Prodigium

di WinterHunter001118
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Ecco. L'ennesimo giornale bugiardo; ormai non doveva neanche domandarsi se, anche quella volta, l'articolo fosse veritiero. Come potevano esserlo? Ormai il Regno Americano Libero controllava la stampa, le informazioni che circolavano passavano sotto esame da chissà quale rappresentante del potere. Jacopo Hawkins non la pensava così. Era un rigido paladino della libertà di stampa. Cercava solo di seguire gli insegnamenti lasciatoli dal padre, ormai sepolto sotto cumuli di terra: sulla sua testa pendette l'accusa di "patteggiamento con Ribelli". Voleva che le informazioni arrivassero così alla gente, persino ai più poveri nel modo in cui veniva viste; oggettivamente, senza l'aggiunta di fronzoli, ma neppure con pensieri soggettivi, poteva sviare l'attenzione del lettore e, non sempre, era un bene. Si potevano causare dei giri di parole, al più inutili, che avevano il solo scopo ultimo di creare più confusione di quanta già non esistesse in quel mondo. Il giovane Jacopo spesso si era domandato se suo padre fosse stato un ribelle, tutte le volte si rispondeva che non era possibile. Però... vi erano molti indizi che sostenevano quella causa. Jeremia Hawkins era solo un giornalista indipendente: si occupava di far circolare le informazioni pure, seppur corrette nei minimi dettagli e virgola per virgola, ai poveri cittadini che morivano di fame, perivano sotto i colpi dei soldati. Era, se consideriamo tutto ciò, un ribelle. Ma non aveva nessun titolo, niente di niente, che facesse pensare ad una sua cospirazione coi Ribelli. Perchè di loro bisogna aver paura. Avevano la fama d'esser ovunque, d'essere invisibili e spaventosamente invincibili. E, per quanto non piacessero a nessuno, trasmettevano un solo messaggio. Vi libereremo. Ma, dopo quasi due secoli del grande Regno Americano Libero, non ci credeva più nessuno. Probabilmente era questa la causa di tutto. La speranza: le masse avevano perso quel granello, quel minuscolo granello che rende forti i deboli, coraggiosi i timidi. Oltre alla veridicità delle informazioni, ovviamente. Questa volta il giornale illustrava, con una quantità indescrivibile di particolari, un attacco di Errori in un piccolo villaggio dell' Arkansas. La notizia era sicuramente gonfiata e montata. Anche se un vero attacco si fosse svolto, supponendo che ormai gli Errori erano la stragrande maggioranza dei poveri, di certo non era per uccidere, magari era solo per prendere un pezzo di pane o del cibo caldo! Anche lui era stato costretto a rubare, pur di sopravvivere. Prese la sua penna, qualche foglio e cominciò a scrivere l'articolo dall'inizio. Si procurava il mangiare così, e non era nemmeno un ribelle. Forse, se si fosse unito alle loro truppe, magari... Magri poteva aspirare ad un pasto caldo, ad un letto morbido ed al caldo durante il rigido inverno. Non aveva la minima voglia di morire per il freddo, non era una fine dignitosa, quella. Era piuttosto scomodo: si era rintanato in una cantina di Washington, lì, il tutto, odorava di muffa e di alcol. Lui non era neanche un bevitore, quindi il suo disgusto era crescente. Ecco cosa diavolo succedeva a farsi arrestare, a perdere la casa, a scoprire che la propria fidanzata fosse un prodigio della terra: si finiva a vivere in una cantina. Riscrisse completamente l'articolo nel giro di un'ora. Doveva fare in fretta, se voleva consegnare l'articolo al suo editore. L'editore, certo: Tim Scarrow non era il genere di persona in cui riporre la propria fiducia. Ma, quando si ha un articolo succulento e pure illegale, il vecchio Scarrow poteva addolcirsi e trovarti un posticino dove vivere in pace, lontano dalla polizia. Jacopo era giunto alla conclusione che Scarrow dovesse avere qualche contratto sia con la Polizia di Stato che con i Ribelli. Si alzò in piedi. Con sua spiacevole sorpresa, i suoi pantaloni erano bucherellati sulle ginocchia, in alcuni parti erano addirittura strappati. La giacca non era da meno: era di suo padre, di quando faceva l'avvocato e aveva abbastanza soldi per permettersi una giacca decente, di pelle, il cui interno lasciava vedere pelliccia di coniglio. Era rovinata, ma per lo meno teneva caldo. Non sarebbe morto per l'inverno, chissà che magra consolazione. Sempre che, qualche compagnia di dannati, non gliela rubassero. Salì quelle cavolo di scale che, scricchiolanti, portavano al piano di sopra. Era una vecchia libreria: vi erano moltitudini di libri e di strani fascicoletti colorati che, per quanto avesse capito, si chiamavano fumetti. Non erano neppure brutti, solo leggermente logori. Aveva scoperto che risalivano al 2300, anno della Quinta Guerra Mondiale. Se i libri non mentivano, quella fu la guerra Papale: il papa di allora, Cristoforo XXI, aveva deciso che, pur di mantenere intatta la purezza del cristianesimo, di sterminare tutti i professanti di altre credenze. Lui nemmeno conosceva il cristianesimo. Non aveva mai visto una chiesa. Certo, sapeva cosa fosse la religione, ma non aveva mai pregato. Non credeva che ci fosse Qualcuno o Qualcosa, lassù. In realtà, non credeva nemmeno che ci fosse un "lassù". E poi, onestamente, nel 5693 c'erano ben altri problemi: cibo, ribelli, morti, esercito ed i Prodigi.  Appunto per questo, Jacopo doveva fare molta attenzione con le sue scorrazzate in libreria: i soldati controllavano gli edifici abbandonati regolarmente, alle 16 e alle 19 nei giorni pari, alle 8 e a mezzanotte in quelli dispari. Per fortuna, quel giorno era lunedì 17 gennaio, ed erano solo le 18. Una volta uscito in strada, il giovane si guardò intorno per un po', accertandosi che la strada fosse deserta. Corse, con il passo silenzioso sviluppato negli anni, fino ad un vicolo scuro. Certo, la DarkWashington non era esattamente un quartiere "alla bene", ma c'era di tutto: bastava prendere la Ventitreesima ed ecco il Bazar, straripante di congegni dalla fama di avverare i desideri; la viuzza successiva portava al mercato nero, estremamente comodo e conveniente se non si contava l'elevatissimo tasso di criminalità; svoltando a destra, come indicato da un assortimento di cartelli pressoché infinito, si andava invece al bordello. Jacopo c'era stato qualche volta, spinto dalla disperazione, pur di poter passare la notte su un materasso vero e sotto un tetto vero. Fuori, nei vicoli, la storia era diversa: chi viveva lì stava per perdere la casa, o per lasciarci la pelle. I più piccoli erano macilenti, piccoli borseggiatori furbi e accaniti che, per lo più, non sembravano interessati a leggere o a ricevere un'istruzione, avevano altre priorità. Girava voce che sparissero bambini in quella zona, ogni anno all'inizio della primavera. Jacopo sperava che fossero semplicemente morti, e che non si fossero invece trasformati in armi: questo erano i Prodigi. Erano nati per costituire un esercito americano invincibile, che nemmeno le Forze Alleate delle Due Germanie avrebbero potuto sconfiggere. Tornando al povero Jacopo, quella sera ebbe una sgradevole sorpresa che lo fece rabbrividire e gli diede un presentimento oscuro, un timore irrazionale che gli attanagliava le viscere. Si strinse i fogli al petto, e pregò che la persona che gli veniva incontro portando una fiaccola fosse un agente di Polizia. Perché sperava di essere trovato dalle forze dell'ordine? Perché i Ribelli lo spaventavano di più. Jacopo strizzò gli occhi, e distinse nella luce tremante della fiaccola una ragazza minuta, forse più bassa di lui, dai capelli di fiamma e gli occhi di un bruno morbido, come la terra smossa. Lo avevano trovato. Pregò immediatamente di venir salvato, d'esser libero. Ma meglio morto che vivo, pensò poi in un attimo di lucidità. Eppure quegli occhi, non aveva visti di più belli, quei capelli così vivi e quelle labbra... Le amava, già dal primo secondo. -­ Sei tu il figlio di Hawkins? Il grassone mi aveva garantito la presenza del vecchio Hawkins alle dicciotto ed un quarto. Sei suo figlio? - Il giovane chinò il capo. Morto o con i Ribelli, che aveva da perdere? Annuì debolmente, in silenzio. ­- Cerco tuo padre. Dov'è? ­ Nella voce della sconosciuta, Jacopo distinse un tono di stizza e disprezzo, qualcosa che si avvicinava molto all'odio... o forse era solo l'accento francese. ­ -Mio padre è stato decapitato. -­ spiegò ­ Con l'accusa di essere... beh, uno di voi. Un Ribelle. Un'accusa falsa. - ­ -­ Sei un idiota. Non sei nemmeno suo figlio, non è così? ­ - La ragazza stava per perdere la pazienza, e fece un gesto irato con la fiaccola. La luce permise a Jacopo di individuare, sulla sua giacca militare, una spilla che non somigliava a nulla che avesse mai visto_ vi erano due pistole che quasi si fondevano con delle mani, una pistola bianca ed una nera. Era molto particolare. La, dunque, rossa era un soldato dei Ribelli. Tutto ciò che rimaneva da chiarire era se fosse del Nord o del Sud. La sconosciuta tirò il fiato, e sembrò calmarsi un poco. Adocchiò i fogli fra le braccia di Jacopo, e inarcò un sopracciglio. ­ - Sei un giornalista, vero? ­- -­ Sono un giornalista, e molto meglio di mio padre. Lo dicono tutti. ­- sibilò il giovane, astioso - ­ Ti basta? ­ - ­ - Allora non tutto è perduto. Benvenuto nelle milizie dei Ribelli del Nord, Hawkins. ­- Si era appena imbarcato in un'avventura senza fine, la sua vita era perennemente a quell'anello di fuoco che unisce tutte le vite umane.

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Capitolo 2
*** II ***


Pile e pile di fogli erano accumulate in ordine sparso sull'adorna scrivania di mogano. Era molto semplice quella scrivania, sobria e austera come, del resto, era lo studio: le pareti bianco sporco contrastavano col mobilio nero o grigio scuro; sulle pareti vi erano poche foto, ritratti della moglie e del figlioletto, una cartina ed una lavagnetta trasparente sulla quale, una mano poco esperta e molto fragile aveva disegnato una piccola casetta di uno sgargiante arancione. Il tutto contornato da uno spesso strato di fogli, per lo più messi a casaccio. In quel momento stava controllando alcuni dossier schedati con un'ordinata calligrafia femminile, pensò subito a sua moglie. Li aveva brillantemente divisi per categorie: Prodigi, Spie ed infine Ibridi. L'ultima categoria era la peggiore. Decise, però, di risparmiarsi tale tortura e di concentrarsi, invece, sulla seconda categoria, le Spie, per l'appunto. Sapeva benissimo che non tutti gli Americani fossero fedeli al Regno Americano Libero e che, sorprendentemente, non tutti i Ribelli fossero fedeli a loro stessi. Che gruppo assai curioso, era questo il suo consueto pensiero ogni volta che trattava l'argomento. Li trovava non solo curiosi, ma anche noiosi. Eppure ne ammirava il coraggio, almeno per quanto riguardava i Ribelli del Nord; loro sì che avevano un piano costruttivo, i Ribelli del Sud erano solo feccia. E lui lo sapeva anche fin troppo bene, dato che erano in combattuta con lo stato Americano da fin troppo tempo. Creare uno stato formato solo dai Prodigi? Quale gran fallimento del genere umano, quello era il suo pensiero e sfortunatamente anche l'obbiettivo dei Ribelli del Sud. Scosse la testa, massaggiandosi la barba: urgeva una seduta dal barbiere, si disse. Ormai la sua barba era divenuta un intricato cespuglio di rovi neri, quasi difficile da accarezzare; nemmeno sua moglie voleva farsi baciare. Osservò il primo dossier: riguardava un giovanotto dai capelli biondi, gli occhi di un tiepido color nocciola. Nella foto non sorrideva. Per quello che sapeva lui, poteva anche essere stata scattata di nascosto da abili mani, pronte a tutto pur di non farsi scoprire. Si chiamava Jacopo Roberto Hawkins, il dossier confermava le sue origini italiane, la madre, a quanto scritto, proveniva da un borghetto delle isole centrali, quella che una volta si chiamava Pisa; ma quest'informazione non bastava a classificarlo in alcun modo. Per chi lavorava? Diede una nuova sbirciata al dossier: di statura alta, corporatura media, giornalista. Ebbe un colpo di genio, un guizzo fulmineo che gli permise di attuare, con una velocità spaventosa, il collegamento. Era il figlio di Jheremia: nel dossier si accusava il padre per patteggiamento con i Ribelli del Nord, accusandolo d'essere in combattuta col regno di Francia. Storse le labbra in un sorrisetto. Chiuse il dossier, segnando, con calligrafia elegante "convincere il presidente per un mandato di cattura internazionale", per poi posare la penna accanto a sé. Il presidente se ne sarebbe dimenticato nel giro di poche ore, sfortunatamente. Lui era più potente del Presidente stesso. Che dire, il Presidente era un omino basso basso, con un ventre pronunciato, le guance flaccide e gli occhietti piccoli piccoli di un nauseabondo marroncino color vomito. Continuava a chiedersi come avesse fatto ad avere una figlia così bella, per di più in età di matrimonio. A dir la verità non capiva come lui, non che l'uomo più potente di tutta l'America (e forse del mondo intero), dovesse sottostare ad un caprone politico come lui. Poteva rivoltarlo da un secondo all'altro, magari con un colpo di stato oppure... poteva inscenare un falso testamento, annunciare al mondo intero che il presidente lo designava come suo successore. Sì, l'idea era allettante. Magari poteva anche far decapitare tutta la sua famiglia, a cominciare da quella petulante di sua moglie, a quella salsiccia ambulante di suo figlio. Forse avrebbe divorziato dalla moglie e avrebbe sposato la figlia del presidente, in modo da sottolineare la sua possibile parentale con quell'uomo. Poteva. E allora perché non agiva? Perché non era ancora arrivata l'occasione, tentava di autoconvincersi lui. Ma non era così. Lui aveva paura. Una terribile paura di fallire. Accantonò quei pensieri come gli aveva insegnato sua moglie. Doveva pensare alla sua famiglia, magri in un'epoca differente, con suo figlio in braccio, sua moglie che dipingeva. Le era sempre piaciuto dipingere, gli dispiaceva solo non averle mai comprato una tela, dopo il matrimonio. Era una versione rilassante, sempre meglio dell'alcol. Una volta si era rintanato in un bar, se lo ricordava ancora bene, e si era ubriacato. Un uomo lo aveva convinto al folle gesto, «Ce l'ho io il rimedio efficace! Adotta una bottiglia! Il sollievo è immediato, » aveva detto « ma i tuoi guai non spariranno. A proposito, chi pagherà il mio conto?», allora un'altra voce aveva risposto bruscamente all'ubriacone, l'altro vecchio, sembrava autocommiserarsi per la sua situazione, il berretto calato sul volto. « Io no di certo, ho già il mio bel credito insoluto, io. Ma guardati, tu sei soltanto un ubriacone e tu, » si riferì ad un vecchio becchino, a quel punto, ed egli notò, con orrore, che il becchino, oltre al fucile, imbracciava delle ossa « sei ancora peggio con tutte quelle ossa in mano!». Si ricordò di essersi poi allontanato, barcollante, via dal locale, lasciando i vecchi a litigare. Reduce da quell'esperienza, aveva sempre usato il metodo prescrittogli dalla moglie. Allungò i piedi sotto la scrivania, rilassandosi e godendosi cinque minuti di pausa. Poi riprese a guardare i fascicoli delle spie. In loro favore: Thomas Dallas del Galles, Judith Bentley dell' Ohio, Paula Foster, da Londra. Niente male, osservò con più attenzione i fascicoli, erano tutti rampolli ricchi, eccetto per la Bentley che aveva più di quarant'anni. I ricercati erano, invece: Yvette Feu, la figlia del Presidente Francese, Harold Snow di New York, era un dipendente statale e poi Tim Scarrow, un grassone proveniente da Washington accusato di collaborare con Hawkins. Pensò immediatamente che quel trio gli avrebbe causato dei problemi. La porta si aprì bruscamente, e pensare che lui continuava ad urlare che bisognava bussare prima di aprire. La prossima volta avrebbe tirato un colpa di pistola contro al vetro, magri l'avrebbero ascoltato. - Che diavolo vuoi? - - Signore... - fu il sussurro intimidito di uno dei suoi assistenti. Se non andava errando, il suo nome doveva essere Perceval o Percival. Un nome molto strano, a dirla tutta. - Staremmo incominciando l'ingresso dell'individuo 5682HB79. Avremmo bisogno di lei e del relativo dossier. - L'uomo sembrò annuire, con un'ombra di confusione sul suo volto. Uno degli aspetti negativi del suo lavoro era proprio quello. Non si era ancora abituato all'idea che un essere vivente potesse essere conosciuto come un numero. Schedato? Era, anche, giusto. Uno stato doveva poter schedare tutti i suoi soggetti difficili. Rassegnato, tirò un amaro sbuffo. - Mi ripeta il codice? - - 5682HB79, HB come la matita. - Lo guardò spiazzato. - Sa, la marcatura di ogni matita. Ogni mina viene schedata in base alla sua durezza. La mina più conosciuta è l' HB, appunto. - - Non che mi interessi minimamente, Percival, ma ora non è il momento! Dannazione, dobbiamo assistere alle fasi. - Odiava chiamarle col loro vero nome, sembravano asettiche e mortali. Cosa che poi erano. - E non a delle stupide matite! - Alzò gli occhi al cielo, quell'assistente aveva tanto da imparare. - Ma, signor Martin, io... Mi chiamo Harold, pensavo lo sapesse. - Greg Martin, questo era il nome dell'uomo, rimase leggermente interdetto, come se quel nome gli rammentasse qualcosa. Un qualcosa di cui non era ben a conoscenza. Come se quel nome l'avesse già sentito. Harold. Chi diavolo era Harold. - In ogni caso ci aspettano nella sala 24R, si sta facendo tardi, signore. - Greg annuì nel modo più semplice possibile, ancora meditabondo, con un'alzata di spalle. Quel nome stava diventando il suo supplizio nel giro dei cinque minuti più orrendi della sua miserabile vita. Uscito dal suo studio, Il Centro Recupero Mostri, in arte ICRM, si esibiva in tutta la sua... semplicità. Le pareti bianche, con sottili righette nere, piccoli bìmobili di metallo, posti di qua e di là, come cassettiere. E ancora, un immenso via vai di persone, studenti o scienziati o collaboratori, rendevano quel posto meno triste. Greg sentiva che il lavoro, presto o tardi, l'avrebbe portato alla tomba. Seguì il ragazzo fino al quarto piano, lì il semplicissimo paesaggio non cambiava. Teneva con una furia omicida il dossier. Aveva paura che qualcuno glielo portasse via. Era sempre così, quando non ti puoi fidare nemmeno della tua stessa ombra. - Buongiorno signori, - disse, una volta entrato per poi guardare i suoi colleghi di lavoro. Vediamo l'introduzione del soggetto... - ci fu una pausa di silenzio, non si ricordava il codice, così deide un veloce sguardo al dossier - del soggetto 5682HB79, nota come - detto ciò sfogliò il fascicolo - Ariadne Halsett, ibrida, appartenente al genere Homo Lupis. Quella era la Fase 1, detta anche Identificazione del soggetto. Una fase breve e concisa: si illustrava il soggetto, si facevano due commenti, soprattutto se si trattava di un ibrido. In quel caso si stava particolarmente attenti al luogo del risveglio, o alle persone che avrebbe potuto incontrare. I Homo Lupis, non dovevano essere trovati dai loro simili, le "fate" dovevano essere trovate dai loro simili. Si discuteva delle principali misure cautelari. Della ragazza, come scritto nel fascicolo, scopirono solo che era la figlia del Capoclan di Boston, di dubbia pericolosità. Poi si passò alla Fase 2, detta anche inserimento. Veniva scelta una delle tre città, in base alle caratteristiche del soggetto o, condizione meno usata, in base alla necessità richiesta da ogni singola città. Era la fase peggiore: gli scienziati parlottavano tra di loro, avanzavano idea e a lui toccava irrimediabilmente confermare. - Io direi di metterla alla Uno. - Greg scosse la testa, la Uno era troppo pericolosa per i suoi gusti: era una bandi ragazzini scalmanati assetati di sangue. Ed era la principale causa del suo mal di testa. Il palazzo Bianco si ergeva al centro del triangolo formato dalla città. E la uno era un vero e proprio disastro. - No. Non possiamo mandarla alla due, dato che è formata solo da Prodigi. - - Alla Tre, allora. - - Sì, alla Tre. - Confermò lui. La fase più orribile per il soggetto era la Fase 3, il Risveglio. E non sempre era il migliore. Era ufficiale, presto avrebbe scritto una lettera di dimissioni. Ma qualcuno ci arrivò prima di lui: mani fin troppo esperte gli puntarono una pistola lla tempia. Era Harold. - Ciao, Harold Snow. - Ed emise un leggero singhiozzo. Come se tutta l'aria del mondo gli pesasse, in un qual modo, sulla gola. Come se riuscisse a strozzarsi con la saliva. Deglutì pesantemente.

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Capitolo 3
*** III ***


-Harold, va tutto bene. Ora metti giù la pistola. -

Quella fu una delle rare volte in cui Greg Martin ebbe veramente paura. Certo, era un essere umano, provava anche lui della paura, alle volte. Ma mai così tanta da sentire la schiena madida di gelido sudore. Il respiro gli si accelerò, ma si impuntò di non dimostrarsi cotanto debole, altrimenti Harold gli avrebbe sparato. E all'America non avrebbe giovato la sua prematura morte.

- NO. Non va bene niente. Voi operate solo con delle menzogne, più di quante non... -

Greg sprecò dieci miseri secondi per guardarlo. Portava gli occhiali, fu il primo particolare da lui notato, erano grandi e dalla montatura spessa e nera. I riccioli biondi gli incorniciavano un viso sottile, dai tratti quasi elfici, oltre a due incredibili occhi verde smeraldo.

Gli ricordava suo figlio, il piccolo Jared.

- Va tutto bene, Harold. -

Cosa gli stava succedendo? Di solito non avrebbe mai tranquillizzato un ribelle. Ma era così giovane. Avrà avuto, sì e no, diciassette anni. Era quello il piano dei ribelli? Mandare giovani soldati contro di loro? Così non avrebbero reagito? Se era quello il piano, allora, loro sarebbero stati in grado di difendersi.

Curvò lo sguardo, lanciando un'occhiata ad uno degli scienziati. Voleva dire: uccidilo.

Uno degli scienziati, passato alla Storia come "Mani di Ferro", per via della sua protesi metallica alla mano destra, si diresse verso il ragazzo, brandendo un piccolo bisturi. Non fu molo delicato mentre gli trapassava il collo: fiotti di sangue scuro e grumoso presero a schizzare dal foro, via a via sempre più grande. Il sangue correva in rivoli sinistri, correva scavando solchi sul suo perfetto collo pallido. Sputò del sangue, una e due e tre volte. Era una visione patetica. Mani di Ferro, ovviamente, prese la pistola del ragazzo, sparandogli un colpo ai polmoni. Di questo passo sarebbe morto, notò, con crudele freddezza, Greg. Cadendo, i riccioli biondi del ragazzo si tramutarono in rosso scarlatto.

Rimase solo un gelido silenzio.

- I ribelli non sono molto più umani di noi. Era una vittima sacrificale, lui. Non era niente di importante. -

Si pentì immediatamente di quanto detto. Si pulì una mano, sporca del suo sangue, nella propria giacca; se ne andò.

- Trovatemi Il Lupo, ne ho davvero bisogno. - chiese al primo inserviente che gli capitò a tiro.

La fase tre era appena iniziata, e non si sarebbe arrestata con tanta facilità.

ǂǂǂ

I capelli castani le incorniciavano il viso in una dolce morsa, simili a tentacoli di un polipo, la pelle era di una piacevole tonalità bronzea. Portava un comune paio di pantaloni, una felpa di un pallido lilla ed una giacca marrone. Era carina, nella media. Alta, di una magrezza indicibile, la pelle accompagnava di poco le sue ossa fragili e deboli. Un occhio nero era uno dei piccoli segni che dimostravano la sua permanenza in un carcere.

Non che ora se lo ricordasse, ovviamente: era stato sottoposta alla fase 0, la cancellazione temporanea di ogni ricordo.

Quel risveglio fu, con ogni probabilità il peggiore della sua vita. Innanzitutto, le girava la testa. Le parve abbastanza normale, dato che si trovava in un prato. A chiunque sarebbe venuto il mal di testa se avesse ascoltato ancora per un minuto il gracidare delle rane. Avrebbe facilmente ucciso chiunque, se l'avesse svegliata. Ma, si era svegliata da sola, colpa dei suoi sensi.

Chi era lei?

Ariadne. Facile, si ricordava il suo nome, almeno. Il cognome? Per quel momento rimase un mistero. Si alzò in piedi, quasi zoppicando. Si alzò, cadde a carponi. Si odiò per la sua goffaggine.

- Come diavolo sono finita a cadere ogni tre per due? -

Borbottò quando, per l'ennesima volta, cadde. Strinse con forza il terreno, sentendo fili d'erba nelle proprie mani. La situazione era frustrante.

Punto prima, non ricordava il suo nome. Punto secondo, era caduta almeno una dozzina di volte negli ultimi sette minuti. Punto terzo, si sentiva terribilmente debole: sentiva la poca cerne che aveva sulle ossa come un macigno, l'occhio le doleva ed era gonfio, per non parlare del senso di spossatezza. Era stanca, terribilmente stanca.

Si mise a sedere, sotto ad un albero. Aveva una tremenda voglia di ululare, ma non ne aveva la forza. Era calda, probabilmente aveva la febbre. La testa era come un macigno, la sballottava di qua e di là. In quel momento decise di guardare il mondo là fuori, fuori dalla sua testa.

Quella era una piccola radura, molto piccola, circondata da pochi alberi disposti a cerchio. Annusò l'aria, probabilmente si trattava di pini o di abeti. Il fraticello era composto da ciuffi troppo verdi che dolevano alla vista e da fiori di campo, altrettanto profumati. Socchiuse gli occhi, portando le ginocchia al petto.

Che dolore e che fatica.

Sentiva delle voci, ciò le fece scattare lo sguardo verso l'alto, cercando qualcuno. O qualcosa. Ne era abbastanza sicura. Era troppo stanca, così posò la testa sulle ginocchia, beandosi di un leggero riposo. Svenne, stravolta dalla stanchezza.

ǂǂǂ

- Abbiamo una nuova, a quanto mi dite. -

La bionda si passò una mano fra i capelli, lisciandoli e togliendo i piccoli nodi casuali. Aveva i capelli lunghi, quasi fino alla vita. Non aveva l'impellente bisogno di tagliarli, di fatto, non esisteva un parrucchiere nelle vicinanze. Indossava un paio di pantaloni e una maglietta di stoffa leggera. Si tormentava il labbro con ferocia inaudita.

- Perché non hanno suonato le campane del Palazzo di Vetro, allora? -

- Non ne ho la minima idea. -

La voce di quel ragazzo era calda, morbida, delicata e soffusa. Nonostante fosse quasi rauca non appena sussurrò le ultime parole. Il ragazzo aveva corti capelli castani, un accenno di barba e un paio d'occhi sorridenti ed azzurri.

- Comunque ora credo si stia svegliando. - commentò l'altro ragazzo, dai capelli biondi e lo sguardo poco rassicurante.

Si chiamavano Ruby, Hayden e James. Ed erano una certezza, un'unità indissolubile, da quando... da quando Delia era morta.

Delia era la sorella di Ruby, entrambe Prodigi dell'Acqua erano in quel triste luogo da almeno tre anni. E lei era stanca, stanchissima di quella trista landa.

Tre paia di occhi saettarono verso la ragazza dai capelli castani e dall'aspetto scheletrico.

- Ehi, ehi piano moretta, vedi di non farti venire un infarto. Ora non ci serve una morta. -

Hayden, il biondino, alzando gli occhi al cielo. Il suo sorriso era leggermente sformato, colpa di una cicatrice avuta pochi anni prima, lottando contro un Prodigio della Terra. Non era stato esattamente gentile, Ruby ci fece caso e gli lanciò una delle sue occhiatacce assassine.

- Dicevo, non morire proprio ora che stiamo organizzando un rivolta, tesorino. -

Gli occhi di Ruby si fecero incredibilmente glaciali. Sembravano dirgli: io ti spezzo le ossa, sappilo. James, ebbe modo di sorridere: non avrebbe mai informato la nuova arrivata di un colpo così grosso, ma loro erano Ruby e Hayden. Non poteva cambiarli.

La ragazza strizzò gli occhi e serrò i pugni, le faceva male tutto, dalla testa ai piedi.

- Ce-ce la fac-faccio - mormorò, con la gola secca. Aveva un impellente bisogno di acqua, ma era troppo orgogliosa per dirlo. In ogni caso pensò alla parola rivolta, volle delle spiegazioni in merito.

- Certo... -

E Hayden finì la frase sghignazzando.

- Okay, mi fa male la testa. -

- Adesso, quando arriva Tally, vediamo di darti qualcosa. Intanto hai avuto dei ricordi? -

Lei annuì... Mentre era in stato d'incoscienza, nel vortice dei sogni, aveva avuto dei flash fatti di ricordi, piccoli e brevi, ma almeno aveva avuto scorci di questo passato.

- Ti va di raccontarceli? -

Ruby le fece segno di incominciare a raccontare, spronandola con lo sguardo. Hayden, nel frattempo, sghignazzava, un angolo delle labbra piegato in uno spiacevole sorriso. James era in silenzio, come suo solito, gli occhi piegati verso la ragazza, aspettandosi sue risposte.

Ariadne era sopraffatta dai ricordi. Era sopraffatta dal senso di vuoto che emanava il suo cuore, dalla pura che lo ricopriva come un mantello. Il respiro divenne affannato. Ricordava le sbarre, tutto per aver rubato un paio di mele. Ricordò anche l'operazione e il dolore da essa causato. Strinse i pugni, fino a sbiancare.

- Non ce la posso fare... non riesco a dirveli. -

Ruby non sembrò turbata, nemmeno un po': forse era abituata a scenate del genere. O forse no.

Chiuse gli occhi, si sentiva terribilmente in colpa, in colpa verso quei ragazzi. Avrebbe dovuto dire loro tutto, eppure non ci riusciva.

La porta del piccolo locale di spalancò di scatto, mentre una ragazza dai lunghi capelli viola correva versoi tre, senza degnare Ariadne di uno sguardo; probabilmente era Tally. Si vergognò immediatamente delle sue condizioni fisiche.

Pochi secondi dopo la raggiunse un ragazzo, i suoi capelli neri erano in un completo disordine, tanto che Ariadne lo trovò quasi buffo. La ragazza dai capelli viola, afferrò Ruby per un braccio.

- Stanno... stanno facendo una fustigazione. E' uno della tua razza. E' Axel. -

Gli occchi di Ruby si spalancarono immediatamente, chiamò a raccolta i suoi amici, compagni di vita e d'avventura, per lasciare la ragazza da sola.

- Andiamo. -

ǂǂǂ

- Senti, so che sei un mercenario. Non mi importa. Ti affido solo un compito, Lupo. Devi tenere sotto controllo mio figlio. Abbiamo degli infiltrati. Uccidi chiunque tocchi anche solo mio figlio, uccidili, se non fanno parte dell'elenco che presto o tardi ti darò. Proteggilo. -

Greg Martin tirò un sospiro, terribilmente preoccupato per suo figlio. Ma si fidava abbastanza del Lupo, nonostante tutto. Se ne andò, perso nei suoi pensieri, per lasciarlo da solo.

- Signorina, Nachtmüller, mi sono infiltrato. Ucciderò il ragazzo, non se ne preoccupi. Li piegheremo al potere dei Ribelli del Nord. Passo e chiudo. -

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