The Sun and the Moon never meet

di DianaSpensierata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Behind the mask ***
Capitolo 2: *** Impossible ***
Capitolo 3: *** Have you seen my childhood ***
Capitolo 4: *** Without love ***
Capitolo 5: *** Heart ***
Capitolo 6: *** Heaven can wait but I can't ***
Capitolo 7: *** You are not alone ***
Capitolo 8: *** Tabloid Junkie ***
Capitolo 9: *** Living with Michael Jackson ***



Capitolo 1
*** Behind the mask ***


Capitolo 1. Behind the mask



Camminavo per mano con Ronan in una grigia giornata autunnale, sembrava un clima più newyorkese che californiano in effetti. Dal mare arrivava un vento freddo e noi cercavamo invano di ripararci in quelli che pochi minuti prima erano sembrati strati di stoffa sufficienti. Vedendolo rabbrividire, mi tolsi dal collo il foulard e lo avvolsi attorno al suo corpicino magro, su di lui sembrava una sorta di enorme mantello.
- Sono invisibile? – mi domandò con un sorriso speranzoso.
Mi guardai intorno spaesata. – Chi ha parlato? –
Ronan allora mi tirò per la manica del golfino. – Sono io, mamma! – e scostò il foulard dalle spalle.
Lo presi in braccio ridendo.  – Eccoti qui! – gli solleticai il busto, facendolo ridere forte. – Hai fame, scricciolo? – annuì e io ne fui sollevata, quel foulard era la cosa più pesante che avessi addosso e se avessimo continuato a camminare in quel vento freddo mi sarei presa qualcosa, avevo una salute piuttosto cagionevole. Ma ovviamente sarei rimasta in mutande piuttosto che far stare male mio figlio.
Lo guardai preda di un amore incondizionato mentre correva avanti e indietro per la spiaggia, semplicemente felice. Diventare madre era stata l’esperienza più bella della mia vita e ogni giorno scoprivo di riuscire ad amare un po’ di più quell’incredibile ometto, sebbene solo il giorno prima mi sarebbe sembrato impossibile.
Forse non era niente così speciale, in fondo è così facile amare i bambini, quasi istintivo… e, mi ero resa conto, l’unico amore di cui ero capace.
Lo aveva dimostrato la storia con il padre di Ronan, Tom, del quale avevo sperato con tutto il cuore di riuscire ad innamorarmi. Per l’ennesima volta, avevo fallito. Sembrerà la classica frase, ma non era mai colpa loro, ma mia. Avevo sempre avuto la tendenza a scappare dalle cose, specialmente quelle che promettevano di darmi stabilità… arrivavo sempre al punto in cui non riuscivo più a dare niente all’altra persona, mi bloccavo, e abbandonavo la partita.
Ora tuttavia ero una donna felice, fermamente convinta che di altro amore di quello di Ronan non avrei mai avuto bisogno.
– Mamma, domani possiamo tornare al parco? –
– Credo di sì, tesoro. Come mai hai così  tanta voglia di andarci ultimamente? – domandai con noncuranza, anche se sapevo benissimo la risposta.
Ronan mi sorrise con le guanciotte rosse. – La ragazzina mascherata…–
Ricambiai il sorriso. Sapevo di chi parlava… alcuni giorni prima mi aveva raccontato che mentre giocava aveva incontrato questa bambina con una maschera sul viso… si erano guardati, si erano salutati e il giorno dopo avevano giocato insieme… mi era sembrata una storia un po’ bizzarra, ma Ronan sembrava tenerci a tal punto (a parte il fatto che non mi aveva mai mentito) che avevo finito col credergli. E poi, conoscevo fin troppo bene il fascino del mistero… lasciai che ne godesse, era ancora piccolo e forse quella storia non sarebbe finita nell’ennesima delusione come capitava puntualmente a me… ormai non c’era maschera che tenesse… cadevano tutte e il mio cuore finiva col congelarsi di nuovo.
Scacciai quei pensieri amari cercando la gioia negli occhi di mio figlio mentre gli pettinavo i capelli castano chiaro con le dita. – Capisco… dev’essere proprio carina –  gli strizzai l’occhio.
Lui alzò le spalle. – In realtà non ne sono sicuro…–
Aggrottai le sopracciglia. – Che intendi dire? –
– Non si è mai tolta la maschera –.
Questa poi! – Neanche per un momento? – scosse la testa. Mi insospettii. – Le hai chiesto di farlo? –
– Sì, ma ha detto che non poteva…– si morse il labbro, sembrava sentirsi in colpa. Era terribilmente emotivo e spesso quando una situazione mi preoccupava lui riusciva a percepirlo quasi prima di me e a rimanerne turbato. Mi inginocchiai di fronte a lui rassicurandolo con una carezza.
– Non ti ha spiegato perché? –
– Ha detto che suo papà non vuole che la vedano in viso… ma non so altro…–
Okay, era decisamente strano. Dubitavo che mio figlio fosse in pericolo, ma dare un’occhiata a questa ragazzina non sarebbe stato poi così male… così come conoscere suo padre. – L’hai visto, lui? –
– Sì, ma da lontano… era con altri due bambini… avevano anche loro le maschere…–
– E non c’era sua mamma? – 
Ronan scosse la testa e io storsi la bocca. Non mi quadrava proprio. – Mamma, ho fatto qualcosa di sbagliato? – mi chiese con aria preoccupata.
Lo abbracciai. – No, Ronan, tesoro, stai tranquillo. Si saranno presi un po’ in anticipo con il Carnevale, che dici? –
Finalmente tornò a ridere, il volto più disteso. A volte era talmente percettivo, sensibile, da sembrare più grande, e questo mi spaventava a morte. Ronan aveva appena cinque anni e non volevo proprio che crescesse, era il mio bambino e quando rideva come in quel momento creava un’immagine che avrei voluto durasse per sempre, tale era la spensieratezza che ne scaturiva…
Non gli avevo donato una vita facilissima, innanzitutto non gli avevo dato un padre, poi, non accettando che fosse cresciuto da una tata, avevo lasciato il mio lavoro per vivere praticamente di risparmi, svolgendo qualche faccenda di quando in quando mentre lui era a scuola o da amici, cosicchè ora vivevamo in una casa di appena tre stanze, lui dormiva con me e tiravamo avanti alla bell’e meglio. Eravamo felici ma avevo sempre l’impressione che avrei potuto, dovuto dargli di più…
– A cosa stai pensando, mamma? –
Gli schioccai un bacio sulla fronte. – A quanto bene ti voglio – in un certo senso era vero… – E ora, facciamo una bella cenetta romantica al lume di candela io e te, ometto, che dici? –
– Va bene! Però devo andare a letto presto…–
Lo guardai sospettosa. – Da quando sei così disciplinato? –
Arrossì. – Voglio andare presto al parco così possiamo stare tutto il giorno ad aspettarla…–
Scossi la testa, rassegnata. – Ce l’avrà almeno un nome questa bambina?! – lo stuzzicai con una smorfia, fingendomi arrabbiata.
– Si chiama Paris! –
Presi per mano mio figlio e per tutta la sera pregai che non stesse costruendo castelli (o in questo caso Tour Eiffel) in aria e che la misteriosa Paris si facesse vedere…



Angolo autrice
Ciao ragazze!
Questa è una storia cui sto lavorando da più di un anno ormai, non è finita ma non ce la facevo più a tenerla lì! E'... non ho mai scritto una storia simile. Innanzitutto è allegra (beh, la maggior parte lo è), e poi... mi piace! Di solito non sono mai convinta al 100% di quello che pubblico, ma credo di essere un po' migliorata rispetto ai primi scritti e credo di essere riuscita a metterci veramente del mio, qualcosa di diverso. Ora, però, la parola a voi... spero di sentirvi in molte! Prometto (oddio in che guaio mi caccio...) di non deludervi!
Alla prossima e grazie di cuore,
DS
ps: e con tanto di foto...



 

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Capitolo 2
*** Impossible ***


Capitolo 2. Impossible




– Andiamo mamma, o faremo tardi! –
La soffice voce di Ronan, già orientata verso la strada, mi dipinse il primo di una lunga serie di sorrisi sul volto. Gli annunciai il mio arrivo e mi soffermai davanti allo specchio giusto un attimo prima di raggiungerlo, studiando la mia figura e concludendo che tutto sommato ne ero soddisfatta.
Nonostante avessi promesso a me stessa che non sarebbe accaduto, dopo la gravidanza avevo iniziato a mettermi “in tiro” sempre meno e ora avevo il classico guardaroba comodo, da mamma, eppure la cosa non mi dispiaceva, anche perché il mio metabolismo mi aveva permesso di ritornare a un peso accettabile, superiore di soli pochi chili al precedente e comunque insistente sui punti giusti. Perciò potevo ancora permettermi di uscire di casa con un paio di pantaloni della tuta e un golfino e sentirmi a mio modo femminile. E dopotutto, pensavo sempre con una traccia di volta in volta inferiore di rimpianto, non c’erano posti in cui andassi che richiedessero un tipo di abbigliamento diverso.
Presi per mano mio figlio che iniziò quasi subito a trascinarmi verso il parco, che raggiungemmo dopo circa un quarto d’ora a piedi (da notare che in condizioni normali ci avremmo messo almeno venti minuti). Varcammo la staccionata, lui si guardava intorno, io guardavo lui.
– Allora? La vedi? –
Scosse la testa piuttosto deluso. – Non c’è – disse semplicemente.
Mi sedetti su di una panchina e lo invitai ad accoccolarsi in braccio a me, aggiustandogli la maglietta. – Non preoccuparti, in fondo è presto… aspetteremo fino a ora di pranzo, ti va? – annuì, ma vedendolo così mogio non potei fare a meno di aggiungere: – E se ti va, dopo possiamo invitarla a mangiare al bar con il suo papà…–
Gli occhi di Ronan si illuminarono. – Lo faresti? –
Ahimè, ciò che dicevi a Ronan poi andava fatto. Mi ero ingarbugliata da sola, ma in fin dei conti, che cosa poteva essere un toast con quella famiglia… – Perché no? Adesso non ci resta che aspettare che arrivino…–
Appoggiò il capino sulla mia spalla e guardò in alto, nel cielo. – Mi racconti ancora la storia del sole e della luna? –
Sorrisi, recuperando da quel piccolo scomparto del mio cuore la favola con la quale ero cresciuta. – Tanto tempo fa, durante una notte d’estate non riuscivo a prendere sonno. Ero molto piccola, avrò avuto quattro o cinque anni… –
– Come me? –
– Proprio come te – confermai accarezzandolo. – Così andai nella camera da letto della nonna. Lei provò a cullarmi ma ero molto turbata così decise di portarmi di fuori a vedere l’alba. Giungemmo in cima alla collina che c’è dietro la casa, te la ricordi? – Ronan annuì, nonostante non visitassimo i miei genitori da più di un anno. – Insomma, aspettammo, aspettammo e aspettammo, finchè il sole non iniziò a spuntare. A quel punto però accadde un fenomeno strano…–
– Quale? – chiese lui ridendo. Come se non lo sapesse!
Scossi la testa divertita. – Beh, devi sapere che la luna, fino a quel momento alta e ben nitida nel cielo, scomparve. Vedemmo l’alba ma della luna non c’era proprio più traccia… così chiesi alla nonna il perché… e lei mi rispose…–
– “Claire, il sole e la luna non si incontrano mai” – terminammo in coro. Gli sorrisi ma lo vidi pensoso, come se questa volta il finale non gli fosse bastato…
– Mamma, ma è vero? –
Credo che la prima volta in cui tuo figlio mette in dubbio la parola di qualcuno sia sempre un giorno importante… eppure in quel momento mi soffermai di più sulla sua domanda. Era vero?o, più che altro: ci credevo?
Ogni volta che mia madre mi diceva quella frase, le domandavo: – Ma proprio mai mai mai? – e lei confermava, puntualmente, ma io non ci volevo credere. Non volevo credere nell’esistenza dell’impossibile.
Poi però ero cresciuta e pian piano avevo iniziato, senza volerlo, a pormi tutta una serie di limiti… specialmente negli ultimi anni, giunta alla convinzione che dietro quella frase si nascondesse un messaggio direttamente rivolto a me, che mi diceva che io ero la luna, e l’uomo perfetto il sole. E che il nostro destino fosse, beh, quello sopra citato.
Volevo però che mio figlio fosse libero di credere, di scegliere senza essere condizionato dalle mie esperienze, così mi limitai a rispondere: – Tua nonna la sapeva lunga, ma il mondo non è forse pieno di sorprese? –
Ancora oggi rido pensando che quella fu l’ultima frase che dissi prima che i miei occhi, seguendo il tono concitato e il piccolo indice di Ronan, si posassero su Michael Jackson.

Il frenetico chiacchiericcio di mio figlio mi arrivava a sprazzi, mentre in una sorta di stato di trance riconoscevo la figura che, celata dietro gli alberi, circondata da tre uomini enormi e coronata (come ogni Re che si rispetti) da un ombrello, si incamminava lungo il parco quasi come niente fosse, complice l’area ancora praticamente deserta a quell’ora. Tentai di riscuotermi e tornai a rivolgere l’attenzione a Ronan che continuava ad annunciarmi l’arrivo della famosa Paris. Famosa in tutti i sensi, dunque…
Tuttavia, riconobbi a fatica, lui era ancora un bambino e se aveva il dono di parlare con lei senza sentirsi in soggezione, chi ero io per sottrarglielo? – Vai a salutarla, forza – lo incitai.
– Vieni con me? –
Tentai di sottrarmi. – Ma amore, lei è tua amica, non vorrei metterti in imbarazzo…–
– Ma non devi stare con noi, devi parlare con suo papà! –
Tuffai il viso tra le mani, a metà tra il divertito e il disperato. – Ronan, non penso che…–
– Dài, per favore! L’avevi promesso… così poi andiamo a mangiare tutti insieme! – mi tirò per un braccio e poi si sistemò a un palmo dal mio naso con lo sguardo più adorabile che avesse mai esibito. – Ti prego…–
Con che coraggio potevo rifiutare? Vittima di quell’immenso amore materno, a malincuore lo seguii dirigendomi verso un roseo futuro lastricato di figure di merda, perché sotto pressione ero il tipo da farne una in fila all’altra. Chi l’avrebbe mai detto, mi dissi, che avere un figlio mi avrebbe messo in situazioni così complicate? Scossi la testa rassegnata mentre Ronan continuava a tirarmi per il braccio. Eravamo a pochi metri dalla famigliola, impossibile non accorgersi che li avevamo puntati.
Vidi le guardie del corpo drizzarsi e osservarci con aria indagatrice, ma prima ancora che suo padre, intento a parlare con uno dei bambini, si accorgesse di noi, Paris salvò la situazione correndo incontro a mio figlio. – Ciao, Ronan! –
Non potei fare a meno di intenerirmi guardando quei due piccoli scriccioli sorridersi, lui un po’ impacciato, lei decisamente più aperta anche se un po’ insicura, che richiamò poi suo padre.
Michael si voltò sorridendo verso la figlia, il viso curato, leggermente truccato, protetto da un paio di occhiali da sole e incorniciato dai capelli neri, più corti di quanto ricordavo li avesse avuti. – Posso andare a giocare con Ronan? – gli domandò Paris.
A quel punto (cosa che potei solo intuire finchè non si tolse gli occhiali) Michael si voltò verso mio figlio. Deglutii, tesa senza un particolare ragione, o forse per mille ragioni… – Quindi sei tu il Ronan di cui mi parla tanto – disse con tono allegro e gentile.
Paris arrossì. – Papà! – lo rimproverò.
Era una scena davvero adorabile, non potei fare a meno di ridere. Quasi con uno scatto lo sguardo di Michael si spostò verso di me, cogliendomi impreparata a quel confronto così diretto. Si ricompose un attimo e si alzò in piedi. – Scusa, non ti avevo vista. Tu devi essere la madre…–
– Claire Morgan, molto piacere – gli tesi la mano.
– Michael Jackson – rispose prendendola nella sua e stringendola con decisione ma eleganza, esibendosi in un piccolo inchino col capo.
– Ti ho già visto in giro, possibile? – scherzai per spezzare quella dolce tensione che mi si era formata all’altezza della pancia.
Lui ridacchiò. – Sì, in effetti vengo spesso in questo parco…–
– Papà, noi andiamo a giocare – ci interruppe Paris, prendendo Ronan per mano e correndo via con lui. Erano davvero uno spettacolo insieme… erano anche molto simili, entrambi con i capelli castani, gli occhi chiari (che ero riuscita a intravedere attraverso la mascherina colorata) e un sorriso favoloso.
– Va bene, non allontanatevi troppo! – si raccomandò, per poi voltarsi verso uno degli uomini che li accompagnava: – Tienili d’occhio, per favore…– quello annuì e si allontanò, portando con sé anche gli altri due bambini.
E ora, a faccia a faccia con il Re del Pop, come ne uscivo viva?




Angolo autrice
Ciao ragazze! Con molta calma, è arrivato anche il secondo capitolo... spero vi stia piacendo o almeno incuriosendo, ci ho messo l'anima, veramente. Perciò, a voi (numerose!) lettrici silenziose, una piccola preghiera... fatevi sentire! Sarete ben accolte, dal sito e da me, promesso!
Un abbraccio e alla prossima.
DS



 

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Capitolo 3
*** Have you seen my childhood ***


Capitolo 3. Have you seen my childhood


 
– Sai, ai bambini piace molto qui, e anche a me piace, c’è davvero una bella atmosfera, però non sono mai tranquillo a lasciarli giocare da soli…– mentre parlava, mi fece cenno di seguirlo e ci accomodammo ai piedi di un albero, o meglio, lui si mise comodo, io ero lì, accanto a lui, rigida come un bastone, tesissima.  – Mi piacerebbe che giocassero a casa, c’è tanto posto, ma gli piace sentirsi liberi e io per primo lo capisco e li porto qui… c’è da dire che da quando Paris ha conosciuto Ronan sarebbe impossibile tenerla lontana…–
Scoppiai a ridere. – L’ho notato, avresti dovuto vedere come mi ha trascinato lui fuori di casa stamattina…–
Anche lui rise. – Posso immaginare… quanti anni ha? –
– Cinque compiuti a settembre. E Paris? –
– Quasi cinque… sono contento che abbia trovato un nuovo amico, è bello vederli felici…–
– Sono d’accordo…– mi morsi la lingua, tormentata, eppure dovevo chiederglielo, lo avevo promesso a Ronan. – Prima era così emozionato all’idea di vederla che gli ho detto che avremmo potuto pranzare tutti insieme più tardi… però mi mancavano ancora un po’ di informazioni – ammisi divertita – quindi se per voi è un problema mangiare fuori, lo capisco…–
Mi mise una mano sulla spalla sorridendo dispiaciuto, evidentemente avevo indovinato. – Sarebbe bellissimo, Claire, però in effetti è un po’ rischioso per me farmi vedere in pubblico… infatti tra poco andremo…– disse pensieroso guardando le famiglie che iniziavano ad affollare il parco. Sbuffò. – A volte mi sento terribilmente in colpa a togliere questo genere di cose ai miei figli, vivo per non fargli mancare nulla ma è la mia vita per prima a limitarli… e io ci soffro molto perché per primo so cosa significhi non poter avere un’infanzia normale…–
Annuii, lo capivo come mamma, non solo come fan. C’è anche da dire che nonostante conoscessi già la sua storia, mi stupiva un po’ che parlasse così a ruota libera con me di cose simili… mi stupiva ma in senso positivo, mi piacevano le persone aperte e spontanee, anche a me piaceva parlare a quel modo con chiunque, con lui non poteva che farmi ancora più piacere, era così speciale… – Credo di capire, sai? Non la situazione in sé ma quel senso di colpa… anch’io a volte mi pento di non aver potuto dare a Ronan una casa migliore, una vita più facile, un padre…– alzai le spalle. – Lo so che loro hanno bisogno d’amore prima di tutto e dio solo sa quanto sarei disposta a dargliene fino alla fine dei miei giorni, ma ci sono altre cose di cui temo potrebbe sentire la mancanza…– confessai anche che avevo lasciato il lavoro per stare con lui e vederlo crescere.
– Se sentivi che era la scelta giusta, e ora siete felici, credo che tu non abbia nulla da rimpiangere…– mi guardò attentamente come se mi stesse studiando, fin dall’inizio in realtà mi ero sentita un po’ sotto esame, non posso negare che quegli occhi quando ero una teenager mi avevano fatto impazzire ma sembrava ci fosse dell’altro sotto… – Posso farti una domanda? Spero non ti offenderai…– immaginai che mi avrebbe chiesto del padre di Ronan, comunque acconsentii, non avevo problemi a parlarne. – Quanti anni hai? –
Mi prese in contropiede. – Ne ho ventiquattro…–
Le sue sopracciglia che quasi sfioravano l’attaccatura dei capelli furono l’unica risposta alla mia “confessione” perché fummo interrotti da una delle sue guardie del corpo. – Michael, mi dispiace, ma inizia ad arrivare gente, credo che dovremmo andarcene…–
– Ancora cinque minuti! – protestò, imitando il tono di un bambino. Lo osservai divertita.
L’altro uomo sorrise. – Mi dispiace –.
Allora Michael si alzò con un sospiro aiutandomi a fare altrettanto, mentre il terzo uomo tornava con i suoi figli e Ronan. Quest’ultimo mi corse incontro, lo accolsi a braccia aperte e me lo allacciai al collo, baciandolo.
– Bambini, salutate Claire – disse loro Michael.
Mi chinai con Ronan ancora abbracciato e diedi un piccolo bacio a Paris. – Ciao Claire – mi sorrise lei, con aria fin troppo sveglia…
– E loro sono Prince…– diedi un bacio anche al bambino, che mi guardava piuttosto intimorito, e che doveva essere di poco più grande della sorella – e il piccolo Blanket…– guardai quel minuscolo scricciolo che ancora non si reggeva sui propri piedi e lo baciai piano, quasi temessi di romperlo. Era una creatura stupenda.
– Ciao piccolo – gli sussurrai, perdendomi nei suoi occhioni che non avevano nulla a che invidiare a quelli del padre. Davvero una creatura stupenda…
– Ora temo che dovremmo andare…– fece Michael con tono stanco, deluso. Lo capivo, erano rimasti appena una mezz’oretta.
– Non mangiamo insieme? – domandò Ronan con lo stesso suo tono.
Gli accarezzai la schiena. – Oggi no, tesoro, Michael ha delle cose da fare…– mio figlio mise su il broncio, deluso. Anch’io tutto sommato ero dispiaciuta, nonostante in quella situazione avrei fatto fatica a mandare giù anche solo mezzo boccone di qualsiasi cosa, pensai che sarebbe stato comunque piacevole, certamente una di quelle cose che non capitano tutti i giorni…
Michael mi si avvicinò e accarezzò mio figlio con dolcezza. Lo osservai attentamente, mentre per la prima volta mi tornavano alla memoria le immagini dei notiziari di quegli ultimi anni, tutte quelle vicende legali, quelle accuse… ma non provai nessuna tensione nel vederlo così vicino a mio figlio, certamente mi imposi di fare un po’ di attenzione, tuttavia mi fidavo del mio istinto tanto quanto di quello di Ronan. E quando lo vidi sorridere a Michael, qualcosa mi disse che andava tutto bene. – Mi dispiace, piccolo… però domani tu e Paris potrete giocare ancora qui…– mi scoccò uno sguardo complice, che ricambiai con un sorriso incoraggiante. Di certo impreparata, tuttavia, a quello che disse dopo… – E se poi tua mamma è d’accordo, potrete anche venire a trovarci…–
Gli occhi di Paris si illuminarono, mentre sentii il corpo di mio figlio tendersi per l’emozione. – Mamma, possiamo? –
Okay, forse avevo sopravvalutato quella situazione, pensando che sarebbe stato piacevole… in quel momento somigliava di più all’annuncio di un’esecuzione. Come diavolo potevo gestire un evento del genere?! Un invito a casa di Michael Jackson… dannazione, finchè l’incontro avveniva in uno spazio “neutrale” riuscivo anche più o meno forse quasi a sentirmi a mio agio… ma lì, in mezzo a tutto quel… tutto, quanti disastri avrei combinato guidata da un imbarazzo neanche lontanamente paragonabile a quella volta che quando ero incinta di Ronan me l’ero fatta addosso dal ginecologo?… no, sarebbe stato terribile.
Però… però l’avevo promesso a mio figlio. E l’avrei reso felice…   – Credo che se va bene per Michael, non c’è nessun problema…–
Strizzai gli occhi con una smorfia nel sentire le urla di gioia di quei due angioletti, delle cui espressioni innocenti però non mi fidavo molto… già Paris aveva l’aria fin troppo furba, Ronan in genere era un bambino tranquillo ma avevo potuto osservare un paio di volte di cos’era capace con il giusto stimolo … sarebbe stato interessante, non trovavo aggettivi migliori per definirlo.
Michael prese in braccio Blanket, l’altro bambino per mano e invitò gentilmente Paris a camminargli davanti. Ci lanciò un ultimo sguardo, e prima di voltarsi, mi sorrise e sillabò: – Grazie…–
Ricambiai il sorriso un po’ impacciata e scossi la testa, come a dirgli che non c’era nulla per cui ringraziarmi. Guardai quel quadretto bizzarro allontanarsi, mentre nel petto il cuore mi faceva strani scherzi…
Sarebbe stato davvero interessante.



  Angolo autrice
Sono tornata!
Capitolo numero 3 pronto. E anche i prossimi, con calma, prometto che saranno più lunghi e spero anche piacevoli, divertenti, emozionanti! Sono sempre pronta per i vostri commenti (un po' meno per le critiche... XD), mi auguro che questa storia possa coinvolgervi e chissà, anche ispirarvi.
Alla prossima, un abbraccio a chiunque stia leggendo queste parole,
DS



 

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Capitolo 4
*** Without love ***


Capitolo 4. Without love



Sarebbe stato un incubo.
Ero in preda a una crisi isterica, davanti al mio inutile armadio da mamma.
Lo avevo passato in rassegna fin dalle prime luci dell’alba, e adesso che era ora di andare, ancora non avevo trovato un solo capo che non mi sembrasse deprimente. Non avrei certo messo l’abito da sera, però anche non sembrare la barbona di turno non sarebbe stato male… per non parlare dei miei capelli, che raccolti sembravano il nido di uno struzzo, ma sciolti avrebbero dato l’impressione che avessi messo il dito nella presa della corrente…
Pensai a com’era vestito Michael il giorno precedente. Non aveva assolutamente nulla di formale, anche lui indossava un paio di pantaloni della tuta e una camicia non esattamente stirata… ma sfido io, quando sei un tale pezzo di figo, a sfigurare con qualcosa addosso…
E io chi ero? Non proprio la befana del villaggio ma nemmeno Naomi Campbell… con cui tra l’altro il signorino aveva girato uno dei suoi video… e che video…
Non era che quei pensieri mi stessero aiutando molto… esasperata, afferrai un paio di jeans chiari più o meno forse quasi aderenti e una maglia verde bottiglia, semplicissima. Se dovevo farmi venire i complessi per ogni dettaglio di quella giornata che già per principio avevo catalogato come disastrosa, tanto valeva andare nuda.
Ridacchiai all’idea, mi rassegnai all’immagine che lo specchio mi rimandava e raggiunsi mio figlio in bagno. – Pronto, Ron? –
Mi sorrise attraverso la schiuma del dentifricio. – Certo! –
Intenerita lo aiutai a finire di lavarsi, dedicandomi totalmente a lui anche nella speranza di riuscire a calmarmi un po’. Ma dopo dieci minuti eravamo già in strada, e io di nuovo tesa come una corda di violino…  Ronan, neanche a dirlo, se ne accorse. – Tutto bene, mamma? –
Sospirai. Era piccolo, mica stupido… meritava un po’ di verità. – Tu sai chi è il papà di Paris, tesoro? –
Fece una smorfia pensierosa, storcendo la bocca. – Beh, lei mi ha detto che fa il cantante…–
Sorrisi. – E’ vero, è un cantante, ed è anche molto famoso…–
– Sì, mi ha detto che è per quello che gira sempre con quegli  uomini e le fa portare la maschera – annuì lui.
– Esatto…–
– E sei preoccupata per questo? – mi domandò, stringendomi la mano mentre camminavamo.
Gli sorrisi. – Non esattamente. Non sono neanche preoccupata…– riflettei sul modo per farmi capire senza, diciamo, espormi troppo. – Tu sei agitato all’idea di vedere Paris? –
– Sì, ma sono felice…–
– Certo, però senti di essere un po’ nervoso, un po’ insicuro, giusto? –
– Sì…–
– E’ una cosa che succede anche a noi grandi, certe volte. E io mi sento proprio così adesso…–
– Ma perché ti piace Michael? –
Scoppiai a ridere. – Assolutamente no, tesoro! Come ti è venuto in mente? –
Si strinse nelle spalle. – Io mi sento così perché Paris mi piace…– arrossì.
Gli diedi un bacio in fronte. – Io soltanto perché Michael è una persona… particolare, ecco –.
– Perché è famoso? –
Quella conversazione era un vicolo cieco… sentivo che mi stavo ingarbugliando sempre di più, così mi arresi e riuscii a distrarlo, cambiando discorso. Ormai eravamo arrivati al parco.
– Sono già lì! – esclamò Ronan. Non riuscii a trattenerlo dal correre incontro a Paris, ma nemmeno mi sarei mai permessa di farlo, era il ritratto della gioia più pura e spensierata e riuscì a distogliermi completamente, per alcuni secondi, dalla figura di Michael dietro di loro che mi guardava. Purtroppo alla fine mi riscossi, il che mi costò un’insolita tachicardia. Mi feci coraggio e lo raggiunsi nascondendo il mio piccolo terrore dietro un sorriso.
Era lì, con suo figlio Blanket in braccio, e sembrava così… normale, una persona con cui puoi parlare e confrontarti senza sentirti minuscola… forse non sarebbe stato così un disastro, cercai di convincermi che non si aspettava assolutamente niente da me, non ero che la mamma dell’amichetto di sua figlia, non dovevo dimostrargli nulla… – Ciao – lo salutai semplicemente.
– Ciao Claire! – esclamò come se fosse entusiasta di vedermi. Diedi una carezza a Blanket che prese a fissarmi con quegli occhi già scuri come quelli del padre e a tendere le braccine verso di me. – Ehi, gli piaci! – rise Michael. – Prendilo in braccio – mi incoraggiò. Non me lo feci ripetere due volte e lo accolsi tra le braccia, ricordando di quando Ronan aveva la sua età. Sembrava passato così tanto tempo… lo cercai con lo sguardo e lo  trovai a camminare per mano con Paris. Scoppiai a ridere e indicai la scenetta a Michael. Lo vidi mostrare un sorriso splendido, da togliere il fiato. – Sai, Paris di solito è una bambina allegra… ma devo dire che non l’ho mai vista così felice come in questi giorni–.
Mi strinsi nelle spalle sorridendo a mia volta. – Si vede che si sono trovati…–
Mi osservò pensieroso. – Già, è strano come succeda a volte…– lo guardai come a chiedere cosa intendesse, ma lui scosse il capo e tornò a sorridere.
In quel momento mi squillò il telefono. Gli restituii il piccolo Blanket e mi tastai tutte le tasche che avevo alla ricerca di quell’aggeggio - che avevo un insolito talento a rendere introvabile - finchè Michael non mi indicò la borsa. Benedetto udito da musicista… gli sillabai un grazie e risposi.
– Ciao, Claire –
Riconobbi immediatamente la voce del padre di Ronan. – Ehi, Tom, come va? – voltai appena le spalle a Michael e mi allontanai di qualche passo dopo avergli rivolto un sorriso di scuse.
– Non c’è male, un po’ preso per il lavoro ma meglio del mese scorso… voi invece? –
– Noi tutto bene, sono al parco con Ron in questo momento – risposi, cercandolo contemporaneamente di nuovo con lo sguardo. Era seduto a una ventina di metri da noi accanto a Paris… sorrisi per l’ennesima volta.
– Cosa fate di bello? –
– Beh, io lo sto guardando rimorchiare…– scherzai.
– Dici sul serio? E bravo il mio ometto! Tutto suo padre – rise.
Scoppiai a ridere anch’io. – Non c’è dubbio – avvertii una fitta di nostalgia. Ero molto legata a Tom e, anche se sapevo di non amarlo, o meglio di non essere capace di farlo, in certi momenti avrei tanto voluto averlo vicino. Era una bella persona, divertente, intelligente, gentile e matura, e nonostante la distanza riusciva ad essere un ottimo padre. – Prima che ti dica la parte più divertente, volevo chiederti se sei riuscito a farti dare le ferie per Natale…– avevamo in programma di passare una settimana insieme a casa sua, a San Francisco, Ronan era elettrizzato all’idea e in realtà anche io.
– Sì, l’ho saputo ieri, ti chiamavo anche per questo. Mi hanno dato dieci giorni, perciò ho pensato che Ronan potrebbe fare il Capodanno qui…–
– Non c’è problema, sai che non ho problemi di lavoro – ironizzai.
Lo sentii sospirare. – In realtà, Claire… c’è una novità –.
Inarcai un sopracciglio. Aveva un tono insolitamente serio. – Sentiamo! –
– Ho conosciuto una donna, qualche tempo fa…– schiusi le labbra, ammutolita. – Si chiama Alice ed è la sorella di un mio collega, ti ricordi di Max…–
– A-ha…–
– E la novità è che da alcune settimane viviamo insieme…–
– Ma è fantastico, Tom! Sono contenta…–
– Ti ringrazio… è solo che, sai, la storia del Natale…–
Tradussi mentalmente: voleva vedere Ronan, ma non era il caso che ci fossi anch’io. Ne rimasi più delusa del previsto. – Ho capito, non c’è problema. Ne parlerò io con Ron e poi ci organizzeremo. –
– Sei grande, Claire. –
– Sì, certo…– provai il forte desiderio di chiudere quella telefonata. – Adesso devo…–
– Claire…–
– Sì? –
– Scusami se non te l’ho detto prima. –
– Non ti preoccupare Tom. Ci sentiamo presto, ti saluto io Ron –.
– Ciao…–.
Riattaccai subito per poi, appena voltata verso Michael, ricordarmi di non aver detto niente a Tom di quella storia. La mia parte emotiva fu piuttosto svelta nel replicare “beh, potrò sempre dirgli ‘scusami se non te l’ho detto prima’, sembra essere una dinamica che va di moda“ ma poi mi diedi dell’immatura e mi ripromisi di parlargliene l’indomani. Finalmente tornai da Michael.
– Scusami, era il padre di Ronan –.
Schiuse le labbra in un’espressione sorpresa mentre mi faceva cenno di sedermi vicino a lui, che di nuovo aveva avuto il buon gusto di evitare le panchine per sedersi per terra come i bambini. Accolsi l’invito divertita dal suo modo di fare. – Siete ancora in buoni rapporti? –
Scrollai le spalle. – E’ tutto un po’ precario, ma in generale sì. Dopotutto, con il bambino in mezzo, era il minimo che potessimo fare, comportarci da persone civili…– o meglio, lui era la persona civile, io la donnetta suscettibile che al minimo segnale che lui stava finalmente vivendo la sua vita faceva i capricci. Michael mi osservava in modo strano, così continuai a parlare. – Abita a San Francisco, ma facciamo comunque in modo che possa essere presente il più possibile per Ronan… è davvero un bravo padre… a Natale gli lascerò Ronan per qualche giorno e forse…–
– Cosa c’è che non va, Claire? –
Aggrottai la fronte. – Scusa? –
– Non sei contenta da quando hai messo giù il telefono. Sembri triste. –
Non sapevo se mi sorprendesse di più il fatto che lo avesse notato, o il fatto che me lo stesse dicendo così, come niente fosse. – Ma no…– lui di rimando mi squadrò, scettico. Risi, nervosa. – Non è niente di importante…–.
– Se non fosse importante non ti avrebbe fatto perdere il sorriso– replicò tranquillo.
Testardo, lui… – A volte diamo troppa importanza a certe cose…– replicai a mia volta.
– Non esistono cose importanti e cose non importanti… esistono cose importanti e cose non importanti per noi –.
Lo studiai attentamente. – Nonti piace avere torto e non ti piace non sapere le cose, vero? –
– Due su due – scoppiammo a ridere. Era proprio un personaggio!
In quel momento ci interruppero i bambini che correvano verso di noi. – Che succede, ometto? –
– Abbiamo fame – rispose Paris per lui. Tesoro, abituati che sia la donna a rispondere per te, gli comunicai telepaticamente, divertita.
– Beh, allora è ora di andare a casa, che dite? – fece Michael con tono allegro, rivolgendosi ai suoi figli. Poi però si voltò  verso di noi. – Ci fate compagnia? –
Oh signore, non c’era proprio scampo… Michael mi piaceva, mi piaceva da morire eppure mi metteva una certa inquietudine quella sua capacità di capire le cose al volo , per non parlare della sua schiettezza… eppure, punto primo era incredibilmente gentile da parte sua invitarci, punto secondo, ero ancora in debito con Ronan… perciò mi imbarcai in quell’avventura pregando che un qualche dio mi desse la forza di arrivare a fine giornata.
Seguimmo l’eccentrica famigliola all’interno di un’auto che sembrava progettata per attirare l’attenzione e che non doveva essere tanto più piccola del nostro appartamento. Durante il viaggio in realtà non parlai molto con Michael, mi limitai ad osservarlo mentre interagiva con i suoi figli, giungendo all’istintiva ma ferma convinzione che le scioccanti notizie che avevano bombardato il mondo negli ultimi dieci anni non fossero che colossali palle. Non c’era niente di strano, di stonato nel modo in cui si relazionava con i bambini, solo tanto amore. Mi domandai come potesse essere doloroso donare così tanto e ricevere in cambio… beh, ciò che gli era capitato.
Okay, adesso, però, da donna a donne, lasciate che sia completamente sincera. È sì vero che una parte di me formulava questi pensieri, ma si può dire che mi ci stessi aggrappando per fuggirne altri decisamente meno opportuni…
Sì, stavo notando quanto Michael fosse sexy.
Non avevo nessun tipo di problema edipico ed ero perfettamente consapevole di essere una da-poco-donna di ventiquattro anni, e lui un da-parecchio-uomo di quarantasette, ma maledizione, aveva un corpo perfetto, e la chirurgia di quegli anni non era riuscita a oscurare la finezza ed eleganza dei suoi tratti. Per non parlare dello sguardo…
È sempre stata un po’ una mia fissa, quando sono con un uomo mi concentro tantissimo sul suo sguardo, perché, sarà anche banale dirlo, ma da quello si può capire davvero moltissimo di una persona. Non ero mai stata con un uomo dallo sguardo spento, o peggio ancora cattivo, e quest’accortezza mi aveva portato… beh, una sfilza di uomini “quasi” giusti, ma lì ero io il problema.
Ma, tornando a Michael… aveva lo sguardo più intenso che avessi mai visto. Non si trattava però solo dell’intensità, che già da sola sarebbe riuscita a stendermi senza pietà, ma era anche quel tipo di sguardo indecifrabile al punto giusto… sembrava limpido, senza segreti, ma dopo un po’ ti rendevi conto riuscivi a entrare nella sua essenza soltanto finchè lui te lo permetteva, per poi scontrarti contro una sorta di barriera… che però non mi spaventava…
Conoscevo quella barriera, la barriera di quel dolore sordo di cui fingi che non t’importi, quando invece ogni giorno te lo ricordi… la barriera, nel mio caso, di una vita senza amore.




Angolo autrice
Ciao ragazze!
Non ho molto da dirvi, il capitolo come promesso è un po' più lungo e spero anche piacevole... fatemi sapere, ci tengo tantissimo.
Un abbraccio a tutte,
DS



 

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Capitolo 5
*** Heart ***


Capitolo 5. Heart



Vi è mai capitato di sentirvi minuscole? Sto parlando di quella fastidiosa sensazione che continua a urlarti: “tu non sei niente” e a ricordarti che qualunque cosa bella tu stia vivendo, quella non sei tu, si tratta solo di un’eccezione e presto tornerai alla tua noiosa vita quotidiana.
Ecco la sensazione che mi fu compagna per gran parte della mattinata. Non che Michael mi mettesse a disagio, o fosse vanitoso o che so io, però mi faceva un certo effetto, essere prima nella sua limousine, poi nella sua villona, poi a tavola con lui… io, io con la mia maglia di cotone e i miei capelli spettinati e il mio misero make up da dieci dollari… c’era qualcosa di stonato, di incoerente, come se mi fossi svegliata nella vita di qualcuno che non ero io.
Eppure fu bello. Ricordo che risi un sacco e che, mentre mangiavamo, quella dolce tensione che mi si era formata nella pancia dal primo momento in cui l’avevo visto iniziò a sciogliersi, per poi finire in un remoto angolo della mia mente. Restammo insieme per delle ore intere, noi e i nostri figli, senza in effetti avere il modo di parlare a tu per tu, eppure fu un’occasione per vederci agire nel campo della nostra vita quotidiana, con le persone che amavamo, e penso ancora che sia stato un modo bellissimo per conoscerci. A fine giornata avevo già capito molte cose di Michael: era incredibilmente dolce, gentile, non si arrabbiava facilmente, amava anzi ridere e vivere con leggerezza, alle volte mi sembrava di ritrovarmi da sola a dover gestire cinque bambini!, per certi suoi atteggiamenti, eppure non aveva nulla di infantile ed era, lo si capiva, un ottimo padre.
Una cosa che ebbi modo di realizzare appieno piuttosto tardi, invece, è quanto amasse cogliere di sorpresa le persone… per poi far passare le sue frasi o i suoi gesti come i più normali al mondo. Un esempio?
– Cosa volete fare domani? – mi chiese in un raro momento di tranquillità in cui i bambini sembravano essersi dileguati.
Alzai le spalle. – Beh, potremmo vederci di nuovo al parco… magari nel pomeriggio, se non c’è troppa gente, così Ron può riposare…–
Mi osservò con una faccia così angelica che su chiunque altro avrebbe potuto passare per strafottente, dicendo: – Tu lo sai che voi dormite qui, vero? –
Ecco, “mi colse di sorpresa” è dir poco, il pavimento era tutto un rotolamento di mascelle e testicoli che non avevo, non so se ho reso l’idea. Spero di sì.  – Stai scherzando? –
– Perché dovrei? –
Domanda interessante. – Beh ma… dài, ti siamo già stati tra i piedi tutto il giorno… e poi no, seriamente, non vorrei…–
– Disturbare? Andiamo, Claire, se foste di disturbo vi avrei invitati? –
– Sei troppo gentile, davvero… e poi non ho con me dei vestiti, né il pigiama, né lo spazzolino…–
Mi poggiò le mani sulle spalle ridacchiando. – Sei troppo forte, davvero. –
Spalancai la bocca, offesa. – Ma io dicevo sul serio! –
Mi guardò, già stanco di discutere, poi fece scivolare la mano destra dalla mia spalla giù lungo tutto il braccio, per poi raggiungere la mia mano. Rimasi pietrificata. – Vieni con me – disse piano, e il mio cervello, lo giuro, glielo chiese, “dove?” ma il messaggio si interruppe in un qualche punto del tragitto mente-bocca, mentre un altro messaggio viaggiò per tutto il corpo: “cazzo, sono per mano con Michael Jackson!!”. Arrivò in fin troppi posti, quel pensiero…
Comunque, mi portò nel megabagno di una delle sue megastanze e iniziò a svuotare un armadio. Due spazzolini, due pigiama, due accappatoi.
– Serve altro? –
Scoppiai a ridere. Quell’uomo era assurdo, non poteva esistere sul serio, poteva essere al massimo il personaggio di un fumetto, ma reale, lì davanti a me, no. – Michael, seriamente…–
– Claire, seriamente – okay, mi stava ufficialmente sfottendo! E rideva, lui, rideva come fosse normale e giusto ma riuscendo in qualche modo a farlo sembrare tale, rideva come se non avesse mai pianto, rideva come se non conoscesse altro, come se non ci fosse domani. Mi arresi, per forza, avrei vissuto un altro po’ nella vita di questa Claire che non ero io e che, minuto dopo minuto, mi appariva sempre più fortunata.
– Okay, okay, mi arrendo –sorrisi.
Ad un tratto però lui si fece serio. – C’è una cosa di cui vorrei parlarti, Claire – annuii, incoraggiandolo a continuare, anche se qualcosa in quel tono mi spaventò. – E’ un argomento che non mi piace affrontare, però vista la situazione, voglio essere sicuro che sia tutto a posto…– annuii di nuovo, senza la più pallida idea di dove volesse andare a parare. – Negli ultimi anni sono circolate certe… voci sul mio conto… immagino tu le abbia sentite…– annuii per l’ennesima volta, ora intuendo cosa l’avesse reso tanto serio. – Io ti posso giurare su Dio, sui miei figli, su quello che vuoi, che sono false… credo che se tu e Ronan siete qui, tu non abbia creduto a quelle voci, ma volevo assicurarmi…–
– Ho capito – lo fermai, un nodo alla gola così grande che sembrava potermi avvolgere completamente nelle sue spire come un serpente. Lo mascherai, credo con poco successo, con un sorriso. – Non pensarci, ti prego. – gli sfiorai affettuosamente un braccio come a rassicurarlo.
– Sei sicura? –
– Michael, ho le orecchie, e sento quello che la gente dice. Ma ho anche un cervello. E un cuore. Non ti conoscerò come le mie tasche, ma mi sento al sicuro con te. È tutto a posto – avevo lasciato parlare il mio cuore, ed era una sensazione così intensa che avrei voluto scappare da essa, come da lui, in quel momento. Feci per andarmene ma lui mi trattenne prendendomi la mano.
– Claire? – mi fermai, trafitta dal suo sguardo, ferita a vita. – Grazie –.

Restammo quindi per la notte. Michael decise di sistemare i bambini tutti insieme in una stanza matrimoniale, lui nella sua camera e io in un’altra stanza libera. Mi trattenni nella prima per dare la buonanotte a Ronan, che, con la voce adorabilmente impastata dal sonno, mi chiese: – Mi racconti la storia del sole e della luna, mamma? –
Mi accovacciai accanto al letto e con un sorriso gliela raccontai come ogni volta, anche se il sonno gli impedì di sentire il finale. Gli diedi un leggero bacio sulla fronte e poi mi voltai per lasciare la stanza, non fosse che un infarto quasi mi stroncò quando sorpresi Michael in piedi accanto alla porta.
– Oddio, mi hai spaventato – sussurrai, una mano sul petto che martellava all’impazzata.
Lui, neanche a dirlo, si mise a ridere. Mi prese la mano e mi trascinò in corridoio, chiudendomi alle spalle la porta. – Scusa – mormorò, per nulla convincente.
Lo seguii al piano di sotto per il thè che mi aveva promesso pochi minuti prima, per poi ritrovarmi a dovermelo preparare da sola. – Queste star viziate che non sanno neanche far bollire un po’ d’acqua…– lo presi ingiro.
Michael rise di nuovo, poi tornò però serio. – Ho sentito la storia che raccontavi a Ronan…– sorrisi. – Perché gliela racconti? –
Mi prese un po’ in contropiede, come al solito. – Beh, perché gli piace… e ci sono cresciuta anche io…–
Sembrava incredibilmente serio. – E’ una storia molto triste –.
– E’ una storia come tante altre – mi misi un po’ sulla difensiva. Avevo un legame forte con quella storia, non mi andava di sentire la sua valutazione pedagogica, per me era così come doveva essere.
Parve riflettere per un po’. – Ci credi? –
– Che il sole e la luna non si incontrano mai? – gli versai un po’ di thè, mentre mi chiedevo dove volesse andare a parare questa volta.
Scosse la testa. – Nell’esistenza dell’impossibile –. Mi ritrovai ad annuire timidamente, pensando che io ne ero la prova vivente, che certe cose a a qualcuno semplicemente non possono capitare. Come innamorarsi. – Perché? –
Tuttavia non era il mio argomento preferito, la mia lista di relazioni fallimentari… – La mia vita me l’ha insegnato – risposi semplicemente.
– Che cosa intendi? –
Sospirai. – Intendo che a un certo punto ho dovuto rassegnarmi e smettere di credere in certe cose… –
– E perché mai? –
– Perché non mi possono accadere – dissi con tono neutrale. Eravamo in una zona pericolosa.
– Solo perché non ti sono già accadute? –
– No, perché non ci sono fatta –.
– Sembra più che altro una scusa per arrendersi… – osservò.
– Michael…–
– … e cos’è che non ti porebbe accadere? –
–…per favore – alzai la voce. Stava andando troppo oltre. Ed era colpa mia, fin dall’inizio gliel’avevo permesso, tra una frasetta e l’altra come ogni volta non mi ero fatta problemi a parlare di me e rispondere alle sue domande, ma quella era la zona di confine e non gli avrei permesso di oltrepassarla.
Inarcò le sopracciglia, visibilmente sorpreso dalla mia reazione. – Non ti fidi di me? –
Lo chiese con un tono talmente dolce, talmente disarmante che riposi i miei metaforici guantoni da boxe. – Sei una bella persona, Michael. Di certe cose non parlo volentieri, tutto qui –.
Si alzò dalla sua sedia e venne verso di me. Io ero ancora in piedi, appoggiata al pianale della cucina, stringendolo in modo -a pensarci bene- piuttosto isterico con entrambe le mani. Michael me le prese e me le staccò gentilmente da lì, dito per dito, accendendomi un sorriso. Poi mi guardò, con aria innocente ma non per questo meno penetrante del solito. – Pace? –
Scoppiai a ridere. – Michael, come si fa a fare la guerra con te? –
Fece un sorriso triste. – Ti potrei dare un elenco piuttosto lungo di persone da cui imparare… –.
Quella frase mi colpì dritto al cuore… – Per favore, non dire queste cose… mi fanno stare male…– poi mi resi conto di quanto sembrassi egocentrica a parlare a quel modo. Cioè, dovevano fare star male me? Ero proprio un’idiota… – Scusami, intendevo dire…–
– Lo so cosa volevi dire – mi interruppe dolcemente. – E so che era una cosa bella da parte tua. Hai ragione, è che quando dico quello che penso a volte scappano anche di queste cose…–
– Se vuoi per tirarti su ti correggo il thé con un po’ di rhum – proposi con un sorriso angelico.
– Non posso, devo prendere le medicine…–
– Cos’è, siamo ospiti a una puntata di “La mia vita deprimente”? Dimmi un’altra frase del genere e mi metto a piangere – decisi di buttarla sullo scherzo quando in verità, ero davvero sul punto di piangere. È questa la cosa peggiore delle persone oneste: ogni loro singolo stato d’animo affiora in superficie e tu lo puoi vedere lì, davanti ai tuoi occhi, pronta o no, volente o nolente. Finchè si tratta di emozioni positive, è una sensazione meravigliosa, l’avevo potuto constatare io stessa ogni volta che lo vedevo ridere, giocare con i suoi bambini, scherzare. Ma in quei momenti… in quei momenti era così straziante da togliere il fiato. Rise , nonostante l’ingiusta velatura sui suoi occhi. Di fronte a tutto quel dolore, incartato in un così delicato e splendido involucro, mi sentivo terribilmente a disagio, come se stessi sbirciando senza il permesso qualcosa di molto personale, e allo stesso tempo mi sentivo impotente, intrappolata in una situazione che, a causa di quel maledetto nodo alla gola, non sapevo come prendere.
Optai per un abbraccio.
Non so bene il perché, forse era la stanchezza, forse la mia eccessiva emotività (congiunta alla sindrome premestruale, si salvi chi può), forse era bastata l’idea del rhum a suggerirmi altri spunti di dubbia logica, eppure lo feci, mollai la tazza lì e strinsi quel guerriero silenzioso, forte solo come stringevo Ronan quando pregavo di riuscire a difenderlo dal mondo. E fu… bello. Bello solo come ricordavo essere i miei sogni.
Bello come la voglia di stringerlo ancora, ancora, nuotare nel suo profumo intenso e indefinibile e non lasciarlo più…
Come ho detto, ero in sindrome premestruale, annotiamo bene tutti i fatti.
Mi riallontanai cercando di darmi un contegno e nascondere quel senso fin troppo piacevole di disorientamento con un sorriso.
– Mi piace il modo in cui abbracci – mi disse.
Piuttosto insolito, come complimento. Mi fece sorridere. – E’ meglio che vada a dormire adesso… – feci, non che avessi sonno ma la vita di questa Claire era distruttiva a livello emotivo.
– Va bene – mi sorrise lui, rimanendo al tavolo.
– Non vieni su? –
Scosse la testa. – Non ho molto sonno. Penso che rimarrò qui per un po’. Ma tu vai pure – sorrise di nuovo.
– D’accordo… beh, allora b…–
– Claire? –
Entrai in allarme. Ormai potevo aspettarmi di tutto da quell’uomo, e la cosa non mi metteva molto tranquilla, anzi per niente. – Sì? –
– Grazie per oggi. Sei stata fantastica –.
Mi rilassai. – Anche tu, Michael –
– Sai a cosa mi riferisco…–
Gli sorrisi. – No, non ricordo nulla di straordinario –
Anche lui sorrise. Si allungò dallo sgabello e mi attirò a sé, pericolosamente vicino, ma senza abbracciarmi. Si limitò a guardarmi negli occhi con un’intensità allarmante. – Sono contento di averti conosciuto. E sono contento di avere te e Ronan ospiti a casa mia. Siete delle belle persone, davvero –.
Uno dopo l’altro, soffici schiaffi che mi sconvolsero, queste sue frasi così sincere, naturali, splendide. Non sapevo cosa dire ma una qualsiasi risposta sarebbe sembrata fuori luogo, le sue parole erano come farfalle e sembrava bastasse un niente a guastare la loro dolcezza. Così, con un sorriso più commosso di quello che avrei voluto mostrare, mi sottrassi a quella morbida tortura emotiva e mi diressi verso la mia stanza. Mi addormentai dopo parecchio tempo, chiedendomi nella vita di quale Claire mi sarei svegliata il giorno seguente… sperando, con tutto il cuore, che fosse la stessa di quel giorno.







Angolo autrice
Ciao a tutte...
Sì sono sparita per parecchio... e per un po' mi sono anche rinchiusa nel lutto della sorte di questa sezione del sito... che ragazze, è così poco visitato... ed è un peccato, un peccato perchè c'è veramente del buono qui (parlo di tutte le storie, non mi permetterei di riferirmi alle mie - beh, non esclusivamente almeno) e c'è così tanto Amore... spero che con il tempo sempre più gente verrà da queste parti...
Intanto ringrazio chi ha continuato a leggere e scoprire questa storia anche in questi mesi di pausa... ascoltate sempre Michael perchè vi cura ragazze... io lo so... vi mando la felicità della sua Musica come augurio, e spero di sentirvi presto.
DS

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Capitolo 6
*** Heaven can wait but I can't ***


Capitolo 6. Heaven can wait but I can't




Mi ripresi dal mio piccolo coma parecchie ore più tardi. Intuii la luce del sole al di là di palpebre, coperte e finestre, senza trovare la forza di affrontarla.
Non sono mai stata una di quelle persone per le quali lo svegliarsi coincide con l’alzarsi, è una di quelle cose capaci di rovinarmi l’intera giornata. Non ci posso fare niente, il mio cervello si mette in moto con preoccupante lentezza la mattina, e al mio corpo non è mai dispiaciuto assecondarlo.
Perciò, sebbene avessi realizzato quasi subito di essere ospite in casa d’altri (anche se non proprio subito chi fossero quegli “altri”), rimasi a crogiolarmi nel dolce tepore delle coperte che aveva come poche altre cose al mondo il magico potere di rendermi serena. Non pensavo a nulla in particolare; lasciai che alcuni momenti del giorno precedente affiorassero in superficie per poi limitarmi ad osservarli come le ultime scene di un film che vedi prima di addormentarti, soffici flashback che fatichi a collegare tra loro. Ma, così immersa in quel paradiso di stoffe pregiate, calde e profumate, trovavo piacevole anche quel piccolo squarcio di oblio… fui sul punto di riaddormentarmi più volte, finchè una voce familiare non mi riportò alla realtà.
– Mamma, svegliati, c’è il sole fuori! –
– E la luna? – risposi automaticamente, con una voce che avrebbe fatto invidia alla risata finale di “Thriller”.
– Non c’è, ho controllato personalmente – sentii il suo corpo non troppo leggero arrampicarsi sul materasso e poi su di me. – Vieni giù, siamo già tutti alzati! –
– Ma che ore sono? –
– Le otto e mezzo –.
L’alba! – E perché sareste già tutti in piedi? –
– Perché ci sono i cartoni animati alla tivù, e poi Michael si alza molto presto di solito, e quindi anche Paris –.
Troppe informazioni. Un errore fare domande, solo sapere che ore erano aveva rafforzato il mio legame affettivo con quel materasso. – Dì agli altri che arrivo tra una mezz’oretta…– sì, sì, lo so, ero un’ospite cafonissima, ma ve l’ho detto, mi è impossibile di costituzione alzarmi appena sveglia. E lo faccio per il bene di chi mi circonda, anche.
– Ho detto a Michael che avresti risposto così perché sei una dormigliona. E lui ha detto che se non venivi giù saremmo venuti tutti qui a fare colazione nel tuo letto –.
Scoppiai a ridere, mentre mi venivano riportate le briciole della mia dignità. Ma in fondo Ronan aveva ragione, non potevo di certo lamentarmi se era abituato a essere sincero… riemersi finalmente da sotto le coperte. Lo guardai con gli occhi socchiusi e le sopracciglia inarcate. – Sii sincero, come sono messa da uno a dieci? –
Riflettè.  – Ti do un sei solo perché ti voglio bene –.
Risi di nuovo. – Cattivo! Sono così brutta? –
– No, ma hai l’aria troppo stanca! –
– Ma io sono stanca, Ron. Stanca e vecchia – replcai, mentre mi alzavo a cercare i miei calzini.
– Non vieni giù così, vero? – fece lui, dopo aver evidentemente esitato un bel po’.
Lo guardai, insospettita. – Che intendi? Come dovrei scendere? –
– Non lo so… ma secondo me a Michael piaci di più con…– si fermò nel vedere il mio mitico sopracciglio sinistro schizzare in alto. Arrossì un po’.
– Cos’è questa storia del piacere a Michael? –
– Niente – ovviò, scappando in corridoio e, in un tempo straordinariamente breve, fino al piano di sotto.
Divertita, mi apprestai a raggiungerlo, dando prima un’occhiata allo specchio. Effettivamente, non avevo proprio l’aria da risveglio delle pubblicità, le mie occhiaie tendevano a una graziosa sfumatura di viola e i miei capelli sembravano reduci dai giochi notturni di un gatto un po’ troppo fantasioso. Ma in fin dei conti, era mattina presto e la famiglia Jackson si sarebbe dovuta accontentare del mio sforzo per stare in piedi.
Imboccai il corridoio e lentamente iniziai a scendere le scale, mentre in un crescendo di suoni potevo sentire la famiglia Jackson e mio figlio chiacchierare insieme. Quando giunsi nella stanza principale e più spettacolare della casa, quel quadretto mi fece sorridere, per poco dimentica di che ore fossero.
– Claire! – esclamò Michael, il primo ad accorgersi di me nonostante mi voltasse le spalle. Questo udito da musicista… gli rivolsi un sorriso, incerta se avvicinarmi finchè non mi invitò lui stesso sul divano dove stavano facendo colazione. – Serviti pure. Se vuoi qualcos’altro, puoi chiedere alla cuoca…–
– Non faccio colazione, ma grazie lo stesso –.
MI guardò stupito. – Come mai? –
– Il mio stomaco dorme ancora…– replicai accarezzandomelo con fare teatrale come se stessi coccolando un gattino.
Lui rise. – Me lo diceva Ron che eri una dormigliona –.
– Ehi! Non è affatto vero! Sono semplicemente un’amante del sonno, il che è diverso –.
Mi squadrò come a dire “sì, certo” mentre mi sedevo accanto a lui, che come me non sembrava essersi molto preoccupato di mettersi in tiro, anzi notai che tutta la famiglia era in pigiama. Non so come sia possibile, ma vi giuro che realizzai solo in quel momento che anch’io ero scesa in pigiama… in pigiama. A casa di Michael Jackson. Senza un filo di trucco.
Cazzo!
Okay, avevo iniziato a svegliarmi.
Ma non c’era marcia indietro a quella piccola tortura, sì perché già era difficile stare sotto gli occhi di Michael dopo aver passato ore davanti lo specchio a rendersi decenti, figurarsi nello stato in cui ero quella mattina…
– Di solito sono conciata meglio, lo giuro – feci per rompere l’imbarazzo che il suo sguardo incrediblmente fisso e lucido mi provocava; non mi aveva dato un attimo di tregua da quando ero arrivata lì.
– Di cosa parli? Mi piaci. Hai l’aria molto dolce – si vedeva benissimo che stava trattenendo una risata. Caro, lui…
– E tu sei molto gentile. Però non troppo bravo a mentire – lo stuzzicai.
Non mi rispose, nascondendo ancora peggio quella risatina impertinente. Odiai ammetterlo a me stessa, ma mi aveva già messo di buon umore… – Cosa volete fare oggi? –
– Beh, pensavo di rubare un po’ di argenteria e poi togliere il disturbo…–
Scoppiò a ridere, più fragorosamente di quel che mi sarei aspettata. Buon segno, se non avesse capito lo scherzo avrei potuto trovarmi placcata da un centinaio di guardie del corpo - che, ne ero sicura, si erano mimetizzate lì da qualche parte, in quella stanza. – Andiamo, Claire…–
– Okay, ce ne andremo senza souvenir… ma solo per questa volta! –
– Papà, possiamo giocare a nascondino con Ronan? – ci interruppe Paris.
– Tesoro, Claire stava parlando con me – la riprese tranquillo suo padre.
– Michael, non fa niente, d…–
– Scusami, Claire… –.
– Ecco, adesso però mi hai interrotto di nuovo! – scherzai. Scoppiò a ridere insieme a suo padre, che le scoccò un bacio in fronte.
– Va bene, andate, ma rimanete in casa –
– Okay! – e sparirono.
Michael tornò a dedicare, disgraziatamente, tutta la sua attenzione su di me. – Allora, che scusa stavi per accampare prima? –
Finsi di lanciargli un’occhiataccia. – Nessuna scusa questa volta… devo lavorare nel pomeriggio – in realtà avrei dovuto lavorare il giorno successivo, ma come da tutte le cose belle che si rispettino, sentivo il bisogno di scappare… avrebbe perso ogni briciolo di verosimilità, se fosse durato ancora qualche ora, quel paradiso.
Inarcò le sopracciglia, sorpreso. – Sul serio? E che lavoro fai? –
– Mi occupo della casa della mia vicina –, lo trovai più elegante di dire che facevo le pulizie, ma era effettivamente così, la signora Mable viveva dei soldi del suo nipote di successo concedendosi vacanze di ogni tipo, tanto di guadagnato per me, che per una pulizia completa della casa mi prendevo quattrocento dollari.
– Oh, è malata? –
– Peggio, è ricca. Senza offesa… – lo stuzzicai.
Michael scoppiò a ridere. – Ho capito, ho capito… allora ci possiamo vedere domani? –
– In realtà, lavoro anche domani…–
– Oh, d’accordo…– lo vidi piuttosto deluso.
– Però venerdì non ho impegni – aggiunsi di slancio.
– Purtroppo li avrò io… e non so quanto mi porteranno via… forse un mese, o più…–
Toccò a me essere delusa. Con una forza che non avrei nemmeno lontanamente immaginato. – Davvero?... quante case hai da pulire? – scherzai.
Abbozzò un sorriso. – In realtà ospiterò un giornalista per un documentario sulla mia vita…–
La cosa mi sorprese non poco. Credevo avesse chiuso con il mondo dei mass media - niente di più comprensibile… o comunque che non fossero le persone che gli piaceva introdurre in casa sua. Forse non si trattava di una scelta oculata come credevo. Forse anch’io ero lì… così, tanto per. Quel pensiero non potè fare a meno di trasmettersi al mio volto, che spense il sorriso acceso al risveglio. O meglio, quando avevo visto lui. – Non me l’aspettavo – ammisi. – Mi sembra un po’ contradditorio…–
– Che intendi? – faceva pure il finto tonto adesso?
– Intendo dire che… è un giornalista, Michael. Perché apri la porta a chi è da una vita che te la sfonda per sbirciarci dentro? – il tono risultò più acido di quanto avessi voluto, ma ero scioccata.
Scosse la testa con decisione. – Lui è diverso, Claire. L’ho già incontrato diverse volte, abbiamo già girato. Lui vuole raccontare la verità… entrambi lo vogliamo. Sarà solo un documentario. –
– Va bene, va bene. La vita è la tua. – mi odiai per quel mio tono, ma qualcosa in quella storia mi infastidiva. Forse il mio istinto mi stava dicendo che quello di Michael sarebbe stato un errore… o forse, semplicemente, ero una bambina capricciosa. E in quel momento era l’unica ipotesi plausibile, cosa che, neanche a dirlo, mi innervosì ancora di più.
Mi alzai dal divano quasi di scatto, facendo leggermente sobbalzare Michael. – E’ meglio che vada a ritirare le mie cose – e infilai di corsa le scale per sfuggire dalla mia stessa stronzaggine.
– Claire – mi fermò però la sua voce. A fatica mi voltai, impossibile reggere il suo sguardo mentre lo sentivo venire verso di me. – Tutto bene? –
Alzai le spalle. – E’ mattina. Mi capita spesso di essere strana… non te la prendere. –
– Non me la prendo. Mi preoccupo…– mi incorniciò il viso con le sue grandi mani, ora costringendomi a guardarlo.
La mia dignità cadde ai suoi piedi, e richiamarla a rapporto fu inutile. – Anch’io, Michael. Per te… e per me, che dio solo sa che fine farà questo sorriso se non ti vedo per un mese…– oh signore, ma dove avevo la testa? Tra le sue maledette, dolcissime mani che sembravano intaccarne pericolosamente il consueto funzionamento. Sarebbe stato meno imbarazzante se gli fossi saltata addosso.
Mi lasciò andare, ma solo per spostare le mani dal volto ai fianchi, nell’atteggiamento meno paterno che potessi immaginare. Avvertii un leggero capogiro… lui sembrava tranquillo, e insomma, non è che mi stesse toccando il sedere, ma quel gesto… mi fece impazzire. Sembrava una di quelle scene pre-bacio da film, in cui andiamo, tutti sanno cosa sta per accadere…
Ma Michael era Michael e si limitò a dirmi: – Lasciami il tuo indirizzo. Verrò a trovarti. – che okay, di per sé era già una frase da far tremare le ginocchia, ma maledizione alle mie aspettative… si allontanò di nuovo e mi diede una sorta di “pacca sulla spalla”, ritornando l’uomo di ventitrè anni più grande di me che non era che gentile nei miei confronti. Una trasformazione che odiai… mi diressi di nuovo verso le scale, impedendo alla mia dannata bocca di aggiungere qualsiasi cosa, finchè, ormai quasi arrivata in cima, una voce disse: – Anch’io lo voglio rivedere presto, quel sorriso…– ma una volta trovato il coraggio di voltarmi, Michael era sparito.
In preda a fin troppe emozioni, cercai di distrarmi raccattando le poche cose che avevo lasciato nella stanza che mi aveva ospitato. Vi avevo passato a malapena cinque minuti da sveglia, eppure mi resi conto con stupore che l’avrei ricordata con nostalgia, non tanto come una dormita serena e confortevole, ma come la promessa di un risveglio diverso, migliore.
Neanche a dirlo, mi si inumidirono gli occhi. Dannazione! Ero troppo emotiva. Insomma, non ci avevo speso dei mesi. Ero di passaggio, non aveva senso legarsi così tanto a qualcosa né soprattutto a qualcuno che, tra l’altro, sembrava non dare tutto quel peso a chi invitava lì…
Mi diedi doppiamente dell’idiota. Non ero assolutamente nessuno per poter mettere il becco nella vita di Michael, e in fin dei conti non ne sapevo nemmeno niente, di lui, di quel giornalista, della sua vera storia. E avrei fatto meglio a farmi gli affari miei.
È che… mi aveva colpito, lui. Era una di quelle persone con cui inizi con un ciao e non ne esci più… mi aveva portato lentamente nella sua vita e tra le dolci spire della sua personalità e più ne sapevo, più ne diventavo avida… mi incuriosiva, no anzi: mi attraeva. Erano bastati tre giorni a legarmi a lui, e sebbene la mia vocina razionale mi ripetesse che non c’entravo niente, questa si faceva sempre più piccola lasciando spazio alla convinzione che, con Michael, non sarebbe finita tanto facilmente.
E quella prospettiva mi trasmise un brivido così violento ma piacevole da sconvolgermi.
– Mamma, posso nascondermi qui? –
La voce di Ronan mi fece sobbalzare. Incontrai il mio riflesso quasi viola nello specchio, recuperando con calma il controllo. – Mi hai spaventato a morte ma sì, puoi. –
– Scusami! – sussurrò, accovacciandosi dietro il letto. – Grazie… cosa stai facendo? –
– Metto via le cose, è meglio che andiamo a casa adesso –.
Si alzò in piedi di scatto. – No, mamma! Per favore, rimaniamo! –
Il suo tono mi stupì. Non era mai stato un bambino capriccioso, eppure c’era qualcosa di veramente supplichevole nella sua voce, quasi di allarmato anche. – Tesoro, non possiamo disturbare Michael… lui dice il contrario, ma non è molto educato parcheggiarci qui per tutte queste ore… lo capisci? – risposi tranquilla, sperando di essere convincente.
Ronan si riaccasciò per terra. – Sì… è che sto davvero bene qui con loro…–
Dire che lo capivo era dire poco. Mi sedetti accanto a lui. – Lo so, Ron. Anch’io ho passato una giornata magnifica, ci stavo giusto pensando prima. Non mi sentivo così da…– scossi la testa – anni. Abbiamo avuto in dono un po’ di paradiso. Però abbiamo anche una casa – sorrisi, scherzosa solo in parte.
– Sarebbe sbagliato scegliere il paradiso? –
Scoppiai a ridere e lo abbracciai. – Penso di sì, Ron. Penso di sì. –

Lasciare casa Jackson fu assurdamente difficile. Michael si scusò di non poterci accompagnare a casa, ma preferiva stare con Blanket che la mattina aveva avuto delle coliche. Così ci salutammo, un biglietto con il mio indirizzo, un rapido abbraccio giusto per non rimpiangere di non averlo fatto, ma non abbastanza lungo da torturare il mio povero cuoricino suscettibile; qualche sorriso, e i cancelli di Neverland scomparvero man mano dalla nostra vista.
Non sapevo cosa aspettava, né me, né Michael. Non sapevo nulla.
Ma provavo l’impellente desiderio di premere il tasto “avanti veloce” e arrivare al momento in cui me lo fossi trovato davanti di nuovo, a farmi sorridere e arrossire, a parlarmi di tutto e a farmi troppe domande.
Perché, per la prima volta, volevo rispondere…
Per la prima volta, sentivo di aver trovato una risposta.

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Capitolo 7
*** You are not alone ***


Capitolo 7. You are not alone
 
 

– Sei pronto, tesoro? – urlai al di sopra della mia spalla, mentre litigavo con la serratura della macchina.
– Arrivo! – Ronan corse fuori di casa, vestito di una t-shirt e un paio di jeans.
– Ron, per favore, mettiti qualcosa sopra, ti scongiuro –.
– Ma ho caldo! –
Che strano, mi dissi. Aveva passato la mattinata a saltellare e gridare per casa tutto emozionato. – Ma dopo ti verrà freddo, perchè è il 23 dicembre, tesoro. –
Piuttosto controvoglia, rientrò e si vestì, ma una volta uscito aveva già recuperato il suo buonumore. Si infilò nell’auto che finalmente ero riuscita ad aprire (giustamente, visto che per un quarto d’ora avevo provato a farlo con le chiavi di casa…), e dopo aver fatto un riepilogo mentale di ciò che avevo preso per Ron, chiusi la porta d’ingresso e mi sistemai al posto di guida, accompagnata dal continuo chiacchiericcio di mio figlio.
Ad un tratto, dopo qualche minuto che eravamo partiti, questo si interruppe. – Mamma? –
– Dimmi, tesoro –.
– Sei triste? –
La domanda non mi stupì particolarmente. – Perché me lo chiedi? –
– Così – ovviò.
La verità è che aveva buonissimi motivi per chiedermelo. Per giorni ero stata taciturna, chiusa, pensierosa, e anche un po’ più distante da lui. Ne ero dispiaciuta, ma non mi riusciva di fingermi allegra, quando avevo mille pensieri per la testa.
Il primo, e quello che mi bruciava di più, riguardava la nuova compagna di Tom. Mi faceva stare male lasciare mio figlio a una donna su cui non avevo nessuna informazione, a parte le cattiverie immaginarie che avevo raccolto nei miei pensieri di quelle settimane. Temevo che si sarebbero trovati a disagio, ma forse ancora di più che potesse avvenire il contrario. E se lei avesse cercato di prendere il mio posto e farsi bella agli occhi di Tom avvicinandosi a mio figlio? E se Ron ci fosse cascato? Avevo molta stima di mio figlio e della sua sensibilità, ma queste erano dinamiche che andavano al di là dei miei semplici andamenti d’umore, al di là di quei pochi e scarni rapporti che poteva osservare nel mio mondo.
A proposito di rapporti…
Un altro pensiero che mi tormentava era, lo ammetto, Michael. Perché era sparito. Letteralmente. Non l’avevo più incontrato al parco, né si era fatto sentire, né mi aveva fatto la sorpresa promessa. E, odiavo ammetterlo, ma mi stava mancando terribilmente.
Mi mancava non sapere che cosa dire, mi mancava essere spiazzata dal suo irresistibile modo di fare, mi mancava il suo sguardo che sapeva e il suo sorriso che non necessitava parole, mi mancava avere qualcuno con cui poter parlare a quel modo. Mi mancava lui, in tutto il suo complicato e affascinante essere, a volte così forte che non riuscivo nemmeno a darmi della stupida.
Il ripensarci mi fece venire un groppo in gola, di nuovo troppo intenso da poter essere sminuito. – Ho solo un po’… di nostalgia, diciamo –.
– Di cosa? –
– Beh, innanzitutto sarà il primo Natale che passiamo distanti…–
– Non è vero. Ti ho detto che ti chiamerò e staremo al telefono a parlare tutto il giorno! –
Scoppiai a ridere. – Non vedi mai tuo padre, Ron. È giusto che tu stia con lui tutto il tempo che puoi. Ma anche se è giusto, non vuol dire che non mi mancherai. –
– Anche tu mi mancherai, mamma – disse sinceramente, facendomi sorridere. – E l’altra cosa? –
– Scusami? –
– Hai detto che “innanzitutto”…? – mi guardò come a chiedere conferma se aveva detto la parola correttamente; al mio cenno di assenso proseguì – avrai nostalgia di me. E di cosa? –
Mi morsi il labbro. Oh, al diavolo, Ronan era il mio unico confidente in quel momento, e se non ne avessi parlato con nessuno sarei andata fuori di testa. – Credo di avere un po’ di nostalgia della famiglia Jackson – ammisi.
– Anche io! Magari quando torno li andiamo a trovare, no? –
Sorrisi. – Non è così facile, Ron. Michael ha molti impegni e non è semplice mettersi in contatto con lui. So che sta lavorando a una specie di film, quindi non me la sento di disturbare – senza contare il fatto che io il suo numero non lo avevo (né mai mi sarei sognata di chiederlo), e che ricordavo solo vagamente dove abitava. Comunque ovviamente non mi sarei mai permessa di fare un’improvvisata a casa del Re del Pop (sì, una parte di me lo vedeva ancora così, che ci posso fare) solo perché mi andava e avevo il cuoricino debole. Ero un’adulta, cristo santo.
– Anche Paris sta facendo il film? –
– Non credo…–
– Allora io potrei comunque giocare con lei, vero? –
Sorrisi di nuovo. – Credo di sì. Ce ne occuperemo quando torni. Ma ora – soggiunsi, guardandolo con aria furba, – mettiamo su un bel cd di canzoni natalizie e entriamo nello spirito. –
Così facemmo; cantammo insieme per tutto il viaggio fino a San Francisco; mentre io, nel mio cuore, non avrei voluto che sentire la sua musica.
 
Vedere Ronan correre incontro a suo padre, felice, mi fece dimenticare ogni sciocco risentimento o timore. Che si riaffacciò però dopo pochi secondi, travestito da ventenne bionda fasciata di rosso dal berretto ai tacchi. Che comunque la lasciavano più bassa di me, cosa che cercai di sottolineare alzando il mento quando Tom ci presentò. Dunque lei era Alice.
Non entrai nemmeno in casa. Tutti e tre insistettero più volte, ma non cedetti. Volevo andarmene e dedicarmi al mio solitario e triste Natale. Scambiai due parole con la ragazza (che constatai essere anche molto gentile e spiritosa, accidenti… beh, non potevo essere certo io a negare che il mio ex avesse buon gusto), presi qualche accordo con Tom, e lo lasciai insieme a mio figlio e a una manciata di raccomandazioni superflue. Sapevo che sarebbero stati bene.
Lasciai San Francisco così come l’avevo raggiunta, sovrappensiero e piuttosto mogia, mentre case e vite che, almeno viste da fuori, sembravano così… piene, mi scorrevano davanti agli occhi. D’altronde lo si dice spesso, è più facile sentirsi soli in mezzo al mondo, che quando lo si è veramente. Certo le cose non mi sembrarono tanto diverse mentre, rientrata a casa a tarda sera e ordinata una pizza, le lancette si avvicinavano pericolosamente a una vigilia che per la prima volta avrei passato da sola. Non ho mai avuto un grande talento nel distrarmi dai pensieri negativi, non sono esattamente il tipo di persona che sorride come se niente fosse quando dentro ha solo un fumo grigio. Mi piace pensare che sono semplicemente sincera con me stessa, ma questa è già una prima bugia: sono solo un’infantile vittima, ecco.
Nonostante questa consapevolezza decisi di cedere e di lasciare a Michael il compito di convincermi che sola non ero, attraverso lo stereo di un salotto che tuttavia non era mai stato così freddo, così vuoto. Piansi nel rendermi conto che non mi mancava mio figlio: mi mancava un amico.
 
La sera successiva trascorse più o meno allo stesso modo. Qualche fetta di pizza, qualche lacrima, qualche nota, come in una sorta di triste deja vù. Più la voce di Michael mi cantava che non ero sola, più mi ci sentivo, perché non lo stava cantando per me, non era lì. Non era stato lì per settimane.
Sapevo che era strano. Mi conoscevo e conoscevo molto bene il mio lato melodrammatico, eppure in quell’atteggiamento, in quei pensieri ma soprattutto in quelle emozioni c’era un qualcosa di diverso. Non era una nostalgia che mi ero cercata per il masochista desiderio di farmi un bel pianto, no, era lei che era venuta a scovarmi, fino nell’angolo più buio della mia casa, anche nei giorni in cui avevo provato a pensare, fare altro. La vita era continuata, senza dubbio; eppure qualcosa di me si era congelato, immobile all’istante in cui avevo salutato Michael per l’ultima volta. Lo ripeto, avrei voluto darmi dell’idiota, lo facevo sempre in quelle situazioni per sdrammatizzare: ma non ci riuscivo. Quello che sentivo era troppo forte.
Mi riscossero alcuni colpi alla porta. Una rapida seppur inutile occhiata allo specchio, mi strinsi nel cardigan e aprii. Non c’era nessuno, e stavo già per darmi della pazza allucinata (quello lo facevo sempre senza alcuna fatica) quando qualcosa attirò la mia attenzione. Un piccolo e morbido involto, ai miei piedi. Incerta, lo raccolsi, e dopo che il mio tatto ebbe assicurato che non si trattava di nulla di pericoloso, né di vivo, né che avrebbe dovuto esserlo (avevo ben troppa familiarità con la cinematografia horror e thriller…) lo portai in casa. Mi risistemai sul divano e iniziai a svolgermelo in grembo. Un accappatoio blu chiaro (ancora oggi, non ho proprio capito come avesse potuto indovinare il mio colore preferito), con un piccolo set da nottata fuori (spazzolino, dentifricio, sapone) nella grande tasca. E un biglietto.
Questi sono per la prossima volta… no, non mi sono dimenticato di quella promessa”.
Lo strinsi al petto con un sorriso. Non ero sola…






Angolo autrice:
Sembra impossibile riprendere in mano una storia dopo oltre tre anni, vero? Credevo non sarebbe mai successo, eppure ieri qualcosa mi ha detto di farlo. Così ho recuperato il file e sono tornata ad innamorarmi di Michael e Claire...spero sarà così anche per voi, lettori vecchi e nuovi. The show must go on! Un abbraccio a tutti coloro che sono rimasti fedeli a questa pagina ed hanno continuato a pubblicare, tornerò presto a leggere anche le vostre di storie, promesso.

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Capitolo 8
*** Tabloid Junkie ***


Capitolo 8. Tabloid junkie
 
 
 
Dopo la rinnovata speranza di vedere Michael, le giornate da sola in casa erano trascorse incredibilmente veloci. Ero rimasta combattiva contro la feroce malinconia delle feste, incolume fino al primo gennaio 2003, e ora attendevo che Tom riportasse Ronan a quella che con ancora una punta di infantile orgoglio ritenevo essere la sua vera casa. Che in quei giorni avevo lasciato un po’ a se stessa, in realtà, motivo per cui il campanello mi colse in piena opera di rimessa in sesto del soggiorno. Ricordandomi con ironia che apparire bella per Tom non sarebbe più stato di alcuna utilità a nessuno,  e rinunciando perfino a dare una piccola controllata allo specchio, andai ad aprire la porta.
– Michael?! – esclamai, sorpresa e in un attimo viola per l’imbarazzo. Il mio cervello ragionò: non solo gli stavo aprendo la porta in una mise a dir poco informale, ma stavo anche correndo il rischio che Tom arrivasse e trovasse in casa mia quel piccolo dettaglio di cui mi ero effettivamente dimenticata di parlargli.
– Ciao Claire – sorrise, col viso e con la voce. L’ansia mi si spezzò nel petto come di colpo e credo che fino in Florida si sarebbero accorti che ero felicissima di vederlo.
– Non mi aspettavo che fossi tu… nel caso non fosse evidente – scherzai, accennando alla mia felpa di tre taglie più grande e ai miei jeans strappati stile adolescente complessata.
Scoppiò a ridere. – Lo sai che non sono un maniaco della formalità… ma devo ammettere che sono un po’ offeso. Speravo ti fosse piaciuto il mio regalo, vedo che non lo indossi mai…–
Inarcai un sopracciglio, mordicchiandomi l’interno delle guance per non ridere. – Anch’io sono offesa. Aspettavo l’occasione speciale per indossarlo, ma non è ancora arrivata…–
Rise di nuovo, alzando le mani in segno di resa. – Ho capito, ho capito, è colpa mia. – svanì il sorriso sulle labbra, ma ne rimase un riflesso negli occhi, che mi scaldò il cuore. – Come stai? –
– Sola, ma ancora per poco. Tom sta per riportare a casa Ron –.
– Spero di riuscire a salutarlo –  fece sinceramente.
– Chi, Ron o Tom? – domandai ironica.
– Ron… a Tom avrei soltanto una domanda da fare…– sollevai le sopracciglia con aria interrogativa. – Cosa mai può aver trovato di meglio di stare una donna come te…–
Risi, lusingata in modo fin troppo evidente. Di solito frasi del genere avevano il potere di… annoiarmi, insomma, quante volte te le senti dire… eppure questa volta rabbrividii, perché nelle parole di Michael c’era sempre un qualcosa che andava oltre e ti dava cento risposte e ti faceva nascere mille domande… – Attento, Michael, sei in campo minato…– lo osservai mentre rideva. Sembrava piuttosto cambiato rispetto all’ultima volta che l’avevo visto, parlava, scherzava eppure sembrava più distante, quasi spaventato. Anche lo sguardo, sempre capace di espiantarmi dal pavimento di casa mia, lanciarmi sulla luna e poi risbattermi a terra, eppure appariva diverso, come se ne avesse passate troppe, come se quelle vacanze non fossero state vere vacanze per lui. – Tu come stai? – gli domandai sinceramente interessata e preoccupata. Aprì la bocca per rispondere mentre mi appoggiavo con la spalla allo stipite della porta, ma quel mio gesto mi fornì una visuale leggermente maggiore sulla strada davanti casa, al che vidi un uomo lì in piedi, a circa cinque metri da noi, con sulla spalla una telecamera.
Mi raddrizzai all’istante, allarmata. – Chi è lui? – istintivamente tirai Michael per un braccio verso casa: forse lo avevano seguito e non se ne era reso conto.
In tutta risposta Michael allontanò dolcemente la mia mano dal suo braccio e mi sorrise. – E’ Martin. Sai che ti avevo parlato del documentario che avrei girato in queste settimane? Lui è il giornalista che mi ha intervistato. Abbiamo quasi finito le riprese, e siccome gli ho accennato di te e Ron aveva pensato di mostrare il rapporto che ho con voi, così forse gli altri capiranno che…–
– Michael! Cristo santo ma ti rendi conto di cosa hai fatto? – la temperatura del mio corpo salì all’istante di cinquanta gradi: ero furiosa. – Spenga la telecamera – urlai rivolta a Martin, dopodichè trascinai quel fottuto genio e me fuori dalla sua visuale. – Non ci posso credere! Come ti salta in mente di venire qui con quel tizio armato di  telecamera, in casa mia e di mio figlio di cinque anni? –
– Non è come pensi, Claire. Martin è una brava persona… –
– Dio mio, non hai ancora imparato niente? –
I suoi occhi si fecero spaventosamente sempre più vuoti mentre discutevamo. – Lui vuole raccontare la verità…–
– Sono io che non voglio entrare nella tua verità, Michael – ribattei, brusca. –Ho un figlio da proteggere. Possibile che tu per primo non lo capisca? –
– Hai… hai ragione, scusa…–
Essere ferma e risoluta di fronte a quell’atteggiamento di Michael, che era sempre meno lui e sempre più un corpo vuoto e ripiegato su se stesso, fu la  cosa più difficile da fare per me. Ma dovevo pensare a Ron e alla mia vita, per prima cosa. – Lasciami fuori dai tuoi casini, per favore –, e, dio, odio dirlo, ma gli chiusi la porta in faccia.
Rimasi incollata al pavimento per un numero indefinibile di minuti, scioccata, indecisa se esserlo di più per il comportamento di Michael, o per come avevo reagito io. È che mi sembrava talmente stupido il suo comportamento, per soli due secondi nel film della vita di Michael Jackson potevo dover rinunciare alla mia vita normale, come aveva fatto a non pensarci? Non sapevo niente di quel Martin e speravo solo che lui ne sapesse abbastanza, ma non poteva pretendere di scaricare anche su di me i suoi pesi. Avevo mio figlio da proteggere e la ferocia per farlo non sarebbe mai stata abbastanza.
 
Mezz’ora non fu sufficiente a riprendersi, ma fu dopo tale arco di tempo che il campanello suonò, preannunciando una visita decisamente più piacevole. – Mamma! –
Ron mi saltò al collo senza nemmeno darmi il tempo di prendere il borsone dalle mani di suo padre.
– Ciao tesoro – mormorai, ricambiando la stretta tanto attesa. Non avevamo mai passato tanto tempo separati, mi era mancato tantissimo. Mi lasciò e insistette per trascinare da solo il piccolo bagaglio fino in camera. Mi risollevai e lasciai che Tom mi salutasse con un bacio sulla guancia. – Com’è andata? –
– Benissimo, è stato davvero un tesoro. Anche se ieri notte non voleva più lasciarci dormire, era troppo emozionato per i fuochi d’artificio –.
– Immagino – sorrisi, ancora un po’ sovrappensiero.
– Piuttosto, qui tutto bene? –
Mi morsi il labbro inferiore. Era il momento di parlargli di Michael? Ora più che mai, ammisi a me stessa, a malincuore. – Sì sì, benissimo. C’è solo una cosa che…–
– Mamma, ti ho portato un regalo! – esclamò Ron, correndo fuori dalla camera da letto.
– Sei proprio un tesoro, piccolo. Che cos’è? –
Mi porse un disegno. Una donna, che riconobbi come me solo grazie ai disegni che mi aveva mostrato negli anni, quattro bambini, e un uomo. Vedere com’era rappresentato quest’ultimo mi fece sbiancare. Aveva dei riccioli neri ed era vestito in bianco e nero. Inoltre i bambini portavano delle maschere. Deglutii la sabbia che mi si era formata in gola. – Questi sono… –
– Io e te con Michael, Blanket, Prince e Paris – rispose fiero.
Alzai gli occhi verso Tom e incontrai il suo sguardo divertito. – Sì, me l’ha detto – confermò.
Mi misi le mani tra i capelli. – Mi dispiace un sacco, credimi, avrei voluto farlo io, è solo che…–
– Non preoccuparti. Solo, mi sono talmente sbizzarrito a immaginarti nella situazione, che adesso vorrei sentire la tua versione dei fatti. – fece, con un sorrisetto furbo. – Avrei voluto essere una mosca…–
– Oh, avresti dovuto esserci, non c’è dubbio – replicai. Poi aggiunsi, un po’ esitante: – Ronan, puoi andare un secondo in camera tua? Devo chiedere una cosa al tuo papà –.
– Va bene, vado a disfare il borsone! – e sparì.
Lo seguii con lo sguardo. – A volte mi chiedo chi lo abbia cresciuto così bene…– scoppiammo a ridere, tuttavia tornai quasi subito seria. – Cosa ne pensi, Tom? –
– Che intendi? –
– Lo sai cosa intendo. –
Alzò le spalle. – Sinceramente mi sembra una bella cosa. Insomma, sai che non credo alle stronzate dei tabloid, ho sempre apprezzato Michael Jackson e l’idea che sua figlia abbia una cotta per mio figlio mi rende molto orgoglioso –.
Risposi al suo sorriso. – Sono contenta che la pensi come me. Però…–
– Però? –
– Non temi che Michael potrebbe metterci in mezzo alla sua vita, se le cose andassero avanti? –
–  Vedila così – fece lui, passandomi un braccio attorno alle spalle – a me sembra un’esperienza divertente, tanto per Ron quanto che per te. Naturalmente, se dovesse succedere che anche solo le iniziali del vostro nome arrivino all’orecchio della pronipote del vicino di casa della nonna della moglie di un qualunque giornalista, il Re del Pop dovrà vedersela con me –.
 
Quella sera cenai con Ronan, che tuttavia era stanco morto e crollò addormentato sul divano non appena lo ebbe sfiorato dopo mangiato. Lo portai in camera, lo coprii per bene e andai a prendere il suo posto sul divano, mentre immancabilmente ritornavo col pensiero ai fatti di quella mattina.
Neanche a dirlo, a Tom non avevo detto nulla. La sua reazione, seppure assolutamente comprensibile, mi aveva congelata e indotta a tacere. Non era stato minimamente nelle mie intenzioni ometterlo, ma in quel momento non sarei riuscita a parlarne, forse nemmeno a pensarci. In fondo sapevo che Michael aveva buone intenzioni e non volevo che Tom potesse anche solo dubitare del contrario. Ma certo, Michael era una persona meravigliosa, non avrebbe mai messo nei guai nessuno…
Allora perché diavolo si era presentato a casa mia con un giornalista?! Cristo santo, lo adoravo ma non riuscivo a capire  che razza di meccanismo fosse partito nel suo cervello per fargli fare una cosa del genere. Perché? Perché proprio nella mia casa?
… perché non aveva nessun altro da cui andare.
Quel pensiero mi soffocò, crollandomi addosso come un macigno. Non era possibile che una persona come lui fosse sola, insomma a parte tutto il circo mediatico che lo attorniava era fantastico e sembrava assurdo che nessuno lo avesse capito, eppure ragionai che se era giunto alla conclusione di inserire nella sua vita una persona insignificante come me (che aveva visto neanche cinque volte), evidentemente non doveva aver trovato molto di meglio.
Cercai di scacciare quell’idea con tutte le mie forze, in preda a un forte disagio. Per due motivi. Il primo, è che ho sempre odiato scoprire o comunque concentrarmi sulle debolezze delle persone per cui provo grande stima e affetto. Non lo so, mi sembra di fare loro un torto, di essere ingiusta, in un certo senso. È difficile da spiegare. Ma il secondo motivo, era che forse avevo cacciato Michael dall’unica casa alla cui porta aveva ancora voglia di bussare.





Angolo autrice:
Carissime lettrici/lettori! I capitoli diventeranno piuttosto intensi e anche più lunghi da qui in poi...spero pazienterete e apprezzerete! Wow! Che bello essere tornata a bordo! Piccola richiesta personale: essendo che ho ricominciato a scrivere dopo una lunga pausa, potrebbero esserci dei cambi di stile da qui in avanti. Se lo notaste e dovesse sembrarvi eccessivo o stonato, non esitate a esprimere la vostra opinione! Sempre apprezzata l'onestà <3 
Un abbraccio a tutti voi, vi auguro una settimana meravigliosa.
 

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Capitolo 9
*** Living with Michael Jackson ***


Capitolo 9. Living with Michael Jackson
 


 
Era una sera di febbraio. Ronan era andato a dormire da un’oretta e stavo aspettando di prendere sonno a mia volta facendo pigramente zapping sul piccolo televisore del salotto. Un documentario, un talk show, un film horror, una televendita, Michael Jackson, una vecchia serie tv, un…
Michael Jackson?!
Tornai rapidamente a quel canale, convinta che fosse uno scherzo della mia mente (mi era capitato piuttosto di frequente in quelle settimane di vederlo un po’ dovunque), ma questa volta non mi sbagliavo.
Così, per la prima volta vidi il documentario “Living with Michael Jackson”. Fu anche l'ultima volta in assoluto... perché era la cosa più sbagliata e sconvolgente che avessi mai visto.
Non me ne accorsi subito. Mi fecero sorridere i racconti di come componeva la sua musica, mi commossi nel vederlo ballare e Martin mi sembrò davvero carino, mentre tentava di imparare in moonwalk e rideva con Michael. Rimasi un po’ perplessa nel vedere quest’ultimo fare shopping, sempre tallonato dalle telecamere come nulla fosse, e raccontare cose della sua infanzia che mai nessuno avrebbe dovuto sentire, tanto quanto lui non avrebbe dovuto viverle.
Iniziai a intuire che qualcosa non andava quando Martin introdusse l’argomento delle accuse per molestie. C’era qualcosa di… strano. Il dialogo non filava in modo naturale, le domande stonavano, sembravano chiedere una cosa ma intenderne cento altre, come architettate per deviare la tua opinione in una direzione sola, non c’era niente del Michael che conoscevo io, la sua voglia di vivere, il suo talento, la sua dolcezza, non c’era niente di tutto ciò. Quel documentario non parlava di lui. Parlava di quello che la massa voleva sentirsi dire di lui, la sua chirurgia, le sue vicende legali, i suoi traumi. Come se non fosse un uomo ma un insieme di scartoffie di avvocati, dottori e manager. Una figura che nasceva e moriva nell’opinione altrui, a tratti un fantasma, a tratti un idolo, a tratti un mostro…
Scoppiai a piangere nel vedere come, ancora una volta, Michael Jackson era stato incastrato, violentato dall’ “assetato di verità” di turno, nel vedere un mare di merda che solo io e purtroppo pochi altri avevamo il privilegio di sapere con certezza che era falso, totalmente falso; nell’immaginare lui che in quello stesso momento si guardava in quell’orribile specchio distorto senza sapere come tornare indietro, come salvare la sua immagine, o perlomeno, la sua anima.
Non ci pensai un minuto di più. Preparai una borsa con un piccolo kit di sopravvivenza, dopodiché andai in camera da letto.
– Ron, tesoro –  lo chiamai, piano ma con decisione.
– Mmm… –
Intenerita, lo accarezzai dolcemente. – Ron, per piacere, ho bisogno che tu venga con me –.
– Perché? – domandò con la voce indebolita dal silenzio di quelle ultime ore.
– Dobbiamo andare a trovare un amico –.
 
Sapevo che la silenziosa obbedienza di mio figlio sarebbe stata solo momentanea. Dopo che lo ebbi caricato in macchina si riprese del tutto e iniziò a fare domande. Come potevo spiegargli la cosa meno sensata ma più sentita che avessi mai fatto?
– Credo che Michael abbia bisogno di un po’ di compagnia – tentai maldestramente.
– Stiamo andando a Neverland? – esclamò, tutto eccitato.
– Sì, tesoro. Anzi, dovrai aiutarmi a ricordare dove si trova – “al buio, dopo tre mesi, sarà una passeggiata” mi dissi, sconcertata.
– Sono contento! Ma come mai a quest’ora? –
“Già, Claire, come mai? Non ti faranno nemmeno entrare. Chiameranno la polizia. Sempre se riuscirai ad arrivarci.” Sbuffai, odiavo quando riuscivo a autosabotare le mie buone intenzioni. Così, più a me stessa che a mio figlio, risposi: – Credo di non essere stata una buona amica per Michael ultimamente, ma penso che ora sia il momento di esserlo. E i buoni amici, se hanno anche solo il minimo sospetto che ne hai bisogno, si precipitano da te all’istante –.
– Mamma? –
– Sì? –
– Credi che Michael avrà ancora i biscotti al cioccolato che c’erano l’ultima volta? –
Scoppiai a ridere. – Vedremo –.
               Dovevano essere più o meno le due di notte, quando guidata da mio figlio e una buona dose di fortuna giunsi davanti ai cancelli di Neverland. Una telecamera mi fissava, muta come tutto quanto intorno a noi. Non c’erano guardie, luci accese, voci, niente. Effettivamente era piuttosto tardi…ma dovevo provare, avevo la sensazione, contradditoria rispetto a ciò che mi circondava, che fosse quello il momento giusto per essere lì. Con un sospiro mi armai di coraggio, indossai la mia bella faccia di bronzo e a voce alta (anche se piuttosto tremolante) chiesi: – C’è nessuno? –
No.
Dopo un minuto di angosciante e imbarazzante attesa, sentii dei passi dirigersi verso di me. – Chi sei? – domandò una figura scura, non troppo gentilmente.
– Scusami, non volevo disturbare… so che è tardi… sono Claire Morgan, una…–
– Vieni dentro – mi interruppe l’uomo, aprendo i pesanti cancelli. Quel gesto mi stupì, mi aspettavo di dover fornire eterne spiegazioni su chi ero, sul perché ero lì, di essere magari perquisita e dio solo sa cosa, sì, forse effettivamente vedevo troppi film ma… forse quella guardia qualcosina di me la sapeva. Non riconobbi se fosse una di quelle incontrate al parco mesi prima.
– C’è anche mio figlio…– aggiunsi titubante, stringendo la mano a Ronan.
– Non c’è problema, entrate, non è sicuro parlare qui fuori –.
– Grazie – lo seguimmo lungo il viale che anche al buio lasciava intuire la sua maestosità. – Michael è sveglio? –
– Credo lo rimarrà ancora per molto – rispose lui, lasciando a intendere quello che temevo. Non sarebbe stata una notte facile per Michael Jackson.
A mano a mano che ci avvicinavamo alla villa, sentivo delle urla intervallate da fragorosi rumori, come di vetro in frantumi. Guardai l’uomo con aria preoccupata. – Sta distruggendo la casa – fece lui con aria grave. – Non riusciamo a calmarlo. So che non vorrebbe essere visto così, ma potresti essere d’aiuto –.
Accelerai il passo per stargli dietro, estraniandomi per un attimo dalla situazione e rimirando quel quadretto bizzarro dall’esterno. Improvvisamente mi sentivo quasi essenziale per un uomo che fino a pochi mesi prima era una figura avvolta dal mistero, impeccabile sul suo piedistallo; con cui avevo condiviso soltanto una manciata di ore; che era anni luce distante da me, in ogni senso possibile; e che, ciliegina sulla torta, l’ultima volta avevo cacciato da casa mia.
Era surreale e quasi ridicolo, eppure sentivo l’urgenza di quella situazione fino nelle ossa, e allo stesso tempo la sensazione di essere nel posto giusto, complice anche l’accoglienza che mi aveva riservato la guardia.
Mi fece entrare nella villa. Sentii Michael dalla stanza immediatamente adiacente urlare forte come non avevo mai sentito fare nessuno prima, con la voce carica di una rabbia e un dolore che mi tagliò il respiro con una forza inaudita. D’istinto portai le mani sulle orecchie di Ronan, allo stesso tempo però costringendo le mie a sentire tutto.
L’uomo di fronte alla mia espressione sicuramente terrorizzata mi fece segno di aspettare lì e andò da Michael. Lo sentii sovrastare (non so ancora come) la sua voce e ordinargli di calmarsi, per poi, più piano, probabilmente annunciargli che ero lì. Una donna dall’aria vagamente familiare mi venne incontro e con un sorriso e qualche parola che non ricordo portò Ronan con sé, glielo affidai volentieri, mi ci sarei affidata anche io, non meno volentieri.
Ritornò anche la guardia del corpo. – Preferisce essere lasciato da solo –.
– Oh, d’accordo, allora aspetto qui… –
– No, intendevo solo con te – mi interruppe, con un sorriso un po’ stanco, un po’ speranzoso, credo. Mi diede una leggera spinta in avanti, al che mi armai di tutta la determinazione rimasta e andai incontro a Michael.
Lo trovai seduto su una poltrona, la testa fra le mani, incurvata sotto pesi invisibili; a terra un macello, frammenti degli oggetti più vari. Camminai incerta, stando attenta a non pestarli, fino a distanziarlo di meno di un metro. – Michael? – azzardai.
– Claire…– sospirò, con una voce irriconoscibile. Ancora peggio di quella piena di rabbia che avevo appena sentito: era una voce spenta, stanca, arresa.
Mi inginocchiai incerta davanti a lui. – Non vorrei essere la tua donna delle pulizie domani mattina… – commentai per riempire il silenzio. Non replicò. – Posso sperare che stessi testando la validità di questi oggetti domestici come percussioni per un futuro brano? Perché devo ammettere che…–
Rise, solo per un attimo, senza una reale gioia. – Non ci sarà un futuro brano, mai più. Non ci sarà niente. – mi guardò per la prima volta. Desiderai che non l’avesse mai fatto…faceva, letteralmente, paura. Aveva il viso stravolto, irriconoscibile, scavato. –Avevi ragione, Claire. Non sai quanto. E non sai quanto vorrei che fossero tutti come te, che mi sbattessero fuori di casa, perché lo credono, piuttosto che… – le emozioni gli strozzarono la voce in gola.
Lo avvolsi in un abbraccio, commossa da quella scena. – Stai un po’ zitto. Mi è andata bene che qualcuno l’abbia combinata più grossa di me, ma non puoi dimenticare che sono stata veramente un’amica terribile… quindi non provare neanche a giustificarmi –.
– Però sei qui…– replicò, stringendomi piano.
Mi rannicchiai sulla poltrona accanto a lui e lo costrinsi a guardarmi. Volevo cavargli fuori quel po’ di anima che gli era rimasta, o meglio, che gli avevano lasciato. – Ora sì…ma basta parlare di me. Ti va di dirmi come stai? –
– Non saprei da dove cominciare…–
– Fai come se dovessi scrivere una canzone. Non dai un ordine alle idee, segui quello che hai dentro e lo porti fuori…magari senza distruggere altri vasi, ma prendilo solo come un suggerimento, nulla di più…–.
Accennò un sorriso, e mi sembrò di vedere centomila albe tutte insieme. – Non so più cosa fare, Claire. Sono stanco. Stanco di essere usato, derubato della mia anima e venduto. Non è giusto. Io vorrei, dovrei, reagire con amore, non prendermela, lasciar correre ma a volte… ho solo voglia di rompere qualcosa…–
– Lo credo bene! Reagire con amore un paio di palle. Sei umano anche tu. –
– Non mi vogliono umano loro… a loro non importa…–
– Importa a noi. Saremo in pochi ma sappiamo cosa c’è qui dentro – gli poggiai una mano sul petto, che batteva all’impazzata. – Non dovresti lasciar correre e non dovresti neppure lasciarti andare. Sarebbe solo un favore che fai a quella manica di bastardi, e non meritano neanche un briciolo del tuo perdono. –
Michael appariva terribilmente stanco. Cercai di scervellarmi nel tentativo di trovare qualcosa che lo tirasse fuori da quello stato, o che perlomeno lo sollevasse da quella poltrona, affinchè tornasse a respirare normalmente nonostante quel macigno non più invisibile che portava addosso. – Facciamo così…ora sua maestà farà una cosa che non ha mai fatto in vita sua…– trafficai nei vari mobili lì intorno finchè non trovai qualche sacco, dei guanti, una scopa e una paletta. –…cioè metterà ben due guanti – proseguii – e farà un po’ di lavoro manuale. Mai sentito parlarne? – lo sorpresi a sorridere più apertamente di prima. – Guarda che non sto scherzando. Adesso rimediamo insieme a questo piccolo disastro. Non vorrai che qualcuno si faccia male e ti metta su un’altra causa in tribunale. Dài. –
Mi squadrò con un’espressione indecifrabile. – Non so come fai a scherzare su cose così orribili e non farmi nemmeno arrabbiare –.
Gli sorrisi. – Ogni Cenerentola ha i suoi poteri. Adesso smetti di parlare e lavora –.
Passammo quindi le due ore successive a ripulire il pavimento di tutti i cocci. Non parlammo, ma accadde, un paio di volte, di sentirlo canticchiare. Michael stava tonando. L’avevo fatto tornare.
Alle prime luci dell’alba crollammo addormentati l’uno sull’altra accasciati sulla poltrona, senza la forza -né, ammettiamolo, la voglia- di trovare una sistemazione migliore.
 
La luce del giorno mi ferì la vista e la già poca voglia di risvegliarmi. Mi stiracchiai con un piccolo brontolio, cercando di dare un ordine ai miei arti, scomposti e aggrovigliati come non mai. Quando trovai il coraggio di riaprire gli occhi, ne trovai circa altre sei paia a fissarmi, più di quanto chiunque credo avrebbe potuto sopportare. Cercai quelli a me più familiari, e sorrisi nel ritrovarli.
– Ciao mamma! – esclamò mio figlio, allegro ma non completamente sereno. Comprensibile, lo avevo messo in una situazione non splendida quella notte.
– Ciao Claire – sorrise Michael, avvicinandosi con un piatto. Scossi la testa ricambiando il sorriso. – Il tuo stomaco dorme ancora, vero? – annuii. Lui rise. – Scusa, non me la sentivo di svegliarti… –
Scossi la testa, facendogli capire che non erano le sue scuse ad interessarmi. Lo osservai meglio. Aveva ancora l’aria stravolta ma sorrideva, un po’ anche con gli occhi, e tanto mi bastò. Mi accorsi a malapena dell’arrivo della domestica che si era presa cura di Ronan la sera precedente mentre, su richiesta di Michael, portava i bambini nell’altra stanza. – Non era necessario, sono io l’intrusa – feci, un po’ imbarazzata. – Tanto per cambiare, potresti cacciare me così come io…–
– Smettila – mi ammonì, sedendosi sul bracciolo della poltrona su cui avevo (avevamo) dormito. – Non voglio sentirti rimproverare te stessa un solo attimo di più. Hai fatto una cosa splendida ieri sera. – lo guardai senza saper cosa rispondere. – E mi dispiace per come mi sono comportato – aggiunse.
– I complimenti te li lascio passare, fanno sempre bene di prima mattina. Ma non servono neanche le tue di scuse. Sono venuta qui per starti vicino...a qualunque costo – scosse la testa sorridendo, senza replicare. – Come stanno i bambini? –
– Ronan ha dormito con i miei figli stanotte. Non ha fatto domande, è stato tranquillo per tutto il tempo. I miei… non è la prima volta che capita una cosa del genere, purtroppo –  sospirò.
– Sanno cos’è successo? –
– Non saprei come spiegarglielo… non so nemmeno come spiegarlo a me stesso – scosse la testa, questa volta con indignazione.
Mi sentii impotente, ancora una volta, di fronte a quel concentrato di sofferenza. – Michael, io sono una frana con le parole e tutto il resto, però… dimmi cosa vuoi che faccia, qualunque cosa, e d’ora in poi sarà l’unica cosa che farò. –
Mi guardò intensamente. – Sii Claire. –
 
– Non me ne frega niente, Michael. –
– Non ti credo. Per favore! Hai detto che avresti fatto tutto quello che volevo –.
– Sei un imbroglione! La tua risposta è già stata che volevi che fossi me stessa. Io sono me stessa a casa mia... hai visto dove vivo? È inutile che pesti i piedi come i bambini. Non mi trasferisco qui neanche se mi implori in ginocchio. –
– Non ti ho chiesto di trasferirti, solo di fermarti con Ron per qualche giorno… – replicò. Era ormai da mezz’ora che discutevamo, io non ne volevo sapere di fermarmi lì, sempre per la solita storia di non abituarmi troppo bene, di ricordarmi che ero una persona normale, di scappare dagli uomini, bla bla bla.
– Ho bisogno di lavorare, Michael… –
– Lavora per me. –
– Sebbene sia lusingata, non prenderò soldi per farti sostegno psicologico. Non sono abbastanza qualificata. –
– Sto parlando del tuo lavoro. Puoi farlo qui. C’è sempre bisogno di una mano in più, sono sicura che anche le domestiche lo apprezzerebbero…–
– Soprattutto se continui a distruggere la casa – replicai con un sorriso innocente.
– Lo continuerei a fare solo per farti rimanere –.
Scoppiai a ridere. – Vuoi che diventi la tua Cenerentola? Cenerentola a Neverland…cominciano a mescolarsi le fiabe e io mi confondo. Forse dovrei rimanere in quella cosa chiamata mondo reale…–.
– Cos’ha di così bello? –
– E’ normale. –
– Beh…tu sei la cosa più normale della mia vita in questo momento. –
Lui per me non lo era, non c’era assolutamente nulla di normale nella sua presenza attorno a me, nel suo desiderio di avermi vicina, io, io con i miei jeans strappati, io che vivevo in affitto in un appartamento che lui avrebbe quasi potuto mettersi in tasca, io che non avevo talenti. Avevo paura, paura di credere che quella potesse diventare la mia vita, paura di un giardino più grande della mia immaginazione, paura di un uomo colmo di dolore ma anche di amore…
– Michael…–
– Ti voglio qui con me, Claire –.

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