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di Gy_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Inghilterra, 1522 Lentamente, la febbre la stava consumando. La lampada ad olio posta al lato del letto le illuminava il volto scarno, evidenziando gli zigomi che sembravano bucare la pelle. Le dita di Kenna stringevano quelle della donna riversa tra le coltri del letto con impotenza.  «Madre. Madre. Madre.» mormorava di tanto in tanto, ma lei non rispondeva mai. Kenna sapeva cosa stava per accadere. Sapeva che quelli sarebbero stati gli ultimi istanti di vita di sua madre. Piangeva, nonostante il conte Ferguson le avesse imposto di non farlo, dicendo che nessuna lacrima sarebbe valsa a salvare la vita della moglie. Eppure la bambina non aveva fatto altro da tre giorni, da quando Suzanne era corsa nelle sue stanza e l'aveva svegliata, gridando che la contessa stava male. Kenna non aveva capito subito cosa significasse. Aveva chiesto spiegazioni alla donna e lei si era limitata a scuotere la testa, e poi a condurla nello studio del padre. Anche a lui la bambina aveva chiesto cosa stesse succedendo. E suo padre le aveva risposto con estrema e crudele chiarezza. "Sta morendo. Presto tua madre scomparirà da questa casa." Richard Ferguson non si era presentato al capezzale di sua moglie nemmeno una volta. Kenna strinse più forte le dita della madre morente, e poi si portò la sua mano sul cuore.    «So che non potete sentirmi, madre...» Sussurrò, tra i singhiozzi . «Ma vi prometto che dove andrete quando i vostri occhi si chiuderanno per sempre sarà un posto tranquillo... potrete riposare in pace. L'ho chiesto a Dio e sono sicura che lui esaudirà le mie preghiere.» Emily Ferguson ruotò lentamente e involontariamente il capo verso di lei. I suoi capelli corvini, che fino a pochi giorni prima erano stati boccoli morbidi e ondulati, ora erano appiccicati alla pelle, talmente umidi da sembrare bagnati. Il colorito era pallido e spento, le labbra secche. Intorno agli occhi, profonde ombre scure. Kenna si abbassò a baciare la sua fronte, madida di sudore, lasciando che le labbra si impregnassero per sempre del sapore della pelle della donna che l'aveva partorita, nell'attimo della fine. «Papà non è mai venuto a trovarvi» continuò la bambina, tirando su con il naso. «Ma forse è meglio così. Non vi merita, madre... lui non vi merita...» E poi, mentre scoppiava di nuovo in lacrime, la porta si spalancò e Richard Ferguson, seguito dalla cuoca e da un altro paio di serve, irruppe nella stanza. Kenna sussultò, accostandosi di più al corpo della madre. Per cercare protezione, forse. O perché era consapevole del fatto che quello sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista.   «Portatela fuori» ordinò la voce del conte, senza alcuna venatura di dolcezza o paternità. «E non fatela rientrare. Mai.» Kenna impiegò qualche attimo a comprendere cosa quelle parole significassero. La mano di Suzanne si posò sulla sua spalla, stingendola delicatamente. «Signorina Kenna...» la chiamò sommessamente. Kenna percepì, al di là delle proprie, anche le lacrime della donna, alle sue spalle. Lacrime che, probabilmente, anche lei stava cercando di nascondere. La bambina scosse vigorosamente la testa, mentre baciava la mano della madre e vi affondava il volto. «Non voglio lasciarla... lasciatemi qui!» gridò fra le lacrime. «Signorina, vi prego... venite via...» Quando Kenna scosse ancora la testa la mano di suo padre, ruvida e potente, si avventò sui suoi capelli, trascinandola indietro con violenza. «Esci da questa stanza, immediatamente.» Digrignò i denti e strinse più forte, fino a quando Kenna non lasciò la mano di sua madre per poi accasciarsi contro la gonna di Suzanne, in lacrime. «Signore, vi prego... state... » «Ti ho forse detto di intervenire, cuoca?» tuonò Richard Ferguson, con lo sguardo carico di rabbia. «Vattene da questa stanza e porta mia figlia con te. Adesso.» Tremante, la donna aiutò la piccola Kenna a sollevarsi e la trascinò via, mentre la bimba, con la vista appannata dalle lacrime, vedeva per l'ultima volta il volto  di Emily Elizabeth Ferguson.  «E voi»  il conte apostrofò le altre due serve, che si misero immediatamente sull'attenti.  «Rimanete qui e assistetela. Non appena sarà morta venite a chiamarmi.»

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Inghilterra, 1831 «Non lascerai questa stanza finché non te lo dirò io.»   Il sibilo glaciale di Richard Ferguson, quarto conte di Witherspoon, inchiodò la figlia al pavimento. Nonostante Kenna Ferguson non fosse mai stata troppo incline a farsi piegare, da nessuno, dal tono di suo padre capì che sarebbe stato meglio non sfidare troppo la sorte. Strinse le dita intorpidite dal freddo sulla stoffa della poltrona, deglutendo nervosamente. Lo studio di suo padre era un locale gelido, specialmente nei mesi invernali, ma anche ora che la primavera era arrivata le temperature non avevano accennato ad aumentare, e un brivido di freddo le percorse rapido la spina dorsale.  «Non ho intenzione di sposare quell'uomo, padre» ribadì per l'ennesima volta da che aveva aperto gli occhi quella mattina. Sollevò il mento. «Ve l'ho già detto.» La mano del conte si bloccò a mezz'aria, le dita strette intorno alla penna d'oca. L'inchiostro gocciolò copiosamente sulla carta stesa sulla superficie del tavolo, ma nessuno dei due sembrò notarlo.  «A quanto pare la questione non ti è abbastanza chiara» obiettò con voce rigida. -Tu farai ciò che io dico» continuò, senza degnarla del minimo sguardo. «Lo farai per il bene di questa famiglia, ma soprattutto per il tuo bene.» «Il mio bene?» sbottò Kenna, infervorandosi. «È assurdo! Volete costringermi a sposare un uomo che non ho mai visto in vita mia, per giunta talmente più vecchio di me che potrebbe essere mio padre, un uomo che non amo e non amerò mai, e non vi importa minimamente di quale sarà il mio futuro. Tutto questo solo perché la vostra sete di potere vi sta accecando e bramate terre che non necessitate! Perciò non parlate del mio bene, padre. Si tratta unicamente del vostro. L'unica cosa che vi sia mai interessata.»   Richard abbassò la mano talmente rapidamente che la penna cadde sul foglio con un tonfo netto. Kenna era troppo arrabbiata per riflettere su quanto le sue parole avrebbero influito sulla reazione del padre. «Amore»ghignò l'uomo con disprezzo -parli di amore. Ma che cosa ne sai tu, dell'amore? Sei solo una ragazzina screanzata e immatura che pensa di conoscere ogni cosa quando è tutto il contrario. Non hai la minima idea di quello che c'è là fuori! L'amore non esiste, mi hai sentito? E non ti permetterò di mandare a monte i miei piani per seguire il tuo stupido sogno. Sposerai Edward BlackWood e sarò io stesso a trascinarti all'altare, se sarà necessario. È la mia ultima parola.» «E la mia, di parola, non conta nulla?» replicò lei in un soffio. Il sangue le pulsava nella testa, impedendole di pensare con sufficiente lucidità, e le mani le dolevano nello sforzo di stringere la stoffa della sedia.  «Fondamentalmente» rispose suo padre con noncuranza «No.» Kenna avvertì il peso delle lacrime, come centinaia di lame invisibili che pungevano il retro dei suoi occhi, nel tentativo di far fuoriuscire il pianto. Avvertì il proprio sguardo inumidirsi e il battito rapido del cuore contro lo sterno. «Padre» mormorò avvicinandosi allo scrittoio, dove Richard era ancora chino su quelle dannate carte che avrebbero determinato la sua rovina. «Vi imploro. Guardatemi negli occhi.» Forse, pensò, se lui avesse sollevato la testa e l'avesse guardata, se si fosse sforzato di capirla, Kenna avrebbe cercato di scrutare nei suoi occhi chiari, così diversi dai suoi, cercato di trovare quel poco di compassione che era sicura fosse rimasta nel padre. Ma l'uomo continuò a far scorrere la penna sulla carta, intingendola di tanto in tanto nel calamaio. Kenna seguì con lo sguardo il percorso dell'inchiostro sul giallo opaco del foglio, e vide, con terribile realtà, come sarebbe stata la sua vita dal momento in cui avesse sposato Edward BlackWood. L'angoscia l'assalì, mozzandole il fiato. Ma era consapevole, sopra ogni cosa, che suo padre non avrebbe rivalutato la sua decisione. «Esci di qui, figlia.»   Non sollevò lo sguardo dal tavolo. Mai. Nemmeno una volta. Kenna venne investita da quella freddezza e fu un colpo talmente brusco e potente da toglierle il respiro. Senza dire una parola, accompagnata dalle lacrime, si voltò avviandosi a passi incerti verso la porta. Rivolse un ultimo sguardo di supplica al padre, ma la sua testa era ancora china, la sua mano scorreva ancora sulla carta. Avvertì un groppo chiuderle la gola, e una rete ingarbugliata di parole bloccate nella bocca. Ma il senso di sconfitta, il pianto, la delusione vinsero sul bisogno di urlare. Kenna non ebbe la forza di dire nulla. E nel lasciare la stanza, le spalle incurvate e il petto in fiamme, non si accorse delle lacrime che zampillarono sul prezioso tappeto rosso rubino, inzuppandolo come avrebbe fatto una cascata di sangue.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Kenna percorse correndo la larga rampa di scale che conduceva ai piani superiori, tentando in tutti i modi di soffocare i singhiozzi premendosi una mano sulla bocca. Si sentiva il petto in fiamme e non riusciva quasi a respirare a causa delle lacrime che cercava disperatamente di reprimere. Si fermò a riprendere fiato, aggrappandosi allo spesso scorrimano in pietra levigata e appoggiò la testa sulla fredda superficie. Avrebbe dovuto smettere di piangere, lo sapeva, ma il dolore che la tormentava era troppo potente perché potesse affrontarlo. Era intollerabile che suo padre l'avesse praticamente venduta a uno sconosciuto, qualcuno a cui non avrebbe mai potuto donare il proprio cuore. Inspirò ed espirò a lungo, a fondo. La testa continuava a pulsare violentemente, la gola le bruciava. "Respira, Kenna", impose a se stessa. Sollevò la testa dallo scorrimano, deglutendo nervosamente. D'un tratto un pensiero le attraversò la mente.  Voltandosi, si sollevò le gonne e percorse a ritroso le scale che aveva poco prima salito. Evitando di fare troppo rumore, passò davanti alla porta dello studio di suo padre, indugiando appena un istante. Provò l'impulso di piombare di nuovo nella stanza per affrontare il conte, ma poi il buon senso ebbe la meglio, e la ragazza accantonò il cattivo proposito. Scuotendo decisa il capo, si diresse svelta in cucina dove, scoprì non appena raggiunse l'entrata, regnava il caos. Sul focolare sobbolliva un paiolo che doveva contenere dello stufato. Ceste di fagioli e ceci ingombravano il pavimento di pietra; accanto alla porta posteriore era accatastata della legna. Una donna sulla cinquantina, con le mani arrossate, stava affettando dei porri. Su un piccolo tavolo traballante, posto accanto all'aquaio, una ragazza sui diciotto anni stava lavorando un impasto appiccicoso.  «Dannazione, Lucy, chiudi quella porta o finiremo per congelarci!- gridò la donna più anziana senza alzare lo sguardo dai porri. «E dì a Will di andare al villaggio, a vedere se riesce a trovare del pane. Quello che stai impastando non avrà il tempo di lievitare e...- all'improvviso alzò lo sguardo, notando Kenna sulla soglia. «Signorina- esclamò, mettendo giù il coltello e asciugandosi le mani nel grembiule.  «Cosa ci fate qui? Posso fare... » «Sono venuta perché mi sento sola e... usata» spiegò lei in un soffio. «Ho davvero bisogno di qualcuno con cui parlarne. Vi prego.»   La donna le rivolse uno sguardo compassionevole, sospirando. Lucy smise di impastare il pane e si pulì le mani, avvicinandosi alle due donne.  «Dunque ve ne ha parlato» mormorò la ragazza. Suzanne, la donna più anziana, le rifilò un'occhiata ammonitrice, scuotendo la testa.  «Lucy non intendeva essere...» «Lo sapevate?» la interruppe Kenna col fiato mozzo. Le altre due si scambiarono uno sguardo amareggiato, annuendo. «Abbiamo sentito delle voci» spiegò Suzanne lentamente. «In cortile, nelle stalle. Will e Charlie ne stavano parlando fra loro, hanno detto di aver sentito il conte urlare ad alta voce nel suo studio, che avrebbe fatto sposare sua figlia prima che finisca il mese. Ma onestamente, non abbiamo dato troppo peso alla cosa, anche perché Will non è un tipo troppo affidabile e poteva aver travisato le parole di vostro padre...»  «A quanto pare aveva ragione, però...» intervenne Lucy. Si accorse di aver osato troppo e si morse la lingua. «Perdonatemi, signorina... » «Non preoccuparti, Lucy» la tranquillizzò lei con dolcezza. C'era una sfumatura amara, nella sua voce, resa roca dal pianto che aveva placato solo pochi minuti prima. «Non posso credere che sarò venduta a quell'uomo» sussurrò, scuotendo lentamente il capo. «Non posso crederci...»  «Signorina» disse Suzanne, afferrandole delicatamente una mano e stringendola. «Non dovete disperare. Forse vostro padre cambierà la sua decisione, e aspetterà ancora qualche tempo prima di farvi sposare. Magari con qualcuno di più adatto a voi...»  «Non penso che succederà, Suzanne» replicò lei flebilmente. «Per mio padre e per la maggior parte della società inglese, sono considerata al di fuori dell'età prevista per il matrimonio. Sono già in ritardo. E mio padre lo sa. Non permetterà che il nome della nostra famiglia venga infangato dalla mia condotta errata. »Lucy emise un lieve singulto.Suzanne abbassò lo sguardo, sospirando. Entrambe avevano colto la disperazione nella sua voce.  «Il mio unico consiglio è quello di non perdere la speranza, signorina. Come diceva vostra madre.» Kenna battè le palpebre per scacciare le lacrime. Un sorriso amaro le si disegnò sulle labbra.  «Mia madre» mormorò, abbandonandosi al suo ricordo. «Lei voleva che avessi speranza. Me lo diceva sempre.» «Esatto, bambina» Suzanne le accarezzò dolcemente una guancia, con fare materno. «Diceva che la speranza è l'unica cosa che permette agli uomini di affrontare la vita. E aveva ragione. Dovete solo crederci.» Kenna chiuse gli occhi, abbandonandosi contro la mano calda e callosa della donna.  «Mia madre aveva sempre ragione, vero?»  «Era una donna molto saggia.» Suzanne le sorrise, forse ricordando i tempi passati, quando aveva cresciuto la madre di Kenna, esattamente come aveva fatto con lei.  «Avete preso molto da lei, Kenna. continuò con dolcezza. «Soprattutto il suo carattere. In tutti questi anni io vi ho osservata, vi ho vista crescere e diventare la donna forte che siete. Dovete solo sconfiggere questo dolore che vi consuma e combattere, combattere fino in fondo. Ce la farete solo se crederete in voi stessa e nelle vostre capacità. È quello che ripeto continuamente a Lucy» si voltò verso la ragazza, sorridendo. «Con lei ci sto ancora lavorando, ma avrà tempo. A voi, invece, non ne resta molto. Dovete combattere ora, Kenna.»  Lei la guardò con lo sguardo appannato dalle lacrime. Aveva ragione. Aveva così dannatamente ragione. Se si fosse sottomessa alla decisione del padre avrebbe condannato se stessa a una vita di sofferenza e infelicità, alla mercé di un uomo che l'avrebbe sfruttata esclusivamente per soddisfare i doveri coniugali, un uomo a cui non sarebbe importato vederla piangere in una stanza fredda, rimpiangendo gli anni passati alla vecchia casa dove era nata e cresciuta. Prese un respiro profondo, scacciando dalla mente quei pensieri.  «Grazie, Suzanne. Per le parole, i consigli. Per essermi stata accanto quando nessun altro c'era. E grazie Lucy» aggiunse dolcemente, rivolta alla ragazza che le restituì il sorriso. «Ti ho sempre considerata una sorella e ho imparato a volerti bene.»  «Siete una ragazza meravigliosa, Kenna Ferguson- disse Suzanne, abbracciandola. «Come lo era vostra madre. Non lasciate che vostro padre vi rovini la vita.» Kenna annuì, affondandole il volto nella spalla. Non l'avrebbe fatto. Non avrebbe permesso a suo padre di condizione la sua esistenza, per nessuna ragione al mondo. Avrebbe onorato la memoria di Elizabeth Ferguson, la madre che aveva amato con tutta l'anima, la donna che il destino aveva strappato al mondo troppo presto. Kenna respirò a fondo. Lanciò uno sguardo a Lucy, da sopra la spalla di Suzanne. La ragazza le restituì lo sguardo, sorridendole incoraggiante. E allora, Kenna lo seppe. Con assoluta certezza. Avrebbe combattuto per la sua indipendenza. E avrebbe vinto. A qualunque costo.

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