Feathers.

di aoimotion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricordo ***
Capitolo 2: *** Grido ***



Capitolo 1
*** Ricordo ***


NOTE DI APERTURA

Questa raccolta nasce dal mio spasmodico bisogno di scrivere. Scrivere della vita, dei sentimenti, di quello che ci rende umani e capaci di provare una così vasta varietà di emozioni.
Ognuno di questi capitoli sarà a sé; saranno tutte storie con un inizio ed una fine, in cui verrà messo in rilievo ciò che riterrò importante e trascurato, invece, ciò che non lo sarà (o che semplicemente non dovrà essere specificato, ma lasciato alla discrezione del lettore). Le piume di questa raccolta verranno aggiunte quando saranno pronte, perciò non conosco a priori il loro numero... ma spero sempre che saranno tante, almeno quanto questi sentimenti che conservo dentro di me e a cui desidero disperatamente dare vita. Tratterò di temi diversi, e lo farò in modi diversi, ma sarà l'amore ad accomunarli tutti quanti -- avrei voluto pubblicare nella sezione "Sentimentale", se solo esistesse...

Questa è la prima volta che provo a cimentarmi in qualcosa del genere, perciò non ho idea di cosa ne verrà fuori. In ogni caso, ringrazio chiunque avrà voglia di dare un'occhiata a queste storie. Lo ringrazio di vero cuore.

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C’è stato un tempo in cui eri tutto per me.
 
La tua figura rifulgeva come un faro nella notte ed io, sciocca falena, non potei far altro che volare verso la luce che emanavi. Era semplicemente naturale, perciò non tentai mai di oppormi al mio inevitabile destino.
 
Sapevo anche, con altrettanta naturalezza, che non sarebbe durata a lungo; ma mille volte avrei scelto di morire per te, piuttosto che vivere in solitudine. Questa era la forza della mia risolutezza, e credetti che fosse abbastanza.
 
Evidentemente… non lo era.
 
______
 
 
Ricordo ancora il giorno in cui mi lasciasti. Ricordo le tue parole, i gesti che le accompagnavano, il modo in cui la tua sciarpa ondeggiava attorno al tuo collo – perché non volevi saperne di annodarla come si deve, mai – mentre mi dicevi che tra di noi non poteva più funzionare.
Ricordo il colore del cielo, l’odore di neve che impregnava l’aria, il gelo che penetrava attraverso i vestiti. Ricordo come, alla fine di quel lungo discorso di cui non volli comprendere una sola sillaba, tu tendesti la tua mano verso di me. Ricordo il mazzo di chiavi che giaceva sul tuo palmo, la tua voce che mi diceva addio, il suono del mio cuore che andava in mille pezzi.
 
Ricordo tutto con una chiarezza che ancora oggi, a distanza di cinque anni, mi sconvolge profondamente. Quanto può fare male un addio? Quanto dolore può sopportare la nostra anima senza piegarsi? Me lo sono chiesto per tanto tempo e, infine, credevo di aver trovato una risposta.
Ma mi sbagliavo.
 
Ora lo so, che mi sbagliavo.
Ora che sono qui, in ginocchio di fronte a questa lapide, lo so.
Ora che le mie lacrime finalmente scendono, bagnando l’umida terra in cui giaci sepolta, lo so.
 
E non ci sono parole che possano dare voce ai miei pensieri, perché non ci sono pensieri che possano descrivere il vuoto che mi divora dall’interno. Tutto annega nel silenzio, finché al mondo non rimango che io.
 
Io… senza di te.
Ancora una volta.
 
 

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Capitolo 2
*** Grido ***


«Non ti capita mai?»
«Di far cosa?»
Giuseppe si sedette accanto a me. «Di chiederti perché.»
Alzai lentamente lo sguardo e mi ritrovai a fissare gli occhi di un Cristo sofferente.
«Semmai» replicai io, «dovresti chiedermi se mi capita di non chiedermelo, qualche volta. E, in ogni caso, la risposta sarebbe no.»
Il silenzio della chiesa, che pure non avrebbe dovuto avere alcuna consistenza, pesava sui nostri cuori e li inaridiva; mi rendeva difficile continuare a parlare, persino a pensare.
Era tutto, semplicemente… sbagliato, inadeguato, soffocante.
«Vorrei solo che finisse» disse Giuseppe, dopo un tempo che parve lunghissimo. «Vorrei solo che queste sensazioni scomparissero per sempre.»
«Non succederà» risposi io. «È il prezzo da pagare, dopotutto.»
«Pagare?» chiese lui, confuso. «Pagare per cosa?»
«Per essere vivi.» Il Cristo sofferente, dall’alto della sua croce, sembrò rivolgermi uno sguardo particolarmente triste. «Chi vive vedrà gli altri morire. È una semplice conclusione logica… e terribilmente crudele.»
In quel preciso istante, un’immagine comparve dentro la mia testa. Durò solo qualche attimo, ma abbastanza per far affiorare le lacrime. Le ricacciai indietro, perché sapevo che non sarei stata in grado di controllarle.
«Chiara…»
Mi alzai in piedi. «Tu sai, Giuseppe…» continuai, incedendo verso l’altare. «In questi anni, la malattia di papà ha camminato. Ha camminato tanto, fino a renderlo irriconoscibile; ha distrutto quello che era, lasciando nient’altro che un’ombra di sé.
Ogni tanto, tra i deliri, poteva capitarmi di riconoscere un frammento dell’uomo che era stato… ma non era che un istante, e scompariva così in fretta da chiedermi se l’avessi visto davvero. Se in quel guscio vuoto era rimasta una traccia di mio padre, o se non fossi solo una figlia che si rifiutava di accettare la realtà.»
Alle mie spalle, Giuseppe taceva. Un’altra immagine riaffiorò alla memoria, stavolta più nitida, più forte, più violenta. Non riuscii a scacciarla, e prima che potessi rendermene conto… stavo già piangendo.
«Non riconosceva più se stesso. La sua anima era stata divorata dalla malattia… eppure, lui non soffriva. Stava morendo, ma non ne era consapevole. E quando non delirava, non strillava o non dormiva… lui mi sorrideva. Sorrideva come se tutto andasse bene, come se non fosse mai stato assente, come se potesse riconoscermi. E io ci credevo, volevo crederci. Volevo credere che mio padre fosse tornato, e che non se ne sarebbe più andato. E allora gli stringevo la mano, come per impedirgli di andarsene via. Ma puntualmente lui se ne andava, e puntualmente mi ritrovavo ad inzuppare il cuscino delle mie lacrime.»
Come guidato dalla provvidenza divina, il mio sguardo incontrò di nuovo quello del Gesù crocifisso… lo stesso Gesù che mio padre aveva tanto amato quando era in vita e che, alla fine, non era stato in grado di salvarlo.
«I morti non sanno di essere tali, perciò non soffrono. Ma i vivi, che hanno consapevolezza della morte altrui, piangono e si disperano. E non c’è modo di sfuggire a questo destino, se non morendo.»
Nonostante le lacrime scendessero copiose lungo le guance, la mia voce era stranamente ferma.
Nonostante il dolore mi stesse consumando dall’interno, la mia mente era straordinariamente limpida.
… E nonostante fosse morto, la figura di mio padre poteva essere scorta accanto alla bara che ne conteneva il corpo. “Non piangere, bambina mia.”
E improvvisamente eravamo lì, solo io e lui, quando mi aiutava ad incollare le figurine nell’album delle principesse. Quando mi veniva a prendere dopo la scuola. Quando giocavamo a pallone nel giardino di casa.
Eravamo lì… e non lo saremmo più stati. Questa certezza crudele mi assalì improvvisamente, e il mio pianto silenzioso divenne un grido disperato.
 
Un grido che neppure le braccia di Giuseppe, improvvisamente strette intorno alle mie spalle, poterono contenere.
Un grido che avrebbe continuato a propagarsi finché fossi rimasta su questa terra, perché era il grido concesso solo ai vivi.
Il grido che non può raggiungere i morti.
 
 

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