Cantare, piangere, baciare.

di Penny83
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La luce nel solarium ***
Capitolo 2: *** Le cose che non saprò mai ***
Capitolo 3: *** Il tempo trascorso con Jamie Lannister ***
Capitolo 4: *** La donna più fortunata del Nord ***
Capitolo 5: *** Se gli dei esistessero ***
Capitolo 6: *** Gli occhi che ti guardano ***
Capitolo 7: *** L'ironia della sorte ***
Capitolo 8: *** Un laccio troppo stretto ***
Capitolo 9: *** Da un capo all'altro della Sala Grande ***
Capitolo 10: *** Se non fosse stato per te ***
Capitolo 11: *** Il cuore del Nord ***
Capitolo 12: *** Resta con me ***
Capitolo 13: *** Per non pensarci più ***
Capitolo 14: *** Senza incubi ***
Capitolo 15: *** Per una volta ***
Capitolo 16: *** Degno di te ***
Capitolo 17: *** Lo stesso numero di giorni ***
Capitolo 18: *** Non ne basteranno mille ***
Capitolo 19: *** Ali oscure, oscure parole ***
Capitolo 20: *** Come sopravvivere alla Lunga Notte ***
Capitolo 21: *** Le mie stesse ossa il mio stesso sangue ***
Capitolo 22: *** Uno spiraglio di luce nell'ombra ***
Capitolo 23: *** In nessun modo. Mai. ***
Capitolo 24: *** Chi mi conosce meglio al mondo ***
Capitolo 25: *** Perché è così che succede ***
Capitolo 26: *** Una corona di rose ***
Capitolo 27: *** La mia più lunga notte ***
Capitolo 28: *** Vetro di drago e ali di corvo ***
Capitolo 29: *** Una questione di fede ***
Capitolo 30: *** Famiglia, dovere, onore ***
Capitolo 31: *** Di più forte e splendente ***
Capitolo 32: *** L'ultimo Stark ***
Capitolo 33: *** L'erede di tutto ***
Capitolo 34: *** Per amore o per sbaglio ***
Capitolo 35: *** Cerca di essere felice ***
Capitolo 36: *** Dammi le mani ***
Capitolo 37: *** Prima che arrivi il giorno ***
Capitolo 38: *** Un dono di nozze ***



Capitolo 1
*** La luce nel solarium ***


La luce che entrava nel solarium era pallida e non sufficiente a illuminare la mappa spiegata di fronte a lui. Forse era il suo sguardo a essere tetro e si faceva sempre più buio ogni volta che ricordava quanti pochi uomini avesse e quanti gliene servissero per difendere il Nord – forse l’intero regno – da ciò che stava arrivando da oltre la Barriera.
E tra tutti quegli uomini, donne e bambini da difendere – prima di tutti – c’era lei.
Sansa osservava il cortile. Jon poteva scorgerne il profilo elegante, leggermente increspato da un sorriso.
«Brienne sta dando un’altra lezione a Tormund».
Sansa adorava il capitano della loro guardia e la passione di Tormund per lei la inteneriva e un po’ la divertiva. Un uomo del popolo libero, un bruto, che si confonde come un ragazzino davanti alla Vergine di Tarth.
Jon era convinto che l’amico avrebbe trovato un’insospettabile alleata nella Lady di Grande Inverno se solo avesse avuto il coraggio di chiedere il suo aiuto. Sempre che di corteggiamento si potesse parlare. Durante gli allenamenti non faceva che provocare Brienne e nemmeno si risparmiava. Quegli scontri vedevano l’uno o l’altra alternarsi nella sconfitta e ne uscivano entrambi con le ossa rotte.
Jon si era visto costretto a intervenire, prima che uno dei due ammazzasse l’altro, e aveva chiesto a Tormund di piantarla con quella sceneggiata – che si dichiarasse e basta – ma si era sentito rispondere che a quella femmina non interessavano le belle parole dei Lord e che lui, Veleno dei giganti, sapeva come fare per conquistarla.
«Non puoi rubarla, non funziona così da questa parte della Barriera, e in tutta onestà non credo che ci riusciresti».
«Tu non sai niente, Re Corvo. Sarà lei a rubare me».
Jon non si era arreso. Aveva fatto in modo che condividessero diversi turni di notte sulle mura esterne, sperando che le stelle e il freddo facessero il resto, ma era mancato il coraggio anche a loro.
Affiancò la sorella per osservare quello che stava succedendo nel cortile. O meglio quello che stava succedendo di nuovo.
«Tormund ha parecchio da imparare».
Sansa si voltò, un sorriso indecifrabile sulle labbra.
«Non è il solo».
Odiava le partite di caccia ma erano necessarie. Nel caso specifico poi si trattava di sopravvivenza. Jon aveva portato Spettro e i suoi uomini migliori nei boschi vicino a Grande Inverno alla ricerca di selvaggina per rifornire le scorte del palazzo. Presto il gelo, la neve – quelli veri – si sarebbero abbattuti sulla regione e non sarebbe stato possibile cacciare più niente perché non ci sarebbe stato più niente da cacciare.
Sansa e Brienne li seguivano tenendosi abbastanza vicine da rimanere sotto l’occhio vigile del Re del Nord, ma distanti dall’azione. Sansa lo aveva promesso, anzi le era stato fatto promettere. Condizione imprescindibile per la sua presenza, alla quale Jon aveva cercato di opporsi con tutte le sue forze.
Non è posto per una Lady.
È troppo pericoloso.
Ti annoieresti.
Sansa, ho detto di no.
Era stato quel no a convincerla a partire.
«Ti stai annoiando».
L’aveva affiancata a cavallo. Aveva gli zigomi rossi per il freddo e, sotto le folte ciglia nere, gli occhi brillanti per l’eccitazione. Era quasi ingiusto che un uomo fosse così bello. Che suo fratello fosse così bello. Tenne lo sguardo lontano dalla sua bocca, poi pensò fosse meglio tenerlo lontano da lui e basta – almeno quando era così vicino – e lo distolse.
A Jon piaceva stare all’aria aperta, cacciare. Richiedeva concentrazione, riflessi pronti e poteva passare del tempo con Tormund e Spettro, lontano dal clima soffocante della corte. Era questo il motivo per cui Sansa aveva insistito per accompagnarli. Voleva vedere Jon felice.
«Al contrario». Il fratello scosse la testa e fece per andarsene ma Sansa afferrò le sue redini. «Sei ancora arrabbiato?»
Era stato un brutto litigio. Nelle settimane precedenti alla Battaglia dei Bastardi avevano discusso in diverse occasioni, ma per motivi gravi e importanti. Allora erano entrambi spaventati, stanchi, concentrati su un obiettivo comune. Così com’erano arrivate, le tempeste erano state spazzate via dalla necessità di restare uniti e dal bisogno che avevano l’uno dell’altra.
Quello, invece, era stato il primo litigio da quando erano tornati a Grande Inverno. Jon considerava l’ostinazione di Sansa un capriccio senza capire quanto fosse importante per lei essere presente. Necessario. Non sopportava il pensiero di separarsi da lui, nemmeno un giorno e che lui non lo capisse l’aveva fatta arrabbiare.
Lo aveva accusato di non volerla tra i piedi e di considerarla solo una bambina, la sorellina da proteggere e basta. Jon l’aveva guardata come se l’avesse schiaffeggiato e Sansa era sicura che fosse sul punto di dirle qualcosa, qualcosa di cui poi si sarebbe pentito. Qualcosa che alla fine aveva tenuto per sé. L’aveva liquidata dicendo che la Lady di Grande Inverno era libera di agire come riteneva più opportuno. Le aveva dato le spalle e lasciato il solarium. Da allora Sansa si tormentava al pensiero di quelle parole non dette.
«Non sono arrabbiato, sono preoccupato».
Lo era. Le gettava continue occhiate nervose e Spettro non l’aveva abbandonata un istante da quando avevano lasciato il palazzo. A causa della sua testardaggine aveva rovinato l’unico momento di pace di suo fratello.
«Mi dispiace Jon, davvero. Brienne ed io torneremo indietro».
La guardò come se fosse impazzita.
«Siamo a un giorno da Grande Inverno. Pensi che ti lascerei tornare indietro da sola
Non fece in tempo a formulare delle scuse migliori perché i cani corsero avanti seguiti da Spettro che lì superò e distanziò in pochi secondi. Jon partì al galoppo per raggiungere Tormund che si era lanciato dietro al metalupo.
«Quell’idiota di un bruto si farà ammazzare».
Brienne non si era mossa dal fianco della sua signora, ma non sembrava a suo agio.
«Brienne, vai a vedere cosa sta succedendo».
«Mia Signora… »
«Resterà Podrick con me».
Brienne, nonostante fosse combattuta tra il timore di lasciare senza protezione la sua Lady e correre in aiuto del Re e di Tormund, si decise a spronare il cavallo e a lanciare un’occhiata carica di raccomandazioni al suo scudiero.
Era sparita tra gli alberi già da un po’, quando Sansa cominciò a sentirsi inquieta. I minuti passavano e non erano ancora di ritorno.
Perché ci mettevano così tanto?
Iniziò a scalpitare e costrinse Podrick a muoversi nella loro direzione.
Finalmente scorsero Jon, Brienne e Tormund in una radura intorno a un grosso orso inferocito. La belva era ferita al petto, ma nonostante il sangue sgorgasse copioso sulla pelliccia scura, restava ben dritta sulle zampe posteriori. Era enorme. Sansa pensò a Lady, a come sarebbe stata se fosse stata viva. Come Spettro o più snella e veloce? Sarebbe stata al suo fianco, di questo Sansa era sicura.
Di Spettro e dei cani, invece, non c’era traccia. Forse erano all’inseguimento di un’altra preda, troppo lontani per intervenire.
Jon la vide e imprecò. Poteva leggere il dubbio sul volto del fratello. Raggiungerla e rischiare di attirare l’attenzione dell’orso o restare dove si trovava con il rischio di essere troppo distante se la belva l’avesse attaccata.
Fortunatamente l’orso le dava le spalle, troppo concentrato su Brienne per notarla. La lama di Giuramento era nera di sangue. A pochi metri da lei Tormund cercava di rialzarsi; il braccio sinistro, inerte lungo il fianco.
Resa folle dall’odore del sangue, la belva scattò verso Brienne. Le fauci spalancate, gli enormi artigli protesi.
No. Mille volte no.
L’urlo le scaturì dalla gola. Furia e disperazione, cristallini come una cascata di acqua gelida.
Come l’ululato di un lupo.
Un battito di ciglia. Un secondo immobile in cui il Veleno dei giganti fu abbastanza veloce da conficcare la sua lancia nella gola dell’orso.
 

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Capitolo 2
*** Le cose che non saprò mai ***


Avrebbero trascorso la notte in un fortino abbandonato sulla strada per Grande Inverno. Tormund era ferito e Jon furioso. Quando cani, metalupo e uomini furono di ritorno, con una coppia di cervi come bottino, annunciò che la partita era finita e sarebbero tornati a casa.
Il viaggio era stato carico di tensione. Jon non le aveva rivolto la parola, Brienne e Tormund non facevano che litigare, negando rispettivamente che l’uno avesse salvato all’altra la vita. Giunti al rifugio, Jon si era asserragliato in una delle stanze annunciando che non avrebbe cenato e che sarebbe andato a riposare.
L’angoscia per quelle parole non dette aveva stretto il nodo alla gola di Sansa ancora più forte.
«Posso entrare?»
Non si era nemmeno voltato, troppo intento a estrarre un altro mantello dalla sacca da viaggio.
«Se dicessi di no, cambierebbe qualcosa?». Senza guardarla l’aveva raggiunta e le aveva avvolto il mantello intorno alle spalle. «Fa freddo, copriti».
Aveva gli occhi fissi sulla chiusura, una spilla semplice che raffigurava il metalupo degli Stark. Gliela agganciò intorno al collo. Le dita agili, lo sguardo cupo. Sansa non sapeva cosa dire.
«Jon… »
«Sansa, non ho voglia di litigare».
«Non sono venuta per litigare».
Per cosa allora?
«Ho visto cose peggiori di un orso e nessuna di loro aveva le zanne».
Finalmente alzò lo sguardo su di lei. Sansa vi scorse quello che vi vedeva sempre quando il fantasma di Ramsey aleggiava intorno a loro: senso di colpa, frustrazione, rabbia.
«Sai cosa ho visto dall’altra parte? Sai che cosa c’è dopo?»
Era un pensiero che non si permetteva mai di formulare.
Jon era morto.
I suoi confratelli lo avevano ucciso.
Lady Melisandre lo aveva riportato indietro prima che lei varcasse i cancelli del Castello Nero. Prima che potesse vederlo freddo e immobile sul tavolo su cui era stato deposto.
«Non c’è niente, solo oscurità. Dopo, non c’è niente. Non ci ricongiungeremo con nostro padre, o con i nostri fratelli. Non rivedrai tua madre. Tutto quello che c’è, è qui e adesso. Tu sei qui, adesso. Tu sei tutto quello che ho. Per sempre. Fino a quando non ci sarà più niente».
Tutto quello che ho.
Per sempre.
«Non ho scelto di diventare Re. Non ho scelto di proteggere la mia gente dal più grande esercito che sia mai esistito, fatto di uomini che non si possono uccidere perché sono già morti. Lo devo fare e basta. Però ho scelto te. Tu sei la mia scelta. Ho scelto di combattere perché tu potessi tornare a casa, ho giurato di tenerti lontana dall’oscurità il più a lungo possibile, ma a volte lo rendi dannatamente difficile».
Sei il motivo per cui vivo, combatto e respiro. Sei tutto quello che ho.
Per sempre.
Non le aveva mai parlato così. Mai con quella intensità. Sansa lo sapeva, lo percepiva ma fino allora era rimasto taciuto sotto la superficie sottile della loro nuova vita condivisa.
Come poteva dirgli che per lei era lo stesso? Che lui l’aveva strappata da un diverso tipo di oscurità? Che aveva ricominciato a ricostruire se stessa partendo da lui? Una casa, una vita, un futuro. Sansa voleva vivere di nuovo e voleva farlo con Jon.
Con Jon e nessun altro che Jon.
«Ho paura quando ti allontani, ho paura di non vederti tornare. È l’unica cosa di cui ho paura ormai. Non potrei sopportarlo. Non voglio starmene in attesa da qualche parte ad aspettare in preda al terrore. Non mi importa dei rischi che corro, mi importa solo di non allontanarmi da te».
Non esiste altra oscurità per me se non quella in cui mi trovo quando non ci sei.
«È importante per me, San. Ho promesso di proteggerti».
«Lo stai facendo».
«Non abbastanza. Non avrei mai dovuto portarti qui, la colpa è mia: non riesco a dirti di no».
«Per fortuna. Non ci saremmo ripresi Grande Inverno, altrimenti».
Jon batté le palpebre e la osservò per una manciata di secondi.
No, non era giusto che un uomo fosse così bello.
Poi scoppiò a ridere.
Così bello da fare male.
«Per gli antichi Dei, Sansa Stark credo di non conoscere nessuno più ostinato di te».
Le prese la testa tra le mani e le baciò la fronte. Quando si staccò da lei, Sansa cercò il suo sguardo.
Tante punture di spillo sulla sua pelle.
«Il giorno che abbiamo litigato stavi per dirmi qualcosa. Non riesco a smettere di pensare che fosse qualcosa di orribile».
Sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Non ricordava nemmeno quando fosse l’ultima volta che aveva pianto e nemmeno perché avesse voglia di farlo in quel momento.
Jon l’abbracciò e Sansa appoggiò la testa contro la sua spalla.
Casa.
Sono a casa.
«Non potrei mai – mai – pensare qualcosa di orribile che ti riguardi».
Un mormorio contro la sua fronte.
«Però non me lo vuoi dire».
«Non era niente di importante… Basta tormentarti».
Si staccò da lei e le prese la mano.
«Andiamo, ti accompagno al tuo alloggio. Accenderò il fuoco».
Prima di vederli avevano sentito le voci. La discussione sembrava accesa e Jon aveva rallentato il passo. Sansa sovrappensiero era inciampata contro di lui, ma l’aveva afferrata e messa al sicuro dietro di sé. Non che ce ne fosse davvero bisogno, ma era stato più forte di lui.
«Ammettilo donna. Ti ho salvato la vita».
Tormund sembrava divertito. Jon immaginava che il braccio gli facesse male – l’orso glielo aveva quasi strappato dalla spalla – ma molto presto il bruto avrebbe trasformato l’episodio in un altro dei suoi improbabili aneddoti.
«Se non fossi intervenuta, staresti cercando il tuo braccio in mezzo alla neve ma non è me che devi ringraziare. Non ne sarebbe rimasto granché senza le cure di Lady Sansa».
Sua sorella si era offerta di lavare e ricucire la ferita. Ne era capace – si era occupata delle sue, dopo la Battaglia dei Bastardi – e temeva di sapere come avesse imparato. Alla Barriera aveva scorto le braccia candide striate di lividi, l’aveva sentita tremare toccandole la schiena.
Non aveva voluto mostrargli le cicatrici. Non erano un bello spettacolo – aveva detto con un sorriso – ma almeno le aveva risparmiato il viso.
«La sorella del corvo ha il cuore gentile, non come il tuo. Quasi mi pento di averti salvato il culo».
A Tormund Sansa piaceva. La chiamava la Regina baciata dal fuoco, la diceva fortunata. Si prendeva gioco di Jon quando la sorella faceva di testa sua o gli si opponeva durante un concilio. Era una consolazione pensare che se gli fosse successo qualcosa Sansa avrebbe potuto contare su qualcuno oltre a Brienne. Sempre che prima non si uccidessero tra loro.
«Nessuno ti ha chiesto di farlo».
Le cose si mettevano male e Jon si preparò a intervenire all’ennesima rissa. Stava per dire a Sansa di aspettarlo dietro l’angolo quando un silenzio irreale riempì il corridoio. Non era un silenzio perfetto. C’erano lievi rumori di sottofondo.
Respiri.
Jon si sporse per guardare e Sansa si alzò sulle punte dei piedi per sbirciare oltre la sua spalla.
«Cosa stanno facendo?»
Sembrava interdetta. Nemmeno Jon riusciva a muoversi. Forse per timore di fare rumore e interromperli. Se fosse successo, Tormund lo avrebbe ucciso.
«Mi sembra abbastanza ovvio».
Jon non avrebbe saputo dire chi finalmente avesse rotto gli indugi ma sicuramente non avevano l’aria di voler smettere tanto in fretta.
«In quel modo?»
«Conosci altri modi?»
Era la domanda sbagliata da fare. Era chiaro che Sansa non fosse mai stata baciata così.
Aveva gli occhi lucidi, le labbra dischiuse. Tormund una volta aveva detto che la sorella del corvo era bella come una tempesta di neve. Una pura bellezza del Nord.
«Si sono azzuffati come gatti fino adesso. Com’è possibile?»
C’erano dei momenti – momenti come quello – in cui Jon si rendeva conto che Sansa aveva conosciuto solo orrore. L’unico amore che aveva ricevuto era stato quello della sua famiglia. Una famiglia che non c’era più. Uccisa, tradita, dispersa. Jon era tutto quello che ne rimaneva.
«A volte capita, dopo una battaglia. Ci si sente… Ci si sente… »
Era l’ultima cosa al mondo che avrebbe voluto spiegare alla sorella.
«Anche a te è capitato? Dopo Grande Inverno?»
Lo sguardo blu dei Tully si era fatto più tagliente e lo fissava dietro le palpebre socchiuse.
«Mi sono sfogato in un altro modo».
E ho lasciato che potessi farlo anche tu.
Sansa annuì. Sembrava più tranquilla ma non soddisfatta. Li osservava affascinata.
Jon doveva ammettere che era uno spettacolo singolare e si augurava non degenerasse nel bel mezzo del corridoio. Conoscendo Tormund non era da escludere.
«Ed è la stessa cosa?»
No, non lo è.
«No».
Nulla era meglio che stare con la donna amata, renderla felice, condividere qualcosa di così intimo con lei ma non ci teneva a spiegarlo a Sansa. Non era il tipo di fratello che, con un sorriso di superiorità sulle labbra, illumina la sprovveduta sorella in merito alle cose della vita.
La tua sorellina minore e basta.
Jon avrebbe dato qualunque cosa perché fosse davvero così ed era stato sul punto di dirglielo.
Confessare.
Farsi odiare, mettere fine al tormento. Poi aveva realizzato che l’avrebbe lasciata sola. Di nuovo. E aveva promesso.
Se Sansa fosse stata solo una sorella per lui, non avrebbe capito così bene la scena che si stava svolgendo sotto i loro occhi, l’urgenza – soffocata fino a quel momento – di far scontrare bocche, denti, sospiri e molto altro.
Sansa non era inesperta perché giovane. Non era nemmeno inesperta, ma non aveva mai visto due persone innamorarsi davvero, baciarsi davvero e un mucchio di altre cose che Jon era stato tanto fortunato da provare. Sansa no. A dispetto di ciò che Tormund credeva, Sansa non era stata fortunata. Gli dei le avevano riservato Joffrey, Ditocorto. Ramsey Bolton.
Brienne afferrò Tormund per le pellicce e lo spinse dentro la sua stanza. Le guance di Sansa si colorarono di rosso ma si ricompose subito e gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
«Non ti azzardare a giudicarla Jon Snow».
«Rubare un uomo del popolo libero è una mossa sorprendentemente audace. Brienne di Tarth ha tutto il mio rispetto».
Sansa gli regalò un sorriso. Un po’ timido, un po’ no.
Bella come una tempesta di neve.
Diavolo di un Tormund. Aveva sempre ragione.
Tornarono nei suoi alloggi. Era tardi e Sansa si era rifiutata di dormire nella stanza accanto a quella di Brienne. Jon non poteva biasimarla.
Il giaciglio non aveva l’aria di essere comodo ma non si poteva andare troppo per il sottile. Sansa si rifugiò sotto mantelli e pellicce e fece spazio al fratello. Quando Jon la raggiunse si accoccolò tra le sue braccia, la testa sulla sua spalla. Passò qualche minuto, abbastanza da fargli credere che si fosse addormentata.
«Jon?»
La voce sottile, leggermente incrinata, non prometteva niente di buono.
«Com’è?»
«Cosa?»
Prese tempo nonostante avesse capito il senso della domanda. Sapeva che se la rigirava nella testa da quando aveva visto Brienne e Tormund.
«Baciarsi. Baciarsi così».
Era molte cose. Cose alle quali Jon non desiderava pensare mentre se ne stava al buio, abbracciato a lei.
«È piacevole».
«Piacevole?»
Poteva immaginare il lampo stizzito nello sguardo blu dei Tully.
«San, cosa vuoi che ti dica?»
«La verità».
La verità.
Come se fosse facile parlarne. Parlarne con lei.
Significava pensarci e Sansa era così vicina. Poteva sentirne il respiro sul lembo di pelle lasciato scoperto dal mantello.
«Non saprò mai cosa significa baciare qualcuno che amo».
Non era sicuro che quello che c’era tra Brienne e Tormund fosse amore. Almeno non ancora. Sebbene non potesse vederla si voltò verso di lei.
«Non sempre la passione è amore».
«Un’altra cosa che non saprò mai».
Alla Barriera Jon aveva temuto che le ferite di Sansa fossero troppo profonde per guarire. Che il suo cuore gentile si fosse spezzato per sempre, che non avrebbe più sentito sua sorella ridere. Si era chiesto se non fosse stato un errore permetterle di vendicarsi – avere il sangue di qualcuno sulle dita – sebbene avesse tutto il diritto di reclamare quella vita e ottenere giustizia. Si era chiesto se l’aveva perduta per sempre. Non aveva idea di come starle vicino, ma aveva fatto il possibile perché Sansa si sentisse al sicuro, accudita, amata, rispettata e si era reso conto che quel cuore gentile era troppo forte per essere spezzato. Per desideri e prospettive felici, però, era ancora presto.
«La guerra un giorno finirà e sei giovane… Non sarai costretta a sposare qualcuno che disprezzi. Solo qualcuno che avrai scelto».
Un giorno qualcuno ti porterà via da me.
«Non accadrà, non mi sposerò. Resterò a Grande Inverno con te».
Un groviglio di emozioni contrastanti gli si gonfiò nel petto.
Sollievo, disperazione, rimpianto.
Speranza.
«Saresti costretta a sopportarmi per un bel po’ di tempo».
Fino a quando non ci sarà più niente.
Allora riuscirei a trovarti? Riuscirei a trovarti nell’oscurità?
«Sempre che tua moglie non mi cacci».
C’era una nota cupa nella sua voce. Un dolore soffocato che abbracciò quello di Jon e si trasformò in qualcosa di caldo che scorreva sotto pelle.
«Non ci sarà nessuna moglie».
E Jon sentì Sansa sorridere nel buio.

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Capitolo 3
*** Il tempo trascorso con Jamie Lannister ***


Aveva trascorso parecchio tempo con Jamie Lannister. Viaggiato con lui, mangiato, combattuto. Rischiato di morire. Era presente quando gli avevano tagliato la mano destra e lui l’aveva salvata dall’orso di Harrenhal. Gli dei giocavano degli strani scherzi a volte. Un altro uomo, molto diverso dallo Sterminatore di Re, l’aveva salvata dalla medesima sorte.
«A cosa stai pensando donna?»
Brienne si guardò bene dal fargli posto sulla panca; se lo sarebbe preso lo stesso e non desiderava confermare le voci che avevano iniziato a girare nel castello.
La Vergine di Tarth ha rubato Tormund, Veleno dei giganti.
Doveva essere completamente impazzita.
Tormund afferrò il soldato seduto accanto a lei e lo spinse giù dalla panca.
«Non mi sembra di averti invitato».
«Non mi sembra di avertelo chiesto».
Per gli dei! Era così snervante!
La vita di Brienne per certi versi era sempre stata semplice. Sapeva combattere, era leale. Una volta abbracciato uno scopo metteva a repentaglio la sua vita pur di raggiungerlo.
I suoi sentimenti erano sempre stati netti, precisi. Chi amare, chi odiare. Erano chiari e cristallini e rispecchiavano le sue azioni.
Poi la vita aveva smesso di essere semplice. Aveva conosciuto lo Sterminatore di Re, aveva capito che gli uomini non sono buoni o cattivi, né lo sono le loro azioni. Crimini orribili potevano nascondere gesti eroici e gesti eroici crimini orribili, che tutti, valorosi o no, pagavano il prezzo dei loro errori.
E ora Tormund. Brienne non sapeva più chi essere. Poteva una spada giurata fare quello che aveva fatto? Lady Sansa cosa avrebbe pensato di lei?
Aveva sempre pensato di essere libera. Il padre aveva appoggiato le sue scelte, Brienne aveva scelto le sue battaglie. Da sempre ne aveva una ma non sempre le aveva vinte.
L’uomo del popolo libero le aveva mostrato un diverso tipo di libertà e le era piaciuta. A dispetto di tutto quello che aveva sempre pensato. Non aveva mai desiderato essere una lady e una moglie, occuparsi di uno stupido castello. Né si era mai illusa che qualcuno l’avrebbe amata, sposata, resa madre. Le erano sempre sembrate delle costrizioni, modi per controllarla, per assegnarle un posto nel mondo che non era stata lei a scegliere. In cambio di protezione e di un ruolo ma Brienne non aveva bisogno di protezione e un ruolo scelto da altri non le interessava.
Per Tormund era normale che lei sapesse difendersi, che combattesse, che fosse una guerriera. Molte donne del popolo libero lo erano. Non la toccava in pubblico né lei toccava lui. Litigavano, questo sì, davanti a tutti e non si trattava di finti litigi per dissimulare ciò che c’era tra loro. Litigavano davvero. E quando erano soli si toccavano. Si toccavano davvero.
«Spero che la tua Lady non trasformi il Re Corvo in un dannato damerino».
«Stai attento a come parli, non vorrei doverti dare un’altra lezione».
«Potrei darne un’altra io a te».
Brienne guardò fisso davanti a sé, concentrandosi per non arrossire.
Lady Sansa e il Re del Nord sedevano al tavolo reale. La sua signora piluccava assorta quello che aveva nel piatto. Richiamò l’attenzione del fratello che urtò distrattamente una coppa di vino. Il contenuto si rovesciò sul tavolo e in parte su di lui. Una giovane servetta si fece avanti per pulire, ma Lady Sansa non le permise di avvicinarsi e la congedò con un gesto. Estrasse un fazzoletto, sicuramente ricamato da lei, e pulì la mano del Re.
Jon la osservava, gli occhi socchiusi, chino su di lei. Disse qualcosa che la fece ridere. Anche loro raramente si toccavano in pubblico ma questo non significava che non si notasse quando desideravano farlo.
Brienne si guardò intorno. Cercò tra i visi che li circondavano le espressioni viste in un’altra corte, in un’altra terra.
Sospetto, malizia, disgusto.
Non li trovò. Forse era l’unica a essersi accorta di cosa stava succedendo. L’unica ad aver trascorso abbastanza tempo con Jamie Lannister.
«Mia Signora, Maestà, posso disturbarvi?»
Sansa alzò lo sguardo dalla mappa che stava studiando con il fratello e le sorrise. Sorrideva più spesso da quando era tornata a Grande Inverno. No, non era corretto. Sorrideva più spesso da quando aveva ritrovato Jon Snow.
«Naturalmente».
Il giovane Re del Nord la salutò con un cenno del capo, poi spostò lo sguardo sulla sorella. Erano poche le cose per le quali non si affidava al suo giudizio e Brienne cominciava a fidarsi di lui. E a temere per la sua vita. Lady Sansa non avrebbe sopportato di perderlo e Brienne non avrebbe permesso che ciò accadesse.
«Ancora problemi con i Cavalieri della Valle? Parlerò con Lord Baelish, la situazione sta diventando insostenibile… »
Il Re strinse le labbra e le dita della mano in un pugno. Non vedeva di buon occhio la permanenza della Lord della Valle a Grande Inverno. Brienne lo sapeva perché anche Tormund aveva espresso quanto poco fosse ben vista.
«Il Re Corvo teme per la sua bella sorella, io per il Re Corvo».
Brienne temeva per entrambi.
«Parlerò io con Baelish, Sansa. Non è necessario che sia tu a farlo, non più».
«Jon… »
Lady Sansa lo ammonì con affetto dimentica dell’etichetta. Brienne era onorata della confidenza che la sua signora le concedeva, chiamare il Re per nome di fronte a lei, ma altre preoccupazioni l’affliggevano.
«Mia Signora, ti chiedo perdono. Non sono più degna di essere la tua spada giurata».
Sansa batté le palpebre ma non disse nulla. Forse già sapeva. Brienne sentì la terra aprirsi sotto i piedi.
«Vi lascio sole».
Quando Jon Snow le passò accanto sfiorò con le dita le sue. Un gesto da nulla. Sansa nemmeno se ne sarebbe accorta se non fosse stato che lo attendeva. Sembrava più di un’attesa, sembrava un bisogno. Il Re si chiuse la porta alle spalle, seguito dallo sguardo di Sansa. Lo abbandonò solo per posarsi nuovamente su di lei.
«Brienne… »
«Forse alcune voci ti sono giunte».
«Forse».
«Nel caso te lo fossi domandata, sono vere».
«Lo so».
Non sembrava furiosa o delusa. Sembrava comprensiva.
«Continuerò a servirti ma non ti porterò disonorerò facendomi vedere al tuo fianco».
«Brienne, stai dicendo un mucchio di sciocchezze».
Appariva tranquilla. Composta come sempre. Le si avvicinò, cercò il suo sguardo e le tese la mano.
«Sei felice?»
Le dita di Lady Sansa erano sottili, fredde come la neve.
«Ho mancato al mio impegno».
«In che modo? Sei padrona di te stessa. Perché dovresti essere punita per qualcosa che gli uomini fanno continuamente? Perché sei una donna? Perché Tormund non è tuo marito? Credi davvero che ci sia più disonore in questo rispetto a quello che mi ha fatto l’uomo che ho sposato al cospetto degli alberi diga?»
«Tu non ne hai colpa, Mia Signora».
«Tu invece sì? Ci attendono cose terribili e quelle belle saranno sempre più rare. Vivile per me, Brienne. È gentile?»
«Nella misura in cui lo si può essere con me».
«Sconfinatamente, quindi. Ti rispetta?»
«Sì».
«Allora l’argomento è chiuso, puoi andare».
«Grazie, Mia Signora».
«Brienne… Ti è fedele?»
«Non lo so».
«Se desideri che lo sia, diglielo».

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Capitolo 4
*** La donna più fortunata del Nord ***


Il ragazzo sembrava malato. Ne aveva passate tante, Tormund lo sapeva, ma non lo aveva mai visto così. Aveva l’aria di uno che si è svegliato nel bel mezzo di una rissa. Disarmato.
«La Regina baciata dal fuoco ha cacciato il Re Corvo?»
Jon gli lanciò un’occhiata distratta, ma cercò di sorridere.
Un’altra donna baciata dal fuoco.
Una donna come lui.
Era scesa nei setti inferi e lo aveva riportato indietro.
Tormund era presente quando Jon Snow era tornato dal mondo dei morti. Era presente anche quando si era svegliato. La cosa non era avvenuta nello stesso momento, ma solo quando Sansa Stark aveva varcato i cancelli della Barriera.
Lo ricordava bene perché Brienne di Tarth li aveva varcati insieme a lei.
«Cosa ci fai qui?»
«Aspetto quella strega di donna. Se la tua graziosa sorella dovesse allontanarla non vorrei che si gettasse dalle mura».
Brienne venerava la giovane Stark e Tormund non era così certo che non lo avrebbe fatto davvero.
«Non accadrà».
«Voi del Sud siete gente strana. Non fate che riempirvi la bocca di paroloni e dire agli altri cosa devono fare. Per fortuna la tua Regina ha visto abbastanza da riconoscere ciò che è importante».
«Noi non siamo gente del Sud e Sansa non è la Regina del Nord».
Lo disse storcendo la bocca in una smorfia. Le cose non erano andate come il ragazzo aveva previsto. Era convinto che gli alfieri di suo padre avrebbero scelto Sansa, l’erede di diritto, una Stark, e non lui. Il bastardo.
«Chi è il fottuto Re del Nord, ragazzo? E chi è la donna per cui ti sei battuto, hai rischiato di morire e ti sei ripreso la tua casa e la tua terra? Sansa Stark è quella donna. La donna più importante per il Re e questo fa di lei la tua Regina».
«Sansa è mia sorella».
«È normale amare una sorella. Così come si amano la madre o i figli».
Jon distolse lo sguardo.
«Abbiamo un problema con i Cavalieri della Valle».
Certo che lo avevano. Il Lord profumato che aveva salvato il culo a tutti guardava la sorella di Jon Snow come se fosse sul punto di rubarla.
«E con il loro fottuto signore, dico bene Re Corvo?»
«Aye. Finché Ditocorto resterà a Grande Inverno, Sansa non sarà al sicuro».
Forse il Re del Nord non avrebbe dovuto preoccuparsi tanto di chi voleva portarsi a letto la sorella. Forse, per come andavano le cose al Sud, avrebbe dovuto addirittura concedergliela. Stringere alleanze, raccogliere forze e uomini per la battaglia che li attendeva. Ma Jon Snow non era un Re come tutti gli altri e Lady Sansa non era una donna come tutte le altre.
«Prendere a calci i nobili culi della Valle non mi dispiacerebbe».
Jon rise e gli posò una mano sulla spalla.
«Grazie».
Di nuovo quel tormento. Tormund aveva osservato Brienne studiare Jon e Sansa durante i pasti nella Sala Grande, mentre passeggiavano nel cortile, mentre discutevano nei concili di guerra. L’aveva vista sorprendersi, rimproverarsi per il pensiero che aveva formulato, accigliarsi. L’aveva vista mentre provava a ignorarli. Subito non aveva capito cosa la preoccupasse. Temeva che Jon volesse tradire Sansa? Che stessero complottando contro qualcuno dei loro nemici senza coinvolgere chi li aveva seguiti fino a quel punto? Erano solo dei ragazzini in fin dei conti. Con la testa piena delle loro stupide canzoni.
Così aveva iniziato a osservare Jon per poterlo fermare prima che facesse qualche stronzata e trascinasse la sorella con sé. Brienne lo avrebbe ucciso e non voleva trovarsi costretto a scegliere tra l’uomo che aveva deciso di seguire fino all’inferno e la donna che amava.
Aveva visto con i suoi occhi quante volte lo sguardo del Re cercasse quello di Sansa. Le lezioni che dava ai soldati che si erano permessi un’occhiata troppo lasciva o insistente. La furia con cui aveva massacrato Ramsey Bolton. Il modo in cui le faceva da scudo con il corpo istintivamente. Lo stesso istinto che lo spingeva a cercare un contatto casuale.
Avrebbe dovuto metterlo in guardia? Ricordargli che il popolo libero e quello del Nord contavano su di lui, sulla sua protezione? Che quell’amore lo avrebbe portato alla rovina e loro con lui?
Brienne uscì dal solarium. Non gli sorrise né sembrò contenta di vederlo ma a Tormund non importava quello che lei mostrava quando erano in mezzo agli altri. Gli interessava molto di più quello che mostrava a lui quando non c’era nessuno. Jon Snow poteva aspettare. Chi era lui per dirgli chi doveva o non doveva amare?
«Torna dalla tua Regina, io vado dalla mia».
Brienne uscì dal solarium più scossa di quando ne era entrata. Tormund l’aspettava fuori dalla soglia. L’occhiata che le riservò non era diversa da quelle che le lanciava prima di coricarsi insieme da quando erano tornati dalla maledetta partita di caccia. Quante volte era successo? Brienne non era in grado di contarle. Aveva contato le sue cicatrici, però. Sul petto, sulle braccia. Le aveva toccate e lui aveva toccato le sue. Si erano toccati ovunque.
Sei felice?
«Allora, donna. Dove andiamo?»
Non traspariva nulla dai suoi movimenti. Tensione, paura, rabbia. Stava solo aspettando che lei parlasse, che gli dicesse cosa ne sarebbe stato di loro.
«Io al mio turno di guardia, tu dove ti pare».
Tormund rise e si incamminò lungo il corridoio. Brienne lo seguì.
«Sapevo che la Regina baciata dal fuoco non avrebbe fatto storie».
Regina.
Forse non era l’unica a essersi accorta di ciò che stava succedendo a Grande Inverno.
«Sei stato con altre donne?»
Si fermò e si voltò verso di lei. Un sorriso si fece strada tra la barba rossiccia. Brienne non poté fare a meno di ricordare la sensazione di quella barba sulla sua pelle.
«Mi hai preso per un ragazzo come il Re Corvo? Certo che sono stato con altre donne e tante, ma tu mi hai rubato, ora ti appartengo e – che ti piaccia o no – tu appartieni a me. Adesso basta con le stronzate. Quei due ragazzi non hanno altro che noi».
«Non potrai proteggerla dalla cattiveria della gente. Non le daranno tregua, lo sai».
Era tornato. La guardava dall’altra parte del tavolo con quell’espressione di tenerezza mista a orgoglio che la riportava a quando aveva una famiglia. Suo padre la guardava così.
«Non ha bisogno di essere protetta e nessuno sarà così temerario da offendere la donna del Veleno dei giganti».
«Forse. Dicono che io sia il migliore spadaccino dell’Occidente, ma questo non impedisce a Ditocorto di tormentarti».
Ditocorto è molto più pericoloso della tua spada e sa di esserlo.
E io non sono la tua donna. Sono solo tua mezza sorella.
«La gente non ha fatto altro che prendersi gioco di lei. Brienne la Bella, la Vergine di Tarth. Ora le daranno della puttana, diranno che se la fa con i bruti. A Brienne non importa ciò che dice la gente, ma le importa quello che penso io. Sostenerla è il minimo che possa fare».
Jon le prese la mano e la portò alle labbra.
«Sansa Stark ottiene sempre quello che vuole».
Non sempre.
Sansa trattenne il respiro. Le labbra di Jon erano calde sulla pelle gelida del dorso. Avrebbe voluto cantare, piangere, ricambiare quel bacio e lo fece. Prese la mano di Jon e ne baciò il palmo. Era il gesto più intimo che si fosse permessa fino a quel momento.
Non sempre ma può provare ad andarci vicino.
«Brienne è fortunata a essere la tua spada giurata. Vorrei essere arrivato prima di lei».
Aveva socchiuso gli occhi e la voce era uscita incerta.
Cantare, piangere, baciare.
«Sono io a essere fortunata. La donna più fortunata del Nord».

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Capitolo 5
*** Se gli dei esistessero ***


«Vedo mia Signora che il metalupo ti segue dappertutto».
C’era l’ombra di un sorriso nelle parole di Ser Davos. Triste ma pur sempre un sorriso. Si chinò per evitare lo sguardo del Primo cavaliere e affondare la mano nella pelliccia soffice e rassicurante di Spettro.
«È un buon compagno».
Lo era davvero. Silenzioso e timido. Con Spettro si sentiva al sicuro ovunque andasse.
Sentì lo stomaco stringersi. Una stretta dolce e dolorosa che ignorò come aveva ignorato quelle che l’avevano preceduta.
«Dicono che nei metalupi dei ragazzi Stark viva una parte dei ragazzi stessi».
«In quelli che sono sopravvissuti».
Avrebbe voluto che la sua voce suonasse meno amara e carica di dolore.
«Mi dispiace mia Signora, non era mia intenzione addolorarti».
Sansa alzò lo sguardo su di lui. Anche Ser Davos aveva patito e aveva perso persone che amava. In modo atroce. Il fuoco, quello verde e velenoso degli uomini e quello rosso di un dio in cui non credeva, gli aveva strappato il futuro e l’unica consolazione e tenerezza in quei giorni bui.
Shireen.
«Non ti preoccupare Ser». Sansa sorrise. Uno di quei suoi sorrisi timidi – appena accennati – che ad Approdo del Re aveva imparato a dissimulare. Quello concesso a Ser Davos, però, era sincero. «Dicono il vero. Ho sempre pensato che insieme a Lady fosse morta una parte di me. Senza dubbio è stata la prima di una lunga serie di perdite».
Spettro strofinò il muso contro le sue gambe in cerca di conforto e per offrirgliene. Sansa raccolse la richiesta e l’offerta.
«Consolati, mia Signora. Hai ancora un metalupo che ti accompagna ovunque e, se quel che dicono è vero, allora una parte di tuo fratello non vuole lasciarti mai».
Sansa sperò che Ser Davos non avesse notato che il suo stupido cuore aveva perso un battito.
«Altezza, mi hai fatto chiamare?»
Brienne di Tarth aveva lo sguardo impenetrabile e una presenza imponente. Jon non era sorpreso che Tormund ne fosse rimasto affascinato e nemmeno che Lady Brienne non si fidasse del tutto di lui. Doveva essere il tipo di donna che in generale non vedeva di buon occhio gli uomini. Soprattutto se nel particolare avevano a che fare con la sua Lady.
«Hai visto mia sorella? Ho bisogno di parlare con lei».
E di averla accanto a me.
«Si è ritirata nel Godswood, mio Signore».
Da quando erano tornati dalla partita di caccia l’aveva fatto spesso e Jon sapeva che non vi andava per pregare. Qualcosa la preoccupava e il pensiero che non volesse condividerlo lo feriva più di quanto gli piacesse ammettere.
Sansa non aveva bisogno di lui. Era forte e indipendente. Non aveva bisogno di nessuno, nemmeno del Re del Nord. Lo aveva aiutato a riprendere Grande Inverno, gli aveva portato un esercito quando stava per soccombere, aveva messo fine ai giorni di Ramsey Bolton ripagandolo del male che le aveva fatto. Jon era orgoglioso di lei.
La mia bella sorella.
La mia coraggiosa, feroce e bella sorella.
Un lupo. Una Stark.
Odiava disturbarla ma non l’aveva vista per tutto il giorno. Per ore che gli erano parse interminabili.
Cercò di fare piano per non spaventarla. Attraverso i rami riconobbe le onde di rame dei capelli, raccolti nella treccia severa che portava. Lo sguardo fisso davanti a sé, l’aria gelida.
Non era sola. Jon strinse il pugno lungo il fianco e di riflesso portò la mano alla spada.
Ancora lui.
Per fortuna che Spettro è con lei.
«Lord Baelish».
Era uscito più simile a un ringhio che a un saluto. Jon non sopportava il modo in cui quell’uomo guardava Sansa, né la tacita pretesa che credeva di avere su di lei. Lady Stark non apparteneva a nessuno, men che meno a un viscido soggetto come Ditocorto.
«Altezza».
Jon scivolò tra lei e Baelish. Lo sguardo blu dei Tully si posò su di lui come una carezza e calmò la tempesta.
Sono il tuo scudo, Sansa. E la tua spada.
«Non sapevo adorassi gli antichi dei».
Lo disse a denti stretti ma il Lord della Valle non si lasciò intimorire. Sentì le dita di Sansa stringergli la manica del farsetto.
Fa’ attenzione Jon.
«Desideravo solo discorrere con Lady Stark di alcune importanti questioni».
«Mentre è raccolta in preghiera?»
Entrambi sapevano che Sansa aveva smesso di pregare. L’ostilità di Jon era la misura della vicinanza tra fratello e sorella: Jon desiderava quello che Sansa desiderava, odiava ciò che Sansa odiava. Baelish sapeva di trovarsi in svantaggio ma era una condizione passeggera. Avrebbe trovato il modo di usare il loro attaccamento a suo favore.
«Maestà se sono stato inopportuno, chiedo perdono».
«Ti sarà concesso non appena smetterai di esserlo».
Vattene Baelish. Vattene e lascia in pace mia sorella.
Né io né il mio metalupo siamo tipi pazienti.
Come se gli avesse letto nel pensiero Spettro iniziò a emettere un ringhio basso e costante.
Baelish si inchinò e si affrettò a lasciare il Godswood. Il lupo bianco alzò lo sguardo verso Jon in cerca di approvazione. E la trovò.
Sansa accarezzò la pelliccia candida e intrecciò le dita del fratello alle sue. Il suo tocco era come un balsamo per lui.
«Cosa voleva?»
Cosa vuole ancora?
«Quello che vuole sempre».
«Prima dovrà passare sul mio cadavere».
Le guance di Sansa si tinsero di rosso. Forse la infastidiva che fosse così protettivo ma aveva giurato che nessuno le avrebbe più fatto del male. Lo aveva promesso.
«È questo che mi fa paura».
Sansa sapeva cosa fosse l’odio. Quello profondo che nasceva dalle viscere e opprimeva il cuore, annebbiava la mente. Lo aveva provato per il defunto marito. Per Joffrey, per la Regina. Per Janos Slynt.
Lo aveva provato molte volte. Troppe. Lo provava per Ditocorto, nonostante avessero bisogno di lui e dei cavalieri della Valle. Solo per quel motivo non aveva respinto con più durezza i suoi attacchi, ma sentiva la morsa della paura ogni volta che strisciava verso di lei carico di promesse e false dichiarazioni. La presenza di Spettro la rassicurava fino a un certo punto. La minaccia che proveniva da Ditocorto era più sottile e nemmeno il metalupo di suo fratello poteva difenderla.
«Mia Signora, hai preso in considerazione la mia offerta?»
«Ti ho già dato la mia risposta. Non è mia intenzione prendere marito, ho appena riavuto la mia casa e ritrovato mio fratello».
«Fratellastro».
Sansa odiava quella parola e i significati taciuti che Ditocorto le attribuiva.
Il bastardo. Il mezzo fratello. È salito sul trono al posto tuo.
Nessuno più di Jon meritava di regnare sul Nord. Lei lo sapeva, i suoi alfieri lo sapevano. Forse lo sapevano anche gli dei. Se esistevano.
«In questi tempi è importante stringere le giuste alleanze».
Aveva fatto un passo verso di lei e allungato una mano per accarezzarle la guancia ma il gesto si era bloccato a metà. Il ringhio di Spettro le era rimbombato fin dentro le ossa.
«Socievole come il suo padrone».
«Spettro non ha padrone e ti ricordo che stai parlando del tuo Re».
La voce di Sansa era tagliente come il ghiaccio ma adombrata da una punta di compiacimento. L’avrebbe pagato caro, lo sapeva.
«Difficile dimenticarlo. È grazie a me se il bastardo di Ned Stark siede sul trono».
La stava minacciando. Era il genere di frase sibillina che Sansa aveva imparato a individuare nelle conversazioni educate soffiate tra denti stretti e sorrisi sottili ad Approdo del Re. Quelle di Baelish erano sempre state le più velenose.
«Jon Snow non ti deve niente».
Non deve capire che hai paura.
«Ma tu sì».
Sono al sicuro. Non può più farmi del male.
Non qui. Non a Grande Inverno.
Non finché sono con Jon.
«Posso riprendermi ciò che ti ho dato quando voglio, soprattutto se ostacola i miei interessi».
«Intendi il tuo esercito? Avanti Lord Baelish, torna da Jamie Lannister e spiegagli che hai cambiato idea. Di nuovo».
Al gioco del trono o si vince o si muore. Lo aveva imparato quando era solo una bambina ed era morta tante volte.
«Intendo il tuo Re».
Jon era come suo padre. Non sarebbe sopravvissuto al maledetto gioco.
Sarebbe bastato poco. Spettro avrebbe risolto il problema per lei come avevano fatto i mastini di Ramsey. Ma era una china pericolosa e non era pronta scenderla di nuovo.
«Lord Baelish».
Suo fratello era lì. L’espressione grave e furiosa, la mano sulla spada.
Non aveva nulla da temere. Non a Grande Inverno. Non finché era con Jon.

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Capitolo 6
*** Gli occhi che ti guardano ***


Erano scomparse tutte. Sansa si aggirava tra la Sala Grande e le cucine in cerca delle ragazze che servivano alla tavola per dare istruzioni sulla cena. Diversi alfieri sarebbero giunti a Grande Inverno per festeggiare l’incoronazione di Jon.
Era stata un’idea di Sansa, sebbene si sentissero poco in vena di festeggiare. Il dolore per la morte di Rickon era fresco e bruciava come il primo giorno ma secondo Ser Davos ringraziare pubblicamente i lord rimasti fedeli avrebbe rafforzato la posizione di Jon e dato un’occasione a coloro che gli avevano voltato le spalle per chiedere perdono.
Quale modo migliore se non con una festa che sancisse agli occhi di tutti il Re che il Nord aveva scelto? Jon aveva accolto il progetto con scarso entusiasmo e dato il suo consenso solo a patto che fossero loro a occuparsene. Così era stato.
Sansa l’aveva visto poco in quei giorni, impegnata a correre su e giù per il palazzo, cucendo e dando disposizioni, alla ricerca dei paramenti e dei vessilli degli Stark sopravvissuti al dominio dei Bolton, da esporre nelle sale e lungo le mura. Anche Jon era impegnato, insieme a Tormund, nel tentativo di preparare i bruti e gli uomini di Grande Inverno e dei villaggi vicini ad affrontare gli Estranei.
Mancavano poche ore alla festa e Sansa desiderava che la Sala fosse pronta nel caso qualche ospite fosse arrivato prima del previsto. Delle ragazze, però, nessuna traccia. La cosa cominciava a essere irritante o sospetta. Stava per dirigersi verso il cortile quando incontrò Brienne e Podrick.
«Mia Signora».
«Brienne, hai visto Violet e Jayne? Non riesco a trovarle da nessuna parte».
«Non saprei, mia Signora».
Non saprei non era una risposta da Brienne e nemmeno l’imbarazzo in cui sembrava trovarsi era usuale.
Cosa stava succedendo? Sansa volse lo sguardo verso lo scudiero.
«Le ho viste aggirarsi intorno all’armeria».
Brienne socchiuse gli occhi e sospirò.
«L’armeria?»
Probabilmente si erano invaghite di qualche Cavaliere della Valle. Sansa le avrebbe riprese quanto prima, non desiderava avere problemi. Sapeva quanto fossero nobili certi cavalieri e non voleva dare a Jon altri motivi per uno scontro aperto. Al contrario di lui Sansa non sottovalutava Ditocorto.
«Sua Maestà si sta allenando».
Sua Maestà. Non i cavalieri della Valle.
Lanciò a Brienne uno sguardo di rimprovero e tornò sui suoi passi per proseguire verso l’armeria.
Era una delle stanze più ampie di Grande Inverno, il posto preferito di Robb e Jon quando erano bambini. Bran amava stare l’aria aperta, andare a cavallo e tirare con l’arco, mentre i fratelli più grandi lottavano e si malmenavano con le spade di legno.
Rickon era solo un bambino. Troppo piccolo per imparare a combattere.
Così non lo aveva imparato e basta.
La prima cosa che Sansa notò fu che Violet e Jayne non erano le uniche a godersi lo spettacolo. Diverse ragazze si aggiravano nei paraggi, fingendosi affaccendate ma senza perdere l’occasione di lanciare qualche occhiata al Re.
Un re poco vestito, accaldato e in piena attività fisica che spiegava a un gruppetto di giovani guerrieri come uccidere un estraneo. Tormund e Ser Davos osservavano la scena in disparte. Li raggiunse non prima di aver raggelato con lo sguardo un paio di sguattere di cucina e l’apprendista della lavandaia.
«Non può trovare un Maestro d’armi come fanno tutti?»
Ser Davos la salutò con un cenno del capo e sorrise. Apprezzava che Jon volesse occuparsi personalmente dei suoi uomini.
«Dice che il migliore è morto».
Era tipico di Jon. Fare le cose a modo suo e comportarsi come un Lord Comandante invece che come un Re.
«Senza cotta si farà del male».
Era quello il problema? Era preoccupata che Jon potesse ferirsi o semplicemente le dava fastidio che le ragazze di Grande Inverno fossero lì a divorare con gli occhi il Re seminudo?
«Ne dubito mia Signora, è il miglior spadaccino d’Occidente».
«Dovrebbe comunque vestirsi. È inappropriato per un Re… »
Si rendeva conto di suonare ridicola ma faticava a rimanere concentrata.
La curva delle spalle, i muscoli tesi sotto la pelle dell’addome.
La pelle lucida delle braccia tornite.
Le cicatrici lasciate dai traditori.
I tratti delicati del volto tesi per lo sforzo.
Jon superò la guardia dell’avversario e lo disarmò. Dopo averlo aiutato ad alzarsi invitò gli altri continuare senza di lui.
Violet ne approfittò per avvicinarsi e porgere al Re un calice d’acqua e una pezza pulita. L’amica, più indietro, osservava la scena con aria trasognata.
Era carina. Aveva i capelli rossi come i suoi e l’atteggiamento audace di chi è cresciuto in un ambiente rude. Non aveva peli sulla lingua sebbene davanti alla sua Signora cercasse di trattenersi. Aveva quella sfrontatezza che a Sansa mancava e che molti uomini trovavano seducente.
Si crogiolò per qualche secondo nel piacere che avrebbe provato nel punirla.
Per aver mancato al suo dovere o perché stava cercando di sedurre il Re?
Poi ricordò che sua madre le aveva insegnato che una Signora doveva essere severa all’occorrenza, ma soprattutto giusta.
Jon la ringraziò distrattamente e si diresse verso di loro. Prima di raggiungerli indossò la tunica che aveva abbandonato su una rastrelliera. Quando si accorse di Sansa sorrise.
«Il primo della giornata è sempre per la Regina baciata dal fuoco».
Tormund le piaceva. Più di una volta l’aveva appoggiata durante i concili, al contrario di Ser Davos che la rispettava come Lady, forse anche come Regina, ma faticava a vedere in lei una politica o una stratega.
«E l’ultimo per chi è?»
Sansa lo sussurrò, rimpiangendo di non essere abbastanza sfrontata o seducente. Invidiando una servetta che poteva permettersi di desiderare quello che lei non poteva nemmeno permettersi di pensare.
Non c’era corona nei sette regni che avrebbe potuto darle ciò che desiderava.
«È solo una volpe, mia Signora. La lupa non ha niente da temere».
«Jon, non ti stai impegnando abbastanza».
Perché aveva dato il suo consenso a quella follia? Perché come al solito non era stato capace di dirle di no.
«Ammetti che si tratta di una vendetta per quello che è successo in armeria».
Lo sguardo sicuro e canzonatorio della sorella vacillò e Jon si sentì quasi – quasi – in colpa. Un battito di ciglia e Sansa aveva ripreso il suo solito autocontrollo.
«Quante storie, Vostra Grazia, per una lezione di danza!»
Avevano raggiunto un accordo. Sansa avrebbe imparato a difendersi, a usare arco e pugnale, e in cambio avrebbe dato a Jon qualche lezione su come ci si comporta a corte.
«Sei un Re adesso e nell’etichetta è compresa la danza».
Si trattava di una vendetta. Jon non aveva dubbi.
«Ballare non mi aiuterà a uccidere più estranei».
«Se il tuo livello rimarrà questo, non lo escluderei. Guarda me, Jon, non i tuoi piedi».
«Come faccio a vedere dove metterli?»
«Non lo devi vedere. Lo devi sapere».
Quando aveva accettato, non si era reso conto di come sarebbero andate le cose. Né aveva pensato che avrebbe dovuto starle così vicino, stringerla, toccarla. Accadeva anche quando l’addestrava ma in quel caso lui non si sentiva così goffo, stupido e impacciato. A fargli effetto erano i pantaloni che Sansa indossava – le gonne erano un intralcio – che ne delineavano le gambe lunghe e altre forme di solito nascoste sotto strati di stoffa. Nemmeno quello, però, era più difficile da gestire di una lezione di danza.
Sansa volteggiò su se stessa, le dita strette alle sue. Era lei a condurre. Jon non ci capiva niente.
«Devi sperare che la tua compagna di danza abbia spirito d’iniziativa».
«Se fossi tanto pazzo da ballare di fronte ai miei alfieri lo farei soltanto con te».
Sansa rimase immobile per una frazione di secondo.
L’ho detto davvero o l’ho soltanto pensato?
«Daresti un dispiacere a parecchie donne del Nord».
Lo disse lentamente, lo sguardo blu dei Tully fisso nel suo. Jon arrossì. Qualche ora prima, quando l’aveva vista tra Tormund e Ser Davos nell’armeria, aveva la stessa espressione sostenuta. Un po’ feroce. Qualcuno diceva che Lady Stark avesse dato una strigliata memorabile alle ragazze che si erano attardate ad assistere agli addestramenti e che aveva vietato alle donne l’ingresso all’armeria.
Forse uno dei Cavalieri della Valle aveva attirato l’attenzione di Sansa? L’avrebbe vista di lì a poche ore danzare tra le braccia di uno di quegli arroganti buffoni?
«Mai quanto ai cavalieri che non riusciranno a ottenere il mio stesso privilegio».
Era suonato troppo possessivo, Jon lo sapeva. Sansa si era irrigidita tra le sue braccia, ma non aveva lasciato la presa.
«Sarei crudele a respingerli tutti».
«Mi prenderò la colpa Mia Signora. Nessuno può mettere le mani sulla Regina del Nord».
«Jon… »
«Ho un regalo per te».
La lasciò andare e andò alla borsa che aveva lasciato su una delle panche della sala Grande. Ne estrasse il contenuto. Una piccola scatola di legno, laccata di blu scuro. Sul coperchio aveva fatto incidere il Metalupo di casa Stark.
Ci aveva pensato tanto. Non aveva mai fatto un regalo a una donna e che la donna in questione fosse Sansa aveva reso le cose ancora più difficili. Non tanto per il regalo in sé – su quello non aveva avuto dubbi – ma su come avrebbe interpretato il gesto, se lo avrebbe apprezzato.
Sansa si era avvicinata. Sembrava pallida ed era silenziosa come la notte.
«Jon non avresti dovuto».
«Non avrei dovuto aspettare così tanto».
Sansa sorrise e si arrese. Lo incoraggiò con lo sguardo e Jon sollevò il coperchio della scatola e ne estrasse il contenuto.
Era un oggetto semplice ma di raffinata fattura. Un anello d’argento, finemente inciso. Al suo interno il motto degli Stark.
L’inverno sta arrivando.
Jon prese la piccola mano e la portò alle labbra.
Dei, sono pazzo. Pazzo.
Poi infilò l’anello all’anulare sinistro.
«Ne ho fatto fare uno anche per me».
Estrasse il cordino che portava al collo. Non lo aveva indossato per non rovinare a Sansa la sorpresa e per non rischiare di spezzarlo durante gli allenamenti. Aveva scoperto, con il passare dei giorni, che non gli dispiaceva tenerlo lì, sotto le vesti. Vicino al cuore.
«È bellissimo». Lo baciò sulla guancia. «Grazie».
Lo cercò con lo sguardo, ma era così vicina e aveva paura a guardarla negli occhi. Poteva sentire il calore delle sue guance arrossate. Così le guardò la bocca ma scoprì che era molto peggio.
«Sono contento che ti piaccia».
La voce gli uscì bassa e roca.
«San, perché hai proibito alle donne l’ingresso all’armeria?»
Il pensiero lo tormentava. Chi aveva scatenato la gelosia di Sansa? Con chi l’avrebbe vista ballare di lì a poche ore? Chi era l’uomo che gliel’avrebbe portata via?
Avrebbe voluto che quell’anello fosse una promessa, che potesse dire tu sei mia, io sono tuo, ma non poteva sperare che un cerchietto d’argento la tenesse legata a lui.
«Puoi prenderti la colpa anche di questo mio Signore. Nessuna può mettere gli occhi sul Re del Nord».

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Capitolo 7
*** L'ironia della sorte ***


Quello che amava del caos era la sua imprevedibilità. Un’arma a doppio taglio ma efficace se sapevi farne buon uso e lui era sempre stato piuttosto abile a maneggiarla.
Era andato tutto secondo i piani. Si era sbarazzato di Ned Stark e di Lysa. Aveva fatto un buon lavoro anche con Sansa. Guadagnarsi la sua fiducia, portarla ad aver bisogno di lui, era stato facile. Una ragazzina sola, spaventata, con anni di lutti e soprusi alle spalle.
Quando era arrivata a Nido dell’Aquila Sansa Stark non aveva più niente e poteva contare solo sull’affezionato amico di Catelyn. L’uomo che aveva amato l’adorata madre tutta la vita. Si era lasciata guidare, convincere. Non aveva altra scelta.
Povera, piccola Sansa. Povero uccelletto. Così ingenua e così inutile. Con la testolina piena di sciocchezze. Era stato costretto a venderla ai Bolton. Consegnarla a chi l’avrebbe spezzata per poterla rimodellare a immagine e somiglianza di chi avrebbe fatto al caso suo. Al caso suo e a Grande Inverno.
Ancora una volta aveva previsto ogni cosa. Sansa era fuggita e si era ripresa il Nord, ma il pesciolino si era rivelato più lupo di quanto avesse immaginato e i lupi non si possono domare. Non che gli dispiacesse – in Cat c’era una ferocia che lo aveva sempre affascinato – il problema era che aveva sottovalutato il bastardo.
Sansa avrebbe dovuto servirsi del fratellastro per poi sbarazzarsene una volta ottenuto ciò che voleva, come le aveva insegnato a fare con le pedine diventate inutili.
Non l’aveva mai sentita parlare di Jon Snow e sapeva che Cat lo odiava. Aveva contato sul fatto che la madre avesse trasmesso il suo odio alla figlia o almeno indifferenza.
Forse era stato così. Era stato così prima ma Sansa era cambiata. Se lui era stato il fautore del cambiamento, Jon Snow lo aveva ribaltato. La principessa del Nord si sentiva al sicuro con lui e l’istinto di sopravvivenza aveva lasciato il posto a un ritrovato senso di appartenenza famigliare e alla fiducia in un uomo che era troppo perfetto per essere vero.
Un eroe.
Uno Stark.
Jon Snow era bello come Brandon e Lyanna, forte e onorevole come Eddard. Ditocorto poteva solo sperare che fosse altrettanto ottuso, ma ne dubitava. Il ragazzo aveva fatto parecchia strada, i suoi uomini lo amavano. La sorella lo amava.
Anche in questo era come sua madre. Sansa desiderava le cose più belle e più dolci. Le cose migliori. Quando l’aveva fatta fuggire da Approdo del Re, nonostante le amorevoli attenzioni di Joffrey, era ancora una bambina. Bolton avrebbe dovuto spazzare via quello che era rimasto di una Sansa che non sarebbe servita a nulla, quella che non si sarebbe mai unita a lui. I sogni di valorosi eroi si sarebbero scontrati con la realtà e il loro infrangersi avrebbe forgiato la donna oscura, dedita al caos, che stava aspettando.
Ma il bastardo aveva rovinato tutto.
Un altro maledetto Stark. Di nuovo.
Si sarebbe sbarazzato di lui come degli altri?
Cat non glielo aveva perdonato. Nemmeno Sansa lo avrebbe fatto. Sansa meno di Catelyn. C’era una devozione in lei, un bisogno che non aveva mai visto in sua madre. Non nei confronti del marito. Solo dei figli.
Ditocorto aveva progettato di ottenere una donna spezzata e il risultato era stato quello di far venire alla luce una Regina, sì vulnerabile ma anche arrabbiata e implacabile.
Jon Snow era l’uomo perfetto per lei, perché avrebbe protetto quella vulnerabilità invece di approfittarne. L’aveva servita invece di servirsene, sacrificandosi senza chiedere in cambio sacrificio. L’aveva resa forte e legata a sé senza volerlo. E lui, il grande burattinaio, si era trovato a essere il burattino. Se gli Stark erano tornati in possesso di Grande Inverno era solo merito suo. Sansa avrebbe fatto bene a ricordarlo.
Le sue spie all’interno del Palazzo sussurravano che i fratellastri condividessero il letto, senza consumarlo. Si era chiesto a che gioco stessero giocando e aveva iniziato a domandarsi come usare la più letale delle debolezze, il più potente alleato del caos: l’amore.
Se lo stava domandando anche il quel momento, mentre li osservava senza essere visto dalla porta socchiusa della Sala Grande.
Il bastardo le aveva preso la mano e l'aveva baciata. Non poteva vederlo in faccia ma nemmeno gli interessava, sapeva cosa ci avrebbe trovato. L’onorevole e valoroso Jon Snow non era capace di resistere alla sua bella sorella, ma nemmeno di prendersela.
Per Ditocorto aveva poca importanza, contava solo l’espressione sul volto di Sansa. Un’espressione che non aveva mai visto sebbene avesse osservato quel volto a lungo.
Lo baciò sulla guancia senza allontanare il viso dal suo. Durante i loro ultimi colloqui lo aveva respinto duramente. Con il fratello, invece, sembravano non esistere distanze o restrizioni. Lo toccava, permetteva che lui la toccasse. Petyr sentì bruciare sotto il farsetto la cicatrice che Brandon Stark gli aveva lasciato a Delta delle Acque.
Le redini del caos gli stavano sfuggendo di mano. L’inaspettata piega che gli eventi avevano preso non era disordine da sfruttare a proprio vantaggio, ma un’ironica inaspettata circolarità. Di nuovo, un altro Stark, stava per essere scelto al posto suo.
Non avrebbe ripetuto gli errori del passato, non sarebbe stato tanto sciocco.
Se uccidere Jon Snow era troppo pericoloso, si sarebbe preso sua sorella. Senza chiedere.

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Capitolo 8
*** Un laccio troppo stretto ***


I capelli di Sansa.
Gli occhi di Sansa.
La pelle di Sansa.
La bocca di Sansa.
 
Era sempre lo stesso sogno. Da settimane.
Jon si svegliava in preda al disgusto. Sudato, tremante ed eccitato. La prima volta aveva vomitato nel bacile accanto al letto.
Con il passare dei giorni il sogno si era fatto più dettagliato, più vivido e prima di addormentarsi una parte di lui  - quella che veniva dalle tenebre o quella che cercava la luce? Jon non avrebbe saputo dirlo – sperava di sognarla ancora. Quando accadeva i sensi di colpa lo divoravano per il resto della giornata.
Aveva persino pensato di cedere alle lusinghe di chi non aveva nascosto il desiderio di scaldargli il letto. L’astinenza protratta gli stava giocando brutti scherzi. Doveva essere quello. Era quello senz’altro. Lui non desiderava sua sorella davvero. Desiderava una donna e basta. Peccato che il pensiero di unirsi a qualcuno in quel modo lo disgustasse tanto quanto i suoi desideri morbosi.
Qualcuno che non fosse Sansa.
Una mattina era entrata nei suoi alloggi senza bussare. Doveva dirgli una cosa importante. Jon era rimasto inchiodato nel letto, nascosto sotto lenzuola e pellicce, pregando gli dei che sua sorella non si accorgesse di quanto fosse turbato e non facesse domande.
Cosa avrebbe pensato di lui? Per Sansa era un eroe, l’amorevole fratello che scacciava gli incubi e le aveva restituito una casa, non un mostro come gli uomini che avevano abusato di lei. Jon era tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. Tradirla, deluderla, ferirla non era pensabile.
Erano il corpo stesso a tradirlo e la mente che durante il sonno non era in grado di controllare. Un sonno che troppo spesso condividevano a causa degli incubi che la tormentavano.
Non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe dovuto passare tanto tempo con lei, ma come avrebbe spiegato un distacco senza apparente ragione? Si sarebbe sentita abbandonata e respinta, avrebbe pensato che il fratello l’aveva usata per arrivare al trono e non aveva più bisogno di lei. E più di tutto, di Grande Inverno del Nord e della protezione che Jon poteva offrirle, Sansa aveva bisogno di potersi fidare di nuovo di qualcuno. Di poter contare ancora su qualcuno. Aveva bisogno di sapere che lo avrebbe trovato al suo fianco, nella luce della Sala Grande come nel buio della camera padronale, pronto ad appoggiarla di fronte agli alfieri o a scacciare gli incubi.
E ora questo.
Sansa era gelosa.
Gelosa del suo mezzo fratello
In un primo momento lo aveva intenerito e commosso. Senza dubbio sorpreso.
Come poteva lei, sempre così sicura di tutto, temere che un’altra rubasse l’attenzione e l’affetto che le erano dedicati in modo pressoché esclusivo? Non ne riceveva abbastanza?
Eppure la rivendicazione di Sansa, la possessività che aveva intravisto oltre i margini del loro nuovo rapporto, quel limite di decenza che si ostinavano continuamente a sfiorare, aveva provocato in lui un piacere oscuro e indefinito.
Sei mio Jon Snow.
Era vero.
Era sbagliato, assurdo, pericoloso, ma era vero. Ed era bellissimo.
Jon chiuse gli occhi sperando che il bagno caldo lo aiutasse a rilassarsi. Sentiva i muscoli sciogliersi poco a poco sotto la superficie dell’acqua. Una delle ragazze – Violet, Jayne? Non ricordava il suo nome – aveva lasciato un telo pulito e gli olii che Sansa aveva fatto preparare per lui. Rosmarino, ginepro, arancio. Essenze preziose che provenivano da Sud.
«Hai finito?»
Non l’aveva sentita entrare. Jon si voltò di scatto e l’acqua bollente schizzò fuori dalla vasca di rame. Lei era sulla porta, un sorriso sulle labbra morbide, i capelli che catturavano la luce tenue della candela. Non si era ancora cambiata per il ricevimento.
«Tarderai a causa mia».
«Preferisci che faccia chiamare Violet?»
La voce si era fatta più tagliente.
Non lo preferisco, ma sarebbe meglio.
«Voltati, sto per uscire».
Sansa ubbidì e attese che il fratello uscisse dalla vasca, si asciugasse e avvolgesse il telo intorno ai fianchi.
«È necessario?»
«Renderti presentabile? Sì e sei pieno di lividi. Addestrare senza cotta e senza camicia dei ragazzini inesperti non è stata una grande idea».
«Fa caldo in armeria».
«Non mi dire».
Indicò il letto e fu il turno per Jon di obbedire. Sansa avvicinò lo sgabello e sedette accanto a lui. Il profumo del rosmarino gli riempì le narici. S’irrigidì in attesa del dolore che il tocco della sorella, seppur delicato, avrebbe causato a contatto con i lividi. Invece sentì le piccole dita intrecciarsi ai suoi capelli, scorrervi dentro senza impedimenti. Sansa tirò leggermente, raccogliendone una parte sulla testa, come era solito fare Ned Stark e come anche Jon aveva iniziato a fare. Era una delle cose più piacevoli che avesse mai provato in vita sua. Sospirò pesantemente, cercando di non pensare a niente.
Assolutamente niente.
Passò alle spalle, al collo, alla nuca. Alle braccia. Silenziosa e concentrata si prendeva cura di lui. Era impensabile che Jon potesse ricambiare quel tipo di attenzione, anche se lo avrebbe voluto.
Dei, se lo avrebbe voluto.
«Sansa?»
«Uhm?»
«Non era necessario. Non è compito di una Lady prendersi cura di un bastardo».
Tua madre non l’ha mai fatto.
Ma Sansa non era sua madre.
«Sì, invece e non mi dispiace farlo. Se fossi ferita o malata, permetteresti a qualcuno di prendersi cura di me al posto tuo?»
I muscoli delle braccia guizzarono sotto le sue dita. Jon si prese del tempo per rispondere.
Non lo permetterei a nessuno, in nessun caso.
«Suppongo di no».
«Allora smetti di dire sciocchezze».
«Sansa?»
«Che c’è ancora?»
«Grazie».
Si guardò allo specchio. Aveva pensato a lungo a cosa indossare. Poteva sembrare frivolo ma non era così. Gli occhi di tutti sarebbero stati puntati su di lei. Avrebbero osservato e giudicato le sue vesti, il suo atteggiamento, il suo comportamento nei confronti di Jon. Contato i sorrisi, valutato portamento e umore. Avrebbero deciso se fosse rimasto qualcosa di lei dopo Ramsey Bolton.
Lady Stark era fedele al fratello bastardo?
Lo aveva accettato come Re e Protettore del Nord?
Sansa non aveva mai temuto il giudizio della gente, perché non aveva mai avuto niente da temere. Ai pettegolezzi meschini e ai commenti sussurrati a fior di labbra non aveva mai dato peso, nemmeno quando dicevano che era figlia e sorella di traditori. Adesso era di nuovo sorella del Re e figlia del compianto e amato Ned Stark. Qualcuno la chiamava Regina e come tale avrebbe dimostrato che era sopravvissuta ai Lannister e ai Bolton e portava con coraggio e orgoglio il proprio nome.
Come avrebbe fatto Arya.
Dei, quanto le mancava.
Lisciò per l’ultima volta il velluto blu dell’abito che aveva scelto, il preferito di Jon. Sarebbe stata una sorpresa per lui, non aveva visto le modifiche apportate al ricamo del metalupo sul corpetto. Aveva sostituito il filo grigio con il bianco e le perline rosse cucite al posto degli occhi non lasciavano spazio a dubbi. Sansa Stark aveva ricamato all’altezza del cuore il lupo bianco del fratello bastardo.
Il blu cupo dell’abito scuriva quello dei suoi occhi o era la malinconia? Sansa si sforzò di scacciare il ricordo dei capelli di Jon tra le dita. Un lieve gemito gli era sfuggito dalle labbra e aveva sentito un sole esploderle nelle viscere. Era stato difficile continuare le sue cure con la mano ferma, mentre sentiva la solidità dei muscoli sotto la pressione dei suoi movimenti.
La schiena perfetta di Jon. Sembrava scolpita nella pietra, calda per il sangue che gli scorreva sotto la pelle, come un marmo prezioso baciato dal sole.
Il suo stesso sangue.
Sansa era seduta alle sue spalle ed era contenta che non potesse vederla. Sentiva le guance andarle a fuoco. Aveva spalmato l’unguento sulle spalle per scendere lungo le braccia. Si era appoggiata lui – il cuore contro la sua schiena – sentendone la solidità. Le era parso di sentirlo tremare ma forse era per il freddo. Si era affrettata a finire, troppo turbata per indugiare oltre e lo aveva lasciato in tutta fretta con la scusa di doversi preparare lei stessa.
Aveva ancora sulle dita il profumo del rosmarino e del ginepro.
Il profumo di Jon.
«Sei pronta?»
Si era fatto precedere da un lieve bussare che Sansa aveva a malapena sentito.
Aveva un’espressione disarmante e nuda sul volto. Felice e disperata al tempo stesso. Per un attimo le ricordò i bambini che erano stati, quando Sansa catturava attraverso il cortile quei suoi sguardi sfuggenti e addolorati.
Potrai mai perdonarmi?
«Ti piace?»
Indicò il ricamo con un sorriso che il fratello ricambiò subito, spezzando la tensione trattenuta che gli aleggiava negli occhi e sulla bocca.
«Sei bellissima».
Era la prima volta che glielo diceva. Sansa lo aveva sentito talmente tante volte che aveva smesso di crederci. Ora a dirglielo era una persona che amava e da cui era amata e lo diceva senza pretendere nulla in cambio. Jon era sempre stato il più affettuoso e gentile tra i suoi fratelli, forse perché non aveva mai dato il loro amore per scontato.
La raggiunse di fronte allo specchio e le porse il braccio. Sansa lo prese, appoggiandosi a lui.
«Hai un aspetto molto regale».
Avevano trovato i vecchi abiti che Lord Eddard indossava nelle grandi occasioni e Sansa li aveva adattati e rammendati per Jon. I colori della casa gli donavano e lo facevano somigliare così tanto al padre che si era sentita mancare. Nessuno dei figli legittimi somigliava a Ned Stark quanto il suo bastardo.
Jon sbuffò imbarazzato e tornò a osservare il ricamo di seta.
«Lord Baelish la vedrà come una provocazione».
«Non voglio che ci siano dubbi in merito a chi vanno la mia fedeltà e il mio cuore».
La luce delle candele tremò nello sguardo cupo del fratello. I suoi occhi le sembrarono ancora più scuri.
«Mai avrei pensato che sarei stato geloso del mio metalupo».
Sansa gli pizzicò il braccio e Jon sorrise. Allungò le dita per sistemargli il cordino di cuoio del farsetto. Podrick doveva averlo stretto troppo, aveva la sensazione che Jon faticasse a respirare. Abbassò lo sguardo, socchiuse gli occhi.
«Nostro padre sarebbe orgoglioso di te».
Un lampo di dolore gli attraversò la bocca. Era stato svelto e lo aveva soffocato subito, ma Sansa lo aveva visto lo stesso.
«Non lo so, San. Adesso andiamo, ci stanno aspettando».

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Capitolo 9
*** Da un capo all'altro della Sala Grande ***


Il suo sguardo vagava da una parte all’altra della Sala Grande. Sentiva crescere una certa inquietudine. Quando l’aveva persa di vista? Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva incontrato lo sguardo blu dei Tully? Gli era sembrato che si stesse annoiando o forse lo aveva sperato. Gli angoli della bella bocca si erano sollevati, solo per lui, in un sorriso complice da ragazzini. Jon si era sforzato di non ricambiare.
Il Re del Nord non ridacchia con la sorella alle spalle dei suoi alfieri.
Non sarebbe stato tollerato nemmeno quando erano bambini, sebbene allora non ci fosse complicità tra loro.
Stava imparando a conoscere Sansa com’era diventata e si rammaricava di aver perso un solo istante della sua vita. Di non esserci stato quando aveva avuto bisogno di lui e solo gli Dei sapevano quanto ne avesse avuto bisogno. Il ricordo delle ossa di Ramsey che si frantumavano sotto i suoi pugni non era una consolazione sufficiente. Aver lasciato che fosse Sansa a finirlo, forse sì.
Per l’intera durata della cena, i Lord loro alfieri si erano contesi la sua attenzione e quella di Sansa. Non erano riusciti a scambiare mezza parola. Chi per rimediare al tradimento – alle spalle voltate nel momento del bisogno – quando lui e la legittima Lady di Grande Inverno erano andati di porta in porta per tutto il Nord in cerca di alleati, e chi invece si era unito con loro alla lotta e ora pretendeva attenzione e riconoscimento. Jon non poteva deluderli. Erano stati quegli stessi Lord a legittimare il suo trono. Lui che non l’aveva preteso, lui che avrebbe voluto vedere Sansa Regina e Protettrice del Nord. Avevano preferito il bastardo alla ragazza. Non aveva avuto altra scelta che proteggere la sua casa e il Regno di sua sorella.
Aveva temuto che Sansa ne avrebbe sofferto, che avrebbe visto nella sua ascesa al trono un’ingiustizia e che il rapporto faticosamente costruito fino a quel momento ne sarebbe stato danneggiato in modo irreparabile. Invece la sorella lo aveva sorpreso ancora una volta. Era orgogliosa di lui – lo ripeteva e dimostrava senza sosta – e non c’era stata una sola occasione in cui gli aveva fatto mancare il suo sostegno.
E lui? Cosa aveva fatto lui per Sansa?
Poco o nulla.
Nemmeno era riuscito a tenere lontano i corteggiatori importuni che l’avevano tormentata per tutta la sera. Come biasimarli? Sansa era splendida.
Sembrava indossare uno stralcio di notte, blu cupo come gli occhi che scintillavano sotto l’arco elegante delle sopracciglia. Il metalupo bianco e la treccia infuocata poggiata sulla spalla risaltavano come stelle sul velluto scuro.
E adesso dov’era andata a nascondersi tutta quella bellezza?
Dov’era finita sua sorella?
Jon aveva voglia di guardarla. Osservarla parlare, ridere, portare il calice alle labbra. Senza essere visto.
Gli uomini attirati dalla luce non erano stati tanto temerari da toccarla, ma alcuni tra quelli più giovani si erano profusi in inchini e complimenti, supplicandola per un ballo. L’aveva sentita negarsi con gentilezza, dicendo che avrebbe ballato solo dopo aver aperto le danze con il Re.
«E sua Maestà questa sera è troppo occupato per ballare».
Ser Davos aveva sorriso, i giovani cavalieri del Nord molto meno.
Gli era sembrata così indifesa, così esposta alle loro occhiate lascive, maliziose e sospette. La desideravano e la biasimavano, forse la temevano. Tutti conoscevano la fine di Ramsey Bolton.
La lupa rossa è feroce.
Ghignavano fantasticando su come sarebbero riusciti a domarla nei loro letti.
Poveri illusi.
Jon avrebbe voluto prenderli a calci e cacciarli fuori dalla Sala. Avrebbe voluto gridare loro che Sansa aveva versato al Nord il suo tributo di sangue e dolore. Più di tutti loro, indegni di leccare il terreno su cui poggiava la suola dei suoi stivali.
E il peggiore di tutti dov’era?
Baelish dov’era?
Lo cercò tra le facce avvinazzate che lo circondavano mentre ascoltava distrattamente Lyanna Mormont complimentarsi per il cibo. Ditocorto non sarebbe stato così stupido da ubriacarsi, ancor meno durante un’occasione come quella quando la tentazione di abbassare la guardia correva veloce come il vino di Dorne nei calici di corno.
Ditocorto non c’era.
Sansa non c’era.
Un ringhio basso e prolungato vibrò vicino ai suoi piedi. Jon si scusò con la giovane ospite e si chinò verso il metalupo. Spettro si era alzato e annusava l’aria intorno a sé. Prima che Jon potesse dire una parola, era scattato in avanti correndo tra le gambe degli invitati e uscendo dalla porta principale. Ser Davos era già accanto a lui.
«Hai visto Lady Sansa? Brienne?»
«È di turno sulle mura con Tormund, Maestà, e non vedo la nostra Signora da un po’».
L’inquietudine si trasformò in qualcosa di più denso e soffocante. Paura.
«Devo andare a cercare Sansa».
Era già in piedi, in movimento, lo sguardo fisso sulla porta.
«Dirò agli alfieri che il Re si è ritirato, ma non è prudente che tu vada solo… »
Jon non lo stava più ascoltando. Era già lontano. Con il pensiero. In cerca di Sansa.
L’aria della Sala Grande era diventata soffocante. I fiati carichi di alcol, le pretese degli alfieri più pressanti. Se avesse avuto il conforto di Jon o Spettro, sarebbe stato più sopportabile, ma tutti volevano parlare con il Re del Nord, tirargli il mantello, chiedere, chiedere, chiedere. Pretendere. Pensavano di averlo messo loro sul trono ma Jon se l’era guadagnato con il sangue. Aveva strappato Grande Inverno a Ramsey. Per lei.
Ogni tanto incrociava gli occhi scuri e profondi del fratello. Bruciavano alla luce delle candele.
Sembrava così preoccupato… Ed era bello lo stesso.
Aveva sempre saputo che Jon era bello, ma se n’era accorta davvero solo quando si erano riuniti. Lo sguardo malinconico – dietro agli occhi il suo stesso dolore – i sorrisi rari che lo rischiaravano come una giornata d’estate.
Un pomeriggio lo aveva sorpreso pregare nel Godswood. Le riusciva difficile comprendere la sua fede. Lui più di tutti aveva conosciuto quanto fosse malriposta la speranza che qualcuno ascoltasse le preghiere degli uomini. E delle donne.
Le sue non le aveva mai ascoltate nessuno. Almeno fino a quando non aveva ritrovato Jon, ma da qualche tempo quel sollievo era accompagnato da un diverso tipo di tormento.
Sei solo una sciocca ragazzina.
Non hai imparato niente.
Era rimasta a guardarlo, concentrato e silenzioso, ricavando da quel frammento di solitudine una pace che raramente aveva provato nella sua vita.
Jon aveva alzato lo sguardo e incontrato i suoi occhi.
Come stava facendo in quell’istante nella Sala grande. Anche allora Sansa gli aveva sorriso.
Per non ridere in faccia a uno dei lord che gli avevano giurato fedeltà, il Re del Nord strinse le labbra in una linea sottile. Si sentì più leggera, felice del loro piccolo segreto.
Forse è rimasto qualcosa di quei bambini. Forse è rimasto qualcosa di te e di me.
Presto avrebbe condiviso altri segreti con altre donne. La Sala pullulava di ragazze di ogni età. Alcune graziose, altre ricche. Di alto lignaggio. Avevano intrecciato i capelli e indossato vesti scollate. Attendevano con le guance arrossate che il Re le favorisse di uno sguardo o di una parola. Ognuna di loro sognava un giorno di ricevere in dono una corona di rose.
Future regine di amore e bellezza.
Zia Lyanna lo era stata. Di un principe bello e forte come Jon.
E sposato.
Quella corona era piena di spine e Lyanna non si era punta soltanto le dita.
A quelle ragazze cosa importava? Le vergini del Nord non correvano rischi. Erano pronte a legare le loro mani a quella del Re e il Re al loro letto.
Non erano sposate né lo erano state.
Non erano legate a lui dall’unico vincolo che non si può spezzare.
Quello del sangue.
I signori del Nord avevano trascinato a Grande Inverno le figlie tenute al sicuro dai Bolton. Lei non aveva avuto questa fortuna.
Ma Jon era Jon. Qualcuno avrebbe dovuto tenere lui al sicuro dalle figlie dei Lord. Non si sarebbe sorpresa se al momento di coricarsi il fratello ne avesse trovata una nel letto. Se lo mangiavano con gli occhi il principe bastardo che aveva scaldato il loro gelido cuore.
La voce si era sparsa in fretta.
Il bastardo di Ned Stark è bello, schivo, un uomo d’onore.
Come suo padre.
Come tuo padre.
Jon sembrava notarle appena, ma prima o poi – Sansa lo sapeva – ne avrebbe scelta una.
Una che lo avrebbe reclamato al cospetto degli alberi diga. Avrebbe diviso il suo letto e vegliato sulle sue preghiere. Sarebbe stata l’unica, la sola fino alla fine dei suoi giorni.
Perché Jon era Jon e non avrebbe commesso gli errori di suo padre.
Una donna che non era rotta, che non era un’assassina, che non era mai stata di nessuno.
Una donna che non era la sua mezza sorella.
Una donna che non era lei.
Come uno schianto sentì l’aria abbandonarle i polmoni.
Non riusciva a respirare e non poteva svenire davanti agli alfieri. Avrebbero pensato che era debole. Che Ramsey l’aveva divorata fino alle ossa. Le fanciulle del Nord si sarebbero avvicinate ancora di più. Anche in quel momento, nonostante stessero attente a non attirare lo sguardo severo della Lady di Grande Inverno, sembravano capacissime di concedersi su uno dei tavoli della Sala Grande di fronte ai loro venerandi padri.
La cosa peggiore era che Sansa le capiva perfettamente.
Aria. Aveva bisogno d’aria.

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Capitolo 10
*** Se non fosse stato per te ***


«Mia Signora».
Se l’era trovato davanti all’improvviso, girando nel corridoio che conduceva ai suoi alloggi. Era stanca – la serata la gente la tensione accumulata l’avevano stremata – e desiderava solo coricarsi. Se fosse stata capace di rimanere sveglia avrebbe atteso il ritorno di Jon per salutarlo.
O per sincerarsi che sarebbe andato a letto da solo?
Si era biasimata per quel pensiero. Infantile, inutile. Dannoso alla pace della sua mente.
Suo fratello poteva andare a letto con chi voleva.
Voleva?
Sarebbe passato a controllare che il suo sonno fosse tranquillo e augurarle la buonanotte?
Forse avrebbe finto di dormire. Non era sicura di voler vedere sul suo volto l’effetto lasciato da un’altra donna.
Stava pensando al bacio che Jon le avrebbe lasciato sulla fronte quando si ritrovò davanti Ditocorto. E Sansa quella sera non si sentiva in grado di sopportarlo in nessun modo.
Una Lady sopporta tutto, Sansa. Non si lamenta né versa lacrime in pubblico.
Una Lady non pensa alla bocca del fratello bastardo e all’effetto che le fa sulla pelle.
«Lord Baelish, vorrai perdonarmi. Mi sto ritirando, sono molto stanca. Rimandiamo a domani il prossimo no che ti sentirai dire».
Aveva onorato l’etichetta e si era vestito elegantemente. Sul farsetto il vessillo di casa Arryn. Lord Baelish si era appuntato sul petto un’altra medaglia guadagnata con l’inganno e l’omicidio.
«Sei crudele, mia signora ed è un peccato vederti lasciare una così bella festa… Hai assaggiato il dolce? Al limone. Dicono che per rendere omaggio alla sorella il Re abbia ordinato di raccogliere i frutti rimasti nel giardino di vetro di Grande Inverno».
Era stata la cosa più buona che avesse mangiato nella sua vita.
Un pensiero amorevole, così tenero e discreto. Sansa ne aveva gustato l’audacia sul palato e il pizzico di follia sciogliersi sulla lingua. Il primo capriccio regale di Jon era stato soddisfare un suo capriccio. Nel giardino di vetro non era rimasto un solo limone.
«Era delizioso e ti invito a tornare al banchetto per poterne godere tu stesso».
Non aveva altro da dirgli e attese che prendesse congedo. Purtroppo Ditocorto non aveva ancora finito con lei.
«Permettimi di scortarti. I corridoi di Grande Inverno possono apparire inquietanti».
«Li conosco da quando sono nata, non occorre che ti disturbi».
Baelish ignorò il rifiuto e le offrì il braccio. Sansa si ritrasse e procedette spedita verso la sua stanza. Avrebbe voluto che Spettro fosse accanto a lei. Se fosse stata sola avrebbe sorriso per la sciocca pretesa di poter richiamare il metalupo con la forza del pensiero.
«Anche i luoghi dell’infanzia possono essere spaventosi».
Lo so. L’ho scoperto per merito tuo.
Si voltò verso di lui, attenta a non lasciar trapelare l’ondata di odio e disprezzo che l’aveva invasa. Gliene mostrò una parte per ricordargli il baratro incolmabile che si era aperto tra loro.
La fine della sua innocenza, della sua infanzia, dei suoi sogni. La fine di tutto.
Ditocorto aveva ucciso la ragazzina che aveva ingannato e manipolato. Ora doveva fare i conti con la donna che era nata da quelle ceneri. Una donna che non conosceva.
D’istinto cercò tra le pieghe del vestito il fodero in cuoio del pugnale.
«Non sono i luoghi a esserlo, sono le persone che vi si trovano».
Si guardò rapidamente intorno. Era un’ala del palazzo distante dalla Sala Grande. Brienne era di guardia sulle mura, Davos al fianco di Jon. Non avrebbe dovuto lasciare la Sala senza avvisare. Nessuno sapeva dove si trovava.
Jon si era già accorto della sua assenza? Avrebbe mandato qualcuno a cercarla?
Un nodo le chiuse la gola.
«Sei sempre stata così affezionata al tuo fratello bastardo?»
Se avesse potuto avrebbe ringhiato come Spettro. La porta della sua camera era chiusa dal chiavistello. Non sarebbe riuscita a fuggirvi all’interno con facilità, ma quella di Brienne, un paio di porte dopo la sua, sembrava aperta. Se fosse stata abbastanza rapida avrebbe potuto trovarvi riparo e chiudersi dentro. E aveva il pugnale.
Iniziò a muoversi, cercando di dissimulare le sue intenzioni ma Ditocorto seguiva i suoi movimenti nel tentativo di accorciare la distanza.
«In effetti dovrei ringraziarti. Se non fosse stato per te, non avrei ritrovato Jon».
Un lampo di rabbia incrinò il consueto sorrisetto beffardo.
«Sono lieto di averti reso un tale servizio mia signora e per il tuo bene auguro al nostro Re una diversa sorte da quella di chi l’ha preceduto».
C’era sempre stata una soglia in lei, fin da quando era bambina, che aveva imparato a non oltrepassare. Lasciava che fosse Lady a farlo per lei, perché sua madre le aveva insegnato a starne alla larga, controllarla dietro i sorrisi e le belle maniere.
Ma Lady era morta, sua madre era morta, suo padre e i suoi fratelli erano morti. C’erano stati Joffrey, Ramsey e lo stesso Ditocorto, e quella soglia – rimasta socchiusa tanto a lungo – Sansa l’aveva attraversata già una volta.
Scattò in avanti. Il pugnale stretto tra le dita, la lama contro la pelle dell’uomo che aveva appena minacciato chi rimaneva della sua famiglia. Un uomo che non faceva minacce a vuoto.
«Se dovesse succedere qualcosa a mio fratello, Lord Baelish, verrò a cercarti fino in capo al mondo e resterò a guardare mentre il suo metalupo ti squarcia la gola».
Ditocorto le restituì un’occhiata divertita e Sansa vi scorse l’eccitazione che precede la violenza. Sentì una corrente d’aria fredda bagnarle la schiena.
La tagliola è scattata. La lupa è in trappola.
Prima che potesse rendersene conto, la spinse dentro la stanza di Brienne e chiuse la porta dietro di sé.

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Capitolo 11
*** Il cuore del Nord ***


Dove è Spettro c’è Sansa.
Grande Inverno non gli era mai sembrato così grande, così intricato. Ogni corridoio cieco, la luce delle fiaccole troppo debole. Jon cercava il metalupo, Lungo Artiglio stretta nel pugno. In un groviglio di pensieri terribili e deliranti.
Forse si è ritirata nelle sue stanze.
Di solito, prima di coricarsi, trascorrevano insieme qualche ora nel solarium. Jon studiava le mappe, le fortificazioni, cercava i punti deboli del territorio vicino alla Barriera. Sansa lo osservava, raramente in silenzio. Voleva sapere, consigliare. Con un piglio deciso che per lui era del tutto nuovo. Era intelligente, perspicace. Compensava le ingenuità politiche di Jon, più adatto a un campo di battaglia che a un Consiglio Ristretto.
Gli anni ad Approdo del Re avevano spento i suoi sogni, ma l’avevano trasformata in una giovane donna determinata e in una Regina.
Quando era stanca, lo salutava stringendogli delicatamente il braccio, lasciando dietro di sé il profumo della neve e dei limoni.
E una scia infuocata sulla sua pelle.
Si accorse di essere nell’ala del castello in cui si trovavano le loro stanze. Svoltò l’angolo che conduceva a quella di Sansa e finalmente trovò Spettro. Le orecchie appiattite sulla testa, un ringhio basso e prolungato che gli attorcigliò lo stomaco.
Dove è Spettro c’è Sansa.
La porta era sbarrata. Jon vi si abbatté contro. La costola ferita durante la Battaglia dei Bastardi pulsò ferocemente, ma Spettro continuava a ringhiare e non pensò nemmeno per un secondo di arrendersi. Il chiavistello cedette con un tonfo sordo.
La luce nella stanza era debole ma i capelli di sua sorella avrebbero catturato il riflesso della più piccola scintilla.
«Jon».
Guardò nella sua direzione, gli occhi dilatati dalla paura. Con una mano teneva i lembi della veste strappata – il bel vestito blu che lei stessa aveva ricamato tra un consiglio di guerra e l’altro – nell’altra un pugnale affilato.
Non era in grado di usarlo e se non fosse arrivato in tempo l’uomo che sua sorella aveva davanti, sarebbe stato in grado di disarmarla con facilità.
L’uomo che sua sorella aveva davanti.
Spettro avanzò lentamente. Le zanne scoperte, un ringhio costante che gli scaturiva dalla gola. Ditocorto indietreggiò, attento a non dare le spalle al metalupo.
«Mi colpirai alla schiena o mi massacrerai di pugni come hai fatto con Ramsey Bolton? Del resto gli Stark sono così onorevoli».
Il Lord della Valle aveva prestato giuramento, ma era chiaro che considerasse Jon solo un altro dei suoi burattini.
Un giorno troverà il modo di distruggermi e si prenderà Sansa.
Lo aggirò, la spada in guardia. Si fermò solo quando sentì il calore del corpo della sorella contro la sua schiena e quello di Spettro al suo fianco.
«Non temere Baelish, ti ucciderò guardandoti in faccia».
Gli colava del sangue sul farsetto da una ferita al collo non troppo profonda, ma i graffi sulla faccia avevano un aspetto peggiore. Sansa aveva cercato di difendersi. Jon cercò di scacciare il pensiero di sua sorella che lottava, della paura che aveva provato, di quello che aveva rivissuto. E lui, ancora una volta, non c’era.
Dei, aveva promesso di proteggerla.
«Una mossa degna di te, sebbene non particolarmente brillante. Concordi mia Signora?»
«Non osare rivolgerti a lei». Il ringhio di Jon si accordò a quello del metalupo. «Credevi di poter prendere con la forza la Regina del Nord e uscire vivo da Grande Inverno? Sei pazzo, Baelish e sei già morto».
Tra tutte le vite cui aveva messo fine – in battaglia, per la Barriera, per la sua casa – non ce n’era una che non gli pesasse sulla coscienza. Eppure nulla gli avrebbe dato più sollievo che togliere a Petyr Baelish la sua.
«Lady Stark non è la Regina del Nord, è tua sorella non tua moglie. Ti conviene fare chiarezza su questo punto o pensi di staccare la testa a ogni malcapitato che verrà a chiederti la sua mano? Saranno parecchi, i talenti di Lady Sansa sono conosciuti in tutti i Sette Regni».
Non fu la mancanza di rispetto a farlo scattare ma il sorriso lascivo che aveva stampato sulla faccia.
«Jon!»
Sansa aveva lasciato andare la veste e il pugnale e lo tratteneva per il braccio.
«Jon non puoi uccidere il Lord della Valle durante la festa per la tua incoronazione. Jon ti prego».
Le parole le uscivano dalle labbra veloci come un fiume in piena, una poltiglia di singhiozzi e suppliche.
Era vero, non poteva. Sebbene lo desiderasse con tutte le sue forze.
Cosa avrebbero pensato gli alfieri di un Re che uccide il suo principale sostenitore? L’uomo che con il suo esercito aveva reso possibile la vittoria sui Bolton?
Gli uomini della Valle erano morti per Grande Inverno e la Valle, sebbene poco affezionata al suo signore, avrebbe risposto all’affronto.
Avrebbe scatenato una guerra per l’onore di una donna.
Un altro Re che mette un paio di sottane davanti al bene del Nord.
Le sottane di una sorella per giunta. La stessa donna che aveva sposato un Lannister e aveva fatto sbranare il secondo marito dai suoi cani.
Quella di cui ci siamo fidati meno che di un bastardo.
Il tenutario dei bordelli di Approdo del Re sorrise soddisfatto. Capiva perché Sansa avesse preferito tenere nascosta la sua offerta di aiuto. Perché si era rivolta a lui solo a un passo dal baratro. Ditocorto gli aveva messo un cappio attorno al collo e lo sgabello su cui Jon posava i piedi era Sansa.
Vivo rappresentava una continua minaccia per lei ma se lo avesse ucciso non sarebbe più stato in grado di garantirle protezione e la libertà di decidere del proprio destino. Perché sarebbe morto in guerra o tradito come Robb dai suoi stessi alfieri.
«Ricorda che chi ti ha messo sul trono può trascinarti nella polvere con altrettanta facilità. Insieme a quelli che ti amano e che ami».
Sansa scattò ma Jon fu abbastanza veloce da fare un passo indietro e bloccarla contro il muro.
Il cuore del Nord era baciato dal fuoco e aveva gli occhi azzurri dei Tully.
Il cuore del Nord si poteva rapire e uccidere e il cuore del Nord era il cuore del Re.
Il punto debole di Jon era scoperto. Non era la sete di potere a muovere le sue azioni, né il Trono di Spade a tentarlo, ma solo la sua bella sorella. E non c’era niente come l’amore che spingesse al sacrificio. Niente che rendesse altrettanto vulnerabili.
«L’unica cosa che mi trattiene da lasciare che Spettro ti faccia a pezzi è la presenza di mia sorella. Ha già visto abbastanza sangue». La voce di Jon si era fatta bassa e profonda, carica di una collera compassata. Il Re aveva vinto sul guerriero. «Azzardati a mettere un’altra volta le mani su di lei e sarà l’ultima cosa che toccherai nella tua vita. Prendi il tuo cavallo e vattene da Grande Inverno. Hai tempo fino all’alba, poi racconterò a Lord Royce quello che hai cercato di fare e ti consegnerò alla giustizia della Valle».
«Sono io la giustizia della Valle».
«Mio cugino Robin è la giustizia della Valle; tu sei quello che ha sposato sua madre e l’ha spinta giù dalla Porta della Luna».
«Un omicidio commesso per proteggerti mia signora e tu stessa l’hai coperto con una menzogna. Chissà cosa penserebbe di questo Lord Royce?»
Jon sentì la corda intorno al collo farsi più stretta ma sostenne il suo sguardo. Ditocorto era alla ricerca dello stupore o della delusione che sperava di aver scatenato con quella rivelazione. Non li trovò. Sansa gli aveva raccontato tutto.
Cos’altro avrebbe dovuto fare? Sola al mondo, lontana da casa, la sorella di sua madre aveva cercato di ucciderla. Petyr Baelish era l’unico cui poteva aggrapparsi. Si era fidata di lui e lui l’aveva ringraziata vendendola ai Bolton. Ma Jon non era sicuro che Lord Royce l’avrebbe vista allo stesso modo e non poteva rischiare.
La collera gli inondò le vene come il fuoco che divampa in un bosco. Cosa stava aspettando? Non aveva bisogno di altri motivi per uccidere Ditocorto, ne aveva già a sufficienza e sarebbe bastato quello che aveva appena cercato di fare a Sansa. Spettro appiattì le orecchie e scoprì le zanne. Baelish arretrò di qualche passo ma riprese a parlare.
«Per quanto possiate entrambi trovare la cosa detestabile un giorno, non molto lontano, vi servirà ancora il mio esercito. Il Re sacrificherà migliaia di uomini piuttosto che concedermi la sua bella sorella? O forse ti concederai tu stessa per risparmiargli il dolore di una scelta così difficile? Se Lyanna Stark avesse potuto scegliere quante vite sarebbero state risparmiate?»
Jon sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie e la voce che nella sua testa lo invitata alla calma spegnersi lentamente. Strinse più forte l’elsa di Lungo Artiglio ma sentì le dita di Sansa posarsi sopra le sue, sfiorarle per fargli allentare la presa sulla spada. L’altra mano premuta sulla sua schiena, all’altezza del cuore.
«Un giorno farai un passo falso Baelish e cadrai. Allora farò tutto ciò che è in mio potere per impedirti di rialzarti».
La voce le era uscita ferma e gelida come il vento al di là della Barriera.
«Può darsi. Nel frattempo credo che seguirò il consiglio del Re e tornerò a Nido dell’Aquila. Ho avuto il piacere di discutere con uno Stark per una donna già due volte. Esperienza che non intendo ripetere una terza. Sebbene io sia ancora qui, mentre i due Stark no».
«Nemmeno la donna».
La maschera si incrinò per una frazione di secondo. Jon non poté scorgervi che un sussulto confuso e non avrebbe saputo dire se nascondesse rimpianto, dolore, rabbia. Senso di colpa.
«Un’altra cosa su cui riflettere mia signora».
Il ghigno beffardo era tornato al suo posto. Baelish si inchinò e lasciò la stanza. Attento a non dare le spalle al metalupo.

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Capitolo 12
*** Resta con me ***


«Stai bene? Sei ferita?»
La frugava con gli occhi mentre l’avvolgeva nel suo mantello. Con le dita le sfiorò il collo, bruciavano come fuoco nero e tremavano ancora di rabbia. Era sicura che se lo avesse lasciato andare avrebbe inseguito Ditocorto fino a Nido dell’Aquila.
Se fosse stata una trappola? Se i soldati della Valle fossero stati, nel buio di una nicchia, in attesa di prendere alle spalle il Re del Nord?
Altri traditori avevano colto Robb e sua madre di sorpresa. A una festa.
«Sto bene ma ti prego – ti prego Jon – manda Spettro a chiamare Ser Davos e Brienne. Ti prego».
«Sono qui con te San, non devi avere paura».
«Non è per me che ho paura».
Baelish se n’era andato ma non si trattava di una vittoria. Aveva lasciato dietro di sé ricatti e minacce e l’eco di un futuro fatto di guerra, sacrifici e dolore. Non si era fatta troppe illusioni su ciò che l’aspettava ma era stata felice per Jon quando i lord gli avevano giurato fedeltà e lo avevano acclamato. Ora, però, ricordava il gusto amaro del potere. Suo fratello non sarebbe stato mai più al sicuro. Mai.
Ed era tutta colpa sua.
Dovrei lasciarlo. Cedere alle pressioni di Baelish.
Una buona Regina si sacrifica per il suo popolo. Per le persone che ama.
Suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei.
No. Lord Eddard avrebbe staccato la testa a Ditocorto con un colpo di spada e anche Jon lo avrebbe fatto se non lo avesse fermato.
Lasciare Jon. Grande Inverno.
Per unirsi a un uomo che disprezzava, che l’avrebbe usata per i suoi scopi.
Di nuovo.
Un rantolo le uscì dalla gola mentre le ginocchia cedevano sotto il peso di quello che aveva passato.
Ramsay.
Dei vi prego, no.
Jon scattò in avanti pronto a sostenerla. I bei lineamenti corrucciati in una smorfia preoccupata.
Volevo solo stare con te. Prendermi cura di te e della nostra casa. Della nostra gente.
Invece prima di riuscire a dirti che mi dispiace ti avrò trascinato con me all’inferno.
«Sei sconvolta, ti accompagno nelle tue stanze».
«Non sono sconvolta. Non trattarmi come se fossi una bambina».
Conosco l’uomo che mi ha venduto a Ramsay Bolton.
Non si fermerà davanti a niente.
Avrebbe voluto urlare invece tirò il fratello verso di sé e sprofondò tra le sue braccia. Non esitò né si tirò indietro. Ricambiò l’abbraccio come il giorno in cui si erano incontrati sulla Barriera. La strinse, cullandola, accarezzandole la schiena e pensò, come allora, che in nessun posto al mondo si era sentita come tra le braccia di Jon.
Nemmeno a Grande Inverno. Nemmeno a casa.
«Che cosa è successo?»
Si era sciolto dall’abbraccio e le aveva preso il viso tra le mani. Sansa sapeva che avrebbe voluto controllare se era ferita, ma il pudore lo frenava.
«Mi sentivo soffocare e ho lasciato la Sala. Forse mi ha seguito, forse ci stava aspettando… »
Il terrore le chiuse la gola.
Lady Stark non è la Regina del Nord.
È tua sorella, non tua moglie.
Ditocorto aveva visto le pieghe più nere del suo cuore? Sapeva cosa provava per Jon? Pensava che Jon provasse lo stesso per lei?
Non è possibile non è possibile.
Non Jon. Lui era giusto e buono e onesto.
Non poteva amare una creatura come lei.
Se avesse saputo l’avrebbe vista per quello che era. Avrebbe capito che era perduta, che la sua luce l’aveva attirata come una falena. Si stava già bruciando e non c’era salvezza, solo oscurità. Per entrambi.
«Perché non hai detto che ti sentivi male? Ti avrei accompagnato o avrei mandato Spettro con te».
Perché non riesco più a stare in una stanza con te senza desiderare di toccarti.
«Era la tua festa, non volevo guastarla… »
Bugiarda bugiarda bugiarda.
Mille volte bugiarda.
«Pensi che potrei festeggiare tutto questo senza di te?»
Le sorrise mentre con i pollici le accarezzava gli zigomi.
Non sorridere Jon. Vado in mille pezzi se mi guardi così.
Il tocco ruvido delle sue dita. Delicato e deciso. Si irradiò lungo i muscoli e le ossa. In ogni parte del suo corpo. Era come se la stesse accarezzando dappertutto.
Non saprò mai cosa significa baciare qualcuno che amo.
Mai?
Nemmeno i primi tempi della sua stupida infatuazione per Joffrey si era sentita in quel modo. Quando ancora non sapeva, quando non aveva voluto vedere. Era solo una bambina.
Adesso si sarebbe strappata i vestiti di dosso e lo avrebbe fatto per suo fratello.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato in lei.
Sansa aveva sempre desiderato il meglio che si potesse desiderare.
Il principe Joffrey. Essere Regina. Essere moglie del Cavaliere di Fiori.
Gli dei, sadici e crudeli ma saggi, le avevano mostrato quanto fosse profondo l’inganno dietro l’apparenza delle cose.
Ora il meglio lo aveva davanti agli occhi – lo era davvero, lo aveva dimostrato a dispetto di chi lo chiamava e lo riteneva solo un bastardo –  e non avrebbe potuto averlo mai.
«Domani mattina raduneremo un concilio ristretto per raccontare cosa è successo. Davos troverà il modo di contenere Baelish, vedrai».
Contenere non sconfiggere.
«Ti ha minacciato. I tuoi alfieri non lo tollereranno».
«È te che vuole, San. Gli alfieri suggeriranno la soluzione più ovvia: sacrificarti per il bene del Nord. Non lo permetterò mai ed è inutile discuterne con loro. Troveremo un’altra soluzione».
«Fino a quando non arriveranno gli Estranei. Allora saremo costretti a rivolgerci a lui».
La nostra gente morirà. Tutto il Regno sarà in pericolo.
Non avrai scelta.
I Sette Regni sono già bruciati per una donna e io non sono mia zia Lyanna.
«Quando arriveranno gli Estranei, andrai all’Incollatura da Lord Reed, insieme a Brienne. Nostro padre si fidava di lui, lì sarai al sicuro. Baelish dovrà aspettare la fine della guerra. Potrebbero volerci anni, per allora avremo trovato una soluzione».
Se sopravviviamo.
Probabilmente ci pensava da settimane. Sansa avrebbe dovuto immaginare che non l’avrebbe portata con sé in battaglia, ma aveva tutto il tempo per convincerlo a cambiare idea. Non sarebbe rimasta al sicuro all’Incollatura mentre lui rischiava la vita in mezzo al fango alla neve. Si sarebbe resa utile occupandosi dei feriti. Occupandosi di lui. E se non l’avesse voluta sul campo, avrebbe atteso il suo ritorno a Grande Inverno per offrire alla loro gente riparo, protezione e una guida.
«Non se ne parla Jon Snow, non andrò… »
La interruppe prendendola in braccio. Non aveva voglia di discutere e Sansa era troppo stanca per insistere. Jon era un maestro nel troncare le conversazioni che riteneva sgradevoli o inutili.
«Sei congelata, ti porto in camera».
La prese in braccio e si permise di abbandonarsi contro il suo petto. I muscoli tesi sotto la tunica. Il battere impazzito del suo cuore.
Era un bel suono. Era come una corsa a perdifiato giù per i prati che circondavano Grande Inverno quando era estate. Faticava a tenere sotto controlli i pensieri. Forse suo fratello aveva ragione, forse era davvero sconvolta.
Come promesso la portò nella sua camera e, dopo aver spostato le pellicce, la depose sul letto. Sansa fece per restituirgli il mantello.
«Aspetta». Sembrava teso, imbarazzato. «La veste è strappata. Mando a chiamare una ragazza che ti aiuti a… »
«No!». Sansa si aggrappò al suo braccio. «Non te ne andare, ti prego. Resta con me».
Annuì con un cenno del capo e scostò una ciocca sfuggita alla treccia. Depose Lungo Artiglio accanto al letto e tolse gli stivali. Le dava la schiena ma lo vide irrigidire le spalle prima di voltarsi lentamente verso di lei.
«Se ti fosse successo qualcosa… »
Era come se lo stesse realizzando in quel momento. Era pallido, l’aria stravolta. Sansa non poté fare a meno di rassicurarlo.
«Sto bene».
Non stava bene per niente ma non avrebbe caricato Jon dell’ennesimo fardello. I suoi demoni, i suoi peccati, l’angoscia per ciò che li attendeva, li avrebbe portati da sola.
«Non sei stata tu a uccidere Lysa, hai fatto solo quello che dovevi per sopravvivere. Non permettergli di farti sentire come lui vuole che ti senta».
Sbagliata, bugiarda, indegna dell’uomo che aveva davanti.
L’uomo che si ostinava a credere che ci fosse qualcosa in lei meritevole di essere salvato.
Si era avvicinato, portando la mano alla sua nuca e tirandola leggermente verso di sé.
Sansa aveva stretto il suo polso con le dita e socchiuso gli occhi. Attese che il tocco di Jon guarisse le ferite e ne provocasse di nuove. Più dolci e languide.
E irresistibili.
«Resta con me».
Gli occhi neri di Jon catturarono il riflesso del fuoco che andava spegnandosi nel camino. Per un secondo si fermarono sulla sua bocca e Sansa vide il baratro in cui stavano per precipitare.
Si coricò sotto le pellicce accanto a lei e gli si acciambellò contro come un gatto. Jon le accarezzò i capelli fino a quando si addormentò con le labbra sulla sua fronte.

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Capitolo 13
*** Per non pensarci più ***


Si svegliò di soprassalto con la terribile sensazione di non sapere dove si trovava. L’ultima volta che era successo era tornato dal mondo dei morti. Non aveva ancora capito perché la strega rossa lo avesse riportato indietro – per lottare contro la discesa della Lunga Notte o per fallire e cadere di nuovo? – eppure c’erano momenti in cui era contento che lo avesse fatto. Momenti come quello.
Il respiro regolare di sua sorella lo riportò alla realtà e quello che era successo lo investì con forza.
Lord Baelish.
La disperazione di Sansa.
La decisione di dormire con lei.
Agli occhi degli altri sarebbe apparsa come una cosa innocente. La Lady di Grande Inverno, sconvolta per l’aggressione, aveva chiesto al fratello di vegliare su di lei.
Agli occhi degli altri.
Jon sapeva che era lui a trarre più conforto da quel letto condiviso che non la stessa Sansa. Come le notti che l’avevano preceduta.
La prima volta che l’aveva sentita gridare nel sonno, si era precipitato nelle sue stanze. Aveva pensato che non sarebbe mai arrivato in tempo, che gliel’avevano portata via. Di nuovo. Per sempre.
Aveva trovato Sansa seduta, le lenzuola attorcigliate alle gambe pallide. La fronte madida di sudore, le pupille dilatate. Tremava ma non piangeva. Ed era viva.
«È stato solo un brutto sogno. Perdonami, non volevo spaventarti».
Jon si era seduto accanto a lei. Le aveva scostato i capelli e rimboccato le pellicce. Non aveva fatto domande, sapeva chi popolasse i suoi incubi.
«Resterò finché non ti sarai addormentata».
Si era coricata, lasciando la piccola mano tra le sue.
Era rimasto a guardarla fino all’alba. Se n’era andato oppresso dal dolore di sua sorella e da qualcos’altro che non aveva voluto affrontare – non quella notte – che stava mettendo radici. Profonde e forti. Qualcosa che lo spaventava ed esaltava al tempo stesso.
Poi era stata lei ad andare da lui. Arrivava – prima che si coricasse e dopo che i servi avevano lasciato i suoi alloggi – le braccia strette al petto, le dita che tormentavano i lacci della vestaglia. Jon aveva imparato a intuire, dietro il sorriso cortese e l’aria composta, ciò che sua sorella non aveva il coraggio di chiedere.
«Puoi passare la notte qui, San. Dormirò per terra».
Era arrossita. Gli zigomi di porcellana avevano preso il colore delle mele mature. La infastidiva mostrarsi debole e aveva raddrizzato le spalle, guardandolo dritto negli occhi. Scintillavano del riflesso delle fiamme che bruciavano nel camino.
«C’è posto per entrambi, il letto è grande».
Quel moto di orgoglio lo aveva intenerito. Per un breve momento si era sentito davvero suo fratello e aveva ceduto alla tentazione di indispettirla. Come avrebbe fatto Arya.
«Aye. Se a Lady Stark non disturba dividerlo con un bastardo».
Sansa non aveva risposto come si sarebbe aspettato. Aveva sorriso. Un sorrisetto tagliente più che malizioso.
«Se a Lady Melisandre non disturba che Lady Stark lo divida con lui. O alla giovane serva che questa sera ti ha servito il vino a cena o alla figlia del Mastro delle scuderie o… »
Jon non l’aveva lasciata continuare. Se l’era caricata sulle spalle, la risata di Sansa che gli vibrava lungo la schiena.
«Mettimi giù Jon Snow».
«Solo quando avrai smesso di prenderti gioco di me. Altrimenti sarai tu a dormire per terra insieme a Spetto e ti assicuro che non profuma».
Sansa aveva arricciato il piccolo naso perfetto.
«Lasceresti la tua povera sorella dormire sul pavimento?»
«Saresti più vicina al camino».
Sansa gli aveva pizzicato il fianco. Il contatto si era esteso fino al centro della schiena e aveva percorso la spina dorsale. Jon l’aveva messa giù, cercando di distogliere lo sguardo dal petto che si alzava e abbassava velocemente.
«Le ragazze di Grande Inverno sono tutte innamorate del Lord Comandante».
L’aveva raggiunta sotto le pellicce, dandole le spalle. Non era sicuro dell’espressione che si sentiva sulla faccia e non voleva che sua sorella la vedesse. Non sapeva come lo facesse sentire che avesse notato come lo guardavano le altre donne. Le risatine e i sospiri al suo passaggio. Lui li trovava ridicoli. Probabilmente anche lei.
«Dormi, Sansa».
Quella notte – così come le altre – si era raggomitolata contro la sua schiena. Jon aveva imparato ad addormentarsi seguendo il ritmo del suo respiro, a svegliarsi quando il suo sonno si faceva più agitato per salvarla dagli incubi. Probabilmente non sarebbe più stato in grado di addormentarsi senza di lei.
C’era mancato poco. Era stato così stupido da abbassare la guardia, perderla di vista. Aveva lasciato che Baelish si avvicinasse di nuovo. Quanto c’era andato vicino? Se non fosse stato per Spettro, sarebbe arrivato in tempo? Jon non voleva pensarci. A quello e a molte altre cose che si agitavano sotto le scuse e le bugie che continuava a raccontarsi.
Dei! Quando l’aveva abbracciata, aveva sentito sotto le dita la pelle morbida e fredda come la neve. Un pensiero confuso come un’eco lo aveva dominato.
Il ghiaccio e il fuoco.
Il ghiaccio e il fuoco.
Albeggiava e Sansa era bellissima. Sembrava più giovane e sembrava un’altra.
La Regina del Nord.
La sua Regina.
«Jon».
Un sussurro da dietro le palpebre chiuse. Erano così sottili che pareva intuire attraverso la filigrana il blu dell’iride.
«San».
Gli occhi di Sansa si spalancarono in cerca dei suoi. Sembravano più cupi nella luce azzurrognola del primo mattino.
La tensione che da sempre correva tra di loro spazzò via le ultime tracce di sonno. Era sveglio, vigile. Totalmente consapevole della sua presenza. Ogni parte di lui la percepiva.
Se la baciassi forse tutto questo svanirebbe.
Mi renderei conto di quanto sia disgustoso e ridicolo.
E non ci penserei più.
A breve Grande Inverno si sarebbe svegliato.
Doveva andarsene da lì.
Dei, è così bella. E coraggiosa e forte.
E spezzata. Come me.
«Aspetta».
La nota ruvida nella sua voce gli attorcigliò le viscere.
È solo assonnata.
È solo il calore di chi si è appena svegliato e lascia alle spalle i sogni.
«Devo andare».
L’aveva detto davvero o solo pensato? Non lo sapeva. I pensieri correvano da tutte le parti, sbattendo, incagliandosi e restituendo un’unica immagine. Il volto di Sansa immerso nella luce azzurra dell’alba.
«Mi piace».
Si era fatta più vicina, la voce ancora sprimacciata dal sonno.
«Cosa?»
Tutto di te.
Mi piace osservarti mentre conti i punti piegata sul tuo ricamo.
La tua ferocia, il tuo coraggio, il tuo cuore.
Come sei vulnerabile e dolce.
E decisa e implacabile.
«Come mi chiami. Come lo dici».
Aveva liberato la mano da sotto le pellicce e l’aveva portata alla guancia di Jon.
Un gesto da sorella.
Fino a quando con le dita non aveva seguito il contorno della bocca di Jon e aveva dischiuso la sua. Con la mano aveva premuto più forte le dita di Sansa contro le labbra.
Doveva andarsene da lì.
«Mi piace».
Chiuse gli occhi. Non era più in grado di guardarla e mantenere allo stesso tempo il controllo.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato in lui. Di marcio.
«Cosa?»
«Quando mi tocchi».
Era doloroso ammetterlo, almeno quanto resistere e non ci stava riuscendo molto bene. Tutto il corpo gli faceva male. Bruciava.
Il calore del corpo di Sansa, premuto contro il suo. Un respiro e tutti gli inferni in cui stavano per precipitare si sarebbero spalancati sotto di loro. Jon non desiderava altro ma non avrebbe rubato e predato come avevano fatto gli altri.
Aveva combattuto per lei. Sarebbe morto per lei. Avrebbe custodito il suo posto nel mondo fino al suo ultimo respiro. Il suo scudo, la sua spada, il suo cuore le appartenevano già. Non gli rimaneva che donarle tutto se stesso.
Il ghiaccio e il fuoco.
Il ghiaccio e il fuoco.
Suonava una canzone nella testa di Jon.
Il ghiaccio e il fuoco.
Sansa.

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Capitolo 14
*** Senza incubi ***


Jon.
«Devo andare. Resterà Spettro con te».
Si era alzato di scatto come se una lingua di fuoco lo avesse ustionato. Sansa non aveva fatto in tempo a realizzare quelle parole che era fuori dal suo letto. Un istante dopo dalla porta.
Come aveva potuto essere così pazza, così sconsiderata? Lasciarsi andare in quel modo? Era bastato che Ditocorto mettesse in pratica le sue minacce per trasformarla in una ragazzina piagnucolosa che si nasconde dietro il fratello?
Ditocorto non era niente.
Niente.
Era sopravvissuta a Ramsay Bolton. Era viva – viva – e Ramsay era morto. Lei lo aveva lasciato ai suoi mastini.
Il pensiero di Rickon non l’aveva abbandonata un istante. Rickon e quello che Ramsay le aveva fatto. Poi erano iniziati gli incubi.
Non che prima non ne facesse. Da quando era fuggita con Theon da Grande Inverno, le sue notti erano diventate una snervante attesa dell’alba. Aveva il terrore di addormentarsi. L’arrivo alla Barriera, l’incontro con Jon e tutto quello che li aveva portati a riprendere possesso della loro casa le avevano concesso una lunga serie di notti senza sogni. La sera crollava sullo scomodo giaciglio da campo, talmente stanca da rendersi conto a mala pena dell’ancella che la aiutava a prepararsi per la notte.
Poi c’era stato Rickon e c’erano stati i mastini e gli incubi erano tornati.
Solo che non c’era più una fila di tende a dividerla dagli alloggi del fratello o la distanza da un’ala all’altra del Castello Nero a separarli. Jon l’aveva sentita gridare.
Sansa ricordava l’espressione di puro terrore che aveva sulla faccia quando aveva fatto irruzione nelle sue stanze e la strigliata memorabile che il mattino seguente il povero Podrick – di guardia quella notte alla sua porta – aveva subito. Seguita da quella di Brienne. Come se il giovane scudiero fosse responsabile dei suoi incubi! Sansa per farsi perdonare aveva fatto forgiare per lui una nuova spada dal fabbro di Grande Inverno.
Eppure di quella spiacevole vicenda c’era qualcosa su cui la sua mente si soffermava troppo spesso, dandole la speranza – falsa? – che forse non era ancora tutto perduto. Che lei non era ancora del tutto perduta.
Quella notte – la sua mano tra quelle di Jon – aveva dormito.
Senza incubi. Senza mostri. Senza mani sporche di sangue. Senza correre sotto una pioggia di frecce che si ostinavano a mancarla – non la colpivano mai. Mai. – per piantarsi nel cuore del più piccolo dei suoi fratelli. Solo il calore della pelle di Jon e un risveglio senza lacrime.
Amare. Com’erano amare le lacrime del mattino.
La notte successiva non sapeva se trovare il coraggio per affrontare di nuovo gli incubi o chiedere al fratello di dormire con lui.
Jon aveva catturato il mostro. Aveva catturato il mostro per lei.
Jon scacciava gli incubi e le frecce non attraversavano il suo cuore né il suo scudo.
Jon.
Nemmeno da bambina si sarebbe mostrata tanto debole, timorosa del buio e delle creature spaventose che uscivano dai racconti della vecchia Nan. Arya l’avrebbe derisa fino alle lacrime e se fosse stata tanto terrorizzata da mettere a tacere l’orgoglio sarebbe andata da Robb. Non certo da Jon.
Il bastardo. Il mezzo fratello.
Dei – se gli Dei esistevano – non si sarebbe mai perdonata. Non avrebbe mai perdonato sua madre. Sansa si odiava per questo. Catelyn era morta e disonorarne la memoria rinfacciandole quella crudele debolezza era sbagliato e inutile. Non leniva nemmeno la colpa che sentiva nei confronti di Jon.
Il fratello che scacciava gli incubi e sconfiggeva i mostri.
Il fratello che aveva promesso di proteggerla e le aveva ridato una casa.
La loro casa.
Il fratello che teneva la sua mano per una notte intera.
Alla fine non era stato necessario trovare il coraggio di chiedere niente perché Jon aveva capito di cosa avesse bisogno prima che lei trovasse il modo di formularlo senza sembrare una mocciosa di sei anni.
E poi – notte dopo notte – era sembrato naturale non doverlo chiedere affatto. Come se nei diciotto anni che erano stati la sua vita, non avesse fatto altro che condividere lunghe notti senza incubi con il suo mezzo fratello.
Da quella intimità erano fiorite consapevolezze e riconoscimenti. Le tracce lasciate da un’educazione condivisa, i tratti comuni che avevano ereditato da Lord Eddard, ma soprattutto dettagli peculiari a Jon stesso – solo di Jon. Tutto Jon – che le avevano regalato un ritratto del fratello che l’aveva lasciata senza fiato.
Che lasciava tutti senza fiato.
Jon era gentile, coraggioso e giusto. Era forte, capace di prendere decisioni difficili. Pronto al sacrificio. Era timido con le ragazze e leale con gli amici.
E sì, Jon era bello.
Il bastardo, il mezzo fratello, era nato per essere Re.
Non era l’unica a essersi accorta di chi fosse – come fosse – anzi forse era solo l’ultima. I suoi uomini lo amavano. Amici e consiglieri avevano rischiato la vita seguendolo in battaglia.
Le ragazze di Grande Inverno facevano a gara per versargli il vino durante i pasti nella speranza di essere notate. Sansa, seduta al suo fianco, aveva iniziato a sommergerlo di chiacchiere per distrarlo da quello sfoggiare di curve e sorrisi e qualche volta si era spinta a versargli il vino lei stessa. Aveva proibito alle donne l’ingresso all’armeria, perché non stessero a guardarlo imbambolate mentre insegnava agli altri come diventare uomini come lui.
Perché aveva fatto tutte quelle cose? Perché?
Jon non sembrava neppure notarle le ragazze di Grande Inverno. I rari sorrisi erano quasi tutti per lei – qualcuno per Spettro – e la notte teneva tra le mani la sua mentre le raccontava storie della sua vita alla Barriera, aspettando che le palpebre calassero pesanti sul suo sonno.
In quelle notti, nelle sere trascorse nel solarium, Sansa aveva ritrovato la sua casa, il posto sicuro – solo per lei e per Jon – e aveva scoperto di non essere assolutamente propensa a condividerlo con altri. Mai aveva sentito così fortemente di appartenere a qualcuno e che qualcuno le appartenesse e Jon non faceva nulla per farle credere che non fosse così.
Durante i consigli di guerra era il suo sguardo che cercava per primo, era a lei che confidava timori o strategie. Era a Sansa che chiedeva consiglio sulle delicate questioni diplomatiche che si accumulavano, giorno dopo giorno, sul tavolo del Re del Nord.
Regnavano insieme. Sansa si sentiva protetta e amata. Non fosse stato per il dolore struggente per la morte di Rickon, avrebbe potuto pensare di essere vicina a sentirsi bene. Nemmeno ricordava l’ultima volta in cui si era sentita bene. Aveva iniziato ad abbassare la guardia. Aveva iniziato a sperare. Così all’inizio non vi aveva dato peso. Aveva fatto finta di non capire.
Poi era stato semplicemente troppo tardi.

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Capitolo 15
*** Per una volta ***


Doveva esserci stato un momento, tra la vergogna e il rimpianto, in cui si era addormentata. Il ricordo si era mescolato al sogno mentre il calore lasciato dal corpo di Jon si dissolveva come le bugie che si era raccontata nel buio.
La luce del mattino non faceva sconti e nemmeno il vuoto che un’assenza ha lasciato dietro di sé.
Anche se era giusta, onorevole e naturale. Anche se era come doveva essere.
È solo un sogno.
È solo un ricordo.
Arya.
La sorella aveva attraversato il cortile, Nymeria le trotterellava dietro, indisciplinata e irrequieta.
Da un posto lontano Sansa aveva sentito sua madre intimare Bran di scendere dalla torre.
Aveva seguito e superato la sorella con lo sguardo. Sapeva cosa cercare. I ricci neri di Jon che sfiorano il mantello. La linea delle spalle. Il manto candido di Spettro.
Sarebbero scivolati fuori da uno dei portoni laterali. Sarebbero andati a caccia, al galoppo, nella foresta. Spesso il fratellastro portava Arya con sé.
(Sansa no. Sansa mai).
Sansa è convinta che Jon la odi, perché sua madre lo odia.
Non la guarda, non la tocca, non le parla.
Così lei ha imparato a non guardarlo, non toccarlo, non parlargli.
A volte portavano con loro anche Bran.
Ma Bran era in cima alla torre e forse osservava i fratelli dall’alto come stava facendo lei.
È solo un sogno.
È solo un ricordo.
Lady aveva uggiolato ai suoi piedi. Avrebbe voluto raggiungerli. Avrebbe voluto correre con i fratelli.
A caccia. Al galoppo. Nella foresta.
Ma una signora non va a caccia. Non galoppa. Non corre nella foresta.
Una signora no. Ma Sansa?
È solo un sogno.
È solo un ricordo.
Jon aveva insistito tanto. Voleva che imparasse a tirare con l’arco, a usare un pugnale. La Sansa di Approdo del Re avrebbe trovato l’idea ripugnante e avrebbe guardato il fratello bastardo come se fosse pazzo, ma lei non era più quella ragazza e Jon non era più il suo fratello bastardo.
Era Jon.
«Qualche lezione non ti ucciderà».
«Questo lo dici tu».
«Ti fidi di me?»
Vedeva la premura nella sua insistenza – era ossessionato che potesse accaderle qualcosa – e desiderava davvero imparare a difendersi, anche se la imbarazzava mostrarsi impacciata e incapace nelle arti in cui Arya eccelleva, a volte superando gli stessi fratelli.
Temeva di non essere all’altezza dell’alta opinione che aveva di lei.
Qualcosa che Sansa Stark non era in grado di fare.
Diverse cose.
Poi c’era quella nuova intimità fisica, così diversa da quella del sonno condiviso. La tenerezza della presenza di Jon nelle ore vulnerabili della notte, era sostituita dalla sicurezza del suo tocco, dalla solidità del suo corpo mentre guidava e correggeva i movimenti di Sansa.
I suoi gesti erano armoniosi, sebbene fossero letali. Non c’era traccia dell’imbarazzo e dell’incertezza che mediavano solitamente ogni interazione con lei. Non si muoveva in punta di piedi, girandole intorno indeciso se disturbarla, come se Sansa fosse sempre intenta in qualche occupazione di vitale importanza. Era il suo elemento e Jon ci si muoveva con sicurezza, riprendendola se pensava che non si stesse impegnando abbastanza. La studiava per comprenderne punti di forza e debolezze e insegnava alla sorella a fare altrettanto.
E la toccava. Non c’era niente di malizioso nel suo tocco – era suo fratello, era Jon ed era un pensiero che non aveva sfiorato Sansa nemmeno per un secondo – ma era anche stranamente famigliare e giusto in un modo che non era in grado di spiegare. Era come se fosse l’unico ad averne diritto e sicuramente l’unico al quale avrebbe permesso di farlo.
Jon non era una minaccia. Jon era casa.
Era stato allora che la cosa oscura che le stava divorando il cuore aveva trasformato il posto sicuro – suo e di Jon – in un nido di pensieri intricati e striscianti.
Non pensieri.
Desideri.
Oscuri e velenosi come serpenti.
Era partito dal collo. Jon le stava sussurrando il modo migliore di colpire alla gola il fantoccio delle esercitazioni, quando aveva avvertito la pelle pizzicare. Un crepitio lieve alla nuca. Lo aveva ignorato. Il pugnale era scivolato dai palmi sudati e Jon lo aveva raccolto da terra dicendo che per quel giorno la lezione era finita.
Era stato facile ignorarlo. All’inizio.
Come una tempesta aveva preso forza al largo e si era abbattuta con maggiore intensità sulla riva quando non era stato più possibile evitarla. La mano che lui appoggiava delicatamente sul suo fianco, le spalle di Sansa contro il suo petto. La bocca che sfiorava un punto dietro il suo orecchio quando le parlava sottovoce per non farle perdere la concentrazione.
Come se lei potesse rimanere concentrata con la bocca di Jon lì.
Su quel lembo di pelle davvero troppo sensibile.
Jon si era fatto sempre più reale e la prospettiva era cambiata.
Per Sansa erano esistiti due Jon. L’eroe, impavido e forte, che aveva combattuto per lei, catturato il mostro e ripreso la loro casa, e il fratello che le teneva la mano e scacciava gli incubi.
Fino a quando il corpo di Jon premuto contro il suo, la bocca di Jon sul suo collo, avevano fuso i due in uno solo. L’uomo gentile che la proteggeva e si occupava di lei era un eroe, un re, un guerriero e averlo scoperto così reale, così vicino, così fisico, l’aveva reso desiderabile.
Il calore che s’irradiava dalla base della schiena quando le era accanto, la sfiorava casualmente o posava il suo sguardo su di lei. Quello stupido impulso che sentiva di toccarlo.
Stupido stupido stupido.
Quello ancor più pericoloso che le faceva desiderare di essere toccata. Aveva pensato che non l’avrebbe sentito mai più. Aveva creduto che non sarebbe più stata capace di sentire niente.
Eppure, nonostante tutto, lo aveva sempre controllato. A fatica, mordendosi l’interno delle guance. Piangendo nuove e più amare lacrime mattutine quando tornava nelle sue stanze a prepararsi per trascorrere un’altra giornata al suo fianco, di guance strette tra i denti, consigli, sguardi e sorrisi e – gli dei non vogliano – lezioni di tiro con l’arco.
Lo aveva sempre controllato. Fino a quella notte.
Fino a quando qualcuno le aveva ricordato che non c’era più tempo. Che aveva goduto abbastanza e aveva avuto ciò che poteva avere.
Un’ombra di felicità che si allunga sul muro.
E svanisce quando il sole cala.
La lezione era sempre la stessa e dopo tanto tempo, perdite e dolore, Sansa non l’aveva ancora imparata. Eppure… Se avesse allungato la mano e afferrato ciò che era davanti a lei?
Per una volta.
Le sue dita sulla bocca di Jon.
Per una volta non quello che devo ma quello che voglio.
Così il fiore nero era sbocciato.
Lei lo aveva coltivato con tanta cura durante le notti addormentata accanto a lui. Mentre scoccava frecce che non colpivano mai il bersaglio o lo guidava in un passo di danza che avrebbe deliziato un’altra donna per la tenera goffaggine con cui si impegnava ad eseguirlo.
«Vostra Grazia balla divinamente».
La fanciulla, che nelle fantasie di Sansa era senza volto ma presto – troppo presto – ne avrebbe avuto uno, avrebbe mentito per compiacerlo. Sansa riusciva quasi a vederlo distogliere lo sguardo e bofonchiare che era stata la sorella a insegnargli ballare. La giovane avrebbe ringraziato gli dei per quella piccola bugia, contenta di non aver offeso con una battuta pungente la Lady di Grande Inverno. La stessa Lady che aveva dato in pasto ai cani suo marito.
Il fiore nero era sbocciato e lei non aveva fatto niente per estirparlo.
Aveva un profumo seducente e inebriante.
Perché non avrebbe dovuto coglierlo?
A cosa erano servite durante gli anni ad Approdo del Re tutte le preghiere mormorate a fior di labbra? L’onore dove aveva condotto Ned Stark?
È sbagliato sbagliato sbagliato.
Quanto aveva fantasticato da ragazzina sul vero amore? Sul Lord coraggioso, gentile e forte che le aveva promesso suo padre prima di morire? Quanto aveva pregato che venisse a salvarla?
Aveva smesso di credere nelle canzoni e di sperare. Aveva visto il male in faccia, lo aveva sentito sulla sua pelle. Lo aveva visto nello specchio.
E poi gli Dei – se esistevano – le avevano dato Jon.
Il sollievo, la casa, la famiglia.
L’amore.
Il cavaliere, l’eroe, era arrivato, migliore di quanto lo avesse mai immaginato. Era tutto quello che aveva sempre sognato. Lo amava come aveva sempre desiderato amare.
Jon era perfetto e Sansa lo amava.
Tutto quello che aveva sognato e desiderato le si era rivoltato contro come un serpente che sbuca da sotto la sabbia.
Letale, velenoso. Bellissimo.
Una rosa marcia. Un frutto avvelenato.
Jon era perfetto ed era suo fratello.
Se gli Dei esistevano, erano in debito con lei.

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Capitolo 16
*** Degno di te ***


Jon non sapeva quando fosse cominciato. C’era una voce nella sua testa – cattiva velenosa – che gli ripeteva in continuazione che era sempre stato lì.
Sempre.
Nei capelli rossi di Ygritte. In tutti i disperati tentativi di dimostrare che era uno Stark, un uomo degno del nome che non portava. Un uomo degno di lei.
Sempre.
E corrodeva come il sale.
Ricordava la prima volta che aveva sentito un uomo fare un commento su di lei. Era successo qualche mese prima dell’arrivo di Re Robert a Grande Inverno. Jon tirava con l’arco nel cortile esterno e Theon non perdeva occasione per cercare di distrarlo. Senza riuscirci. Robb era con Lord Eddard, i suoi fratelli più piccoli si rincorrevano per il palazzo facendo impazzire Septa Mordane e Maestro Luwin.
Sansa tornava da una cavalcata con sua madre. Uno dei cani da caccia le aveva tagliato la strada, facendo imbizzarrire la cavalla. Jon era intervenuto afferrando le redini e aiutando Sansa a scendere. Lady Catelyn li aveva superati, rimproverando la figlia con lo sguardo e ignorando lui.
Sua sorella lo aveva ringraziato con un filo di voce senza guardarlo negli occhi. Era convinto che Sansa lo odiasse – come sua madre – ma per lui rimaneva la creatura più misteriosa del mondo. Nessuna delle giovani lady che gli era capitato di incontrare era come Sansa.
«Il cavalier bastardo. Non è triste Snow che l’unica signora che toccherai mai nella tua vita sarà stata la tua sorellastra? Un giorno potrei essere io a prendermela e tu non potresti fare altro che restare a guardare».
«Non sei degno di nominarla, Greyjoy, una signora come Sansa figuriamoci sposarla».
«Chi ha parlato di matrimonio?»
Jon aveva pensato a due cose prima di buttarsi su di lui. Che se ci fosse stato Robb, Theon non si sarebbe permesso di mancare di rispetto a Sansa e che nessuno poteva parlare in quel modo di sua sorella.
«Forse i denti non ti serviranno proprio tutti no?»
«Jon».
Aveva alzato lo sguardo prima di spaccare la faccia a Theon e lei era lì. Lo sguardo blu fermo, l’aria impassibile.
«Lord Stark ti sta cercando».
Si era voltata con sussiego senza lasciargli il tempo di replicare. Jon aveva lasciato Theon e si era diretto verso il Palazzo. Una volta trovato suo padre, aveva scoperto che Sansa aveva mentito. Il perché di quella bugia lo aveva afferrato più tardi: se avesse colpito Theon sarebbe stato punito. Un bastardo non poteva mettere le mani su un signore e pensare di passarla liscia. O su una signora.
Greyjoy aveva ragione. Non avrebbe mai potuto amare una donna come Sansa e se non poteva amare una donna come lei, tanto valeva non amarne nessuna. C’era stato qualcosa di disturbante in quel pensiero, qualcosa che si era depositato in fondo al suo cuore, in un angolo della mente, che gli aveva fatto desiderare di lasciare Grande Inverno per non tornarci mai più.
Lo aveva fatto. Si era unito ai Guardiani della Notte, pronto ad affrontare una vita di sacrifici, di celibato, di sangue. Per consacrarsi a uno scopo più alto, per trovare un luogo al quale appartenere, una famiglia che lo accogliesse.
Qualcosa aveva trovato – oltre al tradimento – ma nulla di ciò che si sarebbe aspettato. Amici che erano morti per aver creduto in lui, una donna che lo aveva amato e alla quale aveva rinunciato, un popolo in cerca di una guida e di protezione.
Gli dei si erano presi gioco di lui. Ciò che cercava quando era partito per la Barriera, lo aveva trovato quando era tornato a casa. Insieme alla ragazza dalla quale era fuggito.
La ragazza misteriosa che non era degno di toccare.
Uno scopo, una casa, una famiglia.
Strinse più forte la lama di Lungo Artiglio tra le dita, facendola affondare nella pelle.
Non era abbastanza. Non bastava a espiare la colpa. I pensieri orrendi che coltivava da settimane. Non c’era sangue sufficiente per espiare quel peccato, anche se non lo aveva commesso. Nella sua mente sì. Mille e mille volte.
Non sono uno schifoso Lannister. Non infangherò il nome di mio padre.
«Vostra Grazia?»
Sulla soglia di quello che era stato il solarium di Ned Stark, Ser Davos lo guardava con aria interrogativa. Jon si sforzò di sorridere e nascondere il sangue che colava dal palmo della mano.
«Credo che Vostra Grazia sia un po’ troppo per me… »
Doveva ancora abituarsi agli assurdi cerimoniali reali. Il Nord non era Approdo del Re. Lo aveva detto a Sansa durante una delle sue lezioni di etichetta. Lei gli aveva risposto cupa.
«Per fortuna».
Le lezioni di etichetta.
Le lezioni di danza.
Per gli Dei. Come se non fosse già abbastanza folle la sua idea di insegnarle a tirare con l’arco. A usare il pugnale.
L’arma più intima. L’arma delle donne.
Non aveva mai riflettuto su quanto si dovesse essere vicini a qualcuno per ucciderlo con un pugnale. O per insegnare a farlo.
Il pensiero che Sansa si fosse trovata in una situazione del genere, gli dava la nausea.
Almeno quanto pensare di vederla ballare con qualcuno. Qualcuno che l’avrebbe presa per la vita, che le avrebbe stretto i fianchi e le dita sottili. Che avrebbe inclinato la testa per guardarla negli occhi e magari sussurrarle sciocchezze che l’avrebbero fatta ridere.
Il tintinnare della sua risata come una cascata di monete.
(Aveva cercato di strappargliene almeno una ogni sera. Prima. Quando ancora trascorreva le serate con lei).
Sarebbe arrivato un giorno. Uno capace di farla volteggiare con grazia.
La grazia di Sansa.
Un cavaliere dal sorriso cortese e di buone maniere. Uno che non sarebbe apparso goffo e impacciato come un orso. Uno che non era suo fratello, tanto per cominciare.
Lui non era un cavaliere. Non aveva belle maniere né un sorriso cortese per ogni occasione. Lui era il fottuto Re del Nord. E soprattutto, sopra ogni cosa, era il fratello bastardo di Sansa Stark.
«Maestà?»
Jon sospirò e si alzò dalla sedia. Prese alcune bende abbandonate sul tavolo per asciugare la ferita.
«Che cosa succede?»
C’erano notizie di Bran? Da quando Delta delle Acque era tornato in mano ai Lannister, Jon non si aspettava che sciagure. Il Pesce Nero era morto, tradito dal suo stesso nipote, Arya e Bran dispersi. Rickon… Jon non voleva pensare a Rickon.
Approdo del Re aveva una nuova regina e nulla l’avrebbe fermata nel cercare vendetta. Cercei Lannister voleva la testa di Sansa e ora che gli Stark erano tornati in possesso di Grande Inverno, rappresentavano una minaccia per il trono. E un vento infuocato si stava alzando da est. Presto sarebbe stata di nuovo guerra…
«Lady Stark, Vostra… Maestà».
Davos era invecchiato. La morte di Shireen lo aveva annientato e Jon provava pena per il suo dolore.
«Mia sorella sta bene?»
Sorella.
Tua sorella.
Sentì il sapore acre della bile riempirgli la gola, mentre un terrore viscerale si impadroniva di lui. Sansa era il suo orizzonte. Proteggerla e avere cura di lei, le sue priorità.
«Anche oggi non ha toccato cibo, mio Signore».
Ser Davos lo osservava, lo sguardo penetrante, fino in fondo alle ossa. Lo vedeva? Vedeva il mostro nero, orrendo e lascivo, che lo stava divorando?
Forse.
Forse lo vedono tutti. Forse quella notte l’ha visto anche lei.
«Andrò a parlarle».

 
Quando l’aveva rivista sulla Barriera aveva pensato che Sansa fosse una risposta.
Era tornato dal mondo dei morti con due certezze: che non sarebbe più stato in grado di chiudere gli occhi senza pensare alle tenebre che si era lasciato alle spalle e di non avere idea di cosa avrebbe fatto con la vita che gli era stata ridata.
Non avrebbe dovuto essere vivo. Non avrebbe dovuto trovarsi lì.
Poi era arrivata Sansa. Ferita, spezzata, confusa. Gli si era gettata tra le braccia e lui l’aveva stretta perché era sua sorella e non era stato in grado di proteggerla. Perché era la cosa più vicina a casa che potesse desiderare. Perché lei aveva bisogno di lui e lui aveva bisogno di uno scopo. E Sansa era diventata tutto.
Lo aveva riscosso, lo aveva riportato indietro sul serio.
C’era uno strano bilanciamento tra la sua forza e la tenacia di lei. La testardaggine di entrambi. Il riparo che lui poteva offrirle e le risposte che cercava nel suo sguardo quando gli intricati meccanismi della politica si dispiegavano davanti a Jon in tutto il loro sottile orrore.
Avevano bisogno l’uno dell’altra, su questo Jon non si era mai fatto illusioni. Se per un breve istante aveva creduto di essere il fratello maggiore che si occupava della sorella brutalizzata e indifesa, era durato poco. Sansa era sì vulnerabile, ma non fragile e aveva tutte le risposte alle domande di Jon.
Torniamo a casa.
Uccidiamo il mostro che ha preso nostro fratello.
Jon.
La forza della sua volontà aveva riacceso una fiamma in lui che pensava fosse spenta per sempre. E se non per se stesso lo aveva fatto per lei.
Riportare a casa Sansa.
Tenerla al sicuro.
Non permetterò che ti tocchi di nuovo.
Ti proteggerò, te lo giuro.
Dopo la battaglia dei Bastardi era stata lei a occuparsi di lui. Stava lavando via il sangue e il fango dalla faccia quando era entrata nelle sue stanze. Lo aveva costretto a sedersi sul letto. Aveva pulito e fasciato le sue ferite. Il tocco di Sansa era delicato, leggero. I suoi gesti amorevoli.
Era la prima volta che qualcuno si occupava di lui in quel modo. Non aveva avuto una madre che curasse i suoi graffi e le sue ginocchia sbucciate, né Lady Catelyn lo aveva fatto al suo posto.
E Jon aveva visto Sansa davvero. Non come una sorella – in fondo non lo era mai stata, non come Arya – ma come una donna che si occupava di lui con amore.
Gli aveva fatto preparare il bagno, un telo caldo per asciugarsi e vestiti puliti.
Aveva sperimentato per la prima volta un diverso tipo di amore famigliare. Tutto suo, dedicato a lui. Non era il cameratismo fraterno condivo con Robb né l’affetto rumoroso e tenero che provava per Arya e i suoi fratelli più piccoli.
Era come una bolla, calda e accogliente, che Sansa aveva soffiato per lui. Era come un progetto.
Nelle settimane trascorse a Grande Inverno, aveva costruito intorno a Jon un mondo fatto a sua misura, non per compiacerlo ma per renderlo felice. Piccoli gesti quotidiani che lo facevano sentire amato come mai gli era successo fino ad allora.
Era Sansa a preoccuparsi che il fuoco fosse sempre acceso nel solarium e nelle sue stanze, che Lungo Artiglio fosse affilata e lucida e la sua cotta pulita. Aveva cucito e ricamato su tutti i suoi farsetti il lupo argentato degli Stark. Jon amava quelle cose e le amava ancora di più perché era Sansa a farle. Per lui.
Era segretamente felice quando le sentiva dire che non si sarebbe più sposata e non si preoccupava nemmeno di dissuaderla o portarla a più miti consigli. Il pensiero di trascorrere il resto dei giorni con lei, a Grande Inverno condividendo una vita – sebbene messa costantemente in pericolo dalla guerra, dagli Estranei, dai Re che si sarebbero mossi contro di loro – traendo forza da quelle rare oasi di felicità, l’uno dall’altra, era tutto ciò che Jon desiderava e si rendeva conto che anche Sansa lo desiderava.
Da lì a desiderare altro il passo era stato breve. Complice la bellezza di Sansa, la fiducia che lei gli concedeva. L’intimità fisica, il contatto, che condivideva solo con lui. A nessun altro era permesso di avvicinarla né tanto meno di toccarla. Solo a Jon. Sansa gli stringeva le dita con calore per convincerlo a seguirla. Dopo un litigio Jon sanciva la pace con un bacio sulla fronte. Quei baci e quelle strette si erano fatti troppo carichi di trasporto nelle ultime settimane. E di dolore.
Aveva impiegato del tempo prima di capire che era lui il mostro da cui avrebbe dovuto proteggerla. C’era Baelish certo, ma quello che Jon provava non era meno pericoloso.
Erano le tenebre che aveva visto, ad aver risvegliato in lui una parte oscura, rigogliosa di desideri impronunciabili? Era quello che si raccontava senza farlo sentire meno colpevole.
Sansa era proibita. Era bella e proibita.
Nemmeno ora che era il Re del Nord si sentiva degno di lei e questo non aveva nulla a che fare con il fatto che Jon fosse suo fratello.
Sansa era sempre stata dolorosamente irraggiungibile. Da quando Jon aveva capito di aver bisogno di lei era diventata anche desiderabile. In un modo che non era capace di sopportare.
E iniziava a pensare di aver sopportato abbastanza.

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Capitolo 17
*** Lo stesso numero di giorni ***


Erano giorni che non le rivolgeva la parola. Se ne stava chiuso nel solarium a rimuginare. Ogni tanto Sansa pregava Ser Davos di andare a vedere come stava. Era l’unico cui apriva la porta. Eccetto i servi che gli portavano i pasti, ma i piatti tornavano quasi intonsi. Qualcosa lo divorava e Jon si lasciava consumare.
Forse aveva orrore di lei.
Forse vederla lo disgustava ma era pur sempre sua sorella, la Lady di Grande Inverno, e per non insultarla apertamente la evitava.
Sansa allontanò il piatto, mentre un nodo le chiudeva la gola.
Non avrebbe dovuto cercare i suoi occhi tra i mille volti della Sala Grande. Né avrebbe dovuto permettere al rossore di colorarle le guance quando incrociava il suo sguardo.
Non avrebbe dovuto toccarlo. Né lasciare che le sue dita indugiassero così a lungo sulla sua bocca.
Jon.
A volte Sansa si domandava se fosse reale. Un uomo come lui. Un uomo come suo padre, ma più gentile. Più compassionevole. Altrettanto giusto e impavido.
Jon.
L’aveva visto nella furia della battaglia alle porte di Grande Inverno, combattere per lei. Massacrare Ramsay di pugni per lei. Trattenersi dall’ucciderlo perché potesse farlo lei.
E Sansa si era accorta di quanto fosse bello. Nonostante il sangue e il fango. Nonostante la furia e l’odio gli deturpassero i lineamenti delicati. La bocca.
La bocca di Jon.
E aveva capito quanto potesse essere doloroso desiderare qualcosa che non si poteva avere.
Mai. Non avrebbe potuto averlo mai.
Sansa deglutì il nodo che le stringeva la gola quando sentì bussare alla porta.
«Sansa?»
Gli occhi di Jon erano colmi di pena ma non incrociarono i suoi.
Non può fare altro che provare vergogna per una persona orribile come me.
Una stupida ragazzina che si è innamorata del suo fratellastro.
«Vostra Maestà?»
Il gelo della sua voce riempì la stanza. E Jon – il suo Jon così buono così sensibile – arrossì per l’umiliazione.
Non riesci a fare altro che ferirlo. Continuamente.
Ferirlo. Tradirlo. Deluderlo.
Eppure si fece coraggio ed entrò. I capelli neri tirati indietro sulla fronte, costretti nel laccio in cui li raccoglieva. Un oscuro cavaliere dal cuore luminoso.
Alzò finalmente lo sguardo su di lei mentre il suo corpo reagiva come fosse stato attraversato dal fuoco.
«Mia Signora, dicono che non tocchi cibo da giorni. Vorrei conoscerne il motivo».
Mia Signora.
Mia Lady.
«Ti importa?»
«Ne dubiti?»
Il tono si era fatto tagliente. Reagiva alla rabbia che lei non era riuscita nascondere.
«Come del piacere che provi a trovarti in mia compagnia».
Si vergognò delle sue parole, ma non fu abbastanza pronta a soffocarle.
Stai facendo una sceneggiata a tuo fratello.
Mendichi le sue attenzioni, i suoi sguardi.
Fingi di aver voltato le spalle al desiderio abietto che provi, ma in realtà attendi solo il momento di potertici abbandonare.
Fece qualche passo verso di lei, poi si fermò. I pugni stretti lungo i fianchi. Sansa vide la fasciatura alla mano destra, intrisa di sangue fresco.
«Che cosa hai fatto alla mano?»
La mano con cui teneva la spada. La mano con cui aveva sterminato i nemici di Grande Inverno. A rischio della sua stessa vita. Per lei. Lo aveva fatto per lei.
Avrebbe voluto sentire il tocco di quella mano sulla pelle. Avrebbe voluto curare quella ferita, come aveva pulito e fasciato le altre dopo la battaglia dei Bastardi.
Jon seduto sul letto della sua stanza – quella che era stata di Catelyn e Ned – osservava ogni suo movimento senza parlare. Ogni tanto stringeva le labbra e Sansa cercava di fare più attenzione. Quando Jon aveva sorriso, aveva capito che nulla sarebbe più stato come prima.
«Non è niente. Mi addolora di più vedere che non ti curi di te stessa. Dimmi perché».
Perché vorrei che attraversassi la stanza e mi prendessi tra le braccia.
Vorrei la tua bocca.
Vorrei essere tua e che tu fossi mio.
Ed è abominevole anche solo pensarlo.
«Ho molti pensieri. Suppongo siano gli stessi che hai tu».
Ah come suonavano dolci quelle parole al suo orecchio! A lei che ne conosceva il significato.
«Spero davvero di no».
La voce gli tremò mentre le lunghe ciglia scure si abbassarono per non sostenere il suo sguardo.
«Cosa tiene il Re del Nord chiuso nella torre? Sono giorni che non ti vedo».
Lo stesso numero di giorni in cui non ho mangiato.

 
Era incredibile quanto fosse bella. Non riusciva ad abituarsi, ogni volta lo colpiva come un pugno allo stomaco ed erano passati giorni dall’ultima volta in cui aveva visto il lampo verde azzurro dei suoi occhi, il rosso intenso dei capelli nella luce azzurra di un’alba maledetta. Il pugno si abbatté con maggior ferocia, togliendogli il respiro.
Aveva gli occhi pesti di pianto, l’aria distaccata e gelida.
Jon avrebbe voluto tornare sui suoi passi, chiudersi la porta alle spalle, lasciare Grande Inverno e mettere chilometri tra lui e la donna che gli stava di fronte, ma era sua sorella e aveva il dovere di assicurarsi che fosse al sicuro. Per quanto fosse doloroso stare sotto quello sguardo gelido non poteva voltarle le spalle. Non poteva voltare le spalle al Nord ora che era Re.
«Mi stai evitando Jon, dimmi perché».
Avrebbe dovuto dire qualcosa. Una cosa qualunque. Mentire anche, ma non era bravo a mentire. Men che meno alle persone che amava. Sarebbe bastato eludere la domanda? Gli argomenti spinosi tra loro erano parecchi.
«Notizie di Baelish? Spero sia davvero in viaggio verso Nido dell’Aquila. La mia pazienza non è infinita».
E sono stanco.
E ho paura per te.
E non posso sopportare il pensiero che ti faccia di nuovo del male.
Solo il concilio ristretto era a conoscenza di quello che era accaduto alla festa. Il mattino dopo Jon lo aveva condiviso con le persone di cui si fidava più. Brienne era precipitata in un cupo silenzio, mentre Davos aveva suggerito l’unica soluzione che avrebbe messo Sansa al sicuro. Una soluzione alla quale lui stesso era giunto ma contro cui non c’era una sola parte di lui che non vi si opponesse con forza.
Trova un marito per lei tra gli uomini del Nord.
Un uomo di cui ti fidi, che ne sia degno.
Garantiscile posizione e sicurezza con il giusto matrimonio.
Jon aveva chiesto ai suoi di lasciarlo solo. Per la prima volta da quando era tornato a Grande Inverno si era trovato a desiderare di essere qualcun altro.
Qualcuno che avrebbe potuto sposare Sansa.
Ditocorto rappresentava una minaccia. Per il Nord, per sua sorella. Quello che aveva cercato di farle… Il modo in cui l’aveva guardata. Non c’era amore in quello sguardo, solo brama.
Si era permesso di farlo davanti a lui. Davanti al Re. Davanti a suo fratello. Perché sapeva che avrebbe capito. Era così. Jon indovinava i pensieri che quell’uomo rivolgeva nei confronti di sua sorella e si era odiato pensando che per quanto lascivi non erano meno abbietti sei suoi.
«Dimentica Ditocorto. I lord non hanno fatto domande sulla sua partenza, ma non significa che tu possa ucciderlo. È grazie a lui se ci siamo ripresi Grande Inverno».
«È grazie a te. Grande Inverno ti appartiene, Sansa. È sempre stata tua».
Come me.
«Grande Inverno è sempre stata nostra e se non fosse intervenuto… Ho dovuto… Avremmo perso… Ti avrei perso».
Le parole le morirono in gola. Sansa si lasciò cadere sulla sedia e nascose il volto tra le dita. Le spalle scosse dai singhiozzi. Jon non l’aveva mai vista così sofferente e non era in grado di sopportarlo. Percorse la distanza che li separava e si inginocchiò davanti a lei. Gli occhi azzurri alla stessa altezza dei suoi.
«Jon».
Lo chiamò e fu come una carezza. La sentì salire lungo la schiena e spingerlo verso di lei. Prese le dita tra le sue, asciugandole le guance. La pelle di porcellana contaminata dal suo tocco ruvido. I calli lasciati dalla spada, le mani indurite dalle battaglie.
Cosa sto facendo?
«Non mi avresti perso. Non mi perderai mai».
La voce roca che usciva a stento. Nella sua mente non era rimasto nemmeno un pensiero.
Sansa chiuse gli occhi, una piega di dolore sulla bocca. Aveva pensato a quella bocca tutto il giorno. Appoggiò la fronte alla sua. Jon sapeva che sarebbe bastato un niente per avere ciò che desiderava. L’illusione di un attimo. Una parvenza di felicità. Poi lei si sarebbe ritratta con disgusto. Tutto sarebbe andato in pezzi. Per un bacio.
Il cuore gli martellò nel petto, il respiro si fece più corto. Più veloce.
Sansa si liberò dalla presa, ma non si ritrasse. Con la punta delle dita disegnò i contorni della sua bocca. Jon le dischiuse senza riuscire a soffocare un gemito.
Sua sorella era stata sposata. Sapeva riconoscere il desiderio sul volto di un uomo e Jon si vergognò di mostrarlo così apertamente, senza pudore.
Non poteva più nascondersi.
«Questo. Questo mi tiene chiuso tutto il giorno nella torre».
Raccolse dal pavimento la dignità che gli era rimasta e se ne andò.

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Capitolo 18
*** Non ne basteranno mille ***


Era scappato. Di nuovo. Lei l’aveva fatto fuggire e desiderava disperatamente raggiungerlo.
Corse fuori dalla stanza, attraverso i corridoi di Grande Inverno, per le scale che portavano al solarium. Lo avrebbe trovato lì, perché Jon era Jon. Aveva solo paura che avesse sbarrato la porta. Allora si sarebbe fermata e avrebbe perso il coraggio.
Invece era aperta e Jon le dava le spalle. I palmi appoggiati al tavolo, la testa china.
«Vorrei rimanere da solo Ser Davos. Domani… »
«Jon».
Si voltò verso di lei, gli occhi che amava – così buoni così intensi – la guardarono smarriti. La vergogna che provava, l’odio che stava rivolgendo contro se stesso erano evidenti.
«Sansa… Hai tutto il diritto di insultarmi ma ti prego non adesso… Adesso… »
Non lo stava ascoltando. Intorno a lei non c’era niente. Solo Jon. La sua voce lontana diceva cose che non avevano senso.
Percorse gli ultimi metri che la separavano da lui e mentre li percorreva, Jon lo realizzava. Sapeva di avere l’anima e il cuore scritti in faccia. Se glieli avesse urlati non avrebbe potuto sentirla meglio. E Sansa sentiva lui. Lo vedeva.
Il sollievo che scioglie i nodi, l’incertezza, l’attesa.
Il sollievo che mette a tacere la colpa.
Solo una volta. La prima volta. Solo una.
Affondò il viso nel suo collo. La barba le pizzicò la pelle.
Il suo odore era ancora meglio della sua bocca.
Posò le labbra sulla sua gola. Lo sentì tremare, irrigidirsi mentre la circondava con le braccia.
Le braccia di Jon erano ancora meglio dell’odore della sua pelle.
«Sansa non possiamo… È sbagliato… »
Lo disse piano, senza crederci. Sentì le sue dita accarezzarle la schiena.
Il tocco di Jon era ancora meglio delle sue braccia.
La bocca. La bocca di Jon.
La cercò per trovarla, finalmente. Le labbra che premevano sulle sue, calde e morbide. I baci di Jon erano lievi come piume e non bastavano. Seguì il contorno di quella bocca che aveva desiderato per tanto tempo.
Com’è?
Cosa?
Baciarsi così.
Silenzio e respiri.
Attesa che si scioglie e scalda.
E si trasforma in incendio.
«Non credo di essere in grado di fermarmi».
«Allora non farlo».
Lo stava implorando e sentì la sua volontà disintegrarsi sotto le dita che scioglievano i lacci del farsetto. Sfiorò il ricamo del metalupo, il lino ruvido della tunica. Vide i muscoli del petto contrarsi al suo tocco.
Lo voleva. Voleva tutto di lui.
Lo baciò di nuovo e Jon ricambiò senza risparmiarsi. Sentiva che era cambiato qualcosa, che si era arreso e stava prendendo il controllo.
La guidava in quella danza sconosciuta. Un passo alla volta. Ballavano bene. Inseguendosi, mescolandosi, concedendosi. Un intreccio perfetto di dita, bocche, respiri.
Come fosse stato il millesimo bacio e non il primo.
La sollevò e la posò sul tavolo alle loro spalle. Risalì la linea delle gambe lasciate scoperte dalle gonne. Trasalì quando raggiunse il limite tracciato dalle calze e non osò oltrepassarlo.
Ma Sansa correva e i confini esistevano solo per essere valicati. Sollevò l’orlo della tunica e gliela sfilò dalla testa. La vestaglia le scivolò lungo la spalla scoprendo la camicia scollata che usava per dormire. Jon ne scostò i lembi per sfiorare con la punta delle dita la linea delicata delle clavicole.
Distese nuove di pelle. Mani che scoprono, mani che esplorano.
Come un riflesso inarcò la schiena per essergli ancora più vicina.
«Mi ami?»
Aveva importanza? Cambiava qualcosa? Rendeva il peccato meno odioso?
«Più di tutto, con tutto me stesso anche contro me stesso, ma è sbagliato… »
Lui l’amava.
Cambiava tutto. Se Jon l’amava cambiava tutto.
«Più sbagliato di quello che mi ha fatto Ramsay? Di quello che ho dovuto sopportare? Come può essere sbagliato stare con l’uomo che amo?»
Come può essere sbagliato se lo provi anche tu?
«L’uomo che ami?»
C’era una sfumatura di stupore nella sua voce e di paura. Se Jon aveva confidato nel rifiuto di Sansa per mettere un freno a quella follia aveva riposto male le sue speranze. Lei non poteva salvarlo, solo cadere con lui.
«Ti ho aspettato per così tanto tempo, ti ho cercato in ogni luogo in cui sono stata. Ero così stupida, così cieca. Sei sempre stato davanti a me ma solo adesso ti vedo».
Le prese il volto tra le mani e la fissò a lungo come se volesse sincerarsi che ci fossero davvero pelle, ossa e sangue sotto le sue dita.
«Quello che provo non ti rende onore, Sansa, né giustizia».
Ma mi rende felice.
«Lascia che sia io a giudicare. Permetti che sia io a scegliere. Era ciò che volevi, garantirmi la libertà di poterlo fare. L’ho fatto, ho scelto te».
La consapevolezza riempì ogni spazio rimasto tra loro. Lo sapevano entrambi. Intravedevano i contorni di ciò che li attendeva se avessero varcato quella soglia impossibile, la nostalgia che avrebbero provato per ciò che era stato assaggiato una volta – una soltanto – l’abisso in cui sarebbero precipitati se le notti fossero diventate innumerevoli, una dopo l’altra.
«Non c’è futuro San. Aver condiviso il fardello, lo renderà solo più pesante».
«C’è questa notte».
«Credi che una notte estinguerà la sete?»
 «Forse».
«O forse l’alimenterà e non ne basteranno cento, non ne basteranno mille. Non ci basterà una vita di notti da condividere».
«E di giorni».
La sua audacia lo fece sorridere mentre le immagini che gli passavano nella mente gli incupivano le iridi per il desiderio.
«Resistere fino adesso è stato logorante, quando saprò a cosa sto resistendo sarà impossibile».
«Allora per una volta arrenditi Jon Snow. Arrenditi a questo».
Baciò una a una le cicatrici sul suo petto, sfiorandole con le dita prima di farle scendere fino alla cinta dei calzoni. Lo sentiva sotto la stoffa ruvida. Jon inspirò seccamente l’aria tra i denti e le prese la mano con delicatezza impedendole di continuare.
«Non mi vuoi?»
Adesso era Sansa ad avere paura. Paura di essersi spinta troppo oltre, di avergli mostrato l’orrore che lei non riusciva a scorgere.
Come può essere sbagliato se lo provi anche tu?
«Se ti voglio? Per gli Dei, mi si legge in faccia. Baelish se ne è accorto, forse anche Davos. Perché pensi che Spettro non ti abbia lasciato un secondo nelle ultime settimane? Non riesco a smettere di pensare a te per un minuto di una stramaledetta giornata. Ti voglio così tanto che mi sta uccidendo. Ti avrei presa la sera della festa davanti a tutti gli alfieri e quella notte… Non so come ho fatto… Non so nemmeno perché sto ancora parlando».
Sansa pensò che le sarebbe volato il cuore fuori dalla bocca. E non sarebbe mai stata capace di riprenderselo.
E il sangue correva, correva, correva.
Cantava.
«Dovrai avere pazienza… Non so… non so come si tocca un uomo… »
Come faccio a mostrarti come ti amo?
«Te la stai cavando benissimo».
Sansa lo vide corrugare la fronte. Posò una mano sul suo cuore e lo sentì accelerare. La battaglia che infuriava sotto le palpebre abbassate.
«Allora perché?»
Non mi vuoi?
«Davvero vuoi che succeda così?»
«Mi sarei lasciata prendere la sera della festa davanti a tutti gli alfieri».
Jon lasciò andare le sue mani e la tirò a sé. Fece scorrere le dita tra i suoi capelli fino a sciogliere la treccia. Le accarezzò il collo, le spalle. Mentre le baciava gli occhi, poi il naso e infine la bocca che assaggiò con la lingua, facendosi strada alla ricerca di quella di Sansa. La stava divorando e lei si lasciava divorare, mentre i gemiti di Jon la spingevano ad andargli ancora più vicino. Premette il bacino contro di lui e un calore sconosciuto le incendiò le viscere.
Era così che doveva essere. Era così che ci si doveva sentire. Era molto di più di un’urgenza, di un prurito da soddisfare. Era un bisogno. Qualcosa che serviva per vivere e a volte, nel loro caso, per sopravvivere. Ricucirsi dopo essere stati spezzati. Rimettere insieme i pezzi per creare qualcosa di nuovo, un insieme unico che attendeva di essere generato.
Jon e Sansa.
Sansa e Jon.
Le afferrò i fianchi, le dita forti che affondavano negli strati e strati di stoffa che li separavano. Sansa non aveva il coraggio di liberarsene né di suggerirglielo. Si sentiva così stupida e sprovveduta. Si era chiesta spesso se Jon fosse mai stato innamorato, se fosse mai stato con una donna. Aveva sentito parlare di una ragazza bruta che il fratellastro aveva amato. Era morta e Sansa non aveva voluto riaprire vecchie ferite chiedendo di lei, né infliggerne a se stessa di nuove.
Lei cosa aveva da offrire? L’orrore era la sua unica esperienza. Il dolore l’unica cosa che ricordava di aver provato. Non sapeva nemmeno se il suo corpo fosse guarito o sarebbe guarito mai, era pronta a scoprirlo. Per Jon avrebbe versato qualsiasi tributo. Si sentiva come una sposa la prima notte di nozze. Più vera e attesa di quella che si era lasciata alle spalle e ancora allungava gli artigli su di lei.
Desiderio e paura si mescolarono nello stomaco e nel sangue mentre la bocca di Jon disegnava strade e conquistava parti di lei che non pensava potessero essere così sensibili.
Sansa non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Era splendido. Le spalle, le braccia scolpite, i muscoli tesi. Aveva un’espressione dolorosa, come se stesse facendo un’immane fatica.
«San… »
Un suono dolce che proveniva dal fondo della sua gola. I pensieri di Sansa si sciolsero come neve al sole.
«Sei sicura?»
Lasciò scorrere le dita di nuovo fino alla sua cintura. Tremavano e faticò a scioglierne i lacci. Jon restò immobile, lo sguardo fisso su di lei. I pantaloni scivolarono lungo i fianchi fino a terra.
Il suo Re. Senza difese davanti a lei.

Stava per farlo. Stava per farlo sul serio.
Lui le apparteneva e se lei lo voleva, lo avrebbe avuto.
Era straziante desiderare qualcosa tanto da impazzire e allo stesso tempo odiarsi per averla desiderata. Quanto si sarebbe odiato una volta ottenuta?
Ma lei lo voleva e lo avrebbe avuto. Non importava del disprezzo che avrebbe riversato su se stesso, la colpa, la vergogna, il disonore. Lei non ne sarebbe stata toccata. Perché Sansa aveva sofferto, era spezzata e aveva bisogno di tutto questo. Lui lo desiderava ma lei ne aveva bisogno e per questo motivo le avrebbe dato tutto. Tutto quello che sarebbe stato in grado di darle, senza peccato e senza colpa.
La sua pelle era una ricompensa sufficiente, i sospiri che si lasciava fuggire dalle labbra la cosa più dolce che avesse mai sentito.
E questo non è ancora niente, amore. Questo è solo attesa.
Sansa Sansa Sansa
Aveva il terrore di farle del male, di offenderla, di spaventarla. Di risvegliare l’orrore che l’aveva segnata. Lo stesso che popolava i suoi incubi.
Sansa era perfetta. Un misto di pudore e slancio disarmanti, che avevano messo in discussione tutto ciò che aveva vissuto fino a quel momento.
Non sempre la passione è amore.
E quello cos’era?
Avrebbe voluto solo sparire in lei, che tutto scomparisse.
Solo Jon e Sansa.
Per sempre.
Sansa era un miracolo, amarla era un miracolo. Non voleva rivendicare un possesso ma dimostrare la sua adorazione, il suo amore in tutti i modi possibili, quelli che conosceva e quelli che non conosceva ancora, ma non aveva idea di come toccarla senza sembrare un animale. Si sforzava di controllarsi, di non morderla tra un bacio e l’altro, di non stringerla troppo forte, mentre esplorava, conosceva, studiava. Era come entrare in un tempio in silenzio quando avresti avuto solo voglia di urlare. Un tempio che era già stato violato.
«Non sono fatta di vetro».
Lo disse stringendosi a lui, circondandogli i fianchi con le gambe. Il bacino premuto contro il suo. Jon era nudo ma tra lui e Sansa c’era troppa stoffa.
Dei, cosa devo fare?
«Jon, ti prego… »
Era impossibile resistere ancora. La sollevò, scostando le gonne. La seta della biancheria sotto le sue dita. Tremavano e non riusciva a sciogliere i nodi.
Sono ancora in tempo.
Le dita di Sansa corsero in suo aiuto, liberandola e l’ultima possibilità di salvezza scivolò a terra sopra ai suoi vestiti.


Realizzarlo era stato doloroso come una delle ferite che Ramsay le aveva inferto, come gli inganni di Petyr.
Non posso farti questo.
Glielo aveva letto negli occhi, in lotta tra desiderio e colpa. Lo stava facendo per lei.
Cedeva per lei. Per guarirla, per farla sentire al sicuro e amata. Si dava perché lei lo voleva.
Tutto quello che aveva contato per lui fino a quel momento – l’onore, il dovere, essere all’altezza del nome che non portava – erano stati messi a tacere.
Poi? Quanto si sarebbe odiato?
I sacrifici e le battaglie, i tradimenti subiti per dimostrare il suo valore, la sua integrità morale, il suo coraggio. C’era riuscito. Era il Re del Nord. L’onorevole e giusto Re del Nord non offendeva gli Dei e i suoi alfieri facendo della sorella la sua amante. Non avrebbe permesso che rinunciasse a quello per cui aveva lottato. Non sarebbe stata lei a spingerlo a rinnegare se stesso. Era morto per la sua integrità. Era morto per mantenere la sua parola. Tradito e ucciso dai suoi fratelli. A causa sua la vergogna e il senso di colpa lo avrebbero annientato. Era solo un modo diverso di tradirlo e ucciderlo.
Sansa non conosceva uomini come Jon. Il mondo aveva bisogno di lui. Il Nord meritava un Re come lui e forse, un giorno, tutti i Setti Regni lo avrebbero meritato.
«Jon, aspetta… »
Lo sussurrò, la gola stretta così forte in un nodo che a Sansa sembrò di sentirla sanguinare. Lo liberò dalla sua presa, scivolando giù dal tavolo, le gonne che tornavano a nasconderle le gambe. Sentiva ancora il calore delle sue dita risalire dall’interno del ginocchio fino alla pelle sottile delle cosce.
Un battito di frustrazione gli attraversò lo sguardo scuro ma lasciò spazio al sollievo. La mano che le stringeva il fianco corse agli occhi. Non voleva che lei lo guardasse, non voleva guardarla.
«Perdonami, perdonami, perdonami… »
Sansa si affrettò ad afferrargli le dita, portarle alle labbra. Non voleva che soffrisse, che si prendesse la colpa.
«Sono io che ti chiedo perdono».
Mi dispiace se sono stata egoista.
Mi dispiace di aver pensato di poter prendere tutto e di non lasciarti niente.
Come se ne avessi diritto. Come se fossi mio e mio soltanto.
«Lo voglio più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma non posso… »
Lo aveva respinto, lo aveva ferito ma desiderare di commettere un peccato era molto diverso dal commetterlo davvero. Sansa lo sapeva e nonostante rinunciare a lui fosse tanto doloroso da sentirlo nella carne e nelle ossa, era felice di aver fatto la cosa giusta. Essere stata, almeno per una volta, più simile a Jon. Per un istante aver meritato il suo amore.
«Lo so». Gli baciò la fronte e gli occhi. Il suo amore, gentile e nobile. Il suo grande e irraggiungibile Re. «È per questo motivo che ti amo».

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Capitolo 19
*** Ali oscure, oscure parole ***


Ali oscure, oscure parole.
I corvi arrivavano, i corvi partivano. C’erano decisioni da prendere che non potevano più essere ignorate.
«Vostra Maestà… »
«Pazienza, Ser Davos. Inizieremo quando Lady Stark sarà presente».
La Mano del Re – la sua mano – rispose con un cenno del capo. Il Concilio ristretto era riunito da mezz’ora e Sansa non si era ancora vista né aveva dato spiegazioni del suo ritardo. Dall’espressione confusa che Brienne aveva sulla faccia, c’era da supporre che ne sapesse quanto lui. In realtà Jon non sapeva dove fosse andata a rintanarsi ma poteva immaginare il perché. Quando la notte prima si erano salutati, era sembrato quasi un addio. Al suo risveglio, non trovandola accanto a sé, ne aveva avuto la certezza.
Il primo di molti giorni senza di te.
E di altrettante notti.
Il tempo sembrava scorrere più lento, al contrario della folle corsa che lo aveva condotto dalla Barriera fino al solarium, lasciandolo con un pugno di niente. Ad attenderlo quella mattina, invece, oltre alla consapevolezza della rinuncia, aveva trovato il peso schiacciante delle sue responsabilità.
Decisioni da prendere, alleanze da stringere e una terra – la sua, la loro – da proteggere.
Re e Protettore del Nord.
Le parole dei suoi consiglieri più fidati – Davos, Tormund e Lady Mormont – erano importanti ma c’era una sola opinione per lui che avrebbe fatto la differenza.
Quella della Regina.
Quando Sansa entrò nella Sala Grande incrociò fugacemente il suo sguardo e altrettanto velocemente lo distolse. Indossava una semplice veste di lana e i capelli erano raccolti severamente. Le ombre di una notte insonne si allungavano fino agli occhi.
«Vostra Maestà, Lady Brienne, miei signori, chiedo perdono. Alcune questioni richiedevano la mia attenzione».
Aveva l’aria stanca e triste. La stessa espressione che sentiva di avere sulla faccia.
«Niente di grave spero».
«Normale amministrazione del palazzo: lettere, conti, ringraziamenti. Nulla di cui ti debba preoccupare. Questo Concilio, invece, non era previsto».
Sansa sedette accanto a Brienne, lontano da lui. Avrebbe lasciato a Davos l’onere di comunicare la notizia; sarebbe stato meglio per sua sorella apprenderla da qualcuno che non fosse coinvolto come lo era lui.
«È giunto un corvo dalle Torri Gemelle. Walder Frey è morto, i suoi figli scomparsi. Circolano macabre storie sulla loro fine, non adatte alle orecchie di una lady».
Ser Davos non poteva immaginare che quelle stesse storie le avevano ascoltate da bambini seduti intorno al fuoco, affascinati e terrorizzati dalla voce della vecchia Nan.
Sansa chiuse gli occhi e Jon pensò che si stesse trattenendo dal sorridere.
«Come?»
«Qualcuno gli ha tagliato la gola».
Non vacillò né pianse. Nessuno avrebbe potuto immaginare la tempesta che scuoteva gli argini di quell’impassibile compostezza. Nessuno a parte Jon. Era come se una parte di lui la sentisse urlare. Da un posto lontano, accessibile solo a chi aveva perso un fratello. E una madre.
«Chi ci ha reso questo servizio?»
«Mia signora… »
«Del resto non ha importanza. La colpa – se di colpa si tratta – ricadrà comunque su di noi; chi più di uno Stark avrebbe desiderato la morte dei Frey?»
«Nessuno avrebbe avuto più diritto di reclamarla».
«Dici bene Ser, nessuno».
Si era fatta ancora più pallida. Un pensiero le aveva attraversato la mente, qualcosa che aveva acceso una scintilla, un bagliore nello sguardo cupo. Avrebbe voluto leggerle nella mente. Avrebbe voluto intuire quello che sua sorella aveva già capito.
«Mio zio Edmure è ancora prigioniero dei Lannister?»
Davos annuì, le labbra strette. I messaggi provenienti da Sud giungevano con settimane di ritardo a causa dell’inverno e della guerra. Lord Tully era vivo quando il corvo era partito ma non c’erano garanzie che lo fosse quando era arrivato.
«Notizie della moglie e del figlio?»
«Le sto cercando mia signora».
«Grazie Ser. Immagino ci sia dell’altro».
«Pare che Lord Baelish, contrariamente a ciò che aveva detto, non sia in viaggio verso Nido dell’Aquila».
Jon non si era mai illuso del contrario. Da giorni inviava messaggi a Howland Reed, messaggi che venivano puntualmente ignorati. Davos gli aveva spiegato che nemmeno i corvi riuscivano a raggiungere la Torre delle Acque Grigie ma lo aveva congedato dicendogli di provare ancora. E ancora.
«Il suo esercito?»
«Dovunque sia andato ha portato con sé solo alcuni Cavalieri della Valle. Maestà, dovremmo considerare la possibilità di informare gli alfieri di ciò che è accaduto durante i festeggiamenti per la tua incoronazione e delle circostanze in cui è morta Lady Arryn… »
«E dare in pasto ai falchi della Valle la sorella del Corvo? Ragazzo, il Lord profumato può aspettare. Stiamo guardando nella direzione sbagliata».
Tormund aveva ragione. Giorno dopo giorno la guerra era sempre più vicina, gli Estranei avanzavano verso la Barriera, Baelish aggiungeva un altro anello alla catena dei suoi intrighi. Non aveva più tempo.
«Non possiamo occuparci della Valle in questo momento. Presto il vero nemico sarà qui e non siamo pronti. Al Dono di Brandon ci sono problemi con il popolo libero. Alcuni clan sono in lotta tra loro e sono giunti diversi corvi da Ultimo Focolare. Temono che, una volta finito di azzuffarsi, i bruti scendano nelle loro terre».
Devo andare San.
Batté le palpebre e abbassò lo sguardo sulla mappa spiegata sul tavolo.
«Quando partirete?»
Vai Jon Snow ma ritorna.
Torna da me.
Avrebbe dovuto portare con sé Tormund e Davos. Il Veleno dei Giganti perché facesse ragionare la sua gente e il Primo Cavaliere qualora fossero sorti problemi con gli alfieri.
«Presto».
Tornerò.
Lo prometto.
Incapace di lasciare Sansa senza protezione aveva rimandato la partenza troppo a lungo, ma gli alfieri reclamavano un suo intervento. Lui aveva permesso ai bruti di occupare quelle terre, sua era la responsabilità di una convivenza pacifica. Se solo Howland Reed avesse risposto a uno di quei maledetti corvi…
«Il nemico non tarderà ad arrivare anche da Sud, vostra Maestà. L’esercito di Jamie Lannister si trova a Delta delle Acque, Cercei vuole la testa di tua sorella e Baelish non esiterà a tradirci se dovesse rivelarsi più vantaggioso».
Le pedine erano tutte sulla scacchiera. Chi avrebbe mosso per primo? Forse Ditocorto aspettava un suo passo falso. Forse attendeva paziente che Jon fosse abbastanza stupido da lasciare Grande Inverno.
«Cercei ha altro cui pensare, Ser. Daenerys Targaryen sta attraversando il Mare Stretto per prendersi ciò che crede le spetti di diritto».
Una Targaryen sul trono di spade. Cosa avrebbe significato per il Nord? Per gli Stark? Dopo aver sterminato i leoni, il drago avrebbe dato la caccia ai lupi?
Quella non era la loro guerra. La Regina d’Argento poteva prendersi il trono – a Jon non importava – ma non avrebbe avuto molto su cui regnare se non fossero riusciti ad arginare la marea di morte che stava giungendo dall’altra parte della Barriera.
«Spetta più a lei che a Cercei Lannister».
Alzò lo sguardo su di lei. La conosceva abbastanza da intuire che aveva in mente qualcosa.
«Mia signora stai suggerendo di offrirle il nostro appoggio?»
Brienne sembrava sorpresa ma non Jon. Cercare un’alleanza con Daenerys Targaryen era una mossa audace e intelligente, un’idea che aveva accarezzato più volte lui stesso. I draghi potevano essere l’unica speranza di fermare gli Estranei.
«Se la Regina d’Argento dovesse chiederlo, sarebbe il mio consiglio. Il Re deciderà ciò che riterrà più opportuno».
La voce si era fatta sottile come vetro ma lo sguardo era fermo e continuava a evitare il suo.
«Con tutto il rispetto, Lady Stark, un’alleanza con la casa Targaryen non è cosa che un uomo del Nord accetterebbe di buon grado».
Lyanna Mormont aveva giurato fedeltà a Jon ma si era dimostrata piuttosto tiepida nei confronti di sua sorella. Sebbene dopo la morte di Ramsay avesse iniziato a guardarla con più rispetto.
«Perché il Re Folle ha ucciso mio nonno e mio zio Brandon? Perché Rhaegar ha rapito Lyanna? Daenerys allora era solo una bambina e mio padre perse il favore e la protezione di Re Robert nel tentativo di salvarla dalla sua furia. La pace si fa con i nemici, Lady Mormont, non con gli amici».
«L’ammiri».
«Tu no? Orfana, esule, venduta a Khal Drogo come merce di scambio dal suo stesso fratello. È sopravvissuta, come te e me, in un mondo che non ha niente di meglio da offrire a una donna se non un buon matrimonio. Ha conquistato un Regno e – mentre noi stiamo qui a blaterare – attraversa il Mare Stretto per conquistarne un altro. Quale donna con un briciolo di cervello non l’ammirerebbe?»
La velata critica colpì nel segno. Lady Lyanna arrossì per l’indignazione e Ser Davos si sentì in dovere di salvare la giovane Lady dell’Isola dell’Orso dall’umore nero di Sansa.
«Con un popolo di selvaggi, mia signora, e con Theon Greyjoy che ha tradito il Giovane Lupo e aperto le porte di Grande Inverno ai Bolton».
«Theon Greyjoy ha salvato me e pagato per le sue colpe. Quanto al resto, coloro che per secoli abbiamo definito “selvaggi” oggi vivono nelle nostre terre».
Theon Greyjoy ha salvato me e pagato per le sue colpe.
Davos, senza saperlo, aveva toccato un tasto dolente. Theon era stato al centro di accese discussioni con la sorella. Jon aveva un’idea piuttosto precisa del tipo di giustizia che meritasse e sarebbe stato contento di dispensarla lui stesso. Sansa, invece, lo aveva perdonato. L’orrore condiviso, la fuga da Grande Inverno, avevano spazzato via il tradimento. Un tradimento che Jon non era capace di dimenticare così come la consapevolezza di dovere a Greyjoy più di quanto si fosse preso.
Se Sansa non fosse riuscita a fuggire da Grande Inverno.
Se non fosse mai arrivata sulla Barriera.
«Il popolo libero era in cerca di protezione, non ha oltrepassato la Barriera per depredare e conquistare».
«Ma hanno combattuto per te quando è stato il momento di farlo».
Dei, quando si metteva in testa qualcosa era impossibile farle cambiare idea!
Perché stavano litigando? Anche Jon era convinto che un’alleanza con Daenerys fosse l’unica soluzione. Era stata l’indulgenza verso Theon a irritarlo o il fatto che apparisse così calma e distaccata?
«La Regina baciata dal fuoco ha ragione, ragazzo».
Sansa concesse a Tormund un pallido sorriso, poi finalmente lo guardò dritto negli occhi. Sembrava risoluta ma allo stesso tempo aveva bisogno che lui l’ascoltasse.
L’ascoltasse davvero.
«Che cosa hai in mente?»
«Offriremo alla Madre dei draghi il nostro appoggio come Regno autonomo. In cambio mio zio Edmure riprenderà il suo posto come Lord delle Terre dei Fiumi».
«L’indipendenza e un parente stretto in un punto così strategico sono richieste importanti, mia signora. Perché la Regina d’Argento dovrebbe concedercele?»
Perché ha bisogno di noi.
«Perché il Nord è l’unica cosa che si frappone tra il suo popolo e gli Estranei».
«Potrebbe volere delle garanzie».
Jon non riusciva a capire perché Davos opponesse tanta ostinata resistenza alle considerazioni di Sansa. Non era un uomo meschino e le sue perplessità non potevano derivare dal fatto che fosse una donna a farle. Doveva esserci un altro motivo.
«Avrà la nostra parola di Stark».
«Potrebbe non bastarle Maestà. Potrebbe volere dell’altro».
Era questo a preoccuparlo? Temeva che la Madre dei Draghi volesse in cambio la loro libertà? Gli occhi grigi del Primo Cavaliere si erano fatti sfuggenti. Sansa taceva, immobile come una statua. Posò la mano sul braccio di Brienne e strinse. Il Capitano delle loro guardie la coprì con la sua. Jon poteva sentire il dolore galleggiare nell’aria. Lo sentiva, lo vedeva, ma non lo capiva.
«Cos’altro potrebbe volere, Ser? Non sacrificherò la nostra indipendenza. Avrà il nostro appoggio e i nostri uomini, niente di più».
«Non credo ce ne sarà bisogno Vostra Grazia».
Lo guardò in cerca di spiegazioni ma il Primo Cavaliere tacque. Lasciò che fosse Sansa a parlare, gli occhi blu dei Tully liquidi e brucianti come in preda alla febbre.
«Te, Jon. Cos’altro potrebbe volere Daenerys Targaryen se non il Re del Nord?»

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Capitolo 20
*** Come sopravvivere alla Lunga Notte ***


«Ehi Re Corvo, se non ti dai una calmata, le ragazze del palazzo ti strapperanno i vestiti di dosso».
Jon, distratto dalle parole dell’amico, abbassò la guardia, lasciandogli lo spazio per superare la sua difesa, affondare e costringerlo ad arrendersi.
Nevicava e il vento soffiava gelido attraverso il cortile ma avrebbe preferito allenarsi fino a farsi sanguinare le mani piuttosto che pensare.
Pensare alla partenza per il Dono di Brandon. Pensare a Daenerys Targaryen.
Non ci sarà nessuna moglie.
Lo aveva sperato. Aveva creduto che un giorno, se fossero riusciti a sconfiggere gli Estranei, avrebbe potuto vivere a Grande Inverno e regnare sul Nord. Insieme a Sansa.
Invece doveva partire, allontanarsi da lei.
L’amore è la morte del dovere.
E il dovere la morte dell’amore.
«Fortunata la donna alla quale stai pensando».
Per i sette inferi…
«Non penso a nessuna donna».
«Sarai anche il fottuto Re del Nord, Jon Snow, ma non hai ancora imparato a nascondere quello che ti passa per la testa o nel sangue. Le fanciulle di Grande Inverno si faranno delle strane idee, si illuderanno che tu ci sappia fare».
Tormund rise e l’aiutò ad alzarsi, riuscendo a strappare un sorriso anche a Jon.
Ti penso San.
Alzò lo sguardo e incrociò quello blu dei Tully. Li osservava dal ballatoio, abbastanza vicina da aver sentito il loro scambio.
Ti vedo.
Non potevano fare altro che guardarsi. Sentiva i suoi occhi addosso mentre si allenava nel cortile, camminava per i corridoi, presiedeva il Consiglio Ristretto. Li sentiva e li cercava.
Di comune e silenzioso accordo avevano rinunciato alle serate nel solarium. Sansa non era più entrata nei suoi alloggi e lui stesso evitava la torre. Non sopportava la vista di quelle stanze, gli ricordavano quanto fosse dolorosa la felicità.
A cena sedevano l’uno accanto all’altra, attenti a non sfiorarsi e scambiando poche parole. Sansa era gentile, pratica quando si trattava della casa, risoluta durante i Consigli.
La sua bella regina.
Vivevano insieme, mangiavano alla stessa tavola, governavano il Regno più esteso tra i Sette ma Jon sentiva la sua mancanza ogni giorno e rimpiangeva le sere nel solarium. A volte si domandava se sarebbero mai riusciti a vivere di nuovo quelle ore dorate, quando la osservava ricamare il metalupo sulle sue tuniche.
Prima che il sangue si trasformasse in veleno e in fuoco.
L’amore ideale per lei era stato spazzato via dal momento in cui era stato respinto. Sansa lo aveva fermato ma aveva acceso un fuoco che bruciava senza sosta. Ora che sapeva di non poterla avere – perché era lei a non volerlo – la desiderava più di quanto avesse mai fatto e si odiava per quella debolezza da ragazzino viziato.
Partire. Allontanarsi da lei. Erano l’unica soluzione.
L’ombra di un’altra donna si allungava verso di lui e la notte trascorsa con Sansa gli appariva come l’unica della sua vita. Gli tornava continuamente alla memoria.
La schiena inarcata per accoglierlo.
La consistenza della pelle sotto le dita.
I sospiri, l’audacia, il suo cuore.
Tormund lo osservava e scuoteva la testa senza fare domande. Jon gliene era grato. Era contento che Sam fosse alla Cittadella, lui non gli avrebbe dato tregua.
«I miei complimenti al Veleno dei Giganti. Non è da tutti battere il miglior spadaccino di Westeros».
Un sorriso leggero le increspò le labbra. Erano giorni che non la vedeva sorridere.
Non avevano avuto modo di parlare dopo l’ultimo Concilio. Della sua partenza, della morte dei Frey. Dei draghi di Daenerys Targaryen e di ciò che avrebbe potuto chiedere in cambio.
Forse non avevano davvero bisogno di parlarne. Entrambi sapevano di non avere scelta.
Non l’avrebbero avuto in ogni caso. In nessun mondo possibile – senza Estranei, senza Ditocorto o senza Lannister – Jon avrebbe potuto fare ciò che desiderava: sposare Sansa e vivere fino all’ultimo dei suoi giorni accanto a lei.
«Il Corvo è innamorato. Combatte con troppa passione e poco cervello».
Fortunata la donna alla quale stai pensando.
Una risata improvvisa come uno stormo che si alza in volo le sgorgò dalla gola.
Nonostante la separazione imminente, i pericoli e i sacrifici che li attendevano, la consapevolezza di essere amata, amata da lui, la rendeva – in ogni caso –felice.
«Ciò che vi attende al Dono, allora, gioverà al Re: il combattimento gli rinfrescherà le idee».
«Sono certo che lotterà con vigore, solo per fare più veloce ritorno a casa».
Da te.
L’allegria di pochi istanti prima era scomparsa. La paura, il rimpianto, la nostalgia si mescolarono nello sguardo solitamente indecifrabile e composto.
«Abbi cura di lui, Tormund».
«Aye. La Regina baciata dal fuoco si prenderà cura della mia donna?»
«Sempre».
Sansa.
Non sarebbe partito senza salutarla. Senza stringerla un’ultima volta.
Non importava cosa sarebbe accaduto. Forse non avrebbero avuto un’altra occasione. La morte poteva attenderlo al Dono o lungo la strada e nessuna Donna Rossa l’avrebbe riportato indietro. Non aveva mai chiesto niente – niente – ma si sarebbe preso quell’unica scintilla di luce da portare nell’oscurità.
«Lady Stark posso parlarti?»
«Sua Maestà non ha bisogno di chiederlo».
D’istinto si ritrasse dalla balaustra e portò le dita guantate alla gola. Nel punto in cui Jon l’aveva baciata, solo qualche notte prima, tante volte da perderne il conto.
«Ti ruberò solo qualche minuto».
«Sto andando a pregare nel Godswood. Se lo desideri potremmo discorrere al cospetto degli alberi diga».
«Lo desidero».
Gli scoccò un’occhiata ammonitrice ma non riuscì a impedirsi di arrossire. E Jon di sorridere per la scelta di un luogo così appropriato e diplomatico.
Tormund si congedò con la scusa di dover affilare le armi, lasciandolo solo ad aspettare nel cortile. Quando Sansa lo raggiunse, si avviarono in silenzio verso il Godswood. Camminava qualche passo davanti a lei, guardandosi intorno. Nessuno li aveva seguiti – nemmeno Spettro – né aveva dato l’impressione di far caso al Re che andava a pregare nel Parco degli dei insieme alla sorella.
«Cosa volevi… »
Non le lasciò il tempo di terminare. La prese per mano trascinandola dietro l’albero del cuore.
Appoggiò la schiena al tronco tirandola a sé. Sansa non oppose resistenza, anzi si strinse a lui con un sospiro. Il corpo avvolto nel mantello, premuto contro il suo.
«Jon… »
Lo guardò da sotto le palpebre abbassate. Gli zigomi eleganti chiazzati di rosso. Il respiro affannoso che si mescolava al suo. Le prese il volto tra le mani e la baciò sulla bocca. Lentamente e profondamente. Cercando di non perdersi niente. Di imprimerlo nella memoria e poterlo ricordare quando sarebbe stato lontano.
«Avevamo deciso… Non è trascorsa nemmeno una settimana… »
Si era scostata per scoprire la gola. Un invito che non esitò a raccogliere. Risalì verso l’orecchio fino a un punto di solito nascosto dal colletto.
«Qualcuno potrebbe vederci».
«Non mi importa».
Resistette alla tentazione di morderla. Di lasciare un segno su quella pelle perfetta. Non aveva bisogno di dimostrare niente a nessuno ma avrebbe voluto che fosse lei a mordere lui, a segnarlo, a reclamare un possesso.
Sospirò piano contro il suo collo. Sansa aveva intrecciato le dita ai suoi capelli.
«Davvero Jon Snow? Nel Parco degli dei?»
Lo aveva chiesto in un sussurro velato d’ironia sollevandogli il mento alla ricerca dei suoi occhi.
«Esiste modo migliore di rendere grazie se non baciando la mia adorata regina? Me ne viene in mente solo un altro ma fa troppo freddo per rubare la tua virtù al cospetto degli alberi diga».
Sansa rise. Una risata da ragazzina. Leggera e carica di promesse.
«Mi dispiace deluderti, mio devoto signore, ma non esiste più nessuna virtù».
Jon la strinse con lo sguardo e mise le mani sui suoi fianchi.
«Sansa, amore, se non provi piacere nel commetterlo non è peccato. Ancora non lo sai ma sei pura come acqua di sorgente».
Sansa appoggiò la fronte alla sua e chiuse gli occhi.
«A volte penso che gli dei si prendano gioco di me. Mi hanno dato te perché potessi amarti ma non averti e ora l’unica speranza che abbiamo di sopravvivere alla Lunga Notte risiede nel tuo matrimonio con un’altra donna».
Quel momento, dettato dall’incoscienza o dalla necessità di concedersi qualche ricordo da stringere nei momenti bui, era finito. La realtà calò su di loro come l’ombra di un falco in picchiata. Sansa si staccò da lui, indietreggiando di qualche passo.
Aveva di nuovo un’aria distaccata e formale e gli parve impossibile che fosse la stessa donna che qualche istante prima aveva sospirato il suo nome.
«Di cosa volevi parlare?»
«Scegli tu un argomento sul quale discorrere. Ne abbiamo parecchi».
«Perché non cominciamo da Daenerys Targaryen?»
Era andata dritta al punto, senza girarci intorno. Del resto anche lui era impaziente di mettere in chiaro le cose.
«Se non sbaglio è stata una tua idea».
«Non si tratta di un’idea ma di una possibilità concreta. Prima iniziamo ad accettarlo, meglio sarà».
«Stai scherzando».
«Pensi di poterle dire di no se dovesse chiedertelo?»
«Non sposerò Daenerys Targaryen».
Non ci sarà nessuna moglie.
«Non sposerai nemmeno me».
Era difficile per lei parlarne, lo vedeva nella piega addolorata della bocca. Avrebbe voluto dirle che non aveva nulla di cui preoccuparsi, che non l’avrebbe lasciata ma non poteva fare promesse che non era sicuro di mantenere. Non sapeva nemmeno se sarebbe tornato vivo dal Dono di Brandon o se sarebbe sopravvissuto alla Battaglia con gli Estranei. Che senso aveva litigare per Daenerys Targaryen quando le loro vite erano appese a un filo?
La tirò di nuovo verso di sé e Sansa glielo lasciò fare.
«Jon… »
«Potrei sposarti anche adesso Lady Stark; siamo nel posto giusto».
Lo avrebbe fatto. Dei se lo avrebbe fatto.
Sarebbe stata bellissima, anche nel suo vestito di lana ruvida e i capelli sfuggiti alla treccia.
Un ricordo d’infanzia, vivido come un sogno quando i sogni sono vividi, gli fiorì nella mente. Sansa bambina avvolta in uno scampolo prezioso, probabilmente scartato dalla madre, che camminava al braccio di Jeyne Poole incontro a uno sposo immaginario.
Ripetevano spesso quel gioco e Jon ogni volta si fermava a osservarla. C’era qualcosa nell’espressione intensa e affettuosa di Sansa che lo affascinava e tormentava. Era come se lei potesse vederlo davvero quell’uomo, come se avesse avuto già un volto e un nome. E anche allora Jon avrebbe disperatamente voluto conoscerlo. Non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo anche perché il più delle volte Arya irrompeva sulla scena brandendo uno spadino di legno e gettandosi tra la sorella e l’amica. L’incantesimo era spezzato dagli strepiti di Sansa che abbandonava il gioco, furiosa e in lacrime, rincorsa dalla risata dispettosa della piccola di casa.
Di certo matrimonio e sposo si erano rivelati ben diversi da come Sansa li aveva immaginati.
«Allora è un vero peccato che io sia tua sorella».
No, Arya lo è.
Tu sei tante cose Sansa Stark ma non sei mia sorella.
«Sorellastra. I Targaryen lo hanno fatto per secoli».
«Noi non siamo Targaryen».
«Non lo siamo ma vuoi che ne sposi una».
«Per gli dei Jon! Come fai a non capire? Non voglio che tu lo faccia, ma quale scelta abbiamo? Almeno avrai accanto una vera Regina, una donna degna di te. Governerai i Sette Regni e il Nord sarà al sicuro. Tu sarai al sicuro. È quello cui sei destinato».
«Ho già accanto una vera Regina e non mi interessa governare i Sette Regni. Quanto al destino, San… Quando la Donna Rossa mi ha portato indietro è te che ho trovato. Non Daenerys Targaryen. Te. Siamo qui ora, a casa, ed è ciò per cui continuerò a lottare. Per te e per il Nord».
Sansa lo guardò. Con intensità e affetto. Come lo sposo che non sarebbe stato mai.
«Jon… Abbiamo bisogno dei suoi draghi».
«E lei ha bisogno di noi. Troveremo un accordo… »
Il corno della guardia di Grande Inverno risuonò congelandogli le parole sulla punta della lingua. A spaventarlo però, fu l’ululato di Spettro che lo seguì e che gli arrivò fino al cuore.
Un suono del corno: ranger che tornano. Due suoni: bruti. Tre: Estranei.
Attese, la gola stretta in un nodo, portando la mano alla spada.
Siano ringraziati gli dei.
Non si trovava sulla Barriera, però, e a Grande Inverno un suono del corno poteva annunciare l’arrivo di un amico o un nemico.
«Dobbiamo rientrare».
Sansa annuì e tornarono di corsa sui loro passi, passando per l’ingresso laterale che dava accesso al cortile.
Per chi era stato fatto suonare il corno? Jon alzò lo sguardo verso la cima dei bastioni ma nulla sembrava aver messo in allarme la guardia.
Poi Sansa spalancò gli occhi. Le ginocchia le cedettero e si aggrappò a lui per non scivolare a terra. Il tempo sembrò dilatarsi intorno a loro, una bolla irreale di silenzio e stupore.
«San, stai bene? Cosa succede?»
Si piegò su di lei, troppo preoccupato per accorgersi d’altro, ma Sansa si liberò dalla presa e corse verso il centro del cortile incespicando nelle sue stesse gonne.
La vide cadere nella neve e nel fango. Le spalle scosse dai singhiozzi, le braccia strette intorno a qualcosa che non riusciva a identificare.
Il metalupo grigio che le stava leccando la guancia guaì. Jon non riusciva a muoversi. Aveva paura che un solo movimento avrebbe fatto sparire l’immagine che aveva davanti agli occhi.
Sansa che stringeva sua sorella Arya. Sana e salva. A casa.

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Capitolo 21
*** Le mie stesse ossa il mio stesso sangue ***


«Mi stai facendo male».
«Sopporta. Sei una Stark».
Le aveva fatto preparare un bagno e si era offerta di pettinarle i capelli. Districava e intrecciava, battendo le palpebre per sincerarsi di essere sveglia. Per essere sicura che stesse succedendo davvero.
Arya scrutava la loro immagine riflessa nello specchio di Catelyn Tully. Scavava e Sansa non aveva idea a quale profondità sarebbe arrivata.
«Non hai un bell’aspetto».
«Mi sei mancata».
Era sincera. Nonostante la sorella fosse diventata più selvaggia e indisponente, era felice di ogni parola che le usciva dalla bocca. Era felice di averla accanto a sé.
Era apparsa nel bel mezzo del cortile, gli abiti logori e un mantello sbrindellato, in faccia i segni della fame e lo sguardo tagliente e attento di chi ha imparato a guardarsi le spalle anche nel sonno.
«Ho saputo cosa ti ha fatto Bolton e che ti sei fatta giustizia».
«Jon lo ha preso per me».
«Ho messo Lord Baelish sulla mia lista».
«Arya… »
«Credo che sia anche su quella di Jon».
«Il Re del Nord non ha una lista».
Non le andava di parlare di Jon. Non con Arya.
Il fratello era talmente felice di averla di nuovo con sé che non aveva fatto domande. Nemmeno lei aveva avuto il coraggio ma le ronzavano in testa, fastidiose e impazzite come uno sciame di api.
Da dove vieni?
Cosa hai fatto?
Chi sei diventata?
Resterai?
Jon l’aveva abbracciata in silenzio e in silenzio era rimasto le ore successive, mentre le sorelle, sedute al tavolo della Sala Grande, raccontavano l’una all’altra ciò che era stato delle loro vite da quando si erano separate. Ogni tanto un’ombra di preoccupazione gli velava lo sguardo e Sansa non faticava a immaginare cosa lo tormentasse.
Tenere unita la famiglia.
Salvare la loro casa e la loro terra dalla morte che scendeva da oltre la Barriera.
Per lo meno sembrava aver trovato qualcuno disposto a dare una mano. Arya non era arrivata a Grande Inverno da sola. Il giovanotto dagli occhi azzurri e dai capelli neri che l’accompagnava non le staccava gli occhi di dosso. Le presentazioni erano state rapide e sconcertanti. Era stato presentato ai fratelli come Gendry, ultimo della casa Baratheon. Unico figlio sopravvissuto di Re Robert.
«Un bastardo che scotta, Jon. Proprio come te».
Jon lo aveva squadrato da capo a piedi mentre Ser Davos gli raccontava la sua storia. Avevano molto in comune e se ad Arya piaceva, allora piaceva anche a Jon. Sansa gli aveva procurato dei vecchi vestiti di Robb scusandosi perché non erano dei colori della sua casa. Gendry l’aveva guardata come se fosse pazza.
«Sono solo un bastardo, mia signora».
Si era limitata a rispondere che a Grande Inverno non si facevano quel genere di distinzioni. Non più.
Accogliere Gendry sotto l’ala protettrice degli Stark equivaleva ad attirare su di loro nuovi nemici ma non avrebbe voltato le spalle a sua sorella. Era chiaro che tenessero l’uno all’altra sebbene faticasse a riconoscere la bambina che inseguiva i gatti di Approdo del Re nei panni di una giovane donna innamorata.
Ed era diventata bella. Affilata e sfuggente. Barricata dietro silenzi e modi bruschi, silenziosa e agile. Sicuramente letale. Gendry ne subiva il fascino e da come si guardavano Sansa aveva avuto il sospetto che non si trattasse di un amore esattamente casto.
Quando aveva chiesto ad Arya in quale stanza far sistemare Gendry ogni dubbio era stato definitivamente fugato.
«Nella mia».
Avevano inaugurato il ritorno a casa con un litigio, che si era concluso come si erano sempre conclusi tutti. Avrebbe fatto di testa sua, nonostante Sansa l’avesse pregata di salvare le apparenze.
«Non c’è nessuna apparenza da salvare».
«Non siete sposati».
«Allora? Tu lo sei stata, non mi pare la cosa ti abbia giovato».
Se non fossero state le Lady di Grande Inverno e le sorelle del Re, Sansa avrebbe pestato i piedi e le avrebbe tirato i capelli come faceva quando erano bambine.
Sei solo invidiosa, perché Arya può fare a Gendry tutte le cose che faresti a suo fratello.
Senza bruciare nei sette inferi per l’eternità.
Di nuovo sentì gli occhi della sorella su di sé.
«Jon dice che Bran è ancora vivo. Da qualche parte oltre la Barriera».
«Lo speriamo».
«Lo sperate? Nessuno di voi due ha pensato di andare a cercarlo?»
«Eravamo troppo occupati a distruggere chi ha ucciso nostra madre e nostro fratello».
«Anch’io».
Da dove vieni?
Cosa hai fatto?
Chi sei diventata?
«Arya, chi ha ucciso Walder Frey?»
«La stessa persona che ha ucciso i suoi figli ma tu questo lo sai».
«Sì, lo so».
Resterai?
Non era in cerca di redenzione né di ringraziamenti. Sansa la capiva fin troppo bene, fin dentro le ossa e nel sangue – le sue stesse ossa il suo stesso sangue – la capiva in un modo in cui Jon non sarebbe stato in grado di capire mai. Quando aveva ucciso, era stato in battaglia o per amministrare la giustizia nella sua manifestazione più assoluta e definitiva. Entrambe, invece, avevano sfamato il loro dolore con la vendetta. Un piacere appagante quanto freddo e di breve durata.
Erano sempre state diverse ma ciò che avevano in comune lo avevano ereditato dalla madre. Non c’era cosa che non sarebbero state disposte a fare per le persone che amavano.
L’assenza di Catelyn era una ferita aperta, uno schiaffo in faccia ricevuto troppo presto e troppo forte. Un solco dove avrebbe potuto ritrovare sua sorella in ogni caso, nonostante tutto.
Famiglia, dovere, onore.
Cosa avrebbe pensato la madre di lei?
Devi occuparti dei tuoi fratelli Sansa. Contano su di te.
Aveva fallito con Rickon. Con Bran. Avrebbe fallito anche con Arya?
Quante volte aveva sentito il racconto di Brienne? Di come la madre avesse scatenato l’ira degli alfieri di Robb, liberando Jamie Lannister nella speranza che rappresentasse un riscatto sufficiente per riavere indietro le sue figlie?
Le sue figlie erano di nuovo insieme e se Cat fosse stata ancora viva avrebbe stentato a riconoscerle. O forse no. Forse aveva sempre saputo con chi aveva a che fare.
«Andremo il Toro ed io a cercarlo».
Arry e il Toro.
Nemmeno riusciva a immaginare cosa avessero visto e vissuto, due ragazzini sulla Strada del Re, passando di mano in mano da un signore all’altro, costretti a tenere nascosta un’identità troppo pericolosa per essere usata come lasciapassare. Fino a che non erano stati separati – la Donna Rossa si trovava sulla lista di Arya oltre che su quella di Ser Davos – e per anni avevano viaggiato su strade diverse, imparato lezioni e visto la morte in faccia.
Quando si erano ritrovati gli aveva permesso di seguirla fino a Grande Inverno. Ora lo avrebbe trascinato ancora più a Nord e lui si sarebbe lasciato trascinare. Partire alla ricerca di Bran doveva sembrarle un’avventura o ancora peggio una missione. Per il mondo non esistevano ed erano liberi da ogni tipo di responsabilità.
«Non se ne parla. Sai cosa c’è oltre la Barriera?»
«C’è Bran, hai presente? Il nostro fratellino storpio?»
«Non ti lascerò partire di nuovo».
«Non te lo sto chiedendo, non ho bisogno del tuo permesso».
«Jon si opporrà».
Lo disse ma non ne era del tutto sicura. Quando si trattava dei fratelli tendeva ad agire in maniera irragionevole.
«Non ho bisogno nemmeno del permesso di Jon».
«Oh sì invece, lui è il Re adesso».
«Che stupidaggine… Jon è Jon».
La constatazione era inoppugnabile e i capelli di Arya intrecciati. Sansa depose il pettine e le armi ma riuscì a convincerla a rimandare la partenza di qualche giorno, almeno fino a quando Jon non fosse partito per il Dono.
Arya le cedette il posto davanti alla toeletta della madre e indossò dei vestiti puliti: pantaloni di stoffa pesante, una tunica di lana, un giustacuore di pelle. In pratica la tenuta di Sansa durante le lezioni di tiro con l’arco.
«Non illuderti che ricambi il favore e ti acconci i capelli».
«Un pensiero che non mi ha sfiorato nemmeno per un istante».
Avrebbe potuto chiamare una delle ragazze ma non lo fece. Desiderava rimanere sola con la sorella ancora per un po’. Disfò e rifece la treccia per appuntarla alla base della nuca.
«Sei identica a lei».
Anche a me manca.
E adesso io non ho che te e tu non hai che me.
Un giorno, quando avrebbe fatto meno male, quando avrebbero potuto permettersi di piangerla, avrebbero parlato di lei.
Deglutì il nodo che le aveva stretto la gola e chiuse il colletto dell’abito fin sotto il mento. Non le andava di mostrare il collo, non da quando si era scoperta così sensibile e vulnerabile in quel punto. Il ricordo di Jon che scioglieva i nastri per baciarle la gola, le colorò le guance e aumentò la velocità del sangue nelle vene.
Sua sorella la osservava. Scavava e Sansa non aveva idea a quale profondità sarebbe arrivata.
«Allora, ti va di parlarmi di questo nuovo Re del Nord?»
Gli occhi grigi di Arya si soffermarono sul tremito delle sue mani.
«Non esiste al mondo uomo migliore di lui».
«Lo so, Sansa. L’ho sempre saputo».
Io invece l’ho capito troppo tardi.

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Capitolo 22
*** Uno spiraglio di luce nell'ombra ***


Questa ragazza è nessuno.
Questa ragazza ha due fratelli. Forse tre.
Bran devi essere vivo. Vivi.
Questa ragazza ha tre fratelli e questa ragazza li ama. Sono carne della sua carne, sangue del suo sangue. Ha trascorso con loro i suoi giorni più felici e per loro è tornata a casa.
Con Gendry.
La figlia di Ned Stark e il bastardo di Robert Baratheon.
Durante il viaggio si erano tenuti lontani dalla strada del Re.
Ad ogni passo aveva avuto paura. Non di chi avrebbero potuto incontrare lungo il cammino ma di cosa avrebbero trovato una volta arrivati.
Questa ragazza è nessuno e nessuno non ha paura.
Se l’era ripetuto, rigirato nella mente – come un pungiglione – per tenere distante la paura di non riuscire ad arrivare in tempo.
Era già successo.
Di sentire le loro grida superare le mura di Grande Inverno e vedere il loro sangue scorrere nel cortile.
Rosso vermiglio sul candore della neve.
Come gli occhi dell’Albero del cuore.
Non aveva funzionato. Se l’era sentita addosso ad ogni passo che accorciava la distanza tra lei e quello che rimaneva della sua famiglia.
Jon e Sansa.
E Bran.
Da qualche parte, oltre la Barriera.
Devi essere vivo. Vivi.
Le persone che conosceva meglio al mondo. I fratelli che più amava.
E Sansa.
L’unica sorella che aveva. Uno specchio che da sempre rifletteva un’immagine opposta alla sua ma sullo stesso sfondo. Il modello al quale opporsi, perché irraggiungibile.
Erano state ferite allo stesso modo e nei medesimi punti e avevano reagito allo stesso modo e con la medesima ferocia. Si era domandata come avesse fatto il cuore gentile della sorella a non spezzarsi per sempre. Il suo era stato a lungo avvolto nell’ombra – aveva rischiato davvero di diventare nessuno – e lei non era mai stata come Sansa che, a dispetto dei modi composti e dell’espressione altèra, aveva il cuore sottopelle e la testa traboccante di sogni.
Gendry.
Uno spiraglio di luce nell’ombra.
Che si era trasformata in speranza.
Jon.
La speranza che c’era sempre stata.
Lo spiraglio di luce per Sansa.
Era evidente. La prima volta che Arya li aveva visti seduti al tavolo della Sala Grande le avevano ricordato i suoi genitori.
Il filo invisibile che li legava.
A Bravos aveva imparato a osservare le persone. Sentire le cose che non osavano lasciarsi sfuggire dalle labbra e i segreti che nascondevano in fondo agli occhi. Jon non aveva mai avuto segreti per lei e quelli di Sansa li aveva sempre scoperti tutti.
Ora quei due – insieme – le stavano tenendo nascosto qualcosa ed era sicura non si trattasse di Bran. Aveva annunciato di voler partire alla sua ricerca e con immenso disappunto della sorella, Jon si era offerto di accompagnarla. Ser Davos aveva dovuto fare un elenco dei motivi – erano parecchi – che facevano della sua una pessima idea. Doveva esserlo davvero perché era riuscito a convincere anche lei. Le piaceva il Cavaliere delle Cipolle: aveva salvato Gendry e desiderava la morte della Donna Rossa almeno quanto lei.
Questa ragazza un giorno completerà la sua lista.
«Cos’ha la mia Lady?»
Lo aveva sentito arrivare nonostante avesse cercato di sorprenderla alle spalle.
Non ci riusciva mai.
Avrebbe potuto scovarlo con gli occhi bendati in una stanza gremita di gente, solo afferrando l’odore della sua pelle o seguendo l’eco del suo respiro.
Lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Al buio le cose acquisivano una fisicità sconcertante mentre gli altri sensi davano loro una forma, quella che gli occhi non riuscivano a dare. Una notte aveva tracciato i contorni della sua bocca, l’arco delle sopracciglia e degli zigomi. Lo aveva visto scorrerle sotto le dita e aveva dato un nome a quel misto di tensione, confusione e rabbia che provava da quando lo aveva ritrovato.
Allo spiraglio di luce nell’ombra.
Aveva capito subito che le cose tra loro erano cambiate. Arry non avrebbe mai notato la sfumatura nebulosa dei suoi occhi nelle giornate di pioggia o indovinato i contorni dei muscoli nascosti sotto la tunica. La flessione armoniosa del braccio che si tendeva verso di lei.
Avevano già condiviso notti e giacigli, camminato fino a stramazzare per la stanchezza, combattuto fianco a fianco, coperto l’uno il segreto dell’altra. Cos’era cambiato?
Da sempre era bravo a farla infuriare ma i loro battibecchi erano aumentati di intensità e sfociavano spesso in litigi. Il peggiore lo avevano avuto mentre attraversavano la foresta ai confini dell’Incollatura. Secondo Gendry avrebbero dovuto raggiungere l’alfiere di Jon più vicino, avvisare Grande Inverno del loro arrivo e, dopo un po’ di riposo, proseguire a cavallo.
Arya gli aveva domandato se desiderasse anche fare un bagno.
Era una follia. Non potevano fidarsi di nessuno, nemmeno di chi aveva giurato fedeltà al Re del Nord. Sapeva quanto potesse valere un giuramento: Robb e sua madre erano morti per mano dei loro alfieri. Senza contare che se a nord dell’Incollatura la vita di Arya Stark poteva significare qualcosa, quella di un Baratheon – per di più bastardo – valeva solo il peso delle borse d’oro di Cercei Lannister.
E un Lannister paga sempre i suoi debiti.
Esasperata lo aveva allontanato con una spinta. Che andasse per la sua strada quello stupido di un Toro, che si facesse ammazzare – non le importava, avrebbe proseguito da sola – ma Gendry le aveva afferrato i polsi, lo sguardo azzurro colmo di collera.
«Ti riporterò da tuo fratello, dovesse essere l’ultima cosa che faccio».
«Tu non mi stai portando da nessuna parte, sono io che ti permetto di seguirmi».
La sua presa era salda ed era forte e arrabbiato.
Non sarebbe stata capace di liberarsi, nemmeno se lo avesse voluto.
«Lasciami».
«Ho passato gli ultimi anni a cercarti, non ti lascerò andare».
Nostra è la furia.
Avrebbe voluto prenderlo a pugni e gridargli addosso con altrettanta foga che era stato lui a decidere di unirsi alla Fratellanza senza Vessilli. Lui l’aveva lasciata.
Avrebbe voluto ma Gendry l’aveva tirata verso di sé e l’aveva baciata.
Questa ragazza non aveva mai baciato nessuno.
Nessuno aveva mai baciato questa ragazza.
Non c’erano cautela o delicatezza in quel bacio. Non c’era il riverenziale timore delle prime cose. Era come un argine che cedeva dopo aver resistito a lungo alla forza di un fiume che esonda. La tensione accumulata in quelle settimane di viaggio si era spezzata come una corda tranciata di netto e si liberava attraverso lo scontro di bocche, respiri, dita intrecciate. Se avesse potuto sarebbe saltata fuori dalla sua pelle.
Lo spiraglio era diventato uno squarcio e la luce era entrata dappertutto.
Poi si era staccato bruscamente, aveva raccolto le sue cose e ripreso il cammino. Per giorni non le aveva rivolto la parola. Avrebbe voluto baciarlo ancora – ne aveva voglia – ma forse aveva fatto qualcosa di sbagliato.
Cosa?
Sansa avrebbe saputo cosa fare. Lo sapeva sempre.
Dopo giorni di silenzio, Arya aveva deciso di affrontarlo. Nevicava da ore e non accennava a smettere; fortunatamente avevano trovato riparo in una conca naturale, piccola ma profonda. Aveva aspettato che si sistemasse davanti al fuoco, poi lo aveva spinto a terra e si era seduta sopra di lui per impedirgli qualsiasi movimento e avere tutta la sua attenzione.
«Per i setti inferni, cosa ti prende?»
Sentiva il suo respiro correre veloce sotto la tunica.
«È stato così brutto?»
Finalmente le aveva sorriso e si era rimesso a sedere, tenendo salda la presa sui suoi fianchi.
«È questo che pensi?»
Erano così vicini che le era bastato inclinare la testa per sfiorargli le labbra.
«E questo?»
Le aveva dischiuse per far dischiudere le sue.
Si era scostato appena per guardarla negli occhi. Per chiederle il permesso.
«Arya non posso stare con te come vorrei senza mancarti di rispetto… »
C’era qualcosa nel modo in cui pronunciava il suo nome, qualcosa che la faceva sentire felice di essere viva.
Aveva percorso la linea della mascella fino all’orecchio e sentito il sangue pulsargli nelle vene.
«Sei la mia Lady?»
L’aveva stretta, il viso affondato nel suo collo, le dita che cercavano la pelle sottile sotto la tunica.
«Non ti fermare».
«Arya, sei la mia Lady?»
«Sì».
Era vero quella notte e lo era stato le notti successive. In fin dei conti sapeva che lo era stato sempre, anche quando era solo una ragazzina con una lista troppo lunga.
Mai avrebbe pensato di provare qualcosa di così intenso per un altro essere umano che non fosse l’odio o la sete di vendetta. Quello che provava per Gendry era altrettanto potente e totalizzante. Odiava sentirsi così e a volte avrebbe voluto cacciarlo via ma il pensiero di perderlo la atterriva.
Ho passato gli ultimi anni a cercarti, non ti lascerò andare.
Si guardò rapidamente intorno: la Sala Grande era deserta, erano soli.
La bocca di Gendry stava già cercando la sua. Arya si lasciò sfuggire un gemito e svelta iniziò a sciogliere i lacci dei calzoni. Il bacio si fece più profondo.
La sollevò e attraversò la stanza in cerca di un angolo più riparato. Lo avevano fatto altre volte, ad Arya piaceva, soprattutto se correvano il rischio di essere scoperti e lui lo sapeva. Era nato per servirla.
«Potrebbe arrivare qualcuno».
La schiena di Arya contro le pareti fredde di Grande Inverno. Le dita di Gendry dove nessun altro sarebbe arrivato.
«Potrebbe».

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Capitolo 23
*** In nessun modo. Mai. ***


Era bello il suo Toro e forte. Arya non aveva bisogno di sicurezze o rassicurazioni ma le piaceva che fosse un po’ ruvido. Lei non era una Lady e Gendry non era un Lord, a dispetto del loro sangue e delle aspettative che gli altri riponevano in loro.
Dopo aver tagliato la gola a Walder Fray, aveva vagato vicino a Delta delle Acque. Aveva sentito parlare di una lupa – gigantesca e feroce – che stava seminando il terrore nelle terre dei fiumi. Sebbene fosse pericoloso coltivare certi pensieri, aveva cominciato a credere – no, non credere: sentire – che si trattasse di Nymeria.
Per giorni si era accampata nelle zone della foresta più lontane dalla strada, trascorrendo la notte all’aperto nella speranza di intercettare il branco che terrorizzava contadini e viandanti. A nulla era valsa quella mancanza di buon senso e precauzioni. La temibile lupa sembrava non essere interessata a lei e l’unica flebile traccia della sua esistenza era stata l’eco di un ululato troppo lontano per sembrare reale. Avrebbe voluto vederla un’ultima volta ma alla fine si era convinta che il metalupo – sempre che di lei si trattasse – l’avesse dimenticata e che dovunque si trovasse fosse libera di essere quello che era, lontana dalle costrizioni imposte a un animale domestico.
Aveva lasciato la foresta con il cuore pesante ma decisa a buttarsi tutto ciò che aveva perduto in quelle terre – sua madre, Robb e Nymeria – alle spalle. Solo non l’abbandonava la sensazione di essere osservata. Di non essere sola.
Era stato durante uno scontro con alcuni uomini dei Lannister che Nymeria era uscita allo scoperto. Gli idioti non avevano capito chi avevano davanti e vedendo una ragazza sola e lontana dalla Strada del Re, avevano deciso di approfittarne. Era chiaro quali fossero i loro intenti e se la Regina folle lo avesse saputo li avrebbe fatti impiccare per averle tolto il piacere di uccidere una Stark con le sue stesse mani.
Erano troppi per lei e si preparò a vendere cara la pelle nella speranza di riuscire ad ucciderne il maggior numero possibile.
Il Nord non dimentica.
Era arrivato il momento che i Lannister pagassero i loro debiti.
Quando estrasse Ago dalle pieghe della tunica Nymeria si fece strada ringhiando dal folto degli alberi. Alcuni riuscirono a fuggire, gli altri non furono abbastanza veloci. Non dovette nemmeno pulire la lama dal sangue ma attese paziente che la belva tornasse dalla caccia.
Ricomparve qualche giorno dopo e gradualmente accorciò le distanze, prolungando le apparizioni, riabituandosi alla vicinanza con l’umana che aveva amato e tornando in simbiosi con lei come lo era stata con il branco.
Il viaggio verso Nord era ancora lungo ma l’idea di tornare a casa con Nymeria e la notizia che gli Stark avevano riconquistato Grande Inverno, le avevano riempito il cuore di quella che una volta avrebbe chiamato speranza. Tanto da spingerla a percorrere la strada battuta per fare più in fretta.
Era stato allora che si era imbattuta in Gendry. Gli Dei avevano voluto fosse ospite della locanda in cui aveva deciso di trascorrere la notte. L’inverno era arrivato nelle terre del Sud e il clima si era fatto rigido anche per lei.
Lo aveva riconosciuto subito, nonostante gli anni avessero spazzato via ciò che era rimasto del ragazzo di Fondo delle pulci. Era in compagnia di un manipolo di brutti ceffi, uomini che un tempo avrebbero stuzzicato la sete di sangue del Mastino. Non dava l’idea di essere a capo del gruppo, piuttosto di trovarsi lì per caso. Teneva lo sguardo basso, facendo di tutto per non farsi notare. Impossibile. La corporatura muscolosa e robusta, gli occhi azzurri, i capelli scuri attiravano le occhiate oblique delle ragazze come le mosche al miele. Le serve si prodigavano intorno a lui per rendergli un buon servizio. Sorrideva ma non sembrava particolarmente interessato.
Sono ancora io la sua Lady?
Si era vergognata di averlo pensato.
Io non sono di nessuno.
Aveva lasciato Nymeria a cacciare nel bosco vicino alla locanda. Una ragazza dagli occhi grigi con un feroce metalupo sarebbe stata troppo riconoscibile e aveva permesso al dio dai mille volti di nascondere la sua vera identità. Eppure le era sembrato che Gendry guardasse nella sua direzione. Gli occhi stretti in due fessure, l’aria di chi cerca di ricordare qualcosa.
Una sensazione simile alla nostalgia le aveva chiuso la gola. Il dolore per la perdita dei suoi genitori, dei suoi fratelli non si era dissolto con la vendetta. Almeno non con la morte di Walder Fray.
C’era stato un tempo in cui aveva sperato che Gendry potesse diventare la sua famiglia.
Una nuova. Tutta sua.
Quella sera prima di coricarsi era andata a bussare alla sua porta.
Senza maschera.
«Sapevo che eri tu».
E aveva deciso che se proprio doveva appartenere a qualcuno allora doveva essere Gendry.
«Arya dimmi che cos’hai».
Gli stava ancora mordicchiando l’orecchio. Era un momento perfetto – si sentiva così bene – e la disturbava che per lui non fosse così.
«Hai paura che mi stia stancando di te, Waters?»
La guardò da dietro le palpebre socchiuse. Erano finiti sul pavimento gelido ma non gli aveva permesso di allontanarsi da lei. Se in quel momento fosse entrata Sansa, si sarebbe messa a urlare.
Arya, una Lady non si sbatte l’amante nella Sala dei ricevimenti.
Arya esistono le camere e i letti e la notte.
Arya…
L’ultima volta che si era svolta una scena del genere le aveva suggerito di prendere esempio – magari si sarebbe sentita meglio. Gendry, rosso come un papavero, si affrettato a rivestirsi, lei invece aveva trovato la cosa divertente. Sarebbe stato molto più imbarazzante se a sorprenderli fosse stato Jon.
«No, non direi. Non di me».
Arya cercò di nuovo la sua bocca. Gendry la baciò ma si allontanò appena per guardarla negli occhi.
«Lo so che c’è qualcosa. Dimmi cosa».
Arya amava i suoi fratelli. Amava il suo metalupo e Grande Inverno. Aveva amato suo padre e sua madre. Amava il Nord. Ma quello che provava per il bastardo di Robert Baratheon lei non l’aveva mai provato per nessuno.
«Sansa e Jon».
Prese un respiro. Non sapeva come tradurre a parole quello che le passava per la testa. Era un pensiero doloroso, oscuro. Li osservava e li vedeva soffrire. Aveva visto gli occhi di Jon chiudersi quando Sansa gli passava accanto, le dita di Sansa tremare quando parlava di Jon. Li aveva visti una volta tenersi per mano, conviti di essere soli.
Si amano come fratelli.
Ma allora non avrebbe fatto così male.
Arya guardò Gendry. Pensò a come si sarebbe sentita se non le fosse stato più permesso di toccarlo e sentirlo così vicino. Se quello che facevano, il letto che condividevano, le carezze e i sospiri, i nomi che gridavano a denti stretti, fossero stati peccati ignobili e non avessero più potuto perpetrarli.
Lo strinse più forte a sé.
«Non ti azzardare a lasciarmi. In nessun modo. Mai».
Lo disse in un soffio. Non era sicura che lui l’avesse sentita ma aveva capito perché l’amore tra i suoi fratelli faceva così male.

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Capitolo 24
*** Chi mi conosce meglio al mondo ***


«Devono proprio dare spettacolo anche durante la cena? L’intera sala li sta fissando».
Jon si voltò verso Sansa, cercò la sua mano sotto il tavolo e le strinse dolcemente le dita.
Se lo avesse ritenuto possibile avrebbe pensato che Lady Stark fosse sull’orlo delle lacrime.
Era bello avere Arya a casa ma era pur sempre Arya. Al suo passatempo preferito – irritare la sorella – si era aggiunto quello che praticava con Gendry. Piuttosto rumorosamente e a tutte le ore del giorno. Sansa – che li aveva sorpresi più di una volta – lo trovava intollerabile. Soprattutto la irritava che si baciassero in pubblico. Non i baci casti che una Lady e un Lord potevano scambiarsi davanti ad alfieri e servitori ma quelli destinati alle camere da letto.
I baci che vi siete scambiati nel solarium.
Da parte sua cercava di non pensarci e di rimanere fuori dalle loro discussioni. La posizione in cui si trovava era scomoda e, soprattutto, insolita. Durante l’infanzia mai si era trovato a dover prendere le parti di una delle due; Sansa non cercava certo il suo sostegno e lui non lo avrebbe negato ad Arya a favore di chi mostrava nei suoi confronti a mala pena una sdegnosa indifferenza.
Ora entrambe lo tiravano per il mantello, forse più per testare il loro ascendente che per reale necessità. Era quasi arrivato al punto di desiderare la partenza per il Dono – mancavano solo una manciata di giorni – come si era lasciato scappare in uno scatto di esasperazione. Sansa gli aveva restituito un’occhiata offesa e non gli aveva rivolto la parola per l’intera giornata, mentre Gendry aveva mormorato tutta la sua comprensione.
Se era vero che doveva esserci sempre uno Stark a Grande Inverno, era altrettanto vero che non potevano essercene troppi. Sebbene Jon fosse sicuro che le sorelle stessero solo recuperando anni di bisticci perduti. La sera prima – a caccia del perdono di Sansa – si era recato nei suoi alloggi e le aveva sentite ridere e bisbigliare dietro la porta chiusa come quando erano bambine. Era rimasto qualche istante ad ascoltarle, assaporando il sollievo di sentire le sorelle vive e allo stesso tempo la mancanza straziante di Robb.
Il dolore di essergli sopravvissuto.
Il ragazzo con cui era cresciuto – suo fratello – era morto.
Non lo aveva visto diventare Re, né lo aveva seguito in battaglia per combattere al suo fianco.
Non ci sarebbero più state risate, né sfide per dimostrare – sotto la guida severa di Ser Rodrik – chi fosse più veloce, più forte, più bravo a tirare con l’arco o a cavalcare. Né i consigli e i racconti sulle ragazze, elargiti con la disinvolta sicurezza del fratello maggiore più bello e sfacciato di lui.
Per gli dei Jon, è solo una ragazza! Fingi di parlare con Sansa… No, meglio di no.
Nostra sorella uno come te lo trasformerebbe con uno sguardo in una statua di ghiaccio.
A volte era insopportabile. Eppure Jon lo aveva amato, ammirato, emulato – anche invidiato – e lo aveva perso.
Quello che aveva conquistato, da quando aveva lasciato la Barriera, era stato possibile perché Robb – il primogenito di Ned Stark, l’erede di Grande Inverno – era morto e se non fosse entrato nei Guardiani della Notte, se lo avesse seguito in guerra contro i Lannister, sarebbe morto con lui durante le Nozze Rosse.
Mentre i confratelli consumavano il loro tradimento – quattro lame conficcate nel petto fino al manico –  aveva rimpianto di non essere caduto al fianco di suo fratello. Del suo Re.
Ma era stato prima che Sansa varcasse i cancelli della Barriera. Prima che lo convincesse a riprendere Grande Inverno.
Prima.
Se fosse morto alle Torri Gemelle chi si sarebbe preso cura delle sue sorelle? A volte si domandava se avessero davvero bisogno di lui. Probabilmente no. Non era riuscito a salvare Rickon né ritrovare Bran.
Gli dei avevano riservato alla defunta Catelyn Stark uno dei loro scherzi più crudeli: le sue adorate figlie potevano contare solo sul fratellastro e lo amavano come lei non era mai riuscita a fare. Una di loro – quella che aveva cresciuto per diventare regina, il suo perfetto fiore del Nord dagli occhi blu Tully – lo amava come non avrebbe dovuto. L’altra – quella che sapeva meglio cavalcare che cucire, che nemmeno voleva essere una Lady – sarebbe potuta diventare regina.
Non del Nord ma dei Sette Regni.
Nonostante Ser Davos la ritenesse una mossa pericolosa, Sansa aveva suggerito alla sorella di sposare Gendry. Un vero matrimonio, celebrato nel Parco degli dei davanti alle case del Nord e festeggiato per tutta la notte nella Sala Grande.
Avrebbe inviato corvi in tutta Westeros, ricordato a chi era stato fedele ai Baratheon che aveva ancora un signore, alleato di una casa potente e di una terra libera.
Avrebbe gridato in faccia a Cercei Lannister un messaggio forte come uno schiaffo. Il Re bastardo del Nord avrebbe legittimato il bastardo di Approdo del Re e l’erede di Capo Tempesta avrebbe potuto rivendicare il Trono di Spade. Se avesse sposato Arya, l’alleanza con il Nord sarebbe stata suggellata dal loro matrimonio.
Alla Regina baciata dal fuoco non bastava essersi ribellata. Voleva la ribellione.
E alleati nella guerra contro gli Estranei.
Un’alternativa a Daenerys Targaryen o quanto meno una moneta di scambio.
I tuoi draghi in cambio del trono di Gendry Baratheon.
Arya aveva chiesto alla sorella se fosse ubriaca. Né a lei né a Gendry importava della politica. Era tornata a Grande Inverno ma non aveva intenzione di rimanerci a lungo – sarebbe presto partita alla ricerca di Bran – e Gendry l’avrebbe seguita in capo al mondo.
A niente erano valsi gli strepiti di Sansa, i veementi inviti a ricordare quali fossero le sue responsabilità, i motivi per cui l’adorato padre era morto.
A Jon non importava che fossero sposati. Desiderava per Arya la stessa libertà di scelta che voleva per Sansa: non avrebbe permesso che le sorelle si sacrificassero al posto suo con un matrimonio politico.
Se Arya era felice così, lui era felice per lei e avrebbe preferito che Sansa non vedesse in quelle nozze la soluzione a tutti i loro problemi. Non lo era, Jon se ne rendeva conto ogni volta che volgeva lo sguardo verso Nord, consapevole che prima o poi sarebbe arrivato il giorno in cui avrebbe sentito risuonare il corno tre volte.
E sarebbe stato troppo tardi.
Per tutto.
La guardò. Era bella – fuoco ghiaccio pelle bianca come l’inverno – l’espressione impassibile e tagliente mentre le dita che stringevano le sue, nascoste tra le pieghe della veste, cantavano un’altra canzone. Le accarezzò il dorso della mano con il pollice.
«Sono giovani, San. Si amano».
Aveva capito di aver detto la cosa sbagliata nell’esatto istante in cui gli era uscita dalla bocca.
Nostra sorella uno come te lo trasformerebbe con uno sguardo in una statua di ghiaccio.
«Anche noi».
Sansa si alzò, lasciò la tavola e la sala. Spettro, che sonnecchiava ai suoi piedi, la seguì senza che ci fosse bisogno di suggerirglielo. Era lui a vegliare sul sonno della Regina da quando Jon non entrava più nei suo alloggi e un po’ gliene era grato, un po’ lo invidiava.
Chiuse gli occhi lottando ferocemente contro il desiderio di andare con loro. Non poteva. Se l’avesse seguita per i corridoi di Grande Inverno, sarebbero stati soli e non potevano rimanere soli. Non poteva rimanere solo con lei.
Non finché si trovava sotto lo sguardo vigile di chi lo conosceva meglio al mondo.
Quando riaprì gli occhi incontrò quelli grigi della sorella.
Forse è troppo tardi anche per questo.
E per la prima volta nella sua vita si accorse che gli occhi degli Stark potevano essere freddi quanto quelli dei Tully.

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Capitolo 25
*** Perché è così che succede ***


La freccia tagliò l’aria con un sibilo a pochi centimetri dal suo orecchio e centrò il bersaglio conficcandosi nel tronco fino a metà dell’asta.
«Ho conosciuto un’altra donna capace di un tiro simile. Fortunatamente non era infallibile».
Arya si voltò verso di lui, ricambiando il sorriso triste con uno canzonatorio.
«Lo meritavi?»
«Sì».
Arya aveva proposto qualche ora di esercitazione con l’arco – loro due soltanto – e quel mattino erano sgattaiolati dal portone laterale come quando erano ragazzini. Nymeria e Spettro li avevano preceduti aprendo la strada verso la foresta.
«La tua ragazza dei bruti? Sansa mi ha parlato di lei».
Jon mancò il bersaglio mentre le viscere si annodavano in una poltiglia di dolori diversi ma dello stesso colore.
Colpa colpa colpa.
Nei confronti di Ygritte.
Amare un’altra, così presto, così tanto.
Di più.
Nei confronti di Sansa.
In quanti modi le aveva fatto del male?
E lei si teneva stretta i suoi dolori, non ne parlava mai.
Non con lui.
Nei confronti di Arya.
In cerca della verità in quel groviglio. Senza immaginare che non l’avrebbe trovata.
E se ci fosse riuscita non le sarebbe piaciuta.
«Aye. La mia ragazza dei bruti».
Quante cose sapevano le sue sorelle. Cose che ignorava sapessero.
Si parlavano, si osservavano e vuotavano il cuore l’una nelle mani dell’altra.
«Sansa è altrettanto abile? So che sta imparando da un bravo maestro – il mio – e non conterei su un altro colpo di fortuna fossi in te».
Ruota il polso e tendi la corda.
Non fare caso a Robb, è un buffone. Guarda davanti a te.
«Arya… »
Il giorno che avevano lasciato Grande Inverno si erano salutati senza sapere quando e se si sarebbero rivisti. Lei era solo una bambina e lui un ragazzo che non sapeva niente. Aveva creduto che gli anni trascorsi lontano l’uno dall’altra li avessero cambiati troppo a fondo per capirsi come quando erano bambini. Invece…
«Ha riservato anche a te una delle sue prediche sul decoro e sulla convenienza di certi rapporti? Scommetto di no».
Incoccare, tendere, mirare.
Rilasciò un’altra freccia che si conficcò nel punto esatto della prima, dividendola a metà.
«Per gli dei, Arya non tirarmi in mezzo. Quello che fai con Baratheon quando siete nei vostri alloggi sono affari vostri ma Sansa non ha tutti i torti».
«Gendry non è un Baratheon e sai perfettamente che non si tratta di questo».
Jon abbassò l’arco e si arrese. Non aveva senso mentire, non a sua sorella. Si guardò le mani, incapace di sostenerne lo sguardo, nella speranza che potessero afferrare le parole che non riusciva a trovare.
Fu il ritorno dei metalupi a salvarlo. Nymeria trotterellò verso Arya per sincerarsi che fosse ancora come l’aveva lasciata. Per rassicurarla affondò le dita nella pelliccia scura e la lupa socchiuse gli occhi sollevando il muso verso di lei. Spettro – che in genere dedicava quel genere di attenzioni solo a Sansa – gli lanciò un’occhiata e iniziò ad annusare l’aria e i tronchi degli alberi.
«L’aria di casa le fa bene».
«Si nutrono di più. Insieme cacciano meglio».
Il branco unito sopravvive.
Arya si voltò verso di lui. Aveva un’espressione strana sul volto come se avesse ricordato a un tratto qualcosa. Qualcosa che l’addolorava aver scordato.
Quante cose ricordavano le sue sorelle. Cose che ignorava ricordassero.
Le tenevano nascoste per non lasciarsi divorare, custodendole l’una per l’altra.
«Sposerai la Madre dei Draghi?»
«Farò quello che è giusto per il Nord».
«Questa non è una risposta».
Faceva freddo. Il respiro si trasformava in vapore a contatto con l’aria. La discussione era logorante e liberatoria, scandita dal suono delle frecce che si conficcavano nel legno.
«Se sposassi Gendry non saresti costretto a farlo. È quello che vuoi Jon? Vuoi che lo sposi?»
«Quello che voglio non è importante, importa quello che vuoi tu».
«Ti sembra che ambisca al matrimonio?»
«No e non ti biasimo. Nella nostra famiglia tendono a essere di breve durata».
La battuta uscì più amara di quanto avrebbe voluto, perché drammaticamente vera. Più volte nell’ultimo periodo si era ritrovato a pensare a Lyanna Stark. Forse perché aveva sempre sentito dire che Arya le somigliava e a quanto pareva anche il suo destino, visto che aveva deciso di legarlo a quello di un Baratheon.
Se Lyanna Stark avesse potuto scegliere quante vite sarebbero state risparmiate?
E se l’avesse fatto? Se lo avesse scelto? Se avesse deciso che la sua libertà era più importante del Nord, della famiglia, dell’uomo che avrebbe dovuto sposare? Se si fosse innamorata dell’uomo sbagliato? L’unico che non poteva avere.
Come Sansa.
Se se se…
Se Daenerys avesse visto nel matrimonio tra Arya e Gendry una provocazione invece che un’opportunità? Se avesse scatenato la sua furia sulle case che avevano decretato la fine della sua? Lord Eddard aveva combattuto una guerra per salvare la sorella; Jon non avrebbe messo in pericolo la vita di Arya e Sansa per sfuggire alle proprie responsabilità.
«Il tuo sarebbe un sacrificio inutile. Su quanti alfieri credi possa contare il figlio bastardo dell’Usurpatore? E non mi risulta possieda dei draghi».
Fermare gli Estranei, proteggere Arya e Bran, assicurare il futuro del Nord e di Casa Stark.
Con Sansa ne avevano discusso a lungo e avevano preso una decisione: Jon avrebbe chiesto aiuto alla Regina d’Argento e se lei gli avesse offerto la sua mano avrebbe dovuto accettarla.
«Se Bran tornasse… Il titolo spetterebbe a lui e la Targaryen potrebbe accettare di sposarlo».
Quante cose speravano le sue sorelle. Cose che ignorava sperassero.
Le coltivavano come fiori in un giardino di vetro durante l’inverno. Nascondendo l’una all’altra la paura di vederle sfiorire.
«Bran è il legittimo Re del Nord, la corona è sua e se la troverà sulla testa non appena metterà piede a Grande Inverno ma le sue condizioni… Io rimango il componente della famiglia più adatto a garantire un’alleanza».
E assicurare alla Regina d’Argento una successione.
L’espressione di distaccata ironia della sorella vacillò. Presto avrebbe estratto dalla faretra la freccia che intendeva tirare davvero.
Incoccare, tendere, mirare.
«E le tue di condizioni, Jon? Non puoi sposare quella donna, saresti infelice tutta la vita e Sansa ne morirebbe. Come puoi abbandonarla dopo quello che ha passato? Le si butteranno addosso come cani non appena avrai varcato i cancelli di Grande Inverno diretto a Sud».
Centrare.
Arya non era arrabbiata perché si era innamorato di sua sorella. Era arrabbiata perché era preoccupata per lei. Perché sua sorella soffriva.
«Pensi che non lo sappia? Pensi che non abbia cercato una soluzione per non mettere a repentaglio la sua vita, la tua e quella di migliaia di persone innocenti?»
«Potreste andarvene, scomparire. Ricominciare in un posto dove nessuno vi conosce».
Al Sud. Al caldo. Dall’altra parte del Mare Stretto.
Sansa avrebbe indossato vestiti leggeri e sciolto i capelli.
Lo aveva pensato per un momento – prima di Grande Inverno, di Ramsay, della battaglia – ma lei aveva detto che c’era solo un posto in cui potevano andare.
Casa.
«Non funziona così. Non se ti mettono una corona in testa e ti dicono che sei Re. Non se hai trascinato un intero popolo in una terra ostile per salvarlo da qualcosa di più spaventoso della morte. Non se sei l’unica persona su cui i fratelli che ti sono rimasti possono contare».
Sapeva che le parole di Arya sarebbero state vere e avrebbero fatto male. Che avrebbero mostrato chi era e cosa desiderava e come sarebbe stato giusto prenderselo e sbagliato rinunciarvi. Teneva l’arco stretto nella mano, l’altro pugno serrato lungo il fianco. Da quando era tornata aveva notato come fosse diventata più riflessiva e imperturbabile, nonostante la connaturata impulsività emergesse di tanto in tanto, soprattutto con Gendry.
In quel momento non c’era niente di compassato o impenetrabile in lei. Era di nuovo la bambina irascibile che si azzuffava con i fratelli per far valere le proprie ragioni.
«Mentre te ne starai al caldo con la tua moglie-drago e il culo su quella maledetta seggiola di ferro, tua sorella dovrà combattere per ciò che le spetta di diritto – la sua casa, la sua terra – oppure arrendersi e sposare un idiota. Conosci qualcuno degno di lei, Jon? Della sua intelligenza e gentilezza, del suo lignaggio e della sua forza? Magari qualcuno che non sia violento, che non la veda come un animale da riproduzione o come il più rapido accesso al trono del Nord. Lo conosci, Jon? Io pensavo di sì ma mi sbagliavo».
Sì, ti sbagliavi.
Io sono il più indegno di tutti.
«Basta, Arya. Smettila».
«No, non la smetto. Ho appena cominciato. Che ne dici di Baelish? Ti piacerebbe avere come cognato l’uomo che ha ucciso nostro padre?»
Fu come uno strappo. Un velo che cade e scopre uno spettacolo orribile che fino a quel momento avevamo tenuto nascosto alla vista e ora siamo costretti a guardare.
Eppure sapevamo che c’era. Lo sapevamo.
«Di cosa stai parlando?»
«Non esiste abbastanza oro per chiudere la bocca di un soldato ubriaco, solo la lama; Ditocorto non poteva certo farli uccidere uno per uno. Avresti dovuto sentire le storie che giravano nelle bettole di Approdo del Re. Storie che nemmeno la corte conosceva. Almeno non tutta, sicuramente non la figlia di Lord Stark».
Solo un folle si fiderebbe di Ditocorto.
«Quali storie?»
«Se Sansa lo sapesse cavalcherebbe fino a Nido dell’Aquila per gettarlo lei stessa dalla Porta della Luna e si farebbe ammazzare».
«Sansa non sa cosa
«Lord Baelish è il vero responsabile della morte di nostro padre. Lo ha ingannato e tradito. Si è sbarazzato di lui per arrivare a mia madre ma i Lannister lo hanno preceduto. Allora ha ripiegato su Sansa e ha ingannato e tradito anche lei. Hai avuto il piacere di sentire qualche dettaglio sulle sue nozze? Li hai visti i segni Jon? Io sì».
Sentì il sangue trasformarsi in fuoco, bruciargli le vene e l’aria i polmoni. Allungò la mano verso il tronco più vicino in cerca di sostegno mentre la rabbia divampava come le fiamme su una pira.
Avrebbe dovuto ucciderlo quella notte.
E anche allora non sarebbe stata fatta abbastanza giustizia.
Se lo avesse ucciso mille volte – con le sue mani, dato in pasto a Spettro, lasciato alla furia di Sansa e o alla lama affilata di Ago – non sarebbe stata fatta abbastanza giustizia.
Il pensiero non gli permetteva di respirare. Il dolore che la rivelazione avrebbe causato a Sansa già gli risuonava sordo nelle ossa.
«Quel giorno tu non c’eri. Non hai visto nostro padre, come l’hanno piegato e umiliato, le menzogne di cui si è fatto carico per proteggerci. Non hai sentito le urla di Sansa… »
Le ho sentite nel cuore della notte.
E cercando di zittirle le ho dato solo un altro dolore.
«Basta Arya. Merito il tuo disprezzo per tanti motivi ma basta, ti prego…. Rinunciare a Sansa è l’unico modo che ho per scontare il disonore che porto a me stesso, alla nostra famiglia. A lei. Quello che voglio va contro tutto quello che ci ha insegnato nostro padre, contro tutto quello in cui credo; non mi resta che fare quello che devo».
L’espressione di sua sorella cambiò di nuovo. Si avvicinò e tese la mano verso di lui. Jon la prese e la strinse tra le sue.
«E sia… Vai a Sud, sposa la Madre dei draghi, salva i Sette Regni. Fai quello che ti pare. Ti chiedo solo di aspettare il mio ritorno prima di partire. Riporterò Bran a Grande Inverno e resterò per impedire a Petyr Baelish di rimettere le mani su mia sorella. Se per fermarlo sarò costretta a sposarmi lo farò. Se sarò costretta a ucciderlo lo farò. L’ho già abbandonata una volta. Non sei l’unico ad avere delle colpe da scontare».
Arya appoggiò la fronte contro la sua spalla e chiuse gli occhi. Rimasero lì per un po’ senza altro da dirsi se non quel silenzio.
«Aye, aspetterò. E tu mi perdonerai?»
Sua sorella – Dei, gli sembrava ancora così piccola! Dove erano finite le trecce e le risate? – si aggrappò alle sue braccia e strinse.
«Oh Jon… Non c’è niente da perdonare. Sono stata dura ma non ti disprezzo né ti biasimo. Quello che è successo tra voi… »
«No, non è successo… niente. Niente di irreversibile».
Aveva esitato perché definire quello che c’era tra lui e Sansa niente gli faceva venire voglia di brandire Lungo Artiglio e ricominciare la Battaglia dei Bastardi da capo.
Arya alzò lo sguardo su di lui. Sembrava triste.
«Voglio solo aiutarvi, capire perché… »
«Non puoi. È successo e basta. Perché è così che succede».

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Capitolo 26
*** Una corona di rose ***


«Partirete domani?»
«All’alba».
Sansa guardò la sorella alla ricerca dell’assassina dei Frey e chissà di quanti altri. Non la trovò. Vedeva solo la bambina che si divertiva a tirarle le trecce e umiliava i fratelli nel tiro con l’arco.
«Fai attenzione».
Arya le prese le mani e le strinse tra le sue. Pochi secondi, molti. Per Sansa non aveva importanza. Era penoso separarsi da lei. La paura di non rivederla più le toglieva il respiro.
«Riporterò Bran a casa».
«Sarebbe meglio se Jon vi accompagnasse».
Dei se le costava dire una cosa del genere! Jon e Arya lontani. A Nord della Barriera. Solo il pensiero la faceva impazzire ma per i suoi fratelli – per ciò che rimaneva della sua famiglia – doveva essere disposta a sacrificare anche la pace della sua mente.
«Il Re è atteso a Ultimo Focolare e poi non sarò sola, verrà il Toro con me».
«Arya, ora Gendry è un Baratheon».
Jon lo aveva legittimato. Sempre che valesse qualcosa agli occhi dei Sette Regni. Non si era forse presa gioco di Ramsay quando Tommen aveva fatto di lui un Bolton?
Poteva quasi vederla l’espressione livida di Cercei, la granitica certezza che ci fosse lei dietro a quella provocazione. Una volta tanto non si sarebbe sbagliata.
Sansa avrebbe dovuto avere paura – Cercei sapeva essere crudele con i suoi nemici – ma non ne aveva. Jon e Arya in viaggio sarebbero stati al sicuro; nessuno, per quanto tentato dall’oro dei Lannister, si sarebbe diretto a Nord nel pieno di un inverno che prometteva di essere feroce quanto lungo. Della Regina Folle si sarebbe occupata Daenerys Targaryen e per quanto Sansa la odiasse – Arya la odiasse – il suo destino non le riguardava.
Quello di Ditocorto invece sì.
Nelle settimane di solitudine che l’attendevano avrebbe pensato a un modo per presentargli il conto. Se fosse successo qualcosa a Jon o Arya sarebbe andata lei stessa a riscuoterlo. Ci sarebbe stata una sorta di poetico equilibrio in quella vendetta sebbene non perfetto. Se Catelyn Stark fosse stata ancora viva… Ma non lo era e Sansa avrebbe preso il suo posto come lo stesso Ditocorto aveva tanto desiderato.
Sarebbe stata una morte fin troppo dolce per lui. Se Cercei avesse scoperto il responsabile della morte del suo amato Joffrey avrebbe elaborato qualcosa di meno raffinato ma sicuramente all’altezza. Equo non lo sarebbe stato mai. Nessuno le avrebbe restituito suo padre o sua madre. Robb e Rickon.
Cercava di non pensare a Bran. Di non crederci. Per non ritrovarsi con il cuore spezzato qualora Arya non fosse riuscita a trovarlo.
Se fosse tornato a Grande Inverno, Jon gli avrebbe ceduto la corona e Sansa sarebbe rimasta al suo fianco. Il fratellastro, accompagnato da Gendry e Ser Davos, si sarebbe mosso verso Sud in cerca di alleati e per chiedere udienza alla Madre dei draghi.
Dicevano fosse bellissima. La più bella donna del mondo.
Occhi d’ametista e capelli d’argento.
Gli Stark e la rinata casa Baratheon avrebbero offerto a Daenerys sostegno nella guerra contro i Lannister e – se l’avessero vinta – un’alleanza sicura nel mantenimento della pace. Una pace possibile solo se fossero riusciti a sconfiggere gli Estranei.
Jon era sicuro che la Regina d’Argento avrebbe compreso il pericolo e mandato i suoi draghi a combattere per la salvezza dei Sette Regni. Sansa era sicura che Daenerys lo avrebbe voluto come marito e se lo sarebbe preso. Solo una pazza non lo avrebbe fatto.
Non c’era una sola parte di quel piano che non odiasse e lo odiava ancora di più sapendolo necessario. Stava per perdere tutto, facendo nient’altro che il suo dovere.
Famiglia, dovere, onore.
«Dovresti sposarlo».
Arya sbuffò insofferente e alzò gli occhi al cielo.
«Ancora questa storia? Jon è convinto che sia pericoloso; non vorrai contraddire il Re del Nord».
Lo disse senza nascondere l’ironia. Non era fatta per inginocchiarsi davanti a un Re nemmeno se si trattava del suo adorato fratello maggiore.
Sansa si lasciò sfuggire un sospiro. Sarebbe stato così bello. Un matrimonio come l’aveva sempre sognato. Sarebbe stato bello anche se non era il suo. Avrebbe condotto la sorella davanti all’albero del cuore e Jon avrebbe incespicato nel pronunciare la formula del rito. Al banchetto lo avrebbe preso in giro sussurrandogliela all’orecchio.
Chi viene al cospetto degli Antichi dei questa notte?
Le avrebbe ricamato il vestito con le sue mani e intrecciato i capelli. Forse c’era ancora quello della madre da qualche parte e l’avrebbe modificato per la sorella. L’abito indossato per le nozze con Ramsay sarebbe stato più adatto ma non esisteva più. Sansa ne aveva fatto bende e pezze e le aveva regalate alle donne di un clan dei bruti.
«Sono l’ultima persona al mondo che può convincerti a considerare il matrimonio come la scelta migliore per una donna. Ho imparato da te e Brienne che esistono altre strade sebbene non tutte siano nate per diventare guerriere. Non come voi – ma tu sei fortunata. Puoi scegliere di sposare o non sposare l’uomo che ami invece di essere costretta a sposarne uno che disprezzi. A me è successo due volte. Il primo è stato un marito gentile ma non lo avevo scelto né lo amavo. Il secondo… Ero convinta che avvicinandomi al mostro sarebbe stato più facile distruggerlo. Invece lui ha distrutto me, in così tanti pezzi… Credo di non averli trovati ancora tutti».
«Ti sei fatta giustizia».
«Per Rickon e me. Non per tutti ma l’avrò».
Sarebbe bastato un corvo. Un corvo per la Regina Folle.
A lui era bastato per uccidere suo padre e scatenare una guerra.
«Sansa, giurami su nostra madre che non farai sciocchezze. Non è per questo che ti ho detto di Baelish».
«No, infatti. Me l’hai detto perché vuoi che vendichi nostro padre nel caso tu e Jon non tornaste».
«Solo nel caso in cui io e Jon non tornassimo». Un sorriso le increspò le labbra ma tornò subito seria. «Nessuna vendetta vale la vita di mia sorella e il Nord ha bisogno di te. Non tutte sono nate per diventare Regine. Non come te».
Regina.
Era esistito un tempo in cui aveva sognato di diventarlo. Stentava a ricordare quel tempo e quei sogni e non avrebbe esitato un istante a cedere la corona invisibile che aveva sulla testa per la libertà di Arya. Era altrettanto effimera ma meno pesante.
Se solo sua sorella lo avesse capito.
Chi viene al cospetto degli Antichi dei questa notte?
Sansa di Casa Stark.
«Sposarsi per amore è un dono degli dei… ».
«Sansa… »
Viene per sposarsi. Viene qui per chiedere la benedizione degli dei.
«Un giorno un’altra donna potrebbe unirsi a chi avresti scelto per te e non potrai fare altro che rimanere a guardare. Sposalo, tu che puoi. Sposalo».
La neve cadeva fitta nel cortile di Grande Inverno. Un dolore rapido come un fulmine passò negli occhi grigi della sorella.
Chi la chiede in sposa?
«A volte mi domando come ci riesci».
«A fare cosa?»
«A ottenere sempre quello che vuoi… »
Jon di Casa Stark. Re e Protettore del Nord e Lord di Grande Inverno.
«Quindi… »
Sarebbe stato bello. Sarebbe stato bello anche se non era il suo.
L’avrebbe accompagnata davanti all’albero del cuore e Jon avrebbe incespicato nel pronunciare la formula del rito.
E gli dei sarebbero stati più clementi con Arya.
Dovevano essere più clementi.
«Stasera Sansa. Non avrai il tempo di fare le cose a modo tuo. Niente vestiti ridicoli o fiori tra i capelli, non voglio… »
«Stasera?»
Lady Sansa vuoi prendere quest’uomo?
«Aye. Domanda al Re del Nord se prima di partire ha il tempo di unire due casati».
Prendo quest’uomo.
Gli unici testimoni al cospetto degli alberi diga, oltre ai fratelli, furono Ser Davos e Brienne di Tarth. La neve e la notte benedirono gli sposi.
Sansa era riuscita a trovare una bandiera logora del perduto esercito di Stannis Baratheon e aveva lavorato l’intero pomeriggio per ricavarne un mantello. Aveva allertato le cucine che predisponessero una cena per le grandi occasioni, fatto allestire in fretta e furia una camera nuziale. Jon era stupito dall’efficienza con la quale aveva organizzato un matrimonio in così poche ore. Lui non era riuscito nemmeno a imparare la formula del rito. La voce gli era mancata mentre legava la mano di Gendry a quella di Arya.
Aveva visto Sansa venirgli incontro attraverso il Parco degli dei.
E aveva immaginato altre mani.
La partenza era stata rimandata di un giorno per permettere agli sposi di trascorrere a Grande Inverno la prima notte di nozze e agli altri di riprendersi dal banchetto. La festa avrebbe aiutato a scacciare la malinconia dell’imminente distacco.
Osservava le sorelle, sedute accanto a lui, brindare e ridere. Sembravano felici. Gendry aveva occhi solo per Arya. La contemplava come fosse un miracolo degli antichi dei e forse lo era davvero.
Jon aveva proibito la messa a letto della sposa, per evitare inutili spargimenti di sangue. Dubitava che la sorella si sarebbe fatta mettere le mani addosso da qualcuno che non fosse il marito o che il marito avrebbe permesso a qualcuno di farlo e di ritrovarsi ancora le mani.
Quando lasciarono la sala, nessuno se ne accorse. Una volta tanto erano stati discreti.
«Brindiamo al primo di una serie di felici matrimoni Stark».
Aveva capito subito che non era in sé. Gli occhi erano lucidi e aveva parlato con un tono di voce più alto di quello che avrebbe usato normalmente.
«San… »
«Non temere, fratello. La Madre dei Draghi organizzerà per te un matrimonio regale».
Portò di nuovo il calice alle labbra. Jon cercò Brienne con lo sguardo senza trovarla. Non aveva idea di quanto la sorella avesse bevuto e non voleva che si sentisse male o si rendesse ridicola davanti agli alfieri. Il giorno dopo gli avrebbe cavato gli occhi.
«Andiamo, ti porto a letto».
Lo disse piano per non farsi sentire da chi li circondava.
«Non ne hai il coraggio, Jon Snow».
Il vino l’aveva resa tagliente, perché era infelice e nonostante tutto – nonostante il disprezzo che provava per se stesso, la frustrazione e la vergogna – l’unica cosa che non riusciva a perdonarsi era il dolore di Sansa.
L’aiutò ad alzarsi e non oppose resistenza. Avrebbe riservato grida e strepiti solo per le sue orecchie. Rimaneva una perfetta Lady, nonostante i bicchieri di troppo.
Durante il tragitto fino alle sue camere rimase in silenzio ma sembrava in grado di camminare da sola. Forse era meno ubriaca di quanto avesse pensato.
Avrebbe voluto aiutarla a coricarsi ma lo allontanò con un gesto e iniziò a prepararsi per la notte.
«Ti faccio portare del latte di papavero».
Era la prima scusa che gli era venuta in mente per lasciare la stanza.
«Non voglio il latte di papavero».
Dei! Assomigliava maledettamente a sua madre quando faceva così.
«Allora cosa vuoi San? È un giorno di festa, possiamo godere della felicità di nostra sorella senza tormentarci?»
Era stanco. Stanco di lottare per tutto. Aveva lottato tutta la vita. Per farsi accettare. Alla Barriera. Al di là di essa. Contro i bruti. Per i bruti. Contro gli estranei. Per Grande Inverno. Per sua sorella. Contro se stesso.
«Nell’attesa di godere della tua felicità?»
Aveva liberato i capelli. Un mare di fiamme che le incendiava le spalle. Il fuoco era stato acceso dai servi perché la Lady di Grande Inverno trovasse la stanza calda e accogliente. Per Jon era troppo di entrambe le cose.
«Abbiamo preso una decisione. Non chiederò a Daenerys Targaryen di sposarmi».
«Ma lei vorrà sposare te».
Si era avvicinata. Un’espressione dolente e furiosa negli occhi.
Perché desiderare un drago quando si può avere un lupo?
«Se ne farà una ragione. Appartengo a un’altra».
Aveva sciolto i lacci del vestito, lasciandolo cadere a terra. Sotto indossava solo una veste leggera. Fece un altro passo verso di lui ma non lo toccò. Lo guardò da sotto le ciglia come aveva fatto nel Parco degli dei quando aveva accompagnato Arya all’albero del cuore.
«Per appartenersi bisogna donarsi».
Un altro passo. Poteva sentire il profumo del limone e della lavanda attraverso il lino della tunica. Socchiuse gli occhi, inspirò a fondo.
«Sansa, sei ubriaca. Non sai quello che dici».
Non l’aveva più toccata da quella sera nel solarium. Non come avrebbe voluto. Non come voleva sempre. Si era guardato bene dal bere durante il banchetto. Sansa era troppo bella, la partenza troppo vicina, i suoi nobili propositi troppo fragili.
«Ma so quello che voglio».
Lo sussurrò inclinando la testa. Le labbra rosse per il vino che aveva bevuto.
Jon le sfiorò con il pollice per cancellarne le tracce. Lasciò scorrere le dita lungo la linea della mascella. Sansa posò le mani sulle sue e si protese verso di lui. I modi seducenti erano scomparsi, erano rimasti solo il bisogno e lo stupore sulle labbra dischiuse e negli occhi lucidi. Era ancora più pericolosa nella sua vulnerabilità perché si era reso conto in quel momento di come l’amava e quanto.
Era tutto. Sangue che corre, ossa, pelle e nervi. Il nodo stretto in tasca come un pugno per non dimenticare. Lo scorrere dell’acqua in fondo ai suoi pensieri. Mani legate e neve che cade nel Parco degli dei.
La strinse avvolgendola nel mantello e si rannicchiò contro di lui. Tremava e batteva lentamente le palpebre forse per combattere il sonno.
«Se dobbiamo bruciare nei Sette Inferi, sarebbe infinitamente meglio se tu ricordassi perché ci siamo finiti».
La prese in braccio e la mise a letto. Dopo essersi tolto stivali e mantello si distese accanto a lei sotto le pellicce. Stava già scivolando dalla veglia al sonno. La voce piccola, le dita sul suo cuore.
«Sono il tuo amore?»
«Il mio amore, la mia bella e dolce Sansa. La mia regina di amore e bellezza».
Era tutto. Giorni chiari d’estate e notti che bruciavano troppo velocemente le ore. Consolazione e senso. Paura, speranza anche. Ginocchia sbucciate che non sarebbero state loro ma avrebbero fatto ancora più male.
Posò le labbra sulla sua fronte mentre il sonno guadagnava terreno nella battaglia contro di lui. Sansa strinse appena la stoffa sotto le dita. I sogni già intrecciati a quelli di Jon.
O sono solo ricordi che non ci appartengono?
«Un giorno mi donerai una corona di rose?»
«Sì, San. Tutte le corone che vorrai».

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Capitolo 27
*** La mia più lunga notte ***


Tormund ride e gli batte la mano sulla spalla.
Per cosa rideva?
Jon non riesce a ricordarlo.
Non ricorda più niente.
In fondo al cortile qualcuno affila una lama.
La sua.
Quella mattina era senza spada.
Ma è a casa. Nel cortile del palazzo di suo padre.
Dove è cresciuto, si è allenato con Robb, insegnato a Bran e Arya a tirare con l’arco. Seguito Sansa con lo sguardo, troppo intenta a fantasticare per accorgersi di lui.
Il sole non è ancora alto e quando lo sarà non si farà vedere. L’aria è ferma ma gelida, il cielo plumbeo promette altra neve. Sarà un lungo viaggio.
Dicono che alcuni giorni sono diversi dagli altri.
Dicono che si vede fin dal mattino.
Sente stridere la mola del fabbro contro l’acciaio di Valyria. Sembra un lamento.
Il pelo di Spettro si confonde con la neve caduta sul terriccio. Il fango smosso dai passi degli uomini e dei cavalli ghiaccia ogni notte; Sansa ha ordinato di gettare sale lungo i percorsi più battuti.
Se potessi ti farei strada da Grande Inverno fino a Ultimo Focolare.
Se potessi.
La vede con la coda dell’occhio camminare accanto al metalupo. I capelli nascosti sotto il cappuccio, avvolta in un mantello pesante e ruvido che a ogni passo si attorciglia alle gambe. Non è suo, è di Jon. Ha chiesto di averlo prima che partisse e l’ha avuto.
Lo indossa con la solita grazia, attenta a non sporcarne l’orlo e non sciuparlo come fosse intessuto della lana più fine.
È solo un vecchio mantello San.
Mi terrà caldo mentre tu non ci sei.
Si muove in mezzo agli uomini che affollano il cortile. Anche se è presto, anche se è freddo.
Soldati della guardia, viandanti, artigiani.
Davos dà gli ultimi ordini al capitano della sua scorta e sfiora distratto il sacchetto di pelle che porta appeso al collo.
Scaramanzia.
È giorno di mercato e il Re sta per partire.
Deve fare il suo dovere.
Deve.
Dicono che lo senti quando sta per accadere qualcosa.
Lui non aveva sentito niente.
Arya esce dal palazzo, l’arco in spalla. Indossa i guanti fatti per lei dalla sorella.
Al resto del bagaglio aveva pensato Sansa. Anche a quello di Jon.
Stanno lasciando Grande Inverno. Di nuovo.
Forse è un errore. Forse non dovrebbero farlo.
La prima volta lo era stato e lo avevano pagato caro.
«Lady Stark!»
Catelyn.
Jon alza lo sguardo verso il ballatoio aspettandosi di scorgere la madre dei suoi fratelli accanto al padre. Arya no. Ricorda che sono morti tutti – la madre, il padre, i fratelli – e guarda dritto davanti a sé.
Dicono che lo capisci quando sta per accadere qualcosa.
Lui l’aveva capito troppo tardi.
Poi li avrebbe interrogati cento, mille volte i soldati della guardia.
Chi era? Da dove veniva? Chi lo ha fatto passare?
Avrebbero confessato di non averlo visto. Avrebbero giurato che fosse sbucato dal nulla.
Sembrava un mercante. Un uomo normale.
Ha detto di avere una lana speciale per la Regina del Nord.
Una donna gliel’ha indicata.
Solo le cose più belle per la nostra Regina.
La lama sottile scintilla nell’aria.
A pochi passi da lei.
Uno due tre.
Non arriverà mai in tempo. È troppo distante ed è senza spada.
Sansa.
Si volta verso di lui. Dischiude le labbra per lo stupore mentre il pugnale le manca il cuore ma affonda nel mantello – nella veste e poi più a fondo – così velocemente da non lasciarle emettere un fiato.
Un fiore rosso si allarga sul suo petto.
La lama si impiglia nelle stoffe pesanti e non riesce a colpire una seconda volta. Non colpirà più niente.
Una freccia per la lama. Una freccia per la mano. Una freccia per chi la impugna.
L’uomo perde l’equilibrio ma Spettro non aspetta che tocchi suolo. Quando avrà finito di lui non rimarrà più niente.
Come di me.
Inghiotte l’aria, non riesce a respirarla. Gli sembra di annegare.
Non ricorda di aver attraversato il cortile e di averla afferrata prima che cadesse nella neve.
Le mani strette al petto, lo sguardo incredulo.
Sono arrivati fino a te. Sotto ai miei occhi. Nella nostra casa.
Sono arrivati fino a te.
Né di aver chiamato Tormund, Davos, il Maestro e tutti gli dei.
Se ci fosse stato Sam. Se Sam fosse stato lì.
Se ci fosse stato suo padre. Se Robb fosse stato lì.
Non ricorda di averla scongiurata di resistere, di non lasciarlo – Sansa amore, Sansa no – mentre la stringe correndo verso il palazzo. Né l’acqua bollente e le bende e gli ordini di Brienne alle serve perché lui non è in grado di dire o pensare niente.
Tormund chiama la guaritrice più anziana e trovami del latte di papavero.
Subito.
Voi due mettete a bollire dell’acqua e qualcuno porti il Re fuori di qui.
Non ricorda i passi di sua sorella, cento mille duemila, avanti indietro, sulle assi di legno, davanti alla camera dei loro genitori. Le lacrime, la rabbia, i pugni contro la porta.
Perché non ci lasciano entrare?
Jon, sei il Re maledizione! Dì loro di farci entrare.
Brienne, è così che onori la promessa fatta a mia madre? Apri la porta!
Non ricorda l’ululato dei lupi.
Dicono che il metalupo del Re abbia pianto fino all’alba.
Né le preghiere di Ser Davos di mangiare, dormire, lasciar passare la notte.
La guaritrice aveva detto che se l’indomani la Regina si fosse svegliata sarebbe sopravvissuta.
Il sangue si è fermato Re Corvo e la lupa rossa è forte.
Non ricorda niente.
Non ricorda di aver respirato, pensato, camminato.
Pregato.
Non lei, vi prego. Non lei.
Ci sarebbe troppo buio in questo mondo senza di lei.
Non può essere questa la mia notte più lunga.
È pronto a morire. Non dovrebbe nemmeno essere vivo. Ha avuto un’altra occasione, un dono degli dei bello e terribile. Un dono che è pronto a restituire. Sa che potrebbe accadere in qualsiasi momento: in battaglia, per mano di un nemico o di un amico, nel tentativo di difendere la sua famiglia o la sua casa. È pronto ma non è pronto a perdere Sansa.
Un nastro per capelli verde smeraldo. Giochi di bambine nel cortile.
La testa china su un libro di canzoni e un sospiro sulle labbra.
Dita agili su stoffe preziose. L’indifferenza anche e gli sguardi sprezzanti.
Tutto il male che le avevano fatto e quello che aveva cercato di riparare.
Sansa che non esiste. Sansa che non ride non cammina non balla non si china su Spettro.
È un pensiero che non riesce a formulare. Non riesce a immaginarlo.
Non c’è niente dopo quel pensiero. Solo oscurità.
Osserva il sangue dissolversi nell’acqua della bacinella. Quello che gli è rimasto sulle mani e che Arya ha pulito. Non riusciva più a guardarle.
Non ricorda di essere esistito in tutte quelle ore che lo avevano separato dall’alba.
Erano state mille. Erano stati anni.
C’era come una bolla di niente tra lo scintillio della lama nell’aria tagliente del mattino e il suono della voce di Sansa. Lo sguardo azzurro dietro le palpebre socchiuse.
«Jon».
Dicono che lo sai quando prendi una decisione che cambierà tutto.
Lui ha avuto una notte intera – mille notti lunghe anni – per decidere.
Si china su di lei, le bacia la fronte, le labbra. Le dice cose che non hanno senso o ne hanno molto. Le dice quello che non le ha detto mai. Non ancora.
Non ricorda se è solo nella stanza. Forse c’è Arya, forse dorme. Forse no.
Non importa. Sansa annuisce, sorride, stringe i denti mentre il dolore attraversa la ferita. I punti della guaritrice tirano appena sopra al cuore.
Le farà male, rimarrà la cicatrice – un’altra mia bella Sansa e la indosserai come indossi la tua corona – non importa. La medicherà, la bacerà, cercherà di lenirne il dolore. Non è quello che un Re fa per la sua Regina?
Se fossi ferita o malata, permetteresti a qualcuno di prendersi cura di me al posto tuo?
Non lo permetterei a nessuno, in nessun caso.
In fondo non c’era niente da decidere. Niente che non avesse deciso quel giorno sulla Barriera.
«Jon vieni qui adesso. Davos ha ragione, dovresti riposare un po’».

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Capitolo 28
*** Vetro di drago e ali di corvo ***


Sansa non riusciva a distinguere le parole che provenivano ovattate da dietro la porta di quercia. Spettro aveva fatto scricchiolare le assi del pavimento e avevano abbassato la voce, forse credendola sveglia. Lo era in effetti e origliare era l’unico modo per capire cosa avessero in mente i suoi fratelli.
Maestro Rudhol era stato chiaro. A Sua Altezza dovevano essere risparmiate fatiche, preoccupazioni o notizie che le arrecassero dolore o agitazione. Ishta – la guaritrice che si era occupata di lei quando era stata ferita – lo aveva guardato come fosse lo scemo del villaggio.
Cambia le bende due volte al giorno e non agitare le braccia.
Questi stupidi uomini del Sud pensano che tu sia fatta di vetro.
Non sanno che è vetro di drago.
Jon aveva sorriso orgoglioso. Poi aveva dato retta al Maestro.
Sansa sapeva perché. Se si fosse alzata dal letto avrebbe voluto dire che si sentiva meglio e se si fosse sentita meglio sarebbe dovuto partire. E Jon non voleva partire.
«Come sta?»
«Tra qualche giorno sarà in grado di alzarsi. Possiamo tenere la guaritrice e cacciare il Maestro?»
«Arya… »
«Era solo un’idea».
Jon aveva mandato un corvo alla Cittadella pregando Sam di tornare. Chiedeva molto all’amico, se ne rendeva conto. Abbandonare gli studi, affrontare un lungo e pericoloso viaggio con Gilly e il bambino. Sarebbero stati più al sicuro a Vecchia Città ma la Lunga Notte stava per arrivare e aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile.
«Posso vederla?»
«No, lasciala riposare. Si agita troppo quando vai a trovarla».
Era vero, Jon le rendeva impossibile stare tranquilla. Si comportava in modo strano da quando aveva rischiato di morire. Si comportava più come un marito che come un fratello e lo faceva davanti a tutti. Parlava poco – ancor meno del solito – e la guardava come se fosse stata un miracolo. Sansa sentiva le guance andare a fuoco e il cuore battere più veloce. Se fossero rimasti soli l’avrebbe baciato tutto il tempo ma non rimanevano mai soli.
Brienne rimaneva ore al suo capezzale come se la forza del suo sguardo avesse il potere di cicatrizzare più in fretta la sua ferita o accelerare la sua guarigione. Sansa apprezzava la lealtà della sua spada giurata ma non avrebbe disdegnato qualche momento sola con Jon.
Non avevano avuto modo di parlare di ciò che era successo, di quello che le aveva mormorato convinto che Sansa fosse troppo distante per sentirlo. Invece lo aveva sentito e lo ricordava. Era impresso a fuoco nella sua mente e come fuoco le bruciava il sangue.
Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Da sempre, da quando ho memoria.
Ci sei sempre stata tu, solo tu.
Sei tutte le mie bugie, le mie colpe, i miei giorni migliori.
Sei tutto ciò che ho sempre desiderato e ciò a cui ho cercato di sfuggire per tutta la vita.
Ma sei venuta a cercarmi anche sulla Barriera e non posso più scappare.
Non voglio più scappare.
Aveva il sospetto che fosse quello il motivo per cui Jon preferiva non rimanere solo con lei. Non che avesse fatto qualcosa di sconveniente o scandaloso, nemmeno la sfiorava. Non ne aveva bisogno. Come la guardava, le attenzioni che le dedicava erano una dimostrazione sufficiente.
Gli alfieri erano andati su tutti le furie quando l’aveva proclamata Regina e Protettrice del Nord. Temevano che volesse abdicare a favore della sorella ma Jon aveva spiegato che non stava rinunciando alla corona, la stava solo condividendo.
Sansa gli era grata di quel riconoscimento pubblico ma temeva le conseguenze. Sapeva quanto potessero essere pericolosi degli alfieri scontenti.
«La tua partenza?»
«Se anche domani sarà senza febbre partirò. La tua?»
«Ho chiesto a Davos di precedermi, rimanderò quanto mi sarà possibile».
«Lei vuole che tu parta».
«Se è per quello non vede l’ora di sbarazzarsi anche di te».
Peccato non avesse ottenuto grandi risultati. Potevano esserci altri sicari pronti a colpire o spie ansiose di collaborare. La notizia del fallito attentato a Sansa Stark poteva essere giunta al mandante, altre mani potevano essere in attesa nell’ombra. Jon e Arya dovevano partire, Grande Inverno non era più un luogo sicuro.
«Potrebbe rimanere Gendry con lei».
Assolutamente no.
Non avrebbe privato la sorella dell’unica protezione che avrebbe avuto al di là della Barriera. Tentò di alzarsi da letto, desiderosa di intervenire ma i punti tirarono ferocemente e affondò i denti nel labbro fino a farlo sanguinare. Chi voleva prendere in giro? Ridotta com’era non avrebbe fatto un passo.
«Gendry verrà con te. Resterò io».
«Devi partire Jon. Cominciano a girare delle voci».
«Quali voci?»
«Che la corona non sia l’unica cosa che condividi con Sansa».
Era sempre stata solo questione di tempo. Per quanto casto quello che c’era tra loro era evidente. Presto qualcuno ne avrebbe messo in dubbio la convenienza, avrebbe iniziato insinuare che dietro all’amorevole attaccamento fraterno ci fosse qualcosa di torbido.
«Non è vero».
«Chi ti è fedele lo sa ma i nostri nemici attendono solo un passo falso per colpirci. Gli alfieri sono inquieti, pensano tu stia trascurando i tuoi doveri per amore di una sorella della quale viene ancora messa in dubbio la fedeltà e guardano già a questo trono come una sedia da occupare. Se l’aggressione fosse stato un modo per mostrare il tuo punto debole e compromettere la posizione degli Stark al Nord?»
«È una sua idea vero?»
Lo era. Ne aveva parlato con Arya convinta che avrebbe fatto un buco nell’acqua, invece con sua somma meraviglia la sorella la condivideva.
«Chi sta dietro a tutto questo non si arrenderà fino a quando non avrà ottenuto ciò che vuole».
Ferire Jon attraverso di lei.
Distruggere gli Stark, forse distruggere tutto.
«Non possiamo dimostrarlo. Sarebbe la nostra parola contro la sua».
«Sarebbe guerra, un altro fronte che non ci possiamo permettere: Nido dell’Aquila è inespugnabile».
«Non dall’alto».
Ancora la Targaryen. Sembrava essere diventata la soluzione a tutti i loro problemi mentre Sansa ne era la causa.
«C’è da sperare che tu piaccia alla Regina D’argento Jon, altrimenti siamo spacciati».
Sarebbe stato divertente se non fosse stato tragico. Per Arya il confine tra le due cose era sempre stato piuttosto sottile. Coma la lama di Ago.
«Ci aiuterà».
Lo farà. Deve farlo.
Non esiste prezzo che io non sia disposta a pagare.
Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Quello che ho passato l’ho attraversato per arrivare a te.
Per vederti, capirti, meritarti.
E lo attraverserei di nuovo mille volte.
«Daenerys Targaryen ci odia. Il padre di Gendry ha ucciso suo fratello al Tridente e nostro padre lo ha aiutato a rubargli il trono. Senza contare quello che è stato fatto al resto della sua famiglia».
«Quello che i Lannister hanno fatto alla sua famiglia. E alla nostra».
«Pensi che basterà? Potrebbe accettare un’alleanza per uno scopo comune e aiutarci contro gli Estranei per il bene del Regno ma una volta schiacciato il leone e scacciato il gelo perché dovrebbe inimicarsi una casa potente come quella degli Arryn?»
«Petyr Baelish è un uomo pericoloso e intrigante, difficile da tenere sotto controllo. Le racconterò cosa è stato capace di fare per raggiungere i suoi scopi. Non sembra il genere di Regina da apprezzare un uomo come lui».
«E un marito innamorato di un’altra lo apprezzerà? Perché quando le chiederai di distruggere l’uomo che pretende di sposare tua sorella e forse ha cercato di ucciderla potrebbe venirle qualche sospetto».
Innamorato di un’altra.
«Sansa può sposare chi le pare o non sposarsi affatto. È Regina del Nord ora».
«Pensi di essere stato furbo, vero? Raccontalo ai tuoi alfieri o a Daenerys Targaryen. Ci sono troppe regine e un solo Re».
«Hai qualche altra soluzione?»
Non una soluzione. Una verità. Una verità che Sansa non vedeva l’ora di condividere con chi avrebbe risolto il problema una volta per tutte. Il messaggio era scritto, doveva solo legarlo al volo di chi l’avrebbe consegnato. Non avrebbe affidato ad altre mani la sua vendetta. Ancora qualche giorno e sarebbero volati i corvi.
«Ci penserò io. Trovato Bran mi occuperò del responsabile della morte di mio padre».
Era una promessa. Poteva sentirlo nella voce della sorella, anche se non poteva vederla. Arya se ne sarebbe fatta una ragione, Lord Baelish era sulla lista di Sansa. Era il suo compito in quella assurda guerra di sangue, vendetta e dolore.
Non le rimaneva che sperare di potersi alzare al più presto dal letto. E fare la sua parte.
Si trattava solo di consegnare ad ali scure ancor più oscure parole.
Oscure ma vere.

 
Non è per darti sollievo o pace che ti consegno la verità che stai cercando. Solo per evitare altro male, altro sangue, altre menzogne e con la speranza che la rabbia e la vendetta consumino ciò che rimane di te.
Non esiste cura per il tuo dolore e provo pena per te, forse l’ho sempre provata. Ho scoperto che siamo più simili di quanto pensassi, l’unica differenza è che sei sempre stata più impotente di me.
Che le fiamme verdi che tanto ami ti divorino e divorino chi ha distrutto la tua e la mia casa.
Chi mi ha privato del padre ti ha privata del figlio.
Se dicessi che non ne ho gioito mentirei come tu hai gioito della morte di mia madre e di mio fratello. Una gioia che hai pagato cara ma non abbastanza. Mettila sul conto di tuo padre, dall’inferno pagherà i suoi debiti.
Non ci sarò per vederti bruciare né vedrò ardere la città maledetta su cui regni.
È tutto ciò che ti rimane e che rimane a me.
Fuoco e sangue.
 
Sansa Stark
Regina e Protettrice del Nord e Lady di Grande Inverno

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Capitolo 29
*** Una questione di fede ***


Jon era finalmente partito con Tormund per raggiungere Davos a Ultimo Focolare prima di dirigersi verso il Dono di Brandon e sedare il conflitto tra i clan mandati in quelle terre. Aveva portato anche Spettro con sé, nonostante avesse insistito affinché rimanesse con Sansa.
«Ti farei precedere da lui al tuo ritorno e saprò che stai per arrivare».
Non le rimaneva che aspettare. Ser Davos aveva proibito i corvi.
Ne era partito uno soltanto ma Davos non lo sapeva.
«È troppo pericoloso, mia signora».
Non aveva loro notizie da settimane e l’inverno procedeva implacabile.
Si era alzata dal letto e cercava di tenersi occupata, nonostante la ferita le desse qualche fastidio. Era stata impegnata a rivedere l’economia della casa, razionare le scorte di cibo e legna, preoccuparsi che gli alloggi della servitù e degli abitanti di Grande Inverno fossero adatti ai rigori della stagione. Aveva fatto chiudere una parte del palazzo e spostato gli abitanti in una sola ala del castello per non disperdere quel poco di calore accumulato nelle stanze. Nel vecchio spogliatoio di sua madre aveva fatto allestire un laboratorio di cucito e radunato alcune donne perché convertissero tendaggi e vecchi vestiti in abiti più pesanti e coperte. Sansa trascorreva con loro la maggior parte del suo tempo, filando tessendo e cucendo. Tenere le mani occupate le teneva occupata anche la mente. Nei pochi momenti in cui si era permessa di riposare l’angoscia per i suoi fratelli l’aveva stretta in una morsa.
Sam aveva scritto prima di partire dalla Cittadella. Diceva che era impossibile prevedere la durata dell’Inverno ma i Maestri più anziani avevano dichiarato che sarebbe stato lungo, più lungo di quanto gli abitanti dei Sette Regni potessero ricordare. Sansa non stentava a crederlo e Jon e Arya erano là fuori, da qualche parte…
«Mia signora, la vedetta dice che un piccolo gruppo si sta avvicinando. Vengono da Nord».
Brienne la guardava in attesa di un ordine o di essere congedata. La fronte aggrottata in una muta preoccupazione. Sansa era dimagrita. Aveva dovuto stringere tutte le vesti e una tosse cattiva la teneva sveglia di notte. Il capitano delle guardie aveva spostato gli alloggi più vicino alle sue stanze e spesso, quando si svegliava urlando, bussava alla porta per chiederle se si sentisse bene. Una vicinanza che apprezzava solo in parte. La notte non sognava più Ramsay né i mastini che lo divoravano ma Jon. Ucciso dagli Estranei. Disperso in una tempesta di neve. Nel tempio di Baelor che poggiava il mantello degli Stark sulle spalle della Regina d’Argento.
«Si tratta dei miei fratelli? Avete visto il metalupo del Re?»
«La tempesta è troppo violenta, mia Signora. La vedetta ha riferito solo che si tratta di un piccolo convoglio. Desideri che vada loro incontro?»
Se fosse stata una trappola?
Se l’intento fosse stato quello di allontanare Brienne?
Jon aveva lasciato la Guardia Reale a difesa sua e del Palazzo ed era partito solo con gli uomini di Ser Davos e alcuni bruti a seguito di Tormund. Se fosse successo qualcosa a Brienne non se lo sarebbe mai perdonata. Sapeva quanto le fosse costato vedere partire Tormund senza poter andare con lui.
«Porta la guardia di Lady Mormont con te».
Avrebbe desiderato andare con lei. Correre incontro ai suoi fratelli. Rivedere Jon.
Ma doveva esserci sempre uno Stark a Grande Inverno.
«Se vedete Spettro, suonate il corno».
«Devo parlare con Jon, Sansa. È importante».
Il fratello che aveva creduto morto era seduto di fronte a lei. Il bambino che aveva salutato quando era partita da Grande Inverno non c’era più. Era cresciuto, era diventato un uomo sebbene fosse ancora tanto giovane. Oppure era lei a sentirsi vecchia, più vecchia della sua età.
Gli aveva preso il volto tra le mani. Disegnato i contorni di naso, occhi, bocca. Cercato sua padre e sua madre. Cercato se stessa e Arya e Robb e Rickon.
Rickon faceva ancora così male. Così male.
E Jon.
Non riusciva a mandare giù il cuore. Lo aveva impigliato in gola da quando avevano varcato i portoni della loro casa. Nelle lunghe notti in cui era rimasta in attesa che qualcuno delle persone che amava facesse ritorno, si era ripromessa che se li avesse rivisti non avrebbe pianto. Sarebbe andata nel Godswood e avrebbe ringraziato gli dei. Anche se non esistevano.
Non aveva versato una lacrima – sono stata forte Jon, sono stata brava – ma non era ancora riuscita a dire una parola. Le sembravano tutte stupide o tutte troppo importanti.
Un futuro duro da accettare si srotolava di fronte a lei ma la ricompensa per il sacrificio che l’attendeva era equa.
Brandon Stark era tornato. Sarebbe diventato Re del Nord, Jon sarebbe partito per incontrare la Regina dei Draghi. Daenerys Targaryen aveva quasi attraversato il Mare Stretto e si avvicinava ad Approdo del Re, soffiando venti infuocati contro l’arroganza dei leoni.
I Lannister avevano richiamato i vessilli. La notizia della legittimazione di Gendry e delle sue nozze con Arya era arrivata alle orecchie di Cercei che aveva mandato il fratello gemello a occupare Capo Tempesta. Un affronto. La regina folle aveva mandato un corvo per mettere in chiaro che entrambi i bastardi, quello del Nord e quello del Sud, erano considerati traditori e come tali sarebbero stati trattati.
Pagherà chi ha alzato le mani contro il frutto più bello e forte della mia casa.
Compresa te e chi porta il tuo nome.
Legittimo o bastardo che sia.
La presa di Capo Tempesta era un modo come un altro per stanarli e obbligarli a uno scontro. Cercei non avrebbe mandato truppe al Nord, non con l’esercito di Immacolati e Dothraki di Daenerys alle porte, ma avrebbe fatto in modo che fossero i suoi nemici ad andarle incontro.
Lo avrebbero fatto. Jon non avrebbe cambiato i suoi piani per paura di Cercei Lannister. Avrebbe affrontato i leoni e forse ci contava.
«Sansa, dov’è Jon?»
Arya sembrava stanca. Gendry le ronzava intorno ma in modo diverso. Sembrava più premuroso. L’aveva aiutata anche a smontare da cavallo.
«Credo sia ancora al Dono di Brandon. Non ho sue notizie da settimane».
Un assaggio della lunga notta che l’aspettava. Quando non sarebbe stato più suo ma di un’altra e avrebbe potuto pretendere solo le notizie che una sorella aveva il diritto di ricevere da un capo all’altro dei Sette Regni.
«Cosa aspetta a tornare? Deve esserci sempre uno Stark a Grande Inverno».
«C’era uno Stark a Grande Inverno».
«Intendevo quello che brandisce una spada».
Sansa decise di ignorarla e concentrare le sue attenzioni sull’altro fratello. Sembrava stare bene nonostante quello che aveva passato.
Avevano.
Si concesse qualche secondo per osservare Meera Reed. Folti ricci castani, grandi occhi verdi. Era graziosa, esile e un po’ selvatica come Arya. Non si allontanava da Bran più di due passi. Era stata lei a occuparsi di lui a Nord della Barriera. Gli aveva salvato la vita, trascinandolo nella neve mentre gli Estranei davano loro la caccia.
Aveva perso un fratello, visto morire degli amici, patito la fame, affrontato il freddo che taglia il respiro e uccide nel sonno.
Per Bran.
Sansa osservò le braccia sottili e le guance scavate e si domandò come avesse fatto Meera ad arrivare fino a lì. E portare Bran con sé.
Poi ricordò che c’erano due cose al mondo che potevano tanto.
La fede e l’amore.
«Tornerà, aspetteremo».
Non le rimaneva che credere nel Corvo con tre occhi. Qualsiasi cosa significasse.

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Capitolo 30
*** Famiglia, dovere, onore ***


«Arya devi riposare».
Si era decisa a vuotare il sacco. Anzi lo aveva fatto Gendry dopo uno svenimento che sarebbe finito male se Nymeria non avesse attutito la caduta.
«Per gli Dei, Sansa. Aspetto un bambino, non sono malata».
La notizia le aveva riempito il cuore di gioia e terrore. Il suo nipotino. L’erede di Grande Inverno e Capo Tempesta. Del Trono di Spade. Rischiava la vita ancora prima di nascere.
Per rendere l’attesa di Jon meno straziante Sansa aveva iniziato a occuparsi del corredo. Per Arya e il bambino. La loro casa era occupata dai Lannister ma avrebbero avuto la biancheria più bella dei Setti Regni.
Aveva trovato la dote di sua madre ancora in buono stato e aveva iniziato a ricamare – accanto al pesce azzurro dei Tully – il lupo argentato degli Stark e il cervo incoronato dei Baratheon.
«Non ti pare un po’ affollato? Sono molti animali per un bambino solo».
«Non mi aspetto che tu dia il giusto valore al lignaggio di tuo figlio ma potresti almeno apprezzare lo sforzo».
«Lo apprezzo moltissimo – davvero – però mi pare affollato lo stesso».
Era inutile discutere con lei ma discutevano per tutto. Sansa avrebbe voluto che riposasse di più, che evitasse di andare a caccia o a cavallo o di inseguire Nymeria per i boschi. Discutevano sul cibo e su quanto dovesse coprirsi ed evitare di stancarsi. Arya però non ci metteva il cuore e Sansa aveva il sospetto che lo facesse più per lei che per darle contro sul serio, perché nonostante i continui bisticci la snervassero, preoccuparsi per la sorella la distraeva.
A volte avrebbe voluto essere come Bran. Trascorreva ore nella Sala Grande o sulle mura del Palazzo in compagnia di Meera, gli occhi fissi verso Nord. Non si separavano mai.
Osservarli aveva risvegliato in lei una tenerezza che non provava da tempo. C’era qualcosa nel loro modo di stare insieme, qualcosa di puro e irraggiungibile.
Di intero.
L’intimità che condividevano era talmente profonda e sancita da piccoli gesti, abitudini, intrecci che non avevano bisogno di esprimerla a parole. Solo a volte, quando Bran sembrava distante tanto da farle credere che nessuno sarebbe stato capace di riportarlo indietro, allora la malinconia volteggiava intorno a Meera come uno stormo di uccelli in volo.
Aggraziato e triste.
Li sentiva volare anche intorno a sé.
Non erano poi così diverse. Avevano scelto uomini simili per certi aspetti – coraggiosi, gentili e forti – uomini che non potevano avere. E per quanto doloroso, le rendeva anche paradossalmente libere. Libere di dedicarsi a una causa nella quale si sarebbero gettate con altrettanta passione. Solo l’approccio era diverso, perché Meera era una donna d’azione mentre Sansa di strategia.
Sorrise al pensiero di essersi appena definita una stratega e alzò gli occhi dal ricamo, distratta dal gracchiare di un corvo. Un altro.
Ogni volta sperava che Jon si fosse deciso a inviare un messaggio e rimaneva puntualmente delusa. L’ago le sfuggì di mano pungendole le dita e affiorò una perlina di sangue. Sansa la portò alle labbra per timore di sporcare il ricamo.
«Cercei ha aperto di nuovo i cancelli delle voliere; la tua lettera deve averla mandata davvero su tutte le furie. Credi che ucciderà Ditocorto?»
«Non lo so, so per certo che non sarai tu a farlo».
Una volta tanto Arya non aveva ribattuto e si era sorpresa a pensare che almeno su una cosa Cercei aveva avuto ragione: niente poteva competere con l’amore di una madre per un figlio.
I corvi che giungevano da Approdo del Re non promettevano niente di buono. Minacce, intimidazioni. Non era più così sicura che la Regina Folle sarebbe rimasta in attesa di una loro mossa. Qualcuno diceva che Jamie Lannister fosse in viaggio verso il Nord.
Brienne si era offerta di partire e andargli incontro. Conosceva Ser Jamie e avrebbe provato a trattare con lui, ma Sansa non voleva separarsi dalla sua spada giurata – non con Arya incinta e Bran a Grande Inverno – e non si fidava dei Lannister. Senza contare che Ditocorto sembrava non essere ancora incappato nella vendetta della Regina Folle – Cercei le aveva creduto? Aveva capito? – e aveva ottime ragioni per tentare dove la prima volta aveva fallito o cercare di colpirla in molti altri modi.
La vita di sua sorella, il bambino che stava per arrivare, erano diventati per lei la cosa più preziosa al mondo. Un futuro in cui aveva smesso di credere da tanto tempo era di nuovo possibile e Sansa era disposta a proteggerlo a costo della sua stessa vita.
Famiglia, dovere, onore.
«Se sarà una femmina mi piacerebbe chiamarla Cat».
«Catelyn».
«No, Cat».
«Cat non è un nome e poi i gatti nemmeno ti piacciono».
«Stiamo per farlo davvero, San? Stiamo per litigare sul nome di mia figlia?»
«No, naturalmente. Puoi chiamare tua figlia come ti pare».
«Grazie».
«Cat non è il nomignolo con cui Ditocorto si rivolgeva a nostra madre?»
Sbuffò spazientita, alzando le braccia al cielo in un gesto di stizza. La gravidanza l’aveva resa più permalosa, cosa che la portava ad accigliarsi con maggior frequenza, ma ne aveva mitigato l’animo provocatorio. Con il risultato che le discussioni tra loro si erano fatte più brevi ma anche più frequenti.
«Va bene, va bene. Ho capito».
Ancora irritata abbassò lo sguardo sul libro che stava leggendo e una piccola fitta di rimorso costrinse Sansa a rimproverarsi per aver fatto arrabbiare la sorella.
«Arya?»
«Uhm?»
«Sarebbe bello se fosse una femmina».
«Sarebbe bello ma sarebbe meglio se fosse maschio, giusto?»
Forse un tempo se lo sarebbe augurato ma in quel momento, circondata dalla famiglia, investita dell’autorità di proteggere la sua terra, realizzò la portata di quello che aveva raggiunto – con il dolore e il sacrificio ma anche grazie all’amore e alla fiducia – nonostante fosse solo una ragazza e senza brandire una spada.
«No, sarebbe uguale». Le sorrise con la speranza di fare pace. «Tutto sommato credo che Cat andrà benissimo».
«Se fosse maschio avremmo più scelta».
Una constatazione amara e addolorata alla quale Sansa si senti di rispondere in un modo soltanto.
«Rickon. Dovreste chiamarlo Rickon».
Aveva accettato la morte del fratello minore ben prima che accadesse, consapevole di ciò che erano in grado di fare le mani che lo tenevano prigioniero, ma proprio per questo non riusciva a perdonarsela.
Forse non aveva fatto abbastanza. Forse avrebbe dovuto cavalcare contro le frecce insieme a Jon. Forse sarebbe arrivata prima. Era più leggera, avrebbe corso più veloce. Forse.
Tra tutti i suoi fratelli, il più piccolo innocente e indifeso era stato il più sventurato. Nessuno di loro era stato in grado di proteggerlo e Sansa sapeva che Bran portava il fardello della colpa attribuendosene tutta la responsabilità.
Bran che era poco più grande e ancora più indifeso.
Avrei dovuto portarlo con me al di là della Barriera.
Hai fatto ciò che ritenevi giusto, nessuno di noi è senza colpa. Ho abbandonato Sansa ai Lannister senza voltarmi indietro, Robb ha affidato la sua casa e i suoi fratelli a Theon Greyjoy. Jon è rimasto sulla Barriera mentre Grande Inverno bruciava e Robb moriva alle Torri Gemelle.
Ci siamo divisi e siamo morti ma ora siamo di nuovo uniti e uniti sopravvivremo.
Lo erano ancora divisi, almeno fino a quando Jon non fosse tornato a casa e le parole di Arya erano suonate al suo orecchio come un avvertimento.
Se solo avesse potuto far volare i giorni che li separavano. Se solo avesse potuto accorciare la distanza o spazzare via le tempeste che avrebbe incontrato. Se solo fosse partita con lui.
Se solo non fosse stata sua sorella allora sarebbero rimasti uniti per sempre.
Fino a quando non ci sarà più niente.
Nymeria si alzò di scatto, rovesciando lo sgabello su cui Arya poggiava i piedi e corse fuori dal solarium. Per lo spavento Sansa lasciò cadere la vestina che stava ricamando. Incapace di muovere un solo muscolo, si limitò a fissare la sorella mentre usciva sul ballatoio che dava sul cortile. Quando rientrò aveva fiocchi di neve tra i capelli e un sorriso sulla faccia.
«È arrivato Spettro».

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Capitolo 31
*** Di più forte e splendente ***


La spalla gli faceva ancora male. Ishta lo aveva avvertito: avrebbe dovuto avere pazienza, non fare sforzi e sarebbe tornata come prima. Pulsava, stretta nelle fasce che Ser Davos aveva cambiato la sera prima. Si erano accampati a mezza giornata di marcia da Grande Inverno per non affrontare di notte il resto del viaggio. Jon avrebbe voluto proseguire ma gli uomini erano stanchi e Tormund lo aveva liquidato con una risata.
«Sei pazzo Re Corvo. La tua Lady saprà resistere un’altra notte senza di te».
Sono io che non posso resistere un’altra notte senza di lei.
Si era astenuto dal replicare e non aveva avuto altra scelta che mandare Spettro ad annunciare il loro arrivo. Anche lui sembrava impaziente di tornare a casa.
La spedizione al Dono di Brandon gli era costata una ferita alla spalla, degna conclusione di un acceso scambio di vedute con un capoclan che non vedeva di buon occhio l’intromissione di un Re di fronte al quale aveva giurato di non inginocchiarsi.
Il suo intervento era stato sufficiente a fermare i saccheggi – almeno per il momento – e aveva placato gli animi di Ultimo Focolare, non senza lo zampino diplomatico di Ser Davos e quello meno diplomatico di Tormund.
Era una pace fragile, costruita su promesse che non era sicuro di poter mantenere perché le circostanze sulle quali si basava non dipendevano completamente da lui. Aveva rinunciato all’idea di controllare tutto e di poter salvare il Nord, forse l’intera Westeros, contando unicamente sulle sue forze. Ognuno avrebbe dovuto fare la sua parte ed era ciò che avrebbe detto a Daenerys Targaryen quando si sarebbe trovato al suo cospetto. Sarebbe spettato a lei decidere e Jon aveva sentito abbastanza sul suo conto da credere che non si sarebbe tirata indietro. A quel punto avrebbe fissato la posta e lui avrebbe dovuto accettata.
Qualsiasi posta a qualsiasi costo.
Perché quello sì, dipendeva completamente da lui e non esisteva la possibilità di tirarsi indietro. Non se voleva onorare la memoria di suo padre e di Robb, dimostrare di essere uno Stark e proteggere il suo popolo. Non se voleva salvare quello che rimaneva della sua famiglia.
Prima di tutto questo, però – prima della guerra, del sangue, del dolore, prima ancora della salvezza o della sconfitta – prima ci sarebbe stata Sansa.
Anche a lei sarebbe spettata una scelta, quella di concedere una tregua alla loro battaglia e decidere se un attimo di pace poteva valere la colpa che avrebbero trovato riflessa nello specchio ogni giorno della loro vita. Jon pensava di sì. Se il piatto della bilancia prevedeva una vita intera senza quell’attimo, allora era disposto a sacrificare il suo onore – ci avrebbe fatto i conti poi ed era un sacrificio esclusivamente suo – consumato nel segreto di una notte e che avrebbe portato con sé nel niente che lo attendeva dalla fine all’eternità.
Per una volta. Se avesse detto sì.
Quando entrarono nel cortile di Grande Inverno, lei era lì. Avvolta nel mantello che le aveva lasciato, l’aria tesa, gli occhi lucidi. I capelli baciati dal fuoco stretti nella treccia.
Lo aveva cercato tra i volti infreddoliti dei suoi uomini. Lo aveva trovato e gli era corsa incontro. E il mondo era diventato, tutto ad un tratto, un posto piccolissimo e il suo centro quella ragazza con i capelli rossi con addosso un mantello troppo grande.
Il ghiaccio e il fuoco.
Il passo sicuro, le vesti che strisciavano nel fango. C’era poco del suo solito contegno ma a Jon non importava. Non era mai importato.
Il resto del mondo – tutto ciò che non era Sansa e non lo sarebbe mai stato – si ripiegò in quell’attimo.
Lucido silenzioso sospeso.
Cantavano una canzone.
Mai si era vista fanciulla più bella di Lady Lyanna.
Talmente bella.
Fuoco e sangue per una corona di rose.
Il principe ha scatenato una guerra e bruciato il mondo.
Mai si era vista fanciulla più bella.
Talmente bella.
Ned Stark odiava quella canzone. Si incupiva ogni volta che la sentiva suonare. A volte, quando il peso che portava sembrava più pesante, non sopportava di ascoltarla e lasciava la sala.
Poi era nata Sansa e avevano smesso di cantarla. Dicevano portasse sfortuna e nessuno desiderava gettare un’ombra sul destino della figlia di Ned Stark. Forse, più semplicemente, non aveva più senso cantarla perché Sansa aveva superato la zia in bellezza e aveva dimostrato di saperla eguagliare nel coraggio. Era toccato a Jon farle dono di una corona – non di rose ma di ghiaccio e sangue – altrettanto irta di spine e come il principe della canzone avrebbe scatenato una guerra, non per averla ma per salvarla.
Smontò da cavallo e percorse i pochi metri che li separavano. Sansa gli buttò le braccia al collo e Jon la strinse, sollevandola da terra, come quel giorno sulla Barriera.
Allora, però, non aveva male alla spalla.
«Sei ferito?»
«È solo un graffio. Sono felice di essere a casa».
«Devi farti vedere dal Maestro. Come è successo? Dov’è Davos?»
Le uscivano dalle labbra respiri brevi, spezzati. Parole rapide che le scivolavano tra i denti, lacrime intrappolate tra le ciglia e strette in gola.
«Sansa, Sansa. Non è niente. Fatti guardare».
Le prese il viso tra le mani. Avrebbe voluto baciarla ma gli occhi di Grande Inverno erano puntati su di loro.
Quando calerà la notte.
Presto.
«Sei dimagrita. Stai bene?»
La osservò in cerca di altri cambiamenti, non li trovò. Lei era sempre lei, lui era sempre lui.
Fuoco e sangue per una corona di rose.
Ancora quella canzone.
Jon batté le palpebre nel tentativo di liberare i pensieri dalle note malinconiche e dal ricordo del dolore di suo padre per la morte dell’adorata sorella.
«Ci sono tante cose di cui parlare ma prima dobbiamo pulire quella ferita. Vieni, ti ho fatto preparare un bagno».
 
 

 
«È grave?»
Gli girava intorno, gli occhi puntati sul Maestro. Jon non avrebbe voluto essere nei suoi panni. La lupa era pronta a scattare al più piccolo errore.
«No, mia Signora, la strega del clan lo ha curato bene. La ferita sta rimarginando anche se probabilmente rimarrà la cicatrice».
Sansa strinse le labbra e Jon cercò di non sorridere.
«Grazie Maestro, puoi andare. Penserò io alla medicazione».
Rudhol si congedò con un cenno del capo e li lasciò soli. Sembrava avere fretta e non si sentì di biasimarlo. La Regina non era di buon umore.
Avrebbe voluto farla sorridere o sospirare. Sentire il suo cuore corrergli sotto le dita.
Per una volta. Se avesse detto sì.
«Non sei costretta a farlo».
«Nessuno mi costringe».
Si muoveva lentamente per la stanza, raccogliendo gli unguenti e le bende che le sarebbero serviti. Cercava di apparire distaccata ma l’eccessiva rigidità tradiva il nervosismo e aveva lo sguardo acceso come avesse la febbre.
«Presto Sam raggiungerà Grande Inverno. È come un fratello per me… Vedrai ti piacerà e anche Gilly. Potrebbero decidere di restare a vivere con noi e… »
Con noi.
La stanchezza lo stava facendo delirare. Sam era un Guardiano della Notte, cosa che rendeva le sue parole vuote e irrealizzabili. Nel bene e nel male, però, aveva imparato che nulla era impossibile – era addirittura tornato dalla morte – e cullarsi in quel sogno, il sogno di una vita con Sansa e le persone che amava, era una tentazione irresistibile. Nella sua mente, nei suoi desideri, poteva decidere di far durare quell’attimo di tregua per sempre. Non solo una notte.
Se avesse detto sì.
Sansa gli lanciò un’occhiata obliqua ma non protestò né lo riprese per quel sogno ad occhi aperti. Si inginocchiò tra le sue gambe, lo sguardo all’altezza del suo, sollevandogli il braccio con poca delicatezza. A Jon scappò un gemito di dolore.
Non capiva perché fosse arrabbiata. Aveva accettato di farsi visitare, medicare e fare il bagno, nonostante fosse impaziente di incontrare il fratello e conoscere Meera.
Brandon è vivo. È tornato a casa.
Con noi.
Era partito lasciando Sansa sola e senza protezioni, angosciato per quello che sarebbe potuto accadere in sua assenza. Al suo ritorno aveva trovato ad attenderlo una famiglia.
«Quando nascerà il bambino?»
Arya e Gendry avrebbero avuto un bambino. Nuovi piccoli passi sarebbero riecheggiati tra le mura di Grande Inverno.
Rickon. Dovrebbero chiamarlo Rickon.
«O una bambina».
«Credi che gli dei ci concederebbero una tale grazia?»
Sansa sorrise ma proseguì nella medicazione con poca delicatezza. Jon, deciso a non protestare, strinse i denti e per distrarsi iniziò a osservarla.
Il blu degli occhi duro come il ghiaccio. Le labbra rosa dischiuse per la concentrazione. Il vapore del bagno le aveva inumidito e arricciato le ciocche sfuggite alla treccia. Il caldo nella stanza era insopportabile e aveva tolto il mantello e slacciato il corpetto. Indossava solo una camicia leggera che le lasciava scoperte le clavicole. Curve di pelle candida che avrebbe voluto baciare e seguire con la punta delle dita.
«San mi stai facendo male».
«Meglio».
Si alzò e fece per andarsene ma l’afferrò per il polso costringendola a sedere sulle sue ginocchia. Non oppose resistenza ma nemmeno ricambiò con entusiasmo.
«Dei, quanto mi sei mancata».
Lo mormorò sul collo, strofinando il naso contro la sua mascella. Di solito la barba le faceva il solletico. Sansa rideva e fingeva di allontanarlo, per poi tirarlo di nuovo a sé. Nelle giornate buone gli baciava il naso, gli occhi, la bocca. Quella, però, sembrava non essere una buona giornata.
«Non abbastanza, Jon Snow. Altrimenti avresti fatto in modo di tornare da me tutto intero».
Lo sono, Sansa. E sono tuo.
Sorrise in cerca delle parole che avrebbero placato la furia ma non era bravo con le parole. Preferì iniziare ad accarezzarle la schiena, dal basso verso l’alto, dall’alto verso il basso, attraverso il lino sottile della tunica. Sansa socchiuse gli occhi.
«Sono furiosa con te».
«Vedo».
Con l’altra mano le sciolse la treccia, facendo scorrere le dita tra le ciocche.
«Devi fare il bagno».
La voce le tremò e tutto il controllo che Jon pensava di esercitare svanì facendolo sentire vulnerabile e allo stesso tempo audace.
Baciò la clavicola che spuntava dallo scollo della tunica. Le sfuggì un gemito e piegò la testa all’indietro, scoprendo il collo. Jon avanzò lungo quella linea bianca ma resistette alla tentazione di proseguire fino alla bocca.
«Non riuscirò a lavarmi da solo, avrò bisogno d’aiuto».
Sansa rise, sollevando di nuovo la testa per guardarlo negli occhi.
Non aveva mai visto niente di più bello.
«Aye, Maestà. Mando subito a chiamare Brienne».
Di più forte e splendente.
E giusto.
«Vuoi che il capitano delle nostre guardie mi lavi la schiena?»
Aveva ancora l’aria divertita ma il blu delle iridi si era fatto di nuovo duro e tagliente come il ghiaccio nelle acque più profonde.
«È l’unica di cui mi fidi. Nessun’altra metterà le mani sul Re del Nord».
«Perché?»
«Perché sei mio».
Per una volta. Se avesse detto sì.
Lo aveva detto. In un ringhio, tirandogli appena i capelli perché piegasse il collo e si lasciasse baciare.
Labbra dischiuse, bocche che ritrovavano la strada.
Dammi le mani.
Senza fretta ma senza calma.
La sete era troppa e ci sarebbe stata sempre. Non sarebbe passata mai.
Ma non c’era niente di più bello.
Di più forte e splendente.
Di giusto.
Sansa lo spinse verso il letto ma Jon la tirò a sé e in breve fu sopra di lei. La spalla gli faceva male ma la bocca di Sansa lo mordeva e lo baciava e il suo corpo era pronto per lei.
La camicia scivolò lasciando intravedere il corpetto già in parte slacciato e premette il bacino contro il suo mentre le dita superavano il confine tracciato dalle calze. Lo stesso confine che una volta non aveva avuto il coraggio di valicare e che si apprestava ad annullare per tracciarne uno nuovo, invisibile, che avrebbe spostato sempre più in là se lei non gli avesse detto di fermarsi. O se lui non lo avesse detto a lei.
Sansa gli cingeva i fianchi con le gambe, la schiena inarcata per annullare la distanza. Le dita intrecciate ai suoi capelli con forza. La sua bocca, i suoi respiri veloci. La gola scoperta.
I baci erano profondi, si spezzavano per poi ricominciare più disperati di prima.
Le dita delicate e sottili che seguivano la linea della sua spina dorsale, poi i solchi dei muscoli del petto e dell’addome. Che si aggrappavano alle sue braccia per sollevarsi e liberare le gambe dalle gonne.
Non pensare. Non fermarti. Non lasciarmi.
Resta con me.
Per una volta.
«Ho pensato a questo tutto il tempo».
Era vero. Solo gli dei sapevano quanto fosse vero ma il timore di farle del male, di spaventarla, di non essere abbastanza delicato lo sopraffece. Con Ygritte era stato diverso – un gioco, una lotta amorosa – non aveva fatto in tempo a desiderarlo che era stato consumato. Sansa… Sansa era l’amore della sua vita. Era stata ferita e umiliata in tutti i modi possibili, lui voleva solo venerarla fino all’ultimo dei suoi giorni.
Sansa approfittò dell’esitazione per prendergli il volto tra le mani e baciargli le palpebre. Chiuse gli occhi, respirò a fondo. Quando li riaprì la furia era sparita, lasciando spazio a un po’ di tristezza e frustrazione.
«Jon… Bran ti aspetta da settimane, ha bisogno di parlarti. Non puoi farlo attendere ancora».
Bran.
La famiglia prima di tutto, ora che l’avevano ritrovata. Jon sospirò ma si staccò da lei.
«Più tardi, quando saremo di nuovo soli… Non posso più aspettare».
Arrossì ma non c’era dolore nel suo sguardo né colpa. Almeno non c’erano quel giorno e non ci sarebbero stati quella notte. Ci avrebbero fatto i conti l’indomani ma l’indomani era lontano.
Era dopo Sansa. Dopo l’attimo di tregua.
L’indomani non esisteva. Non ancora.
«Nemmeno io».
Un sorriso. Un bacio che avrebbe dovuto essere rapido ma che prolungò per sopportare meglio l’attesa. Ne era rimasta poca ma era pur sempre attesa.
«Se prometti di tenere le mani a posto ti laverò la schiena».
Quando calerà la notte.
Presto.
«Lo prometto mia Signora. Fino a stanotte».
 

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Capitolo 32
*** L'ultimo Stark ***


Gli alberi diga gli avevano mostrato molte cose. Il giovane guerriero che era stato suo padre, una promessa che avrebbe cambiato le sorti del mondo, gli Estranei, l’arrivo di Arya alla Barriera.
Gli alberi diga gli avevano mostrato molte cose ma non gli avevano mostrato Rickon.
È giunto un corvo da Grande Inverno, mio signore.
Ali oscure, oscure parole.
Tuo fratello, tua sorella Sansa.
Il Nord è di nuovo vostro ma Ramsey Bolton si è preso una vita in cambio.
La più giovane. La più innocente.
Era stato il Lord Comandante dei Guardiani della Notte, Ed l’Addolorato, a riferire della morte di suo fratello. Il dolore era giunto rapido, inaspettato, dalla bocca di chi gli aveva offerto rifugio e protezione, spazzando via ciò che rimaneva del suo mondo.
Sono l’ultimo Stark.
La mia casa morirà con me.
In cima alla Barriera l’aria gelida tagliava la faccia e mozzava il respiro. Per ore aveva fissato il buio e lei lo aveva fissato con lui.
Silenzio, buio e gelo. Tutto intorno, dentro.
«Non è colpa tua».
«Meera… »
«Non è colpa tua. So che lo pensi Brandon Stark ma non è colpa tua».
Di chi era allora?
Lui aveva mandato Rickon dagli Umber, convinto che sarebbe stato al sicuro. Lui – suo fratello – la persona che avrebbe dovuto proteggerlo. La persona di cui si fidava.
E Rickon era morto.
Come suo padre, sua madre e Robb. Come Hodor, Jojen ed Estate.
Cosa serviva essere il Corvo con tre occhi se le persone che amava non facevano altro che morire?
«Bran… Parlami per favore, dimmi qualcosa».
Avrebbe voluto ma era doloroso anche solo pensare, e parlare… Non riusciva a immaginare di farlo senza finire in mille pezzi.
Allora Meera lo aveva baciato. Forse lo aveva fatto per zittire il dolore – di quale dei due Bran non lo sapeva, forse di entrambi – forse lo aveva fatto perché lo voleva anche se non riusciva a immaginare un solo motivo perché potesse desiderare di farlo.
Baciare lui.
Un ragazzo spezzato, senza futuro, che aveva sulle spalle l’assurda responsabilità di un ruolo e di un potere che nemmeno capiva fino in fondo.
Non aveva senso che Meera lo volesse. Non aveva motivo.
Mentre Bran ne aveva parecchi. Sarebbe bastata una delle tante qualità di Meera e ciò che aveva condiviso e condivideva con lei. Nonostante i limiti della sua condizione, esisteva tra loro una sorta di perfetto equilibrio. Di parità.
Comprensione.
Per la prima volta nella vita Bran non era il fratello minore o maggiore di nessuno. Né il giovane signore di Grande Inverno o l’ultimo erede legittimo di Ned Stark o il Corvo con tre occhi. Per Meera era solo Bran e non doveva dimostrare nulla né prendere decisioni che avrebbero cambiato la vita di qualcuno.
C’era qualcosa di semplice nell’esistenza pericolosa e selvaggia che avevano condotto fin lì e presto sarebbe finita. Una parte di lui aveva già iniziato a rimpiangerla nonostante aspettasse con ansia il momento in cui avrebbe riabbracciato Jon e le sue sorelle e rivisto Grande Inverno. Desiderava condividere quella parte della sua vita con Meera, mostrarle i luoghi in cui era cresciuto, farle conoscere la sua famiglia.
Dopo quella sera non avevano più parlato del bacio che si erano scambiati e non avevano più parlato di Rickon. Non c’era motivo e non c’era stato il tempo. Sua sorella e il marito erano giunti al Castello Nero convinti di avere ancora parecchia strada davanti a loro, invece si erano imbattuti inaspettatamente in ciò che stavano cercando.
Arya era decisa ad approfittare del vantaggio per fare subito ritorno a Grande Inverno. Il tempo di preparare le provviste e tutto l’occorrente per il viaggio ed erano partiti. Anche Bran era impaziente di tornare a casa.
Rivedere Sansa. Rivedere Jon.
Gli alberi diga gli avevano mostrato molte cose.
La verità era un’arma potente che andava maneggiata con cura. Le ferite sarebbero state, forse, insanabili. Per gli Stark nulla sarebbe stato più come prima ma avevano un’occasione per ricominciare da capo.
Senza colpe, senza menzogne, senza sangue.
Arya aspettava un bambino. Gli dei davano, gli dei prendevano. Avrebbe fallito con quella creatura come aveva fatto con suo fratello? Non era riuscito a tenere Rickon al sicuro, come poteva regnare sul Nord e proteggere le sue sorelle?
«Sono perfettamente in grado di badare a me stessa e a mio figlio e Sansa… be’ lei ha Jon».
Lo sguardo della sorella era fuggito lontano.
Gli alberi diga gli avevano mostrato molte cose.
Anche i sottintesi che Arya aveva taciuto, perché lo riteneva troppo giovane o perché pensava che non avrebbe capito. Cosa ne poteva sapere un ragazzino storpio di cosa significhi amare e amare qualcuno che non si può avere?
«Sei sveglio».
Meera si accucciò accanto a lui, tra le radici dell’albero del cuore, porgendogli la borraccia gonfia d’acqua. Ritornava da quei viaggi sempre assetato e lei lo sapeva. Quando erano a Nord della Barriera, attendeva il suo ritorno stringendo tra le dita un blocchetto di neve pulita. Fino alla fine dei suoi giorni avrebbe associato il ricordo di Meera al sollievo che si prova nel placare la sete.
«Avevi un’aria così pacifica, mi dispiaceva svegliarti. Jon è tornato».
Bran annuì. Gli alberi del Godswood di Grande Inverno gli avevano mostrato il suo ritorno. Quello che Jon e Sansa avevano fatto l’uno per l’altra. Come l’amore colpisse chi non avrebbe dovuto innamorarsi mai.
Era stato costretto a riflettere su Meera e su quello che significava per lui. Il Corvo dai tre occhi poteva amare ed essere amato? Non lo sapeva ma se fosse stato possibile, come avrebbe potuto costringerla alla vita che la sua condizione le avrebbe imposto?
«Non potrò mai darti quello che vuoi».
Lo guardò un istante senza capire poi le lunghe ciglia scure fremettero di collera. Gli restituì un’espressione dolente ed offesa come se l’avesse schiaffeggiata.
Lo sapevano entrambi ma erano parole che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di pronunciare fino a quel momento. Presto avrebbe dovuto separarsi da lei. Meera rappresentava il futuro della sua casa, non poteva sprecarlo prendendosi cura di uno storpio che non sarebbe stato in grado di darle dei figli.
«Il Corvo dai tre occhi sa tutto, non è vero? Anche quello che vuole quella stupida di Meera Reed».
«Meera… »
«Non puoi o non vuoi?»
«Se le cose fossero diverse, se io… Non ha senso discutere di questo, lo sai».
«Se potessi Bran, lo vorresti?»
Lo vorresti?
Brandon arrossì. Gli occhi verde foglia erano luccicanti di rabbia e fissi su di lui. Distolse lo sguardo, l’unica cosa di lui che poteva ancora sfuggire a qualcosa.
«Io… Io credo di sì».
«Allora la questione è chiusa. Mi trovo dove dovrei essere».
Brandon decise di lasciar perdere, almeno per il momento. Era inutile discutere con lei. Del resto la sua cocciutaggine era il motivo per cui erano ancora vivi.
Era china su di lui, pronta ad alzarsi per andare a chiamare il servo che lo avrebbe aiutato a montare a cavallo. Sansa aveva fatto preparare una nuova sella sul progetto che Lord Tyrion aveva ideato per lui.
Aveva ricominciato a cavalcare – quando il tempo lo permetteva – e con la supervisione di Arya stava imparando a tirare con l’arco alla maniera dei Dothraki. Jon sarebbe stato orgoglioso di lui. Presto avrebbe potuto mostrargli i suoi progressi e rendersi utile nella battaglia che li attendeva. Avrebbe combattuto al fianco di Meera. Erano nati per questo, forse ne sarebbero morti.
Se il Corvo con tre occhi avesse fallito, sarebbero morti tutti.
Il segreto meglio custodito dei Sette Regni era stato tramandato dal padre al figlio senza che venisse violato. La promessa fatta da Ned Stark a Lyanna era intatta e toccava a Bran fare in modo che nessuno di loro fosse morto invano.
Aveva pensato a cento, mille volte, alle parole che avrebbe usato per raccontare a Jon la sua storia, sperando di riuscire a trovare un modo per non fargli del male. Poi aveva capito che non esisteva, che la verità era sempre dolorosa altrimenti non sarebbe stata difficile da dire, ma che in un certo senso lo avrebbe liberato. Avrebbe liberato tutti loro. Jon e Sansa, Catelyn e Ned – se da qualche parte ne rimaneva qualcosa – i Sette Regni.
Il principe che era stato promesso avrebbe portato la pace e il compito del Corvo con tre occhi era portare alla luce il principe che era stato promesso. Stava per compiere quel compito, altri lo attendevano, ma questo era sicuramente il più difficile.
«Andrà tutto bene».
«Gli spezzerò il cuore».
«Per dargliene uno nuovo. Gli restituirai sua madre, un’identità, il regno che gli spetta e per il quale combattere».
«Una madre morta, un regno in rovina, un’identità che non sentirà sua».
Meera gli prese le mani e le strinse. Gli occhi lucidi come le foglie degli alberi in primavera.
«Gli dirai la verità, ha il diritto di conoscerla. Ciò che ho sentito sul conto di tuo fratello mi basta per essere sicura che te ne sarà grato».
Meera che diceva sempre la cosa giusta. Meera che non mancava mai un bersaglio. Meera che era coraggiosa. Meera che lo trascinava nella neve urlando il suo nome.
Meera che lo aveva baciato in cima alla Barriera.
L’afferrò per la manica e la tirò verso di sé. Voleva solo sfiorarle le labbra ma lei le dischiuse, intrecciando le dita ai suoi capelli. Quando si staccò aveva le guance arrossate e un sorriso sommesso sulle labbra.
Sorridi ora Meera, perché pensi che il domani non esista.
«Davvero pensi di poterti accontentare di questo per tutta la vita?»
«Penso che non saprei accontentarmi di una vita senza questo».
Gli alberi diga gli avevano mostrato molte cose ma la bocca di Meera Reed l’aveva vista con i suoi occhi. E anche quello era un dono degli Dei.

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Capitolo 33
*** L'erede di tutto ***


Scese l’ultimo gradino, attenta a non scivolare sullo strato sottile di terra ghiacciata.
Da quanto tempo non scendeva lì sotto? Forse da quando avevano deposto Rickon e nemmeno allora vi era rimasta a lungo. Non le piacevano le cripte, non le erano mai piaciute. Come tutto ciò che era buio, freddo e intriso di dolore. Tra quelle gallerie riecheggiava soltanto l’eco dei lutti degli Stark e lo straziante rimpianto per chi non c’era più.
Non c’era speranza là sotto, non ce n’era mai stata. Era il posto meno adatto dove rifugiarsi ma sapeva che lo avrebbe trovato lì. Sapeva che sarebbe andato da lei.
Una malinconia feroce le morsicò il cuore. Avrebbe voluto conoscerla. Avrebbe voluto che Jon l’avesse conosciuta. Sarebbe stato tutto diverso. Per Jon almeno e per suo padre.
Ricordava ancora quando un umore cupo e nero si addensava intorno a Ned Stark e non c’era sorriso dell’adorata figlia o successo di Robb che scacciasse quelle nuvole. Erano uno, forse due giorni all’anno. Sansa gli ronzava intorno, a caccia di attenzioni, gli occhi spalancati su quel dolore che non comprendeva. Catelyn a volte la lasciava fare, altre l’allontanava con la scusa di una commissione o di un compito di cucito. Fino a quando aveva scoperto che dietro quelle nuvole c’era Lyanna e in un impeto di gelosia e curiosità infantile aveva chiesto alla madre come fosse quella zia leggendaria, perduta e misteriosa, che stritolava il cuore del padre in una morsa che nessuno era in grado di allentare.
C’è così tanto di lei in Arya e in te.
Un giorno ti guarderai allo specchio e la troverai.
Ma Catelyn si era sbagliata. Non era in uno specchio che l’aveva trovata ma nell’uomo che amava.
La luce della torcia ne rivelò il profilo contratto dal dolore che si stagliava contro le pareti della cripta.
Come posso sentirmi così felice e addolorata allo stesso tempo?
Sansa aveva perso un fratello ma ciò che aveva trovato non aveva prezzo.
Jon aveva perso tutto. Il nome che aveva sempre desiderato portare. Il padre che aveva amato, i fratelli con cui era cresciuto. Il diritto al trono del Nord.
Lo conosceva abbastanza da sapere cosa stesse pensando e non lo avrebbe lasciato solo un minuto di più. Quando era corso fuori dalla Sala grande si era trattenuta dal seguirlo. Doveva lasciargli il tempo di realizzare il significato della rivelazione di Bran. Il tempo per salutare sua madre.
Per gli dei, sua madre.
Sei uno Stark, Jon. Tua madre era una Stark.
Gli alberi diga non mentono. Gli uomini purtroppo sì, anche i migliori. Mio padre lo ha fatto per tutta la vita. Ha mentito alla moglie, ai figli, a te. Per amore di sua sorella.
Zia Lyanna. La bella zia morta alla Torre della Gioia. Rapita e violentata da Raeghar Targaryen. Il drago aveva scatenato una guerra per lei.
Per la sua Regina d’amore e bellezza.
Questo le avevano raccontato. Questo era quello che dicevano le canzoni.
Le era sempre piaciuto pensare che Lyanna fosse fuggita di sua volontà, perché lo amava. Dicevano che fosse un principe giusto, buono, un guerriero valoroso. Sansa non lo sapeva ma vedeva Jon e non esitava a crederlo.
Jon non è nostro fratello?
Arya le era sembrata una statua di ghiaccio. L’espressione livida, la bocca stretta in una linea sottile. Sansa avrebbe voluto correre da lei ma sentiva i piedi incollati a terra e nelle orecchie solo il martellare assordante del suo cuore.
Fratelli, cugini cosa importa? Siamo una famiglia, continueremo a esserlo.
La voce di Bran si era confusa con lo sciame impazzito di pensieri che aveva nella testa.
Sono un lupo, non sono un drago.
Le sembrò di vederlo di nuovo, al centro della Sala, sconvolto e addolorato. Il volto pallido, l’aria confusa.
Eddard Stark ti ha salvato e protetto dalla furia dei Baratheon. Re Robert non avrebbe sopportato di sapere in vita il figlio di Lyanna e Raeghar. Tua madre glielo fece promettere e Ned Stark ha mantenuto il suo segreto fino alla fine.
Segreti, bugie. La linea era sottile e per Jon non ci sarebbe stata differenza.
Avrebbe visto tutta la sua vita come una menzogna. L’onorevole Eddard Stark gli aveva mentito tutta la vita. Catelyn Stark lo aveva odiato, credendolo il bastardo del marito.
La donna che sperava un giorno di conoscere era morta nel darlo alla luce ed era sepolta nelle cripte.
Lui… Lui non era mio padre.
Cosa importa? Sei figlio di Lyanna, sei uno Stark. Grande Inverno è casa tua.
Il dolore di sua sorella era stato come uno schiaffo in faccia e le aveva fatto bruciare le guance per la vergogna. Arya soffriva – soffriva per Jon – e aveva reagito con rabbia com’era solita fare. E lei? Aveva cercato inutilmente di afferrare qualcosa nel groviglio che le aveva chiuso la gola ma sfiorandone i lembi aveva sentito una cosa sola: sollievo.
È vero ma sei anche un Targaryen e la Regina d’Argento è tua zia. Se ricordo gli insegnamenti di Maestro Luwin, la precedi nella linea di successione.
Mezzo lupo e mezzo drago.
Era stato allora che Jon era corso fuori dalla Sala lasciando dietro di sé un fratello mortificato e una sorella ferita e rabbiosa. Sansa era rimasta per consolare Arya – che non desiderava farsi consolare – e abbracciare Bran. Doveva essere stato difficile rivelare al fratello che più amava una verità che lo avrebbe sconvolto, ferito, spaventato.
Era stato allora che il sollievo si era tradotto in pensieri spezzati, confusi e sparsi. Palpitanti.
Jon non era suo fratello.
Eddard Stark non era suo padre.
Non avevano nessun genitore in comune.
Varcata la porta della Sala Grande Jon aveva cercato il fratello con lo sguardo e si era buttato ai suoi piedi. Lo aveva abbracciato per un tempo che le era parso interminabile così come gli anni in cui erano stati separati.
Arya aveva voltato la faccia per asciugarsi gli occhi. Avevano pianto per tanti motivi, quello non era il migliore? La famiglia era di nuovo riunita, sebbene nessuno di loro potesse evitare di sentire il peso dell’assenza di chi non era riuscito a tornare.
Brandon aveva ricambiato l’abbraccio mostrando per pochi secondi il ragazzino che avrebbe dovuto essere. Il ragazzino che adorava il fratello maggiore, il fratello che gli aveva insegnato a essere coraggioso e a tirare con l’arco.
«Vostra Maestà».
Il Re del Nord si era inginocchiato e gli aveva offerto la sua spada. Sansa aveva provato a spiegargli l’assurda storia del Corvo con tre occhi ma – sebbene Jon l’avesse presa più sul serio di quanto non avesse fatto lei – non si rassegnava ad accettare la corona. Bran aveva scosso la testa e lo aveva pregato di alzarsi.
«Non regnerò sul Nord. Il mio ruolo è un altro».
Aveva sorriso, Meera con lui. Si era chinata per sussurrargli qualcosa all’orecchio e lui aveva annuito.
«Sei tu l’erede di Grande Inverno».
Aveva percepito una nota ferma ma gentile nella voce di Jon. La stessa che aveva quando Bran era solo un bambino e cercava di spiegargli cosa il padre si aspettasse da loro e come avrebbe dovuto comportarsi.
«Sarò anche l’erede di Grande Inverno ma tu Jon… Sei l’erede di tutto».
Così Brandon aveva spalancato la gabbia in cui erano rimasti intrappolati tanto a lungo. Era suo compito – aveva detto – gli alberi diga gli avevano mostrato la nascita di Jon, la morte di Lyanna, la promessa di Ned Stark. Glielo avevano mostrato perché Jon la conoscesse, perché la verità lo avrebbe condotto al suo destino.
Quando Jon aveva lasciato la sala, voltandogli le spalle, Bran non aveva fatto niente per fermarlo. Esisteva una sola persona al mondo a cui avrebbe dato ascolto e Sansa, dopo aver concesso alla rabbia di Jon il tempo di esplodere e assopirsi, per lasciarlo solo con il suo dolore e la paura, aveva indossato il mantello ed era scesa nelle cripte.
Lo aveva raggiunto senza sapere cosa aspettarsi. Alcuni dolori si abbattevano con una tale forza da sbriciolare tutto ciò che trovavano sulla loro strada: legami, amore, ricordi. Si rese conto di avere paura ma di non poter indugiare oltre. Se avesse avuto bisogno di lei?
Gli si avvicinò piano, senza fare rumore, attenta a non spaventarlo come si fa con una creatura impaurita o una belva feroce. Quando gli fu accanto prese coraggio e fece scivolare la mano nella sua. Jon non si ritrasse né fece per allontanarsi e Sansa sospirò lieve mentre la paura allentava la presa. Almeno un po’.
«Jon».
Si voltò appena verso di lei. Gli occhi scuri lucidi, la bocca contratta.
«Dicono che fosse coraggiosa e bellissima».
Come te amore. Come te.
«Non la conoscerò mai».
Era la verità. Non avrebbe conosciuto nemmeno il padre e chi aveva preso il suo posto si era rivelato un bugiardo. Non esisteva un modo per alleviare la pena o addolcirla. L’unica cosa che Sansa poteva offrire era il conforto del suo amore e il suo sostegno. Li avrebbe voluti ancora?
«È triste e crudele e non possiamo fare niente per cambiare le cose ma… Ora sai chi ti ha messo al mondo e quanto ti abbiano amato».
Mezzo lupo e mezzo drago.
Sentì il sangue affluirle veloce alle guance. Non riusciva a smettere di pensarci, a rigirare e rigirare quel pensiero nella testa.
Tu non sei mio fratello.
Jon contrasse la mascella. Un movimento impercettibile ma sufficiente a catturare la sua attenzione e confermarle che il Re non aveva trovato in quelle cripte le risposte né la pace di cui aveva bisogno.
«Davvero San? Credi davvero che l’Ultimo Drago amasse un figlio bastardo generato da uno…»
No, non glielo avrebbe lasciato fare.
Se non poteva avere il conforto del ricordo almeno che lo trovasse nell’idea e Sansa era convinta che la storia di Lyanna e Rhaegar fosse molto diversa dalla versione che ne aveva dato Robert Baratheon.
«Jon basta, ti prego. Se non vuoi avere pietà per te stesso abbine almeno per i morti».
«San… »
«Non resterò ad ascoltare mentre ti addossi colpe che non hai e adatti il tuo dolore a una storia che non conosci».
«Non è quello che ci hanno sempre raccontato?»
«E se ci avessero mentito anche su questo? Non biasimo mio padre, lo ha fatto per proteggere te e tutti noi. Solo gli Dei sanno quanto gliene sono grata e quanto deve essergli costato».
Quanto era costato a tutti loro. Quanto era costato a Jon.
Non avrebbe voluto piangere ma era troppo, tutto insieme. Il dolore di Jon, il ricordo di suo padre. L’inutile gelosia di sua madre.
Jon le asciugò le lacrime con il dorso della mano. Aveva tolto i guanti ed era calda sulla sua pelle. Le mani di Jon erano sempre calde.
Mezzo lupo e mezzo drago.
Oh per gli dei!
«Piange vostra grazia? Per il cugino Targaryen? Pensavo che lupi e draghi si odiassero».
La voce gli si era arrocchita per la tenerezza e forse qualcos’altro. Forse il pensiero di ciò che significava per loro cominciava a farsi strada nella sua mente.
«Ho davanti agli occhi la prova di questa incontrovertibile verità».
Finalmente sorrise e Sansa si ritrovò a pensare che in lui non c’era niente dei Targaryen. Il suo sangue di Stark lo avevo protetto in tutti quegli anni come mai avrebbero fatto occhi d’ametista e capelli d’argento. Allungò la mano e lasciò che le dita scorressero tra i capelli ricci e scuri del cugino.
Tu non sei mio fratello.
«Quindi alla mia Regina piace pensare che i miei genitori si amassero?»
«E molto. Il loro amore ha bruciato il mondo e… Sei uno Stark, Jon. Lo sei più di me, lo sei sempre stato più di Robb – questo non cambierà mai – ma sei anche un Targaryen e trovo che sia una splendida notizia».
Anche se ti addolora. Anche se ti spezza il cuore.
È una splendida notizia.
«Perché?»
Perché non sono tua sorella.
Jon si chinò su di le e le baciò le palpebre poi il naso infine le labbra. Un bacio lieve che arrivò dappertutto.
«Perché il mio coraggioso, gentile e forte cugino ha bisogno di una moglie».
«Vostra Grazia sa dove potrei trovarne una?»
«Credo di sì».
Quando fecero il loro ritorno nella Sala grande Bran, Arya e Meera erano ancora lì. Se ne stavano intorno al tavolo, chiusi in un cupo silenzio carico di incertezze e possibilità.
La prima a spezzare l’incantesimo fu Arya. Si alzò e andò loro incontro gettandosi tra le braccia di Jon. Il Re del Nord ricambiò l’abbracciò e rassicurò in un sussurro quella che era stata sua sorella e che non avrebbe mai smesso di esserlo. Bran li osservava con l’espressione di chi si prepara a ricevere un colpo che sa di non poter schivare.
Jon sciolse l’abbraccio e si avvicinò al Corvo con tre occhi. Meera di riflesso serrò le dita lungo il fianco. Lasciò che i pensieri vagassero fino a loro. A Bran e Meera.
Non era sicura di ciò che il fratello provasse per la ragazza Reed ma si fidava di lei e lei lo amava, su questo Sansa non aveva dubbi. Il Corvo con tre occhi poteva sposarsi? La condizione di Bran gli avrebbe permesso di avere degli eredi? I Maestri non erano mai stati in grado di dirlo. Il fratello di Meera era morto oltre la Barriera e il futuro della casa Reed era la ragazza con l’arco che aveva riportato Brandon a casa. Cercei non avrebbe tollerato un'altra unione che avrebbe consolidato il potere degli Stark, ma Sansa avrebbe fatto qualsiasi cosa per garantire la sicurezza della sua famiglia, specialmente quella di Brandon, ed era sicura che Jon la pensasse allo stesso modo.
«La cosa che più mi addolora è la consapevolezza che tutto quello che hai dovuto sopportare è accaduto perché io potessi conoscere la verità».
Sansa trattenne il respiro, colpita dall’incontrovertibilità di quelle parole. La caduta dalla torre, la fuga da Grande Inverno, l’incontro con i fratelli Reed, il viaggio al di là della Barriera.
Quello che Bran aveva vissuto lo aveva trasformato nel Corvo con tre occhi ma era vero anche il contrario. Proprio perché Bran era il Corvo con tre occhi gli dei gli avevano riservato dure prove e preteso grandi sacrifici. Suo fratello non aveva avuto scelta e nemmeno Jon, che portava un fardello altrettanto pesante, l’avrebbe avuta. Nessuno di loro l’avrebbe avuto.
Era pronta a cantare la sua canzone?
«A ognuno il suo destino Jon. Io il mio, tu il tuo. Un compito gravoso ci attende e per il bene dei Sette Regni dobbiamo pregare gli dei di essere in grado di svolgerlo ma credo in te, non ho paura».
«Non hai mai avuto paura di nulla».
«Ne ho avuta invece e tanta. Di non riuscire a tornare a Grande Inverno, di morire e portare con me il tuo segreto. Ho avuto paura che non mi avresti creduto».
«Non potrei mai dubitare di te, Bran. Sei mio fratello, questo non cambierà mai».
Bran sorrise. Sembrava più sereno, l’espressione meno grave di quando era arrivato, la mano di Meera stretta nella sua.
«Lord Reed possiede i documenti firmati da Lyanna e Raeghar che provano le tue origini ma al momento terrei la notizia tra le mura di Grande Inverno. I nostri alfieri non sarebbero felici di sapere che un Targaryen siede sul trono del Nord».
Arya sbuffò spazientita. La stoffa della tunica appariva tesa all’altezza del ventre, presto il suo stato sarebbe stato evidente. Il bambino sarebbe nato nel pieno dell’inverno e degli alfieri ostili erano l’ultima cosa di cui avevano bisogno.
«Esiste una soluzione a questo problema ed è piuttosto ovvia».
Il Corvo con tre occhi alzò lo sguardo su di lei e sorrise. Poi si rivolse al Re e alla Regina del Nord.
«Vi sposerete stasera stessa. Me l’hanno mostrato gli alberi diga e loro non mentono mai».

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Capitolo 34
*** Per amore o per sbaglio ***


La neve scricchiola sotto gli stivali. La sente cedere molle, attraverso la suola. Il rumore arriva appena, si scioglie nel silenzio del Godswood.
Ha fatto promettere alle donne di non cercarla. Non vuole essere disturbata mentre prega con i fratelli e il cognato nel Parco degli dei. Brienne di Tarth ha abbassato il capo ma il dubbio è balenato rapido nello sguardo azzurro senza tramutarsi in domanda.
Quello che sta per succedere nemmeno si era concessa di immaginarlo.
Sognarlo, sperarlo mai.
Si fa sempre più nitido mentre avanza aggrappata al braccio di Arya – la sente respirare, impetuosa e viva, accanto a lei – ne scorge i contorni.
I denti battono gli uni contro gli altri. Il rito si confonde e disfa nella sua memoria.
C’è una formula, deve rispondere. Cosa? Non lo ricorda.
Qualcuno leghi queste mani e basta.
Potesse essere così semplice. Sarebbero sposati mille volte. Sarebbero uniti in vincoli eterni dal loro primo bacio.
Prima ancora, amore. Prima ancora.
Ma devono farlo bene. Che nessuno possa dire che la loro unione non è legittima, che Jon non è il suo Re e lei la sua Regina.
Che osino dire che non ti appartengo e che non appartieni a me.
Che osino.
È così pallido. I capelli e gli occhi così neri.
È così bello. I lineamenti distesi, le labbra dischiuse.
Sansa ama tutto di lui. Sa di amarlo con disperata voracità perché teme di non avere abbastanza tempo e ora che è libera di farlo – senza vergogna senza colpa – lo ama mille volte di più.
Ora che è suo.
Mio marito.
Vorrebbe salire sulla torre più alta di Grande Inverno e gridarlo. Vorrebbe spalancare le voliere e inviare corvi fino agli angoli più remoti della terra.
Mio marito mio marito mio marito mio marito.
Alzare il calice in suo onore davanti agli alfieri, restare sotto il suo sguardo mentre danza al centro della Sala grande fino a svenire. Altre carezze poi la riporteranno alla vita.
Vorrebbe ma devono stare attenti. I tempi non sono maturi.
Un Targaryen sul trono del Nord.
Un’altra guerra per un’altra Stark.
Che sia. Che gli dei osservino mentre tutto ritorna. Che intreccino altri destini allo stesso modo. Forse per un finale diverso, forse per dare nuova veste allo stesso dolore.
Non ha paura. La sua corona non è di rose ma d’argento. Per il suo sposo Targaryen non è dovuta fuggire ma tornare.
Ah tutto ritorna. Tutto.
A cena legherà stretta la sua felicità in nodi di sussurri e ciglia abbassate per regalarla a Jon quando non ci sarà altro mondo al di fuori della loro stanza. Allora saranno altri sussurri.
La voce di Bran suona solenne al suo orecchio. È il momento. Sa cosa dire, l’ha sempre saputo. Le parole splendono nella sua mente e sulle sue labbra.
Prendo quest’uomo.
Da quando ha imparato a camminare non c’è stato passo che non l’abbia condotta dove si trova.
Sansa Stark viene per sposarsi. Viene qui per chiedere la benedizione degli dei.
Sente le dita di Jon intrecciarsi alle sue e sa di averla ottenuta.
Sansa.
Non l’ha forse immaginata mille volte attraversare il Godswood verso di lui?
Per lui.
Nemmeno una volta le ha reso giustizia.
Così bella e senza paura.
Non c’è esitazione nel suo incedere o timore nello sguardo. Lo posa su di lui, stretta al braccio della sorella; è di un blu caldo come una notte d’estate.
Ancora una volta Jon si domanda se sta prendendo troppo senza dare nulla. Se tanta felicità attirerà l’invidia degli dei. Se il conto di dolore per la notte che aspettano di consumare sarà impossibile da saldare.
Eppure non esiste nulla al mondo che possa impedirgli di contrarlo.
Poche ore prima era disposto a bruciare all’inferno pur di averla almeno una volta, adesso sta per legittimare il suo amore davanti agli dei. Per tutta la vita. Suo e soltanto suo sarà il diritto di proteggerla, amarla, scacciare i suoi incubi. I loro figli – se vivranno abbastanza da averne – nasceranno sotto un vincolo sacro senza la macchia di un peccato che non hanno commesso.
Sansa, sua moglie.
Ora che non sa più chi è – un drago un lupo, figlio della colpa o dell’amore – è lucidamente consapevole di chi sia lei.
È tutto, è troppo. Per lui che non ha niente da offrirle se non un futuro di guerra e sangue. Di una gelida morte senza fine se dovesse fallire. Eppure è venuta nel Godswood per sposarlo. Per unire il suo destino a quello di un uomo senza nome e senza passato.
L’erede di tutto.
Jon non lo crede ma per Sansa è pronto ad avanzare pretese che non sente sue. Merita di essere regina, è nata per diventarlo. Lui non sa nemmeno se è nato per amore o per sbaglio.
Cerca sua madre nei lineamenti di Arya e nella delicata bellezza di Sansa. La riconosce nella sfrontatezza della prima e nella passione della seconda. Crede di vederla nelle cugine ma non sa se c’è davvero – non lo saprà mai – e l’unico padre a cui pensa di somigliare è quello della donna che sta per sposare.
Non riesce a pensare a Raeghar. Fin da bambino gli hanno insegnato che il drago è nemico del lupo, che i Targaryen hanno portato agli Stark solo morte e dolore.
Eppure come suo padre anche lui si è innamorato di una Stark. Sansa come Lyanna è pronta a rinnegare il Nord per amore. Forse a loro è concessa la possibilità di fare ammenda. Di creare invece di distruggere.
Un mondo nuovo. Nuove alleanze.
Stark, Targaryen, Baratheon. Uniti contro un nemico comune. Uniti per sopravvivere.
La Regina d’Argento avrebbe visto in lui il sangue del suo sangue? Sarebbe riuscito a proteggere Sansa dalla gelida collera del Nord?
Sansa Stark ha sposato un Targaryen.
Il figlio dell’uomo che ha strappato al Nord la sua rosa più bella.
È figlio anche di Lyanna, deve pur contare qualcosa. La lupa e il drago, questa volta, potrebbero salvare i Sette Regni invece di bruciarli.
Tutto gli sembra possibile mentre Sansa cammina verso di lui. Il desiderio lucido e potente di vivere – di combattere di vincere – lo scuote più forte e intenso dell’incantesimo con cui Melisandre lo ha strappato all’oscurità.
Con Sansa. Per Sansa.
Jon Snow è stato un bastardo, un Corvo, un guerriero del popolo libero. Lord Comandante dei Guardiani della Notte e Re del Nord. È stato il fratello di Robb, l’amante di Ygritte.
Jon Targaryen non è ancora niente. Non è l’Ultimo Drago né il Principe che è stato promesso o tanto meno l’erede di tutto. Di fronte all’albero del cuore, le dita intrecciate a quelle della cugina, Jon è solo il marito di Sansa.
E non si è mai sentito così pronto a diventare chiunque sia destinato a essere.
«Ti senti bene? Non hai mangiato niente».
I piatti erano stati portati via dai servi quasi intatti e per tutta la durata della cena Jon si era domandato in che direzione stessero correndo i pensieri di Sansa. Sembrava assente, nervosa. Seduta accanto a lei Arya ridacchiava e non era di nessuno aiuto.
«Sto bene».
Aveva alzato lo sguardo su di lui. Gli zigomi chiazzati di rosso, gli occhi sgrananti, le labbra dischiuse. Lo fissava in una sorta di incredulo stupore e ammirazione. Sembrava sopraffatta.
Sansa Stark sopraffatta.
Il chiacchiericcio dei commensali, le risate di Tormund, si fecero brusio indistinto, lontano. Non avrebbe dovuto guardarla così, non davanti a una sala piena di gente. Avrebbe dovuto dire qualcosa – reagire – ma non riusciva. Se qualcuno in quel momento lo avesse osservato si sarebbe accorto che il Re era sul punto di baciare la Regina.
«Jon… »
Un ammonimento lieve nella voce, caldo e rauco, che sembrò provenirle dal fondo della gola. Lo udì appena e si protese verso di lei. Con il ginocchio le sfiorò la veste cercando sotto il tavolo le sue dita ma Sansa sembrava volergli sfuggire. Per paura o per pudore.
Voltò il viso, socchiuse gli occhi. Il respiro le usciva rapido dalle labbra come un frullare d’ali, intrappolate nel corpetto legato troppo stretto.
«Arya ha bisogno di aiuto nei preparativi per la notte, l’accompagno nelle sue stanze».
La sorella chiamata in causa alzò le sopracciglia ma non la contraddisse e sollecitò Gendry perché l’aiutasse ad alzarsi. Non si affidava mai alle donne del palazzo. Cercava di arrangiarsi o chiedeva aiuto a Sansa e al marito. Nessuno si sarebbe stupito nel vederle lasciare la sala anzitempo ma Jon avrebbe dovuto pazientare. Se il Re si fosse ritirato troppo presto e senza scorta sarebbe parso strano. L’avrebbe raggiunta poi, cercando di non farsi notare.
La seguì con lo sguardo mentre usciva dalla sala grande insieme alla sorella e per un attimo gli parve una creatura misteriosa, sconosciuta, avvolta com’era in quell’attesa nervosa. Distante e bellissima.
A malincuore riportò la sua attenzione sulla sala e scorse Tormund qualche tavolo più in là che scrutava i volti intorno a lui. Una mano sulla spada, l’altra intorno al boccale colmo di birra. Ogni tanto scoppiava in una fragorosa risata ma all’orecchio di Jon suonavano troppo cariche di tensione e ne indovinava facilmente il motivo.
Per quanto il clima apparisse disteso sarebbe bastato un niente per far scoppiare una rissa. Una parola di troppo, una battuta irrispettosa sulla Regina, un’allusione non troppo velata. L’alcol scioglieva le lingue e trasformava gli agnelli in provocatori.
Una ragazza si avvicinò per riempirgli il calice ma la fermò con un gesto della mano. Ubriacarsi era l’ultima cosa che voleva.
«Cosa ci fai ancora qui?»
Un lampo divertito guizzò nello sguardo azzurro dell’ultimo erede dei Baratheon. A Jon piaceva la liberalità con cui il cognato si rivolgeva a lui. Era una confidenza che nasceva dai vincoli che sentivano di aver stretto e alimentava in lui la speranza che altre alleanze sarebbero state possibili in nome della famiglia e di un obiettivo comune.
Lui e Gendry sembravano essere legati da uno strano destino. Robert Baratheon aveva ucciso Raeghar e amato Lyanna. Entrambi erano cresciuti come bastardi, uno al Fondo delle Pulci di Approdo del Re e l’altro tra le mura di Grande Inverno. Gendry gli aveva raccontato di essere diretto alla Barriera quando sulla strada del Re erano stati attaccati dagli uomini di Joffrey. Alla fine si erano incontrati a Grande Inverno ed erano stati testimoni l’uno delle nozze dell’altro. I loro destini si erano incrociati troppe volte per ritenerlo un incontro casuale e Jon era convinto che rappresentasse per entrambi l’occasione di non ripetere gli errori dei loro padri. Targaryen, Stark e Baratheon ora erano una famiglia.
«E tu cosa ci fai ancora qui?»
«Le signore mi hanno fatto gentilmente intendere che dovevo togliermi dai piedi».
Quindi Sansa aveva sentito il bisogno di parlare sola con Arya. Si era già pentita di averlo sposato? Aveva bisogno di consigli su come respingere i suoi assalti la prima notte di nozze?
«Anch’io non sono sicuro di essere atteso con impazienza».
Il ragazzo sorrise e fece spallucce. Jon si era affezionato a lui nonostante il poco tempo trascorso insieme. Era una testa calda ma non mancava di forza, coraggio e tenacia. Un giorno sarebbe potuto diventare un buon comandante; se era in grado di tenere testa ad Arya, dei soldati indisciplinati non sarebbero stati un problema.
«Non sei stato con molte donne».
Era una constatazione piuttosto semplice e annuì cauto non riuscendo a indovinare su che terreno si sarebbero mossi.
«È così evidente?»
«In caso contrario non ti avrebbe scelto».
«Allora avrebbe dovuto scegliere meglio. Un lord o un principe, non… me».
Era sempre stato quello il punto. Fin da quando erano bambini. Era il motivo per cui aveva lasciato Grande Inverno per unirsi ai Guardiani della Notte.
Cosa si era messo in testa? Non sarebbe mai stato all’altezza di sua moglie, non lo era stato mai. Era stato cresciuto come un bastardo. Nessuno si aspettava che un giorno avrebbe sposato una signora come Sansa.
Che avrebbe sposato Sansa.
Bella colta intelligente. La principessa di Grande Inverno, la Regina del Nord. La figlia di Catelyn Stark.
Nessuno gli aveva insegnato cosa avrebbe dovuto fare o non fare. Non c’erano un padre o un fratello ai quali chiedere consiglio.
Il suo unico talento era maneggiare la spada. Che ne sapeva di come si ama una regina? Non sarebbe stato in grado di trattarla con il dovuto rispetto. Era stato egoista e ripugnante da parte sua farle pressione e guardarla in quel modo durante la cena. Non c’era da biasimarla se aveva lasciato la sala in fretta e furia per rifugiarsi nelle stanze della sorella.
«Tu sei il Principe».
«Principe di cosa? In questo momento mi sento solo un bastardo senza genitori».
«Un bastardo molto fortunato. Va’ da tua moglie, Jon. Fidati di lei, permettile di mostrarti di cosa ha bisogno. Potrebbe sorprenderti».
«E se non avesse bisogno di me?»
«Non ti resta che scoprirlo».
Gendry gli diede una pacca sulla spalla e chiamò una delle ragazze perché gli versasse altro vino. Probabilmente aveva ragione. L’unica soluzione era affrontare Sansa, rassicurarla e chiederle scusa per essersi dimostrato impaziente e insensibile. Poi le avrebbe augurato la buonanotte.
Parlarono ancora un po’ – della guerra imminente, degli alleati e dei nemici – e quando gli sembrò che fosse trascorso abbastanza tempo si alzò per lasciare la sala. Gendry uscì con lui – avrebbero dato meno nell’occhio – e in silenzio si diressero verso le camere da letto.
Quando fu davanti alla porta aspettò qualche istante prima di bussare. Inspirò a fondo e raccolse il coraggio necessario per affrontare il rifiuto di sua moglie. Scivolò dentro la stanza e chiuse la porta dietro di sé.
Sansa era ancora sveglia. Camminava nervosa, su e giù per la stanza, torcendosi le belle dita. Quando si accorse della sua presenza si fermò di colpo e arrossì.
Non aveva sciolto i capelli ma si era liberata di vestito e corpetto e sotto la vestaglia indossava solo la tunica che usava per dormire. Contro la luce irradiata dal fuoco del camino poteva intravederne le forme, le gambe lunghe libere dalle calze. Deglutì e passò le dita lungo il colletto della giubba con l’intento di allentarne i lacci. Si sentiva soffocare.
Sarebbe dovuto rimanere a una certa distanza altrimenti non sarebbe riuscito a controllarsi.
Non poteva assolutamente permettersi di toccarla.
Distolse lo sguardo per timore che gli leggesse negli occhi quello che avrebbe voluto.
«Temevo non saresti più arrivato».
Avvertì qualcosa nella voce che lo spinse ad alzare gli occhi su di lei. Un misto di sfida e pudore.
Sansa era la creatura più bella che avesse mai visto. Lo era sempre stata.
Nessun cerimoniale, per quanto sacro, gli dava il diritto di avanzare delle pretese. Il pensiero di rinunciare a lei era doloroso ma sorprendentemente semplice da formulare. Per nessun motivo al mondo le avrebbe fatto del male.
«Perdonami se hai dovuto aspettare per coricarti. Sarai stanca e non voglio rubarti altro tempo. Sono passato per augurarti buonanotte e controllare che stessi bene».
«Jon… »
«Durante la cena ho dato una pessima prova di me, scusami. So essere migliore di così e non potrei mai fare qualcosa… »
«Jon… »
«che possa offenderti o ferirti. Siamo sposati e niente al mondo può rendermi più felice…»
«Jon!»
Ammutolì interrompendo il fiume delle parole e dei suoi pensieri. Sansa lo osservava, le sopracciglia aggrottate in un’espressione divisa tra il divertito e il seccato. Era buffa. Se non fosse stato spaventosamente nervoso l’avrebbe presa in giro e avrebbe cercato di distendere quelle linee corrucciate con la punta delle dita.
Ma per farlo avrebbe dovuto toccarla e non poteva toccarla.
«Sì?»
«Dobbiamo parlare».

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Capitolo 35
*** Cerca di essere felice ***


Il freddo mordeva la pelle nonostante avesse mandato le ragazze a scaldare le stanze.
Anche la sua.
Scacciò il pensiero e passò alla sorella un paio di calze più lunghe. Sentì sotto i polpastrelli la lana ruvida della biancheria che usavano tutti i giorni. Lei ne indossava un paio di lana più fine, chiuse da un nastro di seta poco sopra il ginocchio. Qualche ora prima, guardandosi allo specchio, si era sentita bene.
Una sposa, la sua prima notte di nozze.
In quel momento, sotto lo sguardo grigio e attento della sorella, si sentiva solo una stupida.
«Sei arrabbiata con Jon?»
«No».
Sarebbe più facile.
Se fosse rabbia e non desiderio.
E paura.
«Allora perché sei qui a vestire me invece che nelle tue stanze a spogliare tuo marito?»
Spogliare Jon.
I muscoli vivi sotto il suo tocco.
I suoi capelli tra le dita.
I sospiri tra i suoi sospiri.
Quante volte si può sussurrare un nome in una notte?
Consumare un nome, consumare le ore, consumare il nostro letto.
I pensieri si rincorrevano, impossibili da domare. Sansa si morse il labbro e rivolse un’occhiata sfuggente alla sorella. La gravidanza le aveva ammorbidito i tratti del volto e l’espressione si era fatta meno tagliente. Le buone maniere e la pazienza, invece, erano rimaste quelle di sempre: inesistenti.
Nymeria uggiolò indispettita ai piedi del letto e Arya si chinò per accarezzarle la testa. Qualche settimana ancora e non sarebbe più riuscita in gesti come quello. A volte si domandava come stesse vivendo un’esperienza totalizzante come la gravidanza. Presto – quanto presto terrorizzava Sansa, con la guerra imminente e l’inverno che non dava loro tregua – una creatura indifesa e bisognosa di tutto avrebbe richiesto la sua completa attenzione.
«Stai pensando così forte che è come se mi stessi urlando in faccia. Qual è il tuo problema?»
Non sapeva nemmeno da che parte cominciare. Mai avrebbe pensato di chiederle consiglio in un simile frangente. Era difficile tradurre la tempesta in parole ma un’eco di ciò che si agitava in lei doveva essere giunta fino ad Arya, perché raddrizzò di scatto la schiena e strabuzzò gli occhi.
«Per i setti inferi! Dimmi che non stiamo per avere questa conversazione. Nostra madre non ti ha spiegato niente?»
Non ne ha avuto il tempo.
Quello che so l’ho imparato da sola e avrei preferito non saperlo mai.
«Per prima cosa non imprecare e seconda cosa nostra madre è morta. Mi sei rimasta solo tu».
Siamo rimaste solo noi.
«Le lezioni di Septa Mordane? Lascia perdere, dimentica qualsiasi cosa ti abbia detto Septa Mordane sull’argomento e dimentica anche la mamma. Ti avrebbe uccisa piuttosto che lasciarti sposare Jon».
Sansa sorrise, nonostante tutto, perché sua sorella aveva ragione.
«Sarei fuggita con il mio principe Targaryen come zia Lyanna».
Arya alzò gli occhi al cielo e le diede la schiena per farsi aiutare con i lacci della giubba.
«Speriamo tu non faccia la stessa fine».
«Grazie, mi sei di grande conforto».
Quando parlò di nuovo la voce era chiara, leggermente tesa come quando si sforzava di mantenerla ferma per non piangere.
«Non ero sicura che l’avrei rivista».
«Chi?»
«Questa Sansa – i principi, i sogni ad occhi aperti – ed è merito di Jon, quindi sputa il rospo ma niente dettagli. Fingerò non si tratti di mio fratello, il mio stomaco è particolarmente sensibile in questo periodo».
Il tono era tornato quello di sempre e Sansa riprese a litigare con i nodi di cuoio.
«Non devi fingere Arya. Jon non è tuo fratello».
«Hai capito cosa intendo».
Alzò le braccia e Sansa l’aiutò a sfilare la tunica e a indossare quella da notte. Non portava il corpetto, preferiva avvolgersi in fasce di lana legate intorno al petto. Un’abitudine che avrebbe voluto condividere in quel momento.
Respira respira respira.
Trasforma la tempesta in parole.
«Quella ragazza del Popolo Libero… Sono sicura fosse selvaggia e bellissima, capace di far felice un uomo, mentre io sono solo un uccelletto spezzato e goffo che… »
Arya non la lasciò terminare. Era una donna d’azione, sorda ai compromessi. Nel suo mondo, senza chiaroscuri, la concretezza dei fatti era l’unica chiave e non teneva conto dei moti capricciosi e incoerenti dell’animo e dei desideri più nascosti e impronunciabili. Sansa aveva imparato che le azioni possono essere compiute per tanti motivi – paura, vendetta, amore, calcolo, noia, crudeltà – e che la volontà era forse la spinta più rara.
«Sei tu quella che ha sposato».
Lo ha promesso davanti agli dei.
Fino a quando non ci sarà più niente.
«Perché lei è morta».
Finalmente si voltò, le sopracciglia aggrottate di fronte all’insondabile mistero che Sansa rappresentava per lei.
«No, perché ti ama. Sei il modello sul quale ha misurato ogni donna che ha incontrato. Potresti camminare sui muri o metterti le dita nel naso e continuerebbe a pensare di non essere alla tua altezza».
«Si sbaglierebbe due volte allora. Non solo perché sono io a non essere degna di lui – e non mi basterebbero cento vite per diventarlo – ma perché potrei essere rovinata per sempre. Incapace di dargli dei figli».
Che io sia mille volte maledetta.
Potrei tradirti così crudelmente? Privarti del futuro?
Ti ho voluto con una tale forza da legare la mia anima alla tua.
Senza capire che avresti condiviso anche il mio dolore.
«San quello che hai vissuto è stato terribile e odioso ma non è ciò che normalmente succede tra un uomo e una donna. Di questo dovresti essertene accorta».
Se n’era accorta eccome. Quello che provava quando Jon la toccava. La guardava. Non era equiparabile a nulla che avesse mai provato. A cena c’era mancato poco che lo baciasse davanti a tutti e non sarebbe stato un bacio a fior di labbra. Il desiderio bello e intenso con cui l’aveva guardata si era riflettuto come un’eco, svegliandola, allertandola, spingendola a sfiorare il bordo di ciò che temeva e voleva con tutta se stessa.
Averti e darmi.
«Se non riuscissi a sopportare il dolore?»
Arya sbuffò spazientita e la guardò come se fosse stata pazza.
«Perché non provi a fidarti di tuo marito? Potresti trovare l’esperienza piacevole».
Era di se stessa che non si fidava. Di come avrebbe reagito il suo corpo tanto provato. Quello che sapeva lo aveva imparato durante il precedente matrimonio e le vaghe spiegazioni di sua madre, impartite quando era solo una ragazzina in partenza per Approdo del Re, non erano sufficienti a rassicurarla.
Dare e ricevere, Sansa. Un giorno capirai, se sarai abbastanza fortunata da trovare un marito generoso e attento, gentile e devoto. Dentro e fuori il vostro talamo.
«Nostra madre… »
«Nostra madre ha fatto cinque figli, sospetto lo trovasse piuttosto piacevole anche lei».
«Arya!»
«Sansa ci stai pensando troppo. Parla con Jon, ti ascolterà».
«Le signore non parlano di queste cose. Chiudono gli occhi e pregano perché finisca tutto in fretta».
Arya scoppiò in una fragorosa risata e si rifugiò sotto le pellicce. Un sorrisetto le aleggiava sulle labbra ed ebbe il sospetto che si stesse prendendo gioco di lei. Almeno un po’.
«Ne riparleremo domani mattina quando potrai guardare agli insegnamenti di Septa Mordane con maggior consapevolezza».
Sansa si alzò cercando di nascondere la delusione. Erano tante le domande che avrebbe voluto fare alla sorella ma il pudore la frenava e Arya si divertiva troppo a punzecchiarla per darle i consigli di cui aveva bisogno. Era giunto il momento di accettare l’idea che la sua prima notte di nozze potesse rivelarsi un disastro. Jon sarebbe stato dolce, paziente e comprensivo ma forse non l’avrebbe più guardata allo stesso modo.
Decisa a congedarsi, lasciò un bacio nervoso sulla fronte della sorella. Arya la trattenne, afferrandole le dita con un movimento rapido e invisibile.
«Puoi essere tu a condurre».
Insieme.
L’uno per l’altra.
Fiduciosi e complici nella loro danza.
«Scusa?»
«Guidalo, mostragli cosa fare. Gli hai insegnato a ballare, no? È solo un diverso tipo di danza e qualche passo lo avete già provato».
Sansa arrossì al ricordo della notte nel solarium. Come Jon l’aveva seguita in quella corsa verso il nulla che era stato il loro primo bacio. Precipitosa, intensa, bellissima. Era stato così difficile fermarsi e lui si era totalmente abbandonato a lei. Forse doveva solo lasciarsi andare.
«Grazie».
Baciò di nuovo la sorella, con più calore. Aveva trovato il modo di rendere chiaro quel mondo che le appariva tanto inaccessibile.
Non lo devi sapere. Lo devi sentire.
Le strinse le dita tra le sue e ringraziò di nuovo gli dei per aver riportato Arya a casa.
«Va’ da tuo marito adesso, ti aspetta. Bevi un bicchiere di vino, lascia che sia lui a scioglierti i capelli e cerca di essere felice».

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Capitolo 36
*** Dammi le mani ***


Camminava avanti e indietro davanti allo specchio. Aveva sfilato le calze e tolto il vestito, lasciato i capelli intrecciati. Sotto la vestaglia – che stringeva intorno al corpo per ripararsi dal freddo – indossava solo il corpetto mezzo slacciato e la biancheria.
Era strano. Guardava di tanto in tanto l’immagine riflessa e non riusciva a riconoscersi. Mostrava un’altra Sansa, meno spaventata e intimidita.
È così che tu mi vedi?
Si era versata un calice di vino ma aveva bagnato appena le labbra. L’avrebbe bevuto con Jon, se mai si fosse presentato nelle sue stanze. Poteva biasimarlo? Era stata lei a lasciare di corsa la sala, scostarsi quando aveva cercato di prenderle la mano. Lei per prima lo aveva respinto, spaventata da quello che aveva realizzato. Le regole, l’etichetta, i doveri di una lady – tutto ciò che le avevano insegnato a essere e che era diventata – soccombevano di fronte alla forza di quello che provava e all’intensità del suo desiderio. Jon l’aveva resa vulnerabile e per la prima volta nella sua vita Sansa era felice di esserlo perché si sentiva vera.
Viva.
Fatta di pelle, sangue e nervi.
Pelle che sente, sangue che scorre, nervi che fremono.
Il pensiero di lui – aspettarlo – le toglieva il respiro. La paura e l’insicurezza erano volate via a ogni gancio allentato del corpetto, cadute sciogliendo i nastri di seta delle calze. L’attesa si trasformava di minuto in minuto nella spinta che le avrebbe dato il coraggio di chiedere e dare.
Dammi le mani.
Lo sentì entrare e alzò lo sguardo su di lui.
Mio mio mio mio.
Reale e vicino tanto da poterlo toccare. Migliore di quanto lo avesse mai immaginato. Nemmeno nelle sue fantasie più sfrenate avrebbe osato sognare un marito come Jon. Un uomo migliore di lui.
Dei è così bello il mio amore.
Nel suo cuore e nei suoi occhi.
«Temevo non saresti più arrivato».
L’affanno dispettoso impedì alle parole di uscire limpide e chiare come avrebbe voluto dirle. Voleva raggiungerlo, rifugiarsi tra tra le sue braccia – toccarlo finalmente sul cuore e sulla pelle – ma se lo avesse fatto non sarebbe riuscita a chiedere ciò che desiderava.
Era lì, di fronte a lei, e parlava, sulle labbra la sicurezza che hanno solo le scuse sincere e lo sguardo dolente e malinconico di chi deve rinunciare per amore.
«Dobbiamo parlare».
Si avvicinò cauta e impaziente. Tese le mani, temendo per un istante che non le avrebbe afferrate.
Eppure non siamo così smarriti da non riuscire a trovarci.
Jon le prese e le portò alle labbra. Baciò le nocche una ad una, sfiorandole appena.
Com’è viva la mia pelle sotto la tua bocca. Sente tutto.
Il piacere di quel contatto fu così intenso da farle bruciare le ossa.
«Ti ascolto».
L’iride nera sgranata, le labbra appena dischiuse. Sansa le sfiorò con le dita.
Questa bocca. Dappertutto.
«Ho una richiesta ma potrebbe non piacerti. Penserai di aver sposato una donna sfacciata e senza pudore».
«San… »
La voce gli uscì bassa, roca. Le si annodò al centro del ventre e scompigliò i pensieri che le rimanevano. Lentamente cominciò ad allentare il farsetto del marito.
Come una danza.
Una sequenza di gesti e respiri scanditi dal tempo.
Lo fece scivolare lungo le spalle e lasciò correre le dita sotto la tunica. Sfiorò le cicatrici, i muscoli dell’addome. Era piacevole scoprirlo, conoscerlo, palmo a palmo, con calma, senza la frenesia di consumare tutto prima che arrivi la forza di resistere alla tentazione. Il delicato controllo che stava esercitando la rassicurava, tanto da spingerla a provocare il suo bellissimo marito.
«Se fossero solo baci quelli che ti aspettano questa notte, mi ameresti lo stesso?»
Sfilò la tunica dai pantaloni e iniziò ad accarezzargli la schiena. Jon socchiuse gli occhi e trattenne il respiro.
«Solo qualche ora fa avrei dato qualsiasi cosa per un bacio. Una notte intera va al di là delle mie più rosee aspettative. Un giorno quando sarai pronta, se lo vorrai, proveremo a… »
«Se quel giorno non dovesse arrivare mai?»
Una bocca così non può mentire.
Questi occhi non possono promettere sapendo che non saranno capaci di mantenere.
«Una vita di castità non mi spaventa, l’ho già scelta una volta. Per di più questa la condividerò con te, mi basta per essere felice».
«Non sei impaziente di consumare il nostro matrimonio?»
Aprì la vestaglia e la fece scivolare lungo le spalle fino a terra. Desiderava vederlo cedere o resistere? Avrebbe vinto in ogni caso: tanto sarebbe stato il desiderio di toccarla da soffocare i nobili propositi di non offenderla, tanto il suo amore per lei nel rispettarla a dispetto di quanto la desiderava. Jon lasciò vagare lo sguardo ma nulla di più.
«Sono più curioso di scoprire fin dove è disposta a spingersi la mia bellissima e sfacciata moglie priva di pudore».
È un gioco. Oltre a essere una danza, è un gioco.
Gli circondò il collo con le braccia, intrecciando le dita ai suoi capelli, e inclinò la testa per guardarlo negli occhi.
«Ti lasceresti guidare da me? Come quando balliamo?»
Sorrise appena, lo sguardo scuro dietro le palpebre socchiuse.
«Qualsiasi cosa per la mia Regina».
Allora dammi le mani.
«Vorresti toccarmi?»
Io vorrei che tu lo facessi ma non ho il coraggio di chiedertelo.
«Lo desidero più di ogni altra cosa ma non lo farò senza il tuo permesso. San… Ti appartengo, puoi fare di me ciò che vuoi. Quando lo vorrai, ogni volta che lo vorrai, per tutto il tempo che lo vorrai».
Sansa dischiuse le labbra lasciandosi sfuggire un sospiro breve e intenso. Jon aveva scelto di resistere perché nel rispetto c’è molto più amore che nel desiderio: il primo è un dono di libertà, mentre il secondo racchiude in sé troppo egoismo. Arya aveva ragione, Jon l’amava a dispetto di tutto e nonostante tutto e ancora una volta l’aveva lasciata libera di scegliere anche a scapito di ciò che desiderava.
«Allo stesso modo io appartengo a te e avresti il diritto di chiedere altrettanto».
«Quello che voglio è renderti felice. Come – dentro e fuori da questa stanza – sarai tu a deciderlo».
Allora non ci resta che iniziare a scoprirlo amore mio.
Gli prese il volto tra le mani e con i pollici sfiorò le palpebre abbassate.
«È una prospettiva molto allettante».
Lo baciò. Con le mani percorse le spalle, i muscoli delle braccia, della schiena. Si strinse a lui, annullando la distanza e pregando che lo interpretasse non come un permesso ma come una richiesta accorata. Jon rispose al bacio con lo stesso abbandono e chiuse il cerchio intorno a lei. La seguì, accarezzandole la schiena, sciogliendole la treccia con delicatezza. Il bacio si fece più profondo, i sospiri più rapidi, i gemiti meni impercettibili. Sentiva la tensione nei muscoli del marito, lo sforzo che faceva per controllarsi.
Afferrò il bordo della tunica e la sollevò fino a sfilargliela. Jon chiuse la distanza, cercando di nuovo la sua bocca e Sansa lo accontentò per accontentare se stessa. Si staccò piegando indietro la testa, offrendo il collo che lui percorse – baci lievi lungo la linea bianca, giù per la mascella, sulla pelle sottile della clavicola – mentre lei litigava con gli ultimi lacci del corpetto, sciolti per guadagnare un altro po’ di libertà.
Voglio di più. Molto di più.
«San c’è una linea oltre la quale è molto difficile tornare indietro».
«Mostramela».
Sentiva l’affanno dietro il controllo ma i gesti erano sempre delicati, cauti, esitanti.
Il mio amore gentile e forte.
Era pronta a superare quella linea e non desiderava fermarsi né tornare indietro. Sorrise spingendolo verso il letto e scivolando in braccio a lui.
«Sansa… »
La tirò verso di sé e la baciò. Sentiva il tocco leggero delle sue dita sfiorarle la nuca, sebbene la presa fosse salda, così come la mano che le stringeva il fianco.
Il calore del suo tocco attraverso il lino della tunica.
Lungo il fianco fino al mio cuore.
I sospiri che sentiva erano suoi o di Jon? Si confondevano tra i baci e gli assaggi leggeri, tanto intrecciati da non riuscire a capire quali fossero quelli che dava e quelli che riceveva. I suoni rauchi e lontani che uscivano da quella bocca perfetta – quella bocca. Dappertutto – le scaldavano la pelle e spezzavano il respiro.
Sentiva il suo corpo reagire, chiedere, prendere lo slancio per superare l’ultimo limite. Così come quello di Jon. Non c’era più distanza tra loro – solo un po’ di lino e di paura – e arrossì perché nessuno dei due poteva più fingere di non desiderare ciò che stava per succedere.
Era lei a condurre e toccava a lei aprire le danze.
«Jon ti prego, adesso. Non credo di poter resistere un minuto di più».

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Capitolo 37
*** Prima che arrivi il giorno ***


Resistere.
Come aveva potuto pensare di resistere?
Privarsene coscientemente. Privarsi di Jon senza sapere cosa significasse averlo.
Doveva essere pazza.
Nascose il viso contro la sua spalla. Solo il pensiero di quante volte avesse ripetuto il suo nome la faceva arrossire.
Sussurrato. Spezzato. Sfuggito dalle labbra dischiuse per lo stupore della scoperta.
Forse lo aveva anche gridato.
Al di là del piacere, al di là dell’istinto, c’era qualcosa di sacro e inviolabile.
Qualcosa di antico come un ritorno.
Ed era bellissimo.
«Non riesco a credere che tu sia mia moglie».
Non sentiva freddo, Jon le dava tutto il calore di cui aveva bisogno. Fluttuava in una veglia languida, appagata e affamata allo stesso tempo. Sentiva i muscoli intorpiditi ma pronti a risvegliarsi al minimo contatto. Al suono del suo nome che usciva da quella bocca audace, generosa e perfetta. Più Jon si lasciava andare più la legava a sé e lo stesso valeva per lei. Sansa si arrendeva e conquistava.
Che ore erano? Aveva perso la cognizione del tempo. I minuti, le ore, non avevano più importanza. Scorrevano tra un bacio e l’altro. A volte lenti e a volte rapidi come i passi della loro danza. Non avrebbe mai smesso di ballare.
«Non riesco a credere di aver sposato un Targaryen».
Era troppo presto per scherzarci sopra? Era talmente confusa e sopraffatta da ciò che provava da essere poco lucida. Scrutò il volto del marito cercando di capire se fosse offeso ma sembrava solo… felice.
Sei così bella Sansa.
Dei, sei così bella.
Metà della loro prima notte di nozze era trascorsa e Sansa avrebbe desiderato che non avesse fine. Era stata sorprendente. Jon era sorprendente. Dolce e appassionato, forte e delicato al tempo stesso. Mai avrebbe pensato che unirsi a uomo potesse essere così.
Perfetto.
Intimo, intenso, inaspettato.
«Ti fidi di me, San? Voglio solo farti sentire bene».
Si era fidata e la sua fiducia era stata ripagata.
C’erano strade sotto la sua pelle che non pensava si potessero percorrere.
Jon le aveva disegnate per lei.
Con lei.
Dei, come si sarebbe potuta alzare dal letto l’indomani e riprendere una vita normale?
Non riusciva a pensare di separarsi da Jon. Smettere di toccarlo. Smettere di guardarlo.
«Stai bene?»
Era lui a guardarla adesso con quell’espressione che stringeva Sansa in una morsa dolce e dolorosa, perché rivedeva quella dolcezza e quel dolore nei suoi occhi. Forse significava questo appartenersi. Avere un posto nel mondo ma anche paura di perderlo.
«Benissimo».
La tirò a sé e la baciò e Sansa si preparò ad accoglierlo. E cullarlo e cullarlo e cullarlo…
«Resta con me».
«San… Si possono concepire i bambini anche la prima notte di nozze».
«Voglio tutto di te, Jon Snow. Soprattutto un bambino».
Deve essere questa l’eternità. Racchiusa in un attimo sospeso.
Dove non si riesce a distinguere chi sei e chi sono.
Siamo e basta. Nel groviglio e nella resa.
«La mia bella e dolce ragazza. La mia sposa lupo. Avrà tutto ciò che desidera».
«Ce l’ho già amore. Ce l’ho già».
«Ora capisco mio padre. Per te rovescerei il mondo».
Dei, non aveva mai visto nessuno guardarla in quel modo.
La sua pelle sotto le dita di Jon.
Il suo nome sulla sua bocca come una preghiera.
Le ore correvano troppo veloci. Era già l’alba.
«Quando Daenerys Targaryen saprà di noi, forse sarai costretto a farlo».
Le preoccupazioni del mattino incombevano su di loro. Presto – troppo presto – avrebbero dovuto affrontarle.
«Non permetterò a nessuno di farti del male. Nemmeno alla Regina d’Argento».
«Forse era quello che tuo padre prometteva a zia Lyanna. Forse faremo la stessa fine dei tuoi genitori».
In fondo abbiamo fatto la stessa scelta.
A dispetto di ciò che era giusto.
«Sansa dormi oppure vieni qui».
E Sansa si strinse a lui ancora una volta.
Il ghiaccio e il fuoco.
Il ghiaccio e il fuoco.
Suonava una canzone nella testa di entrambi.
Sansa e Jon.
Ti lasceresti guidare da me? Come quando balliamo?
Mille volte sì.
Qualsiasi cosa per la mia Regina
Essere istruito, condotto attraverso un territorio sacro e misterioso. Imparare a suonare come uno strumento che emette solo note perfettamente intonate. Si erano accordati con facilità – molto più velocemente e spontaneamente di quanto si aspettassero – trovando anche nell’intimità ciò che li aveva condotti fino al talamo che avevano consumato. Con passione e amore.
Anche nello slancio, nell’istinto. Nel dare e nel ricevere.
Ogni volta era riemerso con l’incrollabile certezza che non ne avrebbe avuto mai abbastanza e di essere irrimediabilmente, completamente e felicemente pazzo di sua moglie.
Com’è Sansa? Com’è amarsi così?
Infinito.
Aveva amato Ygritte. Quando era morta, aveva sofferto come se gli avessero strappato il cuore. Eppure, nonostante tutto, arrivato il momento di tornare ai Guardiani della Notte e al suo dovere, Jon l’aveva lasciata e aveva combattuto contro di lei.
L’amore è la morte del dovere.
Se ne rendeva conto mentre osservava la moglie addormentata tra le sue braccia.
Sua sorella. Sua cugina. Sua moglie.
Per Sansa avrebbe fatto qualsiasi cosa. Era già venuto meno a molti dei suoi doveri. La Regina Drago avrebbe potuto interpretare il loro matrimonio come un affronto. Jon aveva rinnegato la casa Targaryen per regnare accanto alla sorella-cugina. Una ribelle.
Sarebbe dovuto andare di persona da Daenerys, convincerla che lui e Sansa si erano sposati per amore. Per farlo avrebbe rinunciato a ogni pretesa sul Trono di Spade e avrebbe chiesto in cambio solo il Nord e Capo Tempesta. E i draghi per sconfiggere gli Estranei.
Tutto quello che desiderava era tenere al sicuro la sua famiglia e addormentarsi ogni notte tra le braccia di sua moglie.
La sua bella moglie lo aveva fatto impazzire. Stregato e soggiogato dalla combinazione di pudore e curiosità che spingeva Sansa in un’alternanza di slanci appassionati e rese fiduciose che appagava Jon doppiamente: per la generosità di lei e nel renderla felice.
Con pazienza lo aveva guidato e condotto, dove voleva essere guidata e condotta. Dandosi a lui senza riserve e lui aveva fatto altrettanto. Aveva detto di volere un bambino e Jon non si era lasciato pregare. Eppure sperava che non arrivasse subito, perché desiderava avere Sansa tutta per sé almeno per un po’.
Si sentiva più stanco quella notte che dopo la Battaglia dei Bastardi ma non riusciva a dormire. Non riusciva a smettere di guardarla. In un istante sarebbe stato pronto a ricominciare da capo al solo scopo di farle cantare il suo nome tutte le volte che fosse riuscito a strapparlo da quella bocca meravigliosa.
«A cosa stai pensando?»
Era sveglia. Si allungò verso di lui, in cerca della sua bocca. Lo baciava ancora con una sorta di colpa e disperazione che forse non li avrebbe mai abbandonati del tutto.
«A te».
«Bugiardo».
«Quale uomo non ti penserebbe incessantemente durante la prima notte di nozze? E quelle che la seguiranno».
«Mi hai sposata, Jon Snow».
«E ho avuto il coraggio di portarti a letto».
«Su questo punto ci sarebbe da discutere».
Jon la tirò sopra di sé.
Ancora una volta. Prima che arrivi il giorno.
«Allora mia signora, permettimi di rimediare. Di nuovo».

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Capitolo 38
*** Un dono di nozze ***


Sansa, amore, svegliati.
Ci aspettano nella Sala Grande.
Vogliono risposte. Vogliono che prendiamo delle decisioni.
Il nostro letto resterà qui ad attenderci.
Per un’altra notte.
Sono solo nostre le notti. Lo sai che sono solo nostre?
Jon si riveste. Lentamente. Un indumento alla volta.
La tunica, il farsetto. I pantaloni. Si domanda dove sia finito il mantello. Lo indossava la sera prima? Non ricorda.
Forse dovrei chiamare Podrick.
Ma Sansa dorme ancora. La spalla candida spunta da sotto le pellicce.
Non vuole condividere con nessuno quello spettacolo. Può vestirsi da solo, l’ha sempre fatto.
E poi deve svegliare la sua bella moglie. È tardi.
Muore dalla voglia di svegliarla. Si siede sul letto e si china su di lei. Le scosta i capelli per baciarla dietro l’orecchio.
«Jon».
Ride.
Sansa che ride di primo mattino.
Inspira a fondo e ringrazia gli dei. Sa di avere davanti una giornata difficile ma si consolerà con il pensiero di questo istante durante le ore che lo terranno separato da lei.
«Devo andare, amore. Grande Inverno si sta svegliando, a momenti Davos verrà a bussare alla mia porta con i dispacci del mattino».
Sansa si rigira sotto le pellicce, gli mette le braccia intorno al collo e lo tira a sé.
«Manderò qualcuno a dire che il Re questa mattina non si sente bene. Forse riceverà nel pomeriggio… forse domani… forse tra sette giorni… o tra mille… »
Gli bacia il mento, gli zigomi, le labbra. Cerca di non pensare che tra lui e la pelle di sua moglie c’è solo la pelliccia sotto cui si sono scaldati durante la notte, altrimenti non sarà più capace di andarsene.
«Quanto egoismo Vostra Grazia. La Regina ama il marito forse più del suo Regno?»
Perché il Re ama la moglie più di ogni cosa.
«Assolutamente sì».
Sansa dischiude le labbra e lo cerca per un bacio più profondo. Il desiderio di lei è ancora disarmante per Jon. Stenta a credere che Sansa lo voglia, lo accolga, risponda alle sue carezze con altrettanto amore e passione. Lui vorrebbe non dover smettere mai.
In fin dei conti Ser Davos può attendere qualche minuto.
La solleva, districandola dal groviglio di pellicce e lenzuola. Le sue dita scivolano fino in fondo alla schiena nuda.
Ha sentito parlare di questo – di passioni che tolgono il sonno e la ragione – ma non vi ha mai creduto fino in fondo. Di nuovo si ritrova a pensare ai suoi genitori, cominciando a intuire cosa gli abbia spinti a tradire la famiglia, il dovere, la propria gente. Per questo.
A breve gli ultimi pensieri rimasti si scioglieranno come neve al sole…
Un colpo secco. La porta della camera si spalanca e l’aria gelida del corridoio lo investe, insieme alla paura. Si volta, nascondendo Sansa dietro di sé e cercando disperatamente di ricordare dove ha lasciato Lungo Artiglio.
«Per fortuna sei vestito… »
«Per gli dei Arya, ti sembra il modo di entrare!»
Sente il sangue arrossargli le guance per il sollievo e l’imbarazzo. Spettro salta sul letto in cerca delle attenzioni di Sansa che si lascia sfuggire un profondo sospiro appoggiando la fronte alla sua spalla. Sente il suo corpo rilassarsi contro di lui.
Dopo la loro notte potrebbe tracciarne i contorni ad occhi bendati.
Segnare il punto esatto dei nei e delle cicatrici.
Tutto di lei è perfetto e suo in un modo che non sa spiegare – non è possesso ma appartenenza – perché lei ha deciso di fargliene dono.
Il mondo fuori dalla loro stanza li aspetta. Arya è solo venuta a ricordarglielo e non la può biasimare.
«Avresti preferito che lo facesse Gendry?»
«Avrei preferito che bussassi».
Sua sorella – lo è davvero, non smetterà mai di esserlo ed è un pensiero che lo rassicura e solleva tanto quanto pensare che Sansa sia sua moglie – sbuffa impaziente e Jon nota che non indossa i soliti abiti ma ha solo gettato il mantello sopra la camicia da notte. Arya non è attenta alle regole dell’etichetta come Sansa ma il freddo all’interno del palazzo è pungente e solo la fretta può averla indotta a girare per i corridoi senza il farsetto, la tunica di lana e a gambe scoperte.
«Cosa sta succedendo?»
«Hai visite».
«E hanno buttato giù dal letto la sorella del Re e della Regina per farsi annunciare?»
Daenerys Targaryen lo aveva preceduto ed era giunta a Grande Inverno?
Jamie Lannister era venuto a reclamare la testa di Sansa e a costringerlo a inginocchiarsi di fronte alla Regina Folle?
«Per l’esattezza è stato il tuo metalupo a farlo».
«Arya vuoi deciderti a dirci cosa sta succedendo?»
Sansa ha raccattato da terra la camicia da notte. La spensieratezza del risveglio è svanita e con le dita districa nervosamente i capelli per farne una treccia. Appena poserà il piede sul pavimento sarà di nuovo la Regina del Nord.
Per una manciata di ore – per una notte – è stata solo Sansa e lui solo Jon.
Insieme.
Ciò che di più vero e reale esiste al mondo– quello che sono, quello che sei – ora gli sembra solo un sogno.
«Sono arrivati all’alba, Gendry e Brienne si stanno prendendo cura di loro. Se non fosse stato per Spettro sarebbero morti di freddo davanti al portone del palazzo. La tempesta di neve infuriava e le sentinelle hanno cercato riparo dentro ai torrioni, nessuno li ha visti arrivare e onestamente non so come siano riusciti a sopravvivere al viaggio che li ha condotti fin qui».
Sovrappensiero Arya si posa una mano sul ventre. Qualcosa sembra averla turbata e lo sguardo di Sansa si è fatto più attento. Da quando la sorella è incinta il loro rapporto è cambiato. Non in superficie – i bisticci, le diversità, sono rimasti immutati – ma Sansa è più vigile, più protettiva e Arya più incline all’ascolto e meno restia a chiedere aiuto.
«Lui ha chiesto espressamente di te».
Allora non si tratta di cavalieri Dothraki né di cappe dorate.
«Lui chi?»
«Giuro sugli dei che in tutta la mia vita non ho mai visto una coppia più bizzarra e vi assicuro che di cose strane ne ho viste».
«Arya, lui chi? Chi c’è con lui?»
«Una ragazza e un bambino. Hai mai visto un Maestro della Cittadella con un figlio e una moglie?»
No ma ho chiesto a un Guardiano della Notte di partire per Vecchia Citta con un bambino che non era suo figlio e una ragazza che non era sua moglie ma era come se lo fossero.
Sente le dita di Sansa stringersi intorno al suo braccio. Reclamare la sua attenzione.
«Jon?»
Si gira verso di lei e le prende il viso tra le mani. Mai avrebbe pensato di vedere questo giorno.
«Vestiti, vestiti in fretta. Manda qualcuno a preparare una stanza e a prendere coperte, pellicce, abiti puliti. Arya sveglia Bran e raggiungeteci con i nostri ospiti nel solarium. Più tardi avviseremo il Concilio ristretto».
Sansa annuisce, gli prende la mano, ne bacia il dorso. C’è qualcosa nel suo sguardo che non ha mai visto prima.
Una scintilla.
«Come desidera il Re del Nord».
Si prende un po’ gioco di lui perché l’entusiasmo che prova – la speranza – è arrivata fino a lei e ne ha alleggerito i pensieri.
«Sam è tornato».
E non vedo l’ora di presentargli la mia adoratissima moglie.
Nel solarium – oltre a Sam, Gilly e suo figlio – erano presenti solo gli Stark e Meera. Gli ospiti erano visibilmente provati dal viaggio. Per giorni avevano patito il freddo che taglia la pelle e ghiaccia le ossa, forse la fame. Il piccolo aveva corso il rischio di non arrivare vivo a Grande Inverno ma le prime cure ricevute sembravano aver dato un po’ di conforto.
Gilly la osservava con occhi colmi di curiosità facendola sentire come un raro animale delle terre dell’Est. Al suo ingresso la giovane bruta aveva piegato la testa in un minuscolo inchino e Sansa aveva apprezzato la cortesia. Sapeva quanto il Popolo libero disprezzasse quel genere di cerimonie ma la curiosità aveva prevalso sulla naturale diffidenza nei confronti della “gente del Sud” e sospettava che in realtà Gilly morisse dalla voglia di toccare il velluto del suo abito per saggiarne la consistenza o testare la morbidezza della pelliccia che le avvolgeva il collo. Era graziosa e aveva perso molti degli atteggiamenti rudi del Popolo libero. Il periodo trascorso a Vecchia Città doveva aver raffinato i suoi modi e il linguaggio.
«Non avevo mai visto una Regina».
«Beata te».
Tutti risero e Gilly si guardò attorno smarrita temendo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. Sansa si sentì in dovere di rassicurarla; per quanto più avvezza della maggior parte dei bruti ai loro costumi, molte cose dovevano sembrarle piuttosto difficili da comprendere.
«Non fare caso a mia sorella, le piace scherzare».
Gilly annuì e rivolse la sua attenzione alla più giovane delle Stark. Indugiò qualche secondo prima di avvicinarsi e chiedere il permesso di toccarle il ventre.
«Mancano poche lune».
«È difficile stabilirlo. I giorni sono tutti uguali e dannatamente freddi, se ne perde facilmente il conto».
Se i calcoli di Sansa erano esatti mancavano ancora tre dei suoi cicli di luna ma Arya aveva ragione: era difficile prevederlo con certezza. La vecchia Nan diceva che i bambini nati durante l’Inverno spesso nascevano più tardi dei figli dell’Estate, come se sapessero già che la vita sarebbe stata dura e volessero affrontarla il più tardi possibile.
«Il mio bambino è nato oltre la Barriera, là è sempre inverno».
Se fosse toccato in sorte a Sansa probabilmente sarebbe morta.
Come zia Lyanna.
Partorire era pericoloso e farlo in condizioni critiche non certo auspicabile sebbene fosse la normalità per molte donne, soprattutto al Nord. Catelyn Stark aveva messo al mondo cinque figli, tre dei quali nati dopo di lei, e ricordava ancora con sgomento l’angoscia di Lord Eddard che attendeva fuori dalle stanze della moglie, gli ordini secchi e rapidi di septa Mordane alle serve, la voce rassicurante di Maestro Luwin che incoraggiava sua madre. Non le era mai stato permesso di assistere, Catelyn non lo riteneva uno spettacolo adatto a una ragazzina, e adesso che era una donna e sua sorella era incinta, non sapere cosa avrebbe dovuto fare la riempiva di terrore. Se solo Sam e Gilly fossero rimasti a Grande Inverno, si sarebbe sentita più tranquilla, soprattutto nel caso in cui Jon fosse stato lontano. Non avevano ancora discusso in merito a come avrebbero agito ora che si erano sposati. Jon sarebbe andato comunque dalla Regina d’Argento? Avrebbe rivelato il nome di suo padre? Non prima di aver recuperato il documento da Lord Reed, sempre che lui accettasse di cederglielo. Sarebbe dovuta partire Meera con lui e per Bran sarebbe stato doloroso separarsi da lei.
Aveva sposato Jon perché lo amava, perché non riusciva a immaginare una vita senza di lui. Non si era fermata a pensare a cosa avrebbe significato il loro matrimonio fuori dalle mura di Grande Inverno e quali sarebbero state le conseguenze per il Nord. Presto le avrebbe conosciute sebbene in fin dei conti non le importasse. Era pronta a morire con Jon e per Jon e Samuel Tarly sembrava disposto a fare altrettanto. Aveva esaudito la richiesta di Jon di lasciare le mura sicure della Cittadella per fare ritorno al Nord, trascinando la donna che amava e suo figlio in un viaggio lungo e pericoloso.
È una follia.
«Le tue lettere, Maestro Tarly mi sono state di grande conforto mentre il Re era lontano e sono felice di poterti ringraziare di persona. Considera Grande Inverno come casa tua, anzi vostra».
Il bambino di Gilly sembrava essersi ripreso dal viaggio e sgambettava tra le gambe della madre. Avrebbe voluto potergli dare qualcosa di buono e dolce ma certi lussi cominciavano a scarseggiare anche a palazzo.
«Di qualsiasi cosa tu e il tuo piccolo abbiate bisogno non esitare a chiederla».
«Vostra Grazia è molto gentile».
Cercò con lo sguardo l’approvazione del compagno che annuì.
«Gentile quanto bella. È un onore per noi incontrare te e Lady Arya. Ho sentito tanto parlare di voi. Lord Stark, Lady Reed, è una gioia vedervi da questa parte della Barriera».
«Sam… quanta formalità».
Il giovane maestro aggrottò la fronte ma non disse nulla e Sansa percepì una certa tensione in lui che a Jon, troppo felice di averlo lì, sfuggiva.
«Jon vi considera parte della famiglia e noi siamo la famiglia di Jon. Non potremmo comportarci diversamente senza venire meno alle antiche leggi di ospitalità del Nord e ai vincoli sacri che legano la gente di queste terre».
«Vostra Grazia ha parlato con saggezza».
Di nuovo quella leggera esitazione.
Quella nota di dolore sul fondo.
«Non esiste in tutti i Sette Regni Regina più saggia, gentile e bella».
Jon le aveva preso la mano e l’aveva portata alle labbra. Sansa arrossì mentre i ricordi della notte trascorsa sbocciavano nella sua mente come fiori di campo.
Era un gesto sfacciato, inequivocabile e audace. Una sfida e una dichiarazione.
Sansa la ricambiò posando un bacio leggero sulle nocche del marito che la guardò da sotto le palpebre abbassate. Lo sguardo scuro che agganciava il suo.
E bruciante come il fuoco.
Il tempo si fermò. Intrappolato tra la tensione e il silenzio. Quando avrebbe avuto il coraggio di guardare in faccia Sam e Gilly vi avrebbe letto negli occhi l’incredulità, il disgusto, l’accusa.
La delusione.
Per Jon sarebbe stato terribile e Sansa avrebbe voluto risparmiargli quel momento d’angoscia, gridare ai loro sconcertati ospiti la verità ma non riusciva a muoversi né a parlare.
Fu Jon a rompere l’incantesimo. Le sorrise rassicurante e si voltò verso l’amico.
«Sam… »
Sansa trovò il coraggio e lo guardò ma non vi trovò nulla di ciò che aveva immaginato.
Stupore. Sollievo. Speranza.
«Quindi lo sapete… Da quanto? Come? Sono partito appena l’ho scoperto… Negli archivi della Cittadella ho trovato il tuo atto di nascita. La firma di tuo padre e tua madre. Mi dispiace Jon, so quanto desiderassi conoscerla ma ho letto molto di lei e Lord Reed l’ha conosciuta, potrà parlartene se lo vorrai… Quando il tuo corvo mi ha raggiunto eravamo già in viaggio… Non potevo aspettare, non potevo scriverti, troppo pericoloso. … Dovevo… Tu e Sansa… Sarebbe stato il mio consiglio, temevo mi avresti odiato trovando l’idea repellente ma non c’è altro modo per tenere unito il Nord, lo capisci? Dovete sposarvi e incontrare la Regina d’Argento da pari a pari. Stark e Targaryen insieme, è l’unica possibilità che abbiamo. Non c’è più tempo… »
Un atto di nascita.
La firma di tuo padre e tua madre.
Nessuno avrebbe più potuto gridare all’incesto, dichiararli bugiardi, non riconoscere la loro unione.
Nessuno avrebbe potuto più separarli.
Jon era ufficialmente l’erede dei Sette Regni.
L’erede di tutto.
Il Re del Nord batté le palpebre e dischiuse le labbra, stordito dal fiume di parole, speranza, progetti che lo stava travolgendo. Forse non sapeva da che parte cominciare. Pensava di dover dare una notizia sconvolgente all’amico invece da lui ne riceveva la conferma, siglata e suggellata.
Inoppugnabile.
Gilly abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate e sorrise. Si avvicinò al compagno e gli prese il viso tra le mani. Riuscì nell’intento, Sam smise di parlare e si limitò a fissarla, riprendendo lentamente fiato.
«Perché non lasci parlare il tuo Re? Penso abbia qualcosa da dirti».
Jon sorrise e fece un passo verso di lui tendendogli la mano, quando Sam l’afferrò lo tirò a sé per un abbraccio.
«Sam, amico mio, ti ringrazio per aver rischiato la tua vita e quella della tua famiglia e per aver custodito un segreto che è costato molto, a tanti».
Non c’era più rabbia nel tono della sua voce, solo una patina sottile di dolore che Sansa avrebbe riconosciuto anche dentro una risata cristallina, perché il dolore di Jon le arrivava fin nelle ossa. Eppure sembrava aver accettato il suo sangue, le bugie, i sacrifici.
Ne soffriva e ne avrebbe sofferto sempre. La perdita di Lyanna, non averla conosciuta, sarebbe stato un nodo difficile da sciogliere, così come lo era stato per suo padre.
Non poterla nemmeno ricordare.
Sansa avrebbe provato a ricucire la ferita. Avrebbe setacciato in lungo in largo i Sette Regni a caccia di un dettaglio, un disegno, una storia. Li avrebbe cuciti insieme e avrebbe raccontato a Jon di sua madre.
Sarebbe stato il suo dono di nozze.
Dopo la guerra.
«Prima di essere il mio Re, sei mio amico e fratello».
La voce commossa del maestro la riportò alla realtà. Sam fece per inchinarsi ma Jon glielo impedì. Quello che avevano condiviso andava di al di là dell’etichetta e degli obblighi formali. Per anni erano stati pronti a sacrificare la propria vita l’uno per l’altro e le cose non erano cambiate. Jon si fidava di Sam e Sam vedeva in Jon una guida, l’unica possibile. Probabilmente avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui e non c’era niente che Sansa comprendesse così bene.
«Adesso basta cerimonie, abbiamo molto di cui parlare e dovete riposarvi, mangiare e indossare vestiti puliti. Ho bisogno di te per dare al mio Consiglio ristretto una notizia importante. Vuoi aiutarmi?»
«Non hai che da chiedere. Di cosa si tratta?»
Jon si voltò verso di lei e tese la mano per invitarla ad avvicinarsi. Senza pensarci l’afferrò e quando gli fu vicino le cinse la vita con il braccio e le baciò la fronte.
«Annunciare a tutti che la più saggia, gentile e bella delle Regine è mia moglie».

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