Storia Impossibile di Lady Of The Flowers (/viewuser.php?uid=103311)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 1 *** Capitolo Uno ***
STORIA IMPOSSIBILE
Matt
Una volta sulla
riva del mare, lontano dalla calca di gente che ballava, gridava e
saltava a destra e a manca, mi sentii quasi come rinascere. Tolsi sneakers e
calze,
immersi i piedi nell’acqua fresca della notte e mi accesi una
sigaretta per
godermi quell’attimo di solitudine –
perché sapevo bene che, da lì a qualche
minuto, si sarebbe sicuramente presentato qualche mio amico a chiedermi
che
cosa mi fosse preso e perché me ne fossi andato
così, proprio quando la
situazione si stava facendo più scatenata e interessante,
proprio quando Amy
aveva deciso di strusciarmi il suo culo sul pacco e anche piuttosto
insistentemente. Matt, ma ce la fai?! Già
li sentivo. Ridacchiai tra me e me. Era da un po’ che la
bionda mi ronzava
intorno e che io facevo lo scemo con lei, ma mi stava succedendo
qualcosa,
qualcosa che non mi era mai capitato prima: all’alba dei miei
23 anni, forse mi
stavo innamorando. Io. Proprio io che, fino a quel giorno, il massimo
dei
sentimenti che avevo provato per una ragazza era un discreto affetto
per le sue
tette. Comunque sì, credevo di starmi innamorando e lo
sentivo, perché stavo
proprio male ed era una cosa diversa dal solito; non ero ancora certo
che fosse
amore, speravo ancora fosse solo una folle attrazione fisica, e poi
stavo anche
sì perdendo la testa per la persona più sbagliata
sulla faccia della terra.
Per…
«Matt!» Un
colpo apoplettico mi avrebbe fatto meno male di quella voce, giuro.
Mi voltai e con
la sigaretta tra le labbra accennai un sorriso. Era lei.
Perché proprio lei? Dov’era Dom? Alex? Eric?
Qualsiasi altra
persona sulla faccia della terra? Ma no,
pensai, così è
più divertente, vero,
stupida entità che stai lassù e ti fai
delle grasse risate alla faccia mia?
«Gwen.»
Proprio per lei
stavo uscendo pazzo. La mia migliore amica. Dall’asilo. Che
stava insieme a uno
dei miei migliori amici. Ormai da tre anni a questa parte. Che voglia
di
tirarmi un colpo.
Quanto ero
rimasto da solo? Due minuti? Neanche il tempo di finire una sigaretta.
Si avvicinò.
«Cosa fai qui tutto solo? Ti sei per caso offeso
perché Amy ha deciso di fare
un po’ di preliminari prima di sbattertela in
faccia?» Rise.
Scoppiai a
ridere anche io. «Offesissimo!» Mentre risi il fumo
le andò dritto in faccia, scosse
la mano per farlo andare via, ma ormai i suoi occhi erano diventati
lucidi e
l’azzurro era ancora più acceso.
In realtà
l’unico motivo per cui avevo deciso di allontanarmi era lei.
Guardare le labbra
di Jessie aspirarle la faccia mi stava causando un attimo di disgusto e
una non
gradevole sensazione alla bocca dello stomaco. Gelosia, credo. E
né io né il
mio amico laggiù stavamo dando molta attenzione ad Amy e al
suo culo, quindi
tanto valeva dissociarsi dalla situazione per un attimo e prendere un
respiro.
«No, sul serio»
Disse. «Sei scappato, tutto ok?» Si era fatta seria
e io non avevo voglia di un
discorso serio, soprattutto non volevo dirle il perché.
«Ma tu non
stavi mica cercando di avere un bambino con Jessie, circa due minuti
fa?»
«Mmm no, mi sa
che quello eri tu con Amy.» Rispose acida, ma divertita.
«Non voglio
diventare zio così giovane.» Mi lamentai.
«Nemmeno io.»
«No, infatti tu
diventerai madre.» Ridacchiai.
«Oddio,
piantala di dire stronzate!» Mi diede uno spintone e la
sigaretta, ormai quasi
finita, cadde in acqua. Guardai il mozzicone venir trascinato via dalla
corrente e poi alzai lo sguardo su Gwen.
«Non mi
guardare così, dai! Non ho fatto apposta!» Disse
preoccupata e dispiaciuta.
«Poi era quasi finita! Non fare lo-» Non fece in
tempo a finire la frase che
l’avevo già tirata su di peso e stavo correndo
dentro l’acqua.
«Stronzoooo!»
Urlò lei, picchiandomi i pugni sulla schiena. Io ridevo.
Mi fermai
quando avevo l’acqua appena sopra alle ginocchia. Gwen era
avvinghiata stretta
al mio collo e cercava di non scivolare.
«Non fare il
cretino, Bellamy.» Mi disse piano nell’orecchio. Un
brivido partì da lì e mi
percorse la schiena. Cercai di non farci caso.
«Dovrei farlo.»
Risposi, allargando le braccia che poco prima erano intorno al suo
corpo. «Così
magari impareresti finalmente a non spingere quando ti
arrabbi.» Lei strinse
ancora di più la presa attorno al mio collo per tirarsi su e
le gambe dietro la
schiena.
«Non mollarmi,
ti prego! Giuro che non lo faccio più!
Ti
insulterò e basta, ma le mani le terrò posto!
Prometto!» Disse preoccupata.
Mi stavo divertendo. Non avevo ancora deciso se buttarla in acqua o no.
Sentire
il suo corpo caldo contro il mio era una sensazione piuttosto piacevole.
«E’ da quando
abbiamo cinque anni che mi dici che non lo farai
più…» Le feci notare.
«Evidentemente
è da quando abbiamo cinque anni che fai lo
stronzo!» Rispose.
E quella fu
l’ultima cosa che disse prima che mi lasciassi cadere
nell’oceano con lei.
Teneva le braccia e le gambe così strette attorno a me che
non sarei riuscito a
staccarla, quindi, dopo quella dichiarazione di guerra,
l’unica cosa che avrei
potuto fare era lanciarmi dentro anche io. E così feci.
Sott’acqua riuscì a
tirarmi un calcio sul ginocchio e quando riemersi mi ritrovai le sue
mani
intorno al collo.
«Io ti
ammazzo!» Gridava dimenandosi. «Stupido
deficiente!»
Quando riuscì a
staccarle le mani, corsi sulla spiaggia per riprendere fiato e poi mi
voltai
verso di lei. Non so se si accorse di come la guardai in quel momento,
ma io me
la stavo davvero divorando con gli occhi. Veniva piano verso di me,
strizzandosi i capelli bagnati e ormai lunghi fino sotto al seno con
quel vestito
bianco - che popolerà per sempre i miei sogni erotici
–, adesso trasparente, appiccicato
al suo corpo perfetto. Mi accorsi dopo poco che non portava il
reggiseno e
dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non
fissare proprio in
quel punto.
Avrei voluto
essere una mosca per vedere il tutto da fuori. Un cretino incantato e
con la
bava alla bocca che guardava una Venere meravigliosa uscire
dall’acqua. Uno scena
pietosa, insomma.
Una volta di fronte a me mi guardò dritto negli occhi e
sussurrò: «un giorno o
l’altro ti uccido, sappilo» e mi diede un altro
spintone. Io indietreggiai un
po’, ma lei mi si lanciò ancora contro e cademmo a
terra. Lasciai perdere il
dolore provocato dalla botta, solo perché le uniche cose su
cui riuscivo a
concentrarmi in quel momento erano le sue labbra a pochi centimentri
dal mio
viso e il suo seno contro il mio corpo.
«Dio, che
voglia di soffocarti qui seduta stante.» Disse, mettendomi
ancora le mani al
collo.
Dio, che voglia
di baciare quelle labbra rosa… era l’unica cosa
che avrei potuto rispondere.
«Guarda come
cazzo devo andare in giro conciata adesso!» Si
tirò su, rimanendo ancora a
cavalcioni sopra di me e mostrandomi il vestito bagnato – il
mio sguardo, per
quanto cercai di trattenermi, cadde inevitabilmente sulle sue tette -,
subito
dopo lei lanciò un urletto. Immediatamente si
coprì con un braccio. «Oltre che
stronzo sei anche cretino!» Squittì.
«Sono praticamente nuda e nemmeno me lo
dici?! Poi cosa mi guardi le tette?» Mi diede un pugno sulla
spalle e io
scoppiai a ridere. Ridevo, ma speravo solo che non si accorgesse dei
miei
pantaloni che si erano fatti più stretti sotto al suo peso.
«Non ti ammazzo
di botte solo perché sei carino quando ridi.»
Disse, passandomi la mano libera
tra i capelli bagnati. «Però me la pagherai, e
anche cara.» Si alzò e si tirò
giù il vestito che si era alzato sui fianchi. Lanciai
un’occhiata veloce e
riuscii a vedere il tanga che portava sotto.
Dio mio. I
pantaloni mi stavano esplodendo. Il mio cervello mi ricordò
che era la mia
migliore amica e che di solito non era giusto e normale fare pensieri
del
genere su di lei. Il mio apparato genitale, nonostante tutto, non era
assolutamente d’accordo. Ciò mi fece sperare fosse
solo attrazione fisica.
Mi misi a sedere e lei si voltò a guardarmi.
«Beh? Rimani lì
così? I tuoi vestiti sono pieni di sabbia.»
Constatò.
Non era
decisamente il caso di alzarsi vista la situazione là in
basso.
«Fra poco vado
di sopra e mi cambio.» Risposi.
«Mi accompagni?
Direi che non posso andare in giro così.»
«Perché no? Sai
quanti apprezzerebbero?» Risi, facendole
l’occhiolino. Io per primo.
Inclinò la
testa da un lato e mi lanciò un’occhiata che
diceva tutto.
«Dai,
accompagnami in camera, così poi torniamo alla festa tutti e
due.» Disse poi.
Mi tese una
mano, io le tirai una leggera sberla e mi alzai da solo. Contai poi sul
fatto
che c’era poca luce e che lei non mi avrebbe mai guardato ad
altezza cavallo
dei pantaloni.
«Sgarbato. Sei
proprio sgarbato.» Ridacchiò lei.
Ci avviammo
verso l’hotel. Passammo vicino al casino e notai con la coda
dell’occhio Amy
che ci guardava. Di fianco a lei c’erano Dom e Jessie, lei
tirò una gomitata a Jessie
e ci indicò. Lui di tutta risposta fece spallucce e si
girò dall’altra parte a
parlare con una ragazza. Incredibile quanto poco gliene fregasse di
Gwen o
quanto si fidasse di me. Io forse qualche dubbio me lo sarei fatto
venire al
suo posto. Mi sentii un po’ una merda ad aver fatto quei
pensieri sulla mia
migliore amica. Ma quando arrivammo in ascensore e vidi quanto era
bella il
tutto riprese di nuovo.
«Ho un po’
freddo.» Disse.
«Se non fossi
venuta a rompermi le palle saresti ancora asciutta.»
«Se tu non
fossi uno stronzo, vorrai dire.» Gracchiò.
«Un punto per
te, Morrissey.» Le diedi un colpetto sulla spalle.
«Quindi come
mai eri là tutto solo?» Chiese.
Cristo, non si arrendeva. Intanto le porte dell’ascensore si
aprirono sul
nostro piano. Io ero in una stanza con Dom in fondo al corridoio, lei
con la
sua amica Lola poco più avanti da dove eravamo scesi. Feci
finta di non aver
sentito e mi avviai verso camera mia.
«Cinque minuti
e io sono pronto.» Dissi. «Ti aspetto qui
fuori?»
Lei mi guardò
male. «Fai come vuoi.» Rispose e fece per
andarsene.
Mi sentii un po’ in colpa, così mi inventai
qualcosa. «Ero da solo perché avevo
bisogno di respirare un attimo, tutto quel gin mi ha dato un
po’ alla testa e
dovevo riprendermi. Se no col cavolo che più tardi sarei
riuscito a centrare il
buco di Amy!» Urlai, quando lei era già quasi
davanti alla camera.
Si girò e
scoppiò a ridere. «Sei proprio un cretino,
Matt!» Disse, prima di entrare e
chiudere la porta. La sentii continuare a ridere anche una volta dentro.
Quant’è carina,
pensai, ma poi scossi le spalle come per scacciare quello stupido
pensiero.
Andai in camera mia per cambiarmi, ero completamente fradicio. Avrei
dovuto
anche farmi una doccia a dirla tutta. I capelli erano pieni di sale,
come anche
tutto il resto del corpo, così mi spogliai e mi sciacquai.
Una volta fuori
dalla doccia non feci in tempo ad allacciarmi l’asciugamano
intorno alla vita
che sentii dei colpi alla porta. Pensai potesse essere Dom, ma poi mi
dissi che
non era sicuramente lui perché le chiavi ce le aveva.
«Chi è che
rompe?» Chiesi mentre mi infilavo un paio di boxer.
Ancora due
colpi. Andai ad aprire. Davanti a me trovai Amy, decisamente
più ubriaca di
come l’avevo lasciata, che mi si lanciò addosso.
La afferrai per la vita per
tenerla su. Risi.
«Cosa ci fai
qui, biondina?» Le dissi e lei puntò gli occhi nei
miei.
«Mi piace
quando mi chiami biondina…» Mi rispose vicino
all’orecchio e prese a mordermi
il lobo.
Avevo capito
benissimo cosa era venuta a fare. Mi afferrò il viso tra le
mani e mi diede un
bacio, poi un altro, dischiuse le labbra e così feci anche
io, le lingue si
incontrarono. Diede un calcio alla porta e mi spinse verso il letto per
poi
mettersi a cavalcioni sopra di me. Pensai a Gwen, le avevo detto di
trovarci
per tornare giù insieme. Pensai alla sua risata. Se si
sarebbe arrabbiata o
meno. Ma poi pensai anche che non era la mia ragazza e che non avrei
dovuto
darle nessuna spiegazione. Avevo tra le braccia una donna che non
aspettava
altro che fare sesso con me, quale metodo migliore per togliermi dalla
testa Gwen
e gli strani pensieri degli ultimi giorni?
Amy si sfilò il
vestito e si tolse il reggiseno. Poi mi abbassò i pantaloni
e l’ultima cosa che
ricordo erano le sue labbra e la sua bocca calda attorno a me e le sue
unghie
piantate nella pancia.
Un’ora e
mezza
dopo guardai la sveglia sul comodino. Le 2.17 di notte. Di Dom ancora
nemmeno
l’ombra, in compenso Amy dormiva di fianco a me, il solo
lenzuolo a coprirle il
corpo nudo.
Non riuscivo a dormire. Ero stanco, ma il mio cervello non voleva
spegnersi.
Chiudevo gli occhi per cercare di addormentarmi, ma lo stronzo sapeva
solo
mandarmi in loop l’immagine di Gwen che usciva
dall’acqua con quel vestito
ormai trasparente completamente appiccicato al corpo. Finivo poi per
vedere le
sue labbra a pochi centimetri dalle mie e sentivo le farfalle nello
stomaco. Le farfalle nello stomaco,
ragazzi.
C’era davvero qualcosa che non andava. Ero seriamente
preoccupato.
Dopo quasi due
ore passate a tentare di dormire, presi il telefono che stava sul
comodino per
fare un giro su qualche social. Ma avevo due messaggi.
Sono venuta
davanti
alla tua camera,
stavo per bussare, ma le urla di piacere che risuonavano mi hanno fatto
cambiare idea. Sei davvero un fuoriclasse, Bells. G.
Sto riuscendo
a
fare ubriacare Lola come
si deve. Stasera mi diverto. Se non torno sai perché. Dom.
Sorrisi
soffocando un risata per non svegliare Amy.
Quindi Gwen mi
aveva sentito. Anzi, più che altro aveva sentito Amy.
Il “sei davvero
un fuoriclasse” mi fece ridere. Dovresti provarmi, pensai.
Cazzo, pensai subito
dopo. Mi morsi la lingua come se l’avessi detto. Non sapevo
se arrendermi all’idea
che mi piacesse parecchio o cercare con tutto me stesso di farmela
passare.
Magari portarmela a letto avrebbe risolto la situazione. Nel senso che
avrei di
certo capito che non ne ero innamorato ma avevo avuto, fino a quel
momento,
solamente una voglia pazza di scoparmela. C’erano
però troppe complicazioni.
Avrei sicuramente rovinato la nostra amicizia e quella con Jessie e
beh, anche
il loro rapporto. Poi chi me lo assicurava che lei avrebbe accettato di
farsi
scopare dal suo migliore amico? Nessuno. Era tutto una cretinata.
Amy si
schiacciò contro di me e mi cinse la vita con il suo
braccio. Stavamo
esagerando. Speravo che la mattina dopo non si sarebbe svegliata con
qualche
strana idea in testa, del tipo che saremmo dovuti stare insieme per
sempre o
cose del genere. Scopamici, senza problemi, ma tutto il resto di
contorno, no
grazie.
Risposi ai
messaggi, prima a Dom e poi a Gwen.
Lola non te
la
dà neanche se piangi,
sfigato.
Potevi
unirti.
Quante volte ancora dovrò
insegnarti ad approffitare delle situazioni?
Poco dopo,
finalmente il mio cervello decise di darmi un po’ di pace e
si spense. Mi
addormentai.
Ciao a tutti/e.
Innanzitutto, vorrei ringraziare chi ha letto o anche solo aperto la
fic per darle un'occhiata.
Mi piacerebbe davvero molto conoscere il vostro parere, anche solo due
righe, almeno per sapere se qualcuno è interessato. Ci tengo
molto a questa storia e il secondo capitolo, volendo, sarebbe anche
già pronto.
I nomi (solo quelli! non l'aspetto fisico) di Matt e Dom sono ispirati
ai miei adorati Muse, Matthew Bellamy e Dominic Howard.
Attendo con ansia un riscontro.
A presto (spero!) e buone vacanze a tutti.
Lady Of The Flowers
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Capitolo 2 *** Capitolo Due ***
Matt
La mattina mi
svegliai con in testa “Jessie’s girl” e
capii che la situazione stava
degenerando e neanche troppo lentamente. Diedi un pugno sul letto.
Cristo. Amy
nemmeno se ne accorse, dormiva ancora, ma non più addosso a
me, fortunatamente.
Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata in giro. Dom non
c’era, non riuscivo a
credere che fosse davvero riuscito a portarsi a letto Lola.
Impossibile,
pensavo, impossibile. Afferrai il pacchetto di Marlboro e
l’accendino sul comò
e uscii sul balcone, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi
accesi una
sigaretta e mi sedetti sulla ringhiera. Guardai l’oceano;
c’era già qualcuno in
spiaggia, ma era ancora tutto una meraviglia. Amavo stare in mezzo al
casino,
ero il primo a farne, ma a volte era anche bello vedere un
po’ di tranquillità.
Chiusi gli occhi per un secondo, presi un respiro e sbam, ancora:
“Jessie is a friend,
yeah, I know he's been a good friend of mine. But lately something's
changed.
It ain't hard to define. Jessie's got himself a girl and I want to make
her
mine..”. Dio mio, volevo uccidermi. Guardai
giù, ero al terzo piano, un po’
di male me lo sarei fatto a buttarmi di sotto. Poi sembrava fatto
apposta. Il
cantante vuole la ragazza di Jessie, io volevo la ragazza di Jessie. Il
mio
cervello malato mi stava prendendo per il culo, non sentivo quella
canzone da
anni e tutto d’un tratto, tac, eccola lì. Nel
momento giusto, o sbagliato che
fosse.
Mi passai la
mano tra i capelli e li tirai un po’, che voglia di farmi del
male. Soffiai via
il fumo e sentii dei rumori provenire da dentro la stanza. Mi alzai per
andare
a vedere. Dom era appena entrato, lo vidi chiudere la porta e voltarsi
verso il
mio letto. Sorrise e scosse la testa dopo aver visto Amy tra le
lenzuola e poi,
finalmente, si accorse di me. Mi fece i due pollici all’insu
e venne verso la
finestra.
Uscii sul
balcone e mi diede una spallata leggera.
«Sei sempre il
solito, Bells. Non ti si può lasciare solo un attimo che te
le scopi tutte tu.
Lasciane un po’ anche agli altri! E dai!» Ridemmo
tutti e due insieme, cercando
di trattenerci un po’.
«Lo chiamavano
lo scopatore seriale!» Dissi e lui mi diede un pugno sulla
spalla.
«Il migliore
fra tutti! Vorrei avere il tuo uccello, amico.» Rispose.
«Okay, okay,
adesso basta complimenti.» Gli diedi una gomitata leggera e
gli offrii la fine
della mia sigaretta, lui la afferrò e fece un tiro.
«Allora?» Chiesi,
curioso. «Lola?»
«E’ successa
una cosa.» Rispose in tono piuttosto serio, spegnendo la
sigaretta nel
posacenere.
«Cosa?» Non
sapevo cosa pensare.
«Te lo dico io,
anche se non spetterebbe a me, ma visto che ero
presente…»
Cosa cazzo è
successo, pensai.
«Hai combinato
qualcosa che non dovevi con Lola?»
Mi immaginai che magari si fosse rotto il preservativo o qualcosa del
genere.
«No, cioè, ero
con lei, ma poi è andato tutto a
puttane…» Rispose.
«Perché?»
«Ha chiamato
Gwen. Piangeva.»
Mi preoccupai.
Pensai di tutto.
«Cosa cazzo è
successo?» Finalmente lo dissi ad alta voce.
«Ha beccato
Jessie sbattersi un’altra dietro un cazzo di albero in
spiaggia.» Rispose,
mentre si grattava la nuca.
Cazzo. Merda.
Cazzo.
«Merda.» Sussurrai.
«Già.»
«E quindi?»
«Quindi io e
Lola l’abbiamo raggiunta, continuava a piangere
e…»
«Ma Jessie?»
«Jessie non lo
sa, credo.»
«Come non lo
sa?!»
«No, non l’ha
vista e lei non è andata da lui.»
«Ma-»
«Neanche Lola
non riesce a spiegarsi perché, chiunque sarebbe andato
lì per spaccargli la
faccia.»
«Cristo, che
coglione.»
Dom annuì e
iniziò a picchiettare nervosamente le dita sul balcone.
Guardammo
entrambi verso l’oceano. Mi passai le mani tra i capelli e
poi le incrociai
dietro la nuca.
«E adesso?» Chiesi.
«Adesso non lo
so. Le ho lasciate in camera un’oretta fa, Gwen perlomeno
aveva smesso di
piangere.» Rispose.
«Okay.»
Silenzio.
«Dici che devo
far finta di niente?» Domandai ancora.
«Sinceramente
non saprei. Forse sì. Però d’altronde
lo sanno che siamo in camera insieme.»
«Che razza di
coglione deficiente.» Commentai ancora. «Adesso mi
tocca anche dividermi. I
miei due migliori amici che litigano... Fantastico.»
La cosa sarebbe
potuta andare a mio favore per quanto riguardava la questione
“io e Gwen”, ma
in quel momento non ci pensavo. Sapevo che lei stava male sul serio e
non era
il caso di fare l’idiota.
«Lo so, è un
bel casino.» Rispose Dom.
«Sarei dovuto
esserci io. Invece ero qui con quella.» Dissi, indicando con
il pollice dietro
di me.
«Non fartene
una colpa. Poi non era da sola, c’era Lola.»
«Gli avrei
spaccato la faccia.»
«Lo so bene.»
Disse. «Quindi forse è andata meglio
così.»
«Non vedo Gwen
piangere dalle superiori e ricordo che non mi aveva fatto piacere
vederla
così.»
Tanto per la
cronaca ero stato io a farla piangere, quella volta. Mi ero comportato
da vero
stronzo, come mio solito, e lei c’era rimasta davvero male.
Per fare pace le
avevo regalato un orsacchiotto di peluche, cosa assolutamente non da
me, visto che
non mostravo affetto a nessuno, tantomeno a lei; ma quella volta mi ero
sentito
proprio una merda e avevo cercato di rimediare in qualche modo. Sapevo
che il
peluche era ancora in camera sua, ma non le chiesi mai niente a
riguardo.
La faccia
potrei spaccargliela lo stesso, pensai. Volevo proprio sapere
perché si fosse
comportato così da testa di cazzo, praticamente sotto gli
occhi di Gwen.
Stavano insieme da così tanto tempo che non credevo ne
sarebbe stato capace.
Sapevo che lei ci teneva. Sapevo quante persone aveva allontanato
per
stare con lui, quanti no aveva detto. Lui forse no, ma io
sì. Ricordo che, un
paio di anni prima, una sera l’avevamo passata insieme ed
eravamo finiti a ridere
ubriachi sul tappeto di camera sua. Lei mi aveva dato una spinta
– al solito -,
io le avevo tirato un pizzicotto, ancora una spinta e un altro
pizzicotto
finché non ci eravamo trovati vicini, così tanto
vicini che le avevo
accarezzato il viso e spostato i capelli biondi dietro
l’orecchio. Avevo visto
un brivido percorrerle il collo, proprio lì dove
l’avevo sfiorata. Tutti e due
ci eravamo accorti della tensione che aleggiava in quella stanza. In
quel
momento, io desideravo le sue labbra esattamente come lei desiderava le
mie. Ma
quando avevo fatto per avvicinarmi, lei, come se niente fosse, si era
girata
dall’altra parte e mi aveva detto: «Io ho sonno,
dormi qui o vai a casa?» e
così era tutto sfumato. Ma era andata bene così,
sarebbe stato un errore. Ovviamente
poi ero andato a casa. Non ne parlammo mai. Entrambi facemmo finta di
niente
per giorni, fino a quando sembrò che tutto fosse stato
dimenticato; ma, come
vedete, mi ricordavo tutto benissimo, anche le sensazioni provate. Non
sapevo
se anche per lei fosse stato come per me, ma ero convinto di
sì.
Fatto sta che lei aveva resistito a chiunque, me compreso, sobria o
ubriaca che
fosse.
«Non è stato un
bello spettacolo, in effetti.» Commentò Dom.
«Andrò da lei
fra qualche ora. Magari adesso sta dormendo.» Dissi.
«Probabile.»
Sentimmo entrambi
dei rumori provenire da dentro la camera. Dom mi lanciò
un’occhiata.
«Mi sa che
qualcuno si è svegliato…» Mi fece segno
con la testa.
«Fantastico.»
Sussurrai e un secondo dopo apparve Amy sul balcone.
Aveva addosso
una mia maglietta. Decisamente stavamo esagerando.
«Buongiorno.»
Disse, accompagnando il tutto con un gesto della mano.
Io la stavo
guardando male, quando Dominic mi diede una gomitata e rispose.
«’Giorno,
Amy.», al che accennai un sorriso falsissimo e la salutai
anche io. Lei venne
verso di me, ma io feci per entrare in camera.
«Forse dovresti
andare, abbiamo un po’ da fare questa mattina.»
Dissi, anche se in realtà non
era assolutamente vero, volevo solo che si togliesse la mia maglietta e
portasse il suo bel culo fuori da lì. Niente legami, niente
di niente.
Nello specchio
di fronte a me vidi riflessia Amy che guardava Dom con aria
interrogativa
chiedendo “perché” a bassa voce e lui
scuotere la testa e allargare le braccia.
Mi sedetti poi sul bordo del letto e la guardai raccogliere il suo
vestito e
avviarsi alla porta.
«La mia
maglietta.» Dissi e le rivolsi un sorriso senza denti.
«Dio, quanto
sei stronzo, Matt.» Commentò lei, sfilandosela in
modo stizzito. Me la lanciò
addosso e uscii sbattendo la porta.
«Ciao, biondina!»
Urlai e poi mi lasciai cadere sul letto.
Dom rientrò.
«Sei proprio un gran coglione.» Rideva.
«Impara a
prendere le mie cose.» Dissi.
«Era una
maglietta del cazzo.»
«Un maglietta
del cazzo, mia.»
Sottolineai.
«Non troverai
mai una ragazza.»
«Non è il mio
obiettivo.»
«Vero. Il tuo
obiettivo è scopartele tutte e poi mandarle a
fanculo.»
«Centrato in
pieno.»
Dominic rideva
come un bambino.
Io sospirai.
Ero proprio uno stronzo. Avevo davvero pensato che avrei potuto
portarmi a
letto Gwen senza un minimo di rimorso? Che schifo. Che schifo di
persona. Che
schifo di amico.
Il pomeriggio
mi arrivò un messaggio mentre guardavo la tv. Era di Gwen.
Dove sei?
Non ero uscito
quella mattina, perché temevo di incontrare Jessie e sentire
l’impulso di
doverlo prendere a calci in culo davanti a tutti. Così avevo
dormito ancora un
po’ e cercato di rilassarmi. Per quanto riguardava Gwen,
avevo deciso di
aspettare che mi cercasse lei. Le avrei detto che Dom mi aveva spiegato
l’accaduto, ma che comunque avevo preferito fosse lei a
parlarmene per prima.
Non volevo fare l’impiccione, cosa che, per
l’appunto, non ero.
Camera. Ti
raggiungo? Mi raggiungi?
Due minuti e
sono
lì.
Ero in boxer,
così mi infilai velocemente un paio di pantaloncini e cercai
di sistemare alla
bell’e meglio i due letti per non fare la figura del barbone.
Due minuti dopo
spaccati, bussò alla porta. Aprii e mi appoggiai allo
stipite. Mi guardava con
due occhi gonfissimi e di un azzurro quasi accecante, i capelli
raccolti in uno
chignon scompigliato e un’espressione che non riuscivo a
decifrare. Le sorrisi,
lei mi spinse dentro appoggiandomi la mano al centro del torace, poi
chiuse la
porta alle sue spalle.
Mi lanciò
un’occhiata glaciale.
«Giurami che
non lo sapevi.» Disse.
Quindi sapeva che sapevo che cosa era successo. Ma cosa intendeva?
«Cosa?»
Domandai, allargando le braccia.
«Cominciamo
bene.» Fece roteare gli occhi.
«Gwen,
spiegati.»
Sbuffò.
«Dimmi che non
sapevi niente di Jessie e quella troia.»
«Ma stai
scherzando?!» Sbottai. «Che cazzo dici?»
Speravo non lo pensasse
veramente.
«Non si sai
mai. Sai… Magari tra stronzi ve la intendete.»
Sibilò.
La afferrai per
un polso. «Ti sei rincretinita tutto d’un
colpo?»
«Non mi sono
rincretinita! Siete voi che non sapete tenervi una ragazza! Se non ve
ne
scopate abbastanza state male!» Urlò e mi diede
uno strattone per togliere il
polso dalla mia presa.
Non la mollai e le presi il viso con l’altra mano per
obbligarla a guardarmi.
«Io non sono il
tuo ragazzo, Gwen. Se voglio scoparmi dieci ragazze al giorno, posso
farlo.»
Dissi. «Non è che se siamo amici significa che io
lo abbia obbligato a fare
quello che faccio io. Non mi sono mai legato a nessuna e continuo a non
farlo,
non ho mai voluto ferirle e per questo non mi sono mai fidanzato con
nessuna di
loro. Se il tuo moroso è un coglione patentato non
è colpa mia.» Continuai,
piuttosto incazzato.
Quando fece per
abbassare la testa, gliela tenni su.
«Di certo non
gli ho detto io di farsi un’altra e sai bene che non lo farei
mai.» Dissi,
abbassando il tono di voce. «Non sei arrabbiata con me,
quindi smettila.»
I suoi occhi
erano puntati nei miei. Una piccola lacrima si formò
all’angolo di entrambi.
Mollai la presa e subito le sue braccia mi circondarono in un
abbraccio.
Stringeva forte, molto forte.
«Scusami,
Matt.» Sussurò. «Hai ragione, io non ce
l’ho davvero con te» Mi strinse ancora
di più, quasi fosse possibile.
Inspirai il suo
profumo. Sapeva di vaniglia. Mi accorsi anche di non star ricambiando
l’abbraccio, così rimediai. Le presi la nuca e le
feci appoggiare la testa alla
mia spalla. Singhiozzava leggermente, ma ormai non riusciva nemmeno
più a
piangere come si deve perché probabilmente aveva finito le
lacrime.
«Sono contento
che ti sia resa conto delle stronzate che stavi dicendo. Non ci
è nemmeno
voluto tanto, ce la siamo cavata in fretta.» Commentai.
«Sei sempre
così delicato e dolce nel dire quello che pensi,
Matthew.» Disse, sarcastica.
«Matthew mi
chiama solo mia madre quando è incazzata.» La
sentii sorridere sulla mia
spalla.
Sciogliemmo
l’abbraccio e la scrutai un po’, mentre la tenevo
per le spalle. Cercai di
farle un sorriso comprensivo. Non ero per niente bravo in queste cose.
Menomale
che sono nato uomo, pensai, come donna sarei stato un completo disastro.
La accompagnai
a sedersi sul mio letto. Io mi misi per terra di fronte a lei. Ci fu un
attimo
di silenzio.
«Cosa ho
sbagliato?» Chiese, poi.
«Niente.»
«A quanto pare
qualcosa sì.»
«Gwen, cerca di
vederla in un modo meno pessimistico. Siamo giovani, non dobbiamo mica
sposarci
adesso. Era l’uomo della tua vita?» Tentai di
convincerla che non era mica la
fine del mondo, quella.
«No. Cioè, non
lo so. Ci stavo bene insieme, ecco tutto.» Rispose, un
po’ confusa.
«Ti sei
risposta da sola, allora. Non farne una tragedia.» Le dissi.
La vidi
agitarsi. «Certo, per te è tutto così
facile! Non provare mai niente per
nessuno ha i suoi lati positivi, non lo metto in dubbio. Ma qui la cosa
è
diversa.” Sbottò.
Mi passai una
mano fra i capelli. In effetti non ero la persona migliore per poterla
consigliare in questa situazione. Anzi, ero decisamente la peggiore.
Anche se
dei sentimenti ce li avevo anche io, nonostante tutti mi descrivevano
quasi
come un robot.
«Non posso
aiutarti, allora.» Sussurrai.
«Non ho detto
questo. È solo che tu la fai subito facile. Vorrei solo un
po’ di supporto da
parte tua.»
Scivolò anche
lei per terra. Tenevo la testa bassa. Mi sentivo in colpa
perché non ero capace
di fare l’amico come si doveva.
«Quanto vorrei
essere come te, a volte.» Mi disse, dandomi un buffetto
affettuoso sul
polpaccio.
«Sconsigliabile.»
Feci io, con un mezzo sorriso.
Lei rise
leggera. Era bello sentirla ridere. Poi però torno ancora
seria.
«Comunque non
lo sa ancora che l’ho beccato.» Disse a bassa voce.
«Gwen, ma
perché?! Cazzo, dovevi andare là
subito!» Mi alterai un attimo. Io questa cosa
davvero non la capivo. Non mi andava giù che gli avesse
lasciato finire la sua
bella scopata in pace e tranquillità, quando lei era stata
male tutta la notte.
«Non lo so
neanche io perché.» Le disse con un tono strano,
che non capii.
«Non vorrai
mica fare finta di niente e lasciar perdere spero.» Le scossi
la gamba.
«Non lo so.»
Mi alzai di
scatto e lei si spaventò. Non era la risposta che volevo.
«Ah, cazzo! No,
Gwen! Non puoi farti prendere per il culo così! Ma stiamo
scherzando? Lui va in
giro a scoparsi la prima che passa e tu stai in camera a piangere e a
fare la
brava ragazza?» Urlai. «Ma non ci siamo
proprio!»
«E’ che-
Cominciò, ma non la lasciai finire.
«E’ che, un
cazzo!» C’era l’anta
dell’armadio aperta, così ne approfittai per fare
un po’
di scena e la sbattei con violenza. Lei serrò gli occhi al
rumore. «Se tu ci
torni insieme senza dire niente, prima lo ammazzo di botte e poi gli
dico il
perché… se è ancora vivo.»
Sibilai.
Si alzò anche
lei. «Ma manco avesse messo le corna a te!»
Gridò. «Smettila di dire queste
stronzate! Tu non ammazzi di botte proprio nessuno!»
Alzai le
spalle. «Vedremo.» Dissi a bassa voce.
In quel momento
la stavo solo provocando. Non avevo davvero intenzione di dargliele di
santa
ragione e di certo non volevo ucciderlo, volevo solo che lei capisse.
Anche se,
comunque, due schiaffoni Jessie se li sarebbe solo meritati.
Mi venne
addosso e mi colpì al braccio.
«Se gli metti
le mani addosso, puoi considerare la nostra amicizia finita.»
Disse,
arrabbiata.
Le presi la
mano con cui mi aveva colpito e la tirai verso di me. Stava dando i
numeri.
«Ma ti rendi
conto che lo stai difendendo? Dopo quello che ti ha fatto?»
Domandai, cercando
di tenere un tono pacato.
Rimase in
silenzio. Guardava in basso. La vidi deglutire.
«Non lo sto
difendendo.»
«Sì, invece.»
«Vorrei solo
che non litigaste voi due per colpa mia.»
«Al massimo per
colpa sua.»
«Sì, ma tu non
c’entri in questa storia.»
«Okay, se preferisci
mi faccio da parte.» Dissi e mi arresi. «Se vuoi
far finta di niente, tornarci
insieme e farti prendere per il culo, liberissima di farlo. Sappi solo
che
sbagli.» Si concluse così il cazziatone di Matthew
James Bellamy a Gwen
Morrissey.
Lei mi rispose
con un “okay” sussurrato e poi mi spinse sul letto.
Ci si buttò sopra anche lei
e abbracciandomi mi disse: «Adesso fammi ridere, stupido
scemo.»
Ehilà, sono di
nuovo qui.
Ringrazio tanto chi ha trovato il tempo di lasciarmi un commento (spero
di poterne trovare altri :) ) al primo capitolo e chi ha messo la
storia fra le seguite. Grazie, grazie.
La canzone Jessie's Girl è di Rick Springfield, ma l'ho
conosciuta tramite Glee anni fa.
A presto.
Lady.
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Capitolo 3 *** Capitolo Tre ***
capitolo 3
Matt
Guardai
l’orologio. Era quasi ora di cena. Un’idea.
«Stasera ti
porto a ballare.» Dissi a Gwen, mentre le tenevo un braccio
intorno alle
spalle, sdraiati sul lettone in camera mia.
«A ballare?» Mi
guardò negli occhi, dopo essersi voltata verso di me.
«No?»
«Sì.» Mi
sorrise.
Ricambiai e le
diedi una stretta un po’ più forte.
Volevo farla svagare un po’, ne aveva bisogno. Il pomeriggio,
in linea di massima,
non era andato malissimo: ero riuscito a farla ridere un po’,
avevamo guardato
Playing It Cool con Chris Evans – Gwen aveva insistito tanto
e non avevo avuto
il coraggio di dirle di no – e mi ero ritrovato un sacco nel
protagonista, ma
non credevo di essere messo così male. Sarei davvero
arrivato al punto di non
riuscire a pensare a nessun’altra all’infuori di
lei? Di non voler altro che
lei? Che angoscia.
Comunque, c’era
stato anche qualche momento no. Entrava in crisi, mi diceva che non
sapeva cosa
fare. Io avevo cercato di convincerla a non perdonare Jessie, sarebbe
stato un
grande sbaglio. Se a ventitré anni ti fai già
mettere i piedi in testa dal tuo
ragazzo, significa che ne sarai per sempre succube e che non riuscirai
a farti
rispettare, in nessuna relazione, mai. E, soprattutto, si sa, il lupo
perde il
pelo, ma non il vizio. L’aveva fatto una volta,
perché dire di no ad una
seconda e una terza? Lei però non era del tutto convinta, ed
era una cosa che
non sopportavo. In quei momenti non pensavo a me, al fatto che sarebbe
potuto
andare a mio vantaggio, ma solo a lei. Volevo che stesse bene, sopra ad
ogni
cosa. La guardavo e pensavo che un essere così bello non
poteva meritarsi di
provare dolore, di stare male. Stavo davvero uscendo pazzo.
Forse è meglio
non andare soli, questa sera, pensai.
«Se vuoi, dillo
anche a Lola.» Incalzai. «Io lo dico a
Dom.»
Fece un
risolino. «A qualcuno piace Lola?» Chiese.
«Perché, non si
era ancora notato?» Dissi, divertito.
«È che Dom non
è mai davvero serio, quindi non ci credevo veramente a
questa sua cotta; ma a
quanto pare…» Mi rispose.
«Cotto
stracotto, ma non lo ammetterà mai.» Ridacchiai.
«Sarebbero
carini insieme.» Commentò lei.
«Concordo.» Dissi.
Si portò una
mano alla bocca, che aprì fingendo stupore.
«Rinunceresti
al tuo amico di uscite così?!» Rise.
«Me la cavo
bene anche da solo.» Le feci l’occhiolino.
«Lo so.»
Sussurrò e poi si alzò dal letto.
«Adesso raggiungo Lola e glielo chiedo, ti
mando un messaggio appena so qualcosa. Al massimo siamo solo io e
te.»
«Io e te, tu ed io, senza dirci mai
addio?»
Cantilenai, quasi d’impulso.
Era una frasetta stupida che Gwen mi cantacchiava quando andavamo alle
elementari ogni volta che mi capitava di dire “io e
te”, rivolto a noi due.
Aveva smesso di dirmelo all’inizio delle medie, dopo che le
avevo fatto una
scenata all’ennesima volta che me l’ero sentito
dire. Mi reputavo già un adulto,
allora, e non volevo che mi mettesse in imbarazzo davanti ai miei nuovi
amici.
Ci era rimasta male, ovviamente, ma io stavo entrando
nell’età del puro
menefreghesimo e non ci feci caso. Da quel giorno però,
giuro, non me lo ripeté
mai più.
Gwen mi guardò
fisso negli occhi. Non capivo se la sua era un’espressione di
sgomento o di
felicità. Accennai un timido sorriso. Forse era meglio non
dirlo, pensai.
All’improvviso
lei lanciò un urletto di gioia e mi si buttò
addosso.
«Oddio Matt, ma
davvero te lo ricordi?» Mi stampò un bacio sulla
guancia.
Mi sentii
avvampare come un ragazzino che riceve un bacio dalla sua prima cotta.
Non era
decisamente da me. In quel momento speravo intensamente di non essere
arrossito,
ma non mi andò bene e lei ne approffitò subito.
«Oh oh oh!
Matthew Bellamy che diventa rosso come un peperone?!» Disse,
perfida.
«Lo sai che non
ho mai sopportato quella canzoncina!» Cercai di difendermi e
la allontanai con
un braccio. Lei però mi venne addosso ancora, mi teneva le
mani con cui volevo
coprirmi la faccia.
«Sì, ma capisci
che non ti vedo arrossire dalla terza elementare, quando Annie Bolt ti
diede un
bacino sulle labbra?» Rideva come una pazza.
«Oh, ma
piantala!» La allontanai ancora, facendo lo stizzito.
Stavolta ci riuscii.
«Prima e ultima
volta, da lì in poi sei diventato un playboy!
L’hai mai ringraziata?»
«Ma chi?»
«Annie!»
«Al massimo è lei che deve ringraziare
me!» Dissi, serio.
Poi la spinsi
via e feci per alzarmi, ma lei mi afferrò da dietro le
schiena e mi strinse le
braccia attorno al petto, dopo averle fatte passare sotto le mie
ascelle.
Sentivo il suo respiro sul collo.
Trattenni i
brividi, in qualche modo.
Ci fu un attimo di silenzio.
«Grazie per
avermi portato alla mente un ricordo così dolce.»
Disse poi, in un sussurro.
Mi rilassai tra
le sue braccia e accennai un sorriso.
«Ti devo un
favore, so quanto ti è costato.» Rise, piano.
Poi mi posò un
leggero bacio sull’incavo della spalla e il mio corpo
reagì immediatamente a
quel tocco.
Dio mio, fu l’unica cosa che riuscii a pensare, sono fottuto.
Avrei voluto
rimanere lì seduto, con lei avvinghiata a me, ma dovetti
alzarmi di scatto per
far sì che non notasse i brividi che mi erano venuti e,
soprattutto, per combattere
la voglia di girarmi e stamparle un bacio su quelle labbra morbide e
calde.
Mi morsi un
labbro e notai che lei fece la stessa cosa, guardando verso il basso,
poi si
mise le dita davanti alla bocca e sorrise verso di me. Ebbi un fremito.
Cos’era
quello sguardo?
«Grazie.» Disse
ancora.
«E di cosa?» Feci
spallucce.
Si alzò e venne
verso di me. Mi agitai, ma lei mi diede solo un piccolo pugno sul
braccio.
«Ci sentiamo
più tardi allora, eh?» Mi disse.
«Certo.»
«Vestiti bene.»
«Come sempre.»
Prima di
chiudersi la porta alle spalle mi lanciò una strana occhiata
che io, putroppo o
per fortuna, non capii. Subito dopo mi feci cadere sul letto
sospirando. Ero
fottuto.
Qualche ora
dopo eravamo tutti e quattro insieme in un locale sulla spiaggia. La
musica era
altissima, la potevo sentire rimbombare nel torace e nelle orecchie;
l’odore di
alcol, fumo e erba si sarebbe presto impregnato nei nostri vestiti e
nei
capelli; le persone erano tante e spingevano, ballavano e urlavano.
Ci divertiremo,
pensai.
Lola prese per
mano Gwen e la trascinò in mezzo alla calca di gente a
ballare. Sorrisi nel
vederla ridere: ero felice quando era felice.
Mi stavo
crogiolando in quei pensieri da femminuccia, quando Dominic mi diede
una
gomitata.
«Ehi, bella
addormentata, andiamo a prendere qualcosa da bere anche per
loro?» Mi disse,
ridacchiando.
«Sì, certo.»
Risposi, una volta ripresomi dal rincoglionimento momentaneo.
Tornammo poco
dopo con due cocktail molto rosa che porgemmo alle due ballerine
improvvisate
di fronte a noi. Gwen fece cincin con tutti e tre e si scolò
metà del suo
bicchiere, solo perché la fermai prima che continuasse con
il resto.
«Vacci piano,
signorina.» Le dissi, abbassandole il bicchiere.
«Ma è così
buono e così fresco!» Fece lei, mettendo un
broncio adorabile.
«Così ti
ubriachi subito.» Spiegai. «Rimani presente ancora
un po’, non ho voglia di
mettermi subito a rincorrerti per non farti fare stronzate.»
Risi.
«Ehi! Guarda
che non sono mica una bambina!» Corrucciò le
sopracciglia e mi guardò fisso, le
veniva da ridere.
Inclinai la testa di lato. «Sappiamo tutti che mia nonna
regge l’alcol meglio
di te.» Le feci notare.
Lola intanto la
incitava a bere ancora, giusto per il gusto di andarmi contro.
«Mi stai
sfidando? So badare benissimo a me stessa!» Disse e
buttò giù il resto del
cocktail.
«Pazza.» Le
dissi, scuotendo la testa. «Fra cinque minuti sei
sbronza.»
«Meglio.»
Rispose lei, per ripicca, e scappò in mezzo ad un gruppo di
persone sconosciute
a ballare come se le conoscesse tutte da una vita.
«Dopo gliela
tieni su tu la testa mentre vomita, eh.» Dissi a Lola.
«Dai, lasciala
divertire. Ne ha bisogno.» Intervenne Dom.
«A proposito,
tu che sai più di me.» Continuai, rivolgendomi a
Lola. «Con Jessie?»
«Per quanto ne
so, questa sera non si sono visti.» Rispose. «Lei
gli ha solo mandato un
messaggio dicendo che sarebbe uscita con noi, ma senza dirgli dove
saremmo
andati.»
«Della serie
“Vai tranquillo, scopati pure quell’altra, che io
vado a farmi due salti con i
miei amici in discoteca, no problem.”» Commentai,
massaggiandomi una tempia.
Lola sospirò e
fece spallucce.
«Ma sul serio?» Chiesi.
Non ci credevo,
non poteva essere vero. Non era assolutamente possibile essere tanto
cretini da
lasciargliela passare così, come se nulla fosse successo.
«Io penso sia
solo spaventata.» Disse, dopo aver preso un sorso dal
bicchiere.
«Ma da cosa?
Non capisco.» Giuro, non riuscivo a dare un senso a tutto
ciò.
«Sinceramente
non capisco nemmeno io.» Si intromise Dom.
Lanciammo tutti
e tre un’occhiata verso Gwen per controllare che fosse tutta
intera, ma
soprattutto che non stesse ascoltando, anche se la musica altissima non
l’avrebbe comunque permesso.
«È stata con
lui per tanto tempo, più di tre anni, secondo me ha paura di
rimanere da sola.»
Si spiegò Lola, ma per me era comunque una motivazione
infondata.
«Ha ventitré
anni, paura di rimanere sola? Dici cose senza senso per me.»
«Lo so, Matt.
Tu sei abituato a stare da solo.»
«Lei no.» Fece
Dom.
Voleva solo
fare colpo su Lola e diceva stronzate. Gli diedi una gomitata e un
po’ di birra
uscì dalla bottiglia che teneva in mano.
«Ma stai zitto,
tu!» Ridacchiai e lui anche.
«Te l’ho detto,
è tutta questione di abitudine, vedrai.»
Continuò lei.
«Abitudine o
no, lui è un pezzo di merda e non se la merita.»
Dissi, piuttosto incazzato.
Dominic e Lola mi guardarono di sbieco, con un mezzo sorriso.
«La fiducia di
Gwen, intendo.» Mi corressi, facendo finta di nulla.
«Sì, certo.»
Lola mi guardò maliziosa.
Mi ero esposto
troppo, ops.
Mi morsi un
labbro, scossi la testa e andai verso Gwen. Era ancora lì in
mezzo a quel
gruppo di persone che ballava, si muoveva sinuosa e leggera. Mi
avvicinai a
lei, la presi per un braccio e lei si schiacciò contro di
me. Mi guardava
dritto negli occhi, aveva lo sguardo acceso, troppo acceso.
«Tu sei già
sbronza.» Le dissi, tenendola su per un fianco quando la
sentii barcollare
verso destra.
«Nah.» Fece, ad
un centimentro dalla mia bocca, l’alito che le sapeva di
fragola e alcol.
«Ah, e allora
come mai non ti reggi in piedi?» Inclinai la testa da un lato.
«Forse un
pochino, okay? Ma va tutto bene.» Disse, mentre annuiva
convintissima.
D’un tratto mi
mollò in mano il bicchiere vuoto, si voltò e si
mise a muoversi contro di me.
Io ero lì
impalato, proprio come un cretino. In una mano avevo un bicchiere e
nell’altra
una bottiglia di birra, tra le mie gambe un ben di dio di ragazza che
sculettava in un paio di pantaloncini bianchi.
Dio mio, non
farlo, Gwen, pensavo intensamente.
Cercai di non
badarci più di tanto e provai a parlarle un po’.
«Stasera hai
mangiato qualcosa almeno?» Chiesi.
«Ma chi sei?
Mio padre? Comunque no, non mi andava.» Rise.
Adesso si
spiegava il perché della sbronza fulminea.
«Scommettiamo.
Fra quanto tiri su l’anima? Un’oretta?»
Domandai, sarcastico.
Lei si voltò di nuovo verso di me e mi passò un
dito sul labbro inferiore.
«Scommettiamo.
Fra quant’è che chiudi questa boccaccia e balli
con me?» Mi sorrise,
dispettosa.
Ricambiai il
sorriso, scuotendo la testa. Era stupenda e mi avrebbe fatto diventare
matto.
Intanto mi
passò accanto un tipo con un vassoio e ne approfittai per
liberarmi le mani,
lasciandogli bicchiere e bottiglia, dopo averla finita tutta di rigore.
A quel punto mi
lasciai andare e ballai per un po’ con lei. Niente di troppo
casto, niente di
troppo spinto, il giusto. Cercai comunque di non concentrarmi troppo
sul suo
corpo ogni volta che sfiorava il mio, se no l’avrei
sicuramente presa e
portata in bagno seduta stante. Ogni tanto, grazie al cielo, arrivava
anche il
mio buon cervellino a ricordarmi “Vacci piano, Matt,
è la tua migliore amica.”,
così mi calmavo.
Ad un certo
punto, proprio quando Lola si era avvicinata per chiedere a Gwen di
accompagnarla in bagno, sentii il mio iPhone vibrare nella tasca dei
jeans.
Gwen e Lola si allontanarono, al mio fianco intanto era comparso Dom.
Estrassi
il telefono e lessi.
Gwen
è
con te?
Era
di
Jessie.
Non sapevo come interpretare quel messaggio. Me l’aveva
mandato perché era
preoccupato per lei o solo perché voleva sapere dove fosse
per trovarsi con
quell’altra troietta?
Dom mi guardava
con aria interrogativa.
«È Jessie,
vuole sapere se Gwen è con me.» Gli spiegai.
«Digli di sì, è
la verità.» Propose lui.
Così feci,
risposi con un freddo “sì”, senza dire
né dove né perché. Se gli fosse
interessato, me l’avrebbe chiesto e io allora
gliel’avrei detto. Forse.
Andammo verso
il bancone del bar. La musica lì era un po’ meno
assordate, ma pur sempre alta.
Ordinammo
ancora due birre, che ci furono subito servite e ce ne scolammo
metà.
Mi appoggiai al
bancone con i gomiti, intanto guardavo verso il clou della festa:
c’era davvero
un sacco di gente, diverse belle ragazze, ma, stranamente, quella sera,
nemmeno
una di loro mi interessava veramente. Guardavo giusto per il gusto di
farlo, ma
non me ne importava nulla. Più o meno inconsapevolmente, tra
la folla, cercavo
solo lei e i suoi boccoli biondi.
«Allora, con
Lola?» Domandai d’un tratto a Dom, che sembrava
perso come me alla ricerca di
qualcosa, o meglio, qualcuno.
«Bene?» Disse,
come fosse una domanda.
«A me lo
chiedi?»
«È che non
capisco se preferisce essere mia amica o se vuole qualcosa di
più.» Rispose,
con fare serio.
«Da quando
Dominic Howard si preoccupa di queste cose?» Domandai, quasi
incredulo.
«In effetti non
lo so.»
«Baciala e
vedrai che non vorrà essere solo tua amica.»
Risposi, dandogli una pacca sulla
spalla, e resomi conto di essere stato fin troppo serio, aggiunsi:
«Ma vorrà di
sicuro vedere cos’hai nelle mutande!» Risi e lui
con me.
«Sei il solito
idiota, Bells!»
Poco dopo, intravidi Megan venire verso di noi in un vestitino nero
attilato.
Cosa ci faceva lì? C’era anche il resto del
gruppo? Quindi anche Jessie? Merda.
Il posto era grande, poteva benissimo essere che non li avessimo visti
o
incrociati.
«Ciao
straniero.» Mi disse con un sorriso malizioso, una volta di
fronte a noi. «Dom.»
A lui solo fece un cenno del capo.
Si appoggiò al
bancone e si sporse verso di me. I suoi occhi verdi mi trafissero e le
sue
labbra mi parvero particolarmente rosse, quella sera.
«Di là c’è Amy
che ti lancia occhiate di fuoco.» Mi confidò, con
un risolino, per attaccare
bottone.
Quindi c’erano anche gli altri. Rimaneva da scoprire se ci
fosse anche Jessie o
no.
«Ah sì?»
Domandai, disinteressato.
«Qualcuno si è
offeso più del dovuto.» Disse. «Cosa le
hai fatto, campione?»
«Le ho detto
semplicemente di lasciare la mia maglietta prima di
andarsene.» Ridacchiai.
«Ha osato
indossare una tua maglietta?!» Chiese, facendo la finta
scandalizzata.
«Esattamente.»
«Errore da
principiante.» Commentò, alzando un sopracciglio.
Lei era la
tipica ragazza civettuola ed eravamo stati a letto insieme,
sì. Ci era voluto
poco, sinceramente. Sapeva come comportarsi con me. Sapeva quello che
volevo e
quello che non volevo. Non aveva mai passato i limiti prefissati, ci
eravamo fatti
delle gran belle scopate e niente di più. Io apprezzavo il
fatto di poter
approffittare ogni tanto della nostra amicizia per regalarci un
po’ di piacere
e credevo lo facesse anche lei.
«Hai da fare
stasera?» Mi sussurrò nell’orecchio in
tono suadente, toccandomi la gamba.
Sapeva come
farmi girare la testa, non c’erano dubbi.
Con la coda
dell’occhio vidi Dom sghignazzare e sussurrarmi un
«ma come cazzo fai!». Credo
intendesse “ad attrarre le ragazze come la luce fa con le
falene”, così mi
aveva detto un giorno. Prima e ultima volta che lo sentii usare una
metafora.
Mi si avvicinò
pericolosamente, mi guardò dritto negli occhi e
ordinò un gin tonic, senza però
distogliere lo sguardo da me. Mi stava provocando. Non sapevo se cedere
o meno.
Le sorrisi e
abbassai lo sguardo. Pensai a Gwen. La serata era per lei, quindi, per
una
volta, rinunciai ad andare a letto (o in bagno, vista la situazione)
con Megan.
«Sì, questa
sera sì.» Le dissi.
Corrucciò la
fronte e mi guardò con un’espressione di finta
tristezza.
«Così mi
ferisci.» Disse, portandosi una mano sul cuore.
Prese il gin e fece per allontanarsi. «Ricordati di
me.» Sussurrò e mi fece l’occhiolino,
prima di inoltrarsi tra la gente.
«Sei
incredibile!» Mi disse Dom, lasciando cadere le braccia lungo
i fianchi. «Io…
io, non so come cazzo fai! Insegnami, brutto stronzo!» Rise.
«Giuro, io non
faccio nien-» Non riuscii a finire la frase, mi dovetti
interrompere.
Tutto perché, poco più in là, vidi
Gwen correre via in lacrime, verso la
spiaggia, inseguita da Jessie, Lola e un’altra ragazza, che
però si fermò prima
di loro senza continuare la corsa.
Ebbi così la
conferma che Jessie, purtroppo, era lì. E, a quanto pareva,
con un’altra.
Ciao,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero
anche di
trovare qualche nuovo lettore (grazie a chi l'ha messa nelle
seguite/preferite) e, non voglio dirlo troppo forte, magari qualche
commento (non avete idea del piacere che può fare conoscere
l'opinione di qualcun altro!).
Ashwini e OnlyHappyWhenItRains vi ringrazio tanto, sono
sempre felice di leggere le vostre recensioni <3
A presto.
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Capitolo 4 *** Capitolo Quattro ***
Gwen
La musica mi
rimbombava nelle orecchie, nel torace, sotto i piedi e
l’alcol cominciava già a
fare effetto. Mi sembrava tutto più bello, tutto
più facile, mi sentivo più
leggera ed era una sensazione meravigliosa. Chiusi gli occhi e
continuai a
muovermi. Non mi importava di quello che pensavano gli altri, del modo
in cui stavo
ballando, se ero bella da vedere o no, se facevo solo ridere o se
magari mi
trovavano attraente, se Jessie mi amava ancora o era insieme ad
un’altra, se
ero semplicemente la più cretina sulla faccia della Terra o
avevo fatto bene a
non lasciarlo… Per una volta, in quel momento, me ne stavo
davvero fregando di
tutto e di tutti e non pensavo a niente.
E mi piaceva da morire quella sensazione.
D’un tratto mi
sentii afferrare per il braccio.
Non seppi bene
se era per colpa dell’alcol che mi scorreva nelle vene, ma
anche quello che
vidi subito dopo essermi voltata mi piacque da morire. Un moro stupendo
e due
occhi azzurri come il cielo mi guardavano dritto nei miei. Quelli erano
davvero
gli occhi più belli del mondo, lo pensavo da sempre e avrei
continuato a farlo.
E, di quello ero certa, non era colpa di nessun cocktail bevuto di
rigore.
Sorrisi a quei
due magneti azzurri, che non volevano mollare il mio sguardo, e mi
schiacciai
contro il loro proprietario. Una risata cristallina risuonò
nell’aria.
«Tu sei già
sbronza.» Mi disse Matt, afferrandomi per un fianco: okay,
barcollavo un po’,
ma non mollavo mica.
«Nah.» Gli risposi,
forse un po’ troppo vicina al suo viso.
Non ero per niente credibile. Dovevo anche essere piuttosto divertente
da
vedere da fuori, perché il mio migliore amico aveva
un’espressione compiaciuta
stampata in faccia.
«Ah, e allora
come mai non ti reggi in piedi?» Mi chiese, ridacchiando.
Stavo
benissimo, a parte l’equilibrio un po’ precario, mi
sentivo davvero bene.
«Forse un
pochino, okay? Ma va tutto bene.» Cercai di tranquillizzarlo,
ma scossi il capo
con troppa convinzione e decisamente un po’ troppe volte,
tant’è che mi girò la
testa per un attimo.
Ed ero così spensierata che misi in mano a Matt il mio
bicchiere vuoto e
cominciai a muovermi contro di lui.
Non avevamo mai ballato così. Cioè, non insieme,
perlomeno, non io e lui. In tutti
quegli anni passati
insieme l’avevo sempre visto ballare insieme ad altre
– tante altre –, ma non
l’avevamo mai fatto insieme, nemmeno quando non stavo ancora
con quel cretino
di Jessie, nonostante fosse una cosa stupida e, perché no,
anche innocente. Lui
non mi aveva mai guardata con occhi diversi da quelli
dell’amicizia, non aveva
mai provato a toccarmi in un modo che non fosse appropriato a quello di
due
buoni amici – era successo solo una volta, una notte, due
anni prima, ma era ubriaco
e probabilmente non si ricordava nemmeno più; mentre io, da
povera ragazzina
illusa, avevo passato anni e anni a morirgli dietro. Cotta e stracotta
del mio
migliore amico, come nei peggiori teen movies. Lo vedevo come una meta
impossibile da raggiungere, sempre circondato da sgualdrinelle varie,
sempre
chiuso nel suo guscio di cinismo e orgoglio, mai una volta che
trasgredisse le
sue strane regole sulle relazioni. Di certo non era rimasta a guardare,
avevo
avuto anche io le mie esperienze, ma mai al livello delle sue.
Poi si era fatto avanti Jessie, nostro amico da diverso tempo, e, forse
perché
avevo voglia di una relazione seria, forse perché volevo
togliermi dalla testa
quello stronzo di Matt, mi ero lasciata andare con lui. Mi ero
innamorata, certo,
ci stavo bene insieme. Però mi capitava spesso di pensare a
come sarebbe stato
se al suo posto ci fosse stato lui. Se
invece di preparare il letto per gli ospiti a Jessie,
l’avessi preparato per
Matt; se invece di andare al cinema con Jessie, ci fossi andata con
Matt; se
invece di baciare le labbra scure di Jessie, avessi potuto baciare
quelle
chiare di Matt; se invece di fare l’amore per la prima volta
con Jessie,
l’avessi fatto con Matt, il mio migliore amico.
Era davvero
cattivo pensare tutte quelle cose, me ne rendevo conto, ma non riuscivo
a
impedire al mio cervello di farlo. Forse me l’ero meritato di
essere
cornificata, però, restava il fatto, che quando avrei potuto
avere Matt per me,
intendo quella notte, due anni prima, ci avevo rinunciato.
Perché c’era Jessie.
Perché gli volevo bene. Perché nessuno si merita
di venir preso in giro così.
Ma, a quanto
pareva, la fedeltà e la fiducia non erano anche nei primi
interessi di Jessie,
quindi era andata così. Speravo che fosse stata solo una
sbandata. Tenevo a
lui. E, sinceramente, avevo paura di ritrovarmi da sola, di dover
ricominciare
da capo, con qualcun altro, in un altro modo. Più di tutto,
avevo paura di
ricadere nel baratro, di ritrovarmi, nei miei momenti più
bui, a pensare ancora
“o Matt o nessun altro”.
Quella sera,
però, ero io a muovermi addosso a lui, non tutte le altre,
ero io. Cercai perciò di
essere il più
sinuosa e sicura possibile, avevo voglia di provocarlo un
po’, avevo aspettato
quel momento da troppi, troppi anni. Per tutta risposta, lui rimase
lì
impalato.
«Stasera hai mangiato qualcosa almeno?» Mi chiese,
ad un tratto.
Ma ti sembra il
momento di farmi domande così stupide?, pensai.
Dov’era finita
tutta la sua spavalderia?
«Ma chi sei?
Mio padre? Comunque no, non mi andava.» Risposi con una
risatina, sperando di
chiudere lì l’inutile discorso che aveva tirato in
ballo.
«Scommettiamo.
Fra quanto tiri su l’anima? Un’oretta?»
Mi disse, vicino all’orecchio.
Evidentemente non
aveva intenzione di smetterla di dire stronzate. Così mi
voltai e - come se non
fossi nemmeno io a controllarla - la mia mano si avvicinò
alle sua bocca, il
mio indice sfiorò il suo labbro inferiore e, in
quell’istante, come una scossa
elettrica mi attraversò il corpo.
«Scommettiamo.
Fra quant’è che chiudi questa boccaccia e balli
con me?» Gli dissi, sfoderando
il migliore dei miei sorrisi e cercando di mostrarmi sicura di quello
che
facevo.
Non ero sicura di esserci riuscita, ma lui, scuotendo la testa, mi
lanciò
un’occhiata e ricambiò il mio sorriso birichino
con uno da svenimento. Finì la
birra in pochi sorsi, mentre io guardavo come incantata il suo pomo
d’Adamo
fare su e giù e poi se ne liberò insieme al mio
bicchiere vuoto. Iniziò così a
muoversi insieme a me.
Non volevo spingermi troppo in là, nonostante
l’alcol mi stesse praticamente
privando di ogni inizibizione, volevo solo che provasse quello che
provavo io.
Come se fosse possibile. Forse mi illudevo. Volevo solo che, per una
volta,
ballasse con me come faceva con le altre, senza pensare a come
comportarsi, a
dove mettere le mani. Volevo sentire ancora il mio corpo contro il suo,
proprio
come la sera prima, quando mi aveva buttato in acqua e poi ero caduta
sopra di
lui. Non c’era Jessie nei miei pensieri, in quel momento, era
come se fosse
stato spazzato via. E probabilmente era sbagliato, ma lui mi aveva
tradita con
un’altra, mentre io non lo stavo facendo.
Ballammo per un
po’ e per tutto il tempo provai una strana sensazione alla
bocca dello stomaco,
forse ansia, forse farfalle, so solo che si acuì appena si
decise a mettermi le
mani sui fianchi.
Ad un certo
punto sentii le voci di Lola e Dominic vicine e li vidi di fianco a noi.
«Se sei venuto
per fare l’idiota con quella, potevi anche startene in
hotel!» Chiosò la mia
amica, dando una leggera gomitata al biondo, che, per tutta risposta,
alzò gli
occhi al cielo.
Ah, la gelosia!,
pensai. Mi facevano morire dal ridere quei due. Erano fatti per stare
insieme,
ma preferivano tenersi sulle spine. Forse era più divertente
così.
Lola mi si
avvicinò all’orecchio e mi prese una mano.
«Mi accompagni
in bagno? Se no finisco per ucciderlo.» Un sorriso maligno si
dipinse sul suo
viso, mentre uno divertito si faceva strada sul mio.
«Okay.»
Ridacchiai. «Sappi che tengo alla tua vita.» Feci
poi a Dom, che mi guardò
stranito.
Feci un sorriso
a Matt, che ricambiò subito, e mi allontanai con la mia
migliore amica. Mi
girava ancora un po’ la testa, ma andava già
meglio rispetto a poco prima.
Appena fummo
lontane, il senso di colpa si fece sentire. Perché mi ero
comportata così?
Non sapevo se dire a Lola quello che provavo o far finta di niente. In
fondo
non è successo nulla, pensavo, cercando di convincermi,
abbiamo solo ballato.
Ma sapevo comunque che quella che poteva sembrare un’idiozia
aveva riportato a
galla cose, sentimenti e sensazioni che pensavo di aver –
bene o male –
seppellito e dimenticato.
Optai infine per
non dirle nulla e le chiesi di lei e Dom.
«Quindi?»
Esordì.
«Quindi cosa?»
Disse lei, mentre entrava in bagno.
«Dom?»
«Tienimi la
porta, qui non c’è la chiave.»
«Non era la
risposta che volevo, però okay.» Risi.
Mi appoggiai
alla porta e tornai all’attacco.
«Pensi di
dirglielo che ti piace o lo tieni ancora lì sul filo del
rasoio?» Dissi.
Lei sbuffò. Mi
immaginai la sua espressione contrariata.
«Sto facendo
pipì, non mi va di parlarne.»
«Uscirai di lì,
sai?» Come risposta ebbi solo il rumore dello sciacquone.
Poco dopo venne
fuori, mi lanciava occhiate divertite dallo specchio mentre si
sciacquava le
mani nel lavandino. Io me la ridevo sotto i baffi.
«Lo sanno tutti
che non vedete l’ora di scopare.» Dissi, maliziosa.
Lei mi guardò
con un’espressione di finto sgomento mista a divertimento sul
viso.
«Gwen! Questo
linguaggio non ti si addice per niente!» Mi agitò
il dito davanti alla faccia.
«E a te non ti
si addice il ruolo di santarellina!» Risi, dandole un
pizzicotto sul sedere.
«Quindi fatevi il favore di smetterla di fare gli
idioti!»
«Signor sì,
signore!» Disse lei, facendomi il saluto militare.
«Cretina.» Sussurrai.
Le misi un braccio intorno al collo e così uscimmo dal
bagno. Ci stavamo
avviando verso il bar, dove Lola aveva intravisto i nostri due
accompagnatori,
quando il mio sguardo cadde su Amy.
Cosa ci faceva
lì? Guardai meglio, dietro di lei c’era Eric
insieme ad Alex, dietro di loro: Jessie.
Avvinghiata a lui, come un bellissimo e sinuosissimo polipo, una
ragazza alta e
mora – il mio esatto opposto –, ovviamente, la
stessa con cui l’avevo beccato la
sera prima.
Il mio cuore si fermò; il mio stomaco si rivoltò
su sé stesso; una vampata di
calore mi arrivò fino alla testa, ma le lacrime, purtroppo,
non riuscii a
fermarle. In quel momento, però, sentii che la rabbia era
decisamente più forte
del dolore, così, d’impulso, attraversai la calca
di gente che ci divideva e mi
abbattei contro di loro. La strappai dalle sue braccia, dalle sue
labbra -
dalle mie labbra - e tirai uno
schiaffo
in faccia a lui. Per un attimo mi guardò interdetto, come se
fosse successo
tutto talmente in fretta da non riuscire capire, poi si accorse di chi
ero, di
cosa aveva appena fatto davanti ai miei occhi e fece subito per
afferarmi il
braccio, ma mi allontanai di corsa. Puntai verso il mare, dove
c’era meno
casino, dove avrei potuto urlargli in faccia quanto mi faceva schifo
senza
avere troppi spettatori.
Urlò il mio
nome diverse volte prima che decisi di fermarmi, lo feci appena sentii
che non
riuscivo davvero più a trattenere gli insulti. Quando
mi voltai me lo
ritrovai subito davanti, aveva uno sguardo quasi indecifrabile.
«Cazzo, Gwen!»
Disse, afferrandomi per un polso.
«Vaffanculo!»
Gli gridai contro, strappando via la mia mano dalla sua presa.
«Io- io non
volevo lo scoprissi così…» Mi prese per
le spalle, cercando di tirarmi vicino a
lui.
Mi divincolai e
lo spinsi via.
«Toccami ancora
e ti tiro un altro schiaffo!» Gli intimai. «Sei un
pezzo di merda!»
«Lo s-»
«Come cazzo hai
potuto?!» Urlai, interrompendolo prima che finisse la frase.
«Dopo tutto questo
tempo!» Continuai, le lacrime intanto scendevano, non
riuscivo a controllarle.
«Credimi, non
volevo farti del male.» Disse, quasi sussurando.
Allungò la mano verso il mio viso, fece in tempo a sfiorarmi
la guancia con il
pollice per fermarmi una lacrima, ma io gli tirai un pugno sulla spalla
sinistra. Non voleva farmi del male? Gliene avrei fatto io.
«Cristo santo.»
Dissi. «Ti senti quando parli? Non volevi farmi del male? Mi
prendi per il
culo?»
«Te lo avrei detto.»
Cercò di giustificarsi, mentre si massaggiava la spalla.
«Ah, sì? Beh,
grazie della cortesia allora!» Risposi, sarcastica.
Ci fu un attimo
di silenzio. Io presi un respiro, lui si mise le mani fra i capelli e
guardò
verso il mare.
Intravidi Lola che si era fermata un po’ più
indietro rispetto a noi.
«Da quanto?» Gli
chiesi, poi.
«Da una
settimana.» Rispose, senza guardarmi in faccia.
Fantastico.
Eravamo lì in vacanza da due settimane e lui da una si
sbatteva un’altra,
appena conosciuta per di più.
«Chi è.» Dissi,
non era nemmeno una domanda.
«Non è di qui, è
in vacanza anche lei.»
«Magari col
fidanzato?» Non riuscii a trattenermi dal dirlo.
«No.»
«Ah beh, almeno
te ne sei trovato una coscienziosa…» Commentai.
«Smettila di
fare così.» Mi disse, questa volta riuscendo a
guardarmi negli occhi.
«Di fare cosa,
scusa?!» Alzai la voce.
«Di rispondermi
come se mi stessi prendendo per il culo.»
«Tu l’hai fatto
fino ad ora con me!» Gli feci notare. «Ti rispondo
come voglio, non devo stare
di certo a pesare le parole con te!» Gli diedi
un’altra spinta. «Sei
incredibile.» Aggiunsi.
«Ho sbagliato,
okay?! Mi dispiace, Gwen.» Si lamentò.
«Mi dispiace sul serio, mi sono
comportato da stronzo, è vero, ma pensavo fosse solo una
cosa momentanea, che
una volta tornati a casa sarebbe tornato tutto come prima.»
Lo guardavo
incredula. Una cosa momentanea? Più cercava di spiegarsi e
più mi chiedevo come
avevo fatto a stare con un imbecille del genere per tutti quegli anni,
ma,
soprattuto, come avevo anche solo pensato di lasciar correre quello che
era
successo.
«Tutto come
prima? Ma mi prendi in giro?!» Gridai.
«Intendo che
avrei voluto stare solo con te, come prima.» Disse piano.
«Cioè, lasciami
capire. Tu pensavi di riuscire tranquillamente a stare insieme a me, a
passare
le giornate con me, a fare tutte le cose che facevamo prima, a venire a letto con me, dopo esserti
scopato un’altra?! E per di più sotto i miei
occhi?!» Gli dissi, mentre gli
puntavo il dito contro il petto. «Mi fai veramente
schifo!»
Mi lanciai contro di lui, iniziai a spingerlo, a dargli pugni sulle
spalle, sul
torace, non capivo più niente. Mi sentivo ferita, mi aveva
presa in giro. Mi chiedevo
se fosse capitato anche altre volte e picchiavo più forte.
Mi immaginavo ancora
la scena della sera prima e picchiavo più forte. Volevo
fargli male, volevo
spaccargli la faccia, volevo che provasse il dolore che stavo provando
io.
All’improvviso
mi sentii afferrare per la vita, qualcuno, che non era Jessie, mi stava
sollevando da terra. Gridai di lasciarmi andare con tutta la forza che
avevo,
ma quando sentii quella voce dire
il
mio nome, mi bloccai.
Eccomi qui, finalmente il
capitolo dal punto di vista di Gwen . Spero vi sia piaciuto :)
Ancora grazie a chi segue, a chi recensisce e a chi l'ha messa fra le
preferite.
Fatemi sapere, aspetto qualche nuovo commento.
Ne
sarei felice.
Lady.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo Cinque ***
Matt
«Oh,
fantastico!» Esordii, subito dopo aver visto Gwen, rincorsa
da Jessie, andare
verso la spiaggia. «Merda.»
«Serata
rovinata.» Commentò Dom, sospirando.
Rimasi in
silenzio un attimo. Non sapevo cosa fare. Seguirli e intromettermi in
qualcosa
che non mi riguardava o non seguirli e farmi gli affari miei? Guardai
Dominic
in cerca di riposte. Speravo che mi dicesse lui come dovevo
comportarmi, ma al
momento sembrava solo preoccupato dal fatto che anche quella sera fosse
andato
tutto a rotoli con Lola. Si accorse poco dopo del mio sguardo
insistente e mi
fece un cenno del capo come a dire “cosa
c’è?”.
«Cosa faccio?»
Gli domandai.
«A me lo
chiedi?» Stessa risposta che avrei dato io al suo posto.
«Dimmi
qualcosa.» Lo implorai, quasi.
Silenzio.
«Vai.» Disse,
subito dopo.
Appoggiai la bottiglia di birra sul bancone del bar e mi avviai verso
la
spiaggia.
«Non
ammazzarlo!» Mi sentii gridare poi, da dietro le spalle.
Accennai un sorriso divertito, ma senza voltarmi. Non ero incazzato, mi
era
passata. Non avrei messo le mani addosso a nessuno perché,
volente o nolente,
non era un problema mio, quello; ero solo preoccupato per
l’incolumità di
entrambi – ovviamente di più per quella di Gwen,
perché lui un paio di schiaffi,
alla fin fine, se li sarebbe meritati e basta.
Passai vicino a quella che doveva essere la ragazza che se la faceva
con Jessie;
si era fermata dietro un palma. In quell’istante la raggiunse
un’amica e le
sentii parlare.
«Chi cazzo è
quella?!» Esclamò l’altra.
Non mi fermai.
Non era mio compito chiarire la situazione.
Un po’ più
avanti vidi Lola, che aveva deciso di interrompere la sua corsa.
«Seratona, eh?»
Le dissi, una volta raggiunta.
«Cristo santo.»
Fu la sua risposta, alzando le braccia.
Guardai nella
stessa direzione in cui stava guardando lei e li vidi. Saranno stati
avanti una
cinquantina di metri rispetto a noi, non si capiva bene quello che
stavano
dicendo, ma sentivo Gwen urlare, lui invece sembrava rispondere in modo
piuttosto pacato. Ad un tratto, però, riuscii ad udire
distintamente Gwen
gridare la parola «schifo» e, immediatamente dopo,
lanciarsi contro Jessie con
rabbia. Iniziò a colpirlo. Un pugno, due pugni,
tre… Lui non reagiva e lei
sembrava non volersi fermare, così decisi di correre
là per sedare la
situazione.
Presi Gwen da dietro, afferandola per la vita, ma lei cercò
di divincolarsi.
Era piccoletta, ma aveva una forza non indifferente. La sollevai da
terra e la
feci allontanare da Jessie.
«Lasciami
andare!» Urlò, continuando a muoversi.
Non voleva placarsi per niente al mondo. Avrei quasi voluto lasciarla
continuare – lasciarla sfogare non sarebbe stata una brutta
idea –, ma avevo
paura che, prima o poi, Jessie si sarebbe stancato e non avrebbe
esitato a
metterle le mani addosso per farla smettere.
«Gwen!» Dissi, in un tono piuttosto acceso, come
per richiamarla. «Basta!»
Immediatamente
si lasciò andare tra le mie braccia, tutti i muscoli, tirati
fino ad un secondo
prima, si rilassarono e si voltò verso di me, gli occhi
gonfi lacrime.
«Matt.»
Sussurrò. «Che ci fai qui?»
«Ti impedisco
di commetere un omicidio.» Le sorrisi bonariamente.
Lei non
ricambiò il sorriso - non era il momento -, però
infilò il viso tra il mio
collo e la mia spalla e strinse le braccia attorno alla mia vita. La
presi per
la nuca, infilando le mani tra i suoi ricci biondi e con il braccio
libero l’avvolsi
in un abbraccio.
Jessie mi
guardava, ma non disse una parola. Meglio così, pensai,
almeno evito di
mandarlo a quel paese subito.
«Mandalo via.»
Mi disse piano Gwen, nell’orecchio.
«Forse è meglio
che vai, Jay.» Incalzai, lanciadogli
un’occhiataccia. «Parlerete domani.»
Gwen si agitò
tra le mie braccia e si voltò verso di lui.
«No!» Esclamò,
incattivita. «Io non ho più niente da dirti,
quindi per me la cosa può
chiudersi qui.»
Lui scosse la
testa.
«Possiamo
sistemare tutto.» Disse poi, facendo un passo verso Gwen e
allungando una mano.
Vidi che lei era pronta per ripartire alla carica un’altra
volta, così la
strinsi ancora di più, bloccandola tra le mie braccia e
l’anticipai.
«Finiscila di
dire stronzate e non toccarla.» Dissi, con fermezza.
Lo sguardo che gli stavo riserbando avrebbe dovuto fargli capire che
non tirava
una buona aria e che forse sarebbe stato meglio che si facesse da parte
una
volta per tutte.
«Non sono affari tuoi, Matt.» Rispose lui.
Intanto ci aveva raggiunto Lola, che si affiancò a Gwen. Ne
approfittati per
lasciarla a lei e avvicinarmi pericolosamente a Jessie. Lui fece un
passo
indietro.
«Sono affari
miei perché mi stai facendo incazzare e lo sai benissimo che
quando mi incazzo
non sono per niente ragionevole.» Gli feci notare, quando fui
a pochi
centimetri da lui. «Quindi, gentilmente, sparisci.»
Lui rimase in
silenzio, reggendo il mio sguardo per qualche secondo.
«Non ho voglia
di litigare con te.» Disse poi. «Però
non può finire così, Gwen.»
Continuò,
guardando alle mie spalle.
«Va al diavolo,
stronzo!» Gridò lei.
«Porca puttana,
vai via!» Intervenni io, di nuovo. «E lasciala in
pace! Hai voluto fare il
coglione? Ora puoi anche andartene a fanculo.» Mi stava
veramente implorando di
mettergli le mani addosso.
Finalmente si
decise ad abbandonare la battaglia.
«Merda.»
Sussurrò, guardando terra.
Scosse la testa – sembrava la sua attività
preferita, al momento -, poi mi
diede una leggera spinta con la spalla - alla quale mi trattenni dal
prenderlo
per il colletto della camicia che indossava e sbatterlo in mezzo a
cespugli -, indicò
Gwen e le disse di nuovo che non sarebbe finita così. Mi
sembrava che non
finisse mai di raggiungere livelli sempre più alti di
coglionaggine.
Gwen, fortunatamente, evitò di rispondergli e si
girò dall’altra parte, Lola la
prese per mano e la fece allontanare un po’.
«Dai, per
favore, vai.» Gli dissi poi, afferrandogli un braccio.
«Ho sbagliato,
lo so, cosa credi?!» Mi urlò in faccia.
«Guarda che a
me non me ne frega un cazzo se ti sei scopato un’altra, basta
che vai fuori dai
coglioni!»
Mi lanciò
un’occhiata di sbieco e, finalmente, si avviò
verso il locale.
«Ah, guarda che
dovrai spiegare due cosine anche all’altra!» Gli
urlai, sarcastico, quando era
un po’ più avanti.
Come risposta mi beccai solo un “vaffanculo.”
Dei colpi
contro la porta mi svegliarono. Aprii gli occhi e guardai la sveglia.
Le 5.23
di mattina. Mi guardai intorno stralunato, ero andato a letto solo
un’ora prima
e facevo veramente fatica a tenere gli occhi aperti – in
quegli ultimi giorni
stavo dormendo pochissimo e il mio corpo ne risentiva. Avevo fatto
compagnia a
Gwen con Lola e Dom per un po’ di tempo, l’avevamo
riaccompagnata all’hotel, e
lì fatto due passi in spiaggia tutti insieme. Poi
però aveva preferito tornare
in camera con Lola, mentre io e Dom decidemmo di prolungare la serata
andando a
berci ancora qualcosa. Finii così per farmi risucchiare la
faccia dalle labbra di
Amy. Ancora. Ero recidivo e anche ubriaco.
Notai, intanto, che Dom in camera non c’era. Non mi ricordavo
nemmeno se ci
fosse tornato, se io ero tornato da solo o insieme a qualcuno. Vuoto
totale.
Quello che era successo dopo le due di notte sembrava non esistere
nella mia
mente. Mi ricordavo solo di Amy, purtroppo.
Ancora un paio
di colpi e mi decisi a trascinarmi verso la porta per vedere chi fosse,
anche
se una vaga idea ce l’avevo già. Aprii ed ecco che
venne subito confermata.
«Ciao.» Sentii
dirmi da un vocino sottomesso e dolcissimo.
Accennai un
sorriso, dopo il quale però non riuscii a trattenere uno
sbadiglio.
«Scusami, non
volevo disturbarti, è che- posso entrare?»
Continuò Gwen, mangiandosi quasi le
parole, senza alzare lo sguardo da terra.
Mi fece quasi tenerezza, mi sembrava così fragile e
così piccola. Non le avrei
detto di no per niente al mondo, anche se avessi rischiato di
addormentarmi
mentre mi parlava.
«Certo.» Le
risposi e le afferrai la mano per condurla dentro.
Una volta varcata la soglia, gliel’avrei lasciata, ma lei non
sembrò voler
mollare la presa, così feci finta di niente e la portai sul
balcone a prendere
un po’ d’aria fresca – ne avevo bisogno
anche io. La feci sedere sulla sdraio
che c’era lì, mentre io mi appoggiai al muretto.
La mano ancora nella sua.
«Mi piacciono
così tanto le tue mani.» Disse poi, quasi in un
sussuro, fissando le mie dita
intrecciate alle sue.
Provai quasi imbarazzo dopo quel commento e perciò non dissi
nulla. Non sapevo
cosa dire. Non capivo cosa potesse significare, anche se probabilmente
lo aveva
detto con tutta l’innocenza possibile. Mi sembrava quasi che
Gwen non fosse
capace di parlare con malizia. Io invece, a differenza sua, ero molto
malizioso.
Rimase in silenzio anche lei, forse in attesa di una mia risposta che,
però,
non arrivò. Infatti, un secondo dopo, lasciò
andare la mia mano e si coprì il
viso con le sue.
«Scusami.»
Borbottò.
Mi stava
chiedendo scusa per quello che aveva appena detto?
«Scusami se
sono venuta qui a quest’ora.» Si spiegò.
«Solo che Lola probabilmente non ne
poteva più di sopportarmi e poi non smettevo di pensare a te
e a quanto avessi
voglia di un tuo abbraccio.» Continuò, lanciandomi
un’occhiata attraverso le
dita.
Accennai un
sorriso e mi abbassai sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza.
Appoggiai
una mano sulla sua gamba e con l’altra le tolsi le sue dal
viso.
«Sono qui.»
Sussurrai, guardandola negli occhi. «Non sono bravo in queste
cose, ma se hai
voglia di parlare…»
«Sei più bravo
di quanto credi.» Mi disse, mordendosi un labbro.
Poi mi mise le
braccia intorno al collo e mi strinse in un abbraccio.
L’equilibrio era un po’
precario, lei era ancora seduta sulla sdraio, io ciondolavo avanti e
indietro,
così decisi di sollevarla e spostarla sul muretto del
balcone. Rise mentre lo
feci.
«Guarda.» Le
dissi, poi. «Sta nascendo il sole.»
All’orizzonte,
oltre l’oceano, si poteva vedere un delicato rosa pesca
sfumare in un arancione
opaco che, pian piano, sarebbe diventato sempre più forte.
Quello spettacolo,
reso ancora più bello dal riflettersi del sole
sull’acqua, mi lasciava a bocca
aperta. Una cosa così semplice, ma così bella, io
non l’avevo mai vista. O
forse sì. Mi voltai impulsivamente verso Gwen.
Sorrisi nel
vederla incantata come ero io fino ad un secondo prima. La luce che
stava
nascendo le aveva messo in risalto l’azzurro chiaro degli
occhi ancora un po’
gonfi di lacrime, aveva le labbra rosa leggermente socchiuse e un
riccio
ribelle che le cadeva sul viso. Era splendida e io la volevo. La volevo
proprio
come un bambino desidera quel dannato giocattolo, che sa che non
potrà mai avere
perché i suoi non possono permetterselo. Ed era sbagliato.
Era sbagliato che io
volessi lei.
«È stupendo.»
Disse, sorridendo.
«Già.»
Un attimo dopo
mi afferrò le gambe con i piedi e mi fece avvicinare a lei.
Puntò gli occhi nei
miei.
«Ho paura.» Chiosò
e io la guardai con aria interrogativa. «Paura di quello che
mi aspetta.»
«Non ne hai
motivo.» Le dissi.
Non capivo seriamente. Perché avere paura? Di cosa, poi?
«Sai… Di ricominciare. Io non sono una che si fa
nuovi amici facilmente. Sono
timida, ho vergogna di tutti. Ci vuole un bel po’ prima che
io mi fidi di
qualcuno.» Spiegò, con voce tremante.
«Nuovi amici?»
«Tutti gli
amici che ho ora, anzi, che avevo, sono amici di Jessie.»
«Lola è la tua
migliore amica, non la sua.» Dissi, piuttosto serio.
«Okay. Lola,
poi?»
«Dom non è mai
andato d’accordo con Jay. E siamo già a
due.» Continuai, con un mezzo sorriso.
«Dom. Sì. Poi basta.»
Mi guardò tristemente.
«Poi ci sono
io.» Dissi, dolcemente. «Prima di essere amico suo,
ti ricordo che sono stato amico
tuo e che lo sono tuttora.»
Mi guardò
sorridente. Io le presi il mentro tra pollice e indice.
«Chi ti ha
visto perdere i primi dentini alle elementari? Chi ti ha insegnato a
giocare a
calcio? Chi ti ha coperto il culo quando sei scappata di casa per due
giorni?
Chi ti ha portato al tuo primo concerto? Chi è qui con te
alle cinque e mezza
di mattina?» Dissi, guardandola negli occhi.
«Tu.» Sussurrò,
una piccola lacrima le si era formata all’angolo degli occhi.
«Sempre e solo tu.»
Annuii e le
diedi un bacio leggerissimo sulla fronte. Quando stavo per tirarmi su,
lei mi
afferrò il colletto della maglietta che indossavo
– ero andato a letto vestito,
a quanto pareva – e
mi tenne lì vicino
ancora per un po’, fronte contro fronte.
«Non lasciarmi, mai e poi mai.» Mi disse, piano,
con le labbra a pochi
centimetri dalle mie.
In quel momento
mi sentii il cuore esplodere. Ebbi quasi paura che potesse sentirlo
anche lei,
talmente batteva forte. Cosa cazzo mi stai facendo, Gwen…,
pensavo.
«Mai.» Le
giurai, in qualche modo, trattenendomi dal posare la mia bocca sulla
sua.
Spinse la sua fronte contro la mia ancora una volta e poi mi
lasciò la
maglietta. Io mi
allontanai. Non avrei retto un secondo di più. Dovevo
seriamente trovare un po’ di
tempo per farmi un esame di coscienza e capire cosa diavolo mi stava
succedendo. Era amore, quello? Mi sembrava così difficile
che lo fosse, ma
quelle strane sensazioni non le avevo provate con nessuna. In quel
momento non
avevo voglia di portarmela a letto, come mi capitava di solito con le
altre,
sentivo solo il forte bisogno di baciarla. E la cosa mi spaventava
alquanto.
Non doveva essere lei. Non dovevo innamorarmi della mia migliore amica.
Perché rovinare
qualcosa di bello e che durava da tanto tempo? Che fosse stato per
amore o per
sesso, ero convinto che avrei dovuto farmela passare. Non si meritava
di essere
ferita ancora, soprattutto non da me.
Mi tastai le
tasche dei pantaloni e ne estrassi il pacchetto di sigarette e
l’accendino.
«Ce n’è rimasta una.» Dissi,
mentre mi sedevo dal lato opposto del balcone rispetto
a lei. «Facciamo a metà?»
«No, grazie.»
Rispose. «Fra poco vado, così dormiamo tutti e
due, perché io ne ho bisogno e
tu, tu forse ne hai più di me.» Mi
lanciò uno sguardo di compassione per lo
stato in cui mi trovavo e sorrise.
Ridacchiai, mi accesi la sigaretta e riposi l’accendino in
tasca. Feci quel primo
tiro con il mal di testa che pulsava sempre di più. Pensai
ai postumi della
sbornia e mi venne in mente Amy.
Quasi come se
fossimo telepatici, Gwen mi chiese di lei - forse per riempire quel
momento di
silenzio.
«Ho paura di
essermela portata a letto anche prima.» Ammisi, buttando
fuori il fumo dalle
narici.
«Sei serio?»
Disse lei, lanciandomi un’occhiata tra il divertito e lo
scettico.
«Purtroppo sì.»
«Non ci credo. Come fai a non ricordarti?»
«Vuoto. Vuoto
completo.»
«Sei pessimo.»
Scosse la testa, ma si vedeva che stava trattenendo una risata.
«Ridi, se
vuoi.» Le dissi, ridendo io per primo.
Allora si
lasciò andare anche lei.
«Oh dio, spero
di non trovarmi mai al suo posto!» Commentò, ma
poi si zittì immediatamente,
come se avesse detto qualcosa di sbagliato.
Ma non era sbagliato, era quello che pensavo anche io, nonostante
provassi
dispiacere nel farlo. Non avrebbe mai dovuto trovarsi al posto di Amy,
tra le
mie lenzuola. Lei non era così.
Posò su di me uno
sguardo indecifrabile, accennò un piccolo sorriso
– sembravano quasi delle
scuse, che nemmeno mi meritavo - e, infine, si voltò verso
l’orizzonte. Non
disse più nulla. Chissà a cosa pensava.
E poi, in silenzio, io la guardai, ancora e
ancora. Mi chiededevo per quanto tempo sarei andato avanti
così, per quanto
tempo avrei pensato che lei era l’unica cosa che desiderassi
avere più di ogni
altra. Perché, contro ogni logica, era così e non
riuscivo a cambiare idea.
Buonasera <3,
questa volta ho aggioranto un pochino più tardi del solito
perché, purtroppo, esiste la sessione di esami di settembre.
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Come al
solito ringrazio chi segue (ho visto nuovi lettori, ciao carissimi!),
chi preferisce (<3) e chi recensisce (Ashwini,
50shadesofLOTS_Always e OnlyHappyWhenItRains non sapete come mi fa fate
felice!).
Attendo con ansia qualche commento, sarò contenta di
rispondervi.
A presto (se non aggiorno fra pochi giorni non datemi per dispersa,
arriverò! :P),
Lady.
P.S. Probabilmente il
prossimo capitolo sarà dal POV di Gwen :)
|
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Capitolo 6 *** Capitolo Sei ***
Gwen
Aprii gli
occhi, ma il bianco accecante del soffito me li fece richiudere
immediatamente.
Doveva essere pieno pomeriggio, la luce del sole era fortissima.
Aspettai un
attimo e poi li riaprii con calma. Mi sentivo ancora stanca, quasi come
se non
avessi dormito per niente.
«Sei sveglia?»
La faccia di Lola mi si parò davanti come in un film
dell’orrore.
Per poco il
cuore non mi uscì dalla gola. Non me l’aspettavo.
«Ma sei
pazza?!» Sbottai, portandomi una mano sul torace, come se
potesse aiutarmi a tornare
a respirare normalmente.
«Sono così
brutta?» Ridacchiò lei.
«Cristo, Lola.»
Espirai profondamente. «Che buongiorno da infarto.»
Lei continuò a
ridersela, mentre faceva avanti e indietro per la stanza. Scema,
pensai,
intanto che il mio cuore stava tornando ad un numero di battiti al
minuto più o
meno decente. Poi guardai la sveglia. Erano solo le tre e mezza di
pomeriggio.
«Cosa ci fai in
camera a quest’ora?» Le chiesi e mi voltai su un
fianco per osservarla meglio.
«Preparo le
valigie.» Chiosò Lola, guardandomi con
un’espressione che emanava ovvietà.
Merda. Come
avevo fatto a dimenticarmi che era l’ultimo giorno e poi
saremmo tornati a
casa? Avevo la testa tra le nuvole, non riuscivo a dare attenzione a
nulla che
non fossero i miei sentimenti. E forse, a dirla tutta, nemmeno a quelli
stavo
dando la dovuta importanza, dato che non riuscivo ancora a capire cosa
veramente volessi. Mi resi conto che, in realtà, non ero per
niente dispiaciuta
di dover ripartire, almeno per un po’ non avrei
più dovuto vedere quel cretino
di Jessie. Ancora qualche giorno di vacanza e poi sarei tornata in
università
per dare l’ultimo esame; in più la tesi era
praticamente già pronta, perciò
dopo poco mi sarei finalemente laureata in lettere e filosofia, avrei
detto
addio al mio stupido paesino natale e me ne sarei andata a lavorare in
città. O
almeno lo speravo.
«Ci credi che me n’ero completamente
scordata?» Dissi a Lola, mentre mi tiravo
su a sedere.
Lei mi guardò
con un mezzo sorriso.
«Ci credo, ci credo.»
Rimasi lì, seduta sul letto a gambe incrociate a giocare con
i capelli per
qualche minuto. Pensavo ad ogni cosa a cui avrei potuto pensare in quel
momento. A cosa avrei fatto quando sarei tornata a casa, a come avrei
spiegato
a mia madre e a mia sorella che io e Jessie ci eravamo lasciati, a come
avrebbero reagito, a quando avrei dovuto riaffrontarlo –
perché sapevo
benissimo che sarebbe tornato all’attacco –, al
viaggio verso l’università e poi,
ovviamente, mi venne in mente lui.
I
suoi occhi azzurri piantati nei miei poche ore fa, quel
“mai” giurato a fior di
labbra, il suo profumo, le sue mani. Tutti quei particolari che in un
attimo
riuscivano a cancellare dalla mia mente ogni cosa riguardante Jessie e
quello
che era stato di noi. Boom. Era un attimo, tutto sparito. E
c’era solo lui. Lui
e i suoi sorrisi dolci, quelli che riservava solo a me.
Non sapevo nemmeno io perché mi ero decisa ad andare in
camera sua, a quell’ora
poi... Era colpa del mio cervello bacato e della mia perenne voglia di
farmi
del male, perché sentivo che stava tornando. Stava tornando
tutto. Tutto quello
che avevo voluto lasciarmi alle spalle e che avevo cercato di
sotterrare in un
angolo buio del mio cuore. Era bastato un ballo insieme? E due sguardi
un po’
diversi dal solito? Ero davvero così patetica? Mi sentivo
una bambina, piccola
e stupida.
D’un tratto
Lola mi tolse da quel vortice di pensieri in cui stavo per essere
risucchiata.
«Senti, ho
visto Jessie prima.» Disse, con una certa cautela.
«Ha detto che vuole e deve parlarti,
che ha sbagliato e bla bla bla vari.»
«Fanculo.»
Sibilai.
«È esattamente
quello che gli ho risposto io.»
«Quindi direi
che hai già risolto tu.»
«Se fosse così
facile, Gwen…»
«Che rottura!»
Mi agitai. «Non lo voglio vedere, non voglio più
avere niente a che fare con
lui, lo capirà mai?!»
«Lo spero.
Intanto però hai tipo una decina di messaggi e un paio di
chiamate perse sul
telefono che ti aspettano.» Mi disse, porgendomi
l’Iphone.
Lo afferrai e
lo buttai sul letto di fianco a me. Come una vera stupida,
però, lo ripresi
subito dopo per controllare che non ci fosse qualche messaggio di Matt.
Niente,
ovviamente. Tutti di Jessie. Tutti uguali, tutti che dicevano le solite
stronzate: “ti prego, perdonami”, “ho
sbagliato, “lo sai che ti amo” e via discorrendo;
ma uno in particolare colpì la mia attenzione. Mi chiedeva
se avrei fatto – per
favore – il viaggio di ritorno in macchina con lui, come era
stato per l’andata.
«Cazzo, Lola.»
Iniziai, lei mi guardò preoccupata.
«Cosa.»
«Come faccio
con il viaggio in macchina? Io non voglio andare con Jessie, Eric e
compagnia
bella.» Mi lamentai. «Non sta né in
cielo né in terra questa cosa. Come faccio?
Prendo il treno?»
«Gwen, non mi
sembra la fine del mondo. Basta che chiedi a qualcuno che stava in
macchina con
Matt di fare scambio.» Disse, tranquilla.
«Tu credi che
Amy mi lasci il suo posto? Seriamente?» La guardai con le
sopracciglia alzate.
Ci fu un attimo
di silenzio durante il quale io pensai a lei a letto con Matt. Strizzai
gli
occhi come per cacciare subito quell’immagine disgustosa.
«In effetti,
visti gli ultimi avvenimenti…» Rispose, titubante.
«Ci voleva
anche quella troietta…» Commentai e Lola rise.
Sapeva che non mi era mai andata a genio. Si era unita alla compagnia
da
qualche anno, era falsa come poche e aveva quel fare da gattina
perennemente in
calore con qualsiasi essere umano del sesso opposto. Ovviamente, il suo
maggiore interesse era sempre stato Matt, ma lui non
gliel’aveva mai data
vinta. Questa volta, però, ce l’aveva fatta.
«Senti, secondo
me basta che ne parli con Matt, vedrai che in un attimo ci pensa lui.
Anzi,
digli che vengo anche io in macchina con voi e-» Si
interruppe.
«E Dom.»
Conclusi io, con un sorriso divertito. «Sei cotta,
ammettilo.»
«Oh, stai
zitta!» Mi disse, facendomi segno con la mano di chiudere la
bocca, così
lasciai perdere.
«Allora
chiederò a Matt, così magari ci facciamo un bel
viaggio noi quattro insieme.»
Dissi.
«Sarebbe
divertente.» Rispose lei, poi mi guardò dritta
negli occhi. «A proposito di
Matt.»
«Sì?»
«Questa notte-
anzi, questa mattina, non sarai mica andata da lui, vero?»
Chiese, con una nota
di preoccupazione nella voce.
«E dove, se
no?»
«Oh, Gwen.» Si
sedette sul bordo del letto di fianco a me.
«Che c’è?!» Domandai,
mettendomi subito sulla difensiva.
«Dimmi che non
ci stai ricascando.» Mi afferrò la mano.
Mi conosceva
così bene… E la maledicevo per quello, non potevo
e non riuscivo mai a tenerle
nascosto niente. Ero davvero prevedibile, ma ci provai comunque.
«È il mio
migliore amico, Lola. Non potevo stressare solo te per tutta la notte,
ho solo
pensato di lasciarti respirare un po’ e farmi fare compagnia
da lui.» Cercai di
reggere con fermezza il suo sguardo indagatore. «Non volevo
stare da sola,
tutto qui.»
«Però ci stai
ricascando.» Disse, con la testa inclinata da un lato.
Avrei potuto
inventarmi di tutto, ma non sarei mai riuscita a farla franca.
«No, che dici?»
«Ti conosco,
signorina.»
«Non è così,
giuro.»
«Il falso.»
«Non giuro il
falso.»
«Sì, invece. Ti
basta tanto così per ricominciare tutto da capo, Jessie
è stato solo un
diversivo e lo sappiamo benissimo tutte e due.» Disse, con un
filo di
cattiveria.
Mi lasciai
cadere all’indietro, finendo con la testa sul cuscino, e
sospirai
rumorosamente.
Era stato un
diversivo? Forse sì. E mi facevo davvero schifo quando
pensavo a come mi ero “approfittata”
di Jessie. Arrivai perciò alla conclusione che mi ero
meritata quello che mi
aveva fatto, ma che, da codarda, non lo avrei mai ammesso con lui.
Mi misi le mani
sul viso e mi stropicciai un po’ gli occhi.
«Non volevo, lo
giuro.» Mi lamentai e sentii una piccola lacrima formarsi
all’angolo del mio
occhio sinistro. Non volevo piangere, era solo nervoso represso.
«Gwen, non
farlo.» Lola mi strinse la gamba, dandomi uno scossone.
«Lo so che tu pensi sia
l’uomo della tua vita, ma non è così!
Tu non sei come lui!»
Rimasi in
silenzio.
Probabilmente
era davvero come diceva lei e non avrebbe mai potuto funzionare una
relazione
diversa da quella dell’amicizia per noi due. Anzi, non
sarebbe nemmeno mai
potuta cominciare. Eravamo troppo diversi. Lui non voleva legami, io
aspettavo
solo di passare il resto della mia vita con qualcuno. Qualcuno che
speravo
fosse lui.
«Uno come lui non merita una come te.»
Chiarì il concetto la mia amica. «Ti
farebbe del male e lo sai benissimo.»
«Non mi farebbe
del male.» Sussurrai.
Non riuscivo a
pensare a Matt che mi faceva soffrire. Certo, l’aveva fatto
fino a quel
momento, ma non di proposito, non sapeva nemmeno che lui era
l’unica cosa che
desiderassi veramente da tutti quegli anni.
«Stiamo
parlando della stessa persona?» Chiese Lola.
Non risposi.
«Sai cosa
farebbe? Ti darebbe uno di quei suoi baci falsi, che però tu
troveresti di
sicuro romanticissimo, perderesti subito il controllo e ti scoperebbe
esattamente
come fa con tutte le altre per poi lasciarti da parte a finire nella
lunga
lista di quelle che si è portato a letto.» Mi
disse, con rabbia.
Mi tirai su e
la guardai negli occhi. Non dissi nulla, ma quella lacrima che avevo
trattenuto
fino a quel momento decise di scendere rigandomi la guancia.
L’asciugai con il
dorso della mano il più in fretta possibile. Non volevo
piangere, gli occhi mi
bruciavano e pungevano ancora per tutte le lacrime versate la notte
prima, ne
avevo abbastanza.
Mi alzai di
scatto.
«Hai ragione,
va bene?! Hai ragione!» Urlai. «È questo
che vuoi sentirti dire?»
Non ce l’avevo
davvero con lei, ce l’avevo con me stessa perché
ero debole. Lo ero sempre
stata, in tante cose, ma quando si parlava di Matt raggiungevo davvero
il
limite, diventavo quasi patetica. E adesso che era tutto finito con
Jessie, quel
muro che ero riuscita a costruire per cercare di proteggere me stessa e
i miei
sentimenti da quella che sapevo benissimo sarebbe stata una storia
impossibile
stava crollando inesorabilmente. E io con lui.
Lola mi venne
vicino e mi strinse in un abbraccio.
«Io non voglio
sentirmi dire che ho ragione.» Mi disse
nell’orecchio. «Vorrei solo evitare di
vederti come qualche anno fa.»
Quelle parole
mi fecero, in qualche modo, calmare, così appoggia la testa
sulla sua spalla e
mi lasciai coccolare un po’ dalle sue carezze.
«Non voglio
stare come stavo prima.» Sussurrai, mentre mi passava una
mano fra i capelli.
«Lo so. Quindi,
per favore, lotta contro te stessa e non ricaderci.» Disse
Lola, con fermezza.
Volevo veramente provare a combattere quella mia stupida debolezza; non
volevo
tornare a stare male per qualsiasi cosa lui facesse o dicesse, a quando
pensavo
solo a con chi sarebbe tornato a casa quella sera e la gelosia mi
uccideva, a
quando piangevo perché non altro che un’amica e
non sarei stata mai nient’altro
per lui. Non potevo ricaderci.
Inspirai
profondamente e chiusi gli occhi per un attimo, ma lui
era lì, non se andava e non lo avrebbe mai fatto.
Un amore
così, che dura da tanti e forse troppi anni, non si dissolve
solo perché la tua
migliore amica ti dice che devi lasciar perdere perché lui
non ti merita e non
è fatto per te. Sapevo benissimo che non sarebbe stato
così facile dire basta,
soprattutto perché lui era parte della mia vita da quando
eravamo bambini e non
era solamente la persona che desideravo, ma anche il mio più
grande amico.
Lasciar perdere uno significava, purtroppo, mettere da parte anche
l’altro ed
io non ero pronta e credevo che non lo sarei mai stata.
Mi allontanai
da Lola e mi sedetti sul davanzale della finestra. Guardai
l’orizzonte e mi
venne da sorridere, pensai all’alba che avevo visto qualche
ora prima proprio
con Matt. Non avrei rinunciato a lui, ai suoi abbracci caldi, ai suoi
sorrisi e
alle risate che, nonostante molte cose, mi faceva fare.
«Ma se-»
Iniziai interrompendomi quasi subito.
«Se?» Continuò
Lola, mentre metteva una maglietta nella sua valigia.
«Io credo che-»
Mi bloccai di nuovo, mi batteva forte il cuore.
Lola mi guardò come a dire “allora?”,
così mi azzardai a dire quello che stavo
pensando.
«Se ci
provassi?» Dissi e lei sgranò gli occhi.
«A fare cosa?
Non dirmi-»
Non la lasciai finire.
«Con Matt.»
«Stai
scherzando spero!» Alzò la voce Lola.
Scossi la testa
leggermente.
«No. Credo che
in qualsiasi caso finirei per perderlo, perché se dovessi
decidermi a –
diciamo –mettere
una fine ai miei
sentimenti per lui dovrei allontarmi e di conseguenza non potrei
più averlo
nemmeno come amico… Quindi, forse dovrei almeno
provarci.» Mi spiegai, con una
sensazione di ansia alla bocca dello stomaco che cresceva sempre di
più.
Lola si mise un
mano sulla fronte.
«Tu sei pazza.
Soffrirai e basta.» Disse arrabbiata. «Lo sai, lo
sai!»
«Sì, lo so, ma
soffrirei comunque, quindi sono quasi certa di aver deciso di
provarci.»
Probabilmente
stavo per fare la più grande cazzata della mia vita, ma
sapevo che avrei perso
qualcosa, o meglio, qualcuno in ogni caso, perciò mi sarei
buttata, nonostante
tutti i dubbi e le paure che mi avevano frenato fino a quel momento.
Un’espressione
triste sostituì quella arrabbiata sul volto di Lola.
«Promettimi di pensarci ancora un po’.»
Mi disse, venendomi vicino. «Per
favore.»
Mi prese una
mano nella sua e mi guardò negli occhi.
«Prometto.» In
fondo, rifletterci ancora non mi costava nulla, anche se ormai ero
quasi
convinta della mia decisione.
Quella sera
avevo deciso di starmene tranquilla in camera a guardare la tv e a
riflettere
un po’, proprio come mi aveva detto di fare Lola. In
più, non avevo per niente voglia
di vedere Jessie, a cui avevo dovuto rispondere dopo la millesima
chiamata per
dirgli che no, non sarei andata in auto con lui e che no, non volevo
parlare né
in quel momento né mai, finendo poi per chiudergli il
telefono in faccia per
farlo stare zitto. Lola però non era della mia stessa idea,
stava infatti
cercando qualcosa da fare, dato che l’uscita insieme a Jessie
e tutto il resto
della compagnia non era contemplata nei suoi piani.
All’improvviso
qualcuno bussò alla porta. Lola sbucò dal bagno
con in bocca lo spazzolino.
«Chi caffo è?»
Articolò, in qualche strano modo, mentre si strofinava i
denti.
«E io che ne so?»
Dissi, mentre mi avviavo alla porta sperando con tutta me stessa di non
trovarmi davanti Jessie con un mazzo di fiori o cose simili. Peraltro,
benedicevo
sempre di più il giorno in cui avevo deciso che in vacanza
sarei stata in
camera con Lola per non lasciarla da sola e non con lui. Ci eravamo
evitati in
bel po’ di rogne.
Aprii la porta
in pigiama.
«Ciao,
bambina.» Mi disse Matt, sfoderando un sorriso meraviglioso.
Il mio cuore
iniziò a battere all’impazzata. Non mi aspettavo
che sarebbe venuto lì. Non
l’avevo sentito né visto per tutto il giorno,
immaginavo che sarebbe uscito con
Dom e gli altri o con Amy, ma di certo non che sarebbe venuto da me.
Non ero
psicologicamente pronta. Poi, quel “bambina” mi
aveva già bruciato qualche
neurone ancora prima che iniziassi a parlare con lui.
«Matt.» Riuscii
finalmente a dire.
Notai che
dietro di lui c’era Dominic.
«Ciao, Gwen.»
Fece lui, accompagnando il saluto con un gesto della mano.
«Ciao.» Risposi
e mi sentii spingere prepotentemente da dietro.
Era arrivata
Lola, che doveva aver sicuramente sentito la voce di Dom e si era
precipitata
lì. Salutò anche lei, mentre io riuscivo solo a
pensare a quanto fosse bello
Matt con addosso un’insignificante maglietta nera.
«Venite a fare
un giro con noi?» Propose Dom, lanciando
un’occhiata piuttosto eloquente verso
la mia amica.
«Certo!»
Rispose lei, felice come una Pasqua.
«Veramente non
era nei miei programmi…» Feci notare.
Mi guardarono
tutti e tre come se avessi detto la peggiore delle eresie.
«Non vorrai
passare in camera da sola l’ultima sera, vero?»
Chiese Matt, con un filo di
tristezza.
«È che-»
«Dai, vestiti e
vieni a fare un giro… Se preferisci stiamo qui,
però almeno andiamo in
spiaggia!» Continuò lui, bloccandomi in partenza.
Mi guardava con
quegli occhi che sapevano mandavarmi in tilt come quelli di nessun
altro e
pensai a quello che avevo deciso di fare. Avevo paura, non potevo
negarlo.
Certo, non mi sarei buttata a capofitto tra le sue braccia dicendogli
che ero
innamorata di lui, avrei fatto le cose con calma, ma anche solo pensare
che
avrei provato a cambiare il mio approccio verso di lui mi spaventava a
morte.
Ero davvero sicura? Decisi quindi che quella doveva essere veramente la
sera in
cui ci avrei riflettuto – con o senza di lui presente
–, così mi feci coraggio
e accettai.
«Okay.» Dissi.
«Andiamo qui sotto a berci qualcosa e facciamo un giro sulla
spiaggia?»
«Va bene,
capo.» Ed eccoli tutti e tre sull’attenti.
Risi. «Mi vesto
e sono pronta, idioti.»
Tre drink,
tante risate e circa duecento metri dopo eravamo seduti sulla spiaggia,
raccolti in uno di quei pochi momenti di silenzio che avevano
accompagnato
quella serata. Ero contenta di essere uscita, mi sentivo esattamente
come se
fossi con la mia famiglia ed era una sensazione splendida. Loro erano
davvero
i miei amici.
Dom quella sera aveva dato il meglio di sé, raccontandoci
diversi episodi della
sua infanzia da bambino grassoccio e un po’ sfigatello, che
ci avevano fatto venire
le lacrime agli occhi dalle risate. Anche lui ne rideva, anche se
forse, all’epoca,
non erano stati poi così divertenti. Lola, nel frattempo -
avrei potuto vederlo anche
da un miglio di distanza -, era sempre più presa da lui. I
sorrisi e gli
sguardi che gli riservava erano piuttosto eloquenti ed aspettavamo
tutti il
momento in cui si sarebbero decisi a darsi almeno uno stupido bacio.
Fu proprio Lola
ad interrompere il silenzio che si era creato bisbigliando qualcosa
nell’orecchio
a Dominic. Il biondo, per tutta risposta, si alzò di scatto
e la sollevò da
terra per poi iniziare a camminare verso l’acqua, scatenando
così le urla di
protesta di lei.
«Pazzo!»
Gridava. «Non dicevo di buttarmici dentro, ma di entrarci
insieme e piano
piano!»
Dom rideva e,
nonostante i pugni di Lola sulla schiena, non demordeva.
«Adesso ci facciamo un bel bagno di mezzanotte!»
Esclamò.
«Ma se sono
quasi le due!» Gli fece notare Matt, ridendo, dopo aver
guardato l’ora sul
telefono.
«Allora un bel bagno di quasi le due!» Si corresse
quindi Dom.
Matt scosse la
testa sorridendo. «Che cretino…»
Un attimo dopo si
poté udire uno strillo acutissimo di Lola venire smorzato a
metà dal rumore del
suo corpo che cadeva in acqua. Guardai verso il mare per assicurarmi
che non
fosse successo nulla di preoccupante, ma subito riemerse la mia amica
che, senza
un minimo
di esitazione, si lanciò addosso a Dom. Lui la
afferrò per la vita e, quando
pensavo che lei avrebbe tentato di mandarlo sott’acqua, gli
stampò invece un
bacio sulle labbra.
«Facciamo
partire l’applauso?» Bisbigliò Matt,
trattenendo una risata.
Avrei voluto
farlo, solo perché se lo meritavano per tutto il tempo ci
avevano
messo a lasciarsi
andare, ma decisi di non rovinar loro quel bel momento.
«Sarebbe
divertente, ma forse è meglio di no.» Dissi.
«Sai, non vorrei avere a che fare
con una Lola incazzata più tardi…»
«Certo, certo,
capisco.» Ridacchiò, voltandosi poi
dall’altra parte, mentre fumava una delle
tante sigarette.
Il mio sguardo cadde, ovviamente, in modo inesorabile su di lui.
Lo guardai
attentamente, analizzando ogni particolare, passando dai suoi capelli
corvini,
alle sue ciglia lunghe che facevano da cornice ai miei due occhi
azzurri
preferiti, a quel naso un po’ a punta, alle barba appena
rasata, alle labbra
rosa leggermente aperte per far uscire il fumo, a quel piccolo neo sul
collo…
Era come fare un ripasso di qualcosa che, in realtà,
conoscevo
già a memoria. Era
perfetto e, per quanto avessi potuto cercare, sapevo benissimo che non
avrei
mai trovato qualcuno che mi potesse piacere più di lui, che
avesse qualcosa più
di lui, in ogni senso.
Sentii il battito del cuore aumentare sempre di più mentre
lo fissavo incantata e,
quando si voltò di nuovo
verso di me sorridendomi, ne ebbi la conferma. Sì, ci avrei
provato. A
qualsiasi costo.
Ciao :)
Come promesso, ecco qui il capitolo dal POV di Gwen! Penso che anche il
prossimo lo sarà, ma non assicuro niente perché
ci sto ancora pensando. Spero che vi sia piaciuto.
Al solito, ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono <3
Al prossimo aggiornamento, baci.
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Capitolo 7 *** Capitolo Sette ***
d
Matt
Quell’ultima
notte di vacanza ci obbligammo a rientrare in hotel verso le tre
– fin troppo
presto rispetto ai nostri standard –, ma solo
perché la mattina, purtroppo,
avremmo dovuto alzarci ad un orario preciso per affrontare il viaggio
di
ritorno ed era meglio non essere troppo stanchi: io e Dom, infatti, ci
saremmo
alternati alla guida.
Alle tre e un
quarto spaccate mi lasciai cadere sul letto a peso morto, mentre
Dominic ancora
trafficava in bagno con la luce accesa.
«Pensi di
venire a dormire entro l’alba?» Domandai, divertito
e anche un po’ assonnato.
«Mh-hm.» Mi
rispose, con lo spazzolino in bocca.
«Bravo, tieni i
denti puliti per la tua donna.» Ridacchiai e un insulto non
meglio identificato
mi raggiunse in un attimo.
Fino a pochi
minuti prima sembrava quasi di stare in un film d’amore per
ragazzine
quindicenni: bacini di qua e bacini di là, risatine
imbarazzate, lui e Lola che
giocavano a rincorrersi come due bambini. Avevo quasi dovuto
trascinarlo in
camera per farli allontanare e lui aveva avuto il coraggio di
lamentarsi come
se, una volta separati, non si fossero più potuti
vedere… Gwen, intanto, aveva
dovuto fare praticamente la stessa cosa con la sua amica. Il tutto era
finito
con me e Gwen che ci salutavamo da una parte all’altra del
corridoio, cercando
di tenere le teste dei due piccioncini innamorati dentro alle camere.
Una scena
esilarante.
Dominic si
decise finalmente ad uscire dal bagno e si mise a letto, a rischiare la
stanza
c’era solo la luce fioca della luna che entrava dalla
finestra.
«Non so se riuscirò
a dormire.» Disse piuttosto cupo, ma io scoppiai
immediatamente a ridere.
«Ma finiscila!»
Esclamai, mentre mi tenevo una mano sulla pancia.
«Non ridere,
sono serio.» Fece, lamentoso.
«Se è perché
hai voglia di scopare ti capisco, altrimenti no, mi spiace.»
Commentai, allora.
«Oh,
vaffanculo, Bells!» Rise anche lui. «Ti
stupirò, ma non è per quello.»
Rimase in
silenzio un attimo.
«Ho solo voglia
di stare con lei.» Aggiunse e poi lo sentii voltarsi
dall’altra parte.
«Oh, quanto sei
dolce. ‘Notte, cucciolino.» Sussurrai io,
prendendolo in giro, ma come risposta
ebbi solo uno sbuffo.
Così chiusi gli
occhi. Avevo bisogno di dormire e riposare, il viaggio del giorno dopo
sarebbe
stato lungo e in più mi sarebbe toccato sopportare gli
sbaciucchiamenti da
diabete della nuova coppietta… Una faticaccia, insomma. Ma
appena la mia vista
si fece buia, ecco che apparve lei.
Sembrava una presa per il culo bella e buona. Avevo appena finito di
sfottere
Dom perché faceva la femminuccia innamorata e poi ero io il
primo ad essere
ridotto così. Mi era perfettamente chiaro che volevo
qualcosa di più da lei e
che questa specie di infatuazione non mi sarebbe passata tanto in
fretta,
l’unica cosa che non riuscivo a capire era se davvero ero
arrivato al punto di
desiderare una relazione o se avevo solo bisogno di soddisfare un
– diciamo –
desiderio proibito. Anche solo a pensarla, quest’ultima cosa,
mi sentivo uno
stronzo patentato, ma non riuscivo ad uscirne, a trovare una soluzione
a quel
problema. Mi torturavo pensando a come avrebbe potuto reagire lei a un
mio
possibile approccio, se ci sarebbe stata o mi avrebbe mandato al
diavolo. Mi
sembrava di essere tornato ad essere uno sprovveduto. Cosa avrei dovuto
fare?
Era troppo preziosa per perderla così, per uno stupido
capriccio, poi, ma io
non ne uscivo ed era uno strazio. Non mi era mai capitato di
interessarmi in
questo modo ad una persona, ma soprattutto di dover aspettare per
averla. E poi
io stavo bene da solo, lo ero sempre stato, perché tutto
d’un tratto mi
sembrava di volere qualcosa di più? E per di più
da Gwen? Chi mi avrebbe
assicurato che lei ci sarebbe stata se io avessi deciso di provarci? Ma
soprattutto, se poi io avrei voluto davvero impegnarmi con lei? Avrei
di
certo combinato
un disastro. Che fottuto macello.
Quella sera era
stato Dom a convincermi – o meglio ad obbligarmi –
a chiedere a lei e Lola di
uscire; in realtà, io avrei preferito andare a farmi un giro
insieme agli
altri, non perché avessi qualcosa contro loro due, solo
perché avevo bisogno di
svagarmi e di pensare a qualcos’altro che non fosse Gwen.
Invece era andata
diversamente dai miei piani e mi ero ritrovato alle due di notte a
scorrazzare
per la spiaggia con lei sulla schiena. E il giorno dopo avrei dovuto
passarci
anche tutto il viaggio insieme. Ero a cavallo.
Mi voltai a pancia in giù e misi la testa sotto al cuscino
per cercare di
scacciare il suo viso e il suo corpo dai miei pensieri, ma niente,
rimanevano
lì. D’un tratto, però, mi
vibrò il telefono sul comodino e finalmente riuscii a
distrarmi.
«Ma chi cazzo-» Sussurrai e mi sporsi per
controllare chi fosse.
Amy.
Sono
a letto e ti sto pensando.
Scossi
la testa con un
mezzo sorriso. Non demordeva, non c’era niente da fare. Il
pomeriggio di quel
giorno, dopo che Gwen mi aveva mandato un messaggio chiedendomi se lei
e Lola
sarebbero potute venire in macchina con me e Dom, ovviamente, avevo
dovuto subito
avvisare Amy, Alex e Megan dello scambio. Amy, come previsto, non
l’aveva presa
molto bene e si era presentata in camera mia piuttosto irritata.
Nonostante
l’avessi avvisata che non avrei cambiato idea in qualsiasi
caso, aveva cercato
in ogni modo di convincermi a farlo. Non sapevo se ero solo io a farle
quell’effetto, ma si era comportata da vera ninfomane ed io
non ero capace di
dire no a certe cose.
Ed ora, eccola lì di nuovo. Decisi però di non
risponderle. Sapeva benissimo
come funzionavano le cose con me, ma faceva finta di non capire. Forse,
essendo
stato con lei più volte - nonostante si fosse da subito
dimostrata un po’
appiccicosa, errore mio -, si era potuta creare qualche aspettativa, ma
le
avrei fatto capire che non c’era alcuna
possibilità che lei potesse diventare
qualcosa di più che una semplice scopamica.
Anche quel pomeriggio, comunque, con Amy inginocchiata tra le mie gambe
era
riuscita a venirmi in mente Gwen. Avevo pensato a come sarebbe stato se
lì ci
fosse stata lei e mi ero sentito sporco come mai in vita mia. Mi era
sembrata
la cosa più sbagliata del mondo ed era anche per quei
pensieri poco pudichi che
non capivo quale era il vero motivo per cui desideravo averla per me.
C’erano
stati i brividi, il batticuore improvviso, la voglia di baciarla, ma
anche
quegli stupidi pensieri… Forse era meglio lasciar perdere
tutto e combattere
quelle strane voglie finché non mi sarebbero passate.
Dopo aver rimesso il telefono sul comodino, mi decisi a trovare un modo
per
riuscire ad addormentarmi, anche a costo di finire a contare le pecore.
Ed in
effetti, fu proprio così.
Chiusi il baule
e dopo aver salutato il resto della compagnia, che era già
nell’altra macchina,
mi misi al volante della mia Ford. Una volta salito, diedi
un’occhiata alla mia
destra e notai lo sguardo assassino che si stavano scambiando Gwen e
Jessie da
un’auto all’altra. Non si erano detti una parola,
nemmeno ciao, ma la cosa che
mi faceva veramente sbellicare era che sembrava lui quello
più offeso dei due,
come se fosse stato lui ad essere cornificato. Non smisero di guardarsi
male
finché Jessie non ingranò la retro e si immise in
strada, scomparendo così
dalla visuale di Gwen.
Lei si accorse che la stavo osservando e scoppiò a ridere.
«Cos’era quello
sguardo?» Chiesi, divertito quanto lei.
«Oh, niente. Ha
iniziato lui, veramente.» Rispose, giocherellando con le
punte dei capelli.
«Giusto, non
dargliela vinta.» Ridacchiai e le diedi una leggera gomitata.
«Mai.»
Feci per
posizionare lo specchietto retrovisore e subito beccai Dom e Lola a
limonare.
«Ehi ehi ehi,
andateci piano!» Dissi. «Qui
c’è gente sensibile!»
Per tutta
risposta ottenni il medio di Lola. Gwen rise e io feci spallucce.
«Vorrà dire che alla prima curva il mio piede
finirà casualmente
sull’acceleratore…»
Non mi cagarono
di striscio e continuarono imperterriti a fare quello che stavano
facendo,
intanto Gwen attaccò il suo iPod e disse che avrebbe fatto
lei il deejay,
niente radio, avrebbe esaudito qualche richiesta musicale ogni tanto,
ma
assolutamente niente radio.
Iniziò così il lungo viaggio di quattro ore e
mezza verso casa.
Il primo a cedere alle braccia di Morfeo a poco più di
un’ora dalla partenza fu
Dominic - probabilmente anche lui si era addormentato più
tardi del previsto a
causa del cervello che non voleva spegnersi, perciò sentiva
addosso ancora un
po’ di stanchezza - e, dopo essersi accoccolata contro di
lui, ci abbandonò
anche Lola. Per le successive due ore guidai sempre io, solo dopo
esserci
fermati per una piccola pausa in una tavola calda lasciai il mio posto
a Dom.
Finché lui e
Lola erano rimasti svegli non c’era stato praticamente
neanche un attimo di
silenzio: avevamo riso, cantato a squarciagola, Gwen ci aveva
raccontato di
quella volta che a cinque anni le avevo regalato una lucertola morta
cercando
di convincerla che era ovviamente meglio della bambola che le avevano
preso i
suoi genitori e, infine, avevamo scommesso che Jessie si sarebbe presto
presentato a casa sua in lacrime e con un mazzo di fiori per chiederle
scusa,
ma appena i nostri due amici chiusero gli occhi ne calò uno
pesantissimo. Io –
per i miei ovvi motivi – non sapevo davvero cosa dire ma, a
quanto pareva,
nemmeno Gwen, così lasciammo che fosse la musica a cercare
di mitigare un po’
l’imbarazzo che aleggiava. Lei guardava fuori dal finestrino
appena abbassato,
i capelli le svolazzavano leggermente e aveva i piedi scalzi appoggiati
al
cruscotto, ogni tanto la sentivo sussurrare le parole di qualche
canzone; io
cercavo di concentrarmi sulla strada, ma per almeno un paio di volte
non
riuscii ad impedirmi di posare gli occhi su di lei, senza
però farmi notare.
Era davvero bella. Possibile che non me n’ero mai accorto?
D’un tratto la vidi con la coda dell’occhio
voltarsi verso di me e aprire la
bocca come per dire qualcosa, ma poi non disse nulla, così
mi feci avanti io:
erano ventitré minuti che non dicevamo una parola, mi
sembravano
sufficienti.
«Sì?» Dissi e
accennai un sorriso incoraggiante.
Lei si agitò
sul sedile. «Ma no- nien- niente.»
Tartagliò e poi si mise a mangiucchiarsi
un’unghia.
«Dai, spara!»
La incitai.
Non poteva già chiudere la conversazione, così le
diedi anche un buffetto sulla
gamba con il dorso della mano per farla continuare.
«Mh.» Disse poco convinta, ma poi si decise ad
andare avanti. «Lo so che non
sono affari miei, però prima ho visto che Amy è
venuta a parlar- a dirti
qualcosa nell’orecchio…» Si interruppe e
riprese a mangiarsi le unghie.
«E quindi?»
Chiesi, alzando un po’ le spalle.
Non capivo
perché fosse interessata ad Amy, quando sapeva benissimo che
tipo fosse.
«Mi chiedevo se
ci fosse del tenero, dato che ti ha anche messo le braccia intorno al
collo…»
Tossicchiò un po’ dopo aver terminato la frase.
Io mi voltai e
la guardai con gli occhi sbarrati, lei fece spallucce come dire
“non ho ragione?”.
La risposta ovviamente era “no”.
«Del tenero?!
Veramente gliele ho anche tolte, le braccia dal mio collo.»
Le feci notare.
«Magari non
volevi che gli altri se ne accorgessero.» Disse, in un tono
piuttosto irritato,
che io non capii.
«No,
semplicemente non voglio che mi stia appiccicata.»
«Eppure non
sembra.» Continuò, imperterrita.
Non capivo il
perché di tutto quell’accanimento. Lo sapeva
benissimo che non volevo avere
relazioni e che di Amy me ne fregava meno di zero. Rimasi un attimo in
silenzio
per cercare di capire dove voleva arrivare.
«Dom ieri sera
si è lasciato scappare con Lola che ieri pomeriggio eri con
lei.» Disse, come
infastidita. «Ammettilo che c’è del
tenero.»
«Se avermi
fatto un pompino preclude avere una relazione, allora sì,
c’è del tenero.» Dissi,
con gli occhi puntati sulla strada, mantenendo un tono tranquillo, ma
piuttosto
sarcastico. Un pompino, poi, durante il quale avevo pensato a
lei… Sì, ero
proprio innamorato di Amy. Innamorato perso.
Gwen non disse più nulla. Se avessi saputo sin
dall’inizio che voleva farmi
l’interrogatorio su Amy, non l’avrei di certo
convinta a continuare la
conversazione.
All’improvviso
fummo distratti dalla vibrazione del mio telefono, che era appoggiato
nel
portaoggetti vicino al cambio. Lo sguardo di entrambi cadde
immediatamente
sullo schermo illuminato. Non ci credevo. Sembrava uno scherzo. Un
messaggio di
Amy. Non feci in tempo ad allungare la mano per afferrare il telefono
che ci
aveva già pensato Gwen.
«Beccato!» Gracchiò, soddisfatta.
«Mollalo!»
Sbottai, cercando comunque di mantenere un tono basso per non svegliare
gli
altri due. «Gwen, mi incazzo.»
Lei non mi degnò di un minimo di attenzione e si mise a
leggere il messaggio ad
alta voce, imitando la voce di Amy.
«Se vi fermate con noi al prossimo
autogrill,
io e te possiamo fare una puntatina in bagno.» Cantilenò, terminando il
tutto con un finto conato di vomito.
Io la guardai
per un attimo. «Contenta?» Chiesi.
Di certo non aveva avuto soddisfazione leggendo qualcosa di sdolcinato,
ma
tutt’altro. Ora poteva averne la conferma anche lei:
l’unica cosa che legava me
e Amanda era il sesso, punto.
«Quella ragazza
brama la tua attenzione e tu non lo capisci.» Disse seria,
rimettendo il
telefono al suo posto.
«Lo so
benissimo, ma non mi interessa.»
«Fa di tutto
per piacerti.»
«Ripeto. Lo
so.»
«Pensi che
riuscirai mai a volere qualcosa di più del sesso da una
persona?» Mi chiese
poi, a bruciapelo, quando mi aspettavo di tutto tranne che una domanda
così.
Esitai,
semplicemente perché non sapevo cosa rispondere: era proprio
quello che stavo
cercando di capire in quei giorni. Se avessi davvero voluto essere
sincero,
avrei dovuto dirle che era proprio lei che mi stava facendo riflettere
su
quella questione, avendo risvegliato in me emozioni che non credevo
nemmeno di
riuscire a provare, ma – ovviamente – non era mia
intenzione farle sapere
quello che mi passava veramente per la testa.
«Può essere.»
Dissi, allora, restando sul vago.
«Questa
risposta è già un gran passo avanti.»
Ridacchiò.
Quella piccola risata mi fece tranquillizzare un po’. Forse
l’interrogatorio
stava prendendo una piega più scherzosa o, perlomeno, lo
speravo vivamente.
«Prima o poi
maturerò.» Aggiunsi, accennando un sorriso.
«Non perdiamo
le speranze, Bellamy, non perdiamo le speranze.» Disse,
dandomi due pacchette
sulla gamba destra.
«Senti, fammi
un favore.» Le dissi, poi. «Rispondi ad Amy che non
ci fermiamo.»
Con la coda
dell’occhio vidi sue labbra distendersi in un piccolo
sorriso, mentre scriveva
il messaggio. Era contenta di non doversi fermare e vedere Jessie o che
io non
volessi incontrarmi – in bagno – con Amy? Possibile
che quell’irritazione che
avevo notato prima nella sua voce fosse in realtà un
po’ di gelosia? Decisi di
fare finta di nulla. Ora che si era rotto il ghiaccio non volevo
rovinare tutto
con qualche battuta stupida o essere io a fare
l’interrogatorio.
Così finimmo
per parlare del più e del meno, di quando lei sarebbe
tornata in università, di
quando si sarebbe laureata - ebbe anche il coraggio di chiedermi se
sarei
andato a vederla, quando sapeva benissimo che la risposta era ovvia -,
infine ci
ritrovammo a ricordare episodi della nostra infanzia e adolescenza e
ridemmo un
sacco. Mi venne anche in mente quella volta che, a diciotto anni, sua
sorella
Nina, più grande di noi di cinque, aveva cercato di portarmi
a letto dopo la
festa di compleanno di Gwen, ma io, nonostante non fossi poi
così sobrio, avevo
rifiutato. Dopotutto era la sorella di Gwen ed eravamo lì
per festeggiare il
suo diciottesimo. Dopo averlo ricordato anche a Gwen, tra una mia
risata e
l’altra, e non aver ricevuto nessuna risposta mi voltai a
guardarla per
controllare che fosse tutto okay. Decisamente non sembrava esserlo. La
sua
espressione emanava rabbia e confusione.
«Beh?»
Domandai.
«Beh?!» Disse
lei, sgranando gli occhi. «Volevi scoparti mia
sorella?!» Stridette, irritata.
Scoppiai a ridere.
«Veramente era lei che voleva scopare me.»
Puntualizzai, ridendo.
«E non ridere,
brutto scemo!» Urlò, dandomi una sberla sul
braccio e trattenendo una risata.
«Guarda che
svegli Dom e Lola!» Dissi.
«Non mi
interessa, stavi per scoparti Nina!»
«Ah, me la
ricordo questa storia…» Intervenne Dom,
sbadigliando.
«Ecco, hai
visto? Li hai svegliati.»
«Cosa ne sai
tu?» Chiese Gwen, voltandosi verso il biondo, che
sobbalzò preso alla
sprovvista.
Io gli lanciai
un’occhiata divertita dallo specchietto retrovisore.
«Ehm, niente…
Solo che Nina non vedeva l’ora di farsi un
diciottenne.» Ridacchiò e io con
lui.
«Cretini, siete
due cretini.» Commentava Gwen. «Io non ci credo.
Come facevo a non saperlo?
Quindi non è successo nulla? Me lo
giuri?» Sparava una domanda dietro
l’altra, preoccupata.
«Ci siamo solo
baciati, niente di più.» Affermai.
«Tranquilla.»
«E non me
l’avete mai detto, stronzi! Tu e lei, tutti e due.»
«Perché
sapevamo che avresti reagito così.»
Lei sbuffò. Io
risi. Lei mi diede una gomitata.
«Gelosona.»
Sussurrai divertito e un’altra gomitata mi colpì.
Un’ora
dopo,
avevamo appena finito di pranzare alla tavola calda: Dom e Lola erano
andati in
una gelateria poco più avanti a fare i piccioncini, io e
Gwen li stavamo
aspettando nel parcheggio vicino all’auto. Tirai fuori dai
jeans il pacchetto
di sigarette e ne estrassi una.
«Posso?» Disse Gwen,
con un sorriso.
«Certo.» Risposi
e le passai quella che avevo appena preso.
Non fumava spesso, non era un vizio come il mio, lo faceva ogni tanto
per la
compagnia.
«Me l’accendi
tu?» Chiese, mentre si appoggiava al cofano della macchina.
Annuii, presi lo
zippo che avevo in tasca e mi avvicinai per accenderle la sigaretta che
teneva
tra le labbra. La sentii mormorare un “grazie” e,
prima di accendere la mia, la
guardai fare il primo tiro, chiudere un attimo gli occhi e buttare
fuori il
fumo. Era davvero molto tempo che non la vedevo farlo ed in quel
momento la
trovai di un eleganza spaventosa, di un erotismo che sfiorava i limiti
del
possibile, ma forse… forse ero solo io che ormai ero fin
troppo confuso da
quello che provavo. Fortunatamente mi accorsi di essermi incantato
sulla sua
bocca prima che lo facesse lei e distolsi lo sguardo. La situazione
stava
peggiorando sempre di più.
«Stasera fai
qualcosa?» Mi domandò, soffiandomi il
fumo in faccia.
«Veramente non
lo so ancora.» Fui sincero.
Forse avrei dovuto passare da mia madre e cenare con lei,
obiettivamente la
vedevo pochissimo, ma era una mia scelta. Da quando avevo iniziato a
lavorare,
ormai da circa un anno, vivevo da solo in un appartamento non lontano
dalla mia
vecchia casa, nonostante ciò non avevo mai voglia di
tornarci per vedere mia
madre e quel coglione di Bill, il suo nuovo compagno. Mio padre era
morto un
paio di anni prima per un cancro allo stomaco e mia madre si era presto
consolata
trovando un rimpiazzo che di certo non era degno né di lui
né di lei. Bill era un
uomo
insulso, stupido, scansafatiche e io non lo sopportavo; più
cercavo di capire
come mia madre avesse potuto innamorarsi di un essere del genere, dopo
essere
stata per venticinque anni con un uomo splendido come mio padre, e
più mi
passava la voglia di andare a trovarla. La chiamavo, certo, ma entrare
in
quella casa era un incubo, perciò evitavo di farlo.
«Forse chiamerò
mia madre per dirle che ceno da lei, ma ancora non ne sono
sicuro.» Aggiunsi,
guardando per terra.
«Vacci, Matt.»
Disse Gwen, in un tono dolce. «Tua mamma ha bisogno di
vederti più spesso di
quanto tu creda.»
«Vedrò.» Risposi,
dando un’alzata di spalle.
Rimanemmo in
silenzio per un po’, io la guardai ancora mentre lei fissava
il cielo. D’un
tratto si avvicinò un po’ a me e mi diede una
leggera spinta con la spalla.
«E se, dopo
aver cenato con Valerie, venissi a vedere un film da me?»
Disse e mi sorrise,
guardandomi dritto negli occhi.
Panico.
Io, che mi
vantavo di avere sempre la situazione in mano e di saper affrontare
tutto
quello che mi si presentava davanti con calma e sangue freddo, in quel
momento,
ero davvero in panico. E per di più, per una domanda cretina
e, probabilmente, anche
innocente.
Non sapevo cosa
risponderle. Saremmo stati io e lei da soli? Magari in camera sua? Al
buio? No,
non era sicuramente il modo giusto per cercare di togliermi dalla testa
le
strane voglie di quei giorni. Avrei dovuto rifiutare, anche se con
dispiacere.
«Non saprei…
Forse dovrei riposarmi un po’, sai, il
viaggio…» Iniziai a dire, mantenendomi
sul vago. «Poi domani sera sono di turno al pub.»
Aggiunsi.
«Oh.» Fece lei,
delusa.
Il senso di colpa si fece subito sentire a livello della bocca dello
stomaco,
così le lanciai un’occhiata dispiaciuta alla quale
rispose con un piccolo
sorriso. Aveva un musino che mi faceva davvero impazzire.
«Però magari
vengo, okay?» Dissi poi, senza pensarci e mi venne subito
voglia di mordermi la
lingua.
Lei buttò a
terra la sigaretta e mi strinse in un abbraccio.
«Ci conto.» Mi
sussurrò vicino all’orecchio.
Merda, pensai io, guai in vista.
L’ultima
ora e
mezza di viaggio la passai seduto sul sedile posteriore in una specie
di
dormiveglia – in cui riuscii comunque a torturarmi pensando a
cosa avrei dovuto
fare più tardi –, con la testa di Gwen sulle
ginocchia e un braccio attorno
alla sua vita. Ero spacciato.
Ma saaaalve!
Capitolo leggermente più lungo del solito, ma spero che sia
stato comunque apprezzato :)
Volevo, come sempre, ringraziare tutti quelli che seguono, che hanno
preferito e anche ricordato; un grazie ancora più grande a
coloro che recensiscono facendomi superfelice!
Aspetto qualche nuovo commento.
A presto, baci.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo Otto ***
Gwen
Avevo appena
finito di dire per la quindicesima volta a mia madre che stavo bene e
che non
mi interessava nemmeno più se Jessie mi aveva tradito con
un’altra, quando il
suono del campanello mi interruppe, facendomi saltare immediatamente il
cuore
in gola.
«Chi può
essere?» Chiese lei, guardandomi con aria interrogativa.
In realtà Matt
non mi aveva più fatto sapere nulla, quindi non era detto
che fosse lui. Ci
eravamo salutati dopo aver portato a casa Lola e non ci eravamo
più sentiti, mi
aveva lasciata così, in uno stato di euforia mista ad ansia
che non riuscivo
più a sopportare. Da una parte desideravo con tutta me
stessa che avesse deciso
di venire, avevo voglia di tastare un po’ il terreno, vedere
cosa sarebbe
potuto succedere; dall’altra, una paura tremenda di star
facendo l’errore più
grande della mia vita – e forse era anche per quello che
avevo deciso di non
scrivergli per sapere cosa aveva deciso di fare. In quel momento, mi
sentivo
come una ragazzina al primo appuntamento con la sua prima vera cotta, a
cui è
morta dietro per troppo tempo e che crede essere l’uomo della
sua vita… ed in
effetti era proprio così.
«Non so.»
Risposi a mia madre, mentendo. «Apri tu?» La
guardai con espressione
implorante.
Così, mentre lei si avviava alla porta per vedere chi fosse,
feci in tempo a
correre un attimo in bagno al piano di sopra per controllare che la mia
faccia
avesse un aspetto più o meno decente, mi diedi
così una sistemata ai capelli e,
proprio mentre stavo per tornare giù, sentii la sua voce.
Era venuto da
me, nonostante quella strana indecisione di prima. Era lì,
proprio come ai
vecchi tempi, ed io, esattamente come tre anni prima quando veniva da
me, avevo
il cuore che pompava ansia ed emozione a circa mille battiti al minuto.
«Tu sei sempre
stata di parte, Diane. Non vale.» Lo sentii ridacchiare,
mentre mia madre lo
conduceva dentro casa.
Probabilmente
mia madre gli aveva appena fatto un complimento. Era un bel
po’ di tempo che
non lo vedeva. Da quando mi ero messa con Jessie, Matt non era
più venuto così
spesso a casa nostra, solo qualche volta, per qualche cena in compagnia
con
amici, ai miei compleanni, a salutare a Natale e quella fatidica notte
in cui
avevo deciso di rimanere fedele al mio fidanzato e dire no a tutto
ciò che
avevo desiderato per anni. C’era stato Jessie in casa mia,
per tutto quel
tempo, era stato lui a passare le serate con me, a mangiare e dormire
qui, ad
aiutare con qualche lavoretto e a cui sia mia madre che mia sorella si
erano
affezionate. Matt c’era stato prima, anche se, ovviamente, in
un modo diverso.
Eravamo cresciuti praticamente insieme e mia mamma per molto tempo
l’aveva considerato
come un terzo figlio, poi, però, le nostre strade si erano
– diciamo -
separate: lui aveva iniziato ad andare male a scuola (non
perché fosse stupido,
semplicemente perché non aveva voglia di studiare) e, a
causa della malattia di
suo padre, spesso si assentava, e forse fu proprio per quella ragione
che venne
graziato e fatto diplomare. Era capitato anche che uscisse con gente
poco
raccomandabile a fare cose poco legali, mentre, intanto, la lista di
quelle che
si portava a letto aumentava sempre di più. Solo negli
ultimi anni, sembrava
aver regolarizzato un po’ il suo modo di vivere, si era
trovato un lavoro e
aveva ripreso ad uscire con i suoi vecchi amici, anche se io
– tra un pianto, una
delusione e una crisi di gelosia – e Dom c’eravamo
sempre stati, in una maniera
o nell’altra. Io, invece, avevo cercato di concentrarmi sullo
studio e la vita
da cosiddetta “brava ragazza”, mentre lui aveva
lasciato che, ogni giorno di
più, aumentasse la sua fama di ragazzaccio: amato dalle
figlie, disprezzato
dalle madri. Anche la mia, nonostante l’avesse sempre trovato
un ragazzo
intelligente, con la testa sulle spalle e anche bellissimo, in quel
periodo e pure
ultimamente, non era per niente felice che facesse ancora parte della
mia
cerchia di amici. Se solo avesse saputo che io volevo da lui qualcosa
di più di
una semplice amicizia, non so cosa avrebbe fatto… Ma era
sempre stato così e
non avrei cambiato idea facilmente, perché Jessie era stato
solo una parentesi
in quella storia impossibile che era e sarebbe stata quella tra me e
Matt.
Iniziai a scendere le scale, anche se con calma, ero curiosa di sentire
come
avrebbero portato avanti la conversazione.
«Allora,
Matthew? Come stai? E Valerie? Ogni tanto la vedo in paese e ci
fermiamo a
chiacchierare.» Disse mia mamma, mentre lo faceva accomodare
sul divano.
«Io me la cavo,
mia madre anche. Sono passato prima e l’ho trovata
bene.» Rispose lui,
sedendosi in un angolo del sofà.
Io li guardavo dalle scale senza farmi notare e non riuscivo a capire
chi dei
due fosse più imbarazzato. Era strano vederli
così e pensare al rapporto che
c’era una volta.
«Ne sono felice.» Commentò poi lei e lui
le sorrise educatamente.
«Qui come ve la passate?»
«Piuttosto
bene, direi. Come saprai sicuramente, Gwen si laurea fra poco, mentre
Nina da
quando lavora in città la vedo un po’ meno, ma
sono comunque contenta per lei.»
Rispose mia madre piena d’orgoglio.
«Gwen!» Chiamò subito dopo.
Presi un
respiro e scesi gli ultimi gradini.
«Sono qui.»
Dissi, palesandomi in salotto.
Matt si alzò
subito dal divano e si voltò verso di me. Una volta
incrociato il mio sguardo,
uno di quei suoi sorrisi perfetti e magnetici si disegnò sul
suo viso ed io
persi un battito. Pensai a quanto avrei voluto baciarlo, quel sorriso.
Mi
sarebbe piaciuto farlo subito, senza riflettere più. Se
fosse stato tutto così
facile…
«Ehi» Mi fece
lui, accennando un movimento del capo nella mia direzione.
«Ciao» Risposi
io, lasciando tradire la mia voce da una nota di emozione.
Mia madre mi
guardava con aria interrogativa, ma io feci finta di nulla,
così fece da sola e
chiese a Matt cosa lo aveva portato lì. Una volta non
l’avrebbe mai fatto.
«Oh, è che Gwen
mi aveva chiesto di guardare un film insieme. Ho pensato che sarebbe
stata una
cosa carina e allora sono venuto.» Rispose lui, con
un’innocenza impressionante,
stringendosi nelle spalle. Sicuramente si era accorto del leggero astio
di mia
madre nei suoi confronti.
Era dolcissimo
e bellissimo, ed io non sapevo più come trattenermi. Nella
mia testa la
situazione stava degenerando un po’ troppo in fretta.
Mamma si limitò
a sorridergli e venne verso di me, mi afferrò per un braccio
e, mentre mi
trascinava in cucina, disse: «Vieni a prendere qualcosa da
offrire a Matthew.».
Lui rimase lì impalato, trattenendo una risata. Sapevo
già cosa mi aspettava.
«Perché l’hai
fatto venire qui?» Mi sibilò mentre apriva il
frigorifero per tirar fuori
qualche bibita.
«Mamma, non ha
la peste.» Le feci notare, prendendo un paio di bicchieri
dalla credenza.
«Stai già
rimpiazzando Jessie?» Domandò poi, sempre
sottovoce, sbattendo la bottiglia di
Coca Cola sul tavolo.
«Ma cosa stai
dicendo?» Le lanciai un’occhiata glaciale.
«Gwen. No.»
Continuò, in tono fermo.
«Ma Gwen no,
cosa?»
«Non fare
cazzate.»
«Ho invitato il
mio migliore amico da vent’anni a vedere un film.»
Cercai di chiarire. «Niente
di più, okay? Non mi sembra la fine del mondo.»
Lei scosse la
testa, mettendomi in mano un vassoio sul quale poggiò i due
bicchieri vuoti e
Coca.
«Non c’è
possibilità che tu e Jessie-» Iniziò a
dire, ma la interruppi subito emettendo
un specie di ringhio e me ne andai, lasciandola lì impalata
in preda alle sue
paranoie.
Avrei fatto quello che volevo, di certo non dovevo rendere conto a lei.
Come
poteva anche solo aver tentato di farmi una domanda del genere? Era al
corrente
del fatto che fosse stato lui ad andare con un’altra, che
aveva preso in giro sua figlia, ma
a quanto pareva non
sembrava essere un problema. Mentre il fatto che quel
“cattivone” di Matt fosse
lì, la infastidiva parecchio.
Raggiunsi Matt e gli feci segno di seguirmi al piano di sopra, lui mi
venne
dietro a ruota. Sparimmo così, finalmente, dalla vista di
quell’impicciona di
mia madre e ci chiudemmo in camera mia, anche se sapevo che poco dopo
sarebbe
dovuta uscire con uno con cui aveva iniziato a vedersi.
Lui scoppiò
subito in una risata, mentre io appoggiavo il vassoio sulla scrivania.
«Mi odia così
tanto?» Chiese, divertito.
«Non ti odia, è
solo preoccupata.» Cercai di farla sembrare meno tragica.
«Preoccupata
che ti porti sulla cattiva strada?» Disse, con un mezzo
sorriso.
«Credo di sì.»
Risposi, un po’ in imbarazzo per lei.
«Dai, non sono
più messo così male…»
Mi sentii in colpa per quello che mia madre pensava di lui.
«Lo so, lo so.»
Gli andai vicino e gli lasciai una carezza sul braccio.
«Poi tu sei già
una cattiva ragazza, non hai bisogno di me per diventarlo.»
Aggiunse,
ridacchiando.
«Cattivissima.»
Lo corressi e lui mi fece l’occhiolino.
Un attimo dopo
iniziò ad aggirarsi per la stanza guardandosi in giro. Diede
un’occhiata ai
libri che avevo sul comodino, ai mille appunti per l’ultimo
esame di filosofia,
ai pupazzi che tenevo sopra all’armadio– tra cui
sicuramente riconobbe
l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui anni prima
–, ma si soffermò in
particolare sul collage di foto che avevo appeso alla parete sopra al
mio
letto. Ce n’erano alcune di quando ero piccola, un paio con
mio padre – di
prima che lui e mia madre si separassero –, molte con Lola,
una più grossa
delle altre dove ero abbracciata a Jessie – non avevo ancora
avuto il tempo di
toglierla – e due polaroid in cui ero insieme a lui. Nella
più vecchia avremmo
avuto circa dieci anni, eravamo alla recita di Natale; per la prima
volta ero
stata scelta io per fare la protagonista ed ero agitatissima. Quella
foto era
stata scattata da mio padre proprio quando Matt mi aveva preso la mano
poco
prima della mia entrata in scena. I suoi capelli corvini contrastavano
i miei
biondissimi, mentre mi rivolgeva un sorriso incoraggiante.
L’altra, scattata da Lola, era della festa del mio
diciannovesimo compleanno.
C’ero io, con la schiena contro il muro della cucina e lui
proprio di fronte a
me, con il gomito appoggiato allo stipite della porta, che mi parlava a
pochi
centimetri dal viso. Osservando quella foto, solo io riuscivo veramente
a
capire come lo stavo guardando in quel momento. Non ricordavo nemmeno
cosa mi
stesse dicendo, perché l’unica cosa su cui ero
davvero concentrata erano le sue
labbra, che speravo di riuscire ad attirare verso le mie forse con -
probabilmente - la sola
forza del
pensiero. Ovviamente, non ci riuscii e lui quella sera finì
a letto con Alexis,
una nostra ex compagna. Io passai la notte a piangere a casa di Lola.
Patetica.
«Com’eri
carina.» Commentò, sfiorando la polaroid
più vecchia ed io mi emozionai senza
nemmeno un vero motivo.
«Anche tu non
eri male vestito da elfo.» Ridacchiai, poco dopo e lui con me.
Poi guardò
anche l’altra e lo vidi sorridere.
«Chissà che
stronzata ti stavo dicendo...» Disse.
«Probabilmente ero anche sbronzo.»
«Ah, sbronzo sicuramente.» Risi.
«Quel vestitino
nero ti stava da dio, come ho fatto a non saltarti addosso?»
Chiese, d’un
tratto, lasciandomi impietrita e con il cuore in gola.
Notai che si morse il labbro e poi scosse la testa. Commento sbagliato?
Io,
intanto, cercai di riprendermi e sembrare il più sicura di
me possibile. Pensai
che avrei presto avuto bisogno di alcol per affrontare quella serata,
altro che
Coca Cola.
«Sinceramente
non lo so.» Gli risposi poi, alzando un sopracciglio ed
evitando di dirgli che
era esattamente quello che avevo sperato ardentemente quella sera.
«Vedi? Sono un
bravo ragazzo e nessuno lo capisce.» Disse, facendo finta di
lamentarsi.
«Povero ometto
incompreso…»
Lui mi sorrise
e si sedette sul letto. Entrambi rimanemmo un attimo in silenzio per
ascoltare
i rumori provenienti dal piano di sotto, mia mamma doveva aver appena
chiuso la
porta. Finalmente se n’era andata.
«Allora? Cosa
guardiamo?» Domandò poi, mentre si toglieva le
scarpe.
«Non so,
proposte?» Dissi, quando, in realtà, tutto quello
che avrei voluto guardare era
solo lui.
«Batman?»
«Scherzi?»
«Assolutamente
no.»
«Ma sono due
ore e mezza di film…» Feci, lamentosa.
«E dai!» Cercò
di convincermi lui.
«Dovrò
ubriacarmi allora.» Sospirai.
Quasi tre ore
dopo ci ritrovammo sdraiati sul tappeto in camera mia a ridere. Due
birre vuote
e una bottiglia di gin a metà e le mie inibizioni stavano
già
andando a farsi
benedire.
«E poi ti
ricordi di quella volta che siamo andati in gita e siamo finiti in
quell’hotel
dove si mangiavano solo carote? Pasta con le carote, minestra con le
carote,
carote con le carote, carote senza carote. Me le hanno fatte odiare,
cazzo!»
Disse Matt per poi scoppiare in un’altra risata.
«Me l’ero
dimenticato, ci credi? Maledette carote!» Risposi, divertita.
Ed eravamo lì, vicini.
Troppo vicini. La mia testa appoggiata sul suo braccio e le gambe
attorcigliate. Mi concentrai per un attimo, l’alcol in corpo
mi faceva sembrare
tutto perfetto, ma comunque riuscii solo a pensare che
l’incavo del suo braccio
fosse stato concepito con quella precisa struttura perché io
potessi
appoggiarci la testa e capire che quello era il mio posto nel mondo. Il
suo
profumo mi inebriava la mente.
Rimanemmo in
silenzio per un po’ e mi venne in mente quella sera anni
prima, quando eravamo finiti
sdraiati sul tappeto a raccontarci stronzate, proprio come in quel
momento, e
avevo sentito che mi desiderava esattamente come io avevo fatto
con lui
per tutti quegli anni.
E io lo volevo ancora, forse più di prima. Me lo dicevano le
farfalle nello
stomaco, me lo diceva il batticuore e quel potentissimo impulso di
baciarlo che
stavo cercando di trattenere.
Mi voltai verso
di lui appoggiando il mento contro il dorso della mano e gli puntai gli
occhi
addosso. I suoi, azzurri, brillavano nella penombra, la luce delle
lampade
disegnava gli spigoli del suo viso, un sorriso così perfetto
e seducente che mi
balzò in testa come un lampo il pensiero di tutte le altre
“lei” c’erano state
prima di me e mi fece male. Ma non mi passò la voglia di
continuare quello che
avevo iniziato.
«E ti ricordi
quella sera che stavi per baciarmi?» Sussurrai, con cautela,
vicino al suo
viso.
Lo vidi
deglutire e poi portarsi una mano sugli occhi.
«Oh, Gwen.»
Disse, con una risatina imbarazzata. «Ma cosa ti viene in
mente?»
Era stupendo ed
io ero sempre più convinta di volerlo. In ogni senso.
Risi anche io per un attimo, ma poi tornai subito seria e lo guardai
così
intensamente che lo convinsi a voltarsi verso di me e finalmente a
reggere il
mio sguardo.
«Allora? Ti ricordi?»
«Mi ricordo.» Mormorò.
Silenzio.
«Pensavo che fossi tu a non ricordartene.»
Aggiunse, poco dopo.
Gli sorrisi. Se
solo avesse saputo quante cose mi ricordavo..., cose che lui neanche
poteva
immaginare.
«Invece sì.» Mi
avvicinai pericolosamente a lui e gli presi la mano per poi portarmela
sul
fianco.
Lo vidi
irrigidirsi e la cosa mi fece sorridere: sembravo io ad avere la
situazione in
mano, per una volta. Mi guardò negli occhi con
l’espressione di qualcuno che
non capisce cosa sta succedendo e socchiuse le labbra come per prendere
un
respiro. Sembrava spaventato e io, giuro, non avevo mai visto Matthew
Bellamy
intimorito da una ragazza. Mi sentii potente, in un certo senso.
Le mie labbra
erano sempre più vicine alle sue, ma lui non mi fermava e
non sembrava nemmeno intenzionato
a farlo e questo mi convinse a non lasciar perdere tutto. Nonostante
avessi il
cuore in gola, ma anche un bel po’ di alcol nelle vene, stavo
per fare quello
che avrei dovuto fare anni e anni prima.
D’un tratto,
però, lui scosse quasi impercettibilmente la testa e mi
guardò come a dire
“cosa stai facendo?”, così io mi bloccai
per un attimo. Ed ecco che la mia
parte razionale stava riaffiorando troppo in fretta: e se stessi
sbagliando?, balenò
nella mia mente. Ma quasi non feci in tempo a pensarlo che sentii la
mano di
Matt
dietro alla nuca tirarmi verso di lui, lo guardai negli occhi
un’ultima volta e
poi mi lasciai andare. Lo baciai, proprio come avevo sognato di fare
tante
altre volte. Lo baciai mettendoci dentro anni di baci onirici,
così a lungo da
restare a corto di respiro. E lui baciava così bene che la
pelle d'oca sulle
mie braccia mi pungeva in modo fastidioso. Sentii una scarica elettrica
nella
schiena, fino alla base e la sua mano scendere dalla nuca fino al mio
collo. Mi
accarezzò la guancia con il pollice e sentii la sua lingua
farsi strada tra le
mie labbra, le dischiusi e mi feci trascinare da quel bacio che
di casto
e puro non aveva proprio nulla. Cercai, però, di mantenere
il controllo, perché sentivo di
desiderarlo troppo e non
volevo lasciarmi trascinare dalla frenesia di averlo per me - in ogni
senso – subito.
Così, a fatica, mi allontanai e sollevai gli occhi nei suoi.
L’azzurro mi invase
e un sorriso bellissimo mi fece perdere la testa un’altra
volta e lo baciai di
nuovo.
E poi ancora.
E ancora.
Ciao a tutte!
Questa settimana siamo a quota due capitoli, mi sento ispirata. Spero
vi sia piaciuto, finalmente siamo arrivati al primo bacio e no, non
è un sogno della povera Gwen XD
Come sempre, ringrazio tutti, chi legge, chi preferisce
(siete sempre di più) e ricorda, ma ancora di più
chi mi perde un po' di tempo per farmi sapere cosa ne pensa. Grazie a
tutti.
Al prossimo,
Baci.
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Capitolo 9 *** Capitolo Nove ***
SI
Matt
Appena fui
certo che si fosse addormentata, con estrema cautela feci scivolare il
mio
braccio da sotto al suo collo e lentamente mi alzai dal letto. Mi
girava un po’
la testa, l’alcol era ancora in circolo e si faceva sentire.
Trovai le scarpe
vicino alla scrivania e, una volta infilate, uscii da camera sua
cercando di
fare il meno rumore possibile, per infine riuscire a sgattaiolare fuori
da
quella casa esattamente come avrebbe fatto un ladro. Sua madre e la sua
insofferenza nei miei confronti fortunatamente non erano ancora
rientrate,
evitai così di incorrere in uno spiacevole incontro.
Percorsi il vialetto ed in
pochi passi arrivai in strada, una trentina di metri più
là c’era la mia Ford
parcheggiata, un silenzio di tomba a farmi compagnia.
Aprii la
portiera, mi sedetti sul sedile e lasciai cadere la testa
all’indietro contro
lo schienale. Inspirai profondamente e mi accorsi che mi tremava una
mano.
Diedi un pugno contro il volante.
Mi sentivo
confuso. Era successo quello che avevo sperato non accadesse, anche se
l’avevo
comunque messo in conto decidendo di presentarmi a casa sua. Quello che
mi
aveva lasciato di stucco, però, era il fatto che non ero
stato io a portarci
dove eravamo arrivati, ma lei. Lei mi aveva provocato e io –
lo sappiamo
benissimo tutti – non so resistere alle provocazioni. Non che
non ci avessi
provato per un po’, ma il mio scarso impegno e la voglia
pazza di assaggiare
quelle labbra rosa avevano sopraffatto il mio buonsenso. Sentivo ancora
il
corpo carico di tensione ripensando a quando mi aveva preso la mano per
appoggiarla
al suo fianco appena scoperto dalla maglietta leggermente arruffata,
sentivo il
desiderio che aveva preso possesso di me e non mi aveva lasciato alcuna
alternativa. L’avevo attirata verso di me, proprio quando lei
aveva vacillato -
forse spaventata quanto lo ero io -, spinto
dall’irrefrenabile voglia di capire
cosa si provasse a baciare Gwen Morrissey, a toccare quelle labbra, a
sfiorarle, a succhiarle via. Ed era stato bello. Assurdamente bello.
Lei si era
lasciata andare, trasportare da quel meraviglioso - quanto strano
– momento,
avevo sentito le sue dita tra i miei capelli, intrecciarsi ad essi e
poi tirare
ogni volta che il bacio si faceva più intenso, mentre la mia
smania di averla
cresceva sempre di più. Si allontanava da me e poi, come se
la mia bocca fosse calamitata,
tornava più prepotente e sicura di prima, ed io impazzivo.
Il mio corpo
impazziva. Ed era stato difficile tenerlo a bada. Ma non successe nulla
di più,
solo tanti, troppi baci, fino quasi allo sfinimento. Fino a quando lei
non mi
disse sottovoce che era così tanto che aspettava quel
momento che pensava non
sarebbe mai arrivato. Mi disse che era felice e io mi sentii come se
qualcuno
mi avesse appena tirato un pugno nello stomaco. La strinsi a me, non le
dissi
nulla, le diedi solo un piccolo bacio sulla fronte per poi chiudermi in
me
stesso in un religioso silenzio, mentre lei si addormentava, su quel
tappeto,
con un piccolo sorriso disegnato sulle labbra.
Ed ero ancora lì, seduto in auto, al buio, spaventato e
confuso. Non capivo. Emozioni
contrastanti popolavano la mia mente e il mio corpo. Da una parte
sapevo che mi
era piaciuto, che avrei voluto rifarlo, che sarei potuto andare oltre,
ma
dall’altra pensavo di aver fatto un errore enorme. Mi aveva
fatto capire che
per lei era stato molto di più di un semplice bacio, che era
da molto tempo che
desiderava accadesse, che, quindi, avrebbe quasi certamente voluto di
più ed io
non sapevo se fossi davvero in grado di poterle dare quello di cui
aveva
bisogno, perché sapevo benissimo che Gwen non era una di
quelle ragazze che si
accontentano di poco. Mi conoscevo troppo bene e sapevo di non essere
capace di
portare avanti una relazione, mentre lei non riusciva a non impegnarsi,
in ogni
cosa che facesse, che fosse per la preparazione di un esame in
università o in
un rapporto, dava sempre tutto, dava sé stessa al cento per
cento e per questo
io non andavo bene per lei. Io non ero così, io non ne ero
capace.
Ero certo di aver provato qualcosa di diverso dal solito,
un’emozione lontana
dalle ordinarie, qualcosa a livello dello stomaco. Un po’
come quando si dice
“avere le farfalle nello stomaco” e senti quella
specie di ansietta che ti
prende proprio lì, ma sai che in fin dei conti è
un’ansia buona perché ti sta
per succedere qualcosa di bello. Ed in effetti era proprio stato
così.
Presi un
respiro e misi in moto la macchina. Con calma, visti i postumi della
sbronza,
mi diressi verso il mio appartamento. Una volta dentro, mi spogliai e
mi buttai
a letto per ripiombare subito in quel fastidioso vortice di pensieri
che sapevo
non mi avrebbe lasciato stare senza farmi dannare per almeno un
po’ di tempo.
Come mi sarei comportato il giorno dopo? Cosa le avrei detto? Avrei
dovuto
mandarle un messaggio con un ipocrita “buongiorno
bellissima”? Io non ero per
quelle cose, almeno che non avessi voglia di scopare. Ed in effetti
prima avevo
avuto voglia di scopare con lei. Volevo soffocarmi con il cuscino pur
di non
continuare a pensare a cosa avrei dovuto fare.
Tutto era
contro a quella stupida debolezza che avevo avuto nei confronti di
Gwen. Era
stata la fidanzata di uno dei miei più cari amici, io ero un
pezzo di merda
complessato con fin troppi problemi, l’avrei fatta soffrire
quasi sicuramente e
– ciliegina sulla torta – l’avrei persa.
Non sapevo cosa fare, se lasciarmi andare e vedere cosa sarebbe
successo o
chiuderla subito lì, sperando intensamente di riuscire a non
rovinare nulla. Ma
pensai a quel bacio – a quei baci – e un brivido mi
percorse la schiena, pensai
alle sue mani su di me e mi resi conto che non sarebbe stato facile
rinunciarci. Contro ogni aspettativa, mi addormentai con quelle
immagini.
Mi svegliai di
soprassalto e mi accorsi che il mio telefono stava suonando,
trapanandomi il
timpano sinistro – il più vicino al comodino, dove
il bastardo vibrava senza
sosta. Diedi un’occhiata veloce alla sveglia. Quasi la una di
pomeriggio, avevo
decisamente recuperato le ore di sonno perdute durante la vacanza al
mare. Mi
sporsi verso il telefono e lo afferrai. La faccia di Dominic
lampeggiava insistentemente
sullo schermo.
«Ciao.» Dissi,
con la voce ancora impastata di sonno, cercando di trattenere uno
sbadiglio.
«Sì, ciao ciao
anche a te.» Fece. «Sono due ore che ti mando
messaggi.»
«Stavo
dormendo.» Mi lamentai. «Faccio il turno serale,
oggi.»
«Già.» Si
ricordò lui. «Comunque ho saputo cose.»
«Cose.»
Ripetei. «Cose di che tipo?»
«Del tipo che
ieri sera ti sei fatto Gwen. Ripeto. Gwen.
E poi sei scappato.» Mi spiegò, con un risolino
tra il divertito e
l’accusatorio.
Fantastico. Fare
la figura dello stronzo potevo toglierlo dalle cose della lista da fare.
«Non sono
scappato.» Mi difesi. «Poi tu come fai
già a saperlo?»
«Gwen l’ha
detto a Lola, Lola l’ha detto a me. Facile.»
«Oh,
vaffanculo. Tu e quell’impicciona di Lola.» Lui
rise ed io mi alzai dal letto
per dirigermi in cucina.
«Gran colpo da
maestro.» Mi prese in giro.
«Senti, i sensi
di colpa me li sono già fatti venire da solo, non metterci
del tuo.»
Presi una tazza dalla credenza e accesi la macchinetta del
caffè.
«Poi non me la
sono mica scopata.» Aggiunsi.
«Che volgare
che sei a parlare così della tua migliore amica.»
Continuò, con quel tono da
presa per il culo.
«Hai voglia di
prenderle?» Domandai e lui rise di nuovo.
«Fai il bravo,
che Lola ha già intenzione di spaccarti la faccia.»
Questa volta
risi io, poi bevvi un sorso di caffè fumante.
«Credo che voi
due dobbiate iniziare a farvi gli affari vostri.» Dissi, poi.
«E ma non
sarebbe più divertente…» Fece lui,
divertito.
Ci fu un attimo
di silenzio in cui, probabilmente, entrambi decidemmo di far diventare
quella
telefonata qualcosa di più serio di quattro insulti tra una
risata e l’altra.
«Senti, non so
cosa ti sia saltato in mente, ma non so se è stata proprio
una buona idea.»
Disse Dom.
«Lo so, cazzo.»
«Cioè, dipende
da quello che hai intenzione di fare adesso. Perché il fatto
che tu te ne sia
andato subito dopo il fattaccio non fa iniziare bene le cose. Sempre
che tu le
voglia far iniziare, poi…»
«Io-» Mi
bloccai e guardai verso l’alto, una macchia di muffa mi
salutò. «Io non lo so
cosa ho intenzione di fare, Dom.» Continuai, questa volta
tornando a fissare la
tazzina di caffè che tenevo in mano.
Silenzio. Un
silenzio in cui mi vennero alla mente le emozioni della sera prima.
«Gwen mi
piace.» Dissi, poi.
«Come amica.»
Mi suggerì lui.
«Non ne sono
più sicuro.»
«Questo
significa che potrebbe esserci la possibilità che tu voglia
qualcosa di più di
una semplice scopata?»
«Sì.»
Sussurrai, quasi avessi paura a dirlo.
Lui gridò al
miracolo dall’altra parte della cornetta.
«Così andiamo
bene, amico, così andiamo bene.» Mi disse poi,
sollevato.
«È stato
diverso dalle altre volte.» Cercai di spiegare.
«In effetti,
già solo il fatto che tu ti sia fermato ad un semplice
bacio, senza sentire il
bisogno di sbattertela in camera sua è sì diverso
dal solito.» Ridacchiò.
«Coglione.»
«A parte gli
scherzi, non fare lo stronzo con lei. Chiamala, okay?»
«Lo farò.»
Promisi, più a me stesso che a lui. «È
che sono un po’ confuso. Ieri sera è
stato tutto così strano.»
«Lo so, lo so.
Matthew Bellamy non è abituato a certe cose.»
«Le vuoi
prendere, ormai è appurato.»
Ridemmo
entrambi.
«Stasera magari
passo al pub a trovarti.» Disse.
«Sempre che tu
non abbia di meglio da fare.» Gli risposi, alludendo a lui e
Lola.
«Ovviamente.»
«Quindi
sicuramente no, perché non te la darà
mai.» Ridacchiai.
«Ciao,
stronzo.» Mi salutò lui.
«Ciao,
carissimo.» Terminai così quella telefonata.
Finii poi di
bere il caffè appoggiato al bancone della cucina e andai in
bagno per farmi un
doccia e cercare di schiarirmi un po’ le idee. Sotto
l’acqua ricordai di averla
sognata, quella notte. Ricordai che c’erano il mare e le
stelle e lei che
veniva verso di me con quel vestito bianco e aderente al suo corpo
perfetto,
mentre io la guardavo incantato. E, proprio come quella sera in
vacanza, la
trovavo bellissima e sentivo un’irrefrenabile voglia di
toccarla.
Mentre mi
lavavo i capelli pensai a cosa avrei dovuto dirle più tardi.
Di certo ci era
rimasta male per non avermi trovato lì al suo risveglio,
forse era anche per
quello che non avevo trovato chiamate o messaggi da parte sua, ma avrei
cercato
di rimediare e di farmi perdonare, anche se non era il mio forte.
Decisi che
sarei andato da lei per provare a chiarire la situazione.
Senza
avvisarla, mi presentai a casa sua verso le cinque, un paio
d’ore prima
dell’inizio del turno al pub. Sapevo che sua madre non
sarebbe stata a casa
perché, a quanto mi aveva detto Gwen, da quando Nina si era
trasferita in città
per lavoro, il venerdì andava da lei per cenare insieme.
Così andai piuttosto
sul sicuro per quanto riguardava la questione “madri
iperprotettive e
rompicoglioni.” Se dovevo essere sincero, un po’ mi
dispiaceva che tra me e
Diane non ci fosse più quella specie di rapporto
madre-figlio che ci aveva
legato per molti anni, ma dall’altra parte non capivo nemmeno
il perché di un
cambiamento così radicale. Nonostante tutti i miei problemi,
tutte le stronzate
che avevo fatto – e che avrei continuato a fare –,
nonostante spesso avevo
sentito il bisogno di qualcuno che mi stesse vicino, che mi aiutasse,
non avevo
mai e poi mai messo in mezzo sua figlia. C’era stata per me,
certo, ma per
determinate cose no perché non avevo voluto. Ero un cazzone,
ma su certe cose non
transigevo e non mi sarei mai permesso di creare problemi ad altre
persone,
soprattutto se quelle persone erano ragazzine ingenue e troppo buone
per dire
di no e lasciar correre. Avrebbe fatto di tutto per me, se solo avesse
saputo.
Citofonai ed
attesi con un nodo alla gola che sembrava soffocarmi, mentre
giocherellavo con
i bottoni della camicia. Dopo un minuto buono sentii dei rumori al di
là della
porta, le chiavi girarono nella toppa ed ecco che mi trovai di fronte
due
bellissimi occhi azzurri incorniciati da un paio di occhiali da vista.
Aveva i
capelli raccolti in uno chignon tenuto insieme da una matita e addosso
una tuta
nera che metteva in risalto le forme del suo corpo. Tipica tenuta da
studio
intenso.
Le sorrisi cercando
di apparire il più dispiaciuto possibile e le porsi un
sacchettino. Mi guardò
storto senza ricambiare, ma poi lo afferrò e, quando lo
aprì, vidi l’angolo
della sua bocca distendersi in qualcosa che doveva assomigliare ad un
sorriso. Ero
passato in quel negozio di dolci in fondo alla strada per prenderle un
po’
delle sue caramelle preferite.
«Immagino tu
stia studiando, quelle sono per premio.» Dissi, dolcemente.
Lei finalmente
alzò lo sguardo.
«Beh, grazie?»
Rispose, cercando di mantenere un certo contegno.
«Sei
arrabbiata?» Chiesi, appoggiandomi allo stipite della porta
con l’avambraccio.
«Non sono
arrabbiata, solo che pensavo che dopo quello che ti ho detto ieri sera
non te
ne saresti andato così.» Mi spiegò,
finendo per mordersi il labbro inferiore.
«Sei delusa e
lo capisco.» Mormorai, facendo un piccolo movimento verso di
lei. «Giuro che
non l’ho fatto con cattiveria.»
Lei prese un
respiro e fece roteare gli occhi verso l’alto, poi
accennò un mezzo sorriso.
«È che sei il
solito stronzo e mi dimentico sempre di metterlo in conto.»
Disse, dandomi una
leggera spinta che mi fece dondolare sulla mia postazione.
«Però sono qui.»
Le dissi, subito dopo.
«Però sei qui.»
Mi guardò negli occhi, mordendosi un’unghia.
«E questo mi
rende un po’ meno stronzo.»
«Un pochino, ma
hai comunque il primato.»
«Mi fai
entrare?»
«Solo perché
hai portato le caramelle.» Rispose, afferrandomi il braccio
per trascinarmi
dentro.
Così mi lasciò
oltrepassare la soglia di casa e mi condusse in cucina, dove vidi la
penisola
completamente ricoperta di libri e fogli pieni di appunti. Fece un
po’ di ordine
e ci si sedette sopra per poi farmi segno di entrare.
«Accomodati
pure.» Disse poi, indicandomi una sedia.
Mi ci sedetti.
«Era tanto che
non ti vedevo con gli occhiali.» Commentai, lanciandole
un’occhiata.
«Li metto solo
quando studio tanto e ho bisogno di riposare gli occhi.»
Spiegò.
«Ti donano molto.»
Mi sfuggì, mentre le sorridevo.
Lei arrossì di
colpo e mi guardò male.
«Smettila di
fare il carino, non ti si addice.» Mi fece notare, con quel
suo musetto
imbronciato.
«E tu smettila
di stare sulle tue.» Dissi. «Sono qui e ho voglia
di parlare con te.»
Mi alzai e mi
posizionai di fronte a lei, ancora seduta sul tavolo.
«Parliamo
allora.» Rispose, come se mi stesse sfidando.
Perfetto. Forse
avrei preferito che mi tirasse uno schiaffone, perché non
avevo ancora la
minima idea di cosa avrei potuto dirle, in realtà speravo
fosse lei ad
iniziare. Rimasi, perciò, un attimo in silenzio per cercare
di mettere insieme
un discorso di senso compiuto.
«Cominciamo
bene, Matthew.» Mi disse, tagliente, qualche secondo dopo.
E tutto quel sarcasmo da dove era uscito? Doveva essere davvero offesa.
Io le feci un mezzo sorriso e mi decisi a parlare.
«Mi dispiace
essermene andato così, è che ero confuso,
Gwen.» Cominciai, ma venni subito
interrotto.
«Quindi sei qui
per dirmi di far finta che non sia successo nulla, perché
eravamo ubriachi e
bla bla bla?» Domandò, con cattiveria, ma anche
con una nota di delusione nella
voce.
«Ma sei capace
di tacere?» Dissi, aprendo le braccia in segno di disappunto
e lei mi rivolse
un’occhiata glaciale, ma rimase comunque in silenzio.
«Non sono qui
per questo.» Ripresi e la vidi farsi più
interessata a quello che stavo
dicendo.
Mi avvicinai di più a lei, facendomi spazio tra le sue gambe
leggermente
divaricate, mentre lei andò indietro col busto per cercare
di mantenere una
certa distanza di sicurezza.
«Mi sono
torturato il cervello per ore, Gwen. Per te. Per questa storia che
nella mia
testa ancora un senso non ce l’ha, ma sono comunque giunto
alla conclusione
che-» Mi bloccai, lei pendeva dalle mie labbra, si vedeva
benissimo, perciò la
lasciai lì così per qualche secondo.
«Che?» Chiese,
senza riuscire più ad aspettare.
«Che mi è
piaciuto da morire e che potrei fare un’eccezione alla
regola, solo per te.» Finii
di dire, avvicinandomi sempre di più, finché le
mie gambe non toccarono il
bordo del tavolo.
Vidi i suoi
occhi illuminarsi e le sue labbra allargarsi in un sorriso.
«Sarei la tua
eccezione?» Chiese, con speranza.
Non sapevo bene se quello che stavo facendo fosse giusto o meno, ma ci
avevo
riflettuto a lungo e, bene o male, qualsiasi cosa avessi deciso di fare
il
rapporto non sarebbe mai tornato quello di prima. Perciò
avevo optato per
provare qualcosa di nuovo, qualcosa che – speravo –
mi avrebbe dato di più
rispetto a quello che avevo avuto fino a quel momento. In quel caso,
però, dire
che provare non costava nulla non era vero, c’era solo
bisogno di coraggio e io
ne avevo da vendere.
Mi sporsi verso
il suo viso, sentivo il suo fiato caldo sul mio.
«Sì, lo
saresti.» Le dissi, poi, prima di posare un bacio dolcissimo
sulle sue labbra,
ritrovandomi così piacevolmente stupito di non essere solo
capace di dare baci
irruenti ed istintivi.
La sentii
sorridere nella mia bocca e stringere le braccia attorno al mio collo.
Ero felice.
Al tutto il resto
avrei pensato dopo. Solo strada facendo avrei capito cosa volevo
davvero, non
c’era altro modo per farlo.
Ehilà, eccomi qui di
nuovo. In questi giorni ho avuto un po' più di tempo quindi
ho aggiornato presto.
Matt finalmente si è fatto coraggio e ha deciso di mettersi
in
gioco, proprio come sperava Gwen, e renderla l'unica eccezione alle sue
ferree regole sulle relazioni. Ovviamente, però,
non
portà essere tutto sempre rose e fiori per la coppia
più
complessata della storia XD
Ho visto che i lettori sono aumentati e questo mi fa davvero molto
piacere. Non siate timidi, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ne approfitto per ringraziare Ashwini e OnlyHappyWhenItRains per la
loro fedeltà a questa storia e perché mi dedicano
sempre
un po' del loro tempo <3 (50shadesofLOTS_always spero tu ci sia
ancora tra i lettori ^^ )
Grazie a tutti, al prossimo
capitolo.
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Capitolo 10 *** Capitolo Dieci ***
Matt
Alle nove il
locale era già pieno di gente – i
venerdì sera erano forse peggio del sabato –
ed io avrei dovuto servire quell’inferno da solo per ancora
mezz’ora. Bel
rientro dalle vacanze… Mentre tagliavo un’arancia
a fettine, presi un respiro
profondo e mi feci forza pensando che presto mi avrebbe raggiunto
Jonathan, il
mio collega e capo, nonché proprietario del White Heart. Un
ragazzo sulla
trentina, simpatico e affabile, ma culo verde come pochi.
Non feci in tempo a finire di preparare i drink dell’ultima
ordinazione che
avevo ricevuto, che sentii il mio telefono vibrare nella tasca dei
jeans.
Posizionai i bicchieri sul vassoio e mi affrettai a portarli al tavolo
a cui
erano sedute le due coppie che li avevano ordinati per poi tornare alla
cassa
con i soldi. Servii ancora un paio di birre a due tipi al bancone e, in
quell’attimo di pace in cui nessuno ancora mi aveva chiesto
nulla, mi appoggiai
ad uno scaffale ed estrassi il telefono. Un messaggio di Gwen.
Se dopo venissi
lì con Lola e Dom, ti
farebbe piacere?
Sorrisi,
perché
era così dolce che prima o poi mi avrebbe fatto venire il
diabete. Aveva paura
di disturbarmi o di risultare appiccicosa e sapeva che odiavo essere
rincorso a
destra e a manca, perciò aveva preferito chiedermelo, per
evitare di fare
qualche passo falso. Le risposi che mi avrebbe fatto molto piacere
vederla ed
effettivamente lei sarebbe potuta essere l’unica cosa bella
di quella prima stressantissima
serata di lavoro.
Ripensai a qualche ora prima a casa sua. A come le si era illuminato il
viso,
fino ad un attimo prima imbronciato, sentendomi dire che volevo provare
a
rendere la nostra amicizia qualcosa di più, che sarebbe
stata proprio lei la
prima vera eccezione a quelle mie strane regole sulle relazioni. Dalla
cucina,
in cui la “svolta” era cominciata, eravamo poi
finiti sul divano in salotto a
parlare e baciarci, ma soprattutto a baciarci. Lì, mi aveva
detto che sperava
che tutto andasse per il verso giusto, che non dovevamo fare le cose di
fretta,
che, finché non sarei stato pronto, nessuno avrebbe dovuto
sapere di noi –
all’infuori, ovviamente, dei due nostri migliori amici che,
anche se non
gliel’avessimo detto, avrebbero comunque trovato il modo di
venirne a
conoscenza perché erano peggio di due spie sovietiche.
I miei pensieri
vennero interrotti dalla voce di una ragazza che mi chiamava.
«Sì, scusami.»
Dissi, avvicinandomi al bancone su cui si stava sporgendo, mentre
rimettevo in
tasca il cellulare.
«Mi fai un
Daiquiri, per favore?» Chiese, sbattendomi le ciglia lunghe e
nere davanti agli
occhi.
«Arriva.»
Riposi, mentre lei si accomodava su uno sgabello.
«Se vuoi te lo
posso anche portare al tavolo.» Aggiunsi, indicando con un
cenno del capo
quelli che dovevano essere i suoi amici, seduti poco più in
là, che ci
guardavano interessati.
«Preferisco
aspettare qui, grazie.» Disse, lanciandomi
un’occhiata piuttosto eloquente: era
lì per me, non di certo per il Daiquiri.
Mentre spremevo
il lime, la guardai con la coda dell’occhio. Mi sembrava di
averla già vista da
qualche parte, forse non era la prima volta che veniva lì,
ma c’era sempre così
tanta gente che avrei potuto confonderla con almeno altre dieci
ragazze. Pensai
che fosse davvero carina, ma appena me ne resi conto mi venne in mente
Gwen e
cercai di concentrarmi su quello che stavo facendo. Non sarebbe stato
così
facile perdere le vecchie abitudini.
«Matt, giusto?» Fece lei, un attimo dopo,
sporgendosi verso di me.
Alzai lo
sguardo per un secondo, prima di iniziare a versare il rum nel
bicchiere.
«Esatto.» Mi
limitai a dire e lei rimase in silenzio, forse si aspettava di ricevere
la
stessa domanda, ma non gliela feci.
La vidi giocare
con i capelli e mordersi un labbro imbarazzata.
Una volta
pronto il drink, glielo porsi e le sorrisi per cercare di risultare un
po’ più
gentile di quanto lo fossi stato fino a quel momento. Dovevo ancora ben
capire
come funzionano le dinamiche tra ragazze carine e ragazzi, quando
quest’ultimi
non devono provarci. Dovevo trovare la giusta via di mezzo tra quello
che ero
abituato a fare, cioè flirtarci spudoratamente, e il
distacco totale, perché,
con il lavoro che facevo, non potevo di certo permettermi di fare lo
stronzo
antipatico.
«Buona serata»
Le dissi, poi. «Se hai bisogno di altro, sono qui.»
«Grazie» Mi
rispose, afferrando il bicchiere. «Comunque io sono
Rachel.» Aggiunse, facendo
spallucce, prima di voltarsi e andare verso il tavolo da cui arrivavano
frasi
di lamentele, del tipo «Già fatto?,
«Beh?», «E quindi?» dalle
amiche e «Digli
che hai bisogno di scopare!» dagli amici.
Ridacchiai tra
me e me e pensai che, in altre circostanze, quella ragazza sarebbe
facilmente finita
nel mio letto nel giro di qualche ora, con o senza l’aiuto
dei suoi amici. Pian
piano sarebbe cambiato tutto e la cosa, ad esser sinceri, mi spaventava
un po’.
Feci in tempo a
servire ancora diversi cocktail e birre, lavare qualche bicchiere e
sistemare
alcuni piatti, prima di vedere Jonathan entrare dalla porta sul retro.
Mi
asciugai le mani nel grembiule nero e gli diedi una pacca sulla spalla
appena
mi fu vicino, lui mi strinse in un abbraccio amichevole.
«Allora, andata
bene la vacanza?» Mi chiese, mentre si sfilava il giubbotto
di jeans.
«Benissimo,
grazie.» Risposi. «Tu, come stai?»
«Magnificamente.»
Finalmente
riuscii a respirare un po’ di più in quel
trambusto e tra una chiacchiera e
l’altra servimmo molte altre persone.
Alle dieci circa, vidi entrare Dominic abbracciato a Lola, con al
seguito suo
fratello Liam e Gwen. Sorrisi guardandola. Era bellissima e nella sua
semplicità stava dieci spanne sopra a tutte quelle che
c’erano in quello
stupido pub. Si fermarono a salutare due nostri conoscenti e poi
vennero al
bancone.
«Buonasera.»
Disse Lola, lanciandomi un’occhiata che diceva
“guarda che ti tengo d’occhio”.
«Ciao,
ragazzi.» Risposi io, contento di vederli.
Gwen mi
sorrise, mentre si sedeva sullo sgabello proprio di fronte a me.
«Ciao,
piccola.» Le sussurrai, quando le fui più vicino.
«Ciao, Matt.» Disse lei, arrossendo leggermente.
Non ci baciammo. Non lì, non davanti a tutti. Forse lei si
aspettava che lo
facessi, o perlomeno lo sperava, ma io non ero ancora pronto.
«Quanta cazzo
di gente c’è?» Chiese Dom, guardandosi
intorno.
«Non dirlo a
me, non ne posso più e il turno finisce alle due.»
Feci roteare gli occhi al
cielo. «Uccidetemi!» Dissi poi, implorante.
«Rientro
piacevole, devo dire…» Commentò Liam,
ridacchiando.
«Piacevolissimo.»
All’improvviso Jonathan
si palesò al mio fianco e mi spinse più in
là.
«Ehi, ciao
belli!» Salutò. «Come state?»
Li conosceva
bene tutti, soprattutto Dom e Liam, che venivano spesso a farmi
compagnia
quando avevo i turni serali. Gwen, invece, era sempre venuta insieme a
Jessie,
tant’è che la sua assenza fu subito oggetto di
curiosità da parte di Jonathan.
«Tutta sola
stasera, biondina?» Disse, viscidamente, rivolgendosi a lei.
Gli lanciai
un’occhiata di sbieco, di cui però nessuno si
accorse. L’aveva sempre trovata
carina, me l’aveva detto la prima sera che aveva avuto
l’occasione di vederla –
mi aveva anche chiesto perché non me la fossi mai fatta -,
ma non aveva mai
tentato nessun approccio – se non qualche stupida battutina
ogni tanto – perché
c’era sempre stato Jessie con lei. Sicuramente, appena al
corrente dell’accaduto,
si sarebbe fatto avanti.
«Non sono
sola.» Disse lei, indicandogli i nostri tre amici.
Risposta
eccellente.
«Vero.» Mormorò
lui, con un sorrisino. «Cosa ti preparo, gioia?»
Aggiunse, appoggiandosi ai
gomiti per finire con il viso a pochi centimetri da quello di Gwen.
Stava già
facendo il coglione, nonostante non sapesse ancora niente.
Probabilmente lo
immaginava. Lei mi lanciò un’occhiata, ma fui
distratto da Dom che si era
allungato sul bancone e aveva iniziato a sventolarmi la mano davanti
alla
faccia.
«Oh, ci sei? Ti
sto parlando da un minuto e non mi caghi.» Mi fece notare.
«Scusa.» Dissi
piano. «Stavo cercando di ascoltare Jonathan che ci prova con
Gwen.»
Dom guardò al
di là di Lola per vedere la situazione.
«Non ha
speranze.» Mi disse, provando a tranquillizzarmi.
«Certo, lo
ammazzo prima.»
«Sei già geloso?»
«Non sono
geloso, è che è un coglione con le
ragazze.»
Ero anche un
po’ geloso, lo ammetto.
«Tu no,
invece?» Disse Dom, ridacchiando.
«Colpito e affondato.»
Risi e abbassai il capo in segno di sconfitta.
«Digli di stare
alla larga.» Propose il mio amico, un attimo dopo.
Mi voltai per
controllare cosa stesse facendo e lo vidi ancora lì, tutto
sorrisi e sguardi
languidi, mentre le preparava qualcosa da bere. Mi avvicinai e Gwen mi
lanciò
un’occhiata che diceva “salvami”.
«Senti, Jon,
facciamo che qui finisco io, là sono arrivati nuovi clienti,
vai tu?» Gli
dissi, ma lui non sembrò molto contento della soluzione che
avevo trovato.
«Perché non vai
tu?»
«Dai, questi
sono amici miei.»
Lui sbuffò, ma
poi fece per avviarsi ai tavoli.
«A dopo,
gioia.» Disse a Gwen, prima di andare.
«Gioia…» Ripeté
lei, con un’espressione schifata ed io risi.
«Aspetta solo
di dirgli che ti sei lasciata con Jay e non te lo scolli più
di dosso.» Le
dissi.
«Che
meraviglia.» Rispose lei, sardonica.
«È fissato con
te da quando ti ha conosciuta.» Le rivelai, mentre finivo di
prepararle il
ginger ale.
«Allora dovrei
farci un pensierino…» Commentò,
guardandomi divertita.
Alzai lo
sguardo su di lei e scossi la testa leggermente.
«Non sei
convincente, Gwen.»
«Già, dovrei essere parecchio ubriaca per finire
con uno come Jonathan.» Fece
lei, ridendo.
«Ho una notizia
per te.» Dissi io, porgendole il drink pronto.
«L’hai già fatto.»
Lei mi guardò per un attimo senza capire, poi si fece seria.
«Matt, con te è
diverso…» Sussurrò, sfiorandomi la mano.
Aveva capito dove ero andato a parare.
Non l’avevo detto con cattiveria, semplicemente avevo
constatato la situazione
e lei si era sentita inutilmente in colpa. Probabilmente pensava di
avermi
ferito con quell’affermazione detta senza pensare, ma non era
così. Non mi
vergognavo di quello che ero.
«Non è diverso.
Io sono- ero- sì, diciamo che ero, come lui. Esattamente
così, non meglio.» Spiegai,
terminando il tutto con un sorriso con il quale cercai di comunicarle
che era
tutto a posto, che non me l’ero presa. Lei però mi
rivolse uno sguardo triste.
Presi il blocchetto per le ordinazione e stavo per andarmene a servire
un
gruppo di persone appena arrivate, quando mi bloccò
mettendosi a parlare.
«È diverso
perché sei tu… Perché ti
voglio da una vita.» Mi disse lei, piano, per non farsi
sentire.
Riuscii a
malapena a controllare la voglia di prenderla e baciarla davanti a
tutti.
Lei era così, innocente e troppo ingenua, e non avrebbe mai
davvero capito con
chi aveva avuto a che fare per tutto quel tempo. Negli anni, aveva
idealizzato
la mia figura credendo che fossi la persona migliore sulla faccia della
Terra,
ma sapevamo tutti che ero tutto ciò che ci fosse di
più lontano dalla
perfezione.
Senza dare
troppo nell’occhio le accarezzai il viso.
«Sei troppo
buona, Gwen.» Le sussurrai e lei mi sorrise.
Avrei voluto
baciarla, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che mi bloccava
dal farlo. Avevo
paura che con quel gesto avrei dovuto dare subito un nome alla nostra
relazione
ed io non ero pronto, perché non sapevo ancora cosa fosse.
Per di più, tutta
quella gente avrebbe iniziato a parlare, avrei dovuto affrontare le
loro
opinioni, avrei dovuto avere a che fare con Jessie, che di certo non
l’avrebbe
presa bene e non ne avevo voglia. Prima venivo io, venivamo noi due,
dopo tutti
gli altri.
«Ora vado,
perché se no Jon mi uccide.» Dissi, indicando
Jonathan che mi faceva segno di
andare a dargli una mano e lei annuì per poi voltarsi a
chiacchierare con Lola.
Per quasi tutto
il resto della serata corsi avanti e indietro tra bancone e tavoli,
cercando di
non impazzire e di non uccidere Jonathan ogni volta che si avvicinava a
Gwen
per fare il coglione. Una faticaccia.
Verso
mezzanotte, quando le richieste dei clienti sembravano essersi quietate
un po’,
dalla porta d’ingresso entrarono Eric, Alex ed Amy. Ci
mancava lei. Ringraziai
il cielo che non ci fosse anche Jessie, se no non avrei retto fino alle
due
senza dar fuori di matto.
Sentii Lola schiarirsi la voce per attirare l’attenzione di
Gwen, che si voltò
immediatamente verso i nuovi arrivati. Un attimo dopo aveva gli occhi
puntati
nei miei.
«È arrivata la
tua bella.» Disse, gelosa.
«Non
cominciare.» Mormorai, mentre mi asciugavo le mani nel
grembiule.
Eric e Alex
salutarono Dom e Liam con qualche pacca sulle spalle, un bacio sulla
guancia a
Lola e Gwen – alla quale chiesero anche come stava dopo
quello che era successo
con Jessie – e una stretta di mano a me, che ero
dall’altra parte del bancone.
Dopo avermi ordinato due birre si spostarono al tavolo da biliardo con
gli
altri due miei amici, lasciandomi solo – ma non troppo beato,
visto l’astio che
aleggiava nell’aria – tra le donne. Un minuto dopo,
una volta scollatasi di
dosso un tipo di nome Michael, arrivò Amy, occhi puntati
addosso a me e falcate
decise in una – davvero – mini gonna di jeans. Gwen
fece subito roteare gli
occhi al cielo.
«Ehi, occhioni
azzurri…» Mi disse la bionda, sporgendosi sul
bancone appoggiata ai gomiti, per
mettere così in mostra una super scollatura.
Volevo ridere,
ma dovetti trattenermi. Gwen si era girata verso Lola con
un’espressione
sconvolta e le aveva sussurrato qualcosa come «ma la
senti?».
«Amy.» Salutai,
con un cenno del capo.
«Ciao
carissima!» Saltò su poi Lola, con un tono di voce
un po’ troppo alto, al che
Amy si voltò verso di loro accennando un sorriso, che anche
un cieco avrebbe
riconosciuto come falso.
«Ragazze.» Fece
lei, per poi tornare a concentrarsi su di me.
«Mi fai un Sex on the Beach?» Mi chiese,
civettuola, mentre Gwen e
Lola la guardavano basite.
Sapevano
benissimo com’era fatta e che le piaceva fare la gatta morta,
soprattutto con
me.
«Arriva.» Le
dissi io, sempre cercando di trattenere le risate per le facce delle
altre due.
«Vieni a
ballare al Nirvana dopo?» Domandò, qualche secondo
dopo.
«Sì, vai?»
Intervenne Gwen, piuttosto
irritata.
Io le lanciai
un’occhiata divertita.
«Vuoi andare?»
Le chiesi, allora.
«Direi di no.»
Rispose, alzando le sopracciglia.
«Cosa c’entra
lei?» Disse Amy, senza farsi problemi di risultare offensiva.
«Io chiedevo a
te.»
«Stasera è con
me.» Spiegai.
Amy la guardò
storto, ma poi alzò le spalle.
«Beh, non
venite?»
Non le
importava che ci fosse Gwen, evidentemente non pensava potesse essere
un
ostacolo al raggiungimento del suo obiettivo.
«Io no, tu fai
come vuoi…» Rispose Gwen, con un gesto della mano.
Ed ecco il mio
primo “fai come vuoi”, tipica frase usata dalle
donne che, in realtà, significa
tutto il contrario, ossia “non osare farlo o sei
morto”. Sentivo già la mia
libertà andarsene, ma la presi piuttosto con filosofia.
«Non veniamo.» Risposi,
allora, allungando il cocktail ad Amy.
«Se tu hai voglia, non capisco perché dovresti
rinunciare a causa sua.» Disse
lei, sfiorandomi la mano con le dita nell’afferrare il
bicchiere. Io la
ritrassi subito, come se avessi preso la scossa.
Gwen stava per
esplodere dalla rabbia, così cercai di sedare la situazione.
«Anche io non
ho voglia di venire, Amy.» Ammisi.
«Capisco che ti
senti in dovere di starle vicino perché è stata
cornificata, poveretta.»
Dopo quella
frase, ci fu un attimo di silenzio in cui sperai intensamente che non
avesse
pronunciato quelle parole per davvero.
Gwen si alzò di scatto ed afferrò Amanda per il
colletto del giubbotto di pelle
che indossava, tirandola verso l’alto fino a ritrovarsi
così faccia a faccia. La
situazione stava degenerando e anche piuttosto in fretta, ma, seppur
non volessi
che finisse tutto in una rissa, non avevo ancora intenzione di mettervi
fine
perché sapevo benissimo quanto Gwen avesse desiderato quel
momento.
«È da quando ti
conosco che mi trattengo dal prenderti a schiaffi, brutta
stronza.» Sibilò
Gwen, a pochi centimetri dal viso della bionda, che per tutta risposta
le rise
in faccia.
Stava giocando
col fuoco e non se ne rendeva conto: erano anni che Gwen aspettava in
silenzio
il giusto pretesto per darle una lezione.
«Sei solo
gelosa.» Disse Amy. «Non sai nemmeno tenerti un
ragazzo.»
Gwen la sbatté
contro il bancone, facendo cadere il bicchiere che vi era appoggiato.
Il rumore
provocato dalla rottura del vetro catturò subito
l’attenzione delle persone più
vicine.
«Ragazze, per favore…» Iniziai a dire,
per cercare di placare almeno un po’ gli
animi.
«Tu
stai zitto!» Mi urlò Gwen,
dando un’altra spinta ad Amy.
Lola intanto sembrava non aspettare altro che vedere la sua migliore
amica
perdere del tutto il controllo. E ci era davvero vicina. Fortunatamente
Amanda
sembrava non voler reagire più di tanto alle provocazioni
fisiche, si era
limitata ad afferrarle le mani per cercare di staccarsele di dosso.
«Invece, tu che
vai in giro a fare la puttana, sì che sei brava.»
Continuò Gwen, cattiva.
«Ripeto, sei
solo gelosa.» Rispose Amy.
«Ma gelosa di
cosa? Di come sei tu? Non credo proprio.»
«Gelosa che mi
sono scopata il tuo amichetto prima di te. Ops.»
Non feci in
tempo a realizzare che l’amichetto di cui parlava ero io, che
vidi Gwen
sbattere Amy per terra per poi salirle sopra e prenderla per i capelli.
Saltai
immediatamente dall’altra parte del bancone e riuscii ad
allontanare Gwen,
afferrandola per la vita, giusto in tempo per evitare che Amy le
cavasse un
occhio con le unghie. Dall’altra parte, nel frattempo, era
sbucato Jon –
probabilmente attirato dal chiasso – che si occupò
subito di bloccare l’altra
iena, che sembrava pronta per ripartire all’attacco. Sotto
gli occhi di diversi
spettatori, con non poca fatica e tra un insulto e l’altro,
portai Gwen nel
retro del locale per far sì che si desse una calmata.
Mi chiusi la porta alle spalle e mollai la presa attorno alle sue
braccia. Lei
si voltò di scatto verso di me e mi spinse contro il muro
con foga.
«Vaffanculo Matt!» Mi
urlò addosso. «Dovevi lasciarmi fare!»
Sul viso aveva
un graffio che le percorreva tutta la guancia sinistra.
«Va bene
qualche insulto, qualche strattone, ma la rissa no.» Le
dissi, prendendole un
braccio, visto che non sembrava volersi fermare
dall’agitazione.
«Le avrei fatto
passare la voglia di ridere!»
«Sì e lei ti
avrebbe dilaniato la faccia.» Sussurrai, accarezzandole il
viso vicino al
taglio.
Rimase un
attimo in silenzio e poi scoppiò a piangere, forse per colpa
di tutta le
tensione accumulata fino a quel momento. La tirai verso di me e la
strinsi in
un abbraccio.
«Non piangere…
Non merita le tue lacrime.» Mormorai, vicino al suo orecchio.
«Perché ha
dovuto tirare in mezzo anche te?» Mi chiese,
singhiozzando.
«Lasciala
perdere, Gwen.» Dissi, passandole una mano tra i capelli.
«Perché me l’ha
dovuto sbattere in faccia così? Come poteva sapere
l’effetto che mi avrebbe
fatto?» Una domanda dietro l’altra, a cui non
sapevo cosa rispondere.
Forse Amy aveva
solo tirato ad indovinare, forse aveva detto la prima cosa che le era
venuta in
mente, ma quello che era certo era che dopo la reazione di Gwen non
c’era alcun
dubbio sul fatto che provasse qualcosa per me.
«La odio, Matt,
la odio.» Disse, con la testa contro la mia spalla.
«E adesso che sa questa
cosa, sicuramente la prenderà come un incentivo a fare
ancora di più la
troietta con te.»
«Di questo non
devi preoccuparti, Gwen.» Cercai di tranquillizzarla, ma lei
si scostò e si
fece seria.
«Ci sei già
stato a letto, perché non dovresti farlo di
nuovo?» Mi chiese, mentre un’ultima
lacrima le rigava la guancia.
Le presi il
viso tra le mani e la guardai negli occhi.
«Gwen, non ti farei mai una cosa del genere. Non potrei mai,
non a te.»
«Come fai a
saperlo?»
«Lo so e
basta.»
«L’hai detto
anche tu che non puoi negare quello che eri.»
Era vero, ma
non significava che non sarei potuto migliorare.
«Ti prometto
che farò tutto quello che posso per farti stare bene,
Gwen.» Le dissi.
Lei appoggiò la
fronte alla mia, mi circondò la vita con le braccia e
sorrise.
«So che lo
farai.» Mi sussurrò.
Ed in quel momento sentii qualcosa dentro di me.
Qualcosa che mi disse che avrei davvero messo tutto me stesso in quella
storia,
che mi sarei impegnato seriamente, che - per una volta - avrei cercato
di
mettere il bene di un’altra persona davanti al mio,
perché, se nella mia vita
doveva esserci qualcuno di importante, di speciale, non poteva che
essere quella
creatura così fragile ma allo stesso tempo così
tenace e coraggiosa che avevo
di fronte agli occhi. Perché per decidere di stare con uno
come me, ci voleva
davvero tutta.
«Dammi un bacio, bambina.» Mormorai, sollevandole
il mento.
Lei non se lo
fece ripetere due volte. Presto sentii le sue labbra morbide premere
contro le
mie e le sue dita muoversi tra i miei capelli. Le strinsi le braccia
attorno ai
fianchi e la schiacciai contro di me. Ci baciammo per un tempo
indefinito, per
un minuto, forse due oppure tre o quattro. Non avevo mai dato un bacio
così, un
bacio sentito, un bacio così vero.
E
non volevo smettere. Non volevo smettere di sentire quella stranissima,
ma
piacevole sensazione che mi avvolgeva.
Fu lei la prima
a porre fine a quel bacio. Staccò lentamente le sue labbra
dalle mie e poi
appoggiò di nuovo la testa contro la mia spalla.
«Mi farai
impazzire del tutto, me lo sento.» Sussurrò ed io
la strinsi forte.
All’improvviso
la porta che deva sul retro si aprì con un tonfo ed
uscì Lola.
«Scusate
l’interruzione.» Disse, vedendoci mentre ci
allontanavamo uno dall’altro.
«Jonathan ha bisogno di te, Matt.»
«Sì, cazzo,
certo certo.» Risposi, frettolosamente.
Feci un sorriso
a Gwen per congedarmi e mi avviai all’interno del locale,
sentii Lola
farfugliarle qualcosa, ma non mi fermai. La situazione sembrava essersi
quietata, la gente era tornata a farsi gli affari suoi. Andai incontro
a Jon,
che aveva già raccolto i vetri del bicchiere andato in
frantumi poco prima e
stava servendo due ragazzi.
«Eccoti» Disse
e mi indicò un angolo della sala.
«C’è un tavolo nuovo là in
fondo che
aspetta.»
Stavo per andare quando mi fermò, afferrandomi per la manica
della camicia.
«Si può sapere
cosa diavolo è successo?» Chiese.
«Era una cosa
che andava avanti da un po’, cazzate.» Cercai di
rimanere sul vago.
«Non la facevo
così violenta, la tua amica. Mi piace.»
Ridacchiò ed io, senza farmi notare,
feci roteare gli occhi al cielo.
«Dov’è Amanda?»
«Bel peperino
anche lei, ma già lo sapevo.» Commentò.
«Comunque in bagno a sciacquarsi la
faccia e a darsi una calmata.»
«Speravo fosse
già andata via.» Dissi, ma non abbastanza a bassa
voce perché lui rise.
«Veramente l’ho
appena assunta come cameriera.» Confessò.
«Scusa?» Dissi,
esterrefatto.
«Sì, per i
turni serali dal venerdì alla domenica.
C’è troppa gente, in due non ce la
facciamo.»
Stentavo a
crederci. Era da un anno che lo imploravo di prendere un cameriere per
darci
una mano almeno nei weekend, ma non c’era stato verso di
convincerlo, si
lamentava che avrebbe dovuto pagare una persona in più e
secondo lui non
c’erano abbastanza soldi. E ora, dopo tutto quel casino e con
tutte le ragazze
che c’erano, aveva chiesto proprio ad Amy? Volevo uccidermi.
Lei non mi avrebbe dato pace e Gwen non sarebbe mai stata tranquilla
sapendola
intorno a me.
«Cazzo, Jon.»
Dissi, lamentoso.
«Cosa?»
«Fantastico,
eh?» Disse Gwen, apparsa all’improvviso alle mie
spalle.
Ecco cosa le aveva detto Lola poco prima, avendo assistito alla scena
mentre
noi non c’eravamo.
Mi voltai sospirando.
«Io-» Iniziai,
senza sapere veramente cosa dire.
«Non è colpa
tua.» Mi anticipò lei.
«Mi dispiace.»
In quel preciso
istante Amy uscii dal bagno e venne verso di noi.
«Ciao, collega.» Mi disse, una volta vicina,
gongolandosi con stampato in
faccia un sorriso diabolico, che però rivolse solo a Gwen.
Lei scosse la
testa e guardò in aria, mordendosi l’interno delle
guance. Sono certo si stesse
trattenendo dal metterle le mani addosso un’altra volta.
«Amy, gira alla
larga.» Le disse io, serio.
«Ci vediamo
domani sera, tesoro.» Mi rispose, ridacchiando.
«Vado a casa a ripulirmi dal
sudiciume che mi hanno lasciato addosso le mani della tua
amichetta.»
Fortunatamente
Gwen decise di non abbassarsi di nuovo al suo livello e si
limitò a ricambiare quel
sorrisetto cattivo fino a quando Amy non decise di levare il disturbo.
«È così che devi comportarti con lei,
non devi darle soddisfazione.» Dissi a
Gwen, poco dopo.
«Lo so, ma è
difficile.» Rispose lei.
«Torna al lavoro,
campione.» Intervenne Jonathan, vedendo che non
avevo ancora ripreso.
«Vai a casa, hai bisogno di riposarti un
po’.» Suggerii a Gwen, sfiorandole il
braccio con la mano e lei mugugnò qualcosa.
«Ci vediamo domani, okay?» Aggiunsi.
Lei annuì e mi
diede un bacio sulla guancia, poco dopo sparì dietro alla porta
insieme a
Lola.
Presi un
respiro e tornai al lavoro.
Perché doveva essere tutto così difficile?
Ciao! Dopo una settimana eccomi
qui :)
Amy non si vuole levare dalle scatole, ma Gwen è pronta ad
affrontarla; mentre Matt pian piano si sta rendendo conto di non essere
poi così un cattivo ragazzo.
Come sempre, ringrazio tutti i lettori e chi recensisce <3
Chiunque abbia voglia di lasciarmi un commento è il
benvenuto e sarò felice di rispondere.
A presto,
Lady.
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