I Baschi Neri di Vendoland

di Dahu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tempesta ***
Capitolo 2: *** Battesimo del fuoco ***
Capitolo 3: *** Rendez-vous ***
Capitolo 4: *** Fratelli in armi ***
Capitolo 5: *** Un piano ardito ***
Capitolo 6: *** Claustrofobia ***
Capitolo 7: *** Primo sangue ***
Capitolo 8: *** Elysian Drop Troops ***
Capitolo 9: *** Segugi e lupi ***
Capitolo 10: *** Furia della battaglia ***



Capitolo 1
*** Tempesta ***


-Varn, Bron, voi prendete il lato sinistro, noi tre aspettiamo il vostro segnale per entrare in azione-
La Gardia Semplice Drake Varn annuì senza rivolgersi a nessuno in particolare e prese a strisciare all’indietro nella boscaglia.


Senza neppure accertarsi che il collega Eddard Bron lo stesse seguendo, Drake si alzò gattoni e poi, lentamente, in piedi.
Non appena Bron lo raggiunse, il giovane soldato prese a muoversi con estenuante lentezza, il corpo ingobbito ed il passo felpato.
Drake sentiva il sudore imperlargli il viso e represse l’istinto di passarvi una manica della tuta mimetica, si era appena rifatto il mascheramento e le creme tappavano tutti i pori della pelle, ma quella mimetizzazione gli era necessaria.
I due uomini si allontanarono di una trentina di metri dai compagni, poi il primo sollevò la mano sinistra, intimando l’alt.
La destra spasmodicamente stretta attorno all’impugnatura a pistola del fucile laser, che sentiva il polimero oltre al guanto tattico, Drake portò in alto la sinistra e si tolse il copricapo.
Si trattava di un boonie cover da pattuglia, dal quale scendeva una specie di velo da sposa fatto con una sciarpa mimetica e stracci annodati, che al momento era arricchito da non pochi elementi della vegetazione locale.
Il velo scendeva fino sotto le spalle del soldato, cancellando l’effetto dato dalla curva delle spalle, il più facile elemento di riconoscimento di un essere umano rispetto ad un albero.
Drake arrotolò il cappello e tutto ciò che vi era impigliato, quindi se lo infilò nella tasca laterale dei pantaloni.
Con gesto fluido e fastidiosamente lento il soldato si accucciò e posò una mano a terra, quindi si sdraiò prono, il fucile laser abbandonato nell’incavo del braccio sinistro, e prese a strisciare nel fitto sottobosco.
Bron imitò il collega, ma non tolse il copricapo fino a quando questo non gli si impigliò nelle fronde di un cespuglio.
Imprecando mentalmente il soldato ripose il cappello in tasca e si diede dello stupido; Drake Varn non era un granché come soldato, non era mai in ordine, era un tipo solitario ed aveva il vizio di dire la sua anche di fronte ai superiori, ma era bravo a muoversi nel bosco.
Improvvisamente Drake si arrestò e Bron gli si affiancò.
Oltre ad una leggera coltre di bassa vegetazione, le due guardie scorsero una radura, nella quale vi era una pattuglia nemica, dieci uomini con due mitragliatrici laser leggere, un lanciarazzi ed un mortaio leggero.
I nemici indossavano elmetti mimetizzati con elementi della vegetazione locale ed erano posti in cerchio attorno ad un ufficiale che riempiva gli zaini con qualcosa che aveva tutta l’aria di essere l’avio-rifornimento visto dai soldati quella mattina.
Drake sentì un brivido di eccitazione percorrergli la spina dorsale, era tutto il giorno che sudavano in quella dannata giungla sperando di poter cogliere di sorpresa chi si fosse recato a recuperare quel lancio, ed ora gli si presentava l’imboscata perfetta, peccato che fossero rimasti solo in cinque.
Con gesti eloquenti spiegò al collega che doveva restare in quel punto e prepararsi.
In linea teorica il comando sarebbe spettato a Bron, avendo lui diciannove anni contro i diciotto dell’altro, ma lui non aveva ancora pensato a quanto andasse fatto, quindi si prestò al piano del collega.
Mentre Drake strisciava ancora più a sinistra, Eddard si accovacciò contro il tronco di un albero, coprendosi parzialmente dietro di esso, ed indossò di nuovo il copricapo.
Assunse la posizione di tiro più stabile che il terreno diseguale gli consentiva ed osservò il nemico.
I soldati si guardavano attorno spostando i fucili laser come i nasi di segugi da caccia, si aspettavano di vedere il nemico sbucare dalla foresta.
Eddard rivolse uno sguardo nervoso ai due armati di mitragliatrice leggera, sarebbe bastata una sola raffica ben piazzata di quell’arma a falciare tutta la squadra di cui faceva parte.
Decise che rappresentavano la minaccia maggiore e puntò il mirino del suo fucile laser sul petto di uno di quegli uomini.
Drake si era spostato di cinque o sei metri a sinistra del collega in modo che, se uno dei due fosse stato individuato, non avrebbe tradito la presenza dell’altro.
Si avvicinò ulteriormente alla radura e si mise in ginocchio, nell’ombra proiettata da un albero, sollevando il fucile laser in posizione di tiro.
Il giovanissimo soldato si maledì per non aver indossato il boonie, se uno solo dei nemici si fosse dato la pena di guardare nella sua direzione con un po’ di attenzione lo avrebbe facilmente individuato.
Ma ormai era tardi per recriminare, muoversi era la cosa peggiore.
Puntò il fucile sulla schiena dell’ufficiale, ancora intento nelle sue operazioni di rifornimento.
Drake stava per tirare il grilletto quando si rese conto che il nervosismo gli stava facendo tremare le mani.
Chiuse gli occhi e respirò profondamente un paio di volte.
Coraggio Drake, è solo un colpo, come in poligono”
Sospirò un’ultima volta, svuotando per metà i polmoni e sparò.
Eddard sentì un urlo straziante e, senza interrogarsi a riguardo, fece fuoco. Solo quando vide il mitragliere al quale aveva mirato cadere si accorse che anche l’ufficiale era scomparso.
La pattuglia nemica si animò come un alveare colpito da un bastone, gli uomini cercavano disperatamente i loro aggressori, forse vi sarebbero riusciti se un imponente fuoco di soppressione non si fosse sviluppato dai tre compagni di Eddard e Drake.
Quattro nemici crollarono fulminati, mentre Bron spostava la mira sul secondo mitragliere e lo abbatteva.
Drake mancò i due colpi successivi ed imprecò sonoramente, non che il nemico potesse sentirlo al di sopra di quell’infernale crepitio che si sviluppava dai fucili laser.
Stai sparando troppo in fretta, Drake! Non sprecare colpi testone, spara bene!” Si disse.
Il suo quarto colpo centrò l’elmetto di un avversario.
Un sergente nemico raccolse la mitragliatrice leggera di uno dei caduti e fece partire una raffica terrificante, brandeggiando l’arma, tanto da costringere sia i tre rimasti indietro sia Bron a gettarsi a terra.
Drake era l’unico ancora in grado di sparare e mirò ai tre soldati superstiti, ma non appena spostò la mira su di loro vide le nere bocche dei fucili laser. Lo avevano individuato.
Non esistevano scelte possibili, non c’era tempo per pensare.
Con un ringhio Drake scattò di lato e partì di corsa verso la radura.
Con sua stessa sorpresa, i colpi nemici lo sfioravano ma senza colpirlo.
Mentre urlava in modo inarticolato, il giovane sentì la sua mano destra, quella che impugnava il fucile laser il cui calcio era incastrato sotto la sua ascella, che si muoveva da sola.
Il pollice pose il selettore di fuoco su “Raffica” e l’indice premette il grilletto senza più lasciarlo.
Bron rotolò di lato e si alzò in ginocchio appena in tempo per vedere una scena tragicamente grottesca.
Il soldato Varn correva con le sue lunghe falcate incontro ad uno sbarramento di fuoco, urlando come un ossesso e sparando alla cieca una scellerata raffica che avrebbe azzerato in un istante le sue munizioni.
Gli uomini alla sua destra non sparavano più, probabilmente erano stati colpiti.
Agendo più per dovere che per reale speranza, Eddard aprì il fuoco contro i tre fucilieri.
Ne colpì due prima che una raffica di mitragliatrice leggera lo sollevasse letteralmente da terra.
Drake vide due avversari crollare a terra e, con sua stessa sorpresa, il terzo accasciarsi, centrato da un fortunato colpo della sua raffica sparata dal fianco.
Il sergente si voltò puntando la mitragliatrice sul pazzo che gli correva incontro.
Drake gli sparò ma il suo fucile aveva esaurito l’energia e rispose con uno spietato “click!”.
Senza pensarci due volte il soldato lasciò cadere l’arma, che dondolò appesa alla bandoliera, e si lanciò di peso contro al sottufficiale.
Sentì una raffica passargli tanto vicino da sollevargli tutti i peli del braccio, poi la mitragliatrice cadde nell’erba, mentre i due uomini crollavano l’uno sull’altro.
Drake imprecò per il dolore quando rotolò sopra al proprio fucile laser, ma si forzò ad alzarsi.
Il sergente era stato più rapido di lui ed era già in piedi con una mano sulla pistola laser.
Lui gli si avventò addosso e bloccò con entrambe le mani la destra del sottufficiale, impedendogli di estrarre.
Questi imprecò e colpì il soldato con una ginocchiata che risuonò sull’armatura anti-schegge e poi con un pugno all’orecchio.
Drake indietreggiò disorientato ed il sergente estrasse la pistola, ma lui afferrò l’arma per la canna e, con un’abile torsione, la fece cadere lontano.
Il sergente caricò un micidiale gancio destro che, vista la mole dell’uomo, poteva senza alcun dubbio stendere il soldato se lo avesse colpito.
Ma questi parò il colpo sul nascere e colpì il sottufficiale con una ginocchiata, quindi lo proiettò con una mossa delle arti marziali militari apprese durante l’addestramento.
Il sergente cadde pesantemente di schiena e Drake gli bloccò un braccio in una dolorosa torsione prima di lasciarsi cadere con il ginocchio destro sulla piastra pettorale dell’armatura del sottufficiale, mozzandogli il fiato.
Le dita del soldato si serrarono sull’impugnatura del suo coltello da combattimento, che uscì stridendo dal fodero del cinturone.
La lama baciò la gola del sergente e Drake ringhiò con quanto fiato aveva in gola.
-Siete morto Sergente!-
L’altro annaspò in cerca di aria.
-Va bene Varn, adesso però levati, mi stai facendo un male del Sacro Imperatore!-
Rantolò.
Drake si alzò ansimando, il coltello ancora stretto in pugno.
-Si può sapere cos’era quello?!- Ringhiò l’ufficiale che Drake aveva colpito all’inizio dell’imboscata.
-Noi siamo addestrati per combattere contro gli Orki, non per combattere come loro! Varn, vorrei sapere su quale accidenti di manuale hai mai visto una manovra di attacco del genere!-
Drake si voltò verso il superiore, mentre tutti i soldati abbattuti durante l’attacco si rialzavano borbottando contro alle scariche elettriche sparate dai fucili laser da addestramento che li avevano colpiti.
-Ho improvvisato, signore-
Disse il soldato, con il fiato rotto dalla fatica e dalla tensione.
-Ah! Stavi improvvisando… Adesso improvvisiamo!! Questa volta ti è andata bene, ma è stata solo fortuna, ti sei comportato come un idiota!-
Sbottò l’ufficiale, poi si rivolse ai tre uomini che avevano sparato a Drake mentre correva nella radura.
-Quanto a voi tre imbecilli… Come avete fatto a mancarlo?! Stava correndo dritto verso di voi dannazione!-
I tre soldati furono abbastanza saggi da tacere.
Dalla foresta arrivarono i quattro compagni di squadra di Varn e si unirono al cerchio che tutti stavano formando attorno all’ufficiale.
Questi, abbandonato l’elmetto, aveva indossato un basco nero che recava un fregio metallico raffigurante l’aquila bicefala incrociata da un coltello da combattimento e da un fucile laser stilizzato, l’aquila reggeva tra gli artigli un piccolo cerchio nel quale era contenuto il numero 106.
-Bene signori- Esordì l’ufficiale. –In un modo o nell’altro siamo arrivati alla fine del corso… Siete partiti in duemila, al termine di quest’ultima esercitazione siete rimasti in centoventisette e sono fiero di informarvi che i presenti sono tutti promossi. Con l’aggiunta di ventuno tra veterani graduati e sottufficiali, costituirete, anzi, costituiremo la Compagnia Operazioni Speciali del 106° Reggimento d’Assalto Vendolandiano. Sergente Kran ha qualcosa da aggiungere?-
Il sergente che si era poco prima battuto contro Drake scosse la testa.
-Grazie signore, ma non avrebbe senso. Parlerò dopo la prima battaglia… ai sopravvissuti.-
Il sergente John Kran era sempre stato un tipo caustico.
Aveva servito nei Guerrieri della Giungla Catachani per quasi vent’anni, era un veterano di trentacinque anni e cosa gli era toccato? Trasferirsi ad un altro reggimento di un pianetucolo della fascia di Catachan. E senza neanche un’adeguata promozione.
Un avviso sonoro indusse l’ufficiale ad estrarre dal gibernaggio che ricopriva la sua armatura anti-schegge il dpad.
-Ah!- Esclamò deliziato. –A quanto pare il comando ha deciso l’organico! Vediamo… Beh, vi informo che siamo la compagnia “Tempesta”, costituita da un plotone esploratori, uno anticarro, uno mortai ed un’unità fucilieri.-
Improvvisamente il capitano Hernest Frayn, uno dei pochissimi Vendolandiani che potessero vantare un’istruzione imperiale ed un titolo nobiliare, s’interruppe.
Uno dei suoi soldati aveva fatto un gesto eloquente suscitando l’ilarità di un collega.
-Soldato Semplice Varn, Soldato Semplice Bron, volete renderci partecipi gentilmente?-
Drake gli rivolse uno sguardo obliquo, evidentemente non credeva che il capitano potesse vederlo al di sopra del dpad.
Eddard tentò di recuperare nell’unico modo che aveva imparato nella sua breve carriera nella Guardia Imperiale.
-Nulla Capitano, ci scusiamo-
Ma Drake si strinse nelle spalle e replicò ironicamente come suo solito.
-Niente d’importante Capitano, stavamo solo sottolineando che con un nome come quello il nemico se la farà addosso… Tempesta!-
Nuovamente il soldato mimò con la mano una emissione meteorica, causando questa volta uno scroscio di risa.
Hernest sentì il sangue salirgli alle tempie.
Drake Varn era stato il suo cruccio sin dal principio dell’addestramento, un anno prima.
Più volte era stato sul punto di bocciarlo e lui, con il suo comportamento ribelle e strafottente gli aveva dato parecchie occasioni, ma per qualche strano motivo non lo aveva mai estromesso dal corso.
Per di più il dpad diceva chiaramente che quel cretino era uno dei due scout del suo plotone esploratori.
Tutto in quel ragazzo lo irritava. Non era un bestione tutto muscoli come il sergente Kran, ma quel fisico alto e asciutto aveva una resistenza straordinaria, tipica di tutti i cacciatori di montagna del pianeta Vendoland.
Drake era originario di un piccolo villaggio in una delle zone più remote del pianeta, uno di quei posti dove i bambini imparavano ad uccidere uno squalo di terra ben prima di leggere e scrivere, sempre che la imparassero quest’ultima cosa.
Quella gente poteva muoversi nei boschi con la leggerezza di un cervo e scalare le rocce come dei ragni, ma avevano un carattere spigoloso ed una naturale ritrosia per le regole e la disciplina.
Varn doveva essere l’orgoglio della sua gente visto quanto questa descrizione gli calzava a pennello.
Hernest non sopportava quei capelli castani sempre un po’ troppo lunghi, quella barba corta ma troppo spesso non curata, quegli occhi verdi totalmente inespressivi e quell’espressione beffarda che sembrava stampata sul volto del soldato semplice, visto che non lo abbandonava mai.
Il sergente Kran condivideva appieno i suoi sentimenti, cosa che lo consolò non poco, visto che sarebbe stato il comandante di plotone di Drake.
-Voi due- Sibilò il capitano. –Adesso arriveranno i camion che ci riporteranno alla base, voi ve la farete a piedi e vedete di essere in camerata entro il contrappello o vi faccio punire per mancato rientro!-
Bron imprecò sottovoce mentre si caricava in spalla lo zaino, ma Varn rivolse all’ufficiale un ennesimo ghigno beffardo e, caricatosi in spalla il pesante zaino da pattuglia, si avviò a passo di corsa lenta verso la base.
Dopo due passi prese a canticchiare tra se, ma abbastanza forte perché il capitano potesse sentirlo.
Hernest sbuffò. Quel bastardo ce l’avrebbe fatta, lo aveva già punito in quel modo e sapeva che il giovane Vendolandiano era in grado di percorrere distanze ben maggiori dei cinquanta chilometri che lo separavano dalla base.
Quanto a Eddard Bron, era uno dei migliori che avesse mai addestrato, tiratore eccellente, soldato modello, fisicamente un vero atleta. Aveva un solo difetto, quella specie di ammirazione che provava per Varn.
Il capitano non dubitava che anche lui ce l’avrebbe fatta tranquillamente.
Si concesse un secondo sbuffo, cominciava bene, doveva ancora consegnare il basco ai suoi uomini e ne aveva già dovuti punire due.
Chissà cosa sarebbe successo in battaglia...


Drake sputò un grumo di saliva sulla strada battuta e si riempì i polmoni prima di sbuffare.
I primi chilometri erano sempre i più duri perché si faticava a trovare il ritmo.
Il soldato aveva tolto i guanti tattici e ripiegato le maniche della mimetica fin quasi ai gomiti, rivelando così il complicato intrico di tatuaggi tribali che gli partivano dal polso destro e ricoprivano tutto l’arto fino alla spalla.
Bron gli si affiancò sbuffando.
-Certo che potevi anche startene zitto sta volta Varn!-
L’interpellato si strinse nelle spalle senza rallentare la corsa.
-Non sarebbe servito a molto, quello ce l’ha con me Bron, che ci posso fare?-
Eddard sbuffò di nuovo.
-Non ce l’ha con te, è solo che se continui a comportarti così finisci per inimicartelo-
Spiegò con tutto il buonsenso di cui era capace.
Eddard era un bravo ragazzo, almeno quanto di meglio poteva fornire un mondo assassino come Vendoland, era cresciuto in una struttura protetta da mura che su di un altro pianeta sarebbe stata definita probabilmente “ammasso di baracche” ma che su Vendoland era a pieno titolo una città.
Del resto il pianeta non offriva abitati del calibro di Hive Regial di Armageddon oppure Miria-Rìl di Lampartadakes, probabilmente un Vendolandiano non avrebbe mai potuto neppure immaginare l'esistenza di luoghi civilizzati così immensi. 
Eddard aveva studiato e fatto sport ad alti livelli, addirittura aveva tentato la strada della scuola imperiale per ufficiali, che aveva un’unica sede nella capitale di Vendoland, ma qualcosa era andato storto, probabilmente le sue umili origini, proveniva da una famiglia ricca, ma non nobile. Suo padre era un capo d’impresa, un uomo che si era fatto da se.
Ma un anno prima era morto in un incidente che aveva fatto quasi fallire la ditta, tanto che per vivere Eddard era stato costretto all’arruolamento.
La risposta di Drake fu coperta da un rombo alle loro spalle e i due uomini si fecero da parte per permettere ai camion che trasportavano i loro compagni di superarli e procedere lungo la stretta strada di terra rossa.
Dai cassoni scoperti i soldati rivolsero svariati sfotto' ai due colleghi.
-Ehi Bron, vuoi anche il mio zaino?!-
-Drake, intanto che ti aspettiamo alla base ce la spassiamo con tua madre eh?!-
Gli insulti piovevano.
Eddard rispose un paio di volte, ma il suo tono era spezzettato dall’affanno della corsa.
Non riuscendo più ad urlare, si voltò verso il suo compagno di sventura, il quale non aveva aperto bocca.
Drake aveva alzato la mano destra, limitandosi ad un serafico e sconcio gesto all’indirizzo dei compagni.
Sul viso aveva la solita espressione beffarda e Bron poteva giurare di aver visto negli occhi verdi del soldato un lampo di divertimento.
-Ti stai divertendo?-
Domandò esterrefatto.
Drake annuì.
-Se per tornare in base mi danno un camion tanto meglio, ma se me la devo fare a piedi vorrà dire che potrò godermi il paesaggio-
Bron volse lo sguardo attorno a se; la strada correva tra due file di alberi ad alto fusto ed era continuamente minacciata dall’incedere della giungla che qua e la si faceva avanti con una pianta sbucata nel centro della carreggiata.
In lontananza si stagliavano i profili delle alte montagne coperte di vegetazione, mentre il giallo disco del Sole era già fin troppo vicino all’orizzonte Ovest.
-Paesaggio? Si beh, ce lo godiamo se non ci squarta uno squalo di terra!-
Il soldato Varn si strinse nuovamente nelle spalle e cambiò la cella d’energia da addestramento con una laser da guerra che tutti loro portavano per la sicurezza personale.
-Se salta fuori uno squalo ce lo facciamo arrosto, almeno per sta sera non ci tocca la mensa del reggimento-
Eddard rivolse gli occhi al cielo, non sarebbe mai riuscito a capire quel flemmatico selvaggio.


Era ormai buio quando i due uomini giunsero in vista della base d’addestramento delle truppe d’assalto Vendolandiane.
L’ipnotico rumore degli scarponi in corsa li precedette, rimbalzando sui bastioni di cemento irti di altane, tutte protette da sacchetti di sabbia.
La base sembrava una fortezza da zona di guerra, per quanto non vi fossero truppe ostili sul pianeta, o per lo meno non abbastanza numerose da giustificare un simile baluardo.
Tuttavia gli animali che infestavano Vendoland erano pericolosi quanto e più del nemico.
Una guardia si sporse da un’altana, affianco alla canna del suo cannone laser binato.
-Che succede ragazzi, siete caduti dal camion?-
I due fanti erano ricoperti di polvere dalla testa ai piedi, i volti scavati dalla fatica ed insozzati dalla terra rossa appiccicatasi ai residui di crema di mascheramento, ma la guardia non poté fare a meno di notare il biancheggiare dei loro denti, segno che stavano sorridendo.
-Il Capitano Frayn ci ha chiesto di portargli a spasso il cane-
Urlò uno dei due.
-E dove sarebbe questo cane?-
Urlò di rimando il secondo soldato di guardia, sporgendosi a sua volta per vedere i due.
-Se lo è mangiato uno squalo di terra!-
Rispose l’uomo.
-Il Capitano non la prenderà bene-
Commentò la guardia.
-Beh, ma noi ci siamo mangiati lo squalo, dici che il capitano ci punirà per colazione indebita?- Domandò la voce ironica di Eddard Bron.
Le due guardie scoppiarono a ridere ed uno ordinò che fosse aperto il pesante cancello di ferro sormontato da filo spinato.
L’uomo sorrise rivolto al collega e si picchiettò un paio di volte sull’elmetto.
-Questi baschi neri sono veramente fuori di testa- Commentò mentre i soldati in questione superavano trafelati l’ingresso della base.


Erano in ritardo per la cena, ma la cosa non li angustiava troppo, avevano trovato un gruppo di piante dai frutti mangerecci lungo la strada e se ne erano riempiti tasche e gibernaggio.
La maggior parte dei succosi frutti era stata consumata durante la corsa, per combattere la sete senza intaccare le già scarse scorte d’acqua sopravvissute all’esercitazione, ma i soldati ne avevano ancora un paio e Drake ne trasse uno dalla tasca dei pantaloni e lo addentò.
Eddard indicò le camerate dei soldati.
-Direi doccia eh?-
Il selvatico vendolandiano annuì mentre masticava.
-Ci vuole proprio-, confermò dopo aver inghiottito.
Il loro ingresso nelle camerate fu accolto da un coro di ovazioni, insulti e bestemmie di chi aveva perso una scommessa.
-Consolati- Disse allegramente Drake lanciando un frutto a Trulls Whurn, un vero colosso barbuto che stava pagando la sua scommessa ad un collega.
L’uomo lo prese al volo con una sola delle sue mani, simili a badili.
-Con questo non pensare di esserti fatto perdonare per avermi colpito oggi!- Ringhiò l’omone.
Solo in quel momento Drake si rese conto che Trulls era l’uomo che lui aveva colpito con la sua raffica a casaccio quel pomeriggio.
-Sei talmente grosso che non avrei potuto mancarti neanche volendo, bestione- Scherzò mentre, posato in terra lo zaino e sedutosi sulla sua branda, smontava il fucile laser per pulirlo.
-Sei in ritardo, da un atleta come te mi aspettavo un tempo per lo meno decente- Provocò un soldato rivolto a Bron, ma questi, ora che non aveva più il fiatone, rispolverò la propria lingua tagliente.
-Ero in anticipo, ma poi ho trovato tua madre per strada… E siccome ho gradito l’incontro mi sono fermato ad aspettare per presentarla anche a Varn-
Diversi soldati scoppiarono a ridere sguaiatamente.
Tutti indossavano le tute da ginnastica nere con le scritte bianco cangiante del 106° Reggimento d’Assalto, anche se la maggior parte portava solo i pantaloni.
Non appena ebbe terminato la manutenzione ad armi ed equipaggiamento, Drake si spogliò e prese dal suo piccolo armadietto un accappatoio ed un paio di ciabatte infradito, imitando Bron che si era già diretto alle docce.
Quando il capitano Frayn passò per il contrappello la camerata era in perfetto ordine, tutti gli uomini indossavano la tuta da ginnastica e sul letto di tutti era posato, in bella mostra, il basco nero.
Solo Varn e Bron non lo avevano ancora ricevuto, non essendo rientrati assieme agli altri.
Se Hernest Frayn era sorpreso di vedere i due presenti ed in perfetto ordine non lo diede a vedere, si limitò a consegnare loro i baschi, senza una parola ed a fare l’appello.
-Domani mattina sveglia alle 05.00, alle 06.00 presenti sul piazzale di decollo con tutti i bagagli, leviamo le tende da qui, si parte per la guerra-
Senza aggiungere altro il capitano uscì spegnendo l’interruttore centrale e facendo così calare il buio nella camerata.

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Capitolo 2
*** Battesimo del fuoco ***


Il sole, immota palla incandescente nel cielo terso, illuminava il piazzale sul quale erano schierati i 150 uomini della Compagnia Tempesta, i “Baschi Neri” come venivano chiamati dai colleghi del 106° RGT che al contrario portavano un berretto verde con visiera.
Altri li chiamavano “I barbuti”, perché le esigenze addestrative dell’ultimo anno li avevano tenuti così spesso nell’impossibilità di radersi che molti avevano finito per decidere di portare la barba e, dopo un primo tentativo fallimentare di riportarli in riga, i loro superiori avevano finito per accettarlo, tanto che lo stesso comandante, il capitano Hernest Frayn, ostentava una curatissima barba bionda.
Ogni uomo era in piedi dietro al proprio zaino, appoggiato sopra al baule personale. Allo zaino erano agganciati il fucile laser ed una seconda arma, come si confaceva all’addestramento speciale ricevuto dalla compagnia.
Erano stati selezionati duramente, attraverso fatiche immani e prove di difficoltà crescente, avevano seguito corsi di specializzazione, affinando le proprie tecniche con le armi ed in attività che ben pochi reggimenti degli eserciti della Guardia Imperiale conoscevano.
Tutti erano paracadutisti, subacquei, sciatori e scalatori. Erano addestrati nel combattimento dietro le linee nemiche, eppure non avevano mai combattuto.
La loro era una compagnia di reclute super addestrate, sarebbero stati uno straordinario successo o una bruciante disfatta, a seconda di come si sarebbero comportati nella loro prima battaglia.
Un tiro di dadi, questo aveva fatto il Colonnello Daeron Krum, comandante del 106° RGT quando aveva ordinato la loro formazione. Davanti alla compagnia rombavano quindici velivoli Valkirye con i portelloni aperti, pronti ad accogliere nelle stive i soldati.
I motori spandevano un rombo assordante, tanto che il Capitano Frayn rinunciò all’urlare l’ordine di caricamento, limitandosi ad un gesto del braccio. Drake Varn grugnì nel mettersi in spalla lo zaino, quindi prese il baule per la maniglia di trasporto e si avviò in colonna dietro ai suoi colleghi verso i portelloni aperti.
Portava le maniche ripiegate sopra al gomito e non resistette alla tentazione di infilare la mano libera in tasca, ben sapendo che, se lo avesse visto, il suo Capitano non avrebbe apprezzato il gesto.
Dovevano essere perfetti, poiché dall’alto del cassone di un camion il Colonnello in persona li stava guardando. Quando Eddard Bron gli fece notare la cosa, urlando come un ossesso per farsi sentire al di sopra del rombo dei motori, lui gli rispose con una spalluccia.
Bron era stato inquadrato nel plotone anticarro, con l’incarico di tiratore scelto e portava orgogliosamente un laslungo in spalla. Drake, invece, era stato assegnato agli esploratori, come scout.
Nessuno gli aveva fornito equipaggiamenti extra, ma la cosa non lo preoccupava; lui era un cacciatore ed aveva già le armi necessarie. In una tasca laterale del suo zaino avevano trovato posto un corto arco da caccia ed una ventina di frecce.
Lo scout scambiò un rapido cenno d’intesa con Trulls Whurn, il mitragliere del suo plotone, mentre entrambi sistemavano il baule sotto il sedile, lo zaino tra le gambe e si assicuravano alle cinture, spalla a spalla con i colleghi.
Conoscevano piuttosto bene quel tipo di velivoli, li avevano usati molte volte in addestramento, ma non erano mai stati su una nave da battaglia come quella verso la quale erano diretti ora. La tensione era palpabile nella stiva del Valkirye, mista ad una strana eccitazione.
Drake non poté fare a meno di ripensare al viaggio verso la nave, mentre la carlinga della Valkirye vibrava e schioccava nella vertiginosa discesa. Ora portava l’armatura a carapace con sopra il gibernaggio, indossava i guanti tattici e stringeva spasmodicamente l’impugnatura del fucile laser. Era costretto a fare forza sulle cosce, per non perdere lo zaino da pattuglia ed aveva i denti stretti, nel tentativo di non vomitare.
Le manovre del velivolo gli torcevano le budella e lui si rese conto che anche i suoi nove compagni di squadra erano nelle medesime condizioni.
Probabilmente se non avessero avuto tutti il volto ricoperto di creme di mascheramento si sarebbe notato il pallore improvviso del loro incarnato. La voce roca del Sergente Kran sovrastò il rombo dei motori e quello ben più forte del vento che rimbalzava sulla carlinga con la violenza di un maglio. -Va bene ragazzi, ora ascoltatemi! Ricapitoliamo ancora una volta! Due giorni fa una compagnia di paracadutisti Elysiani è stata lanciata da qualche parte nella Jungla di questo pianeta, per far saltare un paio di depositi di carburante degli orki! Un plotone è rimasto incastrato nella resistenza nemica, in corrispondenza del vecchio sito di estrazione petrolifera che avete tutti segnato sul dpad come OBJ 1! Il nostro lavoro è infilarci li dentro, superare le linee nemiche e verificare la presenza di sopravvissuti! Una volta trovati quei ragazzi, li porteremo in salvo, coperti dal fuoco degli altri tre plotoni! Tutto chiaro?!-
La risposta dei vendolandiani parve più un ruggito che un coro militare. -Si Sergente!-
-Scenderemo con i canaponi- Aggiunse chiamando le grosse corde usate dalle truppe d’assalto per scendere dai velivoli con il nome gergale. -Noi saremo i primi a scendere, questo vuol dire che dovremo combattere di più! Ricordate il vostro addestramento e tornerete a casa vivi!-
Il Sergente fu interrotto dalla voce gracchiante della copilota, diffusa nella stiva dagli altoparlanti. -Attenzione! Fuori i portelli!- Il velivolo rallentò così sensibilmente che parve inchiodarsi a mezz’aria, mentre un terrificante botto preannunciava l’apertura dei portelloni laterali.
I due mitraglieri di bordo, uno per lato, sporsero i loro Requiem pesanti fuori dalla carlinga. Drake vide chiaramente lo specialista, appena oltre Trulls Whurn, che nello sporgere l’arma lasciava negligentemente penzolare una gamba al di fuori del portellone.
Gli equipaggi provenienti da Vendoland erano soliti mostrare un arrogante sprezzo del pericolo, del resto erano abituati a volare tra le strette gole delle montagne del loro mondo natale, dove vi erano bestie alate come gli Ikran o i temibili Thoruk, in grado di fare a pezzi una cannoniera Valkyrie con la sola stretta dei potenti artigli.
Il giovane scout vide le cime di alti alberi che formavano un’impenetrabile coltre verde oltre i portelli, molto vicini.
Ci mise un attimo per rendersi conto che i Requiem pesanti avevano iniziato a sparare. Il mitragliere accanto a Trulls sparava lunghe raffiche ed ululava di piacere, lanciando al nemico improperi che gli uomini stivati nel ventre del velivolo potevano udire solo in parte.
Uno schianto secco preannunciò un colpo di grosso calibro che entrò dal portellone aperto e sfondò il tetto della carlinga, aprendovi uno spiraglio di luce.
Per puro miracolo la pallottola aveva sfiorato la testa di almeno quattro esploratori, ma non aveva ferito nessuno. Drake fissò quel cerchio quasi perfetto. “Quel coso poteva ammazzarmi” Si sorprese a pensare con una freddezza aliena, come se la cosa riguardasse qualcun altro.
Si rese conto di non voler morire, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che gli rendeva difficile immaginare quel colpo staccargli la testa. Sarebbero bastati una ventina di centimetri a sinistra perché lui fosse colpito, ma la cosa non riusciva a scalfire la sua sfera emozionale.
Pensò che si trattasse della tensione, aveva sentito che in battaglia alcuni soldati reagivano in modo molto strano e non poté fare a meno di voltarsi verso il mitragliere che, senza degnarsi di rimettere la gamba all’interno del velivolo, continuava a urlare e sparare.
Una seconda raffica della contraerea aprì una serie di fori sul fianco della carlinga, dieci centimetri sopra alla testa degli esploratori.
Eh no!” Pensò Drake incassando la testa come per schivare in ritardo la scarica di colpi. “Non voglio crepare ancora prima di entrare in azione!” La voce della copilota era appena udibile nell’assordante frastuono dei Requiem pesanti. -Un primo al punto di sbarco!-
Il Sergente Kran urlò con tutto il fiato che aveva in corpo per farsi sentire dai suoi. -C’è parecchia resistenza, ci raggruppiamo nella Jungla, 200 metri Nord-Est del punto di sbarco, 200 metri Nord-Est, capito reclutame?!-
Un paio di esploratori risposero, ma le loro voci furono coperte dall’urlo di uno di loro. Una raffica di grosso calibro aveva ucciso il portatore del mortaio leggero della squadra, che sedeva alla sinistra di Drake ed aveva portato via il braccio destro al vox operatore.
Questi urlava ed imprecava per il dolore, mentre il corpo del suo vicino ondeggiava agganciato alle cinghie di sicurezza. Lo scout si voltò verso il morto e notò con una fitta allo stomaco che, guardando attraverso il ventre squarciato dell’uomo, si vedeva la jungla oltre la carlinga bucata.
-Medico!- Urlarono un paio di soldati, inutilmente, poiché il responsabile sanitario del plotone, uno dei sottufficiali veterani del 101° che erano stati aggiunti alle reclute, si era già sganciato dalle proprie cinghie di sicurezza ed aveva strappato il tourniquet dal gibernaggio del ferito.
Si trattava di un laccio largo, munito di un pezzetto di legno per stringerlo attorno all’arto amputato, in modo da fermare l’emorragia. Ogni soldato ne portava uno sul gibernaggio, in modo che il soccorritore del caso potesse applicarlo velocemente.
Una siringa ipodermica di morfina mise fine alle urla del vox operatore di plotone, che si accasciò contro al sedile forato ed imbrattato di sangue con un’espressione sofferente sul viso.
Kran imprecò rocamente, poi urlò. -Varn, prendi bombe e mortaio, Tay, tu prendi il vox!- Drake armeggiò malamente con lo zaino del morto, cercando di evitare per quanto possibile di macchiarsi col sangue che gocciolava dal corpo straziato.
Sganciò il mortaio leggero da 60 millimetri e lo agganciò al suo zaino, poi aprì le tasche laterali e si liberò di un paio di magliette di ricambio e di una rete di mascheramento destinata agli autoveicoli, che poteva però servire a mimetizzare una postazione.
Negli spazi così liberati inserì due bombe da mortaio, spingendo per farle entrare. La Valkirye si arrestò ed il fuoco delle armi di bordo si fece, se possibile, ancora più assordante e serrato. Il sergente Kran si sganciò e scattò verso il portellone di destra, quello vicino a Drake.
Sopra all’apertura era arrotolata una spessa corda nera, un’estremità della quale era fissata allo scafo, mentre l’altra era libera.
Il sottufficiale liberò la corda e la lanciò in basso, dall’altro lato il Caporalmaggiore Jurf, un veterano cui era stato affidato il comando del secondo nucleo di fuoco, svolgeva le stesse operazioni.
Tutti gli esploratori si liberarono delle cinture di sicurezza e si alzarono imprecando. Drake si mise in spalla lo zaino, operazione non facile questa, poiché lo spazio nella stiva era poco e gli ingombranti equipaggiamenti si urtavano l’un l’altro.
Il giovane sentì una specie di calabrone passare tra la sua faccia e lo zaino di Trulls, che si trovava davanti a lui. Solo in seguito si sarebbe reso conto che si era trattato di un proiettile nemico. Incurante dei colpi che continuavano a sferzare la carlinga, il Sergente sporse la testa all’esterno per assicurarsi che la corda toccasse terra, quindi si voltò verso Trulls Whurn ed ordinò all’omone: -Via, sbarco, sbarco!-
Il grosso mitragliere pose le mani sulla fune e si lasciò cadere nel vuoto, accostando al contempo i piedi alla grossa corda, così da aumentare l’attrito e rallentare la discesa.
Drake era pronto dietro di lui, l’addestramento aveva reso quei gesti automatici, rendendo gli esploratori rapidissimi nel loro primo sbarco, o forse avevano solo fretta di allontanarsi dal facile bersaglio costituito dalla carlinga.
Il giovane cacciatore di Vendoland posò le mani sulla corda e si lasciò andare. Non si guardò attorno, ebbe solo il tempo di sentire il mitragliere che, durante una brevissima pausa tra una raffica e l’altra gli diceva: -Fategli male ragazzi, ammazzateli tutti!-
Accostò i piedi alla superficie ruvida onde evitare di finire addosso a Trulls, poi, finalmente, volse lo sguardo sul panorama che lo circondava.
Rispetto al ristretto campo visivo della cannoniera, ora gli sembrava di essere sovraccaricato di immagini. Si stava calando in una radura nella jungla, ingombra di rudimentali mezzi di trasporto orcheschi, riadattati per l’occasione a postazioni antiaeree.
La maggior parte di quelle rudimentali torrette era distrutta e diversi cadaveri di nemici giacevano scomposti sull’erba, ma altre sparavano ancora con una cadenza micidiale. Era una discesa di quindici metri fino a terra, ma a Drake parve eterna.
Trulls toccò terra e subito imbracciò la mitragliatrice laser leggera, quindi partì di corsa verso il tratto di jungla più vicino.
Senza esitare lo scout imitò il commilitone e sfoderò uno dei suoi migliori scatti, quando una raffica nemica sollevò sbuffi di terra a due metri dalle sue gambe.
I due uomini si tuffarono tra gli alberi correndo a perdifiato, quasi certamente un altro esploratore era alle loro calcagna ma Drake non aveva nessuna voglia di girarsi per sincerarsene, rallentando così la sua corsa.
Le lunghe falcate del cacciatore avevano quasi immediatamente distanziato il pesante mitragliere e Drake rallentò leggermente.
Stava per voltarsi in cerca del collega, quando le fronde di un arbusto proprio davanti a lui si scostarono bruscamente, lasciando passare i massicci corpi di tre orchi.
Il soldato rimase paralizzato dalla paura. Era morto, morto come uno stupido per altro, isolatosi volontariamente dai compagni. Vide chiaramente uno di quei bestioni verdi sollevare una grossa e tozza pistola verso la sua testa e comprese che la sua guerra, come probabilmente quella di tutta la sua compagnia, sarebbe finita in quella jungla, così simile a quella della loro terra natia.
Allora perché l’orco non sparava? Perché cadeva a terra? Drake si era come svegliato da un lungo sogno, le sue mani impugnavano il fucile laser, al quale le dita avevano tolto la sicura, e dal quale partivano precisi colpi che abbatterono due dei tre nemici.
Il terzo orco crollò centrato in pieno da un’imponente raffica di raggi laser. Lo scout si voltò, individuando una decina di metri più indietro il barbuto mitragliere, fiancheggiato da Rak Tay, l’artificiere neopromosso addetto vox.
Trulls abbassò la mitragliatrice leggera e gli rivolse uno sguardo interrogativo -Come accidenti hai fatto?- domandò burberamente.
-Cosa?- Domandò Drake, che a sua volta non credeva ancora di essere vivo.
-Quello- Disse l’esploratore indicando i cadaveri dei nemici. –Stavi correndo come un forsennato e quelli sono apparsi all’improvviso, ma tu ne hai stesi due nel tempo che io ho impiegato a puntare la mitraglia! Sei stato più rapido di una pantera ombra!-
Lo scout sorrise al complimento, per quanto lo ritenesse immeritato, visto che non aveva agito intenzionalmente. I tre esploratori sentirono le raffiche di Requiem pesante allontanarsi, segno che la Valkirye aveva scaricato tutta la squadra e si stava allontanando.
-Dobbiamo raggiungere gli altri, il Sergente avrà bisogno del vox- Disse Rak. A differenza di Drake e Trulls, che erano originari delle montagne di Vendoland, l’artificiere proveniva dalle regioni del grande Mare Centrale, l’unico specchio d’acqua salata del pianeta.
Il suo villaggio era in un arcipelago dove gli autoctoni vivevano di pesca, attività piuttosto pericolosa in un mare dove quasi tutti i pesci erano bestioni carnivori in grado di ingoiare le piccole imbarcazioni a vela dei pescatori, intere.
Era più basso e tarchiato dei due montanari ed aveva una muscolatura tutta nervi sotto alla sua pelle cotta dal sole e coperta di tatuaggi tribali raffiguranti creature marine.
Aveva occhi piccoli, e pungenti, che dominavano un viso glabro, affilato come la prua di una canoa. Lo scout annuì e si inginocchiò per dare più stabilità alla bussola che aveva estratto dal gibernaggio.
Senza parlare Drake indicò una direzione e i tre, dopo aver indossato i copricapo da pattuglia ed aver saccheggiato un po’ di flora locale per mimetizzarsi meglio, si diressero da quella parte, svanendo come spettri nel sottobosco. 

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Capitolo 3
*** Rendez-vous ***


Il sottotenente Vinka Fodkova si agitava nell’abitacolo della Valkyrie, girando continuamente la testa protetta dal casco alla ricerca delle minacce.
-Razzo ore due!-
Disse nervosamente.
Il pilota diede un lieve colpetto alla cloche, facendo ruotare il velivolo.
Non poteva inclinarlo, o avrebbe fatto precipitare nel vuoto gli esploratori che si stavano calando dai portelloni laterali.
Vinka strinse spasmodicamente le cinture di sicurezza del sedile del copilota mentre guardava il razzo procedere a tutta velocità nella sua direzione.
Il proiettile passò proprio sopra la sua testa, a meno di un metro dalla cabina di pilotaggio, lasciandosi dietro una scia di fumo bianco.
Per l’ennesima volta la giovane copilota ebbe un moto d’ammirazione per il Colonnello Kazuya Tjshory, il suo pilota.
Il Colonnello era un veterano di cinquant’anni, era stato abbattuto tre volte ed era un vero asso ai comandi di un velivolo di trasporto truppe. Quando pilotava, sembrava quasi che il suo corpo e quello della cannoniera fossero uno solo.
Questo sbarco sarebbe stata la sua ultima missione operativa; al rientro avrebbe lasciato la sua Valkyrie a Vinka per assumere il comando dello stormo.
-Ottimo lavoro Sottotenente, adesso riprendi a sparare-
Disse la voce del pilota, resa dura dal forte accento attiliano.
Senza perdere un istante, la diciannovenne Vinka Fodkova impugnò la cloche di comando dell’autocannone di prua e prese a fare fuoco contro i bersagli nella radura.
-Sbarco completato, sganciamo i canaponi!-
Li informò la voce di un mitragliere attraverso l’interfono di bordo.
Il Colonnello tirò a se la cloche e la cannoniera liberò tutta la potenza dei motori, prendendo quota il più rapidamente possibile.
Vinka tirò un sospiro di sollievo, mentre il rumore dell’autocannone e dei requiem pesanti cessava.
Aveva preso parte a decine di voli d’addestramento su Vendoland e le era capitato diverse volte di essere attaccata dalle terrificanti creature volanti che infestavano quei cieli, ma questa era la prima volta che qualcuno le sparava addosso.
La copilota guardò affascinata la jungla che si estendeva sotto di loro, bella quasi quanto quella di Vendoland.
Il Sottotenente si augurò, per il bene dei ragazzi che avevano appena sbarcato, che non fosse altrettanto letale.
Era affascinata dai paesaggi naturali; per una vostroyana come lei erano una novità piacevole.
La voce del Colonnello la scosse dai suoi pensieri.
-Aquila Uno a tutta la squadriglia, sbarco completato. Avviso, resistenza accanita. Passo.-
La radio rispose quasi subito con una serie di voci gracchianti.
-Qui Aquila Due, sbarco completato, rientriamo. Passo.-
-Qui Tre, sbarco completato. Confermo forte resistenza. Passo.-
-Qui Aquila Quattro, stimato due primi all’obiettivo, procediamo in formazione con Cinque, Sei, Sette e Otto. Passo.-
-Qui Condor, squadriglia compatta, stimiamo sei primi all’obiettivo. Passo.-
-Qui Aquila Uno, ricevuto fine.-
 
La compagnia Tempesta, del 106° Reggimento d’Assalto, si stava schierando sul campo a ondate consecutive.
Prima le tre squadre che costituivano il plotone esploratori erano state sbarcate in tre punti diversi del territorio nemico, poi sarebbero arrivate due squadre di fucilieri e due di specialisti anticarro, per un totale di quaranta uomini che avrebbero costituito un perimetro di sicurezza in favore dell’ondata finale, forte di altre quattro squadre fucilieri, di cui tre munite di un totale di quindici mezzi da ricognizione leggeri Tauros, prodotti su Elysia ed una squadra controcarri.
A costoro si aggiungevano i trenta uomini del plotone mortai, muniti di sei mortai da campagna scomponibili e caricati di bombe fino all’umano limite di sopportazione.
Il Capitano Hernest Frayn ripeteva questi numeri fra se e se, cercando di ingannare tempo e tensione nella stiva del Valkyrie che trasportava la prima squadra fucilieri.
L’ufficiale rivolse un’occhiata nervosa al vox operatore, nella speranza che il soldato lo informasse di una comunicazione da parte del plotone esploratori, ma sapeva che non sarebbe successo.
Quei ragazzi erano sbarcati solo un minuto prima, ci sarebbe voluto un po’ perché si raggruppassero e valutassero la situazione.
Era teso come uno scolaretto, questa operazione sarebbe stata il battesimo del fuoco per i suoi uomini e lui sapeva che il futuro della compagnia sarebbe dipeso dal suo esito.
Era anche la prima operazione della sua carriera completamente progettata da lui, e questo lo rendeva ulteriormente insicuro.
Non era uno sprovveduto, era entrato nel 101° Reggimento dopo l’accademia imperiale con il grado di sottotenente e, da li in poi, si era fatto largo verso l’attuale grado in soli cinque anni, facendosi notare per il suo coraggio e la sua dedizione.
Era stato ferito due volte durante la campagna di Aurelia ed era a pieno titolo considerato un militare di provata esperienza ma, intimamente, lui non ne era affatto sicuro.
Finalmente i portelli laterali della Valkyrie si aprirono ed i canaponi furono sciolti, mentre il velivolo rallentava fino a fermarsi a quindici metri dal suolo.
Stavano sbarcando cinque chilometri a Sud rispetto al punto di inserimento degli esploratori e nessuno li stava aspettando.
In ogni caso, il Capitano non aveva dubbi che il nemico non avrebbe tardato a farsi vivo.
Tutti i fucilieri si liberarono delle cinture di sicurezza ed indossarono lo zaino, urtandosi a vicenda e masticando imprecazioni.
Hernest si posizionò di fronte a loro e diede l’ordine di sbarco.
Anche i suoi uomini avevano il volto mimetizzato, ma a differenza degli esploratori indossavano l’elmetto e nessuno di loro era dotato di mortai da 60mm o di mitragliatrici leggere. Le squadre fucilieri erano invece dotate di una normale sezione arma pesante.
 
Eddard Bron si avvicinò al portellone aperto del Valkyrie sul quale aveva viaggiato fino a quel momento.
Attorno a lui vi erano altri tre trasporti truppe, che avevano già iniziato a sbarcare.
Attaccati alle funi ed a terra vi erano già parecchi uomini, mentre del nemico non si vedeva neanche l’ombra.
Con gesto risoluto prese la corda tra le mani e si lasciò cadere, dondolandosi un paio di volte prima di accostare i piedi.
Era un’acrobazia pericolosa, perché servivano braccia d’acciaio per reggere il corpo a quella velocità, ma lui la trovava divertente.
Toccò terra e subito si scostò per permettere l’atterraggio del collega che lo seguiva.
Eddard imbracciò il laslungo e la sua attenzione fu richiamata dal Capitano Frayn, che si muoveva rapido nella zona di sbarco sbraitando ordini per farsi udire al di sopra del rombo prodotto dai motori dei quattro velivoli.
-Da quella parte!- Ringhiava l’ufficiale. –Di là!-
Il comandante di squadra di Bron afferrò per primo il significato del gesto e richiamò i suoi nove uomini.
Il tiratore scelto seguì i compagni fino alla zona di boscaglia più fitta che si estendeva a nord dell’area relativamente sgombra dove erano sbarcati.
Qui i soldati si aprirono a ventaglio per formare, assieme alle altre squadre, uno schermo protettivo formato da tante postazioni improvvisate.
Eddard vide un lieve rialzo del terreno e cercò un punto adatto a nasconderlo e ripararlo.
Lo individuò in una rientranza tra le monumentali radici di un albero aggrappato alla collinetta e vi si infilò.
Scambiò rapidi cenni d’intesa con i colleghi ai due lati, per definire i rispettivi settori di tiro, quindi si slacciò l’elmetto in modo che la gorgiera non gli desse fastidio e ricoprì la canna del fucile con una retina mimetica estratta dal gibernaggio.
Ora si trattava di aspettare il nemico che, prima o dopo, sarebbe arrivato.
Assurdamente Eddard non riusciva a rendersi conto che si trattava di una vera operazione, tutto era così simile all’addestramento che si aspettava quasi di vedere un sergente passare davanti alla linea di fuoco per correggere le posizioni degli uomini.
Lo immaginò riprenderlo per l’elmetto slacciato e non mascherato, così, pur mantenendo la gorgiera negligentemente slacciata, incastrò un paio di piantine strappate negli appositi occhielli del copri elmetto mimetico, in modo che riempissero lo spazio vuoto tra la testa e le spalle.
 
Non appena la Valkyrie Aquila Uno si alzò, Jan Frod smise di sparare.
Aveva le orecchie che gli fischiavano per quanto indossasse il casco fonoassorbente e la gola gli doleva per il troppo urlare.
Tolse lentamente le mani dall’impugnatura del suo requiem pesante, la cui canna fumante si era accesa di una luminescenza rovente a causa dell’eccessiva quantità di munizioni sparate senza posa.
“Ancora cinque minuti ed avrei fuso la canna!” Pensò il vendolandiano.
La pesante cassetta di metallo che conteneva i nastri di munizioni, e che nelle armi montate sui velivoli costituiva il sistema di caricamento, era orrendamente squarciata ed il nastro di pesanti proiettili requiem retro propulsi ne fuoriusciva disordinatamente.
Almeno un colpo della contraerea, che avrebbe sventrato il mitragliere, era stato fermato dal massiccio strumento.
Cedendo ad un impulso naturale, Jan si abbassò e baciò ripetutamente il guscio dell’arma che lo aveva salvato, quindi si voltò per scambiare un cenno d’intesa con il collega dall’altro lato del velivolo.
Lo sguardo del mitragliere indugiò sulla stiva dal pavimento coperto di sangue.
Il cadavere di un esploratore penzolava oscenamente dal sedile al quale era vincolato, reggendo tra le dita irrigidite il fucile laser, come se fosse pronto a risvegliarsi.
Accanto al corpo senza vita, sedeva un giovane dall’espressione agonizzante, con un moncherino al posto del braccio destro.
Lui rivolse a quest’ultimo un sorriso rassicurante.
-Andrà tutto bene!-
Gridò al ferito, ma l’altro non reagì, probabilmente perché i portelli erano rimasti aperti,  a causa di un colpo nemico che aveva danneggiato il sistema idraulico, ed il ruggito del vento era di gran lunga più forte della roca voce del mitragliere.
Jan sospirò e si appoggiò di peso sull’arma pesante, facendo al contempo scivolare anche la seconda gamba fuori dalla fusoliera.
Amava la sensazione di vuoto sotto ai piedi e l’aria che lo colpiva sulla faccia.
Per il Sergente Jan Frod, ex contrabbandiere di venticinque anni, non esisteva nulla di più bello del volo.
Una cannoniera Valkyrie, anch’essa con i portelloni aperti, raggiunse Aquila Uno ed il mitragliere rivolse a Jan un gesto amichevole, al quale lui rispose alzando il pollice della mano destra e sorridendo al collega che non conosceva.
Poi questi indicò con un gesto piuttosto deciso la coda del velivolo del vendolandiano.
Il Sergente Frod sporse la testa per vedere cosa il collega gli stesse facendo notare e vide che il motore destro di Aquila Uno perdeva un fumo nero che ne indicava chiaramente il malfunzionamento.
Ma non si scompose, erano tre anni che volava con il Colonnello Tjory e l’attiliano lo aveva sempre riportato a casa, anche con un motore solo.
-Capo, abbiamo un problema-
Disse tranquillamente nell’interfono.
La voce del vecchio leone era malinconica quando gli rispose, certo dopo trent’anni di onorata carriera il pensiero che quello sarebbe stato l’ultimo volo doveva aver fatto breccia anche nel duro cuore attiliano.
-Che voce roca Jan, hai alzato troppo il gomito ieri sera?-
Il vendolandiano sogghignò, gli sarebbe mancato il Colonnello.
-Abbiamo il motore destro che fa fumo-
Avrebbe voluto aggiungere una battuta, ma la gola gli faceva troppo male.
-Di che colore?-
Domandò ancora il pilota.
-Nero-
Rispose Jan, pensando alla battuta, sentita già mille volte, che l’attiliano stava per fare.
-Possibile che non si riesca a decidere il nuovo capo dell’Ecclesiarchia?! Mai una fumata bianca… E che cavolo!-
Il mitragliere si concesse un largo sorriso.
Non che lui avesse una qualche nozione riguardo alle usanze dell’Ecclesiarchia, come tutti i vendolandiani era appena cosciente dell’esistenza di tale struttura, ma il Colonnello gli aveva spiegato la battuta tre anni prima e gli aveva detto che, in effetti, era piuttosto brillante e scandalosa.
Vinka, al contrario, la sentiva per la prima volta e scoppiò a ridere, a dispetto del suo freddo carattere vostroyano.
-Non preoccuparti “selvaggio”, ti riporto a casa lo stesso. Fodkova, riduci la potenza del motore destro di un quarto e compensa con il sinistro.-
Al Colonnello piaceva punzecchiare il suo mitragliere di fiducia con quel nomignolo;
molti extra mondo consideravano i vendolandiani come una banda di selvaggi primitivi, ignoranti e feroci, cosa che non era troppo distante dalla verità, ma che veniva considerata parecchio offensiva dai così descritti.
In quel momento il radar segnalò la terza Valkyrie in avvicinamento.
-Bene- Disse allegramente il pilota. –Siamo tutti, godiamoci il rientro a casa e pensiamo alla fortuna che abbiamo a non dover scendere in quell’inferno verde di persona!-
Jan sorrise e poggiò la testa sulle braccia che aveva incrociato sopra al guscio del requiem.
La loro parte per il momento era terminata.
 
Rak Tay segnalò ai due compagni di aver visto qualcosa.
I due montanari si scambiarono un cenno d’intesa, quindi scattarono in avanti, oltre le piante che celavano il punto segnalato dall’artificiere.
Le armi puntate in avanti ruotarono assieme allo sguardo, come fossero parte del loro corpo, poi si abbassarono in un gesto seccato.
A terra vi erano i cadaveri orrendamente squarciati di due dei loro compagni di squadra.
Trulls si chinò sul corpo più vicino e gli sfiorò la fronte con cautela.
Era l’altro mitragliere della squadra, uno dei suoi migliori amici sin dai primi giorni di corso.
Poco oltre vi era il corpo senza vita di un orco e Drake non faticò ad immaginare quanto fosse successo.
Quello era effettivamente il punto di incontro previsto per la squadra, ma gli esploratori dovevano essere stati sorpresi da una pattuglia di orchi.
Molto probabilmente i nemici erano ancora in giro ed i soldati avevano ripiegato direttamente sul punto di raggruppamento del plotone, dando loro tre per morti.
Lo scout si accosciò e si mise il fucile laser in trasversale sulle gambe, in modo che gli fornisse un punto d’appoggio per il dpad, sul quale richiamò la cartina d’operazione.
Il punto individuato in sede di pianificazione per il raggruppamento del plotone era indicato solo con il numero della quota, per scongiurare l’improbabile possibilità che un nemico potesse riconoscerlo sul dpad di un morto.
-Quanto manca al Rendezvous di Plotone?-
Chiese Rak senza voltarsi, lui e Trulls stavano coprendo un settore di 180 gradi ciascuno, per proteggere lo scout intento nella lettura della cartina.
-Tre chilometri Nord… Da qua vedo che c’è una discreta pendenza e parecchia vegetazione, ci vorrà almeno una mezz’ora.-
Trulls grugnì un’imprecazione, finché non avessero portato il vox, il Sergente non avrebbe potuto comunicare con il comando e l’intera operazione non avrebbe potuto partire.
-Sarà meglio muoverci-
Concluse Rak, pratico come sempre.

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Capitolo 4
*** Fratelli in armi ***


Hernest Faryn imprecò sottovoce.
L’ultima Valkyrie stava sbarcando i due Tauros che conteneva, poi l’intera compagnia sarebbe stata schierata sul campo, e degli esploratori non aveva ancora nessuna notizia.
Erano passati venti minuti dal loro sbarco ma il vox taceva.
I piloti dei velivoli che li avevano trasportati avevano riferito di una forte resistenza a terra e lui temette che il plotone del Sergente Kran fosse stato annientato.
Se ciò fosse successo, avrebbe costretto i suoi uomini a procedere alla cieca, andando quasi certamente in contro al disastro.
D’altro canto lui non poteva aspettare troppo in quella posizione, gli orchi avevano mandato contro di loro un paio di pattuglie che erano state letteralmente spazzate via dal fuoco dei fucilieri e delle potenti armi anticarro poste a difesa del punto di sbarco.
Il nemico non avrebbe tardato a portare un attacco corazzato e, per quanto i venti specialisti controcarro piazzati nella jungla assieme ai fucilieri avrebbero richiesto un pesante pedaggio agli attaccanti, una compagnia non poteva vincere una guerra e gli orchi avrebbero finito per sfondare.
Scacciò con un gesto quei cupi pensieri.
Stava camminando nervosamente avanti e indietro lungo la linea dei suoi quindici Tauros.
I mezzi da ricognizione elysiani, muniti di quattro grosse ruote super ammortizzate e strutture rollbar che li rendevano simili a macchine da corsa nel deserto, rombavano sommessamente.
A differenza del modello usato dalle truppe paracadutiste che lo avevano ideato, quello in dotazione agli assaltatori vendolandiani era armato con un requiem pesante, al posto del cannone termico ed aveva un motore più potente, che gli consentiva accelerazioni impressionanti.
Ogni mezzo aveva un equipaggio di due uomini; un pilota ed un mitragliere che, in piedi nello spazio circolare della torretta, aveva il compito di manovrare il requiem pesante.
Nello spazio ricavato tra l’abitacolo del pilota e la torretta, su di uno stretto predellino già ingombro di cassette di munizioni trattenute da una rete a maglie larghe, avrebbero dovuto trovare posto venti tra fucilieri e specialisti controcarro, ora schierati davanti ai veicoli.
Hernest guardò i suoi uomini, alcuni erano seduti in terra e chiacchieravano nervosamente, ma la maggioranza giocherellava con il fucile o controllava per la centesima volta il proprio equipaggiamento.
La tensione era palpabile, tutti si erano aspettati di arrivare come falchi sul nemico, ma ora erano bloccati per un motivo che non conoscevano, in una posizione rischiosa e noiosa.
L’ultimo Tauros si schierò con una sgommata e parecchi soldati si girarono a guardarlo, mentre il pilota dava un’impressionante accelerata a vuoto, per testare il motore.
Poi tutti tornarono alle occupazioni con le quali fino a quel momento avevano ingannato il tempo, limitandosi a qualche scarno commento sull’estro del pilota.
 
Terk Qund imprecò aggrappandosi alla piastra corazzata del mitragliere per non cadere, mentre il suo Tauros sgommava sull’erba.
-Brutto figlio di… Mi vuoi ammazzare?!-
Ringhiò rivolto al suo pilota, che si limitò ad un serafico: -Rilassati socio.-
Prima che la voce di entrambi fosse sopraffatta dal rombo dell’accelerata che scosse il Tauros come se fosse stato colpito da una scarica elettrica.
-Ti ho mai fatto schiantare?-
Domandò il guidatore con aria di sufficienza, mentre il rombo del motore si abbassava.
-N’si sa mai Hak, c’è sempre una prima volta.-
Replicò il mitragliere.
Il soldato semplice Hak Junx sbuffò per esprimere il proprio disappunto, mentre sollevava gli occhialoni da carrista sopra all’elmetto.
Veniva dalla periferia di Urxan, la capitale di Vendoland, nonché unico abitato di sufficiente importanza da ospitare una scuola imperiale e qualche fabbrica.
Ma questo non faceva di lui un cittadino istruito, come invece era il Capitano.
La periferia si estendeva fuori dai bastioni di metallo che proteggevano la città ed era un vero inferno di baracche cadenti, cunicoli sotterranei e stretti vicoli.
L’area pianeggiante che circondava l’abitato scoraggiava i predatori più grossi, ma lupi a sei zampe di Vendoland, stegoratti ed altre creature di dimensioni relativamente modeste consideravano la periferia come una riserva di cibo ed un parco giochi.
Per sopravvivere in quell’ambiente bisognava pensare in fretta, agire ancora più in fretta e guidare come piloti da corsa.
Hak era un tipo mingherlino e piuttosto basso per essere un vendolandiano, di solito infatti i nativi di quel mondo di sesso maschile misuravano tra i 180 centimetri e i due metri e dieci, mentre le donne andavano dai 175 ai 190 centimetri, mentre lui era alto 175 centimetri, in compenso era agile come una gazzella a sei zampe della jungla.
La prima volta che si era messo ai comandi di un Tauros, aveva l’espressione estatica di un bambino che si ritrovava tra le mani un giocattolo che aveva sempre desiderato ed aveva cominciato a provare tutte le possibilità del veicolo, spingendosi sempre al limite, atteggiamento che non aveva mai cambiato.
Qualcuno aveva sottolineato che affidargli un mezzo simile era una vera follia, ma Terk era felice di essere il suo mitragliere, al di la delle continue frecciate, infatti, i due erano legati da una sincera amicizia.
Nonostante Hak fosse un cittadino e Terk provenisse dal deserto occidentale, due realtà molto diverse, i soldati avevano legato sin dal primo giorno di addestramento e da allora erano diventati inseparabili.
Il mitragliere sbuffò.
Era seduto sul tetto del veicolo, con le gambe a penzoloni nella torretta, l’elmetto abbandonato sul guscio del requiem pesante e lo sguardo che indugiava con poco interesse sui mortaisti, intenti a montare le loro pesanti armi a tiro curvo.
Erano tutti senza elmetto, con le maniche della giacca mimetica ripiegate sopra i gomiti ed il viso sudato.
Si trattava esattamente dello stesso spettacolo che avevano visto mille volte in addestramento.
Terk era un buon mortaista, ma era contento di essere stato assegnato ai fucilieri; quello dell’artigliere era un lavoro faticoso e terribilmente ripetitivo.
Il mitragliere aprì la tasca della tuta mimetica in corrispondenza della sua spalla sinistra e ne trasse un pacchetto che conteneva un accendino ed una decina di sigarette artigianali che si era preparato durante il viaggio da Vendoland.
-Sigaretta?-
Domandò all’amico mentre si accendeva la prima di quella che prometteva di essere una lunga serie di “procura morte”, come le chiamava Hak.
Il pilota scosse la testa infastidito.
-Lo sai che non fumo Terk! E neanche tu dovresti!-
Il fumatore si strinse nelle spalle.
-Neanche tu dovresti andare a trecentocinquanta all’ora con un Tauros che è stato progettato per fare al massimo i trecento, ma mica ti rompo le scatole.-
-Oh, si che lo fai!-
-Solo quando comincio a non vederci più per i moscerini sugli occhialoni.-
I due si concessero una breve risata, poi Terk parlò di nuovo.
-Certo che per essere forze speciali facciamo operazioni piuttosto regolari… E per essere assaltatori stiamo parecchio fermi…-
Hak si voltò verso di lui, guardandolo in faccia attraverso la botola della torretta.
-La smetti di fare il polemico? Mi sembri la mia vecchia zia!-
-Quella che è stata mangiata da un lupo a sei zampe mentre ti inseguiva con un mestolo?-
-Proprio lei!-
I due amici scoppiarono di nuovo a ridere.
 
Il Valkyrie si posò sulla pista di liscio asfalto con la leggerezza di un uccello da preda, flettendosi leggermente sui braccetti ammortizzati delle tre ruote che costituivano il carrello.
Jan si liberò delle cinture di sicurezza che lo vincolavano alla sua arma e si tirò in piedi facendo forza sull’intelaiatura metallica del sedile più vicino, così da poter sgranchire le gambe anchilosate.
Non appena il rumore dei motori si fu un po’ smorzato, il mitragliere si sporse fuori dalla fusoliera ed urlò con quanto fiato aveva in corpo:
-Medico!-
Poi se ne pentì, poiché l’urlo gli aveva provocato una dolorosa fitta alla gola.
Una squadra di soccorritori della Guardia Imperiale, che probabilmente aveva già considerato la possibilità di trovare dei feriti a bordo, si avviò di corsa verso Aquila Uno.
Jan sorrise loro e batté amichevolmente la mano sulla spalla sana dell’esploratore mutilato.
-Tranquillo ragazzo, stanno arrivando i soccorsi.-
Dopo aver aiutato i soccorritori a salire nella stiva, il sergente si tolse il casco, munito di una visiera polarizzata che gli copriva gli occhi scendendo fino sotto agli zigomi, e si passò una mano guantata tra i capelli biondi, decisamente troppo lunghi per un militare.
L’altro mitragliere era già intento  nella manutenzione del requiem pesante e lui, dopo aver poggiato il casco sul pavimento in un punto non imbrattato di sangue, lo imitò.
Aveva appena finito di pulire la canna e stava sganciando l’ormai inutilizzabile blocco caricatore quando si sentì chiamare dal basso.
Il pezzo di metallo contorto si schiantò a pochi passi dai piedi del Colonnello, prima che Jan balzasse giù, per trovarsi faccia a faccia con il suo pilota.
-Jan-
Disse l’ufficiale, come se vedesse il mitragliere per la prima volta nella giornata.
-Signore-
Rispose questi sullo stesso tono.
Poi un sorriso complice si stampò sul viso di entrambi e gli uomini si strinsero calorosamente la mano.
Sembrava impossibile che un alto ufficiale della marina, figlio di nobili e cresciuto in accademia, ed un mitragliere proveniente da un mondo assassino dove faceva il contrabbandiere potessero essere amici.
Eppure Jan Frod e Kazuya Thjory erano esattamente questo.
Con la mano libera, il Colonnello diede una sonora pacca sulla spalla del mitragliere, senza allentare la stretta della destra.
-Mi raccomando ragazzo, abbi cura del Tenente Fodkova, è una brava pilota, ma non ha esperienza.-
Jan annuì, la nuova pilota non gli era molto simpatica, ma doveva ammettere che chiunque avesse sostituito il Colonnello non gli sarebbe risultato simpatico.
 
Vinka aveva appena ricevuto le consegne di Aquila Uno, assieme alla promozione ufficiale a Tenente, ma non stava seguendo il protocollo.
Ci si aspettava che lei pagasse da bere allo spaccio della base e che parlasse lungamente con il suo nuovo copilota, un giovane cadiano appena uscito dall’accademia, per amalgamare l’equipaggio.
O almeno che facesse un discorso ai suoi nuovi sottoposti.
Invece lei era infilata fino alla vita nel vano del motore destro di Aquila Uno, con le braccia, il volto e la canottiera bianca che portava sotto la tuta di volo imbrattati d’olio.
La parte superiore della sua tuta era ripiegata all’altezza della vita ed il corpo della pilota, da li in su, era chinato nella macchina.
La vostoriana riemerse dalla lurida cavità imprecando.
Una goccia d’olio le colò dagli sporchi capelli biondi, raccolti in una treccia che le arrivava fino alla cintura, sul viso ovale.
Con un gesto di stizza la giovane si passò l’avambraccio sulla fronte per asciugare quella lacrima nera, ma il risultato fu imbrattarsi ulteriormente.
Lasciò cadere su di un piccolo banco di lavoro metallico la chiave inglese che stava usando ed i pesanti guanti da lavoro.
-Bisogna cambiare la pompa del raffreddamento e alla svelta… Quei ragazzi potrebbero aver bisogno di noi entro poche ore.-
Disse rivolta al capo della squadra di meccanici che si affaccendava nell’hangar dove la Valkyrie era stata portata.
 Questi annuì gravemente. Non gli piacevano i piloti che si occupavano degli affari che non li riguardavano, ma Vinka Fodkova aveva un carattere che non ammetteva repliche.
L’uomo si diresse verso il velivolo, seguito da due servitori attrezzisti e Vinka si risolse a farsi una doccia ed a riposare un poco.
Da un momento all’altro sarebbe potuto arrivare l’ordine di partenza.

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Capitolo 5
*** Un piano ardito ***


Erano passati venti minuti dallo sbarco del plotone esplorante, ma ancora il vox del comandante di compagnia taceva.
Hernest si passò una mano tra i capelli biondo cenere perfettamente rasati e si lisciò la barba con aria meditabonda.
Se non avesse fatto muovere i suoi rapidamente il nemico avrebbe potuto chiuderli in una sacca, impedendogli di uscire a soccorrere gli esploratori e di continuare la missione.
Al contrario, se li avesse fatti muovere e gli esploratori non gli avessero dato indicazioni, li avrebbe condotti alla cieca in pieno territorio nemico ed in schiacciante inferiorità numerica.
Un bel dilemma; da una parte il fallimento della missione e la perdita di un plotone, dall’altra un possibile disastro.
Il vendolandiano si accosciò pensando.
Cedendo ad un impulso, l’ufficiale ripiegò la manica destra della mimetica, per guardare il tatuaggio che gli decorava la parte interna dell’avambraccio destro.
Si trattava di una versione tribale dell’aquila bicefala in inchiostro dorato.
Tra gli artigli l’animale stringeva un cartiglio sul quale era scritto “278098 Impeto”, numero e motto del suo corso in accademia.
I tatuaggi tribali costituivano una parte fondamentale della cultura vendolandiana, tanto che perfino lui, un nobile che si riteneva a pieno titolo “civilizzato” e che abbracciava il culto del Dio Imperatore, dimentico dell’oscura religione del pianeta, ne ostentava uno.
I vendolandiani credevano che ogni evento importante nella vita di una persona dovesse essere dipinto sulla pelle.
I cacciatori, ad esempio, usavano tatuarsi le prede delle quali andavano più fieri, o che avevano avuto un significato particolare per loro.
Questa tradizione era molto importante anche per i soldati, nei reggimenti di Vendoland era facile trovare veterani con tatuaggi raffiguranti orchi, servitori del caos, tiranidi ed altre mostruosità.
I tatuaggi erano così importanti che, su Vendoland, tatuarsi senza il consenso del capo della comunità era un reato molto grave, che poteva essere punito anche con l’esilio.
Dal colore dei tribali, inoltre, era possibile dedurre la provenienza di chi li ostentava.
I montanari, come Drake Varn, erano soliti usare inchiostro nero, mentre gli abitanti della jungla preferivano il verde scuro.
Coloro che provenivano dal Grande Mare Centrale usavano varie tonalità di blu, i nomadi delle praterie usavano il verde chiaro, gli abitanti delle montagne rocciose usavano un rosso acceso, come la terra che ricopriva le loro zone d’origine, nulla a che vedere con l’ocra degli “Uomini Rossi” del deserto occidentale.
Gli originari delle “Terre dei fuochi”, il sistema vulcanico più importante del pianeta, si tatuavano con motivi di colore arancione, mentre gli abitanti della città usavano diversi colori, così da rendere i loro tatuaggi variopinti e vistosi.
In quasi tutte le comunità del pianeta, la superficie tatuata del corpo di un uomo era direttamente proporzionale alla sua importanza.
Ovviamente questo non avveniva in città, non nella parte civilizzata almeno, dove vi erano persone istruite alla via del Divino Imperatore dell’Umanità.
Il Capitano sbuffò ricoprendosi il braccio. “Impeto” Pensò.
“Impeto”.
Con un improvviso scatto l’ufficiale si alzò.
-Va bene soldati!- Urlò, in modo da farsi sentire al di sopra dei motori accesi.
-Avete riposato a sufficienza; ci muoviamo! Direzione Nord, velocità di crociera. Non fermatevi se venite ingaggiati, ricordate che il nostro obiettivo non è combattere ma passare!-
Tutti i soldati scattarono come molle, non vedevano l’ora di mettersi in azione per sfuggire all’estenuate attesa.
“Speriamo in bene” pensò il giovane Capitano.
 
Fren Kull avvitò la bombola di promethium sotto al suo lanciafiamme e si avviò verso il Tauros che lo avrebbe portato in battaglia.
Fren era un ragazzone delle montagne rocciose, aveva solo vent’anni ed era famoso nel plotone per il suo comportamento disinibito con le donne, nonché per i suoi modi tutt’altro che eleganti.
Non appena il fuciliere armato di lanciafiamme vide il pilota del veicolo si lasciò sfuggire un’imprecazione.
Una corta barba rossa incorniciava il viso ossuto e spigoloso di Hak Junx, che lui conosceva piuttosto bene.
Fren si appollaiò sul predellino, sedendo su di una cassetta di munizioni.
-E io che speravo di crepare in battaglia, a quanto pare non ci arriverò neanche.-
Commentò a mo’ di saluto.
Hak ridacchiò divertito, mentre il fuciliere dava una gentile pacca alla coscia del mitragliere.
-Come ti va malnato?-
Domandò.
La voce di Terk gli giunse contraffatta dal fazzoletto che l’uomo si era messo davanti alla faccia per proteggersi dall’aria.
-Non c’è male “cervello bruciato”, tu come stai?-
Fren si aggrappò con tutta la forza della mano sinistra al rollbar del Tauros, mentre con la destra reggeva l’arma.
-Te lo dirò dopo che sarò sceso da questa carriola, non mi fido mica tanto della guida di quella scimmia rossa-
Il mitragliere rise, mentre Hak si guardava alle spalle, per assicurarsi che Fren e l’altro fuciliere che avevano caricato fossero aggrappati saldamente.
Il pilota premette sull’acceleratore ed il veicolo da ricognizione balzò in avanti come un felino da preda.
-Si va!- Gongolò, suscitando un coro di imprecazioni da parte dei suoi passeggeri.
-Ehi Rosso!- Ringhiò Terk. –Ricordati che siamo il primo mezzo e che ci sono i rami… Ti sarei grato se evitassi di disarcionarmi, se ti riesce.-
Il pilota sogghignò, perso nella felicità che gli ispirava la guida. –Tu tieniti forte e schiva i rami, vedrai che sarà uno spasso!-
-È quello che temo anch’io- Mormorò fra se il mitragliere.
 
 
Drake Varn sollevò il pugno della mano sinistra, ordinando ai compagni di congelarsi nell’attuale posizione.
Il montanaro era solito fermarsi ogni decina di passi, per ascoltare i rumori della foresta, che giungevano chiari al suo udito allenato di cacciatore.
Il giovane fece segno ai compagni di abbassarsi e stare pronti, quindi prese a muoversi con estenuante lentezza.
I suoi comodi scarponcini da pattuglia poggiavano leggeri, evitando rametti, pietre e qualunque altra cosa che potesse produrre un rumore.
Il fucile puntato davanti a se con la sola mano destra, Drake usava la sinistra per spostare e poi trattenere le fronde, in modo che non producessero il tipico rumore di sfregamento contro il suo equipaggiamento.
Improvvisamente notò un muoversi di fogliame.
Pochi, forse tre nemici.
Drake si abbassò, ginocchio destro a terra e puntò il fucile laser, senza sicura.
Il soldato sentì un’improvvisa inquietudine; doveva forse aspettare che il nemico fosse più vicino?
Tuttavia esisteva anche la remota possibilità che quello non fosse il nemico.
Con voce strozzata il vendolandiano sibilò:
-Ombra!-
Gli rispose un improvviso rumore di rami spezzati, come se qualcuno colto di sorpresa si fosse girato di scatto.
Lo scout puntò il fucile laser con maggior precisione verso la fonte di questo nuovo rumore e premette per metà il grilletto, ma una voce lo fermò.
-Morte!- Disse una voce roca.
Il vendolandiano allentò la pressione sulla leva di sparo ed abbassò l’arma, mentre il pollice faceva scattare il selettore di tiro sulla sicura.
-Sergente, è lei?-
Da un secondo punto nella jungla la burbera voce del sergente Kran parve sorpresa.
-Varn?! Per i denti dell’Imperatore, pensavamo che avessi tirato le cuoia subito dopo lo sbarco, inutile recluta! Chi hai con te?-
I due compagni del montanaro gli si affiancarono.
-Whurn e Tay signore! Abbiamo il vox!-
Rispose Rak.
-Questa è una buona notizia-
Ringhiò il sottufficiale mentre si faceva largo verso i sottoposti.
Impugnava il fucile laser con la sola mano destra, poiché il braccio sinistro gli pendeva dal collo, stretto da un triangolo di stoffa verde oliva macchiato di sangue.
Al gibernaggio del sergente mancavano due tasche, al posto delle quali c’era un vuoto che lasciava vedere l’armatura sottostante, scheggiata e graffiata.
Dietro di lui apparvero quattro uomini della terza squadra, tutti carichi di armi e munizioni, chiaramente sottratte ai compagni morti.
-Richiama gli altri, digli di venire qui!-
Ordinò Kran ad uno dei soldati che lo seguivano, quindi, mentre gli altri disponevano un cerchio difensivo attorno al vox operatore, lasciò il proprio fucile penzolare dalla bandoliera per sganciare la cornetta del trasmettitore.
 
-Capitano!- Il vox operatore, appollaiato sul predellino di un Tauros, doveva urlare per farsi sentire al di sopra del rombo dei motori e dell’impatto della vegetazione sulla scocca del veicolo che procedeva a velocità sostenuta. –Una comunicazione degli esploratori!-
Hernest ebbe un tuffo al cuore. Finalmente, finalmente comunicavano!
L’ufficiale cambiò presa sul rollbar ed allungò una mano per prendere la cornetta che il soldato gli porgeva.
-Tempesta Uno Uno, qui Tempesta passo-
Disse con voce stridula.
Si costrinse ad assumere un tono più convinto, i suoi uomini non dovevano capire quanto fosse nervoso.
Il vox rispose con una serie di scariche, poi ne uscì la voce burbera del Sergente Kran.
-Qui Uno Uno, abbiamo perso un totale di dieci uomini durante lo sbarco, siamo ancora in grado di combattere, raggruppamento riuscito, procediamo con la missione, passo-
Hernest chiuse gli occhi incassando quella cifra come avrebbe incassato un pugno.
Dieci esploratori morti, un terzo dell’unità.
Erano sbarcati in bocca alla resistenza nemica, un errore di pianificazione che non poté fare a meno di imputare a se stesso.
-Ricevuto Uno Uno, procedete con massima celerità, Tempesta già in movimento, fine-
Non appena ebbe restituito la cornetta al soldato, l’ufficiale riprese l’impugnatura a pistola del suo fucile laser e la strinse con forza.
Dieci dei suoi esploratori, ragazzi di diciotto anni.
I vendolandiani non avevano un approccio molto empatico nei confronti della morte, del resto solo il dieci per cento della popolazione del pianeta raggiungeva la maggiore età, per cui tutti erano abituati a vedersi morire attorno gli amici.
Tuttavia Hernest era provato da questa notizia, uno su tre di quei ragazzi che quattro giorni prima erano con lui nella jungla ad addestrarsi ora era morto.
Si scoprì a pensare al soldato semplice Drake Varn, che in quell’occasione aveva sfoderato una carica suicida, miracolosamente riuscita.
Chissà se quell’indisciplinato spaccone era morto in modo altrettanto avventato.
 
Per nulla conscio di essere nei pensieri del proprio ufficiale comandante, Drake Varn procedeva una ventina di metri avanzato rispetto al resto del plotone, in virtù del suo incarico di scout.
Siccome l’altro scout del plotone era stato falciato da una raffica di mitragliatrice pochi secondi dopo aver messo piede sul pianeta, il Sergente Kran aveva ordinato al tiratore scelto della seconda squadra di fare coppia con il montanaro.
Così ora i due uomini avanzavano in religioso silenzio tra la vegetazione ad alto fusto.
Fu il tiratore il primo ad individuare una condotta forzata, incrostata di ruggine e soffocata dalla jungla.
La seguirono per un centinaio di metri, deviando spesso per evitare i tratti di vegetazione impenetrabile, poi sentirono un rumore di passi.
Senza perdere un istante i due uomini si abbassarono e si coprirono come potevano nel lussureggiante sottobosco.
Drake sentiva il proprio respiro rimbalzargli nelle tempie, tanto forte che era convinto fosse udibile a metri di distanza.
Strinse il fucile nervosamente; a giudicare dal numero di pesanti passi in avvicinamento, si trattava di parecchi nemici.
Dalla boscaglia apparve una pattuglia di dieci orchi armati di asce, rozze spade e monumentali armi da fuoco dall’aspetto grottesco.
Uno di questi si allontanò dai compagni e si diresse a passo sicuro verso il nascondiglio dell’esploratore.
Drake vide lo xeno dirigersi proprio verso di lui, come se lo avesse individuato da lontano.
Le dita tremanti del soldato si strinsero attorno al coltello vendolandiano, estraendo silenziosamente l’arma dalla larga e scura lama ad un solo taglio, posseduta da tutti i cacciatori del pianeta.
L’orco si fermò a meno di due passi.
Doveva ucciderlo silenziosamente, o gli altri gli sarebbero subito saltati addosso.
Certo, come se fosse una cosa facile, quel bestione era alto più di due metri e non sarebbe certo caduto alla prima coltellata.
Lo scout guardò preoccupato le enormi braccia dai bicipiti gonfi come angurie ed il torace possente del nemico.
Un solo pugno di quella bestia sarebbe bastato a staccargli la testa.
Il nemico aprì i bottoni che gli chiudevano i pantaloni ed orinò.
Drake riprese a respirare solo due minuti dopo quando il mostro, richiusa la patta con un grugnito di soddisfazione, si allontanò per raggiungere la pattuglia.
Il vendolandiano si tirò a sedere con la schiena contro un albero e fissò il coltellaccio dalla lama lunga trenta centimetri che gli tremava in mano.
-Dannazione!- Imprecò il tiratore, apparso dal nulla. –Pensavo che quella bestia ti avesse visto! Me la stavo facendo sotto!-
Drake gli rivolse un sorriso un po’ sbilenco.
-Pensa io…-
Disse prima di scoppiare in una nervosa risatina, alla quale il collega si aggiunse dopo un attimo di esitazione.
Nessuno sparo proveniva dalla direzione presa dai nemici, segno che anche il resto del plotone era passato inosservato.
Drake sospirò due volte, quindi guardò nuovamente il coltello.
Ora la mano non gli tremava più e la lama fece una spettacolare rotazione prima di svanire nuovamente nel buio del fodero.
-Andiamo- Disse risolutamente il cacciatore mentre si tirava in piedi, appoggiandosi al tronco con la sinistra, poiché la destra aveva subito ritrovato la famigliare impugnatura del fucile.
I due uomini avanzarono per una decina di metri, ma poi furono costretti a procedere strisciando, poiché la vegetazione si faceva più rada ed il nemico era in vista.
Pochi metri più avanti la jungla terminava bruscamente in un avvallamento coperto di rade macchie di arbusti, uno spiazzo di un centinaio di metri oltre il quale si estendeva una struttura che appariva come un caotico susseguirsi di condotte forzate, capannoni in cemento e strutture di pompaggio.
Più di cento orchi, con mezzi ed armi pesanti si affaccendavano nello spiazzo e nella parte visibile del complesso, dando l’impressione che l’intera area fosse sotto il loro controllo.
Ma mentre i due esploratori erano in osservazione, sentirono chiaramente degli spari provenire dal complesso di estrazione, segnale che qualcuno ancora combatteva.
Drake imprecò sottovoce ed il collega gli fece eco.
-Entrare la dentro è impossibile.- Disse il tiratore. –Dobbiamo aspettare i fucilieri e farci largo combattendo, a meno che tu non voglia metterti a fare l’equilibrista sulla condotta forzata-
Scherzò indicando la condotta che, una decina di metri sopra alle teste degli orchi, correva dalla jungla fin dentro al complesso estrattivo.
-La condotta!- Esclamò Drake, mentre un ghigno piratesco si disegnava sul suo viso segnato dalle creme ormai sbiadite.
-La condotta cosa?- Domandò l’altro. –Credi veramente che non ti vedrebbero?-
-Non ci voglio passare sopra- Rispose lo scout, iniziando a strisciare all’indietro. –Voglio passarci dentro!-

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Capitolo 6
*** Claustrofobia ***


Eddard Bron salutò con un cenno la colonna di Tauros che lo superava per gettarsi nella jungla, per quanto sapesse che nessuno degli equipaggi o dei fucilieri imbarcati poteva vederlo.
Il primo mezzo procedeva a velocità sostenuta, zigzagando tra gli alberi e martoriando la vegetazione.
Era pilotato con tale perizia che il secondo veicolo doveva spesso rallentare per riuscire a seguire la sua traccia.
Procedendo incolonnati, i Tauros stavano creando una vera e propria strada che serpeggiava nella jungla con l’aspetto di una lunga galleria verde.
Il tiratore scelto non dubitava che il nemico avrebbe approfittato di quella comoda via di avvicinamento, così puntò il laslungo sui Tauros che si allontanavano e prese a segnare sul dpad che si era appoggiato sulla coscia sinistra le distanze che il telemetro integrato nel mirino ottico gli restituiva, accompagnandole con punti di riferimento improvvisati.
Albero storto settanta metri, roccia bianca cento metri…
Non appena tutti i Tauros furono passati, due soldati della squadra di Eddard seguirono la pista dei veicoli per alcune decine di metri e presero a piazzare mine anticarro ed antipersonale.
Il tiratore si stava annoiando, nessuno gli aveva dato ordini da dopo lo sbarco, nessuno lo aveva aggiornato riguardo lo stato dell’operazione.
Tutto quello che sapeva era che il suo compito consisteva nel difendere il suo settore di jungla da un nemico invisibile che, per quanto aveva visto lui, poteva benissimo non essere nemmeno sul pianeta.
A parte qualche lontano rimbombo di armi pesanti, infatti, gli orchi si erano limitati a due assalti poco convinti alla linea di fuoco di cui lui faceva parte.
O almeno così aveva dedotto dal crepitio di fucili laser ed armi pesanti che aveva udito alla sua sinistra, lui non aveva visto nessun nemico.
Bron sbuffò e si tolse l’elmetto che gli schiacciava i capelli castani, così chiari da tendere al biondo, e gli faceva colare grosse gocce di sudore sul viso mascherato, fino alla corta barba.
Sbatté un paio di volte le palpebre e si sciolse le spalle prima di tornare a puntare il fucile sulla pista, dalla quale stavano tornando i due minatori.
L’incarico di tiratore scelto non faceva per lui; sparava meglio di qualunque altro soldato della compagnia, questo era vero, ma stare immobile ad aspettare il nemico lo estenuava.
Con gesto svogliato, tornò ad indossare l’elmetto, poi si costrinse all’immobilità.
 
Terk imprecò a gran voce quando l’ennesimo ramo si schiantò contro la piastra corazzata fissata al suo requiem pesante, senza la quale lo avrebbe decapitato.
-Hak, dannato incosciente, vuoi rallentare?!-
Ma il pilota non gli rispose neanche, si stava divertendo troppo.
Procedeva lungo l’angolo di rotta fornitogli pochi minuti prima dal Capitano, per mezzo della radio veicolare, ma la conformazione del terreno lo obbligava a continue deviazioni, cosa che lo divertiva molto, perché provocava curve secche e continui cambi di marcia.
Le quattro ruote del Tauros si staccarono contemporaneamente da terra quando Hak non trovò una zona di scarsa pendenza che gli permettesse di scendere dal rilievo sul quale si trovavano e decise di scendere dal lato più ripido.
Per fare il mitragliere su di un Tauros con una certa abilità ci volevano essenzialmente tre caratteristiche; uno spiccato spirito d’osservazione per individuare il nemico anche mentre si procedeva a tutta velocità, equilibrio per non sbattere continuamente contro i bordi della torretta ed una forza fisica non indifferente.
Fu quest’ultima caratteristica a salvare Terk dallo sbattere violentemente la faccia contro il guscio del requiem pesante quando il veicolo atterrò con uno stridio terrificante, segno di protesta degli ammortizzatori, che erano impegnati in uno sforzo del tutto simile a quello sostenuto dalle braccia del mitragliere.
Terk si concesse un sorriso, la verità che non avrebbe mai ammesso era che si stava divertendo anche lui, la velocità era una cosa splendida, che lui aveva scoperto quando, da ragazzino, aveva cavalcato per la prima volta una lucertola delle sabbie vendolandiana.
Si trattava di un rettile grosso quanto un veicolo da ricognizione Tauros, munito di sei zampe e capace di raggiungere i duecento chilometri orari in corsa.
Gli uomini rossi del deserto, così chiamati per i loro tatuaggi ed il colore dei loro turbanti, li usavano come mezzi di trasporto, ma bisognava prestare parecchia attenzione alla propria cavalcatura, poiché le lucertole delle sabbie erano animali carnivori cui il gusto degli esseri umani piaceva molto.
Due fratelli di Terk e la sua stessa madre erano morti tra le fauci di una di quelle bestie.
I Tauros, invece, non cercavano di mordere i loro conducenti e potevano andare ancora più veloci; come si poteva non amarli?
Chi si stava divertendo molto meno era Fren Kull, il portatore di lanciafiamme, che sudava freddo nonostante il clima soffocante della jungla.
Vedeva i tronchi degli alberi sfrecciargli attorno come artigli mortali e si aspettava da un momento all’altro lo schianto che avrebbe messo fine alla sua giovane vita.
Dovette farsi forza per riuscire a parlare senza vomitare la colazione.
-Hak rallenta accidenti a te!-
Ma il rosso scosse la testa mentre ingranava un’altra marcia.
-Penso che invece accelererò mio impavido guerriero delle montagne rocciose! Quindi cambiati il pannolino e reggiti forte!-
Il Tauros tritò letteralmente un cespuglio di felci giganti e si ritrovò in una radura, lanciato a più di duecento chilometri orari.
In quel momento sul volto di Hak si dipinse un’espressione di orrore misto a stupore.
L’area sgombra di alberi era affollata di orchi, alcuni dei quali imbarcati su mezzi a quattro ed otto ruote, tutti armati fino ai denti e con l’aria di essere stupiti di vedere la colonna di Guardie Imperiali almeno quanto il pilota era stupito di vedere loro.
Per un istante rimase a guardarli basito, poi urlò a Terk di sparare e premette sull’acceleratore, perché un Tauros non era affatto corazzato per sopportare una battaglia.
Ma la voce del cittadino fu coperta da una lunga raffica del requiem pesante di Terk, che evidentemente si era riavuto per primo dallo stupore.
Hak vide una scia di scintille seguire un colpo nemico che aveva centrato il rollbar a venti centimetri dalla sua faccia.
Un suono simile a quello di sassi scagliati da una fionda gigante gli suggerì che la stessa raffica gli era passata anche più vicina, prima di schiantarsi con gran fracasso contro la torretta.
Il soldato strinse convulsamente il volante e digrignò i denti per la tensione e la paura.
Terk vide due sbuffi di scintille, ad indicare il punto dove altrettanti colpi avevano incontrato la piastra protettiva del mitragliere e sentì uno strano spostamento d’aria in corrispondenza delle gambe.
Stava ruotando il mitragliatore sulla torretta, in modo da continuare a colpire i nemici anche dopo che il Tauros li aveva superati, senza smettere un secondo di sparare.
Quando si trovò rivolto a quarantacinque gradi, verso il retro del mezzo, pensò che era il momento di smettere, o avrebbe corso il rischio di colpire il veicolo che li seguiva e, proprio in quel momento, il requiem esaurì le munizioni.
Nell’improvviso silenzio della sua arma, Terk si accorse che stava urlando in modo inarticolato.
Si concesse un ultimo sguardo alla colonna che sparava con almeno sei requiem pesanti contro ai nemici, senza neppure rallentare l’andatura e poi ruotò l’arma in modo che puntasse in avanti, giusto in tempo perché un ramo si schiantasse contro la piastra, indicando che erano di nuovo nella jungla.
Il mitragliere si abbassò per chiedere al fuciliere che era aggrappato alla sinistra del Tauros di passargli una cassetta di munizioni, ma l’uomo era sparito.
Di lui restava solo uno schizzo di sangue sull’elmetto di Hak.
Terk si rivolse allora al portatore di lanciafiamme, ma questi aveva gli occhi sbarrati ed il respiro pesante e non parve udirlo.
Nonostante avesse il viso dipinto, si capiva che l’uomo era mortalmente pallido.
Per attirare la sua attenzione il mitragliere dovette scuoterlo per la spalla destra.
-Fren! Fren, riprenditi! Mi vuoi passare quella dannata cassetta di munizioni?! Fren!-
Il soldato proveniente dalle montagne rocciose sbatté due volte le palpebre, quindi annuì.
-Si, munizioni-
Con gesti meccanici passò al mitragliere una cassetta di munizioni per il requiem pesante.
Terk scosse la testa e ricaricò il mitragliatore, quindi l’armò con gesto risoluto.
Solo in quel momento si accorse dei quattro buchi nella piastra laterale della torretta.
Quattro pallottole nemiche avevano traversato il veicolo come burro, mancando per puro miracolo le sue gambe.
L’uomo rosso del deserto sentì le ginocchia molli e dovette sostenersi all’arma per non cadere.
 
Drake avanzava gattoni nella condotta forzata con estrema fatica a causa dello zaino al quale aveva legato anche il fucile laser, inutilizzabile in uno spazio tanto ristretto.
L’aria era pesante e puzzava di nafta tanto che era difficile respirare, ma quello che dava più problemi ai dieci esploratori che strisciavano il più silenziosamente possibile in quel budello quasi completamente buio era il caldo opprimente.
Drake Varn era il primo della fila, il Sergente Kran aveva infatti sostenuto che una buona idea andava attuata per primo da chi l’aveva avuta.
Un modo come un altro per dire che, se il metallo arrugginito avesse ceduto facendo cadere qualcuno in bocca agli orchi, era meglio che fosse lui.
Ed il pericolo che la condotta cedesse non era così remoto; la poca luce che illuminava il tunnel di metallo, infatti, proveniva dai punti dove l’erosione degli elementi aveva aperto veri e propri buchi nella struttura tubolare.
Per questo motivo i dieci uomini al comando del Caporale Slunt, unico graduato sopravvissuto allo sbarco, procedevano distanziati di quattro o cinque metri l’uno dall’altro.
A dispetto della situazione claustrofobica e pericolosa, la luce che filtrava dai punti erosi illuminava il viso dello scout con un’espressione famelica.
Un ghigno reso ancor più piratesco dal coltellaccio che il giovane stringeva tra i denti, per difendersi nel caso improbabile in cui un gretchin, i piccoli e deformi servi degli orchi, avesse deciso di fare una passeggiata in quei cunicoli maleodoranti.
Uno squarcio si apriva proprio sotto al viso del montanaro, che non resistette alla tentazione di guardare di sotto.
Dieci metri più in basso un gigantesco orco, con una chela d’acciaio al posto del braccio destro stava insultando un paio di suoi sottoposti.
Drake sorrise all’indirizzo della bestia, essere tanto vicino ad un nemico che avrebbe potuto spazzarlo via senza una goccia di sudore, eppure rimanergli celato, lo eccitava.
L’idea di essere intento a fargliela sotto al naso, poi, lo rendeva quasi euforico.
Dopo aver lanciato un ultimo sguardo divertito al nemico, l’esploratore riprese a muoversi con cautela; sarebbe bastato un solo rumore per mettere in allarme gli orchi assiepati sotto alla condotta forzata.
E sarebbe bastata una sola raffica per trasformare i dieci esploratori in altrettanti ammassi di carne in scatola.
Ma nessuno sembrava essersi accorto di loro e Drake continuava ad avanzare verso il buio, poiché, superata la parte sospesa, la condotta sembrava aver risentito meno delle intemperie e non presentava fori.
Improvvisamente la mano sinistra del montanaro incontrò una superficie liscia che gli sbarrava la strada.
Immaginando che si trattasse di una giunzione più alta delle altre, il giovane soldato esplorò al tatto verso l’alto.
Ma tutto quello che trovò fu un liscio muro che saliva apparentemente all’infinito.
Con cautela esplorò lo spazio attorno a se e si rese conto di potersi alzare in piedi.
Non appena fu in posizione eretta, Drake si accorse di vedere i contorni dell’ambiente, grazie ad una pallida luce proveniente dall’alto.
Si trovava in una condotta che saliva verticalmente per un’altezza considerevole, che lui non avrebbe saputo valutare con più esattezza.
Il pallido chiarore gli rivelò il contorno di una porta nella sezione di condotta sopra alla curva dove si trovava lui.
Tuttavia non vi erano segni di sistemi di apertura, del resto era nata per essere aperta dall’esterno.
Il soldato si liberò dello zaino e rinfoderò il coltello, quindi pose le mani sulla porta e spinse, senza alcun risultato.
Con fare sconsolato Drake si sedette sul proprio zaino, attendendo Trulls, che stava per raggiungerlo.
Il gigante arrancava faticosamente in quello spazio così angusto ed era madido di sudore.
Si sedette di fronte al conterraneo, saturando completamente lo spazio a disposizione, tanto che il Caporale Slunt, terzo uomo della fila, dovette parlare rimanendo sdraiato nella condotta orizzontale.
-Che succede Varn?-
-Vicolo cieco Caporale, c’è una porta ma si apre dall’esterno e la condotta prosegue in verticale-
Il graduato sbuffò seccato.
-Quindi mi dici che dobbiamo tornare indietro?-
Drake parlò cautamente, esponendo un’idea che gli si formava in mente mano a mano.
-Beh, in effetti potrei tentare di scalare la condotta… Da sopra arriva una luce, quindi deve esserci un’apertura, poi posso tornare qui ed aprirvi dall’esterno-
Il Caporale Slunt annuì lentamente, ponderando.
-Lo sai che se avrai problemi lassù noi non potremo aiutarti vero? E che io non posso rischiare le vite di otto uomini, per cui se sarai scoperto noi ripiegheremo-
Il giovane montanaro annuì lentamente.
La sua non era tanto smania di mettersi in mostra, quanto di non far fallire il suo piano.
Era troppo ostinato per ammettere che passare dalla condotta forzata non era stata una buona idea, così si tolse gibernaggio ed armatura a carapace.
Si slacciò il cinturone al quale erano sospesi la pistola laser in dotazione a tutti gli uomini della compagnia, il temibile coltello ed un kit di sopravvivenza, quindi recuperò il coltello e lo sospese direttamente senza fodero alla cintura dei pantaloni.
Con gesto risoluto il cacciatore si liberò dei guanti ed arrotolò le maniche fin sotto il gomito, se fosse scivolato l’attrito con il metallo della condotta gli avrebbe ustionato la pelle nuda, ma il caldo era insopportabile.
-Vado con lui-
Disse Trulls iniziando a spogliarsi a sua volta, ma il Caporale lo fermò.
-Va solo uno, rischia solo uno-
Il soldato borbottò, ma non disobbedì, del resto Varn era il miglior scalatore della squadra, quindi era ovvio che tale compito spettasse a lui.
-Sei pronto?-
Chiese il Caporale.
Drake annuì poco convinto; improvvisamente l’idea di scalare quel tubo verticale e liscio non gli sembrava più tanto buona.
Trulls gli porse una fiaschetta di metallo che aveva estratto dal gibernaggio.
Nell’oscurità lo scout poté indovinare l’oggetto solo al tatto. Se lo portò alle labbra e bevve una robusta sorsata di un liquido che parve provocare un fuoco spontaneo in tutto il suo apparato digerente.
Il forte liquore fece salire le lacrime agli occhi del montanaro che impiegò qualche secondo a riconoscere il gusto del tonico di fegato di pantera ombra, una bevanda molto in voga tra le montagne di Vendoland.
Drake ringraziò il conterraneo e gli restituì la fiaschetta, quindi mise mano e piede destri su di una parete della condotta, mentre poggiava mano e piede sinistri su quello opposto.
Applicando una forza contrapposta e muovendo un arto alla volta, era possibile progredire verso l’alto, a prezzo di una notevole fatica ma in relativa sicurezza.
Il giovane scout prese a salire sbuffando per la fatica e sforzandosi di ignorare l’ansia che la claustrofobica situazione gli trasmetteva.

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Capitolo 7
*** Primo sangue ***


Hernest vide la radura dove la testa della colonna si era scontrata con gli orchi sfilargli attorno.
C’erano parecchi nemici che giacevano scomposti nell’erba bruciacchiata e macchiata di sangue.
Anche alcuni veicoli nemici erano abbandonati, spesso con i cadaveri dell’equipaggio che pendevano da finestrini e cassoni.
Ma con un tuffo al cuore l’ufficiale vide anche due Tauros capovolti, uno dei quali era avvolto dalle fiamme.
Gli uomini che avevano formato gli equipaggi dei due veicoli e coloro che vi si erano imbarcati giacevano a poca distanza, come bambolotti spezzati.
“Spero che la missione riesca, spero che ne valga la pena!” Pensò.
Ed ebbe subito un moto d’insicurezza.
Era pur sempre un Frayn, sarebbe riuscito a riportare a casa i suoi uomini o si sarebbe trasformato in un involontario macellaio come suo padre?
Il vox operatore dovette chiamarlo due volte per ottenere la sua attenzione.
-Signore!- Tentò il soldato.
-Che vuoi?!-
Ringhiò lui in risposta, il suo umore era peggiorato parecchio a causa dei cupi pensieri sul passato della sua casata.
-Comunicazione dagli esploratori, Capitano-
Hernest strappò la cornetta dalla mano del soldato e rispose.
A quanto pareva Kran aveva infiltrato dieci dei suoi uomini nel complesso estrattivo, con l’incarico di trovare gli elysiani ed usare il loro vox per comunicare le coordinate, mentre il Sergente con altri nove uomini avrebbe fatto osservazione, registrando le coordinate dei bersagli da indicare ai mortaisti.
L’ufficiale sperò che gli esploratori fossero rapidi, poiché i Tauros non avrebbero impiegato più di venti minuti ad arrivare al sito.
 
Drake Varn imprecò sottovoce.
Le mani gli tremavano per lo sforzo e per la paura, non sapeva a che altezza si trovava, ma era certo che una scivolata gli sarebbe costata la vita.
Come tutti gli scalatori, il vendolandiano sapeva che il tremore era il peggior nemico di una buona tenuta e che cedere alla paura era il modo migliore per cadere di sotto, tuttavia non riusciva a farne a meno.
Con la voce rotta dal respiro affannoso prese a canticchiare tra se una vecchia canzone che suo padre era solito suonare con l’ocarina.
Smise quasi subito, per timore che qualche nemico in agguato potesse sentirlo.
Un piede prese a scivolargli verso il basso, se si fosse staccato dalla parete lo avrebbe fatto cadere.
Con un enorme sforzo il vendolandiano impose l’immobilità allo scarponcino da pattuglia, quindi tentò di muovere una mano, ma l’arto non rispose al suo comando.
Drake chiuse gli occhi e si maledì per essersi messo in quella situazione.
Respirò a fondo due volte, riempiendosi i polmoni di quell’aria malsana.
Voleva uscire da quell’oscura cavità di metallo; aveva bisogno di respirare aria pulita.
La mano destra del vendolandiano si mosse verso l’alto, lui vi impresse tutta la forza e mosse la sinistra.
Ora toccava ai piedi, prima il destro e poi il sinistro.
Non sapeva da quanto stava procedendo in quel modo, aveva l’impressione che la sua intera vita si riassumesse in una scalata infinità in quella condotta sporca di petrolio.
Improvvisamente la mano sinistra non trovò un appoggio verticale e lui fu costretto a poggiarla in orizzontale.
La luce era molto più forte di prima, ormai doveva essere vicino all’apertura e la condotta svoltava, mettendosi in orizzontale.
Il cuore del cacciatore esultò, vedendo vicina la fine di quell’incubo, ma lui si forzò a rimanere freddo; infilarsi in quel tubo di metallo non sarebbe stato facile.
Facendo forza con i piedi, Drake staccò cautamente la mano destra dalla parete, per metterla di fianco all’altra. Non appena la destra fu appoggiata, il giovane si diede una spinta, aiutandosi con gli avambracci, in modo da portare il torace oltre le mani.
I piedi scivolarono immediatamente, andando a scalciare nel vuoto, ma la parte più pesante del corpo del soldato era ora nella condotta orizzontale e questo gli evitò di cadere.
Con un enorme sforzo, reso più gravoso dai polmoni compressi a causa dell’incomoda posizione, Drake riuscì a portare tutto il corpo nella nuova condotta, rischiarata a tal punto da permettergli di distinguere chiaramente le linee della rappresentazione tribale di un thoruk in volo che, assieme a due ikran e tre lupi a sei zampe, decorava come una manica il suo avambraccio destro.
Un thoruk, rettili alati dal vivo colore arancione e blu e dall’apertura alare pari a quella di due cannoniere Valkyrie affiancate, era il responsabile del suo arruolamento.
Due anni prima, la bestia aveva attaccato il villaggio dove viveva la sua famiglia, evento tutt’altro che raro nella valle.
Tuttavia, quel giorno quasi tutti gli abitanti erano al mercato del paese vicino, lasciando sguarnito di lance il loro abitato.
Il thoruk era infine caduto sotto le frecce di Drake e di suo padre, ma con un ultimo spasmo d’agonia aveva sventrato l’uomo.
Nell’attacco avevano perso la vita anche sua madre, sua sorella maggiore ed i suoi tre fratelli.
Così quando la sorella minore del cacciatore, ultimo elemento della sua famiglia, aveva lasciato il villaggio per andare in sposa ad un abile artigiano della jungla, Drake aveva deciso di entrare nella Guardia Imperiale.
Non che vivesse male da solo al villaggio, ma il suo spirito d’avventura lo aveva spinto a cercare nuovi orizzonti.
Ora di avventura ne aveva avuta fin troppa, pensò mentre riprendeva a strisciare.
Drake si passò l’avambraccio sinistro sul viso, nel tentativo di tergere le grosse gocce di sudore che gli percorrevano fastidiosamente la fronte e lo ritirò completamente imbrattato di creme di mascheramento.
Davanti a lui vi era un’apertura di grosse dimensioni, per l’esattezza quasi metà della sezione era scomparsa, probabilmente colpita da un razzo.
La luce del sole gli ferì gli occhi, ormai abituati all’oscurità, ricordandogli che esisteva un mondo fuori da quell’inferno maleodorante.
Cautamente il cacciatore si accovacciò, sporgendo la parte superiore del busto e la testa fuori del riparo offerto dal metallo, sfrangiato dall’esplosione che lo aveva aperto chissà quando.
Si trovava in un breve tratto orizzontale della condotta, che precedeva una nuova curva verso il basso.
Il tratto orizzontale nel quale si trovava lui era sostenuto da alcuni montanti in metallo che poggiavano su di una specie di colonna in cemento, sulla sommità a base quadrata della quale, due metri più in basso, vi erano due gretchin armati di rudimentali fucili.
Per sua fortuna le due vedette erano girate di spalle l’una all’altra e non stavano guardando in alto.
Dalla sua posizione il vendolandiano poteva far spaziare lo sguardo su gran parte del complesso.
Quasi tutte le strade erano pattugliate da gruppi di orchi e dalle loro posizioni appariva evidente che gli elysiani dovevano aver trovato rifugio da qualche parte a Nord-Ovest, direzione dalla quale giungeva un chiaro crepitare di fucili laser e calibri orcheschi.
La mente del cacciatore vagò in cerca di una soluzione per alcuni secondi, ma l’unica cosa che gli venne in mente era che se i due pelleverde erano saliti su quella piattaforma allora era evidente che vi era una scala e che sarebbe riuscito a scendere per aprire la porta ai compagni.
Sempre che riuscisse a liberarsi delle due sentinelle.
Con gesto nervoso liberò il coltello dalla cintura, ruotandolo in modo da impugnarlo con la punta verso il basso.
Se almeno si fosse portato la pistola laser!
Il vendolandiano prese due bei respiri, pregando che i due mostricciattoli non guardassero in alto.
Doveva essere rapido, spietato e silenzioso.
Prese un ultimo respiro e si lasciò cadere.
Impattò con forza contro la prima sentinella, schiantandola contro il cemento.
La ginocchiera integrata nel pantalone della mimetica sbatté contro il torace nemico ed il cacciatore sentì chiaramente le costole che si frantumavano sotto il suo peso.
Il gretchin fece per urlare, ma la pesante lama del coltello vendolandiano gli tagliò la gola in profondità, recidendogli anche le corde vocali.
Il secondo nemico si stava voltando, quando la mano sinistra del soldato gli chiuse la bocca e trazionò, imprimendo alla testa del pelleverde un’innaturale torsione in alto e di lato.
Il coltello si piantò nel torace della sentinella, appena sopra la clavicola e  Drake ve lo lasciò infisso, per colpire la sommità del manico con la mano aperta, in modo da affondare la lama ancora più in profondità.
Il mostro fu scosso da uno spasmo e lasciò cadere la sua arma.
Il vendolandiano afferrò l’impugnatura del coltellaccio e tirò lasciandosi sfuggire un grugnito per lo sforzo di estrarlo dalle carni del nemico.
L’uscita della lama fu seguita da un solo getto di sangue scuro, che schizzò in faccia al soldato ed imbrattò la sua mimetica, poi il pelleverde ebbe un ultimo sussulto tra le braccia del suo uccisore e rimase immobile.
Drake lasciò cadere il cadavere, schifato per la puzza del sangue fuoriuscito dalla creatura e si accasciò contro un montante di metallo.
Rimase seduto con la schiena appoggiata alla struttura per alcuni minuti, in modo da permettere al suo cuore di rallentare i battiti.
Nessuno dei pelleverde che, una decina di metri più in basso, pattugliavano le strade aveva dato segno di averlo udito.

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Capitolo 8
*** Elysian Drop Troops ***


Per questo capitolo è doveroso citare l'amico Dany The Writer, con il quale sono solito scambiare personaggi ed idee, oltre alle plurime citazioni.
Nel caso specifico, i lettori di Dany riconosceranno senz'altro alcuni personaggi, che qui appaiono più giovani rispetto a come sono abituati a leggerli. Bene, senza indugiare oltre, a voi!


Il Caporale Sirio Quarta imprecò quando il suo stivaletto da lancio incespicò in un gradino di cemento.
Sirio era uno dei veterani più esperti della compagnia Dyomedòn, del 185° Reggimento Paracadutisti di Elysia ed era un inguaribile ottimista, ma questa volta era arrivato al limite della sopportazione.
Ormai da due giorni, i paracadutisti si battevano contro un nemico soverchiante, che li fiaccava con periodici assalti ed incessante fuoco di armi leggere.
Da due giorni nessuno di loro chiudeva occhio, da due giorni nessuno mangiava ed anche le scorte di acqua e munizioni erano sulla via dell’esaurimento.
Con passo stanco ma risoluto il veterano riprese a salire la scalinata che conduceva al piano superiore della palazzina in cemento ove il plotone aveva trovato riparo.
Il tetto, cosi come la parte più alta dei muri, era stato fatto a pezzi dai razzi tirati senza posa dagli orchi prima di ogni assalto e le macerie fornivano una comoda rampa per gli attaccanti, costretti ad assalire il piano superiore, poiché i tenaci paracadutisti avevano efficacemente barricato ogni apertura del piano terra.
Il Caporale fu costretto ad abbassarsi da una raffica di mitragliatrice che sollevò sbuffi di polvere e staccò nuovi calcinacci dai muri mutilati.
Sdraiato in corrispondenza di una breccia aperta sotto quella che un tempo era stata una finestra, vi era la figura immobile di un paracadutista.
Individuarlo ad un primo sguardo era quasi impossibile, per via della polvere di cemento sbriciolato che lo aveva ricoperto come una coltre di neve, amalgamando il suo colore con quello dell’ambiente circostante.
Notando quanto quel uomo fosse immobile, per un istante il Caporale Quarta temette di trovare il compagno addormentato.
Ma, non appena fu ad un passo dal paracadutista, udì la sua voce, arrochita dalla disidratazione.
-Quel bastardo va avanti da due ore con quel catenaccio del darn! E mai che si sporga abbastanza per trovarsi un bolt laser tra gli occhi!-
Sirio si lasciò cadere seduto, la giacca flak emise un suono basso quando l’uomo poggiò la schiena contro il muro, guardando in direzione contraria rispetto all’amico.
-Sei riuscito a dormire?-
Domandò questi.
Sirio scosse la testa.
-Hanno sparato tutta la notte, e quando non sparavano sentivo le urla dei ragazzi che capitavano tra le mani del medico… Ha finito gli antidolorifici.-
Cadde un silenzio pesante, segnato dalla fatica dei due uomini.
-Allora Aurelios, lo prendi o non lo prendi quel ‘verde?-
-Lo prendo, lo prendo… Ma non adesso, quel maledetto non si sporge che per sparare!-
Aurelios era immobile nella posizione preferita dai tiratori scelti, con il fucile Accatran Pattern, più corto della sua controparte standard ed alimentato con una cella laser inserita nella calciatura invece che davanti all’impugnatura, incassato contro la spalla destra e sorretto dall’incavo tra indice e pollice della mano sinistra.
Il paracadutista aveva sollevato la piccola visiera polarizzata dell’elmetto Tipo 5 in dotazione alle truppe elysiane, disdegnando di usare il sistema di auto targeting inserito nel software del tecnologico strumento.
La distanza era eccessiva perché quel tipo di puntatore elettronico risultasse efficace e lui si fidava molto di più del proprio occhio.
Il tiratore masticò un’imprecazione.
-Sirio, quello non si muove se non ha qualcosa a cui sparare… Mi fai da paperella?-
Il Caporale guardò con finto stupore l’amico di vecchia data.
-Dico Aurelios, ma sei impazzito?! Facciamo che IO mi piazzo e TU fai da esca!-
Aurelios sbuffò teatralmente.
-Ecco, è sempre così, voi nobili vi approfittate della gente comune! Adesso solo perché io non ho mai conosciuto mio padre e non sono un darnatissimo figlio dell’aristocratica casata Quarta come il qui presente, sono io che devo morire?-
-No, tu devi morire perché sei un darnato paracadutista semplice mentre io sono Caporale-
-Mi scusi Signore, ma sono convinto che questo sia chiamato nonnismo-
-Questo, mio caro Aurelios, è un ordine! Conosce il significato di questa parola?-
Alle ultime parole del graduato, declamate in una grottesca imitazione del Capitano della Dyomedòn, fece eco un teso silenzio, che durò non più di un secondo, prima che i due amici scoppiassero in una risata stanca ma sincera.
-Intanto il buon vecchio Capitano è riuscito ad uscire dalla sacca col resto della compagnia… A quest’ora sarà alla base avanzata Backredo, seduto davanti ad una birra… Chiamalo stupido!
Darn, quanto la vorrei una bella birra fresca!-
Sirio rivolse all’amico un ghigno sprezzante.
-Il pazzo sei tu a non apprezzare le bellezze di questo posto!
Intanto se tu fossi a Backredo, staresti sperperando il tuo già magro stipendio a carte… E poi pensa a quanto ci faccia bene prendere il sole su questa terrazza!
Abbiamo i fuochi d’artificio tutte le notti, abbiamo i vicini che ci vengono a trovare regolarmente, tu non puoi massacrarti il fegato con bevande peccaminose…
Siamo praticamente in grazia dell’Altissimo che siede sul Trono d’Oro.-
Aurelios fece un sorriso macabro.
-Si, bravo, se i soccorsi non arrivano e anche alla svelta finisce che andiamo a trovarlo davvero l’Altissimo eccetera, eccetera…-
Sirio sghignazzò tra se, poi sospirò con aria di sufficienza.
-Ma quanto sei pessimista… Al prossimo attacco finiremo le ultime celle d’energia, ma poi possiamo sempre tirargli le pietre-
-Oppure gli raccontiamo qualcuna delle tue barzellette e si schiantano da soli dalle risate-
-Basta che non gli raccontiamo le tue, o si suicidano per la depressione…-
L’armatura flak sobbalzò un paio di volte, indicando che Aurelios stava ridendo sommessamente.
Era incredibile quanto Sirio fosse tenace; non sembrava esistere nulla al mondo in grado di scalfire la sua baldanzosa sicurezza, sempre condita con il suo discutibile umorismo.
-Beh- Disse il nobile discendente della casata Quarta. –Che facciamo, lo ammazziamo il ‘verde o no?-
-Io sono pronto-
-Fammi un favore, cerca di non mancarlo, dannato plebeo che non sei altro.-
Aurelios grugnì con aria di sufficienza.
-Io non manco mai il colpo, sangue blu di ‘sto darn.-
Sirio balzò in piedi di scatto, il dito medio di entrambe le mani rivolto al nemico ed urlò all’indirizzo dei pelleverde una sconceria tale che non avrebbe mai dovuto uscire dalla bocca di un uomo della sua levatura sociale.
Il graduato si lasciò cadere sulle ginocchia, evitando così di essere falciato dalla terrificante raffica che il nemico scaricò, a mo’ di risposta, sui già martoriati muri della postazione occupata dagli uomini della Dyomedòn.
Sirio distinse chiaramente il suono dello sparo laser che mise fine allo sperpero di colpi nemico.
Aurelios rotolò di lato subito dopo aver sparato, rivelando così la sua posizione ed evitando di scarsa misura di essere colpito da una raffica di armi leggere.
I due paracadutisti si scambiarono un cinque a pugno chiuso.
-E con questo fanno dodici, quella mitragliatrice gli sta costando una fortuna in serventi!
E per il sottoscritto fanno trentasei dal giorno del lancio!-
Il graduato scoccò uno sguardo severo all’amico.
-Dico, ma sei fuori?! Questo conta come mio, ho corso io il rischio maggiore!-
 
Iathena Vanastasia Illhera Arkantheosya, nobile discendente della casa Vinisyas-Tàr e Sottotenente medico del secondo plotone della compagnia Dyomedòn, si passò sul viso la manica rimboccata della giubba, nel tentativo di tergere il sudore che le imperlava la fronte.
“Troppi titoli per una ragazzina di diciotto anni coperta di sangue e sudore ed in procinto di morire alla sua prima esperienza di guerra”. Si scoprì a pensare.
Si trovava al piano terra dell’edificio, trasformato dai paracadutisti elysiani in una fortezza, in quella che doveva essere stata una mensa per gli operai che lavoravano nel sito di estrazione.
Ora i tavoli erano ingombri di feriti, quelli del secondo plotone, che con il suo sacrificio aveva permesso lo sganciamento del resto della compagnia e quelli che non era stato possibile portare via durante la fuga dalla sacca che la virulenta resistenza orchesca aveva creato.
Il secondo plotone era forte di cinquanta uomini, di cui ora venti erano sdraiati su quei tavoli, in compagnia di tre colleghi del terzo plotone, che versavano in condizioni a dir poco critiche.
Aveva finito tutto il materiale sanitario.
La notte precedente con l’aiuto del paracadutista Noah, autonominatosi suo assistente, aveva amputato una gamba senza anestesia.
Non disponeva degli strumenti necessari ed aveva dovuto ricorrere al suo coltello d’ordinanza, utilizzando il dorso seghettato per tagliare l’osso.
Se chiudeva gli occhi, allucinati per la mancanza di sonno, sentiva ancora le urla del ferito e quel terribile suono raschiante prodotto dal metallo poco affilato che scheggiava l’osso.
Iathena sbatté un paio di volte le palpebre e rivolse al soffitto i suoi occhi azzurri, tratto esotico per una elysiana, il suo popolo, infatti, era famoso per gli occhi neri come il carbone.
I vecchi ventilatori, rimessi in moto assieme all’apparato elettrico dall’abilità del Caporale Quarta, le fecero venire i giramenti di testa.
Si muoveva malferma sulle gambe a causa della mancanza di sonno, ma non poteva fermarsi.
C’erano ancora cose da fare, anche se non riusciva bene a metterle a fuoco al momento.
Guardò il viso del paracadutista Noah, un volto giovane stravolto da premature rughe di fatica sul quale spiccavano due occhi neri, orrendamente cerchiati.
La giovane dottoressa pensò che anche il suo bel viso, dai lineamenti patrizi che avevano fatto tremare il cuore a più di un pretendente, doveva essere in condizioni molto simili.
-Noah, vammi a chiamare il Sergente Khrodys, digli che devo rifargli la fasciatura.-
L’improvvisato assistente annuì, lasciandola a barcollare nella stanza, dalla quale i ventilatori non riuscivano ad allontanare il puzzo di sangue e piaghe purulente.
La dottoressa si lasciò cadere su di una sedia e gli occhi le si chiusero, regalandole un sonno breve e tormentato da incubi che in realtà erano solo ricordi di scene terribili viste nei suoi cinque giorni di vita operativa.
L’arrivo del Sergente di Plotone Zaccariah Khrodys la ridestò definitivamente.
Il sottufficiale era evidentemente provato; la sua pelle dalla tinta bronzea, come quella di tutti gli elysiani, era secca e spaccata in corrispondenza delle labbra per via della scarsa idratazione, gli occhi semichiusi dal sonno.
L’uomo zoppicava malamente per via di un colpo di rimbalzo che gli aveva attraversato la coscia sinistra ed aveva una benda insanguinata a fasciargli la mano destra.
Durante l’ultimo assalto, respinto dai valorosi paracadutisti a colpi di bombe a mano e pugnale, l’ascia di un orco gli aveva portato via tre dita.
Ma lui aveva continuato a guidare i suoi uomini sostenendo che, essendo mancino, la mutilazione non avrebbe inciso in alcun modo sulle sue prestazioni di tiratore.
Iathena rifece la fasciatura all’uomo usando bende ricavate dalle divise dei morti tagliate a strisce, poiché aveva finito le garze e le bende automedicanti quella notte.
-Come va Sergente?-
Chiese distrattamente, come a voler intrattenere un discorso leggero che nessuno dei due era in grado di seguire a causa della spossatezza.
-Sono mancino Sottotenente, per me non è un problema.-
Ma da un’occhiata lanciata di sottecchi dalla giovane il sergente dovette intuire il vero soggetto della domanda, perché aggiunse:
-Abbiamo chiamato i soccorsi, ci hanno detto che sarebbe arrivato qualcuno, ma non sappiamo nient’altro.-
Non appena il Sergente se ne fu andato, Iathena lasciò l’improvvisata infermeria nella mani di Noah, raccomandandosi di chiamarla per qualunque problema.
Non sopportava più quell’aria viziata e carica di umori umani, inoltre un membro dell’improvvisato team medico doveva approfittare di quel momento di relativa calma per riposare in vista del prossimo attacco e dei feriti che avrebbe comportato.
Certo, sarebbe stato meglio se a riposare fosse stata lei, ma l’idea di piombare nuovamente nei tetri incubi che l’avevano afferrata poco prima, la terrorizzava.
Con passi pesanti, la giovane donna prese a salire i gradini di cemento che conducevano al piano superiore, il fucile laser Accatran Pattern che le pendeva dalla spalla come la doppietta di un cacciatore.
Non portava l’elmetto, perché voleva sentire l’aria sulla pelle, quindi i suoi corti capelli neri, rasati ai lati e lunghi sopra, al punto da arrivarle con un ciuffo ordinato fino sotto al mento, le ricadevano disordinatamente sul viso.
Quei capelli, normalmente vaporosi e leggeri, ora erano appesantiti dall’unto e dal sudore di cinque giorni di guerra, tanto che la frangia le si era incollata alla faccia.
La giovane ufficiale scavalcò un paracadutista addormentato sui gradini in posizione semiseduta, il fucile laser stretto anche nel sonno.
Solo il superbo addestramento affrontato su Elysia aveva permesso a quegli uomini ed a quelle donne di resistere per due giorni in condizioni tanto critiche e contro un nemico così soverchiante, ma continuare a combattere era qualcosa che superava l’umanamente possibile.
Seduto sugli ultimi gradini, vi era il paracadutista Aurelios, uno dei pochi amici che la dottoressa poteva vantare in seno alla compagnia.
L’uomo sedeva con aria stanca, il fucile laser poggiato di traverso sulle gambe e l’elmetto abbandonato al suo fianco.
Iathena si sedette a sua volta, dando una gentile scossa all’amico, che per lei era stato un fratello maggiore sin dal suo ingresso nel plotone.
La loro amicizia si poteva dire strana, poiché lei era una nobile, mentre Aurelios, come il suo migliore amico Sirio non mancava di far notare ad ogni occasione, era un bastardo.
Questo senza contare l’abissale differenza di grado tra i due.
Ma lui era un tipo espansivo e protettivo, che dall’alto del suo essere già un veterano temprato, a dispetto di un grado che non gli rendeva giustizia, l’aveva aiutata e guidata durante il duro iter addestrativo elysiano.
-A quanti sei arrivato?- Chiese lei con gentilezza.
Aurelios le sorrise con una dolcezza che non sembrava possibile in un uomo tanto rude.
-Sono a trentasei- Disse con truce soddisfazione. Se fossero davvero morti li in quel posto anonimo in mezzo alla jungla di un pianeta dimenticato dall’Altissimo, si sarebbero portati dietro un più che onesto numero di nemici.
-E Sirio?-
-Trentuno-
Rispose allegramente il paracadutista, colto da una scintilla di buon umore all’idea di essere in netto vantaggio sull’amico fraterno.
Aurelios sorrise alla dottoressa e le mise in mano la sua borraccia, che lei tentò di rifiutare.
-Bevi, non ce n’è rimasta molta e quella che rimane si è scaldata e sa di plastica, ma se ti toccherà ricucirmi entro sera ti voglio in forma.-
Iathena ringraziò l’amico per il prezioso dono e bevve avidamente le poche gocce d’acqua rimaste.
Lei aveva dato quasi tutta la sua riserva idrica ai feriti ed era rimasta senza quasi subito.
 
Drake prese a scendere lungo l’arrugginita scala a pioli che correva lungo la condotta verticale da lui scalata pochi minuti prima.
Si stupì non poco quando si rese conto che con la sua arrampicata era salito per meno di dieci metri.
Il vendolandiano si muoveva rapido, tentando di fare meno rumore possibile e pregando che nessuna pattuglia nemica lo scorgesse.
Nella zona dove, sospettava, gli elysiani si fossero arroccati si era acceso un forte fuoco di fucileria orchesca.
Con un ultimo cauto balzo, Drake toccò terra e riprese il coltello, sputando per togliersi dalla bocca il gusto metallico e nauseante del sangue rimasto sulla lama.
Lo scout si ritrasse nell’ombra sotto alla condotta; non vedeva nessun pelleverde, ma lui sapeva, grazie ai racconti dei vecchi del villaggio ed alle lezioni seguite durante l’addestramento, che quegli xeno possedevano un olfatto molto sviluppato.
Un brutto guaio visto che lui era ricoperto di sangue puzzolente, che era facilmente avvertibile anche da un umano.
Con passi felpati ma rapidi il vendolandiano si mosse verso la porta, il coltello stretto nella destra, come un anatema contro la tensione che gli attanagliava lo stomaco.
Con sua stessa sorpresa, la maniglia rotante non oppose alcuna resistenza, così che lui poté spalancare la porta, che si aprì cigolando e rivelando la nera bocca di una mitragliatrice laser leggera Minikantrael, meglio nota come Minkan.
Trulls spostò l’arma in modo che non puntasse sul collega, al quale rivolse uno sguardo di stupito apprezzamento.
-Non ci crederai amico ma, per i denti dell’Imperatore, proprio non me l’aspettavo di rivederti!-
Drake rivolse un sorriso al gigante e gli tese la mano per aiutarlo ad uscire dalla condotta forzata, nella quale era grottescamente compresso.
Non appena il mitragliere fu in ginocchio accanto all’apertura, pronto a fornire copertura nel caso il nemico fosse apparso, il caporale Slunt fece capolino, passando al giovane scout l’equipaggiamento che si era tolto.
Uno ad uno i dieci esploratori strisciarono fuori dal budello di metallo, sorridendo al caldo sole che appariva loro magnifico dopo il buio infernale di quel avvicinamento.
Rak Tay, che aveva ceduto il vox ad un collega per poter prendere parte all’operazione, aiutò Drake a sistemarsi l’armatura carapace ed il gibernaggio.
Lo scout indossò rapidamente i guanti tattici e si assicurò il fucile laser all’apposito laccio che pendeva dal suo gibernaggio all’altezza della spalla sinistra.
-Varn, vieni avanti, sei tu quello che ha visto di più di questa situazione, fai strada.-
Drake annuì rivolto al Caporale Slunt e, buttatosi in spalla lo zaino, si avviò verso la zona dove riteneva si trovassero gli elysiani.
La squadra procedeva su due file sfalsate, entrambe riparate nell’ombra degli edifici ai due lati della strada, con Drake ed il tiratore scelto nei primi posti di entrambe le file e Trulls, armato della temibile Minkan a chiudere.
Lo scout procedeva, il fucile laser corto Kantrael Pattern puntato davanti a se, con la tensione che gli irrigidiva le membra.
Miracolosamente, dopo alcune centinaia di metri ancora non avevano incontrato pattuglie nemiche, né avevano udito allarmi gridati da qualche sentinella come quelle uccise da Drake sulla colonna portante della condotta.
Il complesso di estrazione si stava rivelando un vero labirinto di strutture in ferro e cemento, il luogo ideale per un’imboscata ai danni della squadra che avanzava in un nervoso silenzio.
Improvvisamente il tiratore alzò il pugno sinistro e si bloccò, come una statua di sale.
Drake, che procedeva leggermente più avanzato, notò il gesto con la coda dell’occhio e si congelò a sua volta.
Seguendo lo sguardo del collega, lo scout notò una coppia di gretchin che pattugliava un ponteggio a dieci metri dal suolo, poco più avanti.
Vide l’uomo abbassarsi sul ginocchio destro e sedersi sul piede, cercando la massima stabilità.
Il tiratore espirò per metà, poi s’udì il sospiro del silenziatore che rendeva lo sparo del laslungo quasi impercettibile.
Drake si voltò verso il ponteggio e vide che una figura era scomparsa, mentre l’altro gretchin si guardava attorno allarmato.
Un secondo colpo lo falciò, facendolo ondeggiare contro la ringhiera e poi cadere.
Lo scout ed il tiratore si scambiarono un breve sguardo preoccupato, poi tornarono a guardare avanti, giusto in tempo per vedere il corpo del pelleverde schiantarsi al suolo con un tonfo.
Ci fu un lunghissimo istante di teso silenzio, durante il quale Drake si abbassò a sua volta sul ginocchio destro, gli occhi sbarrati che non riuscivano a staccarsi dal cadavere del pelleverde.
Quasi sapessero in anticipo quanto sarebbe successo, le dita dello scout tolsero la sicura del Kantrael ed i suoi occhi si allinearono meglio con il mirino istintivo, studiato per essere usato con entrambi gli occhi aperti e preciso su distanze attorno ai cento metri.
Slunt si avvicinò, silenzioso come un gatto, e si inginocchiò accanto allo scout.
-Che succede Varn?- Bisbigliò il graduato.
Drake stava per rispondere quando da dietro un angolo apparvero alcuni orchi, certamente richiamati dal rumore del corpo caduto sull’asfalto che ricopriva tutta l’area interna al complesso.
Senza perdere un secondo, lo scout, il tiratore ed il Caporale presero a sparare il più possibile contro ai nemici, prima che essi potessero attaccare.
I dardi laser volarono, riempiendo l’aria del loro ronzante sibilo, seguito dal suono sfrigolante che producevano all’impatto con i corpi dei pelleverde e dal puzzo di carni bruciate.
Drake si accorse di aver omesso di dare l’allarme solo quando fu Slunt a farlo al posto suo.
Il Caporale urlò con quanto fiato aveva in corpo per sovrastare il fuoco dei tre fucili laser e dei calibri orcheschi che avevano iniziato a giungere in risposta.
-Contatto frontale, contatto frontale!! Varn via!-
Lo scout, coperto dal fuoco del graduato, si alzò e prese a correre verso il retro della pattuglia.
Tra lui ed il muro dell’edificio che stava costeggiando, vi erano i cinque uomini della sua fila, inginocchiati a terra e rivolti verso il nemico, tranne Trulls che controllava il retro, nel caso in cui una seconda pattuglia nemica fosse comparsa da quella direzione.
L’addestramento meticoloso seguito su Vendoland stava dando i suoi frutti; per quanto fossero stati colti di sorpresa, infatti, gli esploratori stavano reagendo con precisione e rapidità, come se fossero stati impegnati in un esercizio.
Drake si lasciò cadere in ginocchio poco oltre Trulls, facendosi personalmente carico del settore alle spalle della squadra.
Con la coda dell’occhio vide il tiratore, che aveva lasciato il laslungo a penzolargli dalla tracolla preferendo impugnare il fucile a pompa che portava legato allo zaino, fare altrettanto dall’altra parte della strada.
Meno di tre secondi dopo, il Caporale Slunt superò di corsa lo scout e rivolse uno sguardo deciso all’edificio.
Drake lo vide sfondare una porta con un calcio ed entrare, seguito immediatamente da Rak Tay, con i Kantrael spianati.
L’intera squadra si stava ritirando come una fontana umana, coperta dal fuoco dei due uomini che in quel momento si trovavano in testa alle rispettive file e che, dopo un paio di secondi di fuoco serrato, si alzavano uno alla volta per correre in fondo alle file stesse.
I due uomini, uno per fila, che si stavano ritirando, entrarono a loro volta, preceduti dal grido di Slunt.
-Stanza libera, porta di fronte, scale a destra, passate da destra!-
Altri due uomini balzarono nell’edificio, mentre la Minkan di Trulls entrava in azione con gran fracasso.
Drake ruotò rapidamente usando il ginocchio come perno e si preparò a fare fuoco, non appena il mitragliere si fosse alzato sgombrandogli il settore di tiro.
Trulls girò attorno a Drake, in modo da infilarsi nella porta aperta senza intralciare il tiro del collega.
Lo scout sparò un paio di colpi, ma poi la voce del gigante lo riscosse.
-Via Drake! Via! Via!-
Il giovane cacciatore si alzò e corse verso la porta, coperto dal serrato fuoco di Trulls, che sparava sfruttando il riparo offerto dallo stipite della porta.
Era l’ultimo vendolandiano nella strada e, con un balzo, superò il corpo accovacciato del mitragliere, ritrovandosi nella semi oscurità di una grande stanza.
C’era solo Rak Tay, che continuava a puntare la porta di fronte a quella dalla quale la squadra era appena entrata, mentre gli altri erano tutti al piano superiore.
Slunt fece capolino dalle scale.
-Tutti al piano di sopra! Tutti su! Tay, una claymore sulle scale, Varn coprilo!-
Proprio in quel momento Trulls terminò la grossa cella d’energia, pari a sette volte quella di un fucile laser in termini di dimensioni e capienza, che alimentava la Minkan e balzò nell’edificio, seguito dalle schegge di cemento staccate da un paio di colpi nemici.
La fulminea e perfettamente coordinata azione dei vendolandiani aveva momentaneamente inchiodato il nemico ed aveva permesso ai soldati di ritirarsi nell’edificio senza riportare neppure un ferito.
Il grosso montanaro corse su per le scale, seguito dai due colleghi.
Drake aprì le cerniere che chiudevano lo zaino da pattuglia di Rak e ne trasse la rettangolare sagoma di una mina antifanteria, passandola al collega, che si accovacciò immediatamente per piazzarla.
Lo scout si inginocchiò accanto all’artificiere e puntò contro la porta dalla quale la squadra era entrata, ritenendo più probabile che il nemico seguisse la stessa via piuttosto che trovasse l’altra entrata.
-Allora Rak, ti ci vuole ancora molto?-
La voce del montanaro era tesa all’idea di veder apparire gli orchi sulla soglia.
-Cefìn socio, non sono mica una macchina, se non vuoi fare un lavoro del cefìn ci va il suo tempo!-
La parlata fortemente accentata del pescatore strappò un sorriso a Drake, che trovava quel dialetto particolarmente spassoso.
Non appena terminò di stendere il filo d’inciampo trasparente, Rak si alzò e si diresse verso la cima delle scale.
-Cefìn socio, leviamoci di qua!-
I due si mossero rapidi ed in poche falcate raggiunsero il resto della squadra, asserragliata al primo piano dell’edificio, che a quanto sembrava doveva aver ospitato gli uffici dello stabilimento.
Alcuni uomini stavano sparando dalle finestre, mentre altri stavano uscendo da un foro praticato a colpi di asce leggere e badili da fanteria nel soffitto.
Sempre più uomini si arrampicavano sulle due scrivanie, impilate per formare una rozza scala, e svanivano nel buco, dal quale filtrava la luce del sole.
Trulls fece passare il suo zaino e poi si issò di malagrazia, imprecando come un catachano al quale era stato vinto a carte il coltello preferito.
Slunt scambiò un cenno d’intesa con gli ultimi arrivati, anche il suo viso era stravolto da un’espressione di tesa concentrazione, che disegnava rughe eccessive sulla sua fronte macchiata di nafta e creme di mascheramento.
-Forza ragazzi, tutti sul tetto, svelti! Svelti!-
Drake si tolse lo zaino dalle spalle e s’inerpicò faticosamente sull’improvvisata scala.
La maniglia posta sulla sommità del sacco trovò la mano di Trulls, che issò il pesante bagaglio apparentemente senza fatica, mentre lo scout trazionava per raggiungere l’esterno.
Si trovò su di un tetto piatto, contornato da un basso muretto di cemento ed il mitragliere gli fece segno di strisciare, onde non essere individuato dai pelleverde nella strada.
I due soldati, che nel frattempo erano stati raggiunti da Rak Tay e da un quarto uomo, si avvicinarono al bordo del tetto.
L’edificio di fronte distava poco più di quattro metri ed ospitava già tutto il resto della squadra.
Il tiratore si sporse e fece segno di lanciargli gli zaini, operazione della quale si fece carico Trulls, essendo il più forte fisicamente.
Non appena tutti i loro bagagli furono sull’altro tetto, gli uomini balzarono uno alla volta per lasciare spazio al Caporale che, con gli ultimi elementi della squadra, stava guadagnando il tetto.
Drake sospirò due volte, se ce l’aveva fatta Trulls allora poteva farlo anche lui.
Con un ultimo sbuffo, lo scout balzò in piedi e partì di corsa.
Sfruttò il muretto che fungeva da limite del tetto come trampolino, temendo di non arrivare dall’altro lato.
Il salto era stato fin troppo lungo e lui cadde in avanti travolgendo il mitragliere, che cadde masticando un paio di bestemmie.
I due si alzarono appena in tempo per afferrare le braccia di Rak che aveva mancato il salto e rischiava di cadere nella via.
Entrambi si trovarono a soffocare le risate; il basso artificiere era aggrappato a loro con le gambe che calciavano l’aria ed un’espressione più seccata che spaventata sul viso.
Con un enorme sforzo e grazie all’aiuto dei compagni, i due riuscirono ad issare Rak Tay, il quale sbuffò un paio di volte.
-Cefìn soci, me la sono fatta nelle braghe Imperatore boia!-
Trulls e Drake si scambiarono uno sguardo divertito mentre si alzavano per prendere gli zaini lanciati dai colleghi rimasti indietro.
Un boato avvisò le guardie imperiali che qualche nemico era stato fatto a pezzi dagli shrapnel esplosi dalla mina piazzata da Rak.
Voleva dire che restava loro poco tempo prima che il nemico notasse il foro nel tetto e decidesse di ridurre gli edifici attigui in polvere con i razzi.
Non appena si sporsero dal tetto, nella direzione opposta a quella dalla quale erano arrivati, i vendolandiani videro che sotto di loro vi era una tettoia in lamiera ondulata che dava su di una piazzetta circondata da alti edifici, gremiti di pelleverde, i quali si stavano radunando anche nella zona sgombra con la chiara intenzione di attaccare una palazzina dall’aria malconcia.
Il bersaglio, chiaramente il punto dove gli elysiani si erano trincerati, era circondato da un buon numero di pelleverde.
Il Caporale Slunt guardò l’orologio dal quadrante oscurato, che si schiariva solo quando il polso veniva piegato per guardare l’ora, un prezioso dono ricevuto durante la terza guerra di Armagheddon da un Incursore Alfa, le forze speciali del 2584° stormo della Marina Imperialis, gente davvero tosta.
Avevano solo due minuti prima che il loro colpo di mano fosse considerato fallito ed i mortaisti radessero al suolo tutto il complesso; se non fosse stato possibile recuperare gli elysiani, infatti, l’obbiettivo secondario consisteva nell’infliggere al nemico pesanti perdite.
Questo voleva dire che, se non volevano morire tutti maciullati dal fuoco amico, dovevano spezzare l’assedio alla palazzina, rintanarsi li dentro con i paracadutisti e mettere le mani sul loro apparato vox.
Per farlo c’era un solo modo, ma non sarebbe piaciuto a nessuno.
Drake Varn avvertì un brivido gelido percorrergli la spina dorsale quando sentì il Caporale Slunt ringhiare.
-Baionette in canna!-

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Capitolo 9
*** Segugi e lupi ***


-Aurelios!-

La voce di Sirio riscosse il paracadutista, che si alzò faticosamente dal gradino sul quale era seduto assieme al Sottotenente Iathena, per raggiungere l’amico.

Il medico non accennò neppure a seguirlo.

Aurelios si abbassò, camminando curvo, per evitare che qualche gretchin cecchino imbroccasse il colpo della vita proprio con lui, mentre si avvicinava al Caporale, sdraiato nel punto dove pochi minuti prima si era trovato lui stesso.

In prossimità della breccia, il paracadutista si abbassò fino a strisciare e raggiunse l’altro elysiano.

-Allora che v…-

Sirio lo interruppe bruscamente portandosi un dito alle labbra.

I suoni giungevano più chiaramente alle sue orecchie, amplificati dall’elmetto Tipo 5, mentre Aurelios, che aveva lasciato il suo sulle scale, faticava molto di più a distinguerli.

Ciò che appariva evidente era che a meno di cento metri da loro era in corso un furioso scontro a fuoco.

-A te cosa sembra?-

Domandò il graduato.

-Non lo so, sono un paio di fucili laser, non possono mica essere i soccorsi… Sarà qualche gretchin che gioca con le armi catturate, mentre altri sparano a caso, lo sai come sono i verdi…-

Non potevano essere i soccorsi, per spezzare il cordone di orchi che circondavano il complesso sarebbero servite almeno due compagnie, ma per aprirsi la strada e garantire una via di fuga ci sarebbe voluto un intero battaglione.

Sirio annuì e stava per ribattere, quando un nuovo suono gli arrivò distintamente attraverso il fono amplificatore.

-Ascolta! Darn, questa è una darn di Minkan, ne sono sicuro!-

-Una che?-

Il Caporale sbuffò.

-Una Minkan, una mitragliatrice laser leggera Mini Kantrael… Non ce ne sono molte in giro e noi non ne abbiamo neanche una!-

Aurelios parve stupito.

-E tu queste cose come le sai?-

-Le so perché a Camp Martes io seguivo le lezioni, non mi defilavo non visto per appartarmi con la cuoca…-

-E con l’infermiera del plotone F…- Specificò il paracadutista, provocando un sorriso stanco all’amico. –Comunque mi dici che noi non le abbiamo?-

-No, hanno un rateo di fuoco esagerato, se non ci stai attento rischi di dover girare con una carriola per portare le celle d’energia che ti servono… Ed in questo caso direi che l’amico si è fatto fuori una cella intera… Di sicuro non sono elysiani.-

Entrambi si concessero un breve riso sommesso; per i paracadutisti, abituati ad operare dietro le linee nemiche, era importante non sprecare colpi, poiché non sapevano quando avrebbero avuto accesso ai rifornimenti. Ma il doppio senso di Sirio si riferiva alla diceria comune secondo la quale gli elysiani fossero un popolo molto tirchio.

Il Sergente Khrodys arrivò strisciando nella polvere di cemento.

-Allora ragazzi, che darn succede? Gli orchi si ammazzano tra loro?-

Sirio scosse la testa, per quanto il sott’ufficiale non lo potesse vedere, dato che si trovava oltre il corpo disteso di Aurelios.

-Negativo signore, sono guardie imperiali… Abbiamo sentito una Minkan...-

-HA sentito una Minkan, io mi dissocio!-

Scherzò il paracadutista semplice.

-Una Minkan?! Quarta, ne sei sicuro? Quell’arma è obsoleta, non la usa più nessuno e… Darn! Tutti al coperto!-

Un voluminoso fuoco di armi pesanti prese a sferzare la facciata già sfigurata della palazzina, mentre un paio di missili mal tirati piovevano da qualche parte diverse decine di metri oltre il loro rifugio.

La voce del Sergente era incrinata da una vena di paura quando urlò.

-Stanno per attaccare! Tutti qui, pugnali e bombe a mano!-

La palazzina si animò come un formicaio incautamente pestato da un bambino; i paracadutisti che fino ad un momento prima giacevano come morti e quasi invisibili per via della polvere che li aveva ricoperti, balzarono in piedi per accorrere al richiamo del sott’ufficiale.

Sarebbe stata la loro ultima battaglia, poiché non vi era modo di respingere il nemico.

 

Iathena si alzò di scatto, non pensò neppure per un istante a prendere l’elmetto lasciatole accanto da Aurelios. Stavano arrivando.

Sentì una stretta allo stomaco ed un forte senso di nausea, era questa dunque la morte?

Si inginocchiò dietro al riparo offerto da un mozzicone di muro, pochi passi più a sinistra della breccia a guardia della quale erano posti Aurelios, Sirio ed il Sergente.

Il fuoco cessò improvvisamente come era iniziato.

Voleva dire una sola cosa.

-Moriremo tutti vero?-

Domandò senza rivolgersi a nessuno in particolare.

Ma Sirio si alzò, incurante della possibilità di essere colpito da un cecchino, e le posò una mano sulla spalla.

-Se moriremo lo faremo in piedi, come veri figli di Elysia, come veri soldati della Guardia Imperiale, coraggio Sottotenente, regoli l’Accatran su potenza massima e miri alla testa, un colpo un morto, portiamocene dietro quanti possiamo!-

un urlo di approvazione da parte dei paracadutisti fece eco alle sue parole, ma venne immediatamente zittito dalle belluine urla degli orchi che, radunatisi nello spiazzo antistante la palazzina, partivano all’assalto della breccia.

I dodici paracadutisti superstiti si strinsero spalla a spalla e fecero fuoco.

Iathena inquadrò nel mirino una bestia enorme, impugnava una rozza ascia ed una spranga di ferro e correva urlando verso di lei.

Si sforzò di non pensare alle altre decine di mostri che si arrampicavano sulla rampa di detriti, ma la paura non le permetteva di escluderli completamente dalla sua mente.

Sparò sei colpi a massima potenza prima che l’orco cadesse a terra.

Troppi, erano troppi.

-Bomba!-

Gridò Aurelios lanciando con una parabola perfetta l’ultima granata in possesso del plotone.

Un orco che aveva già raggiunto la sommità del cumulo di macerie e si apprestava a calare la sua rozza arma sui paracadutisti, si bloccò in una posa grottesca e lanciò un gorgogliante urlo di dolore quando le schegge gli fecero a brandelli la schiena.

Un altro lo rovesciò in avanti, calpestandolo con i suoi pesanti scarponi per avventarsi sui soldati.

Iathena vide il muso dell’essere, stravolto in un’espressione di ferocia animalesca, a meno i due metri da lei.

Senza neppure pensarci spostò il selettore di tiro su raffica e premette il grilletto senza più rilasciarlo.

Con sua sorpresa l’arma rispose con un secco “click”.

Per fortuna dell’ufficiale medico, tutti i soldati la imitarono e gli ultimi dardi laser contenuti nelle celle fulminarono la creatura, che cadde in avanti costringendo gli elysiani a spostarsi per non essere schiacciati sotto la sua imponente stazza.

Le munizioni erano ormai esaurite ed il Sergente Khrodys estrasse il pugnale, urlando a tutti i presenti.

-è stato un onore combattere con voi!-

Aurelios sfoderò la Makahira, la corta spada ricurva tradizionale di Elysia e ne baciò la lama un’ultima volta, prima di balzare in piedi, un’espressione battagliera sul viso stanco.

Sirio impugnava la Makahira con la destra, mentre nella sinistra reggeva il coltello d’ordinanza, dal retro seghettato.

-Fino all’ultimo paracadutista!- Ringhiò il Caporale Quarta.

Iathena non fece nulla.

Era rimasta impietrita, il fucile laser scarico ancora stretto tra le mani.

Vide i suoi compagni sfoderare le armi bianche, pronti a combattere corpo a corpo, in quella che non sarebbe stata una battaglia, ma un massacro.

Loro erano soldati esperti, ma lei era una ragazzina.

Era la prima volta che le capitava di pensarlo; era stata addestrata certo, ma non era una dura veterana come Aurelios e Sirio. Era un medico nel posto sbagliato.

Un orco sferrò un colpo d’ascia che uccise due uomini, maciullandoli orrendamente e si buttò oltre.

Era talmente lanciato che gli uomini posti a guardia della breccia non poterono fermarlo e lui non parve neppure sentire le ferite inflitte dalle lame ricurve dei due veterani.

Le fu addosso in un attimo e sollevò la sua rozza ascia, già imbrattata di sangue.

Iathena sollevò l’Accatran nel vano tentativo di parare il colpo e chiuse gli occhi.

Qualcosa di caldo le schizzò in faccia, ustionandola.

 

-Una sola scarica ragazzi, poi alla baionetta senza ricaricare, non ne abbiamo il tempo!-

All’ordine del Caporale Slunt fecero eco la voce di otto fucili laser Kantrael Pattern e l’urlo stridente della Minkan di Trulls, che stava consumando una cella intera.

Gli orchi lanciati all’attacco dei paracadutisti furono investiti alle spalle da un imponente fuoco di fucileria che li falcidiò senza pietà.

I vendolandiani non erano certo famosi per fare economia di colpi ed il risultato contro i nemici, ammassati per salire la rampa di detriti, fu devastante.

In un istante il terreno davanti alla palazzina si trasformò in un carnaio di morti ed agonizzanti, mentre i pelleverde, disorientati, si giravano disordinatamente per fare fronte alla nuova minaccia.

Non appena esaurite le celle d’energia, gli esploratori saltarono dal tetto sulla tettoia in lamiera e da qui in strada.

Drake atterrò pesantemente e dovette mettere le mani a terra per non cadere.

Il suo fucile laser ondeggiò attaccato alla bandoliera e sbatté violentemente sull’asfalto, con un suono che non gli piacque per nulla.

Ma non era il momento di pensarci.

I vendolandiani si slanciarono in avanti, ululando di pura ferocia.

Di norma gli uomini temevano la forza bruta delle creature orcoidi e la loro furia, ma su Vendoland gli orchi erano forse le bestie meno pericolose, per cui gli esploratori li affrontarono con passione, desiderosi di sfogare la rabbia per la morte dei loro compagni e la frustrazione per quell’infernale arrancare nella condotta forzata.

L’ordine “baionette” era stato una pura formalità; quasi nessuno aveva scelto quell’arma, i vendolandiani preferivano abbandonare il fucile laser a pendere dalla bandoliera, impugnando con la destra la pistola laser e con la sinistra un’arma bianca.

Per lo più maneggiavano il coltello tradizionale, ma alcuni avevano preferito asce leggere o lunghi machete.

Rak Tay impugnava una lama di trenta centimetri seghettata da entrambi i lati e di un colore bianco giallastro, ricavata dal dente di un coccodrillo marino di Vendoland, che tagliava più dell’acciaio.

Drake puntò la pesante pistola laser contro ad un nemico e sparò.

L’arma, un modello studiato per la realtà di Vendoland, era grossa e sparava a grande potenza, aveva dunque un autonomia molto limitata, considerata anche la sua tendenza a surriscaldarsi, ma su distanze ravvicinate aveva l’effetto di un piccolo cannone.

Dopo quattro colpi, il torace dell’orco esplose come un palloncino, schizzando sangue ed umori tutto attorno.

Lo scout sorrise mentre gli schizzi caldi lo colpivano, era un cacciatore ed aveva il gusto del sangue.

Trulls abbatté due orchi, poi puntò la pistola contro un terzo, ma l’arma aveva esaurito le munizioni.

Il mitragliere era molto alto anche per la sua gente e, con i suoi due metri e venti, sovrastava quasi tutti gli uomini ed anche qualche orco.

Senza rallentare la corsa, il gigante diede una testata in faccia al mostro, che arretrò più per lo stupore che non per il colpo.

Trulls cercò di resistere al dolore al capo che gli si era acceso come un fuoco al contatto con le zanne del mostro e vibrò il suo coltello in un arco laterale che colse il pettorale destro dell’orco.

La pelle di quegli xeno era molto resistente, ma i coltelli vendolandiani erano forgiati per essere taglienti come rasoi ed allo stesso tempo abbastanza pesanti da perforare la scorza chitinosa delle fiere che infestavano il pianeta.

La lama tagliò il muscolo come fosse burro e rimbalzò su di un paio di costole prima di uscire dall’addome, portandosi dietro una buona parte degli intestini del pelleverde.

L’orco indietreggiò urlando di dolore e tentò di calare la sua ascia, ma il coltello di Drake, vibrato a tutta forza, gli si piantò nel cuore, spezzando la sua brutale vita.

Il cacciatore torse la lama e la estrasse, provocando un fiotto di sangue che imbrattò entrambi i soldati, i quali si scambiarono un rapido sguardo d’intesa.

Avevano il viso sconvolto da un’espressione feroce, che metteva in evidenza i canini pronunciati tipici della loro gente.

Il Caporale Slunt infilzò un nemico con la baionetta, battendolo in allungo grazie alla canna del fucile laser e sparò due colpi per staccarne il cadavere dall’arma.

Il calcio del Kantrael si abbatté sul muso di un secondo avversario, che non ebbe il tempo di rispondere poiché la sua testa fu ridotta in poltiglia da due colpi del fucile a pompa maneggiato dal tiratore.

L’uomo ruotò su se stesso e freddò un altro avversario, prima che un colpo d’ascia lo sollevasse letteralmente da terra, facendo ricadere il suo corpo dieci metri più indietro, mentre i suoi organi interni piovevano sull’asfalto, seguendo la traiettoria del volo.

L’orco si voltò verso Rak, ma questi sganciò dalla bandoliera il fucile laser, sul quale aveva montato la baionetta e lo palleggiò un paio di volte nella mano destra, prima di scagliarlo come un giavellotto.

L’arma si piantò nel torace del pelleverde, rimanendovi infissa poiché la lama si era incastrata tra le costole.

Rak balzò in avanti e si lasciò cadere per evitare il colpo circolare menato dal nemico prima di afferrare l’impugnatura del Kantrael.

Il pollice portò il selettore su raffica e l’indice premette il grilletto, liberando una lunga serie di dardi laser.

L’artificiere sperò che il Caporale Slunt non se la prendesse troppo a male se lui gli aveva disubbidito, ricaricando prima di saltare dal tetto, mentre apriva nel torace dell’orco un buco largo quanto un elmetto da fanteria.

Ignorando la pioggia di umori bollenti che lo imbrattava, il vendolandiano scattò in piedi e fece crollare a terra un secondo nemico con una raffica ben diretta, prima di finirlo con una coltellata.

Gli orchi erano stati travolti dall’inaspettato e feroce attacco, ma erano pronti a riorganizzarsi e, in un confronto alla pari, i vendolandiani non avevano alcuna speranza.

Il Caporale Slunt liberò la lama della baionetta dal corpo ancora fremente di un orco e si voltò per controllare la posizione dei propri uomini.

-Avanti! Avanti, non vi fermate, alla palazzina!-

Rak vide un nemico che puntava un grosso mitragliatore e gli sparò due colpi di pistola, facendogli esplodere la testa come un frutto troppo maturo.

Amava quell’arma; i vendolandiani preferivano sparare sempre a massima potenza, difficile dare loro torto visto che arrivavano da un mondo dove dovevano far fronte a mostruose creature armati solo di arco e frecce.

Quando scoprivano la tecnologia laser poi era difficile far loro capire il concetto di sparare a potenza ridotta.

Personalmente Rak non l’aveva mai capito ed uno degli aspetti che preferiva della pistola laser in dotazione al 106° Reggimento era l’assenza del regolatore d’intensità, un inutile orpello secondo quasi tutti i vendolandiani.

 

Iathena riaprì gli occhi e si portò una mano al viso bruciato.

Nella fronte del pelleverde si era aperto un foro circolare e lei realizzò che ciò che l’aveva colpita erano resti di materia cerebrale liquefatta da un dardo laser.

Dovette scartare di lato per non essere travolta dal cadavere del mostro.

Un virulento fuoco di armi laser si stava abbattendo sul nemico.

Lei si avvicinò alla breccia, appena in tempo per vedere una decina di individui balzare giù dal tetto di un edificio di fronte alla palazzina e caricare lanciando urla che non avevano nulla da invidiare a quelle degli orchi.

Erano uomini enormi, si rese conto quando li vide a confronto con i pelleverde, il più basso doveva essere sul metro e ottanta, che per un elysiano era già un’altezza considerevole, ma alcuni dovevano essere sopra i due metri di statura.

Molti erano armati di grossi coltelli a lama larga, armi che le davano l’impressione di essere brutalmente efficienti.

Ne ebbe la conferma quando vide una specie di gigante che sbudellava senza fatica un orco.

I nuovi venuti indossavano la parte toracica di un’armatura carapace, il che li denotava chiaramente come membri di una qualche forza speciale, ma dai bassi ringhi che emettevano sembravano più una banda di selvaggi a caccia.

Iathena si scoprì a pensare che quegli uomini incarnavano esattamente l’idea che da ragazzina si era fatta sentendo le storie sugli orchi.

Il primo della squadra di selvaggi si trovò in corrispondenza della breccia e prese a gesticolare animatamente in direzione dei suoi simili.

-Muovetevi! Tutti dentro!-

Il suo gotico era tanto accentato che lei faticava a capirlo.

L’uomo impugnava fieramente un fucile laser con la baionetta innastata, imbrattato di sangue fino a metà del manicotto ed aveva un’espressione assurdamente feroce, che metteva una certa inquietudine anche tra i paracadutisti.

Improvvisamente la giovane si rese conto che non era per via del viso teso, sporco di sangue e di quella che sembrava nafta, o per le sue dimensioni, era per via delle zanne.

Tutti i nuovi venuti che ora balzavano oltre il riparo offerto dalla postazione dei paracadutisti sfilando ai lati del loro comandante, avevano i quattro canini più sviluppati di quelli della normale anatomia umana che Iathena aveva studiato.

Erano simili a quelli di alcune grandi scimmie che le era capitato di vedere in un video documentario in accademia e, forse in un gesto inconscio, li tenevano snudati in un ringhio, così che le loro bocche apparivano simili a quelle di felini da preda.

Quando anche l’ultimo selvaggio fu al sicuro oltre il muro della palazzina, il loro comandante diede un secco ordine in un gotico troppo rozzo perché lei lo potesse comprendere e tutti fecero partire un’abbondante salva laser verso il basso, convincendo i pelleverde a ritirarsi nella copertura offerta dagli edifici ai lati dello spiazzo.

Alla salva fece eco un virulento quanto inutile fuoco di risposta, dal quale tutti i presenti si sottrassero facilmente sedendosi dietro i mozziconi di muro.

In quel momento un tuono lacerò l’aria, preceduto da un terrificante fischio.

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Capitolo 10
*** Furia della battaglia ***


Il Capitano Hernest Frayn sentì il fischio di una salva di bombe da mortaio che passavano a parabola sopra la sua testa, seguito immediatamente da una terrificante serie di boati.
Aveva dato l’ordine di apertura fuoco sui bersagli indicati dal Sergente Kran, poiché i Tauros sarebbero arrivati sull’obbiettivo entro pochi istanti.
Non poteva rischiare di trovarsi di fronte una linea di pelleverde compatti e pronti al combattimento, altrimenti la sua unità sarebbe stata fatta a pezzi.
Questo valeva il rischio di colpire la squadra infiltrata nel complesso. O almeno così sperava.
Il vendolandiano rivolse una preghiera al sacro Imperatore affinché i colpi di mortaio non ricadessero sui suoi uomini.
Aveva tutta la parte sinistra della schiena indolenzita per lo sforzo di reggersi al rollbar del Tauros e sentiva il battito del cuore martellargli nelle orecchie.
Il suo veicolo si stava spostando sulla destra rispetto alla colonna, in modo da iniziare l’operazione di apertura a ventaglio che avrebbe preceduto l’assalto.
Pochi minuti e si sarebbe trovato in combattimento.
Con un gesto nervoso controllò che le celle d’energia fossero al loro posto nelle giberne, ben sapendo che una buona parte dei suoi uomini stava facendo la stessa cosa, ma poi si forzò a reagire come un comandante e non come un soldato.
Volse lo sguardo attorno a se, sui Tauros che, facendosi largo nella vegetazione sempre più rada, erano quasi completamente schierati in linea.
Ancora una volta fu assalito dai dubbi.
E se il nemico avesse piazzato un paio di mitragliatrici pesanti?
Il loro audace assalto si sarebbe concluso con un cumulo di rottami in fiamme e corpi scomposti.
Le immagini viste pochi minuti prima nella radura tornarono ad affollargli la mente, ma lui le scacciò scrollando la testa come un cane bagnato.
Non era il momento della paura, era il momento di agire.
L’ufficiale lasciò il Kantrael Pattern a pendergli dalla bandoliera e si allungò per afferrare la cornetta del vox veicolare, della quale schiacciò la portante con veemenza.
-Tutta la maglia qui Tempesta… Carica!-
Un ordine semplice, una sola parola, ma che conteneva tutto l’impeto dell’immagine che evocava.
Hernest fu certo di sentire un ruggito feroce sovrastare i motori dei Tauros, ora lanciati alla massima potenza, per lo scatto finale.
 
Terk lanciò un urlo di guerra quando il suo Tauros lasciò la jungla, rivelandogli il truculento spettacolo della massa di orchi maciullata dalle serrate esplosioni del bombardamento.
La terra si sollevava a forma di fiamma in colonne alte anche venti metri, mentre parti organiche carbonizzate volavano tutto attorno come giocattoli.
Per un istante il mitragliere temette che il suo Tauros andasse ad infilarsi nel pieno del bombardamento, ma le esplosioni si fecero improvvisamente più lontane, sventrando le strutture in cemento del complesso estrattivo.
Una sezione di condotta forzata passò roteando cinque o sei metri sopra la sua testa; il metallo sfrangiato emetteva un sibilo che ricordava l’urlo di un qualche uccello da incubo.
Il soldato non aveva che una visione molto parziale del campo di battaglia, poiché la polvere sollevata dai colpi di mortaio aveva oscurato il sole ed indugiava in banchi sulla terra sconvolta.
Molti orki si alzarono, scrollandosi di dosso la terra scura ed annaspando in cerca delle loro armi.
Terk puntò il requiem pesante su di loro ed artigliò la leva di sparo, come se si fosse trattato dell’appiglio per la salvezza.
Sul suo viso si dipinse un feroce sorriso, che presto divenne una vera e propria risata.
Andavano giù come birilli.
I nemici non sembravano affatto temibili come nella radura, ora erano solo bersagli, che cadevano uno dopo l’altro.
Il mitragliere si lasciò sfuggire un urlo di puro giubilo, ebbro della gioia d’uccidere.
Non era una battaglia, era un massacro, e lui si stava divertendo un mondo.
Hak scartò di lato per evitare il profondo cratere scavato da una bomba da mortaio, così che il suo Tauros andò quasi ad urtare quello che procedeva alla sua destra.
Terk sorrise al mitragliere dell’altro mezzo, per quanto questi non lo potesse vedere a causa del fazzoletto che l’uomo del deserto portava davanti al viso.
L’uomo gli gridò qualcosa, ma lui non lo sentì, poiché stava ancora sparando.
Non vedeva nessun bersaglio, ma fare rumore lo aiutava ad esorcizzare la paura provata poco prima nella radura.
Individuò un mozzicone di muro e, pensando che avrebbe potuto servire da riparo per un nemico, vi concentrò il fuoco riducendolo in pezzi.
In quel momento il requiem gli rimandò un suono meccanico, avvisandolo di aver esaurito le munizioni.
Con gesto automatico il mitragliere si accucciò ed afferrò una cassetta piena, approfittando del gesto per avvicinarsi al pilota ed urlargli.
-Che spettacolo! Ammazziamoli tutti!-
Non riuscì a trattenere una risata, mentre ricaricava.
Hak scosse la testa.
-Fottuto pazzo-
Disse senza rivolgersi a nessuno in particolare. Poi aggiunse rivolto a Fren.
-Ehy, tieniti pronto, ci siamo quasi!-
Il fuciliere non diede segno di averlo udito, ma Hak era troppo impegnato a scartare le macerie degli edifici per prestarvi attenzione.
La visibilità era pessima, poiché la polvere di cemento sollevata dal bombardamento aveva trasformato l’assolata mattinata in una notte infernale, nella quale era difficile respirare.
 
Il bombardamento serrato si stava avvicinando sempre di più, ma non era ancora abbastanza prossimo da impensierire la posizione dei paracadutisti.
Iathena era ancora stordita dagli ultimi avvenimenti, quando si sentì scrollare in malo modo per una spalla.
Il comandante dell’unità che era giunta in loro soccorso le stava parlando, ripetendo una serie di suoni vagamente familiari ma che lei non comprendeva.
Lo vide sbuffare seccato e parlare piano, come ad un bambino, in un gotico quasi incomprensibile.
Tuttavia lei riuscì finalmente ad afferrare il significato delle sue parole.
-Tenente, ce lo avete questo vox o no?!-
Iathena annuì, ancora confusa, ed indicò lo strumento, che giaceva abbandonato a terra poco distante.
Il Caporale Slunt lasciò la superiore accovacciata a terra e, con movimenti urgenti ed evidentemente seccati, afferrò la cornetta, prima di mettersi a lavorare sulle manopole che cambiavano le frequenze.
Improvvisamente l’uomo si lasciò sfuggire un’imprecazione.
-Varn!-
Iathena stava per offrirsi di aiutare il Caporale a mettere in funzione il vox, chiaramente uno strumento troppo complesso per un selvaggio simile, quando questi ripeté l’imprecazione guardando fisso un punto oltre le spalle della Sottotenente.
Solo alla terza ripetizione lei realizzò che non si trattava di una storpiatura dell’imprecazione tanto popolare tra gli elysiani, ma del nome di qualcuno.
L’interpellato era un soldato dalle maniche rimboccate, totalmente imbrattato di sangue scuro, tanto che Iathena si alzò per andare a prestargli soccorso.
L’uomo stava bestemmiando ferocemente, percuotendo al contempo la camera di lancio del suo fucile laser con violenti pugni.
In un accesso di rabbia, il soldato chiamato Varn scagliò l’arma oltre il parapetto e, solo a quel punto, si rese conto che il suo superiore lo stava chiamando.
-Che c’è?!-
Ringhiò.
-Le coordinate! Datti una mossa o quelli ci bombardano!-
Imprecando senza posa, l’uomo mise mano al Dpad, cosa che stupì non poco l’elysiana, poiché quei selvaggi non avevano proprio l’aria di soldati addestrati all’uso di una simile tecnologia.
Il soldato gridò a quello che evidentemente era il suo superiore una serie di numeri e lettere.
Iathena notò che i numeri erano incredibilmente facili da capire, pronunciati in un gotico perfetto.
Si rispose che probabilmente, sul loro pianeta natale, quegli uomini non erano abituati a comunicare riguardo alle cifre, il che non aveva imposto inflessioni dialettali alla pronuncia.
Il Caporale prese a ripetere ossessivamente le coordinate nella cornetta del vox, mentre Varn parlava animatamente con il suo vicino, un gigante armato di uno strano modello di mitragliatrice che lei non aveva mai visto prima.
-Dove sei ferito?- Domandò lei.
Il soldato si voltò di scatto e Iathena ebbe un sussulto.
Pensò che non si sarebbe mai abituata all’aspetto di quegli uomini; Varn aveva sul volto barbuto un’espressione sorpresa ma feroce, mentre i suoi occhi verdi erano accesi di una luce selvaggia, poiché l’eccitazione del combattimento non lo aveva ancora abbandonato.
-Come Tenente?- Ringhiò lui con un accento ruvido ma tutto sommato comprensibile.
-Ti ho chiesto dove sei ferito soldato!- Rispose lei, contenta di aver finalmente trovato qualcuno in grado di parlare un gotico decente.
Varn guardò sorpreso il sangue che lo imbrattava come una seconda pelle, allargando le braccia per meglio contemplare i suoi vestiti lordi, poi sorrise.
-Non è mica mio!-
Tutti i soldati vicini scoppiarono in risa feroci e sguaiate.
Nel muoversi il vendolandiano aveva risvegliato l’odore acre dei fluidi che lo ricoprivano, tanto che Iathena trattenne a stento un conato di vomito.
-Darnati selvaggi!-
Imprecò coprendosi il naso e la bocca con la manica della divisa color kaki da paracadutista elysiano.
In quel momento le urla degli orki si levarono più acute che mai.
Il comandante dei vendolandiani era stato sostituito al vox da un suo conterraneo di altezza normale, un nano al confronto dei suoi simili, ma dalle braccia larghe come le cosce i un uomo adulto.
Poté quindi accorrere agli spalti dell’improvvisato fortino, dove una pallottola di rimbalzo, partita da un’arma orkesca, lo colpì all’anca, sbattendolo a terra come un guanto.
Sirio accorse in suo aiuto e lo aiutò a rialzarsi, sommerso dalle irripetibili bestemmie del ferito.
Gli orki, compreso che la palazzina era l’unico sito non bombardato dai mortai imperiali, stavano lanciando un ultimo violento assalto.
 
Iathena accorse al fianco del Caporale Slunt, che si era lasciato cadere su di un mucchio di macerie, in modo da poter sparare oltre l’improvvisato parapetto dell’ancor più improvvisata fortificazione.
Con gesto nervoso ma rapido, le dita inguantate del medico corsero alla cerniera che chiudeva il pacchetto di medicazione del ferito e ne trassero un impacco di garze che lei premette sulla ferita, strappando al vendolandiano un ruggito degno di una belva.
Le esplosioni passarono attorno alla palazzina come se fosse protetta da una barriera invisibile, rendendo tutti i presenti quasi ciechi per via della polvere di cemento che aleggiava come una calda nebbia.
La violenta reazione delle guardie imperiali, unita al bombardamento, aveva rallentato momentaneamente il nemico, ma gli orki si fecero nuovamente avanti, sparando come indemoniati.
Priva dell’elmetto fonoassorbente, Iathena era scossa dal fragore della battaglia; a giudicare dal frastuono, i nuovi arrivati usavano i fucili laser impostati su massima potenza.
L’arma del Caporale, a pochi centimetri dalla sua testa, la stava facendo impazzire mentre faticosamente cercava di bloccare la medicazione dell’uomo.
-Non puoi cercare almeno di stare fermo?!-
Urlò vanamente, ma non sentì neppure la propria voce.
In quel momento un frastuono infernale travolse ogni altro rumore.
Proveniva dalla strana mitragliatrice che lei aveva visto in mano a quella specie di gigante, il quale si sporgeva, ignorando sprezzantemente il riparo offerto dal muretto, per rovesciare un vero torrente laser sul nemico.
Al suo fianco vi era il soldato chiamato Varn, che sparava con la pistola laser.
Il mitragliere venne colpito da una pallottola vagante, che gli amputò quasi del tutto il braccio sinistro, all’altezza del gomito.
L’uomo lasciò a terra l’arma per reggersi l’arto ferito, cadendo in ginocchio.
Iathena lasciò immediatamente il fianco del Caporale per accorrere in aiuto del gigante.
Stava agendo d’impulso, improvvisamente la paura che le attanagliava lo stomaco non la intralciava più, se non per il fatto che aveva perso del tutto la vista periferica, ma forse era solo colpa della polvere.
Aveva mosso un paio di passi, quando una forza misteriosa la costrinse ad abbassarsi.
Aurelios, comparso al suo fianco chissà come, la teneva saldamente dal giubbotto antischegge, costringendola a rimanere curva, e le urlava qualcosa che lei non sentiva.
Il veterano aveva il viso sporco e striato di sangue, che proveniva dalle sue orecchie, violentate da tanto frastuono.
Il gigantesco mitragliere aveva lasciato il suo braccio sinistro a pendere inerte, mentre con la destra estraeva la pistola laser, che usò contro una grossa sagoma nera.
Solo quando l’orko cadde in avanti, rischiando di travolgere i due elysiani, Iathena si rese conto di quanto il nemico fosse vicino.
Il soldato chiamato Varn raccolse la Minkan e svuotò l’intera cella d’energia sui pelleverde più vicini, mentre il medico apriva il pacchetto di medicazione di Trulls e cercava di bloccare l’arto ferito.
Imprecando per il dolore, il gigantesco vendolandiano spinse in malo modo l’elysiana, facendola cadere a terra, mentre le pallottole orkesche passavano a pochi centimetri dai soldati.
Aurelios balzò in avanti e, messa mano alla pistola laser, consegnò il suo fucile Accatran a Varn, il quale vi inserì una cella carica presa dalle proprie giberne, posizionò il regolatore d’intensità sul massimo e riprese a far fuoco.
Iathena non si dette per vinta e prese a medicare il braccio del mitragliere, senza alzarsi dalla posizione supina alla quale lui l’aveva costretta.
Si sforzava di non pensare al fatto che il nemico era quasi arrivato.
Garza, cerotto, stecche, bendaggio.
Ripeteva ad alta voce le procedure, faticando lei stessa a sentire il suono della propria voce.
 
Fren inciampò nel scendere dal Tauros.
Era spaesato e non vedeva nulla, in quell’innaturale silenzio che aveva seguito l’ultima esplosione.
Vi era un sottofondo di spari, ma lui non riusciva bene a distinguere da dove provenisse, in quella nube oscura e maleodorante.
Non pensò neppure ad accendere la fiamma pilota del lanciafiamme, rimase immobile mentre il Tauros di Hak gli passava davanti per proseguire lungo la strada.
Qualcuno lo strattonò dall’armatura a carapace e lo mise in fila con altri soldati.
Gli ci vollero diversi minuti prima di capire che si trattava dei suoi compagni di squadra.
Era come se non riuscisse più a riprendere il controllo su se stesso, come se il suo corpo si muovesse da solo per inerzia.
Eppure non era difficile, doveva solo camminare con gli altri.
“Accendi la fiamma pilota” pensò.
Ma le sue mani non si mossero, erano come paralizzate.
Dovette aspettare la prima sosta, fatta per perlustrare un edificio, prima di riuscire ad accendere la fiammella che rendeva utilizzabile la sua arma.
La vite girevole dell’accensione sembrava essere diventata dieci volte più piccola e gli scivolò tra le dita un paio di volte.
 
Anche Terk era teso, controllava ciò che restava degli edifici col suo Requiem pesante, mentre il Tauros procedeva a passo d’uomo.
Erano di nuovo dei bersagli e la cosa lo infastidiva molto.
Hak parve intuire i suoi pensieri perché gli diede un buffetto sulla gamba, unica parte del corpo da lui raggiungibile.
-Tutto bene lassù fratello?-
Il mitragliere sbuffò.
-Potrebbero essere ovunque… Non mi piace.-


Lancio un piccolo appello ai miei silenziosi lettori, che seguono fedelmente questo e gli altri miei racconti.            
Grazie di cuore, io vedo che avete letto e ne sono contento, ma vorrei davvero sapere cosa ne pensate, se avete un personaggio preferito, se avete critiche o suggerimenti... In altre parole mi piacerebbe "sentirvi". 
Non vi preoccupate di apparire superficiali in un commento perché magari non sapete cosa dire, anche solo un "ciao, io ti seguo" per me vuol dire davvero tanto.
Grazie in anticipo a nome mio e di tutti i miei personaggi!

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