Damaged Heart

di MissyHarry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nervi ***
Capitolo 2: *** Muscoli ***
Capitolo 3: *** Ossa ***



Capitolo 1
*** Nervi ***


Capitolo 1.
Nervi



L'acqua blu brillante del golfo del Siam rifletteva senza sosta la luce del sole del pomeriggio. Qualsiasi fosse la stagione, il caldo non concedeva mai tregua, in Thailandia.
Poco distante dal mare, la gigantesca e pacchiana scritta al neon "Pattaya City" che troneggiava sulla collina faceva da sfondo ogni giorno all'atterraggio di decine di aerei, perlopiù turistici, che si fermavano all'aeroporto U-Tapao. In realtà, nonostante i numerosi cartelloni pubblicitari ed i negozi del duty-free, la sua forma ricordava più che altro un capannone, come quelli che sorgevano a fianco delle piste di decollo dell'esercito.
I turisti provenivano da ogni parte del mondo, attirati dalle spiagge paradisiache, dalla metropoli Bangkok e dal turismo sessuale. Tuttavia, un occhio attento si sarebbe accorto che, quel giorno, un numero insolito di atterraggi apparteneva alla stessa compagnia aerea russa, la Domra...
Ma, in fondo, quale turista ansioso di raggiungere la spiaggia si sarebbe mai soffermato su un particolare del genere?


"Cazzo, Domra ovunque. Come possono pensare che nessuno se ne accorga?!"

La voce lagnosa di Revy tradiva il suo nervosismo e il suo disappunto per trovarsi lì contro la sua volontà. Non era passato nemmeno un giorno dall'ultima missione, che era stata a dir poco pesante ed impegnativa; inoltre, lei odiava alla follia Pattaya. Per prima cosa, c'erano troppi turisti, e ciò significava fondamentalmente una gran poca libertà di movimento; poi c'era pieno di puttane, letteralmente ovunque,che erano strettamente collegate alla mafia locale e ad altrettanti turisti. Più turisti, più puttane, più turisti ancora: era un loop degenerativo che la spingeva letteralmente all'isteria.
Dutch non rispose, stringendo la sigaretta fra i denti: non se la sentiva proprio di darle una strigliata. Riconosceva quando il suo equipaggio era stanco e spossato e, da bravo capo, sapeva quando tacere. Si limitò a sorridere, stringendo le palpebre e cercando di mettere a fuoco le scritte sugli aerei nonostante il riverbero.
"Ecco" disse finalmente, alzandosi ed indicando dritto davanti a sé. "E' quello là, quello con le ali gialle". Spense la sigaretta contro il muro. "Andiamo".



 

Nello stesso momento, a qualche chilometro di distanza, in un appartamento al secondo piano di Roanapur un giapponese stava fumando la sua nona sigaretta della giornata.
Era solo, in casa. Revy e Dutch erano in missione e si erano categoricamente rifiutati di portarselo dietro, e Benny non era ancora tornato - Balalaika l'aveva ormai monopolizzato. Si chiese cosa ci fosse di tanto interessante, in lui, da essere sempre così richiesto...

Attribuì i suoi pensieri maligni allo stare da solo in casa: quelle tre stanze erano davvero soffocanti, soprattutto con il caldo di quei giorni, e rimanere da solo senza sapere cosa stesse succedendo non faceva altro che alimentare la sua inquietudine.
Abbassò meccanicamente lo sguardo sulla sua mano. Aveva tirato un pugno al muro la notte prima¹, preso da un impeto di rabbia, e adesso si stava pian piano pentendo di quel gesto. Le nocche avevano assunto una sfumatura verdognola che non faceva presagire niente di buono, ed il polso gli faceva un male boia ogni volta che tentava di ruotarlo, spandendo un fastidioso formicolio ai nervi sottopelle. Alzò gli occhi al soffitto, lasciando cadere le spalle.
"No..." si lagnò, parlando all'appartamento vuoto. "Non dirmi che mi sono rotto qualcosa".



 

“Mi ricordi cosa diavolo dobbiamo prendere…?” chiese Revy, con un sussurro.
Dall’aereo, a prima vista comunissimo 787 di linea, non era sceso nessuno. I portelloni si erano spalancati, qualcuno aveva anche portato le scalette, ma niente, non si vedeva anima viva.
“Deve essere questo” sussurrò Dutch, sovrappensiero. I suoi occhi furono però quasi subito catturati da due figure, vestite con una tuta integrale gialla, che uscivano dalla stiva. “Seguimi” le ordinò.
La zaffata calda dei motori appena spenti li travolse. Chiusero un attimo gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per riprendere il controllo della situazione.
“Là” le urlò, facendole cenno di seguirlo. Si strinse nello smanicato e raggiunse gli operai a grandi passi.
“Ehi, ehi!” cominciò a sbracciarsi man mano che si avvicinavano. Cercò di metterli meglio a fuoco: stringevano in mano delle valigette nere, cubiche. Ne prendevano due per volta con attenzione, le adagiavano sul muletto e sparivano di nuovo nella stiva, per prenderne altre.
Sembravano non prestare la minima attenzione alla coppia, ma si precipitarono verso di loro non appena videro la rossa sfiorare la merce. “Ehi Dutch, sono gelide, cazzo!”
“Che cazzo stai facendo?!” urlò uno di loro, piazzandosi fra il carico e la ragazza. L’altro gli appoggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo prima che la rossa facesse scoppiare una carneficina.
“Stai tranquillo, ti ricordi cosa ha detto il capo?” Si rivolse a Dutch, sorridendo. “Scusatelo, volare lo rende nervoso. Siete i fattorini, giusto?”
“Black Lagoon Company” assentì lui. “Serve una mano a scaricare?”
Uno dei due operai scosse la testa. “No, grazie. Fa un freddo cane in stiva, vi congelereste le palle”. Indicò le gambe di Revy. “E poi, il carico è molto fragile, sappiamo come maneggiarlo. Non vi preoccupate, ancora tre casse e abbiamo finito”.
Revy spostò il peso da una gamba all’altra, senza staccare gli occhi dalla pila di valigie. “Fragile, eh…?” mugugnò fra sé e sé. “A bassissime temperature” continuò il capo, chinandosi verso di lei per farsi sentire. “Che cazzo è saltato in mente a Baialaika, questa volta…?”


“Sono loro i fattorini, allora”.

Due cinesi, appoggiati ad un pullmino vuoto per il trasporto dei passeggeri, stavano squadrando la scena da lontano. Il più alto porse il binocolo all’altro. “Sembra che siano solo in due, a quanto pare”.
“Già”. Un sorrisetto sarcastico si dipinse sulle sue labbra. “Un vero peccato, Shi. Sai che mi piacciono le sfide”.

“Ehi, Ling, dici che sanno cosa stanno trasportando…?” Shi si mosse a disagio, impaziente. “Avranno adottato misure di sicurezza”.
Ling alzò le spalle, noncurante. “Che ti frega della sicurezza? Mica dobbiamo rubarlo. Stai tranquillo… Andra tutto bene, come l’altra volta”.




 

Rock ribaltò contrariato tutti i cassetti del bagno, prima di rendersi conto che non c’era praticamente nessun medicinale. Trovò solo qualche fiala di morfina, che ripose con estrema cautela fingendo di non averla mai vista. In effetti, forse, la sua idea di trovare un tubetto di crema per gli ematomi in quel casino era a dir poco utopistica...  Per non parlare della scarsa attenzione alla salute che avevano suoi coinquilini. Sospirando, raggiunse il freezer con passo strascicato e si chinò sulle ginocchia. Aprì il portellone, attento a non staccare le calamite del Giappone che aveva comprato l’ultima volta che ci era tornato, e tolse il portaghiaccio. Staccò sotto l'acqua corrente alcuni cubetti - "Revy mi ucciderà, quando si accorgerà che non ce ne saranno più per il suo rhum" - e li avvolse in un fazzoletto. Si sedette sul divano, pensoso.
Era la prima volta che gli capitava di farsi male, lì a Roanapur. Fosse stato in Giappone, si sarebbe immediatamente affidato alla sua costosa assicurazione sanitaria, ma lì...?
Ci rimuginò un po' su. 'Come faranno' si chiese 'questi mafiosi, quando qualcuno gli spara?’ Si perse un attimo via, dimenticandosi il dolore. In effetti, non aveva mai pagato tasse da quando era lì, e non si era registrato mai da nessuna parte - la privacy sembrava essere un valore fondamentale, da quelle parti. ‘Dopotutto’ si disse ‘Mica puoi entrare in un ospedale qualsiasi, e dire, ehi, ciao, ho un proiettile in pancia, me lo togli, per favore...?'




______________________
¹ = Vedi "No Matter who you are", cap. 18


***
Angolo Autrice

Buonasera a tutti! Come vedete non vi ho mentito, avevo davvero in mente un'altra storia. E' un po' presto per fare considerazioni... Sappiate che questo capitolo è prettamente introduttivo. Pazientate!
Buona lettura!

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Capitolo 2
*** Muscoli ***


Capitolo 2.
Muscoli



“...E con questo abbiamo finito”.
Dutch si asciugò il sudore dalla fronte mentre Revy caricava le ultime valigette sul furgone. Erano circa una ventina, non esattamente un grande carico, ma i ragazzi della consegna avevano insistito particolarmente perché usassero la massima cautela e le fissassero con attenzione nel furgone. Erano rimasti lì finché non li avevano visti con i loro occhi assicurarle tutte per non farle cadere.
“Aaah, porca puttana!” Revy crollò a sedere, sbuffando e cercando a tentoni una sigaretta. “Si può sapere che paura hanno? Ci abbiamo messo due ore per caricare tre cazzo di pacchi!”
“Già. Come se trasportassimo chissà cosa”.  Si grattò la nuca, pensoso. Di solito non faceva mai troppe domande, soprattutto quando gli affibbiavano un lavoro ben pagato, ma questa volta si pentì di non aver approfondito la situazione. “A saperlo, ci facevamo pagare di più”. Si stiracchiò. “Dai, andiamo. Prima finiamo, prima andiamo a farci una doccia”.



“Tutto bene? Mi sembravi di buonumore oggi pomeriggio, ma sembra che Pattaya ti abbia fatto cambiare idea”.
Revy stava fissando il paesaggio fuori dal finestrino con lo stesso sguardo di chi non sta guardando niente in particolare. La sigaretta che non aveva ancora finito di fumare si stava pian piano consumando da sola, bruciata dal vento. Si scosse lievemente dai suoi pensieri quando sentì la voce dell’amico.
“Nah, niente di che” rispose, lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore e rizzandosi a sedere. “Ehi, piuttosto. Ci stanno seguendo”.
“Ne sei sicura…?” Dutch seguì la direzione del suo sguardo, accorgendosi di una vecchia ML impolverata dietro di loro. “E da quanto?”
“Dall’aeroporto”.
“Beh, è una strada trafficata, no…?”
Revy socchiuse le palpebre, concentrata. “Può darsi. Ma sono usciti dal deposito della pista d’atterraggio, come noi”.


Ling premette lievemente sull’acceleratore, avvicinandosi al furgone. “Dici che si sono accorti di noi…?”
“Se ti avvicini….” Shi si alzò, puntando al loro specchietto retrovisore. “Sì, sembra che ci stiano guardando, ma non ne sono sicuro. Dici che possiamo iniziare?”
Il guidatore allungò una mano sotto il sedile. “Vado. Reggiti”.


La mano di Revy stava sfiorando il calcio della Beretta, pronta ad estrarla fulminea se ce ne fosse stata l’occasione. Teneva gli occhi fissi sullo specchietto.
“Cazzo, Dutch” sibilò “ci stanno venendo addosso, accelera!”
“Che cazz…” l’uomo fece appena in tempo a premere l’acceleratore, che fu sbattuto violentemente in avanti contro il volante. “Figli di puttana!” urlò. “Spara, cazzo!”
La pistolera reagì quasi inconsciamente. Le terminazioni nervose non avevano ancora fatto in tempo a recepire il messaggio, che già i suoi muscoli erano scattati verso destra, fuori dal finestrino. Estrasse le pistole e svuotò il caricatore, mirando alternativamente contro il parabrezza e gli pneumatici della Mercedes.
“Frena, cazzo!” Ling cambiò velocemente corsia, sottraendosi al fuoco. Sterzò bruscamente verso destra, sbattendo il parabufali anteriore contro la coda del furgone.
“Ci stanno speronando, cazzo!” urlò Dutch. “Entra!” sfilò la Smith&Wesson dalla fondina e cominciò a sparare fuori dal finestrino. L’auto fu costretta a frenare, chiusa nel fuoco da ambi i lati, e a prendere distanza.
“Si muovono troppo velocemente per noi” gridò Revy, rientrando nell’abitacolo. “Hai visto cosa succede a non farmi usare il lanciamissili? A quest’ora sarebbero una poltiglia!” Si lasciò andare seduta, sbuffando e ricaricando le pistole. “Cosa vogliono fare? Perché non sparano?”
“Forse non puntano a noi” sibilò Dutch, preoccupato. Li stavano ancora seguendo, probabilmente studiando meglio il momento adatto per attaccarli di nuovo. “Perché non ho dietro una granata, quando serve?!”
Revy lo ignorò. Si drizzò di nuovo in piedi sul sedile, e fece per sporgersi di nuovo dal finestrino. “Attenta” la avvisò Dutch. “Stanno accelerando”.

Shi aprì il tettuccio dell’ML, sporgendosi da sopra. In mano teneva qualcosa di molto simile ad un fucile per arpioni.
“Dai, vai vai vai vai!” urlò.

Revy fece appena in tempo a rendersi conto della cosa. Sparò e centrò il cinese al petto, deviando il colpo di qualche decina di centimetri. “Dannazione! L’hai preso?!” urlò Ling.
Shi si infilò di nuovo nell’abitacolo,ansimando. Si assicurò di ancorare la catena dell’arpione all’auto, e solo dopo controllò la sua ferita. “Certo che l’ho preso” ghignò. “Ma hanno preso me”.
Ling premette con tutte le sue forze il pedale del freno, sterzando.

Il colpo bastò a staccare con un colpo secco il portellone destro malmesso del furgone. Dutch fu sbalzato di nuovo in avanti, sbattendo la testa contro il parabrezza. Revy, per metà fuori dal finestrino, perse l’equilibrio e colpì violentemente la spalla contro la portiera. Cacciò un urlo rauco, seguito da un’imprecazione. “Cosa cazzo…” mugugnò, strisciando di nuovo all’interno dell’auto.
Approfittando dell’elemento sorpresa, i due cinesi uscirono dall’auto ormai ferma. Mirarono con precisione al contenuto del furgone che si stava allontanando più lentamente rispetto a prima, e svuotarono i loro caricatori.

Shi sorrise, asciugandosi il sudore dalla fronte. “Beh, anche oggi è andata. Dici che li abbiamo sputtanati tutti?”
Ling annuì, convinto. “La maggior parte. Ma ci è andata bene che non se l’aspettavano…” fu interrotto da un gemito sordo: l’amico si era accasciato a terra, la vista annebbiata. “Shi, cazzo!” si piegò sopra di lui. “Resisti, dai, amico, resisti, ti porto in ospedale…” sussurrò, trascinandolo a fatica sui sedili posteriori.



Dutch continuava a guardarsi indietro, accertandosi che si fossero veramente fermati. “Cazzo, quella puttana russa me la paga cara, questa volta!” urlò, mollando un pugno al volante. Le mani gli tremavano ancora, e fece fatica a cercare il cellulare per comporre il numero di Balalaika. Squadrò preoccupato la compagna, mentre aspettava che la donna rispondesse al telefono. “Come stai? Ti hanno presa?”
Revy scosse la testa, stringendo i denti. No, non l’avevano presa, ma la botta che aveva dato alla portiera cominciava a farsi seriamente sentire. Abbassò il parasole, specchiandosi. L’immagine riflessa le restituì quella di una spalla rossa e gonfia, vagamente tumefatta, con uno spuntone che sporgeva in modo innaturale verso l’alto. Provò a sfiorarlo, e una fitta di dolore lancinante si irradiò lungo i muscoli della schiena e del collo. “No” grugnì “ma ho la spalla a puttane, cazzo”. Provò a muovere il braccio, con scarsi risultati.
“Sta ferma” le ordinò lui. “Sì, pronto, no, non dicevo a te. No, non è andato bene un cazzo!” si agitò, alzando la voce. “Non voglio perdere i miei uomini per… Sì. No, penso che Revy si sia rotta qualcosa. Mh. Dimmi tu…”
L’espressione di Dutch passò dall’arrabbiato allo stupito, quando si accorse che il tono della russa si era fatto improvvisamente più serio e… Quasi preoccupato. “Certo. Ok, ci andiamo”. Schiacciò il tasto rosso del cellulare, lanciandolo poi sui sedili posteriori. “Adesso le portiamo quello che ci è rimasto, e poi ha detto che ci manda dal suo medico. Pensi di poter resistere?”
Revy sbuffò, roteando gli occhi. “Che, mi hai presa per un colletto bianco?” sorrise, pensando alle lagne che avrebbe fatto Rock se fosse stato nei suoi panni. “Fammi indovinare… La sorellona se lo aspettava, vero?” “In un certo senso” tagliò corto Dutch. Si sistemò gli occhiali da sole sulla radice del naso. “Diciamo che la prossima volta non ci troveranno ancora impreparati”.


_______

Angolo Autrice

E quindi, dopo ben una settimana - come promesso - torno di nuovo ad aggiornare! Buona lettura a tutti...
E comunque sì, Revy non ha distrutto l'auto dei cinesi semplicemente perché la vecchia ML della Mercedes è l'auto del mio cuore.

Harry

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Capitolo 3
*** Ossa ***


Capitolo 3.
Ossa


Balalaika sprofondò sulla poltrona, le mani ben ancorate ai braccioli. Sospirò, chiudendo gli occhi.

“Solo tre, quindi”. Boris annuì, gravemente. “Anche il pacco è danneggiato”.

Revy era appoggiata allo stipite della porta, tenendo piegato il braccio con l’altra mano. Rifiutò l’antidolorifico che le stavano portando, e si rivolse al comandante. “Tre?! Mi vuoi dire che hanno distrutto tutte le altre valigette!? Ma avevano solo due pistole!”
La russa alzò le sopracciglia, assottigliando le labbra. “Vedi, mia cara, è il contenuto che è danneggiato”. La squadrò con sguardo preoccupato. Raramente aveva visto Revy lamentarsi per il dolore, e sapeva riconoscere quando qualcosa non andava sul serio.

“E’ colpa mia: avrei dovuto aspettarmelo. Non era assolutamente nostra intenzione che finisse così vostra campagna. Me ne assumo tutte le responsabilità” aggiunse, con aria grave. Alzò una mano per chiamare un soldato. “Dagli un’auto e spiegagli come arrivare da mio medico. E’ molto bravo, si chiama Viktor. L’unico di cui mi fido. Ti metterà a posto”.

Revy roteò gli occhi. “Vedrai che con un po’ di ghiaccio…” le sue proteste vennero prontamente fermate da Dutch, che la trascinò via con sé. “Sta zitta ed accetta. Sai meglio di me come sono bravi nell’ospedale di questo buco di merda”. Voltò le spalle alla russa senza aggiungere altro ed uscì dalla stanza.

Era furibondo: quella puttana lo sapeva, se l’aspettava e li aveva fatti uscire da soli, senza scorta? Sarebbe bastata una decina dei suoi soldati ed un blindato per andarsene in tutta tranquillità. Forse non voleva dare nell’occhio, o forse semplicemente non pensava ad un attacco così. In ogni caso, aveva danneggiato tutto il carico… Quanto aveva perso?

C’era qualcosa che non gli tornava, assolutamente. E… Se fosse stato tutto voluto…?


Arrivarono al garage dell’Hotel Moscow, in silenzio.Il soldato li accompagnò all’auto, spiegando brevemente dove si trovasse la clinica della russa. Revy si accese una sigaretta con la mano libera, salendo al posto del passeggero. “Ehi, capo” chiese, non appena salì di fianco a lei “non avevo mai sentito parlare di ‘sto qua. Gorbaciov che fine ha fatto? E’ crepato?”
Dutch fece spallucce, infilando le chiavi nel quadrante. “Era vecchio, avrà avuto settant’anni. Penso sia andato in pensione”. Il vecchio medico a servizio dell’Hotel Moscow, un certo Golembiewski - Gorbaciov per la rossa - era sparito ormai dalla circolazione da un po’ di tempo. “Come biasimarlo, del resto. In una città come questa, o crepi o te ne vai”.

“E come ha detto che si chiama, questo nuovo…?” Revy sbuffò una nuvola di fumo dal finestrino aperto, curandosi di far cadere la cenere fumante sul tappetino della BMW.

"Viktor?" Dutch sbuffò. "Ma bene, che fortuna. Pure un cazzo di tedesco ci mancava".



 

Dutch aprì la porta dello studio medico reggendo Revy per le spalle.

"Hey, c'è nessuno...?" chiamò. Fece scorrere lo sguardo lungo la stanza, fino a scorgere una figura di spalle che stava beatamente pisolando su una poltrona con le rotelle, le gambe appoggiate al tavolo davanti. La identificò come il medico: indossava un camice bianco e degli zoccoli di plastica. "Ehi, dico a te, dottore" ringhiò. "C'è qualcuno che ha bisogno, qui".

L'interlocutore sbuffò, visivamente seccato di essere stato disturbato nel bel mezzo del suo pisolino. Facendo leva coi piedi spinse la sedia all'indietro, trovandosi faccia a faccia con il capo della Lagoon. Sbadigliando, alzò lo sguardo verso di lui. "Gutten Morgen. Ja, io essere medico". Esibì un sorriso a trentadue denti. "Dica".

Dutch alzò un sopracciglio. La cresta ben ritta in testa e la buona manciata di piercing che riusciva a contargli addosso non gli davano certo una grande credibilità. Fu quasi tentato di girare sui tacchi e tornare indietro, ma Revy gli lanciò un'occhiata fulminante, prendendo la parola.

"Senti un po', stronzetto" gemette "Normalmente i nazisti come te io e il mio amico li avremmo presi a calci in culo da qui fino in Vietnam, ma dato che sei un dottore, e io sono fuori uso, faremo un'eccezione. Pensi di essere in grado di curarmi, o...?"

 

Il dottore sbattè le palpebre da dietro la visiera chirurgica. Sembrava essersi perso qualcosa della conversazione, ma poi sbottò in una risata sguaiata.

"Aahahahaha, io penso che c'è malinteso fra noi!" ridacchiò, alzandosi in piedi. "Mia famiglia di Germania di Est, io no nazista". Si portò una mano al petto, sorridendo. "E poi" si tolse il paraocchi, ridacchiando. "Io donna. Solo molto magrina, ja".

Dutch alzò un sopracciglio, sbigottito. Sì, in effetti gli occhi erano... Beh... Un po' più femminili del resto del corpo. Certo, i capelli rasati e i piercing non aiutavano. Fece scendere lo sguardo verso il seno, dove notò un cartellino: "Halo! Ich bin Viktor".

Revy fu più veloce a prendere la parola. Sbattè le palpebre un paio di volte. "Aspetta" chiese. "Ci hanno detto che ti chiami Viktor".

Il medico si strinse nelle spalle, senza perdere quell'espressione divertita che sembrava accompagnarla perennemente. "Ja, storiella divertente! Mia matre partorito in vacanza, anagrafe non capire bene pronuncia e qvindi scritto Viktor!" ridacchiò. "Strano, da bambina io più femminile di ora". Scrollò le spalle. "Quindi ora tutti chiamare me Vik".

"Uh. Con la kappa o con la C?" chiese Revy.

Vik strinse le labbra. "Perché, tu pronunciare con ci o con kappa in modo diverso?"

Dutch pose fine a quella parentesi di nonsense. "Bene, siamo tutti contenti che tu non sia un uomo e che tu non sia una cazzo di neonazista. Però sei un medico, vogliamo focalizzare la nostra attenzione su questo?" tagliò corto, indicando la spalla di Revy.

Lo sguardo di Vik si fece improvvisamente serio. Strinse le palpebre e si sporse verso la spalla della ragazza.

"Ah, voi dovete essere Black Lagoon, Balalaika ha avvisato me! Mh. Tu preso bella botta, ja? Fortuna che non ha preso arteria". Si infilò un paio di guanti di lattice, e si riabbassò la visiera protettiva. "Tu puoi camminare? Sehr Gut" disse, aprendo una porta sul retro. "Tu segui me, Shonen Freulin". Si voltò di nuovo verso Dutch, facendo svolazzare il camice aperto. "Io ora fare, clic" fece il gesto della macchina fotografica con le mani, fingendo di scattare una foto. "Röntgenstrahlen, ja...?" Percependo il velo di inadeguatezza che stava coprendo pian piano lo sguardo dell'uomo, abbassò le braccia rimaste a mezz'aria, fece spallucce e si voltò. "Tu aspettare qui" sentenziò, chiudendo con uno scatto la porta pesante alle sue spalle.


"Bene" il medico si voltò, rivolgendosi alla ragazza. "Tu no...?" portò le mani davanti alla pancia, mimando un pancione. Revy la guardò disgustata. "Ti sembro il tipo?" sbottò con una smorfia. Si diede un'occhiata intorno. La stanza era semibuia, e in centro troneggiava uno strano macchinario, una specie di corto cannone rivolto verso un tavolo. "Sehr Gut" esclamò Vic, accendendo il tavolo. "Io ora vedere tue ossa, ja...?" indicò il tavolo. "Tu prima togliere maglietta".

"Ah, che cazzo, una lastra!" rise Revy, sollevata. "Pensavo volessi vivisezionarmi! Sembri un po’ una fanatica, sai..." fece per sfilarsi la canottiera, visibilmente impedita dal braccio dolente.

"Io aiutare te". La dottoressa le alzò piano il braccio, aiutandola a sfilare lo spallino della canottiera. "Ugh" si lamentò la rossa. "Su, forza!" ridacchiò l'altra. "Non è per vedere te nuda, tranqvilla. Non quando lavoro, almeno!" scoppiò di nuovo in una risata sguaiata, che fece gelare il sangue nelle vene a Revy. "Cazzo, voi tedeschi siete inquietanti" mormorò, sdraiandosi sul tavolo ed ignorando deliberatamente la battuta che le aveva appena rivolto.

Vic si rifugiò in una stanzina, accendendo i raggi e riemergendo pochi secondi dopo. "A posto, fatto!" fece cenno a Revy di alzarsi. "Purtroppo questo vecchio macchinario, io ora sviluppare foto. Torna pure da tuo amico, ma non rivestire". Fece una smorfia. "Secondo me, tu gebrochen".

Revy si diresse verso la porta, raccogliendo la canottiera. "Cazzo ha detto?! Sta qua è fulminata" mormorò, attenta a non farsi sentire troppo... Gli ospedali l'avevano sempre inquietata, da quando aveva memoria. Forse per colpa dei troppi film horror che guardava. 'Gli ospedali e i tedeschi' precisò a se stessa, tornando da Dutch.



 

"Te lo dico io" esclamò lei "questa qua mi inchioda al lettino, mi anestetizza e mi toglie il fegato! Non è normale!"

I due stavano chiacchierando, cercando di ingannare l'attesa. Erano ormai dieci minuti che Revy era uscita dalla saletta; si era buttata la canottiera sulle spalle - non perché avesse vergogna di farsi vedere nuda di fronte a Dutch, ma solo perché le vetrate della clinica davano  proprio sulla strada. Si chiese per la quinta volta se fumare in una struttura sanitaria fosse poi così sbagliato - ammesso e non concesso che quella baracca rientrasse effettivamente nella categoria "struttura sanitaria".

Dutch sbuffò, controllando l'orologio. "Seh, che affare farebbe a prendere il tuo fegato, con tutto quello che ti bevi...?"


"Rotto!"

Vik emerse trionfante da dietro la porta, stringendo una lastra in mano come un neolaureato che ostenta orgoglioso la sua tesi. "Capito, shonen Fraulein?! Operare, subito!" si diresse a grandi passi verso un corridoio sulla sinistra, su cui sovrastava l'inquietante scritta "surgery".


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Angolo Autrice

Gutten Tag! Sì, lo so, sono in ritardo, ma ho dovuto studiare un sacco queste settimane per dei concorsi e ho trascurato tutto il resto - sì, anche la vita - quindi perdonatemi, si trattava solo di pubblicarlo, perché l'avevo in realtà già scritto.
Eeeeeee... Finalmente introduco il nuovo personaggio! Era tanto che ci rimuginavo sopra, quindi non vedevo l'ora di dargli vita! Fatemi sapere che ne pensate!
Un grazie immenso, come sempre, a chi legge e recensisce!
Buona lettura
Harry

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