Io prima di Te.

di _povery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo. ***
Capitolo 2: *** 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo. ***


Un’isola lontana, quasi nascosta dalle rotte tendenzialmente battute da pirati e semplici marinai. Più che vera e propria isola, uno sprazzo di terra ideale sulla quale lasciar riposare i corpi stanchi di migliaia di fratelli, compagni. Spesso giungo lì, la vana speranza di ritrovare solamente erba e terra – non, dunque, solcata da loculi e nomi, pietre e simboli – inevitabilmente mi accompagna durante il viaggio che compio per raggiungerli. Inevitabilmente la delusione mi colpisce, ma è il sentimento di gran lunga meno sconfortante, se paragonato invece alle sensazioni dei ricordi ancora vividi nella mia mente. Eppure non è la cruenta guerra che mi perseguita; non sono le grida, il sangue ed il dolore ad angosciarmi. Anzi, per lungo tempo ho desiderato quel genere di incubi, sarebbe stato tutto più sopportabile.
Mi avvicino ogni volta a ciascuno di quei nomi, porgendo ad ognuno di loro un sorriso, un abbraccio per quanto fisicamente ciò non mi è concesso. Purtroppo non riesco mai a riconoscere ciascuno di quei visi; ne eravamo tanti, facente parte ognuno della sua flotta, della sua ciurma. Malgrado spesso e volentieri la Mobydick, l’immensa nave di Oyaji, abbia ospitato tutti insieme i milleseicento uomini in rumorose feste e deliziosi banchetti, ricordare il nome di ognuno di loro era impresa assai ardua. Mi sono imbattuto in loro con tutt’altre idee, intenzioni; da sempre ho creduto che il continuo considerarsi
famiglia fosse mera idiozia, una favola inventata dal vecchio imperatore e nella quale vi si era lui stesso vincolato per chissà quale ragione. Maledissi la mia arroganza dopo averli conosciuti, anche se grazie ad essa ho incontrato lei.




Passato I.

Il sole premeva forte sulle loro teste mentre il vento caldo sferzava con ferocia la bronzea pelle di quel gruppo di pirati, tra i venerati della rotta Maggiore, tra i più temuti del Nuovo Mondo. La nave infrangeva le ondate vigorose con il suo legnoso scafo, avanzando rapida ed imperturbabile in direzione del porto più vicino di una delle piccole isole poste sotto il loro controllo. Era stato un lungo viaggio di ritorno quello che vedeva protagonisti la Seconda flotta di Barbabianca, capitanata da uno dei comandanti più giovani dell’intera ciurma, nonché l’unico dotato di forme non propriamente adibite per un pirata; benché le longilinee cosce, il ventre piatto, forme seducenti seppur mascoline ed un prosperoso seno coperto da un esile costume scuro, Portuguese D. Ann vantava il rispetto che aveva guadagnato con sangue, sudore e lacrime da tutta una vita. Sin dalla tardiva nascitura, colei che ora vantava possedere una mastodontica taglia sulla testa, sulle sue spalle il peso di un grande nome, di una leggenda, l’aveva portata ad estraniarsi da tutti coloro che invece lo definivano un diavolo, perché capostipite di un ideale che poi, in parte, aveva a sua volta seguito. Alla morte di Gol D. Roger, l’era della pirateria aveva iniziato un nuovo e sorprendente ciclo.
E di questa nuova generazione lei faceva parte.
Ann, a passi rapidi e decisi, s’incamminava lungo il ponte della propria nave, accompagnata da sorrisi soddisfatti e sguardi misti tra ammirazione e bramosia dei suoi uomini. Nonostante più volte la comandante avesse messo in chiaro la propria posizione con parole e successivi fatti, la mancanza di figure femminili oltre lei poneva in ogni caso in difficoltà i più ‘deboli’ di spirito, che tuttavia tenevano per sé le macabre e sconcertanti fantasie. Inizialmente, l’entrata di Ann in ciurma per loro fu dura, ma l’atteggiamento caparbio e sfrontato dell’altra le aveva permesso di guadagnarsi stima e ammirazione, ed anche la giusta dose di terrore nei suoi riguardi.
<<Finalmente siamo arrivati!>>
Con indomabile entusiasmo la corvina colorò l’esclamazione, arrampicandosi sulla polena della nave per poi agitare le braccia e segnalare così la sua posizione alle imbarcazioni già attraccate a destinazione. Rideva di gusto, gridava con quanto fiato avesse in gola: ce l’avevano fatta, e di lì a poco avrebbe rivisto tutti i suoi fratelli. Come ormai da sempre, le sedici flotte dei Whitebeard si radunavano al termine delle sequele di missioni, viaggi, loro affidati sulla più vicina isola posta alla loro protezione, preparando un enorme banchetto consumato rigorosamente sulla nave madre, una delle più grandi di tutti i mari: la Mobydick, la bambina di Edward Newgate.
Al pensiero di rivedere l’amato padre, Ann sorrise serafica e si tranquillizzò, rilassando le sue membra nel porsi poi seduta, a gambe incrociate, sulla testata della nave.
Arricciò le labbra, gli uomini alle sue spalle che sbrigativi preparavano il necessario per ormeggiare sull’affollato molo, e con l’indice si aiutò a conteggiare i velieri arrivati prima di loro. La Quarta Flotta, capitanata dall’uomo ritenuto per la donna il più importante dell’intera ciurma: Thatch, il cuoco più abile che lei avesse mai conosciuto! Sebbene lo stomaco della pirata non badava particolarmente al gusto stesso del cibo ( <<Che sia cotto o crudo, l’importante è che sia mangiabile!>>) la qualità, e soprattutto, quantità degli alimenti che il comandante era capace di sfornare in poco tempo, era indescrivibile. Ed il fatto che fosse già giunto all’isola, implicava la sicura possibilità che stesse già lavorando con i suoi allievi per soddisfare le voglie di ognuno presente alla festicciola.
Spesso e volentieri Ann si infiltrava nelle cucine della Moby, saccheggiando scaltra antipasti e primi piatti, carne e contorni d’ogni genere e sapore. Lo stomaco della donna era precisamente definito un pozzo senza fondo dal castano fratello il quale, quelle poche volte in cui riusciva ad acciuffarla durante uno dei suoi furti, le dava una sonora strigliata con annessa punizione. Thatch sapeva essere assai crudele, a detta della pirata.
<<Ci prepariamo per lo sbarco, signora.>>
Era una voce roca e profonda a parlare alle spalle della comandante, ed Ann dal solo ma forte odore di rum e sudore poteva immaginare a chi essa appartenesse. Annuì, calcando l’arancione cappello sulla propria zazzera scura smossa dal forte vento.
<<Ti ostini a chiamarmi così, nonostante sei molto più vecchio e saggio di me, Teach.>>
Non si volse neppure a guardarlo quando parlò, non per mancanza di rispetto ma perché la frenesia di ciò che di lì a poco sarebbe accaduto le impediva di non dimostrare palesemente la sua impazienza. L’uomo dal suo canto lo sapeva benissimo; Marshall D. Teach aveva ben presto imparato a conoscerla e a darle lo spazio che meritava: benché il ruolo da comandante della Seconda Flotta era a lui destinato, egli pareva sin dall’inizio aver accettato di buon grado la decisione di Oyaji, incaricando lei al proprio posto. Le caratteristiche maggiormente apprezzate dal burbero pirata erano la tenacia, la sua voglia di dimostrarsi all’altezza della carica che adesso portava sulle sue spalle: una flotta dipendeva dalle sue decisioni, la sua parola portava il giusto peso anche nel consiglio riservato con  gli altri comandanti e col capitano stesso. Ann, malgrado la sua giovinezza, non lasciava farsi intimidire da alcuna situazione, altresì le affrontava di petto senza mai trarsi indietro.
Teach, forse prima di chiunque altro, aveva visto ciò in lei e nella sua storia, convenendo senza remore nella scelta adempiuta dall’imperatore.
<<Non è dall’età che deriva la sapienza, mia signora. Posso giurarti di aver visto molte cose con questi occhi, e di ancora altrettante ne sto cercando.>>
<<
Come il One Piece, neh?>>
La bella pirata ridacchiò, il suo sottoposto poté notarlo dal modo con cui le spalle celermente si alzarono e si abbassarono. Inevitabilmente lo sguardo proseguì lungo la linea della sua schiena, laddove maestoso il simbolo dei Whitebeard la occupava totalmente. Come Marco, la Fenice, anche lei aveva deciso di non celare ma evidenziare, invece, la sua appartenenza alla causa di Barbabianca.
Teach tirò via il tappo dalla verde e larga bottiglia d’alcool che teneva stretta tra le nodose dita, portandola alla bocca per dissetarsi con un lungo assaggio. Nessuno poteva dargli contro, quella giornata era sin troppo calda per tutti.
<<Zeahahah! Anche, anche… ma prim’ancora di arrivare alla fine del mio viaggio, ho il desiderio di appropriarmi di particolari tesori. Forse modici rispetto al patrimonio lasciatoci da Roger, ma per me inestimabili.>>
La curiosità premeva forte nella comandante alle parole del suo sottoposto, rigirò il capo e da sopra la spalla destra fece per guardarlo. Teach notò bene quel cambiamento nel suo sguardo, ed onde evitare possibili domande, le fece un cenno col capo in direzione della nave tinta di blu e giallo, colori che richiamavano fedelmente l’anima del suo comandante.
<<Ben presto rivedrai il tuo cavaliere, è meglio che corri a prepararti. Qui ci penso io, signora.>>
Ann soppesò ancora qualche istante le parole espresse da Barbanera (Così, spesso e volentieri, veniva scherzosamente etichettato dai compagni per via dell’incuria che aveva della sua peluria scura.), per chissà quale assurda ragione vi aveva intravisto un tono sinistro nella sua voce, ma il pirata aveva ancora una volta giocato d’astuzia, distraendola dai suoi pensieri per proiettarli su di un qualcosa, o meglio qualcuno, che riteneva ben più importante di una ingiustificata sensazione di momentanea inquietudine.
Rapidamente orientò le iridi ombrose laddove svettavano le ampie vele, ora ritirate, della Prima Flotta, guidata da Marco detto La Fenice, per via del frutto Zoo Zoo Mitologico assunto chissà quanto tempo prima. C’era chi dubitava persino dell’età dell’uomo dalla bizzarra capigliatura biondina, dall’indole pacata e frigida. Forse il vero ed unico vice di Newgate, a giudicare dal pensiero unanime dell’intera ciurma e dal vero e proprio lavoro svolto dall’uomo.
<<Prepararmi? Non potrebbe trovarmi meglio di così, fratello.>>
In tal modo ella rispose, issandosi sulle gambe nel gettare un’ultima e curiosa occhiata verso quella nave, così come le restanti quattordici navi furono alle attenzioni della bella pirata.
Dunque discese sulla polena dopo aver inspirato a pieni polmoni il profumo di quella terra, di salsedine e iodio che le riempì le narici ed il cuore; Ann si saziava di libertà, di indipendenza, ciò che aveva sin da bambina associato al profumo del mare, alla sconfinata tavola di colori mischiati ed indefiniti dell’alba levatasi all’orizzonte. Era felice della piega che aveva avuto la sua vita, un sogno che in qualche modo si era già realizzato: il One Piece, inversamente per gli altri, per Ann non era la ragione che l’aveva spinta a viaggiare. Ma una ragione che, invece, ora sentiva di aver trovato: amici, fratelli, un vero padre, ed ora anche quel qualcosa in più che l’aveva resa completa.
Teach arcuò un sopracciglio e sogghignò con fare malandrino; Ann non aveva esattamente inteso ciò che il sottoposto le aveva suggerito, ma preferì tacere e lasciare che la fanciulla godesse appieno di quella (da lui definita) piccola fiamma.

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Capitolo 2
*** 2 ***


Quello della famiglia è un concetto che i Whitebeard sono incapaci di spiegare. Ann lo sa benissimo, vi si è trovata invischiata per mera casualità. Il suo piano era quello di sconfiggere Oyaji, l’uomo considerato il più forte del Mondo. Ma a lei poco importava: una pirata che a nemmeno vent’anni rifiuta il diretto invito da parte del Governo ad entrare nella Flotta dei Sette, non teme la morte e non contempla neppure la sconfitta. Inevitabilmente però ciò avviene, per mano di un nemico neppure previsto.
Poco importa, si disse. In ogni caso, l’inesperienza stavolta aveva affrontato un ostacolo troppo alto da riuscire a superare e lei si era ritrovata prigioniera, per mano di quei nemici che voleva invece conquistare.
“UCCIDETEMI!”
Preferiva morire anziché essere sfamata benché fosse loro reclusa. E i suoi uomini, invece? Ad anche loro fu risparmiata la morte. Ann non riusciva ad accettarlo, tantomeno concepire una simile scelta. Perché graziare il nemico, che se solo potesse ti truciderebbe senza pietà!? Perché la capitana dei Pirati di Picche era così: nessuno scampo per chiunque osasse intralciare il proprio cammino, nessuna remora. Soltanto morte e fiamme. I propri uomini l’avrebbero seguita in capo al mondo perché consci che quella rabbia, niente e nessuno sarebbe stato capace di arrestarla.
Eppure.
Eppure si sbagliavano, erano stati sconfitti dalla maestosità di un Imperatore. Dal sentimento che, oppostamente al loro, li spingeva. Niente voglia di popolarità, di conquista, di distruzione ma fratellanza, libertà, amore. Edward Newgate aveva scelto, a loro insaputa, di concedere una nuova chance ai suoi nemici, di portarli con sé per farli vivere da una prospettiva diversa. Perché vi è sempre speranza nel dolore; il rancore non l’avrebbe sfamata per sempre, ma Ann non voleva saperne di capirlo. Si isolava, non mangiava, tutt’al più tentava sempre di attentare alla vita dell’Imperatore quando le si presentava anche la più piccola occasione. Il proprio orgoglio reclamava la sua rivalsa, ma più tentava di sforzarsi per allontanarlo e più l’imperatore dal baffo Bianco tendeva amichevolmente la sua mano.
Non solo lui, ma chiunque su quella nave sembrava non temerla, altresì tentavano a loro volta di conoscerla. Cos’era, quello strano calore? Non derivava dai propri poteri, dal Mera Mera No-Mi, Ann lo sapeva perché già in passato era riuscito a percepirlo. Un lontano passato, fatto di caccia e sopravvivenza, di alberi e famiglia. Rufy, Sabo, Dadan, Makino … Un calore mai più percepito, se non in quel preciso istante.
“Oyaji è fatto così. Vede qualcosa in te… e non si arrenderà, sin quando non deciderai di avvicinarti a lui non per piazzargli un coltello nella schiena, ma per chiedergli: cos’è che vedi?”
Passarono altri giorni, altre settimane di assoluto silenzio e sofferenza, ma quella domanda infine fu posta.
Marco non era un tipo particolarmente espansivo, questo la ragazza di fuoco lo ha capito sin dal primo istante in cui l’aveva guardato. Quell’espressione costantemente ammonente, il suo perpetuo isolarsi, i primi periodi la mandava continuamente in bestia. Ann lo spronava, voleva renderlo partecipe delle proprie pazzie, del proprio ridere, ma nulla. Niente di niente! Anzi, spesso e volentieri, l’eccessiva “magnanimità” della fanciulla veniva poi punita con mansioni di pulizia particolarmente ferenti al proprio orgoglio. Il loro battibeccarsi però cominciò ben presto a divenire una vera e propria routine, piacevole per l’umore di entrambi e di chi vi era attorno.
<<Cos’è quel muso lungo, Marco?! Andiamo, almeno per questa sera vedi di bere un po’ di birra in più che ti fa bene!>>
<<
Questa sera.>> Puntualizzò, prima di imboccare la via per gli alloggi del capitano. Newgate era nelle sue stanze a riposare, lo avevano informato, e per questo Marco lo avrebbe raggiunto per fargli presente dell’arrivo di tutte le Flotte. <<Prima di allora, c’è del lavoro da fare e ti esorto a non trascurare i tuoi doveri.>>
La corvina roteò contrariata gli occhi al cielo non appena l’altro si fu allontanato, ed è proprio nel riflettere sulle incombenze da fare che un mugugno angoscioso abbandona le proprie labbra. Rapporti da leggere, scrivere, mansioni da assegnare, rotte da calcolare;  il lavoro di un comandante non era poi tanto semplice come la ragazza l’aveva immaginato da ragazzina. Ann, inoltre, aveva l’erronea tendenza a posticipare continuamente i suoi compiti, ritrovandosi poi inevitabilmente a dover affrontare l’accumulo fatto, tutto in una volta.
Agli addobbi per la festa, avrebbe pensato qualcun altro.

<<Stanotte avremo molto di cui festeggiare!>>
Mancano poche ore per la celebrazione della riunione di tutte le sedici flotte, ed è il cuoco ora a rivolgersi ai propri fratelli comandanti, Izou e Haruta, che più degli altri potevano probabilmente ritenersi adatti ad organizzare il tutto. Non che vi occorresse particolari doti nascoste, ma la cura maniacale del Sedicesimo e Dodicesimo per i dettagli, contribuivano a rendere unica e godibile la ricorrenza.
<<Cos’è quella faccia, Thatch? Sembri più felice del solito a dover cucinare agli oltre mille e seicento uomini della nostra ciurma.>>
<<Eh eh eh… ho come l’impressione che il bel cuoco abbia finalmente deciso di accasarsi, mio caro Haruta.>>
Ma topparono alla grande, od almeno in parte.
Il castano amava il proprio mestiere di pirata nonché cuoco della Quarta Flotta. Egli sin da ragazzino aveva avuto una forte predisposizione a tale forma d’arte, prim’ancora delle armi o della musica, in cui spesso e volentieri intratteneva i propri uomini in giocose danze e distrazioni, da lui definite necessarie per la serenità e dunque efficienza dell’intera ciurma. Senz’altro, Thatch, tra esperienza e maturità, gode di una forte autorevolezza anche tra gli altri Comandanti.
<<Izou, trovare una donna che faccia per me è un evento persino più raro ed imprevedibile della scoperta del tesoro di Roger!>>
Ribatté prontamente l’uomo, lasciandosi andare in sonore risa. Thatch, a suo dire, ha “Troppo amore da dare, per riservarlo ad una sola fanciulla!” ed è per tale motivo che s’è guadagnato il titolo d’indomabile gigolò tra i compagni.
E’ sul ponte della nave madre che i tre pirati, aiutati dai loro rispettivi sottoposti, stanno disponendo le botti d’alcool (“Ciò che più di tutto non deve mancare, Zehahaha!”), luci dalla ricercata atmosfera e le lanterne necessarie per l’illuminazione della serata. Anche se, aveva suggerito Vista in un primo momento: “A quello ci penserà la nostra fiammella.”
<<Voi non avete idea, fratelli, di quanto la dea bendata mi abbia assistito nell’ultimo viaggio compiuto.>>
Riprende dunque il cuoco, sopraggiunto nuovamente sul ponte dopo essere momentaneamente sparito nei propri alloggi, dal quale ha ritenuto necessario dover prendere il bottino ottenuto di recente, gelosamente custodito in un legnoso quanto elaborato forziere. Su quest’ultimo, vi è inciso: “Deest enim libertas. Sunt liberi homines.”
E proprio come un trofeo Thatch mostrò il forziere agli uomini presenti sul ponte, la cui attenzione venne totalmente catturata e dunque le preparazioni sospese al momento.
<<Cosa potrà mai esserci, là dentro?>>
<<
Monete e gioielli, cos’altro!?>>
<<Ciuffetto e le sue manie di grandezza, starà blaterando!>>
Una folla ad attorniarlo, la curiosità che sovrana regna in quei frangenti il cui cuoco è protagonista indiscusso, al seguito però dello scrigno che poggia su di una cassa. Haruta fece per sfiorare con le affusolate dita l’incisione in basso rilievo ivi riportata, ma prontamente lo interruppe il proprietario stesso, scoccandogli un leggero colpo sul dorso della sua mano.
<<E bene, questo baule cos’ha di tanto pregiato?>>
<<Non il baule, fratello, ma ciò che contiene lo è!>>
<<Non cincischiare ulteriormente, cuoco. Mostraci il tuo tesoro!>>
Ed Izou fu dunque accontentato.
I frutti del diavolo sono vere e proprie rarità, consentono al possessore di acquisire le particolari ed uniche abilità cui il frutto è dotato. Ann, come per esempio, od anche Marco, ne sono possessori e nessuno potrà quindi vantare i loro medesimi poteri. Thatch ha trovato per mera casualità quel frutto dall’aspetto violaceo, grande poco più del palmo della sua mano, composto da pezzi simili a gocce nel quale sono disegnati simboli simili a spirali.
Tra stupore e ammirazione, l’orgoglio del cuoco crebbe.
<<E’ un frutto del mare! Dov’è lo hai trovato??>>
<<Varrà milioni, fratello!>>
<<Ma quale sarà mai il suo potere?>>
Domande che non hanno ricevuto risposta. Thatch preferì tener per sé la mastodontica “avventura” che lo vide protagonista nel recupero del frutto (“No, non sono accidentalmente inciampato sulla radice di un albero durante un inseguimento, ritrovandomi quel strano oggetto viola davanti agli occhi. No, no!”); al tempo stesso, ancor non seppe trovar risposta alle domande circa il valore effettivo del frutto, così come al suo nome stesso. Per quanto uomo colto e sapiente, lo studio dei Frutti del Diavolo non rientrava nelle proprie conoscenze.
<<Yami Yami No-Mi, ragazzo.>>
L’attenzione di tutti si spostò stavolta su Marshall Teach, il quale si fece spazio tra la folla proprio per poter ammirare più da vicino il tesoro. Ma quando tese la rozza mano per poterne saggiare col tatto la consistenza, l’altro ritrasse il frutto e nuovamente lo richiuse all’interno dello scrigno. Che si trattasse di eccessiva meticolosità tutti glielo fecero presente, ma Teach fu l’unico in realtà a tacere, celando un fastidio resosi però evidente dallo sguardo che lanciò al compagno.

<<Eh eh… ma come siam zelanti, cuoco! Rilassati, nessuno poserà anche solo gli occhi sul tuo bel gioiello.>>
Fu nuovamente Izou a parlare, commentando il fare dell’uomo al seguito della reazione sull’avvicinarsi di Teach. Potè intuire il cruccio di Barbanera, derivato proprio dal comportamento scrupoloso dell’altro.
<<Yami Yami No-Mi, eh? Cos’altro puoi dirci del frutto, compagno?>>
Haruta si rivolse proprio a quest’ultimo.
<<Oh, beh, solamente ch’è di inestimabile valore… ci farà una fortuna, Zehahaha!>>

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