Il Lupo nell'ombra

di Dahu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Neve ***
Capitolo 2: *** Giocattoli rotti ***
Capitolo 3: *** Un lavoro facile ***
Capitolo 4: *** Non umano ***
Capitolo 5: *** Tradimento ***
Capitolo 6: *** Prendere posizione ***



Capitolo 1
*** Neve ***


La neve scendeva pigramente, i fiocchi che si mescolavano alle ceneri delle fabbriche, accumulandosi già sporchi per coprire con il loro lurido manto le strade di Volgarft.
Le alte fiamme che si sprigionavano dalle torri degli altiforni gareggiavano con le luci al neon di squallidi locali nell’illuminare la fredda notte invernale.
Sotto l’unico lampione funzionante di tutta la strada, era ferma un’autopattuglia dell’Adeptus Arbitres, alla quale era appoggiato un giovane che aveva preferito un caldo cappello di lana all’elmetto regolamentare.
-Sigaretta sergente?-
Chiese l’arbitres rivolto ad un collega più anziano, che ostentava un monumentale paio di baffi a manubrio bianchi di neve.
L’uomo grugnì una risposta incomprensibile, mentre gettava un’occhiata svogliata al sedile posteriore dell’auto, sul quale giacevano due caschi da arbitres ed altrettanti fucili a pompa.
-Ehy Valodia-
Borbottò il sergente, troppo piano perché il terzo uomo, al quale si era rivolto, lo potesse sentire.
Questi indossava l’equipaggiamento previsto nella sua interezza e pareva una statua di sale, immobile con il fucile a pompa stretto tra le mani inguantate.
Il sergente sbuffò ed allungò una mano per prendere la sigaretta che il giovane gli porgeva, quindi ne trasse una profonda boccata, prima di avviarsi a passi pesanti verso il collega poco prima interpellato.
-Valodia-
Questa volta il terzo arbitres si voltò impercettibilmente, senza perdere di vista la strada che stava sorvegliando.
-Si sergente?-
La voce del sergente uscì roca, più a causa dell’aria inquinata di Vostroya che non per il vizio del fumo.
-La pianti di fare l’idiota? Levati dalla testa quella bacinella e vieni a fumare con noi che è meglio…-
Valodia scosse la testa.
-Negativo sergente, non siamo autorizzati a togliere il casco durante l’attività di pattuglia, siamo qui per controllare i documenti!-
Il vecchio arbitres si voltò in cerca dell’aiuto del collega, il quale si limitò ad aprire le braccia in un gesto sconsolato, come a dire che non c’era nulla da fare con quella recluta.
-Valodia, sono le tre del mattino e siamo a Grudtal, il peggior quartiere di Volgarft, che è la peggior città di questo schifo di continente, considerato dai vostroyani il buco del deretano del pianeta… E non è che Vostroya sia questa bellezza… Quindi chi credi che voglia andarsene a spasso, sotto questa nevicata poi?!-
-Lui sergente-
Rispose con voce atona l’uomo.
Seguendo lo sguardo di Valodia, il sergente individuò una figura incappucciata che avanzava a passi lenti verso di loro, come se non li avesse visti.
-Starà cercando una ragazza a pagamento, tutti ne avremmo bisogno in una notte come questa… Non fermarlo a meno che non sia una spogliarellista che torna dal lavoro, in quel caso mi faccio carico della perquisizione-
Il giovane arbitres scoppiò a ridere, mentre Valodia non diede segno di aver sentito.
Nel frattempo l’uomo si era avvicinato abbastanza da entrare nella pallida luce del lampione.
Indossava un pesante giaccone verde oliva ed una felpa nera con il cappuccio tirato sul viso, che ne nascondeva i lineamenti.
Da una spalla gli pendeva uno zaino di tipo militare, che appariva piuttosto vuoto.
-Alt! In nome dell’Imperatore!-
Disse Valodia con voce stentorea.
Il sergente imprecò.
Con gesto svogliato gettò il mozzicone mezzo fumato e si voltò verso il nuovo venuto che, come se non avesse udito l’ordine, continuava a camminare.
Valodia fece scattare il sistema d’armamento del fucile a pompa e lo puntò verso l’uomo ringhiando.
-Fermo dove sei! Nel nome dell’Imperatore se fai un altro passo apriremo il fuoco!-
L’uomo si fermò e parlò con una voce fortemente accentata, che ne tradiva la provenienza extra mondo.
-Ma non vi stancate mai di nominare l’Imperatore? Si può sapere che accidenti volete?-
Sentendo una tale reazione il sergente s’irrigidì e portò istintivamente la mano destra alla fondina cosciale, nella quale trovava posto la sua pistola laser.
-Ce l’hai un documento?-
Chiese avvicinandosi al civile, il quale non aveva tolto le mani dalle tasche del giaccone ed appariva perfettamente calmo.
-Secondo te?-
Il sergente serrò i denti; l’impertinenza dello sconosciuto lo irritava, non era così che un cittadino avrebbe dovuto rivolgersi ad un esponente dell’Adeptus Arbitres.
Tuttavia la risposta del fermato era sensata, a Grudtal quasi nessuno aveva un documento d’identità.
-Sei armato?-
L’uomo sollevò lo sguardo, permettendo così al sergente di vedergli il viso.
Era un volto ossuto, incorniciato da una corta barba castana e sfregiato da un’unica lunga cicatrice che partiva dall’occhio sinistro e segnava tutta la guancia, come la scia di una lacrima, idea sottolineata anche dalla fila di peli bianchi che ne indicavano il percorso sotto la barba.
Furono gli occhi a colpire il sergente; due occhi marroni totalmente inespressivi, intensi ma allo stesso tempo distaccati, come se quanto stava accadendo non rivestisse alcuna importanza per l’uomo.
-Ho due mani-
Il sergente masticò amaro, ma si sforzò di non aggredire il civile.
-Cos’hai nello zaino?-
La voce del fermato era tagliente come una lama.
-Un curioso-
Il giovane arbitres imprecò in vostroyano stretto ed impugnò il manganello.
-Adesso gli do io una lezione a questo figlio di…-
Il sergente alzò una mano per interrompere il sottoposto che si stava già facendo avanti verso l’uomo.
C’era qualcosa in quello sguardo che non gli piaceva affatto, forse il lampo di divertimento che vi aveva visto, o forse quella calma innaturale.
Qualunque cosa fosse il turno era quasi finito e lui voleva solo tornare a casa.
-Lasciamolo andare… Per questa volta te la cavi così, ma non farti più vedere in questo quartiere.-
L’uomo si strinse nelle spalle, quasi a sottolineare il suo disinteresse per quanto si era detto e riprese a camminare, sempre seguito dalla canna del fucile a pompa che Valodia non smetteva di puntargli.
Solo quando si fu allontanato di alcune decine di metri il giovane arbitres ruppe il silenzio.
-Sergente ma perché cavolo lo abbiamo lasciato andare?! Quello puzzava come un bagno pubblico!-
Il sergente annuì gravemente.
-Quello puzzava di disertore, mercenario o pazzo, tre categorie con cui non voglio avere nulla a che fare….-
L’uomo con il cappuccio spinse di lato una porta di ferro e si ritrovò in una stanza semibuia, percorsa da raggi di luce verde che illuminavano un paio di belle ragazze in abiti succinti, impegnate in una pole dance.
Il locale era piuttosto frequentato, ma lui individuò un tavolino discosto e fuori vista, proprio accanto alle corte scale che dalla strada permettevano di scendere nella stanza.
Con un sospiro scese i pochi gradini; quanti problemi per riuscire a bersi una dannata birra.
Su Volgarft scendeva la neve.

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Capitolo 2
*** Giocattoli rotti ***


L’aria nel locale era fumosa ed il chiacchiericcio diffuso.
Schivando la calca di avventori che si ammassavano nei pressi dei due tavoli sui quali si svolgevano le pole dance, l’uomo si avvicinò al tavolino che aveva individuato.
Con gesto stanco si liberò del giaccone, che poggiò alla sedia perché si asciugasse, quindi si abbassò il cappuccio rivelando una capigliatura folta e ribelle.
Con gesti lenti l’uomo dal viso sfregiato si sedette ed appoggiò i gomiti sul tavolo, prima di portarsi alla bocca le mani, protette da guanti a mezze dita in lana nera, e soffiarvi sopra per allontanare il gelo della notte vostroyana.
La sua figura era immobile, ma gli occhi non si fermavano un secondo, percorrendo tutti gli avventori, in cerca della persona che voleva incontrare.
Per questo notò subito che la cameriera lo sbirciava di sottecchi.
Era una ragazza sui diciotto anni, con corti capelli biondi a caschetto e forme molto femminili, che la semplice maglietta larga da lei indossata non riusciva a nascondere del tutto.
Non appena la giovane si accorse dello sguardo insistente che le stava dedicando l’uomo, ebbe un sussulto e si affrettò verso il bancone.
Lo sfregiato sorrise dietro lo schermo delle mani che stava ancora scaldando col fiato; sapeva che il suo sguardo aveva il potere di mettere a disagio le persone e la cosa lo divertiva.
Pochi minuti dopo la ragazza si avvicinò al suo tavolo con aria timida, quasi che lui l’avesse sorpresa a rubare la marmellata.
Lui abbassò le mani e le rivolse quello che nelle sue intenzioni doveva essere un sorriso rassicurante.
In realtà il suo volto sfregiato imprimeva una piega sbilenca al sorriso, trasformandolo in un ghigno ironico che tutto poteva essere tranne che rassicurante.
-Vorrei una birra grazie-
Disse nel suo vostroyano malamente accentato, ma con tutte le formule di cortesia di cui era a conoscenza, non molte in realtà.
La cameriera annuì e rimase un momento a studiare l’avventore, dondolandosi sulla punta dei piedi, come se volesse ribattere, ma poi si sentì chiamare e si voltò verso il bancone, svanendo nella calca di avventori.
Lo sfregiato riprese a dardeggiare con lo sguardo.
Molti avventori erano chiaramente membri una gang cittadina che lui, arrivato clandestino allo spazioporto di Volgarft solo quella mattina, non conosceva.
Erano tutti ceffi patibolari, con ogni parte di pelle visibile tatuata e discretamente bene armati.
L’uomo vide parecchie pistole a proiettili solidi e fucili a pompa, oltre ad una profusione di coltelli e catene.
Del resto il fatto che la ronda cittadina fosse assicurata dall’Adeptus Arbitres e non da una comune polizia governativa la diceva lunga sullo stato del quartiere.
Lo sguardo dello sfregiato fu attirato da un uomo che si faceva largo verso di lui.
Indossava un pesante giaccone che nascondeva la sua intera figura, ad eccezione del viso duro, incorniciato da una rada barba grigia.
Doveva avere una sessantina d’anni, portati decisamente male anche a causa delle profonde rughe che lo segnavano, ricordo di una gioventù passata a cuocersi al sole ed agli elementi.
Un tratto particolarmente raro su Vostroya, dove quasi tutti erano operai dalla pelle color latte ed i polmoni avvelenati.
Nonostante l’età, l’uomo appariva davvero imponente, con due spalle da lottatore.
La mano inguantata del nuovo venuto poggiò sul tavolo una bottiglia di vetro e la spinse verso lo sfregiato, che sorrise di rimando.
-Ordinare una birra in un bar vostroyano non è il modo migliore per passare inosservati-
Disse sedendosi di fronte allo sfregiato.
Aveva una voce roca e gorgogliante, che rivelava una qualche malattia dell’apparato respiratorio.
Lo sfregiato prese la birra e ne bevve una lunga sorsata.
-Devo dire che fa anche abbastanza schifo… Ti trovo invecchiato Aleksej-
L’uomo grugnì e bevve una robusta sorsata dal bicchiere che stringeva nella sinistra, quindi si tolse il berretto di lana, rivelando una disordinata capigliatura grigia.
-Tu invece non invecchi di un giorno, Kevin… Dimostri ancora trent’anni al massimo…-
Lo sfregiato annuì senza rispondere, dedicando al vostroyano uno dei suoi inquietanti sorrisi.
-Cosa ti porta in questo buco congelato della galassia?-
Kevin si strinse nelle spalle.
-Lavoro. Mi serve un lavoro-
Aleksej annuì gravemente.
-La Guardia Imperiale butta via i giocattoli rotti eh?-
Lo sfregiato rimase inespressivo alla battuta sarcastica del suo interlocutore.
-E tu invece? Perché hai deciso di tornare a casa? Nostalgia di Vostroya? Almeno potevi scegliere un posto migliore-
Il vostroyano tossicchiò alcune volte, tutta la risata che i suoi polmoni malati potevano concedergli.
-Quando sei un ex ufficiale dei Primigeni, con i polmoni avvelenati da Armagheddon, non è che tu abbia tutte queste possibilità… La pensione ha smesso di arrivare sei anni dopo il congedo… E io dovevo trovare un modo per farle avere una vita decente-
Kevin rivolse al vecchio soldato uno sguardo interrogativo e questi gli indico una direzione con la testa.
-La cameriera?-
Aleksej annuì.
-È mia figlia, non l’avevo mai vista prima dei suoi sei anni, quando sono tornato da Armagheddon… Mia moglie è morta poco dopo-
Kevin bevve un’altra sorsata, storcendo il viso con disappunto per il sapore della bevanda.
-Cosa fai per vivere?-
-Procuro lavoro a gente disperata… Forse ho qualcosa che interessa anche a te; c’è sempre bisogno di gente in gamba per lavori nella periferia. Ma questo non è un bel periodo…
Li vedi quei bestioni tatuati?
Sono i Lupi di Volgarft, una banda numerosa, fanno il bello ed il cattivo tempo nel quartiere e vogliono allargare la loro influenza.
Se vuoi lavorare devi avere il loro permesso e pagare il loro prezzo-
Kevin annuì un paio di volte.
-Almeno è una situazione stabile-
-No, le voci che corrono parlano di un inasprimento dei rapporti tra i Lupi ed il governatore… Se non si arriva ad un accordo ci sarà una guerra…-
Lo sfregiato fece una smorfia.
-Ne ho abbastanza di guerre. Sono stufo di ammazzare la gente-
Aleksej si concesse un sorriso triste, mentre allungava un ritaglio di carta all’interlocutore.
-Ti capisco amico… Per il lavoro ci vediamo a questo indirizzo domani a mezzogiorno, ho un carico di merci contrabbandate da portare fuori città, se ben ricordo tu te la cavi al volante… Ah, cerca di non cacciarti nei guai nel frattempo, profilo basso-
Il viso di Kevin s’illuminò di una luce divertita.
-Lo sai che sono un tipo prudente-
Il vostrojano rise con quella sua voce gorgogliante.
-Grazie all’Imperatore non lo sei… O io sarei a marcire tra i boschi venefici di Armagheddon-
Lo sfregiato alzò la bottiglia a mimare un brindisi.
-Ad Armagheddon allora… Ed alla Guardia Imperiale che ci ha rovinato la vita-
-Possano bruciare nei rispettivi fuochi-
S’unì Aleksej.
I due uomini finirono d’un fiato gli alcolici ed Aleksej s’alzò, lasciando lo sfregiato a contemplare la varia umanità che popolava il locale.
Non aveva un posto dove andare o dove ripararsi dalla neve, quindi avrebbe ordinato un’altra pessima birra.
E poi un’altra.

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Capitolo 3
*** Un lavoro facile ***


Kevin si destò all’improvviso, svegliato dal suono di passi, resi lievi dalla neve.
Era sdraiato nell’androne di un palazzo residenziale, disteso in posizione fetale sul duro cemento, gli arti stretti al tronco nel tentativo di scacciare il freddo intenso.
Nonostante la temperatura, ampiamente sotto lo zero, aveva il viso imperlato di sudore a causa dei terribili incubi che, come ogni notte, avevano violentato il suo sonno.
I due uomini che lo avevano destato si arrestarono a un passo da lui e presero a parlare in un vostroyano stretto e dialettale, che lui capiva a fatica, per quanto fosse già perfettamente lucido.
-Un altro disgraziato ammazzato dal freddo… Sarà stato troppo ubriaco per rientrare a casa-
-Probabile, oppure non ce l’aveva proprio una casa, guarda lo zaino che ha sotto la testa, sarà stato un clandestino-
Kevin sentiva gli occhi degli uomini su di se e si chiese se fosse il caso di mostrarsi vivo, ma sentiva gli arti intorpiditi e non voleva trovarsi a discutere in una posizione di svantaggio, con le gambe che avrebbero potuto non reggerlo.
-Ehy, guarda che begli scarponi!-
-Sembrano una qualche dotazione militare, devono valere parecchio!-
Le voci erano eccitate e lo sfregiato inspirò un paio di volte, pronto all’azione.
-Dai, sfiliamoglieli!-
-No, tu sei pazzo, guarda i cristallini di ghiaccio, quella roba gli si è gelata addosso… Torniamo questo pomeriggio, adesso non riusciresti a levarglieli-
Il primo uomo parve riflettere per qualche istante.
-Già, hai ragione, torniamo più tardi… Speriamo solo che nessuno ce li freghi!-
Kevin sentì i passi dei due allontanarsi ed il portone chiudersi alle loro spalle, ma rimase ancora in ascolto.
Solo quando fu certo che in strada non vi era nessuno aprì gli occhi, che gli restituirono un paesaggio illuminato della luce azzurrina dell’alba.
L’uomo dal volto sfregiato si batté ripetutamente i pugni sulle gambe, in modo da riattivare la circolazione, quindi si alzò con estrema cautela.
I vestiti gli si erano ghiacciati addosso ed un movimento troppo brusco avrebbe certamente lacerato il tessuto irrigidito.
Con gesto stanco si gettò lo zaino in spalla e si avviò lungo la strada innevata, zoppicando malamente a causa della circolazione non ancora del tutto ripresa.
Aveva le ossa doloranti, come se fosse stato picchiato ripetutamente e la sensazione di intirizzimento e fatica che provava gli ricordò immediatamente la battaglia di Ultima Cryon, un planetoide congelato dove molti suoi compagni giacevano ancora ibernati.
In molti non si erano svegliati al mattino, rimanendo immobili nelle pose del sonno o della sentinella, con il fucile eternamente puntato verso il nulla.
In quel mese d’inferno il gelo aveva fatto più vittime degli orchi.
L’uomo sbuffò, sforzandosi di rievocare nella sua mente quel vecchio campo di battaglia; dovevano essere passati almeno vent’anni, forse venticinque.
Lo sfregiato fece ruotare le spalle e le articolazioni scricchiolarono sonoramente, dandogli immediato sollievo.
Stava camminando senza meta, ma il movimento permetteva al suo corpo di riprendere temperatura.
I morsi della fame si fecero sentire all’improvviso.
Kevin imprecò mentalmente, era da quando era sbarcato dal mercantile interstellare sul quale era clandestino, che non mangiava nulla.
La mano destra raspò nella profonda tasca della giacca verde oliva, dove scoprì alcune banconote stropicciate.
La strada era ora più frequentata, poiché il turno di notte delle fabbriche era terminato e gli operai rincasavano.
Dopo aver imboccato un vicolo particolarmente squallido, Kevin individuò una spoglia bancarella appartenente ad una decrepita vecchia e trasformò i suoi ultimi tre troni in un grosso panino farcito di carne che lui, esperto soldato, sospettava fortemente essere di topo.
La cosa non gli dispiaceva; nelle trincee il topo era considerato un ottimo pasto.
Vagò per le strade per tutta la mattina, ma non osò uscire dal quartiere, poiché su ogni strada principale che portava fuori da Grudtal vi era una pattuglia dell’Adeptus Arbitres.
La sera precedente era stato fortunato, ma la sua lingua lunga avrebbe potuto metterlo seriamente nei guai con gli Arbitres, senza contare che era senza documenti d’identità; meglio non rischiare.
Anche alcune aree del quartiere erano inaccessibili, guardate da arcigni vostroyani tatuati che lui immaginò essere membri dei Lupi.
Anche da costoro preferì tenersi alla larga, poiché la sua carnagione bronzea e gli occhi scuri lo denotavano chiaramente come un extra mondo, impedendogli di passare inosservato.
A mezzogiorno meno venti era appoggiato  ad un muro, nel vicolo di fronte alla casa il cui indirizzo aveva ricevuto il giorno prima da Aleksej.
Osservò la zona per un quarto d’ora e vide cinque membri dei Lupi fare il loro ingresso nell’edificio; un brutto palazzone di cemento dall’aria trasandata, come ve n’erano molti a Volgarft.
Quasi tutte le finestre erano sostituite da cartoni o pannelli di plastica, quando non erano direttamente murate, ma anche le poche in vetro non dovevano illuminare particolarmente bene l’interno, poiché erano macchiate da anni di fumi delle fabbriche.
L’uomo si liberò dei cartoni sotto ai quali si era riparato dal freddo e, accompagnando il gesto con uno sguaiato sbadiglio, si avviò verso l’edificio.
Il suo istinto gli mandava continui segnali d’allarme e lui si sentiva particolarmente a disagio, poiché non aveva alcuna arma con se.
Non appena spinse di lato il vecchio portone di ferro, Kevin si ritrovò in un vasto locale impolverato che un tempo doveva essere stato la hall di un albergo, poiché nella fioca luce che filtrava attraverso un paio di finestre rotte, si distingueva chiaramente un lungo bancone, fiancheggiato da due imponenti scalinate in cemento.
Seduto sul vecchio bancone, proprio accanto ad un grosso campanello di ferro, vi era un uomo di dimensioni considerevoli.
Indossava un pesante giaccone, pantaloni militari e scarponi che lui riconobbe immediatamente come una dotazione dei primigeni vostroyani ed aveva la parte sinistra del volto tatuata, come ogni altro centimetro di pelle visibile, ad eccezione della testa rasata.
Kevin non si voltò, ma lasciò che i suoi occhi vagassero sulla penombra, sforzandosi di individuare tramite i suoi sensi tutti e cinque gli uomini.
Due erano dietro di lui, uno era in piedi, poco discosto dal pelato, ma del quinto uomo non vi era traccia.
La voce si fece sentire; raschiante e fastidiosa, come un gesso sulla lavagna.
-E così tu sei l’extra mondo che vuole un lavoro…-
Sorprendentemente a parlare non era stato il pelato, che Kevin aveva individuato subito come leader del gruppo, ma uno degli uomini alle sue spalle.
Lo sfregiato si voltò di tre quarti, dando un’occhiata al suo interlocutore.
Si trattava di un omone che, probabilmente per dimostrare il suo essere un vero duro, portava il giaccone aperto a rivelare una canottiera grigia che metteva in evidenza i suoi imponenti pettorali.
Come il pelato, anche questi aveva un naso schiacciato da pugile ed un viso spigoloso, che non tradiva alcuna emozione.
Kevin non rispose, limitandosi a guardare l’uomo con ostentata indifferenza.
Gli occhi grigio azzurri del vostroyano si piantarono in quelli scuri dello sfregiato e non si abbassarono.
-Puoi anche abbassare quello sguardo da duro, io sono Pyetr e ho già visto tutto-
Kevin continuò a fissare l’uomo, senza tradire alcuna emozione, tanto che il vostroyano perse improvvisamente la pazienza e, estratto il grosso revolver a proiettili solidi che portava infilato nella cintura, lo puntò contro la sua testa, armando il cane.
-Non mi fai impressione hai capito?!-
La voce del vostroyano era alterata.
Kevin si voltò, ignorando sdegnosamente la canna dell’arma, a meno di dieci centimetri dal suo cranio, e si rivolse al pelato con un tono di voce pacato ed indifferente, quasi che la situazione non lo riguardasse in prima persona.
-Richiama il tuo cane da guardia, non sono qui per giocare a chi ce l’ha più lungo, sono qui per un lavoro-
Dopo un istante di silenzio, Kevin parve improvvisamente rendersi conto della pistola e si voltò verso l’uomo che la reggeva.
-A proposito Pyetr, la prossima volta che mi punti contro un’arma, te la faccio ingoiare con tutte le pallottole-
Il vostroyano parve sul punto di saltare addosso allo straniero, che aveva una massa muscolare evidentemente trascurabile rispetto alla sua, ma il pelato lo fermò con un gesto.
-Aspetta Pyetr, lo ammazzerai dopo questo sbruffone… E dimmi “cuor di leone” per quale motivo vorresti lavorare per noi?-
La domanda rivolta a Kevin era chiaramente sarcastica, e questi concesse al pelato uno dei suoi ghigni ironici.
-Mi servono soldi per il parrucchiere, problema che certo tu non hai… E poi ho fame, non so se rendo l’idea…-
Il Pelato annuì piano ed il suo viso duro si aprì in un mezzo sorriso.
Fece per parlare, ma Kevin lo precedette.
-Ah, comunque non ho intenzione di ammazzare nessuno qui, quindi puoi anche richiamare il tuo uomo sul pianerottolo, gli staranno venendo le ginocchia quadrate a forza di stare accovacciato dietro al parapetto.-
Il pelato non riuscì a mascherare un certo stupore; aveva scelto di incontrare lo sconosciuto in quella penombra proprio per rendere difficile l’individuazione dei suoi uomini, eppure lo straniero aveva impiegato meno di due minuti per localizzarli tutti.
Evidentemente il vecchio Aleksej non si era sbagliato nel raccomandarlo come un elemento valido.
-Va bene, abbiamo un lavoro per te. Se il risultato ci soddisfa, forse ce ne saranno altri.-
Kevin rispose con voce atona.
-Quanto?-
-Cento troni per portare un camion di merce fuori città-
Il freddo tono del vostroyano chiariva senza dubbio che non vi fosse possibilità di trattare sul prezzo, quindi lui annuì piano.
-Mi sta bene-
Disse semplicemente, quindi accennò ad andarsene.
-Dove vai?!-
Ringhiò Pyetr sbarrandogli il passo con la sua imponente figura.
-Partite subito, il camion è in un magazzino qua vicino, Domovoj ti accompagnerà… Per sicurezza.-
Così dicendo il pelato indicò l’uomo che, armato di fucile a pompa, stava scendendo le scale, zoppicando lievemente per via della scomoda posizione in cui era stato costretto fino a pochi secondi prima.
Kevin si avvicinò al vostroyano ed allungò la destra con il palmo in alto, in un gesto inequivocabile.
-Prima si va, meglio è.-
Disse nel suo tono sarcastico.
Il pelato annuì e gli mise in mano un rotolo di banconote.
-Cinquanta adesso e cinquanta a lavoro finito-
Kevin fece scomparire il denaro nella profonda tasca della giacca, là dove quella mattina vi erano solo tre troni malandati.
-Mi sembra sensato.-
Acconsentì.

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Capitolo 4
*** Non umano ***


Viaggiarono per quasi un’ora, durante la quale Domovoj raccontò al guidatore di essere un ex operaio che, alla morte della moglie, aveva deciso di cambiare vita.
-La banda è una famiglia Kevin, tutti si prendono cura di te e tu ti prendi cura di tutti. è un codice d’onore.-
Lo sfregiato annuì, per lui la Marina Imperiale, nelle fila della quale aveva militato fino a pochi mesi prima, era stata la stessa cosa.
In un altro tempo era esistito un Kevin felice ed entusiasta, che cantava con sincera passione l’inno imperiale e salutava militarmente l’effige del Sacro Imperatore dell’Umanità.
In un altro tempo lui era stato uno di quegli uomini che montavano di sentinella ai confini della civiltà, per consentire ad altri di dormire sonni tranquilli.
Ripensò al giorno in cui si era arruolato, aveva sedici anni e non aveva mai lasciato il suo pianeta natale, ogni cosa era nuova, ogni cosa aveva il profumo dell’avventura.
Ma questo accadeva molti anni prima, troppi anni prima.
Col tempo la sua vita si era trasformata in un unico, indistinto, sogno di sangue.
Gli amici che aveva erano quasi tutti morti, e gli altri erano spariti.
La mente gli rimandò un’immagine del passato; un Kevin raggiante, vestito di un’elegante divisa da parata nera, con un basco verde chiaro, come quello della bellissima donna che era in piedi al suo fianco, di fronte all’Ammiraglio.
La voce di Domovoj lo riportò alla squallida realtà di un disertore che, per vivere, era costretto a lavorare per una banda cittadina.
-Come?- Domandò al vostroyano.
Domovoj sorrise. –Conosco quello sguardo, mi gioco una mano che stavi pensando ad una donna.-
Kevin grugnì senza rispondere, cosa che il suo interlocutore archiviò con un’alzata di spalle prima di riprendere a parlare.
-Comunque ti stavo chiedendo di dove sei… Sicuramente non vostroyano, dal colore della pelle e dalla faccia mi ricordi un contrabbandiere thallariano che ho conosciuto anni fa.-
Il guidatore rimase ancora in silenzio, tanto che Domovoj si perse d’animo e prese a guardare fuori del finestrino, ma alla fine parlò.
-Vengo da Jerushem, un mondo minerario del Segmentum Ultima.-
Domovoj annuì piano; lui non aveva idea di dove si trovasse il Segmentum Ultima, ma si sforzò di trovare una domanda intelligente da porre su quel luogo che lo incuriosiva.
-Bel posto?- Chiese infine.
Kevin trattenne a stento una risata, nel rispondere con quel suo tono ironico.
-È un pianeta desertico, ci sono praticamente solo rocce… Quasi tutti vivono nelle miniere perché la superficie è abbastanza inospitale.
D’inverno si può uscire solo di giorno, perché la notte fa così freddo da spaccare il metallo.
D’estate il contrario, di giorno fa così caldo che se esci vieni incenerito in pochi minuti.-
Il vostroyano mugugnò con aria interessata. –Beh, tutto sommato Vostroya non è tanto male.-
Kevin scoppiò a ridere e Domovoj s’unì a lui.
A differenza di tutti gli altri vostroyani che lo sfregiato aveva conosciuto nella sua vita, Domovoj non era diffidente o chiuso nei confronti degli estranei.
Al contrario mostrava un interesse quasi fanciullesco che divertiva molto il cinico Kevin.
Il paesaggio era variato, ormai gli unici edifici che interrompevano il monotono paesaggio innevato erano basse strutture abbandonate, forse ciò che restava di antiche fabbriche.
Proprio nell’approssimarsi all’ennesima di queste strutture, Kevin ebbe un sussulto.
-Dom, fai attenzione, quelli ce l’hanno con noi!-
Il vostroyano gli rivolse uno sguardo interrogativo, perché la strada era deserta, e stava per parlare quando una vecchia automobile malandata uscì dall’edificio, mettendosi di traverso sulla strada.
Il camion non rallentò, mentre dall’auto uscivano quattro uomini, tutti armati di pistole e due di fucile a pompa.
Indossavano giacconi dall’aria malandata, misto di dotazioni militari e vestiti civili, come tutti i membri delle bande cittadine.
Lo sfregiato parlò con voce incerta. –Che faccio Dom? Li investo?-
Il vostroyano scosse la testa. –Non ti preoccupare, tu ci servivi perché un Arbitres non avrebbe mai fatto passare un camion guidato da uno con i tatuaggi dei Lupi di Volgarft… Io servo perché nessuna banda si sognerebbe di intralciare un carico sotto la nostra protezione. Fermati pure.-
Kevin avvertiva una brutta sensazione, il suo sesto senso da soldato che lo avvertiva di non fermarsi, ma non vi era modo di convincere Domovoj delle sue paure.
Il rischio di una guerra fra bande era troppo alto per potersi permettere di provocare quegli uomini.
Il pesante automezzo si arrestò stridendo a pochi metri dai quattro vostroyani e Domovoj aprì lo sportello del passeggero, che sfruttò come riparo per poi puntare con noncuranza la propria arma contro i quattro.
-Cosa volete, uomini delle Terre Basse?-
Domandò in un vostroyano talmente stretto che Kevin dovette dar fondo a tutte le sue conoscenze a riguardo per riuscire ad afferrare il senso della frase.
Uno degli uomini armati di fucile a pompa si fece avanti, fino a trovarsi a due metri dal camion e parlò con una voce gracchiante che tradiva il vizio del fumo.
-Vogliamo il carico!-
Domovoj fece scattare il meccanismo di armamento dell’arma. -Ma voi lo sapete di chi è questo camion?!-
-Si.-
Una detonazione attraversò l’aria, mentre un colpo di fucile a pompa sfondava lo sportello del passeggero, lasciando solo una nube di goccioline rosse la dove pochi secondi prima si trovava Domovoj.
Lo sfregiato agì senza neppure comprendere quanto stava accadendo; si lasciò cadere dal sedile, riparandosi dietro al cruscotto appena in tempo per evitare una salva di colpi che massacrò la cabina del mezzo.
Con gesto automatico aprì lo sportello e si buttò a terra, cadendo pesantemente nella neve.
Avvertì un violento spostamento d’aria poco sopra la sua testa e lo sportello dal quale era appena uscito, centrato da una rosata di pallettoni, si chiuse di schianto.
Lo sfregiato balzò in piedi e vide, a non più di cinque metri da lui, un vostroyano intento a riarmare il fucile a pompa.
Senza riflettere, Kevin scattò verso di lui.
Vide la mano sinistra del nemico riportare in avanti l’astina, mentre la cartuccia appena espulsa roteava ancora in aria.
Il dito destro premette sul grilletto, lentamente per tutta la corsa a vuoto.
Kevin scartò di lato una frazione di secondo prima della detonazione e sentì il gas cocente, espulso dalla canna dell’arma, sfiorargli i vestiti e la pelle.
Ma nessuno dei pallettoni lo colpì.
Il vostroyano sgranò gli occhi per la sorpresa e riportò indietro l’astina, in modo da incamerare un altro colpo.
Ma la mano dello sfregiato si era già richiusa sull’arma.
Con un’abile rotazione, Kevin tolse il fucile al vostroyano e lo usò come leva per bloccarlo al collo, in modo che il corpo del nemico gli facesse da schermo contro agli altri tre avversari.
L’uomo sussultò, colpito da tre colpi di pistola, evidentemente sparati contro allo sfregiato durante il suo fulmineo movimento.
Kevin lasciò cadere il cadavere e, reggendo il fucile a pompa con la sola mano destra, uccise il nemico più vicino, prima di lasciarsi cadere e rotolare al riparo offerto dall’automobile.
Non ricordava se fosse stato sempre così, ma ormai da molti anni aveva l’impressione che, in combattimento, tutti gli altri si muovessero con mezzo secondo di ritardo rispetto a lui; come se si trovassero su di un pianeta dalla gravità eccessiva.
Un paio di colpi di pistola sollevarono sbuffi di neve, seguendolo nel suo percorso, prima che un colpo di fucile a pompa facesse a pezzi finestrini e cofano della vettura.
Ma Kevin, riparato dietro al motore, rimase illeso e balzò in piedi.
Un colpo uccise l’uomo che aveva sparato a Domovoj e lo sfregiato riarmò a tale velocità che l’ultimo vostroyano non fece neppure in tempo a puntare la sua pistola, prima che il grilletto fosse nuovamente premuto, ai suoi danni.
Un sonoro “click” avvisò Kevin che le munizioni erano esaurite.
Il fucile a pompa cadde sul cofano crivellato, mentre lui rotolava di lato, accompagnando il gesto con un’irripetibile bestemmia.
Un colpo di pistola passò a meno di due dita dalla sua testa, mentre lui balzava verso il nemico.
Il vostroyano premette ancora il grilletto.
Kevin si era concentrato sul dito del nemico, individuò il momento in cui la leva di sparo terminava la corsa a vuoto e scartò di lato.
Una pallottola gli passò tanto vicino da forare la sua giacca aperta.
Chiaramente impressionato, l’uomo premette ancora una volta il grilletto, ma il colpo mancò il bersaglio di molto, poiché era stato sparato prevedendo un suo scarto sulla destra, mentre questi si era buttato a sinistra.
Il carrello della pistola rimase impietosamente aperto, indicando l’assenza di munizioni.
Senza neppure pensare al caricatore di riserva che aveva in tasca, il vostroyano rimase fermo com’era, impietrito dalla paura.
Non pensò a ricaricare, non pensò a fuggire.
Lo sfregiato lo travolse in corsa piena, gettandolo a terra.
Il viso dell’uomo era stravolto dal terrore, gli occhi sgranati.
Dovette sforzarsi per riuscire a farfugliare poche parole nel suo dialetto natale.
-T-ttt-tu non sei umano!-
Il volto di Kevin era una maschera di pura ferocia animalesca, i denti snudati come quelli di un animale carnivoro, mentre le sue mani si serravano attorno alla testa del vostroyano.
-Non ho mai detto di esserlo- Ringhiò.
Lo schiocco dell’osso del collo spezzato interruppe l’urlo di terrore della vittima; poi fu solo silenzio sulla neve macchiata di sangue.

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Capitolo 5
*** Tradimento ***


TRADIMENTO
 
Aleksej sbuffò, evidentemente innervosito.
Kevin avrebbe già dovuto essere di ritorno, anche ammesso che avesse avuto problemi col mezzo, sarebbe dovuto essere a Grudtal già da almeno un’ora.
Il Sole stava già calando e le lunghe ombre della sera si allungavano velocemente a causa del cielo coperto.
Con un’imprecazione il vostroyano gettò a terra il mozzicone della sua ultima sigaretta e si avviò verso casa.
Era ormai ovvio che Kevin non sarebbe tornato, per cui non aveva senso aspettarlo al magazzino.
Un’altra assenza ingiustificata era quella di Dimitri, il pelato che si era occupato del trasporto, e dei suoi uomini.
Il vecchio ufficiale si strinse nelle spalle.
Stava accadendo qualcosa di strano, ma a lui interessava relativamente.
Sperava solo che quella mina vagante di Kevin non ne avesse combinata una delle sue.
Con passi pesanti, spesso inframmezzati da pause per tossire, il vostroyano percorse un quartiere di Grudtal stranamente deserto e freddo.
Aveva addosso una particolare sensazione d’inquietudine, come quella che lo assaliva in tempo di guerra prima degli assalti.
Pensò che, dopo aver recuperato la pistola che teneva a casa, sarebbe andato a prendere Mikaila al lavoro.
Preferiva tenersela vicino in una notte come quella, anche se forse era solo la paranoia di un vecchio traumatizzato dalla guerra ed ormai vicino alla fine dei suoi giorni.
I suoi passi rimbombarono sulle scale di cemento, fino al secondo piano della palazzina in cui viveva.
Poi la sua mano estrasse una chiave dalle profonde tasche del giaccone e la girò nella toppa.
Non appena aprì la porta comprese che la casa non era come l’aveva lasciata.
Una fredda brezza entrava dal cartone che avrebbe dovuto fungere da scuro per la finestra ma che si era per tre lati staccato dall’intelaiatura.
Ci mise un secondo per individuare il responsabile di tale danno.
Una figura incappucciata era accovacciata nell’ombra proiettata dalla finestra.
Sedeva sul davanzale, con una pistola a proiettili solidi stretta tra le dita che spuntavano dai guanti a mezze dita di lana nera.
-Perché mi hai tradito Aleksej?-
La sua voce era tagliente come una lama ed il vostroyano ne ebbe paura.
-Kevin?!-
Il cappuccio scivolò giù non appena l’uomo sollevò il capo.
-Stupito di vedermi “Amico”?-
Aleksej sentì il cuore mancare di un battito mentre iniziava a capire cosa potesse essere successo.
-Kevin io non so di cosa stai parlando!-
La voce dell’extra mondo era fredda e distaccata.
-Un’imboscata Aleksej. Ci hanno teso un’imboscata e Domovoj è morto.
Quattro uomini per me?! Cos’era, una specie d’insulto?-
Aleksej si sentì perduto.
Kevin lo riteneva responsabile e lui non sapeva come discolparsi, eppure il carico era solo uno dei tanti effettuati ultimamente, non sapeva lui per primo spiegarsi cosa fosse andato storto nei delicati equilibri tra le bande cittadine.
Aprì la bocca per parlare, ma sentì una voce alle sue spalle.
-Entra vecchio. E mani in vista-
Kevin vide quattro uomini fare il proprio ingresso nella piccola stanza e chiudersi la porta alle spalle.
Il primo era il pelato che gli aveva affidato il lavoro e reggeva un fucile a pompa puntato contro alla schiena di Aleksej.
Gli altri due armati di fucile non li conosceva, ma riconobbe subito l’uomo che gli puntava contro un revolver.
-Pyetr-
Disse con un sorriso.
-Che bello rivederti-
Il vostroyano si fece più vicino.
-Butta l’arma extra mondo… E forse non ti ucciderò-
Kevin fissò i suoi occhi inespressivi in quelli glaciali dell’altro.
Poi, lentamente, si lasciò scivolare dalle mani la pistola.
Con gesti lenti e quasi affaticati, lo sfregiato si sfilò la giacca che, cadendo, rimandò una serie di suoni sordi, poiché al suo interno erano fissati un’altra pistola e due fucili a pompa.
-Contento?-
Domandò ironicamente mentre alzava le mani in un gesto più insolente che rassicurante.
Improvvisamente la finestra rimandò il chiarore di qualcosa che bruciava in strada ed il crepitio di armi a proiettili solidi, seguito da urla di dolore e terrore.
Aleksej si voltò verso il pelato.
-Cosa sta succedendo Dimitri?!-
Questi sogghignò sinistramente.
-Succede che i Lupi sono finiti. Ora il quartiere appartiene alla Confraternita di Volgarft e tu sei solo d’intralcio. Quanto al tuo amico… Ha avuto la sfortuna di finire nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Mi dispiace sbandato-
Kevin sorrise di un sorriso senza gioia.
-A me no-
Tutto accadde troppo in fretta perché qualcuno potesse cogliere l’esatto svolgersi degli eventi. 
Kevin colpì il ginocchio di Pyetr mandando a terra il vostroyano, mentre al contempo bloccava il revolver con entrambe le mani e lo voltava in direzione contraria.
Uno degli uomini con il fucile fece per puntare l’arma, ma il revolver fece fuoco quattro volte, fulminando entrambi i criminali.
Poi calò con forza verso il viso del suo possessore e la canna metallica gli spaccò tutti i denti, entrando in bocca.
-Ricordi cosa ti ho detto che avrei fatto se mi avessi puntato ancora un’arma?-
Domandò Kevin, la voce venata da un tono compiaciuto.
Gli occhi del vostroyano tradirono un istante di terrore, prima che l’arma svuotasse il suo tamburo.
Aleksej agì non appena sentito il primo sparo di Kevin.
Con una mossa fulminea disarmò Dimitri e lo colpì con un pugno al viso.
Ma il lottatore, per quanto sorpreso, replicò con un sinistro alle costole, che risvegliò un lancinante dolore ai polmoni dell’ex ufficiale, per poi mandarlo al tappeto con un potente destro alla tempia.
Lo sfregiato scavalcò il cadavere di Pyetr e si trovò di fronte a Dimitri, il quale lasciò cadere il proprio pastrano, mostrandosi con la sola canottiera, che evidenziava la sua imponente muscolatura.
Il pelato sputò un fiotto di sangue, fuoriuscito dal labbro spaccatogli da Aleksej, e si mise in posizione di guardia sorridendo con aria truce.
-Sei morto extra mondo, lo sai quanti ne ho ammazzati come te?!-
Kevin si limitò ad uno sguardo scettico, forse avrebbe voluto rispondere, ma il vostroyano partì con un potente destro, che lui parò facilmente.
La mano sinistra di Dimitri si serrò attorno al collo dello sfregiato, ma questi la spazzò via con la stessa facilità con cui avrebbe scacciato una mosca, mentre colpiva il ginocchio del nemico con un preciso calcio.
Il vostroyano cadde a terra e Kevin gli bloccò la gola con il proprio stinco.
Poi, usando la gamba come leva, gli afferrò la testa con una mano e gli spezzò l’osso del collo.
Quasi deluso il jerushita si rialzò sfruttando la forza delle gambe.
-Mi dispiace per te Dimitri, ma non valevi niente-
Con gesto rude, sollevò di peso Aleksej, che stava riprendendo conoscenza, e lo sedé sul tavolo della cucina.
-E adesso a noi. Perché mi hai tradito Aleksej?! Che cosa vuoi anche tu da me?!-
Il vostroyano tossì e sputò un fiotto di sangue.
-Kevin io non ti ho tradito, non sapevo nulla dell’imboscata, hanno organizzato tutto loro!-
Lo sfregiato scosse violentemente il suo interlocutore, che stringeva dal bavero della giacca.
-Perché mi vuoi ammazzare Aleksej?! Sei d’accordo con la Marina? Mi vuoi riportare ai Tecnopreti?! Io li non ci torno! Loro le mani addosso non me le mettono più, hai capito?!-
Gli occhi del jerushita si riempirono di lacrime, mentre la sua voce variava definitivamente dal tono di minaccia ad un urlo disperato.
Aleksej era scosso con tale violenza, che faticava a respirare.
-Kevin…- Gorgogliò. –Kevin, ti prego fermati!-
Ma l’extra mondo sembrava non udirlo.
-Io non torno hai capito?! Basta! Basta!- L’uomo smise di scrollare l’amico e si appoggiò sul suo petto piangendo.
-Io volevo solo vivere in pace Aleksej… Volevo solo… Sono stufo… e…-
Improvvisamente gli occhi di Kevin si dilatarono e lui si scostò dal vostroyano così violentemente da cadere all’indietro, un’espressione di terrore dipinta sul viso.
Il jerushita si sentì urlare con quanto fiato aveva in corpo, mentre premeva le mani sulle orecchie nel tentativo di scacciare i rumori di esplosioni e le urla di dolore che lo stavano travolgendo.
Serrò gli occhi, ma non poté sottrarsi alle immagini, che apparivano come lampi di luce e gli provocavano fitte di dolore del tutto simili a coltellate nel cranio.
Ora era in Armagheddon, esplosioni ovunque, i corpi dei suoi compagni giacevano maciullati attorno a lui.
Un lampo di luce lo portò in una jungla, il suo corpo spezzato giaceva a terra e lui lo vedeva dall’esterno, osservando con orrore la propria testa spiccata dal corpo.
Una landa gelata, gli Space Marines gli passavano sopra sparando contro al nemico, ma per lui era troppo tardi, era morto.
Ora era sdraiato sul duro cemento di un edificio bombardato.
C’era sangue ovunque e lui vide le sue mani togliere la spoletta a due granate.
Alcuni Space Marines del chaos entrarono nella stanza, lui sentì le proprie membra mischiarsi a brandelli delle loro, mentre tutto svaniva nel lampo dell’esplosione.
Si vide precipitare in un infinito tunnel multicolore, mentre attorno a lui tutto perdeva senso, corpi grotteschi si contorcevano urlando, mentre lui cadeva verso l’alto.
Poi si vide vecchio, seduto sulla veranda di una casa di pietra circondata dalle vigne, il sole che tramontava assieme a lui.
E poi quel vetro, il mondo era dietro un vetro, mentre lui era immerso in un liquido dal quale non riusciva ad uscire ed urlava di un urlo muto.
Aleksej guardò l’uomo che urlava e si contorceva ai suoi piedi con un misto di pena e paura.
Con gesto urgente aprì un cassetto dell’essenziale cucina e ne trasse la sua pistola.
-Mi dispiace amico, ma io devo andare a salvare mia figlia-
Disse scavalcando cautamente il corpo fremente del jerushita e sentendosi un ingrato, poiché quell’uomo, quasi cinquant’anni prima, gli aveva salvato la vita.
Il vostroyano scese le scale a precipizio.
La strada era un inferno di corpi che giacevano scomposti e pallottole che fischiavano.
Dimitri aveva detto la verità, un’alleanza di bande cittadine aveva invaso Grudtal, mentre gli ultimi Lupi di Volgarft si battevano in una strenua resistenza.
Doveva trovare Mikaila, non osava neppure pensare cosa le sarebbe successo in quella follia dilagante, se solo non fosse riuscito a metterla al sicuro. 

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Capitolo 6
*** Prendere posizione ***


Aleksej si muoveva con tutta la rapidità che i suoi polmoni malati gli concedevano, cercando di mantenersi coperto dall’ombra proiettata dagli edifici.
La battaglia sembrava essersi spostata verso il quartier generale dei Lupi di Volgarft, ma sicuramente parecchi nemici avevano colto l’occasione per saccheggiare le case, quindi le probabilità di incontrarli erano tutt’altro che remote.
Sentiva il cuore martellargli nelle orecchie e diverse volte dovette fermarsi a causa degli accessi di tosse.
L’ultima di queste notò un grumo di sangue sul guanto con il quale si era coperto la bocca.
Morbo di Armageddon, così era chiamata la malattia che colpiva molti veterani delle guerre su quel pianeta maledetto.
“Vecchio, non ne hai ancora per molto” pensò.
Aveva sessant’anni, ma ne dimostrava ottanta per via di quel viso deturpato dalla vita all’aperto.
Una vita piena di avventure, una vita che valeva la pena di essere vissuta, avrebbe detto qualcuno.
Una vita schifosa, pensava lui mentre si appoggiava alla recinzione di zinco che delimitava un cantiere abbandonato.
Aleksej Krukav aveva preso il posto di suo fratello, morto ancora infante, nei primigeni vostroyani.
Aveva combattuto su Armageddon, aveva bevuto birra e portato a letto prostitute, aveva pregato il Dio Imperatore e bestemmiato ferocemente il suo nome, si era guadagnato una medaglia ed i gradi da ufficiale, aveva conosciuto uomini come Kevin Devemport o il Commissario Yarrik.
E tutto questo per finire in un buco di quartiere, in una schifo di città,  a morire come un cane sperando di lasciare qualcosa all’unica persona nell’universo che significasse qualcosa per lui.
Si forzò a proseguire nella luce giallo sporco dei lampioni, i piedi che affondavano nella fanghiglia della neve calpestata.
Mikaila, doveva trovare Mikaila, portarla via da li, poi sarebbe anche potuto morire.
Si trovò di fronte all’insegna del locale quasi senza accorgersene.
Ma si accorse degli uomini attorno a lui.
Nessuno lo aveva ancora preso di mira, ma un gruppo di criminali, probabilmente nemici, si stava affrettando in direzione dell’invitante scritta luminosa.
Spinse da parte la porta ed entrò, suscitando un grido spaventato nelle cameriere, rimaste sole assieme alle ballerine del locale e protette da un unico fucile a pompa, retto proprio da Mikaila.
La prese per un braccio, ma non riuscì a spiegarle cosa volesse da lei, poiché fu colto da un accesso di tosse così violento da costringerlo in ginocchio.
-Dobbiamo andare- Riuscì a grugnire, mentre faceva appello a tutte le sue forze per tornare eretto.
-Ma papà, le ragazze?-
-Muoviti- Ringhiò lui strattonandola per il braccio.
Era in difetto d’ossigeno e, se lei si fosse opposta, probabilmente sarebbe riuscita a sottrarsi alla presa del padre, ma fortunatamente Mikaila era troppo scossa per reagire.
Riuscì a trascinarla verso l’uscita sul retro.
Uscire da Grutdal non sarebbe stato facile, ma il grosso dei combattimenti, se così potevano essere definiti, si stava svolgendo nella strada di fronte all’edificio, per cui riuscirono ad allontanarsi non visti.
 
Il Governatore Planetario Vassa Honom Jaenna batté violentemente il pugno sulla scrivania in vero legno, facendo trasalire tutti i presenti.
Era un uomo pingue, dagli occhi porcini ed i radi capelli ormai bianchi, ma aveva la capacità d’incutere timore con la sua sola presenza.
-Perso- Ringhiò rivolto al suo interlocutore –Come sarebbe a dire che lo avete perso?-
Aveva una voce glaciale, che modulava con grande abilità, mettendo sempre in soggezione l’interlocutore.
Ed era proprio così che si sentiva il tecnoprete, già a disagio per l’arredamento particolarmente naturale dell’ufficio del Governatore, che comprendeva anche alcune vere piante.
-La banda Eccellenza, la banda incaricata dell’assalto al camion è stata annientata.-
-Annientata- Ripeté Vassa, con tono interessato, come se dietro a quella parola si celasse la chiava per risolvere il mistero del Warp.
Le servobraccia meccaniche, connesse alla spina dorsale del tecnoprete si flessero mentre lui si stropicciava le mani e rimandarono un cigolio che esprimeva a pieno il disagio dell’uomo.
-Un… Un uomo si è messo in mezzo Eccellenza.-
-Un uomo…- Ripeté ancora Vassa. –Un solo uomo e Dimitri se la fa sotto? Chiamatelo, ditegli di risolvere la cosa ed anche alla svelta!-
Il prete deglutì e fece aderire i palmi delle mani, per poi separarli e riunirli un paio di volte.
-Mio grande signore, Dimitri… Ecco, quell’uomo lo ha ucciso-
Gli occhi porcini del Governatore si piantarono nell’unico occhio biologico del suo interlocutore, la sua voce si fece dura come il plastacciaio.
-Interrogate tutto il quartiere se necessario, voglio sapere chi è quell’uomo, lo voglio qui, vivo.- Improvvisamente il tono si alzò fino ad urlare. –Voglio che me lo trasformiate in un tecnoservitore, avete capito?! In un tecnoservitore!-
Il tecnoprete fece una smorfia quando la saliva del funzionario imperiale gli schizzò il viso, per quanto lui fosse più preoccupato che arrugginisse la parte meccanica del suo volto, piuttosto che potesse arrecare disgusto alla parte biologica.
-Mio nobile signore, abbiamo già il suo nome, nella mano di Dimitri abbiamo trovato una piastrina militare, strappata durante la lotta.
Vassa sbuffò. –Devo tirarti tutto fuori parola per parola o pensi di potermi aggiornare in modo completo e rapido, fottuta lattina benedetta dall’Omnissiah?-
-Naturalmente Eccellenza- Rispose la voce monotona e dal tono artificiale. –Si tratta di un certo Capitano Kevin Devemport, del 2584° Stormo della Marina Imperialis, gruppo sanguigno 0 rh negativo, data di nascita omessa, mondo natale Jerushem, Segmentum Ultima.-
Non appena la puntigliosa relazione del prete fu terminata, Vassa sbuffò, quindi volse lo sguardo in direzione del Generale Albert Zivakov, suo consigliere militare, il quale si era fino a quel momento mantenuto prudentemente in disparte.
Zivakov non era un militare di esperienza, aveva scalato i gradi in un reparto cittadino deputato alla difesa di Vostroya, ma era uomo di grande cultura riguardo a storia e tradizioni dell’Astra Militarum.
-Il 2584° è uno stormo piccolo, Eccellenza, ma ricco di fondi e molto antico nella costituzione.
In effetti non ho mai saputo quando sia stato fondato, tuttavia, so che si tratta di una delle poche unità della Marina ad avere un intero mondo a sua disposizione.
Secondo i registri imperiali è basato nella vecchia fortezza capitolare del capitolo Astartes dei Crociati della Dannazione Eterna, su Jerushem.
Il 2584° è noto per avere truppe da sbarco molto motivate, reparti scelti di paracadutisti ed un’unità piuttosto misteriosa nota come “Incursori Alfa”, di cui non sono mai riuscito a sapere molto.-
Vassa annuì impressionato, la cultura di Zivakov lo stupiva sempre, sembrava quasi che l’uomo possedesse un cogitator al posto del cervello.
-Possiamo metterci in contatto con qualcuno dello Stormo?-
Chiese pacatamente.
Zivakov annuì. –Ho ricevuto comunicazione da un incrociatore del 2584° lo scorso mese, se non hanno fatto un salto warp dovrebbero ancora essere raggiungibili dal coro di astropati.-
Vassa annuì compiaciuto, quindi rivolse uno sguardo furente al tecnoprete.
-Va a ciamare gli astropati sanzionati, che aspetti?!-
Il prete si allontanò frettolosamente, cigolando ed imprecando sottovoce.

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