Omnia Fert Aetas

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo uno ***
Capitolo 2: *** capitolo due ***
Capitolo 3: *** capitolo tre ***
Capitolo 4: *** capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** capitolo sei ***
Capitolo 7: *** capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** capitolo nove ***
Capitolo 10: *** capitolo dieci ***
Capitolo 11: *** capitolo undici ***
Capitolo 12: *** capitolo dodici ***
Capitolo 13: *** capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** capitolo sedicesimo ***



Capitolo 1
*** capitolo uno ***


Omnia Fert Aetas

A Ivan, a Marco e a Stefano

 

 

ELENCO DEI PERSONAGGI:

 

Clan

-Aengus ap Tighearnach, capoclan

-Dearbhla, veggente e guaritrice, donna di Aengus

-Idwal ap Urien, boscaiolo e guerriero, marito di Arlinna e padre di Sunbeam

-Sunbeam ap Idwal, figlia di Idwal e Arlinna (“Raggio di sole”)

-Gwyn ap neb, boscaiolo e guerriero, figlio bastardo

-Myrddin ap Gyllad, maestro di spada e guerriero, padre di Dubhan e compagno di Nimue

-Owain ap Llewellyn, fabbro, padre di Gawain, Eira, Glyn e Samia e marito di Arwyn

-Aodh, vecchio bardo

-Gawain ap Owain, guerriero, morto 6 anni prima

-Eira ap Owain, promessa sposa di Gwyn, morta 6 anni prima (“Neve”)

-Glyn ap Owain, figlio del fabbro

-Samia ap Owain, figlia del fabbro

-Arwyn, veggente e guaritrice, moglie di Owain e madre di Gawain, Eira, Glyn e Samia

-Arlinna, tessitrice, moglie di Idwal e madre di Sunbeam, figlia di Nora

-Dubhan, figlio di Myrddin

-Nora, Dilys, Carys e Muirne, donne del clan

-Lexyy, guerriera figlia di Nora

-Dìon, madre di Gwyn, veggente e balia di Idwal (“Protetta”)

-Hywel, guerriero del clan

 

Altri

-Gwen, guaritrice e guerriera, figlia di Nimue e Urien il Bardo

-Nimue, sacerdotessa e guerriera, madre di Gwen e Dubhan, compagna di Myrddin

-Urien, bardo, padre di Gwen

-Mynyddmab, guerriero, padre di Gwyn (“Figlio della montagna”)

-Heilyn, bardo amico di Gwen, cieco

-Ramsey, bardo, promesso sposo a Gwen, traditore del clan

-Bonnie ap Dingus, guerriera e capoclan

-Caoillin ap Aine, donna del clan, sorella di Taliesin e moglie di Hywel

-Maeve ap Odhran, fanciulla del clan di Taliesin

Taliesin ap Aine, capoclan decaduto

 

-Serenwib, figlia di Idwal e Gwen (“Stella cadente”)

-Dewr, figlio di Gwyn e Gwen (“Coraggioso”)

-Diniwed, figlio di Gwen e Glyn (“Innocente”)

-Banrìon, figlia di Samia e Gwyn (“Regina”)

-Breuddwydiwr, figlia di Gwen e Gwyn (“Sognatrice”)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO PRIMO

 

Le lame fendevano l’aria, la aprivano in due, prima di squarciare la carne degli innocenti. Gli ordini dei centurioni risuonavano secchi e truci nella notte, e il rumore di centinaia di armature e sandali chiodati battevano sulla terra del villaggio e delle capanne, mentre si mischiavano agli urli di chi stava venendo bruciato vivo nelle proprie case. Qualcuno pregava che la Dea li salvasse, ma quella notte, era cieca, bendata e oppressa dal dolore, esattamente come lo era il suo popolo.

Il sangue colava macchiando le vesti bianche dei bardi, giunti per cercare di aiutare dal santuario, ma le loro mani erano mani adatte a suonare l’arpa, non seppero difendersi dall’odio romano.

Le madri cercavano di proteggere i figli più piccoli e i padri facevano da scudo alle figlie, vennero massacrati tutti. Non avevano pietà, non la conoscevano i loro dei. E, da una figlia dei Celti, nascosta tra il fieno, ferita a un braccio e al fianco da una lancia, si levò una maledizione: i nostri figli vi sconfiggeranno.

 

 

-Secondo me viene a piovere. Gli uccelli che volano basso sono presagio di brutto tempo- Gwyn guardò il cielo con fare dubbioso, perdendo di vista l’amico che nel frattempo si era addentrato nel bosco a far legna –Idwal, dove ti sei cacciato? Figlio di un troll, dove sei?-

-Stai zitto per una buona volta, femminuccia! C’è qualcosa in quella trappola per i cinghiali, qualcosa che si lamenta. Aiutami a tirarlo fuori, qualunque cosa sia- disse l’altro, trecce nere e corporatura massiccia, sbucando alle spalle dell’altro

-Magari è un romano. Chi sa se sono buoni da mangiare…- Gwyn si leccò le labbra, mentre i suoi occhi verdi lanciavano un lampo di puro odio. Lui li aveva combattuti, i romani. E era stato sconfitto. La sua sete di vendetta e sangue, però, lo aveva portato a conclusioni affrettate.

-Cosa diavolo c’è lì sotto?- chiese mentre il moro si sporgeva oltre il bordo della buca, profonda almeno due uomini e contornata di paletti acuminati, che avrebbero dovuto ferire a morte qualsiasi cosa ci fosse caduta dentro.

-Sembra… una donna-

-I romani non hanno donne-

-Si che ce le hanno le donne, femminuccia, solo che non ce le fanno vedere-

-Quindi è dei nostri?-

-Aiutami ad andarla a prendere. Anzi, calati tu che sei più magro-

-Tu dovresti levarti l’abitudine di finirti tutto il cinghiale. Stai ingrassando, amico mio e i lavori sporchi toccano sempre a me- l’insultò Gwyn iniziando a scendere nella buca, aggrappandosi con maestria ai paletti, come se non avesse fatto altro nella vita, nonostante fosse solo un boscaiolo. Anche lui aveva i capelli neri, ma al contrario dell’amico, la sua era una corporatura snella, robusta e alta. Non era mai stato un guerriero, ma con il bastone risultava comunque formidabile e pericoloso. Gwyn aveva da poco passato le ventinove primavere, e per ventinove primavere, aveva rifiutato donne. Certo, c’erano state donne nella sua vita, ma nessuna che gli avesse scaldato il cuore, oltre al letto.

Gwyn arrivò sul fondo della buca e il cuore gli mancò un battito. Lì sotto, c’era una fanciulla. Era caduta in una posizione innaturale e, se lei non avesse emesso un lieve sospiro, Gwyn l’avrebbe data per morta. Aveva il vestito stracciato su un fianco, macchiato di sangue secco. Probabilmente aveva corso, o la veste le si era squarciata cadendo e aprendole delle ferite sulle gambe e sulle braccia. La osservò con più attenzione: aveva i capelli ricci, castani e sembrava avesse le forme tutte al proprio posto…

-È viva?- chiese Idwal, bloccando il flusso di pensieri dell’amico.

-Credo di sì. Ma ha bisogno di cure-

-Portala su. La portiamo al villaggio, lì sapranno cosa fare-

Se la caricò in spalla, incurante del lamento della fanciulla: probabilmente aveva toccato una ferita aperta, e iniziò la salita, resa difficoltosa dal peso che portava addosso. Qualcosa gli colpì il collo, bloccandolo improvvisamente per guardarsi intorno, non trovando nulla di strano. Toccò la parte colpita e le sue dita si strinsero attorno a una piccola pietra più o meno stondata. Tirò per spostarla ed essa fece una leggera forza per poi staccarsi di netto e solo in quel momento Gwyn comprese che si trattava di una collana, ma senza perdere tempo a osservarla meglio, la infilò nella scarsella e proseguì la salita, fino ad arrivare, finalmente, ad appoggiare la ragazza a terra, sopra alla buca. Questa si lamentò ancora, probabilmente di qualche ferita.

-Che può essere successo Idwal?- chiese Gwyn tirandosi su dalla trappola a forza di braccia.

-I romani. Lei è dei nostri, forse anche di famiglia abbastanza ricca, guarda i ricami della veste. È giovanissima…-

-Portiamola da Aodh, lui saprà cosa fare- decise Gwyn prendendola con delicatezza in braccio. Sembrava leggera e, per un istante, si perse a osservare il suo viso. Aveva la bocca piccola e stretta in una smorfia di dolore, che mostrava il suo stato di semi coscienza, e il naso leggermente all’insù, mentre i lineamenti erano pieni di una dolcezza che nemmeno le fate avrebbero potuto eguagliare.

 

Arrivarono al villaggio che stava facendo sera e tutti tornavano alle loro capanne e alle loro donne, e il profumo delle zuppe al farro riempiva l’aria. Per una volta, anche Gwyn sentì la mancanza di una capanna accogliente e una cena calda, così come sarebbe stato poi il letto, preparata dalla sua donna. Ma non aveva nulla di tutto questo, anzi, viveva solo grazie alla generosità dell’amico e della moglie, che non gli negavano mai cibo e un posto per dormire, così, si limitò a stringere il corpo della fanciulla un po’ più forte, quasi a voler imprimere quel momento nella sua memoria. E non sapeva che poi l’avrebbe sognata ogni notte.

La capanna di Aodh era la più isolata, all’estremità del villaggio, e in pochi osavano avventurarcisi se non per questioni di estrema importanza. Aodh era un bardo, non ancora vecchio, senza radici e senza clan. Aveva completato l’addestramento di druido, ma la notte prima di prendere il bordone, era scappato e nei villaggi si era sempre presentato come un bardo, nonostante conoscesse approfonditamente la divinazione e la guarigione. Era arrivato tra la gente del villaggio tanti anni prima, in pieno inverno, e da allora sembrava avesse apprezzato l’ospitalità del clan.

-Gwyn, il bastardo, e Idwal figlio di Urien. A cosa devo la vostra visita?- li salutò Aodh alzando gli occhi dal fuoco, posizionato fuori dalla capanna.

-Abbiamo trovato lei. Era caduta in una trappola per cinghiali- a parlare era stato Idwal

-Oh, no, non è stato solo questo a portarla da voi. Ieri notte ho sentito dei fili che si spezzavano, i romani sono vicini e ieri un bardo e la sua famiglia sono stati massacrati. Pensavo fossero morti tutti, ma lei no. Se la Madre mi darà il potere, cercherò di tenerla in vita. Vieni, portala dentro- disse il bardo scostando di lato la pelle di mucca che copriva l’entrata. Gwyn mosse un passo ma venne fermato.

-No, non tu bastardo. Lasciala portare dentro a Idwal. Le causerai già abbastanza danni-

-Che vuol dire?- chiese Gwyn, dopo aver visto l’amico essere inghiottito dall’oscurità della capanna –Vuol dire che vivrà?-

-Si, sarebbe già morta se la dea non la avesse voluta viva. Dovresti stare attento a lei, potrebbe cambiarti- detto questo, Aodh entrò in casa, cacciando brutalmente fuori Idwal, che si incamminò verso il villaggio con accanto un pensoso Gwyn.

 

-Gwyn? Stai male?- le parole di Arlinna lo riportarono alla realtà, scuotendolo dai suoi pensieri –Sei silenzioso- aggiunse quasi a voler dare una spiegazione a quel richiamo

-Si, sto benissimo. Pensavo e basta- le sorrise. Ogni giorno diventava sempre più bella: portava i capelli color noce intrecciati con dei fiori di camomilla e gli occhi di ghiaccio erano puri quanto una pozza d’acqua. Era dolce e delicata, e la gravidanza le aveva dato un tocco di maturità in più che il viso non faceva trasparire.

-La fanciulla?- chiese con semplicità Idwal, sollevando lo sguardo dalla zuppa. Arlinna lo fissò con uno sguardo omicida, stringendo le dita attorno al coltello che portava alla cintura. Era quello che al villaggio veniva chiamato: dimostrazione d’affetto.

-Esattamente. Non lo so, mi ha colpito parecchio…-

-Non sai nemmeno se sopravviverà, come si chiama, da dove viene. E poi non credi sia un po’ troppo giovane per te?- lo incalzò l’amico

-Vivrà. Stai tranquillo. E poi la sposo- decise sicuro Gwyn, facendo ridere di cuore Idwal

-Avrà la metà dei tuoi inverni!-

-E quindi?-

-Magari non gli piacciono i vecchi-

-Stupido, cosa ne sai? Non la conosci nemmeno tu, questa fanciulla- intervenne pacata Arlinna, andandosi a sedere sulle ginocchia del gigantesco marito.

-Tua moglie ha parecchio più giudizio di te. Hai trovato una donna spettacolare, amico. Tienitela stretta- nemmeno Gwyn seppe da dove gli erano uscite quelle parole, ma seppe che doveva dirgliele. Per risposta, Arlinna si strinse ancora di più a Idwal, che appoggiò con delicatezza, quasi avesse paura di farle male, una mano al ventre gonfio della compagna.

-Si, amico. Lei è una donna stupenda e per questo non riesco a staccarle gli occhi di dosso- rise il gigante, mentre l’altro usciva da quella casa in cui si respirava amore. Stringendo in mano la pietra che la fanciulla della trappola dei cinghiali portava al collo e stringendo nella memoria il suo volto.

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Capitolo 2
*** capitolo due ***


 

CAPITOLO SECONDO

 

Aodh fissò attentamente la ragazza distesa sul pagliericcio. Doveva aver fatto una bella caduta, per procurarsi le ferite che aveva alle gambe. E doveva aver avuto parecchio coraggio e forza d’animo per riuscire a scappare con una ferita da lancia al fianco; lui aveva visto uomini grandi e grossi morire per una ferita lontanamente più leggera di quella. La capiva benissimo per essere semi svenuta dal dolore. Era solo poco più di una bambina.

-Sei decisa a vivere, vero bambina?- le rimboccò le coperte per tenerla al caldo, facendo attenzione a non toccarle la ferita al braccio. Eppure, quel contatto, se pur minimo, le fece digrignare i denti dal dolore.

-Tranquilla, qui sei al sicuro. Non ti verrà fatto alcun male- le accarezzò la tesa con la mano in maniera delicata. Il bardo restò lì a guardarla, pensando che sì, avrebbe cambiato il destino di tutti, quella piccola anima.

 

-Dove sta il bastardo? Dove sta? Dove sei, bastardo? Vieni fuori se ne hai il coraggio!- le urla di Glyn, il figlio del fabbro, svegliarono l’assonnato villaggio. Il ragazzo era armato di tutto punto, scudo e ascia in mano, e puntava alla capanna di Idwal e Arlinna il suo sguardo omicida.

-Allora bastardo?- urlò ancora e, questa volta, sulla porta comparve la figura di Gwyn. Era stato svegliato da quel frastuono e non aveva ancora ben capito ciò che stava accadendo, intontito dall’idromele della sera prima. Aveva i capelli neri scarmigliati dal sonno e la camicia slacciata.

-Cosa vuoi, poppante?- sogghignò. Sapeva di far imbestialire l’altro, chiamandolo così. Non aveva ancora compiuto le diciassette estati, nonostante fosse alto e robusto almeno il doppio di Gwyn. Aveva i capelli rossi e la barba dello stesso colore e il temperamento da attacca brighe.

-Hai guardato mia sorella ieri-

-E anche se fosse?-

-L’hai osata toccare-

-Mi hai svegliato solo per dirmi cose che so già?-

-No, bastardo. Ti ho svegliato per lavare via l’offesa col tuo sangue-

-Addirittura? Non ti sembra un tantino eccessivo?-

-Scegli la tua arma e combatti, bastardo- disse Glyn, soppesando con facilità l’ascia. Gwyn indietreggiò fino alla soglia della capanna dell’amico, senza mai dare le spalle all’avversario, e facendo chiudere le sue dita attorno al suo fidato bastone. Istintivamente, cercò la scarsella e strinse la pietra tonda della fanciulla della trappola per cinghiali tra le mani, quasi a cercare forza.

Glyn saltò totalmente il rituale degli insulti prima di un duello, preferendo lanciarsi contro l’avversario con tutta la forza che aveva, sicuro di vincere in fretta. In fondo, era più massiccio del moro, dotato di più forza fisica e stringeva tra le mani un’arma capace di aprire in due un toro con un colpo solo. Cosa voleva fare Gwyn con solo un bastone? Eppure, vedendo arrivare il colpo, il più grande non si preoccupò di parare, ma si limitò a spostarsi di lato, facendo scivolare in avanti l’avversario, spinto dal peso di un colpo a vuoto. Gwyn colse l’occasione per piantargli il retro del bastone tra le spalle e poi assestargli un colpo di piatto alla schiena, facendogli perdere la stretta dell’ascia, che si piantò a terra.

Glyn recuperò a fatica la posizione frontale, pronto a un combattimento corpo a corpo, nel quale avrebbe avuto sicuramente la meglio. Così, grugnendo, si spinse in avanti per atterrare il moro, ma il bastone fu più veloce, abbattendosi implacabile sul suo collo. Gwyn riuscì a tenere lontano il giovane per un paio di colpi, finchè non si decise a passare all’attacco. Non appena Glyn ebbe recuperato il minimo di forze per provare a lanciarsi sull’altro, questo gli piantò il bastone sotto la gola, facendolo cadere.

Gli salì a cavalcioni sul petto e gli tirò un pugno secco al naso, spaccandoglielo.

-Adesso basta. Smettila Gwyn- a parlare era stata una voce grave, profonda ma roboante: Aengus, il capo villaggio. Era giunto fin lì attirato, probabilmente, dalla folla di curiosi –Ha imparato la lezione. Se osi infierire ancora su di lui, verrai punito-

Gwyn lo fissò con uno sguardo d’odio, ma gli ubbidì. Non tanto per paura di una punizione, quanto per rispetto nei confronti del capo clan.

-E comunque, mucchio di sterco di pecora, io tua sorella non la guarderei nemmeno. Io le bambine non le tocco- disse, sputando in direzione di Glyn e scomparendo nella capanna.

 

-Silenzio! Un po’ di silenzio, per favore!- le urla di Aengus zittirono persino gli uomini più chiassosi –Possiamo continuare l’assemblea?-

Gli uomini lo guardarono senza proferire parola. Il capo clan aveva proclamato l’assemblea solo il giorno prima, anche per decidere la sorte della fanciulla trovata da Gwyn e Idwal. Intanto, però, si stava cercando un modo per far placare le ire di Glyn. Quasi tutto il clan aveva preso posizione e sarebbe stato impossibile portare pace tra i due.

-Personalmente, credo che la questione sia conclusa. Così come è finita. Gwyn ap neb, per tre lune ti sarà impedito di avvicinarti a Samia, figlia di Owain. Glyn, figlio di Owain, se sfiderai ancora a duello Gwyn ap neb, verrai punito. Ora parliamo di cose più serie- Aengus comunicò all’assemblea la sua decisione e fissò tutti gli uomini del clan come se cercasse qualcuno contrario, poi sospirò e continuò –So che le voci girano. Due notti fa, in quasi tutti i villaggi sulla costa, principalmente vicino a Santuari e all’Isola Sacra, sono stati massacrati druidi, bardi e sacerdotesse. E, ieri mattina, Idwal figlio di Urien e Gwyn ap neb, hanno trovato una fanciulla in una fossa per la caccia ai cinghiali. Adesso è affidata alle cure di Aodh, è viva, ma incosciente. Sempre secondo Aodh, si tratta della figlia di un bardo e probabilmente è riuscita a scampare al massacro, nonostante le ferite. Questa mattina, ho parlato con il bardo. Abbiamo deciso che dovrà essere affidata alle cure di una famiglia. Qualcuno che la sorvegli finchè non sarà guarita. Qualcuno?-

Immediatamente, Gwyn alzò la mano.

-L’ho trovata io. Me ne posso prendere cura-

-Gwyn ap neb, tu vivi solo grazie alla generosità di Idwal. Non sai badare a te stesso, vuoi davvero farci credere che la sapresti trattare come si deve?- a parlare era stato Owain, il fabbro, un’omone enorme con i capelli lunghi e gli occhi chiarissimi.

-Allora ci penserò io- disse Idwal

-Idwal figlio di Urien, badi già a tua moglie e al tuo fratello di latte. Sei sicuro di poterti prendere cura anche di un’altra persona?- a parlare era sempre Owain –Se mi è concesso, me ne vorrei prendere cura io. La mia casa è grande e calda. Starà bene-

Aengus si grattò la barba, pensoso: -Credo che sia una decisione saggia, Owain ap Elwel. La fanciulla verrà affidata alle tue cure. L’assemblea è finita-

Ma Gwyn non fece nemmeno in tempo a sentire l’ultima frase che già era uscito dalla capanna del capo per andare a grandi passi verso il fiume. Arrabbiato, deluso e frustrato. Avrebbe volentieri ucciso Owain e tutta la sua famiglia. Per cosa, poi? Una fanciulla. Cosa aveva poi di speciale per farlo sentire così?

-Gwyn. Immaginavo di trovarti qui- disse il bardo sedendosi con delicatezza sulla riva –Sei prevedibile, sai?-

L’altro rispose con un grugnito, tirando una pietra nel fiume e osservando i cerchi concentrici che aveva formato.

-La volevi, vero?-

-Io… non lo so. Era come se non volessi lasciarla. Volevo tenerla tra le mie braccia finchè le ferite non si fossero richiuse, proteggerla dal mondo-

-Ah, credimi. Una come lei non riusciresti mai a proteggerla-

-Cosa vuoi dire?- il discorso lo stava incuriosendo

-È una creatura selvatica. Non riusciresti mai a proteggerla, perché lei sarebbe capace di combattere al tuo fianco. Ora comprendi perché la sentivi diversa?-

-Non permetterò che le facciano del male. Mai.- giurò Gwyn

-Questo promettilo a lei. Quando verrà il momento. Ma poi non essere tu il primo a farle del male-

-Come potrei solo pensare di farle del male? Così indifesa, fragile…- mormorò il giovane

-Non è indifesa, per niente. La proteggono gli dei e è la figlia di un bardo. È strano che i romani se la siano fatta scappare… Forse la Dea voleva che vi incontraste- disse Aodh, alzandosi e dirigendosi il villaggio –Ah, credo che tu abbia qualcosa di suo, Gwyn-

Il moro fissò il bardo con uno sguardo interrogativo, a cui rispose Aodh: -una collana, penso-

-Non potrebbero averla presa i romani?-

-Se le avessero preso ciò che lei portava al collo, l’avrebbero uccisa- Gwyn mise mano alla scarsella e strinse la collana della fanciulla –No, non darla a me. Dalla a lei, quando sarà il momento-

-E quando sarà il momento?-

-Quando saprai perché lei sarà diventata così speciale per te- rispose il bardo andandosene. Gwyn si perse a guardare la pietra, per la prima volta. Pietra lascia, forse di fiume. Da un lato, però, c’era un’incisione. Una runa, pensò. Sicuramente qualcosa di protezione, nonostante ai suoi ricordi, la runa di protezione sembrasse molto più elaborata di due linee incrociate. Ci passò le dita sopra, come a imprimersi ogni particolare nella memoria. Come a cercare qualcosa di lei nella quotidianità.


NOTE DELL'AUTRICE: un paio di cosine sull'ambientazione storica. Il massacro con cui si apre il primo capitolo, è stato parte della storia britanna, perpetuato pochi anni dopo la nascita di cristo, in cui morirono la maggior parte dei druidi, delle sacerdotesse e dei bardi. Per la geografia, non mi sono attenuta propriamente alla geografia ufficiale, ma ho ambientato la storia nell'odierno Galles sud-occidentale (l'Isola sacra dove avvenne il massacro è da qualche parte nella odierna Cornovaglia). Che dire di altro? I personaggi sono tutti esistenti veramente e sono tutte persone che conosco veramente perchè sono appunto ispirate a "amici" in carne e ossa, per ora ho inventato solamente Samia. 
Spero di non fare troppi scivoloni storici, se no mi butto dalla finestra (o mi cacciano dal clan di rievocazione storica) e ringrazio vivamente chiunque abbia letto nell'ombra, se volete lasciate una recensione prendendo a esempio Tremorchrist (Bice ti amo, anche se hai già lo spoiler
)

Tenebra

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Capitolo 3
*** capitolo tre ***


CAPITOLO TERZO
 

Erano passate due settimane. Due settimane in cui il villaggio era andato a vivere normalmente, chi andava a caccia, chi a fare legna, chi lavorava il legno, chi il ferro, chi badava agli animali. Le donne filavano e tessevano i mantelli per l’inverno che sarebbe arrivato a breve, guardando a vista i bambini e facendosi aiutare dalle figlie maggiori nel duro lavoro di fare i formaggi. Nacque una vita, in quelle due settimane. La bambina di Idwal e Arlinna, una cosina minuscola, con una peluria nera sulla testa e gli stessi occhi della madre. Idwal le aveva dato il nome di Sunbeam ap Idwal. Raggio di sole, figlia di Idwal. Qualcuno aveva insinuato che non era bene avere una figlia come primogenita, suggerendo di non riconoscerla. Il gigante aveva riso all’idea. Aveva stretto al petto la neonata, l’aveva chiamata per nome per la prima volta, mentre la piccola gorgogliava orgogliosa di essere venuta al mondo e aveva deciso che l’avrebbe addestrata come se fosse stata un maschio. Poi si era chinato a baciare la moglie e, più che mai, Gwyn si era sentito di troppo.

Anche quella sera, stava mangiando la minestra di farro perso tra i suoi pensieri. Sapeva che l’amico non lo avrebbe mai cacciato, ma sentiva come una spinta ad andarsene. Ma come poteva, senza una donna? Avrebbe comunque dipeso dal buon cuore della donna che aveva di fronte, che solo dopo la nascita della bambina, sembrava essere veramente adulta. Ancora una volta, si ritrovò a pensare alla fanciulla che aveva salvato. Sentiva ancora il suo corpo premere contro il petto, il respiro debole sulla sua pelle… Se solo si fosse svegliata…

 

Glyn era rimasto al capezzale della fanciulla per tutto il tempo. Da quando suo padre era entrato in casa con quel fagotto di coperte e l’aveva deposta sul pagliericcio accanto al fuoco, Glyn si era incantato a osservarne il viso, la dolcezza dei lineamenti, i capelli che ricadevano, sciolti da qualsiasi pettinatura, sulla fronte e sulle spalle, e perdendo le notti immaginando di stringere il suo corpo fino a proteggerla da chi le aveva fatto quello e sognando il colore degli occhi che le palpebre chiuse nascondevano. Le era rimasta accanto, sempre. Non la lasciava nemmeno per mangiare. Ogni tanto, con l’aiuto di un mestolo, cercava di farle bere un po’ di brodo. Le accarezzava dolcemente il viso, le parlava del villaggio e, da due settimane, nessuno lo vedeva più in giro ad attaccare brighe. Era totalmente catturato da lei.

-Glyn? Non ti unisci a noi a mangiare?- Samia aveva parlato, sperando di smuovere il fratello maggiore a unirsi a mangiare con loro. Aveva da poco compiuto le quindici estati, era quasi una donna e il suo temperamento docile e i grandi occhi verdi da cerbiatta, la portavano ad avere spasimanti che avrebbero dato di tutto pur di sposarsela.

-Tesoro, lascia stare tuo fratello- dolcemente aveva parlato Arwyn, la moglie di Owain, alzandosi a portare una scodella di zuppa al figlio. Il carattere pacato e paziente della donna, si contrapponeva al fuoco del fabbro e di suo figlio; ma era la sua voce, leggera come refolo di vento, in quella casa, a dettare legge, più che la potenza vocale del marito. I capelli di Arwyn, erano ormai grigi, con pochissime striature ancora rosse, e gli stessi occhi verdi e grandi dei due figli.

Il fabbro mangiava in silenzio, sguardo fisso all’entrata della porta, costantemente sulla difensiva, la paura dei Romani, ormai, si era diffusa in tutta la regione confinante con l’occupazione romana, quando, debolmente, nella semioscurità fumosa della capanna si levò una voce flebile: -Dove sono? Chi sei tu?-

Immediatamente, Arwyn si precipitò al capezzale della fanciulla, scansando il figlio, non prima che questo riuscisse a vedere lo sguardo tanto agognato. Era quello di un cucciolo fiero che è stato piegato dal mondo, nascosto in quegli occhi castani. Se ne innamorò.

-Non alzarti, non fare sforzi. Ecco, bevi- disse portandole il mestolo alla bocca. Lei bevve avidamente –Avrai fame, adesso ti do un po’ di zuppa, va bene? Qui sei al sicuro. La tua ferita dovrebbe essere quasi guarita, ma sei ancora debole. Non aver paura di mio marito, è una buona persona, e nemmeno di mio figlio, nessuno ti farà del male, qui.-

-Grazie… Io, io non ricordo… Come sono arrivata qui?-

-Ti hanno trovato nella trappola per cinghiali, eri ferita- a parlare era stato Glyn –Hai un nome?-

-Gwen, Gwen ap Urien-

 

-Gwyn! Gwyn!- le urla da ragazzino del figlio del maestro di spada si propagarono per quasi tutto il bosco. Quasi tutti gli uomini erano a fare legna, che sarebbe servita a riscaldare le case durante l’inverno, o a cacciare. Nessuno era proprietario del lavoro che faceva, era tutto in comunità con il villaggio e il capo clan divideva equamente, in base al numero di membri della famiglia, il ricavato della legna, della selvaggina, dei formaggi e dei raccolti. Chiunque avesse rubato qualcosa, sarebbe stato punito con l’esilio.

-Gwyn? Qualcuno ha visto Gwyn?-

-Si, ragazzino. È andato da quella parte, è con tuo padre- rispose uno degli uomini, impegnato. Il ragazzo riprese la sua corsa verso la parte di bosco indicatogli. Lo trovò intento a scortecciare un albero, assieme a suo padre.

-Gwyn! Padre!- richiamò l’attenzione dei due

-Dubhan, cosa c’è?- rispose il moro senza togliere lo sguardo dal tronco

-La fanciulla si è risvegliata, Aodh ha detto che ti vuole vedere-

-Ti fidi ad andare da solo da quel vecchio pazzo o vuoi che ti guardi le spalle?- intervenne Myrddin, il maestro di spada.

-Non penso sia del tutto pazzo, amico mio. E poi non devo andare nella tana di Owain da solo- rise Gwyn, in realtà Owain non gli aveva mai fatto nulla di male, ma forse suo figlio Glyn era molto più vendicativo del fabbro, tanto da non dimenticare quello che era successo sei estati prima.

-Dai, lo porto al villaggio- la voce di Myrddin lo distrassero dai suoi pensieri

-Hai detto qualcosa?-

-Si vecchio caprone, vengo al villaggio con te. Tu e tu, figliolo, aiutatemi con questo tronco- i tre si piegarono sulle ginocchia per issarsi il legno in spalla –Forza tiratelo su come le gonne di una donna!-

-Padre!- lo rimproverò Dubhan

-Ehi, Myrddin, hai cresciuto un verginello?-

-Non parlarmene, amico. Tu a donne?-

-Vanno e vengono… Nessuna resta- replicò sconsolato Gwyn

-E con Samia?-

-Non l’ho neanche guardata. È solo una bambina. Glyn avrà bevuto più del dovuto e si sarà sognato le cose-

-Glyn cerca solo un modo per fartela pagare Gwyn-

-Myrddin. Tu c’eri. Lo sai che non è stata colpa mia-

-Lo so, saremmo potuti essere stati tutti al tuo posto-

-A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non fossi scappato-

Myrddin lasciò cadere di colpo il tronco, facendo perdere l’equilibrio agli altri due, per prendere Gwyn per le spalle e farsi osservare negli occhi castani: -Saresti morto. E adesso sarebbero due famiglie a cercare vendetta-

-Nessuno di voi avrebbe il diritto di piangermi o di vendicarmi-

-E tu credi che le consuetudini avrebbero impedito a me, Idwal e a Nimue, se fosse stata viva, di non vendicarti?-

-Hai già lei da vendicare, amico-

-E credimi, un giorno lo farò. Nessuno avrebbe dovuto osare umiliarla. Nessuno avrebbe dovuto osare umiliare la mia donna.- un lampo di violenza e furia omicida passò negli occhi del maestro di spada, in preda ai ricordi di quel giorno così lontano, ma di così fresco dolore. –E in ogni caso, amico mio, io sarò sempre al tuo fianco. E con me mio figlio-

Gwyn non sapeva che un giorno, quella promessa gli avrebbe salvato la vita.






NOTE DELL'AUTRICE: alloraaaa! Che capitolo di m***a. No, vabbè dai, chiedo venia. Credo di aver ammassato millemila robe, ma ho troppa voglia che la storia vada avanti da tagliare un sacco le scenette inutili. Comunque, un paio di noticine.
Le assemblee esistevano, vi partecipavano solo gli uomini liberi e ho praticamente inventato il tutto.
I duelli per onore c'erano pure loro, come il diritto di vendetta della morte di un parente prossimo (fratello/moglie/figli/genitori) e erano di uso comune anche lo sfidare a duello per lavare l'offesa con il sangue. 
Poi, nell'epoca celtica, era sicuramente preferibile avere un primogenito maschio e per questo, molti non riconoscevano le figlie. Cosa che Idwal pare non faccia, anzi, come molti padri promette di addestrarla come un uomo (era di uso comune anche questo). 
Spero che in quanto a nozioni storiche, il resto non sia troppo campato in aria, se lo ritenete, recensite pure urlandomi contro che certe cose non esistevano e prometto che esco dal mio clan. 
In ogni caso, grazie a chiunque legga nell'ombra e a TremorChrist che per ora è l'unica che recensisce se no le mando i romani a casa. 
A presto 
Tenebra

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Capitolo 4
*** capitolo quattro ***


CAPITOLO QUATTRO
 

Gwyn arrivò davanti alla capanna del bardo, incerto se entrare o no. Sapeva bene quanto quel uomo potesse essere suscettibile e indisponente e l’ultima cosa che avrebbe voluto sarebbe stata quella di farlo indisporre, fino a non farsi dire ciò per cui era arrivato fin lì.

-Guarda che ti sto aspettando, Gwyn ap nebb. Entri o vuoi farmi aspettare tutto il giorno- aveva ululato da dentro Aodh

-Come mai da qualche tempo, tutto il clan si è deciso a ricordarmi che io sono figlio di nessuno più frequentemente del solito?- borbottò Gwyn

-Desideri dell’infuso di salvia?- lo ignorò il più anziano

-No grazie. Mi hanno detto che volevi parlarmi?-

-Tieni, prova queste. Sono la mia specialità- gli allungò una ciotolina di legno con dentro delle piccole palline di colore verdastro

-Hai intenzione di avvelenarmi?-

-Perché dovrei avere interesse a ucciderti? Sei un bastardo, non hai nulla che possa avere valore per me. Mangia pure, c’è argilla, infuso di salvia e foglioline di menta selvatica- Gwyn allungò timidamente la mano, mettendo in bocca una delle palline e… Avevano un buon sapore! Ci affondò i denti dentro, mentre il bardo diceva:- Non masticarle, oppure sembra di mangiare terra-

Il moro fece una faccia schifata e, senza farsi vedere dal bardo, sputò l’ammasso a terra*.

-Ma di cosa volevi parlarmi?-

-Uh, giusto, giusto. Si è svegliata-

-La fanciulla?-

-No, mia nonna, la fanciulla, si-

-E ora dov’è? Come sta? Da quanto è sveglia?-

-Ehi, calmati. È a casa di Owain, e tu non ti ci avvicinerai. Non fare cose folli, Gwyn. Adesso è tempo di seguire la testa, poi verrà il momento di usare il cuore, come in battaglia-

-Cosa ne sai tu di battaglie?-

-So che tu, per essere ancora vivo, sei scaltro, usi la testa. Non sei un guerriero che segue l’istinto. Perché ora vuoi seguire così tanto il tuo cuore, Gwyn?-

-Sento qualcosa, come un filo che mi lega a lei. E ti assicuro che sarà mia-

-Se riuscirai a domare una bestia selvatica, sarà tua. Ma lei appartiene già a qualcuno-

-A chi?-

-A qualcuno a cui apparteniamo tutti-

 

-Fammi provare- una voce femminile interruppe il movimento di Gwyn, facendogli perdere la continuità del movimento e la spada scalfì solo leggermente la superficie dello scudo di Myrddin. Persino Idwal, impegnato a affilare la punta della spada alzò lo sguardo dalla lama. Davanti alla vista dei tre uomini, stava in piedi lei.

-Sei una donna, forse nemmeno, ancora. Non combatto contro le donne- disse Myrddin. In quegli occhi castani aveva visto un guizzo di vita che conosceva fin troppo bene, il guizzo di vita che aveva Nimue. La sua Nimue…

-Non desidero combattere contro di te. So che uno di voi tre mi ha salvato la vita…-

-Sono stato io. Gwyn ap nebb- la interruppe, quasi bruscamente, facendo un passo avanti. Lei sorrise.

-Grazie. Posso chiederti un duello?- chiese pacata. I capelli castani erano sciolti fino a ricadere sulle spalle e il vestito sembrava esserle stato riadattato da uno più largo. Era alta per essere una donna, seno prosperoso e fianchi larghi.

-Se mi assicuri che non hai paura di combattere si-

-Dammi una spada- Gwyn le porse la sua, e chiedendo silenziosamente la spada a Myrddin. Lei la afferrò e perse qualche attimo a soppesare la lama, controllarne il bilanciamento e infine a passare il filo tra le dita. Si incantò qualche istante a osservare l’arma, come persa tra i ricordi. Poi, si mise in posizione.

Gwyn, con un po’ di timore, mosse il primo attacco. Non era abituato al peso della spada e non era abituato a essere così vicino al suo avversario. E non era abituato a lei. Ad averla così vicina. Quasi non si accorse dell’affondo veloce della fanciulla e riuscì a parare solo all’ultimo.

Attacco, parata, contro attacco. Quello che lui non aveva in tecnica, lei non aveva in forza. Quello che lui aveva in furbizia, lei aveva in istinto. Poi, per sbaglio, un errore di valutazione, Gwyn non trovò la spada della sua avversaria, ma la pelle. La lama le si piantò sotto l’unghia del pollice e Gwen, sorpresa, non tenne il colpo che scalfì di taglio una nocca del moro. Gwyn ritrasse la mano e con essa la spalla, mentre Gwen, quasi come se non si fosse accorta di nulla, attaccava di nuovo. Questa volta, fu facile spezzare la guardia dell’avversario e frenare l’arma sulla gola dell’uomo. Poi abbassò lo sguardo sulla mano. Sangue.

-Ti ho fatto male?- chiese subito Gwyn. E solo allora, notò che anche la mano dell’altro sanguinava.

-Non penso più di quanto non te ne abbia fatto io- sorrise ingenuamente

-Non è nulla, davvero-

-Scusami-

-Tranquilla, vieni, siediti qui, adesso chiedo a Idwal se ha qualcosa per tamponare il sangue-

Gwen si fece guidare fino a un ceppo in legno. Osservava Gwyn, non le sembrava possibile che fosse stato lui a salvarla. Forse l’altro, quella specie di gigante… Gwyn le sembrava la classica persona praticamente invisibile…

-Tieni- la sua voce la distolse dai suoi pensieri. Le stava porgendo un pezzo di stoffa, mentre ne teneva in mano un’altra

-Grazie-

Gwen iniziò a tamponare il sangue che usciva copiosamente, osservando il moro fasciarsi l’indice, e la ferita colorare di rosso la stoffa.

-Faccio io- disse la fanciulla, mossa da non si sa cosa. Si inginocchiò accanto a Gwyn e con maestria, quasi non avesse fatto altro nella vita, fasciò la fasciatura.

-Mettici aglio selvatico, resina di pino e tienila bagnata con dell’idromele. Poi fascia tutto, almeno una volta al giorno. In poco tempo dovrebbe guarire.-

-Te l’ha insegnato il bardo?- chiese incuriosito Gwyn

-No, mia madre-

Lui la fissò fasciare anche la sua ferita, incantato.

-Combatti bene per essere una donna-

-Grazie-

-Chi è stato il tuo maestro?-

-Mia madre era una guerriera-






NOTE DELL'AUTRICE:chiedo perdono! Chiedo umilmente perdono! Ci ho messo secoli ad aggiornare, ma vi assicuro che sono stata un sacco presa tra scuola e tutto il resto. 
Allora, capitolo cortino, lo ammetto, ma davvero mi sono dovuta spremere come non so cosa per farlo. Essendo tutti i personaggi reali, compresa Gwen, sto cercando di non snaturarli troppo e mi costa una fatica immane, ve lo assicuro. In più, da scema quale sono, questo capitolo è quasi interamente su fatti reali accaduti alla sottoscritta, la quale sta cercando di ricordare cosa pensava in quei momenti.Ah, tra parentesi, ho ancora la cicatrice di quella spadata (e di altre), come l'alterego reale di Gwyn non ha più una nocca a causa mia eheheh...
*: quelle caramelle esistono davvero. In realtà sono fatte con argilla, argilla verde, oli essenziali di salvia e succo di arancia. Sono buonissime, ma (proprio come Gwyn) quando me le hanno offerte la prima volta ci ho affondato dentro i denti... E la sensazione non è stata piacevole!
A presto (spero)
Tenebra

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Capitolo 5
*** capitolo cinque ***


CAPITOLO CINQUE
12 anni prima
 
-Vedi, piccola mia, non sempre è possibile vivere in pace con noi e con gli altri. A volte, qualcuno decide di, come posso dirti, fare del male a qualcun altro. E questo altro deve difendersi. Credimi, non voglio abbandonarti, figlia mia, sono tua madre, non potrei mai. Ma qui sarai al sicuro, non posso portarti con me, non potrei proteggerti- la donna era accovacciata davanti alla figlia, una bambina di soli cinque anni. Era vestita come un uomo, pantaloni e tunica, e dal mantello, sporgeva una spada portata sulla schiena, pugnale alla cintura e, dalla parte opposta, ascia da guerra e, infine, portava infilato sul braccio sinistro uno scudo rotondo. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, fino a cinque anni prima, quella donna era stata una sacerdotessa. Ma, poiché nonostante i divieti romani, aveva celebrato Beltane giacendo con un bardo, era stata cacciata dal santuario non appena aveva dato alla luce la bambina che portava in grembo. Era riuscita a crescerla nel bosco, facendole imparare i segreti della foresta, delle erbe e, non ultimo, della spada.
La bambina si guardò attorno leggermente stranita: in quella capanna vi erano pentoloni di diverse dimensioni, tutti perfettamente lucidati, numerose ciotole in legno e cucchiai e, non ultimo, il profumo di zuppa si spargeva dolcemente per tutta la casa. Tutto in ordine, tutto pulito.
-Non spaventarti, piccola guerriera. Ho detto a tuo padre di continuare a farti addestrare con la spada insieme ai tuoi fratellastri, quella è la moglie di tuo padre. È una brava donna, ti tratterà come una figlia, non temere- sussurrò all’orecchio della figlia, abbracciandola.
-Nimue… Dolce Nimue… Hai sempre voglia di fare di testa tua, sei indomabile, sei un cavallo selvaggio, mio vecchio amore- a parlare era stato un uomo di mezza età, con la barba lunga e grigia e completamente calvo. Il bardo Urien. Il venerabile bardo Urien, colui che aveva cantato le gesta dei principali capi tribù di tutta la Britannia.
-Non sono più il tuo amore, Urien. Non sono più di nessuno. Ora pensa solo a mia figlia, a crescerla decentemente. Un giorno io, il bosco, la spada o la Madre la reclameremo. Quando quel giorno verrà, voglio che tu la lasci libera. Nessuno può sottrarsi al suo destino, dovresti saperlo-
-Nostra figlia-
-Come?- Nimue rimase a guardarlo stupita
-È nostra figlia, la bambina-
-Se era anche tua figlia, dov’eri quando mi hanno abbandonata a darla alla luce da sola, quando ero troppo debole per cacciare e pregavo la Dea che nessun animale decidesse di usarci come cibo, quando mi sono dovuta difendere da sola dalle bande di reietti romani. Dov’eri?-
-Non ho avuto mai più tue notizie-
-Sei un bardo. Queste cose le sente perfino una novizia. Non cercare scusanti per la tua codardia. Un giorno, la Morte busserà alla tua porta, spero che le urla della Banshee ti terrorizzino così tanto da non poter scappare a Lei, che ti facciano assaporare ogni istante della Sua venuta- sputò Nimue, allontanandosi da quella casa, certa che sua figlia non l’avrebbe mai più vista.



NOTE DELL'AUTRICE:  DON'T KILL ME! L'ho fatto apposta questo breve inciso, sul personaggio di Nimue, perchè sarà sicuramente una delle colonne portanti della nostra storia. Sulla parte del divieto di festeggiare Beltane posto dai romani durante l'invasione in Britannia, mi sono attenuta a Le nebbie di Avalon, nonostante non sopporti quel libro, ma ogni tanto torna utile.
Grazie ancora a tutti quelli che hanno letto nell'ombra e ancora una volta vi esorto a lasciare una recensioncina, anche se negativa e ringrazio la solita TremorChrist che però recensisce sotto ricatto che un orda di romani le invada casa. Scherzo dai!
A presto
Tenebra

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Capitolo 6
*** capitolo sei ***


CAPITOLO SEI
 
Gwen intrecciò l’ultimo fiore al filo di lana della coroncina, mentre il sole stava per calare oltre gli alberi della foresta. Già si sentivano le grida degli uomini che stavano accatastando la legna per i fuochi.
-Mia mamma diceva che se mai una donna si dovesse sentire triste, lei deve intrecciare i suoi capelli con i fiori. La tristezza resta intrappolata nei nodi delle trecce- sussurrò Arwyn, sedendosi con delicatezza sul uscio della capanna, di fianco alla fanciulla –Ti vedo triste-
-Malinconia, credo. La stessa festa la celebrava anche il mio clan, ricordo che tutte le donne ballavano attorno ai fuochi e i bardi cantavano. Cantava anche mio padre… Samia ci sarà alla festa?-
-Mio figlio crede non sia saggio. Ha paura che le possano fare del male. È un attaccabrighe, mio figlio, io non posso farci nulla… ma accusare che qualcuno al villaggio potrebbe fare del male a mia figlia, è da ingrati. A volte, quando perdi qualcuno di caro a te, vorresti farla pagare a tutti- disse, facendo vagare lo sguardo
-Glyn? Chi ha perso?-
-Un fratello e una sorella. Sei anni fa. Non fu colpa di nessuno, ma mio figlio maggiore era particolarmente legato a Gwyn ap nebb e mia figlia era la sua promessa sposa. Glyn non ha mai smesso di cercare vendetta per i fratelli, incolpando Gwyn- raccontò la più anziana
-Come avrebbe potuto Gwyn portare alla morte due persone che comunque amava? Non ha esitato a salvarmi la vita-
-Ah, piccola… Devi sapere che per molti una persona è solo il suo nome. Io credo che al massimo si possa giudicare una persona da quanto grande è il suo cuore. E quello di Gwyn, posso assicurartelo, è molto grande-

Gwyn era seduto appena fuori dalla capanna di Idwal. Il profumo dei maiali e dei cinghiali che stavano venendo cotti si stava spargendo per tutto il villaggio, assieme al solito odore di zuppa di farro. Dentro, sentiva il pianto della piccola Sunbeam e i tentativi del gigante di calmarla. Tutte le donne si erano date appuntamento oltre ai fuochi per scambiarsi le corone di fiori e qualche pettegolezzo. Festa… Eppure fosse stato per Gwyn si sarebbe buttato sul suo giaciglio in un batter d’occhio. Festa… Nella sua testa, balenò un pensiero: avrebbe rivisto la fanciulla, aspetta, come si chiamava? Gwen, giusto. Aveva ancora la sua runa, chissà se lei se ne era già accorta di non averla o meno. Se l’avesse vista, decise che gliela avrebbe ridata. Anche se questo avrebbe voluto dire che non avrebbe più avuto nulla che gli facesse ricordare di lei. Lei, che gli era sembrata così fragile, alla fine si era rivelata dotata di una forza e un coraggio straordinari. 
-A che pensi, amico?- la voce del maestro di spada lo fece sobbalzare
-A nulla…-
-Non si può pensare a nulla, dimmi pure che stai pensando a quanto è blu il cielo, ma dimmi a cosa stai pensando- lo rimbeccò Myrddin
-E va bene, va bene. Pensavo alla fanciulla-
-Quella che ti ha aperto una mano?-
-Lei. Gwen, si chiama Gwen- ripetè il suo nome come a imprimerselo nella memoria
-Buona tecnica, molto istinto. E una forza, che mai vista in una donna…- la giudicò Myrddin
-Non mi aspettavo nemmeno io una forza così grande, mi era sembrata fragile. Ma quando l’ho vista duellare, mi ha ricordato Nimue-
-Nimue… La mia Nimue, si forse hai ragione, ma lei non è mai stata fragile, non l’ho mai vista piangere. Ricordo ancora quanto non volesse mai aiuto, fosse stato per lei, mi avrebbe ucciso pur di chiedere aiuto a uno sconosciuto- ricordò il maestro di spade
-Hai visto lo sguardo che aveva? Una specie di “sfidami pure, ho battuto la Morte chi sei tu per sconfiggermi?”-
-Le somiglia così tanto da farmi pensare che potrebbe essere sua figlia…- mormorò il più basso
-Sarebbe impossibile, per la Dea! Nimue era troppo giovane, non aveva nemmeno venticinque primavere!-
-Ne aveva ventiquattro quando è nato Dubhan, magari ha avuto una figlia e poi l’ha abbandonata-
-Non dire così. Aodh mi ha detto che è figlia di un bardo, pensi che un bardo avrebbe potuto sposare una donna come Nimue-
-Nimue era una sacerdotessa-
-Nimue era una guerriera, amico mio. Ricordatelo sempre-
-Mi manca. A volte penso a lei prima di dormire, sento le sue labbra poggiate sulle mie, il suo corpo stretto a me, sento la sua risata sguaiata e il suo sorriso beffardo. Ci sono giorni in cui credo che sarebbe meglio trovare una donna che faccia da madre a Dubhan, lo pensavo soprattutto quando era piccolo. Credevo che non ce l’avrei fatta ad andare avanti senza Nimue-
-Ma sei ancora qui. Ti ho visto vagare per il bosco con il cuore spezzato dopo la sua morte e ti ho visto tornare a vivere, grazie a tuo figlio. Tu avevi un motivo per non morire, mentre io, io continuo a domandarmi perché non c’ero io al posto di Gawain o di Eira. Ci sarebbe una famiglia in meno alla ricerca di vendetta-
-Ricordi quel che fece promettere tua madre a me e Idwal prima di morire?-
-Eravamo dei ragazzini Myrddin!-
-Te lo ricordi?!-
-Che mi avreste protetto le spalle-
-E che ti avremmo vendicato-
-Non ne avreste il diritto-
-Mi importa più di tua madre che del diritto. Te la ricordi ancora?-
-Lei non è più qui, cosa importa questo Myrddin?-
-Non eri tanto un ragazzino. Quindici primavere non vuol dire essere un ragazzino. Ora dimmi, te la ricordi tua madre?-
Gwyn scosse la testa: -Ricordo solo vagamente il suono del mio nome pronunciato da morente. Ma ora che importa lei non è più qui da tanto-
-Lei è sempre qui. Lei è al tuo fianco, proprio come lo sono Gawain e Eira, soprattutto Eira, ti amava.  È stata il tuo primo amore, ma Nimue diceva che per un uomo ci sono due amori nella sua vita: il primo amore e il grande amore. Ora cerca il tuo grande amore, colei che sarà il tuo rifugio, il tuo cuore. Cercati la tua donna, conquistala se la ami e proteggila, amala, rispettala e onorala. Lei scenderà in guerra per te-


-Qualcuna ha visto mia figlia? Piccola e magrolina, capelli castani. Qualcuno ha visto la mia Lexyy?- una donna girava urlando tra tutte le altre, riunite al fiume per prepararsi alla festa. Tutte scuotevano la testa, e man mano, il suo sconforto cresceva.
-Arwyn, Samia, voi avete visto la mia Lexyy?- chiese al gruppetto formato dalla moglie e dalla figlia del fabbro e da Gwen
-No, Nora. Cosa ha combinato ancora?- a parlare era stata la pacata Arwyn
-Come al solito, quella si crede un maschio, finisce sempre nei guai. Se la Dea ci ha fatto donne, tanto vale lasciare agli uomini le cose da uomini- sghignazzò Samia nell’orecchio di Gwen
-Credo che tutte noi dobbiamo imparare a difenderci. Io so combattere e cacciare-
-Davvero?-
-Certo, se vuoi un giorno posso insegnarti-
-Mi ricordi mia sorella, per quel poco che l’ho conosciuta-
-Tua sorella?-
-È morta sei estati fa. Ma prima aveva chiesto al suo promesso sposo di insegnarle a combattere, ma non so cosa ci trovasse in lui, era solo un bastardo- 
-Gwyn?-
-Esatto, un bastardo figlio di nessuno. Mio fratello dice che l’ha fatta morire apposta- 
-Ho conosciuto Gwyn, non mi sembra malvagio. E in più se non fosse stato per lui io sarei morta. Gli devo la vita, e gli porto rispetto-
-Ti conviene stargli lontana-
-Non si comanda al cuore, Samia. So di avere solo due inverni in più di te, ma ho un debito nei confronti di quel uomo e intendo saldarlo, un giorno- 
 



NOTE DELL'AUTRICE:  buon Samain, intanto! 
Allora, qui pare che di Gwyn si parli tanto e in diversi modi, e si inizia a fare luce su alcuni punti del suo passato e sul perchè Glyn lo odi così tanto. Non preoccupatevi per Lexyy, la ritroverete più avanti e sto già adorando questo personaggio, tanto diverso dagli altri.
Ringrazio la solita TremorChrist e invito tutti voi che leggete nell'ombra a lasciare una recensione.
. A presto, spero

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Capitolo 7
*** capitolo sette ***


CAPITOLO SETTE

-Ehi? Psss- una voce proveniente da dietro un albero catturò l’attenzione di Gwen –Mia madre è ancora in giro?-

-Chi sei?- domandò la fanciulla a bassa voce e in maniera furtiva. Samia l’aveva abbandonata per andare a scambiarsi pettegolezzi con alcune amiche e Arwyn si era allontanata per verificare se la cottura delle zuppe stesse avvenendo nel modo giusto. Gwen si era quindi trovata ai margini della piccola folla di donne affaccendate a prepararsi per la festa e, in oltre, era completamente sola.

-Mi chiamo Lexyy. Mia madre è lontana?- Lexyy, quel nome in Gwen risuonò familiare. Non era forse la figlia di quella donna che aveva chiesto loro se l’avessero vista? Certo che si.

-Si, puoi uscire fuori-

Dalla boscaglia, uscì una figura minuta. Arrivava si e no alla spalla di Gwen e era robusta la metà, quasi completamente pelle e ossa. I capelli erano tagliati appena sotto il mento, di color castano scuro e indossava calzoni e camicia come un uomo. Il viso era pallido, spruzzato di lentiggini sul naso, sul quale si aprivano due grandi occhini verdi. Lexyy.

-E tu chi saresti?-

-Gwen ap Urien-

-Sei quella della fossa dei cinghiali?-

-Esattamente. Tu che ci facevi nel bosco?-

-Duellavo. Con Dubhan, il figlio del maestro di spada. Ha due estati in meno di me e mi sta insegnando a combattere. Ho sempre voluto essere una guerriera- Lexyy esaminò attentamente chi aveva di fronte e… aspetta… quelle mani… no, non poteva essere.

-Tu combatti?- chiese improvvisamente

-So usare una spada abbastanza bene-

-Qualcuno ti ha ferito, recentemente?- Gwen sorrise.

-Intendi questo?- chiese mostrando il pollice tagliato alla più piccola

-Ovvio-

-Piccoli incidenti che capitano-

-Con chi hai duellato?-

-Gwyn-

-Hai davvero duellato con lui?! Sono mesi che cerco di convincerlo a insegnarmi a combattere anche con il bastone… Dice di essere già abbastanza colpevole per avermi regalato una spada di legno! Mia madre ancora un po’ lo uccideva quando lo ha scoperto!- rise di gusto Lexyy

-Pestifera di una! Eccoti finalmente! Guardati, sei tutta sporca, perfino in faccia, vai subito a pulirti! Per la Madre, due figlie, una peggio dell’altra! Avevo fiducia nella più piccola, dato che la grande a neanche venti estati ha preso e se n’è andata a abitare con quel gigante e con il bastardo. Vive con due uomini!- urlò Nora mettendosi in mezzo alle due fanciulle e spingendo via la figlia per poi rivolgersi a Gwen

-Non sei una faccia conosciuta-

-Mi chiamo Gwen, figlia di Urien il Bardo-

-Ah… So che hai creato un bel disastro, senza che tu lo sapessi ovviamente-

-Come…?-

-Il bastardo. Pare che ti avesse messo gli occhi addosso. Per fortuna Aengus non si è fatto influenzare dagli antichi legami e ti ha messo sotto la protezione del fabbro- Gwen la guardò esterrefatta –Stai lontana dal bastardo, dicono che allunghi le mani un po’ troppo-

-Non preoccupatevi. Credo di saper badare a me stessa-

 

 

-Qualche bella pollastra in giro, Gwyn?- Hywel si sedette come una freccia accanto al moro, spingendolo praticamente appiccicato a Myrddin –Myrddin tu?-

-Nulla di che, sono sempre le stesse alla fine- rispose abbattuto Gwyn, osservando Hywel attentamente: era un guerriero alto, robusto e completamente tatuato. Era giusto poco più giovane di Gwyn, ma era già calvo e in testa portava una graziosa corona di fiori –Tu sei andato da Muirne immagino-

-Da cos…? Si, mi ha regalato questa corona. Mi ha detto di dartela, le manchi. E anche a Carysne- rispose malizioso Hywel

-Dille che può anche tenersi la mia mancanza. E le sue corone-

-Che ti succede amico? Da una luna a questa parte ci sei meno. Non vorrai dirmi che ti sei trovato una donna?-

-Ma va…-

-Stai tenendo d’occhio Samia eh?-

-Certo, perché ora guarderei le bambine. Grazie per la fiducia-

-Era tanto per dire, dai, non te la prendere. E poi somiglia tanto a sua sorella. Forse sua sorella era più prosperosa qui- rise Hywel portandosi le mani a coppa sul petto

-Cosa hai detto?-

-Samia sta crescendo bene. Forse potresti farci un pensierino, somiglia così tanto a Eira-

-Samia non sarà mai Eira. Nessuna sarà mai come lei. Nessuna, hai capito? Osa nominare un’altra volta il suo nome e vedi che ti faccio passare la voglia- lo minacciò alzandosi dalla panca. Gli prese la corona dalle mani per lanciarla nel fuoco scoppiettante davanti a loro, dopodichè si avviò verso il bosco a passo svelto col volto scuro di rabbia.

 

-La festa non ti piace?- Gwyn sentì una voce femminile alle sue spalle. Era turbato, voleva stare solo, chi era quella persona così folle da cercarlo in un momento in cui avrebbe ucciso chiunque gli si fosse avvicinato?

-Vattene- le rispose lui

-E lasciarti qui? Da solo? In questo stato? Mi dispiace non posso-

-Si che puoi, basta che ora tu ti giri- si voltò e, finalmente, la vide: indossava un vestito bianco, leggerissimo, fatto di veli sovrapposti uno all’altro e le maniche toccavano quasi terra; ai polsi portava bracciali d’argento e ogni dito aveva un anello, mentre i capelli un tempo erano stati intrecciati, ora le ricadevano spettinati in vari ricci che le incorniciavano il volto –E torni verso la festa…- le ultime parole gli morirono in gola.

-Non vuoi, vero?-

-Cosa?-

-Che io me ne vada- gli sorrise lei

-Non hai paura, Gwen-

-Dovrei avere paura di te?-

-In molti ce l’hanno e tu sembri così fragile. Insomma, ora sembri fragile. Con in mano una spada no- rise Gwyn

-Non ho paura, hai ragione- lei gli si avvicinò, per poi allungare una mano ad accarezzargli il viso –So che non potresti farmi del male-

Lui le cinse la vita con un braccio e lei si fece stringere. Era lì, accanto a lui. E nella mente di Gwyn il ricordo di Eira gli sembrava sbiadito. Il suo antico amore, in confronto alla donna che aveva accanto, gli sembrava insipido, spento.

-Non volevo farti male alla mano- sussurrò piano lui

-Non preoccuparti. Ogni cicatrice ha un significato, una storia. Sarà fiera di indossarla, sarà un bel ricordo-

-Un bel ricordo? Non capisco-

-Mi ricorderò che ti devo la vita-

Avevano iniziato a suonare e cantare e la musica stava arrivando anche a loro due.

-Potresti donarmi un ballo, magari-

Lei gli sorrise

-Certamente-

Gwyn le offrì il braccio e lei incastrò il suo, per poi iniziare a danzare. Lui la vedeva semplicemente come una fata, un po’ impacciata ma tremendamente attraente. Serena, tranquilla, felice, forse. Ballava come chi balla con il cuore leggero.

La fermò dopo una giravolta. Di fronte a lui. Con un braccio le cinse la vita, con l’altro le accarezzò il viso e le alzò il mento. Poi si chinò a baciarla. Tremante, temendo in un rifiuto, rimase quasi sorpreso dalla passione con la quale lei ricambiò. Si staccò tremante e la guardò sorridendo.

-Ma buona sera, piccola- le sussurrò all’orecchio, abbracciandola. Le sfiorò la guancia con un dito e si chinò a baciarla di nuovo. E lì, tra le braccia di una quasi sconosciuta, il suo cuore aveva trovato pace. In quegli occhi pieni di dolcezza, un rifugio.

Passarono tutta la sera semplicemente abbracciati uno all’altra, le labbra quasi perennemente attaccate, le mani ovunque…

-Tra poco accendono il fuoco… Vieni con me?- le chiese dolcemente

-Dove?-

-Ti porto a fare un giro-

-Owain mi aveva detto di farmi trovare al grande fuoco… Mi dispiace-

-Non importa, ci vediamo in giro- le sorrise Gwyn, lasciandola andare. Gwen mosse un passo verso la festa, per poi fermarsi, scoppiare a ridere, scuotere la testa e allontanarsi.

 

-Gwyn! Gwyn, ti prego, apri. Aprimi, Gwyn lo so che ci sei- le lacrime le rigavano il volto, tremava di freddo e di paura, sulle braccia i segni delle unghie e della stretta di Glyn. Era scappata via, inciampando più volte nel vestito, per il villaggio ormai buio e silenzioso. Non sapeva dove andare, a chi chiedere un riparo per la notte dopo aver promesso a se stessa di non mettere più piede nella casa del fabbro. Poi si era ricordata di Gwyn e Idwal, e si era messa a cercare la loro capanna. L’aveva trovata dopo buoni minuti di ricerca e, sempre con gli occhi lucidi, si era messa a bussare alla loro porta.

Le aprì un Gwyn assonnato, i capelli arruffati e con addosso solo i pantaloni slacciati. Eppure, non appena la vide, tornò immediatamente lucido.

-Gwen…- la voce gli morì in gola

-Mi fai entrare per favore?- le chiese lei in lacrime

-Ma certo, vieni- le spalancò la porta, facendola entrare nella capanna. Era circolare, come tutte, con il fuoco in mezzo ormai quasi spento, circondato sul lato della porta e quello opposto da due panche curve di legno, mentre sul fondo vi erano due pagliericci uno di fronte all’altro. Di fianco a uno di essi, dove dormivano Idwal e Arlinna, era appesa una culla. Gwen si guardò intorno, mentre Gwyn tirava nuovamente il catenaccio che bloccava la porta.

-Cosa ti è successo, Gwen?- le chiese avvicinandosi

-Glyn…- iniziò scoppiando in lacrime –Io non voglio parlarne-

Per tutta risposta, Gwyn la strinse tra le braccia, accarezzandole la schiena con dolcezza. Lei continuava a piangere sempre più forte, scossa dai tremiti.

-Stai tranquilla, sei al sicuro qui. Nessuno ti farà del male, sei stanca?- lei annuì –Vieni qui, andiamo a dormire. Ti prometto che non ti toccherò-

Lei si impose di tranquillizzarsi per spogliarsi del vestito e infilarsi sotto le pesanti coperte di lana. Rabbrividì nel sentire le mani di Gwyn sfiorarle appena il suo corpo nudo, ma al contempo, cercava riparo tra le sue braccia. Si sentiva… a casa. Come non lo era mai stata. Non aveva mai provato quella sensazione.

-Posso baciarti?- le chiese con dolcezza lui

-Certo- rispose in un sussurro, perdendosi in quel bacio, ritrovandosi e, infine, scivolare nel sonno.

 

 




NOTE DELL'AUTRICE: lo so, lo so. Sono successe ventordici mila robe. Che sarà mai successo realmente a Eira? Cosa succederà tra Gwyn e Gwen? 
So di averlo fatto più lungo del solito, ma mi sto rendendo conto di dover allungare i capitoli o non la finisco più questa storia. In più, mi è scesa una lacrimuccia nello scrivere del bacio tra Gwyn e Gwen, dato che si, anche quello è successo davvero.
Ringrazio sempre TremorChrist per le recensioni e lo faccio regalandole un personaggio, Lexyy, completamente ispirato a lei eheheh.
A presto, spero
Tenebra
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


CAPITOLO OTTO
 

Glyn si svegliò frastornato, la testa gli pulsava e sentiva la bile premergli in gola. Scese di fretta dal pagliericcio e uscì fuori dalla capanna, rabbrividendo per il freddo, per poi piegarsi e vomitare. Troppo idromele. E troppa birra. Ecco perché si ricordava così poco della sera prima, anzi, da dopo l’accensione del fuoco non ricordava nulla.

Si appoggiò alla parete esterna della capanna e cercò di respirare l’aria frizzante del mattino, l’aria del primo giorno dell’inizio del regno della Dea * . Sorrise sotto i baffi pensando a quanti del villaggio si sarebbero svegliati nel suo stesso stato quella mattina. Quel giorno, l’intero villaggio non avrebbe lavorato, nonostante l’inverno fosse alle porte e minacciasse di essere molto freddo. Quasi tutti gli uomini si sarebbero ripresi dalle ubriacature della notte prima, mentre le donne sarebbero andate a prendere un pezzo delle braci dal Grande Fuoco per accendere il focolare domestico per l’anno nuovo, come segno di buon auspicio. Eppure, sotto pelle, Glyn sentiva i tamburi romani farsi sempre più vicini, e, prima dell’arrivo dell’inverno era certo che arrivassero fino a loro, sperduto villaggio dell’ovest…

 

Gwyn aprì gli occhi, mentre l’aurora iniziava a comparire nel cielo di Britannia. Sorrise alla scena che gli si stava parando davanti: Gwen, rannicchiata in posizione fetale, si stringeva a lui con una forza che non avrebbe mai immaginato, mentre il viso era piegato in un’espressione serena, tranquilla. Le sfiorò la guancia e bastò quel leggero contatto perché lei aprisse gli occhi, in un primo momento spaventata.

-Stavo solo cercando di ricordare a me stesso se tu fossi reale- le sorrise lui

-Lo sono- rispose Gwen con la voce ancora impiastrata dal sonno, appoggiando la testa al petto di lui –Sei comodo-

-Questo non vuol dire che tu debba usarmi come cuscino- rise Gwyn, ribaltando le posizioni, trovandosi a sovrastarla. Lesse per un attimo il terrore negli occhi di lei e, con dolcezza, si chinò a baciarle le labbra. Leggero, senza chiedere nulla. E, ancora una volta, rimase sorpreso dalla forza e dalla passione con la quale lei ricambiò. Con un dito, le tracciò il contorno del viso, del collo, fino a scendere verso i seni…

-Gwyn… Gwyn fermati. Smettila- lei gli strinse il polso fino a obbligarlo a spostare la mano.

-Pensavo che tu…-

-No- secco, deciso, fermo, irremovibile. Gwyn ricadde su un lato e la strinse a se, mentre lei restava praticamente immobile con le mani incrociate.

-Abbracciami almeno- le sussurrò in un orecchio e lei ubbidì, stringendolo e lasciandosi stringere, sentendo il cuore finalmente a casa.

Rimasero abbracciati uno all’altra per quelle che a loro parvero ore, in silenzio, cullati solo dai loro respiri, mente il sole iniziava il suo viaggio, infilandosi tra le fessure delle pareti della capanna, rendendola meno buia e svegliando la più piccola degli abitanti. In oltre, la fame, fece scoppiare Sunbeam in un lungo pianto, placato solo dall’intervento materno. Sia Gwyn che Gwen trattennero il respiro nel vedere Arlinna prendere in braccio la figlia, con dolcezza e sicurezza, per poi sedersi di nuovo sul pagliericcio e cullarla.

-Ci siamo svegliati con i folletti che ci mordono i piedi qui?- grugnì Idwal tirandosi su dal cumulo di coperte e coprendo le spalle nude della moglie con la coperta. Il freddo stava arrivando, era sicuro che tra nemmeno una luna si sarebbero già dovuti preoccupare perché il fuoco non si spegnesse nemmeno di notte e avrebbe dovuto rafforzare il tetto per evitare che le nevicate lo facessero crollare.

-Amore, scalda la zuppa per colazione, per favore. E vedi di svegliare anche Gwyn, oggi devo fare il pane, vi voglio fuori casa tutto il giorno- ordinò pacata Arlinna

-Sono già sveglio- borbottò Gwyn alzandosi e mettendosi a ravvivare il fuoco, mentre Idwal vi appoggiava sul treppiedi il pentolone con la zuppa del giorno prima.

-Posso fare qualcosa?- la voce di Gwen si era levata all’improvviso quasi a palesarsi in quella casa a lei estranea.

-Gwen? Cosa ci fai tu qui?- chiese stupito Idwal

-Io… beh… ieri notte…- iniziò, venendo prontamente bloccata da Gwyn

-È stata aggredita. Da Glyn. Si è presentata in piena notte piangendo davanti alla porta, non avrei dovuto darle ospitalità?- chiese retorico

-Sicuro di non averle dato qualcos’altro?- rise Idwal

-Stupido. Nemmeno da Myrddin mi sarei aspettato una domanda del genere!-

-Ma avete dormito insieme-

-Si. Quindi?-

-Smettetela. Subito. Gwen, giusto?- chiese Arlinna

-Io mi chiamo Arlinna ap Tighearnach. Hai dei vestiti?- solo in quel momento Gwen si rese conto di quanto fosse immettibile il vestito che indossava la sera prima, quindi scosse la testa –Bene, penso che uno dei miei possa andarti bene-

Finì di allattare Sunbeam e passò la figlia nelle braccia di Gwyn, impegnato a allacciarsi la camicia, e, con passo sicuro, raggiunse un baule. Era ricolmo di stoffe, lavorate o semi lavorate, tessute con maestria. Per un attimo, Gwen rimase affascinata.

-Sono una tessitrice, come mia madre- sorrise umilmente Arlinna

-Io non saprei da dove cominciare- rispose pacata Gwen –Sono davvero stupende-

-E io non saprei nemmeno come tenere in mano una spada- disse l’altra e, notando la faccia stupita della più giovane, aggiunse –Sì, me l’ha detto mio marito. E direi che i segni che hai lasciato addosso a Gwyn sono ben visibili-

-Ecco io…-

-Non vergognartene. Mai. Segui il tuo cuore, sempre. Tu sei questa, magari ti diranno di cambiare, di non essere quella che sei. Ma se reciti una parte per sempre, poi finisci a non essere nessuno, ti condanni a una vita infelice. Ecco, prova questo, dovrebbe starti- concluse Arlinna passandole un vestito. Era blu notte, chiuso sulle spalle da due spille argento con inciso un treeskal.

-Sei bellissima- la voce di Gwyn raggiunse le due donne e, a quel commento inaspettato, Gwen arrossì violentemente.

-Ha ragione- concordò Arlinna, prendendo in braccio la figlia

-Grazie- mormorò mentre Gwyn le cingeva le spalle e si chinava a baciarla. E, per una volta, capì che il suo posto era lì.

 

-Parlami di Eira- Gwyn e Gwen si erano addentrati nel bosco alla ricerca delle erbe che Arlinna aveva chiesto loro –Chi era?-

Gwyn sospirò: -Era la persona più giusta, dolce, solare che io avessi mai conosciuto. Era la figlia del fabbro e, volendo, avrebbe potuto benissimo aspirare a qualcuno di meglio di un bastardo, magari un capoclan… Eppure, scelse me. Aveva diciotto estati e io tre in più di lei, la stessa età di Gawain, suo fratello. Per tutta un’estate e un autunno, ci furono solo sguardi, sorrisi accennati… Ho dovuto aspettare Beltane per rivederla, parlarle, scoprirla la parte buona di me. Quel estate i romani attaccarono. Gawain e io ci trovammo in prima linea. Sapevamo di essere numericamente inferiori, ma riuscimmo a resistere. Tornai a casa ferito, avevo protetto Gawain da un attacco alle spalle e mi ero ritrovato il fianco aperto. Sarei morto se Eira non mi avesse curato. Mi era grata per averle salvato il fratello e Owain decise che l’estate successiva me l’avrebbe concessa in sposa. Nonostante fossi un bastardo. All’epoca, Glyn aveva solo dieci estati e Samia otto. Erano dei bambini. E la vita, ha tolto loro due fratelli nello stesso momento. Durante quel autunno, Eira mi chiese di insegnarle a combattere. Era brava, imparava in fretta, e quando i tamburi romani tornarono a farsi sentire, lei mi chiese di accompagnarmi in guerra. Non arrivammo nemmeno a unirci con i clan nostri alleati, che i romani ci attaccarono. Un’imboscata, al calar della sera. Troppo pochi per combattere, la decisione più saggia fu quella di scappare. Gawain e pochi altri, ci coprirono la fuga, forse pensando di riuscire a fuggire anche loro. Vennero uccisi. I romani parlano tanto di questa loro pietas ma ti assicuro che in quel momento non sapevano nemmeno cosa fosse la pietà. Eira e io riuscimmo a fuggire, quando…- la voce di Gwyn si incrinò e Gwen si rese conto che aveva gli occhi lucidi –Venne raggiunta da una freccia. Mi pento di non essere riuscito a farle da scudo… Morì tra le mie braccia e io giurai che non avrei mai amato nessuna donna dopo di lei, non avrei potuto sopportare di rivivere la stessa scena che ho vissuto quando ho portato i corpi senza vita di Eira e Gawain a Owain… È colpa mia se Eira è morta, se non l’avessi addestrata forse sarebbe ancora qui-

Gwyn si fermò e si appoggiò a un albero, scosso dai tremiti. Lentamente, con dolcezza, Gwen gli si avvicinò e lo strinse a se. Si lasciarono scivolare, abbracciati, a terra e Gwyn affondò il capo sul suo seno, mentre lei gli accarezzava i capelli.

-Io, faccio schifo in queste situazioni…-

-No, no… Non è vero- sorrise lui, mentre lei lo stringeva più forte

-Sei fantastica, me la fai quasi dimenticare. Grazie Gwen-

-Shh…- lei gli posò un dito sulla bocca –Baciami-

 

Gwyn e Gwen avevano fatto ritorno che il sole stava tramontando e, al villaggio, stavano tutti finendo i piccoli lavoretti di sistemazione delle capanne che venivano riservati per quei giorni di festa, c’era chi intagliava bamboline o pupazzetti in legno per i figli, chi rattoppava con poco entusiasmo i recinti del bestiame che ora della primavera sarebbero stati tutti da rifare, chi risistemava le fronde di paglia dei tetti… Pace, questo Gwyn respirava in quel momento. Strinse la mano a Gwen mentre si avviavano verso la capanna di Idwal e Arlinna e, nel suo cuore, scattò qualcosa, come se lo spirito di Eira avesse smesso di tormentarlo. Forse Nimue aveva sempre avuto ragione: forse anche lui, ora, aveva trovato il suo grande amore.

-Cos’è?- Idwal alzò lo sguardo e drizzò l’orecchio da bravo boscaiolo quale era, seguendo un qualche rumore lontano e sospetto

-Cosa?- Arlinna fissò il marito alla ricerca di qualche indizio che lo avesse fatto scattare in quel modo: tutti e quattro erano fermi con la scodella in mano e il cucchiaio a metà tra la ciotola e la bocca. Idwal fece segno a tutti di tacere. Bastò un’occhiata per far tendere l’orecchio anche a Gwyn e Gwen.

-Sembrano… Tamburi?- chiese Gwen

-Sono vicini- constatò il gigante

-Cosa può essere? Non abbiamo clan nemici- mormorò Arlinna cercando di calmare Sunbeam che aveva iniziato a piangere, forse percependo l’atmosfera tesa che si respirava nella stanza.

-Romani- secco, lapidario, Gwyn aveva pronunciato la parola che in quel momento incuteva più terrore a tutti. In un secondo, i due uomini scattarono in piedi, afferrarono uno la spada, l’altro la lancia.

-Voi state in casa- ordinò alle due donne Idwal, baciando la moglie

-Io voglio combattere- si ribellò Gwen

-No! Resta qui, proteggi Arlinna e Sunbeam, non uscire di casa per nessun motivo- le ordinò Gwyn uscendo di corsa e chiudendosi la porta alle spalle.

Nel villaggio, regnava la confusione: tutti gli uomini sapevano combattere in maniera discreta e Aengusl stava cercando di organizzare un’approssimativa difesa, mentre i primi romani stavano spuntando dalla boscaglia. Una freccia colpì proprio il capoclan e Owain e Idwal si preoccuparono di spostarlo al riparo, per poi andare di nuovo a chiudere la prima linea. In mancanza di un capo, tutti cercavano di difendere soltanto le proprie capanne.

-Stupidi caproni! Non è ancora arrivato il momento di morire, almeno non per noi. Per loro sì- la voce giovane di Gwen era riuscita a sovrastare le urla e le grida degli uomini. Gwyn si voltò sorpreso, non senza riuscire a trattenere un sorriso: questo Eira non l’avrebbe mai fatto, ma lei non si era fatta problemi a disubbidire a un ordine.

Gwen, dopo uno sguardo d’intesa con Arlinna, aveva afferrato la spada rimanente, dopo che Gwyn le aveva preferito la lancia, e si era gettata nella confusione. Sapeva che rischiava, ma si sentiva anche in dovere di dover proteggere le persone che le avevano salvato la vita.

-I romani usano lo stesso tipo di attacco ogni volta che assaltano un villaggio, ho già visto come fanno. Saranno al massimo un centinaio di uomini, non di più. Non accerchieranno il villaggio, attaccheranno dall’entrata principale, molti saranno ubriachi. Probabilmente, vogliono solo il prestigio di aver distrutto un villaggio, ma hanno sbagliato clan!- urlò. Tutti ormai la stavano ascoltando –Voglio tre file. I guerrieri più esperti davanti, i più forti e giovani. Dopo i guerrieri più anziani e dietro, i fanciulli e le nostre donne, che vi assicuro so che non si farebbero problemi a usare come armi gli spiedi per la carne. Credete in loro, ma sappiate che sarebbero spacciate se cade la prima linea. Forza, forza! Credo in voi-

I romani erano sempre più vicini, Gwen andò a accucciarsi i prima linea, tra Gwyn e Myrddin, protetta dai loro scudi.

-Mi hai disobbedito- le mormorò Gwyn

-Credevi davvero che me ne sarei rimasta in casa?-

-Potresti morire-

-Anche tu se per questo. Ma la situazione mi sembra migliore ora, non trovi?-

-Tosta la fanciulla- commentò Myrddin

-Grazie- rispose Gwen mentre la prima linea romana impattava sugli scudi celti. Le spade e le lance saettavano in aria, la maggioranza colpiva di punta, solo le daghe romane cercavano il taglio perché essendo più corte era raro che riuscissero a superare gli scudi nemici.

La prima linea si disgregò in fretta, solo la seconda fu un po’ più dura. Erano i guerrieri esperti e per il clan stava iniziando a diventare difficile vedere qualcosa con il buio ormai completo, si mirava alle cieca, cercando di evitare i colpi alle caviglie inferti dai romani.

-Bastardi!- urlò Gwen sgusciando tra gli scudi che l’avrebbero dovuta proteggere. Il suo intervento fece rompere le linee romane e in tre gli si avventarono contro. La prima linea celta scattò in avanti pronta a combattere corpo a corpo. Gwyn perse per un attimo di vista Gwen e, quando ristabilì il contatto visivo, era ricoperta di sangue e ai suoi piedi vi erano cinque o sei romani. Implacabile, fredda, determinata… e bellissima, si trovò a pensare Gwyn. Combatteva spada in pugno, senza scudo, senza armatura o elmo. Per un attimo, pensò che lei era esattamente come si era sempre immaginato la Dea quando assume le fattezze di Guerra.

Gwyn affondò la lancia nella gola di un romano e per poi girarsi a fronteggiare i nemici… E non trovare nessuno. Le ultime linee romane si erano spezzate e i superstiti stavano fuggendo via senza più un onore o una dignità da difendere. Si appoggiò allo scudo e piantò a terra la lancia. Era sfinito, la notte si era fatta più cupa e la pioggia aveva iniziato a cadere, bagnando il terreno e lavando via il sangue. Vide Gwen zoppicare verso di lui, ferita a una gamba.

-Sei ferita?- le chiese

-Non è nulla, solo un graffio- rispose lei, digrignando i denti dal dolore

-Avresti potuto morire, perché l’hai fatto?-

-Se tutti voi foste morti in una battaglia disperata, che fine pensi avrei fatto io? Sarei morta comunque, almeno, se fossi morta in battaglia, sarei morta con onore-

-Vieni qui…-mormorò Gwyn, sedendosi sul terreno bagnato. Lei gli si sedette in braccio, lasciandosi stringere con tenerezza –Non voglio che ti facciano del male-

-Non glielo permetterei mai-

Il campo di battaglia era praticamente deserto, tranne per le urla di disperazione dei moribondi romani che pregavano i loro dèi di far loro vivere, e per le due figure accoccolate una all’altra, incuranti del buio e della pioggia, unite da qualcosa di forse più grande che dalla casualità.

 




*primo giorno della Dea, si riferisce all'inizio dell'anno celtico, ossia al 1° novembre. La festa festeggiata la notte prima era Samahin che viene celebrata con canti e balli per scacciare gli spiriti maligni che se no avrebbero portato cattiva sorte e con la benedizione dei fuochi le cui braci sarebbero poi state suddivise in tutti i focolari del villaggio per buon auspicio. Samahin è però anche il momento in cui la Dea (identificata anche con la notte o la luna) torna a governare sul mondo, poichè da Litha (24 giugno, equinozio di estate) a Samahin (31 di ottobre) ha governato il Dio, ossia il giorno o il sole. Per orientarci nella storia, il massacro dell'Isola Sacra avviene pochi giorni dopo Mabon (21 settembre)


NOTE DELL'AUTRICE: non ero morta era solo che stavo attendendo il ritorno di una persona a me molto cara per farle leggere quesly a Lorelei? 
Finalmente si scopre qualcosa di più su Eira e Curuwich e spero di non aver esagerato con la tragedia. In oltre, i romani ormai hanno scoperto il villaggio e non so quanto il nostro clan potrà avere vita facile. Però grazie a questo, finalmente Lorelei tira fuori il suo lato badass.
Grazie ancora a chi ha letto e a TremorChrist per la recensione
A presto
Tenebra

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Capitolo 9
*** capitolo nove ***


CAPITOLO NOVE

La pioggia cadeva ormai da quasi un’ora e tutti, nel clan, vagavano senza meta per il campo di battaglia. Qualcuno spogliava i cadaveri romani da oro o argento o qualsiasi altro materiale che avesse potuto avere qualche utilità, qualcuno dava il colpo di grazia ai pochi superstiti nemici, qualcuno pregava e ringraziava la Dea per essere ancora vivo.

-Forza voi due. Tornate dentro, al sicuro- Idwal aveva svegliato Gwen e Gwyn con energia, dopo essere inciampato in loro durante il suo vagare per il campo di battaglia

-Sei ferita?- chiese a Gwen vedendola faticare ad alzarsi. Lei si limitò a digrignare i denti per il dolore e scuotere la testa

-Solo un graffio, nulla di più- e a nulla valsero le sue lamentele quando Gwyn la prese in braccio. Ma il volto di lui, sporco di sangue e pioggia, fu l’ultima cosa che lei vide prima di addormentarsi.

 

-Ho detto che sto bene, per la furia di Bel!* Non ho bisogno di cure, non è nulla!- urlò Aengus mentre Dearbhla, sua moglie, cercava inutilmente di convincerlo a stendersi.

-Certo, e io ho partorito senza dolore- gli fece il verso Arwyn. Sia lei che Dearbhla erano guaritrici esperte e la più anziana l’aveva fatta chiamare per occuparsi della ferita del marito: una freccia nel fianco sinistro.

-Scotti di febbre- mormorò Dearbhla. Oltre a essere la moglie del capoclan, aveva completato l’addestramento da sacerdotessa e era stata la levatrice della maggior parte del villaggio, era, insomma, il tipo di donna che ottiene rispetto solo al suo passare.

-Vado a chiamare Aodh?-

-Può fare poco. Ci sono altre guaritrici in questo villaggio? O qualcuna che non confonda salvia e rosmarino?- Dearbhla sputò le ultima parole come un insulto. Era una donna alta e sottile, ormai gobba per l’età, e completamente senza denti. Eppure i suoi occhi azzurri erano rimasti splendenti come due pozze d’acqua e nemmeno la vecchiaia era riuscita a ingiallirli.

-Gwen…-

-Chi è costei?- chiese perplessa Dearbhla, fermando la sua frenetica attività

-La fanciulla della fossa dei cinghiali. Gwen app Urien, mi pare abbia detto di chiamarsi così-

-Urien il Bardo? Colui che ha cantato persino le storie di Baudicca**?-

-Non ho idea di chi sia…-

-Falla chiamare. Non sapevo avesse una figlia femmina-

 

 

-Gwen! Gwen!- Dubhan entrò con foga nella capanna di Idwal. Lui e Arlinna dormivano beati e solo Gwyn era seduto davanti al fuoco, solitario come sempre. Fissava le fiamme con un velo di tristezza sugli occhi, tra le mani la runa di Gwen, che invece dormiva acquattata in un angolino del pagliericcio di Gwyn.

-Chi cerchi?-

-Gwen. Mi mandano Denna e Arwyn- buttò fuori il ragazzino con il respiro affannoso per la corsa.

-Cos’è questo trambusto?- Gwen si alzò facendo leva sulle braccia. Il volto era incrostato di sangue, così come il vestito e i capelli. Eppure, ancora una volta, Gwyn la trovò bellissima.

-Ti vogliono Denna e Arwyn, mi hanno detto che è urgente. Il capoclan…- a quelle parole, lei si fece completamente lucida. Con una smorfia di dolore si alzò zoppicando e andò sicura verso la porta.

-Fammi strada-

 

-Cosa succede?- era di nuovo perfettamente sveglia, improvvisamente anche il dolore alla gamba era passato, sostituito dalla voglia di fare, di rendersi utile.

-Sei la donna di Gwyn- mormorò il capoclan

-Io… no, si, forse. Non lo so-

-Si, tu sei la donna di Gwyn. Avvicinati- Gwen ubbidì –Rendilo felice, combatti al suo fianco, so che il suo destino è lontano da questo villaggio. Ma tu non abbandonarlo mai-

-Stai delirando…-

-Mi manca poco tempo. Ho sentito le Banshee urlare. Ma scacciate questi romani, fatelo per me-

-Continuerò a combattere. E tu con noi-

-No, bambina, no. Vorrei…- venne scosso dai tremiti e dai colpi di tosse, che parò con la mano, che in breve si sporcò di sangue

-Aengus… tu…-

-Dì al tuo uomo che ho fatto bene a addestrarlo e a allevarlo come un figlio, se suo padre fosse vivo sarebbe fiero di lui-

-Glielo dirai tu stesso-

-Non vorrai dire cosa fare al tuo capoclan!-

-Assolutamente no. Ma credo che con un po’ di riposo e le giuste cure, in breve potrai tornare a combattere e governare questo villaggio: a casa mia non si intonano i canti funebri a un uomo vivo. Arwyn?-

-No, bambina, non prolungare la mia sofferenza. Dì al tuo uomo che sono fiero di lui, e sono fiero di lui perché ti ha salvato la vita. Porterai grandi cose a questo villaggio. Arwyn, bambina, lasciatemi parlare con quella bellissima donna che ho sposato ora-

-Certo, Aengus. Gwen, vieni- la prese per un braccio e la trascinò fuori.

E lì, alla prima luce dell’aurora, Gwen notò che negli occhi della più anziana il luccichio delle lacrime.

-Era come un padre per tutti noi- riuscì a mormorare prima di scoppiare in lacrime. Poco dopo, esattamente quando il sole iniziava il suo corso nel cielo di Britannia, una figura esile si affacciò alla porta.

-Nella mattinata mi farò mandare Owain per la pira di Aengus, il lutto dura quattro soli, lo inizierò domani all’alba- detto questo chiuse la porta della capanna e, con essa, il suo dolore.

 

Nel villaggio regnava un’atmosfera cupa, pesante, opprimente come il sangue che soffoca chi muore sgozzato. I feriti erano abbastanza per tenere occupati coloro che conoscevano le erbe guaritrici, mentre per il momento di morti si contava solo il capoclan, e bastava. Bastava a far sentire tutti orfani.

-Lo vendicheremo- Hywel si stava facendo medicare la ferita alla testa dal bardo, aveva anche lui gli occhi lucidi al pensiero che colui che li aveva guidati non ci fosse più. Tutti avevano impresso nella mente il viso rubicondo e sorridente di Aengus, sempre incline agli scherzi, ma sicuro e determinato quando si trattava di cose serie.

-Certo, ma sai bene che nessuno di voi ha il diritto di vendicarlo. Non ha figli. O fratelli- ribattè Aodh

-Gwyn. È suo nipote adottivo-

-Togli adottivo, sono suo nipote a tutti gli effetti. Ora, Aodh, credo che lei sia più grave di quel graffio che ha Hywel- disse entrando nella capanna Gwyn. In braccio teneva Gwen, la ferita alla gamba stava rischiando di andare in cancrena e le era già salita la febbre.

-Distendila qui, vieni- Aodh fece strada fino a un angolo abbastanza appartato dove c’era il pagliericcio su cui Gwyn la appoggiò –Sono da te subito-

-Ho freddo- mormorò lei aggrappandosi alla camicia del moro

-Scotti di febbre. Mai farti medicare subito tu eh?-

-Mi piace farmi salvare da te- rise la fanciulla. Era riuscita a tornare a stento a casa, ma ormai non riusciva quasi neanche a stare in piedi. Appena era stata al sicuro tra le braccia di Gwyn era svenuta dal dolore, per poi risvegliarsi febbricitante.

-Disastro… finirai per farti del male davvero- le sorrise lui mentre si spostava per fare spazio a Aodh

-Stai pure lì, penso che sarai più tu a guarirla che io- borbottò, iniziando a ripulire la ferita dal sangue secco e dallo sporco –è infettata. Ma ciò non vuol dire che dovrò tagliarti la gamba. Aspettate qui-

Il bardo si alzò per prendere dell’idromele, delle ciotole di erbe e dei pezzi di stoffa, per poi mettersi a trafficare.

-Non voglio perderti- mormorò Gwyn

-Non mi perderai, sono qui. Resto qui. Te lo prometto-

-Per la Dea, dovrai solo evitare gli sforzi per qualche giorno, per il resto dovrebbe andare tutto bene- borbottò Aodh

-Può venire a casa?- chiese preoccupato Gwyn

-Penso di si, alla fine l’abbiamo presa in tempo. Dirò a Arwyn di portarti le erbe che servono-

-Sono in grado di medicarmi da sola- obbiettò la diretta interessata

-Certo, ma con una ferita del genere scordati che vai nel bosco a cercare erbe medicinali- a questa affermazione Gwen sbuffò vistosamente

-Tu stai ferma a casa per un bel po’. Non voglio scuse, anche a costo di stare con te e obbligarti a stare ferma- le sorrise Gwyn –Ora ci penso io a te, piccolina-

-Come mi hai chiamato?-

-Piccolina, lo sei in realtà. È inutile che fai di tutto per dimostrarti grande, sei la mia piccolina- le sussurrò l’uomo, mentre Aodh, con un sorrisino complice, li lasciava

-Non sono di nessuno- ribattè secca lei –Però mi fai sentire al sicuro-

-Vieni qui…- rise sottovoce Gwyn stringendo il corpo della fanciulla al suo petto

-Credo che tu abbia qualcosa di mio, sai?- sussurrò Gwen all’orecchio dell’altro

-Cosa?-

-Una runa. Nauthiz per la precisione, incisa su una pietra tonda, grigia, di fiume-

-Questa forse?- disse lui mettendole al collo il ciondolo di pietra che teneva con se da almeno una luna

-Si… So già perché lo avevi, o almeno lo intuisco-

-Cosa significa? Ho già sentito il suo nome da mia madre, era una veggente-

-Nauthiz… è complessa come runa. Rappresenta le tensioni, ma ci da la possibilità di vincerle, simboleggia il bisogno e il dolore, ma anche la forza di vincere le situazioni ostili… è stato l’ultimo regalo di mia madre prima che morisse-



Note dell'autrice: non sono morta! Capitolo cortino, giusto per dirvi che sono ancora viva lol. In ogni caso le lacrimucce per il nostro povero capoclan ci sono state (che  il nostro viva in eterno nei secoli dei secoli, amen). E nulla scene tenerucce tra Gwyn e Gwen. A proposito della runa, esiste davvero, sempre al mio collo.

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Capitolo 10
*** capitolo dieci ***


CAPITOLO DIECI
 

L’alba aveva scoperto il villaggio ancora intontito, alcuni uomini guidati da Owain e Idwal accatastavano la legna per la pira funebre, ma la maggior parte del clan non aveva ancora realizzato di essere senza un capo e, per una volta, nel cuore di quei forti e coraggiosi guerrieri, comparve la paura del futuro.

-Cosa succederà ora?- chiese Gwen a Arlinna, intenta a allattare la figlia

-Si farà il funerale, la puzza di bruciato entrerà in tutte le capanne e i canti accompagneranno l’anima di Aengus attraverso il ponte di spade e poi si sceglierà un nuovo capoclan- rispose senza troppi pensieri la donna, aveva perso suo padre, capoclan prima di Aengus, che aveva appena otto estati, aveva imparato a tirare con l’arco e sapeva cavarsela con la spada, nonostante la trovasse pesante e i suoi movimenti fossero impacciati, solo per proteggere la sua famiglia. Per dieci estati era stata la colonna di quella casa, per dieci estati aveva protetto sua sorella senza che questa venisse a sapere che proprio Arlinna, così delicata e sempre dedita ai saperi femminili, nascondesse in realtà un animo di lupa. Dopo dieci estati a proteggere, finalmente, aveva potuto passare il testimone alla sorella, si era assicurata lei stessa che la piccola Lexyy imparasse a duellare; poi aveva accettato il corteggiamento e la proposta di matrimonio di Idwal, del quale era in realtà innamorata fin dalla tenera età, aveva finalmente buttato l’arco in una cassapanca e si era lasciata proteggere.

-I romani dico, cosa succederà?-

-Ci attaccheranno, di nuovo. Forse più volte, mineranno i nostri animi. E a primavera forse andremo, andranno, in guerra. Forse perderemo, forse vinceremo, ma a quale prezzo? Quanti morti o feriti? Quante mogli vedove e quanti figli orfani? Quante giovani spose lasciate sole? Quante pire funebri e quanti uomini tornati nelle proprie case sopra uno scudo? In nome di cosa poi? Per essere soggiogati ai loro vili dei stranieri? No, no… Prima di essere sottomessa, resa schiava, toglierò la vita a mia figlia e poi rivolgerò il coltello verso di me- le ultime parole le aveva quasi sussurrate, con le lacrime agli occhi e lo sguardo perso nel vuoto.

-Non è ancora detto che i romani ci conquisteranno-

-Oh, Gwen… Hanno ucciso quasi tutti i druidi e le sacerdotesse e i bardi. Resistiamo solo pochi villaggi, per lo più molti divorati dalle lotte tra clan, la nostra fine è segnata-

-Oppure è solo l’inizio-

 

-Denna? Credo debba essere tu a farlo- Idwal passò la torcia infuocata all’anziana vedova, la quale parve risvegliarsi dalla specie di trance in cui era. Afferrò la torcia e a grandi passi raggiunse la pira dove riposava il corpo del marito.

-Ti ho amato molto, molto più di quanto io ti abbia mai dimostrato. Forse non ti ho reso felice come avresti voluto, ma sei sempre stato l’unico uomo al quale io abbia permesso di entrare nel mio cuore. E riposerai per sempre lì, staremo insieme in eterno. Ora aspettami sotto i meli dell’Oltretomba, ci rivedremo- nessuno udì quelle parole trasportate via dal vento, poi incendiò la pira.

 

Roedd pobl a marchogodd hon ddaear llaith

blanced o rostir grug

Eu bod yn ddynion a oedd yn byw ger ein bron

had planhigion hyn

bod yn rhy fuan anghofio ein gwreiddiau

Ac maent eisiau rhedeg i unlle

 

Il bardo aveva iniziato a cantare quella che all’inizio pareva solo una lenta nenia, quasi una ninnananna che verso dopo verso andava a aumentare il suo ritmo. E aumentava anche chi a bassa voce accompagnava il canto, e con esso, l’anima di Aengus attraverso il ponte di spade

ei fod yn y gwynt sy'n dod â'r lleisiau

sibrwd tawel

bron neidiau nentydd

hwiangerdd bell

sy'n ennyn cof

nad yw'n appease y syched o gyddfau tynhau lwch amser

 

Ormai cantavano tutti, le voci si mischiavano, alte, nel cielo terso del mattino. C’erano gli uomini che con il pugno stretto sul cuore cantavano come si cantano le odi degli eroi e le donne, più sommesse, che cantavano come se cantassero una ninnananna ai figli. E il bardo, abile tessitore, che le intrecciava.

nid yw dynion

heddiw

ond mae'n Spectra*

 

Il canto terminò, possente, e, con esso, nell’Oltretomba anche il cammino del capoclan era giunto alla sua fine

 

-Silenzio! Abbiamo perso il nostro capoclan, l’altra notte. So che il periodo di lutto non è ancora terminato e non ci sono eredi che possano vantare una vendetta per lui…- la voce di Owain il fabbro tuonò nella capanna centrale, dove vi erano riuniti in assemblea tutti gli uomini del clan

-C’è Gwyn ap Neb- lo interruppe Myrddin –è suo nipote-

-Nipote adottivo- lo corresse Guth, uno degli anziani

-Lo ha preso in casa come un figlio!- insistette il maestro di spada

-Solo perché suo padre era un vigliacco-

-Mio padre non era un vigliacco!- urlò Gwyn alzandosi in piedi –Mio padre era un guerriero, come tutti voi-

-Tuo padre era un vile assassino-

-Mio padre non era un assassino!-

-Guth ap Trestain, bastardo! Calmatevi o un bagno nel fiume lo farà per voi- Owain si mise in mezzo ai due –Se avete da ridire sulla buona memoria di Mynyddmab fatelo fuori da questa sala-

I due si sedettero guardandosi in cagnesco, mentre lo sguardo di tutti gli uomini era puntato su di loro

-Desidererei andare avanti. Non ha eredi diretti, va bene Myrddin up Gyllad?- chiese guardandolo sorridere compiaciuto –Ci serve un capoclan: l’inverno sta arrivando e con esso i romani, ne abbiamo avuto un assaggio l’altra notte di cosa sono capaci di fare. Chi vuole prendere il posto di Aengus ap Tighearnach?-

-Io, Idwal figlio di Urien, figlio di Tighearnach- il gigante si alzò in piedi incontrando solo il silenzio del reso dell’assemblea

-Ti sfido per questa carica, io Owain figlio di Llewellyn- i due fissarono gli altri uomini invitandoli a una decisione.

-Per Idwal?- chiese la voce di Aodh rimasta in sordina fino a quel momento. Le prime mani si alzarono caute e timorose e il boscaiolo sorrise vedendo tra esse la presenza degli amici di sempre -18, 19… diciannove per Idwal. Per Owain?- altre mani si alzarono, questa volta subito più decise -17… 18… diciannove, abbiamo…-

La porta si aprì facendo comparire una figura femminile che zoppicava lievemente. Gwen.

-Venti per Idwal- tre parole per scatenare il putiferio

-È una donna! Non può essere ammesso il voto di una donna! Non in un’assemblea!- le voci di molti uomini si unirono in un’unica

-Ho combattuto accanto a voi, l’altra notte. La vostra stessa battaglia. Io ero al vostro fianco, se posso rischiare la vita come voi, posso anche votare come voi-

-Gwen ha ragione, penso che in questo caso il suo voto, anche se di donna, possa valere. Idwal figlio di Urien è il nostro nuovo capoclan- le parole di Owain sciolsero l’assemblea, e quella fu la prima volta che una donna della sua stirpe avrebbe cambiato le sorti di una civiltà.

 

-Io però ti avevo chiesto di restare in casa- la voce di Gwyn era poco di più che un sospiro –Lo sai che rischi di farti ancora più male se ti sforzi a camminare-

Accanto a lui, sotto le stesse coperte, Gwen alzò le spalle: -Non fa nemmeno più troppo male-

-Non potevi restare a letto?-

-Avresti lasciato vincere Owain?-

-Io non ho nulla contro il fabbro; se ho qualcosa, ho qualcosa contro suo figlio. Come pure tu- rispose pacato, mentre la fanciulla si perse a guardare il soffitto –Cosa c’è?-

-Nulla- lui si girò a guardarla, aveva le lacrime agli occhi

-Ehi…- Gwyn la strinse a se lasciandola piangere –Dimmi tutto-

-Glyn… lui… mi ha violentata. Probabilmente era ubriaco, quando sono tornata a casa, la notte di Samahin. Ha chiesto di parlarmi, mi ha trascinato sul retro della casa e ho sentito le sue mani scendere sulle mie cosce, alzare il vestito. Ero terrorizzata, non riuscivo a muovermi, non si è nemmeno preoccupato di tenermi ferma, ci pensavo già io. Solo quando l’ho sentito slacciarsi le braghe ho capito tutto, ho cercato di divincolarmi, ma mi ha bloccato con il suo corpo… Io, avrei dovuto reagire prima… Non ce l’ho fatta, alla fine mi sono arresa, scappare sarebbe stato impossibile, l’ho lasciato fare… solo poi sono fuggita- piangeva a dirotto, anche se poteva essere la donna più forte di tutto il villaggio, in quel momento sembrava una bambina spaventata. Con un dito Gwyn le asciugò le lacrime e poi si chinò a baciarla –Adesso non mi vorrai più, vero?-

-E perché non dovrei?-

-Insomma, non sono più pura… Quindi a meno che tu non voglia usare solo il mio corpo…-

-Piccolina mia…- lui la baciò sulla fronte –Vieni qui- Gwen gli si accoccolò contro

-Io ti voglio, così come sei. Ti voglio in ogni senso possibile-

Lentamente, fece scivolare la mano sul suo seno, lei non gliela bloccò. Le accarezzò i fianchi, la pancia, scese fino al bacino e all’interno coscia e poi si fermò a cercare un suo consenso. Gwen annuì e lui le baciò le labbra, il collo… La spogliò delicatamente ma con una certa urgenza del vestito e della sottoveste, lasciandola nuda sotto di se. Scese con le sue labbra fino ai seni prosperosi, mentre il suo respiro diventava sempre più affannoso.

-Gwyn…- tornò a baciarle le labbra mentre lei lo spogliava della camicia, lasciando vagare le sue mani sul suo petto e sulla sua schiena. Senza abbandonare le labbra di lei, lui scese con le dita fino a toccarla in mezzo alle gambe, dapprima con dolcezza, poi sempre più senza freni che li fermassero. Lei ormai aveva il respiro corto, scoprendo un piacere mai provato prima.

Sempre dopo aver cercato il consenso di Gwen, Gwyn la penetrò con le dita. In quel momento, il corpo di lei iniziò a tremare dal piacere, spingendo il suo bacino contro le dita di lui.

-Vorrei fare l’amore con te…- le sussurrò all’orecchio

-Va bene, facciamolo-

-Non devi sentirti obbligata-

-Voglio, Gwyn-

Velocemente, lui si spogliò anche delle braghe, mentre leggeva l’imbarazzo sul volto della fanciulla. La baciò, mentre la penetrava. La teneva stretta a se, sentendosi per una volta appagato anche il cuore.

Ricadde tra le sue braccia ansimante, mentre lei sorrideva… Era stato… tenero. Lui le accarezzò le guance.

-Quindi sei diventata una piccola donna?- lei rise nascondendo il viso imbarazzato nei capelli di lui, per poi crollare entrambi addormentati stretti tra le braccia dell’altro.

.
 
{*Erano genti che cavalcavano quest’umida terra, una brughiera coperta d’erica. Erano uomini vissuti prima di noi, il seme di queste piante, che troppo spesso dimenticano le radici e vogliono correre verso il nulla. È il vento che porta le voci, sommessi mormorii, quasi salti di ruscelli, una nenia lontana che invoca un ricordo, che non placa la sete di gole serrate dalla polvere del tempo. Non uomini, oggi, ma spettri –Renzo Montagnoli, traduzione in gallese
**bastardo

NOTA DELL'AUTRICE: sono viva, per vostra sfortuna. So che è cortissimo, ma è solo un capitolo di passaggio e poi ci sono un bel po' di scene che sono accadute anche nella realtà, quindi snif lacrimuccia che scende. Ovviamente ho aggiunto la traduzione del canto che ho tradotto in gallese dalla poesia meravigliosa di Renzo Montagnoli (vi invito a leggere un po' delle sue poesie). E nulla, questo è tutto
Tenebra

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Capitolo 11
*** capitolo undici ***


CAPITOLO UNDICI
 

-Brava, così… Fallo girare, più lenta, non metterci forza inutile… Così…- la voce di Gwyn guidava la mani e i movimenti della fanciulla davanti a lui. Erano una decina, quasi tutte donne giovani, ma non mancavano anche le più anziane e i bambini, riuniti nello spiazzo di terra davanti alla grande capanna. Le parole di Idwal risuonavano nella mente di tutti “voglio che tutte le donne sappiano usare almeno la lancia, devono essere capaci di difendersi. Se i romani dovessero tornare e distruggere le prime linee, chi proteggerà i nostri figli? Date almeno una speranza alle vostre donne”. Quindi, sotto la guida severa di Myrddin, Gwyn e in parte Gwen si erano ritrovati tutti lì. Perfino la vecchia Dearbhla era lì, bastone in mano, decisa a dare tutta se stessa per difendere il villaggio dove era nata e cresciuta.

-Lexyy, piccola gioia, bravissima!- esclamò stupito Myrddin: aveva sempre avuto un debole per quella ragazzina dai grandi occhi verdi così decisa e determinata. Sapeva che suo figlio le insegnava di nascosto tutti i movimenti imparati dal padre, maestro di spada, ma non immaginava un tale talento naturale. Come non c’era nulla di artefatto nei movimenti di Gwen, erano puliti, portati a termine senza il minimo errore tecnico nonostante Myrddin l’avesse vista duellare e, in quel momento, aveva prevalso l’istinto. Gli piaceva quella fanciulla, la vedeva bene come compagna di Gwyn anche se sapeva che stava mettendo accanto due fuochi che bruciavano in modo violento, non i carboni ardenti e l’acqua cheta. Ma, in fondo, nemmeno lui e Nimue erano mai stati capaci di spegnersi, non si completavano, semmai si elevavano. Eppure si erano amati, nemmeno la Dea poteva immaginare quanto si fossero amati.

-Myrddin? Ti sei addormentato?- la voce di Gwen lo scosse dai suoi pensieri, nella sua mente galleggiava il viso di Nimue che, per qualche strano scherzo della memoria, andò a sostituirsi a quello della fanciulla davanti a lui. Si somigliavano… Come madre e figlia, tranne il colore degli occhi. Non erano dell’azzurro della sua amata, ma erano castani, limpidi anch’essi, ma non come una pozza d’acqua bensì come una notte estiva.

-Tua madre. Parlami di lei- mormorò

-Mia madre?-

-Si- il maestro di spada le prese la mano, sfiorandole il cordino di lana che portava al polso –Lo ha identico Dubhan, con gli stessi colori. Parlami di tua madre, ti prego-

Gwen sospirò per poi sedersi accanto all’uomo su un tronco appoggiato a terra: -Era una sacerdotessa, aveva diciotto estati e celebrò Beltane: secondo l’antico rito, giacque con un bardo. Urien. Mio padre. Rimase incinta e quando lo scoprirono la cacciarono dal Santuario; visse nel bosco e lì, nel gelo dell’inverno, mi fece nascere. L’ho vista combattere contro bande di derelitti romani e di altri clan, l’ho vista andare a caccia e donarmi l’amore di cui era capace. Per cinque inverni, mi fece conoscere il bosco, le sue piante… Sono una guaritrice grazie a lei-

-Ma sei anche una guerriera-

-Lo era anche lei- sorrise la fanciulla –mi insegnò i rudimenti della spada e a cinque inverni, quando i tamburi romani si fecero più vicini, mi portò da mio padre, sarei stata più sicura. Mi disse che sarebbe tornata, ma non la vidi più. Cinque estati dopo…- si interruppe per asciugarsi le lacrime –cinque estati dopo, mi svegliai piangendo. Il petto mi faceva male, come il basso ventre, come se mi avessero violato. Percepii che era morta-

-Qual’era il suo nome?-

-Nimue-

-Nimue? Sei sicura?-

-Si, certo. Perché?-

-La storia che mi hai raccontato, Gwen, è la stessa che, undici estati fa, mi narrò una donna. Il suo nome era Nimue. La trovai nel bosco, i lupi le ubbidivano e lei non li temeva. Sarebbe stata capace di uccidermi, nonostante fosse ferita. Non sapevo che sarebbe stata l’unica donna che avrei mai amato in tutta la mia vita. E la madre di Dubhan. Ma il primo impatto, beh, mi mancò per un pelo lanciandomi contro la lancia-

-Questo sarebbe stato molto da mia madre- rise Gwen –Mio padre diceva che le somigliavo molto-

-Le somigli. Tuo padre aveva ragione-

-Gwen! Vieni a duellare?- Lexyy l’aveva chiamata a gran voce

-Arrivo!-

-Vai. E se ti dovesse servire una famiglia, sentiti libera di pensare a me e Dubhan così-

 

-Di cosa parlavi con il maestro di spada?- chiese curiosa come sempre Lexyy passando a Gwen uno dei due bastoni che teneva in mano

-Cose da grandi- rispose, iniziando dei movimenti impacciati: non le era conosciuto il bastone, lo riteneva troppo lungo e poco agile. Lexyy doveva essere invece dell’idea contraria perché sapeva usarlo in maniera quasi perfetta e elegante.

-Uffa dite tutti così-

-Parlavamo di mia madre-

-Myrddin la conosceva?-

-Sì. È morta sei anni fa-

-Nimue? Tua mamma era Nimue?-

-La descrivete tutti come una specie di dea, cosa aveva di così speciale? Insomma, l’ho conosciuta, ma i miei ricordi si fermano ai miei cinque inverni-

-Queste sono cose che in realtà non dovrei sapere, ma… Ha salvato l’intero villaggio, ha sacrificato la sua vita per salvare tutti noi. La tua mamma l’avrebbe fatto?-

-È un gesto da lei, effettivamente- disse concludendo un semplicissimo attacco facilmente parato dalla ragazzina che aveva di fronte.

-Gwen, mi sembra sempre che tu debba ammazzare qualcuno in un colpo solo ogni volta che combatti- la schernì Gwyn avvicinandosi e cingendole la vita –Devi essere delicata, continuativa… Ascolta il legno-

-Preferisco ascoltare il metallo- gli mormorò all’orecchio lei liberandosi dalla sua presa e baciandolo avidamente. Senza aver previsto lo scherzo, lui chiuse gli occhi mentre lei aveva allungato una mano fino a raggiungere una spada appoggiata nelle vicinanze e quando si staccarono da quel bacio, Gwyn si ritrovò una spada puntata alla gola da una sogghignante Gwen

-Ti lasci abbindolare così?-

-Mai!- questa volta fu lui a baciarla e, una volta che lei ebbe abbassato la guardia, prenderla in braccio ridendo e portarla dentro casa.

Chiuse la porta, chiudendo fuori il mondo con una certa urgenza e bloccò il suo corpo tra se stesso e la porta. Le baciò le labbra, le guance, il collo slacciandole frettolosamente il vestito lasciandola nuda dalla cintola in su. Le afferrò una gamba e se la portò all’altezza del bacino, lasciando vagare le sue mani sull’interno coscia e lasciandosi spogliare. Sempre senza toglierle le mani di dosso la spinse verso il pagliericcio, spogliandola del tutto e facendola stendere sotto di se. La voleva, non riusciva a pensare a altro. Scese con le labbra fino a baciarle il centro del suo piacere e la vide mugugnare di piacere, ansimante.

-Gwyn… Gwyn prendimi. Fammi tua- lo pregò.

Entrò in lei piano, ma deciso. Ogni spinta la vedeva completamente immersa in quel piacere a lei quasi sconosciuto. La stava facendo sua, sentendo appagato oltre che il corpo anche il cuore. Venne ansimando, quasi con un urlo mozzato e lo sguardo stanco. Si lasciò cadere sopra di lei, ansante come l’altro e lasciandosi stringere al suo seno.

-Come stai?- le chiese

-Bene-

-Davvero?-

-Davvero. Tu?-

-Bene- le sorrise lui –Bella-

-Non è vero- obbiettò Gwen

-Stupida- le baciò il collo, vicino all’orecchio –Vieni qui-

-Ma sono qui-

-Più qui-

 

 

Gwyn venne svegliato dai pesanti colpi dati alla porta, dati in maniera insistente e continuativa. Fece per alzarsi dal letto, quando sentì un peso che gli cingeva il petto. Gwen. Si erano addormentati abbracciati, la notte prima, dopo aver fatto l’amore almeno dieci volte. Si volevano, si cercavano costantemente.

-Idwal? Idwal chiedono di vederti. È arrivata una delegazione di un altro clan, vengono in pace- urlò qualcuno dall’esterno. Il capoclan si alzò dal letto borbottando: probabilmente era stato svegliato alle prime luci dell’aurora da quel fracasso.

-Hywel?- chiese aprendo la porta ancora addormentato o quasi –Che succede?-

-Ero di guardia questa notte. Sono appena arrivati, venivano in pace, sono il clan di un villaggio vicino, gli unici superstiti…-

-Falli riposare, dai loro acqua e cibo. Arrivo tra poco-

-Che succede?- borbottò Gwen con voce impastata

-Si stanno avvicinando. Gwen, Gwyn vi voglio con me-

 

Erano seduti sulle panche della capanna centrale, davanti al fuoco. Erano quasi tutti uomini, con il volto abbattuto e stanco. Erano pochi coloro che osavano parlare, la maggior parte stavano in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto.

-Chi è il capo qui?- la voce di Idwal rimbombò come un tuono nella capanna

-Io…- si fece avanti un uomo sulle trenta esteti, dai capelli biondo cenere lisci e lunghi fino alle spalle e gli occhi color nocciola

-Taliesin ap Deere! Figlio di un troll, pensavo ti avessero rapito le fate!- esclamò sorpreso Gwyn gettandogli le braccia al collo

-Cugino! Quanti anni! Avevo sentito che eri morto!- ribattè l’altro quasi piangendo

-Mi dispiace interrompere questo momento così sentimentale, ma perché siete qui?- si intromise Idwal

-Sei il capoclan?- chiese Taliesin

-Si, sono io-

-Ci hanno attaccato due notti fa i Romani. Dormivamo e quei pochi che vedi sono coloro che sono riusciti a salvarsi. Siamo scappati nella foresta sperando di trovare un villaggio…-

-E siete arrivati qui- finì Gwen

-Esatto- confermò Taliesin

-Chi sei tu? Ho già udito la tua voce in passato fanciulla, qual è il tuo nome?- una figura incappucciata si girò a osservarla, non si vedevano i suoi lineamenti, oscurati dal cappuccio calato fino al naso, mentre un brivido percorse la schiena di Gwen

-Mi chiamo Gwen ap Urien. Tu chi sei?-

-Gwen? La Gwen che conobbi un tempo? Il guerriero che è un guerriero anche nel cuore? Ma dovrebbe essere morta-

-Heilyn? Heilyn il bardo?- Gwen corse a inginocchiarsi davanti alla figura incappucciata per scostargli il cappuccio, ma questo si ritrasse

-Heilyn… Heilyn sono io, sono quella Gwen… Sono riuscita a fuggire-

-Dimmi qualcosa che solo Gwen può conoscere-

-Di giorno e di note s’ode il rintocco, figlia del miele che porta il sorriso, aroma che avvolge ogni mio sospiro…-

-Nel pensiero s’agita il cuore, dormiveglia di labbra cercate abbraccio di baleno arco del cielo- finì di cantare Heilyn

-Me la dedicasti-

-Gwen!- la figura si gettò singhiozzando tra le braccia di lei –Sei tu piccola mia-

-Sono io, sono io- mormorò scoprendogli il volto e ritrovandosi davanti un volto martoriato

-Hai notato vero?-

-Cosa… cosa ti hanno fatto?-

-Mi hanno cavato gli occhi, cucito le palpebre… mi hanno tagliato le labbra e poi non ricordo… Mi sono risvegliato nel bosco, credo. Mi hanno trovato loro. Non vedo nulla e non riesco quasi neanche a parlare-

-Heilyn…- lei si limitò a stringere –Perché ti hanno fatto questo? Perché?-

-Perché sono un bardo, piccola mia- disse accarezzandogli le guance, il collo, indugiando sognante sulle labbra

-Le baciai molte volte, le ricordo morbide sul mio viso, sulle mie labbra-

-Non osasti mai andare oltre-

-Sapevo che il tuo destino non era con me, nonostante io ti amassi molto-

-Io…-

-Non hai nulla di che scusarti, sei felice con l’uomo con cui condividi il letto?- mormorò il bardo mentre Gwyn cingeva le spalle di lei

-Sì. Ma ti vendicherò Heilyn, nemmeno la Dea può impedirmelo-

 

 




Note dell'autrice: tante lacrimucce per Heilyn immagino... Ovviamente anche lui esiste e è un mio carissimo amico. I versi che cantano lui e Gwen appartengono al legittimo scrittore
A presto Tenebra

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Capitolo 12
*** capitolo dodici ***



ATTENZIONE: i nomi sono stati cambiati, rileggere l'indice dei nomi presente all'inizio del primo capitolo


CAPITOLO DODICI

 

-Ti hanno seguito?-

-No-

-Ti hanno visto?-

-No-

-Gwyn sa qualcosa?-

-No-

-Sei sola?-

-Si, non ho bisogno di farmi accompagnare dall’amica-

-La solita sprezzante Gwen-

-Il solito paranoico Heilyn-

-Non mi ricordavo che tu fossi così insopportabile- borbottò il bardo incappucciato. Lo erano entrambi, in realtà. Due figure nero vestite che si confondevano con i colori del bosco in cui stava lentamente calando la notte

-Sai tutto immagino-

-Cosa vuoi fare a riguardo?- le chiese lui

-Non penso di essere pronta, i romani si fanno sempre più vicini e il clan ha bisogno di me. Sono troppo giovane per avere un figlio-

-Tua sorella ha avuto un figlio che aveva due estati in meno di te-

-Mia sorella era una puttana che credeva che restando incinta potesse incatenare un uomo che non amava e non l’amava ma di potere a lei, non so nemmeno se il padre sia quell’uomo-

-Queste sono cattiverie gratuite-

-Guarda in faccia la realtà. Se tenessi il bambino agirei come mia sorella-

-Non è figlio di Gwyn?-

-No. È figlio di Glyn. A Samhain mi ha violentata, avrei dovuto avere il mio ciclo circa dieci soli dopo, non c’è stato. Il bambino che porto in grembo non è figlio dell’uomo che amo. Non lo voglio-

-Forse la Dea ti ha dato un’opportunità. Parla chiaro a Gwyn e ai pochi che vivono in quella casa, digli quello che stai dicendo a me. So che dentro di te, qualcosa si sta già affezionando alla creatura che porti in grembo- gli sorrise il bardo –Guardati ti stai accarezzando il ventre… Se ho capito Gwyn, è stupido su tante cose ma sono sicuro che ti comprenderà-

 

-Dove sei stata?- Gwyn bloccò Gwen quasi sulla porta della capanna

-Ti devo forse chiedere il permesso anche per vedere un amico? Non sono tua moglie, che la Dea non voglia- rispose tirando dritto verso il pagliericcio, senza degnare Arlinna o Idwal di uno sguardo. Gwyn appoggiò il cucchiaio e la scodella e con un gesto veloce si affiancò alla fanciulla.

-Che c’è?-

-Nulla, non c’è nulla-

-Non è vero-

-La pianti Gwyn? Non ho nulla!-

-Va bene, io torno a mangiare, vuoi qualcosa?- fece per alzarsi dal pagliericcio ma il braccio veloce di Gwen lo trattenne

-Aspetto un bambino-

-Cosa?-

-Aspetto un bambino, sono incinta- calma e concisa, senza giri di parole

-Gwen, è stupendo!- Arlinna corse a abbracciare l’altra, tenendo la piccola Sunbeam stretta al seno

-Complimenti Gwyn, chissà se è la volta buona che diventi un uomo- rise scherzosamente Idwal, mentre il diretto interessato appoggiava la mano tremante al ventre della sua donna

-Un bambino… Io non so se sono pronto-

-Lo diciamo tutti! Se è successo la Dea crede che tu, voi, siate pronti- si intromise di nuovo il gigante

-Gwyn, Arlinna, Idwal… io non voglio distruggere la vostra gioia ma c’è qualcosa che dovete sapere- mormorò flebilmente Gwen

-Cosa c’è piccolina?-

-Non è tuo figlio- il gelo calò sulla capanna, nessuno osò aprire bocca, anche i gorgoglii della piccola di Arlinna e Idwal si erano fermati in segno di rispetto e proprio questa si guardava intorno con i suoi occhioni blu spaesata. Gwyn fu il primo a reagire. Si staccò dal braccio della fanciulla e uscì dalla capanna con passo furioso e sbattendo la porta. Nessuno osò fermarlo.

-Gwen, per la Dea, di chi è il figlio che porti in grembo?- chiese quasi sull’orlo delle lacrime Arlinna

-Di Glyn, il figlio del fabbro. Mi ha violentata, la notte di Samhain-

-Ne sei certa?-

-Sì-

-Credi che Gwyn lo sappia?-

-Assolutamente sì. Non lo tradirei mai, lo sa. E sa anche quello che mi ha fatto il figlio del fabbro-

-Allora vai a cercare il tuo uomo prima che scorra sangue inutilmente- la pregò Idwal

 

-Non sei andato troppo distante- mormorò Gwen sedendosi accanto a Gwyn, che si era accasciato sulla parete della capanna di fronte, e coprendolo con il suo mantello.

-Perché avrei dovuto, alla fine il sangue che deve scorrere non è lontano da qui-

-Gwyn…-

-Non dire nulla. Merita la morte per quello che ti ha fatto, e io dovrei allevare suo figlio? Il figlio di quel mostro?-

-Gwyn, so che può essere difficile, ma cosa che sarebbe mio figlio se non un altro bastardo? Non ti sto chiedendo di sposarmi o di perdonare Glyn per quello che mi ha fatto, solo accettare il bambino come tuo. Né lui né il villaggio lo sapranno. Lo cresceremo noi due, ne avremo altri, avremo una famiglia io e te. Tu sai cosa vuol dire essere un bastardo, lo sai bene. Condanneresti un innocente a questo destino?- Gwen aveva gli occhi lucidi, tremava e cercava di non singhiozzare mentre esprimeva ciò che il cuore le diceva, senza troppi pensieri

-Ti chiedo solo una cosa, Gwen figlia di Urien- iniziò Gwyn con le lacrime che gli solcavano le guance –Sposami, giurami fedeltà, giura di essere il mio porto sicuro, la mia casa, il mio cuore-

-Si… Si, voglio essere tua moglie.- mormorò lei

-Un bambino, nostro figlio… Oh piccolina mia- le lacrime che solcavano i loro volti, però, non erano più di rabbia o paura, ma, finalmente, di gioia. E anche la luna parve sorridere a quella scena.

 

-Gwen stai calma, respira- era piena notte, Arlinna era lì al suo fianco. Da quando aveva saputo che l’amica aspettava un bambino, si era attivata in ogni modo possibile, compreso il tranquillizzarla quando in piena notte la assalivano le nausee e la sentiva trascinarsi fuori dal pagliericcio e uscire al gelo invernale per vomitare.

-Io non reggo nove lune così. Ve lo scordate- borbottò l’altra, cinica come sempre

-Ci riusciamo tutte, tutte abbiamo paura di non riuscirci e invece, alla fine, tutte stringiamo tra le braccia il nostro pargoletto-

-Non è questione di aver paura. È questione che mi sto sentendo troppo donna- mugugnò, facendo scoppiare l’altra a ridere

-Tranquilla uomo duro, sono sicura che se dirigi questa rabbia verso il tuo nemico, lo ammazzi in due colpi secchi-

-Probabile-

-Quando vi sposerete?- chiese la maggiore, prendendola sotto braccio e riaccompagnandola in casa

-Verso estate, sicuramente dopo Beltane. Non mi sembra giusto sposarci e restare a vivere con voi, ormai siamo due famiglie diverse. Adesso è impossibile costruire una capanna. Certo, Gwyn mi ha detto che inizierà a costruirla il prima possibile, ma voglio che sia pronta per quando ci sarà il matrimonio-

-Avrai un bel pancione-

-Forse sarà già nato- sussurrò Gwen cercando di non svegliare la piccola Sunbeam –Buonanotte Arlinna-

-Buonanotte Gwen-

-Insomma forse sarà già nato?- le mormorò Gwyn stringendola tra le braccia appena lei non si fosse infilata sotto le coperte

-Non lo so… Sono piena di dubbi, se sia giusto tutto questo…-

-Ehi…- lui le baciò la fronte e appoggiò una mano a accarezzarle il grembo –Andrà tutto bene, tu sei forte. E lui è mio figlio, nessuno può negarlo. Vero piccolo? O piccola?-

-Tu cosa vorresti che sia?-

-Una bella persona, come la sua mamma-

-Stupido-

-Realista, sei bellissima-

-Io spero sia un maschio. È tutto tanto più facile. Ma voglio che sia un brav’uomo, capace di chinare il capo e dire che ha paura-

-Non è semplice, lo sai anche tu-

-Forse noi non riusciremo mai a farlo, abbiamo visto troppo. Lui voglio che lo faccia-

-Sembri sicura che sia un maschio-

-Lo sento, è una sensazione che non riesco a spiegarmi- mormorò Gwen

-Lo addestrerai tu?- chiese Gwyn

-Si cercando di insegnargli a non aprire in due mani- rispose lei facendo scoppiare a ridere lui

-Vieni qui, chiudi gli occhi- lui la strinse forte, cullandone il sonno che dopo poco sorprese entrambi

 

-Svegliatevi pigroni! Fate in fretta, vi voglio fuori dalla capanna il prima possibile, armatevi e uscite- la voce di Idwal svegliò brutalmente i due amanti

-Che cosa succede?- chiese con la voce impastata dal sonno Gwyn

-Ci attaccano. I romani- la gelida risposta arrivò da Arlinna, intenta a testare la tenuta del suo arco, da anni abbandonato al suo destino nella cassapanca, sotto strati di tessuti e filati.

-Cosa stai facendo?- le chiese Gwen

-Combatterò, farò quello che posso per difendere il mio clan-

-Sei ammattita?- domandò sbigottita la più giovane

-Assolutamente no!- rispose l'altra raggiante -Me l'hai insegnato tu-

-Gwen, muoviti- la esortò Gwyn già perfettamente armato di scudo e lancia

-Non ho una spada- si lamentò la fanciulla -L'altra volta ho rubato la tua, ma temo che oggi ti servirà-

-Puoi usare questa- Myrddin aveva fatto irruzione nella capanna improvvisamente tendendo una spada a Gwen -Era di tua madre e Dubhan è troppo giovane per combattere-

-Sei sicura Gwen? Non vorrei che succeda qualcosa al bambino- la guardò grave il suo uomo

-E di me non ti preoccupi eh?- lo prese in giro lei -Gwyn, generazioni di regine hanno combattuto nonostante fossero incinte, di alcune si narra che caricassero gli eserciti nemici di nove lune con il vestito squarciato sul ventre. Combatterò. Sono una donna, sono incinta, ma sono soprattutto una guerriera e ora andiamo-

 

La situazione era anche peggiore di quanto si fossero aspettati. I romani erano già lì, lambivano gli ingressi del villaggio e erano più di quanto si fossero mai immaginati. Non era una semplice sortita contro un villaggio, non era solo una spedizione a scopo di saccheggio. Era una dichiarazione di guerra.

-Mi sa che li abbiamo fatti arrabbiare- sogghignò il biondo Taliesin. Soppesava tra le mani un'ascia e era vestito solamente delle braghe. Un ghigno gli attraversava il volto e gli occhi erano carboni ardenti che chiedevano a gran voce vendetta.

-Non sarà una cosa veloce, non siamo più un piccolo clan da saccheggiare. Siamo nemici. Il loro obiettivo ormai è annientarci- obbiettò Idwal

-Se è una guerra trattiamola come tale- borbottò Gwyn guardando per un attimo la sua donna e poi girare deciso lo scudo, in segno di pace

-Cosa vuoi fare cugino?-

-Mai sentito parlare di incontro di delegazioni nemiche prima di una battaglia? Questo non è un attacco a sorpresa la tradizione va rispettata. Gwen sei con me?- in risposta la donna sorrise -Idwal?

-Pare che sia mio compito- sospirò il capoclan girando anche lui lo scudo -Andiamo-

Il trio, due uomini con gli scudi rovesciati e la spada nel fodero e una donna incinta e armata fino ai denti, non fece in tempo a staccarsi di poco dal muro di scudi formato dal clan che la delegazione nemica venne loro incontro. La guerra incombeva, le Banshee avevano iniziato a urlare e sembrava che tutti i corvi del circondario si fossero riuniti lì su ordine della Morrigan, in attesa di banchettare indistintamente con i corpi dei caduti di una guerra dalle sorti che sembravano già decise.




NOTE DELL'AUTRICE: eh speravate fossi morta! E invece sono ancora qui a rompervi le balle!
Il ritardo è stato causato dal fatto che sono rimasta senza computer per circa 3 mesi dato che è andato in autocombustione, quindi ho dovuto cercare di usare quello che trovavo in giro.
Come ho detto sopra i nomi sono stati cambiati per dare maggiore veridicità storica al racconto
Ringrazio Eilan21 per la recensione... Spero che qualcun'altro decida di farmi sapere che pensa di questa storia
A presto spero

Tenebra

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Capitolo 13
*** capitolo tredici ***


CAPITOLO TREDICI


 

-Signore?- un giovane centurione richiamò l'attenzione di Lucio Sergio Bruto, tribuno da anni impegnato in quella provincia ostile con la speranza di riuscire a sottomettere definitivamente a Roma quelle genti così rudi. Era un uomo sui 40 anni, dai capelli completamente grigi e la barba sempre curata, il viso largo e gli occhi dello stesso verde dei prati. Nonostante la bassa statura, era ben piazzato e nel complesso temuto e rispettato.

-Signore, le prigioniere non credo che possano esserci utili. Non sembrano nemmeno capire la lingua che parla loro l'interprete. E, se mi permette, sono donne, è impossibile che sappiano qualcosa di alleanze e...-

-Zitto. Non si sa mai cosa possano fare questi barbari. Ho visto regine, donne, combattere e saperne più di strategia degli uomini. Guarda bene ragazzo, osserva, cosa vedi?-

-Una delegazione signore. Sembra vengano in pace-

-Da chi è formata?-

-Sembrano... tre uomini signore... Anche se hanno i capelli troppo lunghi...-

-Quello è normale, si vede che non sei abituato a loro. Una è una donna. Al centro, probabilmente la regina, o il capoclan-

-Una donna?-

-Una donna, solo dei pazzi potrebbero dare le redini di un villaggio a una donna, ma più ci allontaniamo da Londinium più la civiltà scompare. Sono più simili a bestie che a uomini, spero che tu possa andartene da quest'isola prima che tu possa accorgertene. Ora chiamami l'interprete, avrò bisogno di lui-

-Si signore-

 

-Signore mi avete fatto chiamare?-

-Si Ramesey- borbottò il tribuno, concedendo solo uno sguardo all'altro uomo

-Il mio nome è Ramsey, signore-

-Sì, sì... Dimmi, chi eri al tuo villaggio?- gli chiese grattandosi la barba e osservandolo meglio. Era più alto di lui e probabilmente poco più giovane, era muscoloso e i capelli lunghi e biondi erano intrecciati sulla schiena, come la barba lunga... Vestito in maniera decente, pensò Lucio, sarebbe benissimo potuto passare per romano,peccato per i tatuaggi tendenti al blu o al verde a seconda della luce che si intrecciavano sulle braccia e sul collo. Stesso atteggiamento orgoglioso e fiero, conoscenza del latino quasi perfetta tanto da sconvolgere il tribuno: forse non tutti erano animali come il trio che si stava dirigendo verso di loro

-Ero un bardo. La mia famiglia era originaria di un regno che sottostava al potere di Roma, come bardo mi spostai tra tribù e tribù...-

-Continua- lo incitò

-Una notte arrivai a un clan. Il capoclan era un bardo, uno dei più grandi bardi di sempre. Urien. Mi prese in simpatia, permettendomi di restare a vivere nella sua casa, trattato come un ospite. Ospitalità non ricambiata da sua figlia minore. Non era propriamente sua figlia, era una bastarda riconosciuta in seguito, giovane e bellissima ai miei occhi, quasi selvaggia, una creatura indomabile che avrei voluto addomesticare. Chiesi a suo padre il permesso di sposarla, tutto sarebbe stato perfetto se non che lei si era segretamente promessa a un altro uomo. La scoprii una notte. La misi davanti a una scelta: sposarmi, altrimenti avrei detto tutto a suo padre, il quale sapevo non approvasse la sua relazione. Arrivò a puntarmi il coltello alla gola, ma non mi uccise perchè conscia di incorrere nell'ira di suo padre. Accettò. Avevo vinto. Poi un attacco a sorpresa. Io venni fatto prigioniero, mentre in un primo momento pensai che lei fosse stata uccisa. In seguito ho scoperto dalle voci che sentivo in giro che era viva e sposata con un altro uomo... Ho deciso di collaborare perchè la voglio vedere morta. Mi ha tradito. É una donna che merita la morte, pericolosa e folle. Se posso fare qualcosa per portarla alla morte, lo farò- concluse Ramsey

-Come si chiamava?-

-Gwen-

-Monta a cavallo, ci servirai-

 

 

Le due delegazioni arrivarono a fronteggiarsi in quella terra di nessuno compresa tra il villaggio e l'esercito romano. Da una parte i tre celti, dall'altra il tribuno e l'interprete a cavallo, seguiti da una guardia che trascinava due donne in catene.

-Se le volete vedere libere, consegnate il villaggio. Diglielo- ordinò Lucio all'interprete, mentre i tre celti si guardavano per decidere chi dovesse parlare. Alla fine, dal terzetto si levò una voce femminile: -Non ho intenzione di consegnare la mia gente. Né ora, né mai. Mai un attacco contro di voi, ci avete attaccati, ci siamo difesi. Se insinuate che proteggiamo abitanti di villaggi vicini distrutti da voi, sì, li stiamo proteggendo. E prima di averli dovrete passare sul mio cadavere-

-Pensiamo a una soluzione pacifica. Un duello con il vostro campione e il nostro uomo più forte per la loro libertà- disse il tribuno indicando le due donne terrorizzate -Poi avrete una luna per decidere se sottomettervi a Roma e abbracciare le sue leggi-

-Oppure?-

-Oppure avrete la guerra, diglielo-

-Non consegnerò mai il mio popolo. Ma accetto la vostra proposta. Osate chiamarvi fuori dai patti che io vi giuro, iniziate a pregare i vostri dei, perchè non vi proteggeranno dall'ira della Madre!- urlò Gwen girando i tacchi seguita dagli altri due.

 

-Ascoltatemi attentamente! Ci sarà un duello...- iniziò Gwen, una volta che rientrata al villaggio tutti gli uomini gli si erano radunati attorno

-Che cosa? Un duello dovrebbe stabilire la morte di mia sorella e di una fanciulla del mio clan?- urlò Taliesin

-Cugino io non avevo idea...- iniziò Gwyn

-Stai zitto Gwyn, andrò a dare una lezione a quelle donnicciole!- e con passo deciso il biondo fece per uscire dal villaggio prontamente fermato da Gwyn e Idwal che lo trattennero per le braccia

-Uccideresti solo per vendetta. Potresti morire- lo dissuase Idwal -Andrò io. Sono un capoclan, non posso permettere che qualcuno muoia per il villaggio che governo-

-Scordatelo Idwal! Hai una figlia appena nata, vorresti lasciarla orfana? Andrò io, è colpa mia se siamo in questa situazione. Combatterò e vincerò. Taliesin, te le riporterò vive, te lo giuro- si propose Gwen

-Non posso permetterlo. Non puoi rischiare la tua vita e quella del bambino che porti in grembo, Gwen. Dovrai passare sul mio corpo prima di uscire da quelle mura per combattere quel duello, che la Dea mi sia testimone. Tutti avete qualcosa che rischiereste di perdere se falliste, io no. Non ho una donna e non ho figli. Duellerò io, tornerò vivo e con le due donne del clan di Taliesin. Non sono un codardo, non lo sono mai stato e se le Banshee dovessero urlare, accoglierò il mio destino a testa alta- si fece avanti Glyn fino ad arrivare a inchinarsi davanti a Gwen porgendogli il pomo della spada da baciare -Dammi la tua benedizione, mia signora-

-Possa la Dea esserti vicina- disse Gwen appoggiando le labbra al pomo

 

 

I due avversari arrivarono a fronteggiarsi nel mezzo del campo. Il romano era più basso di Glyn di una buona spanna, con i capelli biondi che tradivano la discendenza germanica, era armato di daga e scudo e il corpo muscoloso era coperto dalla corazza. Al contrario, il rosso era a petto nudo e armato solo della spada. Di solito si affidava all'ascia e alla forza bruta, ma questa volta non poteva permettersi di perdere.

Il romano attaccò per primo, un fendente al braccio destro che Glyn parò con facilità, portandosi sul lato dell'avversario e trovandolo coperto dallo scudo. Tentò quindi un colpo alla gola che però colse preparato il romano e non lo portò a scoprirsi. Era una battaglia a armi pari. Fendente, parata, affondo. Il vento aveva iniziato a soffiare e il cielo venne invaso da nuvole gonfie di pioggia, e i due, nonostante la stanchezza e il sudore, continuavano a affrontarsi. Fu Glyn ad avere la meglio, sfruttando un dislivello quasi nullo del terreno che portò il romano a trovarsi la parte superiore del corpo completamente scoperta e, incalzato dai colpi del giovane, inciampò rovinando a terra e venendo prontamente disarmato.

-Liberatele- urlò rivolto ai due romani che tenevano le donne incatenate

-Uccidi il romano e uccideremo loro-

Glyn li osservò con sguardo di sfida. Avrebbe voluto ucciderlo, ma la sua morte avrebbe comportato la morte delle due donne e non poteva permetterselo, così piantò nella terra le due spade che aveva in mano. In cambio le prigioniere vennero liberate e spinte verso il villaggio.

-Siete solo feccia- sputò il rosso in direzione del resto dell'esercito romano -Avremo la nostra vendetta-



NOTE DELL'AUTRICE: allora allora allora... quante novità! Uno sguardo sul passato di Gwen e un Glyn che dimostra il suo lato più nobile. Dalle ideuzze che ho in testa, gustaevi questo capitolo perchè il prossimo ho idea che sia una bomba, inoltre ho finito la scuola quindi a meno che non mi becchi i debiti avrò un po' più di tempo per scrivere. Nel frattempo, volevo ringraziare tutti coloro che sono arrivati a questo punto perchè davvero tengo tantissimo a questa storia.
Bacioni da tutto il Clan comunque e a presto

Tenebra


 

 

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Capitolo 14
*** capitolo quattordicesimo ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO


 

Non appena il romano si rese conto di essere vivo, si alzò e guardò per un interminabile attimo Glyn con un'espressione esterrefatta, forse chiedendosi perchè quel gigante barbaro lo avesse risparmiato, poi corse verso l'esercito romano con la coda tra le gambe.

Glyn, invece, rimase inginocchiato davanti alla spada, con entrambe le mani sul pomo della spada e la testa poggiata su di esse, pensando a cosa sarebbe potuto accadere se avesse lanciato l'arma contro il romano, che ora correva girato di spalle, e che il rosso era certo che avrebbe preso. Non ebbe nemmeno il tempo di ragionare sulle conseguenze che dal clan partì una freccia che colpì il romano tra le scapole, facendolo stramazzare al suolo. Si girò per vedere chi avesse osato fare un gesto così sfrontato e vide per un solo istante il sorriso beffardo di Arlinna. E sentì una mano femminile appoggiarsi sulla sua spada. Apparteneva a Maeve ap Odhran, una delle due donne che aveva salvato.

Era ancora una fanciulla, sulle diciassette estati, nonostante il corpo già da donna. I capelli lunghi e ramati erano raccolti da uno spillone, mentre sul volto ancora da bambina pieno di lentiggini risplendevano dei bellissimi occhi castani. Non gli rivolse nemmeno una parola, solo un sorriso per poi correre verso il villaggio. E non si sa se per paura che un attacco romano o per rivedere quel sorriso, ma anche Glyn fece ritorno al villaggio.

-Attaccheranno di nuovo- borbottò Gwen distratta -Abbiamo arcieri?

-Una decina scarsa- rispose Idwal

-Compresa tua moglie? É stata fantastica- chiese nuovamente la fanciulla

-Compresa mia moglie. Non conoscevo nemmeno io questo suo lato, quanto meno non pensavo fosse così brava- sorrise il capoclan

-Quanti uomini possono combattere?-

-Una trentina scarsa se combatti anche tu-

-Siamo così pochi?-

-Sì, Gwen, non abbiamo mai dovuto fronteggiare una vera e propria invasione- rispose sconsolato il gigante

-Va bene, ci inventeremo qualcosa. Dovremmo avere il vantaggio della posizione, non penso che riusciranno a accerchiarci se teniamo le spalle alle mura del villaggio, dobbiamo solo cercare di rompere le loro file-

-Gwen! Idwal! Venite a vedere!- il richiamo di Hywel si diffuse per tutto il clan. Il guerriero stava facendo la guardia al lato opposto rispetto a quello su cui si erano stanziati i romani, per riuscire a dare l'allarme in caso di accerchiamento. E da quel lato stava scendendo una colonna di guerrieri raggruppati sotto a un macabro vessillo: un teschio umano con i capelli neri che ancora fluttuavano al vento. Erano guidati da una figura femminile a cavallo di un morello, coperta solo da un mantello sudicio e dai capelli biondi che le arrivavano a coprire i fianchi. Anche la maggior parte degli uomini al seguito erano quasi completamente nudi, coperti solo dai tatuaggi e con il volto pitturato con disegni creati mischiando il sangue dei nemici uccisi e pece. Un brivido percorse l'intero clan.

-Chi sono?- chiese Gwen

-Quella è Bonnie ap Dingus. Lei e il suo clan sarebbero le ultime persone che vorresti vedere su questa terra, mercenari senza fede, assetati di sangue- rispose Gwyn abbracciando la sua donna

-Combattono solo per il sangue, si schierano dalla parte del vincitore e dei nemici uccisi chiedono solo il sangue- continuò Hywel

-Dicono che siano specializzati nelle peggiori torture, che la stessa Bonnie ha subito nel corso della sua vita. Era la moglie del capo clan di un clan delle montagne, ma questo godeva a farle del male quando era ubriaco, ossia sempre. La torturava con ferri arroventati o con lame e si dice abbia cercato di bruciarle il viso, ma nel frattempo lei si stava creando consensi nel clan, soprattutto tra gli uomini data la sua bellezza, unita a un'intelligenza sublime. Una notte, riuscì a uccidere il marito prima che iniziasse a torturarla e, nel frattempo, nel villaggio tutti gli uomini a lei fedeli insorsero contro gli uomini fedeli a suo marito. All'alba, del clan restavano solo gli uomini che vedi ora con lei, non vennero risparmiate le donne e non vennero risparmiati i bambini in quella notte di vendetta, vennero uccisi dagli uomini della fazione avversaria. Il teschio che vedi come stendardo è quello della prima vittima di Bonnie- raccontò Heilyn -Non è un'assassina, solo una donna assetata di vendetta

-Potrebbe starmi simpatica- sorrise Gwen con un ghigno che metteva quasi paura sul volto

-Gwen, mia signora, attaccano- le parole del fabbro si inserirono urgentemente nel discorso

-Di nuovo?-

-Probabilmente hanno preso la morte del loro campione come una sfida, se non l'avessimo ucciso saremmo in pace- si oppose Owain

-Non ti fidi di me?-

-Non sto dicendo questo mia signora. Dico solo che facendo così rischi di mettere in pericolo tutti noi-

-Ascoltatemi tutti!- urlò Gwen rivolta a tutto il villaggio -Vi fidate di me? Rispondete, forza! Vi fidate? O pensate che io sia qui, tra di voi, a combattere rischiando la mia vita o quella del figlio che porto in grembo solo per orgoglio e vendetta? É vero, io voglio vendicarmi di quello che hanno fatto a mia madre, a mio padre, a uno dei miei più cari amici che per me è come un fratello, alle mie sorellastre, persino la mia matrigna vorrei vendicare. Ma chi di noi non ha figli, fratelli, sorelle, mogli, da vendicare? Myrddin tu hai una donna da vendicare se non mi sbaglio, Brycen e Fearghal credo che vostro padre meriti di essere vendicato, Owain... Quanti della tua famiglia meritano la vendetta? Due figli, morti sotto i colpi romani, Talisien tu hai un intero clan che merita la vendetta, Gwyn combatterai per dare pace a tuo padre? Io non ho intenzione di consegnare la mia gente. Non voglio vedere i figli e le figlie della Dea piegarsi a Dei e tradizioni straniere, non voglio vedere questo popolo orgoglioso e fiero sottomettersi a genti che vogliono solo la nostra fertile terra. Io combatterò finchè l'ultimo Romano abbandonerà la nostra terra, combatterò fino alla fine e se morirò, sarò morta difendendo la mia famiglia e il mio clan. Chi è con me?-

Il discorso di Gwen venne accolto con esultanze e applausi, che la accompagnarono fino a quando non raggiunse il suo posto nel mezzo della prima linea. Poi, quasi contemporaneamente, i due eserciti celti attaccarono.


 

Quando il sole tramontò sul cielo di Britannia dei Romani restavano solo i cadaveri e i moribondi, abbandonati da quei pochi che erano rimasti vivi, non caduti sotto i colpi della furia celta. Nessuno era andato a spogliare i cadaveri o a dare il colpo di grazia ai feriti, anzi tutto il clan si era riunito a festeggiare la vittoria, che sembrava quasi definitiva.

-Gwen! Gwen! Gwen!- tutto il villaggio si era stretto attorno alla donna che fino a quel momento aveva dato loro solo vittorie, portandola in trionfo. Gwyn la osservava fiero, fiero che quella donna fosse la sua futura moglie e fiero della sua fedeltà a quel clan che non aveva fatto altro che adottarla.

-Chi comanda qui?- la voce di Bonnie interruppe quel momento di festa. Parlava la loro lingua, ma lo faceva con fatica e l'accento della parlata dura e gutturale delle montagne era più che presente in quelle parole. La domanda venne accolta con perplessità da parte del villaggio che si girò a guardare Idwal, legittimo capo clan, il quale indicò però Gwen.

-Comando io- disse la donna ferma, senza dar modo a nessuno di poter ribattere. L'altra la raggiunse e le due rimasero a osservarsi, una di fronte all'altra, per un momento interminabile. Due guerriere, due donne, due capi, che non potevano essere però più diverse. Bonnie sfoderò quindi la spada per piantarla a terra davanti ai piedi della mora, per poi slacciarsi il mantello e inginocchiarsi fino a appoggiare la fronte a terra, imitata dal suo clan.

-Io accetto te, Gwen ap Urien, come mia signora e giuro a te fedeltà. La tua vita sarà la tua vita e la mia morte sarà la mia morte. Da questo momento, la mia spada sarà tua e si muoverà solo secondo i tuoi ordini- giurò Bonnie seguendo il rito. Improvvisamente, dopo aver ascoltato quelle parole, tutto il villaggio si inchinò ai suoi piedi in un collettivo giuramento di fedeltà, mentre un brivido percorreva la schiena di Gwen.

-Alzati. Accetto il vostro giuramento e giuro di guidarvi alla vittoria- urlò la donna facendo alzare la bionda e abbracciandola come una sua pari. Tutto il clan esultò accerchiandole nuovamente in quello che Gwen avrebbe ricordato come il momento più terrificante di tutta la sua vita.


 

-Ci sono stati morti tra i vostri?- chiese Bonnie avvicinandosi a Gwen che si era rintanata in un angolo distante dalla festa con un corno di idromele

-Due fratelli. Brycen e Fearghal, il maggiore ha cercato di proteggere l'altro ma non ce l'ha fatta. Fearghal è stato colpito al fianco e ha fatto in tempo a vedere il fratello essere massacrato, prima di morire- raccontò in qualche modo sconsolata la mora, accortasi improvvisamente di quanto in quel momento si sentisse madre e donna

-Hanno figli?- domandò la bionda sfilando il corno dalle mani del capo clan

-La donna di Brycen è incinta. Fearghal ha due figli maschi, sono orfani ora- riportò Gwen in un sospiro. Le dispiaceva per la donna di Brycen, era quasi un'amica, così bella e esuberante.

-Prenderò con me i figli di Fearghal, li addestrerò. Come simbolo della mia fedeltà- ordinò Bonnie

-A una condizione: tra dieci estati torneranno tra la loro gente-

-Accetto la tua condizione-

-Gwen, vieni a vedere- la chiamò Heilyn, incappucciato come al solito. Era l'unico che dopo quella giornata aveva continuato a rivolgersi a lei come sua pari, sfrontatezza tipica dei bardi pensò Gwen, unita al fatto che erano cresciuti insieme

-Cosa succede?-

-Hanno preso uno dei romani, capisce la nostra lingua ma sembra non si fa vedere in volto- disse il bardo

-Fammi strada- ordinò la donna.

Heilyn la accompagnò sul retro del villaggio, dove un uomo di altezza media o forse addirittura più basso della maggior parte dei celti, era tenuto fermo da Hywel e Owain. Si dibatteva, ma i due stringevano sempre più la presa suoi suoi polsi. Era uno di loro, o meglio lo era stato. Si vedeva da lontano che aveva tradito, quanto meno aveva paura a farsi riconoscere.

La donna si avvicinò e con un gesto brusco gli levò l'elmo romano... restando letteralmente spiazzata dal volto che si nascondeva sotto.

-Ramsey, ti credevo morto. Sarebbe stato meglio per te e invece hai deciso di tradirci tutti- gli sputò in faccia -Qualche parola in tua difesa?

-Gwen, puttana eri e puttana rimani-

-Sono felice di vederti anche io- gli sorrise sadica -Owain cosa suggerisci? Come lo ammazziamo?-

-Impicchiamolo, come un comune ladro- suggerì il fabbro sovrappensiero

-Hywel?-

-Morte delle donne- si pronunciò il guerriero facendo iniziare a tremare il prigioniero e supplicare di essere risparmiato da quella tortura orrenda. Consisteva nello spogliare la vittima, castrarla e lasciarla sanguinare fino alla morte.*

-Heilyn? Vai a prendermi un coltello, non voglio sporcare il mio- ordinò al bardo che tornò poco dopo

-Non ti darò la morte delle donne. Sarai sgozzato, come il vile traditore che sei e il tuo corpo sarà fatto a brandelli: la tua anima resterà sempre a vagare nell’Oltretomba senza trovare un corpo nuovo in cui rinascere. Lasciatelo- detto questo la donna si posizionò alle spalle del suo antico promesso sposo e, una volta afferrato per i capelli, gli appoggiò il coltello alla gola. Fece in fretta, un lavoro pulito fatto da mani esperte. E il suolo, il vestito e il volto di Gwen si riempì di sangue. La sua vendetta era appena iniziata.




NOTE DELL'AUTRICE: che bello metterci i secoli per aggiurnare ma va bene così... La sfiga perseguita questa storia, infatti ero quasi a metà prima di andare su a Celtica (che come al solito mi da ispirazione) e quando sono tornata era stata eliminata a caso dal computer. Misteri! 
Comunque, io vi avevo detto che sarebbe stato un capitolo bomba e ho cercato di renderlo tale. Un paio di precisazioni: il popolo di Bonnie erano quelli che i romani chiamavano Pitti, ossia i celti delle montagne che vivevano di razzie e che si pitturavano il volto, da qui il nome, di solito con colori sul blu, ma ho voluto cambiare apposta il colore dei disegni per rendere la scena più truculenta. Per la morte delle donne (*) mi sono attenuta ai romanzi di Bernard Cornwell anche se era davvero in uso.
Ringrazio la solita Eilan21 che recensisce sempre. A presto, spero

Tenebra

 

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Capitolo 15
*** capitolo quindicesimo ***



 

CAPITOLO QUINDICESIMO


 

5 mesi dopo

Myrddin si svegliò con un urlo che gli si mozzò in gola, la fronte imperlata di sudore, il corpo tremante e gli occhi lucidi. Si concesse due respiri profondi, il minimo per placare il cuore che batteva all’impazzata, poi scese dal letto. Nell’oscurità della capanna controllò che suo figlio dormisse pacificamente avvolto nelle pesanti coperte, poi cercò a tastoni il corno che riempì fino all’orlo di idromele e che scolò di colpo. Ma non era di alcol che aveva bisogno, bensì di aria. Riempì nuovamente il corno e si avvolse nel mantello di lana marrone bordato di pelliccia e uscì nella notte gelida.

Nonostante fosse passato quasi un mese da Imbolic, il clima non accennava a diventare più mite, addirittura qualche giorno prima aveva nevicato e la neve gelata scricchiolava sotto ai piedi del maestro di spada fino a che non si sedette su un ceppo davanti alla capanna.

-Non riesci a dormire?- la voce di Gwen lo fece sobbalzare, non si sarebbe mai aspettato di trovare qualcuno sveglio

-No, gli incubi mi tormentano ancora una volta. Tu perché non dormi?-

-Credo che la luna mi sia entrata nel sangue. Notte di luna nuova…- sorrise Gwen accarezzandosi il pancione

-Si vede che sei incinta- gli sorrise Myrddin

-Già, inizio a sentirmi una specie di vacca. Mi sembra di essere incinta da tantissimo- sospirò la fanciulla

-Grazie alla Dea sono state cinque lune di pace-

-Grazie a noi, credo che i romani abbiano avuto paura di noi. Può andare solo a nostro vantaggio la cosa-

-Cosa farai quando ci sarà la pace e non dovremmo più preoccuparci dei romani?- chiese il maestro di spada

-Probabilmente mi trasformerò in una di quelle madri che fanno andare avanti casa, figli e marito e partorirò un bambino ogni estate. Oppure mi farò insegnare il mestiere da Owain. Tu?-

-Continuerò con il mio lavoro. Pulire spade, ripararle, costruire cotte di maglia e lance… il solito- sospirò il maestro di spade

-Parlami di mia madre- gli chiese Gwen cambiando totalmente discorso

-Cosa vuoi sapere di Nimue?-

-Tutto, inizia da quando l’hai conosciuta- a questa richiesta Myrddin sospirò. Avrebbe pianto, ne era certo. Amava quella donna più di quanto non avrebbe mai pensato di amare.

-L’ho conosciuta dodici estati fa, era un giorno d’estate, caldo e secco. Eppure nell’aria vi era sentore di pioggia. Ero andato a caccia verso sera, la mattina l’avevo passata a aspettare che la sbronza della sera prima passasse e il pomeriggio mi ero intrattenuto con Muirne, ma mi serviva del cibo per quella sera…


 

Mi addentrai nel bosco, sperando di prendere almeno un coniglio, nella mia disperata ricerca non mi accorsi di essermi allontanato troppo. Il villaggio era scomparso dalla mia vista e ero in un territorio selvaggio, preda di lupi e orsi. Poi la vidi: stava facendo i bagno in un ruscello, i capelli rossi sulla schiena, il seno nudo e prosperoso, le gambe forti e pronte a scattare. La osservai nascosto dietro a un cespuglio, cercando di non farmi notare, ma misi male un piede e schiacciai un ramo. A quel minimo rumore tese le orecchie e mi sembrò che riuscisse a udire il mio respiro. Rimasi immobile, deciso tra farmi vedere o meno, ma la curiosità verso quella donna era troppa. Decisi di uscire allo scoperto e, vedendomi, non si preoccupò nemmeno di rivestirsi ma mi scagliò contro la pesante lancia, che riuscii a evitare per un pelo. Lei mi guardò con uno sguardo omicida e si preparò a combattere, sfoderando la spada.

-Non spaventarti, non voglio farti del male-

-Chi sei?-

-Mi chiamo, Myrddin, sono di un villaggio qui vicino- feci un passo avanti ma un ringhio mi trattenne. Lupi. Ero accerchiato.

-Posa l’arco Myrddin del villaggio vicino-

-Sei contenta?- le chiesi una volta appoggiato l’arco a terra.

-Sì-

-Ti obbediscono?-

-Sì-

-Non voglio farti del male, solo sei bellissima e mi chiedevo cosa ci facesse una donna sola nella foresta,magari serve aiuto-

-Non mi serve l’aiuto di nessuno, grazie- disse dandomi le spalle e rivestendosi in fretta.

-Parlami di te, come mai sei qui?-

-Ero una sacerdotessa e come ogni sacerdotessa ho celebrato Beltane giacendo con un bardo. Sai quello che si dice dei bambini concepiti a Beltane… Non so dove sia, ormai, magari un giorno la rivedrò, se riesco a sopravvivere.-

Il giorno dopo era di nuovo lì e in quel frangente diventò mia, la prima di tante e tante volte. Poi non la vidi più per cinque lune. Nel pieno dell’inverno, si presentò alla mia porta. Tremava, il volto era scosso da smorfie di dolore e le braghe erano macchiate di sangue. Mi chiese se poteva partorire mio figlio in casa mia-

-Lo fece?-

-Sì. All’alba tenevo mio figlio tra le braccia, mi fece promettere che me ne sarei preso cura. Poi si addormentò stremata. - narrò con un sorriso sul volto il maestro di spada, ricordando il giorno in cui si era innamorato due volte: di Nimue e di suo figlio.

-Poi cos’è successo?-

-Abbiamo vissuto in pace per quattro estati, poi i romani hanno attaccato un villaggio nostro alleato. Nimue si schierò al mio fianco, combatteva orgogliosa e fiera… le somigli moltissimo quando combatti, porti la spada come se fossi nata per fare quello.

Tornammo a casa tutti, solo Gwyn aveva rimediato una brutta ferita al fianco per aver protetto il figlio del fabbro. Ma i romani non avevano intenzione di accettare una sconfitta e cercarono nuove strategie da sfruttare l’estate seguente. E scelsero la più vile: seminare il panico tra di noi, senza lasciare la possibilità di incontrarci tra clan alleati.

Stava calando la sera, qualcuno era già attorno al fuoco allestito in fretta in attesa che venissero scuoiati i conigli che eravamo riusciti a cacciare. Osservavo Nimue squartare senza esitazione e con mani esperte la lepre che aveva in mano

-Quando torniamo a casa, voglio fare il bordo al mantello di Dubhan con questa pelliccia. Sentila, è morbidissima e ce n’è abbastanza per farne un collo. Sta crescendo in fretta- sorrise guardandomi negli occhi

-Tra poco non sarà più un bambino, un paio di estati e inizierò a insegnargli come si combatte-

-Sai che avrei voluto che tu iniziassi prima- mi disse pulendo il coltello sulla tunica

-È un bambino, amore mio. Lascia che giochi!- le sussurrai all’orecchio

-Se dovesse succedere qualcosa di male a mio figlio perché non sei stato abbastanza uomo da insegnargli a combattere, giuro sulla furia di Bel che ti pianto un coltello qui- indicando lo sterno -e ti apro fino qui- disse tracciando la strada fino al pube con la punta del coltello per poi baciarmi avidamente.

-I romani! Un’imboscata!- l’urlo di Idwal si propagò per tutto il campo. In pochi riuscimmo a impugnare le armi prima di essere raggiunti dalle frecce nemiche.

-Quadrato forza, fate quadrato!- ordinò Aengus al clan

-Sono troppi! Non riusciremo a batterli!-

-É inutile morire tutti. Scappate- urlò Gawain

-Cosa hai intenzione di fare amico?- chiese sconcertato Gwyn

-Se voi scappate riuscirete a vivere. È inutile condannarci tutti a morte, resteremo a combattere in pochi- spiegò il figlio del fabbro

-Io resto- disse sicura Nimue

-Non puoi farlo, tuo figlio…- le chiese Myrddin con le lacrime agli occhi

-Hai giurato di proteggerlo. Raccontagli che sua madre è morta per permettergli di vivere e se un giorno dovessi intrecciare la tua strada con quella di mia figlia, proteggila, ti prego. Chiedile perdono da parte mia e dalle questa, la mia spada deve essere sua- spiegò Nimue sorridendo in scherno alla morte -E ricorda che ti ho amato. Scappa amore mio

-L’idea è stata mia, non ha senso condannare gli altri per un’idea che ho avuto io. Bada a mia sorella amico mio- disse in tono piatto Gawain

-Dovrei restare io-

-Per la Dea! Prendi mia sorella e vattene- gli ordinò, mentre Eira piangeva e si dibatteva tra le braccia di Gwyn, fino a riuscire a divincolarsi e scappare verso il fratello.

-Gawain non puoi farlo! Fratello!-

-Eira! Eira, no! Torna in dietro!- le urla unite di Gawain e Gwyn non servirono a nulla. A metà strada tra i due una freccia la colpì al collo. Gwyn corse a sorreggerla.

-Portala in un luogo sicuro, proteggila Gwyn- lo pregò Gawain

-Lo farò, amico mio. Addio-

Gwyn si permise di sedersi solo una volta nascosto tra gli alberi e i cespugli. Eira respirava ancora a fatica, tenendosi la ferita con una mano.

-Gwyn, ho freddo… morirò vero?-

-No, non morirai piccola mia. Starai bene- non sapeva se stava convincendo lei o se stesso

-Ti amo Gwyn…- riuscì a mormorare prima di arrendersi alla morte

-Eira! Eira, no! Non abbandonarmi, no! Eira… io ti amo- urlò stringendo a se il cadavere della ragazza.


 

Lo ritrovammo che albeggiava, ancora stretto al cadavere di Eira. Sul campo di battaglia erano rimasti i cadaveri di coloro che si erano lasciati morire per noi. Tra questi non c’era tua madre, presa prigioniera e tenuta prigioniera nell’accampamento costruito poco distante…- le lacrime solcavano il viso dell’uomo, mentre Gwen gli teneva la mano

-Cosa le accadde?-

-Sei certa di volerlo sapere?-

-Credo di averne diritto-

-Sei identica a tua madre- le sorrise l’uomo riperdendosi tra i ricordi e ricominciando a narrare

Nimue era già stata prigioniera dei Romani, l’avevano torturata e portata a un passo dalla morte, ma l’avevano sottovalutata. Una notte, dopo l’ennesimo stupro, avevano dimenticato di legarla nuovamente e era riuscita a fuggire nella foresta, diventando la donna selvatica che avevo conosciuto. Quella notte, in molti la ricordavano ancora: i capelli rossi sono una caratteristica che i Romani non dimenticano facilmente, credono portino sventura. Per questo le risparmiarono la vita sul campo di battaglia, per torturarla e ucciderla come il miglior bottino di guerra.

La spogliarono nuda e le misero un collare al collo come fosse una cagna rabbiosa, le legarono i polsi e le caviglie, ordinandole di camminare, tirata al guinzaglio. Al primo passo cadde a terra e allora la fecero strisciare a terra come un verme, mentre i colpi di spada le colpivano il corpo e il viso senza pietà. Portata dai loro capi, le rasarono il capo e poi fecero un macabro gioco. Le legarono il busto a un palo, lasciandole della corda sufficiente per muoversi leggermente. Completamente nuda e disarmata doveva cercare di battere un guerriero completamente armato: se lei lo avesse battuto sarebbe stata uccisa, mentre chiunque avesse vinto contro di lei era libero di stuprarla come meglio credeva. Le sue urla mi perseguitano ancora nel sonno. Al mattino la trovarono morta per le ferite interne dovute dai continui stupri. Infierirono ulteriormente sul suo cadavere, pisciandoci sopra e poi la fecero a brandelli…

-...Non potrò rivederla mai più, nemmeno nell’Oltretomba. A volte sogno ancora la sua morte e so di essere impotente, non posso e non ho potuto fare nulla per salvarla. È il mio rimpianto più grande, avremmo anche dovuto sposarci quell’estate a Lughnasad- concluse Myrddin con le lacrime che gli solcavano il viso. Gwen strinse la mano dell’uomo che le stava parlando.

-La vendicherai, la vendicheremo- gli promise

-Dimmi Gwen, figlia di Urien, che senso ha la vendetta se quando torno a casa non vedo il suo sorriso, se non mi sveglio con lei al mio fianco? Che senso ha la vendetta se non potrò mai più riaverla?

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Capitolo 16
*** capitolo sedicesimo ***


CAPITOLO SEDICESIMO

due mesi dopo, vigilia di Beltane


 


 

Gwen venne svegliata di colpo da un corpo che si infilava nel letto insieme a lei. Un corpo femminile, il corpo di Arlinna.

-Forza sposa. É giunto il gran giorno- le sorrise la moglie di Idwal. Assieme a lei c’erano quasi tutte le donne del villaggio: Samia, Nora, Lexxy, la donna di Brycen, Edana, e la sorella di Talisien, Caoillin. Avrebbero dovuto lavarla e vestirla, prepararla per quella sera, la notte in cui sarebbe diventata sposa.

La sollevarono quasi di peso e, incuranti delle proteste di Gwen, la portarono al fiume. Lì la spogliarono e si buttarono tutte nell’acqua, attente a riempire di schizzi proprio il capoclan.

-Cara mia, dal tuo stato direi che sotto le coperte il tuo uomo lo soddisfi proprio bene- ammiccò Edana. Era una donna bellissima, dai lunghi capelli castani che incorniciavano il volto dai tratti leggermente spigolosi, mentre il fisico era magro e sodo.

-La vera domanda, Edana, è se lui soddisfa lei- sorrise maliziosa Arlinna, mentre sia Samia che Lexxy diventavano rosse.

-Gwyn mi soddisfa e direi che io soddisfi lui. Tu invece Arlinna? Mi sembrava di sentirti sempre molto partecipe- disse Gwen facendo arrossire di rabbia e imbarazzo l’amica

-Come osi…- le urlò riempiendola di schizzi, che l’altra accettò ridendo, mentre Nora e Caoillin iniziavano a frizionarle in corpo con dei piccoli ramoscelli. Infine, rimasero al pallido sole di maggio ad asciugarsi.

Era quasi calata la sera quando iniziarono a preparare Gwen per il matrimonio. La vestirono di una tunica bianca a cui venne sovrapposto un vestito rosso, che chiusero con una cintura a cui appesero corno e coltello. Tra i capelli le intrecciarono dei fiori con maestria. Ogni sposa deve essere bella il giorno del suo matrimonio.

-Lexxy, vai a prendere la mia spada-ordinò alla più giovane del gruppo

-Non dovresti portare armi il giorno del tuo matrimonio- le sussurrò Nora

-Ho un presentimento, amica mia- disse prendendo tra le proprie le mani della più anziana -E non è un bel presentimento


 

La notte calò in fretta e con essa l’aria divenne frizzante, quella leggera frescura che si fa sentire sotto ai vestiti leggeri. Il villaggio era stato addobbato con ghirlande di fiori primaverili, le stesse ghirlande che impreziosivano il capo delle fanciulle, vestite solo di tuniche leggere quasi trasparenti, e le corna delle giumente. Due pire erano state preparate nello spiazzo centrale, due fuochi gemelli, pronti per essere accesi dalle fiaccole di ogni coppia che si sarebbe formata quella notte: unione considerata sacra.

Gwen era appoggiata alla parete della capanna centrale, osservava distrattamente la vita andare avanti nel villaggio. La mente vagava, lasciava spazio all’immaginazione… L’immagine poco chiara di sua madre, poche estati più grande di lei, ma così forte e risoluta da scegliere di venerare la Madre diventando lei stessa Dea per il suo Dio, che aveva il corpo e il nome di un bardo. Una lacrima solcò il suo viso, ma prima che riuscisse a asciugarla, lo sentì fare da una mano ben più rude della sua, ma a suo modo dolce.

-Idwal?- sussurrò sperando di aver visto bene, nonostante gli occhi velati dal pianto

-Sì, Gwen. Stai bene?- chiese preoccupato

-Sì… Tranquillo- per risposta Idwal grugnì

-Vieni- disse prendendole la mano e accompagnandola dentro la capanna

-Cosa ti succede?- le chiese

-Pensieri… Pensavo a mia madre e a quello che si dice no?, che a Beltane, quando le coppie giacciono insieme, si è come il Dio e la Dea. Non proverò mai tutto questo, io avevo sempre sognato la mia prima volta in questo giorno invece… invece la mia verginità mi è stata strappata via- sussurrò tra i singhiozzi mentre Idwal la stringeva al suo petto

-Non è detto che tu non lo possa provare mai… con Gwyn?-

-É solo passione… probabilmente mi sposa solo per pietà- sputò con rabbia

-Non dire così, credo di conoscerlo abbastanza bene per affermare il contrario. Ti vuole bene-

-Credi?- Gwen lo osservò con uno sguardo da cucciolo bastonato

-Sì. Ti vogliamo tutti bene- sussurrò Idwal mentre la ragazza nascondeva il viso rigato dalle lacrime nel suo petto -Sei così giovane… Hai ancora tutta la vita davanti-

-Vorrei riuscire a essere più forte… Fare di più per il mio popolo-

-Più di quello che già fai? Guardati. Hai diciassette inverni, sei sopravvissuta a una ferita al fianco e a una alla gamba che avrebbero stroncato qualsiasi uomo, hai perdonato l’uomo che ti ha stuprato, sei il nostro capoclan acclamato senza assemblea e ti stai per sposare… Io… non sono nemmeno lontanamente forte come lo sei tu-

-Non ho ancora vendicato mia madre- sputò con rabbia Gwen uscendo dalla capanna seguito dallo sguardo interrogativo dell’amico.


 

Il cielo si faceva via via più scuro e dal villaggio salivano i canti festosi e le risate delle ragazze che avevano avuto il permesso di festeggiare per la prima volta Beltane, profondo spartiacque tra l’infanzia e la vita adulta: era in quel momento che si smetteva di essere bambine e si iniziava a essere donne. I volti delle più giovani erano gioia pura nelle loro vesti leggere mentre danzavano vorticosamente attorno al fuoco in attesa che uno dei ragazzi le scegliesse come sua Dea per quella notte. Solo insieme, mano nella mano, avrebbero saltato il fuoco che li avrebbe legittimati a giacere insieme quella notte.

-Tutto bene donna?- chiese Gwyn cingendo con un braccio la vita di Gwen e attirandola a se

-Sto bene. In quanto a te, sei ancora certo di volerlo fare?-

-E perché non dovrei piccolina? Il figlio che porti in grembo è mio- le sorrise

-Sappiamo entrambi che non è…- non riuscì a finire la frase che Gwyn le baciò le labbra

-É mio figlio e non permetterò a nessuno di osare dire che non è sangue del mio sangue. Vogliamo andare moglie?- Gwyn le prese la mano e la guidò tra i due fuochi, fino all’altare di pietra che veniva usato per celebrare.

Il villaggio taceva, avvolto in un innaturale silenzio. I canti e i balli si erano fermati e si udiva solo lo screpitio del fuoco. Aodh sorrise alla coppia, poi alzò la coppa verso il cielo: -questa è la Dea, la nostra amata Madre. In questo modo, lei è presente tra noi-

Prese poi un pugnale e alzò anch’esso al cielo: -questo è il Dio, virile e potente. Io lo invito a assistere a questa unione-

Aodh prese un lembo di tessuto con i colori del Clan, grigio e blu, e iniziò a legare insieme le mani dei due sposi.

-Tu non mi possiedi, io appartengo a me stesso, ma perché entrambi lo vogliamo io dono a te quello che è mio da donare- Gwen e Gwyn avevano appena iniziato a recitare i voti matrimoniali, quando vennero interrotti da un urlo.

-I romani! Attaccano!- la voce si diradò in tutto il villaggio e nella mente di Gwen ci fu solo un interminabile attimo prima di disfare il nodo che teneva imprigionata la sua mano destra e sguainare la spada.

-Forza! Muro di scudi, veloci veloci!- nel villaggio regnava il caos, uomini che correvano a prendere le armi, donne e bambini che scappavano spaventati e l’attacco della cavalleria romana già in atto, che falciava chiunque trovasse a tiro di spada.

-Gwen, non puoi combattere. Pensa a tuo figlio, è troppo rischioso- Gwyn la scosse per una spalla

-Io devo farlo, che capoclan sarei?-

-Un capoclan che si preoccupa della propria salute. Ci penseremo noi a guidare l’attacco-

-Io devo combattere-

-Allora per la Dea, resta nelle retrovie- la pregò Gwyn, baciandola e correndo a occupare il suo posto tra Idwal e Myrddin. Posto, quello alla sua destra che di solito era occupato da Gwen.

-Muro di scudi!- ordinò Idwal. Era formato da pochi uomini, abbastanza solo per impedire il passaggio della cavalleria romana e a frenarne l’urto.

-Lance in avanti!- ordinò il gigante vedendo arrivare il primo assalto, respinto facilmente. Ne seguirono pochi altri prima dell’attacco della fanteria

-Fermi… Resistete!- il cozzo degli scudi era qualcosa di assordante. Ci furono colpi di taglio e punta, colpi portati alla testa e alle caviglie, insulti tra i denti e sputi in faccia. Le prime due linee romane caddero senza troppi problemi e dopo aver abbattuto la terza linea, il campo di battaglia si aprì. Gwyn piantò la lancia nella gola di un romano e si girò a cercare Gwen, la quale riuscì a vedere un romano attaccare alla schiena il suo uomo. Attacco che non venne mai portato a termine perché l’uomo cadde sotto l’ascia di Gwen. Ancora una volta, rimase sorpreso dalla donna che aveva scelto di sposare.

La battaglia si placò solo alle prime luci dell’alba, quando il battaglione romano, decimato, si ritirò disperdendosi nei boschi. Gwen piantò la spada a terra borbottando insulti e appoggiandosi sopra sfinita. Poi, alzò gli occhi al cielo e gridò. E chiunque avrebbe potuto giurare che quello fosse il grido più terrificante che avessero mai udito.


 

-Non può essere, per la Dea, non può essere… è troppo presto- le lacrime solcavano le guance di Gwen, mentre due donne le scioglievano i capelli e la facevano sdraiare sul pagliericcio. Il sangue le imbrattava il vestito da sposa e era difficile definire quale fosse il suo e quale quello dei nemici uccisi in battaglia.

-Stai calma, Gwen. Respira, concentrati solo su quello- le disse Arwyn spogliandola del vestito

-Ti prego, fai qualsiasi cosa, ma salva mio figlio. Non importa se io muoio-

-Non dire così. Forza ora, spingi. Di nuovo, ce la puoi fare. Ancora. Respira forza…


 

Il sole era appena sorto nel cielo di Britannia quando si udì un vagito, un bambino. Un maschio dai capelli rossi come il sangue da cui era nato. Diniwed.

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