Storia Impossibile

di Lady Of The Flowers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***



STORIA IMPOSSIBILE


Matt


Una volta sulla riva del mare, lontano dalla calca di gente che ballava, gridava e saltava a destra e a manca, mi sentii quasi come rinascere. Tolsi sneakers e calze, immersi i piedi nell’acqua fresca della notte e mi accesi una sigaretta per godermi quell’attimo di solitudine – perché sapevo bene che, da lì a qualche minuto, si sarebbe sicuramente presentato qualche mio amico a chiedermi che cosa mi fosse preso e perché me ne fossi andato così, proprio quando la situazione si stava facendo più scatenata e interessante, proprio quando Amy aveva deciso di strusciarmi il suo culo sul pacco e anche piuttosto insistentemente. Matt, ma ce la fai?! Già li sentivo. Ridacchiai tra me e me. Era da un po’ che la bionda mi ronzava intorno e che io facevo lo scemo con lei, ma mi stava succedendo qualcosa, qualcosa che non mi era mai capitato prima: all’alba dei miei 23 anni, forse mi stavo innamorando. Io. Proprio io che, fino a quel giorno, il massimo dei sentimenti che avevo provato per una ragazza era un discreto affetto per le sue tette. Comunque sì, credevo di starmi innamorando e lo sentivo, perché stavo proprio male ed era una cosa diversa dal solito; non ero ancora certo che fosse amore, speravo ancora fosse solo una folle attrazione fisica, e poi stavo anche sì perdendo la testa per la persona più sbagliata sulla faccia della terra. Per…
«Matt!» Un colpo apoplettico mi avrebbe fatto meno male di quella voce, giuro.
Mi voltai e con la sigaretta tra le labbra accennai un sorriso. Era lei. Perché proprio lei? Dov’era Dom? Alex? Eric? Qualsiasi altra persona sulla faccia della terra? Ma no, pensai, così è più divertente, vero, stupida entità che stai lassù e ti fai delle grasse risate alla faccia mia?
«Gwen.»
Proprio per lei stavo uscendo pazzo. La mia migliore amica. Dall’asilo. Che stava insieme a uno dei miei migliori amici. Ormai da tre anni a questa parte. Che voglia di tirarmi un colpo.
Quanto ero rimasto da solo? Due minuti? Neanche il tempo di finire una sigaretta.
Si avvicinò. «Cosa fai qui tutto solo? Ti sei per caso offeso perché Amy ha deciso di fare un po’ di preliminari prima di sbattertela in faccia?» Rise.
Scoppiai a ridere anche io. «Offesissimo!» Mentre risi il fumo le andò dritto in faccia, scosse la mano per farlo andare via, ma ormai i suoi occhi erano diventati lucidi e l’azzurro era ancora più acceso.
In realtà l’unico motivo per cui avevo deciso di allontanarmi era lei. Guardare le labbra di Jessie aspirarle la faccia mi stava causando un attimo di disgusto e una non gradevole sensazione alla bocca dello stomaco. Gelosia, credo. E né io né il mio amico laggiù stavamo dando molta attenzione ad Amy e al suo culo, quindi tanto valeva dissociarsi dalla situazione per un attimo e prendere un respiro.
«No, sul serio» Disse. «Sei scappato, tutto ok?» Si era fatta seria e io non avevo voglia di un discorso serio, soprattutto non volevo dirle il perché.
«Ma tu non stavi mica cercando di avere un bambino con Jessie, circa due minuti fa?»
«Mmm no, mi sa che quello eri tu con Amy.» Rispose acida, ma divertita.
«Non voglio diventare zio così giovane.» Mi lamentai.
«Nemmeno io.»
«No, infatti tu diventerai madre.» Ridacchiai.
«Oddio, piantala di dire stronzate!» Mi diede uno spintone e la sigaretta, ormai quasi finita, cadde in acqua. Guardai il mozzicone venir trascinato via dalla corrente e poi alzai lo sguardo su Gwen.
«Non mi guardare così, dai! Non ho fatto apposta!» Disse preoccupata e dispiaciuta. «Poi era quasi finita! Non fare lo-» Non fece in tempo a finire la frase che l’avevo già tirata su di peso e stavo correndo dentro l’acqua.
«Stronzoooo!» Urlò lei, picchiandomi i pugni sulla schiena. Io ridevo.
Mi fermai quando avevo l’acqua appena sopra alle ginocchia. Gwen era avvinghiata stretta al mio collo e cercava di non scivolare.
«Non fare il cretino, Bellamy.» Mi disse piano nell’orecchio. Un brivido partì da lì e mi percorse la schiena. Cercai di non farci caso.
«Dovrei farlo.» Risposi, allargando le braccia che poco prima erano intorno al suo corpo. «Così magari impareresti finalmente a non spingere quando ti arrabbi.» Lei strinse ancora di più la presa attorno al mio collo per tirarsi su e le gambe dietro la schiena.
«Non mollarmi, ti prego! Giuro che non lo faccio più!
Ti insulterò e basta, ma le mani le terrò posto! Prometto!» Disse preoccupata.
Mi stavo divertendo. Non avevo ancora deciso se buttarla in acqua o no. Sentire il suo corpo caldo contro il mio era una sensazione piuttosto piacevole.
«E’ da quando abbiamo cinque anni che mi dici che non lo farai più…» Le feci notare.
«Evidentemente è da quando abbiamo cinque anni che fai lo stronzo!» Rispose.
E quella fu l’ultima cosa che disse prima che mi lasciassi cadere nell’oceano con lei. Teneva le braccia e le gambe così strette attorno a me che non sarei riuscito a staccarla, quindi, dopo quella dichiarazione di guerra, l’unica cosa che avrei potuto fare era lanciarmi dentro anche io. E così feci. Sott’acqua riuscì a tirarmi un calcio sul ginocchio e quando riemersi mi ritrovai le sue mani intorno al collo.
«Io ti ammazzo!» Gridava dimenandosi. «Stupido deficiente!»
Quando riuscì a staccarle le mani, corsi sulla spiaggia per riprendere fiato e poi mi voltai verso di lei. Non so se si accorse di come la guardai in quel momento, ma io me la stavo davvero divorando con gli occhi. Veniva piano verso di me, strizzandosi i capelli bagnati e ormai lunghi fino sotto al seno con quel vestito bianco - che popolerà per sempre i miei sogni erotici –, adesso trasparente, appiccicato al suo corpo perfetto. Mi accorsi dopo poco che non portava il reggiseno e dovetti fare appello a tutta la mia forza di volontà per non fissare proprio in quel punto.
Avrei voluto essere una mosca per vedere il tutto da fuori. Un cretino incantato e con la bava alla bocca che guardava una Venere meravigliosa uscire dall’acqua. Uno scena pietosa, insomma.
Una volta di fronte a me mi guardò dritto negli occhi e sussurrò: «un giorno o l’altro ti uccido, sappilo» e mi diede un altro spintone. Io indietreggiai un po’, ma lei mi si lanciò ancora contro e cademmo a terra. Lasciai perdere il dolore provocato dalla botta, solo perché le uniche cose su cui riuscivo a concentrarmi in quel momento erano le sue labbra a pochi centimentri dal mio viso e il suo seno contro il mio corpo.
«Dio, che voglia di soffocarti qui seduta stante.» Disse, mettendomi ancora le mani al collo.
Dio, che voglia di baciare quelle labbra rosa… era l’unica cosa che avrei potuto rispondere.
«Guarda come cazzo devo andare in giro conciata adesso!» Si tirò su, rimanendo ancora a cavalcioni sopra di me e mostrandomi il vestito bagnato – il mio sguardo, per quanto cercai di trattenermi, cadde inevitabilmente sulle sue tette -, subito dopo lei lanciò un urletto. Immediatamente si coprì con un braccio. «Oltre che stronzo sei anche cretino!» Squittì. «Sono praticamente nuda e nemmeno me lo dici?! Poi cosa mi guardi le tette?» Mi diede un pugno sulla spalle e io scoppiai a ridere. Ridevo, ma speravo solo che non si accorgesse dei miei pantaloni che si erano fatti più stretti sotto al suo peso.
«Non ti ammazzo di botte solo perché sei carino quando ridi.» Disse, passandomi la mano libera tra i capelli bagnati. «Però me la pagherai, e anche cara.» Si alzò e si tirò giù il vestito che si era alzato sui fianchi. Lanciai un’occhiata veloce e riuscii a vedere il tanga che portava sotto.
Dio mio. I pantaloni mi stavano esplodendo. Il mio cervello mi ricordò che era la mia migliore amica e che di solito non era giusto e normale fare pensieri del genere su di lei. Il mio apparato genitale, nonostante tutto, non era assolutamente d’accordo. Ciò mi fece sperare fosse solo attrazione fisica.
Mi misi a sedere e lei si voltò a guardarmi.
«Beh? Rimani lì così? I tuoi vestiti sono pieni di sabbia.» Constatò.
Non era decisamente il caso di alzarsi vista la situazione là in basso.
«Fra poco vado di sopra e mi cambio.» Risposi.
«Mi accompagni? Direi che non posso andare in giro così.»
«Perché no? Sai quanti apprezzerebbero?» Risi, facendole l’occhiolino. Io per primo.
Inclinò la testa da un lato e mi lanciò un’occhiata che diceva tutto.
«Dai, accompagnami in camera, così poi torniamo alla festa tutti e due.» Disse poi.
Mi tese una mano, io le tirai una leggera sberla e mi alzai da solo. Contai poi sul fatto che c’era poca luce e che lei non mi avrebbe mai guardato ad altezza cavallo dei pantaloni.
«Sgarbato. Sei proprio sgarbato.» Ridacchiò lei.
Ci avviammo verso l’hotel. Passammo vicino al casino e notai con la coda dell’occhio Amy che ci guardava. Di fianco a lei c’erano Dom e Jessie, lei tirò una gomitata a Jessie e ci indicò. Lui di tutta risposta fece spallucce e si girò dall’altra parte a parlare con una ragazza. Incredibile quanto poco gliene fregasse di Gwen o quanto si fidasse di me. Io forse qualche dubbio me lo sarei fatto venire al suo posto. Mi sentii un po’ una merda ad aver fatto quei pensieri sulla mia migliore amica. Ma quando arrivammo in ascensore e vidi quanto era bella il tutto riprese di nuovo.
«Ho un po’ freddo.» Disse.
«Se non fossi venuta a rompermi le palle saresti ancora asciutta.»
«Se tu non fossi uno stronzo, vorrai dire.» Gracchiò.
«Un punto per te, Morrissey.» Le diedi un colpetto sulla spalle.
«Quindi come mai eri là tutto solo?» Chiese.
Cristo, non si arrendeva. Intanto le porte dell’ascensore si aprirono sul nostro piano. Io ero in una stanza con Dom in fondo al corridoio, lei con la sua amica Lola poco più avanti da dove eravamo scesi. Feci finta di non aver sentito e mi avviai verso camera mia.
«Cinque minuti e io sono pronto.» Dissi. «Ti aspetto qui fuori?»
Lei mi guardò male. «Fai come vuoi.» Rispose e fece per andarsene.
Mi sentii un po’ in colpa, così mi inventai qualcosa. «Ero da solo perché avevo bisogno di respirare un attimo, tutto quel gin mi ha dato un po’ alla testa e dovevo riprendermi. Se no col cavolo che più tardi sarei riuscito a centrare il buco di Amy!» Urlai, quando lei era già quasi davanti alla camera.
Si girò e scoppiò a ridere. «Sei proprio un cretino, Matt!» Disse, prima di entrare e chiudere la porta. La sentii continuare a ridere anche una volta dentro.
Quant’è carina, pensai, ma poi scossi le spalle come per scacciare quello stupido pensiero.
Andai in camera mia per cambiarmi, ero completamente fradicio. Avrei dovuto anche farmi una doccia a dirla tutta. I capelli erano pieni di sale, come anche tutto il resto del corpo, così mi spogliai e mi sciacquai. Una volta fuori dalla doccia non feci in tempo ad allacciarmi l’asciugamano intorno alla vita che sentii dei colpi alla porta. Pensai potesse essere Dom, ma poi mi dissi che non era sicuramente lui perché le chiavi ce le aveva.
«Chi è che rompe?» Chiesi mentre mi infilavo un paio di boxer.
Ancora due colpi. Andai ad aprire. Davanti a me trovai Amy, decisamente più ubriaca di come l’avevo lasciata, che mi si lanciò addosso. La afferrai per la vita per tenerla su. Risi.
«Cosa ci fai qui, biondina?» Le dissi e lei puntò gli occhi nei miei.
«Mi piace quando mi chiami biondina…» Mi rispose vicino all’orecchio e prese a mordermi il lobo.
Avevo capito benissimo cosa era venuta a fare. Mi afferrò il viso tra le mani e mi diede un bacio, poi un altro, dischiuse le labbra e così feci anche io, le lingue si incontrarono. Diede un calcio alla porta e mi spinse verso il letto per poi mettersi a cavalcioni sopra di me. Pensai a Gwen, le avevo detto di trovarci per tornare giù insieme. Pensai alla sua risata. Se si sarebbe arrabbiata o meno. Ma poi pensai anche che non era la mia ragazza e che non avrei dovuto darle nessuna spiegazione. Avevo tra le braccia una donna che non aspettava altro che fare sesso con me, quale metodo migliore per togliermi dalla testa Gwen e gli strani pensieri degli ultimi giorni?
Amy si sfilò il vestito e si tolse il reggiseno. Poi mi abbassò i pantaloni e l’ultima cosa che ricordo erano le sue labbra e la sua bocca calda attorno a me e le sue unghie piantate nella pancia.

Un’ora e mezza dopo guardai la sveglia sul comodino. Le 2.17 di notte. Di Dom ancora nemmeno l’ombra, in compenso Amy dormiva di fianco a me, il solo lenzuolo a coprirle il corpo nudo.
Non riuscivo a dormire. Ero stanco, ma il mio cervello non voleva spegnersi. Chiudevo gli occhi per cercare di addormentarmi, ma lo stronzo sapeva solo mandarmi in loop l’immagine di Gwen che usciva dall’acqua con quel vestito ormai trasparente completamente appiccicato al corpo. Finivo poi per vedere le sue labbra a pochi centimetri dalle mie e sentivo le farfalle nello stomaco. Le farfalle nello stomaco, ragazzi. C’era davvero qualcosa che non andava. Ero seriamente preoccupato.

Dopo quasi due ore passate a tentare di dormire, presi il telefono che stava sul comodino per fare un giro su qualche social. Ma avevo due messaggi.

Sono venuta davanti alla tua camera, stavo per bussare, ma le urla di piacere che risuonavano mi hanno fatto cambiare idea. Sei davvero un fuoriclasse, Bells. G.

Sto riuscendo a fare ubriacare Lola come si deve. Stasera mi diverto. Se non torno sai perché. Dom.

Sorrisi soffocando un risata per non svegliare Amy.
Quindi Gwen mi aveva sentito. Anzi, più che altro aveva sentito Amy.
Il “sei davvero un fuoriclasse” mi fece ridere. Dovresti provarmi, pensai. Cazzo, pensai subito dopo. Mi morsi la lingua come se l’avessi detto. Non sapevo se arrendermi all’idea che mi piacesse parecchio o cercare con tutto me stesso di farmela passare. Magari portarmela a letto avrebbe risolto la situazione. Nel senso che avrei di certo capito che non ne ero innamorato ma avevo avuto, fino a quel momento, solamente una voglia pazza di scoparmela. C’erano però troppe complicazioni. Avrei sicuramente rovinato la nostra amicizia e quella con Jessie e beh, anche il loro rapporto. Poi chi me lo assicurava che lei avrebbe accettato di farsi scopare dal suo migliore amico? Nessuno. Era tutto una cretinata.
Amy si schiacciò contro di me e mi cinse la vita con il suo braccio. Stavamo esagerando. Speravo che la mattina dopo non si sarebbe svegliata con qualche strana idea in testa, del tipo che saremmo dovuti stare insieme per sempre o cose del genere. Scopamici, senza problemi, ma tutto il resto di contorno, no grazie.
Risposi ai messaggi, prima a Dom e poi a Gwen.

Lola non te la dà neanche se piangi, sfigato.

Potevi unirti. Quante volte ancora dovrò insegnarti ad approffitare delle situazioni?

Poco dopo, finalmente il mio cervello decise di darmi un po’ di pace e si spense. Mi addormentai.



Ciao a tutti/e.
Innanzitutto, vorrei ringraziare chi ha letto o anche solo aperto la fic per darle un'occhiata.
Mi piacerebbe davvero molto conoscere il vostro parere, anche solo due righe, almeno per sapere se qualcuno è interessato. Ci tengo molto a questa storia e il secondo capitolo, volendo, sarebbe anche già pronto.
I nomi (solo quelli! non l'aspetto fisico) di Matt e Dom sono ispirati ai miei adorati Muse, Matthew Bellamy e Dominic Howard.
Attendo con ansia un riscontro.
A presto (spero!) e buone vacanze a tutti.

Lady Of The Flowers


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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Matt



La mattina mi svegliai con in testa “Jessie’s girl” e capii che la situazione stava degenerando e neanche troppo lentamente. Diedi un pugno sul letto. Cristo. Amy nemmeno se ne accorse, dormiva ancora, ma non più addosso a me, fortunatamente. Mi alzai dal letto e diedi un’occhiata in giro. Dom non c’era, non riuscivo a credere che fosse davvero riuscito a portarsi a letto Lola. Impossibile, pensavo, impossibile. Afferrai il pacchetto di Marlboro e l’accendino sul comò e uscii sul balcone, cercando di fare il meno rumore possibile. Mi accesi una sigaretta e mi sedetti sulla ringhiera. Guardai l’oceano; c’era già qualcuno in spiaggia, ma era ancora tutto una meraviglia. Amavo stare in mezzo al casino, ero il primo a farne, ma a volte era anche bello vedere un po’ di tranquillità. Chiusi gli occhi per un secondo, presi un respiro e sbam, ancora: “Jessie is a friend,
yeah, I know he's been a good friend of mine. But lately something's changed. It ain't hard to define. Jessie's got himself a girl and I want to make her mine..
”. Dio mio, volevo uccidermi. Guardai giù, ero al terzo piano, un po’ di male me lo sarei fatto a buttarmi di sotto. Poi sembrava fatto apposta. Il cantante vuole la ragazza di Jessie, io volevo la ragazza di Jessie. Il mio cervello malato mi stava prendendo per il culo, non sentivo quella canzone da anni e tutto d’un tratto, tac, eccola lì. Nel momento giusto, o sbagliato che fosse.
Mi passai la mano tra i capelli e li tirai un po’, che voglia di farmi del male. Soffiai via il fumo e sentii dei rumori provenire da dentro la stanza. Mi alzai per andare a vedere. Dom era appena entrato, lo vidi chiudere la porta e voltarsi verso il mio letto. Sorrise e scosse la testa dopo aver visto Amy tra le lenzuola e poi, finalmente, si accorse di me. Mi fece i due pollici all’insu e venne verso la finestra.
Uscii sul balcone e mi diede una spallata leggera.
«Sei sempre il solito, Bells. Non ti si può lasciare solo un attimo che te le scopi tutte tu. Lasciane un po’ anche agli altri! E dai!» Ridemmo tutti e due insieme, cercando di trattenerci un po’.
«Lo chiamavano lo scopatore seriale!» Dissi e lui mi diede un pugno sulla spalla.
«Il migliore fra tutti! Vorrei avere il tuo uccello, amico.» Rispose.
«Okay, okay, adesso basta complimenti.» Gli diedi una gomitata leggera e gli offrii la fine della mia sigaretta, lui la afferrò e fece un tiro.
«Allora?» Chiesi, curioso. «Lola?»
«E’ successa una cosa.» Rispose in tono piuttosto serio, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
«Cosa?» Non sapevo cosa pensare.
«Te lo dico io, anche se non spetterebbe a me, ma visto che ero presente…»
Cosa cazzo è successo, pensai.
«Hai combinato qualcosa che non dovevi con Lola?»
Mi immaginai che magari si fosse rotto il preservativo o qualcosa del genere.
«No, cioè, ero con lei, ma poi è andato tutto a puttane…» Rispose.
«Perché?»
«Ha chiamato Gwen. Piangeva.»
Mi preoccupai. Pensai di tutto.
«Cosa cazzo è successo?» Finalmente lo dissi ad alta voce.
«Ha beccato Jessie sbattersi un’altra dietro un cazzo di albero in spiaggia.» Rispose, mentre si grattava la nuca.
Cazzo. Merda. Cazzo.
«Merda.» Sussurrai.
«Già.»
«E quindi?»
«Quindi io e Lola l’abbiamo raggiunta, continuava a piangere e…»
«Ma Jessie?»
«Jessie non lo sa, credo.»
«Come non lo sa?!»
«No, non l’ha vista e lei non è andata da lui.»
«Ma-»
«Neanche Lola non riesce a spiegarsi perché, chiunque sarebbe andato lì per spaccargli la faccia.»
«Cristo, che coglione.»
Dom annuì e iniziò a picchiettare nervosamente le dita sul balcone.
Guardammo entrambi verso l’oceano. Mi passai le mani tra i capelli e poi le incrociai dietro la nuca.
«E adesso?» Chiesi.
«Adesso non lo so. Le ho lasciate in camera un’oretta fa, Gwen perlomeno aveva smesso di piangere.» Rispose.
«Okay.»
Silenzio.
«Dici che devo far finta di niente?» Domandai ancora.
«Sinceramente non saprei. Forse sì. Però d’altronde lo sanno che siamo in camera insieme.»
«Che razza di coglione deficiente.» Commentai ancora. «Adesso mi tocca anche dividermi. I miei due migliori amici che litigano... Fantastico.»
La cosa sarebbe potuta andare a mio favore per quanto riguardava la questione “io e Gwen”, ma in quel momento non ci pensavo. Sapevo che lei stava male sul serio e non era il caso di fare l’idiota.
«Lo so, è un bel casino.» Rispose Dom.
«Sarei dovuto esserci io. Invece ero qui con quella.» Dissi, indicando con il pollice dietro di me.
«Non fartene una colpa. Poi non era da sola, c’era Lola.»
«Gli avrei spaccato la faccia.»
«Lo so bene.» Disse. «Quindi forse è andata meglio così.»
«Non vedo Gwen piangere dalle superiori e ricordo che non mi aveva fatto piacere vederla così.»
Tanto per la cronaca ero stato io a farla piangere, quella volta. Mi ero comportato da vero stronzo, come mio solito, e lei c’era rimasta davvero male. Per fare pace le avevo regalato un orsacchiotto di peluche, cosa assolutamente non da me, visto che non mostravo affetto a nessuno, tantomeno a lei; ma quella volta mi ero sentito proprio una merda e avevo cercato di rimediare in qualche modo. Sapevo che il peluche era ancora in camera sua, ma non le chiesi mai niente a riguardo.
La faccia potrei spaccargliela lo stesso, pensai. Volevo proprio sapere perché si fosse comportato così da testa di cazzo, praticamente sotto gli occhi di Gwen. Stavano insieme da così tanto tempo che non credevo ne sarebbe stato capace. Sapevo che lei ci teneva. Sapevo quante persone aveva allontanato per stare con lui, quanti no aveva detto. Lui forse no, ma io sì. Ricordo che, un paio di anni prima, una sera l’avevamo passata insieme ed eravamo finiti a ridere ubriachi sul tappeto di camera sua. Lei mi aveva dato una spinta – al solito -, io le avevo tirato un pizzicotto, ancora una spinta e un altro pizzicotto finché non ci eravamo trovati vicini, così tanto vicini che le avevo accarezzato il viso e spostato i capelli biondi dietro l’orecchio. Avevo visto un brivido percorrerle il collo, proprio lì dove l’avevo sfiorata. Tutti e due ci eravamo accorti della tensione che aleggiava in quella stanza. In quel momento, io desideravo le sue labbra esattamente come lei desiderava le mie. Ma quando avevo fatto per avvicinarmi, lei, come se niente fosse, si era girata dall’altra parte e mi aveva detto: «Io ho sonno, dormi qui o vai a casa?» e così era tutto sfumato. Ma era andata bene così, sarebbe stato un errore. Ovviamente poi ero andato a casa. Non ne parlammo mai. Entrambi facemmo finta di niente per giorni, fino a quando sembrò che tutto fosse stato dimenticato; ma, come vedete, mi ricordavo tutto benissimo, anche le sensazioni provate. Non sapevo se anche per lei fosse stato come per me, ma ero convinto di sì.
Fatto sta che lei aveva resistito a chiunque, me compreso, sobria o ubriaca che fosse.
«Non è stato un bello spettacolo, in effetti.» Commentò Dom.
«Andrò da lei fra qualche ora. Magari adesso sta dormendo.» Dissi.
«Probabile.»
Sentimmo entrambi dei rumori provenire da dentro la camera. Dom mi lanciò un’occhiata.
«Mi sa che qualcuno si è svegliato…» Mi fece segno con la testa.
«Fantastico.» Sussurrai e un secondo dopo apparve Amy sul balcone.
Aveva addosso una mia maglietta. Decisamente stavamo esagerando.
«Buongiorno.» Disse, accompagnando il tutto con un gesto della mano.
Io la stavo guardando male, quando Dominic mi diede una gomitata e rispose. «’Giorno, Amy.», al che accennai un sorriso falsissimo e la salutai anche io. Lei venne verso di me, ma io feci per entrare in camera.
«Forse dovresti andare, abbiamo un po’ da fare questa mattina.» Dissi, anche se in realtà non era assolutamente vero, volevo solo che si togliesse la mia maglietta e portasse il suo bel culo fuori da lì. Niente legami, niente di niente.
Nello specchio di fronte a me vidi riflessia Amy che guardava Dom con aria interrogativa chiedendo “perché” a bassa voce e lui scuotere la testa e allargare le braccia. Mi sedetti poi sul bordo del letto e la guardai raccogliere il suo vestito e avviarsi alla porta.
«La mia maglietta.» Dissi e le rivolsi un sorriso senza denti.
«Dio, quanto sei stronzo, Matt.» Commentò lei, sfilandosela in modo stizzito. Me la lanciò addosso e uscii sbattendo la porta.
«Ciao, biondina!» Urlai e poi mi lasciai cadere sul letto.
Dom rientrò. «Sei proprio un gran coglione.» Rideva.
«Impara a prendere le mie cose.
» Dissi.
«Era una maglietta del cazzo.»
«Un maglietta del cazzo, mia.» Sottolineai.
«Non troverai mai una ragazza.»
«Non è il mio obiettivo.»
«Vero. Il tuo obiettivo è scopartele tutte e poi mandarle a fanculo.»
«Centrato in pieno.»
Dominic rideva come un bambino.
Io sospirai. Ero proprio uno stronzo. Avevo davvero pensato che avrei potuto portarmi a letto Gwen senza un minimo di rimorso? Che schifo. Che schifo di persona. Che schifo di amico.

Il pomeriggio mi arrivò un messaggio mentre guardavo la tv. Era di Gwen.

Dove sei?

Non ero uscito quella mattina, perché temevo di incontrare Jessie e sentire l’impulso di doverlo prendere a calci in culo davanti a tutti. Così avevo dormito ancora un po’ e cercato di rilassarmi. Per quanto riguardava Gwen, avevo deciso di aspettare che mi cercasse lei. Le avrei detto che Dom mi aveva spiegato l’accaduto, ma che comunque avevo preferito fosse lei a parlarmene per prima. Non volevo fare l’impiccione, cosa che, per l’appunto, non ero.

Camera. Ti raggiungo? Mi raggiungi?

Due minuti e sono lì.

Ero in boxer, così mi infilai velocemente un paio di pantaloncini e cercai di sistemare alla bell’e meglio i due letti per non fare la figura del barbone. Due minuti dopo spaccati, bussò alla porta. Aprii e mi appoggiai allo stipite. Mi guardava con due occhi gonfissimi e di un azzurro quasi accecante, i capelli raccolti in uno chignon scompigliato e un’espressione che non riuscivo a decifrare. Le sorrisi, lei mi spinse dentro appoggiandomi la mano al centro del torace, poi chiuse la porta alle sue spalle.
Mi lanciò un’occhiata glaciale.
«Giurami che non lo sapevi.» Disse.
Quindi sapeva che sapevo che cosa era successo. Ma cosa intendeva?
«Cosa?» Domandai, allargando le braccia.
«Cominciamo bene.» Fece roteare gli occhi.
«Gwen, spiegati.»
Sbuffò.
«Dimmi che non sapevi niente di Jessie e quella troia.»
«Ma stai scherzando?!» Sbottai. «Che cazzo dici?»
Speravo non lo pensasse veramente.
«Non si sai mai. Sai… Magari tra stronzi ve la intendete.» Sibilò.
La afferrai per un polso. «Ti sei rincretinita tutto d’un colpo?»
«Non mi sono rincretinita! Siete voi che non sapete tenervi una ragazza! Se non ve ne scopate abbastanza state male!» Urlò e mi diede uno strattone per togliere il polso dalla mia presa.
Non la mollai e le presi il viso con l’altra mano per obbligarla a guardarmi.
«Io non sono il tuo ragazzo, Gwen. Se voglio scoparmi dieci ragazze al giorno, posso farlo.» Dissi. «Non è che se siamo amici significa che io lo abbia obbligato a fare quello che faccio io. Non mi sono mai legato a nessuna e continuo a non farlo, non ho mai voluto ferirle e per questo non mi sono mai fidanzato con nessuna di loro. Se il tuo moroso è un coglione patentato non è colpa mia.» Continuai, piuttosto incazzato.
Quando fece per abbassare la testa, gliela tenni su.
«Di certo non gli ho detto io di farsi un’altra e sai bene che non lo farei mai.» Dissi, abbassando il tono di voce. «Non sei arrabbiata con me, quindi smettila.»
I suoi occhi erano puntati nei miei. Una piccola lacrima si formò all’angolo di entrambi. Mollai la presa e subito le sue braccia mi circondarono in un abbraccio. Stringeva forte, molto forte.
«Scusami, Matt.» Sussurò. «Hai ragione, io non ce l’ho davvero con te» Mi strinse ancora di più, quasi fosse possibile.
Inspirai il suo profumo. Sapeva di vaniglia. Mi accorsi anche di non star ricambiando l’abbraccio, così rimediai. Le presi la nuca e le feci appoggiare la testa alla mia spalla. Singhiozzava leggermente, ma ormai non riusciva nemmeno più a piangere come si deve perché probabilmente aveva finito le lacrime.
«Sono contento che ti sia resa conto delle stronzate che stavi dicendo. Non ci è nemmeno voluto tanto, ce la siamo cavata in fretta.» Commentai.
«Sei sempre così delicato e dolce nel dire quello che pensi, Matthew.» Disse, sarcastica.
«Matthew mi chiama solo mia madre quando è incazzata.» La sentii sorridere sulla mia spalla.
Sciogliemmo l’abbraccio e la scrutai un po’, mentre la tenevo per le spalle. Cercai di farle un sorriso comprensivo. Non ero per niente bravo in queste cose. Menomale che sono nato uomo, pensai, come donna sarei stato un completo disastro.
La accompagnai a sedersi sul mio letto. Io mi misi per terra di fronte a lei. Ci fu un attimo di silenzio.
«Cosa ho sbagliato?» Chiese, poi.
«Niente.»
«A quanto pare qualcosa sì.»
«Gwen, cerca di vederla in un modo meno pessimistico. Siamo giovani, non dobbiamo mica sposarci adesso. Era l’uomo della tua vita?» Tentai di convincerla che non era mica la fine del mondo, quella.
«No. Cioè, non lo so. Ci stavo bene insieme, ecco tutto.» Rispose, un po’ confusa.
«Ti sei risposta da sola, allora. Non farne una tragedia.» Le dissi.
La vidi agitarsi. «Certo, per te è tutto così facile! Non provare mai niente per nessuno ha i suoi lati positivi, non lo metto in dubbio. Ma qui la cosa è diversa.” Sbottò.
Mi passai una mano fra i capelli. In effetti non ero la persona migliore per poterla consigliare in questa situazione. Anzi, ero decisamente la peggiore. Anche se dei sentimenti ce li avevo anche io, nonostante tutti mi descrivevano quasi come un robot.
«Non posso aiutarti, allora.» Sussurrai.
«Non ho detto questo. È solo che tu la fai subito facile. Vorrei solo un po’ di supporto da parte tua.»
Scivolò anche lei per terra. Tenevo la testa bassa. Mi sentivo in colpa perché non ero capace di fare l’amico come si doveva.
«Quanto vorrei essere come te, a volte.» Mi disse, dandomi un buffetto affettuoso sul polpaccio.
«Sconsigliabile.» Feci io, con un mezzo sorriso.
Lei rise leggera. Era bello sentirla ridere. Poi però torno ancora seria.
«Comunque non lo sa ancora che l’ho beccato.» Disse a bassa voce.
«Gwen, ma perché?! Cazzo, dovevi andare là subito!» Mi alterai un attimo. Io questa cosa davvero non la capivo. Non mi andava giù che gli avesse lasciato finire la sua bella scopata in pace e tranquillità, quando lei era stata male tutta la notte.
«Non lo so neanche io perché.» Le disse con un tono strano, che non capii.
«Non vorrai mica fare finta di niente e lasciar perdere spero.» Le scossi la gamba.
«Non lo so.»
Mi alzai di scatto e lei si spaventò. Non era la risposta che volevo.
«Ah, cazzo! No, Gwen! Non puoi farti prendere per il culo così! Ma stiamo scherzando? Lui va in giro a scoparsi la prima che passa e tu stai in camera a piangere e a fare la brava ragazza?» Urlai. «Ma non ci siamo proprio!»
«E’ che- Cominciò, ma non la lasciai finire.
«E’ che, un cazzo!» C’era l’anta dell’armadio aperta, così ne approfittai per fare un po’ di scena e la sbattei con violenza. Lei serrò gli occhi al rumore. «Se tu ci torni insieme senza dire niente, prima lo ammazzo di botte e poi gli dico il perché… se è ancora vivo.» Sibilai.
Si alzò anche lei. «Ma manco avesse messo le corna a te!» Gridò. «Smettila di dire queste stronzate! Tu non ammazzi di botte proprio nessuno!»
Alzai le spalle. «Vedremo.» Dissi a bassa voce.
In quel momento la stavo solo provocando. Non avevo davvero intenzione di dargliele di santa ragione e di certo non volevo ucciderlo, volevo solo che lei capisse. Anche se, comunque, due schiaffoni Jessie se li sarebbe solo meritati.
Mi venne addosso e mi colpì al braccio.
«Se gli metti le mani addosso, puoi considerare la nostra amicizia finita.» Disse, arrabbiata.
Le presi la mano con cui mi aveva colpito e la tirai verso di me. Stava dando i numeri.
«Ma ti rendi conto che lo stai difendendo? Dopo quello che ti ha fatto?» Domandai, cercando di tenere un tono pacato.
Rimase in silenzio. Guardava in basso. La vidi deglutire.
«Non lo sto difendendo.»
«Sì, invece.»
«Vorrei solo che non litigaste voi due per colpa mia.»
«Al massimo per colpa sua.»
«Sì, ma tu non c’entri in questa storia.»
«Okay, se preferisci mi faccio da parte.» Dissi e mi arresi. «Se vuoi far finta di niente, tornarci insieme e farti prendere per il culo, liberissima di farlo. Sappi solo che sbagli.» Si concluse così il cazziatone di Matthew James Bellamy a Gwen Morrissey.
Lei mi rispose con un “okay” sussurrato e poi mi spinse sul letto. Ci si buttò sopra anche lei e abbracciandomi mi disse: «Adesso fammi ridere, stupido scemo.»



Ehilà, sono di nuovo qui.
Ringrazio tanto chi ha trovato il tempo di lasciarmi un commento (spero di poterne trovare altri :) ) al primo capitolo e chi ha messo la storia fra le seguite. Grazie, grazie.

La canzone Jessie's Girl è di Rick Springfield, ma l'ho conosciuta tramite Glee anni fa.

A presto.
Lady.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


capitolo 3

Matt


Guardai l’orologio. Era quasi ora di cena. Un’idea.
«Stasera ti porto a ballare.» Dissi a Gwen, mentre le tenevo un braccio intorno alle spalle, sdraiati sul lettone in camera mia.
«A ballare?» Mi guardò negli occhi, dopo essersi voltata verso di me.
«No?»
«Sì.» Mi sorrise.
Ricambiai e le diedi una stretta un po’ più forte.
Volevo farla svagare un po’, ne aveva bisogno. Il pomeriggio, in linea di massima, non era andato malissimo: ero riuscito a farla ridere un po’, avevamo guardato Playing It Cool con Chris Evans – Gwen aveva insistito tanto e non avevo avuto il coraggio di dirle di no – e mi ero ritrovato un sacco nel protagonista, ma non credevo di essere messo così male. Sarei davvero arrivato al punto di non riuscire a pensare a nessun’altra all’infuori di lei? Di non voler altro che lei? Che angoscia.
Comunque, c’era stato anche qualche momento no. Entrava in crisi, mi diceva che non sapeva cosa fare. Io avevo cercato di convincerla a non perdonare Jessie, sarebbe stato un grande sbaglio. Se a ventitré anni ti fai già mettere i piedi in testa dal tuo ragazzo, significa che ne sarai per sempre succube e che non riuscirai a farti rispettare, in nessuna relazione, mai. E, soprattutto, si sa, il lupo perde il pelo, ma non il vizio. L’aveva fatto una volta, perché dire di no ad una seconda e una terza? Lei però non era del tutto convinta, ed era una cosa che non sopportavo. In quei momenti non pensavo a me, al fatto che sarebbe potuto andare a mio vantaggio, ma solo a lei. Volevo che stesse bene, sopra ad ogni cosa. La guardavo e pensavo che un essere così bello non poteva meritarsi di provare dolore, di stare male. Stavo davvero uscendo pazzo.
Forse è meglio non andare soli, questa sera, pensai.
«Se vuoi, dillo anche a Lola.» Incalzai. «Io lo dico a Dom.»
Fece un risolino. «A qualcuno piace Lola?» Chiese.
«Perché, non si era ancora notato?» Dissi, divertito.
«È che Dom non è mai davvero serio, quindi non ci credevo veramente a questa sua cotta; ma a quanto pare…» Mi rispose.
«Cotto stracotto, ma non lo ammetterà mai.» Ridacchiai.
«Sarebbero carini insieme.» Commentò lei.
«Concordo.» Dissi.
Si portò una mano alla bocca, che aprì fingendo stupore.
«Rinunceresti al tuo amico di uscite così?!» Rise.
«Me la cavo bene anche da solo.» Le feci l’occhiolino.
«Lo so.» Sussurrò e poi si alzò dal letto. «Adesso raggiungo Lola e glielo chiedo, ti mando un messaggio appena so qualcosa. Al massimo siamo solo io e te.»
«Io e te, tu ed io, senza dirci mai addio?» Cantilenai, quasi d’impulso.
Era una frasetta stupida che Gwen mi cantacchiava quando andavamo alle elementari ogni volta che mi capitava di dire “io e te”, rivolto a noi due. Aveva smesso di dirmelo all’inizio delle medie, dopo che le avevo fatto una scenata all’ennesima volta che me l’ero sentito dire. Mi reputavo già un adulto, allora, e non volevo che mi mettesse in imbarazzo davanti ai miei nuovi amici. Ci era rimasta male, ovviamente, ma io stavo entrando nell’età del puro menefreghesimo e non ci feci caso. Da quel giorno però, giuro, non me lo ripeté mai più.
Gwen mi guardò fisso negli occhi. Non capivo se la sua era un’espressione di sgomento o di felicità. Accennai un timido sorriso. Forse era meglio non dirlo, pensai.
All’improvviso lei lanciò un urletto di gioia e mi si buttò addosso.
«Oddio Matt, ma davvero te lo ricordi?» Mi stampò un bacio sulla guancia.
Mi sentii avvampare come un ragazzino che riceve un bacio dalla sua prima cotta. Non era decisamente da me. In quel momento speravo intensamente di non essere arrossito, ma non mi andò bene e lei ne approffitò subito.
«Oh oh oh! Matthew Bellamy che diventa rosso come un peperone?!» Disse, perfida.
«Lo sai che non ho mai sopportato quella canzoncina!» Cercai di difendermi e la allontanai con un braccio. Lei però mi venne addosso ancora, mi teneva le mani con cui volevo coprirmi la faccia.
«Sì, ma capisci che non ti vedo arrossire dalla terza elementare, quando Annie Bolt ti diede un bacino sulle labbra?» Rideva come una pazza.
«Oh, ma piantala!» La allontanai ancora, facendo lo stizzito. Stavolta ci riuscii.
«Prima e ultima volta, da lì in poi sei diventato un playboy! L’hai mai ringraziata?»
«Ma chi?»
«Annie!»
«Al massimo è lei che deve ringraziare me!» Dissi, serio.
Poi la spinsi via e feci per alzarmi, ma lei mi afferrò da dietro le schiena e mi strinse le braccia attorno al petto, dopo averle fatte passare sotto le mie ascelle. Sentivo il suo respiro sul collo.
Trattenni i brividi, in qualche modo.
Ci fu un attimo di silenzio.
«Grazie per avermi portato alla mente un ricordo così dolce.» Disse poi, in un sussurro.
Mi rilassai tra le sue braccia e accennai un sorriso.
«Ti devo un favore, so quanto ti è costato.» Rise, piano.
Poi mi posò un leggero bacio sull’incavo della spalla e il mio corpo reagì immediatamente a quel tocco.
Dio mio, fu l’unica cosa che riuscii a pensare, sono fottuto.
Avrei voluto rimanere lì seduto, con lei avvinghiata a me, ma dovetti alzarmi di scatto per far sì che non notasse i brividi che mi erano venuti e, soprattutto, per combattere la voglia di girarmi e stamparle un bacio su quelle labbra morbide e calde.
Mi morsi un labbro e notai che lei fece la stessa cosa, guardando verso il basso, poi si mise le dita davanti alla bocca e sorrise verso di me. Ebbi un fremito. Cos’era quello sguardo?
«Grazie.» Disse ancora.
«E di cosa?» Feci spallucce.
Si alzò e venne verso di me. Mi agitai, ma lei mi diede solo un piccolo pugno sul braccio.
«Ci sentiamo più tardi allora, eh?» Mi disse.
«Certo.»
«Vestiti bene.»
«Come sempre.»
Prima di chiudersi la porta alle spalle mi lanciò una strana occhiata che io, putroppo o per fortuna, non capii. Subito dopo mi feci cadere sul letto sospirando. Ero fottuto.

Qualche ora dopo eravamo tutti e quattro insieme in un locale sulla spiaggia. La musica era altissima, la potevo sentire rimbombare nel torace e nelle orecchie; l’odore di alcol, fumo e erba si sarebbe presto impregnato nei nostri vestiti e nei capelli; le persone erano tante e spingevano, ballavano e urlavano.
Ci divertiremo, pensai.
Lola prese per mano Gwen e la trascinò in mezzo alla calca di gente a ballare. Sorrisi nel vederla ridere: ero felice quando era felice.
Mi stavo crogiolando in quei pensieri da femminuccia, quando Dominic mi diede una gomitata.
«Ehi, bella addormentata, andiamo a prendere qualcosa da bere anche per loro?» Mi disse, ridacchiando.
«Sì, certo.» Risposi, una volta ripresomi dal rincoglionimento momentaneo.
Tornammo poco dopo con due cocktail molto rosa che porgemmo alle due ballerine improvvisate di fronte a noi. Gwen fece cincin con tutti e tre e si scolò metà del suo bicchiere, solo perché la fermai prima che continuasse con il resto.
«Vacci piano, signorina.» Le dissi, abbassandole il bicchiere.
«Ma è così buono e così fresco!» Fece lei, mettendo un broncio adorabile.
«Così ti ubriachi subito.» Spiegai. «Rimani presente ancora un po’, non ho voglia di mettermi subito a rincorrerti per non farti fare stronzate.» Risi.
«Ehi! Guarda che non sono mica una bambina!» Corrucciò le sopracciglia e mi guardò fisso, le veniva da ridere.
Inclinai la testa di lato. «Sappiamo tutti che mia nonna regge l’alcol meglio di te.» Le feci notare.
Lola intanto la incitava a bere ancora, giusto per il gusto di andarmi contro.
«Mi stai sfidando? So badare benissimo a me stessa!» Disse e buttò giù il resto del cocktail.
«Pazza.» Le dissi, scuotendo la testa. «Fra cinque minuti sei sbronza.»
«Meglio.» Rispose lei, per ripicca, e scappò in mezzo ad un gruppo di persone sconosciute a ballare come se le conoscesse tutte da una vita.
«Dopo gliela tieni su tu la testa mentre vomita, eh.» Dissi a Lola.
«Dai, lasciala divertire. Ne ha bisogno.» Intervenne Dom.
«A proposito, tu che sai più di me.» Continuai, rivolgendomi a Lola. «Con Jessie?»
«Per quanto ne so, questa sera non si sono visti.» Rispose. «Lei gli ha solo mandato un messaggio dicendo che sarebbe uscita con noi, ma senza dirgli dove saremmo andati.»
«Della serie “Vai tranquillo, scopati pure quell’altra, che io vado a farmi due salti con i miei amici in discoteca, no problem.”» Commentai, massaggiandomi una tempia.
Lola sospirò e fece spallucce.
«Ma sul serio?» Chiesi.
Non ci credevo, non poteva essere vero. Non era assolutamente possibile essere tanto cretini da lasciargliela passare così, come se nulla fosse successo.
«Io penso sia solo spaventata.» Disse, dopo aver preso un sorso dal bicchiere.
«Ma da cosa? Non capisco.» Giuro, non riuscivo a dare un senso a tutto ciò.
«Sinceramente non capisco nemmeno io.» Si intromise Dom.
Lanciammo tutti e tre un’occhiata verso Gwen per controllare che fosse tutta intera, ma soprattutto che non stesse ascoltando, anche se la musica altissima non l’avrebbe comunque permesso.
«È stata con lui per tanto tempo, più di tre anni, secondo me ha paura di rimanere da sola.» Si spiegò Lola, ma per me era comunque una motivazione infondata.
«Ha ventitré anni, paura di rimanere sola? Dici cose senza senso per me.»
«Lo so, Matt. Tu sei abituato a stare da solo.»
«Lei no.» Fece Dom.
Voleva solo fare colpo su Lola e diceva stronzate. Gli diedi una gomitata e un po’ di birra uscì dalla bottiglia che teneva in mano.
«Ma stai zitto, tu!» Ridacchiai e lui anche.
«Te l’ho detto, è tutta questione di abitudine, vedrai.» Continuò lei.
«Abitudine o no, lui è un pezzo di merda e non se la merita.» Dissi, piuttosto incazzato.
Dominic e Lola mi guardarono di sbieco, con un mezzo sorriso.
«La fiducia di Gwen, intendo.» Mi corressi, facendo finta di nulla.
«Sì, certo.» Lola mi guardò maliziosa.
Mi ero esposto troppo, ops.
Mi morsi un labbro, scossi la testa e andai verso Gwen. Era ancora lì in mezzo a quel gruppo di persone che ballava, si muoveva sinuosa e leggera. Mi avvicinai a lei, la presi per un braccio e lei si schiacciò contro di me. Mi guardava dritto negli occhi, aveva lo sguardo acceso, troppo acceso.
«Tu sei già sbronza.» Le dissi, tenendola su per un fianco quando la sentii barcollare verso destra.
«Nah.» Fece, ad un centimentro dalla mia bocca, l’alito che le sapeva di fragola e alcol.
«Ah, e allora come mai non ti reggi in piedi?» Inclinai la testa da un lato.
«Forse un pochino, okay? Ma va tutto bene.» Disse, mentre annuiva convintissima.
D’un tratto mi mollò in mano il bicchiere vuoto, si voltò e si mise a muoversi contro di me.
Io ero lì impalato, proprio come un cretino. In una mano avevo un bicchiere e nell’altra una bottiglia di birra, tra le mie gambe un ben di dio di ragazza che sculettava in un paio di pantaloncini bianchi.
Dio mio, non farlo, Gwen, pensavo intensamente.
Cercai di non badarci più di tanto e provai a parlarle un po’.
«Stasera hai mangiato qualcosa almeno?» Chiesi.
«Ma chi sei? Mio padre? Comunque no, non mi andava.» Rise.
Adesso si spiegava il perché della sbronza fulminea.
«Scommettiamo. Fra quanto tiri su l’anima? Un’oretta?» Domandai, sarcastico.
Lei si voltò di nuovo verso di me e mi passò un dito sul labbro inferiore.
«Scommettiamo. Fra quant’è che chiudi questa boccaccia e balli con me?» Mi sorrise, dispettosa.
Ricambiai il sorriso, scuotendo la testa. Era stupenda e mi avrebbe fatto diventare matto.
Intanto mi passò accanto un tipo con un vassoio e ne approfittai per liberarmi le mani, lasciandogli bicchiere e bottiglia, dopo averla finita tutta di rigore.
A quel punto mi lasciai andare e ballai per un po’ con lei. Niente di troppo casto, niente di troppo spinto, il giusto. Cercai comunque di non concentrarmi troppo sul suo corpo ogni volta che sfiorava il mio, se no l’avrei sicuramente presa e portata in bagno seduta stante. Ogni tanto, grazie al cielo, arrivava anche il mio buon cervellino a ricordarmi “Vacci piano, Matt, è la tua migliore amica.”, così mi calmavo.
Ad un certo punto, proprio quando Lola si era avvicinata per chiedere a Gwen di accompagnarla in bagno, sentii il mio iPhone vibrare nella tasca dei jeans. Gwen e Lola si allontanarono, al mio fianco intanto era comparso Dom. Estrassi il telefono e lessi.

Gwen è con te?

Era di Jessie. Non sapevo come interpretare quel messaggio. Me l’aveva mandato perché era preoccupato per lei o solo perché voleva sapere dove fosse per trovarsi con quell’altra troietta?
Dom mi guardava con aria interrogativa.
«È Jessie, vuole sapere se Gwen è con me.» Gli spiegai.
«Digli di sì, è la verità.» Propose lui.
Così feci, risposi con un freddo “sì”, senza dire né dove né perché. Se gli fosse interessato, me l’avrebbe chiesto e io allora gliel’avrei detto. Forse.
Andammo verso il bancone del bar. La musica lì era un po’ meno assordate, ma pur sempre alta.
Ordinammo ancora due birre, che ci furono subito servite e ce ne scolammo metà.
Mi appoggiai al bancone con i gomiti, intanto guardavo verso il clou della festa: c’era davvero un sacco di gente, diverse belle ragazze, ma, stranamente, quella sera, nemmeno una di loro mi interessava veramente. Guardavo giusto per il gusto di farlo, ma non me ne importava nulla. Più o meno inconsapevolmente, tra la folla, cercavo solo lei e i suoi boccoli biondi.
«Allora, con Lola?» Domandai d’un tratto a Dom, che sembrava perso come me alla ricerca di qualcosa, o meglio, qualcuno.
«Bene?» Disse, come fosse una domanda.
«A me lo chiedi?»
«È che non capisco se preferisce essere mia amica o se vuole qualcosa di più.» Rispose, con fare serio.
«Da quando Dominic Howard si preoccupa di queste cose?» Domandai, quasi incredulo.
«In effetti non lo so.»
«Baciala e vedrai che non vorrà essere solo tua amica.» Risposi, dandogli una pacca sulla spalla, e resomi conto di essere stato fin troppo serio, aggiunsi: «Ma vorrà di sicuro vedere cos’hai nelle mutande!» Risi e lui con me.
«Sei il solito idiota, Bells!»
Poco dopo, intravidi Megan venire verso di noi in un vestitino nero attilato. Cosa ci faceva lì? C’era anche il resto del gruppo? Quindi anche Jessie? Merda. Il posto era grande, poteva benissimo essere che non li avessimo visti o incrociati.
«Ciao straniero.» Mi disse con un sorriso malizioso, una volta di fronte a noi. «Dom.» A lui solo fece un cenno del capo.
Si appoggiò al bancone e si sporse verso di me. I suoi occhi verdi mi trafissero e le sue labbra mi parvero particolarmente rosse, quella sera.
«Di là c’è Amy che ti lancia occhiate di fuoco.» Mi confidò, con un risolino, per attaccare bottone.
Quindi c’erano anche gli altri. Rimaneva da scoprire se ci fosse anche Jessie o no.
«Ah sì?» Domandai, disinteressato.
«Qualcuno si è offeso più del dovuto.» Disse. «Cosa le hai fatto, campione?»
«Le ho detto semplicemente di lasciare la mia maglietta prima di andarsene.» Ridacchiai.
«Ha osato indossare una tua maglietta?!» Chiese, facendo la finta scandalizzata.
«Esattamente.»
«Errore da principiante.» Commentò, alzando un sopracciglio.
Lei era la tipica ragazza civettuola ed eravamo stati a letto insieme, sì. Ci era voluto poco, sinceramente. Sapeva come comportarsi con me. Sapeva quello che volevo e quello che non volevo. Non aveva mai passato i limiti prefissati, ci eravamo fatti delle gran belle scopate e niente di più. Io apprezzavo il fatto di poter approffittare ogni tanto della nostra amicizia per regalarci un po’ di piacere e credevo lo facesse anche lei.
«Hai da fare stasera?» Mi sussurrò nell’orecchio in tono suadente, toccandomi la gamba.
Sapeva come farmi girare la testa, non c’erano dubbi.
Con la coda dell’occhio vidi Dom sghignazzare e sussurrarmi un «ma come cazzo fai!». Credo intendesse “ad attrarre le ragazze come la luce fa con le falene”, così mi aveva detto un giorno. Prima e ultima volta che lo sentii usare una metafora.
Mi si avvicinò pericolosamente, mi guardò dritto negli occhi e ordinò un gin tonic, senza però distogliere lo sguardo da me. Mi stava provocando. Non sapevo se cedere o meno.
Le sorrisi e abbassai lo sguardo. Pensai a Gwen. La serata era per lei, quindi, per una volta, rinunciai ad andare a letto (o in bagno, vista la situazione) con Megan.
«Sì, questa sera sì.» Le dissi.
Corrucciò la fronte e mi guardò con un’espressione di finta tristezza.
«Così mi ferisci.» Disse, portandosi una mano sul cuore.
Prese il gin e fece per allontanarsi. «Ricordati di me.» Sussurrò e mi fece l’occhiolino, prima di inoltrarsi tra la gente.
«Sei incredibile!» Mi disse Dom, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «Io… io, non so come cazzo fai! Insegnami, brutto stronzo!» Rise.
«Giuro, io non faccio nien-» Non riuscii a finire la frase, mi dovetti interrompere.
Tutto perché, poco più in là, vidi Gwen correre via in lacrime, verso la spiaggia, inseguita da Jessie, Lola e un’altra ragazza, che però si fermò prima di loro senza continuare la corsa.
Ebbi così la conferma che Jessie, purtroppo, era lì. E, a quanto pareva, con un’altra.

Ciao,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero anche di trovare qualche nuovo lettore (grazie a chi l'ha messa nelle seguite/preferite) e, non voglio dirlo troppo forte, magari qualche commento (non avete idea del piacere che può fare conoscere l'opinione di qualcun altro!).
Ashwini e OnlyHappyWhenItRains vi ringrazio tanto, sono sempre felice di leggere le vostre recensioni <3

A presto.

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Gwen


La musica mi rimbombava nelle orecchie, nel torace, sotto i piedi e l’alcol cominciava già a fare effetto. Mi sembrava tutto più bello, tutto più facile, mi sentivo più leggera ed era una sensazione meravigliosa. Chiusi gli occhi e continuai a muovermi. Non mi importava di quello che pensavano gli altri, del modo in cui stavo ballando, se ero bella da vedere o no, se facevo solo ridere o se magari mi trovavano attraente, se Jessie mi amava ancora o era insieme ad un’altra, se ero semplicemente la più cretina sulla faccia della Terra o avevo fatto bene a non lasciarlo… Per una volta, in quel momento, me ne stavo davvero fregando di tutto e di tutti e non pensavo a niente.
E mi piaceva da morire quella sensazione.
D’un tratto mi sentii afferrare per il braccio.
Non seppi bene se era per colpa dell’alcol che mi scorreva nelle vene, ma anche quello che vidi subito dopo essermi voltata mi piacque da morire. Un moro stupendo e due occhi azzurri come il cielo mi guardavano dritto nei miei. Quelli erano davvero gli occhi più belli del mondo, lo pensavo da sempre e avrei continuato a farlo. E, di quello ero certa, non era colpa di nessun cocktail bevuto di rigore.
Sorrisi a quei due magneti azzurri, che non volevano mollare il mio sguardo, e mi schiacciai contro il loro proprietario. Una risata cristallina risuonò nell’aria.
«Tu sei già sbronza.» Mi disse Matt, afferrandomi per un fianco: okay, barcollavo un po’, ma non mollavo mica.
«Nah.» Gli risposi, forse un po’ troppo vicina al suo viso.
Non ero per niente credibile. Dovevo anche essere piuttosto divertente da vedere da fuori, perché il mio migliore amico aveva un’espressione compiaciuta stampata in faccia.
«Ah, e allora come mai non ti reggi in piedi?» Mi chiese, ridacchiando.
Stavo benissimo, a parte l’equilibrio un po’ precario, mi sentivo davvero bene.
«Forse un pochino, okay? Ma va tutto bene.» Cercai di tranquillizzarlo, ma scossi il capo con troppa convinzione e decisamente un po’ troppe volte, tant’è che mi girò la testa per un attimo.
Ed ero così spensierata che misi in mano a Matt il mio bicchiere vuoto e cominciai a muovermi contro di lui.
Non avevamo mai ballato così. Cioè, non insieme, perlomeno, non io e lui. In tutti quegli anni passati insieme l’avevo sempre visto ballare insieme ad altre – tante altre –, ma non l’avevamo mai fatto insieme, nemmeno quando non stavo ancora con quel cretino di Jessie, nonostante fosse una cosa stupida e, perché no, anche innocente. Lui non mi aveva mai guardata con occhi diversi da quelli dell’amicizia, non aveva mai provato a toccarmi in un modo che non fosse appropriato a quello di due buoni amici – era successo solo una volta, una notte, due anni prima, ma era ubriaco e probabilmente non si ricordava nemmeno più; mentre io, da povera ragazzina illusa, avevo passato anni e anni a morirgli dietro. Cotta e stracotta del mio migliore amico, come nei peggiori teen movies. Lo vedevo come una meta impossibile da raggiungere, sempre circondato da sgualdrinelle varie, sempre chiuso nel suo guscio di cinismo e orgoglio, mai una volta che trasgredisse le sue strane regole sulle relazioni. Di certo non era rimasta a guardare, avevo avuto anche io le mie esperienze, ma mai al livello delle sue.
Poi si era fatto avanti Jessie, nostro amico da diverso tempo, e, forse perché avevo voglia di una relazione seria, forse perché volevo togliermi dalla testa quello stronzo di Matt, mi ero lasciata andare con lui. Mi ero innamorata, certo, ci stavo bene insieme. Però mi capitava spesso di pensare a come sarebbe stato se al suo posto ci fosse stato lui. Se invece di preparare il letto per gli ospiti a Jessie, l’avessi preparato per Matt; se invece di andare al cinema con Jessie, ci fossi andata con Matt; se invece di baciare le labbra scure di Jessie, avessi potuto baciare quelle chiare di Matt; se invece di fare l’amore per la prima volta con Jessie, l’avessi fatto con Matt, il mio migliore amico.
Era davvero cattivo pensare tutte quelle cose, me ne rendevo conto, ma non riuscivo a impedire al mio cervello di farlo. Forse me l’ero meritato di essere cornificata, però, restava il fatto, che quando avrei potuto avere Matt per me, intendo quella notte, due anni prima, ci avevo rinunciato. Perché c’era Jessie. Perché gli volevo bene. Perché nessuno si merita di venir preso in giro così.
Ma, a quanto pareva, la fedeltà e la fiducia non erano anche nei primi interessi di Jessie, quindi era andata così. Speravo che fosse stata solo una sbandata. Tenevo a lui. E, sinceramente, avevo paura di ritrovarmi da sola, di dover ricominciare da capo, con qualcun altro, in un altro modo. Più di tutto, avevo paura di ricadere nel baratro, di ritrovarmi, nei miei momenti più bui, a pensare ancora “o Matt o nessun altro”.
Quella sera, però, ero io a muovermi addosso a lui, non tutte le altre, ero io. Cercai perciò di essere il più sinuosa e sicura possibile, avevo voglia di provocarlo un po’, avevo aspettato quel momento da troppi, troppi anni. Per tutta risposta, lui rimase lì impalato.
«Stasera hai mangiato qualcosa almeno?» Mi chiese, ad un tratto.
Ma ti sembra il momento di farmi domande così stupide?, pensai.
Dov’era finita tutta la sua spavalderia?
«Ma chi sei? Mio padre? Comunque no, non mi andava.» Risposi con una risatina, sperando di chiudere lì l’inutile discorso che aveva tirato in ballo.
«Scommettiamo. Fra quanto tiri su l’anima? Un’oretta?» Mi disse, vicino all’orecchio.
Evidentemente non aveva intenzione di smetterla di dire stronzate. Così mi voltai e - come se non fossi nemmeno io a controllarla - la mia mano si avvicinò alle sua bocca, il mio indice sfiorò il suo labbro inferiore e, in quell’istante, come una scossa elettrica mi attraversò il corpo.
«Scommettiamo. Fra quant’è che chiudi questa boccaccia e balli con me?» Gli dissi, sfoderando il migliore dei miei sorrisi e cercando di mostrarmi sicura di quello che facevo.
Non ero sicura di esserci riuscita, ma lui, scuotendo la testa, mi lanciò un’occhiata e ricambiò il mio sorriso birichino con uno da svenimento. Finì la birra in pochi sorsi, mentre io guardavo come incantata il suo pomo d’Adamo fare su e giù e poi se ne liberò insieme al mio bicchiere vuoto. Iniziò così a muoversi insieme a me.
Non volevo spingermi troppo in là, nonostante l’alcol mi stesse praticamente privando di ogni inizibizione, volevo solo che provasse quello che provavo io. Come se fosse possibile. Forse mi illudevo. Volevo solo che, per una volta, ballasse con me come faceva con le altre, senza pensare a come comportarsi, a dove mettere le mani. Volevo sentire ancora il mio corpo contro il suo, proprio come la sera prima, quando mi aveva buttato in acqua e poi ero caduta sopra di lui. Non c’era Jessie nei miei pensieri, in quel momento, era come se fosse stato spazzato via. E probabilmente era sbagliato, ma lui mi aveva tradita con un’altra, mentre io non lo stavo facendo.
Ballammo per un po’ e per tutto il tempo provai una strana sensazione alla bocca dello stomaco, forse ansia, forse farfalle, so solo che si acuì appena si decise a mettermi le mani sui fianchi.
Ad un certo punto sentii le voci di Lola e Dominic vicine e li vidi di fianco a noi.
«Se sei venuto per fare l’idiota con quella, potevi anche startene in hotel!» Chiosò la mia amica, dando una leggera gomitata al biondo, che, per tutta risposta, alzò gli occhi al cielo.
Ah, la gelosia!, pensai. Mi facevano morire dal ridere quei due. Erano fatti per stare insieme, ma preferivano tenersi sulle spine. Forse era più divertente così.
Lola mi si avvicinò all’orecchio e mi prese una mano.
«Mi accompagni in bagno? Se no finisco per ucciderlo.» Un sorriso maligno si dipinse sul suo viso, mentre uno divertito si faceva strada sul mio.
«Okay.» Ridacchiai. «Sappi che tengo alla tua vita.» Feci poi a Dom, che mi guardò stranito.
Feci un sorriso a Matt, che ricambiò subito, e mi allontanai con la mia migliore amica. Mi girava ancora un po’ la testa, ma andava già meglio rispetto a poco prima.
Appena fummo lontane, il senso di colpa si fece sentire. Perché mi ero comportata così?
Non sapevo se dire a Lola quello che provavo o far finta di niente. In fondo non è successo nulla, pensavo, cercando di convincermi, abbiamo solo ballato. Ma sapevo comunque che quella che poteva sembrare un’idiozia aveva riportato a galla cose, sentimenti e sensazioni che pensavo di aver – bene o male – seppellito e dimenticato.
Optai infine per non dirle nulla e le chiesi di lei e Dom.
«Quindi?» Esordì.
«Quindi cosa?» Disse lei, mentre entrava in bagno.
«Dom?»
«Tienimi la porta, qui non c’è la chiave.»
«Non era la risposta che volevo, però okay.» Risi.
Mi appoggiai alla porta e tornai all’attacco.
«Pensi di dirglielo che ti piace o lo tieni ancora lì sul filo del rasoio?» Dissi.
Lei sbuffò. Mi immaginai la sua espressione contrariata.
«Sto facendo pipì, non mi va di parlarne.»
«Uscirai di lì, sai?» Come risposta ebbi solo il rumore dello sciacquone.
Poco dopo venne fuori, mi lanciava occhiate divertite dallo specchio mentre si sciacquava le mani nel lavandino. Io me la ridevo sotto i baffi.
«Lo sanno tutti che non vedete l’ora di scopare.» Dissi, maliziosa.
Lei mi guardò con un’espressione di finto sgomento mista a divertimento sul viso.
«Gwen! Questo linguaggio non ti si addice per niente!» Mi agitò il dito davanti alla faccia.
«E a te non ti si addice il ruolo di santarellina!» Risi, dandole un pizzicotto sul sedere. «Quindi fatevi il favore di smetterla di fare gli idioti!»
«Signor sì, signore!» Disse lei, facendomi il saluto militare.
«Cretina.» Sussurrai.
Le misi un braccio intorno al collo e così uscimmo dal bagno. Ci stavamo avviando verso il bar, dove Lola aveva intravisto i nostri due accompagnatori, quando il mio sguardo cadde su Amy.
Cosa ci faceva lì? Guardai meglio, dietro di lei c’era Eric insieme ad Alex, dietro di loro: Jessie. Avvinghiata a lui, come un bellissimo e sinuosissimo polipo, una ragazza alta e mora – il mio esatto opposto –, ovviamente, la stessa con cui l’avevo beccato la sera prima.
Il mio cuore si fermò; il mio stomaco si rivoltò su sé stesso; una vampata di calore mi arrivò fino alla testa, ma le lacrime, purtroppo, non riuscii a fermarle. In quel momento, però, sentii che la rabbia era decisamente più forte del dolore, così, d’impulso, attraversai la calca di gente che ci divideva e mi abbattei contro di loro. La strappai dalle sue braccia, dalle sue labbra - dalle mie labbra - e tirai uno schiaffo in faccia a lui. Per un attimo mi guardò interdetto, come se fosse successo tutto talmente in fretta da non riuscire capire, poi si accorse di chi ero, di cosa aveva appena fatto davanti ai miei occhi e fece subito per afferarmi il braccio, ma mi allontanai di corsa. Puntai verso il mare, dove c’era meno casino, dove avrei potuto urlargli in faccia quanto mi faceva schifo senza avere troppi spettatori.
Urlò il mio nome diverse volte prima che decisi di fermarmi, lo feci appena sentii che non riuscivo davvero più a trattenere gli insulti. Quando mi voltai me lo ritrovai subito davanti, aveva uno sguardo quasi indecifrabile.
«Cazzo, Gwen!» Disse, afferrandomi per un polso.
«Vaffanculo!» Gli gridai contro, strappando via la mia mano dalla sua presa.
«Io- io non volevo lo scoprissi così…» Mi prese per le spalle, cercando di tirarmi vicino a lui.
Mi divincolai e lo spinsi via.
«Toccami ancora e ti tiro un altro schiaffo!» Gli intimai. «Sei un pezzo di merda!»
«Lo s-»
«Come cazzo hai potuto?!» Urlai, interrompendolo prima che finisse la frase. «Dopo tutto questo tempo!» Continuai, le lacrime intanto scendevano, non riuscivo a controllarle.
«Credimi, non volevo farti del male.» Disse, quasi sussurando.
Allungò la mano verso il mio viso, fece in tempo a sfiorarmi la guancia con il pollice per fermarmi una lacrima, ma io gli tirai un pugno sulla spalla sinistra. Non voleva farmi del male? Gliene avrei fatto io.
«Cristo santo.» Dissi. «Ti senti quando parli? Non volevi farmi del male? Mi prendi per il culo?»
«Te lo avrei detto.» Cercò di giustificarsi, mentre si massaggiava la spalla.
«Ah, sì? Beh, grazie della cortesia allora!» Risposi, sarcastica.
Ci fu un attimo di silenzio. Io presi un respiro, lui si mise le mani fra i capelli e guardò verso il mare.
Intravidi Lola che si era fermata un po’ più indietro rispetto a noi.
«Da quanto?» Gli chiesi, poi.
«Da una settimana.» Rispose, senza guardarmi in faccia.
Fantastico. Eravamo lì in vacanza da due settimane e lui da una si sbatteva un’altra, appena conosciuta per di più.
«Chi è.» Dissi, non era nemmeno una domanda.
«Non è di qui, è in vacanza anche lei.»
«Magari col fidanzato?» Non riuscii a trattenermi dal dirlo.
«No.»
«Ah beh, almeno te ne sei trovato una coscienziosa…» Commentai.
«Smettila di fare così.» Mi disse, questa volta riuscendo a guardarmi negli occhi.
«Di fare cosa, scusa?!» Alzai la voce.
«Di rispondermi come se mi stessi prendendo per il culo.»
«Tu l’hai fatto fino ad ora con me!» Gli feci notare. «Ti rispondo come voglio, non devo stare di certo a pesare le parole con te!» Gli diedi un’altra spinta. «Sei incredibile.» Aggiunsi.
«Ho sbagliato, okay?! Mi dispiace, Gwen.» Si lamentò. «Mi dispiace sul serio, mi sono comportato da stronzo, è vero, ma pensavo fosse solo una cosa momentanea, che una volta tornati a casa sarebbe tornato tutto come prima.»
Lo guardavo incredula. Una cosa momentanea? Più cercava di spiegarsi e più mi chiedevo come avevo fatto a stare con un imbecille del genere per tutti quegli anni, ma, soprattuto, come avevo anche solo pensato di lasciar correre quello che era successo.
«Tutto come prima? Ma mi prendi in giro?!» Gridai.
«Intendo che avrei voluto stare solo con te, come prima.» Disse piano.
«Cioè, lasciami capire. Tu pensavi di riuscire tranquillamente a stare insieme a me, a passare le giornate con me, a fare tutte le cose che facevamo prima, a venire a letto con me, dopo esserti scopato un’altra?! E per di più sotto i miei occhi?!» Gli dissi, mentre gli puntavo il dito contro il petto. «Mi fai veramente schifo!»
Mi lanciai contro di lui, iniziai a spingerlo, a dargli pugni sulle spalle, sul torace, non capivo più niente. Mi sentivo ferita, mi aveva presa in giro. Mi chiedevo se fosse capitato anche altre volte e picchiavo più forte. Mi immaginavo ancora la scena della sera prima e picchiavo più forte. Volevo fargli male, volevo spaccargli la faccia, volevo che provasse il dolore che stavo provando io.
All’improvviso mi sentii afferrare per la vita, qualcuno, che non era Jessie, mi stava sollevando da terra. Gridai di lasciarmi andare con tutta la forza che avevo, ma quando sentii quella voce dire il mio nome, mi bloccai.





Eccomi qui, finalmente il capitolo dal punto di vista di Gwen . Spero vi sia piaciuto :)
Ancora grazie a chi segue, a chi recensisce e a chi l'ha messa fra le preferite.
Fatemi sapere, aspetto qualche nuovo commento. Ne sarei felice.
Lady.


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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Matt


«Oh, fantastico!» Esordii, subito dopo aver visto Gwen, rincorsa da Jessie, andare verso la spiaggia. «Merda.»
«Serata rovinata.» Commentò Dom, sospirando.
Rimasi in silenzio un attimo. Non sapevo cosa fare. Seguirli e intromettermi in qualcosa che non mi riguardava o non seguirli e farmi gli affari miei? Guardai Dominic in cerca di riposte. Speravo che mi dicesse lui come dovevo comportarmi, ma al momento sembrava solo preoccupato dal fatto che anche quella sera fosse andato tutto a rotoli con Lola. Si accorse poco dopo del mio sguardo insistente e mi fece un cenno del capo come a dire “cosa c’è?”.
«Cosa faccio?» Gli domandai.
«A me lo chiedi?» Stessa risposta che avrei dato io al suo posto.
«Dimmi qualcosa.» Lo implorai, quasi.
Silenzio.
«Vai.» Disse, subito dopo.
Appoggiai la bottiglia di birra sul bancone del bar e mi avviai verso la spiaggia.
«Non ammazzarlo!» Mi sentii gridare poi, da dietro le spalle.
Accennai un sorriso divertito, ma senza voltarmi. Non ero incazzato, mi era passata. Non avrei messo le mani addosso a nessuno perché, volente o nolente, non era un problema mio, quello; ero solo preoccupato per l’incolumità di entrambi – ovviamente di più per quella di Gwen, perché lui un paio di schiaffi, alla fin fine, se li sarebbe meritati e basta.
Passai vicino a quella che doveva essere la ragazza che se la faceva con Jessie; si era fermata dietro un palma. In quell’istante la raggiunse un’amica e le sentii parlare.
«Chi cazzo è quella?!» Esclamò l’altra.
Non mi fermai. Non era mio compito chiarire la situazione.
Un po’ più avanti vidi Lola, che aveva deciso di interrompere la sua corsa.
«Seratona, eh?» Le dissi, una volta raggiunta.
«Cristo santo.» Fu la sua risposta, alzando le braccia.
Guardai nella stessa direzione in cui stava guardando lei e li vidi. Saranno stati avanti una cinquantina di metri rispetto a noi, non si capiva bene quello che stavano dicendo, ma sentivo Gwen urlare, lui invece sembrava rispondere in modo piuttosto pacato. Ad un tratto, però, riuscii ad udire distintamente Gwen gridare la parola «schifo» e, immediatamente dopo, lanciarsi contro Jessie con rabbia. Iniziò a colpirlo. Un pugno, due pugni, tre… Lui non reagiva e lei sembrava non volersi fermare, così decisi di correre là per sedare la situazione.
Presi Gwen da dietro, afferandola per la vita, ma lei cercò di divincolarsi. Era piccoletta, ma aveva una forza non indifferente. La sollevai da terra e la feci allontanare da Jessie.
«Lasciami andare!» Urlò, continuando a muoversi.
Non voleva placarsi per niente al mondo. Avrei quasi voluto lasciarla continuare – lasciarla sfogare non sarebbe stata una brutta idea –, ma avevo paura che, prima o poi, Jessie si sarebbe stancato e non avrebbe esitato a metterle le mani addosso per farla smettere.
«Gwen!» Dissi, in un tono piuttosto acceso, come per richiamarla. «Basta!»
Immediatamente si lasciò andare tra le mie braccia, tutti i muscoli, tirati fino ad un secondo prima, si rilassarono e si voltò verso di me, gli occhi gonfi lacrime.
«Matt.» Sussurrò. «Che ci fai qui?»
«Ti impedisco di commetere un omicidio.» Le sorrisi bonariamente.
Lei non ricambiò il sorriso - non era il momento -, però infilò il viso tra il mio collo e la mia spalla e strinse le braccia attorno alla mia vita. La presi per la nuca, infilando le mani tra i suoi ricci biondi e con il braccio libero l’avvolsi in un abbraccio.
Jessie mi guardava, ma non disse una parola. Meglio così, pensai, almeno evito di mandarlo a quel paese subito.
«Mandalo via.» Mi disse piano Gwen, nell’orecchio.
«Forse è meglio che vai, Jay.» Incalzai, lanciadogli un’occhiataccia. «Parlerete domani.»
Gwen si agitò tra le mie braccia e si voltò verso di lui.
«No!» Esclamò, incattivita. «Io non ho più niente da dirti, quindi per me la cosa può chiudersi qui.»
Lui scosse la testa.
«Possiamo sistemare tutto.» Disse poi, facendo un passo verso Gwen e allungando una mano.
Vidi che lei era pronta per ripartire alla carica un’altra volta, così la strinsi ancora di più, bloccandola tra le mie braccia e l’anticipai.
«Finiscila di dire stronzate e non toccarla.» Dissi, con fermezza.
Lo sguardo che gli stavo riserbando avrebbe dovuto fargli capire che non tirava una buona aria e che forse sarebbe stato meglio che si facesse da parte una volta per tutte.
«Non sono affari tuoi, Matt.» Rispose lui.
Intanto ci aveva raggiunto Lola, che si affiancò a Gwen. Ne approfittati per lasciarla a lei e avvicinarmi pericolosamente a Jessie. Lui fece un passo indietro.
«Sono affari miei perché mi stai facendo incazzare e lo sai benissimo che quando mi incazzo non sono per niente ragionevole.» Gli feci notare, quando fui a pochi centimetri da lui. «Quindi, gentilmente, sparisci.»
Lui rimase in silenzio, reggendo il mio sguardo per qualche secondo.
«Non ho voglia di litigare con te.» Disse poi. «Però non può finire così, Gwen.» Continuò, guardando alle mie spalle.
«Va al diavolo, stronzo!» Gridò lei.
«Porca puttana, vai via!» Intervenni io, di nuovo. «E lasciala in pace! Hai voluto fare il coglione? Ora puoi anche andartene a fanculo.» Mi stava veramente implorando di mettergli le mani addosso.
Finalmente si decise ad abbandonare la battaglia.
«Merda.» Sussurrò, guardando terra.
Scosse la testa – sembrava la sua attività preferita, al momento -, poi mi diede una leggera spinta con la spalla - alla quale mi trattenni dal prenderlo per il colletto della camicia che indossava e sbatterlo in mezzo a cespugli -, indicò Gwen e le disse di nuovo che non sarebbe finita così. Mi sembrava che non finisse mai di raggiungere livelli sempre più alti di coglionaggine.
Gwen, fortunatamente, evitò di rispondergli e si girò dall’altra parte, Lola la prese per mano e la fece allontanare un po’.
«Dai, per favore, vai.» Gli dissi poi, afferrandogli un braccio.
«Ho sbagliato, lo so, cosa credi?!» Mi urlò in faccia.
«Guarda che a me non me ne frega un cazzo se ti sei scopato un’altra, basta che vai fuori dai coglioni!»
Mi lanciò un’occhiata di sbieco e, finalmente, si avviò verso il locale.
«Ah, guarda che dovrai spiegare due cosine anche all’altra!» Gli urlai, sarcastico, quando era un po’ più avanti.
Come risposta mi beccai solo un “vaffanculo.”

Dei colpi contro la porta mi svegliarono. Aprii gli occhi e guardai la sveglia. Le 5.23 di mattina. Mi guardai intorno stralunato, ero andato a letto solo un’ora prima e facevo veramente fatica a tenere gli occhi aperti – in quegli ultimi giorni stavo dormendo pochissimo e il mio corpo ne risentiva. Avevo fatto compagnia a Gwen con Lola e Dom per un po’ di tempo, l’avevamo riaccompagnata all’hotel, e lì fatto due passi in spiaggia tutti insieme. Poi però aveva preferito tornare in camera con Lola, mentre io e Dom decidemmo di prolungare la serata andando a berci ancora qualcosa. Finii così per farmi risucchiare la faccia dalle labbra di Amy. Ancora. Ero recidivo e anche ubriaco.
Notai, intanto, che Dom in camera non c’era. Non mi ricordavo nemmeno se ci fosse tornato, se io ero tornato da solo o insieme a qualcuno. Vuoto totale. Quello che era successo dopo le due di notte sembrava non esistere nella mia mente. Mi ricordavo solo di Amy, purtroppo.
Ancora un paio di colpi e mi decisi a trascinarmi verso la porta per vedere chi fosse, anche se una vaga idea ce l’avevo già. Aprii ed ecco che venne subito confermata.
«Ciao.» Sentii dirmi da un vocino sottomesso e dolcissimo.
Accennai un sorriso, dopo il quale però non riuscii a trattenere uno sbadiglio.
«Scusami, non volevo disturbarti, è che- posso entrare?» Continuò Gwen, mangiandosi quasi le parole, senza alzare lo sguardo da terra.
Mi fece quasi tenerezza, mi sembrava così fragile e così piccola. Non le avrei detto di no per niente al mondo, anche se avessi rischiato di addormentarmi mentre mi parlava.
«Certo.» Le risposi e le afferrai la mano per condurla dentro.
Una volta varcata la soglia, gliel’avrei lasciata, ma lei non sembrò voler mollare la presa, così feci finta di niente e la portai sul balcone a prendere un po’ d’aria fresca – ne avevo bisogno anche io. La feci sedere sulla sdraio che c’era lì, mentre io mi appoggiai al muretto. La mano ancora nella sua.
«Mi piacciono così tanto le tue mani.» Disse poi, quasi in un sussuro, fissando le mie dita intrecciate alle sue.
Provai quasi imbarazzo dopo quel commento e perciò non dissi nulla. Non sapevo cosa dire. Non capivo cosa potesse significare, anche se probabilmente lo aveva detto con tutta l’innocenza possibile. Mi sembrava quasi che Gwen non fosse capace di parlare con malizia. Io invece, a differenza sua, ero molto malizioso.
Rimase in silenzio anche lei, forse in attesa di una mia risposta che, però, non arrivò. Infatti, un secondo dopo, lasciò andare la mia mano e si coprì il viso con le sue.
«Scusami.» Borbottò.
Mi stava chiedendo scusa per quello che aveva appena detto?
«Scusami se sono venuta qui a quest’ora.» Si spiegò. «Solo che Lola probabilmente non ne poteva più di sopportarmi e poi non smettevo di pensare a te e a quanto avessi voglia di un tuo abbraccio.» Continuò, lanciandomi un’occhiata attraverso le dita.
Accennai un sorriso e mi abbassai sulle ginocchia per arrivare alla sua altezza. Appoggiai una mano sulla sua gamba e con l’altra le tolsi le sue dal viso.
«Sono qui.» Sussurrai, guardandola negli occhi. «Non sono bravo in queste cose, ma se hai voglia di parlare…»
«Sei più bravo di quanto credi.» Mi disse, mordendosi un labbro.
Poi mi mise le braccia intorno al collo e mi strinse in un abbraccio. L’equilibrio era un po’ precario, lei era ancora seduta sulla sdraio, io ciondolavo avanti e indietro, così decisi di sollevarla e spostarla sul muretto del balcone. Rise mentre lo feci.
«Guarda.» Le dissi, poi. «Sta nascendo il sole.»
All’orizzonte, oltre l’oceano, si poteva vedere un delicato rosa pesca sfumare in un arancione opaco che, pian piano, sarebbe diventato sempre più forte. Quello spettacolo, reso ancora più bello dal riflettersi del sole sull’acqua, mi lasciava a bocca aperta. Una cosa così semplice, ma così bella, io non l’avevo mai vista. O forse sì. Mi voltai impulsivamente verso Gwen.
Sorrisi nel vederla incantata come ero io fino ad un secondo prima. La luce che stava nascendo le aveva messo in risalto l’azzurro chiaro degli occhi ancora un po’ gonfi di lacrime, aveva le labbra rosa leggermente socchiuse e un riccio ribelle che le cadeva sul viso. Era splendida e io la volevo. La volevo proprio come un bambino desidera quel dannato giocattolo, che sa che non potrà mai avere perché i suoi non possono permetterselo. Ed era sbagliato. Era sbagliato che io volessi lei.
«È stupendo.» Disse, sorridendo.
«Già.»
Un attimo dopo mi afferrò le gambe con i piedi e mi fece avvicinare a lei. Puntò gli occhi nei miei.
«Ho paura.» Chiosò e io la guardai con aria interrogativa. «Paura di quello che mi aspetta.»
«Non ne hai motivo.» Le dissi.
Non capivo seriamente. Perché avere paura? Di cosa, poi?
«Sai… Di ricominciare. Io non sono una che si fa nuovi amici facilmente. Sono timida, ho vergogna di tutti. Ci vuole un bel po’ prima che io mi fidi di qualcuno.» Spiegò, con voce tremante.
«Nuovi amici?»
«Tutti gli amici che ho ora, anzi, che avevo, sono amici di Jessie.»
«Lola è la tua migliore amica, non la sua.» Dissi, piuttosto serio.
«Okay. Lola, poi?»
«Dom non è mai andato d’accordo con Jay. E siamo già a due.» Continuai, con un mezzo sorriso.
«Dom. Sì. Poi basta.» Mi guardò tristemente.
«Poi ci sono io.» Dissi, dolcemente. «Prima di essere amico suo, ti ricordo che sono stato amico tuo e che lo sono tuttora.»
Mi guardò sorridente. Io le presi il mentro tra pollice e indice.
«Chi ti ha visto perdere i primi dentini alle elementari? Chi ti ha insegnato a giocare a calcio? Chi ti ha coperto il culo quando sei scappata di casa per due giorni? Chi ti ha portato al tuo primo concerto? Chi è qui con te alle cinque e mezza di mattina?» Dissi, guardandola negli occhi.
«Tu.» Sussurrò, una piccola lacrima le si era formata all’angolo degli occhi. «Sempre e solo tu.»
Annuii e le diedi un bacio leggerissimo sulla fronte. Quando stavo per tirarmi su, lei mi afferrò il colletto della maglietta che indossavo – ero andato a letto vestito, a quanto pareva – e mi tenne lì vicino ancora per un po’, fronte contro fronte.
«Non lasciarmi, mai e poi mai.» Mi disse, piano, con le labbra a pochi centimetri dalle mie.
In quel momento mi sentii il cuore esplodere. Ebbi quasi paura che potesse sentirlo anche lei, talmente batteva forte. Cosa cazzo mi stai facendo, Gwen…, pensavo.
«Mai.» Le giurai, in qualche modo, trattenendomi dal posare la mia bocca sulla sua.
Spinse la sua fronte contro la mia ancora una volta e poi mi lasciò la maglietta. Io mi allontanai. Non avrei retto un secondo di più. Dovevo seriamente trovare un po’ di tempo per farmi un esame di coscienza e capire cosa diavolo mi stava succedendo. Era amore, quello? Mi sembrava così difficile che lo fosse, ma quelle strane sensazioni non le avevo provate con nessuna. In quel momento non avevo voglia di portarmela a letto, come mi capitava di solito con le altre, sentivo solo il forte bisogno di baciarla. E la cosa mi spaventava alquanto. Non doveva essere lei. Non dovevo innamorarmi della mia migliore amica. Perché rovinare qualcosa di bello e che durava da tanto tempo? Che fosse stato per amore o per sesso, ero convinto che avrei dovuto farmela passare. Non si meritava di essere ferita ancora, soprattutto non da me.
Mi tastai le tasche dei pantaloni e ne estrassi il pacchetto di sigarette e l’accendino.
«Ce n’è rimasta una.» Dissi, mentre mi sedevo dal lato opposto del balcone rispetto a lei. «Facciamo a metà?»
«No, grazie.» Rispose. «Fra poco vado, così dormiamo tutti e due, perché io ne ho bisogno e tu, tu forse ne hai più di me.» Mi lanciò uno sguardo di compassione per lo stato in cui mi trovavo e sorrise.
Ridacchiai, mi accesi la sigaretta e riposi l’accendino in tasca. Feci quel primo tiro con il mal di testa che pulsava sempre di più. Pensai ai postumi della sbornia e mi venne in mente Amy.
Quasi come se fossimo telepatici, Gwen mi chiese di lei - forse per riempire quel momento di silenzio.
«Ho paura di essermela portata a letto anche prima.» Ammisi, buttando fuori il fumo dalle narici.
«Sei serio?» Disse lei, lanciandomi un’occhiata tra il divertito e lo scettico.
«Purtroppo sì.»
«Non ci credo. Come fai a non ricordarti?»
«Vuoto. Vuoto completo.»
«Sei pessimo.» Scosse la testa, ma si vedeva che stava trattenendo una risata.
«Ridi, se vuoi.» Le dissi, ridendo io per primo.
Allora si lasciò andare anche lei.
«Oh dio, spero di non trovarmi mai al suo posto!» Commentò, ma poi si zittì immediatamente, come se avesse detto qualcosa di sbagliato.
Ma non era sbagliato, era quello che pensavo anche io, nonostante provassi dispiacere nel farlo. Non avrebbe mai dovuto trovarsi al posto di Amy, tra le mie lenzuola. Lei non era così.
Posò su di me uno sguardo indecifrabile, accennò un piccolo sorriso – sembravano quasi delle scuse, che nemmeno mi meritavo - e, infine, si voltò verso l’orizzonte. Non disse più nulla. Chissà a cosa pensava.
E poi, in silenzio, io la guardai, ancora e ancora. Mi chiededevo per quanto tempo sarei andato avanti così, per quanto tempo avrei pensato che lei era l’unica cosa che desiderassi avere più di ogni altra. Perché, contro ogni logica, era così e non riuscivo a cambiare idea.

Buonasera <3,
questa volta ho aggioranto un pochino più tardi del solito perché, purtroppo, esiste la sessione di esami di settembre.
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento. Come al solito ringrazio chi segue (ho visto nuovi lettori, ciao carissimi!), chi preferisce (<3) e chi recensisce (Ashwini, 50shadesofLOTS_Always e OnlyHappyWhenItRains non sapete come mi fa fate felice!).
Attendo con ansia qualche commento, sarò contenta di rispondervi.

A presto (se non aggiorno fra pochi giorni non datemi per dispersa, arriverò! :P),
Lady.


P.S. Probabilmente il prossimo capitolo sarà dal POV di Gwen :)


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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Gwen

Aprii gli occhi, ma il bianco accecante del soffito me li fece richiudere immediatamente. Doveva essere pieno pomeriggio, la luce del sole era fortissima. Aspettai un attimo e poi li riaprii con calma. Mi sentivo ancora stanca, quasi come se non avessi dormito per niente.
«Sei sveglia?» La faccia di Lola mi si parò davanti come in un film dell’orrore.
Per poco il cuore non mi uscì dalla gola. Non me l’aspettavo.
«Ma sei pazza?!» Sbottai, portandomi una mano sul torace, come se potesse aiutarmi a tornare a respirare normalmente.
«Sono così brutta?» Ridacchiò lei.
«Cristo, Lola.» Espirai profondamente. «Che buongiorno da infarto.»
Lei continuò a ridersela, mentre faceva avanti e indietro per la stanza. Scema, pensai, intanto che il mio cuore stava tornando ad un numero di battiti al minuto più o meno decente. Poi guardai la sveglia. Erano solo le tre e mezza di pomeriggio.
«Cosa ci fai in camera a quest’ora?» Le chiesi e mi voltai su un fianco per osservarla meglio.
«Preparo le valigie.» Chiosò Lola, guardandomi con un’espressione che emanava ovvietà.
Merda. Come avevo fatto a dimenticarmi che era l’ultimo giorno e poi saremmo tornati a casa? Avevo la testa tra le nuvole, non riuscivo a dare attenzione a nulla che non fossero i miei sentimenti. E forse, a dirla tutta, nemmeno a quelli stavo dando la dovuta importanza, dato che non riuscivo ancora a capire cosa veramente volessi. Mi resi conto che, in realtà, non ero per niente dispiaciuta di dover ripartire, almeno per un po’ non avrei più dovuto vedere quel cretino di Jessie. Ancora qualche giorno di vacanza e poi sarei tornata in università per dare l’ultimo esame; in più la tesi era praticamente già pronta, perciò dopo poco mi sarei finalemente laureata in lettere e filosofia, avrei detto addio al mio stupido paesino natale e me ne sarei andata a lavorare in città. O almeno lo speravo.
«Ci credi che me n’ero completamente scordata?» Dissi a Lola, mentre mi tiravo su a sedere.
Lei mi guardò con un mezzo sorriso.
«Ci credo, ci credo.»
Rimasi lì, seduta sul letto a gambe incrociate a giocare con i capelli per qualche minuto. Pensavo ad ogni cosa a cui avrei potuto pensare in quel momento. A cosa avrei fatto quando sarei tornata a casa, a come avrei spiegato a mia madre e a mia sorella che io e Jessie ci eravamo lasciati, a come avrebbero reagito, a quando avrei dovuto riaffrontarlo – perché sapevo benissimo che sarebbe tornato all’attacco –, al viaggio verso l’università e poi, ovviamente, mi venne in mente lui. I suoi occhi azzurri piantati nei miei poche ore fa, quel “mai” giurato a fior di labbra, il suo profumo, le sue mani. Tutti quei particolari che in un attimo riuscivano a cancellare dalla mia mente ogni cosa riguardante Jessie e quello che era stato di noi. Boom. Era un attimo, tutto sparito. E c’era solo lui. Lui e i suoi sorrisi dolci, quelli che riservava solo a me.
Non sapevo nemmeno io perché mi ero decisa ad andare in camera sua, a quell’ora poi... Era colpa del mio cervello bacato e della mia perenne voglia di farmi del male, perché sentivo che stava tornando. Stava tornando tutto. Tutto quello che avevo voluto lasciarmi alle spalle e che avevo cercato di sotterrare in un angolo buio del mio cuore. Era bastato un ballo insieme? E due sguardi un po’ diversi dal solito? Ero davvero così patetica? Mi sentivo una bambina, piccola e stupida.
D’un tratto Lola mi tolse da quel vortice di pensieri in cui stavo per essere risucchiata.
«Senti, ho visto Jessie prima.» Disse, con una certa cautela. «Ha detto che vuole e deve parlarti, che ha sbagliato e bla bla bla vari.»
«Fanculo.» Sibilai.
«È esattamente quello che gli ho risposto io.»
«Quindi direi che hai già risolto tu.»
«Se fosse così facile, Gwen…»
«Che rottura!» Mi agitai. «Non lo voglio vedere, non voglio più avere niente a che fare con lui, lo capirà mai?!»
«Lo spero. Intanto però hai tipo una decina di messaggi e un paio di chiamate perse sul telefono che ti aspettano.» Mi disse, porgendomi l’Iphone.
Lo afferrai e lo buttai sul letto di fianco a me. Come una vera stupida, però, lo ripresi subito dopo per controllare che non ci fosse qualche messaggio di Matt. Niente, ovviamente. Tutti di Jessie. Tutti uguali, tutti che dicevano le solite stronzate: “ti prego, perdonami”, “ho sbagliato, “lo sai che ti amo” e via discorrendo; ma uno in particolare colpì la mia attenzione. Mi chiedeva se avrei fatto – per favore – il viaggio di ritorno in macchina con lui, come era stato per l’andata.
«Cazzo, Lola.» Iniziai, lei mi guardò preoccupata.
«Cosa.»
«Come faccio con il viaggio in macchina? Io non voglio andare con Jessie, Eric e compagnia bella.» Mi lamentai. «Non sta né in cielo né in terra questa cosa. Come faccio? Prendo il treno?»
«Gwen, non mi sembra la fine del mondo. Basta che chiedi a qualcuno che stava in macchina con Matt di fare scambio.» Disse, tranquilla.
«Tu credi che Amy mi lasci il suo posto? Seriamente?» La guardai con le sopracciglia alzate.
Ci fu un attimo di silenzio durante il quale io pensai a lei a letto con Matt. Strizzai gli occhi come per cacciare subito quell’immagine disgustosa.
«In effetti, visti gli ultimi avvenimenti…» Rispose, titubante.
«Ci voleva anche quella troietta…» Commentai e Lola rise.
Sapeva che non mi era mai andata a genio. Si era unita alla compagnia da qualche anno, era falsa come poche e aveva quel fare da gattina perennemente in calore con qualsiasi essere umano del sesso opposto. Ovviamente, il suo maggiore interesse era sempre stato Matt, ma lui non gliel’aveva mai data vinta. Questa volta, però, ce l’aveva fatta.
«Senti, secondo me basta che ne parli con Matt, vedrai che in un attimo ci pensa lui. Anzi, digli che vengo anche io in macchina con voi e-» Si interruppe.
«E Dom.» Conclusi io, con un sorriso divertito. «Sei cotta, ammettilo.»
«Oh, stai zitta!» Mi disse, facendomi segno con la mano di chiudere la bocca, così lasciai perdere.
«Allora chiederò a Matt, così magari ci facciamo un bel viaggio noi quattro insieme.» Dissi.
«Sarebbe divertente.» Rispose lei, poi mi guardò dritta negli occhi. «A proposito di Matt.»
«Sì?»
«Questa notte- anzi, questa mattina, non sarai mica andata da lui, vero?» Chiese, con una nota di preoccupazione nella voce.
«E dove, se no?»
«Oh, Gwen.» Si sedette sul bordo del letto di fianco a me.
«Che c’è?!» Domandai, mettendomi subito sulla difensiva.
«Dimmi che non ci stai ricascando.» Mi afferrò la mano.
Mi conosceva così bene… E la maledicevo per quello, non potevo e non riuscivo mai a tenerle nascosto niente. Ero davvero prevedibile, ma ci provai comunque.
«È il mio migliore amico, Lola. Non potevo stressare solo te per tutta la notte, ho solo pensato di lasciarti respirare un po’ e farmi fare compagnia da lui.» Cercai di reggere con fermezza il suo sguardo indagatore. «Non volevo stare da sola, tutto qui.»
«Però ci stai ricascando.» Disse, con la testa inclinata da un lato.
Avrei potuto inventarmi di tutto, ma non sarei mai riuscita a farla franca.
«No, che dici?»
«Ti conosco, signorina.»
«Non è così, giuro.»
«Il falso.»
«Non giuro il falso.»
«Sì, invece. Ti basta tanto così per ricominciare tutto da capo, Jessie è stato solo un diversivo e lo sappiamo benissimo tutte e due.» Disse, con un filo di cattiveria.
Mi lasciai cadere all’indietro, finendo con la testa sul cuscino, e sospirai rumorosamente.
Era stato un diversivo? Forse sì. E mi facevo davvero schifo quando pensavo a come mi ero “approfittata” di Jessie. Arrivai perciò alla conclusione che mi ero meritata quello che mi aveva fatto, ma che, da codarda, non lo avrei mai ammesso con lui.
Mi misi le mani sul viso e mi stropicciai un po’ gli occhi.
«Non volevo, lo giuro.» Mi lamentai e sentii una piccola lacrima formarsi all’angolo del mio occhio sinistro. Non volevo piangere, era solo nervoso represso.
«Gwen, non farlo.» Lola mi strinse la gamba, dandomi uno scossone. «Lo so che tu pensi sia l’uomo della tua vita, ma non è così! Tu non sei come lui!»
Rimasi in silenzio.
Probabilmente era davvero come diceva lei e non avrebbe mai potuto funzionare una relazione diversa da quella dell’amicizia per noi due. Anzi, non sarebbe nemmeno mai potuta cominciare. Eravamo troppo diversi. Lui non voleva legami, io aspettavo solo di passare il resto della mia vita con qualcuno. Qualcuno che speravo fosse lui.
«Uno come lui non merita una come te.» Chiarì il concetto la mia amica. «Ti farebbe del male e lo sai benissimo.»
«Non mi farebbe del male.» Sussurrai.
Non riuscivo a pensare a Matt che mi faceva soffrire. Certo, l’aveva fatto fino a quel momento, ma non di proposito, non sapeva nemmeno che lui era l’unica cosa che desiderassi veramente da tutti quegli anni.
«Stiamo parlando della stessa persona?» Chiese Lola.
Non risposi.
«Sai cosa farebbe? Ti darebbe uno di quei suoi baci falsi, che però tu troveresti di sicuro romanticissimo, perderesti subito il controllo e ti scoperebbe esattamente come fa con tutte le altre per poi lasciarti da parte a finire nella lunga lista di quelle che si è portato a letto.» Mi disse, con rabbia.
Mi tirai su e la guardai negli occhi. Non dissi nulla, ma quella lacrima che avevo trattenuto fino a quel momento decise di scendere rigandomi la guancia. L’asciugai con il dorso della mano il più in fretta possibile. Non volevo piangere, gli occhi mi bruciavano e pungevano ancora per tutte le lacrime versate la notte prima, ne avevo abbastanza.
Mi alzai di scatto.
«Hai ragione, va bene?! Hai ragione!» Urlai. «È questo che vuoi sentirti dire?»
Non ce l’avevo davvero con lei, ce l’avevo con me stessa perché ero debole. Lo ero sempre stata, in tante cose, ma quando si parlava di Matt raggiungevo davvero il limite, diventavo quasi patetica. E adesso che era tutto finito con Jessie, quel muro che ero riuscita a costruire per cercare di proteggere me stessa e i miei sentimenti da quella che sapevo benissimo sarebbe stata una storia impossibile stava crollando inesorabilmente. E io con lui.
Lola mi venne vicino e mi strinse in un abbraccio.
«Io non voglio sentirmi dire che ho ragione.» Mi disse nell’orecchio. «Vorrei solo evitare di vederti come qualche anno fa.»
Quelle parole mi fecero, in qualche modo, calmare, così appoggia la testa sulla sua spalla e mi lasciai coccolare un po’ dalle sue carezze.
«Non voglio stare come stavo prima.» Sussurrai, mentre mi passava una mano fra i capelli.
«Lo so. Quindi, per favore, lotta contro te stessa e non ricaderci.» Disse Lola, con fermezza.
Volevo veramente provare a combattere quella mia stupida debolezza; non volevo tornare a stare male per qualsiasi cosa lui facesse o dicesse, a quando pensavo solo a con chi sarebbe tornato a casa quella sera e la gelosia mi uccideva, a quando piangevo perché non altro che un’amica e non sarei stata mai nient’altro per lui. Non potevo ricaderci.
Inspirai profondamente e chiusi gli occhi per un attimo, ma lui era lì, non se andava e non lo avrebbe mai fatto. Un amore così, che dura da tanti e forse troppi anni, non si dissolve solo perché la tua migliore amica ti dice che devi lasciar perdere perché lui non ti merita e non è fatto per te. Sapevo benissimo che non sarebbe stato così facile dire basta, soprattutto perché lui era parte della mia vita da quando eravamo bambini e non era solamente la persona che desideravo, ma anche il mio più grande amico. Lasciar perdere uno significava, purtroppo, mettere da parte anche l’altro ed io non ero pronta e credevo che non lo sarei mai stata.
Mi allontanai da Lola e mi sedetti sul davanzale della finestra. Guardai l’orizzonte e mi venne da sorridere, pensai all’alba che avevo visto qualche ora prima proprio con Matt. Non avrei rinunciato a lui, ai suoi abbracci caldi, ai suoi sorrisi e alle risate che, nonostante molte cose, mi faceva fare.
«Ma se-» Iniziai interrompendomi quasi subito.
«Se?» Continuò Lola, mentre metteva una maglietta nella sua valigia.
«Io credo che-» Mi bloccai di nuovo, mi batteva forte il cuore.
Lola mi guardò come a dire “allora?”, così mi azzardai a dire quello che stavo pensando.
«Se ci provassi?» Dissi e lei sgranò gli occhi.
«A fare cosa? Non dirmi-»
Non la lasciai finire.
«Con Matt.»
«Stai scherzando spero!» Alzò la voce Lola.
Scossi la testa leggermente.
«No. Credo che in qualsiasi caso finirei per perderlo, perché se dovessi decidermi a – diciamo –mettere una fine ai miei sentimenti per lui dovrei allontarmi e di conseguenza non potrei più averlo nemmeno come amico… Quindi, forse dovrei almeno provarci.» Mi spiegai, con una sensazione di ansia alla bocca dello stomaco che cresceva sempre di più.
Lola si mise un mano sulla fronte.
«Tu sei pazza. Soffrirai e basta.» Disse arrabbiata. «Lo sai, lo sai!»
«Sì, lo so, ma soffrirei comunque, quindi sono quasi certa di aver deciso di provarci.»
Probabilmente stavo per fare la più grande cazzata della mia vita, ma sapevo che avrei perso qualcosa, o meglio, qualcuno in ogni caso, perciò mi sarei buttata, nonostante tutti i dubbi e le paure che mi avevano frenato fino a quel momento.
Un’espressione triste sostituì quella arrabbiata sul volto di Lola.
«Promettimi di pensarci ancora un po’.» Mi disse, venendomi vicino. «Per favore.»
Mi prese una mano nella sua e mi guardò negli occhi.
«Prometto.» In fondo, rifletterci ancora non mi costava nulla, anche se ormai ero quasi convinta della mia decisione.

Quella sera avevo deciso di starmene tranquilla in camera a guardare la tv e a riflettere un po’, proprio come mi aveva detto di fare Lola. In più, non avevo per niente voglia di vedere Jessie, a cui avevo dovuto rispondere dopo la millesima chiamata per dirgli che no, non sarei andata in auto con lui e che no, non volevo parlare né in quel momento né mai, finendo poi per chiudergli il telefono in faccia per farlo stare zitto. Lola però non era della mia stessa idea, stava infatti cercando qualcosa da fare, dato che l’uscita insieme a Jessie e tutto il resto della compagnia non era contemplata nei suoi piani.
All’improvviso qualcuno bussò alla porta. Lola sbucò dal bagno con in bocca lo spazzolino.
«Chi caffo è?» Articolò, in qualche strano modo, mentre si strofinava i denti.
«E io che ne so?» Dissi, mentre mi avviavo alla porta sperando con tutta me stessa di non trovarmi davanti Jessie con un mazzo di fiori o cose simili. Peraltro, benedicevo sempre di più il giorno in cui avevo deciso che in vacanza sarei stata in camera con Lola per non lasciarla da sola e non con lui. Ci eravamo evitati in bel po’ di rogne.
Aprii la porta in pigiama.
«Ciao, bambina.» Mi disse Matt, sfoderando un sorriso meraviglioso.
Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata. Non mi aspettavo che sarebbe venuto lì. Non l’avevo sentito né visto per tutto il giorno, immaginavo che sarebbe uscito con Dom e gli altri o con Amy, ma di certo non che sarebbe venuto da me. Non ero psicologicamente pronta. Poi, quel “bambina” mi aveva già bruciato qualche neurone ancora prima che iniziassi a parlare con lui.
«Matt.» Riuscii finalmente a dire.
Notai che dietro di lui c’era Dominic.
«Ciao, Gwen.» Fece lui, accompagnando il saluto con un gesto della mano.
«Ciao.» Risposi e mi sentii spingere prepotentemente da dietro.
Era arrivata Lola, che doveva aver sicuramente sentito la voce di Dom e si era precipitata lì. Salutò anche lei, mentre io riuscivo solo a pensare a quanto fosse bello Matt con addosso un’insignificante maglietta nera.
«Venite a fare un giro con noi?» Propose Dom, lanciando un’occhiata piuttosto eloquente verso la mia amica.
«Certo!» Rispose lei, felice come una Pasqua.
«Veramente non era nei miei programmi…» Feci notare.
Mi guardarono tutti e tre come se avessi detto la peggiore delle eresie.
«Non vorrai passare in camera da sola l’ultima sera, vero?» Chiese Matt, con un filo di tristezza.
«È che-»
«Dai, vestiti e vieni a fare un giro… Se preferisci stiamo qui, però almeno andiamo in spiaggia!» Continuò lui, bloccandomi in partenza.
Mi guardava con quegli occhi che sapevano mandavarmi in tilt come quelli di nessun altro e pensai a quello che avevo deciso di fare. Avevo paura, non potevo negarlo. Certo, non mi sarei buttata a capofitto tra le sue braccia dicendogli che ero innamorata di lui, avrei fatto le cose con calma, ma anche solo pensare che avrei provato a cambiare il mio approccio verso di lui mi spaventava a morte. Ero davvero sicura? Decisi quindi che quella doveva essere veramente la sera in cui ci avrei riflettuto – con o senza di lui presente –, così mi feci coraggio e accettai.
«Okay.» Dissi. «Andiamo qui sotto a berci qualcosa e facciamo un giro sulla spiaggia?»
«Va bene, capo.» Ed eccoli tutti e tre sull’attenti.
Risi. «Mi vesto e sono pronta, idioti.»

Tre drink, tante risate e circa duecento metri dopo eravamo seduti sulla spiaggia, raccolti in uno di quei pochi momenti di silenzio che avevano accompagnato quella serata. Ero contenta di essere uscita, mi sentivo esattamente come se fossi con la mia famiglia ed era una sensazione splendida. Loro erano davvero i miei amici.
Dom quella sera aveva dato il meglio di sé, raccontandoci diversi episodi della sua infanzia da bambino grassoccio e un po’ sfigatello, che ci avevano fatto venire le lacrime agli occhi dalle risate. Anche lui ne rideva, anche se forse, all’epoca, non erano stati poi così divertenti. Lola, nel frattempo - avrei potuto vederlo anche da un miglio di distanza -, era sempre più presa da lui. I sorrisi e gli sguardi che gli riservava erano piuttosto eloquenti ed aspettavamo tutti il momento in cui si sarebbero decisi a darsi almeno uno stupido bacio.
Fu proprio Lola ad interrompere il silenzio che si era creato bisbigliando qualcosa nell’orecchio a Dominic. Il biondo, per tutta risposta, si alzò di scatto e la sollevò da terra per poi iniziare a camminare verso l’acqua, scatenando così le urla di protesta di lei.
«Pazzo!» Gridava. «Non dicevo di buttarmici dentro, ma di entrarci insieme e piano piano!»
Dom rideva e, nonostante i pugni di Lola sulla schiena, non demordeva.
«Adesso ci facciamo un bel bagno di mezzanotte!» Esclamò.
«Ma se sono quasi le due!» Gli fece notare Matt, ridendo, dopo aver guardato l’ora sul telefono.
«Allora un bel bagno di quasi le due!» Si corresse quindi Dom.
Matt scosse la testa sorridendo. «Che cretino…»
Un attimo dopo si poté udire uno strillo acutissimo di Lola venire smorzato a metà dal rumore del suo corpo che cadeva in acqua. Guardai verso il mare per assicurarmi che non fosse successo nulla di preoccupante, ma subito riemerse la mia amica che, senza un minimo di esitazione, si lanciò addosso a Dom. Lui la afferrò per la vita e, quando pensavo che lei avrebbe tentato di mandarlo sott’acqua, gli stampò invece un bacio sulle labbra.
«Facciamo partire l’applauso?» Bisbigliò Matt, trattenendo una risata.
Avrei voluto farlo, solo perché se lo meritavano per tutto il tempo ci avevano messo a lasciarsi andare, ma decisi di non rovinar loro quel bel momento.
«Sarebbe divertente, ma forse è meglio di no.» Dissi. «Sai, non vorrei avere a che fare con una Lola incazzata più tardi…»
«Certo, certo, capisco.» Ridacchiò, voltandosi poi dall’altra parte, mentre fumava una delle tante sigarette.
Il mio sguardo cadde, ovviamente, in modo inesorabile su di lui. Lo guardai attentamente, analizzando ogni particolare, passando dai suoi capelli corvini, alle sue ciglia lunghe che facevano da cornice ai miei due occhi azzurri preferiti, a quel naso un po’ a punta, alle barba appena rasata, alle labbra rosa leggermente aperte per far uscire il fumo, a quel piccolo neo sul collo… Era come fare un ripasso di qualcosa che, in realtà, conoscevo già a memoria. Era perfetto e, per quanto avessi potuto cercare, sapevo benissimo che non avrei mai trovato qualcuno che mi potesse piacere più di lui, che avesse qualcosa più di lui, in ogni senso.
Sentii il battito del cuore aumentare sempre di più mentre lo fissavo incantata e, quando si voltò di nuovo verso di me sorridendomi, ne ebbi la conferma. Sì, ci avrei provato. A qualsiasi costo.


Ciao :)

Come promesso, ecco qui il capitolo dal POV di Gwen! Penso che anche il prossimo lo sarà, ma non assicuro niente perché ci sto ancora pensando. Spero che vi sia piaciuto.
Al solito, ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono <3


Al prossimo aggiornamento, baci.

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


d

Matt


Quell’ultima notte di vacanza ci obbligammo a rientrare in hotel verso le tre – fin troppo presto rispetto ai nostri standard –, ma solo perché la mattina, purtroppo, avremmo dovuto alzarci ad un orario preciso per affrontare il viaggio di ritorno ed era meglio non essere troppo stanchi: io e Dom, infatti, ci saremmo alternati alla guida.
Alle tre e un quarto spaccate mi lasciai cadere sul letto a peso morto, mentre Dominic ancora trafficava in bagno con la luce accesa.
«Pensi di venire a dormire entro l’alba?» Domandai, divertito e anche un po’ assonnato.
«Mh-hm.» Mi rispose, con lo spazzolino in bocca.
«Bravo, tieni i denti puliti per la tua donna.» Ridacchiai e un insulto non meglio identificato mi raggiunse in un attimo.
Fino a pochi minuti prima sembrava quasi di stare in un film d’amore per ragazzine quindicenni: bacini di qua e bacini di là, risatine imbarazzate, lui e Lola che giocavano a rincorrersi come due bambini. Avevo quasi dovuto trascinarlo in camera per farli allontanare e lui aveva avuto il coraggio di lamentarsi come se, una volta separati, non si fossero più potuti vedere… Gwen, intanto, aveva dovuto fare praticamente la stessa cosa con la sua amica. Il tutto era finito con me e Gwen che ci salutavamo da una parte all’altra del corridoio, cercando di tenere le teste dei due piccioncini innamorati dentro alle camere. Una scena esilarante.
Dominic si decise finalmente ad uscire dal bagno e si mise a letto, a rischiare la stanza c’era solo la luce fioca della luna che entrava dalla finestra.
«Non so se riuscirò a dormire.» Disse piuttosto cupo, ma io scoppiai immediatamente a ridere.
«Ma finiscila!» Esclamai, mentre mi tenevo una mano sulla pancia.
«Non ridere, sono serio.» Fece, lamentoso.
«Se è perché hai voglia di scopare ti capisco, altrimenti no, mi spiace.» Commentai, allora.
«Oh, vaffanculo, Bells!» Rise anche lui. «Ti stupirò, ma non è per quello.»
Rimase in silenzio un attimo.
«Ho solo voglia di stare con lei.» Aggiunse e poi lo sentii voltarsi dall’altra parte.
«Oh, quanto sei dolce. ‘Notte, cucciolino.» Sussurrai io, prendendolo in giro, ma come risposta ebbi solo uno sbuffo.
Così chiusi gli occhi. Avevo bisogno di dormire e riposare, il viaggio del giorno dopo sarebbe stato lungo e in più mi sarebbe toccato sopportare gli sbaciucchiamenti da diabete della nuova coppietta… Una faticaccia, insomma. Ma appena la mia vista si fece buia, ecco che apparve lei.
Sembrava una presa per il culo bella e buona. Avevo appena finito di sfottere Dom perché faceva la femminuccia innamorata e poi ero io il primo ad essere ridotto così. Mi era perfettamente chiaro che volevo qualcosa di più da lei e che questa specie di infatuazione non mi sarebbe passata tanto in fretta, l’unica cosa che non riuscivo a capire era se davvero ero arrivato al punto di desiderare una relazione o se avevo solo bisogno di soddisfare un – diciamo – desiderio proibito. Anche solo a pensarla, quest’ultima cosa, mi sentivo uno stronzo patentato, ma non riuscivo ad uscirne, a trovare una soluzione a quel problema. Mi torturavo pensando a come avrebbe potuto reagire lei a un mio possibile approccio, se ci sarebbe stata o mi avrebbe mandato al diavolo. Mi sembrava di essere tornato ad essere uno sprovveduto. Cosa avrei dovuto fare? Era troppo preziosa per perderla così, per uno stupido capriccio, poi, ma io non ne uscivo ed era uno strazio. Non mi era mai capitato di interessarmi in questo modo ad una persona, ma soprattutto di dover aspettare per averla. E poi io stavo bene da solo, lo ero sempre stato, perché tutto d’un tratto mi sembrava di volere qualcosa di più? E per di più da Gwen? Chi mi avrebbe assicurato che lei ci sarebbe stata se io avessi deciso di provarci? Ma soprattutto, se poi io avrei voluto davvero impegnarmi con lei? Avrei di certo combinato un disastro. Che fottuto macello.
Quella sera era stato Dom a convincermi – o meglio ad obbligarmi – a chiedere a lei e Lola di uscire; in realtà, io avrei preferito andare a farmi un giro insieme agli altri, non perché avessi qualcosa contro loro due, solo perché avevo bisogno di svagarmi e di pensare a qualcos’altro che non fosse Gwen. Invece era andata diversamente dai miei piani e mi ero ritrovato alle due di notte a scorrazzare per la spiaggia con lei sulla schiena. E il giorno dopo avrei dovuto passarci anche tutto il viaggio insieme. Ero a cavallo.
Mi voltai a pancia in giù e misi la testa sotto al cuscino per cercare di scacciare il suo viso e il suo corpo dai miei pensieri, ma niente, rimanevano lì. D’un tratto, però, mi vibrò il telefono sul comodino e finalmente riuscii a distrarmi.
«Ma chi cazzo-» Sussurrai e mi sporsi per controllare chi fosse.
Amy.

Sono a letto e ti sto pensando.

Scossi la testa con un mezzo sorriso. Non demordeva, non c’era niente da fare. Il pomeriggio di quel giorno, dopo che Gwen mi aveva mandato un messaggio chiedendomi se lei e Lola sarebbero potute venire in macchina con me e Dom, ovviamente, avevo dovuto subito avvisare Amy, Alex e Megan dello scambio. Amy, come previsto, non l’aveva presa molto bene e si era presentata in camera mia piuttosto irritata. Nonostante l’avessi avvisata che non avrei cambiato idea in qualsiasi caso, aveva cercato in ogni modo di convincermi a farlo. Non sapevo se ero solo io a farle quell’effetto, ma si era comportata da vera ninfomane ed io non ero capace di dire no a certe cose.
Ed ora, eccola lì di nuovo. Decisi però di non risponderle. Sapeva benissimo come funzionavano le cose con me, ma faceva finta di non capire. Forse, essendo stato con lei più volte - nonostante si fosse da subito dimostrata un po’ appiccicosa, errore mio -, si era potuta creare qualche aspettativa, ma le avrei fatto capire che non c’era alcuna possibilità che lei potesse diventare qualcosa di più che una semplice scopamica.
Anche quel pomeriggio, comunque, con Amy inginocchiata tra le mie gambe era riuscita a venirmi in mente Gwen. Avevo pensato a come sarebbe stato se lì ci fosse stata lei e mi ero sentito sporco come mai in vita mia. Mi era sembrata la cosa più sbagliata del mondo ed era anche per quei pensieri poco pudichi che non capivo quale era il vero motivo per cui desideravo averla per me. C’erano stati i brividi, il batticuore improvviso, la voglia di baciarla, ma anche quegli stupidi pensieri… Forse era meglio lasciar perdere tutto e combattere quelle strane voglie finché non mi sarebbero passate.
Dopo aver rimesso il telefono sul comodino, mi decisi a trovare un modo per riuscire ad addormentarmi, anche a costo di finire a contare le pecore. Ed in effetti, fu proprio così.

Chiusi il baule e dopo aver salutato il resto della compagnia, che era già nell’altra macchina, mi misi al volante della mia Ford. Una volta salito, diedi un’occhiata alla mia destra e notai lo sguardo assassino che si stavano scambiando Gwen e Jessie da un’auto all’altra. Non si erano detti una parola, nemmeno ciao, ma la cosa che mi faceva veramente sbellicare era che sembrava lui quello più offeso dei due, come se fosse stato lui ad essere cornificato. Non smisero di guardarsi male finché Jessie non ingranò la retro e si immise in strada, scomparendo così dalla visuale di Gwen.
Lei si accorse che la stavo osservando e scoppiò a ridere.
«Cos’era quello sguardo?» Chiesi, divertito quanto lei.
«Oh, niente. Ha iniziato lui, veramente.» Rispose, giocherellando con le punte dei capelli.
«Giusto, non dargliela vinta.» Ridacchiai e le diedi una leggera gomitata.
«Mai.»
Feci per posizionare lo specchietto retrovisore e subito beccai Dom e Lola a limonare.
«Ehi ehi ehi, andateci piano!» Dissi. «Qui c’è gente sensibile!»
Per tutta risposta ottenni il medio di Lola. Gwen rise e io feci spallucce.
«Vorrà dire che alla prima curva il mio piede finirà casualmente sull’acceleratore…»
Non mi cagarono di striscio e continuarono imperterriti a fare quello che stavano facendo, intanto Gwen attaccò il suo iPod e disse che avrebbe fatto lei il deejay, niente radio, avrebbe esaudito qualche richiesta musicale ogni tanto, ma assolutamente niente radio.
Iniziò così il lungo viaggio di quattro ore e mezza verso casa.
Il primo a cedere alle braccia di Morfeo a poco più di un’ora dalla partenza fu Dominic - probabilmente anche lui si era addormentato più tardi del previsto a causa del cervello che non voleva spegnersi, perciò sentiva addosso ancora un po’ di stanchezza - e, dopo essersi accoccolata contro di lui, ci abbandonò anche Lola. Per le successive due ore guidai sempre io, solo dopo esserci fermati per una piccola pausa in una tavola calda lasciai il mio posto a Dom.
Finché lui e Lola erano rimasti svegli non c’era stato praticamente neanche un attimo di silenzio: avevamo riso, cantato a squarciagola, Gwen ci aveva raccontato di quella volta che a cinque anni le avevo regalato una lucertola morta cercando di convincerla che era ovviamente meglio della bambola che le avevano preso i suoi genitori e, infine, avevamo scommesso che Jessie si sarebbe presto presentato a casa sua in lacrime e con un mazzo di fiori per chiederle scusa, ma appena i nostri due amici chiusero gli occhi ne calò uno pesantissimo. Io – per i miei ovvi motivi – non sapevo davvero cosa dire ma, a quanto pareva, nemmeno Gwen, così lasciammo che fosse la musica a cercare di mitigare un po’ l’imbarazzo che aleggiava. Lei guardava fuori dal finestrino appena abbassato, i capelli le svolazzavano leggermente e aveva i piedi scalzi appoggiati al cruscotto, ogni tanto la sentivo sussurrare le parole di qualche canzone; io cercavo di concentrarmi sulla strada, ma per almeno un paio di volte non riuscii ad impedirmi di posare gli occhi su di lei, senza però farmi notare. Era davvero bella. Possibile che non me n’ero mai accorto?
D’un tratto la vidi con la coda dell’occhio voltarsi verso di me e aprire la bocca come per dire qualcosa, ma poi non disse nulla, così mi feci avanti io: erano ventitré minuti che non dicevamo una parola, mi sembravano sufficienti.
«Sì?» Dissi e accennai un sorriso incoraggiante.
Lei si agitò sul sedile. «Ma no- nien- niente.» Tartagliò e poi si mise a mangiucchiarsi un’unghia.
«Dai, spara!» La incitai.
Non poteva già chiudere la conversazione, così le diedi anche un buffetto sulla gamba con il dorso della mano per farla continuare.
«Mh.» Disse poco convinta, ma poi si decise ad andare avanti. «Lo so che non sono affari miei, però prima ho visto che Amy è venuta a parlar- a dirti qualcosa nell’orecchio…» Si interruppe e riprese a mangiarsi le unghie.
«E quindi?» Chiesi, alzando un po’ le spalle.
Non capivo perché fosse interessata ad Amy, quando sapeva benissimo che tipo fosse.
«Mi chiedevo se ci fosse del tenero, dato che ti ha anche messo le braccia intorno al collo…» Tossicchiò un po’ dopo aver terminato la frase.
Io mi voltai e la guardai con gli occhi sbarrati, lei fece spallucce come dire “non ho ragione?”. La risposta ovviamente era “no”.
«Del tenero?! Veramente gliele ho anche tolte, le braccia dal mio collo.» Le feci notare.
«Magari non volevi che gli altri se ne accorgessero.» Disse, in un tono piuttosto irritato, che io non capii.
«No, semplicemente non voglio che mi stia appiccicata.»
«Eppure non sembra.» Continuò, imperterrita.
Non capivo il perché di tutto quell’accanimento. Lo sapeva benissimo che non volevo avere relazioni e che di Amy me ne fregava meno di zero. Rimasi un attimo in silenzio per cercare di capire dove voleva arrivare.
«Dom ieri sera si è lasciato scappare con Lola che ieri pomeriggio eri con lei.» Disse, come infastidita. «Ammettilo che c’è del tenero.»
«Se avermi fatto un pompino preclude avere una relazione, allora sì, c’è del tenero.» Dissi, con gli occhi puntati sulla strada, mantenendo un tono tranquillo, ma piuttosto sarcastico. Un pompino, poi, durante il quale avevo pensato a lei… Sì, ero proprio innamorato di Amy. Innamorato perso.
Gwen non disse più nulla. Se avessi saputo sin dall’inizio che voleva farmi l’interrogatorio su Amy, non l’avrei di certo convinta a continuare la conversazione.
All’improvviso fummo distratti dalla vibrazione del mio telefono, che era appoggiato nel portaoggetti vicino al cambio. Lo sguardo di entrambi cadde immediatamente sullo schermo illuminato. Non ci credevo. Sembrava uno scherzo. Un messaggio di Amy. Non feci in tempo ad allungare la mano per afferrare il telefono che ci aveva già pensato Gwen.
«Beccato!» Gracchiò, soddisfatta.
«Mollalo!» Sbottai, cercando comunque di mantenere un tono basso per non svegliare gli altri due. «Gwen, mi incazzo.»
Lei non mi degnò di un minimo di attenzione e si mise a leggere il messaggio ad alta voce, imitando la voce di Amy.
«Se vi fermate con noi al prossimo autogrill, io e te possiamo fare una puntatina in bagno Cantilenò, terminando il tutto con un finto conato di vomito.
Io la guardai per un attimo. «Contenta?» Chiesi.
Di certo non aveva avuto soddisfazione leggendo qualcosa di sdolcinato, ma tutt’altro. Ora poteva averne la conferma anche lei: l’unica cosa che legava me e Amanda era il sesso, punto.
«Quella ragazza brama la tua attenzione e tu non lo capisci.» Disse seria, rimettendo il telefono al suo posto.
«Lo so benissimo, ma non mi interessa.»
«Fa di tutto per piacerti.»
«Ripeto. Lo so.»
«Pensi che riuscirai mai a volere qualcosa di più del sesso da una persona?» Mi chiese poi, a bruciapelo, quando mi aspettavo di tutto tranne che una domanda così.
Esitai, semplicemente perché non sapevo cosa rispondere: era proprio quello che stavo cercando di capire in quei giorni. Se avessi davvero voluto essere sincero, avrei dovuto dirle che era proprio lei che mi stava facendo riflettere su quella questione, avendo risvegliato in me emozioni che non credevo nemmeno di riuscire a provare, ma – ovviamente – non era mia intenzione farle sapere quello che mi passava veramente per la testa.
«Può essere.» Dissi, allora, restando sul vago.
«Questa risposta è già un gran passo avanti.» Ridacchiò.
Quella piccola risata mi fece tranquillizzare un po’. Forse l’interrogatorio stava prendendo una piega più scherzosa o, perlomeno, lo speravo vivamente.
«Prima o poi maturerò.» Aggiunsi, accennando un sorriso.
«Non perdiamo le speranze, Bellamy, non perdiamo le speranze.» Disse, dandomi due pacchette sulla gamba destra.
«Senti, fammi un favore.» Le dissi, poi. «Rispondi ad Amy che non ci fermiamo.»
Con la coda dell’occhio vidi sue labbra distendersi in un piccolo sorriso, mentre scriveva il messaggio. Era contenta di non doversi fermare e vedere Jessie o che io non volessi incontrarmi – in bagno – con Amy? Possibile che quell’irritazione che avevo notato prima nella sua voce fosse in realtà un po’ di gelosia? Decisi di fare finta di nulla. Ora che si era rotto il ghiaccio non volevo rovinare tutto con qualche battuta stupida o essere io a fare l’interrogatorio.
Così finimmo per parlare del più e del meno, di quando lei sarebbe tornata in università, di quando si sarebbe laureata - ebbe anche il coraggio di chiedermi se sarei andato a vederla, quando sapeva benissimo che la risposta era ovvia -, infine ci ritrovammo a ricordare episodi della nostra infanzia e adolescenza e ridemmo un sacco. Mi venne anche in mente quella volta che, a diciotto anni, sua sorella Nina, più grande di noi di cinque, aveva cercato di portarmi a letto dopo la festa di compleanno di Gwen, ma io, nonostante non fossi poi così sobrio, avevo rifiutato. Dopotutto era la sorella di Gwen ed eravamo lì per festeggiare il suo diciottesimo. Dopo averlo ricordato anche a Gwen, tra una mia risata e l’altra, e non aver ricevuto nessuna risposta mi voltai a guardarla per controllare che fosse tutto okay. Decisamente non sembrava esserlo. La sua espressione emanava rabbia e confusione.
«Beh?» Domandai.
«Beh?!» Disse lei, sgranando gli occhi. «Volevi scoparti mia sorella?!» Stridette, irritata.
Scoppiai a ridere. «Veramente era lei che voleva scopare me.» Puntualizzai, ridendo.
«E non ridere, brutto scemo!» Urlò, dandomi una sberla sul braccio e trattenendo una risata.
«Guarda che svegli Dom e Lola!» Dissi.
«Non mi interessa, stavi per scoparti Nina!»
«Ah, me la ricordo questa storia…» Intervenne Dom, sbadigliando.
«Ecco, hai visto? Li hai svegliati.»
«Cosa ne sai tu?» Chiese Gwen, voltandosi verso il biondo, che sobbalzò preso alla sprovvista.
Io gli lanciai un’occhiata divertita dallo specchietto retrovisore.
«Ehm, niente… Solo che Nina non vedeva l’ora di farsi un diciottenne.» Ridacchiò e io con lui.
«Cretini, siete due cretini.» Commentava Gwen. «Io non ci credo. Come facevo a non saperlo? Quindi non è successo nulla? Me lo giuri?» Sparava una domanda dietro l’altra, preoccupata.
«Ci siamo solo baciati, niente di più.» Affermai. «Tranquilla.»
«E non me l’avete mai detto, stronzi! Tu e lei, tutti e due.»
«Perché sapevamo che avresti reagito così.»
Lei sbuffò. Io risi. Lei mi diede una gomitata.
«Gelosona.» Sussurrai divertito e un’altra gomitata mi colpì.

Un’ora dopo, avevamo appena finito di pranzare alla tavola calda: Dom e Lola erano andati in una gelateria poco più avanti a fare i piccioncini, io e Gwen li stavamo aspettando nel parcheggio vicino all’auto. Tirai fuori dai jeans il pacchetto di sigarette e ne estrassi una.
«Posso?» Disse Gwen, con un sorriso.
«Certo.» Risposi e le passai quella che avevo appena preso.
Non fumava spesso, non era un vizio come il mio, lo faceva ogni tanto per la compagnia.
«Me l’accendi tu?» Chiese, mentre si appoggiava al cofano della macchina.
Annuii, presi lo zippo che avevo in tasca e mi avvicinai per accenderle la sigaretta che teneva tra le labbra. La sentii mormorare un “grazie” e, prima di accendere la mia, la guardai fare il primo tiro, chiudere un attimo gli occhi e buttare fuori il fumo. Era davvero molto tempo che non la vedevo farlo ed in quel momento la trovai di un eleganza spaventosa, di un erotismo che sfiorava i limiti del possibile, ma forse… forse ero solo io che ormai ero fin troppo confuso da quello che provavo. Fortunatamente mi accorsi di essermi incantato sulla sua bocca prima che lo facesse lei e distolsi lo sguardo. La situazione stava peggiorando sempre di più.
«Stasera fai qualcosa?» Mi domandò, soffiandomi il fumo in faccia.
«Veramente non lo so ancora.» Fui sincero.
Forse avrei dovuto passare da mia madre e cenare con lei, obiettivamente la vedevo pochissimo, ma era una mia scelta. Da quando avevo iniziato a lavorare, ormai da circa un anno, vivevo da solo in un appartamento non lontano dalla mia vecchia casa, nonostante ciò non avevo mai voglia di tornarci per vedere mia madre e quel coglione di Bill, il suo nuovo compagno. Mio padre era morto un paio di anni prima per un cancro allo stomaco e mia madre si era presto consolata trovando un rimpiazzo che di certo non era degno né di lui né di lei. Bill era un uomo insulso, stupido, scansafatiche e io non lo sopportavo; più cercavo di capire come mia madre avesse potuto innamorarsi di un essere del genere, dopo essere stata per venticinque anni con un uomo splendido come mio padre, e più mi passava la voglia di andare a trovarla. La chiamavo, certo, ma entrare in quella casa era un incubo, perciò evitavo di farlo.
«Forse chiamerò mia madre per dirle che ceno da lei, ma ancora non ne sono sicuro.» Aggiunsi, guardando per terra.
«Vacci, Matt.» Disse Gwen, in un tono dolce. «Tua mamma ha bisogno di vederti più spesso di quanto tu creda.»
«Vedrò.» Risposi, dando un’alzata di spalle.
Rimanemmo in silenzio per un po’, io la guardai ancora mentre lei fissava il cielo. D’un tratto si avvicinò un po’ a me e mi diede una leggera spinta con la spalla.
«E se, dopo aver cenato con Valerie, venissi a vedere un film da me?» Disse e mi sorrise, guardandomi dritto negli occhi.
Panico.
Io, che mi vantavo di avere sempre la situazione in mano e di saper affrontare tutto quello che mi si presentava davanti con calma e sangue freddo, in quel momento, ero davvero in panico. E per di più, per una domanda cretina e, probabilmente, anche innocente.
Non sapevo cosa risponderle. Saremmo stati io e lei da soli? Magari in camera sua? Al buio? No, non era sicuramente il modo giusto per cercare di togliermi dalla testa le strane voglie di quei giorni. Avrei dovuto rifiutare, anche se con dispiacere.
«Non saprei… Forse dovrei riposarmi un po’, sai, il viaggio…» Iniziai a dire, mantenendomi sul vago. «Poi domani sera sono di turno al pub.» Aggiunsi.
«Oh.» Fece lei, delusa.
Il senso di colpa si fece subito sentire a livello della bocca dello stomaco, così le lanciai un’occhiata dispiaciuta alla quale rispose con un piccolo sorriso. Aveva un musino che mi faceva davvero impazzire.
«Però magari vengo, okay?» Dissi poi, senza pensarci e mi venne subito voglia di mordermi la lingua.
Lei buttò a terra la sigaretta e mi strinse in un abbraccio.
«Ci conto.» Mi sussurrò vicino all’orecchio.
Merda, pensai io, guai in vista.

L’ultima ora e mezza di viaggio la passai seduto sul sedile posteriore in una specie di dormiveglia – in cui riuscii comunque a torturarmi pensando a cosa avrei dovuto fare più tardi –, con la testa di Gwen sulle ginocchia e un braccio attorno alla sua vita. Ero spacciato.



Ma saaaalve!
Capitolo leggermente più lungo del solito, ma spero che sia stato comunque apprezzato :)
Volevo, come sempre, ringraziare tutti quelli che seguono, che hanno preferito e anche ricordato; un grazie ancora più grande a coloro che recensiscono facendomi superfelice!
Aspetto qualche nuovo commento.
A presto, baci.

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Gwen


Avevo appena finito di dire per la quindicesima volta a mia madre che stavo bene e che non mi interessava nemmeno più se Jessie mi aveva tradito con un’altra, quando il suono del campanello mi interruppe, facendomi saltare immediatamente il cuore in gola.
«Chi può essere?» Chiese lei, guardandomi con aria interrogativa.
In realtà Matt non mi aveva più fatto sapere nulla, quindi non era detto che fosse lui. Ci eravamo salutati dopo aver portato a casa Lola e non ci eravamo più sentiti, mi aveva lasciata così, in uno stato di euforia mista ad ansia che non riuscivo più a sopportare. Da una parte desideravo con tutta me stessa che avesse deciso di venire, avevo voglia di tastare un po’ il terreno, vedere cosa sarebbe potuto succedere; dall’altra, una paura tremenda di star facendo l’errore più grande della mia vita – e forse era anche per quello che avevo deciso di non scrivergli per sapere cosa aveva deciso di fare. In quel momento, mi sentivo come una ragazzina al primo appuntamento con la sua prima vera cotta, a cui è morta dietro per troppo tempo e che crede essere l’uomo della sua vita… ed in effetti era proprio così.
«Non so.» Risposi a mia madre, mentendo. «Apri tu?» La guardai con espressione implorante.
Così, mentre lei si avviava alla porta per vedere chi fosse, feci in tempo a correre un attimo in bagno al piano di sopra per controllare che la mia faccia avesse un aspetto più o meno decente, mi diedi così una sistemata ai capelli e, proprio mentre stavo per tornare giù, sentii la sua voce.
Era venuto da me, nonostante quella strana indecisione di prima. Era lì, proprio come ai vecchi tempi, ed io, esattamente come tre anni prima quando veniva da me, avevo il cuore che pompava ansia ed emozione a circa mille battiti al minuto.
«Tu sei sempre stata di parte, Diane. Non vale.» Lo sentii ridacchiare, mentre mia madre lo conduceva dentro casa.
Probabilmente mia madre gli aveva appena fatto un complimento. Era un bel po’ di tempo che non lo vedeva. Da quando mi ero messa con Jessie, Matt non era più venuto così spesso a casa nostra, solo qualche volta, per qualche cena in compagnia con amici, ai miei compleanni, a salutare a Natale e quella fatidica notte in cui avevo deciso di rimanere fedele al mio fidanzato e dire no a tutto ciò che avevo desiderato per anni. C’era stato Jessie in casa mia, per tutto quel tempo, era stato lui a passare le serate con me, a mangiare e dormire qui, ad aiutare con qualche lavoretto e a cui sia mia madre che mia sorella si erano affezionate. Matt c’era stato prima, anche se, ovviamente, in un modo diverso. Eravamo cresciuti praticamente insieme e mia mamma per molto tempo l’aveva considerato come un terzo figlio, poi, però, le nostre strade si erano – diciamo - separate: lui aveva iniziato ad andare male a scuola (non perché fosse stupido, semplicemente perché non aveva voglia di studiare) e, a causa della malattia di suo padre, spesso si assentava, e forse fu proprio per quella ragione che venne graziato e fatto diplomare. Era capitato anche che uscisse con gente poco raccomandabile a fare cose poco legali, mentre, intanto, la lista di quelle che si portava a letto aumentava sempre di più. Solo negli ultimi anni, sembrava aver regolarizzato un po’ il suo modo di vivere, si era trovato un lavoro e aveva ripreso ad uscire con i suoi vecchi amici, anche se io – tra un pianto, una delusione e una crisi di gelosia – e Dom c’eravamo sempre stati, in una maniera o nell’altra. Io, invece, avevo cercato di concentrarmi sullo studio e la vita da cosiddetta “brava ragazza”, mentre lui aveva lasciato che, ogni giorno di più, aumentasse la sua fama di ragazzaccio: amato dalle figlie, disprezzato dalle madri. Anche la mia, nonostante l’avesse sempre trovato un ragazzo intelligente, con la testa sulle spalle e anche bellissimo, in quel periodo e pure ultimamente, non era per niente felice che facesse ancora parte della mia cerchia di amici. Se solo avesse saputo che io volevo da lui qualcosa di più di una semplice amicizia, non so cosa avrebbe fatto… Ma era sempre stato così e non avrei cambiato idea facilmente, perché Jessie era stato solo una parentesi in quella storia impossibile che era e sarebbe stata quella tra me e Matt.
Iniziai a scendere le scale, anche se con calma, ero curiosa di sentire come avrebbero portato avanti la conversazione.
«Allora, Matthew? Come stai? E Valerie? Ogni tanto la vedo in paese e ci fermiamo a chiacchierare.» Disse mia mamma, mentre lo faceva accomodare sul divano.
«Io me la cavo, mia madre anche. Sono passato prima e l’ho trovata bene.» Rispose lui, sedendosi in un angolo del sofà.
Io li guardavo dalle scale senza farmi notare e non riuscivo a capire chi dei due fosse più imbarazzato. Era strano vederli così e pensare al rapporto che c’era una volta.
«Ne sono felice.» Commentò poi lei e lui le sorrise educatamente.
«Qui come ve la passate?»
«Piuttosto bene, direi. Come saprai sicuramente, Gwen si laurea fra poco, mentre Nina da quando lavora in città la vedo un po’ meno, ma sono comunque contenta per lei.» Rispose mia madre piena d’orgoglio. «Gwen!» Chiamò subito dopo.
Presi un respiro e scesi gli ultimi gradini.
«Sono qui.» Dissi, palesandomi in salotto.
Matt si alzò subito dal divano e si voltò verso di me. Una volta incrociato il mio sguardo, uno di quei suoi sorrisi perfetti e magnetici si disegnò sul suo viso ed io persi un battito. Pensai a quanto avrei voluto baciarlo, quel sorriso. Mi sarebbe piaciuto farlo subito, senza riflettere più. Se fosse stato tutto così facile…
«Ehi» Mi fece lui, accennando un movimento del capo nella mia direzione.
«Ciao» Risposi io, lasciando tradire la mia voce da una nota di emozione.
Mia madre mi guardava con aria interrogativa, ma io feci finta di nulla, così fece da sola e chiese a Matt cosa lo aveva portato lì. Una volta non l’avrebbe mai fatto.
«Oh, è che Gwen mi aveva chiesto di guardare un film insieme. Ho pensato che sarebbe stata una cosa carina e allora sono venuto.» Rispose lui, con un’innocenza impressionante, stringendosi nelle spalle. Sicuramente si era accorto del leggero astio di mia madre nei suoi confronti.
Era dolcissimo e bellissimo, ed io non sapevo più come trattenermi. Nella mia testa la situazione stava degenerando un po’ troppo in fretta.
Mamma si limitò a sorridergli e venne verso di me, mi afferrò per un braccio e, mentre mi trascinava in cucina, disse: «Vieni a prendere qualcosa da offrire a Matthew.». Lui rimase lì impalato, trattenendo una risata. Sapevo già cosa mi aspettava.
«Perché l’hai fatto venire qui?» Mi sibilò mentre apriva il frigorifero per tirar fuori qualche bibita.
«Mamma, non ha la peste.» Le feci notare, prendendo un paio di bicchieri dalla credenza.
«Stai già rimpiazzando Jessie?» Domandò poi, sempre sottovoce, sbattendo la bottiglia di Coca Cola sul tavolo.
«Ma cosa stai dicendo?» Le lanciai un’occhiata glaciale.
«Gwen. No.» Continuò, in tono fermo.
«Ma Gwen no, cosa?»
«Non fare cazzate.»
«Ho invitato il mio migliore amico da vent’anni a vedere un film.» Cercai di chiarire. «Niente di più, okay? Non mi sembra la fine del mondo.»
Lei scosse la testa, mettendomi in mano un vassoio sul quale poggiò i due bicchieri vuoti e Coca.
«Non c’è possibilità che tu e Jessie-» Iniziò a dire, ma la interruppi subito emettendo un specie di ringhio e me ne andai, lasciandola lì impalata in preda alle sue paranoie.
Avrei fatto quello che volevo, di certo non dovevo rendere conto a lei. Come poteva anche solo aver tentato di farmi una domanda del genere? Era al corrente del fatto che fosse stato lui ad andare con un’altra, che aveva preso in giro sua figlia, ma a quanto pareva non sembrava essere un problema. Mentre il fatto che quel “cattivone” di Matt fosse lì, la infastidiva parecchio.
Raggiunsi Matt e gli feci segno di seguirmi al piano di sopra, lui mi venne dietro a ruota. Sparimmo così, finalmente, dalla vista di quell’impicciona di mia madre e ci chiudemmo in camera mia, anche se sapevo che poco dopo sarebbe dovuta uscire con uno con cui aveva iniziato a vedersi.
Lui scoppiò subito in una risata, mentre io appoggiavo il vassoio sulla scrivania.
«Mi odia così tanto?» Chiese, divertito.
«Non ti odia, è solo preoccupata.» Cercai di farla sembrare meno tragica.
«Preoccupata che ti porti sulla cattiva strada?» Disse, con un mezzo sorriso.
«Credo di sì.» Risposi, un po’ in imbarazzo per lei.
«Dai, non sono più messo così male…»
Mi sentii in colpa per quello che mia madre pensava di lui.
«Lo so, lo so.» Gli andai vicino e gli lasciai una carezza sul braccio.
«Poi tu sei già una cattiva ragazza, non hai bisogno di me per diventarlo.» Aggiunse, ridacchiando.
«Cattivissima.» Lo corressi e lui mi fece l’occhiolino.
Un attimo dopo iniziò ad aggirarsi per la stanza guardandosi in giro. Diede un’occhiata ai libri che avevo sul comodino, ai mille appunti per l’ultimo esame di filosofia, ai pupazzi che tenevo sopra all’armadio– tra cui sicuramente riconobbe l’orsacchiotto che mi aveva regalato lui anni prima –, ma si soffermò in particolare sul collage di foto che avevo appeso alla parete sopra al mio letto. Ce n’erano alcune di quando ero piccola, un paio con mio padre – di prima che lui e mia madre si separassero –, molte con Lola, una più grossa delle altre dove ero abbracciata a Jessie – non avevo ancora avuto il tempo di toglierla – e due polaroid in cui ero insieme a lui. Nella più vecchia avremmo avuto circa dieci anni, eravamo alla recita di Natale; per la prima volta ero stata scelta io per fare la protagonista ed ero agitatissima. Quella foto era stata scattata da mio padre proprio quando Matt mi aveva preso la mano poco prima della mia entrata in scena. I suoi capelli corvini contrastavano i miei biondissimi, mentre mi rivolgeva un sorriso incoraggiante.
L’altra, scattata da Lola, era della festa del mio diciannovesimo compleanno. C’ero io, con la schiena contro il muro della cucina e lui proprio di fronte a me, con il gomito appoggiato allo stipite della porta, che mi parlava a pochi centimetri dal viso. Osservando quella foto, solo io riuscivo veramente a capire come lo stavo guardando in quel momento. Non ricordavo nemmeno cosa mi stesse dicendo, perché l’unica cosa su cui ero davvero concentrata erano le sue labbra, che speravo di riuscire ad attirare verso le mie forse con - probabilmente - la sola forza del pensiero. Ovviamente, non ci riuscii e lui quella sera finì a letto con Alexis, una nostra ex compagna. Io passai la notte a piangere a casa di Lola. Patetica.
«Com’eri carina.» Commentò, sfiorando la polaroid più vecchia ed io mi emozionai senza nemmeno un vero motivo.
«Anche tu non eri male vestito da elfo.» Ridacchiai, poco dopo e lui con me.
Poi guardò anche l’altra e lo vidi sorridere.
«Chissà che stronzata ti stavo dicendo...» Disse. «Probabilmente ero anche sbronzo.»
«Ah, sbronzo sicuramente.» Risi.
«Quel vestitino nero ti stava da dio, come ho fatto a non saltarti addosso?» Chiese, d’un tratto, lasciandomi impietrita e con il cuore in gola.
Notai che si morse il labbro e poi scosse la testa. Commento sbagliato? Io, intanto, cercai di riprendermi e sembrare il più sicura di me possibile. Pensai che avrei presto avuto bisogno di alcol per affrontare quella serata, altro che Coca Cola.
«Sinceramente non lo so.» Gli risposi poi, alzando un sopracciglio ed evitando di dirgli che era esattamente quello che avevo sperato ardentemente quella sera.
«Vedi? Sono un bravo ragazzo e nessuno lo capisce.» Disse, facendo finta di lamentarsi.
«Povero ometto incompreso…»
Lui mi sorrise e si sedette sul letto. Entrambi rimanemmo un attimo in silenzio per ascoltare i rumori provenienti dal piano di sotto, mia mamma doveva aver appena chiuso la porta. Finalmente se n’era andata.
«Allora? Cosa guardiamo?» Domandò poi, mentre si toglieva le scarpe.
«Non so, proposte?» Dissi, quando, in realtà, tutto quello che avrei voluto guardare era solo lui.
«Batman?»
«Scherzi?»
«Assolutamente no.»
«Ma sono due ore e mezza di film…» Feci, lamentosa.
«E dai!» Cercò di convincermi lui.
«Dovrò ubriacarmi allora.» Sospirai.

Quasi tre ore dopo ci ritrovammo sdraiati sul tappeto in camera mia a ridere. Due birre vuote e una bottiglia di gin a metà e le mie inibizioni stavano già andando a farsi benedire.
«E poi ti ricordi di quella volta che siamo andati in gita e siamo finiti in quell’hotel dove si mangiavano solo carote? Pasta con le carote, minestra con le carote, carote con le carote, carote senza carote. Me le hanno fatte odiare, cazzo!» Disse Matt per poi scoppiare in un’altra risata.
«Me l’ero dimenticato, ci credi? Maledette carote!» Risposi, divertita.
Ed eravamo lì, vicini. Troppo vicini. La mia testa appoggiata sul suo braccio e le gambe attorcigliate. Mi concentrai per un attimo, l’alcol in corpo mi faceva sembrare tutto perfetto, ma comunque riuscii solo a pensare che l’incavo del suo braccio fosse stato concepito con quella precisa struttura perché io potessi appoggiarci la testa e capire che quello era il mio posto nel mondo. Il suo profumo mi inebriava la mente.
Rimanemmo in silenzio per un po’ e mi venne in mente quella sera anni prima, quando eravamo finiti sdraiati sul tappeto a raccontarci stronzate, proprio come in quel momento, e avevo sentito che mi desiderava esattamente come io avevo fatto con lui per tutti quegli anni.
E io lo volevo ancora, forse più di prima. Me lo dicevano le farfalle nello stomaco, me lo diceva il batticuore e quel potentissimo impulso di baciarlo che stavo cercando di trattenere.
Mi voltai verso di lui appoggiando il mento contro il dorso della mano e gli puntai gli occhi addosso. I suoi, azzurri, brillavano nella penombra, la luce delle lampade disegnava gli spigoli del suo viso, un sorriso così perfetto e seducente che mi balzò in testa come un lampo il pensiero di tutte le altre “lei” c’erano state prima di me e mi fece male. Ma non mi passò la voglia di continuare quello che avevo iniziato.
«E ti ricordi quella sera che stavi per baciarmi?» Sussurrai, con cautela, vicino al suo viso.
Lo vidi deglutire e poi portarsi una mano sugli occhi.
«Oh, Gwen.» Disse, con una risatina imbarazzata. «Ma cosa ti viene in mente?»
Era stupendo ed io ero sempre più convinta di volerlo. In ogni senso.
Risi anche io per un attimo, ma poi tornai subito seria e lo guardai così intensamente che lo convinsi a voltarsi verso di me e finalmente a reggere il mio sguardo.
«Allora? Ti ricordi?»
«Mi ricordo.» Mormorò.
Silenzio.
«Pensavo che fossi tu a non ricordartene.» Aggiunse, poco dopo.
Gli sorrisi. Se solo avesse saputo quante cose mi ricordavo..., cose che lui neanche poteva immaginare.
«Invece sì.» Mi avvicinai pericolosamente a lui e gli presi la mano per poi portarmela sul fianco.
Lo vidi irrigidirsi e la cosa mi fece sorridere: sembravo io ad avere la situazione in mano, per una volta. Mi guardò negli occhi con l’espressione di qualcuno che non capisce cosa sta succedendo e socchiuse le labbra come per prendere un respiro. Sembrava spaventato e io, giuro, non avevo mai visto Matthew Bellamy intimorito da una ragazza. Mi sentii potente, in un certo senso.
Le mie labbra erano sempre più vicine alle sue, ma lui non mi fermava e non sembrava nemmeno intenzionato a farlo e questo mi convinse a non lasciar perdere tutto. Nonostante avessi il cuore in gola, ma anche un bel po’ di alcol nelle vene, stavo per fare quello che avrei dovuto fare anni e anni prima.
D’un tratto, però, lui scosse quasi impercettibilmente la testa e mi guardò come a dire “cosa stai facendo?”, così io mi bloccai per un attimo. Ed ecco che la mia parte razionale stava riaffiorando troppo in fretta: e se stessi sbagliando?, balenò nella mia mente. Ma quasi non feci in tempo a pensarlo che sentii la mano di Matt dietro alla nuca tirarmi verso di lui, lo guardai negli occhi un’ultima volta e poi mi lasciai andare. Lo baciai, proprio come avevo sognato di fare tante altre volte. Lo baciai mettendoci dentro anni di baci onirici, così a lungo da restare a corto di respiro. E lui baciava così bene che la pelle d'oca sulle mie braccia mi pungeva in modo fastidioso. Sentii una scarica elettrica nella schiena, fino alla base e la sua mano scendere dalla nuca fino al mio collo. Mi accarezzò la guancia con il pollice e sentii la sua lingua farsi strada tra le mie labbra, le dischiusi e mi feci trascinare da quel bacio che di casto e puro non aveva proprio nulla. Cercai, però, di mantenere il controllo, perché sentivo di desiderarlo troppo e non volevo lasciarmi trascinare dalla frenesia di averlo per me - in ogni senso – subito. Così, a fatica, mi allontanai e sollevai gli occhi nei suoi. L’azzurro mi invase e un sorriso bellissimo mi fece perdere la testa un’altra volta e lo baciai di nuovo.
E poi ancora.
E ancora.





Ciao a tutte!
Questa settimana siamo a quota due capitoli, mi sento ispirata. Spero vi sia piaciuto, finalmente siamo arrivati al primo bacio e no, non è un sogno della povera Gwen XD
Come sempre, ringrazio tutti, chi legge, chi preferisce (siete sempre di più) e ricorda, ma ancora di più chi mi perde un po' di tempo per farmi sapere cosa ne pensa. Grazie a tutti.
Al prossimo,
Baci.

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


SI

Matt

Appena fui certo che si fosse addormentata, con estrema cautela feci scivolare il mio braccio da sotto al suo collo e lentamente mi alzai dal letto. Mi girava un po’ la testa, l’alcol era ancora in circolo e si faceva sentire. Trovai le scarpe vicino alla scrivania e, una volta infilate, uscii da camera sua cercando di fare il meno rumore possibile, per infine riuscire a sgattaiolare fuori da quella casa esattamente come avrebbe fatto un ladro. Sua madre e la sua insofferenza nei miei confronti fortunatamente non erano ancora rientrate, evitai così di incorrere in uno spiacevole incontro. Percorsi il vialetto ed in pochi passi arrivai in strada, una trentina di metri più là c’era la mia Ford parcheggiata, un silenzio di tomba a farmi compagnia.
Aprii la portiera, mi sedetti sul sedile e lasciai cadere la testa all’indietro contro lo schienale. Inspirai profondamente e mi accorsi che mi tremava una mano. Diedi un pugno contro il volante.
Mi sentivo confuso. Era successo quello che avevo sperato non accadesse, anche se l’avevo comunque messo in conto decidendo di presentarmi a casa sua. Quello che mi aveva lasciato di stucco, però, era il fatto che non ero stato io a portarci dove eravamo arrivati, ma lei. Lei mi aveva provocato e io – lo sappiamo benissimo tutti – non so resistere alle provocazioni. Non che non ci avessi provato per un po’, ma il mio scarso impegno e la voglia pazza di assaggiare quelle labbra rosa avevano sopraffatto il mio buonsenso. Sentivo ancora il corpo carico di tensione ripensando a quando mi aveva preso la mano per appoggiarla al suo fianco appena scoperto dalla maglietta leggermente arruffata, sentivo il desiderio che aveva preso possesso di me e non mi aveva lasciato alcuna alternativa. L’avevo attirata verso di me, proprio quando lei aveva vacillato - forse spaventata quanto lo ero io -, spinto dall’irrefrenabile voglia di capire cosa si provasse a baciare Gwen Morrissey, a toccare quelle labbra, a sfiorarle, a succhiarle via. Ed era stato bello. Assurdamente bello. Lei si era lasciata andare, trasportare da quel meraviglioso - quanto strano – momento, avevo sentito le sue dita tra i miei capelli, intrecciarsi ad essi e poi tirare ogni volta che il bacio si faceva più intenso, mentre la mia smania di averla cresceva sempre di più. Si allontanava da me e poi, come se la mia bocca fosse calamitata, tornava più prepotente e sicura di prima, ed io impazzivo. Il mio corpo impazziva. Ed era stato difficile tenerlo a bada. Ma non successe nulla di più, solo tanti, troppi baci, fino quasi allo sfinimento. Fino a quando lei non mi disse sottovoce che era così tanto che aspettava quel momento che pensava non sarebbe mai arrivato. Mi disse che era felice e io mi sentii come se qualcuno mi avesse appena tirato un pugno nello stomaco. La strinsi a me, non le dissi nulla, le diedi solo un piccolo bacio sulla fronte per poi chiudermi in me stesso in un religioso silenzio, mentre lei si addormentava, su quel tappeto, con un piccolo sorriso disegnato sulle labbra.
Ed ero ancora lì, seduto in auto, al buio, spaventato e confuso. Non capivo. Emozioni contrastanti popolavano la mia mente e il mio corpo. Da una parte sapevo che mi era piaciuto, che avrei voluto rifarlo, che sarei potuto andare oltre, ma dall’altra pensavo di aver fatto un errore enorme. Mi aveva fatto capire che per lei era stato molto di più di un semplice bacio, che era da molto tempo che desiderava accadesse, che, quindi, avrebbe quasi certamente voluto di più ed io non sapevo se fossi davvero in grado di poterle dare quello di cui aveva bisogno, perché sapevo benissimo che Gwen non era una di quelle ragazze che si accontentano di poco. Mi conoscevo troppo bene e sapevo di non essere capace di portare avanti una relazione, mentre lei non riusciva a non impegnarsi, in ogni cosa che facesse, che fosse per la preparazione di un esame in università o in un rapporto, dava sempre tutto, dava sé stessa al cento per cento e per questo io non andavo bene per lei. Io non ero così, io non ne ero capace.
Ero certo di aver provato qualcosa di diverso dal solito, un’emozione lontana dalle ordinarie, qualcosa a livello dello stomaco. Un po’ come quando si dice “avere le farfalle nello stomaco” e senti quella specie di ansietta che ti prende proprio lì, ma sai che in fin dei conti è un’ansia buona perché ti sta per succedere qualcosa di bello. Ed in effetti era proprio stato così.
Presi un respiro e misi in moto la macchina. Con calma, visti i postumi della sbronza, mi diressi verso il mio appartamento. Una volta dentro, mi spogliai e mi buttai a letto per ripiombare subito in quel fastidioso vortice di pensieri che sapevo non mi avrebbe lasciato stare senza farmi dannare per almeno un po’ di tempo.
Come mi sarei comportato il giorno dopo? Cosa le avrei detto? Avrei dovuto mandarle un messaggio con un ipocrita “buongiorno bellissima”? Io non ero per quelle cose, almeno che non avessi voglia di scopare. Ed in effetti prima avevo avuto voglia di scopare con lei. Volevo soffocarmi con il cuscino pur di non continuare a pensare a cosa avrei dovuto fare.
Tutto era contro a quella stupida debolezza che avevo avuto nei confronti di Gwen. Era stata la fidanzata di uno dei miei più cari amici, io ero un pezzo di merda complessato con fin troppi problemi, l’avrei fatta soffrire quasi sicuramente e – ciliegina sulla torta – l’avrei persa.
Non sapevo cosa fare, se lasciarmi andare e vedere cosa sarebbe successo o chiuderla subito lì, sperando intensamente di riuscire a non rovinare nulla. Ma pensai a quel bacio – a quei baci – e un brivido mi percorse la schiena, pensai alle sue mani su di me e mi resi conto che non sarebbe stato facile rinunciarci. Contro ogni aspettativa, mi addormentai con quelle immagini. 

 

Mi svegliai di soprassalto e mi accorsi che il mio telefono stava suonando, trapanandomi il timpano sinistro – il più vicino al comodino, dove il bastardo vibrava senza sosta. Diedi un’occhiata veloce alla sveglia. Quasi la una di pomeriggio, avevo decisamente recuperato le ore di sonno perdute durante la vacanza al mare. Mi sporsi verso il telefono e lo afferrai. La faccia di Dominic lampeggiava insistentemente sullo schermo.
«Ciao.» Dissi, con la voce ancora impastata di sonno, cercando di trattenere uno sbadiglio.
«Sì, ciao ciao anche a te.» Fece. «Sono due ore che ti mando messaggi.»
«Stavo dormendo.» Mi lamentai. «Faccio il turno serale, oggi.»
«Già.» Si ricordò lui. «Comunque ho saputo cose.»
«Cose.» Ripetei. «Cose di che tipo?»
«Del tipo che ieri sera ti sei fatto Gwen. Ripeto. Gwen. E poi sei scappato.» Mi spiegò, con un risolino tra il divertito e l’accusatorio.
Fantastico. Fare la figura dello stronzo potevo toglierlo dalle cose della lista da fare.
«Non sono scappato.» Mi difesi. «Poi tu come fai già a saperlo?»
«Gwen l’ha detto a Lola, Lola l’ha detto a me. Facile.»
«Oh, vaffanculo. Tu e quell’impicciona di Lola.» Lui rise ed io mi alzai dal letto per dirigermi in cucina.
«Gran colpo da maestro.» Mi prese in giro.
«Senti, i sensi di colpa me li sono già fatti venire da solo, non metterci del tuo.»
Presi una tazza dalla credenza e accesi la macchinetta del caffè.
«Poi non me la sono mica scopata.» Aggiunsi.
«Che volgare che sei a parlare così della tua migliore amica.» Continuò, con quel tono da presa per il culo.
«Hai voglia di prenderle?» Domandai e lui rise di nuovo.
«Fai il bravo, che Lola ha già intenzione di spaccarti la faccia.»
Questa volta risi io, poi bevvi un sorso di caffè fumante.
«Credo che voi due dobbiate iniziare a farvi gli affari vostri.» Dissi, poi.
«E ma non sarebbe più divertente…» Fece lui, divertito.
Ci fu un attimo di silenzio in cui, probabilmente, entrambi decidemmo di far diventare quella telefonata qualcosa di più serio di quattro insulti tra una risata e l’altra.
«Senti, non so cosa ti sia saltato in mente, ma non so se è stata proprio una buona idea.» Disse Dom.
«Lo so, cazzo.»
«Cioè, dipende da quello che hai intenzione di fare adesso. Perché il fatto che tu te ne sia andato subito dopo il fattaccio non fa iniziare bene le cose. Sempre che tu le voglia far iniziare, poi…»
«Io-» Mi bloccai e guardai verso l’alto, una macchia di muffa mi salutò. «Io non lo so cosa ho intenzione di fare, Dom.» Continuai, questa volta tornando a fissare la tazzina di caffè che tenevo in mano.
Silenzio. Un silenzio in cui mi vennero alla mente le emozioni della sera prima.
«Gwen mi piace.» Dissi, poi.
«Come amica.» Mi suggerì lui.
«Non ne sono più sicuro.»
«Questo significa che potrebbe esserci la possibilità che tu voglia qualcosa di più di una semplice scopata?»
«Sì.» Sussurrai, quasi avessi paura a dirlo.
Lui gridò al miracolo dall’altra parte della cornetta.
«Così andiamo bene, amico, così andiamo bene.» Mi disse poi, sollevato.
«È stato diverso dalle altre volte.» Cercai di spiegare.
«In effetti, già solo il fatto che tu ti sia fermato ad un semplice bacio, senza sentire il bisogno di sbattertela in camera sua è sì diverso dal solito.» Ridacchiò.
«Coglione.»
«A parte gli scherzi, non fare lo stronzo con lei. Chiamala, okay?»
«Lo farò.» Promisi, più a me stesso che a lui. «È che sono un po’ confuso. Ieri sera è stato tutto così strano.»
«Lo so, lo so. Matthew Bellamy non è abituato a certe cose.»
«Le vuoi prendere, ormai è appurato.»
Ridemmo entrambi.
«Stasera magari passo al pub a trovarti.» Disse.
«Sempre che tu non abbia di meglio da fare.» Gli risposi, alludendo a lui e Lola.
«Ovviamente.»
«Quindi sicuramente no, perché non te la darà mai.» Ridacchiai.
«Ciao, stronzo.» Mi salutò lui.
«Ciao, carissimo.» Terminai così quella telefonata.
Finii poi di bere il caffè appoggiato al bancone della cucina e andai in bagno per farmi un doccia e cercare di schiarirmi un po’ le idee. Sotto l’acqua ricordai di averla sognata, quella notte. Ricordai che c’erano il mare e le stelle e lei che veniva verso di me con quel vestito bianco e aderente al suo corpo perfetto, mentre io la guardavo incantato. E, proprio come quella sera in vacanza, la trovavo bellissima e sentivo un’irrefrenabile voglia di toccarla.
Mentre mi lavavo i capelli pensai a cosa avrei dovuto dirle più tardi. Di certo ci era rimasta male per non avermi trovato lì al suo risveglio, forse era anche per quello che non avevo trovato chiamate o messaggi da parte sua, ma avrei cercato di rimediare e di farmi perdonare, anche se non era il mio forte. Decisi che sarei andato da lei per provare a chiarire la situazione.

 

Senza avvisarla, mi presentai a casa sua verso le cinque, un paio d’ore prima dell’inizio del turno al pub. Sapevo che sua madre non sarebbe stata a casa perché, a quanto mi aveva detto Gwen, da quando Nina si era trasferita in città per lavoro, il venerdì andava da lei per cenare insieme. Così andai piuttosto sul sicuro per quanto riguardava la questione “madri iperprotettive e rompicoglioni.” Se dovevo essere sincero, un po’ mi dispiaceva che tra me e Diane non ci fosse più quella specie di rapporto madre-figlio che ci aveva legato per molti anni, ma dall’altra parte non capivo nemmeno il perché di un cambiamento così radicale. Nonostante tutti i miei problemi, tutte le stronzate che avevo fatto – e che avrei continuato a fare –, nonostante spesso avevo sentito il bisogno di qualcuno che mi stesse vicino, che mi aiutasse, non avevo mai e poi mai messo in mezzo sua figlia. C’era stata per me, certo, ma per determinate cose no perché non avevo voluto. Ero un cazzone, ma su certe cose non transigevo e non mi sarei mai permesso di creare problemi ad altre persone, soprattutto se quelle persone erano ragazzine ingenue e troppo buone per dire di no e lasciar correre. Avrebbe fatto di tutto per me, se solo avesse saputo.
Citofonai ed attesi con un nodo alla gola che sembrava soffocarmi, mentre giocherellavo con i bottoni della camicia. Dopo un minuto buono sentii dei rumori al di là della porta, le chiavi girarono nella toppa ed ecco che mi trovai di fronte due bellissimi occhi azzurri incorniciati da un paio di occhiali da vista. Aveva i capelli raccolti in uno chignon tenuto insieme da una matita e addosso una tuta nera che metteva in risalto le forme del suo corpo. Tipica tenuta da studio intenso.
Le sorrisi cercando di apparire il più dispiaciuto possibile e le porsi un sacchettino. Mi guardò storto senza ricambiare, ma poi lo afferrò e, quando lo aprì, vidi l’angolo della sua bocca distendersi in qualcosa che doveva assomigliare ad un sorriso. Ero passato in quel negozio di dolci in fondo alla strada per prenderle un po’ delle sue caramelle preferite.
«Immagino tu stia studiando, quelle sono per premio.» Dissi, dolcemente.
Lei finalmente alzò lo sguardo.
«Beh, grazie?» Rispose, cercando di mantenere un certo contegno.
«Sei arrabbiata?» Chiesi, appoggiandomi allo stipite della porta con l’avambraccio.
«Non sono arrabbiata, solo che pensavo che dopo quello che ti ho detto ieri sera non te ne saresti andato così.» Mi spiegò, finendo per mordersi il labbro inferiore.
«Sei delusa e lo capisco.» Mormorai, facendo un piccolo movimento verso di lei. «Giuro che non l’ho fatto con cattiveria.»
Lei prese un respiro e fece roteare gli occhi verso l’alto, poi accennò un mezzo sorriso.
«È che sei il solito stronzo e mi dimentico sempre di metterlo in conto.» Disse, dandomi una leggera spinta che mi fece dondolare sulla mia postazione.
«Però sono qui.» Le dissi, subito dopo.
«Però sei qui.» Mi guardò negli occhi, mordendosi un’unghia.
«E questo mi rende un po’ meno stronzo.»
«Un pochino, ma hai comunque il primato.»
«Mi fai entrare?»
«Solo perché hai portato le caramelle.» Rispose, afferrandomi il braccio per trascinarmi dentro.
Così mi lasciò oltrepassare la soglia di casa e mi condusse in cucina, dove vidi la penisola completamente ricoperta di libri e fogli pieni di appunti. Fece un po’ di ordine e ci si sedette sopra per poi farmi segno di entrare.
«Accomodati pure.» Disse poi, indicandomi una sedia.
Mi ci sedetti.
«Era tanto che non ti vedevo con gli occhiali.» Commentai, lanciandole un’occhiata.
«Li metto solo quando studio tanto e ho bisogno di riposare gli occhi.» Spiegò.
«Ti donano molto.» Mi sfuggì, mentre le sorridevo.
Lei arrossì di colpo e mi guardò male.
«Smettila di fare il carino, non ti si addice.» Mi fece notare, con quel suo musetto imbronciato.
«E tu smettila di stare sulle tue.» Dissi. «Sono qui e ho voglia di parlare con te.»
Mi alzai e mi posizionai di fronte a lei, ancora seduta sul tavolo.
«Parliamo allora.» Rispose, come se mi stesse sfidando.
Perfetto. Forse avrei preferito che mi tirasse uno schiaffone, perché non avevo ancora la minima idea di cosa avrei potuto dirle, in realtà speravo fosse lei ad iniziare. Rimasi, perciò, un attimo in silenzio per cercare di mettere insieme un discorso di senso compiuto.
«Cominciamo bene, Matthew.» Mi disse, tagliente, qualche secondo dopo.
E tutto quel sarcasmo da dove era uscito? Doveva essere davvero offesa.
Io le feci un mezzo sorriso e mi decisi a parlare.
«Mi dispiace essermene andato così, è che ero confuso, Gwen.» Cominciai, ma venni subito interrotto.
«Quindi sei qui per dirmi di far finta che non sia successo nulla, perché eravamo ubriachi e bla bla bla?» Domandò, con cattiveria, ma anche con una nota di delusione nella voce.
«Ma sei capace di tacere?» Dissi, aprendo le braccia in segno di disappunto e lei mi rivolse un’occhiata glaciale, ma rimase comunque in silenzio.
«Non sono qui per questo.» Ripresi e la vidi farsi più interessata a quello che stavo dicendo.
Mi avvicinai di più a lei, facendomi spazio tra le sue gambe leggermente divaricate, mentre lei andò indietro col busto per cercare di mantenere una certa distanza di sicurezza.
«Mi sono torturato il cervello per ore, Gwen. Per te. Per questa storia che nella mia testa ancora un senso non ce l’ha, ma sono comunque giunto alla conclusione che-» Mi bloccai, lei pendeva dalle mie labbra, si vedeva benissimo, perciò la lasciai lì così per qualche secondo.
«Che?» Chiese, senza riuscire più ad aspettare.
«Che mi è piaciuto da morire e che potrei fare un’eccezione alla regola, solo per te.» Finii di dire, avvicinandomi sempre di più, finché le mie gambe non toccarono il bordo del tavolo.
Vidi i suoi occhi illuminarsi e le sue labbra allargarsi in un sorriso.
«Sarei la tua eccezione?» Chiese, con speranza.
Non sapevo bene se quello che stavo facendo fosse giusto o meno, ma ci avevo riflettuto a lungo e, bene o male, qualsiasi cosa avessi deciso di fare il rapporto non sarebbe mai tornato quello di prima. Perciò avevo optato per provare qualcosa di nuovo, qualcosa che – speravo – mi avrebbe dato di più rispetto a quello che avevo avuto fino a quel momento. In quel caso, però, dire che provare non costava nulla non era vero, c’era solo bisogno di coraggio e io ne avevo da vendere.
Mi sporsi verso il suo viso, sentivo il suo fiato caldo sul mio.
«Sì, lo saresti.» Le dissi, poi, prima di posare un bacio dolcissimo sulle sue labbra, ritrovandomi così piacevolmente stupito di non essere solo capace di dare baci irruenti ed istintivi.
La sentii sorridere nella mia bocca e stringere le braccia attorno al mio collo.
Ero felice.
Al tutto il resto avrei pensato dopo. Solo strada facendo avrei capito cosa volevo davvero, non c’era altro modo per farlo.






Ehilà, eccomi qui di nuovo. In questi giorni ho avuto un po' più di tempo quindi ho aggiornato presto.
Matt finalmente si è fatto coraggio e ha deciso di mettersi in gioco, proprio come sperava Gwen, e renderla l'unica eccezione alle sue ferree regole sulle relazioni.  Ovviamente, però, non portà essere tutto sempre rose e fiori per la coppia più complessata della storia XD

Ho visto che i lettori sono aumentati e questo mi fa davvero molto piacere. Non siate timidi, fatemi sapere cosa ne pensate!
Ne approfitto per ringraziare Ashwini e OnlyHappyWhenItRains per la loro fedeltà a questa storia e perché mi dedicano sempre un po' del loro tempo <3 (50shadesofLOTS_always spero tu ci sia ancora tra i lettori ^^ ) 

Grazie a tutti, al prossimo capitolo.

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Matt


Alle nove il locale era già pieno di gente – i venerdì sera erano forse peggio del sabato – ed io avrei dovuto servire quell’inferno da solo per ancora mezz’ora. Bel rientro dalle vacanze… Mentre tagliavo un’arancia a fettine, presi un respiro profondo e mi feci forza pensando che presto mi avrebbe raggiunto Jonathan, il mio collega e capo, nonché proprietario del White Heart. Un ragazzo sulla trentina, simpatico e affabile, ma culo verde come pochi.
Non feci in tempo a finire di preparare i drink dell’ultima ordinazione che avevo ricevuto, che sentii il mio telefono vibrare nella tasca dei jeans. Posizionai i bicchieri sul vassoio e mi affrettai a portarli al tavolo a cui erano sedute le due coppie che li avevano ordinati per poi tornare alla cassa con i soldi. Servii ancora un paio di birre a due tipi al bancone e, in quell’attimo di pace in cui nessuno ancora mi aveva chiesto nulla, mi appoggiai ad uno scaffale ed estrassi il telefono. Un messaggio di Gwen.
 

Se dopo venissi lì con Lola e Dom, ti farebbe piacere?
 

Sorrisi, perché era così dolce che prima o poi mi avrebbe fatto venire il diabete. Aveva paura di disturbarmi o di risultare appiccicosa e sapeva che odiavo essere rincorso a destra e a manca, perciò aveva preferito chiedermelo, per evitare di fare qualche passo falso. Le risposi che mi avrebbe fatto molto piacere vederla ed effettivamente lei sarebbe potuta essere l’unica cosa bella di quella prima stressantissima serata di lavoro.
Ripensai a qualche ora prima a casa sua. A come le si era illuminato il viso, fino ad un attimo prima imbronciato, sentendomi dire che volevo provare a rendere la nostra amicizia qualcosa di più, che sarebbe stata proprio lei la prima vera eccezione a quelle mie strane regole sulle relazioni. Dalla cucina, in cui la “svolta” era cominciata, eravamo poi finiti sul divano in salotto a parlare e baciarci, ma soprattutto a baciarci. Lì, mi aveva detto che sperava che tutto andasse per il verso giusto, che non dovevamo fare le cose di fretta, che, finché non sarei stato pronto, nessuno avrebbe dovuto sapere di noi – all’infuori, ovviamente, dei due nostri migliori amici che, anche se non gliel’avessimo detto, avrebbero comunque trovato il modo di venirne a conoscenza perché erano peggio di due spie sovietiche.
I miei pensieri vennero interrotti dalla voce di una ragazza che mi chiamava.
«Sì, scusami.» Dissi, avvicinandomi al bancone su cui si stava sporgendo, mentre rimettevo in tasca il cellulare.
«Mi fai un Daiquiri, per favore?» Chiese, sbattendomi le ciglia lunghe e nere davanti agli occhi.
«Arriva.» Riposi, mentre lei si accomodava su uno sgabello.
«Se vuoi te lo posso anche portare al tavolo.» Aggiunsi, indicando con un cenno del capo quelli che dovevano essere i suoi amici, seduti poco più in là, che ci guardavano interessati.
«Preferisco aspettare qui, grazie.» Disse, lanciandomi un’occhiata piuttosto eloquente: era lì per me, non di certo per il Daiquiri.
Mentre spremevo il lime, la guardai con la coda dell’occhio. Mi sembrava di averla già vista da qualche parte, forse non era la prima volta che veniva lì, ma c’era sempre così tanta gente che avrei potuto confonderla con almeno altre dieci ragazze. Pensai che fosse davvero carina, ma appena me ne resi conto mi venne in mente Gwen e cercai di concentrarmi su quello che stavo facendo. Non sarebbe stato così facile perdere le vecchie abitudini.
«Matt, giusto?» Fece lei, un attimo dopo, sporgendosi verso di me.
Alzai lo sguardo per un secondo, prima di iniziare a versare il rum nel bicchiere.
«Esatto.» Mi limitai a dire e lei rimase in silenzio, forse si aspettava di ricevere la stessa domanda, ma non gliela feci.
La vidi giocare con i capelli e mordersi un labbro imbarazzata.
Una volta pronto il drink, glielo porsi e le sorrisi per cercare di risultare un po’ più gentile di quanto lo fossi stato fino a quel momento. Dovevo ancora ben capire come funzionano le dinamiche tra ragazze carine e ragazzi, quando quest’ultimi non devono provarci. Dovevo trovare la giusta via di mezzo tra quello che ero abituato a fare, cioè flirtarci spudoratamente, e il distacco totale, perché, con il lavoro che facevo, non potevo di certo permettermi di fare lo stronzo antipatico.
«Buona serata» Le dissi, poi. «Se hai bisogno di altro, sono qui.»
«Grazie» Mi rispose, afferrando il bicchiere. «Comunque io sono Rachel.» Aggiunse, facendo spallucce, prima di voltarsi e andare verso il tavolo da cui arrivavano frasi di lamentele, del tipo «Già fatto?, «Beh?», «E quindi?» dalle amiche e «Digli che hai bisogno di scopare!» dagli amici.
Ridacchiai tra me e me e pensai che, in altre circostanze, quella ragazza sarebbe facilmente finita nel mio letto nel giro di qualche ora, con o senza l’aiuto dei suoi amici. Pian piano sarebbe cambiato tutto e la cosa, ad esser sinceri, mi spaventava un po’.
Feci in tempo a servire ancora diversi cocktail e birre, lavare qualche bicchiere e sistemare alcuni piatti, prima di vedere Jonathan entrare dalla porta sul retro. Mi asciugai le mani nel grembiule nero e gli diedi una pacca sulla spalla appena mi fu vicino, lui mi strinse in un abbraccio amichevole.
«Allora, andata bene la vacanza?» Mi chiese, mentre si sfilava il giubbotto di jeans.
«Benissimo, grazie.» Risposi. «Tu, come stai?»
«Magnificamente.»
Finalmente riuscii a respirare un po’ di più in quel trambusto e tra una chiacchiera e l’altra servimmo molte altre persone.
Alle dieci circa, vidi entrare Dominic abbracciato a Lola, con al seguito suo fratello Liam e Gwen. Sorrisi guardandola. Era bellissima e nella sua semplicità stava dieci spanne sopra a tutte quelle che c’erano in quello stupido pub. Si fermarono a salutare due nostri conoscenti e poi vennero al bancone.
«Buonasera.» Disse Lola, lanciandomi un’occhiata che diceva “guarda che ti tengo d’occhio”.
«Ciao, ragazzi.» Risposi io, contento di vederli.
Gwen mi sorrise, mentre si sedeva sullo sgabello proprio di fronte a me.
«Ciao, piccola.» Le sussurrai, quando le fui più vicino.
«Ciao, Matt.» Disse lei, arrossendo leggermente.
Non ci baciammo. Non lì, non davanti a tutti. Forse lei si aspettava che lo facessi, o perlomeno lo sperava, ma io non ero ancora pronto.
«Quanta cazzo di gente c’è?» Chiese Dom, guardandosi intorno.
«Non dirlo a me, non ne posso più e il turno finisce alle due.» Feci roteare gli occhi al cielo. «Uccidetemi!» Dissi poi, implorante.
«Rientro piacevole, devo dire…» Commentò Liam, ridacchiando.
«Piacevolissimo.»
All’improvviso Jonathan si palesò al mio fianco e mi spinse più in là.
«Ehi, ciao belli!» Salutò. «Come state?»
Li conosceva bene tutti, soprattutto Dom e Liam, che venivano spesso a farmi compagnia quando avevo i turni serali. Gwen, invece, era sempre venuta insieme a Jessie, tant’è che la sua assenza fu subito oggetto di curiosità da parte di Jonathan.
«Tutta sola stasera, biondina?» Disse, viscidamente, rivolgendosi a lei.
Gli lanciai un’occhiata di sbieco, di cui però nessuno si accorse. L’aveva sempre trovata carina, me l’aveva detto la prima sera che aveva avuto l’occasione di vederla – mi aveva anche chiesto perché non me la fossi mai fatta -, ma non aveva mai tentato nessun approccio – se non qualche stupida battutina ogni tanto – perché c’era sempre stato Jessie con lei. Sicuramente, appena al corrente dell’accaduto, si sarebbe fatto avanti.
«Non sono sola.» Disse lei, indicandogli i nostri tre amici.
Risposta eccellente.
«Vero.» Mormorò lui, con un sorrisino. «Cosa ti preparo, gioia?» Aggiunse, appoggiandosi ai gomiti per finire con il viso a pochi centimetri da quello di Gwen.
Stava già facendo il coglione, nonostante non sapesse ancora niente. Probabilmente lo immaginava. Lei mi lanciò un’occhiata, ma fui distratto da Dom che si era allungato sul bancone e aveva iniziato a sventolarmi la mano davanti alla faccia.
«Oh, ci sei? Ti sto parlando da un minuto e non mi caghi.» Mi fece notare.
«Scusa.» Dissi piano. «Stavo cercando di ascoltare Jonathan che ci prova con Gwen.»
Dom guardò al di là di Lola per vedere la situazione.
«Non ha speranze.» Mi disse, provando a tranquillizzarmi.
«Certo, lo ammazzo prima.»
«Sei già geloso?»
«Non sono geloso, è che è un coglione con le ragazze.»
Ero anche un po’ geloso, lo ammetto.
«Tu no, invece?» Disse Dom, ridacchiando.
«Colpito e affondato.» Risi e abbassai il capo in segno di sconfitta.
«Digli di stare alla larga.» Propose il mio amico, un attimo dopo.
Mi voltai per controllare cosa stesse facendo e lo vidi ancora lì, tutto sorrisi e sguardi languidi, mentre le preparava qualcosa da bere. Mi avvicinai e Gwen mi lanciò un’occhiata che diceva “salvami”.
«Senti, Jon, facciamo che qui finisco io, là sono arrivati nuovi clienti, vai tu?» Gli dissi, ma lui non sembrò molto contento della soluzione che avevo trovato.
«Perché non vai tu?»
«Dai, questi sono amici miei.»
Lui sbuffò, ma poi fece per avviarsi ai tavoli.
«A dopo, gioia.» Disse a Gwen, prima di andare.
«Gioia…» Ripeté lei, con un’espressione schifata ed io risi.
«Aspetta solo di dirgli che ti sei lasciata con Jay e non te lo scolli più di dosso.» Le dissi.
«Che meraviglia.» Rispose lei, sardonica.
«È fissato con te da quando ti ha conosciuta.» Le rivelai, mentre finivo di prepararle il ginger ale.
«Allora dovrei farci un pensierino…» Commentò, guardandomi divertita.
Alzai lo sguardo su di lei e scossi la testa leggermente.
«Non sei convincente, Gwen.»
«Già, dovrei essere parecchio ubriaca per finire con uno come Jonathan.» Fece lei, ridendo.
«Ho una notizia per te.» Dissi io, porgendole il drink pronto. «L’hai già fatto.»
Lei mi guardò per un attimo senza capire, poi si fece seria.
«Matt, con te è diverso…» Sussurrò, sfiorandomi la mano.
Aveva capito dove ero andato a parare.
Non l’avevo detto con cattiveria, semplicemente avevo constatato la situazione e lei si era sentita inutilmente in colpa. Probabilmente pensava di avermi ferito con quell’affermazione detta senza pensare, ma non era così. Non mi vergognavo di quello che ero.
«Non è diverso. Io sono- ero- sì, diciamo che ero, come lui. Esattamente così, non meglio.» Spiegai, terminando il tutto con un sorriso con il quale cercai di comunicarle che era tutto a posto, che non me l’ero presa. Lei però mi rivolse uno sguardo triste.
Presi il blocchetto per le ordinazione e stavo per andarmene a servire un gruppo di persone appena arrivate, quando mi bloccò mettendosi a parlare.
«È diverso perché sei tu… Perché ti voglio da una vita.» Mi disse lei, piano, per non farsi sentire.
Riuscii a malapena a controllare la voglia di prenderla e baciarla davanti a tutti.
Lei era così, innocente e troppo ingenua, e non avrebbe mai davvero capito con chi aveva avuto a che fare per tutto quel tempo. Negli anni, aveva idealizzato la mia figura credendo che fossi la persona migliore sulla faccia della Terra, ma sapevamo tutti che ero tutto ciò che ci fosse di più lontano dalla perfezione.
Senza dare troppo nell’occhio le accarezzai il viso.
«Sei troppo buona, Gwen.» Le sussurrai e lei mi sorrise.
Avrei voluto baciarla, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che mi bloccava dal farlo. Avevo paura che con quel gesto avrei dovuto dare subito un nome alla nostra relazione ed io non ero pronto, perché non sapevo ancora cosa fosse. Per di più, tutta quella gente avrebbe iniziato a parlare, avrei dovuto affrontare le loro opinioni, avrei dovuto avere a che fare con Jessie, che di certo non l’avrebbe presa bene e non ne avevo voglia. Prima venivo io, venivamo noi due, dopo tutti gli altri.
«Ora vado, perché se no Jon mi uccide.» Dissi, indicando Jonathan che mi faceva segno di andare a dargli una mano e lei annuì per poi voltarsi a chiacchierare con Lola.
Per quasi tutto il resto della serata corsi avanti e indietro tra bancone e tavoli, cercando di non impazzire e di non uccidere Jonathan ogni volta che si avvicinava a Gwen per fare il coglione. Una faticaccia.
Verso mezzanotte, quando le richieste dei clienti sembravano essersi quietate un po’, dalla porta d’ingresso entrarono Eric, Alex ed Amy. Ci mancava lei. Ringraziai il cielo che non ci fosse anche Jessie, se no non avrei retto fino alle due senza dar fuori di matto.
Sentii Lola schiarirsi la voce per attirare l’attenzione di Gwen, che si voltò immediatamente verso i nuovi arrivati. Un attimo dopo aveva gli occhi puntati nei miei.
«È arrivata la tua bella.» Disse, gelosa.
«Non cominciare.» Mormorai, mentre mi asciugavo le mani nel grembiule.
Eric e Alex salutarono Dom e Liam con qualche pacca sulle spalle, un bacio sulla guancia a Lola e Gwen – alla quale chiesero anche come stava dopo quello che era successo con Jessie – e una stretta di mano a me, che ero dall’altra parte del bancone. Dopo avermi ordinato due birre si spostarono al tavolo da biliardo con gli altri due miei amici, lasciandomi solo – ma non troppo beato, visto l’astio che aleggiava nell’aria – tra le donne. Un minuto dopo, una volta scollatasi di dosso un tipo di nome Michael, arrivò Amy, occhi puntati addosso a me e falcate decise in una – davvero – mini gonna di jeans. Gwen fece subito roteare gli occhi al cielo.
«Ehi, occhioni azzurri…» Mi disse la bionda, sporgendosi sul bancone appoggiata ai gomiti, per mettere così in mostra una super scollatura.
Volevo ridere, ma dovetti trattenermi. Gwen si era girata verso Lola con un’espressione sconvolta e le aveva sussurrato qualcosa come «ma la senti?».
«Amy.» Salutai, con un cenno del capo.
«Ciao carissima!» Saltò su poi Lola, con un tono di voce un po’ troppo alto, al che Amy si voltò verso di loro accennando un sorriso, che anche un cieco avrebbe riconosciuto come falso.
«Ragazze.» Fece lei, per poi tornare a concentrarsi su di me.
«Mi fai un Sex on the Beach?»
Mi chiese, civettuola, mentre Gwen e Lola la guardavano basite.
Sapevano benissimo com’era fatta e che le piaceva fare la gatta morta, soprattutto con me.
«Arriva.» Le dissi io, sempre cercando di trattenere le risate per le facce delle altre due.
«Vieni a ballare al Nirvana dopo?» Domandò, qualche secondo dopo.
«Sì, vai?» Intervenne Gwen, piuttosto irritata.
Io le lanciai un’occhiata divertita.
«Vuoi andare?» Le chiesi, allora.
«Direi di no.» Rispose, alzando le sopracciglia.
«Cosa c’entra lei?» Disse Amy, senza farsi problemi di risultare offensiva. «Io chiedevo a te.»
«Stasera è con me.» Spiegai.
Amy la guardò storto, ma poi alzò le spalle.
«Beh, non venite?»
Non le importava che ci fosse Gwen, evidentemente non pensava potesse essere un ostacolo al raggiungimento del suo obiettivo.
«Io no, tu fai come vuoi…» Rispose Gwen, con un gesto della mano.
Ed ecco il mio primo “fai come vuoi”, tipica frase usata dalle donne che, in realtà, significa tutto il contrario, ossia “non osare farlo o sei morto”. Sentivo già la mia libertà andarsene, ma la presi piuttosto con filosofia.
«Non veniamo.» Risposi, allora, allungando il cocktail ad Amy.
«Se tu hai voglia, non capisco perché dovresti rinunciare a causa sua.» Disse lei, sfiorandomi la mano con le dita nell’afferrare il bicchiere. Io la ritrassi subito, come se avessi preso la scossa.
Gwen stava per esplodere dalla rabbia, così cercai di sedare la situazione.
«Anche io non ho voglia di venire, Amy.» Ammisi.
«Capisco che ti senti in dovere di starle vicino perché è stata cornificata, poveretta.»
Dopo quella frase, ci fu un attimo di silenzio in cui sperai intensamente che non avesse pronunciato quelle parole per davvero.
Gwen si alzò di scatto ed afferrò Amanda per il colletto del giubbotto di pelle che indossava, tirandola verso l’alto fino a ritrovarsi così faccia a faccia. La situazione stava degenerando e anche piuttosto in fretta, ma, seppur non volessi che finisse tutto in una rissa, non avevo ancora intenzione di mettervi fine perché sapevo benissimo quanto Gwen avesse desiderato quel momento.
«È da quando ti conosco che mi trattengo dal prenderti a schiaffi, brutta stronza.» Sibilò Gwen, a pochi centimetri dal viso della bionda, che per tutta risposta le rise in faccia.
Stava giocando col fuoco e non se ne rendeva conto: erano anni che Gwen aspettava in silenzio il giusto pretesto per darle una lezione.
«Sei solo gelosa.» Disse Amy. «Non sai nemmeno tenerti un ragazzo.»
Gwen la sbatté contro il bancone, facendo cadere il bicchiere che vi era appoggiato. Il rumore provocato dalla rottura del vetro catturò subito l’attenzione delle persone più vicine.
«Ragazze, per favore…» Iniziai a dire, per cercare di placare almeno un po’ gli animi.

«Tu stai zitto!» Mi urlò Gwen, dando un’altra spinta ad Amy.
Lola intanto sembrava non aspettare altro che vedere la sua migliore amica perdere del tutto il controllo. E ci era davvero vicina. Fortunatamente Amanda sembrava non voler reagire più di tanto alle provocazioni fisiche, si era limitata ad afferrarle le mani per cercare di staccarsele di dosso.
«Invece, tu che vai in giro a fare la puttana, sì che sei brava.» Continuò Gwen, cattiva.
«Ripeto, sei solo gelosa.» Rispose Amy.
«Ma gelosa di cosa? Di come sei tu? Non credo proprio.»
«Gelosa che mi sono scopata il tuo amichetto prima di te. Ops.»
Non feci in tempo a realizzare che l’amichetto di cui parlava ero io, che vidi Gwen sbattere Amy per terra per poi salirle sopra e prenderla per i capelli. Saltai immediatamente dall’altra parte del bancone e riuscii ad allontanare Gwen, afferrandola per la vita, giusto in tempo per evitare che Amy le cavasse un occhio con le unghie. Dall’altra parte, nel frattempo, era sbucato Jon – probabilmente attirato dal chiasso – che si occupò subito di bloccare l’altra iena, che sembrava pronta per ripartire all’attacco. Sotto gli occhi di diversi spettatori, con non poca fatica e tra un insulto e l’altro, portai Gwen nel retro del locale per far sì che si desse una calmata.
Mi chiusi la porta alle spalle e mollai la presa attorno alle sue braccia. Lei si voltò di scatto verso di me e mi spinse contro il muro con foga.
«Vaffanculo Matt!» Mi urlò addosso. «Dovevi lasciarmi fare!»
Sul viso aveva un graffio che le percorreva tutta la guancia sinistra.
«Va bene qualche insulto, qualche strattone, ma la rissa no.» Le dissi, prendendole un braccio, visto che non sembrava volersi fermare dall’agitazione.
«Le avrei fatto passare la voglia di ridere!»
«Sì e lei ti avrebbe dilaniato la faccia.» Sussurrai, accarezzandole il viso vicino al taglio.
Rimase un attimo in silenzio e poi scoppiò a piangere, forse per colpa di tutta le tensione accumulata fino a quel momento. La tirai verso di me e la strinsi in un abbraccio.
«Non piangere… Non merita le tue lacrime.» Mormorai, vicino al suo orecchio.
«Perché ha dovuto tirare in mezzo anche te?» Mi chiese, singhiozzando.
«Lasciala perdere, Gwen.» Dissi, passandole una mano tra i capelli.
«Perché me l’ha dovuto sbattere in faccia così? Come poteva sapere l’effetto che mi avrebbe fatto?» Una domanda dietro l’altra, a cui non sapevo cosa rispondere.
Forse Amy aveva solo tirato ad indovinare, forse aveva detto la prima cosa che le era venuta in mente, ma quello che era certo era che dopo la reazione di Gwen non c’era alcun dubbio sul fatto che provasse qualcosa per me.
«La odio, Matt, la odio.» Disse, con la testa contro la mia spalla. «E adesso che sa questa cosa, sicuramente la prenderà come un incentivo a fare ancora di più la troietta con te.»
«Di questo non devi preoccuparti, Gwen.» Cercai di tranquillizzarla, ma lei si scostò e si fece seria.
«Ci sei già stato a letto, perché non dovresti farlo di nuovo?» Mi chiese, mentre un’ultima lacrima le rigava la guancia.
Le presi il viso tra le mani e la guardai negli occhi.
«Gwen, non ti farei mai una cosa del genere. Non potrei mai, non a te.»
«Come fai a saperlo?»
«Lo so e basta.»
«L’hai detto anche tu che non puoi negare quello che eri.»
Era vero, ma non significava che non sarei potuto migliorare.
«Ti prometto che farò tutto quello che posso per farti stare bene, Gwen.» Le dissi.
Lei appoggiò la fronte alla mia, mi circondò la vita con le braccia e sorrise.
«So che lo farai.» Mi sussurrò.
Ed in quel momento sentii qualcosa dentro di me.
Qualcosa che mi disse che avrei davvero messo tutto me stesso in quella storia, che mi sarei impegnato seriamente, che - per una volta - avrei cercato di mettere il bene di un’altra persona davanti al mio, perché, se nella mia vita doveva esserci qualcuno di importante, di speciale, non poteva che essere quella creatura così fragile ma allo stesso tempo così tenace e coraggiosa che avevo di fronte agli occhi. Perché per decidere di stare con uno come me, ci voleva davvero tutta.
«Dammi un bacio, bambina.» Mormorai, sollevandole il mento.
Lei non se lo fece ripetere due volte. Presto sentii le sue labbra morbide premere contro le mie e le sue dita muoversi tra i miei capelli. Le strinsi le braccia attorno ai fianchi e la schiacciai contro di me. Ci baciammo per un tempo indefinito, per un minuto, forse due oppure tre o quattro. Non avevo mai dato un bacio così, un bacio sentito, un bacio così vero. E non volevo smettere. Non volevo smettere di sentire quella stranissima, ma piacevole sensazione che mi avvolgeva.
Fu lei la prima a porre fine a quel bacio. Staccò lentamente le sue labbra dalle mie e poi appoggiò di nuovo la testa contro la mia spalla.
«Mi farai impazzire del tutto, me lo sento.» Sussurrò ed io la strinsi forte.
All’improvviso la porta che deva sul retro si aprì con un tonfo ed uscì Lola.
«Scusate l’interruzione.» Disse, vedendoci mentre ci allontanavamo uno dall’altro. «Jonathan ha bisogno di te, Matt.»
«Sì, cazzo, certo certo.» Risposi, frettolosamente.
Feci un sorriso a Gwen per congedarmi e mi avviai all’interno del locale, sentii Lola farfugliarle qualcosa, ma non mi fermai. La situazione sembrava essersi quietata, la gente era tornata a farsi gli affari suoi. Andai incontro a Jon, che aveva già raccolto i vetri del bicchiere andato in frantumi poco prima e stava servendo due ragazzi.
«Eccoti» Disse e mi indicò un angolo della sala. «C’è un tavolo nuovo là in fondo che aspetta.»
Stavo per andare quando mi fermò, afferrandomi per la manica della camicia.
«Si può sapere cosa diavolo è successo?» Chiese.
«Era una cosa che andava avanti da un po’, cazzate.» Cercai di rimanere sul vago.
«Non la facevo così violenta, la tua amica. Mi piace.» Ridacchiò ed io, senza farmi notare, feci roteare gli occhi al cielo.
«Dov’è Amanda?»
«Bel peperino anche lei, ma già lo sapevo.» Commentò. «Comunque in bagno a sciacquarsi la faccia e a darsi una calmata.»
«Speravo fosse già andata via.» Dissi, ma non abbastanza a bassa voce perché lui rise.
«Veramente l’ho appena assunta come cameriera.» Confessò.
«Scusa?» Dissi, esterrefatto.
«Sì, per i turni serali dal venerdì alla domenica. C’è troppa gente, in due non ce la facciamo.»
Stentavo a crederci. Era da un anno che lo imploravo di prendere un cameriere per darci una mano almeno nei weekend, ma non c’era stato verso di convincerlo, si lamentava che avrebbe dovuto pagare una persona in più e secondo lui non c’erano abbastanza soldi. E ora, dopo tutto quel casino e con tutte le ragazze che c’erano, aveva chiesto proprio ad Amy? Volevo uccidermi.
Lei non mi avrebbe dato pace e Gwen non sarebbe mai stata tranquilla sapendola intorno a me.
«Cazzo, Jon.» Dissi, lamentoso.
«Cosa?»
«Fantastico, eh?» Disse Gwen, apparsa all’improvviso alle mie spalle.
Ecco cosa le aveva detto Lola poco prima, avendo assistito alla scena mentre noi non c’eravamo.
Mi voltai sospirando.
«Io-» Iniziai, senza sapere veramente cosa dire.
«Non è colpa tua.» Mi anticipò lei.
«Mi dispiace.»
In quel preciso istante Amy uscii dal bagno e venne verso di noi.
«Ciao, collega.» Mi disse, una volta vicina, gongolandosi con stampato in faccia un sorriso diabolico, che però rivolse solo a Gwen.
Lei scosse la testa e guardò in aria, mordendosi l’interno delle guance. Sono certo si stesse trattenendo dal metterle le mani addosso un’altra volta.
«Amy, gira alla larga.» Le disse io, serio.
«Ci vediamo domani sera, tesoro.» Mi rispose, ridacchiando. «Vado a casa a ripulirmi dal sudiciume che mi hanno lasciato addosso le mani della tua amichetta.»
Fortunatamente Gwen decise di non abbassarsi di nuovo al suo livello e si limitò a ricambiare quel sorrisetto cattivo fino a quando Amy non decise di levare il disturbo.
«È così che devi comportarti con lei, non devi darle soddisfazione.» Dissi a Gwen, poco dopo.
«Lo so, ma è difficile.» Rispose lei.
«Torna al lavoro, campione.» Intervenne Jonathan, vedendo che non avevo ancora ripreso.
«Vai a casa, hai bisogno di riposarti un po’.» Suggerii a Gwen, sfiorandole il braccio con la mano e lei mugugnò qualcosa.
«Ci vediamo domani, okay?» Aggiunsi.
Lei annuì e mi diede un bacio sulla guancia, poco dopo sparì dietro alla porta insieme a Lola.
Presi un respiro e tornai al lavoro.
Perché doveva essere tutto così difficile?




Ciao! Dopo una settimana eccomi qui :)

Amy non si vuole levare dalle scatole, ma Gwen è pronta ad affrontarla; mentre Matt pian piano si sta rendendo conto di non essere poi così un cattivo ragazzo.  

Come sempre, ringrazio tutti i lettori e chi recensisce <3
Chiunque abbia voglia di lasciarmi un commento è il benvenuto e sarò felice di rispondere.

A presto,
Lady.


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