Dieci modi per dirti che ti amo

di fervens_gelu_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera ***
Capitolo 2: *** Conchiglie ***
Capitolo 3: *** Acapulco ***
Capitolo 4: *** Tra i fili di una stoffa d'argento ***
Capitolo 5: *** Rivalità ***
Capitolo 6: *** Imparare a lasciarlo andare ***
Capitolo 7: *** In trappola ***
Capitolo 8: *** Notte di fine estate ***
Capitolo 9: *** Ti penso ancora... anch'io ***
Capitolo 10: *** Adesso so quello che pensi di me ***



Capitolo 1
*** Lettera ***


Perché, Ash, lo sai, senza di me…

Kanto, 09/09/2014

Tu non te rendevi ancora conto. Avevi appena fatto qualcosa di speciale, avevi salvato il mondo. Eri il prescelto, avevi fatto qualcosa che mai nessun altro era riuscito a fare, ma non te rendevi conto. Non ancora. Eri immerso nelle acque gelide del mare, i tuoi Pokèmon avevano fatto di te un eroe. Eri un eroe. Per me eri un eroe. Lo sei ancora. L’eroe, il salvatore e il cacciatore del mio cuore… ma come tutti gli eroi e i principi che si rispettano, vi è bisogno di una fanciulla che li assista, che li possa amare. Bene, in quel preciso istante ho pensato potessi essere io. Dovevo salvarti perché non potevo lasciarti andare, non potevo perderti.

Solo quel giorno capii quanto fossi importante per me. Sentii un brivido sulla pelle quando ti soccorsi, quando soccorsi il tuo corpo inerme in mezzo ai ghiacci dell’oceano. Tirai la corda e ciò che non mi faceva provare freddo era il calore del tuo cuore, che sentivo ancora battere, lo sentivo ancora pulsante e soprattutto sentivo ancora il tuo respiro che riusciva a darmi una piccola speranza. Sentivo di potercela fare, non tanto per me quanto per te. Perchè tu avevi me. Raccolsi il tuo corpo e lo portai sulla terraferma. Cercavo di trattenere le lacrime, mentre in modo forsennato tentavo di risvegliarti, di destare la tua mente dal torpore in cui stava navigando. Io e Tracey riuscimmo a stento a farti respirare. In quell’istante avrei voluto scoppiare in un piano liberatorio, eri lì disteso… mi ero rifiutata di suonare la melodia di Lugia, perché volevo starti accanto, per farti sentire che ci sarei sempre stata, anche nei momenti più difficili.


Avevi un compito difficile, avresti dovuto portare le tre sfere al tempietto e ripristinare l’ordine nelle isole dell’Arcipelago Orange. Un’impresa non da tutti. Con tutta la dolcezza e la gentilezza che si possono avere nei confronti di un bambino, cercai di aiutarti a salire i gradini, quei gradini, che ti avrebbero portato alla meta tanto desiderata. Gradino dopo gradino ci eri riuscito, avevi raggiunto la vetta. Poco a poco, ma ce l'avevi fatta. Perché spronato dalla voglia di far avverare il tuo desiderio. Un desiderio che avrebbe salvato l’umanità. Che valeva più di qualsiasi incontro in palestra o di qualsiasi Lega Pokémon.
Eri riuscito in qualcosa di fantastico, in qualcosa che forse, potevi solo sognare;

 Bene, ora tocca a me. Tocca a me dimostrarti quanto io possa valere, dimostrarti che ti amo, dimostrarti che tutte le sofferenze provate nel corso degli anni non sono state vane. Ora spettava a me coronare il mio sogno, dirti quello che provavo nei tuoi confronti da tanto troppo tempo.
                                                           
                                                                                                                                                                        La tua Misty














***Angolo dell'autore: ci tengo a precisare che la raccolta sarà composta esclusivamente da one shot, ad eccezione di questa, che è una flashfic. Sarò molto grato a chiunque voglia accompagnarmi in questo viaggio!

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Capitolo 2
*** Conchiglie ***


Tu, credi, che ci rivedremo?

Sì, certo, te lo prometto.

La sabbia mi solleticava i piedi, mentre a passi cadenzati camminavo mesta sulla riva del mare. Una leggera brezza marina mi accarezzava dolcemente la pelle, mentre i colori sfumati e tenui del tramonto producevano in me sentimenti d'amore e di tristezza.

I capelli leggermente mossi, sciolti, mi ricadevano sulle spalle con estrema delicatezza, mentre un piccolo fiocco a rombi, che riprendeva lo stile del guscio di un Togepi, concorreva a completare la capigliatura. Gli occhi verde acqua erano lucidi, a causa del pianto arrivato senza preavviso.
 
Indossavo i soliti jeans corti e la solita canottiera con le bretelle. Vestendomi così pensavo di poter stare in qualche modo più vicino a lui. Accanto all’unica persona che desideravo in quel momento.

Il mare mi metteva addosso una sensazione di calma, di serenità, riusciva sempre a raffreddare i miei bollenti spiriti o i miei sempre più frequenti attacchi d’ira. Ormai erano all'ordine del giorno. Riuscivo finalmente ad essere me stessa, lontana da qualsiasi problema che ogni volta si presentava, che arrivava per bussare alla porta dei miei pensieri in modo sempre più violento, martellante. In modo amaro, però, il mare rammentava i nostri viaggi per le Isole Orange sul dorso di Lapras, con accanto Lui e tutti i miei amici Pokémon. La vita sedentaria non era fatta per me, per questo, di solito, partivo per qualche giorno con la sacca rossa e qualche sfera Poké per tornare all’avventura, per tornare ai vecchi tempi, tempi in cui era tutto così spensierato e felice. Facile, oserei dire. Senza alcun problema che tormentava e straziava le carni. Come se il tempo potesse non passare mai. Come se potessimo essere per sempre invincibili e padroni di noi stessi fino alla fine dei nostri giorni.  Purtroppo, questo non era possibile. Solo mera illusione. Quando pensavo a lui, mi sentivo legata ad un ricordo, non ero più io a controllare le mie azioni e i miei pensieri. La coscienza prepotentemente scalciava per liberarsi della gabbia in cui l’avevo rinchiusa, in cui l’avevo violentemente imprigionata. Ella voleva trafiggermi l’animo, il cuore e volare verso il vuoto, verso di Lui. Anche cercandolo per sempre. Ed era in quei momenti che stringevo il petto, sentivo una fitta che mi procurava dolore, fitte sempre più forti e violente. 

Il rumore del mare mi faceva stare bene, temprava lo spirito che si andava dissolvendo sempre più rapidamente, per colpa dell'assenza del corvino. Sapevo ormai che non sarebbe più tornato.

Mi sedetti sul bagnasciuga, sentii la sabbia bagnata su di me, forse mi sarei messa a comporre un piccolo castello di sabbia. D’altronde mi assomigliava molto. Così piccolo e fragile nell'imensità del mare. Uno spettatore della vita. Il mare che lo riassorobiva e lo catturava, fin tanto che non avrebbe trovato qualcuno che avrebbe impedito al mare di prendersi gioco di lui.

Perché, anche se solo per quella sera, sarei tornata bambina. La bambina che si tuffava nei ricordi, che ancora non lo aveva conosciuto, che ancora era spaventata dai Gyarados, la bambina acida e scontrosa che, purtroppo, faceva ancora parte di me.

Non appena finii il castello, questo venne completamente distrutto da un’onda di alta marea… così potente, così incapace di avere un controllo, così distruttiva e così meravigliosa. Come il rapporto che avevo con Ash. Un rapporto ambiguo, che sarebbe rimasto nel cuore di entrambi, ma sarebbe rimasto lì, sospeso nel tempo. Niente sarebbe più tornato. Dovevo solo ammetterlo a me stessa.

Mi rialzai e continuai a camminare, dirigendomi verso il faro che brillava nel buio della notte stellata. Stare sola al buio illuminata dal chiarore della luna, circondata in un abbraccio dal mare era una sensazione fantastica. Mi ricongiungevo a lui durante la notte, su quella spiaggia c’eravamo solo io e lui, lui che mi accarezzava dolcemente il volto, le lacrime che scendevano prepotenti dagli occhi, i capelli che coprivano il rossore dei nostri volti trascolorati dal tempo. Perché non eravamo più dei semplici ragazzini, eravamo cresciuti, ma un filo impercettibile, immaginario, ci legava ancora.

Adoravo raccogliere conchiglie, collezionavo le più belle e le più preziose; quelle striate, quelle liscie, le più particolari ed interessanti. Ce ne erano di tutti i tipi. Più ne raccoglievo, più ero felice. Questa occupazione occultava i miei pensieri, riusciva a svuotare la mente dai pensieri più tristi e meno fortunati e mi inebriava del sapore del presente, della salsedine del mare. Udivo delle voci melodiose, ogni qualvolta avvicinavo la conchiglia all’orecchio… voci che provenivano dagli abissi. Ho sempre pensato ci fossero delle strane creature, forse dei Pokémon, che forgiassero queste splendide perle delle acque, le conchiglie. Con il tatto sentivo la loro corazza, la loro durezza, con lo sguardo la loro lucentezza,la sfaldatura, riuscivo a percepire una vita, una vita immobile, lì dentro, uno scrigno di anime, un tripudio di suoni e colori chiari. I corpi delle conchiglie sbiaditi dal tempo. Così come lo erano i nostri volti, avvolti dalla nebbia che non ci permetteva di guardarci.

Sentivo il mare che mi parlava, che mi sussurrava, lo accoglievo, accoglievo i suoni delle onde, accoglievo tutti i colori della vita che si concentravano in me. E Ash era da qualche parte per sorprendermi. Mi aspettava da qualche parte, per potermi donare una conchiglia. La più bella, la più preziosa, quella che solo a me poteva regalare. Perchè rappresentava la nostra unione.

 Avvertivo quando si trovava in pericolo, in difficoltà. Riuscivo ad esultare da lontano per ogni sua vittoria che sentivo anche mia. Anche se io rimanevo incatenata in una piccola cittadina quale Cerulean City.

Volevo solo un abbraccio, il suo abbraccio, le sue mani nelle mie, la sua voce, qualcosa di lui, qualcosa che me lo potesse ricordare. Qualcosa che mi facesse dire di essere viva e non essere ancorata ad un ricordo che mi tradiva, che mi infliggeva colpi sempre più sferzanti e sempre più pericolosi. Un marchio sul cuore,  lacerata sempre più da te, che invece dovevi solamente amarmi, soffocare le mie ire, dirmi che tutto sarebbe andato per il verso giusto. Estirpare i miei dolori, distruggere i miei ricordi, sradicare i pensieri che mi ferivano duramente. Dovevi essere tu a fare tutto questo. Tu. Tu. Tu.
Da sola era impossibile resistere ad un oscuro, senza speranze ed ineluttabile destino.

Mi raggomitolai, nascondendo il volto tra le gambe, mentre i singhiozzi si riversavano verso il mondo e le lacrime venivano inghiottite dal mare come i castelli di sabbia  e pensai a quanto potesse essere difficile vivere con un macigno sul cuore che voleva far fiorire il più bello e maestoso corallo avesse generato la spuma del mare. Io e il mare, in quell’esatto momento, eravamo una cosa sola.


Il mare. Aveva accolto i miei segreti, i miei più intimi ricordi d’infanzia, era diventato il mio confidente. Il compagno di sventure e di avvenuture. Che mi aveva vista crescere. Che mi aveva vista maturare e soffrire.

Presi una conchiglia.

La fissai a lungo, era la più bella fra tutte, aveva un alone magico, oracolare, che la circondava. Voleva dirmi qualcosa. Voleva parlarmi. Avvicinai l’orecchio sinistro, sistemandomi la ciocca dei capelli.
Sorrisi e un brivido percorse tutto il mio corpo. Sentii di poter volare, di poter fare una pazzia. Di poter fare qualsiasi cosa. 
Avevo capito cosa avrei dovuto fare l’indomani, avevo capito… capito che sarei dovuta andare avanti, con o senza di Lui.






***Angolo dell'autore: Ciao a tutti! Ringrazio tutti coloro abbiano letto questa nuova one shot della raccolta... è introspettiva e leggermente triste. Vi prometto che la prossima storia sarà frizzante ed esuberante. Lo spero almeno!

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Capitolo 3
*** Acapulco ***


Quando due persone litigano vuol dire che si vogliono molto bene...

Io voler bene a lui?
Io voler bene a lei?

Eravamo finalmente giunti a destinazione. Acapulco. Una città sul mare, davvero molto carina, gradevole e caratteristica. Gli ombrelloni erano disseminati sulla spiaggia bollente su cui batteva violento il sole… il mare cristallino, i gabbiani sul pelo dell’acqua, milioni di ragazzi e ragazze in costume da bagno a prendere il sole e a spalmarsi la crema solare mentre altri con pantaloncini e canottiera, invece di stare sullo sdraio, facevano due tiri sulla riva con un pallone o con delle racchette da spiaggia. C’era anche chi si esercitava con la vela, destreggiandosi tra le onde del mare dipinte dall’oro lucente dei raggi solari.

Un’atmosfera gioiosa ed invasa dal divertimento più sfrenato. Soprattutto per me, che amavo il mare, le onde e tutto ciò che concerneva l’acqua, sarebbe stata un’occasione per scoprire qualcosa in più sui Pokémon che vivevano nei dintorni di Acapulco. Un vero paradiso.

Non vedevo l’ora di potermi distendere e di poter fare un bagno rilassante.

Mentre pensavo di toccare la spiaggia e di gettarmi da un'insenatura della roccia nelle acque cristalline del mare, guardavo con meraviglia quella distesa immensa di colori ed impregnata di leggerezza. Dopo mesi e mesi passati a catturare Pokémon, ad ascoltare Ash, a sopportarlo per tutto il tempo e a fare i conti con la sua totale incapacità in fatto di allenamento, finalmente mi spettava un po’ di meritato riposo. Era stato grazie al nostro Brock se eravamo atterrati su quella bellissima spiaggia. E se eravamo riusciti a trovarla grazie ad una semplice e vecchia cartina. Delle volte Brock riusciva a compiere dei piccoli miracoli, quando non era eccessivamente impegnato a pensare alle Infermiere Joy o alle agenti Jenny. Qui c’erano veramente troppe ragazze, si sarebbe innamorato per più di una volta al secondo.

Ma, tanto, sarei stata subito pronta a tirargli un orecchio.

Mi passai una mano sul sudore che avevo sulla fronte, avevamo camminato per delle ore e pronti per un bagno rinfrescante che ci avrebbe immediatamente rigenerato.

-Ragazzi, che aspettiamo, andiamo a farci un bagno- fece Ash tirando indietro il suo cappellino.

-Guardate quante belle ragazze- esultò Brock –l’ultimo che arriva paga pegno-

-Ragazzi aspettatemi, Ash vai piano, sei sempre il solito- conclusi io facendo una smorfia ad entrambi
 

Correvo, correvamo, felicemente, correvamo spensierati, come se potessimo stare per sempre insieme.  Come se potessimo per sempre affrontare numerose sfide e superare altrettanti ostacoli.

Scherzavamo come se potessimo vincere contro tutto e contro tutti.

Spensierati, senza sapere nulla del mondo, inconsapevoli di quello che ci avrebbe aspettato in futuro.

Ci precipitammo in spiaggia. Ci spogliammo subito.  Ash, che era proprio un bambino prese una rincorsa e si tuffò in acqua per giocare con il suo Pikachu.

Io stavo per sfoggiare il mio bikini rosso. Il mio preferito, non riuscivo mai a separarmene.

Intorno a me c’erano ragazzi molto carini, forse dopo sarei andata a scambiare qualche parola con il bagnino. Che era a dir poco affascinante. Ma, come al solito, dovevo stare appresso a quei due. Ad uno a cui avrei dovuto tirare le orecchie perché continuamente andava a molestare qualche ragazza mentre all’altro, beh, all’altro… boh, non lo sapevo nemmeno io esattamente. Sapevo soltanto che mi interessava, che c’era qualcosa dentro di lui che mi aveva catturato, che mi aveva colpito profondamente. Aveva un carattere speciale che non avevo mai potuto trovare in altri ragazzi prima d’allora.

Pronta per un bel bagno mi diressi verso Ash e Brock.

-Mh, sembri quasi una ragazza Misty.- mi fecero Brock e Ash.
Un pallone dritto in faccia colpì Ash che cadde in acqua facendo un grandissimo tonfo.

-Wow! Ragazzi, ma quella è l’Infermiera Joy, vado a presentarmi… - gridò Brock in presa all’entusiasmo, eludendo così i miei propositi irosi anche verso di lui.

 

Eravamo rimasti soli… era possibile che ogni volta doveva farmi arrabbiare. Non era proprio possibile.

Il corvino si ricompose in quattro e quattr’otto e sfoggiò uno dei suoi soliti sorrisi. Era mai possibile che riusciva sempre a sorridere. In qualsiasi occasione. Aveva sempre il sorriso stampato sulla faccia. Mentre io ero sempre aggressiva. Non che lui non lo fosse, ma era per questo che mi aveva colpito. Sì, proprio per questo. Il fatto che riuscisse sempre ad essere positivo e che avesse un grande cuore pronto per aiutare gli altri.


Per un attimo gli sorrisi anche io. Ma subito dovetti cambiare l’espressione del viso, non appena il corvino mi lanciò di rimando il pallone gonfiabile.
Allora era un sorrisetto di sfida. Bene.

-Ash Ketchum, ora dovrai vedertela con me, non pensare di riuscire a sfuggirmi. Mi hai sentito?-

-Tanto non mi prendi, sei una frana!-

-Prova a ripetere…-
Ci iniziammo a rincorrere per tutta la spiaggia, fino a quando entrambi non inciampammo su di un piccolo Krabby. Ci ritrovammo uno sopra l’altra.

Arrossimmo in maniera abbastanza vistosa.

Ma non riuscimmo a muoverci di un millimetro.

-Misty… tutto bene?-

-Certo? Cosa aspetti ad alzarti?-

Era tutto così congelato. Sembravamo congelati in un’atmosfera tesissima. Sentivo le mie braccia, le mie mani, tutto il mio corpo completamente paralizzati. Ma non riuscivo bene a capire il perché.

Le mie gote erano rosse mentre la lingua era impastata, bloccata da un groviglio di sentimenti e da una matassa che non riuscivo ancora facilmente a sbrogliare.
 

-Magari se ti levassi, potrei alzarmi, che dici Misty?- mi fece lui, di rimando alla mia assolutamente stupida domanda.

-Guarda che sei stato tu ad inciampare, non sarei caduta se non tu non fossi maldestramente inciampato su quel Krabby? Hai capito?-

-Senti chi parla, ma sei la prima ad essere imbranata!-

-Ma come ti permetti? Ricordati che hai ancora una sfida in sospeso con me! Te lo ricordi vero?-

-Se avessimo continuato l’incontro io avrei vinto, lo sai.-

-Non credo proprio. Avanti, combattiamo.- rincarai la dose con un tono di sfida ed impugnando una Pokéball.

-Ah sì, ti farò vedere chi sarà a perdere.-

Si erano voltati tutti verso di noi. Che pessima figura. Andava sempre a finire allo stesso modo.
Quel ragazzino mi faceva diventare pazza.

-Calmatevi ragazzi, vi cacceranno dalla spiaggia se continuate in questo modo- arrivò Brock per fare da paciere.
Era sempre lui a risolvere le situazioni più tese fra di noi.
Ci separò mettendosi in mezzo, altrimenti la situazione sarebbe degenerata.
Ci guardavamo ancora in cagnesco. Mi dava così fastidio il suo comportamento, era veramente un ragazzo odioso. Ma chi si credeva di essere? Un gradasso. E niente altro.
Arrossii nuovamente immaginando la scena che ci aveva visti protagonisti poc’anzi, mentre ci apprestavamo a gustare i manicaretti di Brock.









​***Angolo dell'autore: Ciao a tutti! Spero che quest'altra one shot vi sia piaciuta... dalla prossima credo che tornerò sui toni malinconici delle prime due, almeno per ora. Ringrazio, come sempre, tutti coloro stiano seguendo questa raccolta!

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Capitolo 4
*** Tra i fili di una stoffa d'argento ***


E questo... sarà più facile portarlo…

Grazie Misty, grazie ragazzi…

 

Ricamai su quel piccolo pezzo di stoffa una parte di noi, una parte di me che ti saresti portato via per sempre, che non avrei più avuto indietro. Rosa come la pioggia fiorita che accompagnava i nostri viaggi durante la primavera, rosso come la passione per i Pokémon che ci accomunava e giallo come il sole che ardeva nei nostri cuori. Ti avrebbe aiutato ad andare avanti, un piccolo dono che avrebbe cercato di esplicare al meglio cosa provassi realmente per te.



Piango.




Piango.




Forse quel piccolo pezzo di stoffa avrebbe potuto interrompere quel fiume incessante di lacrime, invisibili, che scorrevano davanti a me come immagini, illusioni, speranze svanite e promesse infrante. In quell’ultimo dono avevo tentato di dirti ciò che provavo, senza però riuscirci; con le parole non ero affatto brava, anzi.

Fintanto che si trattava di sgridarti, di rimproverarti, di litigare, ero una vera cima ma quando si parlava di sentimenti ero la prima a mascherarli, a non riuscire a parlare… nascosta dal rossore del viso e dagli occhi lucidi. Era il legame tra di noi, ciò che ero sicura potesse unirci. Ti bastava guardarlo, ti bastava toccarlo, poggiarlo sulla tua pelle, che io sarei apparsa, lì con te, per aiutarti, per dirti che non ti avrei mai lasciato. Era un ultimo addio, forse non proprio un addio, un fottutissimo arrivederci. Che sapeva di malinconia e di falsità. Perché entrambi sapevamo che non ci saremmo più rivisti, che non avremmo più litigato come prima… che ormai eravamo cresciuti, avevamo capito che ognuno sarebbe andato avanti per la sua strada, senza guardarsi indietro. Anche se non è possibile farlo, non è possibile dimenticare quei giorni…


Giorni spensierati in cui poggiavamo la testa l’uno sull’altra quando Jigglypuff cantava la sua ninna nanna.


Giorni in cui non pensavamo a nulla, se non alla prossima litigata che avrebbe minato il nostro equilibrio.

Giorni in cui tutto questo ci sarebbe parso impensabile.


Un piccolo dono al cui interno si nascondeva una grande e maledetta verità. Era un dono d'amore.



Ed ora, alla soglia dei vent’anni, sono qui, davanti ad una cioccolata bollente, rimuginando su qualcosa che ho sbagliato. Ma su cui non metterò mai una pietra sopra e che, forse, non potrò mai ricucire.

 

Alla soglia dei vent’anni, ancora guardo questo piccolo pezzo di stoffa, ormai completamente distrutto e scolorito. Ma, forse, lei non sa quanto mi sia stato di grande aiuto. Mi aveva aiutato a ricominciare, a vedere davanti a me una nuova vita, pronto a ricominciare. Ormai sono fin troppo cresciuto per pensare che quello che ho passato con lei sia stato solamente frutto di una semplice amicizia. Perché, evidentemente, non lo era affatto. Il cuore batteva a mille e la vista si annebbiava.


Lo stesso effetto che ancora produce in me non appena il mio sguardo sognante si posa come una fragile farfalla malinconica sui ricordi, stelo di un'antica e oramai lontana avventura.

 

Eravamo avvolti dalla nebbia di mille pensieri. Eravamo Lui e Lei, Lui e Lei in un vortice di ricordi. Eravamo nulla. Perché senza più niente da dire né da raccontare.

Capaci solamente di ferirsi, di incidere e buttare all’aria ciò che importava più di tutto, ciò che mi aveva fatto capire cosa fosse tutto questo.

Non potevo far altro che farti questo dono. Un dono prezioso... ed anche se d’allora ci siamo visti solo due o tre volte, so che conservi ancora gelosamente quel piccolo fazzoletto ricamato. So che ho ancora qualcosa in cui sperare. A cui aggrapparmi, in attesa che tu mi possa accarezzare, facendo librare in cielo quel sudicio pezzo di stoffa che aveva mille cose da dire. Qualcosa che non ero e non sono ancora capace di esprimere con le sole parole.






​***Angolo dell'autore: Ciao a tutti! Spero che quest'altra one shot possa piacervi. Ringrazio tutti coloro stiano seguendo la raccolta. Un abbraccio!

 

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Capitolo 5
*** Rivalità ***


Sarai anche bellissima ma dal modo in cui ti comporti lasciati dire che sei una ragazza dal cuore di pietra…
Spesso la gelosia fa dire cose senza senso.


Era notte. Notte fonda. Le stelle rilucevano di un colore mai visto prima, mentre la Luna piena aveva quasi un colore arancio, magico. Perché mi trovassi sul bagnasciuga, in riva al mare, non me lo spiegavo bene nemmeno io. Prima delle sfide importanti, anzi, quelle veramente importanti, il mare e il rumore delle onde ribollenti che si infrangono sugli scogli erano le uniche due cose capaci di destare in me quella tranquillità capace di calmarmi, almeno in parte. Domani sarebbe stato un giorno sicuramente difficile… forse troppo. Solitamente lasciavo partecipare Ash alle gare che a volte si tenevano in alcune piccole cittadine come questa. Ma ieri, nel momento dell’iscrizione, una ragazza di nome Stephanie, mentre eravamo al centro medico  per Pokèmon ci aveva spudoratamente provato… e Ash si era fatto abbindolare, promettendole, come da sua richiesta, una cena fuori, se lei avesse vinto. Forse Ash pensava solo al cibo che avrebbe potuto pregustare in chissà quale prelibato ristorante e, di fatto, non aveva di certo capito le sue reali intenzioni, ma mi aveva comunque rovinato egregiamente la giornata. Roba da pazzi. Quel moccioso che esce a cena con una ragazza, roba da pupille fuori dalle orbite. Crederci era impossibile, anche se di fatto era ciò che aveva appena visto e sentito con le mie orecchie, che difficilmente mi tradivano.
 
La gelosia, di fatto, aveva avuto per l’ennesima volta la meglio, così che mi decidessi di iscrivermi al torneo di Fiorlisopoli… eravamo ormai vicinissimi alla Lega del Pokèmon di Johto e i miei sentimenti verso di lui erano veramente troppo forti, difficili da mascherare, da nascondere. Era tutto più chiaro, più visibile, più luminoso. Questo per me, almeno. A lui tutto forse sarà sembrato strano. Pensava solo ai Pokèmon, ma non mi aspettavo di certo che cambiasse atteggiamento nei miei confronti.
 
-Misty, perché ti sei iscritta al torneo? Non è da te!- cominciò Ash, non appena, dopo l’incontro con Stephanie, avevo deciso di confermare la mia adesione all’Infermiera Joy.
-Vuoi per caso avere l’esclusiva sui tornei? Nessuno mi vieta di partecipare… poi non hai visto quanti esemplari di Pokémon d’acqua ci sono qui nei dintorni. Forse, potrò sfidarne uno davvero raro- Stavo mentendo spudoratamente, ma Ash penso se la fosse bevuta, dato il suo sguardo abbastanza convinto ma anche adirato per le mie risposte mai troppo dolci, anzi. Brock meno, dato che continuava a fissarmi con il sorrisetto di colui che tutto osservava, tutto capiva e tutto sapeva. Cercai di far finta di nulla, altrimenti avrei dovuto battere in ritirata, senza nemmeno aver cominciato a lottare.
Stephanie con i suoi capelli dorati e quegli occhi da gatta morta fece nuovamente la sua entrata in scena trionfale.
 
-Ash, sei pronto allora, tra poco usciranno gli abbinamenti per la prima fase del torneo!-
 
-Prontissimo! Spero di potermi scontrare con te Stephanie!-
-E tu… partecipi anche tu- mi rivolse uno sguardo truce sorridendo malignamente  -Pensi davvero di esserne in grado e pensare che fino a ieri non avevi affatto intenzione di prenderne parte … guarda che Ash me lo porto a cena comunque-
Bene. Ero dello stesso colore dei miei capelli.
-Eh? Puoi  fare tutto ciò che vuoi con quel moccioso dal cappello della Lega Pokèmon, ma per battermi ti ci vorrà ben altro… e, comunque… io ho deciso di partecipare solo per la quantità non indifferente di Pokemon d’acqua che si trovano nei dintorni-
 
 
-Ti prego, ma chi vuoi far ridere, pel di carota-
 
-Come mi hai chiamata, scusa? Ma chi ti dà il permesso di chiamarmi in certi modi? Se vuoi possiamo sfidarci già adesso!- incalzai, tirando fuori dallo zainetto una sfera Pokè.
-Non vorrai mica fare brutta figura prima del torneo, poi non vorrei che perdessi le poche energie di cui disponi- così dicendo si allontanò, senza nemmeno farmi dire una parola.
Era una delle persone più perfide che avessi mai visto in vita mia. Antipatica e spocchiosa. Sarà stata anche bella ma era veramente una serpe patentata.
-Misty, stai calma, vuole solo farti innervosire, si vede lontano un miglio sia invidiosa- sopraggiunse Brock che aveva ascoltato tutti i nostri battibecchi
-Invidiosa? E di che, scusa- proseguì Ash
Ash , che era vicino a noi, penso non avesse capito veramente nulla, al solito.
Il momento della verità era giunto, tutti ci accostammo all’ingresso del centro medico per vedere quali fossero gli abbinamenti per il primo turno del Torneo. Il tabellone improvvisamente si illuminò e mostrò tutti gli accoppiamenti per la prima fase.
I miei occhi non volevano crederci, si fecero ardenti di rabbia, iniettati di veleno.
-Misty, sei contro Stephanie, attenta, è un avversario tosto, ma so che tu sei di gran lunga superiore, non a caso sei capopalestra di Cerulean City- mi disse Ash poggiandomi una mano sulla spalla.
Eh? Cosa? Aveva appena sfiorato con la mano la mia spalla. Certo che chi lo capiva era davvero bravo.  Non potevo crederci. Ash stava facendo il tifo per me, alcune volte ilragazzino che era in lui lasciava spazio ad un ragazzo più maturo, e anche più serio. Ma l’importante era che non si accorgesse di nulla, né ora né mai. Dovevo solo impedire che Stephanie potesse scontrarsi contro Ash o peggio, potesse vincere il Torneo cittadino. Quindi, l’indomani avrei dovuto solamente sconfiggerla in un incontro uno contro uno.
 
 
 
Eccoci alla resa dei conti. Il sudore scendeva incessante… ed era strano, avevo combattuto così tanti incontri in Palestra, non di certo ora potevo fare la parte di colei che si tirava indietro. Ma sapevo, a malincuore, che stavolta, si trattava di conquistare qualcosa di più grande, una piccola parte di cuore che era tra gli spalti e che mi sorrideva. Dovevo vincere anche per lui, oltre che per me. Per aumentare la mia autostima e per avvicinarmi sempre più al mio obiettivo. Inoltre, facendo  alcune rapide ricerche sulla ragazza dai capelli biondi avevo  visto come amasse allenare Pokèmon di tipo fuoco. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.
-Bene. Siete pronte? L’incontro sarà un uno contro uno che terminerà quando il Pokèmon di una delle due sfidanti non sarà più in grado di combattere. Che il torneo di Fiorlisopoli abbia inizio.-  Così l’arbitro diede inizio allo scontro.
-Pronta pel di carota, ora ti faccio vedere di che pasta sono fatta. Electabuzz, scelgo te- pensavi davvero utilizzassi un tipo Fuoco, cara la mia capopalestra di Pokemon d’acqua.
Maledetta. Avrei dovuto immaginare che anche lei avrebbe cercato il più possibile di carpire informazioni su di me. Ma non mi sarei di certo arresa ora.
-Vai  Corsola! Puoi farcela-
-Finiamola subito Electabuzz, usa tuono pugno!-
-Corsola, schiva. Ora, colpisci con l’attacco azione-
Ottimo, il colpo sferrato era andato decisamente a segno.
-Il mio Electabuzz ha appena cominciato. Colpisci di nuovo con tuono pugno-
Corsola venne ferito gravemente.
-Oh no Corsola! Rialzati, avanti, non mollare-
-Misty, Corsola, avanti, non mollate, potete farcela!-  gridò  Ash
Ash stava facendo il tifo per noi… -Corsola, hai sentito! Non mollare, rialzati, usa ripresa-
-Cara mia questi giochetti rallenteranno solamente la tua sconfitta imminente- fece Stephanie sghignazzando.
-Mi dispiace Stephanie, ma non ho intenzione di mollare, sto lottando per molto di più di quanto tu possa pensare. Ho qualcosa che tu non hai, il coraggio e l’amore per i miei Pokèmon-
-Sei un’illusa se pensi di riuscire a battermi. Electabuzz usa fulmine e facciamola finita una volta per tutte-
Dalle antenne del Pokèmon si iniziò a generare una forte elettricità che andò a colpire il piccolo Pokèmon corallo.
-Bene, me lo aspettavo. Corsola, usa l’attacco a specchio! So che ce la puoi fare!-
Corsola assorbì tutta l’elettricità con una grande forza e rinviò tutto quella massa di energia al mittente.
-Oh no. Electabuzz, ma non è possibile, non dovrebbe soffrire l’elettricità-
-No, è vero, ma è pur sempre di un attacco di forza raddoppiata! E ora, Corsola, concludi con un attacco Sparalance-
-Electabuzz non è più in grado di combattere. Misty e il suo Corsola passano al turno successivo-
-Bravissimo Corsola, sapevo ce la avresti fatta. Ora ti meriti un po’ di risposo, ritorna nella sfera Pokè-
-’Brava Misty- urlò Ash
Il suo sorriso valeva più di mille parole e più di mille incontri vinti. Valeva più di ogni cosa. Il pericolo era scampato e nessuno si sarebbe portato a cena fuori nessuno. Meglio così.
-Ti faccio i miei complimenti Misty, sei stata davvero brava a sfruttare a pieno le potenzialità del tuo Pokèmon nonostante lo svantaggio di tipo-  Stephanie venne stranamente  a complimentarsi con me. Non me lo sarei mai aspettata.
-Ora Ash è tutto tuo, non fartelo sfuggire-
Eh? Cosa? Non dire stupidaggini!
Non feci in tempo a dirlo che un altro sorriso di Lui dagli spalti mi fece battere forte il cuore e cominciai ad avvampare come usualmente  accadeva.
Un altro sogno era quello che avrei dovuto realizzare. E sentivo di esserci ogni giorno più vicina, più vicina al suo cuore. Avrei dovuto solamente essere meno cocciuta e meno acida nei suoi confronti.  C’era qualcosa che mi attraeva e piaceva di lui, ma, allo stesso tempo ve ne erano altrettante che me lo facevano odiare. Era proprio un moccioso.
 
Ma ancora non capivo cosa stessi andando a perdere. Da lì a poco forse lo avrei realizzato. Forse.


 





***​Nota dell'autore: Ed ecco un'altra one shot! E' passato un bel po' di tempo... spero possa piacervi. Un abbraccio a tutti coloro stiano seguendo la raccolta!

 

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Capitolo 6
*** Imparare a lasciarlo andare ***


Tu vieni con noi, Misty?
No, grazie. Se vuoi qualcuno che faccia quello che vuoi, come vuoi e quando vuoi forse dovresti trovarti una ragazza.

 
Bianco, pallido come la neve candida che scende soavemente dal cielo… questo era ciò che vedevo quando mi alzavo dal letto, quando provavo a sbocconcellare qualcosa che mi portavano con un’aria di pietà le mie sorelle e di nuovo quando tornavo a dormire. Un muro, ecco ciò che vedevo, nient’altro che un muro bianco, che ogni giorno sembrava più vicino, come se volesse annientarmi, spiaccicarmi, soffocarmi! Erano l’unica cosa che i miei occhi creavano dinanzi a me. Nient’altro. Solo quel dannatissimo muro. Che sì, c’era, era il vuoto della mia anima ancora intatta, vergine di qualsiasi contatto. Sì, eccome se me ne vergognavo, fin troppo. Ormai le mie ossa non reggevano, andavano pian piano sgretolandosi. Questo solo per colpa sua. Certo, non ci si poteva ridurre così all’età di quarant’anni, proprio no; da quando cinque anni fa avevo scoperto che si era fatto una famiglia e aveva avuto un bimbo, tutto il mondo mi era cascato addosso, con una violenza immane ma allo stesso tempo impercettibile, come se la pioggia scavasse dentro di me con forza. Era disumano, ma di fatto non si poteva vivere in un sogno. Oh no, non avevo più l’età per farlo. Tutto ciò che avevo sognato ma che non avevo mai provato a realizzare, mai, non ci avevo provato, era diventato un incubo, una stilettata al cuore, un pugno allo stomaco e il buio più totale era andato a gravitare intorno a me. Schifo. Ecco quello che provavo nei miei confronti. Schifo. Disgusto. Ribrezzo. Solo questo. Solo una tremenda sensazione. Ero una donna adulta, ma senza alcun tipo di desiderio né di sogno. Ormai non mi nutrivo da troppo tempo, forse, non ricordavo nemmeno come si camminasse, come si compivano i gesti più elementari. Eppure ero stata io, da sempre, a portare avanti la palestra. Io, da sola. Le mie sorelle invece si erano fatte una vita e avevano avuto tutte quante una bella famiglia che le amava. Forse, alla fine, loro non erano nemmeno così male, a differenza mia avevo realizzato tutto ciò in cui io non ero riuscita, che procrastinavo in continuazione, senza mai badare a me, a quello che più intimamente desideravo, ardente nel cuore e nella mente. Tanto lo potrò fare domani? O no? Tanto era questo che mi balenava nella testa ogni qualvolta tentavo controvoglia di alzarmi da quel letto sporco, ormai stanca di arrovellarmi in cose inutili, futili, prive di alcun fondamento. Mi sentivo inutile. I capelli avevano perso il loro colore da tempo, i miei occhi erano di un azzurro spento, la mia vita completamente vuota. Cos’ero? Ah sì, già, una capopalestra. Nemmeno più quello mi riusciva bene, tanto da dover essere sostituita da Daisy nel ruolo di allenatrice di Cerulean City. Erano cinque anni che andava avanti questa farsa, qual era la mia vita. Perché di questo si trattava, di una bugia, non aveva più senso esistere. Per cosa poi?
 
Non avevo mai fatto l’amore, perché volevo solo Lui. Lo avevo capito troppo tardi, troppo, e questa era il risultato di ciò che avevo commesso. Per inerzia continuavo a vivere, mi distruggevo perché così avrei vissuto. Distruggendomi. Tagliandomi poco a poco i pensieri fugaci che correvano via, sfuggivano al mio controllo. Tutto era ormai futile, non necessario.
-Misty, ti prego, non possiamo più vederti in queste condizioni, riprendi in mano la tua vita-
Queste erano le uniche parole che Violet, Daisy e Lily riuscivano a spendere per me. Ma le parole non bastavano, non erano mai bastate. Non volevo riprendere in mano la mia vita. Non lo volevo affatto. I miei Pokémon erano ormai mesi che non uscivano dalle Pokèball ormai impolverate. E di nuovo mi coprivo il volto con le lenzuola dense di lacrime, di pianti di stelle, sacri, ma incapaci di rivitalizzare il mio corpo ossuto. E ancora piangevo, mi contorcevo in smorfie di dolore. Forse sì, stavo impazzendo. Ma quelle immagini che avevo visto mi avevano fatto troppo male. Quel ragazzino così basso, dai capelli corvini , mi aveva sfidato, mi aveva guardato con quello sguardo, lo sguardo di chi è innamorato dei suoi Pokémon. Era così simile a Lui. Lo avevo battuto facilmente con il mio Pokémon d’acqua. Gli dissi di tornare quando sarebbe stato capace di usare al meglio le capacità dei suoi Pokèmon e quando uscì dall’edificio, vidi Lui, lo era venuto a prendere… il ragazzino sarà anche stato molto simile a lui ma di certo non era un grande vagabondo. O forse Ash era lì solo di passaggio e voleva vedere come stesse suo figlio dopo un incontro importante. Vedevo come lo rincuorava, lo abbracciava, gli sorrideva, nonostante avesse perso contro di me. Gli sussurrava qualcosa all’orecchio, parlavano di me… forse, dopo tutto si ricordava che io lavorassi dentro la palestra, che avevamo ancora una sfida in sospeso, ma allora perché non era entrato, non era venuto a salutarmi, anche solo un saluto sarebbe stato sufficiente. Avrà pensato che anche io mi fossi sposata, avessi avuto dei figli e me ne fossi andata da quella bettola di palestra e fossi diventata la migliore allenatrice di Pokèmon d’acqua al mondo e al mio posto fosse venuto a sostituirmi uno qualunque. O forse, non sapeva nemmeno chi fossi. Chi ero stata per lui. E perché io non ero stata capace di andare da Lui, che era lì fuori, magari aspettava che andassi da lui. Ma non potevo. Quel ragazzino aveva decisamente reso impossibile ogni mio gesto, lui non mi apparteneva, il suo cuore era di un’altra, sicuramente più bella e talentuosa di me ma soprattutto capace di amare. Sospiro di nuovo… ma chi volevo prendere in giro.
Le immagini di loro due percorrevano veloci la strada asfaltata, davanti a me, screziandomi il volto, distruggendo il mio volto. E io non ero altro che una donna adulta che ancora indossava una canottiera con le bretelle e dei jeans ridicolmente corti. Non avevo più l’età per certe cose, ma ero rimasta infantile, una bambina cresciuta. Sì, alla fine tra i due ero proprio io la mocciosa. Lui sarà diventato un gran bell’uomo, di successo, vincitore di chissà quale Lega Pokèmon. Forse, se avessi provato a parlargli quella sera; ormai mi nutro di sospiri e di cristalli salati. Non mangio, non bevo, non mi lavo.
 
A cosa serve vivere arrivati a questo punto.
A cosa serve vivere se si è persa la ragione per farlo.
No, non aveva senso. Nulla aveva senso. Nulla lo aveva avuto.
 
Bloccata in un passato, in un rimpianto senza fine, in una lacrima che mi dice che sono viva, che può rincuorarmi, può farmi credere che solo io sia la donna che lui abbia amato per prima. La prima e unica donna della sua vita. E che non si dimenticherà mai. Che non potrà farlo nemmeno se vorrà.


 
 
Mi alzai piano dal letto, non lo avevo mai fatto fino ad ora, cercai qualcosa nel cassetto. Le gambe, le ginocchia, il collo facevano male. Era la mente, l’amore a sconfiggere tutto quel mare interiore, infernale. Presi un pennarello fino, blu ceruleo; il ricordo era forte, ma lo avrei dovuto cancellare, lasciandolo andare. Dovevo, non potevo buttarmi via così, non fino a questo punto. Vedevo che il muro, bianco, era lì, fermo immobile. Non lo vedevo più come prima. Era sempre bianco, ma non come prima. Sorretta dal ricordo e dalle esperienze vissute, con la mano tremante, alzai il pennarello e lasciai un segno ceruleo sul muro.
 
 
 
Stavo cominciando a vivere, riscrivendo la mia storia. Resistevo al tempo sprecato, poiché tutto ciò che avevo passato era ciò che mi aveva fatto diventare chi ero ora. Coloro il mio cuore, guardo indietro, lascio andare ogni cosa. Senza lacrime. Quel muro non è più bianco ora. Vivo. Non più per lui.






​***​Nota dell'autore: ecco un'altra one shot, spero sia di vostro gradimento. Questo percorso che sto compiendo con voi lettori per me è davvero importante. Ringrazio tutti coloro stiano seguendo la raccolta. Un abbraccio!
 

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Capitolo 7
*** In trappola ***


Vuoi dire che sono… due piccioncini!
…Non diciamo idiozie.
…Non succederà nemmeno fra un milione di anni.
 
-Come hai detto che ti chiami?-

-Giorgio, è la terza volta che me lo chiedi- rispondeva lui imbarazzato.

Avevo accettato il consiglio delle mie sorelle, uscire con un ragazzo, che mi facesse dimenticare Ash Ketchum. Non che loro sapessero che provassi qualcosa di qualsiasi tipo nei suoi confronti, ma, comunque, avevano organizzato questo appuntamento nei minimi dettagli.

-Non puoi di certo essere ancora single a vent’anni Misty- mi continuava a dire Violet.

-Oh, ma a voi cosa interessa e poi io sto bene da sola, completamente sola, ad allenare i miei Pokèmon, lo sapete benissimo- rispondevo io ogni qualvolta provavano a sfiorare anche lontanamente il discorso.

Alla fine, per farle contente, perché di questo si trattava, avevo accettato di presentarmi all’appuntamento con questo ragazzo che avevano scelto con grande cura per me, perché a detta loro era un buon partito. Tanto non ci avrei perso nulla, anzi, forse, ci avrei guadagnato un’amicizia. Sapevo che poteva essere bellissimo, ma non avrebbe mai superato colui che aveva fatto sorridere per primo il mio cuore.

-Sai, per me è un grande onore uscire con la capopalestra di Cerulean City, per me sei davvero una celebrità-

Mi sembrava tremasse. Onore? Celebrità? Esattamente cosa si era fumato? E quanto lo avevano pagato le mie sorelle per fargli dire certe cose? Di sicuro abbastanza profumatamente poiché altrimenti non me lo sarei mai riuscita a spiegare.
Aveva un viso ancora poco maturo, un anno meno di me, degli occhi verdi come due smeraldi e capelli castano chiaro. Era così diverso da Lui, era timido, in imbarazzo per ogni gesto o azione che compivo, sembrava intelligente, quello di sicuro, e aveva dei modi troppo gentili. Era fin troppo garbato con me, un po’ come lo era stato Rudy.

-Allora Misty, io ti ho raccontato molto di me… tu, invece, cosa fai nella vita, oltre alla capopalestra?-

-Beh, guarda, non è che io abbia troppo tem…-

Non riuscii nemmeno a terminare la frase che un tonfo sordo, un vero e proprio boato si sentì a pochi passi da noi.

-Preparatevi a passare dei guai…-
-Prima che iniziate con la vostra noiosa filastrocca… ancora voi! Siete venuti a tormentarmi anche qui a Cerulean!-
-Beh, sai, ci mancavi pel di carota, il moccioso, cioè, volevo dire Ash, non è più lo stesso, te lo assicuro, ti ha dimenticato per sempre, in effetti un po’ ci dispiace- disse James.
-Non dire sciocchezze- continuò Jessie ridendo a crepapelle con Meowth.
 
-Ash?- mi fece Giorgio.

L’unica cosa che riuscii a fare fu arrossire. I sentimenti erano così aggressivi, violenti ma tremendamente belli.

-Tacete Team Rocket, voi non sapete nulla!-

Non feci in tempo a tirare una Pokèball fuori dallo zainetto che mi trovai intrappolata in una specie di prigione assieme a Giorgio.

-Consegnateci i vostri Pokèmon e nessuno si farà male- proseguì Jessie sghignazzando.

-Siete così carini in gabbia, una coppietta- incalzò Meowth.

Giorgio arrossì con evidenza. Io cominciai a navigare nei ricordi, mi sembrava già di aver vissuto quella scena, quelle voci, quelle parole. Da qualche anno a questa parte, però, ogni cosa mi sembrava simile, uguale a ciò che avevo vissuto con Ash. Io scacciavo i pensieri ma loro tornavano prepotenti per ingannarmi e per intrappolarmi rapidi in una morsa feroce. Il dirigibile, noi due, in gabbia, tutto si era fatto più nitido tanto da divenire trasparente. E poi, le insinuazioni dei tre.
Mi sarebbe piaciuto essere un’altra volta in una situazione del genere con il corvino.

-Allora, a cosa pensi ragazzina? Ad Ash che ti ha fatto marcire qui?- tutti e tre risero di gusto.

-Non vi conviene parlare di lui in questo modo, ve la farò pagare-

Forse, invece, avevano in qualche modo ragione. Ma non potevo dargliela vinta.

Giorgio mi fissava, ma appena incrociava il mio sguardo, abbassava rapido il suo. Forse, aveva capito qualcosa ma non mi importava. Ora vi erano cose più importanti a cui pensare, dovevamo occuparci del Team Rocket e sconfiggerlo.

-Giorgio, avanti, non rimanere lì impalato, distruggiamo quest’enorme gabbia e poi mandiamo a volare alla velocità della luce quei tre. Pronto?-

-Alla velocità della luce?-

-Sì, dopo ti spiego- gli dissi io trattenendo a stento una lacrima.

Entrambi tirammo fuori una Pokèball.
-Vai Delcatty, usa geloraggio!-
-Politoed, tu usa il getto d’acqua-

La gabbia venne fatta a pezzi e i tre ladruncoli rimasero di fronte a noi inermi.

-Forse non avete capito nulla di me, eppure sono anni che mi perseguitate. Non dovete provare a parlar male di persone a cui tengo e a cui voglio bene-

-Starà forse parlando del moccioso basso?- fece Meowth guardando James.

-Non mi interessa- esordì Jessie –ora darò a questi ragazzini una bella lezione che non si dimenticheranno con estrema facilità… vai, Seviper, velenocoda!-

-Il tuo Pokèmon è troppo lento! Politoed, doppiasberla!-

-Delcatty concludi con geloraggio-

…Il Team Rocket vola alla velocità della luce…
-Ora ho capito cosa intendessi per ‘velocità della luce’-

Rimasi a guardarlo, vedevo nei suoi occhi un velo appena accennato di tristezza e un po’ di amarezza per quello che aveva precedentemente sentito. Ero conscia del fatto di essere incapace a nascondere sentimenti anche solo di affetto per una persona che non vedevo ormai da anni. E solo perché continuavo senza indugio ad affogare nel passato, annaspando, senza riuscire a trovare un piccolo pertugio per uscirne. Era una droga che procurava ferite fisiche ed indelebili.
Ma davvero non capivo come il fatto di provare un forte sentimento per una persona così lontana, distante potesse far stare male così tante persone che mi erano vicino.
Giorgio, che sicuramente si sarebbe preso cura di me nel migliore dei modi, era un ragazzo davvero affettuoso e molto carino.
I miei Pokèmon, a cui sicuramente ultimamente prestavo poca attenzione.
E le mie sorelle, preoccupate della mia salute psicofisica, dato che lavoravo in palestra per quasi tutta la giornata, fino a notte inoltrata.

-Misty, a te piace questo Ash, non è vero? Vorrei solo che me lo dicessi… sarei davvero felice per te!-

Stavo allontanando tutti coloro a cui volevo bene solo per un ragazzo e questo non era affatto giusto, nei confronti di tutti. Ma non volevo che loro potessero sentire il mio dolore e le mie crisi di pianto.  Non riuscii a rispondergli… accennai solo un lieve sorriso con cui speravo potesse capire e arrossii lievemente. Ero triste però, questi sorrisi erano tutti così falsi e forzati. Ma tanto loro ci stavano male comunque. 

-Senti, non fa nulla, posso soltanto immaginare quanto sia speciale questa persona per te. Non parliamone più. Ti va un gelato? Dopo vorrei anche sfidarti, per la medaglia goccia, ovviamente-

Aveva capito come farmi passare, almeno per un po’, la tristezza.

-Gelato e sfida accettata, ti farò a brandelli-

Non so, questa uscita mi aveva reso felice, stranamente felice e compresa… avevo finalmente parlato con qualcuno che conoscevo appena del ragazzo che amavo. E senza parlagliene direttamente, ma solo con gli occhi. Mi sentivo già a metà strada di questo difficile percorso, potevo farcela. Potevo dirlo a chiunque, soprattutto a lui. Non mi sarei arresa ora. No, non lo avrei fatto. Ero eccessivamente carica… per la prima volta dopo qualche anno mi sentivo decisamente meglio. Non sapevo però per quanto tempo avrei agguantato questa triste felicità.

 
 
 


 
 ***Nota dell'autore: ecco a voi un'altra one shot! Spero vi piaccia! Un abbraccio a tutti i lettori!

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Capitolo 8
*** Notte di fine estate ***


-Scusate per il ritardo… coraggio, Ash, andiamo a ballare!?-

-Woah, certo-

-Vieni anche tu Pikachu?-

 
Quella notte di fine estate la città di Cerulean City aveva organizzato un piccolo evento immediatamente successivo allo spettacolo acquatico delle mie sorelle per festeggiare l’imminente arrivo della stagione autunnale. Qualche danza caratteristica, tutti avrebbero dovuto indossare un kimono e le celebrazioni si sarebbero protratte fino a notte inoltrata lungo il faro che aiutava le navi ad attraccare e che emanava il suo tipico sfavillante bagliore.

-Misty, non sei venuta al nostro balletto di nuoto sincronizzato, dovresti vergognarti!- incalzò Daisy roteando rapidamente gli occhi come se ci fosse qualcosa di cui stupirsi.

-Su su, non ve la prendete troppo, lo sapete che preferisco un bell’incontro in palestra, rispetto ai vostri spettacolini- dissi mentre facevo le ultime pulizie dalla parte della palestra non accessibile al pubblico.

Tanto sempre a me toccava pulire. Loro non toccavano davvero nulla. Poverine, non volevano sporcarsi le mani. Mi sentivo più una serva che una componente della famiglia.

-Spettacolini? Non possiamo danneggiare la nostra immagine, lo sai, non è vero? Davvero, stai pulendo? Dovresti venire anche tu alla festa, per una volta, sono stati in molti ad aver partecipato all’allestimento e alle decorazioni… e non solo. Ci saranno davvero dei bei ragazzi, non sai cosa ti perdi. Magari potrebbe essere davvero la volta buona per te…- fece Lily.

-Ma lo sai Lily, lei è la bruttina della famiglia- proseguì  Daisy e scoppiarono tutte e tre a ridere fragorosamente.

-No, preferisco di no, andate voi. Darò da mangiare ai Pokèmon in piscina e poi mi coricherò- con una risposta secca le feci zittire e stroncai sul nascere tutti i soliti, identici discorsi che ogni volta nascevano in casa Waterflower.

Non appena Daisy, Violet e Lily se ne andarono vestite con i Kimoni più belli che possedevano, decisi di andare a guardare le stelle dal trampolino della piscina, di dormire non se ne parlava proprio. Il cielo era scurissimo, nero come la pece ed era costellato dalle più belle stelle che si potessero desiderare. Mi raggomitolai su me stessa, stretta in una morsa di freddo, abbracciai il mio corpo debole e stanco. Protesi gli occhi verso il buio incessante mentre cominciavano a sentirsi i primi schiamazzi provenire dal centro della città dipinta d’azzurro.
 
Improvvisamente, colpita da un brivido d’angoscia, mi apprestai ad andare in soffitta, dove tenevo tutti i ricordi in una grande scatola celeste, ormai scolorita dalla muffa e dal luogo stantio in cui la conservavo. Uno di quei cimeli che non ero affatto solita aprire, quasi mai. Solo durante qualche occasione speciale o momento di sconforto che fosse. Soprattutto per questi ultimi ne usufruivo davvero spesso. E nell’ultimo periodo la soffitta era il luogo da me più visitato. La tenevo lì e speravo nessuno potesse mai vederla. Non me ne importava poi molto di quelle stupide cianfrusaglie in realtà, erano solo stupidi ricordi d’infanzia. Niente più che ricordi. La aprii piano, non prima di scacciare tutta quella polvere che soleva crearsi sulla fodera, assieme a quella patina dorata che solo io ero capace di vedere. I miei pensieri erano rivolti verso un solo oggetto. Continuai metaforicamente a scavare fino a quando non lo trovai.

Il Kimono che avevo indossato quel giorno, sulla scogliera.

Risi per un attimo guardando quelle foto scattate mentre ballavo in un modo davvero strambo con Ash. Ridevo senza però riuscire a trattenere le lacrime. Piangevo e ridevo. Non bisognava mai aprire la scatola dei ricordi, forse la avrei dovuta davvero archiviare o sbarazzarmene al più presto. Mi facevo solamente del male, cerebrale e fisico. Asciugai prontamente il dolore, quel dolce pianto, e mi decisi a scendere con quel Kimono al chiaro di luna. Se non potevo continuare ad immergermi senza respirare nel passato, perché mi avrebbe sferzato e fatto un male atroce, nemmeno immaginabile, avrei potuto indossare con disinvoltura i ricordi. Poteva essere una terapia utile. Magari mi avrebbe aiutato a dimenticare tutto questo una volta per tutte. Slegai i capelli, che mi ricaddero quasi sulle spalle e lo provai. Era passato qualche anno, decisamente, ma ancora mi donava come se lo avessi indossato ieri per la prima volta. Mi calzava a pennello, era solo un po’ vecchio ma aveva pur sempre il fascino di un abito antico, un po’ stracciato, ma che sapeva di ricordi lontani. Prettamente di colore rosa aveva dei grandi fiori rossi con dei piccoli tocchi azzurri. Infine quel gigantesco fiocco rosso concorreva ad abbellirlo con una punta di creatività in più.

Mi precipitai giù di corsa, mi ero persa praticamente quasi metà della serata a frugare in quella roba vecchia di anni. Erano state accese delle lampade di cartone che volteggiavano in aria con grande delicatezza, molte erano le bancarelle che vendevano souvenir della città e altre che invece proponevano giochi tra i più disparati, tra cui uno che consisteva nel pescare il Goldeen all’interno di una grande piscina gonfiabile. In cambio si sarebbe ricevuta una bambolina del Pokèmon. Mi avviai a passi lenti per la strada asfaltata sfoggiando il bel Kimono. Tutti mi guardavano in modo strano, in effetti, il modello che indossavo era decisamente vecchio, fuori moda rispetto a quelli calzati da tutti gli altri. Mi sentivo diversa, sì, questo era decisamente il termine esatto, diversa dagli altri… sotto ogni punto di vista, dall’abito, alle ferite sul cuore e sul corpo che più volte era stato scucito per poi essere nuovamente ricucito, male, per giunta. Un po’ come il mio vestito.

-Misty! Ma stai benissimo! Non pensavo di trovarti qui- vidi Tracey, anche lui con un Kimono, grigio e giallognolo.

-Oh, ti rigrazio Tracey, scusami, ma ora devo scappare- gli dissi velocemente senza nemmeno complimentarmi con lui per la scelta dell’abito.

Avevo visto in lontananza, nei pressi nel piccolo boschetto, una sagoma che assomigliava ad Ash; cominicai a correre.

-Misty! Dove vai?- mi fecero le mie sorelle, non appena mi videro.

Continuai a correre, lasciando alle spalle tutte quelle parole assolutamente vane. Fu una corsa folle a dir poco. Data la scomodità della calzatura che indossavo, caddi in una piccola pozzanghera e mi sporcai la parte sottostante del vestito. Ma non mi importava più di tanto, quell'abito aveva fatto ormai il suo corso.

Diamine a questa specie di sandali. Li tolsi rapidamente e zoppicando, avevo tra le altre cose preso una storta non indifferente, continuai a correre, senza fermarmi. La sagoma era sempre più vicina, più evidente e sempre più nitida. Mi sembrava di fuggire da un incubo per raggiungere finalmente la soluzione a tutti i miei problemi. Ma sì, doveva essere lui. Anche lui indossava lo stesso Kimono di quella sera… il celeste e il blu gli donavano moltissimo. Continuai a correre, ero quasi arrivata al mio obiettivo anche se in condizioni che definire pessime sarebbe stato dir poco. Gli alberi che sembravano sfrecciare di fronte a me, conifere in fiore, si facevano sempre più vicini. Ecco, mi trovavo di fronte a lui. Era lui, ma nonostante fossero passati anni, era lo stesso di un tempo, non era cambiato di una virgola. Era spaventosamente identico. Ma era fermo immobile, non proferiva parola.

Mi guardava come mi aveva guardato in quel giorno di fine estate, quando ci eravamo appena iniziati a conoscere, quando ancora eravamo poco più che due ragazzini con grandi ambizioni. Avevo gli occhi lucidi, anche lui, anche lui sembrava piangere, ma forse era solo la mia fervida immaginazione a dipingerlo così. Ma mi guardava come se tutto fosse stato uguale a prima, perfettamente immutato, incancellabile. Ma di Pikachu non ve ne era traccia. Qualcosa non quadrava.

Non credevo al fatto che potesse essere di fronte a me dopo tutto quel tempo che avevo passato innocentemente ad aspettarlo. Dovevo fare assolutamente qualcosa. Provai a tendergli la mano. Ma nulla, rimaneva sempre fermo, con un occhio corvino che sembrava perso, un occhio gelido, trafitto da alcun tipo di sentimento.
 
Come quel giorno, lo invitai a ballare, forse avrebbe funzionato.
 
-Scusami per il ritardo Ash… andiamo a ballare?-

Stavolta il ritardo era forse davvero imperdonabile.

Mi avrebbe dovuto prendere la mano, secondo le mie previsioni. Sembrava come se fossi io a controllare ogni cosa.

-E’ troppo tardi Misty- queste furono le ultime gelide parole che sentii da parte sua. Non era l’Ash che avevo imparato a conoscere. Piano si dileguò, la sua ombra svanì, lasciando solo una folata di vento con sé.





Lo avevo perduto per sempre.



 
 
-Misty, Misty, ti sei addormentata! Sveglia! Stai gridando! Hai fatto un incubo!? Stai bene? Ci sono molti sfidanti che ti stanno aspettando… ti sei addormentata sul trampolino, saresti potuta affogare- mi svegliò Tracey dal bordo della piscina che era venuto a controllare che fosse tutto in ordine in palestra, come spesso soleva fare. Le mie sorelle avevano fatto baldoria ed ora si ritrovavano ancora dentro ai letti con la loro onnipresente maschera di bellezza.



Quindi era stato solo uno stupidissimo sogno. Niente di più. Avevo del sudore sulla fronte e la bocca arsa, tutta impastata… sembrava così vero. Forse dovrei davvero cominciare a dimenticare tutto. O finirò per uccidermi.




-Arrivo Tracey, fai entrare il primo sfidante- risposi, pronta a cominciare una nuova giornata, con quell’incubo ormai alle spalle.

 
Quella sera avrei riaperto quella piccola scatola. La scatola dei ricordi.











 
 







***Nota dell'autore: oggi vorrei prendermi uno spazio leggermente maggiore in questo piccolo angolino che per questa raccolta mi sono riservato... manca poco alla fine, dopo questo capitolo che spero sia stato di vostro gradimento, ne mancheranno solo altri due. Ecco, sapete quando un cantante ha tante demo di canzoni e non sa quale inserire nel suo album? Mi sento esattamente così... ho scritto talmente tanto su questa coppia che ho bozze di vario genere sulla Pokéshipping, ma che alla fine non mi soddisfano pienamente (magari potrei pubblicarne qualcuna dopo questa raccolta, a parte) ma per ora voglio lavorare ancora tanto per i prossimi due capitoli della raccolta e renderli speciali. In effetti questo di oggi è arrivato decisamente prima del previsto, come un fulmine a ciel sereno, anche per me ahah... forse, per i prossimi, dovrete aspettare di più! Beh, dopo avervi tormentato con questo discorso che forse nemmeno leggerete, vi saluto. Un abbraccio a tutti coloro stiano seguendo la raccolta,

​Fervens_gelu_

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Capitolo 9
*** Ti penso ancora... anch'io ***


-Attraverserei i sette mari per conoscere questa sirena-

-Se fosse pettinata in un altro modo, la nuotatrice sarebbe quasi uguale a te, Misty-
 
Era la quarta volta che stracciavo quel pezzo di carta. Vuoto per giunta. Lo riaprivo per poi accartocciarlo di nuovo, perdendo un altro scrigno del mio cuore avvelenato dalla distanza. Non avevo ancora scritto nulla. Forse non sapevo nemmeno cosa scriverci… forse sarebbe stato futile farlo dopo tutto quel tempo. Ma chiamarla da un centro Pokèmon sarebbe stato umiliante per entrambi, per me, che non mi ero fatto sentire per anni e per lei, che forse non mi avrebbe voluto più sentire e che magari si era dimenticata per sempre di me, della mia voce e di quello che fu il nostro primo incontro. Mi toccai la guancia ancora dolorante, che ancora faceva male e mi ricordava quel giorno. E quello schiaffo, forse paragonabile ad un bacio di benvenuto. O forse no.

Non era di certo il giorno adatto per addormentarsi.

Aveva investito i miei sogni come solo lei era capace di fare. Li aveva calpestati, facendomi vacillare, tra realtà e sogno, tra passato e presente, tra verità e finzione. Vedevo ogni parte di lei in ogni parte del mondo in cui mi trovavo. E rivedendo il dono che mi aveva fatto, il mio sguardo fulgido e mesto si proiettava verso la sua piacevole e ormai trascolorata compagnia. La sentivo vicino a me anche quando eravamo lontanissimi. La pensavo nei momenti più duri e difficili, nei momenti di grande sconforto. Eravamo cresciuti insieme e solo questo mi sarebbe bastato per saper che sempre e comunque, anche se non ci saremmo mai più visti divenendo due anime disgiunte, un filo impercettibile ci avrebbe legati magicamente, quel flusso di ricordi e sogni che nessuno ci avrebbe portato via. Che nessun’altra ragazza avrebbe potuto portare via. Anche se fossi andato avanti nella mia vita, ci sarebbe stato un piccolo posto per lei; anche se lei non ne sarebbe stata consapevole né ora né mai.


Il buio si diradava sempre più e da un minuscolo pertugio della tenda iniziava a giungere un po’ di calore e di luce cristallizzata in piccoli granelli impercettibili di polvere. Avevo il serio timore di svegliare gli altri. Serena era abbracciata a Clem, mentre Lem era finito per terra, con la coperta a scacchi che gli lasciava scoperti i piedi. Sembravano davvero dormire serenamente.

Così mi diressi fuori al sorgere del sole per finire di scrivere quella stupida lettera che non ne voleva affatto sapere di essere composta ma solo di essere calpestata e rattrappita, come una foglia stramazzata al suolo. Mi appoggiai su un piccolo gradino di legno fuori del dormitorio; era umido, la sera precedente aveva piovuto ed aveva portato con sé un’aria particolarmente tesa, frastagliata.

Mi diressi verso il lago lì vicino, calpestando tutto quel ciarpame bagnato e ricolmo di fanghiglia.

Mi poggiai su un grande masso da cui si vedevano numerosi Swanna, come aironi di stagnola volteggiare sul pelo dell’acqua e numerosi Seaking, enormi pesci eleganti ed estremamente potenti, fare acrobazie scintillanti e numerosi giochi d’acqua. Era l’alba, sicuramente nessuno si sarebbe destato e mi avrebbe disturbato, forse solo qualche pescatore che mi avrebbe sicuramente ignorato, intento a catturare un gigantesco Magikarp.
L’autunno si sentiva in tutto il suo splendore, nel modo in cui aveva tinto di colori tenui e delicati la foresta e le dolci acque in fiore. Alberi dalle chiome rossastre e alberi giallognoli si stagliavano in quel panorama sconfinato. Infine, alberi aranciati concorrevano a creare quel paradiso di odori e profumi che avrebbe preannunciato un inverno imminente. In particolare questi ricordavano il suo volto incorniciato da quei capelli tenuti corti e quell’aria sbarazzina ma che aveva sempre da ridire su ogni cosa. O almeno quando si trattava di me. Sorrisi senza nemmeno rendermene conto, per poi tornare a guardare quella pioggia di pitture contrastanti che erano specchio del mio animo sopito e allentato dal ricordo sempre più vivo.
Decisi di ricominciare ciò che prima faticavo a fare. Non ero mai stato bravo con le parole e non avrei di certo imparato ora. Ma quella notte mi era apparsa in sogno, in pericolo, avvolta da una nube scura e minacciosa, che gridava. Erano urla che provenivano dal cuore ed erano strazianti, era paralizzata al suolo. Forse era realmente in pericolo, forse avrei dovuto fare qualcosa per aiutarla, per soccorrerla prima che fosse troppo tardi. Anche se probabilmente non la sarei riuscita a salvare, mai. Sembrava dannatamente vero quel sogno, inghiottito dalle ceneri del silenzio.

La pietra era fin troppo scivolosa.

Mi sdraiai sull’erba fresca eccessivamente umida che sapeva di pioggia e mi solleticava la pelle. Mi scompigliai i capelli corvini che mi coprivano quella bellissima vista. Guardai in alto, cercando di dimenticare i pensieri che mi assillavano e non mi permettevano di vivere. Mi apparve tra quei cirri biancastri il suo volto che delicatamente si avvicinava per poi sparire. Per poi ricomparire e di nuovo scomparire. I suoi occhi si mescevano con il cielo, il suo volto era così bianco come le nuvole.

Scomparve.

Si era fatto tardi, ormai, le uniche parole che ero riuscite a scrivere,

 
                                                                                                                Ti penso ancora… anch’io.




 

In qualche modo speravo che anche lei non si fosse dimenticata.

Lem aveva sicuramente iniziato a preparare i suoi fantastici manicaretti.

Poggiai sul suolo bagnato la lettera appena abbozzata che rimase lì per non so quanto tempo. La lasciai lì e corsi verso il piccolo dormitorio ritagliato nell’oasi celestiale.

 
Non ricordo per quanto tempo rimase lì, si troverà ancora nascosta da fiori e arbusti, non so ancora adesso se quel gesto fu un gesto involontario o volontario, la verità è che forse il destino aveva deciso così. Che non ci vedessimo mai più, che le nostre strade non si potessero incontrare perché destinate a percorrere binari diversi in stagioni sempre differenti. Un’estate fredda o un inverno caldo… non avevo più nulla da dirle. Non avevo più nulla da spartire se non faziosi ricordi, se non grandi momenti che sapevamo bene non sarebbero più tornati.


Probabilmente è stato giusto così.


 A vent’anni, ora, posso guardare finalmente avanti perché ho capito che un prezioso ricordo deve obbligatoriamente appartenere al passato. Non ci saremmo più incontrati e di certo mi andava bene così. E anche lei sicuramente lo pensava. Ci eravamo dimenticati l’uno dell’altra.

Faccio un sorriso a Pikachu e mi dirigo rapido verso l’infermiera Joy per chiederle qualche informazione sulla nuova regione che mi apprestavo a visitare.
 







-Se vuoi sbagliare strada, fatti guidare da Ash. E vedrai, tra poco avrà bisogno di fermarsi a mangiare-

-Hey Chinchou, state attenti alle crisi di nervi di Misty-

  
Era sera. La giornata era passata velocemente tra numerosi sfidanti, tutti decisamente poco abili nell’utilizzare i loro Pokèmon. Ma non mi interessava. Oramai i ragazzini di oggi non erano bravi a lottare, erano solo dei grandi presuntuosi. Solo uno di loro era riuscito a sconfiggermi e aveva destato in me la curiosità e quella voglia di esistere che mai prima d’ora era affiorata, andando a riaccendere la miccia che nei miei occhi spenti non si andava a generare da tempo. Come un fuoco acquatico in piena evoluzione.

Corsi in soffitta e presi la scatola, come mi ero ripromessa la sera prima, dopo quell’incubo malefico.

Aprii i ricordi. Il bel Kimono svettava in bellezza e ricopriva, come un velo magico nascondeva un prezioso confetto, tutti gli altri accorati cimeli di un viaggio intero.

Fotografie, ce ne erano tante… un costume, il costume che avevo indossato ad Acapulco per la prima volta. Una felpa, la famosa sacca rossa che mi aveva accompagnato per così tanto tempo, il vecchio abbigliamento di un viaggio ormai lontanissimo. Era inutile continuare a ricordare. Notai tra le altre cose un nastro. Lo presi e subito, gattonando, lo andai ad inserire nel videoregistratore lì accanto. Stavo per scoppiare a piangere. Era il film che avevamo girato tutti assieme. Era il film delle nostre vite.

Ash, Brock, mi mancate troppo. No, ma cosa sto dicendo!

 
Sono ricordi e bisogna sovrascriverli, lo dicono sempre tutti. E anche io avrei fatto così. Perché era giusto così. Scrissi un messaggio su un foglio, volevo che lo ricevesse. Perché avevo bisogno lo sapesse,
 

Ti penso ancora… anch’io,


 
furono le uniche parole che riuscii a lasciare. Non firmai il biglietto. Avevo capito cosa fare.

Basta vivere per gli altri e per questa stupida palestra.

Presi la sacca rossa a me sempre fedele, salutai affettuosamente Cerulean, per la prima volta con una felicità che mai sul mio volto avevo scritto, da tempo ormai. Abbandonai la mia casa e corsi rapidamente dall’Infermiera Joy per lasciarle il biglietto.

-A chi devo consegnarlo?-

-Ad Ash Ketchum- furono le mie parole serene e che suonavano per la prima volta dolci e dette a piena voce. Per la prima volta dopo anni.

-E chi sarebbe?-

Non feci in tempo a sentire le sue parole che già mi ero catapultata all’avventura, con poche Pokèball in tasca, la bicicletta rossa fiammante che era stata ricostruita dalla Joy e da una gigantesca voglia di andare avanti, lasciando il mondo alle spalle. Nessuno si sarebbe mai aspettato questo da me. E in fondo nemmeno io.

Ero un’altra persona.


Non so se quel piccolo biglietto è mai arrivato nelle mani di Ash, ma so che a prescindere da cosa sia successo, forse, non volevo lo ricevesse. E’ giusto che sia così. Perché il destino ci ha chiamati a scegliere; scegliere di vivere, da soli, perché mai il nostro primo incontro è stato per caso. E chissà quante altre sorprese ci avrebbe riservato. Sono solo felice di aver scelto l’avventura, il viaggio.

Solo così avrei celato il ricordo tagliando un baluginio di scaglie mutevoli.


 
 
 A vent’anni finalmente posso guardare avanti, perché ho capito che per entrambi è più giusto così. Ho capito che il mondo va avanti e io non posso più permettermi di rimanere ancorata alle radici storte di una mente conficcata in un sentimento tremendamente crudele.

 
Con la bici che serpeggia lungo il sentiero terroso, mi lascio tutto alle spalle e con la luce del sole che mi chiama ad una nuova vita. Diventerò il più grande Maestro di Pokèmon d’acqua. Lo urlo al mondo intero.

 
 
 
 





 
***Nota dell’autore: innanzitutto ringrazio come sempre chi legge questa raccolta e chi la recensisce! Siamo veramente agli sgoccioli… questo è il penultimo capitolo, il prossimo sarà l’ultimo e tutto questo finirà e non immaginate nemmeno quanto tutto possa essere dolce ma allo stesso tempo decisamente triste. Ma comunque, per la conclusione, vi avverto fin da subito, mi prenderò i miei tempi. E che tempi! Quindi non vi aspettate che l’ultimo capitolo venga pubblicato questa settimana (probabilmente nemmeno la prossima ahah). Comunque  spero che anche questo sia stato di vostro gradimento, spero davvero di avervi trasmesso qualcosa! Mando un abbraccio a tutti!

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Capitolo 10
*** Adesso so quello che pensi di me ***


Adesso so quello che pensi di me.
 
Nessuno arriva per caso nelle nostre vite. E spesso senza far apparente rumore. Entra e lascia un’impronta. Da quel momento in poi rimarrà sempre con noi, che noi lo desideriamo o meno.

 
La neve scendeva piano dalla grata di un piccolo e sperduto centro medico per Pokèmon.

Alcuni allenatori avevano deciso di trascorrere insieme qui la sera della vigilia del nuovo anno con una cioccolata calda e qualche dolcetto gentilmente offerto dall’Infermiera Joy. I fiocchi erano molti e il freddo a dir poco dirompente, sarebbe stato difficile proseguire a piedi. Un momento di ritrovo per tutti gli allenatori dell’isola. Peccato che nonostante tutti fossero in compagnia, io mi ritrovavo su una piccola poltroncina da sola, a rimirare dalla grande vetrata ormai appannata quell’enorme distesa biancastra, il mare congelato e quella vastità di alberi che ricoprivano il vialetto d’ingresso tutto addobbato a festa, con luci sfarzose e nastrini colorati. Il cielo era bianco, vuoto. Nonostante fossero state accese più stufe per riscaldare l’ambiente, il freddo era comunque pungente. Per me sarebbe stato un Capodanno probabilmente da dimenticare e in completa solitudine, forse il primo dopo molto tempo. Ma ero sicuramente più felice di passarlo qui da sola, tra i ghiacci e gli alberi selvaggi che assieme alle mie sorelle a Cerulean.
Era passato quasi un anno da quando mi ero allontanata da casa e avevo deciso di ricominciare tutto dall’inizio. Anche se l’aria natalizia, il dolce profumo del cibo, la neve che scendeva in un flusso continuo e poi intermittente mi facevano ricordare i Natali passati e gli anni che tagliavano con una violenza che sfuggiva al controllo di chiunque… i pensieri vagavano nell’incertezza, ma avevo imparato a guardare verso il futuro, verso i miei obiettivi che erano sempre più chiari e luminosi.

Lì seduta su quella poltrona continuavo a pensare e a progettare. Ciò che vedevo era solo bianco e nero. Niente più che bianco e nero. Vedevo che gli altri mi osservavano con un fare indagatore, come se fossi una pazza a passare uno dei giorni più belli dell’anno da sola, in compagnia solo dei miei Pokèmon, senza nessuno accanto. Una pazza. E nonostante sorridessi alla vita e al mondo ormai da molto tempo, quel giorno, il mio volto si era spento e adombrato. Sentivo di non appartenere nemmeno a me stessa; vedevo le altre persone felici, in festa, pronte a stappare una bottiglia di spumante per festeggiare un anno nuovo in serenità, felicità e forse amore. E questo io non lo avrei potuto fare, perché ero da sola, come sempre del resto. In compagnia di me stessa, forse. O forse di quel vasto cielo e di quel mare in cui mi sarei voluta immergere.
Mi sentivo da sola, sola, sentivo battere il mio cuore con una velocità pari alla neve che scendeva dai tetti, stingeva e cadeva a terra con quella freschezza che donava nuova vita.

Avrei passato l’intera serata e nottata in compagnia di quel turbinio di ghiaccio. E me ne sarei comunque rallegrata.

Un ragazzo ricoperto di neve mi si avvicinò.

-Scusami, posso sedere qui? Le altre poltrone sono tutte occupate- una voce calda e decisamente riconoscibile cominciò a parlarmi.

Ma non mi interessava chi fosse, avevo trovato ormai pace nella più completa solitudine. Avevo il volto che era praticamente un tutt’uno con il panorama circostante.

-Nemmeno da soli, si può stare, almeno a Capodanno- sbottai io rimanendo incollata con il muso sul vetro appannato.

-Misty? Non cambierai mai…- fece il ragazzo, cominciando ad indietreggiare.

Mi sentivo un po’ in colpa per aver risposto in malo modo, forse un po’ di compagnia mi avrebbe fatto piacere e mi sarebbe stata d’aiuto per non passare quelle ore prima del nuovo anno completamente da sola.

Ma come faceva a sapere il mio nome? Chi era?

Mi voltai. Non lo avessi mai fatto. Forse non lo avrei dovuto fare. Forse sarebbe stato meglio rimanere di fronte a quello specchio che creava un’immagine di me sbiadita e tersa. Sarebbe stato meglio guardare quel panorama sconfinato per un’eternità, quel blocco di ghiaccio che era diventato il mondo attorno a me.

Perché il ragazzo che avevo accanto, innevato, era l’ultima persona che mi sarei aspettata di trovare e vedere in questo mio viaggio. Sobbalzai quasi spaventata. E stavolta non era un sogno.
 
-Ash!- queste furono le uniche parole che riuscii a proferire, guardandolo.

-Misty!- mi guardava con uno sguardo sorpreso, non immaginava affatto di trovarmi qui.

-Pikaa!- Pikachu si avvicinò piano e subito si piazzò sulla mia spalla destra.

Non potevo ancora credere di averlo incontrato. Rincontrarlo dopo tutto quel tempo. Eravamo entrambi tremendamente imbarazzati; avevo il timore di incontrare i suoi occhi ogni qualvolta il mio sguardo si posava sul suo volto. Nel frattempo accarezzavo Pikachu. Sembrava tutto così surreale, così irreale.

Improvvisamente mi ricordai di quelle prime volte in cui eravamo costretti ad alloggiare nei centri medici o per strada con solo dei sacchi a pelo. E ritornare a quel tempo mi stringeva il cuore, me lo stritolava.

Nonostante fosse passata quasi una decade, era sempre lo stesso; più maturo sicuramente, lo si vedeva dai lineamenti del volto e dal fatto che fosse cresciuto in altezza, per quei pochi secondi, in cui lo vidi in piedi, senza neppure riconoscerlo.

-Sei da sola Misty?-

-Sì… sono partita per questa nuova regione da poco. Tu?-

-Che coincidenza! Anche io, sai- mi disse mentre si toglieva il suo fidato cappellino e si scompigliava i capelli neri come la pece.

Cominciammo a parlare per ore, delle ore che a me parvero interminabili. Mi raccontò dei suoi viaggi mentre io gli raccontavo degli incontri in palestra, delle sfide che avevo dovuto affrontare e, infine, del viaggio che stavo compiendo per diventare la più grande maestra di Pokèmon d’acqua al mondo.

Ero felice. Felice davvero. Felice di stare lì a parlare. Improvvisamente quel grigiore scomparve, cominciai a sorridere, a vedere nuovi colori attorno a me mentre la neve scendeva sempre più rapida, sempre più fitta e andava a scaldare il cuore.

-Ecco la vostra cioccolata… e questi sono i macaron-

L’infermiera Joy dell’isola ci porse due vassoi azzurri con una tazza fumante e un biscotto per ciascuno, mentre per Pikachu una bustina di ketchup che cominciò subito a divorare.

-Siete proprio carini insieme, magari potessi tornare alla vostra età-

-Eh? Ma per carità- le risposi io. Ero arrossita fin troppo evidentemente. Mi vergognavo tremendamente.

-Ah, no!- Ash abbassò la testa e arrossì anche lui. Lo guardai sperando di non esser vista; e sorrisi… anche lui era arrossito.

-Quanta pazienza che ci vuole con voi giovani- fece la Joy che ormai si era allontanata con il vassoio per andare a servire altri allenatori.

Era arrossito. Anche io. Sembrava fossimo due bambini un po’ cresciuti. Ci trovavamo in un piccolo dormitorio sperduto nel nulla e, data la vergogna, entrambi paralizzati sul posto. Fermi.

-Beh, Misty, che aspetti a mangiare! Io ho fame- così smorzò la tensione che solo per un attimo impercettibile si era andata a creare.

-Immaginavo, sei sempre il solito- lo seguii a ruota pronta a gustare quelle dolci leccornie.

Iniziammo a bere e a mangiare, mentre continuavamo a parlare, parlare di così tante cose, di due vite che avevano preso strade diverse ma che si erano sempre e comunque pensate, anche se sembrava che sia io che lui sapessimo ancora di più di quello che ci raccontavamo. Ci guardavamo negli occhi, vedevo, percepivo la nostalgia nei suoi occhi, nei miei. Il pensiero andava a quei giorni per poi tornare al giorno che stavamo vivendo, l’alba di un nuovo anno e di una nuova esistenza. Due nuove esistenze.

-Che strano, pensavo che alla fine non ci saremmo più visti, dopo tutto il tempo che è passato-

-Forse sì… ma te lo avevo promesso, che ci saremmo rivisti-

-Hai ragione Ash, hai mantenuto la promessa, una cosa buona l’hai fatta- lo guardai con aria di sfida –ma ricordati che comunque abbiamo ancora un incontro in sospeso-

Scoppiammo a ridere.

Fu uno di quei momenti, di quegli attimi in cui tutto mi parve fermo. Noi che ci guardavamo. Solo questo. Noi contro il mondo; noi che ci avvicinavamo sempre di più, per dirci qualcosa che tenevamo vicino e allo stesso tempo lontano dal cuore. Un momento che avrei voluto vivere per altre mille volte. Solo io e lui, dopo tutto quel tempo, come se non fosse passato nemmeno un giorno, come se tutto ciò che ci aveva allontanato, che ci aveva portato via l’uno dall’altra, ci aveva riavvicinato nuovamente, accogliendoci con quel calore e quell’energia mai dimenticata.

Il destino ancora una volta aveva giocato un brutto tiro, senza però mai smettere di sorprenderci; il destino ci aveva forse donato una nuova possibilità che avremmo dovuto agguantare, che avremmo dovuto cogliere, senza lasciarcela scappare.

Vedevo in quel volto e in quelle parole il conforto per tutti i mali e per tutti i dolori che avevo patito in quegli anni.

I pensieri subito volarono via quando lo sentii parlare.

-Misty, Buon Anno!- prese una bottiglia di spumante e la aprì per poi versare il contenuto in due bicchieri-sono felice di passarlo qui con te-

-Buon Anno a te Ash, spero che quest’anno tu possa diventare finalmente il più grande maestro di Pokèmon di tutti i tempi, come hai sempre desiderato!-

-Non senza di te Misty; spero che anche tu possa realizzare il tuo sogno-

Arrossii esageratamente.

-In che senso, che vuoi dire Ash?-

-Che non vorrei perderti di nuovo, vorrei cominciare questo viaggio con te; è passato del tempo, molto, credo di essere cresciuto- arrossì leggermente e mi guardò.

Non sapevo cosa dire, cosa rispondere. Mi aveva proposto di viaggiare con lui. Di tornare alle origini. Di tornare a quel momento. In un baleno ripercorsi tutti i momenti vissuti in sua compagnia, i più belli della mia vita.

-Sì Ash, non potrei desiderare altro… ma sappi che se vengo in viaggio con te è solo perché la bicicletta parcheggiata qui fuori me la avresti dovuta pagare tu-

-Ancora con questa storia Misty!-

-Ti conviene scappare finchè sei in tempo-
 
Ash corse fuori dal centro medico mentre il sole stava ormai sorgendo. Lo cominciai a rincorrere in mezzo alle neve. Ci rotolavamo in mezzo alla coltre biancastra, arrossivamo prepotentemente. Dovevo ancora dirgli molto e anche lui vedevo fremesse, anche lui vedevo mi nascondesse qualcosa. Ma non lo avremmo mai ammesso a gran voce. Non avremmo mai pronunciato quelle parole, esternando quei sentimenti. Il viaggio era appena cominciato. Avrei avuto tutto il tempo per maturare quell’amore. Ero felice. Eravamo entrambi felici di essere lì, al momento giusto e nel posto più giusto che ci potesse essere.

Quel giorno, quell’inverno, quella data aveva cambiato di nuovo la mia vita, per la seconda volta.

Mi aveva sconvolta e sorpresa. Aveva fatto di me una donna. Per la seconda volta.

Mi aveva fatta ridere, piangere, amare.

Non conosciamo il futuro e le sorprese che questo ci riserva, ma mai mi sarei aspettata che tutto, improvvisamente, sarebbe cambiato, portandomi nel passato, a vivere quelle emozioni che consideravo perdute, gettate via assieme ad una piccola scatola e ai ricordi che tanto avevo amato e allo stesso tempo odiato. Come se quella nevicata fosse esplosa nei nostri cuori, come se avesse riaperto una ferita ormai completamente cicatrizzata, ma semplicemente per farla sparire per sempre.

E fu in quel rifugio che tutto ricominciò, che tutto l’amore, perché sì, credo di amarlo, si raccolse e si concentrò intensamente.

Ci eravamo aspettati, entrambi.

Il tempo era tornato a scuoterci, ci aveva fatto capire che eravamo destinati ad essere, per sempre, il battito del cuore dell’altro, il futuro e il dolore dell’altra, perché ciò che ci aveva legato, dopo dieci anni di lontananza, non poteva essere una semplice amicizia.

 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell’autore: Ciao a tutti! Siamo giunti alla fine, almeno per questa raccolta, che mi ha fatto piangere, mi ha fatto commuovere, che porterò sempre con me. Averla scritta è stato un grande onore e spero di avervi trasmesso qualcosa, qualcosa che può essere imparato solo leggendo, qualcosa che porterete con voi, stretto vicino al cuore! Ringrazio tutti coloro abbiano letto la storia, coloro che l’hanno recensita e coloro che spero ancora la recensiranno! Ho lavorato molto al capitolo conclusivo e spero davvero sia stato apprezzato da tutti voi. Per ora, probabilmente, non scriverò più su questo fandom, almeno per un po’, ma so che tornerò poiché amo davvero tanto questa coppia che rimarrà sempre scolpita nel mio animo e che continuerò sempre a sostenere! Il viaggio che ho intrapreso e che ora si è concluso con quest’ultimo capitolo mi ha davvero toccato molto e mi ha fatto provare emozioni contrastanti; non posso che ringraziarvi tutti quanti, soprattutto coloro che mi hanno sostenuto in questo piccolo viaggio e mi hanno permesso di giungere fino al traguardo, arrivando fin qui. Un abbraccio forte!

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