Per voce sola

di Nuel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Good Morning, New York (Ma io volevo te...) ***
Capitolo 2: *** All the things he said (Ma vedevo te…) ***



Capitolo 1
*** Good Morning, New York (Ma io volevo te...) ***


All’incirca un anno fa, in occasione del’ATX Television Festival cominciai a scrivere la mia prima “Gandy”, ambientata durante la Rise’n Shine convention che si tiene proprio in questi giorni. Quella storia, che poi iniziai a serializzare su questo sito a luglio, era “Le rondini su Toronto” e, oggi, sappiamo che Gale non parteciperà, purtroppo.  
    Questa storia, invece, nasce da un’idea nata nei primi giorni della turnee di “Cabaret”, quando, spulciando il calendario, ho visto che a luglio Randy si troverà a Los Angeles, dove vive Gale, e la fantasia (e le speranze) ha preso il volo verso cieli solcati da arcobaleni scintillanti…
    In corso di pianificazione, però, ho deciso di dare un taglio diverso a questa storia, ovvero quello di “raccolta di one shot” perché gli episodi che racconterò saranno distanziati negli anni e perché potrebbero non essere in ordine cronologico (dipenderà molto dal mio estro e dalla possibilità di reperire materiale). Inoltre, poiché non pubblicherò con cadenza regolare, questo Vi permetterà di leggere ogni volta delle storie auto-conclusive, senza lasciarvi nell’attesa del capitolo successivo.
    Al termine di questa lunga premessa, vi ricordo che questa storia non intende ledere od offendere Gale e Randy in nessuna maniera, che io (purtroppo) non li conosco e probabilmente non li conoscerò mai, ma mi consolo sapendo che loro non leggeranno mai questa storia e quindi non potranno odiarmi, perché in fondo in fondo, tutto questo è vero, ma solo nella fantasia.


Good Morning, New York

(Ma io volevo te...)



 
23 Aprile 2001

New York si era svegliata sotto una coltre di foschia, 6°C e il traffico intasato, ma poi la giornata era migliorata, era uscito il sole e la primavera era esplosa. Il cielo era terso, nuvole bianche sembravano dipinte sullo sfondo azzurro percorso dalle scie degli aerei e le strade di Brooklyn brulicavano di vita. La settimana era appena iniziata, un giorno frenetico come tanti altri, e Gale era uscito presto. Troppo presto, secondo Randy, ma era nervoso e aveva bisogno di camminare, scaricare la tensione per quella sera.
    Anche lui avrebbe voluto scaricare la tensione, e fare le pulizie di primavera non era stato esattamente il suo primo pensiero, quella mattina, quando si era svegliato avvinghiato a Gale nell’unico letto della minuscola stanza che condividevano in un appartamento con alcuni amici.
Randy non riusciva a liberarsi di quel misto di farfalle in pancia e vertigini dovuti all’ansia e non all’eccitazione.
    Gli piaceva avere Gale intorno, ma a Toronto avevano condiviso un appartamento, non una stanza. Stava iniziando a diventare frustrante. La colpa, però, era sua: quando Gale l’aveva chiamato per dirgli del provino, non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva invitato a stare da lui. “Solo un paio di giorni”, aveva detto Gale, apparendo del tutto sereno davanti al disagio di dover dormire nello stesso letto. Del resto sul set della prima stagione di Queer as Folk avevano fatto ben di peggio che dormire in boxer e maglietta e, quando le riprese fossero ricominciate, l’avrebbero fatto di nuovo. Randy non doveva pensarci, altrimenti sarebbe andato fuori di testa: svegliarsi col profumo di Gale addosso e la sensazione del suo corpo caldo e duro premuto contro era la cosa migliore e peggiore che gli fosse mai capitata.
    Quando Gale aveva ottenuto il lavoro, gli aveva detto di restare: i suoi coinquilini erano d’accordo, avrebbero diviso l’affitto e le spese, erano tutti giovani squattrinati, in fondo, in cerca di una possibilità per sfondare a Broadway ed erano eccitati quanto lui all’idea di avere Gale in casa… beh, forse non quanto lui.
    Non era stato entusiasta del ruolo assegnato a Gale. Era stato strano e forse anche un po’ inquietante vederlo provare le battute di Josh. A tratti Randy ne aveva avuto persino a male ma, dopo ogni sfuriata di Josh, Gale di interrompeva, gli sorrideva e gli chiedeva come era andato. Aveva imparato la parte e poi aveva passato giorni interi a provare alla Playhouse di Soho, il piccolo teatro che avrebbe visto il suo debutto nella Grande Mela.
    Randy si sentiva in colpa a non avere nessuna voglia di andare a vedere la prima, ma… tra tutti i ruoli possibili, proprio uno stronzo omofobo? Dopo “Brian Kinney” era possibile interpretare il volgare e crudele nipote di un omosessuale prossimo alla morte per AIDS? Gale era un bravo attore, quindi sì, era possibile. Soprattutto, Gale non era Brian e Randy ne era perfettamente consapevole.
    Non che lui volesse Brian, per carità, l’avrebbe mandato a fare in culo dopo averci scambiato appena due parole, ma se Gale fosse stato gay…
    Inutile rimuginarci.
    Si infilò la giacca e uscì dall’appartamento, per andare alla metropolitana, ci avrebbe messo un po’ ad arrivare, sperando di non perdere le coincidenze, quindi era ora di muoversi.
    … però se pensava al modo in cui Gale l’aveva baciato durante la scena del ballo dell’ultimo episodio…
    Randy scosse la testa e chiuse a chiave la porta. Pensarci ancora serviva solo a farlo star male: era una scena, Gale si era fatto trasportare e non era stata nemmeno la prima volta. Era un attore istintivo, no? Registi e autori continuavano a ripeterlo, lui si calava nella parte e non era più Gale. Era quello che faceva anche lui, del resto, no? Quello che perdeva la bussola e si scaldava troppo era Justin, non lui… altrimenti sarebbe stato folle condividere lo stesso letto. Non sarebbe nemmeno stato corretto nei confronti di Gale.
    ‘Fanculo!
    Stava diventando buio quando arrivò a Vandam Street. L’elegante porta del piccolo teatro era illuminata da due lampade a muro, spettatori eleganti arrivavano alla spicciolata esibendo i biglietti e Randy tirò fuori dalla tasca dei jeans il pass che gli aveva procurato Gale. Ci teneva che andasse a vederlo e lui voleva vederlo, sul serio, lo voleva fare. Era solo agitato da morire. Nemmeno quando si trattava di se stesso era così in ansia, ma trattandosi di Gale… voleva che fosse un successo. Voleva che il pubblico si spellasse le mani a furia di applaudire e che la critica fosse entusiasta. Il giorno dopo sarebbero uscite le recensioni e, una volta entrato, Randy cercò di scorgere qualche volto conosciuto, individuare i giornalisti, come se avesse potuto indovinare dai loro volti quello che avrebbero scritto, ma la sala era in penombra, il sipario calato, un leggero brusio eccitato che precedeva l’inizio dello spettacolo.
    Maglietta blu, pantaloni scuri e scarpe da ginnastica, Josh era odioso e graffiante e Gale era talmente bello da fare male. Non aveva importanza che Randy conoscesse già le battute, che le avesse già sentite pronunciare con intonazioni diverse fino a quando Gale non era stato soddisfatto; in quel momento era lì, a vomitare odio e disprezzo verso un vecchio che avrebbe potuto essere lui di lì a quarant’anni. Randy distolse lo sguardo, le ciglia chiare appesantite da un leggero umidore e  tornò a guardarlo perché non poteva farne a meno, lo seguiva mormorando con lui le battute, sospirando, cercando i suoi occhi dolci colmi della furia di Josh.
    La folla applaudì e Randy sbatté le mani più forte di tutti, attese che il sipario si alzasse ancora per il saluto degli artisti e poi sgusciò tra la gente che cominciava ad andare via per raggiungere i camerini, il pass gli permetteva di farlo, il tizio grande e grosso strozzato dal papillon al collo lo lasciò passare dopo una rapida occhiata al cartoncino che gli aveva mostrato. Dietro le quinte era tutto in fermento: attori, costumisti, truccatori, macchinisti, regista… ma quanta gente c’era per uno spettacolo con così pochi personaggi?
    «Randy!». La voce di Gale lo raggiunse, era uscito da un camerino e aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e lo raggiunse in poche rapide falcate.
    «Sei stato…», Randy non fece in tempo a terminare la frase che le braccia di Gale lo strinsero, togliendogli il fiato.
    «Vieni, ti presento gli altri», gli disse Gale, trascinandolo nel camerino.
    «… magnifico», concluse Randy, ma non pensava che Gale l’avesse sentito.
    C’era George che stava stappando una bottiglia, il botto provocato dal tappo lo fece sussultare e il tintinnio dei bicchieri gli strappò un sorriso. Il cast festeggiava il successo della prima e Gale era euforico. Randy si mise quasi a ridere vedendolo arrossire, strozzato un po’ dal vino, un po’ dalle risate. Gale gli porse un bicchiere, ma Randy rifiutò. «Dai!», insistette.
    «Solo un sorso», lo accontentò, e Gale lo osservò bere. Qualcuno stava proponendo di uscire a festeggiare tutti assieme. «Basta, uno dei due deve essere sobrio per portare a casa l’altro», gli disse restituendogli il bicchiere.
    «Come vuoi», acconsentì Gale finendo il suo spumante. Aveva messo le labbra dove le aveva appoggiate lui? Randy sentì il cuore salirgli in gola, ma fu solo un momento, prima che George mettesse una mano sulla spalla di Gale.
    «I ragazzi dicono di andare in un locare qui vicino a festeggiare tutti assieme. Vieni con noi?».
    Gale scosse il capo. «Non stasera», gli rispose, e Randy ebbe l’impressione che fosse un po’ troppo alticcio per un uomo che aveva bevuto solo due bicchieri di vino. «Ho in mente di festeggiare in un altro modo». Gale strizzò l’occhio a George e quello scoppiò a ridere.
    «Allora non insisto. Divertiti!», rivolse un cenno di saluto a Randy e tornò dagli altri.
    «Cos’hai in mente?», gli chiese Randy. Non sapeva se dovesse preoccuparsi: Gale era ebbro, ma non di vino, quello lo reggeva, lo sapeva bene. Erano i riflettori sul palcoscenico, gli applausi, era il suo debutto off-Broadway ad ubriacarlo.
    Gale gli si fece più vicino, circondandogli i fianchi con un braccio. Era troppo vicino. «Voglio festeggiare con la persona che ha reso tutto questo possibile». Rise e a Randy venne automatico sorridere, anche se non capiva. Gale lo afferrò per un polso e lo trascinò fuori, via del teatro, per la strada, con quelle gambe lunghe che lo obbligavano a trottargli dietro, e intanto rideva. Quando raggiunsero la stazione della metropolitana l’aria era di nuovo fredda e umida e le guance di Gale erano rosse, i suoi occhi lucidi, e lo abbracciò in mezzo alla strada.
    Il cuore di Randy perse un battito e fece per scostarlo, ma Gale chinò il capo verso di lui. «Grazie», gli sussurrò all’orecchio. Il suo fiato era caldo, la sua pelle cosparsa da un velo di sudore freddo. Per un momento Randy temette che avesse la febbre, ma no, la sua pelle era fredda quando le loro guance si sfiorarono.
    «Sarà meglio che ci muoviamo se non vogliamo perdere il treno», bofonchiò con voce arrochita dal desiderio. Si schiarì la gola, sperando che Gale non se ne accorgesse. Non poteva fargli quello.
    Scesero i gradini giusto in tempo per prendere il treno, c’era gente, ma non era affollato come nelle ore di punta. Randy fece per raggiungere dei posti a sedere liberi, ma Gale lo trattenne, aggrappato ad uno dei pali di sostegno. «Vieni qui», gli bisbigliò e rise e lo strinse. Una donna alzò gli occhi verso di loro, ma non sembrò riconoscerli. Probabilmente pensò che Gale avesse bevuto e distolse lo sguardo. Mentre Randy controllava che nessuno badasse a loro sentì le labbra di Gale sul collo.
    «Cosa…?».
    «Sh!», gli fece Gale, risalendo lungo la sua mandibola per prendergli tra le labbra il lobo dell’orecchio. Un momento dopo Randy stava premendo le labbra contro le sue e non sapeva nemmeno come fosse successo. Erano baci affamati, ma rapidi, leggeri. Baci da ragazzi che potevano voler dire tutto oppure niente, perché Gale, no Brian, lo aveva baciato cento volte in modo più profondo, più passionale, eppure mai Randy lo aveva voluto tanto come in quel momento. Ad ogni bacio pregava che ne seguisse un altro, come un assetato la cui sete aumenta ad ogni goccia.
    Il treno si fermò, le porte si aprirono e si richiusero e qualcuno borbottò qualcosa di malevolo. Randy si staccò di colpo: erano in mezzo alla gente, che diavolo gli pigliava? Con una traccia di timore nello sguardo cercò di individuare chi potesse essere stato infastidito dalle effusioni di due uomini, ma Gale rise, cercando di attirarlo di nuovo a sé. «Tra poco saremo a casa», gli disse, tenendolo a distanza, «mi sa che hai bevuto troppo, stasera».
    «È perché non ho mangiato niente da ieri sera», gli rispose Gale, piegandosi di nuovo verso di lui. «Ma stasera mangerò te». Rise piano, vibrazioni elettriche percorsero il padiglione e il collo di Randy. Cercò di ricordare se Gale avesse fatto colazione, ma no, era troppo nervoso, aveva detto. Si sarebbe fermato in un bar a prendere qualcosa, aveva detto. Stupido!, si disse Randy. Come faceva a fermarsi in un bar se aveva soltanto i soldi per la metropolitana? Avevano pagato le bollette due giorni prima e aveva visto Gale contare il denaro che gli restava fino al prossimo mese. La paga di un anno di serie televisiva se ne era andata per pagare le multe e riscattare il furgoncino che era rimasto a Los Angeles.
    Finalmente arrivarono alla loro stazione, cambiarono treno, la città vista dall’alto doveva sembrare un cielo capovolto, e loro si stavano muovendo tra le stelle. Randy abbracciò Gale, quasi temesse di vederlo cadere o di perderlo in quel cielo tanto vasto, e l’uomo lo strinse di nuovo. «Dico davvero», iniziò Gale, parlando piano, «è tutto merito tuo. Non ce l’avrei fatta senza di te».
    «Sì che ce l’avresti fatta».
    «Ts-ts», negò lui, «sapevo che c’eri tu a guardarmi e non ho avuto paura».
    Randy inghiottì a vuoto. Respiravano petto contro petto, tra loro solo il palo di sostegno del vagone su cui erano saliti e il profumo di Gale era intossicante. Randy avrebbe voluto che quel viaggio durasse per sempre, che le braccia di Gale rimanessero intorno a lui, non avrebbe chiesto altro a Dio, davvero, gli sarebbe bastato.
    Il treno si fermò con un sussulto. Erano arrivati. Col cuore che scoppiava, Randy si staccò da Gale, guidandolo per mano fuori dal treno, fuori dalla stazione, fuori. L’aria era fredda e umida e c’erano meno luci; le stelle erano tornate in cielo, lontane da loro. Imboccarono la strada che conduceva all’appartamento in cui vivevano, un vicolo buio, tra palazzi alti che coprivano il cielo. Niente stelle, lì, solo tetra oscurità per loro, come un presagio crudele che gli fece stringere il cuore.
    Infilò la chiave nella serratura e la porta si aprì con un “clack” sordo cui rispose solo il ronzio del vecchio frigorifero nella cucina silenziosa. Non accese nemmeno la luce. Gale chiuse la porta alle loro spalle e Randy si affrettò: cinque passi e fu già nel corridoio, la porta della camera era solo due passi in là. Si fermò a scrutare nelle tenebre: Gale cosa avrebbe fatto?
    Un movimento più intuito che visto e Randy ebbe la risposta alla sua domanda: Gale era dietro di lui, le braccia che gli stringevano la vita. «Apri la porta», gli disse, parlando al suo orecchio. Era quello che voleva? Ne era davvero sicuro? Non si stava ingannando?
    Aprì la porta; in un istante Randy si girò tra le sue braccia, le giacche finirono a terra.
    Baci profondi, affamati, frettolosi, finalmente, finalmente! Randy si ritrovò premuto contro il letto, le braccia intorno ai fianchi di Gale, le mani di Gale tra i suoi capelli, le gambe incastrate, i bacini che spingevano, sfregavano. Era duro, erano duri, e si volevano. Randy gli artigliò la camicia e poi lasciò perdere, infilando solo le mani sotto il tessuto, la schiena di Gale scottava, ma anche lui si sentiva febbricitante. Non c’era tempo per spogliarsi, premette le mani sulle natiche di Gale e strinse, affondò le dita nel tessuto ruvido dei jeans, e spinse il bacino contro il suo.
    Avevano entrambi il respiro affannoso, gemiti e sospiri si mischiavano, Gale respirava con la bocca aperta, Randy sentiva il suo fiato contro il collo, poi le braccia di Gale scattarono, si infilarono sotto i suoi fianchi, stringendolo possessivamente, e il suo strusciarsi divenne scattoso e veloce e Randy sentì l’orgasmo montare.
    Un momento dopo era tutto finito.
    Il respiro pesante di Gale divenne più lento. Si era addormentato.
    Randy rimase a fissare il soffitto, senza vederlo. Si tastò l’inguine mentre recuperava il fiato: era venuto nei pantaloni, erano venuti tutti e due nei pantaloni come degli adolescenti. Non sapeva nemmeno quando fosse stata l’ultima volta che gli era successo. Era stato tanto tempo prima, comunque. Cercò di sistemare Gale come meglio poteva, senza svegliarlo e gli si accoccolò contro, scalciando via le scarpe. Un momento dopo, Gale lo stava abbracciando nel sonno.
    Sapeva di non doversi fare illusioni, ma, per un solo momento, Randy pensò che sarebbe stato bello se quello fosse stato amore, se ci fosse stato un domani, per loro.


L’alba arrivò troppo in fretta, pigra e avvolta di foschia, accompagnata da cinguettio di qualche passero e dallo sferragliare del camion della raccolta dei rifiuti. Randy si stiracchiò contro il corpo caldo e solido che lo stringeva, mentre il languore scivolava via dalle sue membra e il desiderio si riaffacciava prepotente assieme al fastidio di aver dormito con gli abiti bagnati e appiccicosi. Socchiuse gli occhi osservando Gale, la voglia di toccarlo come la notte prima, di stringerlo e baciarlo che lottava con quella di guardarlo dormire sereno, di ascoltare il suo respiro regolare.
    Avvicinò di più il capo al suo torace, cercando il battito del suo cuore, ma perdendosi ad annusare il suo odore, un po’ sudato, un po’ rancido, con una nota di tabacco stantio. Sorrise tra sé perché gli piaceva. Lo respirò a pieni polmoni, era l’odore del suo uomo, quello che avrebbe voluto avere addosso sempre… Poi Gale si stiracchiò, sbadigliò e aprì piano gli occhi.
    I loro sguardi si incontrarono e Randy comprese che il sogno era già finito. «Come ti senti?», gli chiese con voce tremante.
    Gale si stiracchiò di nuovo, allontanandosi da lui. «Come uno che ha corso la maratona di New York e non se lo ricorda. Che è successo ieri sera?».
    Randy sentì con dolorosa precisione il cuore che gli si spezzava nel petto. «C’è stata la prima di Uncle Bob, non te lo ricordi?».
    «Sì…», rispose scettico, «come è andata?».
    «Bene», gli sorrise Randy. «Sei stato magnifico».
    «E dopo?».
    «Dopo…», Randy esitò, appoggiandogli una mano sul petto, la camicia stropicciata e ancora abbottonata, «avete bevuto per festeggiare e ho dovuto trascinarti a casa semi incosciente». Non era proprio una bugia, giusto? «Vai a farti una doccia», aggiunse, «io preparo la colazione».
    Gale si sporse verso di lui, baciandogli la guancia. «Grazie», gli disse prima di mettersi in piedi e dirigersi al bagno.
    Randy chiuse gli occhi, respirando a fondo per calmarsi. Il profumo di Gale era ancora nella stanza, di Gale e di sesso, ma loro non avevano fatto sesso, no? Si erano solo strusciati un po’. Gale era etero, lo sapeva. Non doveva farsi strane idee su quello che era successo. Era stato… Non sapeva cosa fosse stato, ma non sarebbe ricapitato. Doveva alzarsi e cambiare l’aria in quella stanza, prima di iniziare a pensarci troppo, prima di realizzare che gli faceva già troppo male, quindi si mise in piedi e aprì la finestra. L’aria era fresca e il sole stava bucando la foschia.
    «Buon giorno, New York», mormorò a nessuno, forse solo a se stesso. Sarebbe stata una bella giornata di primavera, il sole si sarebbe riflesso sugli alti palazzi specchiati, avrebbe riscaldato l’asfalto e New York sarebbe stata viva e piena di possibilità.
    Randy sentì di amare quella città, con tutto quello che conteneva, tutte le sue storie, le sue persone, le occasioni colte e quelle mancate, con tutte le sue notti di cui nessuno avrebbe mai parlato.

 
____________________________


Note
1. Per il meteo mi sono basata su questa pagina sperando che non sia cambiato molto nel corso della settimana.
2. Soho Playhouse: qui
3. George Morfogen interpretò Bob, il protagonista nell’opera “Uncle Bob”.
4. Recensioni allo spettacolo:
• Variety: qui
• TheaterMania: qui
• The Advocate: qui
5. Intervista a Gale per TheaterMania:qui
6. Stando a questo articolo dell’Advocate gli stipendi del cast di QaF (con le sole eccezioni di Sharon Gless e Hal Sparks, che all’epoca erano già famosi) vennero alzati a partire dalla terza stagione.
7. In un’intervista Gale dichiarò che il denaro guadagnato con la prima stagione di Queer as Folk servì per pagare le multe e riscattare il suo furgoncino. Purtroppo il link a questa intervista era nell’hd che ho rotto.


Vi ricordo che in questi giorni si sta tenendo a Toronto la Rise'n Shine Con e quindi sono previste nuove foto e news, ma vi ricordo soprattutto la QaFReunion Campaign: firmate sul sito alla pagina Sign this e usate quanto più potete l'hashtag #QaFReunion su FB e su Twitter.
Per chi volesse, sono da poco disponibili le magliette per sostenere l'iniziativa (trovate le informazioni sul sito) e ricordatevi che il 26 Giugno è previsto il nuovo Twitter Party! Chi ha un account Twitter, per favore, partecipi: più siamo e meglio è!
Per ora è tutto! Vi do appuntamento sulla mia pagina FB per sapere quando arriverà la seconda storia di questa raccolta e non solo! ^^

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Capitolo 2
*** All the things he said (Ma vedevo te…) ***


All the things he said

(Ma vedevo te...)

6 Settembre 2003


La sveglia sul comodino indicava le 2.27 del mattino. Erano passati meno di dieci minuti dall’ultima volta che Randy l’aveva guardata. Sbuffò silenziosamente e si girò dall’altra parte; mancavano ancora parecchie ore all’atterraggio del volo di quel tizio.
    Simon aprì gli occhi a metà e lo circondò con un braccio, attirandolo più vicino a sé. «Cosa c’è?», gli chiese con la voce arrochita dal sonno.
    «Scusa, non riesco a dormire», gli rispose Randy a voce bassa nel silenzio assoluto della loro camera. Non avrebbe voluto svegliare Simon. Avrebbe voluto chiudere gli occhi e dormire, ma non ci riusciva. L’indomani sarebbe stato stanco e nervoso, con le borse scure sotto gli occhi e nemmeno passare la giornata in casa con lui e giocare con Ella e Aggie sarebbe servito a farlo stare meglio. Non capitava spesso di avere un intero giorno di pausa sul set, ma quel mercoledì avrebbe preferito lavorare, anziché stare a casa perché “Gale doveva partecipare all’anteprima” del suo stupido film.
    La mano di Simon passò tra i suoi capelli troppo corti, in un gesto simile a quello con cui Brian aveva accarezzato la testa di Justin solo un paio di giorni prima, e Randy fu contento che il buio interrotto solo dai numeri luminosi della sveglia non permette al suo compagno di vedere l’espressione di fastidio sul suo viso.
    «Tagliarli è stato un delitto», commentò Simon, sporgendosi a baciargli la fronte.
    «Esigenze di copione», gli rispose lui, con tono asciutto. In fondo era grato di poter parlare anziché continuare ad arrovellarsi il cervello.
    «Avresti dovuto dire di no», insistette Simon, «non devi fare per forza tutto quello che vogliono».
    Randy sospirò. «Ricresceranno», rispose. Il malumore iniziava a prendere il posto dell’ansia e non sapeva quale delle due fosse peggiore. Non poteva dire a Simon cos’era che lo tormentava, e non avrebbe dovuto dare credito a dei pettegolezzi che, se anche fossero stati fondati, non erano affar suo. Gale non era affar suo.
    Credeva di essersi messo il cuore in pace. Credeva che gli fosse passata, ormai, la sua stupida cotta post adolescenziale per il suo bellissimo e dolcissimo collega, ma la conversazione che aveva sentito quel pomeriggio continuava a ronzargli in testa, un tarlo che scavava nei suoi pensieri e non lo lasciava dormire. Chiuse gli occhi e si passò inconsapevolmente la lingua sulle labbra alla ricerca del suo sapore.
Aveva voglia di baciarlo, di toccarlo… avevano una scena un po’ più spinta delle ultime che avevano girato di lì ad un paio di giorni. Poteva resistere.
    Si girò di nuovo per nascondere al suo compagno la mezza erezione che gli era venuta, ma Simon gli si accostò, premendo l’inguine contro le sue natiche mentre gli baciava il collo. Avevano fatto l’amore la sera prima ed erano entrambi nudi, sotto le lenzuola, il contatto con la sua pelle lo fece rabbrividire. «Cerco di dormire», disse chiudendo gli occhi, resistendo alla tentazione di allontanarsi dal suo uomo, e Simon annuì, posando la testa contro la sua, tenendolo stretto.
    Da quando stava con Simon erano cambiate tante cose e, all’inizio, aveva creduto di essere felice, ma gli autori avevano tagliato parecchie scene piccanti e Gale non lo toccava più come prima, non lo baciava più con il trasporto di quando abitavano assieme, e lui aveva scoperto che la felicità aveva un retrogusto amaro. Si era detto che era colpa della gelosia di Simon, delle sue improvvisate sul set, del modo scortese in cui parlava di Gale, della disapprovazione che non faceva nulla per nascondere verso l’esibizione del sesso, quando era coinvolto lui.
    Si era detto anche che era colpa di Kim. Da quando Gale stava con lei si erano allontanati ancora di più e per un po’ Randy era stato davvero arrabbiato con Gale: per uno che aveva detto che lo show era troppo importante per incasinarsi nella vita privata, non era stato molto di parola.
    Però succedeva di innamorarsi, no? Era successo anche a lui. Non c’entrava che quei due mesi, prima di conoscere Simon, fossero stati un inferno. Fare finta di niente mentre sui giornali rimbalzava la dichiarazione di Gale sulla propria eterosessualità era stata una prova da Oscar. All’epoca credeva ancora che, prima o poi, Gale si sarebbe fatto avanti, che lo avrebbe preso tra le braccia e lo avrebbe baciato come quella notte a New York. Poi avrebbero fatto l’amore e, alla fine, Gale sarebbe uscito allo scoperto.
Gale, però, aveva detto “sono etero” tra un morso ad un panino al formaggio e un bicchiere di vino, come se nulla fosse, come se non sapesse di spezzargli di nuovo il cuore.
    Quando Simon l’aveva invitato ad uscire, Randy gli aveva detto subito di sì. Voleva dimenticare Gale, voleva altre mani addosso, altri sapori e altri odori di cui inebriarsi e con cui cancellarlo. Probabilmente avrebbe detto di sì a chiunque. Quasi a chiunque.
    Gale era etero, fine della storia. Anzi, fine delle sue fantasie, perché non c’era nessuna storia.
    Gale stava con Kim, e che lei non gli piacesse non c’entrava nulla con la gelosia.
    Riaprì gli occhi perché dietro le palpebre chiuse le sue paure prendevano corpo trasformandosi in vivide scene che non voleva vedere. La notte ingigantiva le sue fantasie, e l’angoscia gli serrava la gola. Era stupido, ma continuava ad immaginare Gale con quell’altro.
A Kim si era più o meno abituato. Era una donna, non avrebbe potuto competere in nessun caso, anche se… aveva quasi avuto la sensazione che Gale gli avesse fatto un dispetto, che si fosse messo con lei solo perché lui stava con Simon.
    Avrebbe voluto essere ancora nel loro vecchio appartamento, sgusciare dalla propria camera e infilarsi in quella di fronte, abbracciarlo e dirgli che aveva avuto un incubo.
Immaginò che Gale lo accogliesse e se lo stringesse addosso come stava facendo Simon e le lacrime gli salirono agli occhi. Aprì la bocca per respirare meglio. Inspirare, espirare. Da capo.
    Cercò di controllarsi per non svegliare di nuovo l’uomo che gli aveva reso un po’ di serenità. Era lui il suo compagno. Era già abbastanza orribile che pensasse ad un altro mentre gli dormiva accanto senza immaginare che lui avesse voglia di toccarsi invocando un nome che non era il suo, immaginando un altro che lo baciava, che lo penetrava… un gemito gli sfuggì dalle labbra e subito trattenne il respiro, ascoltando quello di Simon.
Si rilassò, convinto che l’uomo si fosse riaddormentato, ma la sua mano scivolò tra le sue gambe, cominciando a toccarlo e Randy sospirò di piacere.
    «Sicuro di non volermi dire cosa c’è?», soffiò contro il suo orecchio e per tutta risposta Randy si spinse nella sua mano, gemendo senza controllo.

Che sarebbe stata una giornata orrenda, Randy lo capì sin dalla prima colazione.
    Una giornalista troppo esuberante annunciò al tg del mattino gli ospiti attesi per quel giorno al Toronto International Film Festival. Ovviamente nominò Gale, ovviamente nominò anche lui, il tizio del pettegolezzo.
    Mentre mandava giù il caffè, Randy ripensò al giorno precedente e l’eccitazione dimostrata da Gale divenne improvvisamente sospetta.
    Era andato a prendere una bibita al distributore automatico vicino ai camerini quando aveva sentito due comparse ridacchiare, aveva sorriso e li aveva ascoltati restando in disparte. Le loro voci tornarono come una sorta di allucinazione uditiva: “Ma sì ti dico, l’ha detto uno che lo conosce…”.
    Si ripeté di nuovo che non c’era stato niente tra Gale e quel Michael. Erano solo pettegolezzi, solo stupide voci messe in giro da stupidi fan.
Chiunque poteva iscriversi con un nickname qualsiasi in un forum, dire di essere amico di un personaggio famoso e raccontare dettagli piccanti inventati di sana pianta. Era così che facevano i mitomani, no?
    Intanto, però, era impossibile non fare un confronto fra le rimostranze che Gale aveva fatto solo qualche anno prima per la scena in cui Brian e Justin dovevano ballare, la scena in cui lo aveva baciato, gli ricordò una voce puntigliosa nella sua testa, e il modo entusiasta in cui raccontava di aver ballato in quello stupido film.
    Se doveva credere al pettegolezzo, era stato Gale ad infilarsi nel letto di quel ragazzo, ma lui non voleva crederci, anche se… anche se era più o meno quello che aveva fatto con lui, no?
Forse Gale era uno di quegli etero convinti a cui, ogni tre o quattro anni, veniva voglia di cazzo.
    Randy serrò le palpebre. Doveva smettere di pensarci, doveva smettere di farsi male, ma nella sua testa continuava ad immaginare le mani di Gale sulla pelle chiara di Pitt.
    «Quante sciocchezze», sbuffò Simon, strappando Randy dai propri pensieri. «Un film con attori mediocri e una trama inconsistente», disse, «l’unica cosa degna di nota è quel Pitt: un po’ ti assomiglia».
    Randy si sentì gelare e sorrise per forza. «Non mi somiglia per niente», lo contraddisse. Ella gli saltò in braccio in quel momento, facendo le fusa a più non posso, ma lui quasi non se ne accorse.
    «È biondo e con gli occhi azzurri», gli fece notare Simon.
    «È come dire che tutti gli ispanici si somigliano perché sono bruni», protestò Randy, accarezzando distrattamente la gatta nel verso opposto del pelo.
    Simon depose la tazza nel secchiaio e si diresse al computer. «Per qualcuno è così», insistette.
    «Non mi somiglia per niente!», disse ancora Randy, accigliato, e Simon gli fece la cortesia di girarsi e sorridergli.
    «Tu sei più carino», gli concesse, prima di iniziare a visionare le mail.
    Simon lavorava spesso da casa e il suono delle sue dita che pigiavano sui tasti del pc era diventato familiare e rilassante, ma non quel giorno.
Quel giorno, Randy aveva voglia di stare da solo e di piagnucolare come un bambino. Voleva che qualcuno gli dicesse che Pitt non gli somigliava per niente, che il fatto che fosse biondo e con gli occhi azzurri come lui non significava nulla. «Non mi somiglia affatto!», borbottò guardando Ella negli occhi tondi come se si aspettasse da lei una rassicurazione. La micia, però, gli rispose solo con uno sbadiglio.
    «Cosa vuoi fare, oggi?», chiese Simon, senza voltarsi.
    Randy prese in braccio Ella e si spostò sul divano. «Poltrire», rispose demoralizzato.
    «Devi recuperare le ore di sonno perse», concordò Simon, e Randy si sentì nuovamente in colpa. Lo raggiunse e, stringendosi al petto la micia, lo baciò sui capelli scuri.
    «Tu hai progetti per oggi?», gli chiese anche se non aveva davvero voglia di seguirlo da qualche parte o di incontrare qualcuno.
    «Devo lavorare», gli rispose l’uomo, «magari possiamo uscire a cena», gli disse poi, «senza fare tardi, però: ci sarà già qualcun altro poco lucido per il sonno, domani».
    Randy strinse Ella, stizzito. «Vado a stendermi un po’», disse brusco, dandogli le spalle. Aggie trotterellò dietro di lui mentre la coda di Ella frustava l’aria chiarendo a tutti il nervosismo che condivideva col suo umano.
Si ributtò a letto, odiando Simon perché non perdeva occasione di denigrare Gale, ma anche perché sapeva anche lui che l’uomo sarebbe rimasto al party fino a tardi e l’indomani sarebbe stato assonnato. La cosa peggiore, però, era sapere che anche Michael Pitt ci sarebbe stato… Per la prima volta Randy si augurò che ci fosse Kim, accanto a Gale.
Si rigirò tra le lenzuola, il calore del caffè che lo scaldava e il suo sapore amaro ancora in bocca; Ella e Aggie gli si acciambellarono vicino, abituati a prendere possesso del letto una volta che gli umani si erano alzati e, per un po’ si appisolò.
    Quando si svegliò era passata da poco l’ora di pranzo e dalla cucina arrivava il profumo speziato dei peperoni piccanti. Grattò Aggie tra le orecchie e guardò di nuovo la sveglia, chiedendosi cosa stesse facendo Gale in quel momento.
    Non doveva pensarci. Non erano affari suoi.
    Guardò il soffitto bianco con espressione abbattuta per una manciata di interminabili minuti e alla fine si decise a fare qualcosa: non si sarebbe addormentato di nuovo e aveva bisogno di tenere la mente occupata. Allungò una mano per prendere la sua copia de I racconti di San Francisco, deciso a non cedere al richiamo della diretta del TIFF. Era uno dei suoi libri preferiti ma, quel giorno, la signorina Mary Ann Singleton non gli era di grande aiuto, anzi. Ogni volta che leggeva i nomi di Michael e di Brian sulle pagine ingiallite finiva col pensare a Gale.
    Alla fine si arrese. Tornò in sala e accese il televisore.
    Simon si girò a guardarlo, ma non gli disse nulla, così lo fece lui: «Non ti dà fastidio, vero?», gli chiese.
    «No, fai pure», rispose l’uomo, «se vuoi mangiare, ti ho messo da parte il pranzo».
    «Avresti potuto svegliarmi», rispose Randy con un sorriso stiracchiato.
    «Volevo farlo, ma quando sono venuto in camera, dormivi così bene che ho preferito non disturbarti», si giustificò l’uomo, tornando a scrivere il suo nuovo pezzo.
    Randy fissò la sua schiena per qualche momento. «Grazie», gli disse  frastornato, come se l’idea che il suo compagno lo guardasse dormire lo sorprendesse, e intanto pensava: “A Gale non piacciono i giornalisti”. Scosse il capo e cominciò a pigiare sul telecomando, in cerca di una trasmissione che parlasse del festival.
Il poco appetito che aveva gli passò non appena si sintonizzò sull’arrivo in diretta di alcuni attori. La giornalista, una dalla voce meno acuta di quella del servizio di quella mattina, parlava tra le urla di fan entusiaste e i flash dei fotografi, gli ospiti transitavano dietro le transenne, salutando con la mano e un sorriso sulle labbra. Randy si sporse verso il monitor, come se così facendo potesse vedere meglio, ma Gale non venne inquadrato.
Continuò a seguire la trasmissione col cuore stretto come un nodo e le mani ad artigliargli le ginocchia. Quando la giornalista annunciò l’arrivo di Michael Pitt, Randy trattenne il respiro. Per qualche attimo non capì più nulla, una sorta di black out da cui uscì quando scorse una schiena che gli era così familiare che non avrebbe mai potuto confonderla. Fu solo un istante prima che la telecamera inquadrasse qualcun altro.
    Gale era entrato con Pitt? Perché gli faceva tanto male il cuore? Non avrebbe dovuto fargli male. Lui stava con Simon. Amava Simon.
Con gli occhi che gli bruciavano, gli parve di vedere Kim e avrebbe voluto che la telecamera tornasse indietro per vedere se era proprio lei. “Salvalo”, si ritrovò a pregare, “tienilo lontano da quello”.
    La mano di Simon fu dietro al suo collo e Randy si sentì quasi scoperto. Il suo compagno gli si sedette accanto e lo attirò a sé. Randy gli si accoccolò accanto, ripiegando le ginocchia sopra il divano. Era per quello che stava con Simon, si ricordò, perché Simon lo faceva sentire al sicuro. Perché le sue mani addosso gli permettevano di non pensare a Gale.
Respirò a fondò per calmarsi e spinse la testa contro il suo torace come avrebbe fatto un gatto.
    Gale era etero, si disse si nuovo, l’aveva detto lui.
    Non c’era nulla di cui avere paura. Gale non avrebbe scelto nessun altro ragazzo al posto suo.
    «Vuoi che usciamo, stasera», chiese Simon, accarezzandogli la nuca e Randy scosse il capo, sollevandolo appena per baciargli il collo. Voleva restare lì a tenere la testa sotto la sabbia come uno struzzo. Voleva fare finta di credere a Gale.
Doveva credergli perché lo a… era suo amico.
Gale aveva detto di essere etero, quindi lui ci avrebbe creduto.
Ci avrebbe creduto nonostante le sue mani addosso e la sua lingua nella propria bocca. Ci avrebbe creduto nonostante i pettegolezzi e la propria gelosia.
    Ci avrebbe creduto, anche se non ci credeva affatto.
    Rimase sul divano, ascoltando interviste ed interventi che non gli interessavano davvero, con la fronte premuta contro il petto di Simon e la sua mano che lo accarezzava ipnotica dietro il collo.
Rimase col senso di colpa e una disperazione che sapeva di un’adolescenza che tornava, di un amore impossibile che doveva relegare alla finzione scenica.
    Quel pomeriggio, Randy capì di odiare Justin o forse di invidiarlo, ma quello non lo poteva ammettere nemmeno con se stesso.
    Non si chiese se Simon avesse capito; cenarono col brusio del televisore a riempire un silenzio altrimenti assordante e fecero l’amore quasi per dovere, perché Randy aveva bisogno di sapere che apparteneva a qualcuno e forse Simon aveva bisogno di ripristinare quel possesso.
    Era tardi quando la vibrazione del cellulare lo fece girare nel letto. Simon dormiva con un braccio appoggiato sul suo ventre, un abbraccio allentato dal sonno. Randy si allungò per prendere il telefono e controllò i messaggi. Per un momento la luce del display lo abbagliò.
“Discovery Award! Grazie. G.”, lesse quando gli occhi si furono adattati e sorrise. Per qualche momento rimase a fissare lo schermo luminoso, semplicemente contento per Gale, poi il suo cuore cominciò a battere più forte, perché Gale, nel momento della vittoria aveva pensato a lui, perché lo ringraziava anche se non aveva fatto niente, come quella notte di due anni prima, quando lo aveva abbracciato sotto le stelle di New York.


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Note

1. la dichiarazione di Gale sulla propria eterosessualità risale al Febbraio 2002: Qui
2. Il primo incontro di Randy con il giornalista Simon Dumenco risale all’incirca all’Aprile 2002, quando Simon lo intervistò: Qui
3. L’anteprima di “Rhinoceros Eyes” risale al 6 Aprile 2003, al Toronto International Film Festival, dove vinse il Discovery Award.
Alcune critiche sul film: Qui
e Qui
e qualche curiosità: Qui
4. “I racconti di San Francisco – Tales of the city”, di Maupin Armistead è uno dei libri preferiti da Randy, secondo quanto da lui dichiarato in alcune interviste.
5. La Kim a cui mi riferisco è la cantante canadese Kim Bingham, che è stata la ragazza di Gale intorno al 2003.
6. Il titolo di questo capitolo ricalca quello di una nota e bellissima canzone delle t.A.T.u.: “All The Things She Said”.
7. Infine la nota forse più importante: questo capitolo nasce da un post del 2003 su un forum [Qui]. Ve lo riporto per intero:
“This was on the famous/infamous people you have slept with thread: "I didn't personally experience this, but I worked on a movie with Gale Harold of Queer as Folk fame and actor Michael Pitt. It was called Rhinoceros Eyes. I became friends with Michael and a few months after filming he told me that he and Gale had slept together once during filming and that it was Gale who initiated it." Not sure whether I believe it. I do think they got high together. A LOT.” Ribadisco quando espresso nel capitolo da Randy: i mitomani possono scrivere di tutto, specie nascondendosi dietro l’anonimato.
Di questa supposta “avventura” di Gale e Michael Pitt non ho trovato nessun’altra traccia nel web, anche se il pettegolezzo è noto nel fandom americano.

 

 
Immagino che, ormai, mi aveste data per dispersa... Invece no, ma vi dico subito che, anche stavolta, non so quando arriverà il prossimo capitolo.
Nel frattempo ho modificato qualcosa: scrivendo questo capitolo mi sono resa conto che c'erano dei riferimenti al precedente, quindi il discorso della "raccolta" non poteva più essere valido perché i singolo episodi sono legati tra loro.
Tutto il resto, però, resta valido: ogni capitolo potrà essere letto comunque come storia a sé e non è detto che in futuro segua la linea temporale. Per ora ho in mente altri due o tre episodi, ma nel tempo potrei decidere di aggiungerne altri... almeno fino a quando quei due testoni non mi daranno retta e non si metteranno assieme! >.<
Un grazie a dida kinney e a cristina qaf per aver commentato il capitolo precedente e a tutti coloro che hanno messo questa storia tra le seguite sulla fiducia. Spero di non deludervi!
Alla prossima! ^^
 

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