confermando la sua precedente teoria.
<< Una parte di essa è già tornata. Me la sono ritrovata sul pianerottolo di casa, dieci minuti fa>> disse sorridendo Riccardo, che poi aggiunse: << Ora devo cercare di recuperare l’altra… Ad ogni modo, ti va di farmi compagnia alla ferramenta giù in centro? Devo comprare della vernice azzurra>>.
<< Cosa ci devi fare con la vernice? Hai deciso di diventare anche imbianchino ora?>>.
<< Macché. Credo solo che si arrivato il momento di staccare tutti questi fogli dal muro e dare una degna copertura a questi terribili orsi. Non credi anche tu?>> rispose Riccardo grattandosi il mento.
<< Oh, finalmente! Pensavo che non me lo avresti mai chiesto!>> concluse entusiasta la ragazza.

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Capitolo 8
*** Storia di un amore ***


8



Era fermo davanti al cancello in ferro battuto dell’oratorio da più di qualche minuto. Con la punta della scarpa era già oltre la soglia, ma non riusciva ad avanzare ulteriormente, quasi come se i suoi piedi avessero smesso di obbedirgli e avessero deciso di restare lì, impiantati sull’uscio.
Da quando era rientrato dalla usuale escursione estiva con Sara, stavolta fatta in una località di mare, lontana da laghi e maneggi, aveva cercato di contattarlo più volte. Prima per telefono, poi bussando direttamente alla sua porta, senza però ottenere risultati: o veniva apertamente ignorato oppure ad aprirgli era la signora Rocca, costretta dal figlio a mentire al ragazzo, dicendogli una volta che era malato e quella successiva che era fuori casa.
<< La prossima volta che passa Riccardo con quel visino triste a chiedere di te, ti vengo a prendere per i capelli fino in camera e ti costringo a parlarci. Bugie per te non ne dico più >> gli aveva giurato un giorno la madre. << Cosa ti avrà fatto mai quella povera anima poi, per meritarsi un trattamento del genere?>> gli chiedeva sempre, incredula davanti all’atteggiamento del figlio nei confronti del suo migliore amico.
<< Fatti gli affari tuoi!>> rispondeva seccato lui.
La verità è che Daniele non ne voleva sapere di parlare con Riccardo, non dopo tutto quello che era successo la settimana prima, la sera del ritorno dalla gita.
A questo punto, l’unica possibilità che aveva Riccardo di parlare con l’amico era quella di affrontarlo all’oratorio, davanti al resto della squadra; non avrebbe potuto evitarlo così esplicitamente davanti a tutti. Peccato che i suoi piedi avessero deciso di remargli contro, restando sempre lì, immobili, incapaci di fare un passo avanti o uno indietro.
Avrebbe potuto aspettare che qualcuno dei responsabili lo invitasse ad entrare, che qualcuno lo chiamasse per fargli sbrigare qualche lavoretto in refettorio o che gli chiedesse di aiutare i bambini più piccoli con gli acquerelli. Avrebbe anche potuto aspettare che la terra cominciasse a muoversi sotto di lui come una specie di enorme tapis roulant e che lo portasse dritto dritto davanti a Daniele. Avrebbe potuto tornarsene a casa e rimandare quella difficile conversazione a data da destinarsi, quando l’amico avrebbe deciso di perdonarlo.
“No” continuava a ripetersi; quella mattina, quando era uscito di casa, Riccardo aveva deciso che per la prima volta nella sua vita non avrebbe aspettato il fato che gli desse un segno, che qualcun altro agisse per lui, che le cose si sistemassero da sole; avrebbe preso in mano la sua vita e avrebbe lottato per riconquistare la fiducia di una delle persone più importanti della sua vita. Doveva farlo per sé stesso, per dimostrare che era davvero cambiato. Raccolto tutto il coraggio che possedeva, si mosse finalmente verso il campetto dell’oratorio, dove i ragazzi stavano facendo una partitella amichevole, e prese posto su una panchina in fondo.
Vide subito Daniele sfrecciare in mezzo al campo al seguito della palla, impegnato in un assist a favore della punta della squadra. Riccardo notò che aveva tagliato i capelli, leggermente più corti sui lati ma sempre riconoscibili anche a metri di distanza, così come il leggero rossore sulle guance, causato probabilmente dalle ore passate a giocare a calcio sotto al sole, che faceva risaltare ancora di più i luminosi occhi verde acqua. << E’ proprio bello>> disse tra sé e sé sotto voce, senza pensarci, salvo poi vergognarsi appena un minuto dopo per le parole che erano uscite di getto dalla sua bocca. Scosse la testa, schiacciandosi le guance con le mani. “Sto impazzendo” pensò.
Daniele, completamente assorbito dal gioco, si accorse della presenza di Riccardo dopo almeno un quarto d’ora dal suo arrivo. Durante un’azione offensiva importante, rivolse per un attimo gli occhi verso la panchina sul fondo del campo, scorgendo quella piccola testolina mora intenta a giocherellare con la zip della felpa blu, portandola su e giù freneticamente. Daniele frenò bruscamente con la palla tra i piedi, facendo cadere rovinosamente a terra il compagno che lo seguiva a poca distanza.
<< Oh Rocca, che cazzo fai che ti impalli così all’improvviso in mezzo al campo?>> tuonò con aria minacciosa il povero malcapitato, che aveva tutte ginocchia sbucciate a causa della caduta di qualche secondo prima.
<< Scusami Ale, mi sono distratto. Sono veramente mortificato>> rispose Daniele, tendendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi.
L’altro la allontanò con uno schiaffo e, rimettendosi in piedi, disse: << Lascia stare, pensa a giocare ora, che mancano pochi minuti alla fine>>.
Daniele chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e si mise di nuovo a correre dietro al pallone.
Dopo circa dieci minuti la partita terminò e i ragazzi si avviarono stanchi e sudati verso lo spogliatoio dell’oratorio. Daniele vide da lontano Riccardo alzarsi dalla panchina e cominciare a camminare verso di lui, per questo mise un braccio sulla spalla ad un compagno di squadra e si avviò con passo svelto alle docce. “Perché cavolo continua ad evitarmi?” pensò stizzito Riccardo, che per la rabbia diede un calcio ad una vecchia lattina, scagliandola contro un muretto a poca distanza. Aspetto qualche minuto per decidere il da farsi, ma, ormai deciso ad arrivare fino in fondo alla questione, si diresse con ampie falcate verso lo spogliatoio, da cui erano appena usciti dei ragazzi già lavati e rivestiti.
<< Ohi Ricky, che ci fai qui? Non ti si vedeva da un po’>> gli chiese con aria stupita Alessio, mentre si sistemava con le mani i capelli.
<< Beh, sai com’è, ho avuto un po’ da fare ultimamente>> rispose vago Riccardo.
<< Hai avuto da fare con Sara vero? Lo immagino, dopo tutto quello che è successo al campo la settimana scorsa…>> fece quello con un sorriso malizioso.
Riccardo arrossì leggermente al ricordo di del bacio con Sara, nonostante gli sembrasse ormai distante anni luce e che, nell’arco di appena sette giorni, ne fosse passata di acqua sotto i ponti, almeno per quanto concerneva i suoi sentimenti.
<< Beh, comunque, se sei qui per Daniele credo ti convenga trovarti qualcosa da fare, il principino è sempre l’ultimo ad uscire dallo doccia>> riprese poi con tono severo Alessio, ancora lievemente alterato per lo scherzo che gli aveva giocato il biondo pochi minuti prima.
Riccardo annuì timidamente e dopo aver salutato Alessio e gli altri, resosi conto che nello spogliatoio erano rimaste solo una manciata di ragazzi, si fece coraggio ed entrò dalla porta principale. Sulla panca di fronte, ancora mezzo svestito, c’era Daniele, intento ad allacciarsi le sneakers nere sotto al pantalone grigio della tuta, canticchiando una canzone che ascoltava dalle enormi cuffie dell’mp3.
Quando alzò lo sguardo e si ritrovò dinnanzi l’amico che rigirava nervosamente i pollici, i suoi occhi si rabbuiarono per un attimo. Lo guardò fisso con aria seria per qualche secondo, dopodiché riprese con finta serenità a rivestirsi con la musica a tutto volume nelle orecchie, mentre anche l’ultimo dei ragazzi della squadra stava lasciando lo spogliatoio: erano rimasti in due.
<< Ti devo parlare>> gli disse sottovoce Riccardo, non avendo ancora il coraggio di dire chiare e tonde quelle parole.
L’amico lo ignorò, costringendo così Riccardo a ripetere a voce più alta, con espressione decisa: << Dan, ho detto che ti devo parlare>>.
Daniele lo guardò di nuovo, appoggiò le cuffie sul collo e incrociò le braccia.
<< Cosa devi dirmi?>> chiese con tono di sfida.
<< Volevo parlare di quello che è successo in cortile, la settimana scorsa…>> rispose incerto Riccardo, con gli occhi bassi.
<< Beh, quello che è successo quella sera io l’ho già scordato, non c’è nulla da aggiungere>> disse l’altro freddamente, prendendo la sua borsa e facendo per uscire dallo spogliatoio.
<< Ah sì? Allora posso sapere perché è da allora che non mi parli? Che ti neghi al telefono e mi fai raccontare delle storie da tua madre quando ti vengo a cercare a casa?>>.
La mano di Daniele si bloccò prima che potesse spingere giù la maniglia della porta. Abbassò gli occhi e con un filo di voce appena percettibile gli disse dandogli le spalle: << non ne voglio parlare>>.
<< Siamo amici da sempre Dan, io non voglio che la nostra amicizia finisca così, come se nulla fosse. Non voglio incontrarti tra dieci anni ed essere un estraneo per te, voglio che tu sappia esattamente come mi sento in ogni circostanza. Mi spiace se spesso ti ho ferito in passato, col mio atteggiamento freddo e distaccato, mi spiace se sono stato un pessimo amico per te, se non ti ho mai reso parte della mia vita, se ti ho sempre tenuto a distanza, ma da oggi in poi sarà diverso! Te lo giuro! Vorrei solo che tornasse tutto com’era prima di questa maledetta estate ! Vorrei che io, tu e Sara tornassimo quelli che eravamo un tempo!>> gli disse tutto d’un fiato, quasi sul punto di piangere. << Il fatto è che mi manchi>> aggiunse poi a voce bassa Riccardo, tirandogli leggermente la maglia.
<< Io non voglio essere più amico tuo Riccardo, lo capisci?>> gridò tutt’ad un tratto Daniele, visibilmente alterato e con gli occhi iniettati di sangue.
Riccardo lasciò andare la maglia dell’amico e arretrò leggermente con aria spaventata, appoggiandosi con una mano ad una delle panche di legno.
<< E’ per quel bacio vero? Lo so che sei ancora incazzato perché l’ho ricambiato e non ti ho allontanato subito visto che eri ubriaco fradicio e che adesso ti faccio schifo, ma io non lo volevo davvero… cioè, era la situazione, la stanchezza, l’atmosfera notturna. Non so cosa mi sia preso, ma so che non può finire tutto per una cosa del genere>> riprese poi, quasi con tono supplichevole.
Daniele si voltò un attimo verso di lui, fece un sorrisetto amareggiato e abbassò la maniglia della porta, pronto a piantare nuovamente in asso l’amico di una vita.
Riccardo lo tirò forte per il braccio impedendogli di uscire, gli prese il viso tra mani costringendolo a guardarlo negli occhi e disse: << Spiegami dov’è il problema, ti prego>>.
Daniele si tolse le mani dell’amico dal viso e si girò da un’altra parte. Riccardo gli si parò di nuovo davanti, non dandogli modo di evitare il suo sguardo.
<< Non capisci che non riesco neanche a guardarti in faccia dopo quella sera?>> tuonò il biondo, sempre più irritato dall’atteggiamento infantile dell’amico.
<< Ma guardami Dan! Sono sempre io! Non è cambiato nulla>> ripeté più volte l’altro, puntandosi le mani aperte verso il petto.
Ancora una volta Daniele gli diede le spalle con l’intenzione di tornarsene a casa. << Non ti importa nulla di me? Perché diavolo fai così?>> urlò questa volta Riccardo.
Daniele sospirò e, senza voltarsi, gli rispose a voce bassa: << Perché io di te mi sono innamorato, stupido>>.
Riccardo trasalì. Non era neanche sicuro di aver sentito bene quelle ultime parole, ma sentì distintamente una specie di calore che partiva dallo stomaco e si irradiava in tutte le direzioni, sentì le gambe sciogliersi e le guance diventare rosso fuoco, mentre il cuore gli cominciava a battere talmente forte che pensava gli sarebbe uscito fuori dal petto da un momento all’altro.
<< C-cosa?>> chiese con voce strozzata.
<< Mi hai sentito Rick. Ho detto che ti amo. E non come si ama un amico, ma come si dovrebbe amare una ragazza>> rispose Daniele, stavolta guardandolo negli occhi. Riccardo rimase in silenzio, ancora sconvolto da ciò che aveva sentito.
Il biondo fece una risatina nervosa, si appoggiò ad una panca a poca distanza dall’amico e, mordendosi nervosamente le labbra, cominciò a parlare sommessamente.
<< Ti ricordi quando eravamo piccoli? Quando tu ti eri appena trasferito e io non facevo altro che renderti la vita un inferno e addirittura arrivasti a voler cambiare scuola?>>. Il ragazzo annuì, lo ricordava perfettamente.
<< Bene. Sappi che ero sempre stato un bambino pestifero io. Mi capitava spesso di schernire gli altri bambini, di fare piccoli scherzetti e marachelle varie, ma con te… con te era diverso. Sin dal primo giorno in cui ti ho visto nel cortile sotto casa, accanto a tua mamma, con quel vassoio di granite, ho cominciato a sentire una strana voglia di farti del male, di farti arrabbiare, di farti piangere. C’era qualcosa di vagamente sadico nel mio comportamento con te, se ne accorse anche mia mamma, che mi conosceva meglio di chiunque altro>> continuò il biondo.
<< Beh, grazie di avermi informato di questa cosa a distanza di dieci anni>> disse con aria indispettita Riccardo, uscito per un attimo dal suo stato di incredulità.
<< Il punto è che neanche io sapevo perché mi sentivo così nei tuoi confronti. Mi rendevo conto che mi stavo comportando male e che non era giusto quello che ti stavo facendo, ma non riuscivo a smettere, sentivo un bisogno imperante di allontanarti da me quanto più possibile e l’unico modo che avevo era quello di trattarti male. Chissà, forse avevo già intuito che avrei passato dei brutti momenti a causa tua>> disse Daniele sospirando.
<< Ah! E quali brutti momenti avresti passato tu, a causa mia, precisamente?>> chiese inarcando le sopracciglia Riccardo, con un’evidente vena ironica.
Daniele fece finta di non ascoltarlo e riprese il suo discorso esattamente da dove lo aveva lasciato: << Dopo qualche mese di continui dispetti è arrivata l’estate, quella famosa estate in cui la maestra ci assegnò quella stupida ricerca sugli animali da fare in coppia, quella che ci costrinse a stare insieme tutti i pomeriggi per almeno una settimana. Da lì in poi le cose sono cambiate; migliorate, direi. Ti conobbi meglio e la mia rabbia ingiustificata nei tuoi confronti cominciò piano piano a sparire. Più tempo passavamo insieme e meno voglia avevo di allontanarti. Ed ero felice sai? Avevo trovato un vero amico con cui parlare, con cui condividere i miei pensieri e le mie paure. Certo, il nostro rapporto era più che altro a senso unico: ero io che ti chiedevo consigli sui compiti o sulle ragazze, ero io che ti raccontavo tutto quello che mi succedeva quando non eravamo insieme ed ero sempre io a chiamarti per uscire. Tu ti limitavi ad ascoltarmi e ad accompagnarmi in giro, ma c’eri sempre per me. Ogni volta che facevo sciocchezze a scuola, ogni volta che litigavo con mia madre o quando perdevo una partita di calcio. Non credere che io non le sappia queste cose. Non credere che non sappia che hai sempre cercato di fare del tuo meglio per essere un buon amico per me>>.
Riccardo si sentì un po’ in imbarazzo a sentire l’amico dire certe cose, ma era felice del fatto che lui avesse capito che ce l’aveva messa veramente tutta a far funzionare le cose tra loro, anche se con scarsi risultati.
Daniele fece una piccola pausa per schiarirsi la voce strozzata e si inumidì leggermente le labbra bevendo un sorso d’acqua da una bottiglietta; poi, con un sorriso a metà tra l’amareggiato e il sognante prese a dire: << Ad ogni modo, in quel periodo andava tutto bene tra noi e andò bene fino a che, un giorno, non cambiò tutto di nuovo. Eravamo a scuola quella mattina, credo fossimo in terza media; era l’ora di inglese. Sai, avevamo ancora quella Prof. noiosissima che non faceva altro che fare discorsi in lingua che nessuno di noi capiva, quella che avremmo cambiato dopo qualche settimana. Come al solito io ero stato messo in fondo alla classe perché avevo disturbato durante la lezione, mentre tu sedevi a due banchi di distanza da me, sotto alla finestra. Tentavo disperatamente di chiamarti per fare due chiacchiere, mi annoiavo maledettamente in quell’angolo da solo, ma tu non mi sentivi. Così ho cominciato a lanciarti addosso delle palline di carta, poi addirittura delle penne, ma nulla: eri troppo impegnato a guardare fuori dalla finestra. C’era un piccolo uccellino sul davanzale che beccava una patatina lasciata lì da chissà chi, chissà quanto tempo fa, e tu lo stavi disegnando su un foglio di carta. Dopo averle tentate tutte, mi arresi: era impossibile distoglierti da quel che stavi facendo. Così presi semplicemente ad osservarti. Eri lì, tutto concentrato, impassibile, completamente scollegato dal resto del mondo. Non avevi occhi che per quell’uccellino e il tuo disegno. Ad un certo punto, non so perché, ti sei girato verso di me, mi hai lanciato un’occhiata interrogativa quando ti sei accorto che ti stavo fissando e poi mi hai semplicemente sorriso. Ti sei girato di nuovo e hai ripreso a disegnare. Credo sia stato in quel preciso istante che è cambiato tutto, quell’istante in cui mi hai sorriso senza neanche avere un vero motivo>>.
<< Non so cosa dire, non ricordo neanche quando è avvenuta questa cosa>> disse con decisamente poco tatto Riccardo.
<< Certo che non te lo ricordi, per te è stato un giorno come un altro, ma per me è stato l’inizio della fine. Da quel giorno ho cominciato a guardarti con occhi diversi, in un modo in cui non avevo mai guardato nessuno fino ad allora. Notavo quando avevi cambiato pettinatura, quando sorridevi perché un disegno ti era riuscito bene, quando eri triste perché per l’ennesima volta Sara ti aveva dato dello strano schizzato, quando ti innervosivi perché non riuscivi ad imparare un accordo alla chitarra, quando ti annoiavi durante le lezioni di geografia. Iniziavo a sentirmi sempre di più a disagio con te intorno, soprattutto quando eravamo da soli in camera mia o in camera tua, quando dormivamo insieme dopo aver visto un film sul divano, nel week-end. All’inizio pensavo semplicemente di essere impazzito, che mi sarebbe passata, che era una sensazione momentanea. Ma questa cosa non passava, anzi. Più andavo avanti e più avevo voglia di abbracciarti e di baciarti e di dirti quanto mi piacevi, quanto mi faceva incazzare vederti con quella Ludovica, quella con cui sei stato fidanzato al primo anno di liceo o con qualunque altra tipa tu abbia frequentato dopo. Ma come potevo dirti certe cose? Avevo una fottuta paura di perderti anche come amico, così ho cercato di dimenticarle quelle emozioni che provavo quando mi stavi vicino, ho cercato di reprimerle. Ho fatto la parte del migliore amico stupido, di quello a cui non frega nulla se non a divertirsi, ho cambiato decine di ragazze sperando di trovarne una che mi facesse scordare di te. Ed è andata avanti così per tre anni. Negli ultimi tre anni ho mentito a te, ai miei amici, ai miei genitori… ho mentito soprattutto a me stesso. Ora mi sono davvero stancato di mentire. Non ne posso più>> concluse Daniele, che ormai aveva completamente messo a nudo la sua anima.
<< Avresti dovuto parlarmene>> disse severamente l’altro, che ormai non riusciva neanche più a formulare un pensiero compiuto dopo tutto ciò che aveva scoperto.
<< Cosa avrei dovuto dirti Rick? Che volevo stare con te come qualcosa in più che un semplice amico quando non hai mai dato il minimo segnale che ti potessero piacere i ragazzi? In realtà non so neanche io se mi piacciono i ragazzi o le ragazze, per ora so solo quello che provo per te>> rispose imbarazzato Daniele, che poi disse, prendendo di nuovo la sua borsa e mettendosi in piedi davanti alla porta: << capisci perché non può tornare tutto com’era prima? Non ce la faccio più a fingere di essere felice, di essere qualcosa che non sono. E poi c’è la faccenda di Sara… sono davvero contento che vi siate finalmente trovati, ma per ora non ci riesco>>.
Riccardo rimase seduto sulla panca di legno tenendo le mani intrecciate dietro la nuca e la testa nascosta tra le braccia. Non proferì parola, rimase semplicemente lì, in silenzio, a ripensare a tutte le cose che gli aveva appena confessato il suo più caro amico, non riuscendo a mettere ordine nelle mille emozioni che aveva provato. Fu riportato alla realtà solo dal rumore del porta che sbatteva; si guardò intorno terrorizzato, poi capì: Daniele se n’era appena andato.
<< Cosa devo fare adesso?>> continuava a chiedersi tra sé e sé mentre girava in tondo con le mani tra i capelli nel piccolo spogliatoio ormai vuoto.
“Cosa voglio fare adesso?” era la domanda che spontaneamente si fece spazio tra i suoi pensieri. Senza rifletterci su troppo, recuperò la felpa che si era tolto poco prima e corse fuori a cercare l’amico. Stava cominciando a fare buio. Il sole stava tramontando ad ovest illuminando tutto l’ampio cortile dell’oratorio di una tenue luce arancione, mentre l’afosa aria estiva stava lasciando gradualmente spazio alla frescura settembrina. L’oratorio era vuoto ormai, scorgeva solo l’ombra del custode che stava ripulendo le ultime aiuole dalle cartacce lanciate durante la giornata dai bambini del catechismo. Riccardo inspirò a pieni polmoni il debole profumo che proveniva ancora dai gelsomini piantati lungo tutto il cortile, socchiudendo gli occhi; poi sorrise e cominciò a correre più forte che poteva verso casa, nel tentativo di ritrovare l’amico prima che rientrasse nel condominio al numero 33. Lo vide, infine, mentre lentamente percorreva solitario via dei Pioppi, con le grosse cuffie rosse sulle orecchie e la borsa sulle spalle. Riccardo, fece un ultimo grande sforzo e con uno slancio arrivò a bloccarlo tirandolo per un braccio, ad appena 200 m da casa loro. Daniele, sorpreso, si ritrovò davanti il ragazzo piegato con le mani sulle ginocchia, col fiatone, che tentava di spiaccicare due parole senza riuscirci.
<< Ti voglio anch’io…>> disse quello, annaspando.
Daniele strinse le palpebre, si tolse le cuffie dalle orecchie e gli chiese di ripetere più forte.
<< Ti voglio anch’io!>> disse Riccardo, stavolta con voce più ferma. Daniele restò lì di sasso.
<< Mi spiace se sono sempre quello che ci arriva per ultimo alle cose, se come al solito hai dovuto essere tu a farmi aprire gli occhi su quello che provo davvero, se hai dovuto fare il primo passo verso di me. Mi dispiace se in questi tre anni non sono riuscito a capire cosa provavi per me, ma il fatto è che non capisco neanche quello che provo io di solito e, come mi ha detto qualcuno una volta, spesso ho bisogno che la gente intorno a me metta le cose scritte nero su bianco su degli enormi cartelloni per farmele capire. Non so se questo è amore, non so se potremmo mai funzionare insieme, non so neanche più come mi chiamo in questo preciso istante, ma so quello che voglio: voglio stare con te, per davvero e anche se la cosa mi spaventa a morte perché non so come potrebbero prenderla gli altri, ci voglio provare con tutte le mie forze, perché non ho mai voluto così tanto una cosa in vita mia come voglio te in questo momento>> disse Riccardo tutto d’un fiato, non riuscendo a frenare le parole che uscivano dalla sua bocca. Se si fosse fermato, non era sicuro che avrebbe più ritrovato il coraggio di ripetere quelle parole. Si guardò intorno con aria circospetta, poi, assicuratosi del fatto che era buio e che per strada non ci fosse nessuno, si alzò leggermente sulle punte e diede un intenso bacio all’amico, che dopo un attimo di smarrimento, gli strinse le braccia intorno ai fianchi e ricambiò nascondendo un sorriso.
Riccardo riuscì a sentire, attraverso le cuffie rosse del biondo, le parole di una canzone che gli era ben familiare; si avvicinò all’orecchio di Daniele e dolcemente gli canticchiò il ritornello: Ya es hora de intercambiar mensajes por palabras. Ya es hora de replegar las alas rumbo a casa. [Ora è il momento di scambiare i messaggi con le parole, è il momento di spiegare le ali verso casa].
<< Ricordi quando te l'ho fatta sentire per la prima volta? Ti dissi che mi ricordava di te>> fece sorridendo Daniele.
<< Certo che me lo ricordo, ho anche imparato a farla sulla chitarra>> rispose l'altro, che gli diede un altro dolce bacio sulle labbra.
<< Che dici, è arrivato il nostro momento di spiegare le ali, no?>> chiese il biondo, accarezzandogli i capelli.
<< Direi proprio di sì Dan. Ci abbiamo messo fin troppo>> rispose Riccardo, prendendogli la mano e avviandosi lentamente verso casa.

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Capitolo 9
*** Epilogo ***


Epilogo



Era una mattina di fine estate quando Riccardo decise di andare al lago per fare i suoi soliti schizzi. La temperatura ormai era scesa e delle grandi nuvole grigie minacciavano pioggia. Lo zaino del ragazzo conteneva il materiale per dipingere, qualche snack da sgranocchiare durante il viaggio, dei panini, alcune bibite fresche e la macchina fotografica per scattare qualche foto al cielo. Contava di restare fuori l’intera giornata, come suo solito quando decideva di andare al lago per dipingere.
<< Tesoro mio, non avrai portato un po’ troppi panini con te? Se mangerai tutto da solo avrai un’indigestione>> gli disse in tono polemico la madre, mentre sistemava le ultime cose nello zaino del figlio. Riccardo la guardò per qualche secondo e, dopo essersi sistemato i capelli, con un genuino sorriso sulle labbra, le disse: << Per oggi va bene così, non ti preoccupare>>.
<< Va bene, fai come vuoi! Mi raccomando, chiama appena arrivi, il cielo minaccia pioggia>> gli disse sospirando la donna.
Infilate le scarpe e prese le chiavi, Riccardo uscì di casa sbattendo la porta.
L’aria alla stazione della città era particolarmente frenetica quella mattina. Decine e decine di persone, tra ragazzi in gita e pendolari diretti al lavoro, si sistemavano disordinatamente nello spazio individuato dai divisori della biglietteria, mentre i più audaci si accasciavano bellamente davanti ai chioschetti delle bibite.
<< Il treno previsto per le ore 8.03 è stato soppresso a causa di uno sciopero>> disse con aria annoiata la cassiere della biglietteria al ragazzo, che aveva atteso almeno venti minuti in fila per comprare i biglietti.
<< Mi sa dire quando passerà il prossimo?>> chiese cortesemente il giovane.
<< Alle 10, probabilmente>> rispose secca la donna.
<< Non c’è nient’altro che porti al lago in tempi più brevi?>>.
<< C’è il treno 457 al binario 2 che porta a poca distanza dal lago, tra 30 minuti circa; ma ti avviso, sarà stracolmo di turisti>> ribatté la cassiera, mentre si limava le unghie con una piccola limetta dorata. Riccardo tentennò un attimo.
<< Va bene, mi dia quelli per il 457. Tre. Andata e ritorno>> disse, mentre tirava fuori delle monetine dalle tasche dei jeans.
Arrivato al binario 2, il ragazzo diede un’occhiata al tabellone delle partenze; era previsto un ritardo di dieci minuti per il suo treno. La banchina, come già predetto dalla impassibile cassiera, era invasa da centinaia di turisti in canottiera e pantaloncini, tutti notevolmente seccati dal ritardo. Quando finalmente il treno arrivò in stazione, un’enorme quantità di persone si accalcò per prendere i posti a sedere, mentre Riccardo a stento riusciva a districarsi tra la folla. Riuscito finalmente a salire sul penultimo vagone, dopo esser rimasto qualche minuto in apnea, schiacciato da due grossi uomini nordici, si girò intorno più volte per cercare un posto vuoto. Ne trovò uno, con grossa fortuna, accanto ad una simpatica vecchina, sulla sinistra.
<< So cosa stai cercando di fare>> disse una voce femminile dietro di lui, << ma non ci pensare nemmeno o ci sediamo tutti o non si siede nessuno!>>.
<< Ma non troveremo mai tre posti vicini! Già è stata una fortuna riuscire ad entrare senza riportare danni. E poi, il mio zaino pesa!>> disse polemicamente Riccardo alla contrariata Sara.
<< Aspettate, aspettate! Forse ne ho visti tre lì in fondo, nel vagone successivo>> disse a voce alta Daniele, indicando tre piccoli sedili sul fondo dell’ultimo vagone.
Riccardo e Sara si guardarono negli occhi e quest’ultima disse all’amico biondo: << Tu sei il più veloce, corri ad occuparli! Presto, prima che li prendano quei tre bambini cinesi!>>.
Il ragazzo cominciò affannosamente a farsi spazio tra la folla, a suon di gomitate e inciampi tra i piedi dei turisti. Alla fine, la corsa a ostacoli di Daniele si rivelò proficua: i tre amici riuscirono ad aggiudicarsi i tre posti, in barba ai piccoli monelli cinesi.
<< Allora, che ne dici? Sono serviti a qualcosa tutti questi anni spesi a correre dietro ad un pallone, no? O pensi ancora che fare sport sia un passatempo per stupidi?>> disse Daniele, prendendo dolcemente la mano di Riccardo, seduto accanto.
<< Sicuramente sono serviti a qualcosa, ma la conquista di un posto in treno non è abbastanza per convincermi a dedicarmi all’attività agonistica>> disse Riccardo, guardando dolcemente negli occhi l’amico .
<< Va bene, io ci ho provato! Meglio lasciarti ai tuoi disegni. A proposito, credi che riuscirai a fare un quadro decente di questo benedetto lago stavolta? O lo scarterai come hai sempre fatto?>> chiese divertito Daniele.
<< Non ne sono sicuro, ma sono fiducioso. Ho proprio la sensazione che oggi andrà bene, sai?>> disse Riccardo con un grosso sorriso sulle labbra, mentre guardava va la stazione allontanarsi dal finestrino << credo che andrà proprio bene da oggi in poi>>.

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