Breaking the Mist di Eilan21 (/viewuser.php?uid=167267)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli iniziati ***
Capitolo 2: *** In viaggio ***
Capitolo 3: *** La torre oscura ***
Capitolo 4: *** Elfi e umani ***
Capitolo 5: *** Il mare di Azure ***
Capitolo 6: *** Una scala che porta al sapere ***
Capitolo 7: *** Dracoon ***
Capitolo 8: *** Amici e nemici ***
Capitolo 9: *** Gemelli si nasce ***
Capitolo 1 *** Gli iniziati ***
Foresta
di Argoer
Monastero
della beata Laodamia
“Dove
si è cacciata quella piccola peste e la sua
bestiaccia?” L'umore
di Sorella Jania, già cupo da quella mattina, si era
ulteriormente
deteriorato quando la delegata dell'Alleanza delle Otto Stelle aveva
mancato di presentarsi per portare via la ragazza.
Aveva
frugato nelle stanze delle novizie, poi in quella delle protette del
monastero, senza mancare di buttare all'aria il baule con i pochi
averi appartenenti a Marissa. Le altre bambine l'avevano guardata con
un misto di paura e rimprovero nel loro sguardo, ma era bastata
un'occhiataccia di Sorella Jania per far loro immediatamente
abbassare il capo.
Sciocche
orfanelle! La
monaca non
nascondeva il proprio disprezzo per quelle pezzenti, nemmeno con le
altre consorelle. Forse perché la irritava dover fare da
balia a
delle mocciose plebee, lei che proveniva addirittura da un ramo
cadetto degli Arlington!
Stanca
di sprecare le sue
forze in quell'ingrato compito di ricerca Jania aveva preso per le
trecce Orlen, tra tutte le bambine la più legata a Marissa.
“Ora
sono stanca di questi
giochini Orlen!” le disse guardandola dritta negli occhi.
“Dove
si è nascosta la tua amichetta?”
“Non
lo so, sorella”
balbettò la ragazzina, arrossendo fino alla radice dei
capelli.
“Io
scommetto di sì,
invece” ghignò la donna con espressione malvagia.
“Lo sai che
mentire a una consorella è una grave infrazione delle
regole, vero
Orlen?”
“Sì
sorella, ma vi giuro
che io....”
“Dovessi
anche mettere a
soqquadro l'intero monastero, fin nelle stanze della priora, io la
troverò e affogherò quella sua bestiaccia
puzzolente. Quindi con il
tuo aiuto o meno, Marissa salterà fuori, ma se lo
farà senza il tuo
aiuto tu sarai in guai seri, questa è la differenza. Ti sono
ben
chiare le mie parole, lei hai stampate in quella testolina
vuota...?”
“Lei
non sa niente,
sorella Jania!” tentò di intervenire la quattordicenne
Anyel in difesa
della più giovane Orlen.
“Non
ti immischiare tu!”
latrò la monaca, per poi tornare immediatamente ad infierire
sulla
bambina.
“Ancora
non vuoi dirmi
niente allora?” chiese in tono dolciastro.
Orlen
scosse la testa.
Senza
che il ghigno di
soddisfazione sul suo volto accennasse a spegnersi, la donna
sfilò
dalla cintura un paio di forbici e afferrò una delle trecce
di Orlen
fra pollice e indice. Guardò la bambina, e al suo ennesimo
rifiuto
tagliò di netto la lunga treccia castana, che cadde floscia
e
silenziosa sul pavimento.
Orlen
aveva gli occhi pieni
di lacrime ma si rifiutò di cedere e le trattenne,
sollevando
ostinatamente il mento.
Ma
quando sorella Jania
avvicinò le forbici anche all'altra treccia, la bambina
cedette e
scoppiò a piangere.
“Va
bene, sorella... ve lo
dirò!” urlò in preda al panico e al
rimorso.
“Molto
bene, vedo che
cominci a ragionare” ghignò la donna, soddisfatta.
“E'
nascosta nel
ripostiglio del secondo piano. Ma cosa le farete?”
“Sarà
punita, questo è
ovvio” Sorella Jania ripose le forbici con noncuranza.
“Ma tu non
lo sarai, e di questo devi essere soddisfatta.”
La
porta del ripostiglio
venne spalancata di colpo e un fascio di luce investì la
tremante
Marissa, che cercava in tutti i modi di proteggere qualcosa che
teneva tra le mani.
“Ti
ho trovata piccolo
mostro!” esultò sorella Jania, apparendo nel cono
di luce.
Si
avventò sulla ragazzina
tentando di afferrarla, ma Marissa fu più rapida e
sgusciò sotto le
gambe della monaca, uscendo nel patio del convento. Corse verso le
colonne ad arco e il basso muretto che delimitava il perimetro del
cortile. Se solo fosse riuscita a scavalcarlo avrebbe avuto qualche
possibilità di sfuggire alla sua inseguitrice. Ma la donna
in
quattro passi l'aveva già raggiunta e l'afferrò
per la manica
proprio mentre Marissa era già cavalcioni del muretto. Ne
seguì una
lotta disperata in cui Jania cercò in tutti i modi di
strapparle ciò
che teneva tra le mani. Marissa sapeva che in pochi secondi sarebbe
riuscita nel suo intento: lei era una donna adulta, e Marissa solo
una ragazzina. Non poteva competere con lei in quanto a forza.
Con
la disperazione nella
voce, pronunciò alcune parole incerte, quasi sussurrate.
Immediatamente
sorella Jania
si ritrasse con uno strillo, tenendosi la mano ferita. La sua furia
ora era fuori controllo.
“Tu....
piccola idiota!
Come hai osato! Ucciderò quella bestiaccia con le mie mani e
nessuno
ti risparmierà una bella dose di frustate!”
Si
lanciò di nuovo su Marissa, ma lei fu più rapida. Un'altra frase, stavolta
detta
con più sicurezza, le scaturì dalle labbra. E
improvvisamente il
piccolo fagotto che teneva in mano si alzò in volo,
rivelandosi per
una piccola palla di pelo. Era un prilne, un
piccolo
scoiattolo con il folto pelo dalle sfumature azzurrine.
“No!”
gridò la monaca,
tendendo una mano verso l'animale che avrebbe voluto con tutte le sue
forze annegare in una tinozza, e che invece le stava sfuggendo.
Marissa
rimase concentrata
quel tanto che bastava per guidare il volo del prilne oltre
il
tetto del monastero e nel cielo aperto, per poi farlo posare
delicatamente sulla cima di un albero che cresceva vicino alle mura
dell'edificio.
La
porta secondaria delle
stanze della Priora veniva usata ormai di rado. Pochi visitatori si
spingevano fino agli scoscesi dirupi di Argoer, e quei pochi che lo
facevano non erano abbastanza importanti da necessitare l'uso di un
ingresso riservato e appartato. Fu per questo che la piccola porta di
legno verde cigolò sui suoi cardini quando un servitore
l'apri,
accompagnando il gesto con un movimento plateale del braccio. La
Priora Adeliz impiegò qualche istante ad abituare gli occhi
alla
luce penetrante dell'esterno, così in contrasto con la
penombra in
cui versavano perennemente le sue stanze. La donna che aveva di
fronte, valutò Adeliz, era giovane. Vestita con abiti
pratici che le
avevano permesso di coprire la non indifferente distanza che separava
il monastero dalla Cittadella di Letha, la delegata indossava uno
spesso mantello verde e il cappuccio calato sulla fronte.
Entrò a
passo deciso, in un modo che non piacque alla Priora. Cosa si
insegnava alle ragazze in quella terra selvaggia e amorale? Ad essere
sfrontate e sfacciate come quella ragazza? Comportamenti ben
più
adatti a un uomo, questo era certo! Quando la donna le porse la mano,
Adeliz la strinse senza preoccuparsi di nascondere uno sguardo di
riprovazione all'abbigliamento e ai modi della sua ospite.
Perché la
delegata non indossava un semplice abito da cavallerizza,
bensì un
paio di pantaloni da uomo. Adeliz si disse che se fosse dipeso da
lei, mai e poi mai avrebbe permesso a quella donna di portare via una
delle sue protette. Se ne avesse avuto il potere avrebbe tenuto
ognuna di quelle giovani al sicuro tra le mura del monastero,
insegnando loro una vita di modestia e rettitudine.
Ed
invece ecco che si
presentava alla sua porta una donna abbastanza giovane da poter
essere sua figlia, che la guardava da pari a pari, quasi con
arroganza, e che incarnava tutto ciò che lei più
temeva della
sregolatezza e della lascivia del mondo esterno.
Tuttavia
si impose di essere
cortese e salutò la donna con un cenno misurato del capo.
“Benvenuta
ad Argoer,
delegata” disse con voce piatta. “Avete fatto un
lungo viaggio
fin da Letha.”
“Eterno,
oserei dire!”
commentò l'altra, scoprendo finalmente il capo e sfilandosi
i
guanti, che porse con noncuranza al servitore che l'accompagnava.
“Ma
vi ringrazio per il vostro caloroso benvenuto.”
Che
ci fosse una traccia di
sarcasmo in quelle parole? Adeliz ne ebbe il sospetto, ma non
riuscì
a stabilirlo con certezza. Preferì soprassedere.
“Il
mio nome è Siobhan
della Quarta Stella” si presentò infine la donna.
“Siete
molto giovane”,
commentò la Priora.
“Vi
assicuro, Priora, che
sono più che qualificata a portare il mio titolo... e a
portare a
termine questa missione” ribatté la delegata senza
scomporsi.
Adeliz
rimase in silenzio
qualche secondo, annuendo quasi impercettibilmente con il capo.
Quindi si riscosse e disse, con perfetta cortesia: “Sarete
stanca... lasciate che vi faccia preparare una stanza.”
Siobhan
fece un gesto di
diniego. “Vi ringrazio, ma intendo ripartire
subito.”
“Subito?”
L'anziana
donna era scandalizzata. “Ma sono più di otto
settimane di viaggio
per tornare a Letha. Non sentite il bisogno di riposarvi?”
Siobhan
scoppiò a ridere.
“Vedo che non avete davvero fiducia nelle mie
capacità, Madre.
Sono stata addestrata per questo, e il mio compito è
riportare la
ragazza a Letha il prima possibile. Gradirei però, se non vi
spiace,
avere qualche informazione su di lei.”
“Ma
certo, prego
accomodatevi” disse Adeliz, indicandole due comode poltrone
di
pelliccia di fronte al camino. Batté le mani e il servitore
si
avvicinò solerte.
“Fai
portare una coppa di
vino zuccherato per Lady Siobhan. Forza, che aspetti?”
Siobhan
sprofondò grata
nella poltrona assegnatale, allungando le gambe verso il fuoco.
Fortunatamente quella missione non le era stata assegnata d'inverno,
almeno di questo poteva essere grata. Se fosse stato così,
se avesse
dovuto avanzare nella neve alta e in mezzo alle bufere di neve,
avrebbe dovuto usare gran parte della sua energia mentale per isolare
se stessa e il suo servitore dal freddo, e avrebbe proceduto ad un
ritmo molto più lento.
“Volevate
sapere della
ragazza...” cominciò Adeliz, sedendosi accanto e
lei e posando le
mani rugose compostamente in grembo.
“Avete
qualcosa di
particolare da comunicarmi su di lei? E' indisciplinata? Crea
problemi?”
Dritta
al punto, pensò
Adeliz piccata.
“Marissa
è una brava
ragazza, delegata. Ha buon cuore, ma tende spesso a violare le regole
del monastero. È refrattaria all'autorità e ha
avuto spesso scontri
con le sue insegnanti e con la responsabile del dormitorio, sorella
Jania. Ma è sveglia e intelligente e apprende davvero in
fretta.”
“Ha
qualche parente in
vita?”
“Non
che noi sappiamo. È
un'orfana, per quanto ci concerne; sotto la nostra autorità
da
quando fu portata qui da neonata, come tante delle nostre protette,
d'altra parte.”
“Il
fatto che sia così
indisciplinata non è promettente...”
commentò Siobhan assorta.
“Ma a questo provvederemo noi all'Accademia. C'è
altro che
dovrebbe interessarmi, Madre?”
Siobhan
credette di cogliere
una lieve esitazione nella voce della monaca. “No, credo di
avervi
detto tutto. Volete che la faccia convocare ora?”
“No”
rispose Siobhan
alzandosi in piedi. “Preferisco che mi portiate da lei.
Voglio
vedere con i miei occhi l'ambiente in cui è
cresciuta.”
Nota
dell'autrice: Questa
è la
prima volta che mi cimento con una storia fantasy e non so bene dove
mi porterà questo tentativo. Questa storia è nata
così, d'impulso,
e forse avendo già un'altra storia in corso avrei dovuto
aspettare a
pubblicare ma, anche se non potrò aggiornare velocemente, ho
voluto
comunque buttarmi e vedere se la storia poteva riscuotere interesse.
E' tutto molto nuovo per me, quindi mi farebbe piacere sapere se vi
piace o se sto toppando alla grande^^.
Alla
prossima
Eilan
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Capitolo 2 *** In viaggio ***
“Brutta
piccola strega!”
Sbraitò Jania. “Nessuno ti risparmierà
una buona frustata ora!”
E detto questo fece per colpire Marissa con il dorso della mano.
“Ferma!”
una voce
potente echeggiò nel corridoio, talmente autorevole che
bloccò la
mano della monaca a mezz'aria.
Jania
e Marissa si voltarono
contemporaneamente, l'una con il viso rosso dalla rabbia, l'altra con
gli occhi colmi di lacrime e il labbro tremante.
Lungo
il corridoio si stava
avvicinando una donna sconosciuta, seguita pochi passi più
indietro
dall'anziana priora Adeliz, che faticava a stare al passo con la sua
giovane ospite, soprattutto perché Siobhan aveva percorso
gli ultimi
metri che la separavano da Marissa a passo svelto.
“Lasciate
stare quella
ragazza!” tuonò la delegata piantandosi di fronte
a Jania, con le
mani sui fianchi.
La
monaca lasciò
istintivamente andare Marissa; la bambina appariva indecisa. Era
troppo spaventata per restare accanto alla propria tormentatrice, ma
ancora troppo intimidita per correre da una perfetta sconosciuta.
Jania
lanciò un'occhiata
alla priora Adeliz, che aveva nel frattempo raggiunto il gruppetto,
ancora col fiato grosso per lo scatto finale.
“Ma..
madre, la ragazza
deve essere punita, ha infranto diverse regole del
monastero!”
protestò Jania. “E' uscita senza permesso dalla
sua camerata, ha
nascosto un animale qui nell'edificio.... e ha usato la
magia!”
Siobhan
osservava divertita
la ragazzina intimorita che aveva di fronte.
“La
magia, eh? E dimmi
Marissa, come puoi usare la magia senza addestramento?”
“Mi
ha colpita!”
intervenne Jania ancora rossa in viso. “Mi ha colpita vi
dico! Qui
sulla mano...” la donna mostrò una bruciatura sul
dorso della
mano. “E poi ha fatto volare quella bestiaccia che teneva
nascosta.”
“Calmatevi
ora, sorella
Jania” intervenne la priora conciliante. “Lasciate
che sia
Marissa a rispondere alle domande della delegata. Voi andate a farvi
medicare quella mano, ne avete bisogno.”
“Ma,
madre...” tentò
ancora di protestare la donna. “La sua punizione...”
“Ora
basta sorella!”
tagliò corto Adeliz. “Sarà mia cura
occuparmi personalmente di
questa faccenda. Avete qualcosa in contrario forse?”
Sorella
Jania chinò il
capo. “No, certo, madre. Con permesso...” disse tra
i denti, poi
si allontanò ancora fumante e tenendosi la mano ferita.
Siobhan
attese che quella
donna sgradevole ebbe voltato l'angolo per riformulare la domanda a
Marissa. Quella buffa ragazzina dai capelli rossi non sembrava in
grado di mettere insieme due parole... come poteva usare la magia nel
modo descritto dalla monaca?
“Rispondi
alla delegata,
Marissa” la incoraggiò la priora.
“Io...
non lo so, signora.
È come se avessi quelle parole dentro di me, come se
premessero per
venire fuori. E tutto a un tratto – quando sono arrabbiata o
impaurita – riesco a tirarle fuori... e qualcosa
accade...”
concluse facendo un cenno con il capo nella direzione in cui si era
appena allontanata la prova vivente che, se minacciavi quella
ragazzina, qualcosa effettivamente accadeva,
Siobhan
pensò che Marissa
fosse meno debole e patetica di come l'avesse giudicata al primo
sguardo. Sapeva rispondere, e a tono, a quanto pareva.
“Sai
chi sono io,
ragazza?”
Marissa
annuì lentamente.
“Mi hanno parlato di voi. Mi hanno detto che sareste venuta a
portarmi via.”
“Bene,
così possiamo
risparmiarci i convenevoli. Io sono Siobhan e ho il compito di
accompagnarti a Letha, per iniziare il tuo addestramento. È
inutile
che tu faccia domande, perché non avrai risposte. Le cose ti
verranno spiegate a tempo debito, ma non sta a te decidere come e
quando. È tutto chiaro?”
Marissa
annuì, cupa. Quella
donna non le piaceva, ma tutto sarebbe stato meglio che restare al
monastero, alla mercé di sorella Jania. Non le importava
dove quella
donna volesse portarla, purché fosse molto lontano da
lì.
“Allora
vai a preparare il
tuo bagaglio, un baule piccolo al massimo. Partiremo da qui entro
un'ora.”
Città
di Conne
Palazzo
di Alcaeus
“Brindiamo
al mio amato
figlio, la cui partenza che si avvicina mi spezza già il
cuore!”
A
quelle parole Damien
guardò suo padre divertito. La sua faccia rubizza era
davvero buffa,
soprattutto se accostata a quelle parole drammatiche. Ma Alcaeus
aveva sempre avuto il gusto del dramma, inclusa l'idea di organizzare
quell'opulento banchetto per festeggiare la partenza di Damien. Suo
padre non aveva badato a spese per imbandire quella lunga tavolata,
né aveva lesinato sugli scellini sborsati per il corposo
vino rosso
che scorreva a fiumi tra i commensali. Damien ne aveva sorseggiato
una coppa, e sua madre Catlin e sua sorella Dorelynn avevano bevuto
appena un sorso, solo per non sembrare maleducate; ma era chiaro che
suo padre avesse alzato decisamente troppo il gomito. A metà
banchetto faceva già fatica ad alzarsi dalla sedia, ed ora
che il
dolce era stato servito e che i musici erano in procinto di attaccare
le loro melodie struggenti, Alcaeus era decisamente brillo. Dal
momento che Damien era stato costretto a sedere accanto a lui non
aveva avuto altro da fare che contare, bicchiere dopo bicchiere,
tutto il vino che suo padre aveva ingurgitato. Non che avesse avuto
molto altro da fare: i banchetti lo annoiavano a morte, soprattutto
perché erano pieni di gente noiosa e molto più
grande di lui.
Dopotutto quale sedicenne pieno di energia avrebbe desiderato
trascorrere il tempo in quel modo? Non vedeva l'ora di scappare via,
e a dimostrazione di questo teneva le mani sui braccioli della sedia
e i gomiti sollevati, come qualcuno che è pronto a fare uno
scatto
da manuale. Era almeno un'ora che attendeva la scusa per potersi
dileguare senza apparire maleducato agli occhi di quegli ospiti che,
in fondo, erano lì per lui. E per non mettere in imbarazzo
suo padre
davanti ai suoi amici della Gilda Mercantile di Conne. Damien non
ebbe altra scelta che sorbirsi il lungo intrattenimento dei
menestrelli, che gli altri ospiti ascoltarono rapiti; a qualche dama
scese perfino qualche lacrimuccia di commozione. Dopo un tempo che
gli sembrò interminabile, finalmente i menestrelli si
congedarono,
sparendo in un turbinio di applausi sentiti e con in collo i loro
strumenti.
Finalmente.
Damien
alzò gli occhi al cielo
con uno sbuffo, e poi si osservò rapidamente intorno per
assicurarsi
che nessuno lo avesse notato. Ma aveva esultato troppo presto,
perché
al posto dei musici, presentati con pomposità da Gurnan, il
maggiordomo della casa, fecero il loro ingresso i giocolieri e i
saltimbanchi.
Alcaeus
rivolse al figlio uno sguardo complice, convinto di averlo
piacevolmente sorpreso con quella trovata. Damien ricambiò
con un
sorrisetto forzato.
Presto
la sala del banchetto si riempì delle risa degli ospiti e
del
chiasso dell'esibizione. Era veramente troppo. Damien si
chinò per
sussurrare qualcosa all'orecchio del padre, ma quello, troppo brillo
e distratto dallo spettacolo per capire bene cosa il figlio gli
dicesse, fece appena un cenno di assenso in risposta. Damien si
alzò
e cominciò a guadagnare l'uscita della sala, ignorato dai
più. Si
voltò solo per afferrare l'occhiata significativa di sua
sorella,
seduta dall'altra parte della sala, nel settore riservato alle donne.
Dorelynn alzò un sopracciglio, e un sorriso divertito le
incurvò le
labbra. Damien sorrise in risposta e agitò la mano in un
ironico
segno di saluto.
Ti
odio, gli
disse lei in labiale.
Poi sorrise di nuovo e lo invitò ad allontanarsi con un
cenno del
mento. Cosa aspetti?
Quando
fu nel corridoio che
conduceva al piano di sopra, dove si trovavano le stanze della
famiglia, Damien tirò un sospiro di sollievo. Ancora un
altro minuto
in quella sala e si sarebbe colpito in testa con la coppa d'argento
massiccio da cui i commensali sorseggiavano il vino.
Seguì
il corridoio
illuminato da ampie vetrate che lasciavano filtrare la piena luce di
quel giorno d'estate, e decorato da numerosi arazzi ricamati appesi
alle pareti. All'improvviso uno di essi si mosse proprio mentre
Damien ci passava di fronte. Il ragazzo sussultò e fece un
balzo
all'indietro, portando la mano allo spadino che aveva alla cintura.
Era stato un dono di suo padre, qualcosa che tutti i gentiluomini di
Conne portavano come segno distintivo. Ma in realtà
praticamente
nessuno di loro avrebbe saputo come usarlo, e Damien non faceva
eccezione.
Una
risatina provenne da
dietro l'arazzo, e Damien, riconoscendola, scostò la tenda
senza più
timore.
“Sei
impazzita?”
bisbigliò divertito, mentre le braccia di Elise l'attiravano
a sé.
“Credevo
mi avresti fatto
aspettare in eterno! Non finiva più quello stupido
banchetto?”
mormorò la ragazza cominciando a baciarlo sulla bocca,
ricambiata da
Damien.
Elise
aveva la sua stessa
età ed era una delle cameriere di sua madre. La loro storia
andava
avanti ormai da due mesi, e Damien sapeva che si sarebbe presto
stancato di lei. Le sue cotte non duravano di solito più di
un mese.
Ma non era certo il caso di dirlo ad Elise.
“Bé,
come vedi ora sono
qui solo per te” disse con un sorriso seducente.
Quando
sgattaiolò fuori
dalla camera che Elise divideva con altre tre cameriere – ora
tutte
impegnate nel loro lavoro – Damien si aggiustò la
camicia, mentre
un servo che transitava per il corridoio si schiariva la gola facendo
finta di non averlo notato, e tributando al suo padroncino uno
sbrigativo cenno del capo. Damien si concesse un sorriso di
autocompiacimento.
Quando
entrò in camera sua,
invece della calma che avrebbe desiderato, ci trovò un
esercito di
domestici intenti a preparare i suoi bagagli, a piegare abiti, a
spostare bauli da una parte all'altra della stanza. Al centro della
stanza, intenta a dispensare ordini, rimproveri, e a coordinare
l'intera operazione, stava sua madre. Catlin, algida ed elegante nel
suo abito di seta viola, teneva tutto sotto controllo con pochi cenni
e parole misurate, senza scomporsi e senza perdere mai la calma. La
sua camera era talmente sottosopra che, sebbene non gli fosse mai
interessato nulla di tenerla in ordine o pulita, poiché
erano gli
altri a pensarci per lui, Damien provò l'impulso di mettersi
le mani
nei capelli.
“Oh,
Damien, sei qui
caro...” lo chiamò sua madre. “Che fine
avevi fatto? Tuo padre
ha detto che ti sentivi indisposto e per questo hai lasciato il
banchetto. Ma sei sparito per due ore...”
“Sono
stato occupato,
madre” rispose lui con noncuranza, individuando un angolo del
letto
sgombro da abiti e gettandovisi senza eleganza. Scalciò via
gli
stivali e si sdraiò intrecciando le mani dietro la nuca. Sua
madre
gli lanciò un'occhiataccia, notando che uno stivale per poco
non
aveva colpito uno dei servitori.
“Scusa
Marius!” gridò
Damien, alzando il braccio.
“Non
è niente signorino,
non preoccupatevi” rispose il servitore.
Damien
evitò con cura il
secondo sguardo inceneritore di Catlin.
Poi
con un sospiro la donna
prese due casacche che una serva le porgeva e le parò
davanti al
figlio, battendo il piede per terra per richiamare la sua attenzione.
“Credo
che ti serviranno
entrambe... cosa ne pensi?”
“Non
sono più un bambino,
madre!”
“Chi
ti tratta come un
bambino, Damien?”
“Papà
per esempio”
ribatté Damien tirandosi a sedere sul letto. “Non
conta niente che
io non voglia andarci in quella dannata accademia?”
“Non
parlare così
dell'Accademia. È un grande onore essere ammessi, lo sai.
Perfino i
figli del conte di Pontard erano in lizza per entrare, ma non sono
stati scelti. Dovresti essere fiero di essere tra i pochi
eletti.”
“Forse
non sono entrati
perché papà ha saputo oliare le ruote giuste e ha
fatto tintinnare
la sua borsa più rumorosamente del conte e di tutti gli
altri!”
“Damien!”
lo rimproverò
Catlin scuotendo la testa. Cosa doveva fare con quel figlio tanto
intelligente, quanto indolente e svogliato? Alcaeus non era mai
riuscito a farlo appassionare a niente: musica, latino,
equitazione... aveva provato qualunque cosa, speso un mucchio di
soldi per quel figlio prediletto e ingrato. La pressione a cui il
mercante sottoponeva il suo unico erede maschio aveva finito per
allontanare irreparabilmente padre e figlio, per far sì che
Damien
mal tollerasse l'ambizione e le aspettative che Alcaeus nutriva nei
suoi confronti.
Non
prendertela con mamma. Fa quello che può per mettere pace
tra te e
papà. Damien
sobbalzò
visibilmente e il cuore gli balzò in gola. Volgendo lo
sguardo oltre
sua madre, notò che sua sorella era appena entrata nella
stanza.
Ti
avevo proibito di farlo senza preavviso! Era
irritato: si era lasciato cogliere di sorpresa come un bambino.
Odiava quando Dorelynn entrava nella sua mente senza farsi avvertire.
Sebbene quella capacità fosse comune ai due fratelli, Damien
doveva
ammettere che lei sapeva padroneggiarla molto meglio. Forse
perché
aveva trascorso molte ore a esercitarla, e a studiare in biblioteca
su tomi polverosi che Damien non avrebbe toccato nemmeno con un
bastone.
“Buongiorno
madre” salutò Dorelynn, baciando la guancia di
Catlin. “Damien...”
aggiunse come se lo vedesse per la prima volta.
Lui
rispose con un sorrisetto forzato. Prima o poi
riuscirò
anch'io a coglierti impreparata. La
risata mentale di Dorelynn gli riempì le orecchie. Smettila!
Le
gridò.
Ok,
scusa. Pace d'accordo? Non sono venuta per farti arrabbiare.
Dopotutto questa sarà l'ultima notte che passeremo sotto lo
stesso
tetto.
“Dorelynn
visto che sei
qui, che ne dici di darmi una mano con le preparazioni? Non riesco a
trovare Elise da nessuna parte...”
“Ma
davvero?” commentò
Dorelynn scoccando un'occhiata divertita a Damien.
“Certo,
madre. Con
piacere.”
“Oh,
bene!” esclamò
Catlin sollevata, battendo le mani. “Allora vado a
controllare gli
abiti che sono negli armadi invernali... il mantello di pelliccia, e
forse anche quello di velluto... so che a nord può fare
freddo
d'inverno. E pensare che quei mantelli non escono dagli armadi da
quel viaggio che vostro padre fece a Thissuivalon! Dico io, non
potevano costruire qui a sud quell'Accademia? Gli iniziati avrebbero
goduto di un clima sicuramente più salubre...” e
continuando a
rimuginare sulla propria idea, uscì dalla stanza, seguita
ossequiosamente da un paio di cameriere.
Dorelynn
aspettò che la
porta si chiudesse alla spalle della madre, poi si sedette accanto al
fratello. Restarono alcuni minuti in silenzio, fissando la parete di
fronte a loro. Non avevano il coraggio di dirselo, ma l'imminente
separazione era dolorosa per entrambi. Fin da quando avevano
condiviso il ventre materno, sedici anni prima, i due gemelli non
erano mai stati troppo lontani l'uno dall'altra. Avevano condiviso un
affetto e un legame unici. Il fatto di potersi leggere nel pensiero e
di poter comunicare tra di loro senza usare le parole era forse una
manifestazione di questo legame, ma nessuno dei due poteva dirlo con
certezza. Solo fare ipotesi.
Fu
Damien a rompere quel
pesante silenzio. Ogni traccia di allegria era sparita dalla sua
voce.
“Allora
sei proprio
decisa?”
“Lo
sono” rispose
Dorelynn con fermezza. “Non ho nessuna intenzione di
fidanzarmi con
uno dei ricchi, vecchi e brutti soci in affari di nostro
padre.”
Era
tradizione a Conne, e in
tutti i territori del sud, che al compimento dei sedici anni le
giovani potessero scegliere se fidanzarsi o partire per unirsi alle
Zarall, le donne guerriere che vivevano nella foresta di Smeraldo, a
metà strada tra Conne, città portuale del grande
sud, e Letha,
principale centro dei territori dell'est. I due territori erano uniti
da poco più di un lembo di terra.
Pochissime
ragazze
sceglievano di barattare un futuro sicuro nelle loro città
natie,
per una vita sicuramente più dura e selvaggia, fatta di
lunghe ore
di addestramento e sacrifici, che le avrebbe trasformate in temibili
guerriere.
Le
Zarall avevano ottenuto
quell'accordo con il sud quasi due secoli prima, in cambio
dell'impegno a sorvegliare la frontiera tra i territori dell'est e le
città mercantili del sud. La foresta di Smeraldo si trovava
in
posizione strategica per questo scopo. Con il controllo delle Zarall
era impossibile che qualcuno ostile alle città del sud
superasse
quello stretto lembo di terra. Quindi, nessuna famiglia poteva negare
ad una ragazza il diritto di diventare una Zarall, se lo desiderava.
Le Zarall da parte loro avevano chiesto che nessuna ragazza venisse
obbligata: diventare una di loro doveva essere una libera scelta. Ed
una scelta libera era stata quella di Dorelynn.
“Lo
hai già detto a
nostro padre?”
“Sì,
ma non credo che
darà una festa per me, se è questo che ti stai
chiedendo. Non ha
nemmeno cercato di dissuadermi con molta energia. Sembrava perfino
sollevato quando non ho ceduto. Credo che alla fine sarà
contento.
Darà una figlia alla protezione delle nostre terre e un
figlio
all'Accademia delle Sette Stelle... e poi perché spendere
una dote
per farmi sposare? Così non gli costerò nemmeno
una sovrana d'oro.”
Damien
si accorse
dell'amarezza, ben mascherata, nelle parole della sorella e di
slancio l'abbracciò.
“Per
quel che vale, io
sono molto fiero di te. Sapevo che eri destinata a qualcosa di
grande.”
“E
a te non mancherà
Elise?” lo stuzzicò Dorelynn.
“Ma
smettila!” rise lui,
tirandole la treccia senza violenza, come facevano da bambini quando
volevano farsi i dispetti.
“Anche
tu rendimi fiera,
d'accordo?” disse Dorelynn in tono serio, dopo qualche attimo
di
silenzio. “So che non è quello che avresti voluto
fare... imparare
la magia. Ma cerca di farlo nel miglior modo possibile. Un buon mago
è cosa rara oggigiorno, ed è utile quanto una
Zarall per la
sicurezza delle nostre terre.”
“Lo
farò per te”
rispose Damien mettendole un braccio intorno alle spalle. “E
potremo tenerci sempre in contatto. Prometti di raccontarmi tutto? Io
farò altrettanto...”
“Non
ti libererai di me
così facilmente, fratellino” ed entrambi si
lasciarono andare a
una risata liberatoria.
Angolo
Autrice: Ed
ecco il secondo
capitolo, in cui facciamo la conoscenza di Damien e della sua gemella
Dorelynn. Marissa inoltre viene portata via dal monastero e inizia il
suo viaggio verso Letha e l'Accademia. Nei prossimi capitoli
cercherò
di spiegare meglio la geografia di Euhalon, il mondo in cui si
muovono i nostri personaggi. Lo farò sicuramente tramite una
breve
descrizione scritta, e spero di riuscire anche a pubblicare una mappa
o un link ad essa. Non so se sarà possibile, ma ci
proverò. Che ne
pensate di Damien? So che non è il classico eroe senza
macchia e
senza paura, e quindi mi incuriosisce sapere come vi sembra.
Ringrazio tutti coloro che leggono/seguono/recensiscono...
Alla
prossima,
Eilan
|
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Capitolo 3 *** La torre oscura ***
Da
quando erano montate in
sella ai loro cavalli, Marissa non aveva aperto bocca, limitandosi a
fissare il movimento del collo dell'animale che la portava in groppa.
D'altra parte neanche Siobhan sembrava in vena di fare conversazione,
né di spiegare a Marissa dove stessero andando. Dietro di
loro
cavalcava un servitore di poche parole e di aspetto comune, e con lui
sulla sella portava i bagagli delle due donne. Marissa alzò
le
spalle a quella mancanza di interesse che Siobhan manifestava nei
suoi confronti. Al diavolo! Pensò
irritata. Se non è
interessata a me perché io dovrei esserlo a lei?
Con
questa rinnovata
risolutezza si dedicò intensamente a guardarsi intorno,
visto che,
da quando era nata, non aveva mai avuto occasione di lasciare il
monastero e non conosceva che quelle anguste, grigie mura. Aveva solo
potuto immaginare il mondo esterno, da quel poco che si intravedeva
dalle strette finestre e dal chiostro del monastero. Da quella
prospettiva le era sembrato che la foresta di Argoer fosse molto
fitta e incredibilmente verde, e si accorse che non aveva avuto
torto. Il monastero era immerso nel cuore della foresta, senza altri
insediamenti umani per molte miglia. La cittadina più
vicina,
Dewville, si trovava parecchio più a sud, tanto che quando
al
monastero occorrevano provviste che le monache non potevano
coltivare, o quando il cibo scarseggiava, o quando mancava la stoffa
per gli abiti, ognuno di quei beni impiegava giorni e giorni per
raggiungere il monastero. Questo era dovuto non solo alla distanza,
ma anche al fatto che nella foresta non esistessero strade degne di
questo nome, sicuramente non le strade cui la gente delle grandi
città del sud era abituata; piuttosto stretti sentieri, erti
e
scoscesi, che si snodavano tra rocce e vegetazione.
La
foresta era composta
principalmente di alberi sempreverdi, conifere e abeti che
ricoprivano il grande nord di Itul a perdita d'occhio. Il clima
lì
era molto freddo d'inverno, e Argoer, e con essa anche i tetti del
monastero, veniva puntualmente ricoperta da uno spesso strato di neve
che imbiancava ogni cosa già all'inizio di novembre, mentre
le
monache e le novizie erano costrette ad avvolgersi in pesanti scialli
di lana non tinta e a soffiarsi continuamente sulle mani inguantate
per scaldarle. Ripensando ai rigidi inverni trascorsi ad Argoer
Marissa rabbrividì: se c'era qualcosa che si augurava di non
dover
più sperimentare, era quel freddo terribile.
Chissà se nel posto in
cui la stavano portando, Letha, il clima era più mite? La
ragazza si
augurò ardentemente di sì.
La
foresta era anche
popolata di moltissimi animali, alcuni, piccoli come i prilne,
riuscivano perfino a sconfinare nel monastero, arrampicandosi sui
muri o sfruttando qualche porta di servizio lasciata aperta. Tuttavia
qualsiasi tipo di animale era severamente vietato all'interno
dell'edificio e, se era abbastanza piccolo da essere maneggiato senza
pericolo, sorella Jania lo affogava in un secchio d'acqua. Per questo
Marissa si era data tanta pena per salvare quella povera bestiolina:
sapeva che la vita era ingiusta, ma non doveva esserlo per forza se
lei poteva fare qualcosa. Alemno Siobhan era giunta in tempo a
salvarla dalla punizione che Jania le avrebbe riservato. Come odiava
quella donna! Era così contenta di non doverla vedere mai
più in
vita sua. Una fitta di rimorso le agitò lo stomaco pensando
ad
Orlen, e a tutte le altre bambine e ragazze che non erano state
fortunate quanto lei e che non avrebbero potuto lasciare il
monastero. E tutto per quella strana cosa che chiamavano magia;
quella forza misteriosa che le era toccata in sorte. Perché
proprio
a lei? Cosa aveva di tanto speciale per meritare quel dono?
Dopo
qualche ora di marcia
in Marissa cominciò a prevalere la curiosità
sulla risolutezza ad
ignorare Siobhan, e, poiché sapeva che non le era permesso
fare
domande, si dedicò a studiare la sua misteriosa salvatrice.
Siobhan
era senza dubbio la donna più bella che avesse mai visto, e
al suo
confronto Marissa si sentì piccola e scialba, con quella
chioma di
capelli rossi che tutti le prendevano in giro. Invece i capelli di
Siobhan erano del colore del grano maturo, e il suo viso ricordava a
Marissa l'angelica perfezione marmorea della statua della beata
Laodamia che troneggiava nella cappella del monastero. Ad Argoen non
si era mai badato all'aspetto fisico: le monache erano coperte da
capo a piedi, cosicché del loro corpo non fosse visibile che
l'ovale
del viso; e alle allieve veniva inculcato lo stesso senso di modestia
mediante abiti informi e dai colori scialbi, che le facevano sembrare
tutte uguali, tutte accomunate dal medesimo aspetto triste e scialbo.
Ma Siobhan indossava un corpetto attillato, stretto sotto il seno con
dei lacci, e addirittura dei pantaloni aderenti che le mettevano in
risalto le belle gambe, senza preoccuparsi di sembrare impudica.
Lasciava che la chioma dorata le fluisse libera lungo la schiena e
non temeva di dire ciò che pensava, ignorando l'obbedienza e
la
modestia che a Marissa erano state insegnate per tutta la vita. Tutto
in Siobhan le parlava di spregiudicata femminilità e Marissa
avrebbe
dato qualunque cosa per assomigliarle almeno un po'.
Doveva
averla fissata con
troppa insistenza perché ad un certo punto Siobhan si
voltò a
guardarla. Marissa era sicura che l'avrebbe rimproverata, invece la
donna rimase in silenzio alcuni attimi prima di chiedere:
“Quanti
anni hai, Marissa?”
La
ragazzina arrossì.
“Tredici, signora.”
“Tredici?
Sei grande per
iniziare il noviziato...”
Irritata
dal non sapere
nemmeno di cosa quella donna stesse parlando, Marissa
sbottò:
“Allora avreste dovuto scegliermi prima!”
“Impertinente!”
rispose
Siobhan secca. “Non sta a te questionare l'operato
dell'Alleanza.”
Marissa si zittì, riportando lo sguardo sul collo del
cavallo,
ancora contrariata.
Quella
ragazzina era
un'insolente, ma Siobhan non poteva negare che avesse ragione.
Perché
l'Airknoril non aveva visto il suo potere fino a quel
momento?
La
figura incappucciata dava le spalle alla stanza in penombra, lo
sguardo fisso sulla finestra di vetro e ossidiana che aveva davanti.
Non si voltò quando i passi si fermarono appena dietro di
lei.
Sapeva già chi fosse.
“L'hanno
trovata”, annunciò gravemente colui che gli si era
avvicinato.
“E
questo ti stupisce?” ribatté l'altro con quello
che, su un essere
umano, avrebbe potuto sembrare un sorriso beffardo.
“Sapevamo
che sarebbe accaduto, prima o poi. Era inevitabile, abbiamo solo
ritardato l'evento; e per tredici anni oltretutto, il che non mi
sembra male come traguardo.”
“Ma
Lysar aveva detto...”
“Lysar
è uno sciocco! Ed è ora che lasci il suo posto,
non credi? Non ha
più l'età per ricoprire la sua carica. Mentre lui
se ne sta lassù,
in quella maledetta torre, a lanciare profezie idiote,
quaggiù c'è
qualcuno che ha deciso di agire invece di farsi guidare dagli dei.
Chi pensi che abbia avuto l'idea di oscurare la ragazza per tutto
questo tempo?”
“Tu....?”
commentò l'altro sbalordito. “Ma gli anziani lo
avevano proibito!
Dicevano che era troppo pericoloso, che c'era il rischio di essere
scoperti....”
“Ecco
perché gli anziani seguiranno il destino di Lysar. Se
vogliamo che i
nostri piani funzionano bisogna correre qualche rischio. È
tempo di
lasciare spazio alla nuova generazione.”
“Ma
alla fine l'Airknoril l'ha trovata lo stesso...”
obiettò dubbioso.
“Non
so come sia successo. Non doveva succedere. È come se la
pietra
avesse sentito il suo richiamo.”
“Ma...”
L'altro
lo bloccò con un cenno della mano. “Non chiedermi
come sia
possibile, ma è quello che è successo.”
Seguirono
alcuni secondi di silenzio assorto. Infine colui che era entrato
nella stanza chiese: “Cosa intendevi quando hai detto che
Lysar e
gli altri della casta devono lasciare spazio? Cosa hai in
mente?”
La
creatura si voltò all'improvviso. Il suo volto non aveva
nulla di
umano, un adunco naso a becco era sormontato da occhi piccoli e
gialli. La sua pelle aveva un colorito ceruleo, cosparso di piccole
macchie nere.
E
questa volta il sorriso malvagio che incurvò il suo volto fu
inequivocabile.
Marissa
si svegliò di
soprassalto, la fronte madida di sudore e il respiro corto,
mettendosi a sedere di scatto. Quel sogno era stato strano e
inquietante, e quella creatura... semplicemente orribile. Si chiese
come avesse fatto la sua mente a partorire simili mostri. Si
guardò
intorno, le pupille dilatate. Poco distante da lei il fuoco ardeva
ancora vivido come la sera prima nonostante fosse quasi l'alba; era
merito della magia di Siobhan, la più straordinaria che
Marissa
avrebbe mai creduto possibile. Con solo poche parole aveva acceso il
fuoco, e aveva fatto sì che si mantenesse vivo tutta la
notte. Le
aveva perfino mostrato che poteva infilare le mani tra le braci ed
afferrare uno dei ciocchi di legno incandescenti senza bruciarsi.
La
delegata era già sveglia
e vigile, in piedi dall'altra parte del fuoco, e si accorse subito
dello stato di agitazione di Marissa. Le si avvicinò, se non
premurosa quantomeno sollecita, e le chiese se fosse tutto a posto.
Marissa
annuì, passandosi
una mano sulla fronte. Le piccole gocce di sudore le bagnarono il
palmo.
“Solo
un brutto sogno”
mormorò imbarazzata. Ora Siobhan l'avrebbe creduta una
ragazzina
paurosa e piagnucolosa.
“Raccontamelo”
ordinò
lei perentoria.
Marissa
storse il naso
infastidita. Cosa dava il diritto a quella donna di immischiarsi dei
suoi sogni, quando lei non le permetteva nemmeno di fare una semplice
domanda? Al monastero l'avevano sempre giudicata refrattaria
all'autorità e in quel momento Marissa pensò che
non avessero avuto
tutti i torti. Non era portata alla cieca obbedienza, e se Siobhan
non era propensa a fidarsi di lei, lei avrebbe agito di conseguenza.
Avrebbe tenuto per sé i propri pensieri, e soprattutto i
propri
sogni. Almeno fin quando non avesse saputo di più della
donna con
cui stava viaggiando e sul luogo dove aveva intenzione di portarla.
“Non
lo ricordo, mi
dispiace” disse alzando le spalle.
Siobhan
la fissò dritta
negli occhi per qualche attimo, come se volesse comunicarle che non
le credeva minimamente. Marissa pensò che avrebbe
insistito... o
peggio: che avrebbe tirato fuori uno dei suoi incantesimi per
costringerla a dire la verità.
Ma
la donna distolse lo
sguardo, apparentemente disinteressata di ciò che poteva
nascondere
Marissa.
“Preparati
a partire” si
limitò a ordinarle. “E' già l'alba e ci
aspetta un altro lungo
giorno di cammino.”
Marissa
consumò la sua
colazione più in fretta che poté, poi
risalì di malavoglia a
cavallo.
Quel
secondo giorno di
marcia sembrò del tutto simile al primo, e già la
ragazza avrebbe
voluto sbuffare dalla noia. Ma con il trascorrere delle ore si
accorse che il paesaggio stava lentamente cambiando. I fitti boschi
di conifere e gli stretti sentieri rocciosi lasciarono il posto a un
immensa valle di erba verde, sul cui fondo scorreva un fiume piccolo
ma impetuoso. Finalmente l'azzurro del cielo, non più
oppresso dalla
cupezza della foresta di Argoer, apparve in tutta la sua
maestosità.
A Marissa sembrò che un peso le venisse tolto dal petto
nell'ammirare quegli spazi aperti così nuovi per lei.
“Quello
è il fiume
Lleney” annunciò Siobhan, rallentando il cavallo
di modo che
Marissa potesse affiancarla. “Siamo fuori dalla foresta di
Argoer.”
“E'...
è bellissimo”
mormorò Marissa estasiata. Un'aquila sorvolò le
loro teste in
quello stesso momento, lanciando il suo fiero richiamo.
Per
la prima volta, di
fronte all'ingenuo stupore di Marissa, le labbra di Siobhan si
incurvarono in un accenno di sorriso, che però si spense
quasi
immediatamente. Un raggio di sole aveva illuminato la figura della
ragazzina, e l'occhio attento della delegata aveva colto uno strano
particolare.
Nel
momento in cui la luce
del sole li aveva colpiti, i suoi occhi avevano cambiato colore.
Dall'azzurro erano divenuti argentei. Per una frazione di secondo, ma
Siobhan era convinta di aver visto giusto.
No,
non è possibile. Non può essere!
“Marissa!”
la chiamò in
tono fermo. E quando la ragazza si voltò verso di lei, si
accorse
che non si era sbagliata. I suoi occhi ora erano argentati,
sfavillanti nella calda luce del giorno.
Le
venne in mente che
l'aveva vista sempre con i capelli sciolti, mentre le altre novizie
del monastero – da quel che aveva potuto notare –
li tenevano
raccolti in trecce.
Marissa
nel frattempo la
stava guardando interrogativamente, chiedendosi se era il caso di
domandare cosa volesse da lei. Ma Siobhan la precedette.
“Raccogli
i capelli”
ordinò.
Marissa
si chiese se avesse
compreso bene. “Cosa?”
“Raccogli
i capelli con le
mani” spiegò impaziente la delegata.
“Mostrami le orecchie.”
Marissa
obbedì, confusa. E
quando eseguì ciò che Siobhan le aveva chiesto,
quest'ultima seppe
di aver visto giusto. Dunque era questo ciò che la priora
non aveva
voluto rivelarle sul conto della ragazza.
“Per
tutti gli dei... un
mezzelfo!” esclamò sbalordita. Il servitore dietro
di lei si
ritrasse istintivamente, facendo innervosire il cavallo che
batté lo
zoccolo sul terreno.
“Padrona!”
esclamò
quasi spaventato. “Dite sul serio?”
Siobhan
si voltò verso di
lui e lo fulminò con lo sguardo. “Stai calmo
Kyrel! Non una parola
di più!”
“Ma..
di cosa state
parlando?” chiese Marissa sempre più confusa.
“Tu
sei un mezzelfo
Marissa” le spiegò la donna in tono calmo.
“Non ne eri al
corrente?”
“Io..
no. Non so nemmeno
di cosa stiate parlando. E perché lui mi guarda
così?” chiese
esasperata facendo un cenno in direzione del servitore.
“Perché
tu sei il frutto
dell'unione tra un elfo e un umano, ma le unioni tra elfi umani sono
proibite qui a Itul, ed anche nel sud e nell'est. Sono proibite da
più di duecento anni.”
Angolo
Autrice: Ed
eccoci al terzo
capitolo, incentrato su Marissa e nel quale si scopre qualcosina in
più su di lei. Quali saranno le sue origini? E
qual'è il suo legame
con le creature che vogliono nasconderla all'Airknoril, la pietra di
cui sapremo di più nei prossimi capitoli? Spero di essere
riuscita a
incuriosirvi e ringrazio come sempre tutti coloro che
recensiscono/leggono/seguono.
Alla
prossima,
Eilan
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Capitolo 4 *** Elfi e umani ***
Marissa
si trovò a tremare
dal freddo quella sera, nonostante lo scialle che teneva intorno alle
spalle e il falò che Siobhan aveva acceso e che scoppiettava
allegramente rischiarando la collinetta sulla quale si erano
accampati. Anche se le giornate estive erano piacevolmente calde,
quando l'oscurità calava sulle Colline dell'Alba
l'umidità giungeva
penetrante e acuta.
Siobhan
si accorse che la
ragazza tremava, sebbene lei non si lamentasse. La guardò
intensamente per alcuni secondi, tanto che Marissa cominciò
a
sentirsi a disagio sotto quello sguardo indagatore. Ma una sensazione
piacevole si impadronì di lei partendo dalla punta dei piedi
per
diffondersi presto in tutto il corpo. Era una sensazione di calore e
in pochi minuti Marissa si accorse che il freddo che aveva provato
fino a quel momento era scomparso, sostituito da un piacevole tepore.
Fissò Siobhan stupita. “Come avete
fatto?”
Siobhan
alzò le spalle,
senza falsa modestia. “E' poco più di un trucco
per me, anche se
richiede una buona spesa in termini di energia se devo mantenere il
calore giorno e notte, per giorni e giorni di seguito. Ma
così com'è
ora è una sciocchezza. Presto imparerai anche tu.”
“Non
credo che ne sarò
mai capace”, mormorò Marissa.
“Dovrai
studiare e
applicarti, questo è poco ma sicuro. Ma se lavorerai sodo
potrai
fare molto, Marissa.”
In
quel momento la ragazza
sembrava davvero una bambina sperduta e spaventata, e per la prima
volta Siobhan provò tenerezza nei suoi confronti. Oltre a
tutto ciò
che stava per affrontare aveva anche scoperto che il suo sangue era
maledetto, frutto di un'unione bandita in tutti i regni di Euhalon.
Ce n'era abbastanza per disorientare chiunque.
Decise
di ridarle un po' di
fiducia in se stessa, e anche di metterla alla prova.
“Riesci
a sollevare questo
ciocco di legno?” chiese indicando uno dei rami incandescenti
che
bruciavano sul fuoco.
“Come
avete fatto voi la
notte scorsa? Dovrei toccarlo con le mani? Ma non potrei mai, mi
brucerei!” protestò Marissa.
“Non
ti chiedo niente del
genere” , la rassicurò Siobhan. “A
questo punto per te sarebbe
impossibile non bruciarti. No, non dovrai toccarlo con le mani, solo
sollevarlo con il tuo potere.”
“Ma
io... non posso...”
insistette Marissa debolmente.
“Sciocchezze
ragazzina!”
tuonò Siobhan. “Abbi un po' di fiducia in te! Non
hai forse
sollevato in volo quell'animale?”
Marissa
deglutì, ancora
incerta, ma pervasa di una nuova fiducia in se stessa; una fiducia
che nessuno prima di quel momento le aveva mai accordato.
Si
concentrò sul ramo che
Siobhan le aveva indicato e incanalò lì tutte le
sue energie. Per
alcuni momenti non accadde nulla, poi il ramo cominciò a
tremare,
spandendo piccole scintille infuocate tutto intorno a loro. Il
servitore, che già la guardava con diffidenza, le
lanciò
un'occhiataccia badando a non farsi notare dalla sua padrona, poi si
spostò ostentatamente alcuni passi indietro.
Marissa
non gli prestò attenzione,
concentrata com'era nel portare a termine il compito che Siobhan le
aveva affidato.
Al
secondo tentativo il
legno si sollevò di qualche centimetro, poi ricadde di nuovo
nel
falò.
“Non
ce la faccio”
sussurrò asciugandosi il sudore della fronte.
“Sì
che ce la fai!
Riprova!” ordinò Siobhan secca.
Questa
volta il tronco
fluttuò nell'aria più dritto e stabile, e Marissa
riuscì a tenerlo
fermo per diversi secondi. Sorrise, felice e soddisfatta, quando
finalmente lo rilasciò. Siobhan le sorrise di rimando.
“Non
male davvero”
commentò ad una raggiante Marissa. “Hai un potere
notevole, non
c'è che dire.”
Poi
a sua volta concentrò
il proprio potere sul ciocco di legno, sollevandolo in aria. Sotto
gli occhi increduli di Marissa lo trasformò in una freccia
di brace
e spingendo le mani in avanti la scagliò con tutte le sue
forze
contro il tronco di un albero, dove si infranse in mille frammenti
incandescenti.
“Come
avete fatto?”
chiese Marissa ammirata. “Voglio imparare anch'io! Vi prego
insegnatemi.”
Siobhan
la zittì con un
gesto della mano. “Ci sarà tempo per questo. A
Letha ti verrà
insegnato tutto ciò di cui hai bisogno. Piuttosto posso
farti una
domanda?”
“Certo.”
“Perché
hai salvato il
prilne?”
Marissa
tutto si sarebbe
aspettata tranne quella domanda, tanto che guardò Siobhan
interrogativamente prima di decidere cosa rispondere. Alla fine disse
semplicemente: “Perché era solo. Come
me.”
Siobhan
si ammutolì,
spiazzata da quella risposta. Ma segretamente cominciava a provare
ammirazione per quella ragazzina. L'aveva malgiudicata: non era
affatto una piccola piagnucolosa e debole. Quando l'aveva incontrata
la prima volta si era chiesta addirittura se l'Airknoril non avesse
fatto una scelta sbagliata, ma sapeva che non era possibile. La
pietra non poteva commettere errori.
Ma
Marissa aveva carattere.
Certo, era timida e insicura. Ma nascondeva una sensibilità
e una
forza d'animo che Siobhan non avrebbe mai creduto possibile.
“Posso
farvi io una
domanda adesso?” azzardò la ragazza, timidamente.
Siobhan,
riscossa dalle
proprie riflessioni, assentì distrattamente.
“Voi
avete detto che le
unioni fra elfi e umani sono proibite. Perché? E se lo sono
come
sono potuta venire al mondo io?”
Domande
non banali, pensò
Siobhan,
sentendo la simpatia verso Marissa crescere.
“E'
una storia lunga, sei sicura di volerla sentire?”
“Devo
sapere da dove vengo” fu la risposta inappuntabile di Marissa.
“All'inizio,
molti secoli fa, la magia era solo appannaggio degli elfi. Loro erano
i possessori e custodi delle Airknoril, le pietre fonte di tutta la
magia che esiste al mondo, e le preservavano gelosamente. Quando i
nemici giurati di entrambe le razze, i Basorahm, mossero guerra ai
territori civilizzati, elfi e umani si allearono per la prima volta.
La guerra che ne seguì, in seguito denominata Guerra di
Terra e di
Mare-”
“Perché
fu denominata così?” la interruppe Marissa.
“Perché
fu la prima guerra combattuta sia per mare che su terra.”
“E
chi sono i Basorahm?”
“Per
gli dei ragazza!” esclamò Siobhan spazientita.
“Ma cosa
accidenti ti hanno insegnato in quello sperduto monastero?”
Marissa
prese la domanda molto sul serio, perché cominciò
ad elencare:
“Studiavamo la storia degli dei, la vita dei santi e dei
beati, le
preghiere, il cucito-”
“D'accordo
basta, ho capito. E la storia? Geografia, matematica,
astronomia...?”
Marissa
apparve genuinamente confusa. “No, niente di tutto
questo.”
Siobhan
sibilò un'imprecazione tra i denti. “Quelle
monache devono essere
pazze più di quello che sembrano. Assurdo! Cosa pensano di
fare? Di
tenere le ragazze nell'ignoranza più totale? Così
non avranno altra
scelta che farsi monache a loro volta, ci scommetto. E
perché la
regina Shandrel permette tutto questo?”
“Non
credo ne sia al corrente, mia signora” s'intromise Marissa.
“Credo
che alla regina stia bene come la priora Adeliz gestisce il monastero
fintanto che le orfanelle e le novizie vengano tenute tra quelle
mure, e non ci sia bisogno di trovare loro un'altra
sistemazione.”
“E'
chiaro, si fa togliere le castagne dal fuoco dalla priora. Una
seccatura in meno a cui pensare. Ma non ci sono monache che decidono
di diventarlo di propria scelta?”
“Bé,
è considerato comunque un onore occupare le posizioni
più di
rilievo all'interno della gerarchia monacale. Sorella Jania per
esempio è una Arlington. Lo so perché non faceva
che ripetercelo,
paragonando il suo alto lignaggio con la nostra nullità.
Credo che
sia una cugina di terzo o quarto grado della regina.”
“E
la priora è una sorella illegittima del vecchio re. Allora
le voci
che ho sentito corrispondono a verità?”
Marissa
annuì.
“La
tua istruzione è a dir poco lacunosa. Dovremo trovare il
modo di
rimediare, una volta che saremo a Letha. Per il momento, visto che il
tempo non ci manca, posso benissimo darti qualche accenno. I Basorahm
sono una razza di stregoni - la cui magia quindi non ha fonte, ma
è
innata - che ha sempre aspirato ad avere il controllo totale su
Euhalon e su tutte le sue razze.”
“Ma
sono umani?”
“Qualche
umano è entrato nel loro ordine in cerca di potere, e alcune
voci
dicono che perfino degli elfi si sono schierati dalla loro parte, ma
non ci ho mai creduto veramente. Ma per la maggior parte sono
creature dall'aspetto inquietante. Io non ne ho mai visti di persona,
ma sui libri di storia le illustrazioni abbondano. Dunque posso
descriverteli per sommi capi: hanno la pelle pallida, tirata,
punteggiata di azzurro. Al posto del naso e della bocca hanno una
specie di becco. Di solito indossano dei mantelli con cappuccio per
passare più inosservati... ed anche perché si
vergognano del loro
aspetto mostruoso. Hanno sempre invidiato la bellezza e la
luminosità
degli elfi, ed anche per questo motivo li odiano.”
“Cosa
accadde quando attaccarono le altre razze?”
“Ci
fu una guerra sanguinosa che durò tre anni. Ma alla fine
furono le
pietre a fare da ago della bilancia. La magia degli elfi era
inevitabilmente superiore a quella dei Basohram ed essi, anche con
l'aiuto delle forze umane, vennero sconfitti e ricacciati nel loro
covo.”
“E
dove si trova questo luogo?”
“Non
lo sappiamo con esattezza. I Basorahm sono sempre riusciti a tenerlo
nascosto, a mantenere una roccaforte da qualche parte in Euhalon da
dove continuare a tessere le loro trame. Dopo la vittoria la gioia
era immensa, ed elfi e umani strinsero legami di grande amicizia. Per
suggellare questa alleanza e la ritrovata pace, il re degli elfi,
Galather Elnan, donò agli uomini una delle Airknoril. La
prese con
sé un grande mago tra gli uomini, l'unico a quel tempo,
Kendell
Fielding, che grazie alla pietra poté realizzare il sogno di
coltivare la magia anche negli uomini. Fondò l'Accademia di
Letha, e
da allora lì vengono addestrati gli aspiranti maghi fra gli
uomini.”
“Ma
se c'era tanta amicizia tra elfi e umani perché ora le
unioni miste
sono vietate?”
“Dopo
due secoli di pace, i Basorahm tentarono di nuovo di attaccare le
altre razze, forti di una nuova magia che avevano appreso. La Seconda
Guerra di Terra e di Mare fu perfino peggiore della prima. Con la
loro magia e con la forza del loro esercito i Basorahm colpirono le
città degli elfi e degli uomini, radendo al suolo molte di
esse. Le
perdite furono notevoli sia in termini di vite umane ma –
ancor più
tragicamente – in termini magici. La maggior parte delle
pietre
Airknoril infatti andò distrutta. Sopravvisse solo quella
custodita
all'Accademia. Venne portata in salvo dal discendente di Kendell
Fielding, Kieran e dal figlio di re Galather, Ruven. Fu solo grazie a
loro che la guerra non venne vinta dai Basorahm.”
“Credete
che l'obiettivo dei Basorahm fosse proprio distruggere le
pietre?”
“Ne
sono certa. Finché una sola di quelle pietre fosse
sopravvissuta,
loro non avrebbero potuto sconfiggere gli uomini e gli elfi, nemmeno
con tutto il loro potere.”
“Ma
perché?”
“Perché
le Airknoril sono gli oggetti più potenti su questa terra. E
rendono
chi li possiede più potente degli altri.”
“Quindi
i Basorahm vennero sconfitti nuovamente?”
“Sì,
ma da quel momento decisero di agire in maniera più subdola,
distruggendo l'alleanza tra elfi e umani, proprio come avevano
distrutto le Airknoril. Cominciarono a spargere la voce che gli elfi
avessero in realtà mentito sulla distruzione delle pietre.
Che
avessero affermato che lo fossero per tenerle per loro senza doverle
dividere con gli uomini, per rimanere la razza più potente
di
Euhalon. Dopo la Seconda Guerra di Terra e di Mare nelle terre
dell'est era stata creata l'Alleanza delle Otto Stelle. Essa
comprende otto regni indipendenti, le cui decisioni comuni vengono
prese da un Consiglio Supremo.”
“Non
avete un re o una regina come la regina Shandrel qui a Itul?”
Siobhan
sorrise. “Fortunatamente no. All'est ogni regno è
retto da un
Consiglio di Anziani. Anche i territori del sud sono composti da
città-stato rette dalle gilde mercantili.
Quando
circolò la voce che le pietre in realtà non
fossero andate perdute
il Consiglio Supremo invitò gli elfi a mostrare
pubblicamente i
frammenti di ogni pietra per provare che fossero state realmente
distrutte.”
“Come
potevano distinguere una pietra dall'altra?”
domandò Marissa.
“Ogni
pietra ha un suo peculiare colore, diverso da tutte le altre. Una
delegazione degli elfi, con a capo il principe Ruven Elnan, si
presentò a Letha portando con sé i frammenti di
ogni pietra, ormai
inservibili perché privi di una fonte di energia primaria,
quella
delle pietre. Ma ne mancava una, una delle pietre più
piccole, per
la cui mancanza gli elfi non sapevano dare una spiegazione
soddisfacente. Il Grande Mago Kieran Fielding provò a
difendere il
suo caro amico Ruven, ma gli altri Consiglieri non vollero
ascoltarlo. I rapporti fra umani ed elfi erano sempre più
tesi.
L'amicizia di un tempo sembrava ormai irrimediabilmente
compromessa.”
“Che
accadde poi?”
“La
situazione era simile a una polveriera a cui bastava solo una
scintilla per esplodere. Una notte ci fu un'incursione a Letha. Un
gruppo di sconosciuti tentò di rubare l'ultimo Airknoril
dall'Accademia. Il tentativo fallì e i colpevoli non furono
catturati, ma sul luogo del misfatto vennero rinvenuti archi e frecce
elfiche, di quella squisita fattura che nessun altra razza saprebbe
imitare. A quel punto le tensioni esplosero: gli umani accusarono
apertamente gli elfi di averli traditi, e gli elfi, che negavano ogni
cosa, furiosi per essere stati accusati di una simile infamia, si
ritirarono definitivamente a Valchir, il loro territorio del nord.
Sigillarono i loro confini con la magia, impedendo a chiunque
l'accesso. Nel territorio dell'Alleanza, nelle città
mercantili del
sud, a Itul... ovunque vennero dichiarate fuorilegge le unioni tra
elfi e umani. Da allora nessun elfo è mai più
stato visto nei
territori degli uomini, anche se ci furono delle versioni secondo cui
Ruven Elnan fosse ancora in contatto con il suo amico Kieran. Ma si
tratta solo di voci. Come avrebbe potuto Ruven superare il
confine?”
Marissa
si prese qualche minuto per riflettere su tutte le informazioni che
Siobhan le aveva fornito. Ciò che le sembrava assurdo, ora
cominciava ad acquistare un senso. Ma allora come poteva lei essere
venuta al mondo?
“Quanto
vivono gli elfi?” chiese improvvisamente.
“Oh,
moltissimo. Secoli.”
“E
nell'aspetto io sono simile ad un elfo?”
“Possiedi
alcune caratteristiche inconfondibili, Marissa. Le orecchie a punta,
e soprattutto gli occhi cangianti. Quando non sono illuminati dalla
luce diretta del sole sono del tuo solito colore, altrimenti
diventano argentati. Ma per altri aspetti sei umana. Gli elfi sono
più alti, hanno la pelle molto più chiara, i
lineamenti più
fini... e i capelli del colore dell'argento.”
Marissa
sgranò gli occhi. “Devono essere
bellissimi...” mormorò
trasognata.
“Spaventosamente
belli. Eppure anche inquietanti. Devi comprendere che sono creature
del nord, creature di ghiaccio – o che lo ricordano
incredibilmente. Sono algidi e non molto amichevoli.”
La
ragazza deglutì visibilmente. “Come... come
sarò accolta a Letha?
Voglio dire... avrò dei problemi a causa della mia
discendenza?”
Siobhan
esitò. “Sarà meglio che tu tenga sempre
i capelli sciolti, in
modo da coprire le orecchie. Cancellerò dalla memoria del
mio
servitore il ricordo delle tue origini, ma tu dovrai essere
prudente.”
Angolo
Autrice: Eccomi
finalmente con il nuovo capitolo, e scusate l'attesa, ma come ho
premesso purtroppo i ritmi di pubblicazione saranno questi. Spero che
il capitolo, abbastanza denso di informazioni, vi sia piaciuto e che
sia abbastanza chiaro. Se ci dovesse essere qualcosa che non si
capisce bene, in tutto questo diluvio di informazioni, vi prego di
dirmelo, cercherò di spiegarlo meglio.
Ancora
siamo concentrati su Marissa come avete visto, perché volevo
spiegare la questione elfi-umani rimasta in sospeso nel capitolo
scorso. Nel prossimo ci sarà probabilmente una doppia
narrazione
Marissa-Dorelynn. Per Damien dovremo aspettare il capitolo
successivo, per una questione di esigenze narrative.
E
niente mi farebbe piacere avere un vostro parere :) Grazie a tutti
coloro che recensiscono/seguono/leggono.
Alla
prossima,
Eilan
|
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Capitolo 5 *** Il mare di Azure ***
Waford
era la città più
grande che Marissa avesse mai visto in vita sua. A dir la
verità,
era l'unica e forse non era nemmeno così grande, ma tale
appariva ai
suoi occhi. Era una città costiera ed affacciava
direttamente sul
grande mare di Azure, che avrebbero dovuto attraversare per
raggiungere Letha.
Varcarono
gli alti cancelli
di pietra lavica della città intorno a mezzogiorno, e
Marissa restò
affascinata dalla luce forte del sole al suo zenit che investiva i
mattoni scuri, rendendoli lucidi e brillanti. Le migliaia di piccoli
cristalli argentati contenuti nella pietra rimandavano tutt'intorno
la luce solare, e abbagliavano la vista con uno spettacolo di
sfavillante bellezza.
“Bello,
non è vero?”
sorrise Siobhan notando lo stupore della sua protetta.
“E'...
è meraviglioso!
Non ho mai visto nulla del genere in tutta la mia vita. Come hanno
potuto creare una tale meraviglia?”
“Questo
tipo di pietra
scura abbonda qui, sulla costa. Il sottosuolo ne è ricolmo e
gli
abitanti ne attingono da centinaia di anni. Sono diventati abilissimi
nel lavorarla: è una pietra morbida all'interno, e quindi
facile da
modellare, ma resistentissima all'esterno. Le mura di Waford non
potrebbero essere più sicure di così. Troverai
che gran parte della
città è costruita con questo materiale. Waford
viene chiamata anche
la città nera.”
Siobhan
mostrò le loro
credenziali di viaggio alla guardia che fece loro segno di fermarsi,
poco prima della seconda porta, quella interna, che permetteva
l'accesso diretto in città.
La
guardia, un uomo di mezza
età, vestito di cuoio borchiato, esaminò i
documenti, poi li
restituì a Siobhan facendo cenno alle guardie sulla torretta
di
aprire i cancelli.
“Potete
passare, milady”,
aggiunse, “ma non credo che questi documenti vi saranno
sufficienti
per imbarcarvi. Venite da fuori, giusto?”
“Proprio
così, e dobbiamo
anche tornarci. Che significa che i documenti non sono sufficienti?
Sono passate solo poche settimane da quando sono sbarcata a Itul e
allora le mie credenziali sono andate più che bene per farmi
sbarcare!”
“Non
so perché le cose
siano cambiate, signora” disse la guardia, “ma
è la regina che
ha dato queste nuove disposizioni.”
Siobhan
sbuffò,
contrariata, ma si trattenne. Non aveva senso prendersela con
qualcuno che aveva cercato di essere gentile. Quel nuovo intoppo non
era certo colpa sua. Cosa passava per la testa alla regina Shandrel?
Marissa
prestò poca
attenzione a quello scambio di battute, troppo presa ad ammirare la
bellezza della città. Ed ebbe ancor più da
riempirsi gli occhi non
appena ebbero varcato la seconda porta e furono catapultati in un
mondo fatto di strade affollate, dall'acciottolato anch'esso nero,
dove il vociare della gente si mescolava al rumore degli zoccoli dei
cavalli sulle pietre, al tonfo delle ruote di legno dei carri e alle
strida dei gabbiani che facevano la spola tra il porto e le
bancarelle del mercato, dove speravano di racimolare qualche lisca o
una testa di pesce.
La
luce era accecante e si
rifletteva sulla distesa azzurra del mare, rendendolo scintillante.
Siobhan,
Marissa e il
servitore proseguirono lungo la strada principale, lasciandosi alle
spalle il mercato e la piazza principale, e dirigendosi verso il
porto.
Siobhan
era pensierosa e
irritata.
“Cosa
facciamo con i
documenti?”, osò infine chiedere Marissa.
“Dovrò
recarmi dal
sindaco, non potrà rifiutarsi di vedermi.
Sistemerò la cosa entro
domani, ma temo che dovremo passare la notte qui.”
“Kyrel!”
disse poco
dopo, chiamando a sé il servitore. “Le nostre
strade si dividono
qui, per il momento. Io andrò dal sindaco, ma non
è opportuno che
veniate anche voi. Tieni questo...”
Il
servitore raccolse tra le
mani il sacchetto pieno di monete che Siobhan gli porgeva.
“Accompagna
Marissa alla
locanda del porto e prendi una camera. Assicurati che rimanga
lì
fino al mio ritorno. Intesi?”
“Sì,
signora.”
Marissa
lanciò un'occhiata
preoccupata a Kyrel, ma l'uomo non la guardava più con la
diffidenza
e l'ostilità che Marissa si sarebbe aspettata fino ad un
giorno
prima. Poi, sollevata, rammentò che la sera prima Siobhan
aveva
cancellato dalla sua mente il ricordo delle sue origini.
Seguì
Kyrel senza
protestare, mentre Siobhan si allontanava nella direzione opposta.
Il
porto era ancora più
frenetico dei quartieri commerciali. Decine di navi erano ancorate, e
i marinai e gli uomini di fatica erano intenti a scaricare merci
provenienti da tutta Itul. Pur dall'alto dei loro cavalli, Marissa e
Kyrel dovettero scansarsi più di una volta per non sbattere
contro
qualcuno e qualcosa.
La
locanda dove erano
diretti recava l'insegna “Il lupo di mare”, ed era
affollata di
avventori: marinai che si rifocillavano di cibo e birra, soprattutto,
ma anche mercanti e cittadini comuni. La camera che l'oste diede loro
era pulita e si trovava al primo piano dell'edificio, con vista sul
porto. Marissa rimase a lungo affacciata alla finestra la strada
sottostante e il traffico di navi, che andavano e venivano. C'era un
bel clima a Waford: salmastro e umido, ma piacevolmente caldo.
Immersa
nelle sue
contemplazioni, fu con la coda dell'occhio che la ragazza
notò
qualcuno nascosto all'angolo della strada, che guardava in direzione
della sua finestra. Portava il cappuccio calato sul viso e non si
riusciva a intravederne i lineamenti.
Marissa
ebbe un tuffo al
cuore. Possibile che quell'individuo stesse proprio tenendo d'occhio
lei? Guardò rapidamente a destra e a sinistra della strada,
ma
quando focalizzò di nuovo la sua attenzione sull'angolo di
strada
fra la taverna e il vicolo, l'uomo era scomparso. Marissa si
sfregò
gli occhi: forse aveva lavorato troppo di fantasia. Che sciocca che
era! Probabilmente si trattava di un passante qualsiasi che stava
innocentemente aspettando qualcuno. E lei che aveva pensato... con
un'alzata di spalle Marissa si allontanò dalla finestra.
Siobhan
tornò qualche ora
dopo, e lei e Marissa si sedettero a tavola per la cena. Siobhan era
di umore tempestoso e non disse una parola mentre attendevano il loro
cibo. Solo quando l'oste mise loro davanti due ciotole di zuppa di
crostacei fumante, Marissa trovò il coraggio di chiedere
alla donna
come si fosse svolto l'incontro con il sindaco.
“Si
è profuso in scuse
più false del suo parrucchino untuoso, ma ha spiegato che un
recente
decreto della regina ha stabilito che tutti i viaggiatori in arrivo e
in partenza da Itul debbano essere sottoposti a una rigorosa e
attenta selezione.”
“E
perché?”
“Pare
ci siano stati degli
avvistamenti sospetti”, rispose Siobhan sorbendo una
cucchiaiata di
zuppa e accompagnandola con un pezzo di pane mezzo raffermo. “Solo
voci,
niente di più. Probabilmente qualche marinaio ubriaco o
qualche
massaia troppo credulona.”
“Cosa
hanno visto?”
insistette Marissa, colta da uno strano presentimento.
“Dei
Basorham, dicono...
ma non devi prendere sul serio tutto quello che senti,
Marissa”,
aggiunse Siobhan notando che la ragazzina era impallidita.
“E'...
è possibile?”
“Tutto
è possibile. Ma io
lo ritengo improbabile. Credo che dovremmo prendere con le pinze
qualsiasi tipo di 'voce'.”
“Avete
ottenuto i
documenti necessari alla nostra partenza?”
Improvvisamente
Marissa fu
colta da un nuovo timore: quello di non riuscire mai a lasciare Itul,
di essere condannata a veder partire Siobhan senza di lei e di essere
costretta a tornare al monastero per trascorrerci il resto dei suoi
giorni.
“Per
me non ci sono stati
problemi: non possono negare il visto a una delegata dell'Alleanza.
Ma per te è stato più difficile. Per quanto ne
sanno sei nata a
Itul, appartieni a questa terra. In più sei orfana e senza
credenziali.”
Marissa trattenne il respiro, già pronta ad
abbandonarsi alla disperazione.
“Ma
alla fine la mia
influenza ha giocato il ruolo decisivo. Probabilmente non saresti mai
potuta partire se non fossi stata con me. Ho mostrato loro il
documento firmato dalla priora Adeliz e la richiesta dell'Accademia,
e il sindaco non ha potuto fare altro che firmarmi il lasciapassare.
Non possono rischiare un incidente diplomatico”, concluse
Siobhan,
prendendo un sorso dal suo boccale di birra scura.
Marissa,
alla quale veniva
quasi da ridere per il sollievo, la imitò, sorseggiando la
sua
bevanda a base di Caeruleum, un frutto dolce dalle
sfumature
azzurre che cresceva in cespugli fra le dune delle spiagge. Data la
sua giovane età, non le era ancora permesso bere birra.
Si
sentiva leggera e felice:
Siobhan non l'avrebbe riportata indietro, l'Accademia la voleva
davvero, presto avrebbe attraversato il mare per lasciarsi alle
spalle il suo passato. In quel momento aveva del tutto dimenticato
l'incidente di quel pomeriggio.
Era
da poco passata la
mezzanotte quando Marissa si trovò intrappolata in un'altra
fitta
ragnatela di incubi. Dapprima sognò un'accecante esplosione
di luce
bianca, tanto forte che sembrava quasi accecarla. Nient'altro: solo
una porta che si apriva e poi quella forte esplosione che inondava di
bianco il suo intero campo visivo.
Poi
le immagini cambiarono e
Marissa fu trasportata in luoghi che non aveva mai visto: laghi,
montagne, fiumi, foreste... quasi sempre viste dall'alto, come in una
panoramica. Era come se riuscisse a vedere con gli occhi di qualcun
altro.
All'improvviso,
inaspettato
e inquietante, udì un richiamo. Non si trattava di una voce,
o di
parole suadenti, ma di un richiamo mentale.
Era
talmente forte che
l'attirava a sé come una calamita. Marissa sentì
gocce di sudore
imperlarle la fronte mentre cercava di resistere a quel richiamo,
sempre più potente, tanto che pareva tirarla a sé
con corde e
catene.
Senza
neanche rendersene
conto scostò le coperte e scese dal letto. Era presente, ma
era come
se il suo corpo non le rispondesse più. Dall'altra parte
della
stanza Siobhan dormiva e non si accorse di nulla. Marissa avrebbe
voluto chiamarla, chiederle aiuto per opporsi alla forza che la
trascinava con sé, ma la sua bocca non le obbediva
più, così come
il resto del suo corpo.
Ancora
scalza scese
dabbasso, nella sala da pranzo semi deserta. Nessuno le
badò. Spinse
la porta della locanda e i suoi piedi la condussero fuori in strada.
I ciottoli neri erano freddi a contatto con i suoi piedi.
Svoltò
l'angolo ritrovandosi nel vicolo adiacente alla locanda.
Davanti
a lei c'era un uomo
incappucciato, fermo in mezzo al vicolo. Marissa non riusciva a
vederlo in viso, ma per qualche strana ragione non aveva paura di
lui. Quel richiamo era dolce, rassicurante. Ma non proveniva
dall'uomo, bensì da una strana luce che egli teneva in mano
e che
l'attirava a sé.
Vieni,
sembrava
dirle, vieni
da me. Non aver paura, io e te ci conosciamo fin dal giorno in cui
sei nata.
Un
passo dopo l'altro
Marissa cominciò ad avvicinarsi alla figura incappucciata.
L'espressione sul viso dello sconosciuto si tramutò in un
ghigno di
trionfo. Era già sul punto di cantare vittoria e di
agguantare
Marissa, quando qualcosa proveniente dall'alto gli piombò
addosso
con un verso stridulo. L'uomo imprecò e cercò di
proteggersi
portando le mani al volto. L'essere che lo aveva attaccato non gli
concedeva tregua, colpendolo con graffi e morsi.
L'aria
umida era satura
degli stridii della strana creatura e delle imprecazioni sibilanti
dello sconosciuto.
Proprio
in quel momento
arrivò Siobhan tutta trafelata, strinse Marissa ancora
incosciente a
sé, e cominciò a trascinarla via.
La
figura alata lasciò
andare l'uomo, ma prima che Siobhan potesse lanciare un incantesimo,
lo sconosciuto la precedette e con poche parole sussurrate scomparve
nel nulla, e con sé la luce abbagliante.
In
quello stesso momento
Marissa si riebbe di colpo.
“Cosa
è successo?” le
gridò Siobhan scuotendola per le spalle.
“Perché sei uscita di
notte?”
“Io..
non lo so Siobhan,
devi credermi! Sognavo questa luce intensa e poi è come se
questa mi
avesse lanciato un richiamo. La luce era la stessa che quell'uomo
teneva in mano. Ti giuro, non sapevo quello che facevo... mi
dispiace!”
Marissa
scoppiò a piangere
e Siobhan tentò di rassicurarla mentre la riportava alla
taverna.
Quando
la ragazza si fu
calmata abbastanza, le raccontò tutto quello che le era
successo,
fin dal momento in cui il suo sonno agitato era cominciato.
Siobhan
rimase in silenzio
anche dopo che lei ebbe terminato il suo racconto.
Marissa
si costrinse a porre
un'unica domanda.
“Siobhan...?”
“Dimmi.”
“Cos'era
quell'essere che
mi ha salvato?”
Siobhan
sospirò prima di
rispondere. “Non lo so, era troppo buio. Non sono riuscita a
capirlo.”
***
Prima di
giungere nel territorio
delle Zarall, Dorelynn dovette affrontare un viaggio di diversi
giorni a cavallo. Era partita con altre quattro ragazze di Conne, e
presto si era sentita in colpa perché era l'unica a
possedere un
cavallo e due servi incaricati di accompagnarla e proteggerla. Con
sua madre Dorelynn aveva protestato dicendo che non era necessario,
che avrebbe preferito affrontare il viaggio da sola. Dopotutto la
presenza stessa delle Zarall al confine tra i due regni rendeva quel
percorso praticamente privo di pericoli. Ma la caparbia Catlin, per
niente entusiasta della partenza della sua unica figlia per una vita
così selvaggia, l'aveva avuta vinta almeno su quello.
Dorelynn
non ci aveva pensato più di qualche minuto prima di decidere
di
cedere la sua cavalcatura a turno alle altre ragazze, che avevano
così
tutte alternato la marcia a piedi a quella a cavallo, ringraziandola
a profusione. Tutte tranne una di loro, la figlia di un pescatore di
nome Galinthia. L'aveva ringraziata a mezza bocca, per poi squadrarla
da capo a piedi con aria scettica. Dorelynn aveva la netta sensazione
di non starle simpatica, e se ne chiese il motivo più di una
volta
nel corso del viaggio. Con le altre ragazze divise non solo la
cavalcatura, ma anche le provviste di cui sua madre l'aveva caricata,
consistenti in fragranti pagnotte di grano duro, pasticci di carne e
anguilla e frutta. Durante le notti umide nella foresta furono
apprezzate le coperte di lana che Dorelynn aveva con sé, che
scaldavano molto più delle coperte di panno possedute dalle
altre
ragazze.
Quando
giunsero alla Foresta di
Smeraldo tutte le ragazze consideravano una fortuna aver affrontato
il viaggio con Dorelynn, perché senza di lei non avevano
dubbi che
sarebbe stato molto più impervio. O almeno così
Dorelynn aveva
creduto.
Poco dopo
che ebbe salutato i servi
che l'avevano accompagnata e affidato loro il cavallo, la ragazza fu
avvicinata da Galinthia che la guardò con
severità.
Dorelynn
spalancò gli occhi di
fronte all'espressione dura della figlia del pescatore.
“Potrai
anche esserti comprata le
altre con lo sfoggio della tua ricchezza”, le disse
incrociando le
braccia sul petto, “ma non hai incantato me e di certo non
incanterai le Zarall. Ricordati che qui tu sei uguale a tutte le
altre, e se credi di sentirti superiore per i tuoi begli
abiti”, e
dicendo questo diede un colpetto sprezzante alla tunica
ricamata di Dorelynn, “, i tuoi cavalli, e tutto quello che
possiedi... bé, sei nel posto sbagliato.”
Detto
questo le voltò le spalle e
se ne andò.
Dorelynn
si morse le labbra per
evitare di rispondere a tono. Aveva decisamente cominciato con il
piede sbagliato e se non voleva peggiorare la situazione doveva
trattenere una replica aspra. Aveva sbagliato a presentarsi come la
figlia del ricco mercante, cosa si aspettava di suscitare se non
invidia e fastidio? Le altre ragazze la giudicavano sicuramente una
boriosa, un'altezzosa, pronta a sbattere loro in faccia le sue
ricchezze. E forse solo Galinthia, tra tutte, aveva avuto il coraggio
di dirle in faccia ciò che pensava.
Ebbene,
solo perché era iniziata
con il piede sbagliato non significava che dovesse anche continuare
così. Ora che aveva rimandato a casa tutti i suoi lussi,
poteva far
loro capire che non era affatto una spocchiosa viziata.
Con
questa nuova risolutezza si
incamminò dietro le altre. Una Zarall dai capelli corvini
legati in
una lunga treccia le aspettava con le mani sui fianchi.
“Benvenute”,
esordì quando le
furono tutte di fronte. “Voi dovete essere le nuove reclute.
Bene,
ora siete parte della nostra grande famiglia. Trascorrerete con noi i
vostri anni di addestramento, e se alla fine deciderete di voler
tornare alle vostre case, sappiate che nessuno vi
costringerà a
restare. Ma fino a quel momento, saremo noi la vostra famiglia. Il
mio nome è Regina e mi occuperò di voi. Venite,
vi mostro il nostro
accampamento.”
Regina
parve a Dorelynn quasi una
figura materna: dolce, gentile, rassicurante... si sarebbe aspettata
una donna dura, avvezza più alle battaglie che alla vita
sociale.
Invece l'unico segno che rivelava la natura di guerriera della Zarall
era il suo abbigliamento interamente in pelle, la cintura dalla quale
pendeva un coltello e gli stivali alti fino al ginocchio.
Regina
camminava con passo sicuro,
ma stando attenta a che nessuna delle allieve rimanesse indietro. Le
guidò fino alla radura dove erano piantata centinaia di
tende di
tela incatramata che costituivano il campo principale delle
guerriere.
Già
a colpo d'occhio Dorelynn fu
in grado di individuare diverse Zarall intente nelle esercitazioni e
nelle attività quotidiane. Come videro le cinque nuove
arrivate
però, tutte lasciarono ciò che stavano facendo
per dar loro il
benvenuto.
Dorelynn
si sentì scoppiare di
gratitudine per l'affetto che le guerriere dimostravano loro. Era
usanza che, ogniqualvolta arrivassero nuove ragazze, tutte le Zarall
mangiassero insieme intorno al fuoco, nel centro dell'accampamento, e
che le nuove arrivate potessero così parlare di loro alle
nuove
sorelle.
Tutte e
quattro le altre ragazze
raccontarono la propria storia: Valery, Brianna, Jolie e anche
Galinthia. Dorelynn temette il momento in cui le toccò
parlare di se
stessa, perché aveva realizzato che era l'unica ragazza di
ceto
sociale elevato ad essersi unita alle Zarall quell'anno. Tutte loro
erano figlie di famiglie modeste, e Dorelynn si vergognò
delle
proprie origini agiate, mentre controvoglia ne parlava.
Sentiva
su di sé lo sguardo di
tutte quante, e non sapeva se fossero sguardi amichevoli o ostili.
Finalmente
giunse l'ora di
ritirarsi. Regina accompagnò le nuove ragazze alla tenda
dove
avrebbero dormito e le informò che il loro addestramento
sarebbe
cominciato l'indomani.
Dorelynn
ne fu in qualche maniera
grata. Il giorno seguente sarebbe stato un giorno nuovo,
rifletté
mentre pian piano cedeva al sonno. E avrebbe avuto tutte le occasioni
di farsi apprezzare per ciò che era, a dispetto delle sue
origini.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti!
Finalmente aggiorno dopo una vita di assenza, e chiedo scusa per
l'attesa. Spero che il capitolo vi piaccia. L'essere alato che ha
salvato Marissa avrà un ruolo importante nelle future
vicende, e
credo che già nel prossimo capitolo sarà svelata
la sua natura un
po' “particolare” ^^.
Ringrazio
tutti voi che leggete, ma soprattutto The3rdLaw che, con la sua
ultima recensione, mi ha spronata a scrivere questo capitolo.
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 6 *** Una scala che porta al sapere ***
Letha,
Terre dell'Est
“Questa
è Letha?”
domandò Marissa, frenando il cavallo accanto a quello della
sua
mentore. Si sentiva coperta di polvere dalla testa ai piedi, e in
effetti lo era. Le strade che conducevano dal porto di Icewood fin
nella città che era il cuore delle terre dell'est si erano
rivelate
molto più rozze di quanto Marissa si sarebbe aspettata.
Strade
larghe, ma polverose, coperte di ghiaia e ciottoli. L'abito di
Marissa aveva da tempo perduto il suo colore originale ed era
diventato di un uniforme grigio opaco. I suoi capelli ramati erano un
groviglio informe, incrostati e incollati alla fronte, lì
dove la
ragazza aveva sudato a causa del sole implacabile sotto il quale
avevano viaggiato. Man mano che le strade curvavano verso nord
però,
il clima aveva cominciato a farsi più mite e temperato e
Marissa
aveva sospirato di sollievo. Giunta davanti ai grandi cancelli di
marmo di Letha, si sentiva sporca, avvilita e stanca. Tutta la
sporcizia che l'aveva coperta però, sembrava non aver
toccato
minimamente Siobhan, che era fresca, pulita e radiante come sempre.
Ma
come diavolo fa? Si
era chiesta
Marissa con invidia. Si augurò che quella fosse una delle
prime
magie che le avrebbero insegnato all'Accademia.
“E'
Letha”, confermò Siobhan allegra, osservando per
l'ennesima volta
le familiari porte intagliate nel marmo bianco e decorate con un
motivo a spirali che si snodavano voluttuose lungo tutta la sua
superficie, per terminare in due sculture veramente realistiche: due
draghi senza zampe, più simili a serpenti se non fosse stato
per la
loro riconoscibilissima testa, che puntavano il muso l'uno contro
l'altro.
“Verranno
ad aprirci?” chiese Marissa con impazienza.
“Non
ci sono guardie che sorvegliano la porta di Letha”,
replicò
Siobhan.
“E
allora come faremo a entrare?”
Siobhan
le sorrise, poi si avvicinò alla porta e protese la mano
fino a
posizionarla tra le bocche dei due draghi.
Marissa
era talmente sicura che le due sculture avrebbero preso magicamente
vita che restò segretamente delusa quando niente di simile
accadde.
Dopo
qualche secondo di attesa la porta semplicemente si aprì da
sola,
producendo un rumore secco.
“I
nostri guardiani riconoscono le intenzioni di chi vuole entrare in
città”, spiegò Siobhan. “Se
fossi stata qualcuno con intenzioni
ostili i draghi mi avrebbero incenerito sul posto.”
“E
allora come fecero in passato gli elfi a cercare di rubare
l'Airknoril dall'Accademia?” le fece notare Marissa, non
senza una
certa soddisfazione.
Siobhan
la incenerì con un'occhiata, anche se non poteva negare che
l'obiezione fosse valida. “Non si è mai
saputo”, tagliò corto.
“Ma quella fu l'unica volta che accadde una cosa simile.
Andiamo
ora: sono stanca e prima tu sarai sistemata all'Accademia, prima io
potrò finalmente riposarmi.”
Marissa
prese un respiro profondo e, assicurandosi di avere le orecchie ben
coperte, spronò il cavallo ed entrò in
città.
Mentre
vi passavano attraverso però, si accorse di non provare
minimamente
il senso di meraviglia che aveva provato a Waford. Era strano, ma era
come se avesse già visto quei luoghi, come se le fossero
familiari.
Siobhan
continuava a parlarle con entusiasmo, raccontandole nozioni sulla
città, o spiegandole qual'era la funzione di questo o di
quell'edificio, dove si trovava il quartiere dei mercanti e quello
degli artigiani, dove venivano forgiate le armi usate per la difesa
della città e qual'era il palazzo che, una volta l'anno,
ospitava
l'Alleanza delle Otto Stelle al completo, quando ogni delegato delle
terre dell'est si riuniva per prendere importanti decisioni
politiche.
Marissa
cercò di fingere interesse, ma l'interesse era tutto verso
se
stessa: come era possibile che conoscesse già tutti quei
luoghi che
Siobhan le andava descrivendo? Ma la sua mentore era troppo
entusiasta di essere finalmente tornata a casa dopo una lunga assenza
per prestarle attenzione.
“Ora
vedrai, al centro della città, dove si trova l'Accademia, ci
sarà
qualcosa che ti sbalordirà come niente ha mai fatto. Vedi
l'Accademia si trova al centro di-”
Un
lago, pensò
Marissa d'impulso.
“-un
lago. Scommetto che non te l'aspettavi, vero?”
“E'
incredibile!” esclamò Marissa con il suo sorriso
più innocente.
Le veniva da ridere, ma si trattenne.
“Eccolo”,
disse Siobhan frenando il cavallo proprio sulle rive di un piccolo
lago che sorgeva nel centro esatto della città, circondato
dai
ciottoli con cui le strade e le piazze di Letha erano costruite.
Marissa
alzò lo sguardo seguendo il punto che Siobhan le
indicò con il dito e Marissa non poté far altro che sgranare gli occhi di fronte a quello spettacolo. L'Accademia, il luogo che aveva
tanto
agognato di raggiungere, il luogo che le era costato sei settimane di
faticoso viaggio per mare, attraverso boschi, valli e città,
sorgeva
nel centro di quello strano lago.
Era
arroccata in cima a una ripida rupe dalle pareti rocciose puntellate
da arbusti e cespugli, larga in cima e stretta in fondo. Sembrava
impossibile che l'edificio potesse reggersi in tali precarie
condizioni, eppure la rupe non mostrava segni di vacillare o
sgretolarsi. L'Accademia vera a propria era un piccolo castello di
pietra, costituito di due edifici attaccati, uno – quello
frontale -
leggermente più basso dell'altro. Dal tetto a punta
spuntavano un
campanile e una torretta, mentre un'altra torre, più bassa e
squadrata, era stata costruita nella parte bassa del castello,
direttamente sulla roccia. Le finestre erano tutte alte e strette, e
Marissa individuò un porticato ad arco su un lato
dell'edificio. Se
ce ne fosse un altro anche sul lato opposto non avrebbe saputo dirlo.
Come
poteva la rupe, tanto stretta alla base, sorreggere una simile
costruzione? Ed anche se quel grosso scoglio poteva reggere tanto
peso, dove poggiava? Sembrava spuntare dal lago senza una ragione,
senza una logica apparente. Anche quell'edificio, con la sua montagna
e il suo lago, le erano noti, ma credeva facessero parte di un sogno.
Non pensava che un luogo simile potesse esistere veramente.
“Ma...
come fa a stare in piedi?” chiese incredula Marissa, dopo
averla
osservata da ogni sua angolazione. “E' impossibile!”
“Nulla
è impossibile”, ribatté Siobhan.
“Andiamo, ora.”
“Come
la raggiungeremo?”
“Anche
se sarei tentata di mandarti a nuoto per farti dare una ripulita,
temo che dovremo usare la barca.”
Come
se avesse ascoltato il suo richiamo, una barchetta si staccò
dalle
pendici del monte e cominciò a navigare verso la riva senza
che
nessuno la guidasse.
Troppo
sbalordita per aggiungere altro, Marissa seguì Siobhan sulla
barca,
lasciando i cavalli al servitore, che prese congedo da loro.
Navigando
sulle tranquille e placide acque del lago, le due donne raggiunsero
la base della piccola montagna, e Marissa notò che c'era una
sola
porticina, scavata direttamente nella roccia, situata parecchi metri
sopra le loro teste. Una semplice scala, poggiata alla rupe,
permetteva di raggiungerla.
Siobhan
le fece strada e Marissa la seguì. All'interno della roccia
la
penombra era preponderante e Marissa impiegò qualche minuto
ad
abituarvisi, dopo la luce abbagliante dell'esterno. Solo dei
bracieri, posti all'ingresso e poi lungo tutte le gallerie interne,
rischiaravano l'oscurità, spandendo allo stesso tempo una
fragranza
deliziosa nell'aria.
“Dobbiamo
salire”,
annunciò Siobhan facendole cenno col capo di seguirla.
Marissa
obbedì senza fare
domande, salendo gradino dopo gradino di quei cunicoli oscuri scavati
nella roccia che conducevano all'Accademia.
Ad
un certo punto la salita
si interruppe: il corridoio terminava in un vicolo cieco.
“Cosa...?”
sussurrò
Marissa.
Siobhan
puntò il dito verso
l'alto e indicò una botola nel soffitto. Pronunciando alcune
parole
sottovoce la fece spalancare e poi cominciò a salire.
Quando
anche la testa di
Marissa spuntò dalla botola aperta, la ragazza
batté le palpebre,
non più abituata alla luce del sole.
Il
salone in cui erano
entrate era ampio ed illuminato dalle alte finestre che Marissa aveva
già notato.
“Benvenuta
all'Accademia”,
disse solennemente una figura femminile che le stava aspettando.
“Io
sono Yseult della Quinta Stella e sarò una delle tue
insegnanti.”
Marissa
fece una sorta di
goffo inchino, cercando nel contempo di studiare il volto di quella
nuova conoscenza.
“E
bentornata a te,
sorella mia”, continuò abbracciando calorosamente
Siobhan. “Vai
pure a riposarti, devi essere stanchissima. Mostrerò io a
Marissa il
suo alloggio.”
L'alloggio
che Marissa
avrebbe diviso con gli altri apprendisti era una lunga stanza che
conteneva quindici letti, con altrettanti bauli accanto. Tutto il
mobilio era molto rustico, a differenza delle altre stanze del
castello che aveva avuto modo di notare mentre Yseult la conduceva
lì.
La
donna le aveva mostrato
una stanza dove poteva lavarsi grazie ad una fontanella d'acqua che
sgorgava dal muro e Marissa aveva eseguito senza troppe domande, felice
di potersi finalmente ripulire. Poi aveva indossato la
semplice tunica che le avevano fornito, in attesa che il servitore le
portasse il magro bagaglio con cui aveva viaggiato.
Sola
nella stanza non aveva
più niente da fare, così decise di aprire il
proprio baule per
controllare quanto spazio ci fosse dentro.
Una
voce alle sue spalle la
fece sobbalzare, ed il coperchio che le sfuggì dalle dita si
richiuse con uno schianto secco.
“Una
vera fregatura, non è
vero?”
Marissa
si voltò e vide un
ragazzo sulla soglia; doveva essere poco più grande di lei e
aveva
le labbra incurvate in un sorriso beffardo.
“Come,
scusa?”
“Una
vera fregatura che
questo sia il posto in cui saremo costretti ad alloggiare per i
prossimi anni” proseguì il ragazzo.
“C'è a malapena lo spazio
per respirare, e questi bauli...” e così dicendo
sollevò il
coperchio di un baule stracolmo che doveva appartenere proprio a lui,
“... sono ridicolmente piccoli. Come pensano che possa
entrarci
tutta la nostra roba? Io ho dovuto rimandare indietro quasi tutto il
mio bagaglio.”
Marissa
non sapeva bene che
rispondere e tacque, imbarazzata. Il baule sarebbe stato sufficiente
per contenere il triplo di tutto ciò che aveva portato con
sé.
“Io
sono Damien, di Conne.
Sono figlio di Alcaeus il mercante”, disse il ragazzo
allungando la
mano. “E tu?”
“Marissa”,
borbottò
lei. “Vengo da... Argoer.”
“Argoer?
Hai fatto tutto
il viaggio fin da lì? Per la miseria, ci sarà
voluta una vita!”
“Già...
è stato un lungo
viaggio.”
“Sei
per caso parente
della regina?” domandò Damien, scostandosi i
lunghi capelli neri
dal viso.
Quel
ragazzo aveva un fare
arrogante tipico delle classi alte e Marissa si sentì
intimidita di
fronte alla sua sicurezza. Lei che non era altro che un'orfana
mezzosangue di dubbia origine.
“No”,
disse infine con
riluttanza.
Seguì
un momento di strano
silenzio.
“Da
quale famiglia
vieni?”, insistette Damien, scrutandola con sospetto.
“Io...
non lo so. Non so
chi siano i miei genitori. Sono stata cresciuta in un monastero a
Itul.”
Damien
rimase a bocca
aperta. “Tu sei una di quelli...”
“Cosa
vuol dire 'una di
quelli'?”
“Non
ti hanno spiegato
niente?” si stupì Damien sedendosi sul suo letto.
“Non sai che
all'Accademia vengono ammessi solo pochissimi privilegiati, figli
delle famiglie più ricche e altolocate di Euhalon?”
“Sono
solo... questi, gli
allievi dell'Accademia?” disse Marissa indicando con un gesto
la
camerata di letti vuoti.
Damien
annuì. “Essere
maghi non è per tutti.”
“Ma
se vengono ammessi
solo membri dell'alta società, io cosa ci faccio
qui?”
“Di
tanto in tanto...
molto raramente... vengono ammessi in via eccezionale coloro che
posseggono la magia innata. Tu devi essere una di loro... hai
poteri?”
“S-sì...
perché tu no?”
Il
ragazzo scoppiò a
ridere, gettando la testa all'indietro. “Per tutti gli elfi
del
nord, no!”
“Dove
sono tutti gli
altri?” chiese Marissa, sentendo che, se fosse stata meno
sbalordita per quella rivelazione, si sarebbe sentita offesa per come
quel ragazzo si rivolgeva a lei.
“A
lezione.”
“E
non dovresti esserci
anche tu?”
“Ho
detto di sentirmi poco
bene”, rispose Damien con un'alzata di spalle.
“Quindi non ti
hanno spiegato niente di questo posto?”
“Le
abbiamo detto quello
che doveva sapere, ragazzino sciocco!” tuonò
Siobhan comparendo
nel vano della porta. “Non capisco come Bridthara possa
credere
alle tue patetiche scuse.”
“E
tu chi saresti?”
chiese Damien.
“Siobhan
della Quarta
Stella”, rispose lei con le mani sui fianchi. “Ora
che sono
tornata non ti sarà facile evitare i tuoi doveri. E ora vai
a
lezione!”
Damien
si allontanò
brontolando, ma ubbidì.
Marissa
e Siobhan si
squadrarono per alcuni momenti.
“Siobhan...”,
disse
Marissa con un filo di voce.
“Vuoi
sapere perché sei
l'unica qui ad avere già dei poteri?”, la
anticipò la donna.
L'allieva
annuì.
Con
un sospiro Siobhan si
sedette accanto a lei. “Quel ragazzo non avrebbe dovuto
rivelartelo. Non ancora. Ma visto che lo sai... hai idea di come
nasce la magia?”
“Non
so niente della
magia. So solo che è in me, ma non so perché e
non so come usarla.”
“La
magia è una scintilla
che risiede in ogni persona, in ogni uomo, donna e bambino di
Euhalon. Questa scintilla deve essere coltivata con molto studio
perché si sviluppi e diventi il pieno potere che hai visto.
Ma
chiunque venga appropriatamente addestrato può diventare un
mago.”
“Ma
io non sono stata
addestrata da nessuno...”
“E'
per questo che sei
qui, Marissa. Tu possiedi un dono rarissimo e prezioso. Tu hai la
magia in te senza che essa ti sia stata insegnata. Le persone come te
sono davvero uniche. Per questo l'Accademia ti ha voluta anche se non
sei né ricca, né nobile.”
“Ma
perché io?”
“Non
lo sappiamo. Nessuno
lo sa. Puoi essere solo grata di avere questo dono.”
“Per
ora riposati”
continuò alzandosi in piedi. “Niente lezioni per
te oggi. Puoi
disporre di questo tempo come vorrai. Non ne avrai molto durante il
tuo addestramento perciò fanne buon uso.”
“Posso
visitare il
castello?”
“Certo.
Puoi andare dove
vuoi, tanto le stanze che non ti sono accessibili sono sigillate
dalla magia. Un'altra cosa... stai lontana da quel ragazzo. Mi basta
poco per giudicare una persona, e quello è solo un ragazzino
viziato
che non ha voglia di applicarsi.”
Marissa
camminava lungo i
corridoi del castello immerso nel silenzio. Solo il suono leggero
dei suoi passi le giungeva all'orecchio. Non era così che si
era
immaginata l'Accademia. Possibile che sembrasse disabitata? Che i
ragazzi che avrebbero ricevuto l'addestramento fossero così
pochi?
Di
tanto in tanto si
affacciava ad una finestra per ammirare il lago sottostante e la
città che si ergeva tutto intorno.
All'improvviso
sentì un
soffio alla sua destra e come si voltò, si trovò
di nuovo faccia a
faccia con Damien.
“Credevo
che fossi
finalmente a lezione”, commentò Marissa con
severità.
Damien
si appoggiò con la
schiena alla parete, incrociando le braccia sul petto.
“Non
conosco la
biondina...”
“Siobhan!”
disse Marissa
fra i denti.
“Non
può darmi ordini in
ogni caso. Comunque è veramente una gran bellezza, questo
è
sicuro!” ridacchiò fra sé e
sé.
Marissa
emise uno sbuffo di
impazienza e fece per allontanarsi, quando Damien la prese per il
braccio.
“Ehi,
aspetta. Se ti ho
offesa mi scuso damigella!”
“Lasciami
andare!”
“D'accordo,
d'accordo”,
disse lui conciliante, alzando le mani in segno di resa.
“Sai, ho
sentito quello che ti ha detto Siobhan...”
“Adesso
origli anche?”,
chiese Marissa irritata.
Damien
ignorò la domanda.
“Pensavo solo che ti facesse piacere sapere come sei stata
trovata... non lo sai vero?”
Il
ragazzo seppe di aver
colto nel segno, perché in Marissa la curiosità
cominciava a
prevalere sull'irritazione.
Approfittò
della sua
incertezza e la prese per mano. “Vieni con me.”
Marissa
tentò di
protestare, ma con poca convinzione. Le sue proteste cessarono del
tutto quando Damien si fermò all'ingresso di un'ampia
stanza.
Marissa sbirciò dentro e si accorse che più che
una stanza, era una
sorta di tempio, dai colonnati altissimi e dal soffitto concavo. La
ragazza entrò, muovendo piccoli passi cauti. Damien le
andò dietro.
Al
centro della stanza,
poggiata su un piedistallo, stava una pietra dalla forma irregolare,
di un colore blu intenso. Marissa si avvicinò: provava
l'impulso
irrefrenabile di toccare quello strano oggetto.
“Questa
è l'Airknoril”,
annunciò Damien solennemente. “O meglio...
l'ultima delle
Airknoril.”
Marissa
voltò il capo verso
di lui. “E'... davvero questa?”
“E'
lei che ti ha trovata.
È la pietra che trova coloro che hanno il potere
innato.”
Marissa
alzò lo sguardo e
notò solo in quel momento che, al centro della cupola, c'era
un
foro.
“A
cosa serve quello?”
chiese indicandolo.
“Quando
la luce del sole è
nella giusta angolazione colpisce la pietra, e solo allora il suo
potere si attiva.”
“Vuoi
dire che senza luce
non avrebbe alcun potere?”
“Per
quanto ne so io...
no. Ma è difficile restare senza sole, no?”
“Quanto
ci vorrà perché
il sole la colpisca? Vorrei vederlo.”
Damien
consultò un
meccanismo incassato nella parete, che segnava, tramite una lancetta
dorata, quanto tempo restava prima che la pietra si ricaricasse.
“Circa
due minuti.”
I
due ragazzi attesero,
Marissa in un silenzio spasmodico, Damien incuriosito e divertito da
quella strana, solenne ragazzina dai capelli rossi.
Quando
finalmente i primi
raggi del sole oltrepassarono il foro nel soffitto, lambirono la
pietra come un uomo che accarezza la sua innamorata: con delicatezza
e con amore. La luce che si diffuse in tutta la stanza fu accecante.
Marissa ne era abbagliata.
“E'
permesso toccarla?”
chiese.
“Certo,
ma non succederà
proprio niente se è questo che speri. Io l'ho toccata molte
volte ed
è come toccare un qualsiasi altro oggetto.”
Marissa
si avvicinò fino a
sfiorare il piedistallo con il busto. Allungò timidamente
una mano e
poggiò due dita sulla superficie ruvida della pietra.
Una
luce accecante le
esplose nel cervello e in tutto il resto del corpo, e lei cadde
svenuta sul pavimento.
Nota
dell'autrice: Ed
eccoci
all'incontro tra Damien (il solito incorreggibile) e una molto
più
ligia Marissa. Che ne pensate? Era così che vi immaginavate
l'Accademia? Abbiamo anche fatto la “conoscenza”
dell'Airknoril
finalmente, e abbiamo capito che Marissa è indissolubilmente
connessa alla pietra. Quanto alla strana creatura volante che abbiamo
incontrato alla fine del capitolo scorso speravo già di
reintrodurla
in questo capitolo ma mi sono dilungata troppo, quindi
riapparirà
nel prossimo e si scoprirà un altro tassello. A proposito...
perché
Marissa già conosce Letha senza esserci mai stata? Come ho
detto
alcune di queste domande avranno una risposta già nel
prossimo
capitolo... ma non tutte, ovviamente! ;)
Ringrazio
di cuore tutti coloro che hanno recensito, letto e seguito. I vostri
pareri e il vostro incoraggiamento sono indispensabili per me.
Ricordo
di nuovo che, come già avevo premesso nel primo capitolo,
gli
aggiornamenti saranno circa una volta al mese, quindi abbastanza
lenti. Purtroppo avendo già un'altra storia in corso, non
posso fare
altrimenti.
Alla
prossima,
Eilan
|
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Capitolo 7 *** Dracoon ***
Marissa
giaceva sul proprio
letto e, riprendendo lentamente i sensi, aprì con cautela un
occhio.
Dapprima vide tutto in una luce sfocata, ma pian piano
riuscì a
distinguere le persone che le stavano intorno. Tutti parlottavano tra
loro in tono preoccupato; non le prestavano attenzione, credendola
ancora svenuta.
Siobhan
era lì, e c'era
anche Damien, un po' in disparte. Era lui che aveva dato l'allarme?
Siobhan parlava concitatamente con Yseult, mentre un'altra donna che
indossava le vesti blu degli insegnanti ascoltava preoccupata,
torcendosi un ricciolo castano tra le dita nervose. Qualche altro
allievo era presente, stretto intorno a Damien, indubbiamente ansiosi
di sapere di più su quella strana, bizzarra, nuova arrivata.
Marissa
richiuse gli occhi,
fingendo di essere ancora priva di sensi. Cosa dicevano su di lei che
altrimenti non le avrebbero mai volontariamente rivelato?
“Non
è possibile,
Siobhan. Una cosa del genere non ha senso!” stava dicendo
Yseult.
“Non
era mai successa...
non sarebbe mai dovuta succedere”, commentò
Siobhan, alle cui
parole fecero eco quelle tremanti della terza insegnante.
“Come
può il cristallo
avere su di lei un simile effetto?” chiese, con voce
timorosa.
“Come spiegheremo l'accaduto a Lord Arnulf?”
“Mantieni
la calma,
Brithdara”, ordinò secca Siobhan. “Per
ora non gli diremo
niente.”
“Ma
noi dobbiamo
dirglielo, siamo vincolate a farlo! Lord Arnulf vuole sapere tutto
degli allievi, tanto più se vi è coinvolta colei
che possiede un
potere innato.”
Siobhan
si rivolse a Damien.
“Tu! Cosa è successo esattamente? Sei sicuro di
averci raccontato
tutto nei minimi dettagli?”
“Sul
mio onore, signora”,
rispose Damien, portandosi una mano al petto. “Tutto quello
che vi
ho raccontato risponde a verità. Marissa ha toccato
l'Airknoril ed è
svenuta seduta stante.”
“Bene”,
sospirò Yseult
massaggiandosi le tempie. “Allora sei libero di andare
adesso,
Damien. E anche tutti voi. Tornate a lezione insieme a Britdhara.
Della ragazza ci occuperemo noi, adesso.”
Un'espressione
delusa si
diffuse sui volti degli allievi, che speravano di spezzare la
monotonia della loro vita accademica con questi nuovi sconcertanti
fatti.
Ma
ubbidirono, uscendo dalla
stanza mentre commentavano tra loro il singolare avvenimento di cui
erano stati quasi testimoni.
Siobhan
fermò Brithdara
sulla soglia. “Cancella il ricordo dalla loro mente non
appena
sarete tornati in aula”, le bisbigliò.
“Aspetta”, aggiunse,
con un ripensamento. “Non quello di Damien, però.
Lui era presente
e potrebbe ancora raccontarci qualche particolare che gli è
sfuggito. Ordinagli di tenerlo per sé,
però.”
Brithdara
apparve seccata di
dover prendere ordini da una donna più giovane di lei,
nonostante le
fosse superiore in grado. Ma con la docilità che le era
propria si
limitò a fare un cenno d'assenso col capo, prima di
accodarsi ai
suoi discepoli.
Siobhan
tornò dentro,
fermandosi a braccia conserte di fronte al letto di Marissa.
“Davvero
non hai
intenzione di informare Arnulf?”, le chiese alle sue spalle
Yseult.
“Per
ora no. Che rimanga
tra noi, Yseult, ma non mi fido di quell'uomo. Sarà anche il
discendente di Kieran Fielding, tuttavia questo non fa di lui un buon
mago o una persona degna di sovrintendere all'Accademia. Ha ricevuto
il suo titolo di “Prima Stella” solo per via del
suo cognome, ed
è sempre in virtù di quello se siede nel
Consiglio dell'Alleanza.”
“Perciò
dovremo scoprire
da noi cosa è successo qui, oggi...”
“Noi
e nessun'altro.”
“Stavo
pensando...”
azzardò Yseult mordendosi il labbro. “Non
può avere a che fare
con il suo dono?”
Siobhan
scosse la testa, con
un sospiro. “Io ho toccato la pietra centinaia di volte, e
non è
mai accaduto nulla, Yseult. Non ha a che fare con la magia innata, ne
sono più che certa.”
“Quando
si risveglierà?”
chiese Yseult accennando col mento alla figura addormentata della
ragazza.
“E'
meglio che non si sia
ancora ripresa. La pietra potrebbe averle causato uno shock che
ancora non conosciamo. Il suo corpo deve stare a riposo fin quando
esso stesso lo riterrà opportuno.”
Marissa
attese che le donne
fossero uscite dalla stanza prima di aprire tentativamente gli occhi:
era sola, così si mise a sedere sul letto, ancora stupita
alla
rivelazione che aveva appena ascoltato.
E
così Siobhan era un'altra
persona con il dono, proprio come lei! Chissà
perché non glielo
aveva rivelato? Ma ripensandoci la cosa non la stupì: le
cose che
Siobhan teneva per sé erano probabilmente sconfinate, quelle
che
decideva di elargire al prossimo potevano contarsi sulle dita di una
sola mano.
Comunque
questo non
l'avvicinava di un passo al comprendere cosa fosse successo quel
giorno. Ma se neppure le insegnanti ci capivano nulla, come sperava
di farlo lei? Marissa si alzò, la testa ancora indolenzita.
Mosse
qualche passo fino alla finestra ad arco della stanza e
l'aprì,
desiderosa di un po' d'aria fresca. Letha si estendeva di fronte a
lei, carezzata da una brezza leggera dal lieve odore melmoso del lago
che la circondava. Poche nuvole si rincorrevano nel cielo limpido,
simili a tante pecorelle dal manto immacolato. Marissa si
sentì
subito meglio.
Una
strana ombra scura si
stagliò d'improvviso in mezzo a tanto candore, niente
più che un
puntino stagliato contro l'azzurro del cielo. Era talmente piccola
che Marissa dovette aguzzare lo sguardo per vederlo.
Probabilmente
un uccello,
pensò tra sé attribuendogli poca importanza.
Ma
l'ombra diventava sempre
più grande, e sempre più vicina. Sembrava che
stesse puntando
proprio nella sua direzione. Ma non era possibile... o forse
sì?
Marissa sgranò gli occhi, e strinse il bordo del davanzale,
incapace
di muoversi mentre la strana creatura alata si avvicinava sempre
più.
Nonostante tutto non sembrava minacciosa, e non era neppure molto
grande. La ragazza aveva quasi trovato la forza di volontà
necessaria a tirarsi indietro e sbarrare la finestra quando delle
immagine in sequenza molto rapida esplosero nella sua mente,
facendole serrare gli occhi e portarsi le mani alla testa.
Vide
se stessa, da un punto di vista esterno. Vide se stessa alla
finestra, con gli occhi sbarrati, mentre si avvicinava sempre
più.
Si vide fare un passo indietro e poi cadere preda della visione,
portandosi le mani alle tempie. Infine, in quel suo nuovo corpo,
attraversò la finestra in volo e cadde su se stessa.
L'impatto
non fu terribile
come aveva pensato, ma ebbe il potere di farla rientrare di colpo nel
suo corpo, ammesso che ne fosse mai uscita.
Si
ritrovò a terra, con
quella strana creatura volante addosso. Un musetto peloso a pochi
centimetri dal suo viso, due piccoli occhi neri come perle fissi nei
suoi. La creatura rimase ferma per qualche attimo, poi prese a
leccarla festosamente sul viso. Marissa era troppo sconcertata per
chiedersi perché uno strano animale che non aveva mai visto
le
facesse le feste come se si conoscessero da una vita.
Alla
fine trovò la forza di
volontà di tendere le braccia e afferrare l'animale,
allontanandolo
da sé e poggiandolo delicatamente sul pavimento. Poi si
alzò in
piedi, chiedendosi se ora sarebbe volato via, ritornando da dove era
venuto. Ma la creatura non si mosse. Continuava a fissarla con una
sorta di aspettativa.
“Cosa
sei tu?” domandò
Marissa fra sé e sé. Poi si chinò per
esaminarlo meglio.
Sembrava
un procione, in
tutto e per tutto: il muso era quello, le piccole orecchie anche. Il
morbido pelo grigio era inconfondibile, così come la grossa
coda a
righe nere – anche se questa era ricoperta di spesse squame
anziché
di pelo. L'animale se ne stava fermo, piantato sulle zampe
posteriori, aspettando pazientemente che lei avesse terminato di
guardarlo da ogni angolazione.
Anche
le dimensioni erano
quelle di un procione, ma il particolare sconcertante erano le
robuste ali da drago, anch'esse ricoperte della stessa peluria, che
gli spuntavano dalla schiena, mentre le zampe, come la coda, erano
costituite da squame.
Improvvisamente
Marissa fu
colta da un'ispirazione. Se quell'animale era in qualche modo
imparentato con i draghi forse era dotato d'intelligenza e poteva
riuscire a comprenderla.
“Mi
capisci quando parlo?”
chiese, con poca convinzione.
Ma
la creatura annuì, in
modo chiaro e distinto. Marissa sgranò tanto d'occhi.
“Sei
venuto qui per me?”,
continuò.
Cenno
affermativo.
“Vuoi...
vuoi farmi del
male?”
Questa
volta la creatura
scosse il capo recisamente.
Marissa
si sedette sul
pavimento, a gambe incrociate, mettendosi all'altezza dell'animale.
“Mi
conosci?”
Cenno
affermativo.
“Ma
io... non conosco
te...” disse la ragazza, in tono di scusa.
L'animale
fu felice di
poterla contraddire con il solito cenno del capo.
“Un
momento... eri tu? Eri
tu che mi hai salvata da quella creatura a Waford?”
Lui
annuì, gonfiando il
piccolo petto peloso dall'orgoglio.
“E'
da allora che ci
conosciamo?”
Questa
volta il cenno fu di
diniego.
“Da
prima?”
Cenno
affermativo.
Marissa
non sapeva più cosa
chiedere. O meglio avrebbe avuto milioni di domande, ma non sapeva da
quale cominciare. Le sembrava tutto troppo assurdo, irreale. Mentre
era assorta in queste considerazioni, sentì un peso sul
proprio
grembo e sussultò, abbassando lo sguardo.
Il
piccolo animale alato si
era accoccolato nell'incavo delle sue gambe incrociate, e sembrava
felice di esserle così vicino, tanto che aveva chiuso gli
occhi.
Marissa
sorrise di
tenerezza, ed allungò esitante la mano per carezzargli il
pelo. Era
incredibilmente morbido al tatto. L'animale ripiegò le ali,
così
che divennero quasi tutt'uno con il corpo.
“Ci
sarà tempo per altre
domande”, disse Marissa. “Ora devo scoprire cosa
sei e
soprattutto trovare un modo per nasconderti agli altri, o ti faranno
del male. Lo so perché al monastero nessun animale era al
sicuro. Ma
io non permetterò che ti accada nulla.”
***
Dorelynn
correva a perdifiato nel
folto della foresta, ignorando il tumultuoso battere del suo cuore e
il fiatone che la perseguitava da ormai due miglia. Una leggera
pioggia fastidiosa cadeva sulla sua testa e su quelle delle compagne
che correvano lungo lo stesso percorso. Il suo fiato si condensava in
piccole nuvolette di vapore, ma Dorelynn non percepiva né il
freddo,
né l'umidità che permeava la Foresta di Smeraldo.
Ogni volta che
pensava di cedere, trovava la forza di continuare a mettere un piede
davanti all'altro, decisa ad arrivare fino in fondo al percorso e
dimostrare il suo valore alle Zarall.
“Ehi,
principessa!” l'apostrofò
sprezzante Galinthia, superandola in poche falcate. “Sei
già
stanca? Ti mancano i cuscini ricamati sui qui poggiare il tuo culo
aristocratico?” E rise sonoramente, imitata dalle altre
ragazze che
erano a portata d'orecchio.
Dorelynn
non raccolse la provocazione, sebbene fremesse per risponderle a
tono. Sapeva di non piacere a Galinthia, in quelle settimane lei si
era assicurata che non lo dimenticasse mai, neppure una volta. Il
peggio era che anche le altre la seguivano a ruota, nello schernirla
e nel tenerla a distanza. A volte si sentiva talmente avvilita e
scoraggiata che avrebbe voluto mollare tutto e tornarsene a casa.
Nelle serate dentro la tenda, in cui le altre allieve chiacchieravano
e ridevano tra loro e lei era relegata in un angolino, emarginata da
tutte, sognava ad occhi aperti la sua casa, il letto caldo e comodo
che l'aspettava, sommerso dai cuscini di piume; sognava i lauti pasti
a base di volatili al forno dalla pelle croccante e la carne tenera,
i formaggi saporiti e l'incredibile varietà di frutta. Poi
il sogno
ad occhi aperti finiva, e la realtà tornava prepotente a
imporsi su
di lei, con il suo sacco a pelo striminzito, il terreno duro che le
faceva dolere la schiena, i pasti frugali e, soprattutto,
l'inimicizia delle sue compagne. La nostalgia era tanta che era stata
tentata di scrivere a suo padre che aveva cambiato idea, e che era
disposta a prendere in marito un uomo di sua scelta, fosse pure
vecchio e viscido, pur di lasciare quel luogo immediatamente. Per
fortuna non lo aveva mai fatto, perché se ne sarebbe
immediatamente
pentita.
Non tutto
andava male però: c'era
Regina, la loro insegnante, che riponeva in lei molte speranze, la
incoraggiava e la spronava continuamente. Non in modo troppo
evidente, che non fosse palese alle altre e fonte di ulteriori
gelosie, ma era chiaro che credeva in Dorelynn e nel suo potenziale.
E poi c'era Damien, con cui si teneva in contatto mentale, e le cui
conversazioni la facevano sentire meno sola, come se ancora un pezzo
di casa fosse lì con lei. A Damien non raccontava di come le
altre
ragazze la trattavano, in parte perché non desiderava
turbarlo, in
parte perché non voleva ammettere con lui che la vita che
aveva
scelto non era tutta rose e fiori. Damien invece le raccontava
pressoché ogni cosa dell'Accademia, incluso il fatto che non
aveva
ancora iniziato a prenderla troppo sul serio. Dorelynn lo esortava a
farlo, lo spronava, a volte quasi lo supplicava di applicarsi almeno
una volta nella sua vita. Ma lui sembrava sordo alle preghiere della
sorella.
Una volta
terminato il lungo
percorso a piedi, le allieve sarebbero dovute salire su un albero
dalla corteccia squamata, servendosi di una spessa liana.
Dorelynn
l'afferrò con entrambe le
mani, ancora il fiato corto a causa della lunga corsa. Era l'ultima,
le altre erano già salite o in procinto di farlo.
Inspirò
profondamente, poi si
aggrappò alla liana e cominciò a salire. Tutti i
suoi muscoli erano
tesi nello sforzo; strinse i denti, salendo una mano dopo l'altra, le
gambe intrecciate saldamente alla liana.
-
Sorella! La
chiamò Damien proprio in quel momento.
-
Dannazione, Damien, questo non è il momento!
-
Perché no?
-
Sto scalando un albero, ecco perché.
-
Vuoi che interrompa il collegamento?
Dorelynn
sbuffò d'impazienza, cercando di calmarsi. Se era arrabbiata
con
Galinthia e le altre non aveva senso prendersela con Damien che non
ne aveva colpa. Parlare con lui non le costava comunque fatica
fisica, e forse l'avrebbe aiutata a distrarsi dai pensieri negativi
che le affollavano la mente. Liberare la mente da ciò che si
stava
facendo con il corpo, era un insegnamento che Regina le ripeteva
spesso.
-
No... non interromperlo. Scusami se sono stata brusca. Come stai?
-
Sto bene, e tu? Ti sento arrabbiata...
Dannazione,
non riusciva a
nascondergli nulla!
-
Non sono arrabbiata con te, ma con la fatica che sto facendo per
completare questo percorso. E, come al solito, sono l'ultima. Come
sono andate le lezioni oggi?
-
Ci ho prestato poca attenzione, sinceramente.
-
Come al solito! Rise
lei, rassegnata.
-
No, ascolta, Lynnie... questa volta ho un buon motivo oltre alla mia
ben nota pigrizia...
-
Mmmh, sembra una cosa seria. Di che si tratta? Non farmi preoccupare!
-
Oggi è arrivata una nuova ragazza, qui in Accademia.
-
Non riesci proprio a stare lontano dalle donne, eh? È
più forte di
te!
-
Smettila! Non intendevo in quel senso, non è per questo che
mi sono
interessato a lei. E poi lo sai che all'Accademia ci impongono un
incantesimo che impedisce a noi allievi di toccarci con quelle
intenzioni.
-
Allora cos'ha di speciale questa ragazza?
-
E' una di quelle che possiedono il dono innato.
-
Davvero? Credevo che non ne esistessero praticamente più.
-
Ma non è tutto qui. È successa un'altra cosa
davvero incredibile di
cui sono stato testimone...
Damien le
raccontò dell'incidente
di Marissa con l'Airknoril e di come quella fosse stata per lui la
prima cosa eccitante che gli era capitata da quando era arrivato a
Letha. Dorelynn fu contenta nel realizzare che finalmente qualcosa
appassionava davvero quel suo scapestrato fratello. Fu ancora
più
contenta che distrarre la mente aveva funzionato: non aveva
pressoché
percepito la fatica della scalata, né della ridiscesa
dall'albero.
Ed ora aveva ripreso a correre con molta più scioltezza e
meno
affanno.
-
Allora perché non cerchi di scoprirne di più?
Parlane con Marissa,
probabilmente lei è confusa e disorientata per quel che le
è
successo. Avrà bisogno di un amico.
-
Ho finito ora le lezioni e sto andando da lei, fintanto che gli altri
si godono l'ora di pausa in cortile e in biblioteca. Tu hai finito il
percorso?
-
Quasi, disse
lei stringendo i denti. Sono
all'ultimo miglio. Sto per passare davanti a Regina. Sono ultima,
come al solito, ma Regina non sembra dispiaciuta. Dorelynn
notò l'occhiata incoraggiante della Zarall che le
scaldò il cuore,
impedendole di notare quelle critiche delle compagne giunte
già al
traguardo da un pezzo.
-
Tieni duro, sorellina. Sono fiero di te.
-
Grazie. Fammi sapere cosa scopri su Marissa. Tienimi aggiornata
zuccone... ciao!
***
Damien
interruppe il collegamento
mentale con la sorella quasi sulla soglia del dormitorio. Era stato
talmente preso dalla conversazione che non si era accorto che Marissa
era balzata in piedi nel vederlo entrare nella stanza, cercando
freneticamente di nascondere qualcosa dentro la sua cassapanca.
I due
ragazzi si fissarono per
qualche secondo, impietriti.
“Cos'hai
lì?” bisbigliò
Damien, guardando il coperchio della cassapanca che sobbalzò
leggermente.
“Niente!”
disse prontamente
Marissa.
“Il
'niente' non si muove di
certo.”
“Non
posso dirtelo... fermo!”
gridò, vedendo che Damien si avvicinava a grandi passi al
mobile.
Senza badarle tirò su il coperchio, e quasi
lanciò un urlo nel
trovarsi davanti lo strano animale. “Cosa diavolo
è quello?”
“Non
lo so”, ammise Marissa.
“E' entrato dalla finestra e non vuole separarsi da
me.”
“Non...
vuole?”
“Non
riesco a farlo andare via,
ed ho paura che se lo scopriranno gli faranno del male.”
“Perché
dovrebbero?”
Marissa
lo fissò sbigottita. “Al
monastero vigeva la regola che, qualunque animale fosse stato trovato
tra i suoi confini, sarebbe stato ucciso.”
“Che
regola idiota!”, commentò Damien sprezzante.
“All'Accademia se
un mago e un animale magico legano è considerato un fatto
positivo.
Significa che tra loro esiste un'intesa magica. Due allievi che sono
più avanti di noi ne hanno, ma non così...
strano. Non ho mai visto
niente del genere. Direi che sembra una specie di drago, se non
sapessi che tutti i draghi sono emigrati a Valchir insieme agli elfi
secoli fa.”
“E
allora cosa faccio? Lo mostro
a Siobhan?”
“Non
c'è fretta, prima scopriamo cosa accidenti è
questo affare. Ti
accompagno in biblioteca. E se il coso
qui vuole
seguirti, lascialo fare.”
La
biblioteca era un'ampia sala
sorretta da quattro massicci pilastri di legno. Marissa vi
posò una
mano, ammirata e, alzando lo sguardo, si accorse che non si trattava
di semplice legno lavorato... quelli erano veri alberi, con tanto di
chioma e radici che affondavano nel pavimento. Le pareti della
biblioteca erano piene fino al soffitto di pergamene e tomi
polverosi. C'erano solo un altro paio di allievi oltre a loro,
intenti a consultare dei volumi presso altrettanti tavoli di legno,
le cui gambe sembravano fondersi con il pavimento pure di legno.
La
creatura volante seguiva Marissa
a breve distanza, e suscitò occhiate meravigliate nei
presenti.
Il
bibliotecario, un uomo anziano e
stempiato con un paio di pince-nez sul naso, si avvicinò a
loro.
“Cos'è
quello?” chiese
indicando il nuovo amico di Marissa.
“Non
lo sappiamo, mastro Gilbert.
Siamo qui apposta per scoprirlo. Potete darmi un volume con la
classificazione di tutte le specie di draghi?”
“Certo”,
mormorò il vecchietto
dando loro le spalle e arrampicandosi su un'alta scala a pioli. Si
mise a cercare tra i libri con perizia, borbottando qualcosa tra
sé
e sé.
“E
lei è la nuova allieva?”
domandò dall'alto, senza abbassare lo sguardo.
“Sì...
mastro Gilbert”,
azzardò timidamente Marissa. “Mi chiamo
Marissa...”
“E
tu ragazzo?” disse rivolto a
Damien. “Non ti si vede spesso qui in biblioteca. Come vanno
i tuoi
studi? Hai finalmente deciso di prenderli sul serio? Tuo padre non
sarebbe molto contento di te se ti facessi espellere. E, credimi, non
saresti il prima a ottenere questo risultato.”
Marissa
scoccò un'occhiata di
disapprovazione a Damien, che fece finta di nulla.
“Sì,
mastro Gilbert”, rispose
con noncuranza, “avete trovato il libro?”
“Ne
ho trovati tre che possono
fare al caso vostro”, rispose il bibliotecario scendendo la
scala
con passi cauti. Marissa si chiese come quel canuto ometto potesse
ancora compiere simili acrobazie.
Mastro
Gilbert mise i pesanti tomi sul tavolo e li lasciò a
consultarli.
“Fatemi sapere se scoprite qualcosa. Non ho mai visto una
simile
creatura, sebbene il suo aspetto sia in qualche modo dragonesco...”
Damien
affidò il primo volume a
Marissa e cominciò a sfogliare l'altro.
“Questo
non c'è utile”, disse
Marissa dopo diversi minuti che lo guardava. “Parla solo
dell'origine dei draghi e delle loro razze più
diffuse.”
“Aspetta”,
disse Damien. “Forse ho trovato qualcosa. Eccolo qui... Famiglie
dei draghi e loro sottorazze... ecco,
non è questo?”
Marissa
osservò la figura in
bianco e nero che lui le indicava. L'animale era identico a quello
che stava accoccolato sul tavolo davanti a loro, seguendoli con occhi
attenti.
“Sembra
proprio lui... cosa dice
la didascalia?”
“Famiglia:
dragoide. Sottofamiglia:
procionydae. Genere:
Dracoon. Animale
di piccole dimensioni, onnivoro, appartenente alla famiglia dei
draghi, dal pelo folto striato di nero... eccetera, eccetera...
è
lui! È un Dracoon!”
Il
Dracoon sorrise, felice che
finalmente il suo nome fosse stato pronunciato ad alta voce. Era
stanco di sentirsi chiamare “animale”,
“creatura”, o peggio
ancora “coso”.
“E
va bene, abbiamo scoperto
cos'è”, concesse Marissa, “ma ancora non
sappiamo come io possa
vedere ciò che vede lui, come possa entrare nella sua testa
e lui
nella mia. Come spieghi questo? Come fa a sapere sempre dove mi
trovo? Come fa a conoscermi?”
“Credo
che di tutti i tuoi dubbi
dovremo parlare con Siobhan”, sospirò Damien,
rassegnato.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti! Vi è piaciuto il capitolo? Cosa ne pensate?
Finalmente è
stata svelata l'identità del volatile misterioso che
è legato a
Marissa, ma ancora gli enigmi su di lui sono molti, e sono gli stessi
espressi da Marissa stessa a fine capitolo. Siobhan riuscirà
a
trovare una spiegazione a tutto ciò che sta succedendo? Che
ne
pensate di Dracoon? Penso che tutti voi lo sappiate, ma giusto per
specificare Raccon in inglese significa procione, perciò
come
intuibile il nome del nostro amico è Dragon+Raccon=Dracoon.
Volevo
inoltre lasciarvi il link a una mappa che ho abbozzato, e mi scuso se
è veramente rozza ma era solo per darvi una panoramica del
mondo in
cui ci muoviamo con la storia. Non vi preoccupate se i nomi in
piccolo non si leggono, non sono importanti. Le cose importanti le ho
evidenziate, così che possiate capire meglio la dislocazione
geografica dei luoghi che ci interessano.
Mappa di Euhalon
E in
particolare c'è:
Letha
Conne (città
natale di Damien)
Galarand (la
città degli elfi)
La foresta di
smeraldo (dove vivono le Zarall)
Il fiume
Lleney (fiume che segna il confine con la foresta di Argoer)
Argoer
(foresta in cui si trova il monastero)
Se
qualcosa non dovesse capirsi (e
sarà facile che accada, perché sono una pessima
editor^^)
chiedetemi pure senza problemi e cercherò di spiegarlo e/o
sistemare
la mappa in maniera più decente.
Ora che
ho terminato l'altra mia
storia, e che questa è rimasta la mia sola long in corso,
spero di
aggiornare più spesso. Anche così però
non potrò far prima di tre
settimane di attesa. Mi dispiace farvi aspettare, ma non posso far
altro.
Grazie a
tutti i recensori, vecchi
e nuovi... e a tutti voi che leggete!
Alla
prossima,
Eilan
|
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Capitolo 8 *** Amici e nemici ***
Le
lezioni entrano ben
presto nel vivo, e Marissa si ritrovò catapultata nel suo
addestramento senza quasi rendersene conto. Se si soffermava a
riflettere su tutti i cambiamenti e le stranezze che aveva vissuto
ultimamente si sentiva girare la testa. Lei che per sua natura era
timida e schiva non osava quasi rivolgere la parola ai suoi nuovi
compagni. Ciononostante, solo ascoltando le loro conversazioni, aveva
appreso i nomi di alcuni di loro. Erano tutti più grandi di
lei, più
grandi perfino di Damien, perché grazie al suo potere innato
lei non
aveva bisogno di iniziare dal basso l'addestramento. I ragazzi che si
addestravano con lei erano solo quattro, tutti con un'età
che si
aggirava intorno ai diciotto anni. Agli occhi della ragazzina
tredicenne, praticamente adulti. E terribilmente consapevoli del loro
ceto superiore al suo. C'era Aura, la figlia del marchese di
Ubramore, della costa occidentale; Warrach, che apparteneva a un ramo
cadetto dei Knigh, la potente famiglia che deteneva enormi interessi
nel sud del paese; e poi addirittura due nipoti della regina
Shandrel, due ragazzi dai capelli scuri e le aristocratiche
sopracciglia arcuate. E poi c'era lei, piccola e di lignaggio
insignificante. La prima volta che aveva messo piede nella stanza
dove si svolgeva l'addestramento e quattro volti accigliati si erano
girati nella sua direzione, Marissa avrebbe voluto che il pavimento
si aprisse sotto i suoi piedi e la inghiottisse. Ma oltre alla
diffidenza aveva letto qualcos'altro nelle espressioni dei giovani
nobili: curiosità. Anche se il suo incidente con l'Airknoril
era
stato cancellato dalle menti di tutti all'Accademia, ancor
più
reverenza suscitava la vista di Dracoon, che seguiva Marissa dovunque
lei andasse. Dormiva sul suo cuscino la notte e si accomodava sulle
balaustre dei colonnati mentre lei seguiva le lezioni. Volava sempre
al suo fianco, senza perderla un attimo di vista.
Alle
domande che le
rivolgevano Marissa non sapeva cosa rispondere, ma era sempre ben
disposta a mostrare loro Dracoon, purché non lo
infastidissero.
Ma
era Damien quello bravo
con le parole, e Marissa era grata quando poteva contare sul suo
sostegno in quel posto in cui tutti la guardavano come fosse una
sorta di creatura bizzarra e incomprensibile. Ed era raro che lei e
Damien stessero separati: studiavano perfino insieme, in biblioteca,
e si esercitavano insieme, tutti i pomeriggi con puntualità,
tanto
che mastro Gilbert, nel vederli seduti allo stesso tavolo, giorno
dopo giorno, cominciò a sorridere apertamente al cambiamento
che
Marissa aveva operato su quel giovane scapestrato.
Damien
si era aperto con
lei, e Marissa aveva intuito che, sotto la sua apparenza di giovane
sbruffone, si nascondeva molta insicurezza. Le aveva raccontato della
sorella gemella Dorelynn, che si addestrava con le Zarall, di quanto
fossero legati e di quanto lei le mancasse.
“Anzi,
probabilmente è
l'unica persona che davvero mi manca di casa mia...” aveva
aggiunto
con una smorfia.
“E
tua madre? Non ti
manca?”, aveva chiesto Marissa cercando di immaginare cosa
potesse
significare avere una madre.
“Non
fraintendermi, le
voglio bene... ma non siamo molto legati. Credo che lei non mi abbia
mai capito fino in fondo. O forse io non ho capito i suoi sforzi per
trasformarmi in qualcuno degno di portare avanti il nome della
famiglia.”
“Cosa
mi dici di tuo
padre?”
Damien
si era visibilmente
irrigidito, e Marissa comprese di aver toccato un tasto dolente.
“Io
e mio padre”, disse
Damien inumidendosi le labbra, “non siamo mai andati
d'accordo. Se
io volevo una cosa, lui ne voleva un'altra. E alla fine l'ha avuta
vinta lui.”
“Vuoi
dire che ti ha
obbligato a venire all'Accademia?”
Il
ragazzo annuì. “Non ha
ammesso repliche.”
Le
aveva raccontato molto di
sé, ma per qualche motivo aveva omesso il fatto che era in
grado di
comunicare con Dorelynn tramite il pensiero.
Marissa
a sua volta gli
aveva parlato della sua infanzia infelice al monastero, dei soprusi
delle monache, delle sue origini oscure.
Damien
aveva ascoltato con
molto interesse, lanciando di tanto in tanto un'occhiata a Dracoon.
Gli aveva raccontato del viaggio intrapreso insieme a Siobhan, e
dell'attacco misterioso che aveva subito.
L'unica
cosa che non aveva
rivelato – ben consapevole delle raccomandazioni di Siobhan
– era
la sua ascendenza elfica. Le parole della donna e le reazioni del
servitore l'avevano spaventata a sufficienza da mettere un freno a
qualsiasi rivelazione, anche nei confronti di qualcuno di cui aveva
cominciato a fidarsi.
Damien
era diventato una
presenza rassicurante per Marissa, ma quando era a lezione lui non
poteva essere con lei, e lei doveva farsi forza da sola. Siobhan era
la sua insegnante e Marissa ricordava le parole che aveva pronunciato
il giorno in cui aveva assistito alla sua prima lezione.
Si
era seduta timidamente in
seconda fila, in cuor suo sperando di non essere notata troppo. La
stanza era piuttosto angusta, ma allo stesso tempo ariosa grazie al
colonnato che ne sostituiva una delle pareti, e che affacciava su un
piccolo fazzoletto d'erba piantato ad erbe aromatiche.
Dracoon
era andato ad
accomodarsi sul davanzale, le zampe ripiegate sotto il corpo, lo
sguardo vigile e attento.
“Oggi
abbiamo con noi una
nuova apprendista”, aveva iniziato Siobhan, unendo le mani in
grembo, le lunghe maniche a campana che scendevano fino a terra.
Com'era diversa, pensò Marissa, ora che aveva abbandonato i
seducenti abiti di cavallerizza per quelli informi di insegnante.
“Marissa viene da Itul, e più precisamente dalla
foresta di
Argoer. Io stessa l'ho condotta qui, come sapete. È giovane,
anche
se non quanto coloro che, possedendo il potere innato, iniziano il
loro cammino di addestramento. Ma non fatevi ingannare dalla sua
età:
ella possiede un dono che, anche con tutto il vostro addestramento,
difficilmente voi riuscirete ad eguagliare. Vi prego però di
non
serbarle invidia: il suo è anche un pesante fardello da
portare,
come io stessa ho sperimentato.”
Marissa
tacque, arrossendo
d'imbarazzo. Dracoon lo notò e fiutò l'aria in
cerca di un segnale
che la sua padroncina era in pericolo e che doveva aiutarla.
Ogni
mattina Marissa
esercitava il suo potere insieme ai suoi compagni, preparandosi a
farlo con lunghi esercizi di meditazione e concentrazione. Poi
occorreva memorizzare le parole che – dette ad alta voce o
semplicemente pensate – permettevano il lancio
dell'incantesimo.
“Le
parole non hanno
potere”, aveva spiegato loro Siobhan. “La parola
è solo il
tramite tra l'elemento esistente in natura – che sia l'aria,
l'acqua o qualunque altra cosa – e l'energia del corpo,
quella che
noi tutti possediamo. La parola è il ponte che permette a
questa
energia di fluire. Se mescoliamo un elemento innocuo con uno
pericoloso non accade nulla finché una miccia non viene
accesa. E la
parola è la miccia.”
Ma
Marissa, grazie al suo
dono, non aveva bisogno di studiare le formule, le parole che le
avrebbero permesso di usare la magia. Il suo addestramento consisteva
piuttosto nel domare e indirizzare qualcosa che era pronto a
esplodere dentro di lei. Per questo Siobhan la faceva fermare un'ora
in più dopo la fine della lezione e le dedicava del tempo
esclusivo.
Quando
aveva finito correva
da Damien che l'aspettava in biblioteca, già tamburellando
le dita
sulla superficie di legno del tavolo.
Grazie
all'aiuto della sua
nuova amica, il viziato figlio di Alcaeus era riuscito ad migliorare
moltissimo negli studi, evitando così un'espulsione sempre
più
probabile.
Marissa
teneva Dracoon sulle
gambe con le piccole zampe anteriori nelle sue mani. Era seduta
sull'erba di uno dei guardini interni del castello, e Damien sedeva
accanto a lei. Alcuni gruppetti di apprendisti, a una certa distanza
da loro, pure sedevano sull'erba, approfittando della bella stagione
per studiare all'aperto, o semplicemente godersi il pomeriggio.
“Coraggio,
chiediglielo
tu. Con me non vuole parlare”, disse Damien impaziente.
Marissa
lo guardò
sbalordita, con una nota di rimprovero negli occhi. “Vuoi
dirmi che
hai provato a chiederglielo senza dirmi niente?”
Damien
si passò la mano fra
i capelli, allontanando un ciuffo ribelle dalla fronte.
“Più o
meno... dai, forza, cosa aspetti?”
Marissa
riportò la sua
attenzione su Dracoon con un sospiro. Erano giorni che cercavano di
porre all'animale la domanda giusta per comprendere cosa lo legasse a
Marissa.
“Hai
detto che ci
conosciamo da prima che tu mi salvassi da quella creatura,
vero?”
Dracoon
annuì.
“Forse
mi hai vista quando
ho lasciato il monastero?”
Dracoon
scosse la testa.
“Forse
quando eri al
monastero?” azzardò Damien.
“Damien,
questo è
impossibile”, disse Marissa. “Finché ero
rinchiusa lì dentro
come può avermi conosciuta? Non ne sono mai usci-”
Si
bloccò sgranando gli
occhi di fronte al cenno affermativo di Dracoon.
“Come
puoi avermi
conosciuto lì, io...?”
“Ha
detto sì, non hai
visto?” tagliò corto Damien. “Fagli
un'altra domanda.”
“Va
bene”, rispose
Marissa tentando di riflettere. “Ero molto piccola?”
Dracoon
annuì.
“Avevo
meno di dieci
anni?”
Dracoon
annuì ancora.
“Oh
accidenti!” esclamò
Damien frustrato. “Di questo passo ci impiegheremo una vita.
Non
c'è un sistema più rapido per comunicare con
lui?”
Dracoon,
che aveva spostato
i suoi piccoli occhi neri su Damien, sembrò comprendere lo
sfogo del
ragazzo, perché sfilò le zampe dalle mani di
Marissa e gliele
poggiò sulle tempie.
Improvvisamente
una visione
apparve alla ragazza, nitida come se l'avesse davanti agli occhi. Era
una visione dall'alto, e Marissa ebbe l'impressione di stare
fluttuando nell'aria. Comprese che ciò stava vedendo, lo
vedeva
attraverso gli occhi di Dracoon.
Comparve
una bimbetta dai
capelli rossi, che non poteva avere più di due o tre anni,
che
trotterellava sulle sue corte gambette. Il luogo Marissa lo
riconosceva senza possibilità d'errore: i cupi muri di
pietra, la
perenne penombra, i lunghi corridoi serpentini... si trovava di nuovo
entro le mura del monastero di Argoer.
La
bambina si diresse verso
una porta chiusa e, senza esitazione, spinse per aprirla.
Improvvisamente una bianca luce accecante si sprigionò
simile a un
tuono silenzioso, invadendo tutto il suo campo visivo. Il monastero e
la bambina scomparvero improvvisamente, inghiottiti dalla luce.
Marissa
trattenne il fiato e
aprì le palpebre. Batté gli occhi più
di una volta, prima di
rendersi conto di trovarsi ancora una volta nel giardino
dell'accademia.
Damien
si era inginocchiato
di fronte a lei e la scrutava con aria preoccupata.
“Stai
bene?” chiese.
“Sei stata assente per un bel momento. Avevo paura che la
bestiaccia ti avesse fatto del male.”
“Sto
bene”, si affrettò
a rassicurarlo Marissa. “Dracoon non mi farebbe mai del
male.”
Poi
si rivolse all'animale,
che aveva riportato le zampe sulle gambe di Marissa.
“Quella
bambina ero io?”
Dracoon
annuì.
“Quale
bambina?” chiese
Damien, confuso. Marissa lo ignorò, troppo eccitata per
prestargli
attenzione, e si rivolse di nuovo a Dracoon.
“E'
accaduto al monastero?
È così che ci siamo conosciuti?”
Cenno
affermativo.
“Sai
cos'era quella luce
bianca?”
Dracoon
scosse il capo, con
aria mortificata.
“Ma
è da allora che
accade, vero? È da allora che io riesco a vedere con i tuoi
occhi e
tu con i miei...”
Questa
volta Dracoon poté
confermare, entusiasta.
Damien
non ci capiva più
nulla. “Mi vuoi spiegare cosa diavolo sta
succedendo?”
“Mentre
andiamo ti
racconto tutto”, rispose lei alzandosi e scrollandosi via i
fili
d'erba dalla tunica. Dracoon si alzò in volo per seguirla,
sbattendo
le ali robuste in movimenti misurati.
“Andiamo
dove?” chiese
Damien imitandola e alzandosi a sua volta.
“Da
Siobhan.”
Siobhan
teneva la testa tra
le mani e i gomiti poggiati sulla scrivania, davanti a lei una pila
di pergamene e tomi ammucchiati alla rinfusa. Il suo servitore le
aveva portato dalle cucine un calice di vino caldo, ma neppure quello
era riuscito a rinfrancarla. Il consiglio dei delegati si sarebbe
tenuto entro pochi giorni, e Lord Arnulf sarebbe stato presente.
Siobhan aveva già deciso che non lo avrebbe informato
dell'incidente
di Marissa con l'Airknoril, ma non poteva esimersi dal raccontargli
l'episodio capitato a Waford e la strana creatura che l'aveva
attaccati. L'Alleanza doveva essere informata di quel potenziale
pericolo, e l'Alleanza, a sua volta, era tenuta a informare la regina
Shandrel, entro il cui territorio l'attacco si era verificato.
Ciò
che la frustrava immensamente era non poter dare praticamente alcuna
risposta concreta, né al consiglio, né alla
regina. E Arnulf era un
uomo che si aspettava risposte e odiava gli enigmi. Al diavolo quel
pomposo nobile montato! E al diavolo anche quella ragazzina che da
settimane a quella parte le toglieva anche il sonno! Tutto
ciò che
circondava Marissa era un autentico mistero, e Siobhan non riusciva
in alcun modo a venirne a capo. L'aveva interrogata a lungo dopo che
si era risvegliata dallo svenimento, ed anche Damien, ma senza
risultati. E l'attacco della figura incappucciata era ancora
più
misterioso. Quale incantesimo poteva avere una tale influenza sulla
volontà di una persona? Siobhan era pronta a giurare che non
esistesse, eppure Marissa ne era stata soggiogata.
Dei
colpi alla porta la
strapparono bruscamente alle sue riflessioni e Siobhan alzò
lo
sguardo davanti a sé.
“Avanti”,
disse
controvoglia.
Fu
stupita di vedere
comparire proprio Marissa accompagnata da Damien. I due erano ormai
diventati inseparabili, e questo non era un mistero per nessuno.
“Noi...
volevamo
parlarti”, disse Marissa, fermandosi al centro della stanza.
“Sedetevi”,
rispose
laconica Siobhan, indicando loro due sgabelli di fronte alla sua
scrivania. I suoi lunghi capelli biondi, di solito raccolti in una
sobria crocchia, le scendevano in una treccia lungo la spalla. I suoi
profondi occhi azzurri scrutavano i due ragazzi con
severità.
Marissa non poté fare a meno di notare l'espressione
ammirata con
cui Damien guardava la sua bellissima insegnante.
“Di
cosa si tratta?”
chiese Siobhan, rompendo il silenzio imbarazzato in cui i due ragazzi
erano precipitati.
Damien
diede a Marissa un
colpetto col gomito, incoraggiandola a parlare. Dracoon andò
ad
appollaiarsi sulla scrivania, prendendo alla sprovvista Siobhan che
trasalì nel sentire l'ala pelosa sfiorarle il braccio.
“Il
tuo amico è
sicuramente una novità da queste parti”,
commentò la donna.
“Avevo sentito parlare dei Dracoon, ma non credevo di
riuscire a
vederne uno con i miei occhi. È quanto di più
simile a un drago
incontreremo mai a sud di Valchir.”
“E'
proprio di lui che
volevo parlarti, Siobhan”, disse Marissa. “Sono
giorni che cerco
di comunicare con lui per scoprire come ha fatto a
conoscermi...”
“Lui...
ti conosce?”
chiese Siobhan stupita.
“E'
stato lui a salvarmi
dall'attacco di quella creatura, a Waford. Ma dice di conoscermi da
molto prima. E oggi mi ha mandato una visione che riguarda il nostro
primo incontro.”
Marissa
raccontò nei
dettagli ciò che aveva visto, mentre Siobhan ascoltava
attenta e
incredula. Quando ebbe finito, l'insegnante si alzò in piedi
e prese
a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza,
finché Damien,
stufo, chiese con l'irruenza che gli era propria: “Allora,
puoi
aiutarci a capire?”
Siobhan
si bloccò di colpo.
Non era ancora sicura che quel ragazzino le piacesse, ma almeno
dimostrava fegato.
“Adesso
abbiamo un 'noi'
qui?” chiese guardandoli ironicamente.
Marissa
arrossì, ma tenne
il mento alzato e guardò la sua insegnante negli occhi.
“Damien
è mio amico. Mi è
stato vicino in queste settimane, anche quando tutti gli altri mi
guardavano con diffidenza. Merita di sapere quanto me.”
Siobhan
si risedette con un
sospiro.
“La
verità è questa,
ragazzina. Tu sei un enigma per me. Tutto quello che ti accade
– e
di cose misteriose te ne capitano un bel po' – sembra
inspiegabile.
Mi sono scervellata giorni sugli antichi testi, sulle pergamene, sui
tomi più dimenticati della biblioteca dell'accademia. E
Brithdara e
Yseult insieme a me. Fra pochi giorni i membri dell'alleanza si
riuniranno a Letha e io dovrò dare una spiegazione sulla
creatura
che ti ha attaccata. Non ho scelta su quello. Potrò tenere
nascosto
il resto, ma non quello.”
“Ma...
non capisco! Che
collegamento ho io con l'Airknoril? E perché Dracoon
può vedere ciò
che vedo io? E quella luce bianca cos'era?”
Siobhan
batté la mano sul
tavolo, facendo sobbalzare i due ragazzi.
“Nessuno
può avere
a che fare con l'Airknoril in questo modo... nessuno!”
“Mai
lei sì...” le fece
notare Damien, per niente impressionato.
“Devo
riflettere
sull'episodio che mi hai raccontato, quello avvenuto all'Accademia. O
forse lui potrebbe mostrarmelo...?” Siobhan guardò
dubbiosa
Dracoon, che teneva il musetto appoggiato sulle zampe squamose. Ma
l'animale scosse la testa deciso, in risposta.
Siobhan
sospirò. “Molto
bene. Invierò una missiva alla priora Adeliz al monastero.
Forse se
farà luce sull'episodio che hai veduto, tutto il resto ci
apparirà
più chiaro.”
***
A
molte leghe di distanza...
“Non
posso crederci, hai miseramente fallito! Idiota!” Il Basorham
incappucciato tuonava contro il suo simile che stava inginocchiato di
fronte a lui, con la fronte che toccava il pavimento.
“Non
è colpa mia, Maestro. Ho fatto il possibile, ero quasi
riuscito a
prendere la ragazza... ma quello stupido animale si è messo
in mezzo
e me lo ha impedito. Se non fosse stato per lui ci sarei
riuscito.”
“Quello
non era un semplice animale... e per colpa della tua inettitudine ora
la ragazza si trova già a Letha.”
“Mandatemi
di nuovo da lei, Maestro. Mandatemi a Letha... vi giuro che questa
volta non fallirò.”
Il
Bashoram sospirò stancamente, facendo cenno alla creatura
inginocchiata di rialzarsi. “Rabnaz, non ho rovesciato Lysar
e il
consiglio solo per dare fiducia a degli imbecilli che si lasciano
sfuggire una ragazzina.”
E
così dicendo agitò la mano ingioiellata in
direzione del Bashoram
che gli stava accanto. “Andrai tu questa volta, Bulkok. Ed
ora che
la ragazza è fra le mura dell'accademia c'è un
solo modo per
raggiungerla...”
“Come
volete, Maestro”, rispose quello, inchinandosi.
“Quanto
a te...” disse il Maestro rivolgendosi a Rabnaz.
“Non vali
nemmeno il mio tempo. Guardie, portatelo via. La pena per il
fallimento sarà l'esilio perpetuo nelle Terre Fredde. Se fra
un anno
sarai sopravvissuto, potrai sempre tornare.”
Rabnaz
venne trascinato via urlando, mentre il Maestro lo guardava con
disprezzo.
“E
sono stato anche generoso”, disse fra sé e
sé.
Nota
dell'Autrice: Ed
eccoci con il
nuovo capitolo, in cui viene dato qualche indizio in più su
ciò che
accadde a Marissa da bambina e nel ruolo che Dracoon ha avuto in
questo. Mentre ormai dovrebbe essere palese chi ha attaccato la
ragazza a Waford... naturalmente loro, i mostruosi Basorham. Siobhan
dovrà avere a che fare presto con l'alleanza, e
dovrà trovare un
modo per imbastire loro la storia. E Damien? Che dite, comincia a
riscattarsi un po'?
Grazie
a tutti voi che seguite con tanta pazienza. Questa è una
storia
molto difficile per me, che fin'ora ho affrontato il fantasy solo da
lettrice, quindi vi ringrazio infinitamente per l'incoraggiamento che
mi date.
Alla
prossima
Eilan
|
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Capitolo 9 *** Gemelli si nasce ***
Il
palazzo dell'Alleanza era
immerso nel silenzio e nella penombra, rischiarata solo dai bracieri
che correvano per tutta il perimetro interno dell'edificio,
alimentati da olio di bacche di cernot.
Siobhan
si sentiva nervosa,
e questo non le dava alcuna confidenza in se stessa. Il nervosismo
era talmente lontano dal proprio carattere, che a stento lo aveva
riconosciuto come tale. Yseult invece era apparentemente calma, lo
sguardo assorto mentre si infilava i guanti bianchi, aggiustandoseli
sulle dita.
Brithdara
lanciava uno
sguardo preoccupato prima all'una e poi all'altra, e sembrava voler
dire qualcosa, ma senza trovare il coraggio per farlo.
Siobhan
lo aveva notato, ma
siccome l'insicurezza di Brithdara le dava sui nervi, evitò
di
chiederle di confidarsi. Infilò la lunga veste bianca, che
si
adattava al suo corpo snello come un guanto. Strinse i lacci che
aveva dietro la schiena e passò le mani sulle maniche per
lisciarle.
Poi si osservò allo specchio: l'abito dei Delegati era
immacolato,
fatta eccezione per le otto stelle dorate impresse sul petto.
Allacciò l'ultimo bottoncino bianco che chiudeva il collo
alto e
rigido, indossò la mantellina pure bianca e
infilò i guanti. I
capelli biondi erano raccolti in una rigida crocchia, e gli occhi
azzurri di solito brillanti sembravano spenti.
“Andiamo?”
disse infine
Yseult, portandosi alle sue spalle. “Sei pronta?”
Siobhan
sospirò,
raddrizzando le spalle. “Andiamo.”
Due
servitori spalancarono
le porte della Sala Maggiore all'arrivo delle tre delegate, con
Siobhan in testa. Le donne, con le mani infilate nelle ampie
soprammaniche della veste, entrarono con passo misurato e presero
posto nei seggi che gli spettavano. Il tavolo ovale era ghiacciato al
tatto, e completamente trasparente: sotto di esso erano perfettamente
visibili le piastrelle colorate del pavimento. Era stato fabbricato
con marmo di ghiaccio, un materiale che si trovava solo nelle cave di
Valchir. Era stato un dono del re degli elfi, e risaliva a diversi
secoli prima. Per quanto Siobhan ne sapesse era sempre stato in
quella sala, e aveva ospitato ogni singola riunione dell'alleanza. Vi
passò le dita assorta, provando un brivido di freddo lungo
la spina
dorsale. Per l'ennesima volta si chiese se non fosse stato un errore,
se i suoi predecessori non avessero agito precipitosamente
nell'esiliare per sempre gli elfi dagli Otto Regni e dal resto del
mondo conosciuto. Quelle creature erano sempre state geniali,
potenti... e non era un caso che una loro discendente fosse
altrettanto straordinaria. Era evidente da quanti problemi e quanti
enigmi Marissa portava con sé.
Quando
tutti i membri furono
seduti Lord Arnulf prese la parola, esponendo brevemente i punti
all'ordine del giorno. Un'assegnazione di terre contese tra due
nobili; l'approvvigionamento di grano a Flanshire, i cui magazzini
contenevano più ragnatele e polvere che provviste;
l'addestramento e
il collocamento delle truppe dell'Alleanza. Siobhan lo
ascoltò
distrattamente, presa dai propri pensieri. L'uomo che le stava di
fronte non aveva la sua simpatia, e questo non era un mistero per
nessuno, neppure forse per lo stesso Arnulf. Aveva un modo di fare
mellifluo, untuoso... borioso. Si riteneva una spanna sopra a tutti
solo perché portava il cognome Fielding. La sua discendenza
altolocata gli aveva aperto molte porte, ma Siobhan si chiedeva
spesso se una goccia di talento del Grande Mago Kendell scorresse di
fatto nelle vene del suo pronipote.
Discussero
per circa un'ora
sulle decisioni da prendere, mentre ogni parola veniva doverosamente
verbalizzata dai maghi di Arnulf. Dorea della Terza Stella, una
delegata di Kianares, nel nord, chiese se di nuovo non si potesse
tentare di persuadere le Zarall ad unirsi al consiglio, di inviare
una loro delegata.
“Abbiamo
affrontato questo
argomento innumerevoli volte, Dorea”, le rammentò
Siobhan.
“Abbiamo tentato a più riprese, ma le Zarall
preferiscono non
assumere incarichi ufficiali. Ci tengono alla loro
indipendenza.”
“Devo
rammentarvi che gli
avvistamenti di Basorham continuano? Dobbiamo seguitare ad
ignorarli?”
“Fandonie!”
tuonò Lord
Arnulf. “Dovremmo prendere sul serio ogni avvistamento di
fatine e
unicorni che i marinai ubriachi avvistano di continuo?”
“A
questo proposito
milord”, intervenne Siobhan, “la pensavo anch'io
come voi, ma
devo riportare a questa assemblea un episodio a cui ho potuto
assistere con i miei occhi.”
La
donna raccontò ciò che
era capitato a lei e Marissa a Waford, e notò le espressioni
dei
delegati mutare da scettiche ad attente.
“E
voi dite di essere
sicura della natura di questo... essere? Era davvero un
Basorham?”
chiese Dorea di Kianares.
“Non
posso giurarlo. Ma
considerando gli avvistamenti recenti è una
possibilità da non
escludere.”
“E
sia”, disse infine
Lord Arnulf, più annoiato che preoccupato.
“Ordinerò delle
indagini.”
“Dunque...”
continuò
tamburellando le lunghe dita sul tavolo. “Non ci resta che la
relazione dall'Accademia da affrontare. Come procedono i nuovi
allievi, Lady Siobhan?”
Yseult
lanciò un'occhiata
preoccupata alla sua amica, improvvisamente vigile.
“Bene,
Lord Arnulf. I
cadetti danno del loro meglio. E di recente è giunta tra noi
anche
un'allieva con il dono.”
“Una
buona notizia! Avete
altro da segnalarmi o tutto procede come al solito?”
Siobhan
deglutì. “Tutto
come al solito, milord.”
“Bene”,
disse l'uomo
inforcando un paio di lenti da vista montate in oro e studiando una
pergamena ricoperta di nomi e date. “Vedo che gli allievi
sono
attualmente quindici-”
“In
verità Lord Arnulf”,
lo interruppe Brithdara, quasi strillando, “ci sarebbe
un'altra
cosa...”
Siobhan
si voltò di scatto,
fulminando la maga con lo sguardo. Mosse le labbra per dirle di
tacere, ma Brithdara, rossa fino alla radice dei capelli, fece finta
di non vederla. Gli occhi di Siobhan mandavano scintille. Se avesse
potuto incenerire Brithdara sul posto lo avrebbe senz'altro fatto.
“Di
cosa parlate, Lady
Brithdara?” chiese Arnulf poco convinto, guardandola in
tralice da
sopra le lenti.
Con
voce tremante, ed
ignorando lo sguardo duro di Siobhan, Brithdara raccontò di
ciò che
era capitato a Marissa e alla pietra.
* * *
Piccole
gocce di pioggia
inumidivano il terreno, amplificando i profumi della foresta,
incollando tra loro foglie ed aghi di pino e facendo affondare i
rami caduti in una poltiglia di fango.
Eppure
Dorelynn pensava che non ci
fosse mai stato un giorno più bello di quello. Dopo un anno
di duro
addestramento, di esercitazioni nel combattimento, sia a piedi che a
cavallo, di nottate passate all'addiaccio nel tentativo di ritrovare
un sentiero o una traccia, di giorni in cui era rientrata al campo
talmente stanca e sfatta da pensare che sarebbe crollata a terra, lei
e le sue compagne stavano per diventare delle Zarall, membri della
sorellanza a tutti gli effetti.
Al centro
dell'accampamento era
stato acceso un grande fuoco che gettava una grande luce sui volti
della guerriere e delle iniziate. Le ragazze erano disposte a cerchio
tutto intorno al falò e le Zarall le guardavano dall'esterno
di
esso. Regina aveva un'espressione fiera sul volto: quelle erano le
sue allieve, era lei che le aveva addestrate per tutto quel tempo e
non poteva restare indifferente.
Le
iniziate se ne stavano in piedi
in trepidante attesa, osservando una delle Zarall passare tra loro e
distribuire la collana simbolo del nuovo status, che ognuna di loro
avrebbe indossato da quel momento in avanti.
Quando
venne il suo turno Dorelynn
chinò il capo emozionata, e lasciò che la Zarall
Dionaea le
mettesse al collo quello spesso laccio di cuoio con appesi un pezzo
di metallo, uno di corteccia di legno e uno di pelle di cervo
essiccata. Ciò a cui le Zarall dovevano dimostrarsi devote:
la
guerra, la Foresta di Smeraldo e la carne, che rappresentava la loro
volontà di dare la vita per la sorelle.
Infine si
fece avanti Fedora, la
Grande Combattente, il capo della sorellanza, una donna sulla
sessantina, con il volto temprato dal sole e i capelli grigi, ma che
teneva la schiena dritta come un fuso ed emanava un'aura di
autorevolezza assoluta.
“Ora
siete delle Zarall, delle
sorelle, sangue del nostro sangue. Il vostro dovere sarà
prima di
tutto verso le vostre sorelle, ricordatelo. Siamo fiere di voi, dell
ascleta che avete fatto e del lungo percorso che avete affrontato per
giungere a questo momento. Quarantuno estati sono trascorse dalla mia
iniziazione, eppure rivedo me stessa in ognuna di voi. Ed ora come la
nostra tradizione impone sceglierete il vostro fiore.”
Dionaea
si fece avanti con un
cestino dentro il quale c'erano otto coppie di fiori diversi. A turno
le iniziate ne avrebbero pescato uno. Coloro a cui in sorte fossero
toccati i due fiori identici sarebbero divenute ciò che le
Zarall
chiamavano Tanet – gemelle. Ogni Zarall
aveva il compito
speciale di prendersi cura di una delle altre sorelle, e l'impegno
era reciproco. Doveva sempre guardarle le spalle, evitare ad ogni
costo che qualcosa di male le accadesse. Sarebbero state quasi un
unico essere.
Ogni
ragazza estrasse un fiore.
Quando toccò a Dorelynn pescò un'Azaria,
un fiore rosso
dalle sfumature arancioni. Dopo di lei c'erano altre tre ragazze, e
l'ultima a dover scegliere era Galinthia.
Le due
iniziate dopo Dorelynn
estrassero una un Lomoth – un fiore dai
grandi petali blu -,
e l'altra un Oniafer – un fiorellino
violaceo. Dorleynn
trattenne il fiato, mentre Galinthia estraeva l'ultimo fiore rimasto.
Il risultato era scontato, ma Dorelynn sentì la frustrazione
serrarle lo stomaco quando vide la sua rivale pescare dalla cesta
l'altro esemplare di Azaria.
-Ti
rendi conto? Di tutte le
ragazze doveva capitarmi proprio lei? Dorelynn provava una
grande rabbia e un senso di sconfitta. E ciò che la
indispettiva di
più era il fatto che l'essere diventata la Tanet di
Galinthia
aveva rovinato la giornata che tanto aveva atteso, quell'iniziazione
tanto sognata e desiderata che arrivava a coronare gli sforzi
compiuti nell'anno passato.
-Mi
dispiace, Dorelynn, rispose
Damien intristito dal duro sfogo della sorella. Non sapeva come
consolarla, cosa dire per rendere meno amara la sua delusione.
-Quella
ragazza mi odia! Pensi davvero che se fossi in pericolo
sacrificherebbe la vita per me?
-Beh...
-E
anche se lo facesse, continuò
Dorelynn, troppo presa dal suo sfogo per badare al fratello, penso
che preferirei venire trapassata da cento frecce piuttosto che
svolgere ogni missione, ogni turno di guardia, ogni pattugliamento in
sua compagnia!
-Potrebbe
arrivare a piacerti,
azzardò Damien.
-E'
stata lei a prendermi di mira fin dal primo giorno, non io. Se ci
sarà qualcuna che dovrà adattarsi quella
sarà lei!
-Visto
che non sono in grado di alleviare la tua frustrazione, preferisci
che cambi argomento?
-Sì,
forse è meglio, sospirò
Dorelynn, è inutile rimuginare su ciò
che non posso cambiare.
Quella mocciosa insopportabile sarà la mia Tanet per
il resto
della vita, quindi dovrò solo rassegnarmi. Raccontami come
sta
andando il tuo addestramento, almeno mi distrarrò...
-Bene!
Ci crederesti se ti dicessi che, per la prima volta nella vita, mi
sto davvero appassionando a quello che faccio? Anche la mia
insegnante dice che sono molto migliorato. Ho evitato l'espulsione e
il vergognoso ritorno a casa, dove mio padre avrebbe pianto ancora
una volta per il suo figlio tanto scapestrato.
-Non
dirmi che è tutto merito della tua nuova amica?
-In
parte sì. Dobbiamo anche capire perché la Pietra
abbia
quell'effetto su di lei. Siobhan non sa più dove sbattere la
testa.
In più è furiosa per il comportamento di
Brithdara, che ha
spifferato tutto ad Arnulf nonostante lei avesse chiaramente deciso
di non farlo. Ma ci sono altre voci che preoccupano tutti qui a
Letha, tanto che Lord Arnulf ha ordinato un'indagine approfondita. Ci
sono stati degli avvistamenti di Bashoram.
-Non
qui nella Foresta, commentò
Dorelynn pacata. Era chiaro che non prendeva molto sul serio la cosa.
Erano talmente tanti secoli che i Bashoram non mostravano il loro
volto che per le nuove generazioni non erano diventati niente di
più
che personaggi delle favole che le loro madri gli raccontavano per
spaventarli quando da bambini non facevano i bravi.
-Mi
prometti che mi terrai al corrente di come vanno le cose tra te e
Galinthia?
-Lo
farò senz'altro, fratellino, ma non aspettarti nulla di
positivo a
breve termine.
* * *
Siobhan
aveva avuto una seria
discussione con Brithdara una volta tornate all'Accademia. A dir la
verità non sapeva neppure lei come aveva fatto a evitare di
prendere
a schiaffi quella faccia di bronzo. Brithdara l'aveva sfidata
apertamente, ma non sembrava pentita.
“Era
nostro dovere riferire
un'informazione così importante al nostro
superiore”, fu l'unica
ostinata spiegazione che diede di fronte alla furia di Siobhan.
L'insignificante
e spaventata
donnetta che Siobhan aveva sempre conosciuto sembrava uscita dal suo
guscio, seppure ancora un po' tremante di fronte al suo sguardo duro.
“So
che sei di grado superiore a
me, Siobhan. Ma non sono una delle tue allieve... sono una maga per
mio diritto e non sono tenuta ad obbedirti! Anche se tu evidentemente
ne sei convinta...”
Così
Siobhan aveva dovuto mandare
giù la sua rabbia, e per farlo aveva cercato di convogliare
l'energia nell'insegnamento e nello scoprire il mistero che aleggiava
intorno a Marissa. La ragazza era un'allieva diligente e volenterosa
e il suo potere cresceva ad un ritmo impressionante. Grazie al suo
esempio anche Damien era migliorato notevolmente, e Siobhan era
arrivata a credere che un giorno sarebbe diventato un grande mago.
Aveva
inviato una missiva alla
Prioria Adeliz, al monastero della Beata Laodamia. Nella lettera
domandava se la religiosa potesse rievocare per lei un episodio di
cui Marissa doveva essere stata la protagonista ad un'età di
circa
tre o quattro anni. Non aveva altro su cui lavorare, per cui
sperò
che la memoria della Priora fosse ostinata come il suo carattere.
* * *
Dorelynn
si era ormai abituata al
movimento ritmico del cavallo, ed al rumore attutito dei suoi
zoccoli. Cercò di concentrarsi su questo per non dover
prestare
attenzione alla ragazza che cavalcava al suo fianco.
“Smettila
di far finta di non
vedermi, principessina”, gli disse ad un certo punto
Galinthia,
“siamo unite indissolubilmente io e te, che ci piaccia o no.
Siamo
Tanet ora, e questo ci rende più unite
che se fossimo state
partorite dalla stessa madre, nello stesso momento.”
“Ho
già un gemello”, borbottò
Dorelynn in risposta, “non me ne serve un'altra.”
“Hai
un gemello? Non lo sapevo. E
tu ti sei mai preoccupata di sapere se io ne avessi uno, o una
famiglia, o da dove venissi?”
“Non
me ne hai mai dato
l'occasione. Ti sei scagliata su di me non appena mi hai
vista”,
rispose secca Dorelynn, portando il cavallo al passo. La treccia alta
che tradizionalmente tutte le Zarall portavano le batteva sulla
schiena al ritmo della cavalcata, e la spada ricurva che le era stata
consegnata il giorno dell'iniziazione le pendeva al fianco.
Galinthia
sorrise tra sé. “E non
ne vedi il motivo, mia ingenua ragazza? Invidia, pura e semplice.
Sono nata in un piccolo villaggio di pescatori non lontano da Conne,
e non ho mai posseduto niente. Ed ecco apparire te, sfolgorante nella
tua tunica ricamata, con i tuoi servitori e i tuoi beni di lusso. Non
capisci come ci siamo sentite io e le altre allieve?”
“Non
era un motivo per escludermi
ed emarginarmi”, le fece notare Dorelynn, ma con voce meno
dura.
Tra le
due ragazze calò il
silenzio, ed entrambe tennero gli occhi aperti scrutando i dintorni.
D'altronde era per quello che pattugliavano i confini della Foresta
di Smeraldo.
Dorelynn
guardò in basso e
l'occhio le cadde sul piccolo tatuaggio che le ornava il polso.
Un'Azaria, identica a quella portata da Galinthia.
Era stata
fatta loro la mattina successiva all'iniziazione, e così
alle altre
ragazze i rispettivi fiori.
Continuarono
la loro ronda lungo la
costa che era stata loro assegnata: quella nord, che si affacciava
sul Mare di Azure. Dorelynn alzò il capo: alle sue narici
giunse
distinto l'odore salmastro che tante volte aveva sentito a Conne. Il
mare non poteva essere lontano.
Proseguirono
ancora per qualche
miglio, svoltando ad ovest. La foresta cominciò a diradarsi,
lasciando il posto a verdi distese d'erba punteggiate di macchie
colorate: i primi fiori dell'anno. Non ci volle molto perché
giungessero sulla scogliera che sovrastava l'immensa distesa d'acqua
salina.
Fermarono
i cavalli a pochi passi
del precipizio e rimasero ad osservare l'infrangersi delle onde sugli
scogli, molti metri più in basso.
“Quanto
tempo è trascorso
dall'ultima volta che ho visto il mare!” commentò
Galinthia,
rapita. La leggera brezza marina le colpiva in pieno volto, ma non
era una sensazione spiacevole.
“La
tua era una famiglia di
pescatori?” chiese Dorelynn.
“Mio
padre ha preso la sua
barchetta ogni mattina per venticinque anni. Un giorno il mare l'ha
inghiottito e non lo abbiamo più rivisto. È stato
allora che ho
scelto di unirmi alle Zarall piuttosto che morire di fame o essere
costretta ad entrare in un bordello.”
“Mi
dispiace molto”, mormorò
Dorelynn. E per la prima volta provò una sorta di simpatia
verso
gemella che le era stata imposta.
* * *
La
lezione di quel giorno fu
particolarmente impegnativa per Marissa. Il tema era il respiro: come
controllarlo perché diventasse una leggera brezza o,
all'occorrenza,
un vento capace di spazzare via una casa. La ragazza si
impegnò
molto, ma quando pensava alle parole nella sua testa – parole
che
conosceva d'istinto, senza bisogno di impararle – e portava
una
mano sotto il mento per aiutarsi, il soffio che ne usciva era a volte
troppo debole, a volte troppo forte. Rovesciò la scrivania
di
Siobhan, mandandola a sbattere contro il muro con un gran fracasso,
prima di riuscire a fermarsi. Ma Siobhan sembrava distratta quel
giorno, la mente assente, e mancò di rimproverarla come
avrebbe
fatto di solito.
Alla fine
fece uscire tutti prima
del termine della lezione, ma chiese a Marissa di restare ancora un
po'. Lei non se ne stupì: era usuale che Siobhan le
dedicasse del
tempo esclusivo alla fine di ogni lezione, ma le parve strano che
volesse farlo quel giorno, quando era così chiaramente persa
nei
propri pensieri.
“Non
voglio prolungare la
lezione, Marissa”, si affrettò a chiarire
l'insegnante una volta
rimaste sole. “Non oggi.”
“E
allora perché sono qui?”
Siobhan
le lanciò un'occhiata
attenta. Nell'arco di quell'anno Marissa aveva compiuto notevoli
progressi. Ed era anche più alta, meno timida e
più sicura di sé.
Una giovane donna in boccio.
“Ti
ho chiesto di restare perché
ho finalmente avuto una risposta dal monastero.”
“Dunque?
Hai scoperto cosa mi
accadde da bambina?”
Siobhan
scosse il capo, desolata.
“L'unica che avrebbe potuto far luce sull'accaduto era la
priora.
Ma mi è stato riferito che, dopo aver ricevuto la mia
lettera, è
morta improvvisamente. Il cuore, dicono.”
“Ci
credi?”
“Che
sia stato un incidente? No,
non credo alle coincidenze. Qualcuno si sta dando molta pena
perché
il tuo passato non venga alla luce.”
Nota
dell'Autrice: Con
scandalosissimo ritardo, eccomi tornata! Ci ho messo una vita per
scrivere questo capitolo, perché la storia mi era chiara in
mente
fino ad un certo punto (e sui fatti principali ovviamente lo
è fino
alla fine), e da adesso in poi devo lavorare molto per chiarirmi le
idee e capire come andrà avanti. Ho ricevuto tante
recensioni
davvero fantastiche, e non posso che ringraziarvi per avermi dato il
sostegno e la spinta necessarie per continuare.
E
niente, spero che questo capitolo piaccia...
Alla
prossima
Eilan
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