Il cielo sopra Dublino

di Princess_Klebitz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. L'angelo di Lynair e l'irridente poeta ***
Capitolo 2: *** 2. Il Rugby ed il Viaggiatore del 'Più in là' ***
Capitolo 3: *** 3. Attrazioni ***
Capitolo 4: *** 4.Musica (?) ***
Capitolo 5: *** 5. Un inizio strano ***
Capitolo 6: *** 6.Prove di immortalità ***
Capitolo 7: *** 7. Problemi di carattere ***
Capitolo 8: *** 8. L'Innocente e l'Immemore ***
Capitolo 9: *** 9. ....'cause tonight we're rock and roll stars! ***
Capitolo 10: *** 10. L'estate della libertà ***
Capitolo 11: *** 11. Il freddo autunno dello scontento ***
Capitolo 12: *** 12. 'Un'infelice e dolorosa infanzia irlandese' ***
Capitolo 13: *** 13. L'Impatto ***
Capitolo 14: *** 14. Le cose si danneggiano... ***
Capitolo 15: *** 15. Le cose rotte non possono essere riparate; semplicemente, cambiano. ***
Capitolo 16: *** 16. Indietro non si torna ***
Capitolo 17: *** 17. Cambio ***
Capitolo 18: *** 18. Non c'è limite al peggio ***
Capitolo 19: *** 19. L'importanza di provarci ***
Capitolo 20: *** 20. Abbandono ***
Capitolo 21: *** 21. Uno scottante ritorno ***
Capitolo 22: *** 22. In cerca di guai ***
Capitolo 23: *** 23. Il richiamo del Mare d'Irlanda ***
Capitolo 24: *** 24. Kisses from Pasadena ***
Capitolo 25: *** 25. Non c'è niente che voglia di più ***
Capitolo 26: *** 26. Saliscendi ***
Capitolo 27: *** 27. La fine di un'era ***
Capitolo 28: *** 28. Un compromesso soddisfacente ***
Capitolo 29: *** 29. Chi vivrà vedrà ***
Capitolo 30: *** 30. L'immortalità ***
Capitolo 31: *** 31. Il pesce piccolo ed il Gatto ***
Capitolo 32: *** 32. Questa storia non cambierà mai ***
Capitolo 33: *** 33. Come un tornado ***
Capitolo 34: *** 34. Questa è la nostra band ***
Capitolo 35: *** 35. Emersione ***
Capitolo 36: *** 36. Con le migliori intenzioni ***
Capitolo 37: *** 37. La lunga marcia verso lo stage ***
Capitolo 38: *** 38. Un'anima in pena ***
Capitolo 39: *** 39. L'atteso ritorno ***
Capitolo 40: *** 40. Ospitata all'inferno ed il senno di poi ***
Capitolo 41: *** 41. Camminando fra sogni, incubi e noia ***
Capitolo 42: *** 42. Il dolce succo della riconoscenza ***
Capitolo 43: *** 43. The Seeker ***
Capitolo 44: *** 44. Il poster che volle cadere ***
Capitolo 45: *** 45. Doppio sogno ***
Capitolo 46: *** 46. Un prezioso fallimento ***
Capitolo 47: *** 47. Il mio miglior amico ***
Capitolo 48: *** 48. Un incontro cercato ***
Capitolo 49: *** 49. Dolce gabbia ***
Capitolo 50: *** 50. Un lago di tempo ***



Capitolo 1
*** 1. L'angelo di Lynair e l'irridente poeta ***


L'INTERA STORIA è FRUTTO DI FANTASIA, SIA per quanto riguarda I PERSONAGGI, CHE I LUOGHI DOVE SI MUOVERANNO. Spero riusciate a immaginarli così come ho fatto io. Per quanto riguarda riferimenti a luoghi, personaggi esistenti, e fatti accaduti essi non mi appartengono, e sono puramente casuali.
Buona lettura

"EVERYTHING YOU KNOW IS WRONG" (U2)



1. L’angelo di Linayr e l’irridente poeta
 
Il cielo di Linayr, nella mattina del 15 luglio 1997, era incredibilmente radioso sopra la testa di Dorian, che all’incrocio tra la caramelleria ‘Sweetest way’ (che non avrebbe mai ammesso, ma era la sua preferita) e la Cotton street, aveva assunto la sua posa preferita.
Quella dell’angelo in una cittadina di provincia, in un frenetico e accaldato lunedì mattina estivo.
Stava attento a non muoversi, conscio del fatto che il sole stava donando bellissimi riflessi rossicci alla sua chioma bionda, e dispensava a tutti il suo sguardo assorto, nonostante nella sua testa riecheggiasse il discorso di consacrazione di ‘Ragazzo più bello della scuola’, chiedendosi anche se appariva vanitoso come credeva di essere.
Lo preoccupava non poco il fatto di essere considerato un anonimo fighetto senza personalità, capace solo di apparire alla moda e pensare al suo aspetto fisico, così come per contrappasso inconscio, non badava molto a come si vestiva, prediligendo lo stile grunge, complice la sua sconfinata passione per i Nirvana; ma ogni tanto ci cascava.
Il suo giochetto di assumere delle pose.
Anche se la considerava una cosa stupida, intimamente gli piaceva calarsi nei panni di un angelo ed osservare l’umanità scorrere davanti a lui, studiarla senza esserne partecipe, come invisibile, specialmente quando aspettava Eddie , e alle volte doveva persino trattenersi per non compiere gesti strani ed eterei, tanto era forte quell’ illusione.
Quella soleggiata mattina, in jeans logori ed una leggera camicia bianca, mentre aspettava Eddie da ventitre minuti, attesa destinata a prolungarsi conoscendo l’amico, si sentiva più che mai un angelo irlandese destinato a precipitare nell’inferno come ribelle per il futuro omicidio della persona che attendeva…. Anche se sarebbe morto prima di ammettere che si stava godendo da pazzi il suo risplendere sotto il sole.
‘Il cielo sopra Berlino’  gli aveva letteralmente fottuto il cervello, due anni prima.
O almeno così dicevano di lui gli amici.
 
Il traffico sulla Cotton street, la via principale di Linayr, si svolgeva apparentemente pigro, ma era un trucco che ben conoscevano i locali; se qualcuno avesse incautamente tentato di attraversare, in quel pezzo senza semafori, non se la sarebbe cavata senza qualche strombazzata e l’invito ad andare in posti poco piacevoli.
Dorian osservava il via vai di manager diretti alla Camera di Commercio dietro l’angolo, ragazzi poco più grandi di lui, quasi cloni. Giacca-cravatta-estensione genetica Nokia alle orecchie-cartella ventiquattrore.
Parlavano apparentemente al vuoto con lo sguardo assente, notava, da bravo angelo in jeans strappati e camicia con le maniche rimboccate al gomito; lo sguardo talmente preoccupato per le sorti dell’umanità, sul suo bel viso, lo faceva apparire ancora più immaturo, facendolo sembrare davvero un essere ultraterreno.
I giovani manager, apprendisti manager, portaborse, con ancora sulle guance le tracce dell’ acne adolescenziale che lui aveva scampato (ovviamente), gli lanciavano uno sguardo assente che lui ricambiava con solenne gravità.
-Abbiamo scelto srade diverse…- sembravano dire quegli incroci di sguardi –Io maturo, tu ragazzo. Ero già maturo prima della tua età, tu sarai giovane per molto dopo della mia, se non per sempre, dentro. E’ solo una scelta. Auguri.-
L’asfalto della strada sembrava colare sotto il raggio martellante dell’anonimo sole nel cielo d’Irlanda, che rifletteva nei suoi occhi verde acquamarina la sua preoccupazione e la sua ingenuità.
Sì, si sentiva effettivamente in giornata, Dorian.
Edward, che trascinava dietro allo scomposto ciuffo ramato uno zaino Nike imbottito di Guinness e vodka, lo avvistò fin dall’inizio della Cotton street, duecento metri più indietro, bellissimo ed appoggiato al vetro rosa a specchio della dolceria (che considerava di orrido gusto), intento a giocare alla bella statuina, come al suo solito dopo essersi rivisto il film di Wenders.
Giudicò che la visione di Dorian Patrick Kierdiing era quasi indispensabile al lunedì mattina di Linayr, troppo grande per essere un paese, troppo piccola per essere una cittadina, a loro giudizio (mai richiesto, in verità) il buco più noioso del sistema solare e proprio qui da noi , con solo due locali, di cui uno frequentato da fighettini ed il ‘loro’ Queasy, che era però difficilmente raggiungibile dopo le nove, quando passava l’ultimo bus.
D’estate quei cinque chilometri non li spaventavano mai, e se la chiacchieravano o si sorreggevano, arrivando a casa a piedi in qualche modo, e stavano fissi tutte le sere, d’inverno ci andavano solo qualche sabato sera in macchina col fratello maggiore di Eddie, Edmond, e solo quando questi era di umore particolarmente benevolo.
Quasi mai.
 
Il primo sentimento di Eddie, quando lo vedeva, OGNI volta che lo vedeva, era di invidia.
Invidia malefica,  pura e semplice, che si stemperava nel giro di due secondi netti, col pensiero che, se avesse voluto, Dorian si sarebbe potuto comportare come il più stronzo tamarro fighetto possibile da immaginare, mentre era semplicemente il più pazzo, ingenuo, ottimista che conoscesse e specialmente suo miglior amico, che usava la sua bellezza solo per giocare all’angelo cittadino o per autoironizzare sulle sue vanità. Memorabili le scene da Oscar Wilde in erba.
Quando vide di essere stato avvistato, Eddie tentò di nascondere la sua solita faccia, ma si trovò di fronte a due svantaggiose alternative: mantenere la sua espressione noncurante, che tutti consideravano perennemente destinata al carcere minorile, o scoppiare a ridere in faccia a Dorian, che aveva assunto un atteggiamento tra il seccato e l’indifferente che, a suo parere, gli stava bene come una secchiata d’acqua ad un gatto.
Gelida, oltretutto.
Lo attendeva una bella tirata da suocera, poco ma sicuro.
Non appena arrivò, infatti, Dorian smise di studiare la sua faccia da incazzato-in-realtà-altamente-indifferente-che-se-ne-frega-ma-fa-la-predica-per-dovere (ed i lecca lecca a foma di pagliaccio nel vetro) e si voltò verso di lui, piegando la testa e le labbra in una smorfia.
TRENTAQUATTRO MINUTI, Edward Joyce! Grazie a te abbiamo perso il bus delle nove e mezza!”
“E prenderemo quello delle dieci, eddài, non urlare che ho mal di testa…!”
“Non è questo il punto!”, continuò Dorian, senza ovviamente ascoltarlo, con tono petulante.
“Il fatto è che sei sempre il solito pressappochista, credi che ti stia ad aspettare in eterno perché sono tuo amico, ma un giorno o l’altro piano qui TE ad aspettare, e vediamo che farai! Oltre berti una cassa di Guinness!”
Eddie alzò lo spalle, con un sorriso disarmante.
“Aspetterò.”
Dorian alzò lo sguardo ironico all’adesivo attaccato sopra agli orari del bus per Dublino, raffigurante lo scheletro che diceva ‘Waitin’ for the bus…’ e Eddie capì di dover arrendersi.
L’angioletto suburbano di Linayr non era per niente in vena di una sana e massiccia dose di ironia Eddie Joyce, bensì solo di immutabili giudizi targati Dorian Kierdiing.
Come al solito.
La solita scena balenò nel cervello di Eddie, che evitò accuratamente ogni espressione facciale, ma che rideva come un cretino internamente.
 
<All’improvviso delle impreviste scosse telluriche hanno colpito la zona di Linayr, a metà mattinata, proprio sulla via principale… Guardate signori,un vero cataclisma, cartelli rovesciati, dolcetti sparsi ovunque, scaglie di specchio rosa, tabellone e panchina dell’autobus divelte e… oh mio Dio, un cadavere! I suoi documenti lo identificano come Edward Joyce!Una vittima innocente di questo disastro, signori!
Questo ci deve insegnare che non dobbiamo MAI, MAI E POI MAI, sottovalutare le forze della natura, ma ci poniamo anche questo interrogativo: questo disastro…. –pausa suspense, il giornalista guarda severo ed allo stesso tempo addolorato il pubblico, ed il loro cappuccino con brioche- … poteva essere evitato?>
 
Trovando Dorian che lo fissava, tornato dalla sua fase onirica, represse a stento una risata
 -Smettilasmettilasmetilaaaa!!-
L’ amico, incurante, si riavviò i capelli, gettando un ultimo sguardo all’incrocio, e si sedette sulla panchina d’attesa dell’autobus, imitato scompostamente da Eddie.
“Come sta l’angelo di Linayr?”
“Vegeta… e passa la sua esistenza ad aspettare cretini in ritardo.”
“Kierdiing- Joyce uno a zero, suppongo…”
“Presumi giusto.”
“Non sei divertente, sai?”
“Lascia stare… è humor troppo sottile per te…”, sbuffò Dorian, falsamente seccato.
“E’ humor stupido, Dorian, Stephen King pagherebbe per NON avere battute simili nel suo libro!”
Dorian continuava ad osservare il via vai di giovani manager, ma senza lo sguardo preoccupato di prima, mentre ribatteva prontamente all’amico, sfruttando le solite schermaglie, provate e riprovate negli anni.
“Qua c’è solo una cosa stupida…e non è il mio umorismo.”
“Hai ragione, sono i tuoi jeans…”, fece finta di riflettere Eddie.
“Sai, io immagino che nessuno te l’abbia detto, ma Kurt Cobain è morto… e tu non ci assomigli. Mi spiace per il brutto colpo, amico mio!”
“MMMMMMGGGGGRRRRRFFH!!!”
“Capito…”
Eddie si stravaccò meglio sulla panchina, osservando il vecchio bus che arrancava per la salitella della Cotton, e poi sorrise al cielo.
Dorian gli faceva sempre quell’effetto: lo metteva di buonumore, non che fosse un’impresa difficile parlando di Edward Joyce, figlio di mamma Joyce a tutti gli effetti, che vantava una lontanissima parentela con la famiglia dell’ autore dell’ Ulysses, probabilmente risalente ai tempi di Adamo ed Eva…
Se non prima.
Aveva provato a leggere qualcosa del suo illustre antenato, da buon ultimo rametto di quel maestoso e frondoso albero che aveva, come solido tronco, il buon James Joyce, ma si era arenato dopo due pagine del maledetto Ulysses, anche se gli piaceva moderatamente The Dubliners, ma preferiva di gran lunga Clive Barker ed il suo idolo incontrastato, Stephen King.
Assieme al compianto e funambolico Keith Moon, ed Eddie Irvine, suo idolo da sempre.
Essi costituivano il sacro trio pagano del:
 
SANTISSIMO (…signore e signori, niente da dire niente da fare, perché qui abbiamo l’esempio della santità irlandese della Chiesa di Madre Birra Guinness…), Edward Joyce jr, Eddie per gli amici.
 
Niente a che fare con quella del:
 
BELLISSIMO (…oh sì, signori, trattenere le vostre signore perché sta per apparire Lui!...) Dorian Patrick Kierdiing (Kurt Cobain, Edge degli U2 e Oliver Stone).
 
O con quelle dei loro due migliori amici, il…
 
FORTISSIMO (…credete di essere i più forti? Lui vi supererà facilmente!...), Shane Haynes, che adorava letteralmente Shane McGowan dei Pogues, la memoria di Cliff Burton dei Metallica e Brendan Kennely.
 
Per non dimenticare,
 
l’ASSENTISSIMO (…signore e signori, un vero esempio di viaggiatore mentale, altrochè Syd Barrett, venite venite!,  questo è…) Justin Andreas Swanson, cultore di Oscar Wilde, David Bowie e Quentin Tarantino.
 
L’imbonitore da circo tacque nella sua testa, mentre reprimeva l’ennesima risata, e pensava a quello che aspettava loro nei prossimo giorni, mentre Dorian fermava il bus, che sospirando cigolante, apri la porta a soffietto per farli salire.
“Tu muovi, buffone? Il bus non aspetterà te! E neanche io, penso!”
“Ooooh, fottiti passerotto, sposta il tuo bel culo dal posto vicino al finestrino!Let’s go!”


Salve; nonostante passi quasi tutto ad una mia amica, non ho una vera e propria beta-reader, perciò si incontreranno sovente piccoli errori grammaticali e sintattici (spero siano PICCOLI, almeno, povera me...); come ho detto, ho scritto questa storia quando è stata ambientata. 
La scrittura era enfatica, ingenua, ridondante come solo quella di una pre-teenage potesse essere. 
Amavo gli U2 ad un livello folle come solo una pre-teenager può fare, e Stephen King, ora come allora.
Spero piaccia, è interamente frutto del mio cuore.
Poche saranno le note in fondo, poichè preferisco non intromettermi. 
Perciò perdonate l'intrusione.
"E' la storia, non colui che la racconta." (Stephen King)

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Capitolo 2
*** 2. Il Rugby ed il Viaggiatore del 'Più in là' ***


2. Il Rugby ed il viaggiatore del ‘Più in là’
 
Justin spense lo stereo e con molta calma si avviò ad aprire la porta alla scampanellata furiosa di Dorian, il quale sosteneva che suonare il campanello più di due volte, specialmente in un condominio, fosse “Terribilmente i-ne-le-gan-te!”, per usare il suo vocabolario speciale da snob in esilio. Ma come al solito predicava bene e razzolava male, visto che si era attaccato al pulsante da cinque minuti, senza sosta.
Lui ed Eddie erano appena approdati al grigio casermone suburbano di Elke street, alla periferia nord di Dublino, quasi Artane, dopo un allucinante viaggio ad una temperatura impossibile sull’ autobus, e non vedeva l’ora di piazzare la sua ammirata testa bionda sotto il più gelido getto d’acqua disponibile a casa Swanson.
 Non appena Justin aprì venne travolto da due tornado, uno che si fiondò nel bagno, l’altro che si gettò sul divano dopo aver acceso la tv ed essersi sintonizzato su Mtv.
Dopo un paio di minuti durante i quali Justin li aveva visti fare il comodo proprio abbastanza basito, Dorian riemerse dal bagno con uno sguardo ammiccante negli occhi verdi, gettandosi a terra con fare melodrammatico.
“Dio, la luce, aaaargh, toglietemi da qui, mi sto sciogliendo, sto… divento cenere!!”
“Cos’è, un medley tra la Strega dell’Ovest e Lestat?”, chiese Eddie, distrattamente.
“Di che cavolo state parlando?”, intervenne Justin, abbassando manualmente il volume della tv, pensieroso.
Poteva essere fatale per lui passare dall’ascolto della cosiddetta trilogia berlinese di Bowie, con le sue atmosfere rarefatte e visionarie, alla moderna dance, pop o quel diavolo che stavano mandando in rotazione: doveva fare una complessa operazione per togliersi il Duca dalla testa e tornare al mondo, e lo faceva, di solito, lentamente.
E non sempre la riuscita era assicurata. 
 
Intanto però, si scambiò uno sguardo con Dorian, sedendosi sul divano più compostamente del rosso, e intuì.
 
“Hai avuto un’idea” sembrò più confermare che chiedere.
 
Il mugolio intraducibile dell’amico, reso comprensibile solo da due anni di convivenza quasi giornaliera, festivi compresi, lo mise al corrente che, in effetti, ‘sì aveva avuto un’idea, e come al solito era graaaaandiosaaa’. 
Tipico di Eddie.
Justin chiese, con molta calma, ancora ripensando all’intro di Sense of doubt: “Spiegarmela ti farebbe schifo?”
“Chi ha mai detto che mi farebbe schifo?!”
“Eddie…”
“Tu hai delle convinzioni strane, Just!”
“Eddie…”
“Massì, scherzavo!! Cristo, non si può più neanche scherzare che…”
“Eddie!”
“…ti tagliano in due con un’occhiata, giuro! Quando fate così…”
“Eddie!!”
“…non so, vi strozzerei, mutilerei, qualcosa di splatteroso! Siete peggio dei bambinetti, tu e …”
“EDDIE!”
“Che c’è?”
Dorian si accasciò con fare melodrammatico sul divano, torcendosi il suo maggior vanto: i capelli.
“Oh Signore, perché, perché, PERCHÈ mi hai affibbiato un amico così?! Qualche spiegazione me la devi! Non può essere stato solo perché ho disubbidito a tutte le regole cattoliche e perché ho sbirciato sotto la gonna della maestra a otto anni, insomma, Dio, mi hanno messo in acqua che avevo quattro giorni! Non è una lamentela, mio Signore, ma non capisco… Perché una pena così insopportabile?! Credevo non ci fosse NIENTE peggio dell’Inferno ed essendo appunto cattolico, non avevo paura delle conseguenze, ma tu me ne hai costruito uno su misura per me, con Eddie!!”
 
“Ah-ah”, sbuffò indispettito Eddie, dal monologo di Dorian. 
Justin rimase basito, invece, la bocca a mostrare una perfetta ‘O’ di stupore.
“Dimmi dove trovi tutta quell’aria, Dorian. Ti prego. Insegnami.”
“Ma non lo incoraggiare!”, sospirò il rosso.
“Ma potrebbe servirmi! Se Pamela Anderson cadesse svenuta sotto casa mia?! Insomma… respirazione… “
“Siete due idioti”
 
I due idioti si guardarono e iniziarono a ridere, per poi riprendersi quasi lacrimando.
“Uh, sì, hai ragione… Dai spiegami la tua idea!”
 Eddie fissò Justin ancora dubbioso e malfidente, e prese un respiro.
“Ricordi il gruppo di mio fratello?”
“I Golden Ghost? Mamma mia, da brividi…”, finse di rabbrividire Justin, cosa che fece trattenere Eddie dal mollargli un pugno. 
Ecco sua Maestà Justin Swanson, il ciclo della luna in persona, la nevrosi fattasi essere superiore, l’unico maschio al quale capitavano il malumore isterico da sindrome pre-mestruale e la depressione post-parto! 
COLUI-CHE-GIUDICA.
“Okay, facevano pena secondo te, ma almeno avevano un buco dove suonare regolarmente e hanno partecipato a qualche contest vincendolo, a dispetto di noi che siamo taaaaaanto braaaaaaavi  e non abbiamo mai fatto una serata fuori dal garage di Shane! Se non conti il compleanno di sua madre!” 
“Ehi, ehi, calmati!!”
“Col cazzo ‘ehi calmati!’, se non è un’idea tua non c’è niente da fare, vero?!” lo rimbeccò Eddie, alzando sensibilmente il volume della voce.
“Ti ho detto questo per caso?! Eh!? Ti ho detto che non c’è niente da fare?! NO! Non l’ho detto, quindi almeno fammi il piacere di stare zitto !!” gli rispose Justin violentemente, lasciando cadere all’improvviso la sua languida e pigra facciata che nascondeva il suo incessante lavorìo.
Eddie sapeva.
Sapeva benissimo che sarebbe finita così, ad urla, ma quando voleva Justin era così… fastidioso!
E soprattutto pareva che ci godesse ad esserlo.
 
Dorian li sbirciò di sottecchi, guardando qualche video: ormai a certe scene ci era più che abituato. Probabilmente ne era assuefatto e non poteva vivere senza. 
Avrebbero dovuto avvisarlo.
Le scariche di adrenalina marchiata Joyce\ Swanson davano pure dipendenza!
 
Eddie tornò ad un normale volume di voce e concluse, come se niente fosse successo.
“Comunque Edmond mi ha dato un paio di nomi di locali dove accetterebbero anche degli incapaci del cazzo come noi, e Jem ci lascerebbe suonare un’oretta al Queasy il prossimo venerdì. Fine.”
“E c’era bisogno di urlare?”, chiese Justin, tornato calmo.
Un silenzio calò sulla stanza, rotto solo dal mormorio della tv, mentre Eddie e Justin si scambiavano segnali di pace attraverso i soliti canali diplomatici: gli sguardi ed il passarsi una lattina di birra.
 
“Ehi…la faccendo del locale, comunque, per me va bene!”
Tutto ad un tratto sembrò che la tv si fosse rotta, congelandosi in un mutismo assoluto
Scese un silenzio di tomba sul salotto, con Dorian ed Eddie a bocca aperta che lo fissavano stupiti, cosa che fece roteare gli occhi a Justin.
“Che c’è!?”
“Tu. Ziggy. Tu.”, disse, con voce flebile, Eddie.
‘Incredibile!’, pensò Dorian, cosciente del fatto che di solito per convincere Justin a provare una nuova canzone si perdevano giornate intere a discutere, condite da musi e vendette trasversali.
‘Impossibile!’, pensò meno ottimisticamente Eddie, guardando esterrefatto l’assurdità vivente del giorno, ovvero Justin, che scrollò le spalle indifferente ai loro boccheggiamenti.
 
”Ma che c’è? Per me va bene! Ci possiamo provare, anche se… beh, siamo uno schifo, ad essere gentili…”
“Anche i Sex Pistols lo erano!” sentenziò Dorian, solenne, provocando la reazione degli altri due.
“Ma sta zitto!”
“Buffone!”
“Non vorrai mica fare paragoni!”
“E facciamoli, allora, tiriamo fuori le carte! Loro erano...”
“Dorian… taci!”
 
Justin fissò il suo sguardo su Eddie, ignorando gli sbuffi di Dorian.
“Possiamo provarci… ma dobbiamo sentire anche Shaney”
Eddie minimizzò le sue preoccupazioni, rimestando l’aria… 
Il vero problema era convincere lui, non Shane, e adesso che l’aveva convinto era sicuro che sarebbe andato tutto per il meglio; lo conosceva troppo bene.
Justin era stato il suo compagno di banco per mezzo anno scolastico, prima che Dorian se lo fosse accaparrato, e di quel periodo conservava ricordi contrastanti.
Ricordava che per la maggior parte del tempo ridevano esageratamente, incuranti degli sguardi assassini dei prof, a causa dei divertenti ‘Pensieri ad alta voce di Justin Swanson’, raccolta che poi era stata immortalata in un quaderno, di ‘Citazioni per i posteri’.
 
‘Secondo me il prof di matematica è un frustrato maledetto a causa della moglie… dev’essere un donnone sui centocinquanta chili che si è scelto per il semplice motivo che gli ricordava la madre… Sai, complesso d’Edipo e palle simili. Solo ora si sta rendendo conto di che sbaglio abbia fatto portandosi a casa la prova che i cetacei si muovono anche sulla terra, e vedendo noi, giovani virgulti con ancora molte speranze di scampare al suo terribile destino, vuole bastonarci il più possibile, ma aspetta, intendimi, capiscimi… non per punirci, ma per abituarci al fatto che la vita è dura, e che noi dobbiamo lottare per avere un destino migliore del suo. In fondo è un atto d’amore.’
‘Il suo atto d’amore mi è costato un’insufficienza e l’arrivederci al pub per almeno due settimane!’
‘Che ci vuoi fare? In futuro lo ringrazierai. Pensa che nel tuo futuro…’
‘Justin, ti sta chiamando fuori.’
‘PORCA PUTTANA!’
‘E che ci vuoi fare? In futuro lo ringrazierai!’
‘Ma vaffanc…!!’
 
 
Pensieri scambiati sottovoce nel doppio banco della terza fila durante le ore di matematica, dove inesorabilmente veniva loro chiesto di eseguire esercizi umilianti per loro e per il prof, per colmare le lacune che si trascinavano da anni.
Joyce- Swanson, Swanson- Joyce era il ritornello di ogni interrogazione.
Dorian ogni tanto si voltava da due banchi più avanti e li guardava sghignazzando.
Diceva che erano una bella coppia, sì… ‘Oh che bella coppia, mio Dio! Proprio una bella coppia… di comari!!’
Da vedere, specialmente.
Eddie, coi capelli ondulati dal colore tipicamente irlandese, culminanti in un ciuffo tizianesco, un castano ramato ben assortito con le rare efelidi sotto agli occhi nocciola, che gli donavano un aspetto simpatico e un po’ fanciullesco sul viso dai lineamenti morbidi, e Justin, con i capelli persino più chiari di quelli di ‘Mister Temple School’, solo più corti, con la sua dannazione, la frangetta, che non stava a posto neanche a cementarla con qualsiasi prodotto,(obiettivo dei suoi frequenti rimaneggiamenti) a coprire parzialmente i suoi occhi chiarissimi, i lineamenti sfuggenti ed un fisico androgino, contrapposto a quello del compagno, in apparenza magro ma scolpito nel fango della palla ovale fino ad un anno prima.
 
Edward Joyce Jr. aveva finito di far ridere i veterani della Temple appena cinque minuti dopo l’inizio della prima partita d’allenamento per l’ammissione delle nuove matricole; la sua apparente fragilità e la sua espressione simpatica non gli avevano impedito di stendere brutalmente, in placcaggio, Robert “Rocky” O’ Wordell, il capitano, e segnare.
Da allora aveva sputato e fatto sputare sangue quasi ogni settimana sull’erba verde dei campi scolastici di Dublino, all’inseguimento di quella dannata palla.
Il suo compagno in quel genere di svago era Shane, l’altro pezzo mancante del loro gruppetto, probabilmente in arrivo al traguardo di Elke street a momenti, caricato di giornali, lettore cd con Dio solo sa che gruppo metal, e scooter schifosamente customizzato. 
Proprio lui l’aveva spinto a provare la palla ovale quattro anni prima; per Shaney era facile, era un pilone dal suo ingresso alla Wenders Temple School, per due anni di seguito capitano, titolo a cui aveva rinunciato per puro divertimento e per non impegnarsi in quelle noiosissime riunioni con allenatore e compagni.
Per lui era puro spasso e basta.
Eddie si chiedeva sempre se gli avversari che regolarmente si lasciava dietro sul campo fossero così entusiasti che avesse scelto quel tipo di ‘spasso’.
 
Shaney, a differenza sua, era un armadio,solido, possente, imponente ed anche aitante,e assieme a Dorian veniva considerato, con enorme imbarazzo, uno dei più belli della scuola, da quelle quattro oche esaltate delle loro compagne, ma di un tipo di bellezza totalmente diversa.
Dorian era leggero, aggraziato come un ballerino, come se avesse sempre avuto quella bellezza, spesso un peso per lui, e l’avesse sempre portata comunque con stile, a volte con pose e portamenti falsamente femminili, mentre Shane aveva giusto un fisico da rugbista,ingentilito da
intensi occhi blu, e si trovava senza parole, letteralmente in fiamme, di fronte ad un complimento sul suo inconsueto aspetto. 
Stava molto meglio quando rompeva le ossa a qualcuno in campo, e si vedeva.
Eddie stesso, un anno prima, in un incidente in allenamento, aveva rimediato la lesione dei legamenti crociati, che gli era bastata per chiudere la sua carriera sportiva, seppure promettente, senza troppe lacrime.
Il rugby non era il suo futuro, gli piaceva solo rompere qualche osso come valvola di sfogo, 
e se ci riusciva, combinando anche qualcosa di buono per lui, per la squadra e per la scuola,
meglio così.
In fondo, nella squadra scolastica, in un anno di capitano, due di mediano ed uno di trequartista, si era guadagnato parecchie serate con ardenti fans, a volte anche di classi superiori alla sua. 
Oltre ad un naso rotto, vari occhi neri, tagli, graffi, contusioni ed una clavicola sporgente.
Non gli era comunque mai andata male, contando che la scuola aveva una percentuale del 20 % di ragazze in tutto il corpo studentesco e che prima di entrare in squadra aveva ottenuto solo due appuntamenti, ed anche quasi strisciando.
Gli andava meglio che in qualsiasi altro ambiente scolastico, banco compreso, dove le lune di Justin erano rare, ma incombevano in ogni momento della giornata.
 
Era volubile, lo sapeva lui stesso, cambiava umore, gusti, aspetto e idee nel giro di una giornata.
Aveva passato un periodo semipunk, si era dato successivamente alla techno ed al trip hop, e dopo essersi rotto un braccio in un pogo selvaggio ad un rave a Londra l’anno prima, aveva esplorato l’universo grunge per concludere che non gli andava del tutto a genio; era passato molto recentemente attraverso una fase di musica celtica, vagabondando con degli squatter new age, non arrivando comunque mai al parossismo nelle sue scelte, ma affrontandole con convinzione.
Spesso girava con altre compagnie, ma girava, girava, conosceva, riportava gente e tornava sempre da loro; Eddie era convinto che un giorno Justin li avrebbe mollati: era diverso da loro in tutto, soprattutto nella testa.
Era approdato al trittico classic rock, new wave, post punk attorno ai 15 anni, e ci si era aggrappato con tutte le sue forze non mollandolo più, ma era curioso vedere come ognuno degli stili che aveva esplorato gli fosse rimasto appiccicato addosso.
Non riusciva ad amare nessuna delle discografie complete in suo possesso, così in camera si potevano trovare, spesso fuori dalle custodie o scambiati, i Depeche Mode anni ’90 assieme ai primi dischi di David Bowie, i Cure vicino a qualche raccolta dei Led Zeppelin, i Pink Floyd combinati ai live degli U2 , i Joy Division , i dannati Nirvana, ai quali preferiva i Pearl Jam, specie negli ultimi dischi…
E molto, molto altro.
Sembrava possedere una cultura sulla musica rock contemporanea che pareva illimitata per un ragazzo della sua età, ed aver almeno ascoltato superficialmente ogni mostro sacro e non; cosa sufficiente per dargli un’aura di sacralità, almeno agli occhi di Dorian, che letteralmente lo adorava, ma c’erano cose che spesso preoccupavano Eddie.
 
Justin aveva uno sguardo sfuggente che, ai primi tempi della loro amicizia (si sarebbe detto che erano ‘in prova’), li inquietava non poco; sembrava sempre pronto a qualcos’altro, sempre pronto ad andarsene, non importa se in qualche luogo a loro sconosciuto ma reale,o in qualche luogo nei recessi del suo cervello, forse ignoto persino a lui.
A volte era talmente assorto nei suoi viaggi e pensieri profondi che assumeva un’aria interdetta, bloccandosi come un pupazzo, arenandosi in qualcosa di più profondo delle normali scogliere mentali; Shaney, che aveva un bisogno vitale di ribattezzare le cose secondo il proprio ‘vocabolario’, chiamava quei posti remoti ‘La Terra del Più in Là’, mentre loro due pensavano più semplicemente che si perdesse, come testimoniavano alcuni (molti) episodi.
 
“Justin? JUSTIIIINN!!! Sì, vabbè, si è perso ancora nel ‘Più in là’… Eddie chiama Justin, svegliaaa!”
 
“Ma ti perdi, Just? Stiamo suonando ‘Satellite of love’, non ‘Walk on a wild side’!”
 
“Swanson, dannazione, ci sei o ci fai?! Siamo al capitolo cinque e tu stai leggendo il due!”
 
Puntualmente Dorian lo risvegliava con la sua tipica chiamata che lo contraddistingueva da due anni a quella parte, da quando lui ed Eddie, al terzo giorno di scuola assieme a quel tizio sconosciuto, avevano ammirato per la prima volta il suo lasciare la terra conosciuta per l’apparente spazio vuoto, che presumibilmente per lui non era proprio vuoto, ma solo mascherato da interesse catatonico per una finestra chiusa che dava su un grigio muro, l’altro lato dell’edificio scolastico fatto a ferro di cavallo.
 
Eddie, che non si ricordava neanche che nome avesse quella specie di pezzo di ghiaccio privo dell’uso della parola suo vicino di banco, lo aveva chiamato una decina di volta con epiteti sempre più offensivi, gli aveva schioccato le dita vicino all’orecchio, lo aveva pizzicato, scosso…
Mancava poco che lo prendesse a calci, quando Dorian, che aveva il vantaggio di aver maggior confidenza col ‘tizio’ (confidenza datagli dalla sua faccia di bronzo, nell’averlo salutato il giorno prima come ‘collega ripetente’, e ne conosceva persino il nome), aveva sfoderato il suo richiamo che era poi diventato leggenda.
 
Nella provvisoria aula allestita in fretta e furia per la loro classe, in attesa di una sistemazione più consona, il silenzio languido delle calde giornate di settembre che, oltre alla coda dell’estate, si trascinava dietro anche i pensieri degli studenti, spesso malinconici, fu squarciato quasi fisicamente da un  avvertimento ad alta voce e poi da un’ urlata che mai e poi mai si sarebbe detta provenire dalla delicata e caruccia bocca di rosa del soavissimo Dorian Kierdiing!
 
“Ehi, Justin? Justin?! Swanson? EHI!! OOOOOOI, SWANSON!!”
 
A quel punto buona parte della classe si era girata e risvegliata dal torpore, mentre il professore ignorava platealmente il baccano per la sua equazione frazionaria d’esempio.
Dorian, incurante di tutto se non di quello sguardo velato che lo spaventava non poco, continuò imperterrito nella sua impresa, entrando così nella leggenda come il più grande buffone della classe.
 
“JUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUUSTIN CAAAAAAAAAAAZZZOOOOOOO!!!!!!!”, urlò, con tutto il fiato che aveva.
E non era poco.
Una ricucitura frettolosa e pesante del silenzio di prima era ricaduta sulla classe dopo il verso solo parzialmente umano, con Eddie che si schiaffava una mano in faccia, i compagni davanti girati verso di loro come fossero un’attrazione da circo (ed effettivamente Dorian si sentiva il clown della compagnia a pieni voti!), il professor Reilty che si era bloccato nella curva di un “2” sulla lavagna, ancora troppo stupito per voltarsi…
 
E Justin, dolcemente, si era riportato sulla Terra, Dublino, Wenders Temple School, distogliendo lo sguardo vuoto dalla finestra e concentrando, gradualmente ma con costanza, l’espressione su Dorian, addirittura con un'arietta irritata perl’interruzione dei suoi pensieri.
Il futuro Mister-Wenders-school in quel momento aveva pensato che era il più preoccupante stronzo probabilmente psicotico che avesse mai visto in sedici anni di vita – quasi diciassette, che cazzo!!
 
“Cazzo hai, Kierdiing? Stai male?”


N.d.A; il capitolo stavolta è stato betato dalla mia cara amica e a sua volta autrice Jo_the_Ripper; i malcapitati che ho letteralmente inseguito con questo racconto non ancora riscritto, e che mi hanno suggerito di rifarlo e pubblicarlo (santa pazienza di santa gente), mi hanno raccomandato però di avvisarvi di una cosa: tenete duro per i primi capitoli, poichè vi sarà solo un' OMBRA del 'soprannaturale'. Questo è un racconto molto, molto lungo, e avanti vi saranno stranezze e disagi a bizzeffe, perciò se ne cercate, non demordete, arriverà. Grazie per essere arrivati fin qui

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Capitolo 3
*** 3. Attrazioni ***


3. Attrazioni
 
Shane Haynes - Shaney per gli amici (pochi ma buoni) e per i nemici (pochi e buoni anche quelli)- occupò la porta del salotto con le ampie spalle da rugbista, sventolando, come previsto, un giornale di musica per farsi aria. Salutò e poi seguì l’esempio di Dorian, correndo a tuffarsi con la testa sotto il lavandino.
Quando rientrò nella piccola comunità, dove regnava una vibrante aria di attesa attorno ad un soddisfatto Eddie che si scolava la terza Guinness, Justin borbottò qualcosa come ‘Grazzzzzzie per aver chiesto, tanto è casa tua!’, cosa che Mister Wenders School si affrettò a zittire con una cuscinata.
 
Shaney aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa.
Qualcosa che riguardava Eddie, qualcosa di indefinito, di carico, di emozionante…
Eddie, finita la lattina nera, levò lo sguardo su di loro, fissandoli uno per uno, in un silenzio reverente e ad occhi lucidi, poi li abbassò e si levarono le incitazioni.
 “VAIVAIVAIVAIII!!” esclamò Dorian. “Eccolooo!!” si entusiasmò Just. “MACHECCA…!!” fece Shaney confuso.
 “B I I I I A A U U U U R R R R H H P P P P ! ! ! “
Una salva di applausi a sei mani chiuse trionfalmente il finalino in calando del suo rutto di 7 secondi da quattro lattine di Guinness in duplice tonalità perfettamente modulata, un pezzo forte della sua scuderia: “Un rutto per ogni occasione”, suo vanto e gloria. 
La scala partiva dagli educati ruttini trattenuti dietro una mano, e terminava al grado medio di coma etilico generale, che corrispondeva a circa venti birre in una scala normale, ossia trenta in quella Edwardjoyciana. 
Più passava il tempo e più si perfezionava, aggiungendo ad ogni festa qualche pezzo al suo repertorio.
Eddie raggiugeva nuove vette solitamente a feste di compleanno di qualche loro amico, compagno di classe o di squadra di rugby. La situazione era simpaticamente precipitata ad un party quando lui era ormai arrivato al quarantesimo rutto in modulazione imperfetta e persino Shaney, il più moderato della compagnia,  era arrivato a confondere il pavimento con le montagne russe di Disneyland, e la madre tristemente magra del festeggiato con Carmen Electra, e specialmente quando Dorian aveva abbracciato Justin, più per facilitarne la caduta che per trattenerlo, decidendo che doveva parlargli
E ovviamente, trattandosi di Dorian, non certo ad un volume basso.
“Oh, Just, pre…premetto. N’n pensare che io sia ‘briaco, eh?!”
“N-no, noooooo, non lo penso. Io, i-io…ecco, sì, lo dico! Sei sbronzo! Maaaaa-aaarcio!”
“E…e tu no, eh!?”
“No, io n…no! Cioè, traaa-traballo, ecco, un pochetto, ma ragiono! Ehi, cazzo, RAGIONO! Vedo solo… con-fusho! Però non s’no mica ubriaco, logic… logico! Per un po’…di vodka…e …”
“L’hai scritta tu quella roba in bagno? Cioè… quella…la scritt..scritta! No, dicevo…la scrittura…no…la scri…scritta!”
“Che…s…scritta?!”
“Jusssssstin am-ama Doriannnn!”
“Ma…shei proprio ubr’aco, burp! Sei schemo!?”
“Ah n-no.. perché ti volevo rin…ringraziare, sì! Anche io ti voglio bene, davvero! Ma amare, NO!”
“Se…se me la metti giù in questi modi…s-strani? Anche io!”
 
Dorian reggeva pochissimo l’alcool ed era un’esibizionista per natura, tendenzialmente buffone ma disposto a far di tutto pur di essere al centro dell’attenzione.
Riprova ne era la festa di qualche mese prima, l’8 gennaio,  per il diciottesimo compleanno di Eddie, a Linayr. Erano ancora in vacanza, avrebbero tutti dormito in garage, e perciò ci avevano dato dentro PEGGIO del solito, mettendo a soqquadro la casa grazie all’assenza dei suoi genitori (sua madre Aislinn aveva sentenziato che preferiva NON VEDERE!!) e l’aiuto di suo fratello Edmond.
Dorian, ad un certo punto, sotto il riff infernale di Jumpin’ Jack Flash, aveva chiesto a Justin, il suo bersaglio preferito, il permesso di baciarlo.
Quando questi, sospirando per farlo stare buono, aveva porto la guancia, si era ritrovato quasi dieci centimetri di lingua ad accarezzargli le otturazioni principali. Dopo che Eddie, con i capelli dritti, gliel’ aveva staccato di dosso, ridente come una scimmiotta dispettosa, Justin era corso…no, volato  in bagno in preda a dei conati di vomito, ed aveva rigettato tutto l’alcool della serata.
La mattina dopo, rinfrescando la memoria etilica usa e getta di Dorian, era stato ancora colto da nausea stile gravidanza, soprattutto dopo che questi, non ricordando, aveva scrollato le spalle dicendo: “Io c’avrò anche provato, ma tu, da troia che sei, evidentemente ci sei stato”, aggiungendo anche, mentre Justin correva ancora in bagno, con aria seccata da lord :”Io non molesto i ragazzini, ricordalo!”
*
Edele Angela Swanson, la madre di Justin, riemerse dagli oscuri recessi della camera da letto padronale, dov’era sempre stata se non per dare un salutino fugace all’arrivo dei ragazzi, recando con sé due borse da viaggio simili a quella di Dorian, si diresse verso il salotto, da dove provenivano le risate del quartetto.
Non appena apparve sulla porta della stanza, calò un leggero silenzio velato da occhiate maliziose, probabilmente riguardanti l’argomento che li faceva tanto ridere.
Represse uno sbuffo mascherandolo con un sorrisetto.
Maschi. Adolescenti. 
Pensavano che non sapesse come girasse il loro mondo, per carità di Dio!
A trentasette anni, Edele faceva girare per un’ occhiata supplementare parecchi uomini per la strada, e non solo lì, visto come si imbambolava ed arrossiva anche Eddie, specialmente quando chiedeva a lui e a Justin di farle un favore, e spesso gli affidava compiti ingrati e spassosi come stendere qualche panno intimo, solo per vederne la faccia.
Adesso, mentre osservava pensosamente i ragazzi che al suo arrivo erano scattati in posizione militare, era più bella che mai, con il visto truccato in modo che i suoi occhi azzurri, dello stesso colore trasparente di quelli del figlio, ma dal taglio più orientaleggiante, risaltassero sulla sua abbronzatura estiva, cosa che a lei riusciva e a Justin no, sebbene le sue origine scandinave si riflettessero molto nell’aspetto del figlio. Le sue occhiate vagabonde si posarono poi sulla sigaretta che fumava nel posacenere, e sospirando mormorò, con una voce arrocchita dallo stesso vizio.
“Justin.”
“Presente, signora!” rispose fulmineo, irrigidendosi ancora di più.
“È tua quella?”
“Ehm…”
“Oh, Justin!”, sospirò ancora, rassegnata al ruolo di madre: ripetere cose che quell’esplosione di ormoni di suo figlio avrebbe ricordato solo a trentacinque anni. Forse.
“Mi avevi detto che avevi smesso… Te la vuoi proprio rovinare la voce? Tutte queste prove per un cavolo?”
“Per una, mamma!!” sbuffò irritato Justin.
“Diciott’anni li hai passati da un pezzo, caro… Affaracci tuoi”
Ma non gli lasciò il tempo di respirare che lo riprese, a bruciapelo.
“QUANTE ne hai fumate, oggi?”
Per tutta risposta, e con aria sdegnata, Justin fece spallucce e prese un pacchetto di Camel light dal tavolo, mostrandole diciannove perfezioni circolari bianche.
Edele sembrò soddisfatta e gli raccomandò, con rinnovata allegria, di non fumare o bere troppo durante la sua assenza, al che Justin rispose, con aria umile e mogia, che lui non lo faceva mai, il tutto mentre Dorian reprimeva una risata, al pensiero anche che le cicche in questione erano le sue;  Just ne aveva già fatto fuori un pacchetto ed era a metà di un altro, dalla mattina.
Edele, aiutata da Shane, raccolse le sue borse e si girò a salutarli dalla porta, dove, squadrandoli un’altra volta come un generale, sparò la sua definitiva raccomandazione.
“Se vengo a sapere che hai combinato qualcosa di cui mi intendo io o che sei tornato dopo l’ una, Justin Andreas Swanson… TORNO INDIETRO! Lo sai questo, vero?!”
“E come cazzo faccio a scordarmelo…” borbottò irritato il figlio.
Durante i suoi weekend d’amore col partner di turno, lo sorvegliava marcatamente e non solo a casa: dava il suo numero di cellulare alla loro vicina di casa settantatreenne, la quale provava un piacere quasi perverso a segnalarle ogni mancanza del figlio durante le sue assenze.
Le sue ovaie rinsecchite non potevano fornirle più piacere che telefonare ad Edele Swanson per avvisarla degli orari di rientro di quel disgraziato o di chi si portava in casa, o di quanto casino facesse…
Maire “Puttaderl” Gadderl, una volta, l’aveva fatta tornare con un volo notturno da Londra, e Justin se l’era trovata, appena un anno prima, sfatta, con le borse,mascara  e trucco colati, che lo tirava giù dal letto per i capelli. E tutto per un cazzo, visto che non aveva fatto più casino di quando c’era anche lei a casa!
Era molto permissiva, ma temeva in modo morboso qualche stronzata stile quella dell’ex marito, come mettere incinta una povera ragazza irlandese di famiglia ultra cattolica, con la sua espressione da bel tenebroso, la sua chitarra ed il suo chiodo di pelle, per poi doversela sposare e picchiarla fino al giorno in cui era schiattato a 24 anni, liberandoli entrambi. 
Quella sua maledetta moto, con la quale ancora andava a rimorchiare ragazzine, aveva trovato il tempismo giusto contro l’albero giusto, niente da dire!
Non voleva guastare al suo unico figlio gli anni più belli e divertenti della sua giovinezza, ma non voleva neppure che si rovinasse la vita o la rovinasse a qualcun’ altro diventando uno dei tanti buzziconi al pub dell’angolo, con un lavoro in fabbrica o al comune, con una moglie sedicenne a carico sposata in sontuose nozze riparatrici.
Lottava per il suo futuro, e doveva averlo capito persino lui con quella testa di bronzo che si ritrovava.
Edele si volse ancora una volta verso i ragazzi, riemergendo alla luce.
“Bene… ragazzi, fate i bravi, fate pure casino entro un certo limite, ma ricordate che…”
“Ci terremo i pantaloni addosso, Edele” promise solennemente Dorian, facendo portare ad Eddie e Shane  la mano al viso in un gesto di frustrazione ed imbarazzo, e beccandosi un’occhiata di fuoco da parte di Justin.
 “Dorian Kierdiing. Sei sulla mia lista nera e con te anche tutti voi. Ringraziatelo!”
“Stronzo!”, inveì Justin.
“Boccaccia di merda!”, aggiunse Shane, ancora rosso.
“Testa di cazzo!”, riassunse Eddie, con uno sguardo che prometteva vendetta.
 “Bene, bene, calma, soldati… direi che così può bastare! Adesso devo proprio andare… Comunque, divertitevi. So che aspettavate solo che me ne andassi fuori dai piedi, state complottando da due settimane!”
“Graaaaaazieeeeeeeeeeee!!” risposero ghignando, in coro, quattro voci tardo adolescenziali.
-Cretini…-, pensò, sorridendo, Edele.
David, il suo attuale partner, era salito a prendere lei e le borse, salutò i ragazzi, sentendo le ultime dichiarazioni, ed una volta scesi in macchina, rise, ripensando alla scena.
“Cosa ridi, Dave?”
“Niente… è che non si noterebbe quasi, la differenza tra te ed i ragazzi!”
“Ti sbagli…” e con una punta di affetto e la solita apprensione, si girò a guardare il casermone di Elke street in lontananza.
“Venti anni… non sono niente, anche se possono sembrarlo”
*
*
(…UN ALTRO LUOGO\UN ALTRO TEMPO…)
 
Rumori di fondo. 
In principio vi era il Tutto, in tutte le cose.
 
Questo scomparve quando nacquero, da lui, la Ragione ed il Buio; il Buio si contrappose al Tutto, e nutrendosi del buio all’interno di tutte le cose, ne creò altre, segnando la fine del Tutto.
Dopo il Buio venne suo figlio per patogenesi, il Caos.
All’inizio lo scambio era reciproco: il Buio si alimentava del Caos, che a sua volta si cibava delle emozioni primitive degli uomini, così forti e vere. Gli uomini non erano altro che assurdi giocattolini, statuette che credevano superbamente di sapere e imparare, ed erano indispensabili per sopravvivere.
Il Caos nutrì gli uomini con l’Inganno e succhiò quelle emozioni posticce che si creavano in loro, avvelenando con esse il Buio, che attingeva da lui.
Così il Buio scomparve.
Il Caos regnò sovrano, e continuò a regnare alimentando gli uomini con dolce Inganno e Apparente succoso Sapere Umano, dando loro sempre l’impressione di progredire grazie a false scoperte.
Ma non riusciva ad eliminare la Ragione, quel potere niente affatto freddo come credeva nelle sue false illusioni, e che a volte rovinava tutto il suo divertimento per capriccio o per rispettare l’antica volontà di suo padre, il Tutto.
Il Caos, terribile ma purtroppo fragile, decise di impadronirsi degli uomini.
Mandò degli emissari figli del Dolore e dell’ Ira, plasmati appositamente seguendo suoi ordini precisi.
La Ragione, creatrice dell’Intelligenza e del Sentimento, resisteva, ma non poteva contrastarlo apertamente.
 Aveva ordinato ai suoi figli di creare anch’essi degli emissari che avessero potuto contrastarlo,in modo nascosto.
La lotta si era protratta per secoli, e mano a mano si erano scontrati i più terribili e nobili emissari, sotto spoglie di santi, assassini, generali, politici, camerieri, sacerdoti, re…
Tutto ciò non c’entrava niente con le religioni, sia il Caos che la Ragione sapevano dell’esistenza di Qualcos’Altro, probabilmente potente milioni di volte più di essi, e che probabilmente influenzava anche loro, ma mai era intervenuto.
Era immobile.
Immobile, intanto che gli emissari continuavano a combattersi senza saperlo, poiché nemmeno il loro subconscio conosceva l’ordine primordiale dei loro creatori, e gli emissari del Caos, troppo riconoscibili e combattuti non solo dagli inviati della Ragione ma anche dagli uomini, furono rapidamente sconfitti,una volta trovati.
Con la differenza che i loro nemici sovrannaturali cercavano di distruggere solo la loro infinitesima anima immortale, mentre gli uomini, crudelmente, distruggevano anche le loro spoglie umane, proprio come gli Emissari del Caos; un modo infinitamente crudele di agire.
Gli inviati della Ragione, dopo aver sconfitto il loro avversario, perdevano il loro istinto e tornavano ad essere comuni mortali;  gli inviati del Caos migravano in un altro corpo e ricominciavano la lotta. 
Ne era rimasto solo uno, che aveva già sconfitto il proprio avversario ma del quale la Ragione ed il Caos si erano ormai dimenticati,avendo combattuto troppo a lungo, ed essendo loro in una parziale tregua.
Questo inviato era quanto ci fosse di più vicino a quello che la gente comune avrebbe definito “angelo”, ma non lo sapeva e non l’avrebbe mai saputo.
Forse.
Era troppo umanizzato, troppo integrato per avvertire anche solo nel suo animo un qualcosa riguardo la sua missione. Per poter vivere, la sua particella immortale si era trasferita da mente a mente per secoli, dormiente ma viva. 
Tutti ne avevano cancellato il ricordo, persino lui stesso.
Il Caos si concesse una pausa nella sua millenaria vita, rimanendo attivo durante il sonno, ma non cosciente.
Così come la Ragione, aveva scordato che Alael, l’Immemore, era ancora vivo.
*


Bene, questa è la prima, infinitesimale particella. Sviscereremo la cosa con calma. Se vi và

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Capitolo 4
*** 4.Musica (?) ***


4. Musica!
 
(…UN ALTRO LUOGO\ UN ALTRO TEMPO…)
 
La calma finì quando il Caos, verso la fine del XX secolo, si svegliò dal suo sonno parziale con un brutto presentimento, e spiò il mondo con sospetto.
Con suo orrore, vide che la Ragione l’aveva fatto suo con apparecchi in grado di comunicare a distanza, di muoversi velocemente e di arrivare persino su altri pianeti.
Vere scoperte!
Verità finalmente non taciute, anche se a lungo nascoste!
Superstizioni sradicate!
 
Quel caos apparente, che lasciava poco spazio agli imprevisti, suonava come uno sbeffeggiamento per mano della vecchia nemica, e significava che c’era "QUALCUNO" in giro, probabilmente ignaro del suo compito, persino al di là del suo infinitesimale subconscio, in barba alle teorie di quel divertente Freud.
 
Finché quel ‘qualcuno’ fosse stato in giro, attivo o no, la Ragione avrebbe avuto più potere del Caos, anche se probabilmente essa stessa ignorava quale fosse il perché.
 
Neppure le catastrofi naturali che ispirò, inondazioni, terremoti, incidenti nucleari, guerre tra popoli vicini, scalfirono come in passato l’umanità; la Ragione, tramite idee inviategli, l’aveva preparata.
Il Caos, scatenato, sapeva che non poteva sconfiggere la vecchia e furba nemica, troppe volte ci aveva provato, ma poteva almeno ridimensionarla. 
Pareggiare i conti.
E per quello, vi era una sola cosa da fare.
 
Un inviato. 
Dopo tanto tempo.
 
Creò personalmente, dopo millenni, assieme al Dolore e all’Inganno ad assisterlo, un potere primitivo da inviare per sconfiggere il superstite ed ignaro emissario della Ragione, e si rimise in attesa.
Per la prima volta dopo secoli, un inviato del Caos, si svegliava nella luce della fine del millennio.
 
Il processo sarebbe stato lungo, ma presto o tardi avrebbe trovato e riconosciuto il suo contenitore predestinato, e avrebbe distrutto nell’anima e nel corpo l’immemore Alael, inviato della Ragione. Probabilmente quest’ultima non l’avrebbe mai scoperto, ne avrebbe soltanto subìto gli effetti. Non sarebbe mai più progredita a quella velocità distruttiva per il Caos.
 
Ormai, dopo anni di attesa il tempo era vicino: Dayer, l’Innocente, stava per incarnarsi.
Mancava solo una fase di passaggio...
*
*
“Magari stavolta sarà solo una fase di passaggio…”, sospirò Dorian, rimettendo a posto i cuscini con i quali era stato bersagliato nuovamente, grazie ad un suo commento sui Nirvana non richiesto, come al solito.
“No, dammi retta; la tua vedova del cazzo darà battaglia per quei diritti del marito finché Dave Grohl o Krist Novoselic cederanno e si punteranno anch’essi un fucile alla testa! È questo quello che fa, mio caro! È una mantide religiosa, e sarebbe meglio se fosse rimasta al cinema!”, replicò Shane.
"Oh Dio…”, sospirò Justin, mettendosi pancia all’aria, socchiudendo gli occhi con un’espressione soddisfatta. “People vs. Larry Flint… che gnocca… me la sarei rivista centomila…”, e tacque di botto vedendo tre cuscini levarsi. “Beh, le sue qualità artistiche come attrice non si discutono, dai!”, si difese.
I cuscini partirono (sì, anche da Dorian).
“Sai, Justin, nel dire ‘qualità’ sembrava ti stessi facendo una sega mentale, anzi no, vera, e che tra un attimo chiedessi che ce ne andassimo!”, brontolò Eddie, riprendendo la Guinness che aveva lasciato per colpire Justin con i cuscini
“Oh, sai bene come la penso su Courtney! E poi a me le Hole piacc…piacevano! Insomma, gente… Courtney Love… Melissa Auf der Maur…MELISSA, GENTE! SHANE, DI’ QUALCOSA, DIFENDIMI!” ,strillò, quando vide la salva di tessuto pararsi di nuovo contro di lui.
Shane, che aveva priorità più urgenti che difendere l’amico, tirò il cuscino senza neppure guardare (beccò Justin dritto in faccia, ovvio) e spiegò il giornale che aveva portato, Totem, la loro Bibbia di musica; Shane comprava almeno 5 magazines al mese, oltre all’ovvio RollingStone e NME, anche un paio di hard rock e metal e gli altri vivacchiavano a sue spese, di solito. 
Disposti in un perfetto circolo maschile, ossia stravaccati sul tappeto buono di Edele con una Guinness a portata di mano, si misero a dare una lettura veloce del magazine di musica, richiamando l’attenzione su questo o altro articolo, e passando i canali musicali, senza troppa attenzione, con un prigri chiacchiericcio.
Eddie, appena annebbiato dalle birre precedenti, scosse la testa sulle nuove proposte, ed in particolare su un gruppetto americano che cominciava a farsi vedere un po’ troppo spesso per i suoi gusti in heavy rotation su Mtv, ed erano trattati alla soda caustica nell’articolo di Totem sul pop: i Backstreet Boys.
Bevve un altro sorso della sua quarta Guinness e dopo un rutto imperfetto fregò il giornale a Shane.
“Ehy!”, protestò questi, che aveva superato da un pezzo l’articoletto sui ragazzi di Orlando, passando ai Cardigans.
“Certo che non fai ora a seppellirne uno che ne saltano fuori altri cinque…”, borbottò il rosso.
Shaney, non avendo capito ed osservando la foto di cinque perfetti bravi ragazzi americani dalla faccia pulita, gli chiese:
“Sepolto, chi?”
“Ma dai, quei cinque scemi, i Take That… Che poi non sono ancora scomparsi, no? Dio ci ha fatto questa grazia e me la sono persa?”
“Mmmm no, per ora si sono fatti sentire il biondino, Mark Owen, e Robbie Williams… Robbie non è male. Oddio, le canzoni fanno schifo, ma almeno ha avuto il buonsenso di andarsene da quei deficienti!”, commentò Dorian, pancia in su e sguardo assorto verso il soffitto.
“Guarda che l’han cacciato…”, lo corresse Justin, che invece se ne stava a pancia in giù, apparentemente attento ad un vecchio video degli Aerosmith, in pratica con le orecchie drizzate come uno sciacallo. 
Shane scrollò le spalle.
“Si è fatto cacciare, è tutta un’altra cosa. Comunque erano una stronzata! E tu dici che questi sono uguali?”, continuò rivolgendosi ad Eddie, il quale osservò un’altra volta le facce sorridenti e sparò la sua sentenza.
“Assolutamente. Questi sono i cloni americani, i New Kids on the Block della Total Mtv Generation, scommetto che bevono latte, fanno beneficenza e gli viene da piangere ogni volta che ricevono un peluche dalle loro fans, perché è come se ricevessero un pezzo del loro cuore!”, finì, in tono zuccheroso.
“Ma come siamo informati!”, ridacchiò Dorian, per poi continuare “Comunque ci dobbiamo rassegnare, vedi come anche le ragazze stiano diventando grossa fetta del marketing… Insomma, avete visto quelle dannate Spice Girls, il successo che stanno avendo!”
“Saranno pure cretine, ma la rossa è proprio gnocca! E poi queste cose partono o dall’Inghilterra o dagli Usa, avete notato?”, chiese Eddie, aprendo un’altra Guinness.
Justin scosse la testa.
“Intendi come quasi la totalità dei movimenti popolari associati alla musica? Il termine Beatlemania ti dice niente?”
“Mi dice che non mi serviva un antropologo del cazzo, grazie!”, lo rimbeccò l’amico, interrotto dall’aria assorta di Dorian.
“Questa è comunque una puttanata… Dico, e noi cosa dovremmo dire, allora?”
Eddie lo fissò con curiosità interrogativa.
“Spiega. In termini più umani dei suoi, per piacere” ,disse, indicando Justin, che brontolò.
Shane intervenne, punto nell’amor proprio; se c’era un vero irlandese, lì, quello era lui!
Sarebbe morto di fame in qualche cella inglese, se gliel’avesse chiesto Shane Mc Gowan.
“L’Isola di Smeraldo produce solo musica di alta qualità ed impegno! A parte i soliti U2, anche tutta la musica tradizionale nostra, o Van Morrison, i Clannad, o anche solo la musica dei pub o per strada… È uno spessore maggiore rispetto a quelle cazzate!!”
Ormai si era infiammato e guai a chi avrebbe provato a fermarlo!
Storse la bocca in una smorfia e continuò la sua tirata, prendendo fiato.
“ NO! Non voglio sapere quanti effetti, quattro o cinque vocine di tono standard studiato per piacere al medio pubblico, elaborate a tavolino, che poi live senza coristi farebbero pena al cazzo! Noi irlandesi non ne facciamo di cazzate di questo genere! Siamo i più giusti!”
“Così parlò Lord Haynes, e tutti quelli che non lo seguirono, rimasero col culo a terra!”, proclamò Eddie, sventolando la lattina.
Justin, giratosi per assistere alla scena, era emerso dal suo apparente torpore con aria ironica, ma non troppo, non con Shaney in quell’accesso patriottico… ci teneva al suo bel muso!
“Sei sicuro di quello che dici?”
”Sicuro.”
“Sicuro sicuro?”
“Sicuro!”
“Certo?”
“Ma vaffanculo! Certo che sono certo! Sicuro! Inamovibile! Dai, prova a farmi cambiare idea!”
Justin alzò le spalle e bevve un sorso della sua birra, nascondendo il ghigno e chiedendo, quasi soprappensiero:” Che mi dici dei Boyzone?”
 
Un silenzio pesante calò sul salotto come un sudario di velluto, compreso uno Shane talmente senza parole che era arrossito dalla rabbia, quasi che i quattro ragazzi si sentissero personalmente responsabili per essere della stessa nazionalità della teen-band irlandese.
Dopo il doveroso minuto di silenzio per la vergogna, iniziarono i primi sussurri colpevoli; Michael Collins e Bobby Sands, ovunque fossero le loro anime, piangevano per vedere tanta esuberante gioventù sprecata in discorsi così futili per il futuro dell’Irlanda.
Sembravano quattro cospiratori dell’Ira, mentre si scambiavano sguardi intimiditi e frasi smozzicate.
"I Boyzone...
“Pure di Dublino…”
“Dio, come mi vergogno di essere della stessa città di quei…quei…”
“Non sforzarti, ti viene un embolo, Shane…”
“Ma ci pensate…”
“Avranno sì e no qualche anno più di noi, forse…”
“Il biondino credo abbia la mia.”
“C’è un biondo, pure? E te ne ricordi? Ma sparati!”
“Fottiti, me l’ha detto mio cugino, hanno frequentato la stessa primary school!”
“È passato il loro video ieri, non mi ricordo la canzone, sai che quella roba me la scordo…”
“Ma non eri tu che dicevi che le prima canzoni erano carine…”
“Ioooo!?”
“Ma no, non tu… Aspetta, chi era!?”
“Ehi, qua ne abbiamo uno di loro!”, sghignazzò Eddie, levandosi sopra i bisbigli confusi.
“Ma che cazzo dici!? Justin, ti prego, dammi quella pera che non ti sei fatto prima, se è vero!”, inorridì Shane, di fronte a quell'affermazione.
“E la fighetta di Kurt Cobain che ne dice di questo?”, continuò implacabile Eddie.
“Giààààààà! Tu ci staresti bene nei Boyzone, Dorian! Saresti un biondino svampito spiccicato! Canta qualcosa che sento se è vero!”, si aggiunse Shane, iniziando a ghignare.
"VOLETE LITIGARE, CAZZO?!?",si infuriò Dorian.
“È lui, è LUI! Il leader che sarà il primo ad abbandonare il gruppo sfasciandolo, lanciando due singoli solisti e sparendo come una meteora!”
Shane scosse la testa mentre tutti ridevano (ovviamente NON Dorian, che invece era letteralmente viola e minacciava di farsi esplodere un vaso sanguigno...con tutto l’appartamento), girò la pagina delle New Voices di Totem e continuò con i discorsi lasciati in sospeso prima.
“Ci stiamo avviando ad uno schifo totale. Ci manca il vero gruppo o personaggio con le palle. Il grunge è andato, il punk è realmente morto, il metal si sta commercializzando, la musica non conta più niente e le parole ancora meno. Ed il rock?! Roba da snob, ora che vi è tutta questa elettronica! Guarda com’è considerato cult avere i primi dischi degli U2, magari in vinile, ora che è uscito l’ultimo!”
“Pianooooo, PIANO! Gli U2 sono sempre stati artisti con le palle, vai a trovare un gruppo che duri così tanto sulla cresta dell’onda, sempre assieme, mai un cambio di formazione, da Dublino al mondo! Da baciare loro le chiappe tra cent’anni, ancora!”
Shane alzò le mani in segno di resa verso Justin, che si era infiammato a sua volta.
“Dio me ne scampi a parlare male degli U2, specie vicino a te! Diciamo che sono tempi duri, questi… Persino David Bowie ha fatto il tonfo! Dico, ‘Earthling’ non è propriamente degno di ‘Outs…”
“E PIANO, MI FAI MALE CON QUESTI DISCORSI!! Cos’hai contro ‘Earthling’, Shaney!?”
“Oddio, gli ho toccato il Bowie!”
“Tocca Ziggy Stardust ed è come toccassi mia madre! In modo indecente, intendo!”
“Dai Justin, non puoi generalizzare e dire che tutto ciò che tocca Bowie…”, iniziò Shane, venendo interrotto da un sospiro di Dorian.
Rassegnato.
“Ha comprato ‘Earthling’ l’altro giorno, Shane. Ti scontri contro un muro quando parli di Ziggy, e lo sai. Lo conosci.”
“Ripeto: toccatemi Ziggy ed è come…”
“…toccassimo tua madre, ma cazzo mi piacerebbe toccare più tua madre!”, rise Shane, alzando di nuovo le mani in segno di resa.
“Un pervertito! Ho un pervertito in casa! Fuori casa mia!”
“E basta porca miseria!! Un metallaro contro un adoratore di Bowie, porco cazzo non andrete mai d’accordo! È come se Dorian domani finisse di parlare di Kurt Cobain!”, si lamentò Eddie, facendo infuriare il biondo.
“EHI! Parla, parla, parla, ma intanto siamo invasi da gruppi clone di sfigati, checche e puttanelle, e solo una rivoluzione come Johnny Rotten ed i Sex Pistols o il grunge servirebbe a qualcosa! KURT SERVIREBBE!!”
Inutile dire che fu sepolto sotto i cuscini, con una caterva di insulti; quando Dorian si metteva in testa di dover parlare dei Nirvana, l’unica via era l’annientamento totale. 
*
*
Il rumore.
Terribile, come una valanga ben avviata di pietre e calcinacci che precipitava rombando a valle e continuava la sua folle corsa, travolgendo tutto quello che trovava.
Ma non vi era nessuna valle.
Era il garage di casa Haynes.
“EDDIEEEEEE!!!!”
Sull’orlo del collasso, Eddie si alzò in piedi finendo il suo lavoro, e poi stramazzò al suo posto.
Quando si tirò su, sudato come succedeva solo al mercoledì ed al venerdì sera, indipendentemente dalla stagione e dal clima, trovò gli altri tre che lo osservavano.
“Eh… che c’è?”
“Si può sapere che stavi suonando?”, chiese, serafico, Dorian.
Eddie raccolse le bacchette e si riassestò al suo posto alla batteria, passando più volte le mani nello spettinato ciuffo ramato.
“Non… non stavamo suonando ‘Rape me’?” chiese interdetto.
Lo sguardo che si scambiarono Dorian e Justin, a braccia incrociate sopra le chitarre, mentre Shane si toccava la tempia con due dita, gli rivelò tutto al volo.
“Sei un po’… confuso oggi, Eddie”
“Solo oggi?”, fece eco Justin, sospirando, mentre il rosso riprendeva fiato.
“Ow-ow-ow! Il mio ego, lo stai ferendo!”, ribatté indispettito. ”Insomma, che si stava suonando, allora!?”
Dorian si riassestò le cinghie di Phoenix, la sua colorata ed originale Stratocaster, e sospirò verso di lui.
“Ma ci sei o ci fai, Eddie?”
“Ci sono o ci faccio cosa?”
“Lascia stare Eddie, è humor troppo sottile per te…”
“È humor stupido, Dorian, Stephen King…”
“…PAGHEREBBE PER NON AVERE UNA BATTUTA SIMILE IN UN SUO LIBRO!!”, finirono in coro Shane e Justin, mentre Dorian si inginocchiava melodrammaticamente, tenendosi le mani sulle orecchie e urlando come un mentecatto.
“STIAMO SUONANDO IN BLOOM STIAMO SUONANDO IN BLOOM, MA AL MOMENTO STIAMO SUONANDO QUEL CAVOLO CHE VUOI PERCHÈ NON SAI NEANCHE DOVE HAI LA TESTA!! Stavamo suonando IN BLOOM, Eddie, cazzo!! Eri partito giusto, e non ti abbiamo fermato neanche quando Justin si è inventano più di metà delle parole, perché eri giusto, ma poi sei partito per cavoli tuoi, ma è possibile tu non senta…”
“Come sarebbe che stavo sbagliando le parole!?”, sibilò Justin, con uno sguardo assassino.
“Le stavi sbagliando, non mi puoi fregare sui Nirvana, caro mio! Su tutto, ma non sui Nirvana! Puoi cantarmi gli Stones al posto degli Who, ma non.tentare.di.fregarmi.sui.Nirvana! Punto!”
“Ah, e magari anche le stecche che sono partite da quello schifo di chitarra nel ritornello sono colpa mia, adesso!?”, ribatté Justin, inferocito ma colpevole, parandosi di fronte ad un Dorian inferocito e basta.
“Questo schifo di chitarra canterebbe meglio di te se avesse la voce, e se dici un’altra parola su Phoenix, giuro che te la ficcherò nei residui di cervello che t’è rimasto, anche fossero misere vestigia!! E il tutto senza neanche rovinare la paletta!! IO non ho steccato, sei TU che inventi le parole!!”
“Hai sbagliato pennata nel primo ritornello, sei entrato fuori tempo come…come… come mia madre quando mi sparo una sega!! Si sentiva benissimo, eri fuori di mezza battuta!!”, urlò Justin.
“VUOI UN PUGNO!?”
“NE VUOI DUE!?”
“Ooooooohhhh, buoniiiii!!”, proclamò Shane, mettendosi con decisione in mezzo ai due con la propria stazza, dopo essersi posizionato il basso a mo’ di sospensorio di fortuna.
Una volta, tentando di calmarli, si era preso una botta terrificante nei gioielli di casa Haynes, e da allora non si metteva più in mezzo a Justin e Dorian se la situazione degenerava.
Ma in quel momento niente era a rischio di peggiorare, era la solita, infinita, tipica discussione di tutte le prove che facevano, tra i due biondi galletti del pollaio.
I due si voltarono, dandosi le spalle l’un l’altro e mettendo il broncio come cinquenni, e Shane riprese, più tranquillamente.
“Buoni e calmi, ok? Si riprova, tanto con l’escursione per campi di Eddie avremmo dovuto ricominciare per forza! Justin, sbagliavi davvero? Io non ho sentito Dorian andare fuori tempo.”
Justin borbottò qualcosa, chinando ancora di più la testa, e Dorian tese l’orecchio, con una faccia da sberle.
“Non ho sentito!”, smielò.
“…forse non mi ricordo bene alcune parole…”, sputò Justin, fulminandolo.
“La sai o non la sai?”, chiese Shane, più deciso.
Justin tornò a voltarsi, col labbro imbronciato come un marmocchio, e tra uno sbuffo ed un’imprecazione ammise che forse no, non la sapeva così bene, facendo annuire Dorian, soddisfatto come un magnaccia.
Shane però lo guardò truce, non volendo far ripartire la lite.
Eddie, dimenticato da tutti, sospirò platealmente dalla batteria.
“A questo punto potevate anche risparmiarvi quella manfrina e farmi fermare, scusate!” 
“Ma io…”
“Ma ma ma ma MA tu non la sai! E mai una volta che ti porti i testi!”
“Lo dicevo, io…”
“Tu zitto, Dorian!”
“Ma perché!? Avete visto come mi ha attaccato!? È sempre il solito…”
“AAAARGH, SILENZIO!!”, gridò Justin, sbracciandosi ed assumendo un colorito mattone pericoloso.
“Va bene, va bene, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa, non la sapevo, non ricordo le parole, volete stare zitti?! Non è Wembley!! Ne facciamo un’altra, ok?! Ripartiamo da…da Rape me, visto Eddie si sta lamentando che gliel’abbiamo tolta, ok?! La sappiamo tutti?! OBIEZIONI!?”
Nessuno ebbe obiezioni, ma Just si fissò lo stesso su Dorian, con aria aggressiva.
“TU hai obiezioni?! Che non mi salti fuori a metà canzone con le tue stronzate perché questa è la volta buona che spacco la mia povera chitarra sulla tua testa e me ne compro un’altra, ti avviso!”
“Ma che simpatico ragazzo…”, sospirò Dorian, risistemando per l’ennesima volta la Fender, con i due nastri adesivi verdi vicino all’intersezione tra il manico ed il corpo, verniciato di argento e nero.
“Chiudete la ciabatta e cominciamo!”, intimò Eddie, facendo roteare le bacchette ed annuire Shane.
La sessione ritmica era sempre d’accordo. 
Una gran cosa, in una band dove cantante e chitarrista si prendevano a male parole ogni due minuti.
Justin si assestò bene l’asta del microfono, entrambi, assieme al mixer, regali di Natale dell’anno scorso di-e-per-sé-stesso (aveva lavorato in un pub come uno schiavo per avere quelle due cose, ed assieme, in uno sforzo collettivo, avevano comprato le casse dell’impianto voce, prosciugandosi fino all’estate), lanciò un ultimo sguardo minaccioso a Dorian, prontamente ricambiato, che dopo il ‘..2,3,4!’ di Eddie, partì con l’arpeggio della ribellione anni ’90 targata Seattle.
La valanga distruttiva di Eddie ripartì con maggior vigore, seguita dal basso ipervitaminico di Shane, e dopo due secondi Dorian riportò tutto alla calma, mentre Justin iniziava la controffensiva di Kurt Cobain.
“Rape me…Rape me, my friend…”
Quanto fosse profetico, ancora non lo sapeva…
*
*
(Due anni prima: 1995)
 
Era iniziato tutto in settembre. 
Dorian Kierdijng era appena approdato alla Wenders Temple School di Dublino dopo essere stato clamorosamente segato all’istituto superiore secondario di Linayr, un duro colpo non tanto per l’anno perso ma per i suoi compagni di classe, specie nella vita di un sedicenne.
Non erano proprio intimi, ma era gente che conosceva sa sempre; Eddie Joyce, il suo miglior amico, che studiava in città fin dall’inizio del ciclo della Junior School, gli aveva consigliato (e fatto fare pressioni dalla propria famiglia su quella di Dorian, notoriamente tradizionalista) di cambiare e di andare in classe con lui.
Così aveva fatto Dorian, solo che erano stati crudelmente separati nei banchi, come già detto.
Nello stesso periodo, l’angioletto biondo stava vivendo gli ultimi ma appassionati battiti cardiaci del morente grunge, prima della sepoltura definitiva, e stava scoprendo (in ritardo, che presto con suo orrore divenne un ritardo perenne…) i Nirvana.
Non si seppe mai come nacque la decisione. 
Forse mano a mano che si addentravano nelle giornate sempre più fredde e passavano le serate ad ascoltare musica a casa di uno o dell’altro, ma si insinuò nella vita di tutti i giorni, nei normali pensieri da studente, nelle occupazioni da adolescente, nel simil- studio.
Si insinuò sotto pelle, come un virus mortale.
Per Dorian, come per altri milioni di ragazzi, si presentò nell’immortale riff di “Smells like teen spirit”; diavolo, lo sentiva suonare, risuonare, e far vibrare le corde che aveva nel cervello,  giorno dopo giorno, ascolto dopo ascolto.
Alla fine, non riusciva più ad ignorare quel bisogno quasi fisico.
Doveva suonare.

Bene, ritengo sia doverosa una nota.
Questa storia sarà molto, molto lunga, e noto che perde già pezzi per strada.
Non me ne preoccupo, è fisiologico, specie quando il pezzo appartiene alla sezione 'soprannaturale' e vengono mostrati solo quattro ragazzi e le loro banali faccende.
Ma io preferii (e preferisco ancora) tratteggiare prima i tratti principali, anche perchè saranno non poco importanti. 
Grazie a chi è arrivato fin qui. 

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Capitolo 5
*** 5. Un inizio strano ***


5. Un inizio strano
 
Eddie aveva suonato, da piccolo, per cinque anni di fila nella banda di Linayr; cose di  ragazzini tutti in parata, divise, tamburo marziale, e trombe, memoriali e marcette tradizionali
Ma lui aveva una cosa che molti potevano solo sognare: una batteria Pearl ereditata dal fratello (da sempre onnipresente negli affari del gruppo, fin dal principio remoto) ed i suoi ben accetti, anche se poco preziosi (specie nel suo periodo ‘passione ero’) consigli. 
Dorian, desideroso di imparare il giro di Smells like teen spirit (che non apprese mai veramente bene, perché sempre distratto da cose nuove, e perché fu ben presto disilluso dall’amara verità del ‘riff di More than a feeling’ copiato) e le furiose schitarrate del grunge, ereditò Phoenix, una malandata ma adoratissima Stratocaster sunburst made in Mexico, ed un autentico catorcio di pedale delay dal suo cuginone trentatreenne Jonathan, che aveva abbandonato i suoi impulsi artistici - per altro mai scoperti - per il matrimonio e la paternità.
Conosceva solo pochi accordi di chitarra acustica, ma da quando ebbe in mano Phoenix, non la mollò più, peggio di un infante col suo orsacchiotto.
Una volta ribattezzata e portata a casa, l’aveva collegata all’amplificatore ed aveva iniziato a stridere, primo commento di sua madre sulle sue capacità musicali.
Gli sembrava di aver atteso una cosa simile per tutta la vita.
Gli piaceva creare dei muri sonori, degli sbarramenti, meno violenti di quelli grunge ma comunque pesanti, senza brecce.
Poteva lanciarsi in una sorta di carillon con le corde, riff minimali ripetuti miliardi di volte, e grazie al delay, sovrapporli fino a creare una melodia.
Phoenix era una Stratocaster, e mandava note scintillanti per l’etere, le sentiva piccole e dure come pezzi di ghiaccio, in giro per lo spazio, lanciate come schegge impazzite e letali.
Quando l’aveva in mano sentiva l’eccitazione scorrergli in tutto il corpo. Così ne sgocciolava l’essenza, la scuoteva, cavando e rimescolando suoni sporchi, grezzi, ed al tempo stesso con una loro poesia
Per inciso, il ruolo di suo cugino Jonnie (che non vedeva l’ora di fare da mentore a quel giovane talento) finì non appena Dorian seppe tutto quello che c’era da fare riguardo alla manutenzione e migliorie: mezza giornata gli era bastata.
In breve tempo, la camera del biondino divenne una versione pezzente di un laboratorio di liuteria, con pick up, chiavi, amplificatori smontati e lasciati a metà, nonché corde, corde, corde, e cavi ovunque; nonostante si premurasse di avere sempre un cambio corde completo Ernie Ball nella custodia rigida (acquistata autonomamente; Phoenix era arrivata in una misera sacca con una cinghia), riusciva sempre nella grande impresa di non avere mai ciò che serviva al momento della rottura, dovendo così continuare ad acquistare mute intere di materiale ed abbandonarle in camera.
La battuta - una delle poche che circolava in famiglia - era che avesse iniziato a lavorare d’estate e a Natale per pagarsi tutti quei cambi.
Il brutto era che la battuta era molto vicina alla verità.
 
Eddie era capace di ascoltare Dorian suonare per ore, anche se doveva solo perfezionare qualche nota; Dorian era un chitarrista nato, le sue basi inesistenti non contavano, ed il libretto di “La mia prima chitarra elettrica” era finito nel dimenticatoio dopo due giorni.
C’era lui e c’era Phoenix.
Erano un universo a parte.
Sporche, pesanti, dolci, le note di Phoenix gli narravano storie, paure, immagini: Dorian le sentiva e gliele faceva raccontare con le dita. 
Parlava di mattinate gelide vissute da miliardi di persone, di storie conosciute da tutti ma che pochi esprimevano, di tramonti e di laghi in un altro mondo.
Creava paesaggi sonori. 
La sua musica era filmica.
 
Nell’universo suo e di Phoenix, cadevano i suoi atteggiamenti, cadeva tutta la sua facciata. Quando suonava si vedeva il vero Dorian, che diventava tutt’uno con la musica di ghiaccio che sentiva, che possedeva. O forse ne era posseduto, forse addirittura ne era solo un tramite…
Non c’erano più le arie da snob che si dava, non c’era posto per le espressioni annoiate o ambigue, non esistevano le cazzate che lo caratterizzavano.
C’era solo Dorian.
La chitarra ne faceva parte, come un’estensione.
 
Eddie l’avrebbe seguito volentieri, ma una batteria ed una chitarra non avrebbero fatto molto, specie considerando che Dorian non dava indicazioni sui tempi ed Eddie tendeva a marciare sui 4\4, ingabbiando le sue note. Così decisero di affiggere un annuncio nella biblioteca della scuola di Dublino, vicino all’ingresso di marmo scuro, per cercare un bassista ed un eventuale cantante.
 
Senza che neanche l’annuncio venisse preso in considerazione, Eddie trovò quasi subito il bassista in Shane Michael Hanynes, uno dei suoi amici della squadra di rugby di cui, quell’anno, era capitano.
Shaney era conosciuto un po’ in tutta la scuola, e in generale nelle scuole secondarie di Dublino, per le sue frequenti sospensioni e per essere stato bocciato ben tre volte, ed essere in pole position per la quarta.
Era nella loro stessa classe ma in una sezione diversa, aveva tre anni più di Eddie e due più di Dorian, e la causa della sua insofferenza alla scuola, volta spesso a trasformarsi in crisi di rabbia, rimaneva ancora un mistero per tutti. Shane era indubbiamente il ragazzo più buono che avessero mai conosciuto, non era per niente aggressivo (se non, in seguito, con Justin), era la persona che leggendo faceva tesoro di tutto ciò che apprendeva in maniera quasi maniacale. Ma a scuola diventava una belva: bastava un niente e gli giravano le palle, e si ritrovava a scaraventare banchi per il corridoio, con professori e preside a distanza.
Il suo aspetto massiccio contribuiva all’aria truce che assumeva ogni volta che varcava il portone della Wenders.
Odiava la scuola, ma la madre non si era ancora arresa e non l’aveva lasciato iscrivere alle serali, come lui voleva. Ed essendo un agnellino di mamma aveva obbedito: in questo modo si era creata una leggenda attorno alle sue crisi di rabbia scolastica.
 
Un giorno, tra una chiacchiera ed una birra dopo una partitella d’allenamento, Shane ed Eddie erano approdati al discorso musica.
Il fatto che qualche giorno prima Shane avesse comprato uno Yamaha usato, con relativo piccolo amplificatore da prova, e che Eddie stesse cercando un bassista per formare un gruppo, sembrò ad entrambi una coincidenza troppo strana per essere una coincidenza.
 Shane, nonostante fosse ancora inesperto, sapeva già suonare qualcosa. 
Gli piaceva creare linee di basso sotto le canzoni, più che seguire le tablature e fungere sempre da accompagnamento; usava le sue bassline come un vero e proprio strumento melodico.
Quello che diceva lui era che lo faceva scorrere; ricreava il basso di una canzone a modo suo, a bene vedere, senza stonare.
E gli piaceva terribilmente sentirlo mettersi in sintonia ma non con l’identico riff di una chitarra, bensì più con un cantato, tenendo lo stesso il ritmo. 
 
Eddie lo vide come un segno di quella roba chiamata destino.
 
Dorian anche, ma esoso com’era pretendeva un altro segno del genere, altrimenti sarebbe toccato a lui cantare, temporaneamente.
Infatti, valutate le varie tonalità, abilità e specialmente il fatto che fosse l’unico a saper prendere una nota, la scelta era ricaduta su di lui.
 
Dopo aver affisso l’annuncio, risposero un paio di ragazzi più giovani: uno suonava la tastiera, ed uno la chitarra, e Dorian li aveva rifiutati, in un mutismo assoluto.
Non voleva un’altra chitarra, certamente migliore di lui ma con impostazioni standard, a deturpare la bellezza grezza di Phoenix, e non era una tastiera quello che cercavano.
Non in quel momento.
E. Non. Voleva. Cantare.
Le prove erano state fissate il 24 novembre a casa di Eddie, data non rimandabile su decisione comune; se volevano davvero farlo, dovevano darsi delle scadenze precise. 
La musica non avrebbe aspettato loro, erano loro che dovevano catturarla.
 
L’annuncio, ormai invisibile agli occhi delle centinaia di studenti che vi scorrevano davanti ogni mattina, era stato strappato per far posto a degli altri proprio lo stesso giorno in cui Justin Swanson era stato spostato di banco, passando da Eddie a Dorian, che era per il momento l’unico altro compagno di classe che conosceva, essendo anch’egli, come il suo nuovo collega, reduce da una segata, ma nella stessa scuola.
Con rassegnazione dei professori, avevano iniziato un fitto chiacchiericcio da comari per approfondire le conoscenze reciproche, ovvero verso chi aveva lanciato il richiamo (Justincaaazzooo) ed il suo destinatario.
Dopo circa due orette spassose di chiacchiere soddisfacenti, Justin si sentiva completamente sulla lunghezza d’onda del suo nuovo amico, che condivideva la sensazione come solo due maschi adolescenti appena scopertisi migliori amici potevano sentire. 
Quel pizzicore e quell’urgenza di aprirsi, subito.
Parlavano entrambi condendo il tutto con un po’ di ironia (considerata già allora ‘ironia stupida etc etc’ da Eddie) e si sentivano già sulla strada per la loro futura ed inossidabile coppia di spostati, come li avrebbe chiamati Shane.
 
Un paio di giorni più avanti, esattamente tre prima delle fatidiche prove, erano usciti assieme ad Eddie la sera prima, per testare l’amicizia sul campo anche non scolastico, Dorian aveva rivelato al suo nuovo miglior amico il problema.
“…ed io, maledizione non so cantare!!”, aveva concluso, enfatico, prima di venir fulminato dal professore.
Abbassando il volume della voce, aveva sibilato: “Se solo trovassi uno, dico solo uno, che sappia cantare… Non dico Eddie Vedder, non pretendo Bono, non penso neanche a Plant, ma uno in grado di stare un attimo in tono... Me ne frego se non sa fare acuti, me ne frego se non sa fare falsetti e me ne frego se si dimentica le parole o se è una bestia psicopatica, mi basta abbia solo voglia di cantare, perché io NON lo voglio fare, cazzo!”
Il professore lo aveva richiamato severamente, chiedendogli se aveva così tanta voglia di finire dal preside per la terza volta in un mese.
Dorian non era aggressivo come Shane, ma non era acqua cheta con la sua incapacità di chiudere la bocca e dare sfogo al cinico umorismo nei momenti sempre meno opportuni.
Justin, dondolando un po’ le gambe, pensieroso, stette un po’ a giocherellare con la penna e poi si rimise a scrivere a memoria testi dei suoi cantanti preferiti sul diario.
Dopo cinque minuti di completo silenzio, gli era diventato impossibile ignorare Dorian, che lo stava silenziosamente supplicando di dare una mano al gruppo.
Anzi, una voce.
A Justin piaceva cantare, non che fosse bravo, ma gli piaceva (tranne quando era obbligato). Suonava qualche accordo sulla chitarra classica di sua madre, per la precisione il La ed il Mi (quando ci si metteva anche il Re), ma sapeva che il suo vero talento era comunicare.
Urlare, sussurrare, muoversi  in una certa maniera e poi in un’altra, rielaborare, sedurre, denunciare, perdonare, raccontare e poi ancora tante, tante, tante tantissime cose che non si potevano esprimere a parole.
Come leggere ad una ragazza una canzone romantica e poi fargliela sentire e pensare: “Ma dai, cazzo, mi sono fregato, dovevo fargliela sentire subito!”, perché la voce comunicava, il corpo anche, ma la musica, la musica, cazzo…
Una canzone.
Una musica.
Un mondo. Personale.
Un personaggio con cui giocare, nascondersi e poi saltare fuori… 
“Oplà, ci sono e non ci sono più, dove sono, eh?Trovatemi adesso, fessi che non siete altro! Tadàààà ero qui, ma vi perdono, giochiamo ancora, dai! Oh, mi amate per questo?!”
Dove sono?
Chi sono?
Qui, no, là, io, tu, lui, sul palco.
Justin aveva un’anima da rockstar nel senso più profondo del termine, lo sapeva.
 
Fu per quello, oltre che per voler aiutare quel matto di Dorian e quell’altro matto di Eddie (e ancora non lo sapeva, ma avrebbe aiutato volentieri l’ennesimo matto, Shane, una volta conosciuto), che sollevò la testa dalle lyrics di Space Oddity e chiese, con il primo vero sorriso dall’inizio dell’anno scolastico, il raro sorriso che arrivava a competere con quello di Dorian-futuro-ragazzo-d’oro-della-Wenders.
“Conosci David Bowie, Dorian? Io conosco un tizio che gira qua attorno, a cui piacerebbe tanto imparare da lui… e lui…sai, canta.”
*
*
(Due anni prima, circa, alla Wenders Temple School, negli ultimi banchi…)
Dorian, rimasto immobile, annuì, anche se sinceramente non conosceva quasi David Bowie se non per la sua leggenda sessuale, le sue maschere e Heroes, ma avrebbe ammesso anche di conoscerlo di persona e andarci a letto tutte le sere, pur di riuscire a far conservare quel sorriso stupendo a Justin. Non l’aveva mai visto veramente sorridere, e quando le sue labbra si erano distese in quel sorriso incantatore, talmente dolce che gli era sembrato di essere un cucciolo abbandonato ritrovato da una miliardaria, ne era rimasto affascinato.
Justin, come a leggergli nel pensiero, tornò semipensieroso, conservando però negli occhi ancora una traccia luminosa, e Dorian, quasi scuotendosi, tornò al motivo principale della loro conversazione.
“Veramente non avremmo intenzione di iniziare con cover di Bowie, sono… macchinose. Intendevamo provare Nirvana, Pearl Jam, U2, Soundgarden…”
Justin, con il sorriso ancora aleggiante come quello del gatto del Cheshire, ebbe uno sbuffo d’ilarità non maligna.
“Robetta facile, insomma. Dovete essere bravi davvero, per essere alla prima prova con una sola chitarra, e specialmente aver iniziato da poco…”
“È un’idea e basta”, scosse il capo il biondo, ammettendo che certe cose, seppure ripassate, gli facevano paura. 
Se pensava al ritmo di Eddie, tutto gli faceva paura.
E Shane era un’incognita.
Scacciò quei pensieri, pensando al suo solito puntello caccia-dubbi: ‘È solo la prima prova’, e rispose a Justin.
“Sì, ma pensavamo di passare presto a canzoni nostre. Sperimentare.”
“Mmm…”, si dondolò l’altro, sulla sedia.
“Conosci il glam- rock, Dorian? Non il glam degli ’80, ma quello dei ’70.”
“…’nsomma. È dove i cantanti si travestivano, diventavano androgini, no? Bowie non è una star del glam?’
“Già…anche se poi si è evoluto, lo era. Vedi, mi piace molto questa faccenda di assumere pose, un po’ per rendersi irriconoscibili, un po’ per confondersi o persino per liberarsi. Star che non riescono più a staccarsi dalle maschere. È un po’ macabro, come Bela Lugosi che viene sepolto vestito da Dracula e le sue ultime parole sono quelle del Principe delle Tenebre.”, ridacchiò Justin.
Cos’avesse da ridere lo sapeva solo lui, sulla faccenda di Bela Lugosi, pensò confuso Dorian, ma lo prese in contropiede.
“Bowie non uccise la sua maschera perché era troppo identificato con quella? Io non me ne intendo, so solo poche…”
“Ziggy Stardust, Ziggy Polveredistelle…”, mormorò Justin, socchiudendo gli occhi, in un’altra epoca con la mente. “Uccise la maschera di Ziggy in un concerto. Si era tanto immedesimato che annunciò che sarebbe stato il suo ultimo concerto, mentre era solo l’ultimo concerto di Ziggy, l’alieno rockstar, non di Bowie. Rock’n’roll suicide, come dice una sua canzone. Che ne pensi?”, si girò fulmineo verso Dorian per studiarne le reazioni.
“Tutto il rock ha fondamenta glam”
La risposta di Dorian stupì e compiacque parecchio Justin.
“Quando sei su un palco… inutile girarci attorno, non sei te stesso. Sei l’esagerazione di te stesso, sia nel bene che nel male. Io non sarei Dorian, sarei Dorian su un palco. Sarei… diverso”, continuò il biondino, con gli occhi fissi alla lavagna.
“Vero, non è un fatto consapevole. Non puoi resistere senza cambiare. Secondo me è una sorta di violenza che ti fai. Però, cazzo… È una violenza che ti piace. Uno stupro consenziente.”, sognò Justin, con gli occhi rivolti verso la cattedra.
Dorian continuò, sussurrando dall’angolo della bocca.
“Non è detto che creare una maschera sia una brutta copia distorta. È peggio se la copia che crei sia solo per attirarti simpatie del pubblico, o peggio, continuare con la copia senza evolversi perché ormai la gente ti conosce così.”
La lezione di storia europea era ormai a puttane.
“Personalmente, trovo queste idee di coniugare il rock col teatro, tipo Gabriel, o ancora meglio Bowie, siano molto interessanti, solo che a Linayr non c’è modo di trovare molte informazioni. Forse a Dublino… “, gli si rivolse direttamente Dorian.
Justin scosse la testa. 
Vero che spendeva parte considerevole (tutti!) i suoi soldi in magazines, dischi e libri, e piuttosto di perdersi qualche speciale di MTV si sarebbe fatto sgozzare, ma non era un tipo molto socievole, e non trovava facilmente con chi scambiare le proprie idee.
Anzi, non trovava proprio nessuno, col suo carattere.
Forse vide la sua salvezza dall’isolamento artistico nella frase successiva di Dorian.
“La musica è arte. Per me il rock, suonato con l’anima e messo nel contesto che merita, è l’espressione che più si adatta ai nostri tempi di arte”
 
Justin si rimise a dondolare, socchiudendo gli occhi e le labbra, torturando la penna, mentre Dorian lo fissava; si potevano quasi scorgere le rotelle che giravano, turbinavano incessantemente nel suo cervello. 
Non si era ancora reso conto di che strano tipo di bellezza avesse il suo compagno di banco: sembrava se la fosse cucita addosso, invece che adattarsi, come aveva fatto lui.
Justin chiuse gli occhi, inspirando e rivolgendo il viso al soffitto, trasportato da chissà quali pensieri.
Quando tornò a terra, parlò sommessamente, ma perfettamente udibile.
“Sarebbe una cosa che potremmo provare, no? Ovviamente se sono d’accordo anche gli altri e in futuro, molto in futuro…”
Scosse la testa, riprendendo a dondolarsi sulla sedia, e Dorian, esitante, si rivolse di nuovo alla lavagna.
Poi si girò a guardarlo fisso negli occhi.
“Potremmo… inteso come noi. Ovvero io, Eddie, Shane…e tu?”
Justin lo fissò sorpreso, poi si aprì di nuovo nel suo sorriso affascinante e tornò a sedersi normalmente.
Da quel momento Dorian l’avrebbe visto spesso sorridere in quel modo. Senza saperlo gli aveva lanciato un salvagente per la sua solitudine e per lo sfogo delle sue idee.
“Non stavate cercando un cantante, Dorian?”
 
 
Un capitolo di transizione, su un punto che diventerà focale nella narrazione. 
La musica e la maschera.
NdA: desidero ringraziare ennesimamente Jo per il betaggio di questo capitolo. C'erano più rotelle fuori posto qui che nella testa di Dorian!! 

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Capitolo 6
*** 6.Prove di immortalità ***


6.PROVE DI IMMORTALITA’
 
16 luglio 1997, Dublino
 
“Sei sicuro, Ed?”
“Ti ho mai raccontato balle? Possa volare un cammello se racconto frottole!”
“E se passasse una bustina, fratellone? Non sarebbe meglio?”
“Ne abbiamo già parlato, tesoro”, si stizzì Edmond Joyce, all’altro capo del telefono, a Linayr.
Shane mimò il segno delle forbici ad Eddie, che, vistolo, si affrettò a chiudere la conversazione troncando i saluti ed i baci col fratello.
Non appena mise giù la cornetta, tre paia di occhi chiari su fissarono su di lui, con aria da cuccioli.
“No, cazzo, se mi guardate così non ci riesco!”
“A fare che? Non devi mica pisciare!”, ironizzò Justin.
“Addio, ha detto di no, lo sapevo io…”, fece eco Dorian, mesto.
“Fatelo parlare, coppia di corvi!!”, li zittì Shane.
Eddie prese un gran respiro, chiudendo gli occhi ed evitando di guardarli, mentre i suoi tre amici sfioravano il cardiopalma, e lo rilasciò dopo 5 secondi, espirando lentamente.
“Allora, che caz…”
“Dorian, o taci o ti butto dal ventunesimo piano!!”, inveì Justin, venendo silenziosamente ringraziato da Eddie.
“Ragazzi, io ho fatto il possibile ma…”
“…e lo sapevo io!!”, si lasciò sfuggire Dorian, che prese uno scappellotto da Shane. 
L’espressione di Eddie era grave.
Grave.
E sconfortante.
“…non mi pento di niente. Ho fatto il possibile…”
“Dai, Eddie… non è mica colpa…”, iniziò il biondino, con aria consolatoria, ma venendo subito zittito dallo scatto successivo.
“…E CI SONO RIUSCITO, YUUUUUU, INTERFERENCES QUESTO VENERDÌ AL QUEASY, ALLE 21!!”
Justin e Shane saltarono letteralmente in un cinque volante, abbracciandosi, mentre Dorian rimase a bocca aperta, allibito.
“Pensavi non ce la facessi, eh, angioletto?! Invece io posso tutto, ricordatelo! TUTTO! Anche sgozzarti nel sonno, se volessi, yah!”
“Eddie…”, riprese Dorian, la cui bocca non voleva più chiudersi, sembrava.
“Sì, passerotto?”
“VA A CAGARE!!”
*
*
Edmond, il caro fratellone di Edward, e da cinque minuti nuovo –e primo- manager del loro gruppo, aveva convinto il gestore del ‘Queasy’, suo amico d’infanzia (nonché collega per il processo pendente per possesso ed uso personale di sostanze stupefacenti), il mitico Jeremy ‘Jem’ Trayers, a permettere ai suoi nuovi protetti, tramite una schifosa registrazione con l’ex registratore quattro piste degli ex-Golden Ghost di esibirsi la serata del 23 luglio per la solita serata di venerdì di cover.
Il sottinteso positivo era che Jem aveva lasciato intendere che li avrebbe accolti volentieri anche in futuro.
Il sottinteso negativo, che Eddie aveva cautamente evitato di accennare per non far calare gli animi, era che Jeremy aveva aderito così entusiasticamente all’idea più sulla fiducia che sulla registrazione delle loro prove, visto conosceva gli ex Golden Ghost e che la parola di Edmond sulla musica era per lui Bibbia.
Le delusioni sarebbero arrivate, garantito al limone, e probabilmente sarebbero state più delle soddisfazioni, sia in grandezza che in velocità, forse a partire già da venerdì, ma per ora era bello illudersi così…
Le prove iniziarono a ritmo serrato, per gli Interferences, per quello che sembrava loro l’appuntamento della vita.
*
*
(17 luglio 1997- il giorno dopo)
 
Justin era completamente senza voce, Dorian aveva calli supplementari alle dita ed aveva litigato con la sua Strato ed Eddie non riusciva ad alzare un bicchiere. 
Shane se la passava meglio di loro giusto perché la sua stazza si imponeva sul piccolo Yamaha, ma sbadigliava come un ippopotamo; anche lui, come gli altri, era andato a letto alle tre di notte, dopo aver provato cinque volte tutto il loro repertorio con risultati alterni. 
Se non avesse insonorizzato il garage due anni prima, avrebbero ricevuto di certo almeno una ventina di visite della polizia, ed anche se fisicamente non era distrutto, la sua vicinanza all’ampli gli mandava un ronzio costante nelle orecchie.
Justin, che sosteneva amabilmente sempre di essere quello che non faceva un cazzo, visto il 99% della chitarra veniva sostenuto dagli arrangiamenti di Dorian, si era addormentato con la sua Eko imitazione Fender appoggiato all’asta del microfono, alle due e mezza, poco prima che ci inciampasse e rimanesse a terra, sostenendo di non riuscire più ad alzarsi.
Dopo due secondi era già addormentato beato, e quando Eddie era finalmente sceso dalla batteria, aveva dovuto scuoterlo per svegliarlo.
Peraltro inutilmente, perché dopo cinque secondi si era addormentato di nuovo, e stavolta con lui si era addormentato anche Shane, che si era seduto per un attimo di pausa; in quel momento, lui e Dorian, vogliosi di piangere e di dormire a loro volta, avevano mandato tutto a puttane, svegliando i belli addormentati e riportandoli a casa Swanson.
Quel giorno sarebbe stato un tour de force ancora più lungo, visto che avevano intenzione di cominciare prima.
 
Erano bravi, dovevano ammetterlo, ma dovevano eliminare quegli errori stupidi e grossolani che facevano quando mettevano il pilota automatico e si esaltavano dalla loro musica.
Quando credevano di avercela fatta e allentavano la tensione, zac! Eddie scappava con un drumming fuori posto, Dorian sbagliava accordo o entrata, Justin scappava col tempo o cambiava le parole, Shane tentava Dio solo sa che esperimenti à la Flea.
Ma il rischio maggiore era Justin: se partiva per il ‘Più in là’ era un pericolo anche per le orecchie più distratte.
*
*
(19 luglio 1997- prove generali col Kapò)
 
Edmond doveva ammettere che il suo fratellino (‘bastardo impenitente senza cuore’) ci sapeva fare su quella stramaledettissima batteria. 
Anche meglio di lui, ad essere sinceri, anche se Eddie aveva il vantaggio di non essere sempre completamente fatto quando suonava.
Il più grande dei Joyce spostò lo sguardo su Dorian, sospirando internamente: un altro buon elemento,cazzo. Lo aveva sempre etichettato come una fighetta senza speranza ed invece stava torturando quella chitarra a cavarne strilli peggio dei Sonic Youth, per poi piegarsi in sbarramenti sonori e lanciarsi ancora in carillon col delay. 
Sembrava si stesse scopando la chitarra, ed anche molto, molto bene, se la chitarra avesse potuto parlare.
Anche il moro, lì, Shane, gli stava dando una mano corposa a fare casino, con un distorsore attaccato al basso, slappando e ripartendo con corposi giri fingerstyle manco fosse Dee Dee Ramone incrociato con Flea. Strano tipo. 
Ne aveva sentiti pochi di gruppi giovani ed inesperti fare un casino così deliberato da soli. Sapevano esattamente cosa stavano facendo, sebbene si stessero riscaldando, si vedeva benissimo.
I più si limitavano a creare un pastone di suoni per comporre qualcosa che assomigliasse vagamente alla canzone originale, per 'reinterpretarle', dicevano.
Per ucciderle, asseriva Ed.
 I peggiori invece, le rifacevano al millimetro, e poi al primo sbaglio sembravano tanti apprendisti stregoni Topolino alle prese con delle scope animate; quei quattri bei tomi, invece, sembrava riuscissero davvero a dare una loro forma alle canzoni, non millimetrica ma neppure pasticciata.
Erano i primi che avesse mai sentito rifare veramente delle cover a modo loro; sembrava avessero una personalità che volesse uscire dai confini già tracciati di qualcun altro.
Ed erano sobri, dettaglio da non sottovalutare.
Le canzoni che avevano scelto non erano eccessivamente difficili, forse persino banali, ma si prospettavano interessanti.
Edmond stava solo aspettando che Justin, che succhiava caramelle a tutto spiano per aiutare voce, cominciasse a cantare, dopo il 'four' sul piatti di Eddie, mentre gli altri si riscaldavano e provavano regolazioni e volumi, per promuoverli a pieni voti o bocciarli con consolazione. 
Purtroppo la voce di un cantante, spesso, voleva dire quasi tutto in un gruppo di cover: poteva supplire ad una base da schifo, o mandarli tutti a puttane nonostante la preparazione tecnica millimetrica grazie al suo tono freddino.
Conosceva Justin come gli altri: qualche sera assieme, un po’ più di un saluto, ma non l’aveva mai sentito cantare. In quei cinque minuti l’aveva visto come trasformarsi da quello che conosceva a qualcun altro.
Si muoveva con una disinvoltura ed un’eleganza che non gli avrebbe mai attribuito, anche adesso che si stava avviando al microfono, quasi sculettando, con la sua aria languida.
TUTTI  in verità si erano trasformati: Dorian aveva tirato fuori l'aria più incazzata e concentrata che avesse mai visto, Eddie sembrava completamente assorbito e picchiava senza neanche alzare gli occhi.
Shane aveva abbandonato la sua espressione arcigna, infatti non era mai stato allegro come in quel momento.
Quelli erano nati per suonare.
Justin, come indovinando il suo pensiero, si voltò e gli sorrise ambiguo, gettando indietro la testa in un’esagerata posa glamour, sporgendo il bacino verso il microfono, con le mani ai fianchi.
Sembrò quasi pensarci un attimo, prima di allungarsi verso il microfono e cantare; una voce spezzata, come minata da un lungo litigio, senza vincitori né vinti.
Una guerra persa. 
Edmond restò bloccato a metà, nel dondolio della sua sedia, mentre l’aria attorno sembrava riunirsi in gruppetti per poi sfaldarsi, rarefarsi e sciogliersi al suono di quella voce così sensuale e calda, la forma che Justin, nonostante la sua algida eleganza dark, era in grado di darle.
In continua evoluzione con le parole, cambiando da lamento, rassicurazione, amara ironia e rassegnazione.
“One” degli U2 era una specie di anthem per tutti loro: il testo, la musica, l’espressività di entrambi, la stavano rendendo la canzone del secolo, e Justin sembrava averne colto in pieno l’essenza.
Dobbiamo sopportarci, sopportarci l’un l’altro
Non c’è altro.
Quando si alzò di tono per cantare ‘love is a temple, love is higher love, did you ask me to enter and then you made me crawl…and I can’t be holdin’ on to what you’ve got, when all you got is hurt!’ , ad Edmond venne letteralmente la pelle d’oca. 
Sentire quella voce, spezzata e divisa tra un perdono sofferto ed un’accusa inutile e masochista, venire affiancata da un solo non previsto della chitarra di Dorian, tirata e sofferta come un essere umano tradito e nelle peggiori condizioni spirituali che potesse concepire. 
La sezione ritmica teneva un ritmo che ben si accompagnava al continuo crescendo di phatos; c’era da credere che l’avessero provata migliaia di volte, mentre sapeva bene che era una delle ‘new entries’, dall’incontenibile linguaccia di suo fratello, preoccupato per certi passaggi.
Cose che aveva risolto benissimo, a suo parere.  
 
Quando il pezzo si concluse, chiudendosi su un falsetto emozionante a strumenti in leggero feedback, Justin restò con gli occhi sul microfono per un paio di secondi, per poi alzarli fissando Edmond , che nel frattempo era riuscito a riportarsi in posizione con la sedia senza cadere.
Questi, nel giro di un secondo, notò, registrò ed archiviò una cosa: la maggior parte dei frontman avrebbe guardato in alto, come a seguire un faretto immaginario, o avrebbe tenuto gli occhi sul microfono, attento ad ogni movimento che avrebbe falsato la voce. 
La maggior parte dei dilettanti.
Justin aveva tenuto gli occhi su di lui per quasi tutto il pezzo, come avrebbe fatto un professionista con il pubblico, ma il modo in cui aveva cantato era strano, era…era…
Sembrava un dialogo con se stesso.
Edmond fu colpito, anche se non sapeva se dallo sguardo che il cantante aveva posato su di lui, o dall’atmosfera carica di attesa. Probabilmente più dal primo. 
Che Justin avesse degli occhi inquietanti, non era più una novità per nessuno: incontrarne lo sguardo era un altro paio di maniche.
Un misto di ironia e sfida si fondevano liquidi negli occhi trasparenti, che lo incoraggiavano a dare un giudizio negativo. 
A dire che non gli era piaciuta, come si fosse trattato di un sacrilegio.
Ed anche Edmond era, suo malgrado, d’accordo: sarebbe stato veramente un sacrilegio.
 
Si alzò, stiracchiandosi indolente per mascherare il nervosismo, ora seguito dallo sguardo di tutti che, notò, mentre si accendeva una sigaretta, parevano aver assunto un atteggiamento di sfida.
Sì, anche quel bastardo di suo fratello. 
Specialmente lui.
“Fatemi sentire qualcosa di più…vivace. Per ora…”, sospirò, esalando la prima boccata di fumo e decidendosi a dirlo. 
Non capiva perché non volesse dirlo, ma doveva.
Fissò i suoi occhi nocciola a sua volta negli occhi di ghiaccio di Justin. 
“Per ora và benissimo, ragazzi. Ottima versione. Da professionisti.”
 
Un sospiro di contentezza passò per i quattro, che finalmente si sorrisero senza nervi tirati, e persino Justin scambiò con Dorian il suo sorriso speciale. Tanto luminoso da far credere ad Edmond di essersi sognato quello sguardo inquietante. 
Quando finì di ascoltare altre tre canzoni riarrangiate da un Dorian particolarmente vivace, se ne andò da Jem al Queasy ad organizzare la serata. Edmond aveva già capito che una volta avviati nessuno sarebbe riuscito a fermarli, cover o presto canzoni originali: mentre chiudeva la porta, li sentì partire su ‘Smells like teen spirit’ con la stessa esplosione di una grande rock band a Wembley.
 
Li avrebbe sentiti ancora suonare in quel modo; ne avrebbe avuto la nausea, alla fine.
*
*
Dorian sosteneva sempre che mamma Aislìnn Joyce, da giovane, doveva aver confuso il primo biberon del figlio con una bottiglia di Guinness del marito, e lo stesso Eddie sosteneva che la mastodontica fabbrica-museo della mitica birra rappresentava per lui ciò che la Mecca rappresentava per i musulmani: era il suo primo ricordo di gita in famiglia, ed il luogo dove aveva sempre sognato di vivere da bambino, nascondendosi di notte come un folletto tra gli imponenti silos, e più tardi bere fino a scoppiare il  nettare che aveva deificato.
Il suo nome veniva sempre associato alle sbronze che prendevano a tutte le feste e le uscite del quartetto, era in assoluto la persona che beveva di più tra quelle che conoscevano.
A parte il padre biologico di Shane, Derek Haynes.
Morto anch’egli, come Paul Swanson, quando Shaney era un marmocchio, cadendo dalle scale di emergenza dove si era arrampicato in qualche modo da ubriaco. La sua memoria veniva, a differenza del defunto padre di Justin, pianta ancora da Lindsay Haynes, di cui era stata ed era ancora succube, nonostante il fatto che il marito, una notte, tornato a casa ubriaco, aveva trascinato in bagno Shane, che all’epoca aveva cinque anni, ed il suo fratellino Eric di tre, per dar loro una punizione; gli aveva insaponato la faccia per poi risciacquargliela con l’acqua bollente solo perché i bambini non avevano sistemato i giocattoli e lui vi era inciampato.
Il piccolo Shane, di 5 anni, ed Eric, di 3, erano finiti al Pronto soccorso con lievi ustioni e un terribile shock, quando la madre li aveva raccolti, urlanti e balbettanti, e li aveva portati via, ma una cosa era rimasta impressa, al maggiore dei fratelli Haynes: non aveva chiamato la polizia.
Mai.
Nè per difendere sè stessa nè per i figli.
Non gliel'aveva e non gliel'avrebbe mai perdonato, madre o no.
Shaney aveva raccontato ai suoi amici i terribili incubi di cui aveva sofferto, per anni e anni, anche dopo la morte di Derek e il risposarsi della madre con quello che considerava il suo vero padre, Patrick. 
Justin, che non brillava per magnanimità, aveva brindato malignamente alla memoria di Derek, ricordando come anche suo padre aveva trattato, seppur per breve tempo, sua madre Edele e lui stesso, ed Eddie si era accodato.
Dorian aveva ascoltato con interesse, aggiungendo silenziosamente il suo boccale al brindisi, con tutta la partecipazione di un ragazzo che era stato regolarmente picchiato con una cinghia da suo padre, molte volte in misure anche estreme, ma di cui aveva vergognosamente custodito il segreto.
Finché, il giorno del suo diciottesimo compleanno, suo padre aveva gettato la vecchia cinghia nella spazzatura, proclamando che d’ora in avanti, ai suoi problemi ‘di carattere’ avrebbe dovuto badare da solo, visto era diventato adulto.
Dorian non si capacitava di quel gesto, ma ne era stato molto, molto contento…
 
 
Bene, scusate per lo svarione, avevo postato il capitolo non corretto. La bozza.
E così avete letto di come scrivo da schifo quando ri-scrivo a flusso di coscienza. 
Un ennesimo grazie a Jo che se n'è accorta, io ero a passeggiare tra le fresche frasche universitarie e mi sono fiondata a rimettere a posto. Figure di **** mode: ON!

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Capitolo 7
*** 7. Problemi di carattere ***


7.Problemi di carattere
 
Per William Fitzgerald Kierdiing, Dorian aveva solo ‘problemi di carattere’.
Problemi da correggere prima che prendessero il sopravvento; ed il suo metodo, nonostante discendesse da una lunga dinastia di punizioni patriarcali, non sembrava neppure così efficace con quel disutile figlio nel quale, alla nascita, aveva erroneamente riposto le sue speranze.
Troppe e sbagliate.
 
Dorian prendeva un brutto voto in matematica?
Era solo un ‘problema di carattere’.
Il ragazzo era pigro, incostante, non poteva non piacergli la matematica, non poteva esistere niente  che non piacesse a Dorian.
 
Dorian non socializzava, né da bambino né da ragazzo, con i coetanei di Linayr?
‘Problema di carattere’. 
Il ragazzo si dimostrava chiaramente un egomaniaco, aveva sempre preferito stare per conto suo, a fare che, poi?
Non erano gli altri bambini che lo evitavano, data la sua iperattività e forse anche per gelosia, visto che il bell’angioletto attirava su di sé i complimenti delle loro mamme.
O il fatto che, una volta cresciuto, il suo desiderio più grande fosse quello di puntare più in là, verso Dublino e la sua aria di libertà, lasciandosi alle spalle Linayr, quel paese chiuso e con poche persone interessanti, dalle quali il suo amico Eddie costituiva una grande e felice eccezione.
 
Dorian si era rifiutato di parlare del Trinity college, dove anche suo padre si era laureato a pieni voti in giurisprudenza?
Un gravissimo ‘problema di carattere’, preoccupante.
Il ragazzo era un finto ribelle che si divertiva a rovinargli i piani.
Non poteva essere un adolescente come tutti, con un carattere appena un tantino volubile, no.
 
Dorian non aveva carattere. 
Dorian aveva ‘problemi di carattere’.
Era spesso definito un problema lui stesso.
E William Kierdiing aveva giurato di risolvere quel problema.
 
L’ultima volta che era stato picchiato, due giorni prima del suo diciottesimo compleanno e della sua libertà assoluta, a ben vedere dal suo punto di vista, Dorian aveva creduto di morire.
Forse era veramente morto un po’, dentro.
*
*
Sette mesi prima
 
Dorian non aveva capito bene la successione degli avvenimenti; una cosa che si verificava spesso in casa sua, ma non a quel livello.
Un attimo prima stava mollando giù lo zaino con le sue solite maniere da stalliere, mentre raccontava in tono sovreccitato come lui ed Eddie avevano tirato scemo un ottuso professore in un dibattito, esprimendosi a favore dei diritti degli omosessuali, e vincendo per k.o. tecnico sull’onda dell’entusiasmo giovanile della classe che li aveva seguiti; due minuti dopo si era ritrovato in fondo alle scale di casa sua dopo averle fatte rotolando e a calci, sentendo ogni centimetri del freddo marmo dei gradini sulle costole e sulla faccia, con suo padre che urlava, letteralmente sconvolto nell’amor proprio di bravo cattolico irlandese, di avere un figlio completamente stupido.
Dorian aveva tentato inutilmente di proteggersi con le braccia una volta tirato a forza in piedi, ma contro il padre, alto poco più di lui ma pesante il doppio dei suoi settanta chiliavrebbe potuto anche erigere, inutilmente, il Muro di Berlino;  le avrebbe prese comunque.
Il suo istinto, affinatosi in anni di simili esperienze, gli urlava che quello era solo l’inizio, che alla fine del pestaggio sarebbe stato in condizioni tali da desiderare di essere morto.
Suo padre era troppo, troppo nervoso nel periodo in cui stava smettendo di fumare, ed era già scattato tre volte in un mese contro di lui, e bastava guardarlo un attimo negli occhi per capire che ora doveva punirlo come non mai.
Addossato alla parete bianca vicino all’anticamera d’ingresso, aveva abbassato impercettibilmente le braccia, gelato da quella sensazione e da quello sguardo agghiacciante, e ciò era stato più che sufficiente per far partire suo padre alla carica.
Pugni violenti e splendenti di luce bianca, talmente forti e rapidi da non fargli sentire dolore, lo tempestarono per cinque minuti, i più lunghi della sua vita.
Allo stesso tempo veniva pesantemente insultato e marchiato come un animale malato della terribile malattia dell’omosessualità, con minacce mascherate da preghiere e preoccupazione per come stava crescendo.
Le lacrime gli scorrevano lungo le guance, ma si era imposto di non singhiozzare, di non urlare, di non implorare in nessun caso: non gli avrebbe dato modo di continuare oltre quanto si era prefissato, anche se il suo cervello continuava ad urlare che quella volta era troppo, per lui, per suo padre, per qualsiasi persona; semplicemente un limite che era stato oltrepassato, sia da una parte che dall'altra.
Tenuto per i capelli, mentre il padre si accaniva sul ‘bel faccino da tenere per gli amici’, impossibilitato a difendersi, si era reso sordo agli insulti, le preghiere beffarde, le accuse; non riusciva ancora a capire cosa stesse succedendo.
Forse.
Mentre tentava di ricostruire, si convinceva che se, per una volta, avrebbe messo tutti gli eventi in sequenza, azione per azione, come fotogrammi, avrebbe risolto il problema, quella volta; quel problema che si sentiva perennemente di essere.
Dorian era caduto nella trappola più banale di ogni vittima: pensava di meritarsele, ma non capiva mai il perché.
 
Quando il padre, tremando ancora di rabbia malcelata ma con una vena di irridente malvagità, lo lasciò andare, “Prima di ammazzarti veramente”, il ragazzo aspettò due minuti, scivolando a rannicchiarsi in fondo alle scale, finché non lo vide andarsene e sbattere la porta, probabilmente deciso a comprarsi un bel pacchetto di sigarette.
Si accorse di stare riacquistando l’udito quando sentì sua madre Shannon piangere e supplicare da dietro la porta del salotto dove suo padre l’aveva rinchiusa, Dio solo sa come, non appena l’aveva afferrato per farlo volare giù dalla scalinata.
Si avviò lento, arrampicandosi attaccato al corrimano, con le gambe di gomma, fino all’atrio del piano superiore, barcollando, tremante e con gli occhi semichiusi.
Sentiva freddo dappertutto, ma sapeva che era solo una sensazione, gli capitava sempre; quella volta tardava ad andarsene, ma non c’era da stupirsene.
Non era mai stato picchiato in modo così deliberatamente calcolato, usato come punching ball per un’astinenza da nicotina.
E ancora non capiva, a livello cosciente.
 
Quando arrivò lentamente al piano abitabile, una forza esterna lo trascinò davanti allo specchio grande dell’atrioe sentì un terribile sentimento crescergli dentro.
Quella volta aveva paura.
Aveva paura di scorgere qualcosa di diverso dal Dorian che conoscevano tutti; aveva paura di cosa lo specchio gli avrebbe mostrato, ma stava per vederlo, sebbene ogni suo nervo urlasse per il terrore.
I capelli si drizzarono sulla nuca e iniziò ad iperventilare, mentre le gambe, rese indipendenti dal pensiero, lo portavano avanti a sbattere finalmente contro lo specchio.
E non capì ancora, mentre i suoi occhi, meccanicamente, si fissarono nei cloni dello specchio, e sentì l’aria assumere peso, un peso sempre maggiore e… diventare densa, dolciastra, come un frutto andato a male.
 
Per due lunghi minuti dilatatisi come cera fusa, rimase a fissare quel pietoso ammasso di forme distorte, percorrendo i contorni di ogni lineamento enfiato e  tumido che gridavano a gran voce la violenza inflittagli; un fagotto biondo dalle labbra spaccate e gonfie, il naso rotto e storto, le guance striate di sangue e costellate di lividi, gli occhi tumefatti e piangenti, ed il sangue sulla felpa, persino sui jeans strappati…
Dorian abbassò lo sguardo con le labbra tremanti che sanguinavano, poco ma ininterrottamente, e poi lo rialzò di scatto, con un pensiero che gli riempiva la testa. E non era comprensione.
Riconobbe i suoi occhi nel viso deturpato che gli stava di fronte, fissandolo inorridito quanto, se non più, di lui.
-Sei un mostro!-,urlò letteralmente la sua mente, sconvolta.
MOSTRO, MOSTRO, MOSTRO… MORTO-MOSTRO, MOSTRO-MORTO.
Una cantilena funerea che Dorian non riusciva a sopportare, portandosi le mani alla testa, chiudendo gli occhi e gemendo piano; non poteva neppure concepire di aver scoperto di essere succube della sua vanità, e più lo pensava più si sentiva un mostro. Ma più piangeva per il suo bel viso deformato e più si sentiva un diverso tipo di mostro ancora, più simile alle modelle egoiste, maniache della propria bellezza, egomaniache.
Si dondolò, guardando il soffitto, mentre la cantilena andava avanti nella sua testa, alzandosi fino a scoppiare in un grido disperato, e si artigliò i resti della sua bella faccia, urlando frasi sconnesse e graffiandosi, perfino mordendosi, prendendosi a pugni, autoinfierendo su di sé, assecondando quello che gli veniva detto.
-Dorian è morto. Il mostro è morto. Dorian è morto. Il mostro è morto.-
Sua madre Shannon corse fuori dal salotto, dove era riuscita ad uscire, e l’aveva abbracciato, piangendo forte e tentando di fermarlo, ma l’aveva respinta, urlando che non doveva toccarlo, che Dorian non c’era, non poteva più esistere in quel mondo, che voleva morire, morire, morire…
 
Ed era scappato.
Si era rannicchiato di nuovo in fondo alle scale, incurante di ogni cosa, chiudendo a chiave la porta di comunicazione tra i piani. Il cervello ragionava febbrilmente nel suo delirio macabro, mentre sua madre, resa a sua volta isterica dall’improvviso crollo di Dorian, aveva chiamato Aislinn Joyce, madre di Eddie e sua amica dai tempi di scuola, e l’aveva pregata di mandare suo figlio ad aiutarla.
Aislinn, con la quale Shannon si era ripetutamente confidata nel loro circolo di scrittura a proposito di Dorian, di suo padre e della sua impotenza ad intervenire, scaraventò letteralmente in macchina Eddie e anche Justin, che si trovava lì per provare assieme a loro. In quel momento stavano proprio aspettando Dorian, e nessuna spiegazione venne loro data mentre la madre di Eddie bruciava i pochi semafori da casa loro alla villa dei Kierdiing, poco fuori città.
I ragazzi erano agitati, visto che non erano certo preparati ad affrontare emergenze, e il laconico commento che ‘Dorian era uscito di testa’ non gli dava modo di chiarire la cosa e risolverla.
 
Una volta arrivati, quando suonarono, non aprì nessuno, sebbene sentissero chiaramente da fuori la voce di Shannon supplicare Dorian di aprire, calmarsi, che “non c’era niente che non si sarebbe rimesso a posto.”
Eddie, con voce apparentemente più calma e piena di calore, ma dentro di sé un lago di paura cieca, gli disse attraverso la massiccia porta d’ingresso più o meno le stesse cose, mentre Justin tremava interiormente ed esteriormente, ricordando come si erano confidati così facilmente sui loro casini familiari due anni prima, prima del pozzo profondo che era diventata la loro amicizia, come fosse scontato che tutti avessero avuto una dolorosa infanzia irlandese, e di come non avevano quasi considerato Dorian che parlava di suo padre.
Ma sperava con tutto il cuore e forse qualcosa di più, che non fosse quello; avrebbe preferito il fatto che Dorian fosse nella droga ed avesse una crisi d’astinenza feroce, finalmente scoperta.
 
Quando lentamente la serratura scattò, Eddie si proiettò nell’anticamera come un razzo, non trovando nessuno, ma Justin, che lo seguì un attimo più lentamente, seppe per istinto che Dorian era dietro la porta aperta, e allo stesso modo seppe, ancora prima di vederlo, che era successo proprio quello che temeva. Quando scostò gentilmente la porta scoprendo l’amico, Eddie trasalì vistosamente, ed egli stesso non riuscì a trattenere un moto d’angoscia, seppure più controllato.
 
Non riusciva a crederci.
Non poteva crederci.
E, specialmente, non voleva crederci.
 
Del suo stesso parere fu anche Eddie, che distolse lo sguardo, incapace di sopportare la vista degli occhi di smeraldo di Dorian incastonati in quello sfacelo che non era Dorian, e che si coprì la faccia con le mani, chiedendo sottovoce, incastrando le parole in un’ulteriore cantilena funebre, chi, chi in nome di Dio poteva avergli fatto una cosa simile.
Chi poteva aver avuto il coraggio, la demenza, di sfigurare in quel modo l’amico.
La cosa che sconvolgeva così tanto i due, era che la risposta era stata loro sotto gli occhi per troppo tempo, e l’avevano ignorata.
Il fatto che più li faceva stare male era che sapevano chi aveva compiuto quel gesto.
Il dolore interiore di Dorian traspariva dai suoi occhi, che avevano indovinato i sentimenti dei suoi amici.
 
Justin fu talmente sconvolto dalla sua visione che alzò persino una mano, come a proteggersi da tutto quell’orrore.
Lo stesso gesto fece Dorian, più lento, come un automa dalle pile scariche; Justin si bloccò ma Dorian rimase ancora col braccio alzato, prima di farlo tornare giù, piano piano, con gli occhi smeraldini piantati nei suoi trasparenti, occhi che non dicevano più niente, asserragliati dentro la loro trincea di dolore e… altro.
Quando parlò, Justin dovette avvicinarsi per sentirlo, quasi con timore, col suo viso a qualche centimetro dall’amico.
“Sono passato dall’altra parte dello specchio”, aveva sussurrato Dorian, quasi complice, non fosse stato per l’aria assente e...
Fredda?
Sì, fredda.
Justin non riusciva a capire, era sporto in avanti e non connetteva, anzi si sentiva sull’orlo di una crisi isterica egli stesso, il cuore galoppante, le tempie che battevano contro il cranio dolorosamente e la respirazione accelerata.
Dopo una pausa, Dorian aveva ripreso, con la sua parlata lenta, misurata e ancora con quello strano sussurro di vetri rotti.
“Ci sei tu nella parte giusta dello specchio. C’è anche Eddie, lo sento… Ma io vedo te. Ora.”
E poi…
Poi Dorian era scattato improvvisamente avanti, ed aveva piantato le corte unghie nelle guance appena sotto gli occhi di Justin, urlando che doveva riportarlo dalla parte giusta, che non era in diritto lui di possedere quella bellezza, come non lo era Eddie.
Dovevano riportarlo dalla parte giusta, urlava supplicante, scavando solchi nelle guance di Justin, troppo shockato per reagire, spinto contro il muro delle scale!
Eddie si riscosse fulmineamente dalla sua litania accusatoria, ma gli si bloccarono le gambe in una scena da incubo: Dorian, che proprio nell’espressione di furore aveva ritrovato il suo aspetto, stava letteralmente tentando di uccidere Justin, aprendogli la pelle del viso e strattonandogli i capelli biondi con l’altra mano, insensibile ai deboli tentativi di difesa dell’amico, che non riusciva a muoversi, incastrato, e forse non voleva difendersi.
 
Pur inorridito ed incapace di muoversi, Eddie capì sottopelle che Dorian stava, a suo modo, esprimendo una sorta di rivalità con Justin e la sua vanità. Lo stava accusando di essere a sua volta così stranamente bello perché l’aveva derubato, e non riusciva neppure ad accettare il fatto che rivolesse la sua bellezza.
Quando lasciò i capelli, preparandosi ad assalirlo anche con l’altra mano, Eddie ritrovò l’uso delle gambe, anche se in cambio sentì il suo sangue farsi acqua, ma riuscì ad afferrare le braccia di Dorian, che si rigirò fulmineo come una vipera ferita, venendo così preso alla vita ed immobilizzato da Justin, che nonostante il suo eterno sangue freddo, aveva una faccia meno devastata della sua ma comunque sconvolta, con le guance rigate dal sangue che gli aveva spillato, e che riteneva di aver salvato gli occhi per puro miracolo.
E nonostante la prospettiva di venire accecato dalla furia insensata di Dorian gli fosse balenata davanti agli occhi non meno di un attimo prima, tenendolo stretto e fermo, sentendolo pronunciare frasi sconnesse e spezzatesi sentiva angosciato per lui, e si accorse solo in seguito di avere tentato una difesa debole per non doverlo toccare ancora.
 
Con degli sforzi sovrumani, abbandonando ogni parola gentile in favore della forza fisica, visto anche l’assoluto mutismo in cui si era rinchiuso Dorian dopo aver capito di non potersi muovere, riuscirono a portarlo letteralmente in camera sua, mentre sua madre correva a prendere i calmanti che nascondeva; rimase catatonico, con uno sguardo assente degno di Justin nel ‘Più in là’, finché il sedativo iniziò a fare effetto.
Quando si addormentò, nonostante il gonfiore ed i lividi che l’avevano fatto sembrare diverso per qualche momento, Eddie e Justin, che l’avevano sorvegliato in silenzio seduti ai lati del suo letto, augurarono mentalmente buonanotte a Dorian Patrick Kierdiing, ragazzo più carino della Wenders school, il loro brillante chitarrista, che a volte giocava a fare l’angelo di Linayr e che sempre, nonostante i suoi guai, li metteva di buonumore.
*
Quando i due amici fecero per uscire da casa Kierdiing, Shannon li rincorse nel salotto e li ringraziò piangendo, e dicendo tra lacrime di sollievo che erano degli amici molto cari, che nessuno sarebbe mai stato in grado di aiutare Dorian meglio di loro, e che indubbiamente suo figlio voleva loro bene, che senza di loro sarebbe finita male, malissimo…
E mentre Eddie la ringraziava affettuosamente la povera donna che ora lui vedeva sotto un’altra luce, e Justin teneva la testa verso la porta a costo di apparire scontroso, per non far vedere i graffi, entrò William Kierdiing, imponente, e fu come se tutto si congelasse, per i due ragazzi.
L’uomo, dopo averli salutati distrattamente, non sospettando niente nella sua convinzione errata di essere nel giusto, sembrò bloccarsi e si avvicinò a loro, con uno sguardo preoccupato, tirando su la faccia di Justin, che sembrò quasi soffiare come i gatti, la mascella nelle mani odiose che avevano ferito Dorian, i graffi luccicanti in bella mostra.
Shannon aveva lanciato uno strilletto ed aveva chiesto, con una voce acuta ancora vicina all’isteria, se era stato Dorian, povero ragazzo…
Ma nessuno ebbe il tempo di ribattere.
 
Mentire sarebbe stato inutile, poiché l’avvocato Kierdiing si era già girato verso la camera del figlio con uno sguardo furioso, iniziando a dirigersi là troppo rapidamente per i loro gusti.
Quando la moglie si mise in mezzo, la spinse via con una furia mai mostrata in pubblico e neanche in privato, ma il pensiero che Dorian avesse in qualche modo disonorato la sua persona con qualche altra azione sconsiderata, lo aveva fatto decisamente sragionare; ma non poté raggiungere la porta.
Si trovò in mezzo Justin, veloce l’odio e terribile come la vendetta secolare, e a fianco Eddie, altrettanto poco benevolente verso l’uomo, come un vero e proprio scudo umano, a sfidarlo.
Quando fece per aggirarli, deciso a non provocare altri danni, Justin non si mosse di un millimetro, finché le loro facce quasi si scontrarono, e lo guardò, con quello sguardo trasparente di mille folgori abbacinanti, carico di inevitabilità.
“Mi fai schifo.”
Eddie non vide partire lo schiaffo, istintivo ma preciso, ma Justin sì e lo evitò con uno spostamento veloce, per poi riportarsi subito vicino, sicuro come la morte che non l’avrebbe colpito, con un’espressione di repulsione e odio che fece uscire dai gangheri letteralmente il padre di Dorian, che gli rispose, beffardo ma rabbioso di essersi fatto ingabbiare in un duello simile.
“Sei riuscito a farti far male da quel… quell’incapace di Dorian. Fossi in te me ne starei zitto, fighettino. Portate il vostro culo fuori da qui.”
 
Se quello stronzetto credeva di fare l’eroe per quell’imbecille senza carattere di suo figlio, non avrebbe certo avuto vita fac…
Ma certo! Doveva essere il suo ‘amichetto’, uno per tutti e tutti per uno, tu salvi il culo a me e io a te, e poi magari si và più in là.
Justin, quasi ad indovinare i suoi pensieri, arricciò il naso e firmò, sibilante di schifo dalla prima all’ultima lettera, la sua condanna.
“Non provarci, camerata… Non pensare nemmeno, e porta il tuo grasso culo via di qui!”
E questo, per William Kierdiing, decretò la fine del duello di parole, e anche della sua malcontenuta diga che gli aveva consentito, a suo parere, di contenere i danni fino a quel momento.
 
Lo caricò ruggendo di rabbia, le mani alzate ai lati della testa, strette in pugni in un gesto primitivo, e Justin, dal fisico così simile a quello di Dorian e biondo come lui, tanto che all’uomo sembrò di avere un deja-vù, non si mosse.
Lo avrebbe picchiato di nuovo, oh sì,  aveva già conciato per le feste quella femminuccia una volta, e lo avrebbe fatto ancora, per Dio! Gli avrebbe insegnato cosa comportava il ribellarsi al proprio padre.
Justin si mosse solo quando l’ebbe praticamente addosso, i grossi pugni che iniziavano ad abbassarsi per colpirlo come dei magli, ed in un solo, apparentemente lentissimo gesto, caricò al massimo il destro e colpì l’uomo alla bocca dello stomaco, senza dare veramente l’impressione di muoversi, giocando sul suo stesso slancio. Eddie si trattenne dall’urlare “Urrà!”, come in un’arena, perché l’orrore lo bloccava: William Kierdiing si era permesso, anche se provocato, di aggredirli, due quasi estranei, in quel modo barbaro!
Justin provava per lui un fortissimo ribrezzo, che da quando aveva visto il padre di Dorian si era trasformato in qualcosa di terribile come la Vendetta stessa, ma con negli occhi un’assenza che strideva, ancora provato dall’aver portato Dorian al suo giaciglio nelle condizioni in cui era.
Gli faceva paura.
E non era la prima volta.
 
William si accasciò subito al suolo con dei conati involontari, tossendo in preda a sforzi di vomito a vuoto, mentre Justin, davanti a lui, aumentava sempre più l’espressione di disgusto, come se questa non dipendesse da lui.
Si abbassò, mettendo un ginocchio a terra, e gli afferrò il mento con una mano, costringendolo a guardarlo negli occhi come aveva fatto l’uomo con lui prima, e gli sputò addosso veleno, sibilante d’odio e di disprezzo.
“Non è stato questo gran gesto, vero, eroe?! Anche se sei grosso, cattivo, un vero duro!Non come quella mammolletta di tuo figlio ed i suoi amici, eh?!”,e l’espressione mutò in quasi carezzevole, anche se i suoi occhi mantenevano quella dura assenza, di cui doveva essersene accorto anche William Kierdiing, poiché tacque, fissandolo.
“Mi spiace dirtelo, credimi, ma se insisterai su questa erronea linea di condotta, sai…Noi potremmo parlare. Aprire una falla. Una falla nella diga. Parlare a proposito di come abbiamo trovato Dorian oggi, e fare parlare anche sua madre, cioè tua moglie… Ed anche la madre di Eddie sa cos’è successo, sai?”
Il tono dolce ed avvelenato di quello che era poco più di un ragazzo, stava riducendo a minimi termini uno degli avvocati più talentuosi di Linayr e della capitale. Justin non gli dava il tempo di pensare a contromosse verbali, letteralmente.
“E che brutta figura, anche non dovesse cedere questa diga, far sapere in giro che tu, così virile e grosso, sei stato atterrato da un ragazzo! È come se le avessi prese da tuo figlio, prova a pensarci, testa di cazzo…  Solo che Dorian è troppo buono per reagire. Noi no.”
Eddie, che osservava tutto a bocca spalancata, ringraziò mentalmente per quel ‘noi’; Justin non era ancora andato di cervello, o almeno non del tutto.
Lo affiancò, deciso, fregandosene dell’amicizia secolare delle due famiglie, e parlò anche lui, le mani sulle cosce, contagiato dalla freddezza di Justin.
“Se parleremo noi, parlerà anche Dorian, William, credi che non lo farà? Noi lo conosciamo diecimila volte meglio di te, sappiamo da due anni che tu lo picchi…”
E nel dirlo si sentì accartocciare la pelle per il disgusto al solo pensiero.
Due anni.
Lo sapevano da così tanto tempo e mai si erano immaginati che i mal di stomaco, le assenze ed i lividi di Dorian fossero nati da una meschinità simile.
E di chissà che vecchia data!
 
“Ehi, Dorian, che hai combinato alla faccia?! Ancora la panca?! Ma santiddio, ogni mattina inciampi nella panca?! Ci sei o ci fai?!”
 
Shane, che era il più dotato di loro con la matita, aveva persino creato un fumetto a mo’ di caricatura con Dorian protagonista di inverosimili incidenti dove inciampava in ogni oggetto possibile e non, con il risultato di uscire di casa sempre in ritardo.
 
IMBRANATO
 
MALDESTRO
 
OH DORIAN, MA ALLORA SEI RINCOGLIONITO!
 
Era incredibile il modo in cui ci avevano creduto, specie conoscendo Dorian e la sua grazia.
E quanto quei leggeri epiteti avevano bruciato, sulla pelle del loro amico, come un livido ancora più profondo, sotto i suoi sorriseti di scuse.
 
SCUSE.
 
Eddie si sporse ancora di più, nella sua personale bolla di ribrezzo, mentre Justin si raddrizzava, osservandolo.
Pareva avessero raggiunto un punto comune, senza parlare: disgusto per quell’uomo ma anche per sé stessi.
“Lei…tu lo picchi! Cristo di un Dio! Ma come cazzo si fa anche solo a toccare Dorian?! Che soddisfazione c’è?! Lui non vuole difendersi, lui è…è…è…”
La voce si incrinò, e come dall’alto dei cieli, arrivò la conclusione di Justin, in un misto di sgomento e realizzazione.
“Un amico. La miglior persona che conosco. Mai conosciuto nessuno che valesse anche solo la metà di Dorian…”, e involontariamente si toccò i graffi sulle guance.
Bruciavano, ma qualcosa gli bruciava di più. Gli stavano per affiorare delle lacrime, per la sua stupidità.
Eddie sembrò percepirlo, senza vederlo, e continuò il suo discorso, glaciale come un pistolero.
“Tocca ancora Dorian… Ascoltami, cazzo! Ce le hai le orecchie?!”
William Fitzgerarld Kierdiing, ormai spaventato a morte da due ragazzi che assieme avevano venticinque anni meno di lui, alzò gli occhi su di loro, e se Eddie era diventato ormai una maschera di freddezza che mai aveva visto, Justin stava sorridendo in modo raccapricciante, pensando a lui ed a se stesso, quando venne ripreso.
Eddie continuò, lentamente.
“Tocca Dorian ed avrai molta, molta più paura di ora. Te lo giuro. Dovesse essere l’ultima, bada bene, l’ultima cosa che faccio. Dovessi crepare per causa tua, ti farò pentire almeno sette volte di più di quello che farai a tuo figlio.
Il sorriso di Justin si spense, e mise una mano sulla spalla di Eddie, invitandolo a raddrizzarsi.
“La sua faccia tornerà quella di prima. Noi ci impegneremo a far diventare la sua vita migliore di prima. Se qualcuno dovesse intralciarci…”, e lasciò cadere la frase nel vuoto, ma le pozze verdi di quell’uomo che per un tragico errore doveva spartire vita e sangue col suo miglior amico, segnalarono che era giunto tutto a segno.
 
Bien.
 
Justin, vestito come al solito di nero e pallido come la morte in vacanza, con i graffi che risaltavano come stigmate sul candore della sua pelle, si avviò fuori, seguito da Eddie, e salutò educatamente Shannon Kierdiing, che si riscosse dal suo stato catatonico per salutarli, ancora piangendo, rauca per lo sforzo.
Sulla soglia del salotto, si voltò verso William Kierdiing una sola volta e gli piantò addosso due occhi trasparenti e glaciali.
Da quel giorno, il padre non toccò più Dorian per dargli una lezione sui suoi ‘problemi di carattere’, e dopo due giorni, in una sorta di cerimonia, gettò la sua vecchia cinghia nell'immondizia, faccia a faccia col figlio, proclamando la sua 'resa' di fronte ai suoi problemi di carattere.
 
*
Shannon entrò in camera del figlio, quella sera, e si addormentò con lui, piangendo le ultime lacrime di sollievo; nel ragazzo che dormiva, sotto l’apparenza  ingannevole di lividi e di tagli, ritrovò il suo Dorian, il suo bellissimo Dorian.
 
Che da quel momento non avrebbe più avuto niente da temere.
 
Non da suo padre.


Buonanotte.
Ringrazio sentitamente Jo e Marco per il supporto, stavolta è stata dura. Sò che il sovrannaturale si sta facendo attendere, ma così è stata strutturata e così la strutturerei ancora. 
Arriverà, e presto. Se non volete attendere...
Accomodatevi.

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Capitolo 8
*** 8. L'Innocente e l'Immemore ***


8.L’Innocente e l’ Immemore
 
Dayer, avvolto in un caos di informazioni incorporee, un vortice di immagini incomprensibili alla sua natura e nuovi impulsi, sentiva distintamente solo una cosa:il battito della sua paura.
 
Non riusciva a percepire altro in quella spaventosa tempesta che riempiva ogni dove nel suo cervello, spazzando via e spostando tutto ciò che si era appena posato per ricominciare a plasmare in continuazione informazioni e distruggerne altre.
 
Informazioni vitali per sopravvivere e per la sua missione, o anche solo semplici… informazioni.
Era nato da poco tempo, e non sapeva cosa fare in quella situazione, così lasciava che i suoi pensieri fossero manovrati quasi fisicamente, le sue sensazioni rimescolate da quel vortice scuro che sentiva dentro di sé.
 
Freddo, luce, vuoto, spazio, violenza, sogno, fame, tempo, dolcezza, rabbia, vento ed una violenta luce azzurra si mescolavano in quel luogo senza tempo e spazio
Era meno di un’infinitesima molecola di cellula cerebrale, incalcolabile anche per il più potente microscopio, dove Dayer subiva la sua vera iniziazione.
 
Aveva finalmente trovato il suo ‘esterno’ e stava fondendosi con lui, completando la sua formazione con quello che trovava nel suo cervello, come in un’enorme biblioteca, mentre lui stesso veniva aperto e riempito ancora, con un’incalcolabile dolore.
 
Se fosse sopravvissuto avrebbe dovuto combattere Alael, altrimenti sarebbe morto. Il tutto indipendentemente dal suo ospite ‘esterno’: questi sarebbe sopravvissuto, ma lui no,  e tutto si sarebbe risolto in pochi secondi.
Ma Dayer era determinato, e stringeva degli invisibili denti in preda al dolore, cercando ancora informazioni che a lui erano sconosciute. La cosa che non sapevano i suoi nemici, gli emissari della Ragione, era che la vita di un inviato del Caos nasceva nel dolore, tanto assiduo e diversificato che questo li rendeva spietati pochi secondi dopo la loro nascita; il Dolore era un loro genitore, in fondo.
 
E come tutte le creature viventi, umane o no, Dayer voleva vivere ancora.
 
Nell’ immenso archivio dell’esterno a disposizione, erroneo o parziale che fosse, trovò che la cosa assomigliava ad una violenza, uno stupro cerebrale consenziente: accettava il dolore per la sua vita.
Non l’aveva scelto, ma se non voleva che il Caos si riprendesse quell’unico battito di vita ultraterrena sotto forma di dolore che l’aveva appena investito, doveva lasciar fare in silenzio. Anche se le sue sensazioni di natura sconosciuta gli indicavano solo dolore, paura e… rabbia.
 
L’esterno, l’anima che l’avrebbe ospitato e che lo stava gradatamente accettando, mentre bypassava un sentimento dietro l’altro, non avvertiva nemmeno un leggero mal di testa o accenno di nausea, nemmeno un cazzo di prurito, ma lui, Dayer, l’unica cosa di immortale che avesse quel corpo, stava combattendo con se stesso per non lasciarsi andare, venendo in cambio violentato nei suoi pensieri, strappati e scambiati, per salvare quell’infinitesima particella millemila volte più importante e potente del cervello e della vita del suo ‘esterno’ mortale.
 
Mentre pensava a questo, si sentì accecare nel profondo, da un dolore lancinante in forma mai provata da essere umano, e sentì che il suo tempo era giunto.
 
Il dolore andava ora scemando, placandosi in quel battito sordo, pulsante, ma specialmente implacabile.
E lui era finalmente pronto.
Pronto a cercare, combattere, ed uccidere Alael, l’Immemore.
 
Si era incarnato.
 
Era nato.
 
*
*
 
 (22 luglio 1997; Dublino)
Il giro per Temple Bar in cerca di svago era stato proposto, ovviamente, dal Santissimo Eddie, che conosceva la leggendaria zona di Dublino meglio di Linayr e certamente in modo migliore di Shane e Justin, che pure abitavano alla periferia della città.
 
Non erano neanche troppo agitati in vista del concerto di quella seraanche se Dorian era silenzioso e pensieroso, un fatto più unico che raro, ed Eddie rideva un po’ troppo sguaiatamente delle cavolate ad alta voce di Justin, anche quelle troppe e troppo rapide persino per lui.
L’unico a distrarsi veramente pareva Shane, che stava aspirando ad un torcicollo fulminante grazie alle turiste carine che incrociavano e che lui, svelto, si girava a rimirare, per poi tornare rapido in cerca di altri bersagli da ‘fotografare’.
C’era da perdere gli occhi a girare in Temple Bar d’estate, specie se, come lui, si aveva un debole per il genere ‘damigella smarrita ed impreparata al clima umido e dannoso irlandese’.
Dopo aver osservato e ‘fotografato’ a lungo una biondina alle prese con una cartina ed un imbarazzante k-way, si girò verso gli altri sospirando soddisfatto e stiracchiandosi voluttuosamente, quando il risolino di Dorian lo costrinse a guardarli.
Lo stavano osservando in silenzio da almeno cinque minuti, quelle comari pettegole, realizzò guardando le tre facce che nascondevano (male) dei ghignetti maliziosi.
 
“Oddio, ma che c’è ancora?! Sono un uomo! Bisogni fisici!”, sbuffò infastidito, ma con un angolo di sorriso.
Dorian scosse la testa.
“Sei un maniaco, non un uomo!”
“Fossi in te, Dorian bello, mi guarderei allo specchio prima di sentenziare! Se tu che ti giri a guardare gli uomini, anche anziani…visto che miri a fare la vita del mantenuto!
“Ehi!! Io non…”, iniziò petulante Dorian, prima che Justin lo interrompesse.
“No, certo… Richard Gere è più affascinante da vecchio che da giovane… Mio Dio, è la prova vivente che si può invecchiare bene, è assolutamente af-fa-sci-nan-te!. Chi l’ha detto, stamattina? Io?”
Eddie ammiccò verso di lui e Justin rimpianse di aver parlato: indovinava già cos’avrebbe detto.
“Non me ne sarei stupito se l’avessi detto tu, Justin… A volte mi sembri più finocchio di lui, giuro!”
Ma che cazzo…?!”
“PEACE!!”, li interruppe Shane, alzando le braccia al cielo come un predicatore. “Dio ci ha dato la vita, rispettiamola!”, intonò, rivolto verso l’alto.
“Simpatico come un calcio nelle palle…”, brontolò Justin.
“O come tua madre che ci caccia di prima mattina!”, lo rintuzzò Eddie, non ancora stanco della loro schermaglia.
 
Edele era rientrata con mezza giornata di anticipo, ed aveva trovato:
a) la cucina distrutta, con piatti sporchi ovunque e il suo grembiule con i fiocchetti preferito bruciato, oltre ad un aborto di una frittata: operainteramente di Dorian.
b) Shane collassato sul divano buono, e minimo aveva sfondato una dozzina di molle con la sua stazza
c) Eddie riverso a terra, circondato da un nugolo di lattine di Guinness e di cuscini che aveva usato per farsi un giaciglio, con i piedi sulla sua poltrona preferita.
I. SUOI. CUSCINI. RICAMATI.
d) Dorian e Justin che dormivano stretti nello stesso letto matrimoniale in camera sua (cosa che le aveva fatto sfiorare l’infarto), mentre lo stereo acceso nella stanza del figlio, VUOTA, mandava ‘Earthling’ di Bowie in repeat a volumi assurdi, per cui aveva raccolto tre o quattro proteste per le scale, che non l’avevano perciò fatta arrivare al suo appartamento di buon’umore, oltretutto!
 
Odore di maschio tardoadolescente con relativi effluvi poco piacevoli, e mozziconi di sigaretta ovunque, nei bicchieri, nelle fioriere, nei contenitori McDonald’s e…
…un bagno splendente, profumato ed all’apparenza mai usato, frutto del buonsenso di Dorian la sera prima, dopo che Justin aveva speso mezz’ora buona a rigettare il carico di birra, vodka e cibo spazzatura, lasciando uno schifo.
 
Il suo urloche li aveva svegliati dal coma del dopo sbornia in modo che neanche un getto di acqua gelata avrebbe potuto fare, aveva lasciato loro appena il tempo di vestirsi, recuperare qualcosa e fuggire a velocità di una Ferrari a Montecarlo.
Erano consapevoli del fattoche prima del concerto sarebbero dovuti tornare nella tana della leonessa per recuperare la loro roba e che la sfuriata definitiva era ancora da venire, e non si illudevano di scamparla; Edele non faceva prigionieri: li avrebbe beccati tutti, senza pietà e senza curarsi di chi prendeva per primo!
 
Da lì erano finiti prima al St. Stephen’s Green e poi a Temple Bar, nonostante l’avversione dei posti per turisti, armati di occhiali da sole, visto l’inaspettato bel tempo che da qualche giorno gravava sull’Isola di Smeraldo peggiorandone l’umidità, e di sigarette e spiccioli.
 
Dorian e Justin, non si sa se nel tentativo di scacciare il mal di testa o peggiorarlo ai loro amici, si erano presi per manina, ora, e sculettavano mentre cantavano a squarciagola ‘Country House’ dei Blur, con Eddie e Shane staccatisi ragionevolmente di un paio di metri che facevano finta di chiacchierare di rugby.
 
Benché umida, la giornata era di quel caldo opprimente che persisteva da una settimana e che in teoria sarebbe finito quella sera, stando alle previsioni, ed Eddie continuava a tergersi il sudore dalla fronte, colpevole di aver voluto indossare una camicia sopra alla sua t-shirt dei Red Hot, mentre Dorian comprava del thè freddo, che gli veniva puntualmente scroccato da Shane, a sua volta rapinato di sigarette da parte di Justin, che era stato derubato da Edele delle sue, pur di lasciare casa rapidamente e con i timpani interi.
 
Dopo aver aspirato di gusto dalla sua Marlboro light, Justin sospirò una nuvola di fumo passivo, con un’espressione degna di uno che fosse morto in pace e già sulla via per il Paradiso.
Shane era perplesso mentre controllava il pacchetto e gli spiccioli per comprarne un altro, dovendo sostenere due persone nel vizio.
“Come mai tua madre ti ha urlato di smettere? Intendo prima di prendere la scopa per cacciarci…”
Justin fece una smorfia sofferente, cadendo dalla sua personale Stairway to heaven, ed osservando la cicca, infastidito.
“Oggi l’ha fatto per avere le mie sigarette, perché è  rimasta senza, ma batte su questo tasto da settimane, poi quando sono riuscito ad accennarle che stasera suoniamo…”
“Quando stava per prendere me ad urla?”, intervenne Eddie, mentre Dorian seguiva il discorso interessato.
“Sì. Comunque ha giurato che non me ne farà toccare più una, se decidiamo di darci seriamente a questa faccenda me le scorderò per sempre, mi rovino la voce e blah blah…”, snocciolò Justin, annoiato.
“È vero”, ammise Dorian, tra il gorgoglio che faceva con la cannuccia, bevendo. “Ti è calata parecchio dall’anno scorso.”
Shane annuì, sporto con la sua cannuccia nel risucchiare altro prezioso liquido dal bicchierone dell’amico, che gli mollò una sberlasulla nuca, mentre Justin sbuffava, irritato, e guardava la punta della sigaretta con le sopracciglia aggrottate.
Eddie scrollò le spalle, fumando lasua Camel, e disse, in tono leggero: “A me piace di più.”
Dorian lo guardo incredulo.
“Se continua così gli partirà tutta la voce. Non ha mai preso lezioni di canto, non se le può permettere certe stronz…”
Ma tu da che parte stai?!”, lo aggredì Justin, mentre Eddie scosse di nuovo le spalle.
“Ha solo la voce più roca, non ha perso in tono o in volume, è solo un po’ più vissuta. È più calda”
Justin sorrise trionfante con la sigaretta tra le labbra ed un ghigno sornione, ma Dorian, dimentico del thè e soprattutto di Shane che lo stava finendo di nascosto, si infervorò.
“Ma che cazzo dici, Eddie?! Prima era liscio, adesso quando è alla quinta canzone sembra sia fatto!”
Shane completò l’opera, risucchiando gli ultimi residui e rialzò la testa, sistemandosi i capelli.
“Facciamo così… lasciamo il dibattito ad un altro giorno e per oggi non ne fumi più Justin, o al massimo una, giusto come garanzia per non andare in merda stasera. E datti una regolata, magari…”, raccomandò. “Quando ti sei fatto quel periodo in cui fumavi due pacchetti al giorno di Pall Mall rosse per imitare Jim Morrison, manco cantavi i Nirvana, sugli U2 arrivavi rantolando!”
 
Davanti all’espressione caparbia di Shane, Justin annuì, scocciato, ed una volta fumata la sigaretta fino al filtro, la gettò via sotto lo sguardo di tutti.
Passato quel momento di tensione, Dorian si accorse che Shane gli aveva fatto fuori tutto il thè e tentò di ficcargli il bicchiere di cartoncino in testa; l’amico, prevedibilmente, si diede alla fuga e Dorian partì alla rincorsa come un caccia supersonico, con tanto di grido di guerra.
Aaaaaaaaaaaaaaaaahh, figlio di puttanaaaaa!! Vieni qui!! Quando ti prendo te lo ficco nel culo ‘sto bicchiere!! Vieni quiiiiiiii!!!”
“Ahahaha, prendimi prima, mozzarella!! Ah-ah, Dorian Kierdiing, Sua Fighità finocchia irlandese non regge un cento metri! Già spompato, checchina del mio cuore?!”
“Stavolta sei morto! Fermati, grosso bisonte bastardo!”
I turisti osservavano quei quattro ragazzi che correvano ridendo a slalom per Temple Bar, già antica patria di matti, Shane per sfuggire all’ira di Dorian e Justin ed Eddie che li seguivano ad andatura moderata ma piegandosi in due dal ridere, finché in uno scatto da centometrista di alto livello, il biondino raggiunse l’amico e gli mise il bicchiere nella t-shirt, vendicandosi con i cubetti di ghiaccio che lo torturavano a contatto con la pelle calda, facendolo ballare come un tarantolato, ridendo e gridando di toglierglieli perché –uh uh uh uh ah ah ah ah oddioooohh sto ghiacciandostoghiacciandooooo ahahaahh!-.
Quando Dorian, cinque minuti dopo, comprò un altro thè freddo, Shane non ne volle neanche quando, subdolamente, gliene offrì un po’.
*
*
Justin, mentre lui ed Eddie erano al bancone del pub ad aspettare le birre da portare al tavolo, si massaggiò le tempie.
Gli stava venendo un bel mal di testa, frutto di quel caldo umido e opprimente, del favoloso doposbornia e della calca che c’era in quel posto: turisti che parlavano sguaiatamente in cento lingue diverse e un inglese dai mille accenti mai sentiti, confusi con qualche locale che sacramentava.
Eddie, tamburellando con le dita sulla superficie di ottone e marmo del banco, guardava in basso, anche lui stanco e oltremodo irritato dagli spintoni che riceveva dai gruppi di turisti, e se qualcuno dei suoi amici l’avesse guardato bene, avrebbe subito giudicato che tra breve si sarebbe scocciato abbastanza da restituire qualche spintone o peggio.
 
Quando un gruppetto di americani, sporgendosi prepotentemente in branco verso il bancone, spinse Justin, questi vacillò e quasi finì per terra, se non fosse stato per Eddie che lo afferrò prontamente, e che dall’espressione stava per attaccare grosse rogne col capobranco dei ‘Born in the U.S.A’. Justin gli strinse la spalla per calmarlo, vista la sua faccia: non aveva proprio voglia di ficcarsi nei casini, già doveva stare lì a fare la coda per un paio di birre, con quel caldo umido che gli faceva girare la testa e…
…non aveva…assolutamente…
…voglia…
In quel momento ebbe una vertigine piuttosto violenta, che lo portò ad appoggiarsi di più ad Eddie, che lo tenne su dalla vita, stupito, visto che non si era accorto di niente.
“Just, starai mica male, eh?!”
Justin agitò una mano, come a dire che stava bene, e poi la portò dietro lanuca, con una smorfia insofferente.
“Mmm, solo un po’ di mal di testa, stai tranquillo. Sono solo scivolato”
“Sicuro?”
“Sicuro. Ehi, ecco le birre!”, indicò, con un sorriso debole.
Eddie lo osservò bene per un paio di secondi, notando un pallore diffuso che pochi minuti prima, quando avevano lasciato Dorian e Shane  a tenere i posti, era sicuro non ci fosse, ma tranquillizzato dall’espressione pacata dell’amico si girò a prendere le birre.
Mentre pagava sentì gli americani dietro di loro aumentare il volume delle voci, rendendosi incomprensibili, e si girò, perplesso.
Justin non c’era più.
 
O meglio c’era.
Privo di sensi, per terra.
 
Dorian, che l’aveva visto afflosciarsi mentre tornava dal bagno, si stava facendo strada agilmente tra i gruppi, seguito con meno eleganza ma altrettanta velocità da Shane, ed Eddie mollò subito le birre sul banco, accovacciandosi sull’amico, con urgenza.
 
Il capogruppo dei turisti americani, che stava tenendo la testa di Justin sollevata dal pavimento, impartì una serie di ordini con accento masticato: sollevargli le gambe, non fargli mancare aria e portare acqua.
Dorian, arrivato al traguardo, si inginocchiò quasi in scivolata, bianco come l’amico svenuto, e spaventato come non mai.
“Oddioddioddioddioddioddiodio…!!!”
“Dorian, piantala!”, se ne uscì Shane, anch’egli agitato, che si era chinato a tastare il polso dell’amico: regolare, appena un po’ debole.
Non pensava ci fosse niente di cui preoccuparsi, come sportivo aveva visto molti svenimenti e solo in pochissimi casi questi avevano avuto conseguenze serie.
Justin, magro com’era e con quella somma di fattori, sembrava fatto apposta per chiamarsi un biglietto della lotteria per un bel calo di pressione, quel giorno!
Nonostante tutto, durante cinque minuti di ‘cure’, anche dopo gli schiaffi prima leggerissimi poi più pesanti di Shane, avergli bagnato le labbra pallide e la fronte con dell’acqua, Justin non accennava a riprendersi, e Dorian, in un crescendo isterico, suggeriva di volta in volta le più funeste evenienze, arrivando all’infarto ed all’ictus cerebrale, passando prima per l’epilessia fotosensibile, venendo zittito ogni volta da Eddie, che era letteralmente volato al telefono per chiamare Edele.
 
Quando Dorian, quasi urlando, considerò l’ipotesi dell’aneurisma, ed Eddie, di ritorno dall’aver rassicurato una spaventatissima madre, considerò l’idea di chiudergli la bocca con un pugno, Justin accennò un movimento con la mano e pochi secondo dopo socchiuse leggermente gli occhi.
Un attimo dopo ancora li aveva spalancati e stava per alzarsi a sedere, stupito, prima che Dorian, reso aggressivo dall’agitazione, lo risbattesse a terra con una spinta, ‘per l’amor di Dio!’.
Boccheggiando, li guardò tutti dal basso verso l’alto, con uno stupore che aveva del comico, e poi si fece interrogativo.
“Ma…sono svenuto?!”
“Eh, già!”, rispose allegramente Shane, ancora accosciato, che non lo vedeva particolarmente debole, mentre Eddie ringraziava il capogruppo degli americani, stringendogli la mano.
“Ma…ma…”, tentò di dire Justin, mettendosi a sedere. “Ma...io…Cioè, perché sono svenuto?! Avevo solo mal di testa e…”
“Il caldo, magari…”, commentò Eddie, soprappensiero, poi si accucciò a sua volta e gli diede un colpo sulla spalla. “Come ti senti, eroe? Mi hai fatto perdere dieci anni di vita, cazzo, mi sono voltato ed eri per terra!”
“Cazzo!”, mormorò Justin. “Non capisco cosa sia successo…”
“Secondo me dormi poco”, sentenziò Dorian, recuperando colore anch’egli. “La settimana scorsa è stata una tortura, e tu insisti a dire che i cantanti fanno un cazzo ma è provato che spendono più energie di tutti.”
Justin sollevò le sopracciglia in segno di incredulità e poi sospirò.
“Mi gira ancora un po’ la testa…”, si lamentò, per poi affermare, apparentemente più sicuro “Ma sta passando. Chi mi dà una mano a tirarmi su?”, chiese, con un sorriso di scuse.
Eddie lo abbracciò in vita e Shane lo tirò per il braccio, ma una volta in piedi, Justin rischiò di crollare tra le braccia dei due, tra l’agitazione di tutti.
Dorian, spaventatissimo, gli mise una mano sulla fronte, mentre respirava a fondo, tentando di snebbiarsi e restare lucido, ma non sentì nessun calore.
Anzi.
Sembrava fatto di ghiaccio.
Quando lo osservò meglio, la preoccupazione, fuggita quando l’amico aveva mostrato una certa vivacità al risveglio, si manifestò più forte di prima, a questi segni di debolezza.
E c’era un’altra cosa che non gli piaceva.
 
“Justin, tieni su la testa…”
“Pesa…”, mormorò fievole questi, mentre Shane, allarmato, lo afferrò meglio con Eddie, e lo trascinò a sedersi su una sedia lasciata subito libera.
Una volta seduto, sembrava volergli scivolare da tutte la parti, nonostante la sua presa fosse più che salda.
Dorian, ora oltre lo spavento, continuava a chiedergli se voleva che chiamassero soccorso, mentre gli teneva le mani gelate, ma Justin mormorava un ‘No, passerà’ e tornava a chinare la testa, come se avesse un’incudine premuta sopra, ed un’espressione troppo vacua per rassicurarlo.
Dopo qualche minuto di sguardi preoccupati, la decisione fu presa silenziosamente, come solo tra amici molto affiatati poteva essere.
Dopo pochissimo, a North Dublin, Edele iniziava a bruciare i semafori sulla strada, con la macchina.
E dopo un altro minuto ancora, Justin svenne nelle braccia di Shane.
*
*
Stava venendo assalito dai ricordi.
 
Justin non stava male, non provava nessun dolore, solo un’enorme stanchezza che gli annebbiava i pensieri e la percezione stessa delle cose, rendendo faticosi i movimenti. Aveva esaurito tutte le energie risvegliandosi una volta, ed ora era ricaduto.
Parlare era impossibile, ma percepiva tutto.
Aveva visto Eddie chiamare sua madre, sentiva Shane che lo teneva per la vita, Dorian che gli ballava davanti agli occhi con gli occhi verdi ingigantiti dalla paura, ma non riusciva ad agire, era letteralmente impossibilitato.
 
Si sentiva come se fosse caduto nel più grande barattolo di miele del mondo e vi fosse rimasto invischiato… ed avesse attirato le api.
 
I ricordi.
Le immagini immortalate per sempre nella sua memoria, anche per pochi secondi, immagini che sembravano sparire per poi riapparire nel momento in cui gli avrebbe fatto piacere ricordarle o più probabilmente quando lo avrebbero fatto soffrire.
 
Quelle immagini.
Erano sue.
Catturate dalla sua mente e imprigionate nella sua testa come insettini malefici, che ora lo stavano pungendo.
 
 
Uno.
Poi un altro, e un altro ancora.
Dieci, cento, mille, altri mille e ancora di più, l’avevano assalito, soffocato con le immagini, si sentiva affogare nei ricordi fisicamente, e annegare mentalmente al pensiero persistente che erano solo ricordi, che quelle visioni una volta erano emozioni che ora sentiva tornare nitidamente.
Troppo.
 
Iniziarono a tornargli alla mente vari ricordi: quando, due anni prima, aveva visto la lista dei nomi della sua nuova classe, notando il cognome di Eddie aveva commentato che gli serviva un fottuto letterato proprio; il ghigno tra il malefico ed il prendiperilculo di Shane quando si apprestava a fare mischia.
Dorian che veleggiava aggraziato dal banco alla cattedra per presentarsi, nei jeans stinti aderenti, i capelli biondissimi che ondeggiavano al movimento, piovendo sul suo bellissimo viso, e la sua sorpresa, nel vederlo (‘cazzo se è bello, beato lui!’).
Eddie, che dopo i primi giorni di timidezza si rivelava un compagno di banco simpatico e prezioso.
Shane sempre fuori dalla porta della presidenza, gli occhi blu sorridenti sotto il ciuffo castano spettinato, il sorriso irriverente di uno che aveva mandato a farsi fottere il prof e se ne beava, con la sua sigaretta fuorilegge.
Dorian che cadeva col culo a terra perché gli aveva spostato la sedia ed aveva ancora il coraggio di fare il buffone, pedalando l’aria con le Adidas maciullate sul banco.
Eddie che una mattina, invece di alzarsi dal banco per ritirare la disastrosa prova di matematica, finiva a terra, distrutto dalle veglie sul fratello che  tentava la disintossicazione per la prima volta; niente in confronto a quando era stato stranamente silenzioso per una mattina e gli aveva confidato poi in mensa di aver messo incinta una ragazza, cosa che si era rivelata poi una bolla di sapone.
Shane che in un placcaggio lieve, nell’ennesima partitella tra loro, Linayr vs Dublino, incrinava due costole a Dorian, e l’urlo che gli aveva frantumato i nervi per un’estate intera, nonostante le rassicurazioni degli altri due che la colpa non fosse sua: non era forse fatto di carta velina, Dorian?!
Il pallone di calcio che si era preso nel posto peggiore dove poteva prenderselo un diciottenne, calciato con rabbia da un suo compagno, che gli aveva fatto esplorare nuovi e sconosciuti stadi di dolore.
Quando era saltata la prima corda a Phoenix, l’urlo di Dorian paragonabile solo al ‘Justincaaazzzzzooooooo’ per volume\potenza\idiozia.
Il rave di Londra con suo cugino Fionàn, vestiti di roba di plastica e colorati come dei lampioni a festa, carico come un Eddie alla conquista di Temple Bar, ed il ritorno a Dublino tetro, col braccio sinistro rotto e una faccia da far paura ai sassi.
Eddie, che nell’ora di Storia metteva il libro in posizione verticale e dormiva, in tacito accordo col prof che si accontentava di non vederlo fare casino, come al solito.
Dorian, con il bel viso irriconoscibile, che mimava i suoi gesti in una totale follia.
Eddie, che lo guardava come fosse un demonio, mentre tornavano a casa sua, quello stesso giorno.
 
Tutto in quell’infinitesimale attimo, in quei miliardi di cose passate, frammenti di sensazioni lontane, odori, suoni, emozioni, colori e soprattutto immagini, immagini, immagini sovrapposte o incise profondamente.
Immagini.
E più se ne rendeva conto, più vedeva che dietro l’apparenza non erano positive, allegre o negative, come avrebbero dovuto essere, ma incomplete.
 
Sentiva che una parte di lui mancava in tutte le situazioni, e che solo ora, mentre faticava a tenersi in piedi tra due amici che lo sostenevano, mentre sua madre arrivava di corsa ed entrava nel pub, si sentiva completo come mai era e sarebbe mai più stato.
 
D’un tratto una macchia di colore splendente si fece forza, bruciando prepotentemente il suo velo languido e fumè.
 
Dorian.
 
Il suo miglior amico.
 
Dorian che era fuggito dallo specchio e che gli muoveva allo stesso tempo pena, affetto, dolcezza e… dolore.
 
C’era qualcosa di pericoloso in Dorian sotto al suo visto innocente, qualcosa di più profondo dell’irriverenza da adolescente che persisteva in tutti loro; qualcosa che avrebbe voluto distruggere, conservando solo la sua immagine perfetta che conosceva, compresa l’anima.
 
La reale e determinata innocenza di Dorian sotto a quella facciata gli faceva più male di qualsiasi cosa avesse mai sperimentato.
Provava dolore per lui.
Non sapeva perché, ma sentiva che era pericoloso tanto più per essere innocente  e indifeso.
Ma era il suo migliore amico.
 
Il bisogno di parlare, di purificarsi, sparì in un flash bianco, e d’un tratto si sentì solo enormemente stanco, mentre lo aiutavanoa salire in macchina.
 
Si chiese se per caso non fosse un nuovo tipo di morte…
*
*
 
Il luogo era una vasta pianura dove si intravedevano delle montagne in lontananza, e vi era una piacevole brezza.
 
Alael si guardò attorno, non capendo come fosse arrivato in quel posto, e specialmente dove fosse stato fino ad allora.
In un attimo, secoli di storia e battaglie come emissario confluirono nella sua mente, inondandogli la memoria come un fiume incontenibile di immagini, parole ed emozioni, cancellando le ultime parvenze di vita umana.
Sapeva comunque che, una volta tornato alla sua missione, collegatosi con il suo ospite ‘esterno’, avrebbe di nuovo perso tutto. Tutto conservato per il momento fatale.
 
Alael si chiese quale capriccioso dio o forza sconosciuta avesse scelto proprio quel momento, dopo secoli e secoli di dimenticanza, per ricordargli la sua missione, e perché nei secoli gli avesse permesso di dimenticare tutto, se c’era ancora pericolo, per il buon funzionamento dell’Equilibrio.
 
Tutto ciò venne spazzato via dall’ultima informazione che si riversò nel suo cervello, completando il suo passato e cancellando i suoi ultimi ricordi umani…
Non lo sapeva ancora, ma non avrebbe mai scordato, nel suo intimo, quel momento.
 
Un istinto di sopravvivenza imposto.
 
Un impulso irresistibile.
 
Un ordine primordiale, e specialmente...
 
Il suo bisogno VITALE.
 
La Ragione gli parlava attraverso degli impulsi mai conosciuti, che arrivavano direttamente alla sua mente, senza filtri, saturando l’aria attorno per la prima ed ultima volta dopo secoli di dimenticanza umana e divina.
 
“Uccidi il tuo nemico. Uccidi il tuo nemico. Uccidi il tuo nemico. Uccidi il tuo nemico…”
 
Smise all’improvviso, ma Alael si sentì comunque pieno di energia statica e coraggio di fronte a quella missione.
 
E solo.
 
Sarebbe stato solo, la Ragione non gli avrebbe mai più parlato né in caso di vittoria, né in caso di sconfitta.
Nel secondo caso, si sarebbe limitata a mandare un altro combattente.
 
Alael era solo, ma era bene così.
 
Doveva uccidere per non essere ucciso.
 
Si volse contemporaneamente in tutte le direzioni, cielo compreso, con la sola forza della sua anima immortale che era tornata a vivere, dopo aver vegetato per secoli aspettando solo quell’ordine.
 
Il momento era vicino.
 
E l’immagine di Dayer, ancora lontanissimo, apparve nella sua testa.
Sarebbero potuti passare decine di anni o anche pochi minuti prima di incontrarlo ed iniziare la battaglia, ma presto o tardi, vicino o lontano, l’avrebbe incontrato, ed era pronto.
 
Per Alael,  l’Immemore, andava bene così





Vi è il ritorno prepotente del sovrannaturale; ora le entità si sono incarnate, hanno preso possesso fondendosi con i loro 'esterni'. Immagino sia facile da indovinare chi sia Dayer, così ben tratteggiato, mentre su Alael vi è ancora fitto mistero. 
E' mia intenzione. 
Come sempre ringrazio chi legge, i coraggiosi che mi accompagnano e leggono in anticipo, chi mi consiglia e beta, e chi semplicemente ha questa pazienza certosina che, ammetto, se non fosse un racconto mio mi sarebbe già scappata dalla finestra.

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Capitolo 9
*** 9. ....'cause tonight we're rock and roll stars! ***


9. "....'cause tonight we're rock and roll stars!'

Edele stava fumando nervosamente una delle sigarette requisite al figlio, mentre il dottor McAllistar, che fino a due anni prima aveva avuto una relazione con lei, sorseggiava lentamente un thè.
Erano entrambi nella sua cucina, dopo che l’uomo aveva visitato suo figlio e poi aveva fatto entrare nella camera del ragazzo i suoi amici, piuttosto agitati, mentre la prendeva sottobraccio e si faceva offrire un thè per fare ‘due chiacchiere’.
 
In verità, da quando erano tornati a casa, Justin sembrava avesse ripreso decisamente colore e vivacità, ma lo sguardo vuoto e spento di quando lo aveva messo in macchina, a Temple Bar, tornava in mente con sinistra precisione ad Edele.
Guardò l’uomo che credeva di avere almeno un po’ amato, e tentò ennesimamente di ricominciare il suo discorso.
“Jack, sei sicuro che…”
E si fermò, colta in flagrante dallo sguardo franco di lui, che posò la tazzina vuota e sospirò.
“Santo cielo, Edele! Smettila di sembrare seduta sulle ortiche, è la quarta volta che non finisci quello che volevi dire!”
“E va bene.”, riprese la donna, irritata con se stessa.”Sei sicuro che…”
E si bloccò di nuovo; scosse la testa, in un moto di frustrazione.
“Insomma, non può…”
Lo fissò, impotente, e finalmente riuscì a sputare quello che temeva.
“…essersi drogato, insomma!”
E finalmente sospirò: l’aveva detto. Alleluia.
 
La risata inaspettata la sorprese e offese non poco: una sana e quasi contagiosa risata, come se avesse detto la cosa più spassosa del mondo! Che suo figlio si drogava!
“Ed ora perché ridi, Jack?!”
Il dottore scosse la testa, divertito.
“Oddio Edele, hai davvero una fiducia enorme in Justin, complimenti! L’ho visitato ed è solo stanco.”, concluse.
Ma il sorriso si stava spegnendo, poco a poco.
“Un calo di pressione, dovuto al caldo ed allo stress, e poi sappiamo che Justin non è di certo un armadio…”
 
Edele lo osservò per qualche secondo, immobile, con la sigaretta dimenticata accesa tra le dita.
Sembrava quasi volesse rimproverarlo, e la sua voce, bassa ma sicura, quasi accusatoria, lo sorprese non poco.
“Balle.”
Sebbene si aspettasse qualche obiezione, conoscendola, Jack McAllistar si sentì quasi scoperto, dalla forza dell’affermazione.
Non era un caso effettivo di calo di pressione, no, ma non sapeva neanche lui come chiamarlo.
Alzò gli occhi su di lei, colpito da un’idea.
“Edele, senti, so che non è il mio campo, ma… Justin ha subito qualche trauma in questo periodo? A livello psichico, intendo dire. Una fidanzata che l’ha lasciato, litigi… anche in famiglia: la scuola più pesante, i suoi amici… Va tutto bene?”
Lei lo guardò, stupita.
“N-no, niente che… ma… perché? Voglio dire… perché mi chiedi…”, balbettò Edele, sedendosi immediatamente.
“Com’era quando l’hai visto?”
“Ad un certo punto sembrava…catatonico. Ecco perché ho pensato subito alla droga.”, rispose in fretta la donna, torcendosi le belle mani.
Si stava chiedendo cosa potesse aver visto che le fosse sfuggito, cosa avesse potuto avere fatto Justin sotto i suoi occhi.
“Insomma, avevo quasi dei dubbi sul fatto che riuscisse a respirare; Shane...oddio, il suo amico, mi ha detto che era così da un po’...E poi tutto di colpo si è come rianimato, ma prima…prima…”, e la voce si incrinò. “Oddio, Jack, era bianchissimo, mi ha fatto una paura! C’era e non c’era. Non so come spiegarti! Ma cosa pensi che abbia? Magari è…è…epilettico, può essere stato un attacco di qualcosa! Un problema neurologico!”
Il torrente di parole della donna si alzò sensibilmente di tono fino ad arrivare al culmine in uno strilletto isterico per poi sgonfiarsi tutto di colpo.
Edele si prese la faccia tra le mani, tentando di trattenere le lacrime che sentiva arrivare.
 
Jack si alzò, sospirando, e le arruffò i capelli, ricordando quanto le aveva voluto bene, tempo prima, e come provasse ancora un senso di affetto e di protezione istintiva.
Per molti versi, nonostante il suo duro passato, Edele era ancora una bambina e non sarebbe mai cresciuta. Forse era per questo che riusciva ad essere così attaccata a Justin, ed il ragazzo a lei, nonostante il fatto che non gli concedesse deroghe.
“Non ha niente, Edele. È un adolescente, sono malori tipici della crescita.”, sospirò dandole un’ultima carezza.
Si sarebbe aggrappata alle sue parole con tutta se stessa, lo sapeva, e non intendeva certo agitarla.
Si avviò a fare quattro chiacchiere col ragazzo.
 
                                                                               **
 
Eddie, accertatosi che Justin stesse effettivamente meglio, se n’era fuggito a Linayr col bus, visto che doveva organizzare le cose con il fratello per quella sera, e Shane si era momentaneamente assentato per andare a prendere un cambio di vestiti a casa sua, poco lontano. Così era rimasto solo Dorian, seduto sul letto dov’era sdraiato, con un broncio da paura per l’immobilità forzata, Justin.
 
All’entrata del dottor McAllistar e alla sua occhiata, il biondo intuì al volo e se ne uscì con l’imbarazzante scusa di voler aiutare Edele in cucina; lui, che l’aveva ridotta ad uno schifo, oltretutto!
Dopo aver seguito con lo sguardo Dorian che se la svignava, Jack McAllistar si sedette sul bordo del letto e allungò una pacca affettuosa al gomito di Justin, che era realmente incazzato per l’ordine di restare disteso: a dirla tutta, scalpitava.
“Come và, ora, Justin?”
“Bene.”
Il medico accennò ad un sorriso: il ragazzo gli sembrava sulle spine e poteva anche indovinare il motivo.
La serata: Edele, nel tentativo di trovare una spiegazione qualsiasi, aveva attribuito tutto all’agitazione per quella maledetta esibizione, e sinceramente anche luipensava che c’entrasse non poco con il collasso di prima.
“Ho saputo di stasera. Auguri, mi raccomando.”
Justin accennò una smorfia metà sorriso e metà ghigno che piacque poco al dottore, e si sporse lievemente verso di lui, dai cuscini che lo tenevano sollevato.
“Non è stato per quello, Jack.”
 
Il medico accennò un moto di sorpresa, dicendosi che Justin era tutt’altro che stupido e probabilmente non era difficile azzeccasse a cosa stesse pensando, ma ugualmente non gli piaceva che l’avesse sbugiardato così in fretta e specialmente con quel brutto sorriso: sembrava lo stesse prendendo in giro, suscitandogli la stessa reazione che gli avrebbe reso un prestigiatore beffardo e smargiasso.
Sapeva che c’era un trucco, ma non poteva fare a meno di vantarsi a gran voce della sua truffaldina magia.
 
Il tono della voce del medico divenne più freddo quando gli parlò, ma non se ne dispiacque, soprattutto quando vide apparire una leggera confusione sulla faccia del ragazzo.
“Va bene, Justin, sarà come dici tu… Ma non intendo liquidare la faccenda con la scusa del caldo. Sembravi in stato di shock, lo sai?”
L’espressione incerta ristagnò, per una decina di secondi silenziosi, sul viso di Justin, e poi si rilassò pian piano nel sottofondo irridente di poco prima.
Ah sì, sfotteva, non c’era dubbio!
“Io sto bene, Jack. È stato il caldo, non ci sono abituato e  c’è troppo umido in questo periodo. E poi non dormivo da un bel po’ di giorni, sai, le prove…”, e rimestò l’aria con la mano, pigramente, sempre con quel suo sorriso da sberle.
Anche se aveva avuto parecchi casi di malori e svenimenti dovuti all’insolita temperatura elevata, il dottor McAllistar non mollò la preda. Forse per l’espressione strafottente che avrebbe voluto cancellare dal viso di Justin. Era sempre stato un ragazzo sveglio e maledettamente pronto all’ironia, ma quel sorriso non gliel’aveva mai visto: gliel’avrebbe tolto a schiaffi, ma si tenne nei ranghi.
“Andiamo Justin, hai diciotto anni, sei un ragazzo e non una vecchietta! Non ti era mai successa una cosa del genere, sei sempre stato diritto come un fuso, non è…”
“Jack.”
L’espressione irridente sul viso del ragazzo si era di nuovo sciolta in due pozze trasparenti di preoccupazione.
Il medico si zittì, paziente, mentre Justin si tirava su, allarmato.
“Posso andarci al Queasy, stasera…vero?”
Il dottore lo fissò qualche secondo, pensieroso; non l’aveva chiesto, l’aveva praticamente affermato.
Sospirando annuì, ben sapendo che, da quel momento in poi, Justin non avrebbe nemmeno ascoltato una parola mentre lui gli illustrava quanto fosse importante la fase di crescita che stava attraversa e che avrebbe dovuto parlare se avesse avuto qualche problema.Gli fece un discorso anche  sull’importanza di sfogarsi e chiedere aiuto in certi casi, frequenti per l’adolescenza, sulla paura di non venire capiti....
Inutile.
Nel cervello di Justin, dove alle volte una parte di questo ignorava il resto e gli lavorava contro finché si incrociava quasi per caso con l’altra parte, non vi era assolutamente posto per queste cose.
In quel labirinto di pensieri contorti, ci si poteva vedere una versione in miniatura di Wembley, del Rose Bowl o del Madison Square Garden pronti ad acclamare lui ed il gruppo.
Jack se ne andò, sconfitto, cinque minuti dopo, rifilando ad Edele una sua teoria su una supposta ‘paura del palcoscenico’, ben sapendo che l’avvertimento di tenerlo d’occhio sarebbe scivolato su di lei come olio da uno specchio. Era una donna intelligente, ma se si parlava di Justin, regrediva alla stessa età del figlio.
 
Quando tutti tornarono ed ebbero la conferma della buona salute di Justin e della serata, Eddie, Shane e Dorian proruppero in salti e grida di gioia.
Edele si unì a loro, portando delle coca-cola, e per circa cinque secondi si sentirono più grandi di band come i Rolling Stones.
*
*
A calmare un po’ gli animi ci pensò Edmond, avendo accettato di fare da tassista ai suoi nuovi ‘figliocci’, tra Dublino e la periferia di Linayr.
Non era ancora del tutto convinto di fare la cosa migliore, visto che già faticava a fidarsi solo di Eddie, figurarsi di quei tre cerebrolesi dei suoi amici, ma li aveva sentiti suonare, e la cosa si preannunciava….stuzzicante.
 
In ventinove anni, Edmond Joyce sapeva ancora poco della vita, affidandosi ad un istinto quasi animale. Gli piacevano le sfide, e nonostante la droga gli avesse mangiato la parte più bella della sua giovinezza e tardoadolescenza, credeva ancora nel coraggio umano e nella perseveranza: quella con l’eroina era una sfida che aveva vinto ma che non voleva ripetere.
Si accontentava di non avere perso la battaglia per la sua vita, non si sentiva di combattere ancora per la guerra tra la volontà umana e i piaceri della droga.
 
Sua madre Aislinn l’aveva maledetto, in vecchie e nuove definizioni, per aver portato Eddie sulla strada della musica, ripensando con orrore a come quella strada si era intersecata con quella della sua tossicità troppo presto, ma la donna si sbagliava.
-È lui che stavolta ha fregato me, mammina…-, pensò, osservando quella carogna dannatamente bastarda, ma purtroppo anche dannatamente in gamba, di suo fratello che scendeva per primo dal casermone di Elke street, e si accomodava stiracchiandosi sul sedile del passeggero.
“Gli altri? Se arriviamo in ritardo Jem te lo becchi tu, stronzo!”
“Mmm…”, mugolò Eddie, finendo lo stretching serale. “Non vedi la bellezza abbagliante di sua maestà Mister Wenders School scendere per le scale? La sua chioma mi illumina fin qui. Spegni i fari, butti solo batteria se hai Kierdiing in macchina!”
 
Dorian, che era sceso con la regalità di una principessa con un abito lungo alla sua incoronazione, salì sulla station wagon, e mentre si aggiustava ennesimamente i morbidi capelli biondi, guardandosi nello specchietto, salutò Edmond.
Questi, dopo averlo osservato nel retrovisore per un paio di secondi, ammiccò in direzione del fratello.
“Hai ragione, bestia. Spengo i fari.”
“Massì, finché non arrivano quei due ritardatari, tanto…”, si fece sentire da dietro Dorian, non potendo capire.
I fratelli Joyce si scambiarono un’occhiata, ridacchiando ed indispettendolo non poco; odiava non essere messo al corrente di tutto.
Ma stette zitto.
Non voleva far sentire che, oltre alle mani, gli tremava anche la voce.
 
Quando anche gli altri due arrivarono, Edmond partì, ed un silenzio liquido si diffuse per l’abitacolo della macchina.
*
*
 
Fedeli alla regola dello scuro per tutti (Dorian, in un impeto di romanticismo: “Per confonderci nella notte!”; Justin, in un impeto di realismo: “Per scampare al linciaggio che avverrà!”), Justin e Shane avevano scoperto troppo tardi di essere vestiti identici: pantaloni di similpelle (luglio! umido! palco illuminato=caldo!) e camicia nera ai fianchi.
Dopo aver litigato per due ore, Shane era andato a cambiarsi, mettendosi una maglia aderente, mentre Justin metteva su la sua aria più da stronzo patentato che si conoscesse, mentre commentava che il punto d’attenzione sul palco sarebbe stato lui, cazzo!!
 
La scaletta della serata erano le scelte più commerciali possibili, e le speranze di tutti erano affidate alla bravura di Dorian, specialmente nella sua abilità di creare barriere sonore per supplire alla mancanza della seconda chitarra, causa la scarsa preparazione di Justin in materia; solo in caso disperato lo avrebbe lasciato suonare, specie con la sua Eko made in Dio solo sa cosa, che ogni volta attaccava al distorsore e copriva così tutti loro, suonando pure male!
Nota: quasi nessuna delle canzoni rifatte assomigliava all’originale.
 
  1. Staring at the sun, U2. L’ultima che avevano imparato;
  2. Knockin’ on heaven’s door, un mix tra quella di Bob Dylan, Guns’n’roses e persino con echi di Sonic Youth. Quella che sapevano meglio e che potevano tirare avanti per sette minuti buoni;
  3. Smells like teen spirit, Nirvana. Tutti tremavano al pensiero dei soliti, incredibili errori di Dorian in apertura;
  4. Paint it black, Rolling Stones;
  5. Jeremy, Pearl Jam;
  6. In bloom, Nirvana. Sempre se Justin non si fosse scordato ancora le parole ed Eddie non l’avesse confusa con Rape me;
  7. Paradise city, Guns’n’Roses;
  8. Under the bridge, Red Hot Chili Peppers. Era stato impossibile dissuadere Eddie, anche se stonava come un pugno in un occhio, con le altre;
  9. Ziggy Stardust,  David Bowie. Justin era stato categorico, inamovibile e aveva rotto le palle a tutti per due mesi per farla!
  10. One, U2. Una scelta obbligata per una cover band irlandese, e la più attesa da Edmond;
  11. Message in a bottle, Police. Shane ci andava giù più pesante e veloce di Sting;
  12. Bullet with the butterfly wing, Smashing Pumpkins;
 
(Eventuali bis- segnati come ‘molto eventuali’ su tutti i foglietti-scaletta, da Justin)
  1. Sunday bloody Sunday, U2. Justin la presentava come una canzone di un suo amico e si prendeva sempre del pagliaccio da tutti;
  2. Nancy Boy, Placebo;
  3. Alive, Pearl Jam. Se Dorian si esaltava come un matto con i Pearl Jam, Justin aveva mangiato miele e propoli per due settimane, alla paura che veramente gli partisse la voce.
 
(20.30: Agitazione tanto alta da non riuscire neanche a farsela addosso)
 
Verso le venti e trenta, mezz’ora prima dell’inizio, Jeremy –Jem, ragazzi, guardate che sennò m’incazzo!-, continuava a fare avanti e indietro dalla sala che si stava via via riempiendo, e il retro, dove con sua preoccupazione il chitarrista dei protetti del suo amico Edmond, gli Interferences, saltellava qua e là nel tentativo di accordare la sua adorata chitarra che non mollava mai; quando riconobbe in Justin il cantante (ormai avrebbe potuto scrivere una tesi di laurea sui gruppi esordienti), gli aveva gettato uno sguardo curioso, e Justin gli si era avvicinato, quieto e quasi assente.
“Non preoccuparti. È un po’ matto ma è bravo.”
Jem lo aveva osservato per un attimo e poi aveva sorriso.
“Neppure tu mi sembri tanto normale.”, e gli indicò il leggero trucco sugli occhi.
Justin sembrò prima stupito e poi divenne freddo, ma non ostile.
“È un tributo al look del glam rock, come alcune nostre canzoni.”
Jem si stupì; era una persona socievole, e la sua era chiaramente una battuta, ma Justin gli era sembrato fin troppo serio nella sua replica.
 
Nonostante tutto, anche se era intimamente convinto che Dorian, il chitarrista, sarebbe scappato a gambe levate dopo le prime due canzoni, gli sembravano simpatici e un po’ ingenui, Justin a parte, che sembrava sapere perfettamente il suo ruolo nel mondo e sul palco. Era già convinto a dare loro un’altra possibilità, in cuor suo.
 
(20.55. Dio non esiste; il PANICO  però Sì!)
 
La gente in sala era sensibilmente diminuita, ma Jem ed Edmond sapevano che quelli che erano rimasti non se ne sarebbero andati, ed anzi, semmai verso le dieci sarebbero arrivati quelli dei turni serali per godersi un po’ di musica e birra. Ormai conoscevano i flussi del Queasy come la loro ex- scimmia, e speravano intimamente che entro il fatidico termine dei tre quarti d’ora, gli Interferences si fossero mossi in una direzione o nell’altra. O avrebbero preso a suonare con una certa sicurezza o avrebbero abbandonato il palco.
Il termine dei tre quarti d’ora era il traguardo di tutte le coverband; i casini sarebbero saltati fuori prima di quel tempo.
 
Nei cinque minuti che seguirono il ‘fuori’ di Edmond, Dorian perse e ritrovò il suo accordatore, Justin si accecò un occhio rompendosi dentro la punta della matita nera che continuava a ripassare, Shane si mise a saltellare al posto di Dorian per smaltire il nervosismo, ed Eddie, dopo averci pensato per cinque minuti, posò la sua lattina di Guinness ancora intera, attirandosi gli sguardi stupiti e preoccupati di tutti.
Con quel gesto, così incredibile per lui, si era guadagnato il titolo di nervosismo più isterico.
 
Mentre Edmond, senza nemmeno farsi vedere, urlò l’uscita, Dorian si chinò e toccò brevemente per terra, con un ginocchio, facendosi il segno della croce.
“L’altro giorno, Dio… Scherzavo, sai? Lasciami pure Eddie come inferno personale, ma almeno stasera un piacere fammelo, Signore. Perché se non ci metti una pezza tu, prevedo una catastrofe!”
 
(21.00: Enjoy the silence)
 
Justin non ci credeva, mentre avanzava a passi lunghi e sicuri verso il microfono: avevano tutti preso posizione senza inciampare, litigare per nascondersi l’uno dietro all’altro, Dorian aveva anche collegato tutti i suoi effetti senza scambiare gli in e out di quei diabolici aggeggi, e lui e Shane si erano già attaccati agli amplificatori, mandando un leggero feedback.
 
Si sentiva pervaso da una strana sicurezza, mentre regolava il microfono Shure alla sua altezza: il posto giusto, il momento giusto, la persona giusta.
Avrebbe traghettato quel gruppo svogliato a nuovi lidi, volenti o nolenti.
 
Picchiettò nel microfono un paio di volte, per testare la voce, ritrovando un certo sorriso che Edmond, anche da in fondo alla sala riconobbe, per la sua glacialità sotto l’apparente calore, e disse solo ‘Salve’.
Niente salva d’applausi, ma neanche fischi, e ciò non lo preoccupava, mentre Eddie dava il quattro con le bacchette.
Sarebbe arrivato tutto presto.
Più presto di quanto immaginavano gli altri.
Lui lo sapeva, lo sentiva.
 
Un attimo prima che l’energia statica che aleggiava sul palco, invisibile agli altri tranne che a loro, raggiungesse il punto di non ritorno, incrociò lo sguardo con gli altri tre, e sentì passare qualcosa di bellissimo e senza nome.
Un inizio.
 
*
*
 
Attorno alla metà, Jem si posizionò sul bancone accanto ad Edmond, elargendo fin troppi complimenti, finché uno non colse impreparato il maggiore dei Joyce.
“Hanno qualcosa che altri non hanno, Ed. Non è la voce, non è la musica, non è il look. Non so cosa sia.”
“È personalità, Jem. La loro musica ha personalità persino se non è loro.”
“Cosa?”
“Guarda quello…”, e indicò Justin, che passava con disinvoltura da una parte all’altra del palco, ancheggiando e gettando indietro la testa, su ‘Ziggy Stardust’.
“Non ha mai cantato in pubblico in vita sua. Né gli altri. Ma guardali.”
Dorian che manovrava agilmente Phoenix neanche fosse un terzo braccio, scuotendola e cavandone i suoi sporchi suoni acidi, facendo seconde voci con assoluta naturalità; Shane che sembrava non avesse niente in mano, tanto girellava tranquillo e persino saltellava.
E quel grandissimo stronzo del suo fratellino che non guardava neppure dove metteva le bacchette, era partito e non si era più fermato.
Bastardi…,pensò Edmond, in una sorta di dolce cattiveria.   
E sputò la verità, che gli faceva anche un po’ male; mordeva un po’, come l’invidia che provava nei loro confronti.
Quella di avere fallito ed avere passato il testimone a qualcuno molto più in gamba.
“Sono nati per suonare. Segnati che sono stati qui, Jem; fai loro una foto. Questi tra un po’ partono.”
 
*
 
Non solo arrivarono ai bis, ma sforarono di cinque canzoni extra, a tuffo libero, incitati dalla folla, aizzata da un giro di birre gratis offerto da Jem ai clienti, più che entusiasta di loro.
“Rape me”, che non venne confusa con ‘In Bloom’, “Rockaway Beach” dei Ramones, “Pictures of you” dei Cure, “I feel you” dei Depeche Mode, e per finire, una che avevano provato solo una volta.
“Rock’n’ roll star” degli Oasis, che chiuse nella maniera più trionfale possibile, dove Justin operò uno dei suoi cambiamenti in corsa che Dorian avrebbe imparato ad odiare, mentre si inventava un riff lì per lì.
“...perchè forse non è il tuo mondo, e neanche il mio, ma chissenefrega
Stanotte siamo rock and roll stars!!’
 
*
*
”Un brindisi!”, urlò,sbronzo,Justin conla Guinness gigante levata per aria seguita dalle altre, Shane salì sulla sedia, mentre Dorian brandiva Phoenix per aria come una spada.
 
Una festa totale per i ragazzi.
 
“A cosa?”, chiese Eddie.
“Ad Edmond!”, proclamò Justin, alzando ancora più in alto la sua Guinness e rovesciandone metà su Dorian.
Eddie, dopo aver vuotato in un colpo il suo bicchiere di scura, allungò una pacca sulla spalla del fratello.
Jem, da dietro il banco in ottone, alzò gli occhi dal cliente col quale stava parlando, al tavolo di casinisti in mezzo al locale, e sorrise.
 
Bravi ragazzi, pensò.
Edmond ricevette pacche sulle spalle da tutti, e si vuotarono i bicchieri.
Dopo un paio di minuti di confabulare, si alzò Shane, già un po’ malfermo sulle gambe.
“Un altro brindisi, amigos!”
“E stavolta a chi?”, chiese Edmond, con la sua lager.
“A JEREMY!!”, gridò Dorian, correggendosi poi quando il nominato gli mostrò il dito medio.
”Cioè a Jem! A Jeeeeemmm!”, e si tracannò in sciata una pinta di scura.
“Jeremy spoke in claaaaaassss todaaayyy!!”, cantò Justin, sbronzo e con la sigaretta in mano, stonato come una campana rotta, ma con un enorme sorriso idiota e felice.
 
Edmond si augurò mentalmente che non cantasse mai in pubblico da bevuto, ma sapeva già che, una volta preso l’abbrivio, sarebbe certamente avvenuto, e il ragazzo avrebbe fatto una figura di merda, altrochè Ziggy Stardust della periferia di Dublino.
Cazzi loro, in fondo.
Dorian si gettò ad abbracciare Justin che cantava i suoi idoli, i Pearl Jam, e dallo slancio quasi caddero dalla sedia, ridendo.
 
Una salva di applausi in tutto il piccolo locale li festeggiò, e i bicchieri si svuotarono di nuovo, chi più e chi meno.
Eddie rilasciò un rutto sonoro in modulazione imperfetta, ma fu ugualmente applaudito per la potenza.
Justin si alzò con la scusa che doveva andare a pisciare, e Shane lo accompagnò con la scusa che era malfermo sulle gambe. E ovviamente, lui era in condizioni peggiori di tutti.
Mentre Dorian seccava Edmond, accarezzava Phoenix e ridacchiava, si sentiva esaltato come mai nella sua vita.
Ed in vena di confessioni pericolose, come solitamente accadeva dopo 6 Guinness.
“Questa Ed…Edmond. Guardl…guardala! È la mia vita! La mia chitarra! È…è meglio di una donna!”
“Te la porti anche a letto, ci scommetto.”, gli tenne gioco Ed.
“Ma…ma ceeeerto! Adesso no, ma i primi giorni che l’avevo in –burp- casa me la portavo anche al cesso, continuavo a guardarla e…e pensavo… ‘È troppo bella per me!’, e ora… ora stiamo assieme, vedi?!”
“Sì, Dorian.”
“Ma non dirmi sì!, dimmi qualcosa di convinto!”, gli alitò in faccia Dorian, a rischio di cadere dalla sedia, nello sporgersi.
“Sì, ok.”, rispose, serafico e sornione Edmond.
“E dà…dagli! Tra te ed Eddie in quanto a disc- discorsi vi annullate, come le… le… quelle robe  matematiche! Lui parla tanto a sproposito quanto tu parli poco e ragionato! Sei un grande, Edmond!”
“Non è così la storia, Dorian…”, mormorò Ed, bevendo dalla sua birra.
“Eh?”
“Non sono io che sono grande, è Eddie che è un coglione.”
 
Dorian rimase con la pinta a mezz’aria, mentre ci pensava su molto lentamente e mentre Justin tornava, ovviamente senza Shane, perso chissà dove e soprattutto con quale tipa, e infine scoppiò a ridere sguaiatamente, fino a piantare la testa sul tavolo in un inarrestabile declino.
“Ahahahahahah, oddio, Edmond, me la devo scrivere questa!”
“Scrivere cosa?”,chiese Justin, finendo in un colpo il Baileys che Shane aveva incautamente lasciato lì.
“Non è Edmond che è grande, Justin, è…ahahahah, è Eddie che è un coglione!!”
 
Eddie si girò a fulminarlo, abbandonando il suo sport: scandagliare la sala in cerca di gnocche; l’illuso.
“Cazzo è ‘sta storia, coso?!”
“Fa finta che non abbia parlato, Eddie… Tuo fratello è il tuo alter ego intelligente!”
“Ne parliamo quando sei più sano, stronzo!”, ringhiò Eddie.
“Da che pulpito viene la predica!”, lo rintuzzò Justin.
“Come se qualcuno qua fosse sano! Non tenete neanche una mini bevuta voi due, coglioncelli!”, e scosse la testa ramata, dopo il proclama.
“Dilettanti!”
 
Dorian riprese a ridere senza freno.
“No-no-no-no, caro, non siamo noi dilettanti, sei tu che sei il professionista dei, delle, quando di, come… OH..CAZZO!! “, tentò di sgarbugliarsi Dorian, metà ridendo e metà ringhiando.
“Del bere!! Perché è un professionista, perché è un professionista, perché è un professionistaaaaaa….ed anche un po’ ubriacon!!”, cantilenò, mollandosi su Phoenix in caduta libera.
“Dorian, perché non metti in custodia quella stramaledetta chitarra?”, sbuffò Justin.
“Inculati, Phoenix resta con me!”
“Scopatela, allora!”, ghignò l’amico.
“Ehi, ci guadagno più io a scoparmi la chitarra che tu a scoparti la mano destra.”, gli rispose Dorian, calmissimo, a palpebre abbassate e persino con aria dottorale.
Inutile.
Nessuno sarebbe riuscito a smontarlo quella sera, bisognava solo aspettare che andasse in tilt da solo.
“Dov’è Shaney-Shaney?”, chiese, tracannando un altro po’ di nettare scuro.
Justin si scosse, facendo mente locale; neanche lui era nelle sue condizioni migliori, questo era poco ma sicuro!
“Ah, nel ritorno dal cesso…”, e si fermò, facendo un palese sforzo di memoria. “Sì, ecco. Una tipa. Gli ha chiesto se si sedeva in…in… ohmerda, in com-pa-gni-a, perché ha detto… cioè a lui… che anche lei avrebbe voluto suonare il bassista… cioè… il basso…”
“NAAAAAAAH, JUSTIN, SUONARE IL BASSISTA VA PIÙ CHE BENE!!”, urlò felice Dorian, ridendo e dondolando sulla sedia.
Si mise a dargli di gomito, nel suo riso irrefrenabile.
“Suonarsi il bassista! Ahahahaha! Se lo suona, oh se se lo suonerà, con Shane la storia è tutta qua! Si suona il bassista, ragazzo, non il basso! Anche tu ti volevi suonare Melissa delle Hole, ti suoni la bassista, garçon? No? Ma che peccatòn!
 
Edmond stava iniziando a ridere delle sue cretinate, un fatto incredibile.
 
“Vabbè, cosa…mpgggghahaha, -suonarsi il bassista!-.Beh, ehm, che prendiamo?”
“Tu non prendi più un cazzo, Kierdiing!”, lo bloccò Eddie.
“Ehi, io non prendo cazzo, lo do via, semmai!”, protestò Dorian, quasi serio.
Shane tornò al tavolo, calmo e sbronzo.
“Si sentono cazzate fino all’altro capo del locale, se sapessi cantare vi darei una lezione! Attacca i Maiden, stronzo!”, quasi minacciò Justin, che era troppo impegnato con i crampi alla pancia dal ridere, per ascoltarlo.
“I am a man who walks alone and I know I’ll drink more and more!”
 
Dorian si sollevò dal tavolo e li fissò tutti con un occhio solo, l’altro chiuso nello sforzo del metterli a fuoco.
Poi prese fiato ed attaccò, stonatissimo: “Oh happy dayyyy- oh happy dayyyyyy! Oh happy dayyyyy-oh happy day! When Jesus boooooorn!!...”, per poi crollare sul tavolo, e sforzarsi di risollevarsi almeno sui gomiti.
“Beh, svegliatemi quando si và, eh? Ciiiiiiii-aaaa-o!!”
BUM.
Crollato definitivamente.
Quando, d’improvviso, si rialzò e li fissò, stavolta con l’altro occhio, e scoppiò a ridere.
“SUONARSI IL BASSISTA, AHAHAHAHAHAHAH!!!”
*
*
Dayer e Alael si cercavano.
Dayer sentiva una sorta di prurito sotto pelle, Alael scrutava incessantemente l’orizzonte.
Erano vicini, persino troppo vicini.
Ma temporalmente, prima di riconoscersi, erano ancora lontani; forse talmente lontani che non sarebbero mai riusciti a riconoscersi, durante la vita dei loro ‘esterni’.
Dayer fremeva, mentre Alael sedeva paziente nel suo luogo senza vita, dall’eterna brezza.
Avrebbe aspettato.
Aspettato di falciare l’Innocente.
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 10. L'estate della libertà ***


10. L’estate della libertà
 
Alael, figlio del Sentimento e dell’Intelligenza, due forze che spesso si trovavano in disaccordo tra loro, ma che erano perfettamente mescolate nella sua anima, per la prima volta in secoli e secoli di ricerche e battaglie, ebbe paura.
 
Sapeva che Dayer si era incarnato al pari di lui, e che lo stava cercando, ma quello non gli faceva paura; era sicuro della sua vittoria, lui era l’Immemore, uno dei più antichi guerrieri.
La sua missione non lo spaventava certo, aveva già combattuto, senza mai esitare, emissari incarnati in bambini in lacrime, disperati, donne supplicanti o bellissime seduttrici compiacenti, e uomini di potere o dall’ umiltà infinita.
 
Non era spietato, vedeva solo al di là della forma e dell’anima umana: vedeva quella particella immortale nel loro corpo, grazie alla particella immortale che era lui stesso nel suo corpo ospite.
E una volta liberati, coloro che riusciva ad evitare di uccidere (o che fossero uccisi dagli uomini), inconsciamente, lo ringraziavano.
 
Ma stavolta sentì, fin dal momento dell’inizio della sua ricerca, che Dayer non sarebbe stato un emissario come tutti, un guerriero del Caos per la supremazia del suo creatore; Dayer aveva trovato un’anima ideale ed aveva fatto ciò che nessuno si era mai permesso in secoli e secoli di storia.
 
Si era COLLEGATO.
 
Aveva legato i suoi pensieri a quelli del suo ‘esterno’, che per un caso (d’altronde, non proveniva esso stesso dal Caos?) sfortunato era simile a lui nel modo più vicino al quale una forma umana potesse assomigliargli.
 
Alael non credeva… non voleva credere a questo.
 
Dayer non esisteva più, esisteva solo un essere umano, frutto dell’assimilazione tra Dayer ed il suo esterno. Nella stessa persona, nelle loro forme più disparate, vi erano paura, rabbia, dolore, caos…e dolcezza, innocenza.
Il più pericoloso nemico mai affrontato nella sua secolare vita di combattente.
 
Alael, con la morte nel cuore ma incapace di disobbedire all’ordine supremo, si apprestò a continuare la ricerca, levando un sospiro silenzioso a quello strano cielo immobile e sempre ventoso. Un lutto gli oscurava la mente, ciononostante non venne meno neppure per un secondo al suo compito.
 
Adesso cercava il nuovo Dayer.
L’Innocente.
**
 
La festa al Queasy era stata un delirio durato fino alle sette del mattino seguente, quando erano usciti finalmente dalle serrande abbassate, accecati dal sole, a fare colazione nel bar della stazione degli autobus di Linayr.
Eddie aveva continuato imperterrito a marciare a Guinness, rallentando la quantità ma procedendo con metodo, in modo da essere sempre sbronzo ma mai veramente al collasso.
Shane se ne stava abbracciato alla rossa che l’aveva agganciato al locale, e sghignazzava platealmente in faccia a Dorian, la cui faccia chiedeva solo una morte veloce ed una sepoltura senza cerimonie sfarzose: aveva vomitato ben due volte da quando era stato risvegliato, e Phoenix si era salvata dal cadere solo grazie ai riflessi di Edmond.
“C’è qualcun altro che sta male assieme a me?”, chiese Dorian, tenendosi la testa e appoggiandosi allo schienale, sospirando.
“Posso provarci, se ci tieni.”, ribattè Justin, semiaddormentato e col trucco sbavato fino alle guance, la testa nascosta dai perfidi raggi del sole dalle braccia, accasciato sul tavolo.
Lui aveva tenuto nottata, ed ora pagava tutte le conseguenze, bevendo litri d’acqua su litri d’acqua, quasi completamente senza voce, tra sigarette e birre continue. Non aveva vomitato, ma di fare colazione non se ne parlava.
Eddie e la sua Guinness, Shane e la sua ragazza del momento, sembravano sfotterli entrambi.
 
Edmond e Jeremy, che facevano allegramente colazione al banco, abituati alla solita nottata in bianco del sabato, chiacchieravano con la vecchia barista ed ogni tanto si voltavano e li guardavano ridendo sadicamente di loro. Avevano un intero rullino di foto del prima, durante e, specialmente, deldopo.
Tra il ‘prima’ ed il ‘dopo’ concerto vi era anche un quarto tempo, in realtà: il dopo-dopo.
 
Quel momento.
 
Dall’allegria erano passati alla sbronza feroce, ed ora erano al limite della sopportazione l’uno dell’altro; come un vero e proprio gruppo rock and roll dopo una nottata di bagordi.
 
“Sono carini, eh?”, ammiccò Jeremy, verso i quattro ragazzi all’unico tavolo del posto.
“Degli angioletti.”, ghignò Edmond. “Viene voglia di portarseli a casa, non fosse che poi ci sarebbe da mantenerli!”
 
Dorian e Justin ora si rimbeccavano a chi stava peggio, sprofondando sempre più in mal di testa reciproci, salivazione azzerata, e toni striduli da suocera. Shane si inabissava in apnee baciatorie con Dolores, la rossa che, alla luce impietosa del mattino, sembrava avere almeno il doppio dei suoi anni.
Eddie sospirava, vedendo come la situazione tra Kurt e Ziggy stesse degenerando, e dopo aver finito la birra, mandò tutti a fanculo, avviandosi verso casa.
“Ehi, stronzo, mi lasci qui?”, lo apostrofò Edmond, mentre il fratello minore infilava la porta, cercando le chiavi e gli occhiali da sole che aveva previdentemente portato.
“Almeno mamma saprà che uno dei due è vivo…”, gli sorrise maligno Eddie, mentre usciva e gli mostrava il dito medio.
 
Justin intanto si era arreso ed era crollato con le braccia e la testa sul tavolo, come una bambola di pezza, supplicando Dorian di smetterla.
“Ti prego… sto di merda… non sento realmente più niente! Non…non ti seguo, cazzo!”
“Massì che mi segui, porca puttana! Sto dicendo che se solo cambiassi i pick up di quello stupido ibrido che hai per chitarra potremmo fare altre canzoni! Senti, ti ricordi il giro che avevo tirato fuori mentre cercavo di copiare Paint it…”
Dorian, falla finita!! Sto male!”
La sofferenza è alla base dell’arte! L’hai detta tu, una volta, mica io! Perciò ora mi ascolti!”
 
Ringhiava Dorian, per non mostrare che stava anche peggio di Justin e che, nonostante non avesse avuto più problemi col padre, aveva paura di tornare a casa a quelle ore; nel suo linguaggio, stava chiedendo all’amico se avesse potuto dormire a casa sua, bypassando Edele.
Edele che, ricordò Justin, non sapeva neppure dove fosse suo figlio, in quel momento.
“Dorian… chètati! Vado a fare una telefonata.”, gli intimò, alzandosi.
“Sicuro di farcela fino al telefono?”, ghignò Shane, vedendolo appoggiarsi con una smorfia al tavolo.
“Fatti i cazzi tuoi, Shane… tanto devi tornare in bus con me, è anche meglio se ci muoviamo!”
“Ah, il fottuto festivo per Dublino con le sospensioni rotte te lo cucchi da solo, mio caro… Io resto da mì corazòn, vero, tesoro?”, smielò il moro, facendo occhioni sexy alla rossa.
“Non c’è problema, Shane. Ti faccio io un po’ di colazione, non questa roba…”, fece le fusa, in controcanto, la tizia.
 
Justin si mise una mano in faccia, mentre cercava spiccioli, e se la stropicciò.
Grandioso.
Veramente…grandioso!
Ottima conclusione di una degna serata. Prendere il fottuto feriale dell’anteguerra da solo per Dublino, per affrontare una madre sicuramente più che incazzata.
Perciò, mentre componeva il numero sul vecchio telefono pubblico, decise, lì per lì.
Se proprio avesse dovuto affogare, avrebbe portato qualcuno con lui: Dorian.
 
**
 
L’estate dopo la fine della Wenders school sembrava fuggire sotto i loro occhi persino più in fetta delle altre estati; Dorian stava sempre tra Dublino e Linayr, come ai tempi della scuola, eternamente con Phoenix dietro, anche quando si recò a superare la prova d’ammissione d’ irlandese per studiare Letteratura al Trinity college.
Shane era tornato a Dublino già il giorno dopo, riprendendo il lavoro di postino part time che lo occupava nei mesi festivi e durante Natale, e si stava guardando attorno, in cerca di lavoro fisso. Si era diplomato, ma adesso aveva intimato alla madre che non avrebbe mai più rimesso piede in una fottuta aula!
Eddie, con gran sorpresa di tutti, si era iscritto al Dublin Institute of Tecnhology in Scienze del Turismo, accantonando i suoi proclami da businessman. Il rito del bus e della colazione assieme a Dorian, da Linayr alla capitale, si prolungava, senza volerlo veramente, ma non spiaceva ai due.
Justin, dopo il concerto, era tornato a lavorare nel pub di Artane, quasi dietro casa, e non aveva ben chiaro cosa fare, ancora; ne discuteva spesso con Edele, ma più che discorsi, si trasformavano quasi in risse, vista la sua reticenza ed i continui punzecchiamenti della madre.
“Scappo con gli squatters new age se non la smetti di rompere, giuro!”, le aveva urlato, una sera.
“E scappa! Tre giorni e torni a casa, e stupida io che ti riprendo!”, aveva inveito la donna, sfibrata dalle discussioni.
 
Una sola discussione, che era riuscita a cavargli Edele con le pinze e tutta la dolcezza possibile, non era degenerata, ma era stata la peggiore: erano rimasti entrambi delusi e feriti.
 
Solo la fetta di mondo delle prove non si era ancora spostata: i mercoledì ed i venerdì sera da Shane, che si concludevano sempre con la nottata in bianco, infiltrandosi al parco dietro casa sua a bere birre sulle altalene, o finalmente in qualche locale, a parte qualche altra serata al Queasy, chiamati da Jeremy a suonare.
 
Il loro primo concerto aveva rotto qualcosa della loro parte fanciullesca. Erano come stati svezzati.
Il secondo era stato un caldo bentornati, e qualcosa che avevano atteso con quasi più impazienza del primo, persino più preparato.
E piano piano, dopo la terza, quarta serata, il Queasy, e specialmente le canzoni degli altri, iniziavano ad andare loro stretti, specialmente a Dorian.
 
Dorian iniziava a fuggire, con Phoenix: improvvisava giri su giri mentre gli altri si fermavano, se trovava qualcosa di interessante aspettava la pausa sigaretta e continuava a suonare mormorando qualche accenno di linea vocale, invece di andare con loro a dire cazzate e passarsi cicche.
Parlava sempre più spesso di come un giro o un altro avrebbero potuto suonare con determinate note di basso basilari e con la batteria adatta, e discussioni esaltanti partivano al riguardo, spesso al pub.
Gradualmente li stava coinvolgendo tutti, a parte Justin.
Justin stava per conto suo, in quelle discussioni, interessato, ma da parte.
Per la prima volta non capiva quale fosse il suo ruolo, in quella fase del gruppo.
 
*
*
 
“Allora quando inizi?”
“Ottobre.”
Dorian era più serio che mai, mentre stavano seduti sulla riva del Liffey, ai Grand Canal Docks in via di ristrutturazione.
Tutti bevvero quasi in contemporanea dalla loro lattina; Justin giocherellava con dei sassi, ed ogni tanto ne lanciava uno nel canale navigabile.
Aveva appena finito il turno, quelle canaglie dei suoi amici erano andati a prenderlo, ma lui si sentiva la schiena rotta, a continuare a ‘fiondare’ fusti di birra, e si era preso del nullafacente dal proprietario per la fatica che ne rallentava i movimenti, verso la chiusura.
“Che ne dici di cantare di meno e darti una mossa, Justin?! Qua la gente non aspetta i tuoi vocalizzi!”, lo aveva incitato, poco amichevolmente, alle 3 di mattina.
E c’era un qualcos’altro che lo rendeva di pessimo umore.
“E tu, Shane, sei andato a vedere?”
“Beh, alle Poste mi hanno fatto fare due test: uno di cultura generale ed uno sui casellari, e sembra siano andati entrambi bene. All’inizio sarebbe ancora part-time, ma poi col tempo diventerebbe a tempo pieno. E indeterminato, su questo sono stati chiari. Avendo già anni di precedenti, io sono in pole position.”, si infervorò Shane, dando un sorso alla sua birra.
Justin fece una risatina poco simpatica, mentre si alzava e si stirava la schiena provata, scendendo sui grossi massi della riva; Eddie rimpiangeva già l’idea di esserlo andati a trovare in massa durante un turno di lavoro.
“Ma bene… Eddie e Dorian all’università, a diventare dottori!”, e calcò con disprezzo la parola, tanto che Dorian rimase a bocca aperta, ma non gli diede il tempo di protestare.
“Shane ha già in mentre il posto fisso. A ventun’anni! Si sposerà con la prima fidanzatina cattolica che incontrerà e metterà incinta, per caso?”, chiese acidamente.
“Justin…”, tentò di mediare Eddie, prima che Shane, con la faccia già scurita, decidesse improvvisamente di buttarlo nel Liffey sottostante.
“Già… ci dividiamo, insomma.”, finse di riflettere Justin, una mano sotto al mento, il viso rivolto alla pallida luna irlandese. “Dottorini e bassa manovalanza.”
“Ma che ti piglia?!”, chiese Dorian, indispettito.
Il Trinity college era sempre stato il suo sogno, per quello non ne aveva mai parlato al padre: era un sogno suo, non di quel verme; ed ora Justin ci stava letteralmente pisciando sopra disprezzo!
“Che mi piglia, Dorian? Niente, mi piglia! Siamo solo stati due… anzi… “, e la sua voce tremò, finalmente, faceva finta di prendere nota con le dita.
“…quasi tre anni a suonare, suonare, suonare, stare assieme e suonare!! Eravamo un…una famiglia!!”, esplose Justin, quasi sull’isterico.
“Ma… continueremo a suonare, no?”, chiese Shane, non capendo.
“Ah, Shane…”, e Justin scosse la testa, in una risata cattiva e triste.
“Per qualche volta, sì. Ormai sappiamo le canzoni a memoria, vero? Possiamo farlo, per un po’. Finché non avremo la nostra vita. E le nostra vite sarannotutte diverse!”, si alzò di nuovo di tono Justin.
“Justin…”
La voce quieta di Eddie lo fece tacere, anche se tremava ancora.
“Pensavi che con la fine della scuola saremmo rimasti tutti assieme, per caso? Pensavi a questo?”
Justin si voltò verso il fiume, la testa bassa ed i gomiti serrati in un autoabbraccio.
“No.”, mormorò. “Ma non pensavo neppure che ci saremmo separati così…”
Quando parlò sembrava davvero disperato.
“Torneremo nelle nostre posizioni di partenza del liceo, dopo che assieme siamo riusciti a fare fronte a tanti problemi, ad avanzare nelle nostre vite e creare un qualcosa di... di nostro.”, mormorò.
Sospirò, e li guardò, di sbieco.
“Tanto valeva non esserci conosciuti.”
“Questo non lo pensi davvero.”, intervenne Shane, calmo.
“Può darsi. Ma succederà, Shane.”, gli rispose, atono.
 
Rimasero tutti in silenzio per un po’; in fondo Justin, alterato dalla fatica e dalle prospettive, aveva solo dato voce a quello che pensavano tutti loro, dopo quel primo, trionfale concerto.
La fine.
Il primo concerto era stato lo zenith.
Ora si sentivano tutti al nadir.
 
Dorian lo osservò un attimo, l’esile profilo scuro dell’amico di fronte alla luna ed al bordo del fiume luccicante, e si alzò.
“Justin… Tu ci hai pensato all’università, vero?”, chiese dolcemente, arrivandogli proprio dietro.
“…fanculo, Dorian. Non ti ci mettere anche tu.”, sibilò Justin, senza voltarsi, le prime lacrime che gli scendevano per la faccia.
“Non volevi andare anche tu al Trinity?”
Justin scoppiò in una risata quasi stridula, che calò in un singhiozzo roco rapidamente.
Eddie scuoteva la testa: quei due ed il loro mito di Wilde, che cazzo trovavano in quel mausoleo per snob!
 
Fin dalle giornate di orientamento a scuola, si davano di gomito e sghignazzavano, entrambi esaltati a vicenda dal passato del loro eroe, della loro passione per cosa Wilde aveva creato nel rock, e ai test cancellavano tutte le risposte e mettevano sempre, lungo tutta la pagina:”O Trinity o morte!!”.
Ad Eddie non importava il nome dell’università, ma aveva sempre taciuto su quella follia: era una cosa simpatica.
Per loro due, invece, era maledettamente seria, sembrava.
 
Dorian non demorse, e allungò una mano a toccare una spalla dell’amico.
“Lettere? Anche tu?”
Dopo un lasso di tempo in cui ormai tutti temevano che non avrebbe risposto, Justin prese la mano di Dorian e la strinse con tanta forza da fargli male, come a sfidarlo a prenderlo in giro!
“Tecniche della comunicazione”, sospirò, con voce fievole.
“E’ proprio quello che ti servirebbe!”, intervenne Eddie, con una punta di rabbia. “Hai fatto di tutto meno che comunicare, dalla fine della scuola ad ora!”
Justin non rispose, abbassando la testa.
Aveva ben ragione Eddie: perché non si era confidato con i suoi amici?
Una veemente protesta li scosse come un terremoto.
 “Che cazzo c’entra la musica, ora?!”, inveì Shane, facendo sobbalzare tutti.
“Io…”
“Tu, tu!! Deve sempre girare tutto attorno a te! I tuoi problemi con l’università, con tua madre, con… con il tempo, santiddio! Adesso tiri in ballo anche il gruppo, come se ti avessimo mai dato modo di dubitarne! Sei un coglione!”, gli gridò contro Shane, stufo di quella sceneggiata.
Dorian lo fissò a bocca aperta, Justin con le lacrime che scendevano sul viso, ed Eddie temendo qualche tiro mancino; tutti erano voltati verso di lui, che li guardava con aria di sfida ed il suo tipico sorriso storto del Liceo.
“Università, dottori, operai, Dublino, Linayr, genitori e… e…. società! Vadano tutti a fare in culo. Noi abbiamo talento!”
E si appoggiò, soddisfatto, ad uno dei massi sulla riva, dicendo finalmente quello che tutti volevano sentire dire, ma che nessuno aveva avuto il coraggio.
“Noi andiamo avanti.”
E bevve dalla sua birra, sfidando i suoi amici ed il resto del mondo a contraddirlo.
 
**
 
Mentre Shane ed Eddie si avviavano a finire la serata a Temple Bar per poi godersi la domenica di riposo, Justin e Dorian rimasero sulla riva del Liffey un altro po’, non parlando più dopo lo sfogo del primo, solo ascoltando la musica che si erano portati appresso.
Dopo quasi mezz’ora, Dorian si decise a rompere il silenzio che rischiava di diventare minaccioso.
 
“Ne hai parlato con Edele?”
“Una volta.”, rispose, lapidario, l’amico.
Silenzio.
“E?”, lo incitò Dorian, provando a non mettere troppa impazienza nella voce.
Justin sospirò, armeggiando per raccogliere i cd e rimetterli nelle custodie, al sicuro.
Sotto di loro il Liffey scorreva calmo, come da millenni da allora; non era imponente, non era lo Shannon, che più che un fiume era ormai un’opera letteraria, ma come altri ragazzi anni prima, avevano eletto quelle zone come casa loro, e se avessero potuto ci avrebbero eretto la loro base.
Dublino, in fondo, non era poi così grande; Justin aveva una paura folle di perdere la loro città.
Aveva paura di perdere loro.
 
“Non farmi dire quello che sai, Dorian…”
“E allora smettila di essere così criptico.”, sospirò il biondo.
Allo sguardo interrogativo dell’amico, Dorian lo guardò fisso.
“Hai tirato in ballo la musica, l’università, le città… E tutto perché vuoi iscriverti al Trinity College. Sta bene, sei di Dublino; è vero che ti sei diplomato per miracolo e fai letteralmente schifo come studente ma in letteratura sei passato con il massimo dei voti, la professoressa Forgail ti adorava. E poi lo sanno tutti che l’università non è il Liceo. Cosa ti tiene sulle spine?”
Justin ricambiò lo sguardo, sospettoso.
“Davvero non vedi nessun ostacolo per frequentare il Trinity college?”
“No… se riuscirai a stare seduto in un’aula per due ore di seguito senza correre a fumarti una sigaretta, beninteso. E se supererai il prossimo turno di ammissione, a settembre, ma tu non hai problemi con l’irlandese, perciò lo escludo. Perciò sputa il rospo.”, e prima che Justin potesse parlare, Dorian lo bloccò, prendendogli il braccio.
“Perché c’è un rospo. E grosso. Non tanti e piccoli, come vorresti far credere. Ti conosco troppo bene, bello mio.”, sorrise.
“Fottuta spia…”, gli sorrise di rimando l’amico.
Ma era un sorriso triste, e ancora prima che Justin parlasse, Dorian indovinò, ed il suo sorriso si spense.
Si spense come solo il sorriso di un adolescente poteva fare, quando realizzava che la vita era più grande di lui, per quanto avesse fatto.
“Non… sarà la retta, vero?”
“Touchè, mon amì!”, rise Justin, amaramente.
“La fottuta retta! Ne ho parlato con mia madre e… beh. Ne è sinceramente dispiaciuta.”, accennò un inchino forbito, con una smorfia quasi divertita in faccia.
“Ma non posso andarci.”
 
Quel ‘non posso’ rintoccò in Dorian come una campana funebre, non sapeva neppure lui il perché; dannazione, era così ingiusto !!
Justin raccolse la radio e i vuoti delle birre, guardandolo, ora molto, molto serio.
Né triste, né arrabbiato.
Sembrava solo, tutto d’un tratto, molto vecchio, e molto stanco.
“È la vita, Dorian. C’è chi và su e chi vàgiù, indipendentemente dalla propria volontà. C’è chi è nato per stare in certi posti…”, e lo indicò. “…e c’è chi è nato per stare in altri.”, e indicò se stesso.
“Non decidiamo noi. Quasi mai.”, sentenziò, e si avviò.
 
Dorian era sinceramente scioccato.
Sarà stato stanco, sarà stato abbattuto dalla situazione, ma non aveva mai sentito parlare Justin con quel tono spento e… rassegnato?
Sì.
Quel Justin, non il suo Justin, era decisamente rassegnato; la persona con la volontà più adamantina che avesse mai conosciuto, sembrava finalmente essersi spezzata.
E proprio per il grido di ‘O Trinity o morte!’, che aveva caldeggiato specialmente l’amico, sapeva che non avrebbe mai accettato alternative.
Justin voleva andare al Trinity, a fare Tecniche della comunicazione.
Justin non poteva andare al Trinity?
Justin non avrebbe cercato alternative.
Dorian non poteva sopportarlo; non poteva sopportare che una persona come il suo amico rimanesse fuori dai giochi per…
Per sempre?
 
Si incamminò verso la baia, dalla parte opposta a dove si era voltato Justinn, pensando e non pensando.
 
Devo fare qualcosa. Non so cosa fare. Al diavolo tutto. Ma stai parlando di Justin, di Justin! Appunto, cosa farebbe Justin, per te? Non è questa la domanda. Quello è il Liffey, e tra pochi anni il Grand Canal Docks sarà una zona di lusso. Goditela, Dorian. Goditela fin che c’è.. Goditela fino in fondo.GODITELA, TU CHE PUOI!
 
Immerso nei suoi pensieri, che faticavano a trovare un ordine giusto, non si accorgeva neppure di dove stava andando.
Attraversava cantieri, edifici in costruzione e altri pericolanti, conscio dell’ingiustizia che aveva sentito; il pensiero di essere stato a sua volta vittima di un’ingiustizia, solo pochi mesi prima, a causa di suo padre, non lo sfiorava nemmeno.
Era di fronte all’ingiustizia della vita, della società.
Riusciva a capire ora, in pochi minuti, molte cose che le sue canzoni preferite tentavano di dirgli da anni.
La vita era ingiusta.
La vita era crudele.
Non vi era un fottuto perché.
 
Era talmente assorto che non si accorse di una trave lasciata fuori posto e vi si inciampò sopra, finendo letteralmente a faccia in giù sul cemento, neppure il tempo di ripararsi.
Quasi: qualcosa l’aveva preso, non abbastanza da non farlo cadere, ma abbastanza da evitargli un trauma cranico rovinoso!
Justin gli aveva frenato la caduta, l’aveva seguito da tre quarti d’ora come un’ombra silenziosa da quando si era avviato, incuriosito ma anche preoccupato dalla sua faccia.
 
“Cos… che caz… Justin!”, proruppe Dorian, mettendosi seduto a terra, le mani ed i jeans sbucciati, ma con un bel trauma cranico evitato.
“Mi dici dove diavolo stai andando?”, gli chiese, quieto, l’altro, massaggiandosi la spalla che si era stirato nell’afferrarlo nella sua caduta.
“Io…”, e Dorian per un attimo pensò di spiegargli tutto, quando qualcosa, nell’espressione di Justin, lo fece tacere.
Quella rassegnazione che non poteva vedere: quando qualcosa, dentro la sua testa, parlò.
 
Ma ti ha seguito, Dorian… Non farti ingannare. Vuole solo che tu ti preoccupi di te stesso; in realtà sta ribollendo di rabbia, gli suggerì la sua voce interiore.
E come quella voce gli salì subito nei pensieri, allo stesso modo seppe che Justin c’entrava qualcosa di sicuro nella sua relativa pace domestica degli ultimi mesi.
 
Forse persino nell’avergli salvato la vita, da quella… quella terribile volta.
 
E Dorian decise.
 
“Niente. Pensavo. Pensavo che dovesti provare con una borsa di studio convenzionata, Justin. Mio padre ne aveva parlato per un figlio di un suo amico.”
Justin storse il naso, quando Dorian nominò il padre, e la sua voce interiore salì di nuovo a fargli compagnia.
Touchè!
-Pussa via, voce!-
“Non ne so niente, ma non credo che…”
“Andiamo lunedì ad informarci?”
Justin sembrò improvvisamente smarrito.
“Cosa?”
“Lunedì. Al Trinity. Andiamo ad informarci.”, rispose, calmo e con un sorriso tranquillizzante, Dorian.
“Io…e  te?”
“Sì. Oddio, se Edele mi sopporta anche domani sera a dormire… Ormai penso di essere caduto in disgrazia, alla sua corte.”, rise Dorian, avviandosi verso il centro, mentre iniziava ad albeggiare.
 
Justin rimase impalato, nell’enorme cantiere a cielo aperto dei Docks, e poi lo raggiunse, in un paio di falcate.
“Tu… verresti con me?”
“No, penso che da casa tua prenderò un bus…Certo che vengo con te, idiota!”, sorrise.
 
Camminarono in silenzio fin dove il Grand Canal Docks si ricongiungeva con la città, il fiume con la metropoli, e finalmente, in una Dublino sonnolenta di domenica mattina, con il solo gorgogliare della fauna marina del mare d’Irlanda, Justin si fermò, le mani sui gomiti, infreddolito.
 
“Dorian…”
“Se ti muovi riusciamo a prendere il bus per Artane, ho bisogno di una buona colazione e poi dormire!”, sbadigliò il biondo, superandolo di buona lena.
“Sì, hai ragione.”, annuì l’amico, ma non si mosse, e Dorian si voltò.
“Volevo dirti… Grazie.”, e il sorriso di Justin, lo abbagliò come era successo due (ormai tre…E se Dio vuole saranno sempre più gli anni in cui lo vedrai) anni prima, a scuola.
E le lacrime che gli vide negli occhi furono una delle cose più belle di sempre.
Dorian scosse la bella testa, i suoi impareggiabili capelli che nessuna tinta avrebbe mai potuto imitare, scintillanti nella prima luce del mattino.
“Vaffanculo, Justin. Sei il mio migliore amico, no?”
Justin, annuì, avviandosi lentamente.
“Se potrò… Lo sarò sempre, Dorian. Se Dio vuole.”
“Non se Dio vuole, Justin… se il Trinity College ti vorrà!”
E risero assieme, mentre si avviavano, nell’alba di Dublino, a dormire.
 
“O Trinity o morte!!”, urlarono, ridendo, prendendosi a spintoni.
In quel momento nessuno dei due aveva il minimo dubbio che sarebbero rimasti assieme.
Per sempre.
  

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Capitolo 11
*** 11. Il freddo autunno dello scontento ***


11. Il freddo autunno dello scontento
 
 
Dopo un settembre burrascoso, i ragazzi pian piano iniziarono a sistemarsi nel loro nuovo ciclo di vita, contrattando silenziosamente per rimanere ancorati il più possibile al passato ma non chiudendosi come un tempo: se lo sfogo di Justin aveva insegnato loro qualcosa, era stata l’urgenza di dover allontanarsi, ma non precipitosamente, come sembrava dovesse essere per forza.  
 
Justin riuscì ad entrare al Trinity college per Scienze e tecniche della Comunicazione, grazie al credito sul suo rendimento futuro, un prestito d’onore in accordo con l’università, e grazie al patteggiamento con Edele: avrebbe continuato a lavorare, per quanto poteva, allo Spade’s di Artane, ma non avrebbe dovuto mai e poi mai mettere il lavoro davanti allo studio, la madre aveva esercitato il suo potere di veto; d’altronde, quel poco di lavoro part-time (che abbinato alle ore di lezione e di studio costituivano un carico onerosissimo per un pigraccio di esperienza quasi ventennalecome Justin), con il suo solo stipendio e la promessa della borsa di studio, era l’unica cosa che tenesse il figlio al Trinity.
E lei lo voleva con tutto il cuore.
 
Finché non arrivò a sentirlo letteralmente sulle proprie spalle, Justin se ne fregava del carico di lavoro e di studio: era stato ammesso al Trinity risultando primo al suo turno per la prova di irlandese, superando Dorian di molti punti, e, preso da un fervore degno di una crociata religiosa, aveva iniziato a scrivere testi e seguire le linee melodiche di Dorian, litigando puntualmente per le armonie vocali e per gli accenti delle battute, che l’altro aveva già idealmente messo, nonostante non avesse mai cantato: a sorpresa, si erano trovati in due a scrivere testi, e se Dorian aveva il suo arsenale segreto con cui aveva stupito tutti a fine agosto, rivelando orgogliosamente che da ben due anni scriveva testi che sperava fossero utilizzati, Justin, a secco, si era prevedibilmente armato e gli aveva dato battaglia…
Ed era maledettamente veloce a recuperare.
 
Shane, grazie alle prime paghe, riuscì a dare un aspetto più professionale alla sala prove, rivestendola completamente e persino eliminandone l’umidità, permettendo così ad Eddie di lasciare lì piatti e doppio pedale, cosa che presto Justin imitò, sia con il suo prezioso microfono che con la sua malandata chitarra, ma che ovviamente Dorian non fece mai: Phoenix andava e veniva con lui, ma iniziò a lasciare mute di corde, come pelli vecchie di serpente, e altre cose che riteneva vitali, come pedali, jack di varie lunghezze e accordatori (ne aveva 3 e non ne trovava mai uno al momento giusto).
Al terzo mese di lavoro alle Poste, proprio il giorno della sua assunzione a tempo indeterminato e full time, Shane, accusato dalla madre di spendere tutti i suoi soldi nella musica, uscì incazzatissimo di casa e non si presentò alle prove (tutti avevano una copia delle chiavi, così entrarono lo stesso, essendo stati avvisati in anticipo che lui non ci sarebbe stato ): li raggiunse a sera, ai Docks, dove iniziava il primo, tentacolare freddo autunnale, con una custodia rigida.
Quando, su richiesta di un curiosissimo Dorian (custodia!basso nuovo!cosa!), lo aprì, tutti e tre si strozzarono quasi con la birra che stavano bevendo.
Aveva comprato, senza decidere troppo, un Precision Bass Fender, Steve Harris custom ,quello che nelle intenzioni era la copia del basso suonato dal mitico Steve degli Iron Maiden; ai loro occhi, qualcosa a metà tra uno spreco inenarrabile di soldi ed un mito racchiuso in uno strumento.
 
Qualcuno si schiaffò una mano in faccia, probabilmente Dorian che ora non deteneva più il primato dello strumento più titolato, ma  gli altri risero, capendo le intenzioni di Shane: la madre non l’ avrebbe più contraddetto, d’ora in avanti, o si sarebbe comprato mezzo Ol’ Vox Music Store!
 
Eddie aveva beatamente giocato con la squadra di rugby di Linayr, per quell’estate, ed aveva ricaricato le pile, provando assieme agli amici ma anche al fratello, approfondendo così le conoscenze tecniche di quella misteriosa amante chiamata ‘batteria’; il Dublin Institute of Technology non lo impensieriva, si sentiva solo blandamente curioso e pronto a inserirsi nelle goliardate del college:  l’avere ancora Dorian, magari non carico di libri ma ovviamente con la cartellina per appunti più ‘grunge chic’ del maledetto bus per Dublino, (gelato d’inverno\bollente d’estate), era una cosa dannatamente rassicurante. L’aveva avuto vicino per tutte le mattine degli ultimi due anni, e sapere che c’era ancora era così… normale.
 
Dorian stava tra tutti come una sorta di punto immobile, fisso, da cui partivano le nuove dinamiche.
 
Dava l’illusione che le loro vite non sarebbero mai cambiate. Faceva colazione con Eddie, assieme aspettavano Justin e poi si separavano: stavolta non in aula, ma in centro a Dublino.
Shane, quando e se poteva, li raggiungeva ancora, come quando stava in una classe differente.
 
Le tempistiche cambiavano, loro no.
 
Le loro paure, quando il tempo assestò i loro ritmi, all’inizio cigolanti, su un soffuso tran tran autunnale, si stemperarono in fretta, come la bella stagione insolitamente lunga e calda di Dublino del 1997, che a metà ottobre diventò presto solo un bellissimo, anche se sofferto, ricordo.
 
Quando, nelle giornate piovose, Justin ricominciò a ripartire verso il ‘Più in là’ da sopra il cappuccino, Dorian a farfugliare di Kurt con la ciambella ancora in bocca, Eddie ad ordinare la solita Guinness grande a fine lezione, e Shane a portare una tizia nuova ogni due settimane, erano ormai consolidati. Erano sopravvissuti alla fine della loro ‘libertà’.
 
Potevano ricominciare a lamentarsi, insomma.
**
 
“Ti vedo, Alael.”, sibilò Dayer, gli occhi assottigliatiin una fessura.
 
Vi era tutto grigio attorno a lui, una sorta di tempesta elettromagnetica probabilmente creata da uno dei due esterni.
Forse persino il suo, se ancora di ‘esterno’ si poteva parlare.
 
I loro destini erano uniti, anzi il suo destino, unico ed inscindibile, ormai, era trovare ed uccidere Alael.
 
Alael che non si era accorto di niente, nemmeno della sua vicinanza.
Si era solo accorto della sua innocenza, e di questo Dayer ghignò, anche se non volentieri; la pietà avrebbe permesso all’Immemore di fare qualche sbaglio e farsi riconoscere più che alla svelta.
 
In quel momento, l’Innocente l’avrebbe ucciso.
 
Provò ad aguzzare la vista, inutilmente, poi rinunciò.
L’Immemore era vicino, ma non abbastanza, e per il momento era sparito, ma una sorta di contatto, una scintilla, era passata.
 
Solo ad un senso, però; lui l’aveva visto, l’altro no.
 
Pazienza.
 
Dayer lasciò placare la tempesta, e si sedette, in una posa che imitava, inconsapevolmente, quella del suo avversario, ma se Alael dentro di sé avvertiva solo calma, Dayer ribolliva.
 
“Ti vedo.”, soffiò, ancora una volta, come a rassicurarsi, e chiuse gli occhi e la mente.
 
**
 
All’ O’Connel, poco lontano dal Trinity, il terzetto studentesco faceva colazione, come al solito in ritardo e come al solito come se avessero avuto tutta la calma del mondo.
 
Eddie iniziava lezione solo alle 11.30, ma l’abitudine l’aveva trascinato alle 8.30 fino alla famosa fermata vicino all’incrocio con la Sweetest way, l’odiosa caramelleria, e non solo: aveva anche dovuto correre, mentre Dorian stava con un piede su ed uno giù dal bus, sentendosi gli improperi dell’autista ma non intenzionato a far partire il mezzo senza l’amico.
Ovviamente, poi, Eddie sentì per tutto il viaggio ed oltre, le contumelie a voce stridula di Dorian, che l’accusava persino di aver quasi sacrificato la sua vita per fermare il bus. Tutto questo fino all’arrivo (ovviamente con ilsuo innato ritardo, sommato già al loro) di Justin al bar, che ancora sbadigliava e tentava di dare una forma ai capelli, probabilmente buttato giù dal letto da Edele.
“Che avete da lamentarvi? No, aspettate, ho formulato male la domanda.”, e si lasciò cadere sulla sedia più lontana dagli spifferi, iniziando a stiracchiarsi. “Dorian, che hai da lamentarti?”, esordì, appoggiandosi poi allo schienale con un verso soddisfatto.
“Stavo per rischiare una gamba sul maledetto bus da Linayr, per fermarlo per ‘sto coglione!”, riprese il biondo, ed Eddie prese un appunto mentale:-Uccidere Justin.- Il perché? -Fa troppe domande!-
“Uh-uhm… interessante…”, sbadigliò Justin, e quel suo modo di far star zitto Dorian in un microsecondo, o meglio far spostare l’obiettivo della sua disapprovazione da Eddie a lui, fece cancellare al rosso il suo appunto mentale, sostituendolo con una candidatura come rappresentate ONU!
TUTTO meno di Dorian e le sue interminabili litanie di prima mattina!
“Mmm, va bene… avete già fatto colazione? Vedo di sì…”
“Volevi che aspettassimo sua Maestà, per caso?! Justin, hai un ritardo medio approssimativo di…”
“Me lo dici dopo. Quando la mia dose di caffeina nel sangue sarà abbastanza per decidere se ascoltarti o tirarti un pugno, ok? Adesso necessitò di caffè!”, e si alzò per ordinare un espresso doppio, soffocando un altro sbadiglio.
 
Appena fu a distanza di sicurezza, Eddie rimpianse la sua assenza, poiché Dorian si girò fulmineo verso di lui, ma per poco: non stava per riprendere una lamentela delle sue.
I suoi occhi verdi scintillavano di uno strano misto di preoccupazione mal repressa e quasi di..
Soddisfazione?
Sì.
Ma non pareva ne godesse.
 
“Non ce la fa, hai fatto caso di come è messo alla mattina?”, sibilò, avvicinandosi all’amico. “Ha la spalla destra sempre dolorante, può raccontare balle ad Edele ma non a me! Oggi abbiamo due ore di letteratura dell’ Ottocento e non starà sveglio neanche se lo prendessi a calci ogni due minuti!”
 
Eddie lo guardò, stupito.
“Cosa vuoi dire, Dorian?”
 
Dorian prese un respiro, guardandolo bene, si girò ad osservare Justin, quasi addormentato sul bancone in attesa di essere servito, che sbocconcellava di malavoglia un dolcetto come colazione, e si rigirò a guardare Eddie.
“Non ce la fa, Eddie. Non ce la farà mai, in questo modo. E mente.”
 
Eddie osservò Justin, ed una fitta di preoccupazione entrò anche in lui, anche se non vide così tanti particolari come Dorian, cosa che gli diede un’altra stilettata.
Certo, Dorian vedeva più cose, poichè lui e Justin  si vedevano ad ogni cambio di lezione, loro due andavano in mensa assieme o pranzavano comunque assieme, e spesso, come quella mattina, loro due avevano anche qualche lezione assieme, essendo entrambi nella macrofacoltà di Lettere ed Arti.
Ma, come le sue sporadiche fitte d’invidia, anche quella gelosia infantile se ne andò quasi da sola e senza lasciare traccia: si era dimostrato evidente, quell’estate, come Justin avesse bisogno, almeno per un altro po’, di stare attaccato a Dorian, forse per immaturità, certamente per reale affetto, ma comunque stargli vicino.
Dopo lo sfogo sui Docks, Justin, a parte la famosa ‘guerra dei testi’, era diventato persino più docile di quando era alla Wenders, e Dorian aveva probabilmente visto giusto, quando ne aveva parlato con Eddie: non riusciva ad adattarsi, e questo gli stava causando grossi problemi.
 
Se ai corsi era bravo e aveva una marcia in più in quasi tutte le materie affrontate, nei meandri dell’università, stava come era stato alla Wenders prima dell’arrivo di Dorian ed Eddie: da solo, rincantucciato con i suoi appunti e la sua musica, senza sforzarsi di fare amicizia e neppure di ricambiare i tentativi di qualcun altro di farne con lui.
Lasciato solo si perdeva facilmente nella sua solitudine o tornava alla sua naturale pigrizia, e si era attaccato con tutte le sue forze a Dorian, che era l’unico in grado di scuoterlo in più. Ma Dorian non c’era sempre. Lui stava invece inserendosi piuttosto bene nel nuovo ambiente, trovandosi spesso con dei compagni di corso, e non rimanendo quasi mai isolato.
Questa cosa feriva Justin, ma nessuno poteva farci niente.
Sapevano che sarebbe avvenuta, e sapevano anche che, prima o poi, Dorian sarebbe tornato dal suo amico, se non l’avesse visto in giro.
L’assenza di Justin urlava più della sua presenza.
 
“Dorian…”, esordì Eddie, mentre Justin si scordava  anche di tornare al tavolo e ordinava un altro caffè.
Era dimagrito ancora, quel disgraziato, il che confermava l’ipotesi di Dorian: non lo diceva a nessuno, ma faceva più ore di quel che poteva permettersi, al lavoro, di nascosto certamente da Edele, che mai gliel’avrebbe permesso.
E si riduceva così.
Dorian ora stava guardando Eddie, che sospirò mentalmente: come negare?
Non poteva.
“Dorian… Forse hai ragione tu, ma Justin è maledettamente sveglio, perciò… perché non lasciare che ci sbatta il muso alla prima sessione d’esami?”
“Eddie, lui ha la borsa di studio, e…Guardalo! Già arriveremo in ritardo di un’ora a questa lezione, so per certo che ne ha già perse due e dai miei appunti non capisce niente, sai la sua mania di avere i suoi. Se andrà male in sessione d’esami gliela toglieranno e… Che diavolo succederà poi, dopo il casino per iscriversi?”
“Hai ragione…”, mugugnò l’amico, ma ogni suo ragionamento fu spazzato via dal movimento rapido che fece Justin nel voltarsi piroettando e tornando verso di loro con un’altra tazza di caffè.
“Ma non fargli vedere che dubiti di lui, Dorian, non in questo momento. Appunto perché non può permetterselo. E tu sei tutto quello che ha, in questo mondo nuovo, ricordati.”, ed Eddie strinse il braccio dell’amico, perché vedesse che era terribilmente serio.
“Non mettergli dubbi. Se tu pensi che ce la farà, lui ce la farà.”
 
Ogni altro discorso fu esulato da un Justin notevolmente più sveglio che posò sul tavolo un caffè ed un volantino, finalmente con un bel sorriso.
“Ragazzi, guardate cosa ho trovato!”
 
Un flyer, di una delle mille associazioni studentesche cui non fregava niente a loro di entrare, ma che comunque sembrava degno di attenzione.
“Dark night? “, si interrogò, alla fine, Dorian, alzando gli occhi dal biglietto a Justin.
“Sì, è una serata dedicata alla new wave, alla musica dark, post punk. Leggi i nomi dei gruppi.”
“Ma è un dj set! Con i dischi lo saprei fare anche io!”, quasi rise Eddie, quando intravide com’era diventato improvvisamente serio Justin.
Io non lo saprei fare e comunque… Me ne parlava sempre mio cugino Paul, di un movimento simile all’università di Limerick. Bella storia, bella musica e quasi tutti musicisti.”, e d’un sorso buttò giù il caffè, reprimendo poi uno sbuffo comico che quasi lo fece scendere dal naso e diventare viola.
Checazzo!! SCOTTA!”
“Allora ti sei svegliato, pare. Senti, perché hai portato qui questo… coso?”
“Oh, Dorian, a volte proprio non capisci…”, e i suoi occhi trasparenti, ora maledettamente svegli, scintillarono.
“Ci andiamo. Andiamo a farci conoscere un po’, per il college. Vediamo se troviamo posto dove suonare, magari qualche contest!”, e si alzò, invitando gli altri a fare lo stesso, molto svogliati.
 
Ma Justin non lasciò loro il tempo di replicare.
“Basta starcene tra di noi! Conquistiamo l’università!”
 
Dorian ed Eddie si scambiarono un’occhiata, tra il divertito ed il sorpreso, mentre Justin si avviava marciando verso la porta, la borsa dei libri a tracolla, nera ovviamente, come il suo eterno vestiario.
 
Non avrebbero più dovuto stupirsi, in fondo…
Nel momento in cui si credeva di aver inquadrato Justin, questi riusciva sempre a stupirti, partendo rapidamente per qualcos’altro.
Per il ‘Più in là’.
 
**
 
Justin aveva visto i movimenti e l’allungarsi a bisbigliare (come due cospiratori, pensò, quasi con rabbia) dei suoi due amici, ma non avrebbero mai immaginato cosa, in realtà, stesse combinando, di nascosto da tutti.
E se Dorian non aveva azzeccato quello che faceva realmente, su una cosa aveva certamente visto giusto: stava rischiando grosso, ma ormai non se ne rendeva neppure più conto.  
 
La sera tardi, quando spariva, non andava a fare ore in più per il lavoro, bensì si metteva con molti fogli sul balcone di casa, rivestendosi pian piano sempre di più, mentre il generale Inverno iniziava a farsi sentire. Edele, quando lo salutava (un paio di volte, giusto per vedere che stava facendo, anche se non l’avrebbe mai ammesso: era fiera di suo figlio, di quanto si era buttato anima e corpo nei suoi corsi, non avrebbe mai accettato che aveva ancora bisogno di controllarlo ) trovava un figlio stanco, con gli occhi che quasi si chiudevano, che le assicurava che sarebbe andato a letto tra un attimo, non ne poteva proprio più, ma quel corso  era così dannatamente difficile !
Ma sotto i suoi appunti, spesso di vari corsi, assemblati a caso, c’erano fogli vuoti, e quasi fino a mattina Justin scarabocchiava, canticchiava, si fermava assorto, disegnava…
 
E specialmente avvolto nella sua nuova giacca di pelle nera, come uno scudo verso la caducità del mondo e soprattutto le pretese della società di ‘vita normale’, Justin scriveva.
 
Dorian, iniziando a comporre canzoni originali, o almeno provandoci, e persino sbattendogli in faccia i suoi testi, aveva avviato una cosa pericolosa, ma non poteva saperlo: Justin si era trasformato in un sognatore, ma specialmente in una macchina lanciata a tutta velocità verso un obiettivo, e stava cadendo nella peggiore delle trappole per lui.
 
Ci credeva.
Non nel modo giusto, posto ce ne fosse uno di porsi con una band di fronte alla vita reale e tentando di uscire dal circolo della normalità: Justin, veloce come scriveva, aveva escluso a priori che la vita reale, l’università, il lavoro, fossero cose che avrebbe potuto scegliere, o comunque alternative se la sua strada fosse fallita.
L’ unica via che vedeva, il suo unico obiettivo che con tutta la sua adamantina volontà poteva permettersi di concepire, era un palco.
Illuminato.
Ed un enorme stadio, pieno.
 
Tutto per loro.
E ce li avrebbe trascinati, costasse quel che costasse.
 
**
 
“…retta?”
“Cosaaa?!”
“Ho chiesto: andiamo a fumarci una sigaretta?! Per favore, non ne posso più!!”
Eddie era costretto ad urlare con Shane, mentre se ne stavano spaparanzati sui divanetti di fortuna di chissà quale associazione filo-rockettare studentesca, mentre vecchi classici post punk passavano a volume inenarrabile, tanto da far perdere la voglia a Shane, che già aveva dovuto essere trascinato ad una festa universitaria, tanto era il suo odio per quelle istituzioni, di abbordare qualche bel culetto di Sociologia, Antropologia o qualche cretinata simile.
 
Stava letteralmente soffrendo, e si sentiva in trappola: Dorian l’aveva blandito, promettendogli musica di grupponi hair metal anni ’80, ma quello era un covo di puzza-sotto-al-naso nostalgia del rimmel e dei Depeche Mode.
 
E ovviamente Justin ci stava dentro a palla; si era truccato, si era talmente stretto nei suoi nuovi pantaloni di pelle che dubitavano persino respirasse, per farsi i capelli aveva riempito talmente il suo bagno di lacca che Eddie, presente alla sacra vestizione, l’aveva accusato di bucare lo strato di ozono sopra Dublino, si toglieva e metteva di continuo la giacca di pelle, che in un mese di vita iniziava ed essere già lisa alle maniche, ancheggiava camminando frequentemente verso il bar per quelli che iniziavano ad essere troppi drink, chiacchierava con tutti e ogni tanto portava loro qualche sconosciuto chitarrista o tastierista concettuale con cui faceva amicizia per presentarli come il suo gruppo, per poi fuggire a lasciare che li annoiasse, (per fare amicizia con gli altri gruppi nel campus, diceva lui, pubbliche relazioni!) per una volta non inseguito o attaccato a Dorian, che aveva trovato ben altro da fare, incredibilmente.
 
Per la prima volta da quando uscivano assieme, Dorian si stava dimostrando pienamente coinvolto nella vita del Trinity college. Da brava matricola, stava limonando fortemente con una studentessa tedesca in scambio, intervallandosi solo per sussurrarle qualcosa all’orecchio e farla ridere; già, si sapeva che le battute di Dorian Kierdiing, seppure stupide, erano purospasso , e stava risalendo la gonna della biondina, che sarebbe potuta essere la sua sorellina minore, da tanto gli assomigliava, manco cercasse l’oro del Reno.
 
Non aveva neanche notato l’ultima, sconvolgente novità, per la quale Justin aveva saltato le lezioni di venerdì: si era tinto i capelli di nero, un nero dai riflessi viola, che (maledizioni vecchie e nuove di Edele a parte) nonostante lo facesse sembrare un grado più vicino ai suoi amici vampiri secolari, grazie alla sua pelle bianca ed al trucco attorno agli occhi trasparenti, gli stava molto meglio del suo biondo cenere un po’ spento.
Nessuno lo sapeva, ma anche quella era una delle cose pensate di notte, quando non gli venivano idee e testi.
Sognava come sarebbe cambiato.
 
E stava iniziando a metterlo in pratica.
 
Shane ed Eddie si guardarono, sospirarono, ed uscirono dalla stanza male illuminata e con l’impianto scadente che pompava i Cure a volumi che persino Robert Smith avrebbe ritenuto schifosi, per godersi un attimo di aria fresca (anzi, ormai fredda) e una, anzi due, o forse tre o forse un pacchetto intero di sigarette, tanta era la loro voglia di ritrovarsi in quel casino, con musica che a loro faceva letteralmente schifo.
 
“Almeno quei due si stanno divertendo…”, borbottò Shane, accendendosi la sigaretta e bevendo un sorso della sua birra; non poteva neppure ubriacarsi, domani aveva un brutto turno con un brutto percorso, e di certo sarebbe stata pioggia battente, bastava guadare le nubi che risalivano il Liffey.
“Dio mio, Dorian che limona con una tizia e Justin che balla… Se me l’avessero raccontato, non ci avrei mai creduto!”, rise, scuotendo la testa, Eddie.
“Mmm, sai Eddie…?”, iniziò Shane, guardando la poca luna che si intravedeva nel cielo plumbeo, seduto sui gradini fuori da quell’assordante fetta di anni ’80 che tentava di sopravvivere, come un’esclusiva nicchia nel tempo che a suon di musica cancellava le brutture della location.
Eddie lo osservò, notando come si era fatto improvvisamente serio.
“Sai… dicevo. Non ho mai visto Justin divertirsi così. Ha sempre avuto qualcosa. E invece stasera si è proprio mollato… Forse questa storia dell’università gli sta facendo bene, e le vostre preoccupazioni sono infondate. Sta diventando amico di mezzo campus, là dentro. Oddio, della parte disadattata di mezzo campus, ovviamente.”, ridacchiò, girandosi a guardare l’amico, sorridendo.
“È ubriaco, Shane. E l’hai già visto così allegro. Quando Edele gli ha regalato quella giacca pensavo stesse per svenire e poi saltellare come una teenager ad un concerto dei Take That.”, rispose Eddie, ma in fondo sollevato.
 
Stettero in silenzio per un po’, poi Shane risollevò il discorso.
“Si sta bene qua fuori, peccato non sia estate.”
“Già.”
“È un bel campus dove stare, di giorno.”
“Già.”
“E non ci sia un bel gruppo spacca culi invece di ‘ste lagne con l’identico giro di chitarra!”
“Già!”
“E che quella tizia se la sia presa Dorian quasi subito, ad inizio serata, prima che le offrissi due drink ed un corposo pezzo di Shane.”
“G…ma vaffanculo!!”, scoppiò a ridere Eddie, presto imitato da Shane.
 
Era dura da ammettere, ma stavano iniziando a divertirsi; erano separati, ma non veramente.
Era come sempre.
 
Mentre ridevano, qualcosa scese precipitosamente i gradini e saltò loro addosso, cogliendoli impreparati; un’ombra nera ridente, con la matita ormai tutta colata, si stravaccò allegramente sulle loro ginocchia, tenendosi la pancia per il gran ridere, avendo rovesciato le loro birre e quasi entrambi: Justin.
 
“Dio, cosa state complottando qua fuori?! C’è una festa, ragazzi, una festa! Da quando non andavamo ad un festa tutti assieme? Ahahahahah!”
“Cristo santo, quasi mi hai fatto finire giù per la scalinata!!”, bestemmiò Eddie, sempre ridendo, mentre Justin, scalciando e aggrappandosi alle spalle di Shane, che rideva e tossiva, con la birra di traverso, si rimetteva in piedi, saltellando.
“Ahhh, siete due coglioni, non sapete cogliere il bello delle cose!”
“E sarebbe?”
“IO!”, e riscoppiò a ridere, mentre si beccava un coro di insulti e maledizioni che lo facevano ancora più sganasciare.
“Andate a fanculo, coppia di lagne! Vi voglio bene!!”
 
Ed ancora ridacchiante, li abbracciò da dietro, stampò loro un bacio sulla guancia e poi corse di nuovo dentro, urlando che quelli erano i Joy Division e ‘non posso perdermeli aaaaaahhhhhh!!! Ciao finocchi!!’ .
Lasciandoli a ridere ancora per mezz’ora, mentre Dorian era dato ancora disperso, stavolta preso nel maldestro tentativo di aprire la camicetta della tizia.
 
Justin si aggirò ridacchiante per la festa, salutando questo e quest’altro: avevano ragione, era allegro, sì, molto allegro.
Se Dorian non fosse stato così preso, se Shane ed Eddie non fossero stato sempre fuori ad ululare risate alla luna dublinese, forse si sarebbero accorti prima che era praticamente strafatto di anfetamine, grazie alle sue amicizie tra ‘la metà disadattata del Campus’.
 
Ma chi riusciva, ormai, a stare dietro a Justin?
Stava fuggendo per il ‘Più in là’ di gran carriera; Dorian si sarebbe maledetto a vita, di cosa aveva innescato.
*
Dorian iniziò a maledire, ma non se stesso, solo mezz’ora dopo, quando, al bagno, beccò l’amico sotto le impietose luci al neon, le pupille grandi come piattini di tazzine da thè, che ancora rideva, stavolta del suo stupore rabbioso e delle sue prediche che si alzarono via via ad urla, e, incredibilmente, rideva ancora dopo che l’amico gli assestò un paio di sberle, e con Monik, la tedeschina, abbandonò la festa, senza dire niente a nessuno, troppo incazzato.
E Justin continuava a ridere, con il segno delle dita di Dorian ancora stampato in faccia; rideva e ballava She’s lost control dei Joy Division, sprizzando lacrime colorate del nero del trucco fino a metà guancia infuocata.
 
Nessuno dei suoi amici poteva immaginare che, alla fine dei suoi pensieri, da ormai mesi, c’era solo quell’immagine.
 
Lo stadio pieno, la camminata lenta, ed il microfono vuoto.
 
 
**
 
 
-E così, mi vedi…-, pensò Alael, ancora volto verso l’Eternità, ma sentendo la vicinanza del suo nemico.
-No, io non ti vedo, ma quando verrà l’ora del nostro incontro, sarò molto più veloce di te…-.
E finalmente si alzò in piedi, aprendo gli occhi, e mandando un segnale inconfondibile al suo nemico.
Voleva essere visto.
 
Ma rimase comunque immobile, mentre sentiva l’avvicinarsi inconfondibile di Dayer.
Lento, ma inesorabile; forse era questione di pochi anni, ormai.
 
“Dovrei farti soffrire, per quello che hai fatto, Innocente. Ma dato il tuo nome, quando ti eliminerò, capirai che non posso. Non lascerò che il tuo esterno debba essere torturato per il tuo folle piano.”
 
Sospirò.
Per la prima volta in millenni di storia e battaglie, un sentimento nuovo gli invase l’anima, come una cancrena.
Rabbia.
Autentica rabbia verso il suo nemico.
 
“Ti eliminerò rapidamente, Dayer… ma ti eliminerò.”, concluse, e come il suo avversario, chiuse gli occhi e la mente.
 
Il tempo era quasi giunto.
 
 

******************
Mi scuso in anticipo per la mia ignoranza sul sistema scolastico ed universitario irlandese: so che il Trinity college dovrebbe fare parte del Sistema di Università di Dublino, ma allo stesso tempo essere un organo a parte.
Purtroppo non mastico abbastanza inglese da capire che diavolo di legge regoli questo sistema, così sono andata a naso, basandomi anche su esperienze di amici e sulla biografia di quattro personaggi di Dublino.
Se qualcuno ha particolari sbagli su ciò da farmi osservare, per il bene e la veridicità della storia, è pregato di farmelo sapere, grazie infinite
Babs

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Capitolo 12
*** 12. 'Un'infelice e dolorosa infanzia irlandese' ***


12. ‘Un’infelice infanzia irlandese’
A novembre, con la pioggia che martoriava l’Isola di Smeraldo ininterrottamente, i ragazzi iniziarono la prima sessione d’esami universitaria della loro vita, affrontandola con vari atteggiamenti: una sorta di timida decisione (Dorian; studiava tutto, sapeva tutto, ripeteva tutto, ma prima di un esame andava in panico completo), sventatezza (Eddie; col suo mix di ironia e sfrontatezza che era piaciuto tanto anche alla Wenders school, chiacchierava con disinvoltura anche con i più severi professori) e non si sapeva bene se incoscienza o distacco da parte di Justin, che appariva e scompariva per i corridoi e le aule del Trinity come un fantasma, a volte solo, con le cuffie a volume altissimo, ed a volte con le sue nuove ‘amicizie’.
 
Il giorno dopo la festa, Dorian, ancora incazzato nero, aveva telefonato sia ad Eddie che a Shane,e a conclusione della discussione, entrambi sconvolti per il brutto andazzo che aveva preso il loro amico, in tacito accordo avevano deciso di escluderlo dalle prove, per aspettare la sua prima mossa e valutare cosa fare in base ad essa.
Mossa che non era mai arrivata, a due settimane di distanza.
 
Non si era più visto al ‘loro’ bar, per ritrovarsi alla mattina: nonostante nessuno gliene avesse fatto una parola, era come se avesse capito di non essere desiderato.
Se Justin incrociava Dorian al Trinity lo salutava con un sorriso smagliante, come se niente fosse successo, mentre l’altro assottigliava gli occhi e tirava dritto, non dopo averlo radiografato da testa ai piedi con uno sguardo disapprovante, cosa di cui Justin pareva sbattersene altamente, come delle volte in cui il biondo si girava da un’altra parte platealmente per non essere costretto a salutarlo.
 
Quando Shane, un paio di giorni dopo, gli aveva telefonato per dirgli che, in vista dei loro esami, le prove sarebbero saltate per due settimane, aveva acconsentito, mezzo addormentato; l’aveva svegliato dal primo sonno che faceva da quella maledetta festa, ma non poteva certo dirglielo, visto pareva già essersi dimenticato che Dorian l’aveva sgamato.
 
Justin aveva chiacchierato con l’amico per una decina di minuti, prima che le risposte evasive di Shane lo costringessero ad abbandonare il campo; non si sapeva quando le prove sarebbero riprese, in fondo Eddie aveva una settimana di svantaggio, in sessione d’esami, rispetto al Trinity, da recuperare, e Dorian aveva chiesto un time out per vedere un po’ più spesso Monik, che abitava negli alloggi del Trinity in città, visto che le cose con lei sembravano fattesi serie.
 
Justin era parso un po’ stupito all’amico, ma neppure troppo; sembrava più voglioso di rimettersi a letto: non aveva neppure fatto battute stupide sul fatto che Dorian finalmente avesse trovato una ragazza di cui tener conto, visto i suoi trascorsi in cui aveva allegramente buttato i cuori infranti della Wenders School nel cassonetto, tirando dritto a testa alta.
Aveva salutato e poi era praticamente sparito.
Quasi.
 
**
 
“Io non ce la faccio più, parola.”
 
Lo sfogo, prevedibilmente, era partito da Eddie; era il più sveglio, il più pratico, ma in quanto a tenere segreti era un totale incapace, e quella prova, la terza in cui pioveva a dirotto e Dorian si era posizionato alla voce (aveva almeno avuto la creanza di portare un microfono da casa sua) provvisoriamente, al posto di Justin, unita alla tensione di dover affrontare tre esami in due settimane, di cui uno lo preoccupava moltissimo ed era giusto tra tre giorni, aveva avuto la meglio sulla sua nota irresponsabilità.
 
Dorian si girò accigliato dal microfono, mentre Shane lo fissava interrogativo.
“Andavo fuori tempo? Mi spiace ma ho preferito badare al passaggio di chitarra, non mi riesce facilmente un tono alto di voce come…”,e non finì la frase, come tutte le volte che i discorsi andavano a parare su Justin.
Per un paragone vocale o per il semplice fatto che Dorian, impegnato con la chitarra, non teneva assolutamente il suo passo come cantante ed avevano dovuto sacrificare, ogni volta con sofferenza, molte canzoni dalle loro cover.
 
Eddie sospirò, dalla batteria.
“Mi sento un dannato cospiratore, Dorian. Voi no?”
Si era rivolto a Dorian perchè era stato quello che più aveva insistito per andare avanti con le prove, e Shane aveva accettato il fatto come naturale, mentre Eddie aveva avuto subito dubbi, che aveva messo a tacere per amor di pace, ma ora stava scoprendo che la pace non significava neppure lontanamente ad un gruppo ben amalgamato, come erano stati prima.
 
Dorian lo guardò durò, e si allontanò dal microfono per farsi sentire, creando così un feedback fastidioso con la chitarra, ma non abbandonando gli occhi di Eddie con i propri, che sembravano fatti di giada, da tanto si erano induriti.
“Sia chiaro che io non ho voluto questa situazione, và bene?”
“E allora cosa facciamo, per il futuro?”, chiese, quieto, Shane, mentre abbassava il volume del mixer, facendo cessare la tempesta di scariche elettriche.
 
Voilà.
La domanda che si trascinava da due settimane tra Dorian ed Eddie, dalla mattina al bus alla sera quando si incontravano, era stata posta.
Nessuno si meravigliò che l’avesse chiesto Shane; se accettava le cose con quella che sembrava quasi una passiva rassegnazione, era anche quello che le metabolizzava lentamente, soppesava le decisioni, e prendeva solo più tardi una direzione concreta.
 
E, con la massima calma del mondo, poneva le domande scomode.
 
Dorian, a quella domanda, non trovò di meglio che guardarlo, poggiare Phoenix al poggiachitarra e scompigliarsi i capelli, sospirando.
“Non… non lo so. Cosa vuoi dire con  futuro, Shane?”
“Vuoi che andiamo avanti così, senza Justin, eliminando gradualmente cover e sostituendole con le nostre? Sai che dovremo cambiare anche stile, un po’, vero?”
“Se è per la voce io ho sempre detto che non sarei riuscito a…a sostituire Justin, Shane!”, gli parlò praticamente sopra Dorian, quasi urlando, in una sorta di giustificazione rabbiosa.
“Non è per la voce, Dorian. La tua voce è quasi più duttile di quella di Justin, e in tre prove sei cresciuto tantissimo, e l’abbiamo sentito tutti.”, intervenne Eddie, costringendo l’amico a girarsi di nuovo.
Dorian si sentiva attaccato, si vedeva benissimo, e sarebbe stato capace di mordere; quella sarebbe stata la vera fine del gruppo, se anche lui avesse mollato, perciò Eddie e Shane avevano lasciato perdere l’argomento fino allo scoppio di Eddie di poco prima, e tentavano di parlargli con toni rassicuranti, ben sapendo che era un equilibrio che sarebbe stato in piedi per poco tempo.
“Il fatto della chitarra. Non ci hai pensato? Ora Shane deve fare molte più cose, se mancano anche solo quei due accordi o tre che faceva Justin; e tu devi limitare comunque la voce o la chitarra, non seiancora abituato a gestire entrambe, specie visto sei un ritmico\solista.”
Eddie evitò di menzionare il fatto che, secondo lui, Dorian non sarebbe mai riuscito a gestire entrambi, viste le volte che preferiva saltare le parti vocali pur di non attivare con uno scarto di microsecondi un effetto, quando Shane, sempre col suo tono quieto, lo anticipò.
 
Purtroppo.
Shane era una sicurezza per affrontare argomenti scomodi, ma proprio per questo, a volte, era anche un pericolo.
 
“Dorian, tu sei praticamente un solista, e non puoi negare che il suono stia diventando più scarno, più new wawe. Le canzoni che hai scritto… Le hai scritte con questo intento?”
“Non voglio più sentire il termine new wawe o post punk in vita mia!”, sibilò Dorian, memore della discussione avuta su Transmission dei Joy Division con Justin.
 
Eddie vide con chiarezza cosa sarebbe successo, ma non potè evitare che succedesse.
Era come un’anteprima cui era solo spettatore, non aveva potere di intervenire; spesso, nei momenti critici, aveva questo maledetto tocco di preveggenza che lo faceva andare ai matti.
 
Shane incrociò le braccia, davanti al Fender blu fiammante, e guardò Dorian, con decisione.
“Allora dobbiamo prendere un altro cantante, Dorian. Se vuoi un suono più pieno, dobbiamo avere un solista e magari che sappia suonare …”
“..la chitarra ritmica, certo! E magari anche il pianoforte! Avresti il coraggio di prendere un altro cantante, Shane?!”, lo aggredì, stavolta urlando per davvero, ai limiti dell’isteria.
Shane stette zitto, ma il suo sguardo determinato non abbandonò l’amico, che si portò Phoenix come a protezione, in braccio, a fronteggiarlo.
“Vorresti abbandonare Jus… lasciare che in questo gruppo entri uno sconosciuto?! Dopo tutto quello che abbiamo fatto, specialmente questa estate?! Vorresti…”
“Di chi è stata l’idea di continuare senza Justin?”, lo interruppe, calmo, il moro.
Dorian accusò il colpo quasi fisicamente, facendo un passo indietro e sgranando gli occhi.
“Vorresti.. per caso mi stai accusando di volerlo far fuori?!”
“Ti ho solo fatto una domanda, mi pare.”
Dorian rimase interdetto un attimo, poi due luccichii sinistri gli brillarono negli occhi; rabbia pura.
 
Era vero, aveva insistito lui per andare avanti con le prove, ma solo nella speranza che Justin si rimettesse.
Che tornasse.
Non voleva certo abbandonarlo; ma ora si rendeva conto di avere fatto proprio quello che i suoi due amici più cari lo stavano, forse inconsciamente, accusando.
Chiuse gli occhi, passandosi la mano sulla fronte, come se sentisse un fortissimo mal di testa.
 
“Dorian, Shane non ti sta accusando di niente, ma penso dovremo valutare delle possibilit…”
“Valutate voi.”, disse, con voce atona, ad occhi chiusi.
 
Davvero, credevano di andare avanti?
Aprì gli occhi, e dopo un momento di vertigine, staccò il jack e andò verso dove stava la sua custodia.
“Dorian…”
“Ho un bruttissimo mal di testa, ragazzi, e domani ho l’esame di Letteratura inglese dell’800. Orale, e sapete come mi agito agli orali.”
Sospirò, chiudendo Phoenix in custodia rigida, evitando di guardarli, e girandosi solo per mettere la giacca.
“Il bus passa tra quasi un’ora, Dorian.”
“Mia madre ha detto che sarebbe venuta a prendermi, doveva venire in città.”,e rivolse un sorriso di scuse ad Eddie. “Se vuoi, puoi venire anche tu, io penso approfitterò del passaggio.”
 
Eddie lo guardò per un attimo, poi scosse la testa ed accennò ad un sorrisetto debole quanto il suo.
“L’autista del Dublino-Linayr si sentirebbe solo, senza neanche un passeggero serale nell’ultimo pezzo di tratta. Io e Shane restiamo a ripassare la sezione ritmica di ‘Silences’, è bella ma necessita di un’apertura migliore, e devo sentire bene come il basso cambia ritmo.”
“Bene, allora… noi ci vediamo domani mattina, Eddie.”, mormorò Dorian, sollevando Phoenix ed accendendosi una sigaretta. “Shane…”
“Ho dei brutti turni questa settimana, ci vediamo venerdì prossimo. Così decideremo se uccidere Eddie o festeggiare quell’esame di Marketing alberghiero con cui ci sta frantumando le palle!”, sorrise Shane, semiserio.
“Bene. Ragazzi…”
“Saluta tua madre, e non perdere gli occhi su quello stupido libro.”
“Lo prometto.”, ghignò Dorian, chiudendo la porta e strizzando la porta.
Un ghigno che era solo una pallida imitazione dei suoi sorrisi.
 
**
 
“Non ha capito cosa volevo dire.”
“Non è ancora tempo, Shane.”, sospirò Eddie, scendendo dalla batteria. “Non riusciremo ad affrontare presto questo argomento.”, continuò, pensoso, mettendosi una felpa sopra la maglietta.
“Che fai?”, chiese l’amico, interdetto, mentre, senza rendersene conto, si toglieva il basso dalla spalla.
“Ti sembra che possiamo ancora provare? Andiamo a bere qualche birra, và.”
Shane scosse la testa, e spense il suo amplificatore e tutto quello che Dorian, nella sua agitazione, aveva lasciato acceso.
Eddie lo sorprese con una mano sulla spalla, mentre si accucciava a mettere via il suo basso.
“Ti prometto una cosa, Shane. Presto o tardi questa brutta faccenda salterà fuori. Non può nascondere la testa nella sabbia per sempre.”, e gli scappò il primo sorriso della serata, dicendolo.
 
“Dorian tiene al gruppo più di qualsiasi cosa al mondo. Purtroppo tiene anche a Justin. Dovrà affrontarlo, prima o poi. E’ stato lui, per primo, a dire che le due cose sono incompatibili; sarà il primo a fare marcia indietro o…”,e non finì la frase.
 
Non voleva neanche esprimere a parole i suoi timori; che fosse veramente arrivata la fine di tutto.
E per quello scemo di un tritapastiglie di Justin, oltretutto!
La sola cosa lo irritava, come lo irritavano sempre di più i racconti delle sue condizioni di quando lo incrociava\scannerizzava Dorian, per le aule della Trinity.
Se ci fosse stato lui, per i corridoi dello stesso college, gli avrebbe cancellato il sorriso da ‘siamo-sempre-amici’ con un paio di pugni belli assestati, e poi l’avrebbe portato davanti agli occhi, probabilmente fino a quel momento ciechi, di Edele, a lasciare che finisse lei il lavoro; non avrebbe sofferto nel vedere uno dei suoi migliori amici ridursi quasi ad uno scheletro, e sorridergli, pure, come un dannato fuggito dall’inferno.
L’avrebbe fatto rinsavire molto prima, oh sì.
 
Una visitina al Trinity college si imponeva, dopo gli esami.
 
Mentre si metteva la giacca, la voce di Shane interruppe i suoi pensieri.
“Cosa? Scusa, stavo pensando.”
“Stavo dicendo che c’è anche un’eventualità a cui non abbiamo pensato.”
“Quale?”
Shane pensò bene se dirla o no, con una mano sotto il mento, assorto a sua volta nei suoi pensieri.
“Che Dorian non voglia affrontare tutto questo.”
“Allora lo costringeremo, Shane.”
“No, Eddie.”, sospirò l’amico, prendendo a sua volta il suo pesante chiodo di pelle.
“Se dovremo arrivare al punto di costringere Dorian a parlarne, vuol dire che avremmo perso anche lui.”
 
**
 
Dorian non aveva mentito, e, come Eddie ipotizzò con Shane, al pub, non era neanche andato a casa di Justin a fargli mettere giudizio.
Era davvero tornato a casa con la madre, vergognandosi anche un po’ di farsi scarrozzare in quel modo,come un principino viziato, ma doveva restare solo.
Andarsene.
Pensare un po’.
Rigirarsi nel letto, come faceva da un bel po’, vuoi per il nervosismo per i primi esami da adulto della sua vita, che per la situazione che si era creata.
 
I suoi amici avevano ragione: finchè non gliel’avevano sbattuta in faccia, non si era reso conto di aver preso delle decisioni senza volerle prendere veramente, in quella situazione assurda.
Perché non aveva parlato a Justin?
Perché non ne avevano parlato assieme?
 
Il giorno dopo, Eddie ebbe un bel tenere il bus fermo per Dorian, per studiare in biblioteca a Dublino.
Dorian non si sarebbe fatto vedere per i prossimi tre giorni.
 
E la fine, non solo del gruppo, pareva ormai inevitabile, a quel punto.
 
**
 
“Com’è andato l’esame di Letteratura inglese dell’800?”
La voce, probabilmente di uno dei suoi compagni, lo strappò ai suoi pensieri, mentre cercava il suo voto dell’esame precedente, ‘Storia Contemporanea della Repubblica d’Irlanda I”.
 
Se non fosse passato col massimo dei voti (com’era successo, effettivamente), sarebbe andato al secondo modulo con un lanciafiamme; era persino arrivato a parlare con suo padre, pur di avere più informazioni sulla politica interna irlandese negli anni ’70.
Mentre percorreva, con un dito, il foglio in bacheca, cercando il suo nome tra gli esaminandi, si girò di pochissimo a dare la risposta di pragmatica, che finchè non avesse visto il voto, non avrebbe risposto a domande se non in presenza del suo avvocato,ma la battuta gli morì in gola, quando vide…
 Justin, con un sorrisone ed il suo nuovo marchio distintivo che erano i suoi capelli neri sempre in piedi, appoggiato ad una colonna che aspettava la risposta, con l’aria più naturale del mondo.
 
Non del tutto naturale, forse; le mani gli tremavano leggermente, e le teneva nascoste, con poco successo, sotto le ascelle, in una sorta di posa.
 
“Bene…penso. Bene.”, rispose Dorian, senza accorgersi di aver sgranato gli occhi.
“Ottimo!”, mosse la testa Justin, gli occhi più trasparenti del solito, per chissà quale diavoleria si fosse ingoiato quel giorno.
Ad un esame un attimo più accurato, mentre controllava che la sua mascella non si fosse svitata e caduta, e mandava al diavolo il voto di Storia, Dorian notò che anche gli angoli della bocca di quel falso sorriso tremavano, e decise, senza pensare, di dargli una mano a togliersi da quella situazione, che, secondo dopo secondo, pareva farlo morire sotto tensione.
 
“Sì, ottimo.”, riprese il discorso Dorian, per poi continuare, senza dargli modo di parlae. “Che ne dici di andare al bristot dell’ala sud per prenderci un caffè, se dobbiamo parlare? Sto morendo di freddo.”, disse, con disinvoltura, prendendolo sottobraccio per avviarsi.
“Anch’io.”, ammise, Justin, non opponendo resistenza, e avviandosi con lui, smorzando il sorriso ma riuscendo notevolmente ad apparire più naturale.
Dorian gli lanciò un’occhiata di sfuggita e si mangiò quel che il suo cervello urlava.
-CERTO che hai freddo, razza di imbecille!! Ci navighi in quella giacca, ed ha solo un mese e qualcosa di vita! Ti si vedono solo occhi e denti! Sembri la pubblicità dell’anoressia, ormai! Idiota! Idiota tu ed idiota IO che non ho fatto niente! No, idiota io che ti sto dando una mano! Insomma, IDIOTA!!-
Invece, ostentatamente senza guardarlo, tirò dritto, verso il bistot semivuoto, grazie al periodo d’esami, fermandosi solo prima di entrare, e prendendolo per un braccio.
 
Lo sguardo di Justin era un po’ sorpreso di quella mossa, ma non vuoto come l’aveva visto in quelle ultime, terribili settimane.
 
Era disperatamente lucido.
E disperatamente era la parola giusta; pareva che Justin fosse reduce da una passeggiata all’Inferno e che stesse quasi per prendere la cittadinanza, avendo scambiatolo per un posto ameno, e che stesse per scoprire che le aiuole fiorite in realtà avevano radici di serpi.
 
Dorian intensificò la stretta sul braccio dell’amico, vedendo una nota di panico apparire negli occhi enormi di Justin, e lo tirò vicino, parlando a voce bassa, ma decisa.
“Perché dobbiamo parlare, vero? Non mi farai sprecare tempo, spero.”, disse in un soffio, suonando più severo di quel che intendesse.
 
Justin per un attimo sembrò addolorato, e Dorian quasi si scusò, da quanto vide in quegli occhi, quando l’amico gli rispose, con un sorriso amaro.
“Certo. Ma non qui. Stasera, alle 21, al Grand Canal Docks.”
 
Ed entrarono a prendersi il primo caffè della loro nuova amicizia.
 
**
 
“Di tutti i posti che avevi, proprio i docks dovevi scegliere, razza di stronzo?! Sto GELANDO!!”, si lagnò Dorian, nell’urlo del vento del mare d’Irlanda.
 
Dieci minuti.
Erano bastati dieci minuti a parlare di esami, professori, Edele, i nuovi dischi che Justin stava ascoltando (la droga poteva cambiare tante cose, ma restava il solito tritadischi), con un’ impensabile virata verso l’industrial americano ed una invece molto prevedibile verso lo shoegaze inglese (non appena aveva fatto sentire un disco dei Jesus and Mary Chain che aveva con sé, Dorian ne era rimasto a sua volta affascinato dalle sonorità) , confrontando gli appunti del prossimo esame che avevano in comune, e Dorian si era accomodato di nuovo nella routine di parlare con Justin, come se le settimane trascorse non avessero cambiato nulla.
Ed ovviamente si sentiva libero di poterlo insultare per la scelta del posto o di qualsivoglia cosa.
 
L’amico sorrise, scendendo verso il Liffey, che tirava alte onde, nella baia, andando a scontrarsi con l’acqua del mare, quel loro mare così freddo e bello.
“E’ il nostro posto, no?”
Cazzate!”, rispose Dorian, tremando.
“Vorresti rintanarti nel casino di un pub? A casa mia con mia madre che sta attaccata alla serratura a lucidare il buco della chiave con l’orecchio?A Linayr?”
“…vaffanculo!”
“Così mi piaci, passerotto!”, scoppiò a ridere Justin, sedendosi ed avvolgendosi ben bene nella giacca e nella sciarpa.
Dorian gli si accomodò a fianco, bestemmiando forte per doversi ghiacciare il culo.
 
“Piantala di lamentarti e dimmi un po’ di cose.”, gli intimò Justin, con un sottofondo irridente nella voce.
“Eh? Ma se abbiamo…”
“…evitato con cura l’argomento, Dorian. Non raccontare balle ad un ballista.”, e Dorian si sentì scandagliare l’anima ed i pensieri più nascosti dagli occhi trasparenti di Justin, fattisi improvvisamente più duri ed inquietanti.
Alzò le mani, senza sorridere, e senza neppure più accennare a buffonate sul freddo.
“Alright. Cosa vuoi sapere, rockstar dei gloriosi anni ’80?”
 
“Lo sapevo!”, sibilò Justin, alzandosi in piedi di scatto. “E’ per via delle anfe che mi ero calato alla festa! E invece di parlarne…”
“E tu invece di parlarne, cosa hai fatto?!”, si alzò anche Dorian, fronteggiandolo, tutto d’un tratto furioso. “Sei andato avanti!,anzi in basso! Con una scavatrice! Ma Cristo, guardati!!”,esplose, mentre Justin sgranava sempre più gli occhi, come ritraendosi dalla sua furia.
“Sei..sei…un tossico! Tu, il mio miglior amico, sei diventato un tossico, così, e per cosa?! Per inseguire cosa?! I tuoi sogni di gloria?! Per cercare ispirazione?! Per cosa, in nome di Dio?! “, urlò Dorian, al limite dell’isteria, per poi finire in un tetro calando.
 
“Per costruire una leggenda, bisogna prima creare qualcosa, Justin. Non iniziare a morire prima di aver fatto niente.”
 
Justin era allibito, letteralmente a bocca aperta.
“Dorian…”
“Non ci muoviamo da qui finchè mi spiegherai tutto, Justin. Tutto.”, intimò, sempre con la sua nuova voce tetra, piena di vetri, che aveva appena scoperto.
Justin lo guardò e poi si girò verso la baia, offrendo la sua faccia scavata al vento gelido impietoso.
“..non credevo sarebbe stata così violenta, questa… questa… cosa.
“Lo sarà, Justin.”, continuò, implacabile Dorian, ma senza muoversi. “Ma non possiamo lasciarla andare così. O possiamo. Dipende da te.”
Come mesi prima, vedeva solo la silhouette scura dell’amico, contro la luna, chiara e gelida in quell’impietoso clima.
“Dipende da me…”, sembrò ragionare Justin, incrociando le braccia, con uno spicchio della faccia in un gioco di luci ed ombre nella luna. “Dipende da me, fermare questa giostra?”
“Sì.”
“O? Semplicemente si scioglierà il gruppo, o se preferisci un termine più crudo, mi sbatterete fuori, e parlo al plurale perché senza di me il leader maximo sei tu e lo sai bene…”
“Io non sono…”
“…o sarà la fine della nostra amicizia? Di tutta la nostra amicizia?”
 
Dorian boccheggiò un attimo, preso in contropiede; possibile Justin gli leggesse così a fondo?
O ci avesse pensato tanto quanto lui?
O forse…persino di più?
“Non succederà, Justin. Basta tu sia più sincero, e la nostra amicizia non finirà.”, disse, con tono più caldo, e come se l’altro lo potesse vedere, sorrise, come a scusarsi.
“Visto che hai intuito del gruppo, ti risparmio… le spiegazioni. E’ stato un momento. Non potevo vederti in queste condizioni nella nostra cosa più… più sacra. Se ci pensi…”
 
“Io non penso.”
 
La voce di Justin sembrò fendere l’aria come un coltello, portando con essa uno sciame di goccioline, ma non di sangue, bensì di disperazione.
“Cos…”
“Non penso più, Dorian. Non dormo. Non…”, e la voce iniziò a tremare, mentre Justin accallava parole, una sopra l’altra. “Non mangio. Non studio, e non voglio prediche per questo. So di aver passato almeno tre dei quattro esami che avevo. Non.. non vado a casa. Non sto facendo niente, ma… “, e, nell’oscurità rischiarata solo dalla luna e lontani lampioni, Dorian lo vide portare la mano alla bocca, come per fermarsi.
 
Una mano che tremava notevolmente.
 
“Justin. Cosa mi vuoi dire?”, si avvicinò, gentilmente, Dorian.
“Stai là, Dorian. Stai lontano, per.. per favore.”
Ancora quella voce tagliente e tremante; sembrava che Justin si stesse trattenendo.
Forse aveva trattenuto qualcosa fino a scoppiare.
“Cos’hai… cos’hai fatto, Justin?”, tentò di nuovo, Dorian, con voce rassicurante.
 
Justin sospirò, e tolse la mano, portando di nuovo le braccia incrociate davanti a lui, incurvandosi un po’ per fare fronte allo scudiscio del vento della baia.
“Non ho fatto niente, Dorian.”, disse, flebilmente. E poi sospirò, tremante.
“Io vedo.
 
Dorian inclinò la testa, tentando di scorgere di più del viso dell’amico,senza successo.
“Cosa vedi, Justin?”
“Io vedo. E sento.”, ripetè, Justin, più sicuro, ma di certo non rassicurato.
 
La sua paura si poteva toccare con mano.
 
“Ma cosa vedi? O senti?”
Justin si voltò di pochissimo, e Dorian potè vedere quanto spiritati fossero diventati i suoi occhi.
-Andato. Questo è completamente andato. Vattente, Dorian-bello, prima che gli salti qualcosa in testa e ti butti nella baia! –
Ma qualcos’altro lo fece rimanere; qualcosa di più antico dell’istinto di sopravvivenza.
 
Forse qualcosa che aveva visto negli occhi, grandi come la luna, di Justin, che sembravano senza colore, in quello scenario desolato come la sua voce.
 
Cruda, gelida, ma resa triste da quel velo di luna.
“Sai che mio padre si suicidò?”
“N.. avevi sempre detto che fu un incidente. A Limerick. E che…che vi picchiava. Tu e tua madre.”
“Si suicidò.”, continuò, imperterrito, Justin. “Me lo raccontò mio cugino Fionàn quella volta che andammo al rave a Londra. Sul traghetto di ritorno. Forse voleva distrarmi. Forse ce l’aveva con me perché dovemmo tornare prima di andare in Scozia, per colpa mia.”, abbaiò una risata, secca.
“Non… non me l’hai mai detto. Perc…”
“Si suicidò… Non ne ho accennato neanche a mia madre, non vorrei scatenarle dei sensi di colpa.”, sembrò riflettere Justin. “Sono questi giorni… da quel giorno della festa…”, e la sua voce, che stava assumendo dei toni quasi sognanti, si interruppe, e finalmente si voltò a guardare Dorian.
Stava piangendo, ma sembrava che non si stesse accorgendo delle lacrime che stesse versando, come se fosse un’altra persona.
Sembrava da un’altra parte, mentre, implacabile, tornava a parlare.
“Da quando mi avete abbandonato. E’ vero, mi sono fermato a giocare un po’ con le pastiglie. Con l’ero, anche. Chi se ne frega? A chi interessava? Non a voi. Non a  te, che tiravi dritto e mi mostravi solo quanto schifo facessi.”
“Justin, io…”
“Non importa. Non importava e non importa. Lo sbaglio è stato mio. Avrei dovuto prendere prima il coraggio e parlarti, come oggi. Sapevo che mi avresti aiutato, ma non riuscivo ad avvicinarmi.”, e le sue ultime parole andarono perse nel vento.
 
“Pensavo di meritarlo. Di essere maledetto. Ora so che non è così.”, bisbigliò.
 
“Justin… cosa è successo a tuo padre?”, chiese Dorian, davvero spaventato, in quel momento.
“Si suicidò.”, ripetè l’amico, come una macabra cantilena. “Non lo sapevo, Fionàn me lo accennò e io me lo dimenticai, ma in questi… ultimi giorni, ho ricordato tutto.”, e ripetè quello strano verso che assomigliava ad una  risata. “Lui era un duro di Limerick e tutto, repubblicano e cattolico. Rapì un bambino e poi lo abbandonò, al freddo, in quei boschi vicino alla tangenziale dove morì. E pochi chilometri dopo si schiantò con la sua moto.”, concluse, sempre con quella voce assente, e quelle lacrime che scendevano, lente e inesorabili.
“Oddio, Justin…”
“Non ricordavo.”, cantilenò, per poi continuare.
Purtroppo.
“L’altra sera, come un flash, ho ricordato tutto. La disperazione di mia madre. Voleva divorziare, non ne poteva più di botte. E il bastardo mi rapì, ma dovette fuggire e…e mi abbandonò. Mi trovarono a mattina, assiderato. Il flash della polizia. Il freddo della barella dell’ospedale.”
-Certamente meno freddo della tua voce, Justin…-
“Ed il freddo della notte. Quando mi lasciò sulla superstrada, quella dove si schiantò. Non so perché mi lasciò andare, ma lo fece, e mi ritrovarono…”
“Ti…abbandonò?”
“…e pochi chilometri dopo c’era il suo cadavere.”
 
“Dio mio, Justin…”, chiuse gli occhi Dorian, ma si ritrovò a riaprirlì, conscio del movimento che aveva fatto l’amico, che in un attimo gli era di fronte, e l’aveva preso per un braccio,scuotendolo.
 
Perché mi lasciò andare?! Perché non mi portò con sé?! Perché devo vedere queste cose?! Adesso so!! Come sapevo che non mi volevate più! Vedo solo le cose brutte ,Dorian! Le cose brutte! E..e magari non sono neppure vere!! ORA SO, SO TUTTO, RICORDO TUTTO!! E NON POTEVO DIRLO A NESSUNO!!”,e finalmente si afflosciò in singhiozzi contro l’amico, lasciandogli il braccio, con Dorian che prontamente lo afferrò, sconvolto.
“Come… come hai fatto a sapere queste cose, Justin, se… se non le sapevi?”
“Ricordi… ricordi rimossi… la droga…”, sospirò Justin, tra i singhiozzi. “Flashback. Immagini. Io… Non le voglio, Dorian. Non dormo da due giorni, ma quando finalmente dormirò… io… non prenderò più niente, e sopporterò il fatto di non dormire ma… no, più niente.”
“Non sai quanto sono felice di sentirtelo dire.”, mormorò Dorian, accarezzandogli i capelli.
 
“Io.. stavo male, e non c’era nessuno, Dorian.Nessuno!”, singhiozzò Justin, lasciandosi abbracciare, rilassandosi finalmente, forse per la prima volta da mesi e mesi.
 
Dorian sospirò, e quando sentì il pianto di Justin esaurirsi, lo tirò in piedi, mentre questi si asciugava le ultime lacrime.
“Mi spiace per quello che ti è successo, Justin.”, e si sentì vicino a sua volta alle lacrime.
 
Sapeva perché l’aveva lasciato, ma non poteva perdonarsi così facilmente.
 
Justin rimestò l’aria con la mano,stropicciandosi gli occhi con l’altra.
“E’ roba passata. A volte mi sembra che non sia successo a me.”, sospirò.
“Lo so.”, rispose Dorian, con calore. Anche a lui, a volte, sembrava impossibile essere stato picchiato dal padre.
 
Essere stato così vicino al voler morire.
 
Ma d’un tratto lo ricordò, e, mentre si allontanavano dal Grand Canal Docks, per l’ultima volta nella loro breve vita, disse qualcosa che sarebbe tornato a tormentarlo, più avanti.

”Se parlerai per primo, se chiederai… Non ti lascerò mai più solo, Justin.”
Justin camminò un altro po’, sempre verso il centro di Dublino, allontanandosi per sempre dal loro posto, che ultimamente aveva portato loro più sofferenza che altro.
 
Era ora di crescere.
 
“Dorian…”
“Dimmi.”
“Se aspettiamo un altro po’, scommetto che scopriremo che anche Eddie ha avuto un’infelice e dolorosa infanzia irlandese.
Dorian si fermò a bocca aperta, mentre Justin lo superava e poi si fermava, guardandolo, ed aprendosi d’un colpo in un sorriso.
Il suo sorriso.
“Eddai… E’ l’unica soluzione che vedo, di fronte al fatto che siamo tutti così fottutamente belli e talentuosi!”
“Justin…”
“?”
Vaffanculo!”,rise Dorian, sbattendosi una mano in faccia, felice di averlo ritrovato.
 
**
(Venerdì)
 
“Beh, era ora che arrivassi!”, inveì Eddie, contro Dorian, che appoggiava, con la solita delicatezza, la chitarra a terra.
“Oh, calma… ho anche dovuto portare una cosa in più!”, brontolò il biondo, togliendosi con calma la giacca.
“Spero sia qualcosa che ti faccia cantare meglio!”, scherzò Shane, mentre si avviava a chiudere la porta, lasciata aperta dall’amico.
“Sì, lo è…”, ghignò Dorian, e Justin saltò dentro con un urlo di saluto, ma senza guardare, e cocciò dentro Shane, zucca contro zucca.
Eddie iniziò a ridere, mentre Shane si teneva il naso, e Justin la testa, e Dorian si metteva la chitarra a tracolla, iniziando anch’esso a sghignazzare.
“Non c’è male, come ripartenza!”
“Ba’fangulo, Eddie!”, bestemmiò Shane, tamponandosi il naso con un fazzoletto, ridendo allo stesso tempo, e tirando su il peso piuma dell’amico, anch’egli ridente, con disinvoltura.
 
“Speriamo che questa zuccata ti abbia fatto passare tutte le stronzate che avevi nel cervello!”, gli intimò, falsamente minaccioso, Shane, rimettendolo in piedi e intrappolandolo in un abbraccio, con il basso in mezzo.
“Ahia!, se non bastasse la tua, ci ha pensato anche il tuo stramaledetto basso nuovo, a darmi la benedizione!!”
 
La prima reunion degli Interferences si svolse in quel modo; ben diversa dal futuro.
 

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Capitolo 13
*** 13. L'Impatto ***


13. L' impatto
 
Dopo la ‘Grande Riconciliazione di Novembre’, come la chiamò Shane, le attività del gruppo si mossero verso acque più agitate, e se il ritorno di Justin diede una speranza inaspettata a quello che era stato un semplice gruppo di ragazzini del Liceo intenti a copiare canzoni dei loro miti, proprio lui fu l’elemento destabilizzante interno. Il fatto che avesse smesso di fare ‘stronzate’ si rivelò una mera illusione, ma d’altra parte, dopo altre due o tre litigate di tono più leggero, lasciarono anche perdere la convinzione di poterlo cambiare: a Justin piaceva flirtare col rischio, e ormai tutti avevano capito che, a parte rari casi, non si spingeva più in là dell’assunzione di anfetamine.
Aveva persino rivelato che, nonostante poi crollasse per due giorni di seguito, gli era diventato quasi vitale fare quelle notti sveglio, a scrivere, o a sognare. Qualche volta, persino, studiava, e visti i suoi risultati agli esami, c’era da crederci; d’altra parte, non si perdeva in giochi pericolosi, come mixare le pastiglie con altro o con troppo alcool, e nonostante i giorni in cui ‘recuperava’, si presentava sempre in aula o alle prove.
Era un azzardo lasciarlo fare, ma controllarlo sarebbe stata l’alternativa, e un altro periodo di guerriglia civile non era ciò che serviva al gruppo, non ora che iniziava ad ingranare sulle marce più alte, provando le nuove canzoni persino in dimensione live al Queasy.
 
Sembrava che Dorian avesse compiuto il miracolo, ma non si era capito che il vero miracolo era stato solo ascoltare il suo sfogo, la solitudine che aveva dentro e che da secoli non riusciva ad esprimere.
 
In positivo, Justin aveva accettato il progressivo allontanamento di tutti dal nucleo originario, al quale si era opposto persino in modo tragico durante l’estate: Shane usciva spesso con dei colleghi, Eddie si faceva vedere sempre più con suo fratello e i musicisti di Linayr al Queasy, entrando in un giro di gente più adulta che trovava gratificante. Il confronto con colleghi più vecchi gli stava facendo capire molte cose sulla batteria, sul suo drumming, e perdeva notti intere a discutere e suonare.
Persino Justin uscì con un paio di rockettare del suo corso: buchi nell’acqua in partenza, ma iniziava a farsi un nome nella piccola comunità di musicisti del Trinity, sia per essere un amico prezioso per le ragazze , di solito trattate dall’altro al basso dai maschi - come se la rivoluzione riotgrrrls non fosse mai avvenuta - ma anche per la sua disponibilità a  prestarsi come vocalist per qualsiasi progetto gli venisse proposto.
 
Dorian era, a detta di tutti, il caso più ‘grave’. Quando non era in sala prove, era a Dublino a studiare con Monik, la fidanzatina tedesca: ormai era un tran tran consolidato.
Che poi, invece di studiare, andassero al cinema, in Temple bar o facessero tutt’altro, erano affari loro. Comunque Dorian era maledettamente preso, e aveva lasciato di sale tutti, una volta, parlando di un’eventuale vacanza in Germania, comune, ovviamente, a Wittemberg, la città di Monik, lodandone le bellezze e la sua vicinanza con Berlino, in uno spudorato tentativo di irretire i suoi amici.
 
Il suo rapporto, che all’inizio aveva fatto ghignare d’incredulità e dato il via ad un giro di scommesse alle sue spalle, pareva più solido di quanto il biondino volesse far credere, con la sua vena non ancora sopita di superficialità a tutti i costi. La prova definitiva era l’aver portato la sua fidanzata anche ad una serata di prove (cosa che aveva non poco agitato gli altri, visto stavano definendo le nuove canzoni) e, nella sua incontenibile vanità, anche al Queasy, riempiendo per una volta il bus Dublino-Linayr, visto la piccola Monik aveva portato almeno sue venti compagne di Erasmus tedesche con lei, entusiaste di evadere dal campus.
 
Stranamente, in quell’occasione, la band non era agitata, anzi Justin aveva improvvisato stranissime sfilate in passerella sul palco, e ancheggiamenti nei suoi pantaloni di pelle e capelli neri gettati all’indietro con mosse improvvise, con l’asta del microfono trascinata con finta noncuranza da consumata rockstar, mentre Shane si gettava spalla a spalla col vocalist, come le inossidabili coppie rock and roll, e da solo continuava a fare improbabili mosse da bass hero, headbanging in primis.
 
I loro sforzi erano comunque inutili, poiché la prima (ed anche la seconda) fila, composta di ragazze Erasmus e altre di Linayr che ormai andavano al Queasy solo per vedere gli Interferences e che si erano lanciate avanti, vedendo l’assembramento, avevano tutte occhi solo per Dorian, che da consumato chitarrista mandava scintillanti assoli di ghiaccio con Phoenix, stoppandosi per riprendere la ritmica con forsennato vigore.
 
Inutile dire che quella sera il tempo delle canzoni andò letteralmente a puttane, con disperazione e poi progressiva incazzatura di Eddie, che se avesse potuto avrebbe iniziato a bersagliare di bacchette volanti i suoi compagni. Viceversa, al banco, Jem e Edmond si scambiavano un cinque con le nocche, ridendo e osservando l’incasso ed il successo.
“Sembra la Beatlemania, Ed, scommetto che tra un po’ una di quelle oche sviene!”
“E tutto per quel frocetto con quell’assurda chitarra! Guarda mio fratello, Jem, sta per diventare viola da tanto è incazzato!”
“EeeeeeeECCO che perdono il tempo tra basso e cantato un’altra volta! Evviva Shane ed evviva Justin, stanno riuscendo a sputtanare persino Knockin’ on heaven’s door! Come la chiamerebbe, dottor Joyce, questa sintomatologia?”
“Voglia di figa, stimato collega!”
 
E buttarono giù la pinta, sghignazzando alle spalle del gruppo.
No, più precisamente, proprio in faccia.
La band, alle prove dopo, si era sentita un solenne cazziatone da Eddie, mai così infuriato nella sua breve vita da batterista, supportato dal fratello, che però rideva sotto i baffi.
Dorian sospirò, e chiese a Monik di non portarsi mezzo Erasmus del Trinity, la prossima volta, e neppure alle prove, dove iniziava ad esserci un via vai di gente da qualche settimana a quella parte.
 
Dopo quella breve pausa da ‘artisti’ acclamati, prima di Natale i ragazzi misero mano definitivamente alle nuove canzoni, con i testi incrociati di Dorian e di Justin, con i quali i due chitarristi ed ormai entrambi cantanti, stavano per darsi battaglia.
Se Justin, col suo tono di tre ottave passate e la sua tecnica casalinga ma comunque efficace, era ancora il principale vocalist, ed aveva fatto qualche passo avanti con la chitarra durante le sue notti insonni, Dorian vantava dalla sua una tecnica chitarrista ormai eccellente e personale, e seppure con la sua voce più morbida ed un tono più banale, avrebbe potuto avanzare pretese anche in quel campo, se avesse voluto.  
 
Dopo tutti i guai passati e quelli che ancora si trascinavano, gli Interferences, a gennaio entrarono nello studio gestito dall’ex chitarrista dei Golden Ghost, socio di Edmond Joyce, a Lynair.
La demo prese una settimana per cinque canzoni più una bonus track, un anno futuro ipotecato di litigi, musi duri e ripicche che si sarebbero trascinate senza mai avere fine, specie tra Justin e Dorian, e due giorni interi solo per la stratificazione di effetti della chitarra (e tre per la voce), nonché un fottio di soldi che dovettero chiedere, supplicanti, alle loro famiglie, nonostante i lavoretti di Natale in cui tutti si erano imbarcati.
 
Il lavoro sulla demo li rese talmente sensibili, che persino Dorian, di solito la più dolce creatura sulla faccia della terra (‘bello, bravo, buono e intelligente!’, cantilenava la sua fidanzatina nel presentarlo alle amiche, nel suo povero inglese)  divenne duro come l’acciaio nelle prove pre, durante e post lavorazione.
Le sue ferme (e poco cortesi) richieste di avere un po’ di pace in quel periodo, fecero scoppiare una grossa lite tra lui e Monik, che lasciò la biblioteca dove stavano studiando letteralmente in lacrime, abbandonando il campo e non voltandosi neanche indietro. Non era un gesto del solito Dorian, come non lo era lo stringere forte il manico di Phoenix e assottigliare gli occhi, in silenzio completo, se Shane gli chiedeva di cambiare di un millesimo la ritmica, o, più frequentemente, Justin si scontrava con lui per la metrica di un verso che aveva imposto; purtroppo l’amico era riuscito ad accaparrarsi quasi tutte le lyrics, ed erano arrivati quasi ad un punto di non ritorno su ‘Silences’, la preferita di Dorian, che Justin non voleva cantare “A quel modo, non lo sento mio, cazzo!!!”
 
Lo scontro venne aggirato da Edmond, ormai de facto manager della band ed assieme al suo amico Martin, in banco mixer come produttore (se etichette simili si potevano affibbiare, al loro livello), che escluse Justin dalla malinconica ma potente ballad, imponendo sì di tenerla, ma volendo che la cantasse Dorian, quasi in solo, visto il poco apporto degli altri strumenti.
Justin strinse i pugni e ammise la sconfitta, ma la tensione non calò finché non venne loro consegnato il cd demo. Solo allora, invece delle prove, si ritirarono una sera a casa di Shane, con il suo megaimpianto stereo Sony portato per l’occasione in garage, gli strumenti abbandonati, a sentire il frutto del loro lavoro, dei loro rapporti così vicino ad essere in frantumi, e del denaro che avrebbero dovuto sudare per restituire.
 
Era il giorno prima del ritorno in aula da studenti di tre quarti del gruppo, il 7 gennaio 1998; l’anno passato sarebbe stato ricordato come l’anno d’oro del ritorno del grande rock sull’onda dell’elettronica, e loro erano una rockband esordiente col loro primo demo indipendente, totalmente senza synth o digitalismi, ma anche senza ‘big hair rock’ fine anni ’80.
 
Silences, l’ultima del mazzo prima della ‘ghost track’ acustica, li fece zittire, poco prima di mezzanotte.
 
Il primo commento di Justin, quando la sentì (visto quando era stata registrata aveva, per protesta, lasciato lo studio), fu un bofonchiamento senza infamia né lode, ma con un certo fondo perfido, nonostante l’innocenza delle parole.
“Sai che ti mangi le parole, quando canti?”
“Non sono cazzi tuoi.”, lo rimbeccò Dorian, praticamente con la testa dentro una delle casse a controllare eventuali errori di registrazione.
Talmente dentro che non si accorse, nell’assolo, della mascella di Justin che cadeva letteralmente a terra,e della mano schiaffata sulla bocca di Eddie e della testa scossa di Shane, come a riprendersi.
 
Quando finì, in calando, si ritenne soddisfatto del lavoro, e si girò verso i compagni, quasi prendendo un colpo, vedendoli tutti con gli occhi sgranati che si fissavano senza parole, e spense lo stereo.
“Ma… che vi prende?!”
Justin lo fissò, togliendo la mano che stava mordendo da ben 5 minuti, ovvero quanto durava quella burrasca di calma acustica e tempesta elettrica che si scontravano, e lo fissò, quasi guardandogli attraverso, tanto sembrava allucinato.
 
“L’hai davvero scritta tu?”
“Ma che domande di…”
“È un capolavoro, Dorian. È il pezzo più bello della demo.”
Fu la volta di Dorian di restare a bocca aperta, dalla quale uscì solo una flebile protesta.
“Just…ti sei fatto anche stasera?”
Justin non gli rispose, ancora con lo sguardo trasognato, e si alzò in piedi, brandendo la bottiglia di champagne comprata per l’occasione, e fissando gli amici uno per uno, aprendosi in un sorriso.
 
“Questa demo è vincente, carissimi!”, e solo allora gli altri tre si concessero di respirare e di sorridere a loro volta.
Justin accennò un inchino e li abbracciò letteralmente con gli occhi, con la voce sull’orlo del pianto.
 
“È un onore avere suonato con voi, signori.”
 
E mentre la ghost track partiva quasi non sentita, e le campane di Dublino suonavano la mezzanotte, i ragazzi saltarono tutti in piedi, abbracciandosi l’un l’altro, mentre Justin apriva il maledetto champagne, inondandoli tutti; la ghost track era ‘Someone in my mind’, e non era del tutto finita.
 
Erano due canzoni che sarebbero state definite ‘destinate’.
 
Per loro erano solo due bellissime canzoni, e specialmente, erano loro.
 
**
 
“Justin?”
“Che c’è, Eddie?”
 
Eddie era rimasto a dormire a casa sua, quella notte, e si erano accampati in salotto, con disperazione di Edele.
 
Il rosso si alzò su un gomito, osservando il ciuffo nero in calando dell’amico; per l’occasione, si era truccato anche per l’ascolto.
Lui e Dorian avevano davvero un sacro concetto della musica, cui piano piano stavano riuscendo ad entrare anche lui e Shane.
Dopo quella sera, sarebbe stato difficile ammettere che suonavano solo per divertimento.
 
La voce di Justin, mezzo addormentato ed irritato, lo riscosse dai suoi pensieri.
“Insomma, Eddie, che c’è?! Stavo per dormire… Non dormo da tre giorni, e domani mattina ho lezione alle nove! Il primo giorno dopo le vacanze!”, si lagnò l’amico, mettendosi a sedere sul suo sacco a pelo improvvisato sul divano, riavviandosi gli ormai mitici capelli neri a danno dell’ozono.
Eddie soppesò se parlare o no, tralasciando il fatto che se non dormiva era colpa sua razza di cretino anfetaminico, ma ormai Justin se ne stava tra il curioso e l’incazzato a fissarlo, con tanto di matita colata che non sapeva se faceva ridere o piangere, data la situazione.
Non gli stava dando tregua, con gli occhi: avrebbe dovuto sputare il rospo.
 
“Al Dublin Tech…la settimana prossima… c’è un contest. Per band originali…”, ed esitò, vedendo come Justin si era raddrizzato, ogni minima traccia di sonno sparita. “Minimo 3 pezzi registrati entro mercoledì prossimo, ma esibizione live sabato decisiva per i piazzamenti. Però… è troppo vicino, e ne faranno di sicuro altri in primavera. Ne ho sentito parlare, il Tech è molto aperto su queste cose.”, si affrettò a dire.
Inutilmente.
 
Justin stava già giocherellando con i capelli, pensando febbrilmente ed esprimendo anche qualche frase smozzicata a voce alta.
“Mercoledì… domani è lunedì. Dorian ha l’esame di Letteratura Irlandese dopodomani…Io il giorno dopo quello di Psicologia Sociale… “, e si voltò a guardarlo, con una fiammella ballerina, negli occhi, pericolosamente eccitata e con la quale ci si poteva facilmente scottare.
 
Lui stesso ne aveva fatto l’esperienza; ci si era scottato più volte, persino ustionato, ma non poteva starne alla larga
 
“Tu come sei messo ad esami?”
“Inizierebbero la settimana dopo il contest, sai che il Tech è in ritardo rispetto al Trinity e poi andrò ai secondi appelli, vista la demo durante le vacanze…”, ma il discorso andò perduto per Justin, che si alzò ed andò a recuperare l’agenda, consultandola e borbottando a mezza voce.
“Dorian… può spostare l’altro esame al secondo appello, io anche… l’altro primo appello l’avrei dopo la selezione live… Ed anche se fosse, salterei al secondo!”.
 
Ora il sacro fuoco sembrava animarlo tutto, mentre si apprestava a vestirsi in fretta in maglietta e con i pantaloni di pelle, con allarme di Eddie.
“Ma...dove cavolo vai?!
“Telefono a Dorian!”, ghignò Justin, malamente. “Quella stupidina tedesca ha fatto la grandissima cazzata di regalargli un cellulare, per ztare zempre in contatto, ja! Ma Dio mi fulmini se non gli farò cambiare piano di esami!”, sibilò, mentre digitava i numeri sul cordless, preparandosi ad una sfuriata senza precedenti da parte del biondino, per cui il sonno era maledettamente sacro.
Eddie scosse la testa, anche lui levandosi, e mise una mano sulla spalla di Justin.
“Justin… anche se accettasse, e sai che ci sono buona probabilità visto stiamo parlando dell’occasione di fare virtuosismi con Phoenix davanti ad un pubblico, che ne dici di Monik? Stasera Dorian ha detto che la prima cosa che avrebbe fatto, arrivato al Trinity, sarebbe stato di farsi perdonare. E a pensarci a come l’ha piantata…”, Eddie rifletté, ripensando alla freddezza con cui ne aveva parlato inizialmente il biondino, per poi fare solenni proclami romantici la sera prima.”...direi che sommando a questa situazione ulteriori impegni col gruppo sarebbe un bel colpo di grazia.”
 
“Meglio.”
Eddie credette di essersela sognata, ma Justin, in attesa al cordless che Dorian si levasse dal letto e prendesse quell’odioso ma utile aggeggio,  lo fissò con la coda dell’occhio, inquietante con la matita sbavata su quelle lastre trasparenti dei suoi occhi, i capelli mezzi in piedi e mezzi cadenti nella frangia, nei pantaloni di pelle come se ormai ci vivesse, e quello sguardo deciso che niente aveva a che fare con le anfetamine.
“È ora che quell’inutile femmina impari a togliersi di mezzo, quando c’è da suonare. Ed è meglio che lo impari anche Dorian.”, disse, con tono basso ma gelido, appena prima di prendere linea.
Dorian-bello, ciao! No, non iniziare a riempirmi di insulti, ho appena saputo una bella notiz… la smetti di mandarmi a fanculo?! Oh, mi fai parlare o devo chiamarti sul telefono di casa, svegliandoti la famiglia?! Ma… CAZZO fammi parlare, Dorian!!”
 
Eddie tornò a letto, coprendosi la testa col cuscino, tentando di ignorare quel che aveva visto.
 
Il sorriso malevolo di Justin mentre firmava la condanna di Monik.
Aveva pensato di dirgli ‘Bentornato tra noi’, per l’ottimo lavoro della demo e nel tenere sotto controllo i suoi eccessi, ma aveva nettamente cambiato idea.
Non gli era piaciuto il tono di Justin, ma era certo che stavolta Dorian l’avrebbe mandato diretto in un posto chiamato ‘fanculo’, lui ed il suo sacro fuoco innescato da Ziggy e dai live sempre più convincenti; e si mise il cuscino in testa, soffocando i rumori della lite telefonica tra i due, mentre si addormentava convinto: a primavera avrebbero partecipato al contest e tutto sarebbe andato bene.
Dorian non era tanto preso come Justin, e almeno un po’ sapeva ragionare; era davvero giunto il momento che Justin si prendesse la dovuta paga. Da troppo tempo si salvava in corner.
 
Ma il giorno dopo, quando, alla sera, come parlando della qualità di McDonald’s, Dorian gli comunicò fuggevolmente di aver lasciato la sua ragazza, quella per cui una volta era stato mezza giornata sotto la pioggia fuori dal dormitorio femminile del Campus senza ombrello, solo per offrirle un gelato, capì che né lui né Shane erano ancora coinvolti come Justin e Dorian nel gruppo.
 
Ma a quel punto, ricordando l’espressione di Justin e guardando quella di Dorian mentre accantonava come non degno di nota  l’argomento ‘fidanzata’ e passava a progettare di quale effetto usare dal vivo su Someone in my mind,  non desiderava neppure esserlo.
 
***
 
Dayer si spostò lentamente, su quella specie di superficie scivolosa che era diventato il suo cammino.
 
Lo vedeva.
Vedeva Alael, L’Immemore.
E non era neppure troppo lontano.
Se avesse allungato un pensiero, l’avrebbe certamente toccato. 
 
Il suo avvicinarsi, lento ma implacabile, avvolto nel manto di nebbia, aiutato dai pensieri più torbidi che il suo esterno aveva raccolto attorno a sé, era silenzioso ma denso di rabbia, come un turbine rossastro che luccicava nei suoi occhi.
La sua arma, la spada violacea degli inviati del Caos, era già impugnata ed oscillava lungo il suo fianco destro con falso abbandono, mentre un misto di eccitazione perversa lo pervadeva.
 
In questo, era ormai arrivato alle spalle di Alael, mentre il paesaggio tra loro mutava forma di continuo.
“Ci sei…”, sussurrò, in modo da non farsi sentire, mentre gli occhi lampeggiavano di soddisfazione, e si fermava ad assaporare il suo momento.
 
Nella dimensione umana, il suo esterno si stava preparando a fare altrettanto: erano uniti, completamente. In simbiosi, ormai non sarebbero  mai vissuti l’uno senza l’altro.
Una volta eliminato l’Immemore, quell’impiccio messo sulla sua via, avrebbe vissuto una vita.
Vera.
Non una vita ‘per finta’ come quella dei suoi predecessori, di qualsiasi parte si trattasse, no.
 
Dayer sarebbe vissuto.
E Alael sarebbe morto.
 
Sollevò la spada con entrambe le mani fino a sopra la testa, non abbandonando mai quel sorriso quasi giocoso e gli occhi luminosi: era l’Innocente, e lo sarebbe rimasto.
La sua missione era inderogabile.
 
“Voltati e guarda chi porrà fine alla tua miserabile esistenza, Immemore!”, sibilò, prima di calare il fendente, che sarebbe stato unico, nel suo intento.
 
“Credevi non ti avessi sentito, Dayer?”, mormorò l’Immemore, prima di voltarsi.
Il solo sentire la sua voce riempì di rabbia, oltre ogni misura, la mente dell’Innocente, che però si bloccò, quando Alael lo fronteggiò, calmo e sicuro…
SICURO.
 
SICURO che non l’avrebbe colpito.
“Come…?”, e Dayer lasciò cadere la spada alle sue spalle, stupito dalla visione.
Dalla sicurezza quasi offensiva dell’avversario.
 
L’Immemore inclinò un po’ la testa, gli occhi rivolti a quello strano cielo sempre in movimento, su quella superficie rossastra, e non lo degnò di uno sguardo, anche stando in fronte a lui.
“Ero curioso di vederti, Innocente.”
“…cosa?”, ansimò Dayer, colpito come e più di uno schiaffo.
Alael sembrò tornare gradualmente alla realtà, e lo fissò, addolorato.
 
“Non mi importano gli ordini. Da qualsiasi parte essi vengano.”, e parve sospirare interiormente. “Non ti ucciderò.”
Non puoi uccidermi, vorrai dire.”, sibilò Dayer, gli occhi che dal rosso passavano ad un verde acceso ed allarmante.
 
Alael si sporse appena verso di lui col busto, e sorrise.
Giusto un po’.
 
“Ti ho individuato da quando tu hai individuato me, Innocente.”, ed il sorriso si spense. “Volevo mi trovassi. E ti rendessi conto perché non ti ucciderò.”
“Dammi una ragione per non fare altrettanto e prenderò in considerazione l’idea di ragionare su quanto mi hai detto.”, ribatté sprezzante, Dayer. E poi, a sua volta, avanzò, con un’espressione irrisoria. “Non ti illuderai che io rinunci al mio compito, Alael?”
“No.”, rispose l’Immemore, secco come un colpo di pistola, e con quella sicurezza irritante come la leggera brezza che gli muoveva i capelli. “Non rinuncerai.”, e si aprì di nuovo in un bel sorriso, senza malizia, alzando di nuovo gli occhi al cielo, come se riuscisse a vedere qualcosa persino più profondo di loro.
“Ma penso non ci riuscirai… non ora.”, e inclinò la testa, mentre il vento aumentava sempre più ed il suo sorriso si allargava, fino a diventare inquietante a sua volta. “C’è una persona con la quale devi consultarti, Dayer. Una a cui non hai chiesto il permesso di uccidermi.”, e con queste parole, Alael sparì dalla sua visuale, mentre l’Innocente veniva trascinato via.
 
***
 
Dayer si ritrovò nel luogo della sua nascita in un battito di ciglia, disteso, con la spada al suo fianco.
 
E soprattutto furioso.
E sapeva anche con chi.
 
Con il suo esterno.
Con se stesso.
 
Purtroppo, prima di uccidere Alael, avrebbe dovuto abbattere le debolezze del suo esterno.
Avrebbe dovuto cambiare se stesso, ormai.
I primi dubbi iniziarono a vorticargli in testa, dapprima sempre più confusi, poi più chiari.
 
E, nella sua mente, rimbombò, per la prima volta, la voce dell’Immemore, quasi a schernirlo.
Peccato che non vi era ombra di scherno, in quel maledetto emissario della Ragione.
 
“È stato interessante vederti, Dayer. E scommetto che lo è stato anche per te.”
“Fottiti…”, sibilò l’Innocente, a denti stretti, raccogliendo la spada.
 
Quello che aveva visto era sconvolgente, ma non avrebbe mai rinunciato al suo compito.
 
***
 
Alael rimase a scrutare il cielo, dopo aver inviato il suo messaggio all’Innocente.
 
Dopo un po’, scosse la testa.
Al contrario di Dayer, che non avrebbe mai rinunciato al compiere il suo ordine, lui aveva scelto; teoricamente non avrebbe potuto, ma non aveva trovato impedimento alla sua decisione.
 
Non POTEVA ucciderlo.
Non lui.
 
Sospirò, abbassando lo sguardo alla landa rossastra.
 
Se Dayer si era già rimesso alla sua ricerca, lui aveva preferito schermarsi, cosa che non aveva fatto prima; non voleva assolutamente affrontarlo di nuovo.
 
Di più.
Non voleva vederlo.
Gli faceva male.
 
Per la prima volta nella sua millenaria storia, maledisse il suo destino, e nascose la sua presenza.
 
“Perché?”, chiese, ben sapendo che sarebbe stato inutile.
 
La brezza gli rispose, beffarda, con i suoni lievissimi.
 
***
 
Dorian saltò direttamente i primi appelli, in nome del contest, e si chiuse con Justin (che almeno ebbe la decenza di dare l’esame di Psicologia Sociale) nello studio dell’amico di Ed, a Linayr, per potere riarrangiare le canzoni.
 
Se Eddie si era spaventato a vedere come Justin aveva letteralmente imposto di partecipare, Justin stesso si era spaventato a vedere come Dorian si era gettato nell’impresa. Riusciva a farlo sentire inadeguato in ogni momento, e se i brani registrati non si discutevano ed erano stati inviati, in dimensione live eccelleva in qualsiasi momento, non prendendosi un attimo di pausa.
Senza batteria, senza basso, senza cantato, Dorian rendeva riconoscibile ogni canzone grazie alla sua incredibile chitarra, e voleva che Justin toccasse il suo livello, in campo vocale, visto che, come aveva detto rientrando in studio,”A livello chitarristico non c’è più niente da fare: rivendi quella chitarra e prendi un microfono migliore, guadagneresti di certo in qualità e non ci romperesti le scatole con i tuoi accordi sbagliati!”
 
Quando arrivò la tanto sospirata esibizione live, nel backstage del palco approntato nell’aula magna del Dublin Institute of Technology, sfiorò la rissa prima con Eddie, imponendogli all’ultimo secondo un drumming di chiusura in ‘Lost’, la loro prima canzone da suonare, e poi con uno dei componenti di un gruppo punk che aveva dichiarato che il suo gruppo doveva suonare dopo, e che la batteria non era adatta.
 
“Non ha due tom, non si può suonare con un solo tom!”, si era lamentato il punk, dopo aver messo in chiaro che gli Interferences avrebbero suonato quasi per ultimi, alle nove di sera.
Non male, visto erano lì, in quel backstage soffocante, dalle 15 del pomeriggio, con strumenti addosso, essendo stato il contest male organizzato in quanto orari di esibizione e con un paio di contrattempi tecnici a fare aumentare i ritardi.
Il trucco di Justin era ormai sciolto, ma Dorian insisteva, vedendo passare cantanti gothic truccati simili e spesso meglio, che nessuno sarebbe stato grandioso come il suo vocalist; Justin lo guardava dubbioso, pregandolo con gli occhi di fare i suoi proclami a voce più bassa, e rabbrividendo letteralmente a sentire acuti o bassi epici che raggiungevano tali mezzeseghe ,come le aveva chiamate quel concentrato di aggressività che era diventato Dorian.
La sua voce, per quanto bella, non era certo all’altezza, ed era sicuro che stavolta si sarebbero piantati di brutto.
Shane, sedutogli vicino, si scambiava con lui occhiate disperate, stringendo a sé il Fender come uno scudo, di fronte al passeggiare rabbioso ed impaziente di Dorian nel camerino, davanti a cui tutti si spostavano.
 
I capelli biondi tirati indietro, i jeans neri strappati, e la camicia nera,  gli davano una certa aria di
furia trattenuta, associata alla sua espressione: un’aura di decisione lo avvolgeva, e non lo abbandonò neanche quando si decretò una pausa e fu finalmente fissata l’ora della loro esibizione.
Il punk, che credeva di avere stabilito un punto di contatto dopo la scazzottata evitata, lo avvicinò, scuotendo la cresta rossa.
“Amico… sono andato a vedere. Non si può suonare forte con quella batteria, è…”
Dorian si fermò e lo fronteggiò, stringendo i pugni e mostrandogliene uno.
“Parla ancora di quella batteria e ti ci mando seduto subito sopra, hai capito, coglione?! TU non saprai suonare senza due tom, ma il mio batterista sì!! Perciò levati dalle palle o giuro su Dio che alla prossima parola non dovrai farti tanti piercing falsi per fare il punk, visto ti aprirò io un buco!! Dove?! Mah, vogliamo provare?!”
Il punk batté in ritirata, mentre il resto del gruppo si guardò, a bocca aperta.
 
Eddie non era per niente certo di poter suonare forte su quella batteria, ma stette zitto, e preferì accusare Justin con gli occhi, che gli si avvicinò, mordendosi la mano per non farsi sentire.
“Eddie…”
“Che c’è? L’hai creato tu, questo casino!”, sibilò il rosso, di rimando, stando attento a non farsi vedere o sentire dalla furia bionda.
Justin alzò un attimo gli occhi a guardare Dorian che si chinava a controllare ennesimamente la sua pedalboard, e sospirò, con l’aria di voler piangere, scuotendo la testa.
 
“Eddie… ho creato un mostro.”
 
***
(20.55)
 
“Justin, porta la tua chitarra sul palco.”
“Ma se hai detto…”
“SEI SORDO?! PORTA LA TUA SCHIFOSA CHITARRA SUL PALCO!!”
**
Alla fine dell’esibizione infuocata, in cui il biondo li trascinò avanti fino a fare prendere a tutti loro il suo livello, spingendo letteralmente Justin a furia di spallate sull’estremo bordo del palco a coinvolgere la folla, Dorian lasciò Phoenix a fischiare feedback lancinanti contro un amplificatore, e, presa la chitarra di Justin, la sfasciò contro un amplificatore di riserva, con una rabbia ed una violenza inaudita.
E con immenso stupore dei suoi compagni, quando lasciò il manico dei resti dell’Eko di Justin in un costoso Marshall ed abbandonò il palco con Phoenix, senza staccare cavi ma solo il suo jack, lasciando un inferno di fischi e feedback furiosi, si fermò a mollare un grosso respiro, alla fine della scaletta di uscita, e voltarsi a guardarli.
 
Le mani gli tremavano, la bocca anche, ma riuscì ad aprirsi in un sorriso, trattenuto per tutto il pomeriggio.
 
“È da quando vidi il video dei Nirvana a Reading che volevo farlo…cazzo, l’abbiamo fatto!!”,e abbracciò Shane, che era completamente a bocca aperta.
 
Justin scosse la testa.
“Ora speriamo che questa follia sia finita. Eddie, quando daranno i risultati di…”
“Abbiamo vinto.”
 
Dorian si era sciolto dall’improbabile abbraccio con Shane ancora irrigidito come una statua, e lo fissò, come a sfidarlo, poi si avvicinò a lui, guardandolo sempre negli occhi.
“Hai dei dubbi, Justin?”
“Dorian! Cristo certo che ho dei…”
 
Lo schiaffo fu inaspettato per tutti, e fece fare letteralmente un sobbalzo ad Eddie e Shane, per non parlare dell’espressione stupita di Justin, che incredibilmente si portò la mano alla guancia che non veniva colpita per la prima volta, ma mai da un Dorian così furioso, ma non riuscì neppure a parlare.
Non a Dorian.
Non in quel momento.
 
TI HO DETTO CHE ABBIAMO VINTO!”, e si avvicinò, mentre Justin tentò di allontanarsi di un paio di passi da quegli occhi verdi lampeggianti, mai così pericolosi. “Tienilo a mente, specialmente tu!  Ho rinunciato atutto per questo contest. Non farmene pentire.”, sibilò il biondo, prendendolo per il colletto e tirandolo vicino, arricciando le labbra, come un animale in procinto di attaccare, e poi, in un movimento fulmineo, lo tirò talmente vicino da sussurrargli qualcosa all’orecchio, che fece annuire, mestamente, l’amico.
“Se non dovessimo vincere me la pagherai molto cara, Justin. Non penserai che la mia pazienza sia infinita, per caso…”, gli aveva sussurrato, con un tono che non lasciava spazio ad alcuna speranza.
Le parole di Dorian furono una pietra tombale sui residui della loro vecchia amicizia e l’inaugurazione della nuova; quella dove ogni arma non era risparmiata.
 
Lasciò l’amico e guardò gli altri, un po’ più calmo.
 
“Andiamo a farci una birra e calmarci. Fuori di qui.”
 
**
 
Vinsero.



 

N.d.A:

Era logico che vincessero, vi pare?
Sono qui per scusarmi e 'spiegare' i capitoli precedenti: intanto, l'ultimo era talmente scritto in fretta e male che non intendevo neanche pubblicarlo, cosa che poi purtroppo ho fatto senza betaggio PURE (qualcuna voleva usarmi come bersaglio per i coltelli come al circo). Poi vorrei chiarire, sen on l'ho già fatto (visto sono troppo pigra per andare a guardare se l'ho già fatto) che questi sono capitoli 'originali'. Nel senso che, al tempo che fu, vi sono stati dei buchi nella trama, vuoi perchè non li sapessi (e ancora non so, come è dimostrato) scrivere, vuoi per tempo o per urgenza di scrivere qualcos'altro... E vi sto rimediando ora, ma con molto meno tempo a disposizione, perciò ne nascono anche schifezze inenarrabili come il precedente capitolo, che prometto solennemente di riscrivere. Re-infilarsi nello studio e nella testa di 16 anni fa non è nè facile nè agevole, ve lo dico io. 
Qua vediamo che Dorian-bello è un po' cambiato. Giusto un po'. Ci sarà qualcosa o qualcuno che lo turba? E chi? EVERYTHING YOU KNOW IS WRONG (non direi queste cose se non fossi certa che molti di voi ormai hanno intuito i collegamenti umani col soprannaturale)

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Capitolo 14
*** 14. Le cose si danneggiano... ***


14. Le cose si danneggiano…
 
Il 14 febbraio 1998, Dorian entrò come una furia, senza pass né farsi annunciare, negli uffici del Dublin Institute of Technology.
L’edificio, vicino al campo di football gaelico, ospitava i rappresentanti dell’ Ol’ vox music shop,  il negozio di strumenti musicali più grande di Dublino che aveva sponsorizzato il contest, dove Shane aveva comprato il suo Fender Precision e dove Dorian stesso lasciava, bestemmiando, milioni di lire irlandesi in mute di corde Ernie Ball per Phoenix.
 
Con la differenza che tra quel  Dorian, simpatico alle cassiere e che passava mezza giornata a provare chitarre nello sconfinato piano superiore, e il  Dorian che entrò in quell’ufficio, si era spalancato un abisso;
un abisso che era intenzionato a superare, ma forse non in quel momento.
 
Aveva riallacciato con Monik, anche se non in modo soffocante come prima, bensì con un rapporto più sano; era stato uno stronzo, ja, non comprendeva che lei era distante da casa ed oltre che un fidanzato, era anche la sua protezione, nein.
Aveva ammesso di essersi bevuto letteralmente il cervello, con quel contest.
Non aveva dato neppure un esame, a differenza di Justin che, incredibilmente o a forza di botte di speed, aveva dato i suoi tre, uno persino prima del contest, uscendo vincitoredagli uffici del Trinity con la sua borsa di studio, anche se ufficialmente stremato. Anche Eddie, grazie alledate sfasate del Dublin Tech, aveva affrontato tranquillamente ben quattro esami, di cui due di marketing.
Il fortunato bastardo aveva preso il massimo dei voti ovunque.
 
La povera Monik non credeva a tanta fortuna e, come aveva cinicamente previsto Dorian stesso, si era messa a piangere: riaverlo era, per lei, un sogno che le era sembrato troppo lontano all’inizio, e impossibile dopo la loro separazione.
 Ignorava che quello non era più il suo Dorian; il dolce-bravo-bello-intelligente fidanzatino.
 
Con i suoi amici, dopo l’annuncio della loro vittoria, aveva tirato il fiato e chiesto scusa per il suo comportamento, ma qualcosa di nuovo era cresciuto dentro di lui; non sentiva di dover fare loro delle scuse. Lo faceva solo per l’unità del gruppo.
 
Justin, con le sue cazzate da tossico prima, e i suoi capricci in studio poi, si era meritato quello schiaffo, anzi, avrebbe dovuto tirargli un bel pugno in bocca se non fosse che gli serviva con tutti i denti a posto.
Era il frontman, checcazzo, ed era un gran  frontman, ma se non avesse imparato un po’ di buona creanza, allora gliel’avrebbe insegnata lui.
Di Eddie eShane  era meglio non parlarne: aveva dovuto trascinarli, ma almeno facevano  il loro sporco e ben fatto lavoro, con una sezione ritmica a tratti funambolica ma sempre solida sotto il terremoto delle sue bordate.
 
Solo una cosa univa quel Dorian chitarrista e leader al biondino che adorava Phoenix e che stava letteralmente male dalla paura a sentir parlare di ‘live’: nel bene o nel male non aveva mai pensato di abbandonare il suo gruppo.
I suoi amici.
 
**
 
Appena si erano spente le luci della festa di premiazione, a notte inoltrata, nella palestra principale del Dublin Tech,si era educatamente presentato ai padroni del negozio, che presiedevano il contest, rifiutando con fermezza il premio.
Una sessione di registrazione di un e.p. ai Windmill Lane studios.
Inutile dire che Justin, da buon fan irlandese, quasi aveva pianto per il rifiuto, ma, davanti alle ragioni di Dorian, tutti erano d’accordo, in fondo.
Avevano già una demo.
Ovviamente meno rifinita, e con mezzi più scarsi dei mitici studios che avevano ospitato U2 e Depeche Mode, ma era la loro demo, e, per il momento, non avevano altre canzoni valide nel mazzo da registrare.
Le condizioni erano, per loro, svantaggiose, e Dorian si era precipitato a trattare.
No, a protestare.
 
I dirigenti dell’Ol’ vox erano rimasti basiti, sentendo le motivazioni del rifiuto del gruppo sciorinate con una parlantina melliflua da Justin (per quanto Dorian fosse il più coinvolto, l’abitudine di mandare avanti la sua faccia di bronzo preferita, schiaffi o no, sarebbe rimasta un leitmotiv per il tempo della loro amicizia),
E dire che, per un premio del genere,  si aspettavano che quei gruppi di tardoadolescenti avressero fatto a pugni tra loro, in caso di ex-aequo: i Windmill Lane erano gli studios più conosciuti d’ Irlanda, e grazie alla fama degli U2, anche del mondo, ormai.
Justin aveva risposto che avrebbero rifiutato una sessione di registrazione anche agli Hansa Ton Studios di Berlino, notevolmente più prestigiosi, se fosse stata inutile come si prospettava la stessa che stavano loro proponendo.
Propose invece unoscambio con i secondi arrivati, un gruppo hard rock con forte presenza scenica, che erano letteralmente schizzati dalle sedie dove stavano con il loro sofferente e meritato piazzamento, a sentire quello che stavano proponendo gli Interferences.
Una demo ai Windmill Lane studios scambiata per quello che Dorian stava furiosamente desiderando, ossia  alcune serate in due locali di Dublino (nemmeno tra i più famosi) ed un restante tour tra Limerick, Cork e Galway. Lì sarebbero stati ospiti come guests dei vari contest gestiti dalle filiali del negozio, e avrebbero avuto la possibilità di vendere il loro merchandise (consistente nelle cento copie, come da contratto, della loro demo, oltretutto ancora senza titolo).
Il tutto, ovviamente, a loro spese, fatta eccezione per la strumentazione e gli impianti di amplificazione, forniti dal negozio.
Per il restante si sarebbero dovuti arrangiare; cose che non preoccupavano affatto romantici sognatori come Dorian, Shane (che si vedeva già  a percorrere strade sconnesse in pieno rock and roll, tra una città e l’altra) e Justin, ma che preoccupavano fortemente Eddie.
Anzi, lo terrorizzavano; trovarsi in mezzo alla campagna irlandese, senza soldi e senza cibo, avrebbe preoccupato ogni persona sana di mente.
Quello che i suoi compagni non erano, purtroppo.
 
Per gli altri sarebbe stato un vero peso, non c’è dubbio, ed i Dynamicola si infilarono ai Windmill lane già il giorno dopo, felici come pasque; per stanarli avrebbero dovuto usare il C-4, ormai.
 
Eddie, invece, uscito dal campus universitario con la sensazione di dover affrontare un incubo con quelle due primedonne impazzite che si era ritrovato nel gruppo, aveva preso il cellulare di Dorian e chiamato il fratello.
 
Il furgone dei Golden Ghost, il vecchio gruppo di suo fratello, necessitava di una verniciatina, e magari di una sistemata sia all’interno che al motore, fermo da tre anni ma tenuto in garage e spesso controllato dal nostalgico fratellone, che l’aveva usato l’ultima volta con Jem per andare ad un festival in Germania  (lasciandolo a casa, ovvio… ma ora molte cose sarebbero cambiate!).
  
Quando Ed, raggiunto in fretta da Shane il giorno dopo, confermò che il furgone necessitava solo di una pulita interna (una cosa mastodontica visto lo stile pienamente in rock and roll del gruppo precedente), Dorian liberò un sospiro di sollievo, il primo forse, da quando era iniziata quella tarantella di registrazioni, litigi, contest e ancora litigi fino quasi al collasso interno.
 
Erano in tour.
 
**
“…chi diavolo…”
“Ciao stronzo, sono il tuo amichetto Dorian!”
Justin sospirò, arruffandosi i capelli, con dei jeans ed una maglia nei quali, ormai, navigava.
L’aveva svegliato da uno dei suoi coma post- anfetamine, sempre più frequenti.
Ormai riusciva a stare in piedi quasi una settimana, anche se si rinchiudeva in camera, alla notte, per dare a sua madre almeno, l’illusione che dormisse.
 
Tutto ciò non gli stava facendo bene, era certo.
L’insonnia gli faceva vedere le cose sfocate, scattava spaventato per ogni cosa, aveva iniziato a soffrire di tachicardie debilitanti e crisi di ansia che lo lasciavano immobile per ore, ma non sapeva che fare. Era caduto nella fottuta spirale viziosa.
Per svegliarsi poi, dal suo coma di almeno due giorni, aveva bisogno di tirare qualcosa e poi ancora qualcosina.
Ed ogni volta si diceva che era l’ultima, che stavolta sarebbe andato più leggero ed avrebbe dormito prima e, piano piano, in modo più sano.
 
Stronzate.
C’era dentro fino al collo, e lo sapeva. Aveva perso anche l’ultima illusione di controllo su se stesso.
 
Pensava questo mentre Dorian accavallava parole su parole nel suo tono gioioso di sempre, come se non gli avesse dato uno schiaffo per una semplice domanda; effettivamente, da quando quello stupido contest era finito, Dorian sembrava essere tornato quello di sempre.
 
La persona migliore che conoscesse.
 
Se il sonno della sua ragione (o, nel suo caso, del suo splendore) generava quel tipo di musica, Justin, in una notte di suoi deliri, aveva pensato che sarebbe stato disposto a farsi prendere a schiaffi da Dorian tutte le volte.
Ma stava, appunto, delirando, quella notte.
 
“..dici?”
“Eh?”
Dorian, dall’altro capo del filo, a Linayr, sbuffò e roteò gli occhi: era chiaro quanto Justin fosse fuori fase, ma non se la prese troppo; questo era un altro segno di quanto fosse, pian piano, cambiato Dorian.
“I miei sono fuori per un paio di giorni, per un viaggio di lavoro di mio padre a Belfast. Dicevo se ti andava di venire a casa mia e buttare giù qualche giro per… Chissà, magari per qualche sorpresina, in live! Che ne dici?”
“Dorian… “,e sbadigliò, prendendo tempo per frenare quel treno in corsa chiamato Dorian Kieerding, angioletto suburbano passato a deliri di onnipotenza live e violenza occasionale psicologica e fisica.
Come lui, non aveva mezze misure, ma era ridicolo che proprio lui, il visionario (-e ormai tossico, non scordartelo, caro… t-o-s-s-i-c-o!-) Justin, il viaggiatore del più in là, dovesse riportarlo con i piedi per terra.
“Dorian… scusa se te lo chiedo, perché capisco che ti sei di certo un po’ illuso, con la nostra vittoria schiacciante al contest, ma… Che ti aspetti? Noi saremo uno spettacolo…- e mandò giù un grosso grumo di saliva-…persino minore rispetto ai contest locali. Abbiamo solo vinto un contest ed abbiamo una demo indipendente che non abbiamo piazzato da nessuna parte. Cos’abbiamo per catalizzare l’attenzione su di noi?”
 
Edele si era fermata ad ascoltarlo, passando con una cesta di panni sporchi; Justin non se ne curava, sua madre si era impicciata degli affari del gruppo fin dall’inizio.
“È Dorian?”, chiese, poggiando la bacinella a terra e fregandosi le mani nel grembiule.
 
Edele era sì una stupenda donna, ma il lavoro doppio cui era stata sottoposta fin dalla giovanissima età le aveva riempito di callosità le mani, rese secche e ruvide.
Nonostante tutte le creme che le regalava Justin, non c’era rimedio alla loro usura, e sfregandosele faceva un rumore che inquietava il figlio fin da piccolo: associava quel suono all’attesa, e con tutti i suoi sensi di colpa, la sensazione era che l’attesa sarebbe finita con una vendetta.
O con una tragedia.
 
“Sì, mamma…”, sospirò Justin, con una mano sulla cornetta, per poi darle le spalle e continuare a parlare con l’amico, che era rimasto silenzioso.
“Dicevo… che idee avresti in proposito? Non ci conoscono neanche a Dublino, anche se almeno potremo contare sul pubblico di casa… ma a Cork? A Galway? A…a Limerick, diosanto?!”
Edele sussultò, a sentire il nome della sua città di origine.
 
Dorian alzò gli occhi al cielo, a Linayr, e sorrise, come ai vecchi tempi. Quando riprese a parlare, il suo tono si era fatto dolce come ai vecchi tempi.
Ed anche le parole.
“Abbiamo la nostra musica. Ed abbiamo te. Sei stato il miglior performer del contest. Non potrai passare inosservato.”
“Dorian…”
“Ho puntato tanto su di te e non mi hai deluso.”, si autocongratulò, soddisfatto, e Justin sorrise, a Dublino, e si voltò verso la madre, che si stropicciava le mani nel grembiule, turbata, mettendo una mano sul microfono della cornetta, per parlarle.
“Mà… Dorian sta andando di testa, senti questa!”, e ridacchiando premette il tasto del viva-voce del cordless.
“Mica solo lui…”, mormorò Edele, fissando il figlio con una luce diversa, negli occhi.
 
Justin non la sentì nemmeno, mentre chiedeva a Dorian una conferma, per farla sentire alla madre; uno dei giochetti a cui Edele si era sempre prestata; ‘si era’, appunto.
“Scusa, Dorian, non ti ho sentito o le mie orecchie così traumatizzate dalla tua chitarra si rifiutano di credere a quello che hai appena detto. Puoi ripetere?”, chiese, mieloso ma non troppo.
Talmente convincente che Dorian rise, all’altro capo, a Linayr, e purtroppo si infilò dritto nella ‘trappola’.
 
“Ti piacciono le sviolinate, eh, Swanson? Dai, lo ammetto: sei il miglior performer che abbia mai visto, oltre che sentito, hai fatto dei miracoli con la voce e con la gestualità!”, e Justin si girò, gongolante, verso la madre, quando Dorian continuò il discorso.
E lo chiuse.
 
“Ammetto di averti fatto troppe storie per le anfetamine e quella robaccia, ma cazzo, stavo quasi per chiederti se me ne portavi quasi un po’… Però sono già insonne di mio, mi sa che darei di matto! Non so come fai a controllare quella roba.”
 
La risata marcata Dorian-Kierdiing-puro-spasso risuonò nell’improvviso e glaciale silenzio dell’appartamento di Dublino, con Justin letteralmente congelato, ed Edele che spalancò gli occhi, incapace di parlare.
 
“Stacci attento, comunque. Quell’ultimo attacco di ansia o che cavolo era, quando ti abbiamo portato fuori dall’aula ed eri convinto di avere un infarto… non mi è piaciuto. Ci vediamo da me, bastardo!”
 
CLIC.
 
Lo scatto di chiusura della linea riappesa di Dorian fu il segnale, per Edele, di aprire gli occhi.
 Justin era colpevolmente fermo, immobile come uno stoccafisso e con la vergognastampata a grandi lettere negli enormi occhi trasparenti, nelle occhiaie e nel suo comportamento sempre più strano.
Mentre il figlio riabbassava pian piano il ricevitore, sempre tenendola d’occhio, sempre più magro quasi a vista d’occhio, come se si fosse messo a dimagrire ulteriormente proprio in quel momento, Edele vedeva il proprio fallimento come madre passarle davanti.
E questo, come non era mai capitato in vita sua, da quando le avevano messo Justin in braccio, dopo un agonizzante parto a 19 anni, si tramutò in rabbia.
Quella rabbia fredda, tagliente e immobile che Justin conosceva bene, che sperimentava anch’esso, e che mai Edele aveva riversato su suo figlio.
Mai.
 
Sembravano passati secoli da quel malore estivo e dai suoi sospetti, e Justin pareva, più che invecchiato, nonostante i segni sulla sua faccia stropicciata, ringiovanito, in quel visetto smunto che quel ciuffo di capelli e gli occhi si mangiavano intero.
Un ragazzino nei panni di un personaggio che si era costruito, che si nascondeva dietro una maschera che stava andando in pezzi davanti ai suoi occhi, crepa dopo crepa; neppure adulto,ma adatto.
Justin voleva essere adatto al ruolo che stava interpretando; e ne stava forse morendo lentamente, a sentire Dorian.
 
“Mamma…”, iniziò Justin, non riuscendo, incredibilmente, a trattenere un altro sbadiglio. “Scus…
Mamma…”,e si fermò, allungando una mano dalla quale Edele si ritrasse, guardandola.
 
Mano?
Quella non era la mano di suo figlio. Era un artiglio, ossa affilate per farle del male.
Unosso appuntito che leaveva appena piantato nel cuore.
“Mamma...”, e la voce di Justin era, incredibilmente, sull’orlo delle lacrime.
No.
Ciò che restava di lui, era sull’orlo delle lacrime.
Ciò che restava di suo figlio.
 
Justin.
Era così dannatamente subdolo, ma era sempre stato suo; sapeva che sarebbe sempre tornato da lei, ma ultimamente iniziava a dubitarne. Si era detta che erano bubbole della più bell’aria, che era un normale cambiamento, l’età adulta e l’università, ma ora capiva tutto.
Ed incessantemente, stropicciava il grembiule da casa, quello che metteva per non sporcarsi per portare i vestiti ad asciugare; i suoi vestiti, quegli stupidi pantaloni di pelle, le sue magliette sceme.
 
Quegli stupidi pantaloni.
 
“Mamma, non è così come credi… non…”,e si interruppe, mentre una lacrima iniziava a scivolargli dall’occhio.
Quegli occhi identici ai suoi, che in quel momento erano così asciutti; davanti a lei suo figlio stava rompendosi, e lei non riusciva piangere.
E non gliene importava.
 
La morte dell’affetto, spesso, inaridiva la fonte dal quale questo sgorgava copioso.
 
“..non è così tanto grave…io… è stato così, per qualche sera…”
Ed Edele finalmente parlò, smettendo di stropicciare il grembiule.
“Qualche…sera?”
“Mamma…sì…”,e Justin si aprì in un timido sorriso, che pareva porgerle una mano, un ponte.
 
Un ponte sfilacciato, sospeso nel vuoto.
 
“L’hai… l’hai fatto per il gruppo? Per… qualche sera?”
“S-sì. Sì, mamma… io… non lo farò più.”, e tornò sull’orlo del pianto, occhi talmente grandi che poteva leggervi la disperazione più pura.
Ma non le bastava.
Non in quel momento; era orribile, pensava, ma non le interessava che Justin fosse disperato, sofferente.
Non poteva ascoltarlo in quel momento.
 
Non quando aveva scoperto di averlo perso, così.
Le sue illusioni cadute, senza rumore.
Edele riprese il grembiule ed abbassò gli occhi,lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
“Solo qualche sera…”
“Sì, mamma…”
“E allora…cosa te ne fai di tutta questa roba?!?!”, e dal grembiule prese a tirargli dietro i suoi eccitanti, una manciata che aveva sempre tenuto in mano, da quando si era fermata, con l’intento di parlargli.
 
Un paio di pasticche di efedrina, una fialetta di speed, del valium…
 
Cose misere, certo. Piccole dosi.
 
Dosi che stavano nei suoi pantaloni di pelle.
 
Justin venne colpito in faccia dalla sua stessa droga e persino imbiancato di anfetamine, in una scena che sarebbe stata persino comica, se non fosse stata così tremendamente tragica.
E se ne stette immobile, con gli occhi sgranati e colpevoli, ed in qualche modo supplicanti.
 
Edele se ne stette a fronteggiarlo, alta uguale, respirando forte, aspettando una notizia da quegli occhi nei quali iniziava ad albergare una follia nascosta a se stessi, ma che lei poteva vedere bene.
Poi prese un respiro profondo e parlò, calma, togliendosi il grembiule.
“Vattene. Torna quando starai meglio. Vai a Limerick… drogati, fai quello che vuoi, fai…come tuo padre, se vuoi.”
E si girò verso la sua camera, prima che Justin incassasse il colpo.
“Ma…mamma…”
“Vattene, Justin.”
E sbatté la porta, chiudendosi dentro.
 
Solo dopo un minuto Justin capì, e si fiondò alla porta della camera di sua madre inutilmente, disperato, chiamando fino a perdere la voce e fino a rannicchiarsi contro la porta, silenziosamente.
 
Alla sera, si presentò da Dorian, che in due frasi capì tutto e l’abbracciò, invitandolo a rimanere.
 
Justin, dormendo in camera di Dorian, nel suo secondo letto, nonostante non avesse preso niente, non riuscì a chiudere occhio.
 
Il giorno dopo sarebbero partiti per Dublino per quel serrato mini-tour.
 
Era il 17 febbraio 1998.
 
Shane suonò il clacson per tutta Lynair, prima di infilare la superstrada per Dublino,  Dorian stette seduto quasi fuori dal finestrino salutando tutti, ridendo, e persino Eddie, con una birra in mano, rideva, in pieno rock and roll.
Solo Justin si era isolato, nel retro, con testi da ripassare che non riusciva a leggere, una birra, e un lettore cd spento, col quale, teoricamente, avrebbe dovuto aiutarsi.
Si massaggiava le tempie, non riuscendo a pensare.
Era il loro primo ‘tour’.

Ok questo è il penultimo capitolo 'tappabuchi' nella trama, per tornare al faldone di più di un decennio fa. 
E' molto transitivo, e mi scuso per il ritardo; non riesco a rispettare una scadenza, ormai, per molti guai accumulatisi. 
Enjoy it (or not) 

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Capitolo 15
*** 15. Le cose rotte non possono essere riparate; semplicemente, cambiano. ***


15. Le cose rotte non possono essere riparate; semplicemente, cambiano.
 
Il primo concerto a Dublino, in un vecchio pub, andò bene. Non vi furono cadute al ribasso, semmai punte di eccellenza, nonostante Shane fosse sfibrato dall’aver guidato senza sostituzione un furgone e fosse poi dovuto scappare a casa a prendere degli effetti che Dorian aveva dimenticato nel suo garage. Riuscì fortunatamente a tornare venti minuti prima dello show.
Anche Justin era fisicamente e psichicamente a terra, ma durante lo spettacolo scintillava di una febbrile e malata luce oscura. A fine show rimase in disparte, nascondendosi letteralmente o andando in giro a fumare.
Eddie e Dorian, che parlottavano, afferravano con lo sguardo solo un’ombra nera in lontananza, prima che girasse ennesimamente un angolo. A quel punto si guardavano, con una punta di panico: non avevano affrontato l’argomento, ma era quasi ora.
 
I loro pezzi di punta furono accolti con tiepido interesse, ed a ragione: nonostante la considerassero la loro città, Dublino non li conosceva. Come biglietto da visita, la vittoria ad un contest universitario ed una demo non erano un granché, viste le miriadi di gruppi rock che affollavano la città da metà anni ’80 in poi, diventata insospettabilmente un fulcro per la musica mondiale.
Riproposti nel bis, però, il pubblico aveva imparato, i pezzi su cui puntavano di più: Someone in my mind e specialmente Silences,che in versione live era più elettrica poiché cantata da Justin e non da Dorian, che si dedicava all’arpeggio e al suo solo di chitarra.
 
Justin cercava qualcuno tra la folla, a Dublino, non perdendo mai comunque il cantato, e facendo brillare d’orgoglio Dorian. Il ragazzo si sentiva responsabile per ciò che era successo, e mai come prima era stato così fiero dell’amico, ferito così profondamente ma in grado di ipnotizzare la folla. Quello speciale ‘andare in bambola’, quei momenti di stupore in cui il loro cantante si svegliava come da un brutto sogno ed accantonava i cattivi pensieri per rendersi conto che era davvero su un palco, e che era, più o meno, acclamato.
Che il sogno della sua vita era ad un passo dall’essere realizzato, era la sua luce che appariva all’improvviso;  e che, mentre non perdeva una nota, nel pensiero stesso, appena schiaritosi, affiorava subito una nube: che non ce la faceva a tenere il ritmo, non più.
Così prendeva una boccata di realtà e tornava nel suo mondo interiore, dove smetteva di soffrire e si inabissava invece sempre più.
 
Il risvegliarsi improvviso di Justin, le sue immersioni nell’oscurità, la passeggiata sobria che aveva imparato a tenere sul palco, non per originalità, ma per necessità. Non guardava dove andava, camminava lentamente ma senza movenze ricercate. Si fermava, e a volte all’improvviso alzava i suoi occhi, che da opachi passavano a lucenti, come una specie di start, o di stop.
 
Come la sua voce, come il carillon di ghiaccio di Phoenix, il basso continuo con ampia risonanza di Shane, il drumming non così potente ma elegante ed a volte inaspettato di Eddie, quell’immobilità splendente, quel riemergere alla luce di Justin, stava diventando un marchio di fabbrica. L’immobilità davanti alla luce e il suo cantare nel ‘Più in là’.
 
E fu così che rimase, mentre Dorian da solo cantava Silences,  e lui la mormorava e basta, talmente basso da non essere sentito, e fuori tono: come una bambola la cui molla stesse per esaurirsi.
 
Troppo bella per non essere apprezzata.
Troppo strana per essere rifatta.
 
**
Galway e Cork furono una mezza delusione. Mezza perché preannunciata fin dall’inizio, ma comunque delusione dopo il buono start di Dublino, anche se la gente non scappò, quando, dopo le band in contest, dovettero suonare loro, ‘stranieri’ e sconosciuti.
Riuscirono a vendere anche qualche cd, i collezionisti si trovavano anche nei posti più impensabili e nelle serate in cui si pensava di aver fatto più schifo. Questo era l’ottimistico motto di Edmond, che li aveva raggiunti a Dublino alla fine della prima sera, per guidare, gestire la vendita delle demo, prendere eventuali accordi, ed in generale sorvegliare che non si scannassero.
 
Eddie si trattenne per miracolo dal dire a Dorian che questo era il prezzo del suo patteggiamento al posto della registrazione ai Windmill lane, ma vi rinunciò vedendo come il suo passerotto preferito fosse uscito abbacchiato dai due concerti, letteralmente senza una parola.
 
Dorian non voleva più tornare a casa, e il fatto che la vita da tour gli piacesse non faceva che accrescere questo sentimento, alimentato in origine dalla paura, che si era trasformata in euforia nel lasciare Linayr, come se fosse stato per sempre.
 
Erano mesi che non parlava col padre, se non per sporadiche e banali, quanto inevitabili, conversazioni, ma qualcosa nel suo cervello, qualcosa che ormai non si sarebbe mai spento, a dispetto delle rassicurazioni pratiche e verbali fornitegli, gli segnalava un pericoloso ritorno di alta marea violenta.
Forse uno strano luccichio negli occhi di William Kierdiing, forse il silenzio quasi imbarazzato della madre, prima di abbracciarlo e augurargli tanta fortuna, al suo annuncio di partire per il ‘tour’.
 
Quel partire all’improvviso per Dio-solo-sa-dove, annunciato con l’arroganza di un principino viziato con un’assoluta noncuranza, aveva risvegliato qualcosa.
 
Qualcosa del vecchio Dorian, e qualcosa in suo padre.
Si era spinto davvero troppo in là, facendo il bello ed il cattivo tempo, in quei mesi, ma non voleva tornare indietro.
 
**
Nel furgoncino scrostato degli ex- Golden Ghost, dopo ‘il grande fiasco di Galway’, come l’aveva definito Eddie in un momento di rabbia, un silenzio dilatato come un ultimo respiro si era diffuso nel mezzo.Era come se fossero stati separati di fronte al primo numero andato male della loro carriera.
“Non tutti gli incontri si vincono.”, aveva sentenziato Edmond, caricando i cd da vendere e dava una mano con gli strumenti e le loro cose.
“Con i Golden Ghost abbiamo vinto più prendendo fischi che acclamazioni, e…”
“E facevate schifo.”, gli sibilò Dorian, strappandogli dalle mani Phoenix, che Edmond stava per caricare, e salendo direttamente, per poi fermarsi, mentre tutti lo guardavano, a bocca aperta, persino Edmond.
Si voltò, lentamente, gli occhi verdi che luccicavano di rabbia nell’impietosa luna invernale sopra Galway, nel locale appena fuori città, in quella che tutti loro, più o meno cittadini, avevano sognato come ‘la romantica campagna irlandese’.
 
Quante balle.
 
Edmond posò a terra con cura lo scatolone dei cd, fissando i suoi occhi più maturi in quelli del ragazzo più giovane; quello che stava mandando avanti, e nemmeno troppo bene, la band.
“Vuoi essere lasciato a Galway ad ululare le tue lamentele alla luna, Dorian? Perché se è questo che vuoi, ti accont…
“Ho sbagliato, Edmond.”, lo interruppe Dorian, ma con un sorriso strano sulle labbra, più stirate che altro.
“Non facevate schifo. Facevate cover. Solo cover. Anni e anni a rifare parti di chitarra di altri.”, e riprese Phoenix in mano, girandosi del tutto, cercando gli occhi dei compagni.
“Noi siamo su un altro livello. È inutile discuterne.”,e si piegò in un mezzo inchino. “Perciò ti faccio le mie scuse. Continua ad instillare gocce di sapere in chi vuole ascoltarti.”
E scomparve nell’oscurità del furgone.
 
Edmond rimase ancora a bocca aperta, mentre le prime gocce di pioggia costringevano tutti a velocizzarsi, nonostante la stanchezza e lo stupore.
“Parola mia, quello è indemoniato…”, mormorò il maggiore dei Joyce.
 
Eddie lo guardò, ma non trovò niente con cui ribattere. Forse perché nel momento in cui l’aveva detto, gli aveva dato ragione, come Shane ed ovviamente Justin.
Aveva fottutamente ragione.
 
**
Limerick stava per apparire loro come un disastro preannunciato. Un completo disastro che si stagliava all’orizzonte e che non potevano evitare.
 
Eddie dormiva su un sedile, completamente distrutto. Se ne stava stravaccato, abbracciando con divertimento di tutti una copertina come Linus; Shane stava sul sedile del passeggero, davanti, a chiacchierare oziosamente e pigramente con Edmond, pronto a suggerirgli di accostare, poco voglioso di prenderne il posto, anche se la tabella di marcia che avevano studiato aveva imposto loro di essere in città all’alba, per riposare un po’ ed orientarsi poi con calma.
 
Dorian si era appena svegliato, in uno dei suoi dannati dormiveglia sempre più frequenti, in un lago di sudore nonostante il freddo fosse più che tangibile. Incrociò lo sguardo con il pezzo di specchio che uno dei membri del gruppo prima aveva installato, in qualche modo, e sospirò, stizzito. Gli stava restituendo un’immagine turbata che troppo spesso incrociava, anche se pochi la notavano: i capelli madidi di sudore, le occhiaie che iniziavano ad apparire nel suo bel viso, gli occhi verdi offuscati, i lineamenti tirati.
La paura di aver trascinato quel gruppo, i suoi amici, sull’orlo di un precipizio, quando invece potevano essere così vicino ad una vittoria, se la sua avventatezza e la sua fretta non gliel’avessero mostrata come troppo lontana ed improbabile. Tutto ciò gravava sulle sue spalle dal giorno del contest, e sguardi più o meno accennati gli avevano dimostrato che i suoi non erano solo sospetti.
 
Mesi fa nessuno gliel’avrebbe apertamente rinfacciato, ma le cose avevano presoun abbrivio veloce, troppo veloce: erano diventate una slavina, e si erano resi conto di poterla cavalcare, se nessuno avesse commesso errori.
Se lui non avesse commesso errori.
 
Questo pensava, mentre continuava a guardarsi nello specchio, un ragazzo troppo giovane e fragile per quelle responsabilità e per le parole che aveva detto in quei giorni, per quella maschera di durezza che si crepava ogni notte, per quel se stesso rimasto che si spezzava ad ogni parola dura rivolta ai suoi compagni per il loro bene.
 
O forse l’aveva solo creduto?
 
“Non dormi neanche tu?”
La voce di Justin, un bisbiglio morbido anche se un po’ rauco, lo raggiunse dalla brandina sopra di lui, forse non del tutto inaspettatamente.
 
 “No. Io… questo furgone è una maledizione.”, deglutì Dorian, all’improvviso sull’orlo delle lacrime.
Quanto aveva contato la sua ambizione, combinata alle ossessioni dell’amico, nel trascinarlo al punto in cui si era trovato, a sembrare l’ombra del ragazzo scherzoso, il suo compagno di banco  imitatore di David Bowie, Bono e Dave Gahan?
Justin non imitava più nessuno. Quando sentiva commenti sul suo imitare Ian Curtis o Robert Smith, avrebbe voluto condurre quelle persone nel backstage e mostrargli l’amico, no; la sua assenza.
Quell’assenza di Justin che urlava, letteralmente.
“Tu sei una maledizione, Dorian.”, gli rispose, lentamente ed alzandosi a sedere; si calò dalla brandina, ancora una piuma rispetto al ragazzo che conosceva, che già non aveva brillato per la stazza e il sonno. I capelli neri che mandavano riflessi violacei nei fanali delle altre auto, un fantasma che intraprendeva la strada della corporeità nel suo ricominciare a mangiare e dormire, nei jeans di pelle e in una maglietta prestatagli da Shane per dormire che lo infagottava letteralmente.
Poi si sedette vicino a lui.
“Dorian. Tu sei una maledizione.”, ripeté, sempre lentamente, guardando anch’esso il pezzo di specchio. Il resto del gruppo, davanti, dormiva o parlottava.
Sembrava uno spicchio del loro passato che stava tornando a visitarli.
Dorian accennò un sorriso triste.
“Credo proprio di esserlo. Credo di…”
“…credi di esserlo. Hai detto bene. Tu credi di averci portato alla rovina. Di essere il responsabile.”
“Non lo sono?”, sospirò Dorian, parlando al Justin dello specchio. Allo stesso modo Justin gli sorrise, dolcemente, quegli occhi così trasparenti che non potevano nascondere niente, resi ancora più incredibili dall’intrico di capelli ricaduti e dal riflesso che gli mandava lo specchio.
Una volta ancora, Dorian si stupì di che strana bellezza avesse Justin, e di come fosse riuscito a
farla risaltare, mettendo quasi a repentaglio la sua vita in modo quasi scientifico.
“Non lo sei.”, e gli passò una mano attorno alla spalla, in una specie di abbraccio. Il gesto fu fluido, elegante, come i movimenti del Justin di un tempo, non del Justin di adesso che esauriva la carica e poi la riprendeva.
“Siamo una band, Dorian. Ognuno di noi ha una responsabilità, e tu…”, e finalmente lo fissò negli occhi. “Sei stato lasciato solo. Quando abbiamo sempre pensato che nessuno di noi avrebbe lasciato gli altri, o un altro.”,e tacque, riflettendo, per poi parlare, a voce più bassa, quasi un sussurro.
“Prima che la droga mi mandasse in pappa quel poco di cervello, avevo giurato che se non avessi trovato nessuno, avrei diviso la colpa.”, e strinse, di poco, la stretta sulla spalla di Dorian, che era quasi comicamente sorpreso dalle sue parole.
“Ora che ne sto uscendo, mi rendo conto che ho fatto troppo poco. Ero troppo preso da me, e volevo solo cantare, essere un personaggio, e non… non un leader, ma una maschera.”, sospirò, per poi alzare lo sguardo allo specchio. Sorridente.
“Ti ho lasciato troppo campo libero, Kierdiing. Ora dovrai discuterne con me, di queste cose. E recupererò quello che mi hai rubato.”
“Ti occorrerà un bel po’ di tempo e forza di volontà, per rimettermi in rotta, Justin. Ed altri dieci chili, ancora, minimo.”, scherzò Dorian, con la voce tremante.
Voleva crederci.
E ci credeva. Fatto o non fatto, credeva a quel tipo di sguardo di Justin.
Justin sbuffò, quasi divertito, affettando la voce e sbattendo le palpebre.
“Non mi trovi bella? Potrei indossare qualsiasi cosa, con questa taglia.”, smielò, alzandosi e facendo una giravolta.
“Quanto pesi?”, chiese Dorian, non mollando l’osso.
Justin incrociò le braccia e finse di ricordare; in realtà pensava, sì, ma se aggravare o meno le sue condizioni, optando per la verità.
“Quando siamo partiti, pesavo 53 chili.”, confessò, roteando gli occhi.
Checa…sei alto quasi più di me! Un metro e ottanta lo sei!”, sputò Dorian, trovando qualcosa su cui indirizzare i suoi pensieri.
“Lo speed, le anfetamine, le efedrine… ti fanno espellere i liquidi, Dorian. Avrò di certo rimesso già cinque o sei chili.”, scosse la testa l’amico, poco preoccupato. Effettivamente Justin sembrava stare di nuovo bene, e non se n’era neanche reso conto, preso dal proprio dramma personale.
A torturarsi raffinatamente, come se al mondo non vi fossero gli altri, come gli era appena stato rivelato.
Justin, ridacchiando, si tolse la felpa, rimanendo in maglietta, e incrociò le braccia dietro la testa, sporgendo inesistenti pettorali.
“Non trovi sia l’immagine perfetta del disagio giovanile?”, disse ridendo.
Una vera risata, che costrinse Dorian a sorridergli di risposta.
E poi mettersi a ridere, quando il flash di Eddie,  risvegliatosi, li beccò entrambi in quelle assurde pose; un Eddie sorridente, anche se addormentato, che aveva sentito metà discorso come minimo.
“La pubblicità per un tonico anni ’50, semmai, scheletrino!”
E Dorian rideva ancora, quando Eddie si girò a 180° e sentì, dai posti davanti, la voce gioiosa e potente di Shane, esultare.
“Ce l’abbiamo fatta, gente, siamo a Limerick!!”
“Foto vicino al cartello di ingresso della città!!”, rise Eddie, aprendo le portiere nel freddo dell’alba irlandese.
“Sono in maglietta, cretino!”, urlò e rise Justin, cercando in fretta la felpa, mentre Dorian rideva ancora e si allacciava le scarpe, scuotendo la testa.
 
Dopo tanti mesi, aveva ancora il suo gruppo.
 
**
 
Lo show di Limerick fu il migliore dei tre programmati fuori città, grazie al ‘recupero’ di Justin, che girò mezza città, sulla base di informazioni e pochi numeri di telefono, chiamando e minacciando parenti dispersi da chissà quanto tempo da parte di sua madre. Edele sarebbe stata furiosa, ma danno più danno meno…
Suo cugino Fiònan, che Dorian giudicò la persona meno simpatica della terra, lo aiutò in questo compito, con un prevedibile risvolto acido. Una torma di zie e cugine che caddero a terra davanti alla bellezza da angelo stropicciato del biondino, beccato casualmente mentre portava la sua pedalboard nel locale, che scatenò un furioso ticchettio sui cellulari delle cugine ed anche in alcune zie più giovani, che chiamarono amiche di amiche di amiche, fino quasi a riempire il locale.
Edmond rimpianse di non avere Jem con cui fare battute sull’isteria che Dorian scatenava alla chitarra, anche se Fiònan tentò di prenderne il posto.
“Sai, Edmond, ci sarebbe un modo per far vendere a quei quattro qualche copia in più…”
“Mm-mh?”, chiese Ed, soprappensiero, mentre Shane finalmente riscuoteva anch’esso il meritato successo da cotante oche starnazzanti, e Justin tornava nella sua speciale bolla, ignorando che sarebbe stato anch’egli poi assediato, anche se in modo diverso, da zie e parenti che non lo vedevano da minimo quindici anni.
“Se lasciassi quei due suonare in mutande, come i Red Hot Chili Peppers… Sai che botto!”, ridacchiò Fiònan; Edmond lo guardò lentamente, come a soppesarlo, poi pensò che nessuno doveva permettersi di offendere il suo gruppo (a parte Jem).
Le parole di Dorian avevano fatto più vittime di quel che pensava il biondino.
“Sì. È quello che piacerebbe fare a te, e che non ti riuscirà mai.”, ghignò, bevendo dalla sua pinta, e dandosi un cinque mentale con l’amico assente.
Non vedeva l’ora di rientrare in patria.
 
**
 
Quando, dopo due giorni, videro il cartello di entrata a Dublino, il quartetto di nuovo riunito urlò di gioia e, come a Limerick, scesero per una foto celebrativa, nella nebbia piovigginosa, per il ritorno.
Edmond pensò che quei matti se li era voluti, in fondo; non poteva neppure lamentarsi.
 
**
Come sarebbe che la data è spostata?!”
L’urlo di Dorian al telefono del suo cellulare li fece voltare tutti dal bancone, dove stavano bevendo una birra, e riposandosi, come se fossero reduci da un tour mondiale: se questa era la loro tenuta, i veri tour potevano scordarseli, si era convenuto, scherzosamente.
 
In realtà si erano divertiti, nonostante le delusioni, ed avevano recuperato molte cose e imparato altre, da brava band in tournèe per la prima volta. Partiti ingenui, si erano smaliziati in molte cose, come Justin che aveva fatto suo quel modo particolare di passeggiare per il palco e di cantare, pubblicizzare ulteriormente un evento come a Limerick e come in quel momento stavano facendo, passando nei pub dove trascorrevano le sere durante gli studi o il lavoro, non fidarsimai  degli organizzatorie controllare ognuno cosa facessero gli altri: il tour era duro e prima o poi qualcuno cedeva, l’avevano dimostrato prima Justin e poi Dorian, e solo stando uniti l’avevano superato.
 
La regola del non fidarsi degli organizzatori aveva spinto il biondino a chiamare, ed ora avevano l’ulteriore conferma. Justin si accese una sigaretta, agitando una mano davanti a Dorian perché spiegasse. Questi mise la mano sul microfono e spiegò, la fronte corrugata.
“Dicono che hanno spostato la location. Non suoniamo più al Cube.”
“E?”, chiese Shane, con aria minacciosa, quasi dovesse prendere una stecca da biliardo ed andare personalmente all’Ol’ music vox store.
“..aspetta…”
Dorian ascoltò, girato dall’altra parte, con una mano sull’orecchio per non sentire commenti o domande irritanti dei suoi amici, e  mormorò qualcosa, scuotendo la testa che finalmente era riuscito a far risplendere, con tre shampoo a casa di Shane, che era stata trasformata in un vero accampamento; in compenso Justin non aveva notizie di sua madre, né si avventurava a cercarne.
 
Il biondino assentì un paio di volte, poi mise giù, sospirando, e prese la sua birra, sentendosi osservato. Effettivamente tre paia d’occhi, due chiari ed uno nocciola, erano fissi su di lui.
“Occristo, hanno solo cambiato la location, dai!”
“Ma come solo?! Il Cube è un locale perfetto per la nostra musica, e per le dimensioni, per non parlare del tecnico delle luci che…”
“Justin, tu adori quel posto solo perché trovi quelle schifezze che piacciono a te!”
“Le anfetamine?”
“Cretino! La musica dark!”
“Se parla ancora di droga lo mando dall’altra parte del banco, lo giuro!”
“Oooooh, Shane, sfoga il tuo testosterone in eccesso su Dorian che non parla, o sull’Ol’ Music!”
“Effettivamente, Dorian…”
“Ma che è colpa mia, adesso?!”, si difese il biondino, poggiando una birra sul bancone, trattenendo a stento un sorriso. “A me non pensate!? Pensate sia felice?! Non ho neanche la mia camicia migliore stirata, per suonare all’Art Music Centre!!”
 
Le bocche aperte che vide spalancarsi gli bastarono come risposta e come tempo per scolarsi la birra.
“Oddio…”
“Non nominarlo invano, Shane, sia mai che ci ritira questo colpo di culo!”
“Justin, non è che per stasera puoi ri-drogarti? Se ci scappa il morto diventeremmo famosi di botto!”
Ma vaffanculo, Eddie!!
 Dorian si alzò, stiracchiandosi, finalmente sollevato.
 
“Signori… siamo tornati in città.”, e guardò il traffico vicino al Trinity, dove stavano battendo la zona, per informare la gente del loro concerto.
E sorrise.
“Prendiamola, stavolta. Rientriamo come trionfatori.”
 
**
Alle 20 e 30 di sera, Justin faceva su e giù in un vero camerino di backstage, fasciato letteralmente dai pantaloni di pelle, che iniziavano finalmente a stargli un po’ aderenti, e da una camicia nera lunga, che gli dava la solita aria lugubre.
Solo un filo di matita lo truccava, per una volta. Non voleva cadere in clichè troppo banali, ma neanche rinunciare ai suoi trucchetti. Se ne stava costruendo una riserva, da bravo frontman.
 
Dorian stava in un angolo a tubare con Monik, che aveva recuperato al quarto locale visitato per pubblicizzarsi, attorno al Trinity ed al Dublin Tech. Aveva passato altre due ore al telefono,  per la disperazione di tutti.  Pare che i riscontri positivi avuti come ‘guest’ negli altri contest sempre organizzati dalle filiali del negozio, specialmente in quelli di Limerick, avessero convinto l’Ol’ Music store ad organizzare loro un evento pubblicizzato e, appunto, da conquistatori. Le loro demo erano state acquistate e mandate tramite il negozio, a molte etichette, e qualcuna si era detta interessata a delle prove e dei colloqui.
Specialmente una di Londra stava facendo pressioni, e forse il concerto sarebbe stato registrato per quello scopo. Non era una prassi usuale, ma stavano imparando che le regole discografiche erano state scritte per essere continuamente rivoluzionate.
Da loro, speravano, la prossima volta.
 
**
Lo show, un vero concerto finalmente, non in pub oscuri, palchi di dieci centimetri, o supportati solo da parenti ed amici, fece venire giù il soffitto, e nonostante qualche errore di esecuzione dovuto all’emozione da parte di Eddie, l’audio risultò quasi perfetto nella maestria e nell’energia rinnovata che Dorian stava stillando dalla chitarra, approfittando di un nuovo delay che aveva avuto in prestito dal negozio di strumenti, che sperava di spremere il più possibile dai tour con i quali li avevano ‘sponsorizzati’.
Justin, sviluppò una tecnica tra il teatrale e l’assente per la sua performance: andava nella sua speciale bollaper poi tornare con quei movimenti fluidi che avevano caratterizzato le loro prime esibizioni, con i suoi capelli, erti a vette inarrivabili (la povera Monik si era intossicata per farglieli), ondeggianti e poi perfettamente immobili nella luce.
 
Silences fu, incredibilmente, cantata da tutti.
 
Il loro ultimo show con quelle canzoni, suonate in quel modo, divenne qualcosa di mitico, una pietra miliare; e purtroppo, qualcosa che avrebbero ricordato con nostalgia per molto tempo.
 
**
 
Dopo il concerto, sudati come maledetti, avevano chiesto una mezz’ora per riprendersi, pensare a cos’avevano fatto, prima di uscire; pretenziosi era quello che avevano letto nella mente degli organizzatori, e Dorian aveva preferito sostituirlo con ambiziosi.
In quel momento se ne stava con Monik, appoggiato al suo seno inesistente ma comunque accogliente, mentre questa gli accarezzava i capelli, fiera e amorevole, bisbigliandosi paroline dolci e rassicuranti.
La cosa che tutti, nel gruppo, apprezzavano della sua ragazza, era che capiva benissimo l’importanza della loro musica e giudicava correttamente uno show, senza indorare loro troppo la pillola. Collaborava con loro e spingeva Dorian avanti, a parte l’inizio; la fase pericolosa dell’innamoramento, in cui la coppia tendeva ad ignorare gli altri 6 miliardi di persone sulla Terra.
 
Shane fumava una sigaretta dietro l’altra appestando il camerino, ed Eddie se ne stava semplicemente ad occhi chiusi, con una maxi Guinness da cui beveva a lenti sorsi, battendosi le bacchette sulle cosce, ripassando gli errori commessi, ingigantendoli per poi ridimensionarli, ansioso di vedere e\o sentire.
Non sapevano neanche se sarebbe stata una registrazione video o audio, e a quel punto se ne sbattevano.
Erano sfiniti.
 
Justin, che si era messo a passeggiare nervoso, dopo una birra uscì nel retro per fumarsi una sigaretta, insistendo che se avessero fumato in due sarebbero rimasti soffocati tutti in una terribile nebbia. voleva stare un po’ solo, ma dopo tutto quel tempo in cui era rimasto solo, gli pareva una cosa brutta da dire, la peggiore forse.
La verità era che sperava, se fosse stato un video, di non avere rovinato tutto, con le sue cretinate. Sentiva su di sé, stavolta, e non su Dorian, il peso dell’esibizione, e come tutti i leader, era insicuro.
Avrebbe voluto rifarla subito, aveva energia per rifarla almeno altre cinque volte, e meglio; si accese una sigaretta, ne aspirò avidamente due o tre boccate e la gettò via, facendo due o tre passi nella notte dublinese.
“Merda…merdamerda…merda!!!
“Primo grosso concerto? L’ho sentito dire…”, bucò l’oscurità una voce, seguita da una figura improbabile di una ragazza della sua età, con un cellulare in mano, che digitava qualcosa, uno di quegli sms probabilmente che anche Dorian usava tanto con Monik, senza guardarlo in faccia.
 
Justin rimase a guardarla un attimo, pensando fosse una barista o una delle ragazze in sala, notando il particolare più sgargiante: non l’abbigliamento, nero come il suo e non adatto assolutamente alla stagione, non il trucco nero vistoso, ma i lunghi capelli rosso arancio, con mèches rosa, che le arrivavano a metà schiena, fermati con numerosi fermagli per resistere al vento di Dublino che aveva spazzato via le nuvole minacciose della mattina.
E gli occhi blu, quasi viola, quando alzò il piccolo viso, che spariva in quel mare di fuoco di capelli improbabili, a guardarlo; occhi che guardavano ben più a fondo dei suoi, grandi quasi come i suoi.
 
La ragazza sorrise e si avvicinò.
“La mia amica aveva ragione: ho fatto bene a venire. Suonate davvero bene e…”, fece per fargli il giro intorno, come un cartone animato, e si fermò quando anche Justin si girò di scatto, come non sopportasse di averla alle spalle. “E tu sei proprio un bel tipo.”, finì, arricciando il naso in una smorfia divertita.
“E tu chi sei?”
“Catherine. Kat per gli amici.”, scrollò i lunghi capelli, offrendogli la mano, mettendo finalmente via il cellulare.
Justin non prese la mano, rimanendo a fissarla con curiosità, senza maleducazione, e la ragazza la ritirò, ridacchiando.
“Spaventato come una marmotta davanti ai fari di un’auto! Sul palco non davi questa impressione, sei davvero bravo! Almeno accetta i miei complimenti.”, e gli porse un pacchetto di sigarette.
Justin ne prese una, sempre fissandola.
“Chi sarebbe la tua amica?”
“Lei.”, ridacchiò di nuovo la ragazza, indicando Monik che usciva di corsa, scortata da Dorian, che incrociò lo sguardo con lui, perplesso, in una comunicazione non verbale.
-Ma che cazzo..?!?-
-Io non ne so niente, Just, le donne sono pazze!!-
“Monik, meine Freundin!” (-Monik, amica mia!-)
“Katherine, kleine Prinzessin!” (-Katherine, principessina!-)
 
Justin approfittò dei baci ed abbracci che le due si diedero, ammirandosi i capelli a vicenda e parlando fittamente in tedesco, con qualche difficoltà da parte della rossa, tra risatine e interruzioni a vicenda, per fare a segno a Dorian di spiegargli, il quale alzò le spalle.
 
“Se ti dico quanto so ti accontenterai, spero, perché non capisco niente neanche io! Quella tizia è la sua corrispondente di penna da secoli, è canadese, e si è ritrovata a passare in Irlanda… E hanno organizzato tutto stasera. L’ho appena saputo, vedendola mandaretutti i messaggi in quella lingua assurda… Le ho chiesto. Ma è tutto ciò che so!”, finì di rispondergli in un soffio, visto che le due avevano finito di parlare, abbracciarsi ed esternare emozioni in modi a loro sconosciuti, e Monik stava tornando da lui, mentre la sua amica stava sorpassando rapidamente Justin per entrare nel backstage.
Ehi no, là dentro non…”
“Oh, giro sempre con maschi, non preoccuparti! SALVE, ragazzi!” , trillò una voce acuta, entrando direttamente e guardandosi attorno, non notando neanche lontanamente uno Shane a torso nudo che, inconsapevolmente, si era posizionato sull’attenti neanche fosse Capitan America, pettorali in bella mostra, ma dirigendosi verso Phoenix, con panico di Dorian e interesse un po’ curioso ed un po’ maligno di Eddie.
“Questa è la famosa chitarra? Posso farle una foto?”, chiese, estraendo una usa&getta e girandosi verso Dorian e sbattendo le ciglia, mossa che fece ringhiare qualcosa in tedesco a Monik, per poi mettersi a ridere.
“Io… cos… foto?! Ma che sei, tu?!”
“Un ricordino del mio viaggio in Irlanda. Siete l’unico gruppo che ho visto!”, e Dorian acconsentì, assediato anche da un ‘Pleeeaaaseee’ di Monik, abbagliato anch’esso dal flash e dalle parole seguenti: “…a parte gli Smashing Pumpkins. Ma mi siete piaciuti di più voi.”
“Co…!! Hai visto gli…”
“Sì, li ho visti. Vi spiace se faccio una bella foto di gruppo? Sapete, a casa scrivo per una fanzine e visto non abbiamo molte notizie dall’underground estero, mi piacerebbe farne un bello speciale dal mio viaggio in Europa. Ah…tu, bellezza, scusa, ti spiace metterti una maglia?”
“Ne stavo cercando una prima che tu entrassi, se è per quello…”, borbottò Shane, beccandosi una gomitata di Eddie, che si stava alzando, con la birra in mano, che aveva invece capito che era rimasto a far bella mostra di sé, e che ad occhio doveva averlo capito anche la ragazza.
Magguardaccheccarini! Di tutti i gruppi che ho visto siete di certo i più belli, e…Dov’è il vostro cantante aspirante Corvo?”
Si può sapere che diavolo stai facendo?! E chi sei?!”, entrò come una furia Justin, rimasto fuori ad osservare gli eventi a bocca aperta. Dall’insicurezza stava passando rapidamente al vecchio furore, e ragazza o no, non avrebbe permesso a quell’estranea di rovinargli il momento di pianto in solitudine.
Catherine andò a prenderlo per il braccio, con un’espressione più divertita che esasperata, e lo portò coma un bambino tra Eddie e Dorian, che a sua volta era abbracciato, buffonescamente, da Shane.
“Una foto, Lestat! Vai col tuo gruppo.”, disse, divertita. Era probabile che quella sua entrata fosse abituale, tanto non si era scomposta minimamente davanti al loro sconvolgimento.
“Ehi, un momento, non ho…”, iniziò a protestare Justin, avanzando irritato, ma…
-Flash-
“Complimenti, avanzo di anni ‘80, hai rovinato la foto! Mi tocca farne un’altra!”, e passò alla foto successiva, fulminandolo.
“Vedi di stare fermo, queste cazzo di foto costano, e non me le paga nessuno! Cristo, fai parte di una band indipendente o hai già il contratto con una major, che frigni così?!”, sbuffò, rimettendosi la macchina davanti e segnando con le dita il conto alla rovescia.
L’argomentazione tolse fiato a Justin, che stette fermo, con una faccia talmente sbalordita da sembrare in uno dei suoi momenti di riemersione alla luce.
Cosa che soddisfece la peste rossa.
“Bene, ora vediamo… Che ne dici di accompagnarmi al bar, bel moretto? Vorrei fotografare un po’ l’ambiente…”, sparò, mentre fotografava la sua amica avvinghiata ad un Dorian dalla faccia soddisfatta, ovviamente fotogenici come due angioletti caduti per sbaglio in Irlanda.
Shane fece per muoversi quando, sparaflashando un’istantanea a Eddie che beveva una birra, Kat alzò un dito e lo fermò, per poi riavviarsi i capelli, finitegli nella lunga giacca leopardata.
Non tu; il tuo amico spaventapasseri.”
Giuro che mi stai stancando, ragazza! Se pensi che…”
“Devo farti un’intervista, ma se non ci tieni a portare la voce del tuo gruppo in Nord America, anche se solo per una fanzine underground, puoi risparmiarti la birra chiara che volevi offrirmi e rimanere qua a frignare che la tua performance non è stata all’altezza, e cose simili, caro il mio lagnone.”, ed abbassò la macchina fotografica, con un sorriso tra il dolce ed il velenoso.
“Non penserai di essere il primo frontman che incontro, vero?”
Justin scosse la testa e la prese sottobraccio, ignorando il dito medio sogghignante di Shane, sbuffando e trascinandola via.
 
**
 
Al bar dell’ Art centre, poco dopo, Dorian, affannato e con Monik al seguito che moriva dal ridere, raggiunse Eddie, che faceva la ruota con delle ragazze di Linayr amiche del fratello, che con Jem aveva aizzato la folla. Doveva raccomandargli una cosa.
“Eddie, Eddie!”
Cazzo vuoi, Kierdiing?! Non venire qui, mi fai scappare la fauna!”, ringhiò Eddie, trascinandolo (anzi, trascinandoli) da parte.
“Non dire a Shane che quella ragazza, Kat…”, e guardò Monik, che scoppiò di nuovo a ridere, assentendo con la testa. “È la cantante degli Administrators!”
“Echiccazzosono?!”
“Il gruppo che ha aperto in Inghilterra e in Irlanda del Nord per gli Smashing Pumpkins! Per quello Monik l’ha invitata!”
“E perché dovrei non dirlo a lui e non a Justin?! Stanno amabilmente litigando al bar come una vecchia coppia!”, e si girò verso il ciuffo nero-violaceo che ondeggiava sopra un po’ di teste, chiaro segno dell’agitazione di Justin, e il punto luce creato dai capelli di lei, anch’essi scossi. Ora gli era chiaro il perché si erano subito scontrati: erano due teste di cazzo della stessa razza.
Dorian scoppiò a ridere, e abbracciò Monik, che prese fiato e scandì le parole con un pessimo accento.
“Perché lei suona il basso. E il bassista si suona la bassista, garçon!”,e scoppiarono a ridere, assieme con Eddie.
 
**
“Com’è essere leader di un gruppo? Un gruppo di così forte personalità, poi…”, chiese Kat, bevendo la sua pinta di lager, in un angolo appartato vicino al palco, ora scuro.
“L’insicurezza diventa una costante.”, sospirò Justin, bevendo dal suo drink superalcolico, con una sigaretta. “Non sei sicuro del tuo ruolo e…”, le mani gli tremarono un attimo, mentre tirava dalla sigaretta. “Ti aiuti come puoi, finché qualcuno non ti aiuta.”, e soffiò il fumo.
“Avere una band di amici che ti aiutano è vitale, in questi casi.”, disse, con un sorriso.
Kat scrisse un paio di appunti, sorridendo a sua volta.
Malinconica.
“Vorresti mai essere da solo?”
Justin ci pensò su, e bevve un lungo sorso.
 
L’aveva mai volutoveramente?
Quando Dorian aveva dato di matto?
Quando aveva dato letteralmente di matto lui?
Quando tutti l’avevano abbandonato?
 
Posò il bicchiere e guardò la ragazza dritto negli occhi, sorridendo.
“No. Mai.”, e cercò gli altri in giro per la sala; Eddie che bisbigliava con Dorian e Monik, con una ragazzina al fianco, dal fisico da modella ed un aspetto quasi latino.
Shane, che, con un’attraente bionda, al bancone, levò la pinta verso di lui, facendogli linguaccia e segno di augurio, che lo fece aprire in un sorriso e levare il suo bicchiere in risposta.
-Scemo…-
Kat lo osservava, e, nonostante la macchina fotografica a portata di mano, non si passò neppure la testa di fargli una foto con quel sorriso così radioso. Quando Justin spostò la sua attenzione su di lei, invece, posò il bicchiere e gli allungo una carezza, come intenerita.
“Sei bravo a farti delle maschere.”, sospirò, con dolcezza, gli occhi misteriosamente sull’orlo delle lacrime.
Justin deglutì, a fatica, e posò a sua volta il bicchiere: era stato bravo, sì.
Aveva solo perso la famiglia, la salute, quasi gli amici.
“Non sempre una maschera è quello che serve, sai…”, mormorò, abbassando gli occhi, come un’ammissione; quella ragazza, prima con la sua irruenza e poi con la sua dolcezza nascosta,  stava tirando fuori la verità, pian piano, da lui.
“No… Ma a volte occorrono a sopravvivere.”,sospirò Catherine, chiudendo il notes, ed abbassando gli occhi a sua volta. Pensava a quante ne stava creando lei, per sopravvivere a quel tour massacrante, e a quante ne avrebbe dovuto distruggere.
Forse fu quello, come avesse indovinato i suoi pensieri, a far prendere la sua mano a Justin e, dopo aver preso un respiro profondo, a baciarla.
E, accidenti, solo quando lo fece si rese conto di quanto fosse vero quel bacio.
 
Si interruppe solo quando sentì tossicchiare alle sue spalle, e, girandosi, pensò che il karma l’aveva ancora fottuto: davanti a loro stava Edele, sempre bellissima, che si torceva le mani, ma gli stava puntando uno sguardo armato contro.
Armato di non si sa cosa. Sua madre era l’unica più brava di lui a crearsi maschere, e a differenza sua sapeva nascondere cosa tramava in quegli occhi dallo stesso colore.
“Justin…”, iniziò, e si interruppe, guardandolo.
E guardando poi la ragazza alle sue spalle, che la fissava ad occhi sgranati, ripulendosi dal rossetto sbavato, e che, presa la birra, si allontanò di fretta; cosa di cui suo figlio non si accorse neppure, tra l’altro.
“Ma…mamma! Cosa…”
“Mi ha telefonato Dorian. Quella lingualunga è esperto nel metterti nei casini.”, e ridacchiò debolmente.
“Dorian… e… cosa...”
“Non avevo mai visto un vostro spettacolo. Sono venuta con Dave, spero non ti spiaccia se ti ho rovinato l’incontro ravvicinato con la signorina.”, e allungò il collo, inutilmente. Kat era già sparita nella folla.
“N- no. Cosa…Come ti è sembrato?”
“Sei bellissimo, Justin.”, gli disse, sull’orlo delle lacrime. E, aprendogli una mano, gli poggiò un oggetto, dicendogli le cose che aspettava da una vita.
“Ho parlato con Dorian e mi si sono chiarite molte cose. Quel ragazzo ti vuole bene, Just.”, e si fermò ad asciugare una lacrima che traboccò. “Mi hai reso molto, molto fiera, Justin. Sei insuperabile in ciò che fai.”, e gli chiuse le mani sull’oggetto.
“Hai dimenticato le chiavi. Domani mi racconterai del tour.”, e si voltò per raggiungere il compagno, per poi girarsi con un vero sorriso.
“Mi raccomando, con la ragazza… Non voglio cattive notizie, domani.”
Justin accusò il colpo, e si mise a ridere, intascando le chiavi, ancora troppo magro ma in via di ricostruzione.
Oh, mamma, ma vaffanculo!”
 
**
 
Kat se ne stava sui gradini dietro il backstage a fumare una sigaretta.
 
Di tutte le figure di merda, proprio stasera dovevi farne una, eh? Musicista, groupie, rapporti occasionali… Cos’aveva detto quel tipo, Justin? Insicurezza. La tua miglior amica.
Si alzò in piedi, fece per bere dallo stesso bicchiere di prima, e poi ci pensò un attimo; un attimo di rabbia, verso se stessa, e tirò il bicchiere contro il muretto di mattoni dietro l’Art Centre.
Vaffanculo, per Dio!!”, urlò, mentre una lacrima nera le scendeva, un qualcosa che intendeva ignorare.
“Per fortuna te ne ho portata un’altra…”, sentì una voce dietro di sé.
“Cos…”
“Non sei l’unica brava ad arrivare di sorpresa.”, le disse dolcemente Justin, porgendole una birra, che lei non prese. “Avanti, voglio una recensione favorevole.”
Kat lo guardò nel peggior modo possibile.
“È un gioco per te, Justin Swanson?”, soffiò lei, tirando poi rabbiosamente dalla sua sigaretta.
“Cosa?”, chiese, allibito.
“Per t…per voi: passare da una ragazza all’altra, un gioco!”, alzò la voce la rossa, avanzando rabbiosa verso di lui. “Una ragazza a casa ed una in tour!  Vi basta mettervi su quel palco, suonare due accordi e via, ragazze a frotte! E poi cazzi loro quando si incontrano! Almeno la tua ha avuto la decenza di non litig…”
“La mia…che?!
“Quella donna che… quella! Non prendermi in giro, non ti ci provare neppure!”, lo ammonì, mentre un lampo di rabbia la faceva passare gli occhi da blu a viola. Non voleva certo commentare che, per quanto stupenda, quella donna doveva avere più anni di lui, non era certo la prima volta che vedeva certe cose, specie in campo musicale. Le coppie più strane si intersecavano.
Monik stessa le aveva detto che uno degli amici di Dorian aveva un debole per le ragazze più vecchie.
“Dici…”, e Justin provò a farsi fissare negli occhi, impossibilitato da due birre in mano, decidendo di poggiarle. “Ehi, guardami!”, e le prese una mano, che lei tentò di colpire.
“Ah sì, guardami, credimi, piccola dico la verità! E lasciami subito o…
“Era mia madre, Cristo!”, sbuffò Justin, immobilizzandole le mani e abbassando gli occhi all’altezza dei suoi. “Abbiamo litigato prima del tour e mi ha riportato le chiavi!”, e, ripensandoci, scoppiò a ridere.
“Non ti credo.”
Justin la osservò, poi la lasciò andare, con un sorriso, e le porse la pinta, che finalmente accettò.
“Sai… neanche io ti credevo così.”
“Cosìcome?”
“Brava. Ma la maschera migliore era la mia.”, e fece per toccarle il bicchiere con il suo. “La tua è crollata subito. Quanti anni hai?”
“Diciotto.”, rispose lei, ancora imbronciata. Un broncio sexy che doveva aver provato molte volte, pensò lui, per poi fregarsene e prenderle una mano.
“L’insicurezza, ricordati…”, e le sorrise, finché anche lei gli sorrise, di rimando.
“Ci cammina a fianco.”
 
**
 
“Cazzo, mi sono ribaltato mezza birra sui jeans, meglio vada a prender…”
“NONONONONO!! Sul furgone non ci vai!”, Dorian si mise di traverso alla porta del backstage, alle 5 di mattina, dopo una serata apocalittica come quella del loro primo concerto.
“Dorian! Non ho intenzione di stare qua mentre sembra che mi sia pisciato addosso e…”
“Il furgone è occupato, bisonte!”, sibilò il biondino, con la fidanzata a dargli manforte, che scuoteva la testa, guardandolo male, come se con i suoi quaranta chili avesse potuto fargli davvero male.
“Co…”
La mia amica Kat e Justin stanno parlando.”, sibilò Monik, con un inglese atroce ma, chissà come, sottolineando il ‘parlando’.
Shane venne ricondotto all’interno, con una mano in faccia, mentre iniziava a ridere come uno scemo.
“Parola mia, questo tour è ciò che di più divertente mi sia capitato in vita, ahahahah! Justin con quella! Chiamate un’ambulanza, o prepariamo il cucchiaio più grande del mondo! Ahahahah!”
“Senti come ride l’invidia…”, borbottò Dorian, sbattendo Shane contro il banco, piegato dal ridere, e ordinando un altro giro di birre.
 
Aveva imparato che non voleva avere mal di testa da solo, il mattino dopo.
 
**
 
“…pensavo…”
“?”
Kat, mezza addormentata, sulla branda che fu di Dorian nel tour, con i capelli a ricoprire di fiamma il magro petto di Justin, un braccio di traverso ed appiccicata a lui per difendersi dal freddo, lo guardò interrogativa.
“Per il tempo che ti fermerai qua, ti piacerebbe…”
“Domani ripartirò.”, sbadigliò lei, prendendo mentalmente le distanze.
Non soffrire, non dargli corda. Non soffrire. Smettila. Non illuderti o non avresti neppure dovuto iniziare questo mestiere, stupida vigliacca sentimentale.
“Do…domani?”, restò allibito Justin, mettendosi a sedere di colpo. E la sua domanda rimase nell’aria, troppo facile da indovinare.
E purtroppo da ignorare.
-Vorresti stare con me? Essere la mia ragazza? Riempire la mia solitudine con la tua?-
“Sì, domani.”, fece finta di chiudere gli occhi Kat, sistemando la sua parte di coperta.
“Come…come mai?! Il tuo non era un giro in Europa?”
“Sì. La settimana scorsa eravamo in Inghilterra. Poi in Irlanda del Nord. Poi qua. Ed eccoci qua.”, fece per sbadigliare, da consumata commediante.
Tutto questo lavoro per non affezionarsi. Tutto questo lavoro. E ne vale la pena?
“Tu…e chi? Amiche?”, chiese Justin, per non chiedere quello che temeva di più.
-Amici? Sei una groupie? Come sarebbe ‘eravamo’? Non ho visto nessuno che…-
“Col mio gruppo. Siamo in tournèe con gli Smashing Pumpkins, e domani partiremo per l’Olanda.”, e si girò dall’altra parte, per non far vedere che stava diventando sempre più difficile tenere quella maschera. Che stava per piangere, da stupida sentimentale che era. Da affamata d’affetto, che purtroppo pensava di averne trovato.
 
Il silenzio successivo fu significativo e carico di addii.
“Dev’essere veramente bello…”, disse solo Justin, ristendendosi ed abbracciandola.
Certo. Lasciarti poi… È un’ebrezza continua, questa vita.
“Mmm, molto.”, rispose, invece, facendo finta di voler addormentarsi.
“Posso chiederti solo una cosa?”
“Parla.”
“Io… posso venire a salutarti?”
“Se vuoi un autografo di Billy Corgan, sappi che io non…”
“No. Possiamo trovarci prima? Solo…”, e deglutì, mentre pensava che il suo primo vero amore se ne stava per andare, e facendo una promessa solenne a se stesso.
Di quelle che manteneva.
“Solo per dirti addio. Non vorrei farlo, ma se deve essere, non voglio che sia qua. È troppo…
squallido.”
Kat non rispose, per un po’, e poi si voltò verso di lui, con un sorriso.
“Certo. L’aereo parte alla sera. Dimmi dove possiamo trovarci domani.”
Justin le baciò una spalla, e le sorrise, grato.
“Restiamo assieme finché sarà l’ora e, se posso, ti accompagnerò in aeroporto. Poi prometto che ti lascerò andare.”
Lei si girò verso di lui, fronte contro fronte.
“Credi di essere innamorato?”
“Lo so.”
Gli sorrise amaramente.
“Allora amami. E facciamo in modo di non sprecare questo tempo prezioso.”
“Ai tuoi ordini, signorina.”
Fu un brutto addio, quando, il giorno dopo, visibilmente segnata dalla nottata, ma non meno bella, Kat si infilò su un taxi per l’aeroporto, separatamente dal suo gruppo.
 
Justin si voltò verso il cielo di Dublino, guardando le scie degli aerei e pensò alla sua promessa, non pensando mai, neppure una volta, che era una promessa da ventenne nel pieno di una cotta e di orgoglio giustificato.
 
L’avrebbe ritrovata. Non sapeva niente di lei, tranne il suo nome ed il nome del suo gruppo sconosciuto, ma l’avrebbe fatto. 
 
Si mise le mani in tasca e ritrovò le chiavi di casa. Si avviò, sotto un cielo nel quale le nuvole si rincorrevano, sempre in movimento, e pensò che forse, le sue promesse erano vane. Forse quella era la fine di tutto, in fondo non avevano progetti per il futuro.
 
L’insicurezza, come una vecchia amica, tornò ad avvolgerlo come una coperta quasi rassicurante, mentre, a casa, la sua vecchia vita lo aspettava.
 

Eccoci; è un capitolo lunghissimo, perchè, come preannunciato, le cose cambieranno radicalmente. 
Le cose stanno cambiando e non potranno mai tornare com'erano, se non in un futuro, dove reincontreremo anche questo nuovo personaggio, per ora solo accennato, sul quale non mi esprimo.
E Dayer ed Alael? 
Grazie a Jo The Ripper che è riuscita, quasi a costo della vita, ad ignorare le mie citazioni continue e provocazioni e betare questo orrendamente lungo e incasinato capitolo. Grazie, e LOOOOOOOOOOOOVE!

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Capitolo 16
*** 16. Indietro non si torna ***


16. Indietro non si torna.
 
Dopo il concerto del ‘trionfo’ a Dublino, si erano temporaneamente separati, per ritrovarsi dopo una settimana circa.
Justin era tornato a casa sua per farsi viziare da Edele, che lo lasciava a letto tutto il giorno, incurante dell’università e dei suoi doveri.
Le piaceva averlo tra i piedi per la prima volta da mesi, mentre stava a raccontarle i minimi particolari del ‘tour’, ovviamente omettendo i suoi guai; dal canto suo, sua madre lo ingozzava letteralmente a forza di ghiottonerie casalinghe: si era presa persino qualche giorno di ferie per stare con lui, ma indigestione dopo indigestione, anche se si rimetteva lentamente, una cosa appariva ormai certa.
Justin non avrebbe mai superato la soglia dei 65 chili neanche zavorrandolo, che Edele e i suoi manicaretti e le sue sacre Guinness alla sera lo volessero o no!  
 
Dorian era rimasto a Dublino da Shane, e solo dopo un paio di giorni da lui e al campus del Trinity da Monik era tornato a casa, a Linayr, sotto pressione di Eddie, che invece aveva riportato il ‘Carrozzone’, come avevano soprannominato il furgoncino, con il fratello alla base del garage di Jem già il giorno dopo.
Era tornato a casa sua solo per fare una valigia, e poi, con Eddie, sarebbe partito per Londra; tutto ciò non era piaciuto né a sua madre né, specialmente, a suo padre, che aveva chiesto con tono falsamente interessato su ‘cos’avrebbe avuto intenzione di fare, IN FUTURO’.
 
Dorian aveva scrollato le spalle ed aveva risposto che era solo un viaggetto che si autofinanziavano con la vendita delle demo autoprodotte, non aveva certo intenzione di abbandonare l’università per una cretinata come il gruppo.
 
Assolutamente no.
Voleva abbandonare tutto, non solo l’università.
Quella fu l’ultima volta che tornò a casa; non sbandierava i suoi proclami al vento, come Justin, ma manteneva sempre i suoi propositi.
 
**
 
Gli amici si ritrovarono al Dublin Airport, a salutare, raccomandare e, nel caso di Monik, piangere, rassicurata da Justin sul ritorno intero e in forma più che mai del suo passerotto e di Eddie, che si avventuravano nella famelica Londra per cercare un accordo con l’etichetta che aveva voluto la demo e la registrazione del concerto all’Art Music Centre, nonostante non avessero avuto più notizie.
Non intendevano demordere, assolutamente.
Si era scoperto, in seguito, che era stato un video, non solo una registrazione audio, e che non avevano diritto di usufruirne o distribuirlo se non a livello personale della copia che era stata consegnata a loro, ma era comunque un bellissimo ricordo, che si erano guardati almeno 7 volte in una giornata a casa di Shane.
 
Le riprese erano dozzinali, di una camera fissa, e gli zoom improvvisi facevano venire quasi le vertigini, ma l’audio in compenso era perfetto, ed aveva permesso loro di godersi lo spettacolo, soddisfatti come pochi.
 
I movimenti di Justin erano fluidi ma assolutamente sobri, come se stesse passeggiando per il centro, noncurante, facendo risaltare così ancora di più le sue assenze contro le forti luci fredde; Dorian si muoveva e suonava con la sua solita eleganza che faceva sembrare facile il suo lavoro, mentre un orecchio più esperto si sarebbe accorto della fatica e della puntigliosa opera di programmazione degli effetti nel riprodurre tali suoni.
Shane sembrava emanare pura potenza groove dal suo basso e dal suo saltellare per il palco, oltre che dall’headbanging: lui ed Eddie non si sbagliavano mai, ed il drumming del rosso, oltre che essere decisamente hard rock e deciso, contrapposto alla chitarra quasi new wave di Dorian, era anche innovativo, non risultando mai invadente.
 
L’unico punto interrogativo che restava loro, ormai sfiniti dal notare errori quasi minimi e vantarsi di cose che solo loro potevano vedere, era: perché un video?
Perché un video, poi, girato in quel modo così singolare?
 
Alla chiamata per l’imbarco, i due si avviarono al gate, scortati nelle impietose luci fluorescenti del neon come andassero al patibolo più che alla vittoria. Non si illudevano di avere grandi speranze, ma Dorian aveva una luce decisa negli occhi.
Non sarebbe tornato indietro.
Punto.
Eddie lo accompagnava per tenerlo calmo e sperare che non sbarellasse, mandando all’aria l’infinitesimale possibilità di ottenere qualche vantaggio, ma non sarebbe neppure servito: Dorian era deciso a trovare qualcosa.
Qualsiasi cosa, e tutti loro lo sapevano, ormai c’erano dentro fino al collo.
E, dopo aver toccato il primo strato del cielo, in quel concerto, lo avrebbero seguito fino in fondo, pur di non mollare.
 
**
 
Il Boeing 737 dell’AirLingus rollò pesantemente sulla pista battente maltempo, si alzò e virò nel cielo sopra Dublino, con a bordo tutte le loro speranze, assieme ai due amici.
 
Come una settimana prima, Justin si trovò davanti all’aeroporto, senza sapere cosa fare, solo, mentre Shane riaccompagnava Monik ed il suo fazzoletto stropicciato al campus del Trinity, fissando ancora le incredibili nuvole irlandesi e bagnandosi di pioggia come minuscoli aghi di vetro.
 
Si avviò a casa, decidendo, come prima cosa, di cominciare a mantenere una promessa, cosa che raramente faceva; specialmente se erano promesse rivolte a sé stesso.
Già quella sera stava scrivendo una lettera, molto più realista dalle precedenti che scriveva da giorni e poi stracciava, dalla quale aveva tolto tutte le frasi da romanzo rosa in cui si stava imbucando prima, prolissa ma non stucchevole.
 
**
 
‘Carissimo Justin,
appena sono tornata a casa ho trovato la tua lettera, e non ti dico che sorpresa e che piacere!
Stavo già per mettermi a lamentare di nostalgia e ritorno alla noia come una mocciosa, ed invece ecco che il mio pezzo di Irlanda mi ha seguito fin qui! Che gioia!
[…]
Sono felice ed estremamente speranzosa sul fatto che Dorian sia a Londra; da quel che ho visto (poco) passando in tour con i Pumpkins, è una città estremamente viva dal punto di vista musicale, certo più viva di casa mia.
Sono sicura che hai già controllato sulla cartina, vicino a Montrèal,  e non l’hai vista.
Beh, dovresti procurarti una cartina più dettagliata del Quèbec, bello, per individuarmi...
[…]
Per rispondere alla tua ultima domanda, vorrei strapparmi un po’ di capelli, se non fosse che sono loro a tenermi in vita e non le sigarette né l’alcool né la passione per la musica (questa era brutta, lo so!), e…
Va bene, sarò seria.
Non so quando tornerò e specialmente, SEtornerò in Irlanda, a Dublino.
Questo tour con i Pumpkins è stata la nostra fortuna, ma ti rivelerò un orrendo segreto: ci stiamo sciogliendo.
Rick, il chitarrista, è quasi sfasciato dalla droga, e Michael, il batterista, è suo grandissimo amico, il chè significa che siamo divisi, e non solo per questa faccenda.
Così con me, a supportare le mie decisioni (in breve: un drogato in un gruppo è un’incognita; non voglio avere il dubbio, ad ogni show, di doverlo saltare. E’ la cinica verità, purtroppo non siamo un gruppo di amici come voi, siamo solo musicisti con un legame) rimane solo Chris, ma non ha mai avuto molto peso nel gruppo, essendo l’ultimo arrivato e all’inizio solo come supporto alla tastiera e al basso.
Billy Corgan mi ha detto di provare la strada solista, ma temo non abbia capito che io non sono sulla sua lunghezza d’onda, quel ragazzo è strano, ma immagino che se non fosse così non sarebbe un genio.
[…]
Grazie per il regalo, non ho mai avuto ‘Heroes’ di David Bowie originale; ti assicuro che non è poco, è  sentitissimo, anche perché è tuo, non l’hai comprato nuovo.
Mi spiace solo che tu te ne sia separato.
E’ il tuo modo, da disadattato a disadattata, di comunicarmi qualcosa?
[…]
Salutami tutti, dai un abbraccio a Dorian e Monik, e non fare stronzate.
Dall’altra parte dell’oceano c’è una persona che gradirebbe il tuo mettere la testa a posto.
Per quello che puoi, ovviamente.
[…]
Ti direi ‘Ti amo’ ma non sarebbe del tutto vero, ora.
Ti voglio bene, comunque.
Baci
Baci
Baci
Catherine –Kat- Delaroux’
 
Non appena arrivò la lettera espresso, Justin la rilesse quattro volte subito, prima di notare la demo che Kat aveva infilato nella busta, e la copia della fanzine, infilò il cd distrattamente nello stereo e poi tornò a rileggerla.
 
Quando l’ebbe quasi consumata, si mise a scrivere la risposta.
 
**
 
Avevano avuto poche e sporadiche comunicazioni da Londra, ma Dorian l’aveva chiamato la sera prima; non gli aveva dato messaggi per Shane, o telefonava con Eddie.
 
Dorian aveva chiamato lui, e gli aveva fatto una strana domanda, tra le scariche elettrostatiche di quello stupido cellulare.
“Cosa sei disposto a fare, per andare avanti, Justin? Per mandare avanti il nostro gruppo?”
“Dorian? Cosa intend…”
Rispondimi, accidenti a te, sto per finire i soldi!”
“Io… Fai quello che credi, Dorian. Basta che andiamo avanti.”
“Potrebbe non piacerti.”
Justin sospirò, non tentando neppure di immaginare cosa stava cercando di dire quel cretino, magari dopo qualche birra,vista l’ora; magari stava reinterpretando il Faust, quel maledetto, e l’aveva anche tirato giù dal letto!
“Dorian. Basta che possiamo tirare avanti. Noi quattro. Assieme. E un giorno, si spera, fare la nostra musica alla grande. Ti basta?”
“Sì.”
 
Justin non poteva immaginare che Dorian, più di lui, era veramente disposto a qualsiasi cosa pur di non tornare, a costo di trascinarli ancora avanti a forza, come era stato già capace di fare.
E che, forse, stava per essere trascinato avanti a sua volta, suo malgrado.
 
**
 
Eddie e Dorian tornarono intatti ad una prima occhiata, affascinati da Londra, ma in realtà massacrati sotto ogni punto di vista psicologico, fisico, morale.
Tutti i trucchetti che avevano usato per piazzare la loro demo non erano serviti, se non in qualche locale, dal quale non avevano più avuto notizia, ma alla fine, quando ormai era quasi ora di tornare a casa (erano rimasti a Londra dieci sfibrantissimi giorni, di cui tre a Manchester), avevano ricevuto la chiamata dell’etichetta che aveva il video del loro concerto all’Art Centre.
Completamente a sorpresa.
 
Troppo stanchi per parlarne, decisero di riunirsi a casa di Shaney, quella sera. Eddie si fermò direttamente dall’amico per buttarsi a dormire,  Dorian e Justin rimasero fuori dall’aeroporto, mentre il biondo riceveva la calda accoglienza, troppo stanco quasi per accorgersene, della sua fidanzata.
 
Justin aveva fatto per andarsene ma Dorian l’aveva pregato di rimanere.
Quando Monik finalmente lo lasciò, dopo aver ennesimamente pianto ed essersi sussurrati di tutto, Dorian avvicinò l’amico, che pensava ancora mentalmente cosa poter aggiungere alla sua lettera di risposta a Kat, che ormai raggiungeva i tre fogli protocollo!
“Justin…”
L’amico nascose un sorriso sotto un falso cipiglio.
“Avrei voluto suggerirvi di prendervi un motel, ma poi mi sono detto ‘ehi, sei tu tra i piedi!’; ora, specie di impiastro, dimmi perché sono dovuto rimanere qua a reggervi il moccolo!”
Dorian si morse le labbra, ignorando volutamente la sua fidanzata, e si avvicinò a Justin.
“Posso restare da te, un po’ di giorni? Non… non voglio andare a casa, e…”
Justin si sgonfiò dalla sua finta posa altezzosa in un attimo, sospirando e non lasciando che Dorian dovesse per forza parlare.
Era troppo facile capirlo, da quella volta.
“E’ ovvio che puoi restare.”, e sorrise in risposta, rianimando finalmente Dorian dalla sua debole imitazione di sorriso di scuse, abbracciato da Monik, che sembrava la personificazione della felicità.
“Ma se devi fare qualcosa, prenotati un motel, ragazzo. Mia madre non perdona, lo sai.”
Dorian finse un brivido e poi scoppiò a ridere davvero, nonostante i segni di stanchezza.
“Lungi da me scatenare Edele!”
 
Justin si girò e si avviò verso casa, per poi fermarsi, dubbioso.
“Avete davvero riportato qualcosa da Londra, Dorian?”
Il sorriso di Dorian si smorzò un poco, assottigliandosi, e lo fissò attentamente.
“Forse sì. Forse no.”, e inclinò un po’ la testa, accennando a scuoterla. “In ogni caso è qualcosa che potrebbe cambiarci la vita. Sta a noi decidere se potremo.”
Justin rise, ingenuamente.
Potremo nel senso di noi, cioè io, Eddie, Shane e…tu?”, disse, riprendendo la battuta che aveva dato il via al tutto, ma che si scontrò con il sorriso sottile di Dorian.
“No. Potremo io e te.”, e lo avvicinò ulteriormente. “Perché dipende da te accettare certe cose, nonostante tutto. E…”, sembrò assentarsi, mentre pensava a chissà cosa. “…dipende soprattutto da me. Da quanto mi appoggerete. Io sono neutrale su questa faccenda.”
A quelle parole Justin si inquietò.
“Cosa intendi?”
La voce di Dorian tremò un attimo, ma il suo sguardo non vacillò mai.
“Abbiamo qualcosa. Non è quello che volevamo ma è qualcosa. Potrebbe portarci più in alto o no, io… Non so cosa pensarne.”,e si morse le labbra, pensando a quanto dire. “Dovrete decidere voi.”, e si decise ad alzare lo sguardo.
“Il che significa che dovrai decidere tu, Justin.”
Justin lo fissò a sua volta, incerto, e poi scrollò le spalle.
“Così sia.”
“Amen, fratello.”
“Ci vediamo stasera. E…Dorian?”
 
Dorian era di nuovo abbracciato con la sua fidanzata, e si voltò a guadarlo.
“Prendetevi un motel.”
Vaffanculo!”
Justin scoppiò a ridere e salì sul suo bus dal terminal.
“Sì…anche tu mi sei mancato!”
 
**
 
Alla sera, a casa di Shane, nella loro sala prove, si respirava una tensione palpabile.
Se Dorian aveva accennato qualcosa a Justin, Eddie non aveva minimamente aperto bocca, ma ciò non significava che un’espressione incerta ristagnasse anche sul suo viso, e continuasse a torcersi le mani, aspettando l’arrivo del biondo, non decidendosi a prendere per primo la parola per spiegare.
 
Justin sospirò, sentendo che non avrebbe ancora retto per molto la tensione, e si accese una sigaretta, quando il portoncino laterale del garage si aprì e Dorian entrò, con un sorriso accennato cui gli occhi assolutamente seri, non corrispondevano.
“Alleluia, passerotto!”, lo rimproverò Shane, con una birra, seduto ai piedi della batteria, mentre Eddie girellava con una lattina ed una sigaretta a sua volta.
Dorian si fermò sulla porta a togliersi la giacca, fissando Eddie che tentava di interessarsi al rivestimento del muro come se da esso dipendesse la sua vita, e sospirò a sua volta.
“Non gli hai detto niente.”
 
Più che una domanda era un’affermazione; sapeva benissimo che il lavoro duro sarebbe andato a lui, ma si aspettava almeno un minimo di collaborazione da Eddie!
Il rosso scosse invece la testa e tornò ad occuparsi di fissare la macchia sul muro, mentre Dorian si accendeva a sua volta una sigaretta.
“Shane, aprire la finestra ti farebbe schifo, quando sono già in due che fumano?”
“Fanculo, Dorian, ti stiamo aspettando da un’ora, dicci cosa ci stai nascondendo!”, imprecò l’amico, alzandosi ad aprire la finestrella. Justin più che fumando stava tirando dalla sua Marlboro neanche fosse un inalatore dal quale fosse dipesa la sua vita, e lo stava fissando insistentemente, pallido come ai bei giorni delle anfetamine.
 
Dorian lo osservò per un attimo, come casualmente, non incrociandone con cura gli occhi.
Justin si era nettamente rimesso in poco tempo, a parte il pallore soffuso di quella sera, che era un chiaro segno di agitazione per le parole confuse del pomeriggio: sarebbe stato un bene?
 
Appena postosi la domanda, Dorian si rimproverò per averlo anche solo pensato: Justin non gli serviva, non come intendeva certa gente.
Gli serviva come suo amico, e gli serviva in forma, non col cervello ‘Più in là’.
 
Shane si risedette e tutti gli occhi si puntarono su Dorian, che si piazzò vicino ad Eddie, al lato opposto del semicerchio, in modo da poter fissare gli altri due amici bene negli occhi, mentre cercava le parole.
Poi scoprì che, quello che voleva dire, era più facile di quel che sembrava.
Prese un respiro profondo ed iniziò.
 
“Voglio che questa decisione sia presa in perfetto accordo di tutti; se solo uno sarà contrario non si farà. E…”, esitò un attimo. “…voglio che qualcuno convinca anche me. Ci hanno proposto un contratto, ragazzi.”
Eddie sbiancò, notò, mentre si preparava a spegnere un po’ i sorrisi e le luci felici che si erano accese negli occhi di Shane e Justin.
“Non è un contratto per suonare. Non…esattamente.”  
“…cosa?”, riuscì solo a emettere fiato Shane, come colpito fisicamente dalla rapida ascesa e poi discesa delle sue speranze, da zenith a nadir.
“No. Per quello voglio il vostro assenso e… anche il mio.”, e fece una pausa, tentando di trovare le parole adatte, decidendo che non ce n’erano.
 
Non ce n’erano, ora che Justin, lucido come non mai, lo fissava come volesse scavargli nel cervello ed estrargli le informazione a mani nude.
 
“E’ un contratto come… band. Come… boyband.”, scandì Dorian, chiudendo gli occhi, e appoggiandosi al muro.
“Cosa?!”, ripeté Shane, stavolta con più fiato.
Eddie, pietosamente, prese la parola, a malincuore, e Dorian lo ringraziò mentalmente.
“Calma, lascia che ti chiarisca le cose, Shane. Non si tratterebbe di fare balletti, cercano semplicemente una band di… bell’aspetto. Questo spiega tutti quei primi piani improvvisi del ‘video’ del concerto all’Art Music Centre. Era per vederci meglio.”, e si fermò un minuto, prendendo fiato. “Dorian si è espresso male, potremo suonare, scrivere musica, o meglio…”, e fece una pausa, mordendosi le labbra.”…collaborare nella musica. Una sorta di boyband rock, cercano un qualcosa di innovativo. E dicono… che potremo esserne in grado.”, concluse, scuotendo la testa.
“Una boyband?!”, ripeté Shane, aggrottando le ciglia.
“Una sorta. Diciamo che non saremo completamente indipendenti, all’inizio.”, rispose Dorian, alzando le spalle.
Pensava a quante band, prima della rivoluzione ‘alternative rock’ erano state definite ‘boyband’, primi tra tutti i loro U2 e i Depeche Mode, che tutti più o meno amavano; il successo da giovani aveva sempre portato a determinate definizioni.
Gruppi che erano stati definiti ‘da discoteca’ o al massimo da ‘college radio’ erano arrivati al mondo, scrollandosi di dosso quelle definizioni quasi offensive; questo era quello che pensava.
Di certo non aveva intenzione di mettersi la mano sul pacco e fare una giravolta, cazzo!
Questo stava pensando, quando la voce di Eddie lo costrinse ad aprire gli occhi e non pensare alle sue ipotesi funeste.
“Justin… stai pensando a qualcosa in particolare, a parte come ammazzarci con gli occhi?”
 
Justin lo stava fissando insistentemente, e prima che il suo sguardo si fissasse su Eddie, avvertì la sensazione che stesse esattamente sapendo e condividendo cosa stesse pensando, ma la cosa, più che stupirlo piacevolmente come un tempo, lo inquietò non poco: sembrava che gli stesse davvero frugando in testa, cercando qualcosa, con quegli occhi di ghiaccio.
E che avesse deciso che fosse innocente.
 
Justin sospirò e si accese un’altra sigaretta, prendendo tempo, per poi emettere, con un anello di fumo, la sua sentenza, fissando lo sguardo nella nebbiolina azzurra che si era creata.
“Cosa volete che vi dica?”, e il suo sguardo si posò su Eddie.
“Non abbiamo soldi, e lo sapete bene. Non possiamo espanderci con i concertini al Queasy, per quanto voglia bene a Jem. Il concerto all’Art Music Centre ci ha portato a questo, e questo è quello che ci hanno offerto…”, e parve che un velo di tristezza gli coprisse gli occhi per un attimo.
Si alzò in piedi, appoggiandosi poi al muro, e fissandoli tutti uno per uno negli occhi, soffermandosi su Dorian.
 
“Volete tornare indietro? Dopo quello, volete tornare indietro?”, e incrociò le braccia, aspettando le rispose.
“Vuoi dire che tu accetteresti?”, chiese Shane, totalmente disorientato.
“No, bestione, non accetterei neanche un contratto dall’Universal, senza pensarci bene!  Dico che dovremo valutare, e non bocciare in pieno la cosa perché si tratta di… un’eventualità a cui non abbiamo mai pensato.”, lo rimbeccò Justin, sospirando.
“Io non voglio tornare indietro.”, li interruppe Dorian, la voce resa roca dall’agitazione che aveva trattenuto fino a quel momento.
 
 
L’affermazione di Dorian li fece tacere e guardarsi, uno per uno; e nonostante stesse a testa bassa, mentre tentava di sbriciolare una sigaretta con le mani tremanti, era certo che lo stavano fissando.
L’urgenza.
L’urgenza nella sua voce era qualcosa di impalpabilmente inquietante e anche minaccioso.
 
Eddie diede un sospiro e si scambiò uno sguardo con lui, che diede un lieve cenno di assenso.
“Il contratto sarebbe per due dischi…e due tournèe.”, e prese fiato per sganciare la bomba.
“Internazionali.”
 
Il fiato che risucchiò Shane, quasi tolse la capacità di respirare a Justin stesso.
“Intern… e poi…”
“E poi…”, Eddie fece schioccare le dita e le fece frullare nell’aria.
”Liberi se rinnovare il contratto con l’etichetta o no.”, concluse Dorian, togliendosi la zavorra completamente, con quello che sembrava più un ultimo rantolo che un respiro.
 
Justin restò in silenzio per qualche minuto, come tutti loro, e poi si staccò dal muro, portandosi al centro della stanza girellando, un pugno sotto il mento, in atteggiamento pensoso.
“Due dischi…e poi liberi… e con mezzi a disposizione per fare la nostra musica… Saltando il circuito indie, senza preoccuparsi del lavoro, dei soldi, di scendere a compromessi…”
“…della nostra credibilità…”, gli fece il verso Eddie.
Ma era una protesta poco credibile, e lo sapevano benissimo.
“Sembra la formula di un patto col diavolo, cazzo…”, borbottò Shane, con un sorriso confuso.
Justin lo fissò, senza vederlo, e continuò a pensare.
“Non sto dicendo che dobbiamo farlo, sto dicendo che è comunque un’opportunità… Se pensi che massimo tra cinque anni potremo essere in uno studio internazionale a suonare, e non nei baretti di Dublino, sempre se saremo ancora assieme…”, mormorò Dorian, ancora seduto.
 
Justin si fermò, fissandolo.
“Tu ci credi, vero?”, disse, seriamente, e Dorian ebbe di nuovo la scomoda impressione degli occhi che gli frugavano in testa.
Dorian sospirò, non sapendo bene neppure lui cosa pensare.
“Io… al pensiero mi viene l’orticaria, specie dopo tutti i nostri discorsi ostracisti … Ma pensare di dover tornare indietro…” -all’università…a casa…-, fu quello che non disse, ma che Justin gli lesse benissimo negli occhi.
E che condivideva.
 
E capì, guardando ancora una volta gli amici, che quello di cui avevano bisogno non era di analizzare le cose.
Era di affidarsi ad un leader, come una volta.
E così, nel centro della stanza, lentamente, portò una mano sopra la sua testa, iniziando ad aprirsi in un sorriso.
 
“Io lo farei.”
E fissò gli altri, con un’aria quasi di sfida.
“Due dischi…e poi la libertà.”, ripeté, tenendo ben alta la mano, per poi alzare il tono di voce, quasi ridendo.
Si decide per alzata di mano, gente!!”
 
Dorian lo fissò, ringraziandolo in una maniera più primordiale di un abbraccio o di uno sguardo, come una corrente che solo loro potevano avvertire, e poi si tirò in piedi, come avvertendo tutto il peso di quella decisione, e alzò, lentamente, molto lentamente, la propria mano, fissando gli altri due amici.
“Indietro non si torna.”, mormorò.
 
**
 
Una settimana dopo, all’imbarco per Londra, Justin stava leggendo la lettera che Kat gli aveva inviato, dopo che, presa la decisione fatidica, tra risate, mugugni e autoconvinzioni reciproche, le aveva comunicato.
 
Sua madre l’aveva quasi rincorso con la busta, arrivata per posta aerea, mentre stava per salire per l’ultimo viaggio sul ‘Carrozzone’ guidato da Edmond, che bofonchiò per tutto il viaggio che la loro era un’enorme stronzata, e la stava leggendo in quel momento mentre attendevano l’imbarco, tutti più o meno sbadiglianti, vista la sveglia antelucana, con Shane che tirava briciole di panino nei capelli di Dorian, che si incazzava sempre di più per paura che la sua chioma splendente venisse in qualche modo resa unticcia da quello stupido gioco, Eddie che occupava ben due sedili mangiucchiando una brioche e ascoltando nel lettore cd ‘Ten’ dei Pearl Jam.
 
Caro Justin,
sono felice ti sia piaciuta la demo del mio… beh ormai ex-gruppo.
Sì, ci siamo sciolti, e ho deciso di dare ascolto a Billy Corgan: tenterò la strada solista.
[…]
Mi rendo conto dei mezzi, e che non avete avuto la ‘fortuna di girare il mondo per fare esperienza e farvi conoscere’; con questa immagino ti riferissi a noi. O meglio, ‘ex-noi’.
E’ vero, abbiamo avuto fortuna ma come vedi si è presto dissolta, anche se è vero che ora dispongo dei mezzi per potermi accreditare o cercare fortuna anche da sola presso un’etichetta.
Ma non condivido lo stesso la vostra decisione.
 
Il cuore di Justin mancò un battito, a quelle parole impresse con l’inchiostro nero, dall’altra parte dell’Oceano, su una carta da lettere stucchevole da ragazzina.
Lei stessa aveva detto che essere un gruppo di amici era una gran fortuna.
Lei l’aveva detto, e lei aveva più esperienza di lui; e stava seguendo il suo consiglio.
Avanzava con i suoi amici.
 
…allora perché si sentiva così fottutamente colpevole?
 
Le righe dopo gli diedero la risposta che non voleva sapere.
E con ‘vostra’ intendo ‘tua e di Dorian’. E’ vero che sono stata in vostra compagnia solo una sera, ma penso di conoscerti un po’… e conoscere Dorian tramite Monik.
D’altronde, è la vostra decisione, non la mia.
Può darsi che abbiate ragione, e che sia una soluzione coraggiosa e mai provata; io dico solo che non l’avrei presa, forse sono solo più stupida o paurosa, ma avrei paura di eventuali vincoli che potrebbero derivarne.
Come insegnano i nostri amici AC/DC, ‘It’s a long way to the top if you wanna rock and roll’ ed io ho deciso di seguirla.
[…]
Immagino ora non avrai più tempo per scrivermi, perciò ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato, sia a Dublino, al vostro concerto, che scrivendomi da Dublino; per un po’sei stato il mio passaporto per pensare che il mondo fosse un bel posto.
Se però vuoi continuare… Non te lo impedirò, certamente (disegno di un sorriso con linguaccia)!
[…]
Comunque, nonostante quello che ti ho scritto, sappi che tifo per te.
Saluta i ragazzi.
Catherine
 
Niente ‘bacibacibaci’, niente ‘ti voglio bene’, niente ‘Kat’.
Era un addio freddo, pensò Justin, mentre si avviava al gate, dando uno scossone ad Eddie per alzarsi, che nel frattempo si era addormentato.
 
Prima di passare i controlli di sicurezza, per un momento, un lungo e dilatato momento nella sua mente, si fermò, e fissò le ultime frasi di quel foglio, provando una sensazione di incredibile gelo.
 
Gettò la lettera nel bidone dell’immondizia, assieme alla busta con l’indirizzo e una possibile futura risposta.
-E tu cosa vuoi saperne, stupida?!-, pensò con un’inusuale asprezza, appoggiando il suo borsone sul nastro, non accorgendosi neanche di averlo pensato.
Dorian, dietro di lui, lo osservava, attentamente.
 
**
 
Dayer sollevò la sua spada, seduto ancora nel luogo della sua ‘nascita’, dove era stato rimandato dopo aver incontrato l’Immemore.
Il cielo violaceo in continuo movimento, sopra di lui, sembrava urlare, mentre saggiava il filo della lama sulla sua pelle, stringendo gli occhi e le labbra, ancora rabbioso ma più lucido che mai.
 
Per tornare ad avvicinare Alael, avrebbe dovuto usare un altro piano, e questo necessitava di un collegamento totale con il suo esterno, il chè avrebbe richiesto più tempo, ma avrebbe dato i suoi risultati.
 
Egli l’aveva tradito, nel momento in cui poteva porre fine rapidamente alla storia, e Dayer non l’avrebbe più permesso: avrebbe incatenato la sua volontà a quella del suo ospite, finchè il suo desiderio di uccidere l’Immemore incarnatosi sarebbe diventato anche dell’esterno.
Una sola persona, un solo volere.
 
La lama, ripassata sulla punta dell’indice, lasciò una striscia di sangue vermiglio che si raccolse in una goccia, e, dopo qualche tentennamento, cadde sulla superficie dello spazio rossastro sul quale stava seduto.
Un lago cristallizzato di sangue, forse; non era suo compito chiedersi cosa fosse.
Sapeva solo che le anime intrappolate sotto quella superficie apparivano urlanti e disperate; emissari di entrambi le fazioni che avevano fallito la loro missione, vittime innocenti e chissà che altro.
 
Lo facevano sorridere, in un modo quasi gioioso che risultava raccapricciante in contrasto con i suoi pensieri.
 
Non sarebbe finito certo come loro; presto avrebbe ritrovato l’Immemore e l’avrebbe mandato a tenere loro compagnia, se così fosse stato.
 
E lui sarebbe vissuto.
Innocente.
 
 
Eccoci qua...
Mi scuso per l'assenza e per questi capitoli di transizione, ma si sa il tempo a volte è ladro e bugiardo. Ringrazio Jo_the Ripper e Silya Ruth, ma anche i miei amici fuori EFP che tramite passaparola si stanno interessando alla storia (ma non leggetela su word, maledetti!!). Ora si torna, IN PIENO, nel filone narrativo originale del lontano 1997, avendo riempito (spero non troppo disastrosamente) la falla nella trama.
Grazie a tutti

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Capitolo 17
*** 17. Cambio ***


17. CAMBIO
 
All’arrivo a Londra, presentatisi alla casa discografica, i ragazzi non ebbero certo tempo di ironizzare sulla loro presenza lì o tentare ancora di raccontarsi inutili scuse: tutto sembrava (e probabilmente lo era) stato maniacalmente organizzato da tempo, un meccanismo che pareva aspettare solo loro per iniziare, e che si mise in moto subito al loro arrivo.
Prima di tutto furono separati, per comodità.
 
La comodità di esaminarli come meglio gradivano i loro futuri coach, non certo la loro.
In una settimana circa, furono sottoposti ad esami medici, fisici, vocali, ed altri mille di cui non erano assolutamente a conoscenza: persino psicologici!
 
Proprio in quell’occasione Justin riuscì a incontrarsi\scontrarsi con Eddie, e scambiare due parole con lui di sfuggita. Non che non fosse permesso loro di parlare, oh no…
Mancava il tempo, ecco tutto.
Dicevano.
 
Nonostante tutto, all’uscita dello studio di un certo psicologo dello staff, un tipo quantomeno sospetto per la sua professione, viste le domande spiazzanti che aveva posto, Eddie, vedendo Justin che avanzava spaesato per lo stesso corridoio, con i mitici capelli anni ’80 ormai tagliati da una settimana in disperati tentativi di poterli acconciare in qualcosa di moderno e decente, aveva rallentato il passo per poter finalmente incrociare l’amico.
 
“Ehi, Just…”
Justin, che stava osservando ad occhi sgranati i bianchi muri da manicomio abbruttiti da stampe di arte contemporanea, si girò verso di lui, quasi impaurito.
“…Eddie!”
“Devi andare anche tu dal tizio dei matti?”
Justin, se possibile, sgranò ancora di più gli occhi, e se non fosse stato tanto stanco, Eddie avrebbe riso: pareva che i bulbi oculari dell’amico si sarebbero staccati per poi esplodere da un momento all’altro.
Ma non c’era da ridere.
“Il… tizio dei…?”
“Sì…”,e Eddie sospirò, con un sorriso affaticato. “Immagino Shaney e Dorian siano già passati di qua. Tante domande sul rendimento da stress, su come ti vedi con la tua immagine, la sicurezza, l’ansia, su… Oh, al diavolo, non so neanche io cosa! Penso stiano tentando di darci un ruolo.”
 
Una voce querula li interruppe, mentre una porta in fondo al corridoio si spalancava, per far uscire Eddie, farlo riposare o chissà a che altra diavoleria sottoporlo.
“Signor Swanson, se vuole entrare…!”
 
Justin avanzò di un passo, per riflesso condizionato, e poi si girò in fretta verso Eddie, prendendogli il braccio.
“Stanno decidendo i nostri ruoli, dici?”
“Non so se sia del tutto vero, ma… Sai: il buffone, il figo, il simpaticone… Nei gruppi questa storia… ci sta.”
Justin stette a mordersi il labbro, mentre il dottore lo chiamava un’altra volta, poi sorrise; un sorriso storto, completamente artefatto, indirizzato sia ad Eddie che al ‘dottore’.
“Bene… Io sarò il piantagrane, allora.”
E si avviò nello studio, senza salutare l’amico, perplesso.
 
**
 
Gli ‘esami’ da parte dello staff finirono contemporaneamente, come un orologio svizzero, ma sempre separatamente, finchè i ragazzi si trovarono finalmente riuniti in un edificio alla periferia sud di Londra.
 
Ma non ci fu tempo per baci e abbracci: dovevano apparire e discutere, finalmente,col ‘Gran capo’, Rose Mya Evans, che per tutta la durata del colloquio in cui avrebbe dovuto dare a tutti loro delle spiegazioni,  non li guardò quasi, parlando quasi sempre, con sommo imbarazzo di tutti, esclusivamente con Dorian dei risultati finora ottenuti.
 
Dovevano essere sottoposti a qualche piccolo cambiamento, come firmato nel contratto; niente di sconvolgente, ovviamente, a ‘loro’ della casa discografica erano piaciuti così, non dovevano perciò essere snaturati.
Qualche taglio di capelli, cambio di tinta (Justin sfiorò un attacco di panico), dieta, palestra, esercizio…
Esercizi di coordinazione.
 
Dopo venti minuti di avvicinamenti pericolosi della donna in orribile tailleur albicocca, che iniziava a far sudare freddo Dorian, specie quando gli aveva preso la mano dicendo ‘Capisci, vero, cucciolo?’, Justin sparò la domanda che teneva nel gozzo da più di una settimana.
 
“Signora Evans…”
“Rosa, caro. Dammi pure del tu. Per voi sono Rose. Sarò la vostra mammina.”, e sorrise non troppo amichevolmente allo spaventapasseri che aveva osato interromperla dalle avances con il biondino, che si sarebbe allegramente portata a letto, volente o nolente, trent’anni di differenza o no.
Come no… una mammina con gli artigli…, pensò cupamente Justin, prima di schiarirsi la gola e affettare un sorriso falso quanto quello di lei.
 
“Si parlava di collaborare alla musica, nel contratto, e vorrei sapere quando e dove si potrebbe…”
“Oh, caro!”, e la donna trattenne una risata quasi fragorosa di fronte a quell’insolente, per poi frenare la sua ilarità, vedendo come anche Dorian si era ritirato in un guscio improvviso di freddezza.
Rose Evans stirò il suo miglior sorriso da talent scout, con il quale aveva spezzato le reni di decine di aspiranti cercatori di fama, prima di decidere che non erano neanche lontanamente adatti, e fissò Justin.
 
Piantagrane, lo etichettò.
Se l’avesse saputo,  Justin ne avrebbe di certo esultato, nel modo macabro che aveva di vedere le cose.
 
“Sappiamo già che ve la cavate con gli strumenti, abbiamo quel bellisssssimo video…”, smielò.
 
E Justin riusciva, nel suo sempre più strano modo, a vedere cosa pensava la donna: un pugno d’acciaio in un guanto di seta color albicocca.
Brutti gusti anche nell’immaginazione, la signora, oltre al guardaroba.
 
“Perciò, visto le vostre abilità musicali non sono in dubbio, ora lavoreremo un po’ sul vostro aspetto, okay? Fate conto di essere già una grande rockband…”, e premette per far aprire la porta.  “Tutte le coccole che vorrete e anche più, prima di salire sul palco, come grandi rockstar!”
 
Quando i ragazzi uscirono, si appoggiò alla poltrona, soddisfatta.
Carini.
Probabilmente si credevano più duri di quel che sembravano, a parte quell’anoressico mancato che sembrava realmente più duro, ma a lui avrebbe pensato con più cura…
Prima, probabilmente, di escluderlo.  
E iniziò a comporre numeri per la ‘cura ricostituente’, mentre sorrideva al telefono.
No, ghignava.
“I bambocci vorrebbero suonare… Questa è proprio bella.”
 
**
 
Il 1998 fu un anno di vera e propria esplosione del fenomeno teen e boyband.
Nessuna di loro ebbe un futuro reale come vero gruppo, come aveva tanto sperato Dorian nell’esporre, in quella che sembrava ormai un’altra dimensione temporale, i termini di quel contratto con Rose ‘Satana’ Evans agli amici.
 
Nessuna fu una ‘boy band rock’ rivoluzionaria.
 
E non fecero certo eccezione i ‘Changes’.
 
**
 
Da ‘Kussen’, giornale di tendenza per ragazze tedesco, dicembre 1998
-Dopo i Boyzone ed i recenti Westlife, l’Irlanda si rivela ancora capofila nell’assicurare alla fama un altro gruppo, oltre ai successi rock di gruppi maggiori come U2 e Cranberries; i Changes sono quattro ragazzi provenienti da Dublino e dintorni, che hanno recentemente piazzato due singoli nelle charts UK e US, il primo singolo ‘Let me love you (truly)’ ed il secondo, più dance, ‘All my all’.
Merito di queste posizioni sono certamente da attribuire ai video in heavy rotation su MTV, e alla simpatia del gruppo, formato da ragazzi irlandesi cresciuti assieme e tutti amici tra loro, veri appassionati di musica.
I quattro componenti, Shane (Shane Haynes, 23 anni, Dublino), Dorian (Dorian Kierdiing, 20 anni, Lynair), Eddie (Edward Joyce, 19 anni, Linayr) e Justin (Justin Swanson, 20 anni, Dublino) hanno un passato come musicisti rock nella loro città d’origine, e affermano di saper suonare come rockband, ma sembra che il loro tour live, in partenza a giorni dall’Isola di Smeraldo –come viene chiamata l’Irlanda-, non preveda l’esibizione come musicisti.
Ahimè ,che disdetta!
Vi sareste immaginate il bel Dorian con una chitarra elettrica?
Da svenire!
 
KissKiss, Kussen-girls, vostra Alicia-
 
*
 
Justin, non appena lesse l’articolo di stampa estera, capitato per caso tra le sue mani nella hall dell’albergo dove alloggiavano a Londra e subito trafugato per leggerlo assieme agli amici, non finì neppure l’articolo.
Arrivò all’ochesco ‘ahimè che disdetta!’ e lo lanciò rabbiosamente fuori dalla finestra della camera, con tutte le sue forze, il viso sfigurato dalla furia.
 
Shane, annuendo disgustato, si affacciò alla finestra e sputò, sperando di centrare la copia sul marciapiede sottostante.
 
**
 
Da ‘Rumors’, giornale di tendenze giovanili pop inglese, maggio 1999
 
-…ed infine, si concluderà ad Amsterdam il tour mondiale dei Changes, il gruppo irlandese rivelazione dell’anno, che da ottobre monopolizza le charts grazie ai singoli del primo album, ‘Words dont’ come’, ed il nuovo inedito ‘Jump around the world’, vero anthem pre-adolescenziale.
Segue uno speciale di quattro pagine sulla parte europea del tour, sold out, comprendente interviste esclusive ai quattro membri del gruppo, rivelanti anche notizie sul prossimo album in programma a fine novembre, e tutti i segreti delle coreografie live di ‘Jump around the world’ e ‘All my all’…-
 
Eddie comperò due copie di quel numero.
Una sapeva benissimo che fine avrebbe fatto, passando di mano in mano tra gli altri tre, e una da tenere (nascosta!) per ricordo.
Chissà, forse un giorno per riderne assieme.
Sperava.
 
La copia passata agli altri fu bruciata da Justin sul letto della camera che condivideva con Dorian, in un albergo di Lipsia; le coperte presero inevitabilmente fuoco, facendo scattare l’allarme antincendio.
Quando il personale di sicurezza del Madder hotel fece irruzione in camera, trovarono Dorian pallido, il bel viso stravolto dalla paura e dalla fuliggine, appoggiato alla porta con un estintore in mano, stremato da non si sa cosa.
Aveva compiuto 21 anni il giorno prima.
 
Tanti auguri, Dorian Patrick Kierdiing.
Giorni felici.
 
Justin, incurante della gente accorsa, stava seduto sulle coperte bruciate, i capelli tornati biondi (ossigenati, stavolta) resi cenere dal fumo, con delle ustioni anche gravi sulle mani, ma che rideva, rideva, rideva…
Pareva non dovesse più smettere.
 
**
 
“Se canto un altro ‘OH BABY BABY NANANANANANANA YOU KNOW I LOVE YOU, GIVE ONE MORE CHANCHE’ io vomito!! Vi avviso!!”
 
Lo sfogo di Shane, completo e totale, li prese tutti di sorpresa.
Stavano provando per la quinta volta ‘One moment please’ sul palco approntato in un palazzetto dello sport a Milano, mentre i tecnici, attorno, si davano da fare a montare la luci, coordinati dallo staff tecnico.
 
Si diresse a grandi passi verso Eddie, colpevole, a suo avviso, di sbagliare sempre nell’attacco vocale del ritornello: l’amico indietreggiò, incerto, dalla sua posizione (centrale lievemente a sinistra), di un paio di passi, verso Justin, che li guardava a bocca aperta, e lo afferrò per la camicia.
Rigorosamente aperta.

Ti vuoi decidere a cantarla decentemente?! Dopo tutti questo cazzo di tempo la devi ancora imparare?! Possibile?!”
“Ma che cavolo dici, io ero giusto!! Vedi di mollarmi, o…!”
 
Helen, la coreografa capo londinese che li accompagnava in tour, saltò improvvisamente sul palco dalle prime file, dove stava seduta ad osservarli e correggere gli ormai infinitesimali errori, limati allo stremo per la fine di quel tour, e si diresse verso i due litiganti.
 
Shane, i nervi logorati da cinque ore di prove continue e da un tour europeo di sette mesi ormai agli sgoccioli in cui non aveva fatto altro che CANTARE, cantare cretinate da scuola elementare e muoversi come un povero scemo, era pronto a menare Eddie e l’amico a menare lui, se solo Helen non lo avesse fermato in tempo, invitandolo a calmarsi.
 
“Non è Eddie che sbaglia, Shane, lascialo! Non sta sbagliando nessuno, vocalmente, ve lo faccio rifare solo perché siete ancora imperfetti con la coordinazione iniziale, fino a ricompattarvi nel primo chorus. Rifacciamolo solo una volta ancora, vedrai che stavolta andrà meglio, su…”
 
Justin e Dorian, sedutisi per terra in attesa di ricominciare o essere finalmente mandati a riposare, si scambiarono uno sguardo perplesso; quella tortura non sarebbe finita presto neppure quella volta, ormai conoscevano tutti i metodi di Helen e dello staff per rabbonirli.
Calmato Shane e fattogli riprendere la posizione, Helen scese di nuovo a sedersi nelle prime file, passandosi una mano nella folta capigliatura afro, snervata alquanto (se non più di loro) da quelle prove incessanti.
 
Era senza dubbio il gruppo più nervoso ed interessante che avesse mai accompagnato in tournèe come coach; ‘personalità troppo forti’, accusavano gli altri dello staff quando si scontravano, come in quel caso o altri più gravi.
Grandissime teste di cazzo, pensava invece lei.
A suo giudizio, nella sua millenaria carriera, Rose Evans aveva finalmente fatto un errore madornale, pretendendo (e Dio solo sa quanto aveva sbattuto i pugni con la casa discografica, contro ogni difetto dei suoi ‘protetti’ che le veniva fatto notare) che quel gruppo di ragazzi diventassero i nuovi Take That o qualcosa di simile.
 
L’idea in sé era geniale: fare un gruppo che non assomigliasse alle boyband costruite a tavolino, almeno apparentemente, ed in questo all’inizio erano stati perfetti.
Brillanti, spigliati, spiritosi e con quella punta di unpolitically correct che li rendeva veramente differenti, in cui Eddie e Justin eccellevano. Shane aveva subito raccolto un bel mazzo di complimenti per tutto, sebbene non si sforzasse più di tanto e tenesse sempre quell’espressione da rissa da pub.
Ed infine c’era lui.
C’era Dorian, cui non bastava neppure aprire la bocca o mettersi in posa.
 
Il problema era che non avevano spezzato loro le reni con cura. Probabilmente non potevano farlo.
Quando avevano capito di essersi imbarcati in un’avventura appena differente da quella di altri loro bellocci colleghi, si erano letteralmente spenti, lucidamente smorti e patinati, giusti per le copertine ma non per lo staff. Ma sotto sotto bollivano.
Delle autentiche iene, e proprio perché assolutamente nuovi a queste esperienze, a differenza dei loro colleghi, si stressavano velocemente sia sul palco, sia nelle prove che in privato: Justin era in grado di farsi venire un attacco nervoso dall’estetista, e solo per puro miracolo aveva salvato i capelli dal tornare ossigenati come all’inizio; ormai la tinta nera era quasi una droga per tenerlo calmo.
 
Sul palco davano un 30% massimo della loro potenzialità, attenendosi tanto rigidamente a quanto loro imposto da sembrare marionette giganti, con enormi sorrisi talmente fasulli da sembrare dipendenti McDonald’s in overdose di MDMA.
Shane roteava il bacino come su un perno invisibile, Eddie si spostava con la grazia di una valanga, Justin sorrideva tirando la bocca come se avesse dei fili agli angoli, Dorian sospirava come un mulino a vento, e spesso (ogni sera) Helen ringraziava le luci ed i fumogeni per non dare al pubblico l’impressione corretta della loro visione d’insieme.
 
L’eleganza di cipressi sbattuti violentemente in una tormenta.
 
Ma quando smettevano quei ridicoli panni, erano come vipere potenziate con cianuro.
Mordevano.
 
Tornando al presente, quando ‘One moment please’, ancora una volta, arrivò al ritornello, sentì chiaramente una voce andare fuori tono –come l’aveva sentita le altre cinque volte, sebbene avesse mentito a Shane- e poi il gruppo proseguire praticamente a solo tre voci, indistintamente.
 
Perplessa, mentre chiedeva ai ragazzi di fare una pausa per poi riprovarla un’ultimissima volta, ve lo giuro, solo per sicurezza!, chiamò col suo cellulare Nathalie Stewart, la vocal-coach dei ragazzi, chiamata neppure tanto in segreto ‘Il Colonnello’.
Eppure, Colonnello o no, nonostante la sua fama, sembrava proprio che fosse stata troppo permissiva, visto quello che stava sentendo!
 
La Stewart, perennemente nell’ombra come tutti i suoi colleghi, aveva uno dei compiti più importanti nello staff, ovvero insegnare al gruppo a cantare, trovare il tono migliore per esprimersi e poi armonizzarsi assieme, e come Helen li seguiva, oltre che nella preparazione del disco, in tutte le tournèe.
E anche lei ne aveva le palle piene di quei quattro!
 
Arrivò di corsa dal backstage, gli occhi ingigantiti dalla preoccupazione sotto gli strati del trucco e increduli. Quando aveva sentito i ragazzi alla mattina, nelle prove di riscaldamento (quando la voce non era neppure ancora del tutto pronta) a provare tutta la scaletta, tutti andavano benissimo, persino Eddie non aveva commesso i soliti errori.
Voleva sentire con le proprie allenatissime orecchie quello che diceva Helen.
 
Quando uno Shane con i nervi ancora tirati, Dorian, Eddie e Justin risalirono sul palco, strascicando i piedi, stufi già dalle prime ore di quel supplizio, non la notarono nemmeno, nel suo metro e cinquanta infagottata in una felpa e mimetizzata in una poltroncina al buio del palazzetto dello sport, verso la fine, per non metterli in agitazione.
Helen, la bella faccia scura aggrottata dalla preoccupazione, diede il segnale di partenza per la base, fingendo che la vocal coach non ci fosse.
 
Quando partirono, una voce solista dietro l’altra, partendo dalla voce più baritonale di Shane per arrivare a quella col range più alto di Justin, Nathalie pensò che Helen doveva essersi sognata quelle stecche, ma quando salirono per armonizzarsi tutte assieme in preparazione del chorus, la sentì.
Chiara, alta e stridula nel suo orecchio superallenato, un attimo di supplizio come un’improvvisa unghiata su una lavagna, per poi smettere.
 
Impossibile.
 
Si avviò velocemente con aria battagliera, e quando i ragazzi la notarono, a partire da Dorian, si fermarono perplessi, le voci piano piano calando in un brusìo sconcertato.
La vocal coach salì le scalette a lato, agile come uno scoiattolino, scuotendo furibonda la testina dai capelli rossi corti alla moda, e si diresse alla loro destra.
“Justin!!”
 
Logico.
Era logico che fosse lui, accidenti a Rose Evans!!
 
Justin, da perplesso, la guardò sorpreso.
“Che c’è?”
“C’è che stai steccando, e di brutto, signorino!”
“Ioooooo?!”
Tuuuuu!”, le rifece il verso la donna, con una smorfia. “E fammi il piacere di evitarmi queste scene da vittima innocente!!”
 
Justin si rabbuiò come una nuvola temporalesca e si voltò, sdegnato, dandole platealmente le spalle.
“Dimmi dove sbaglio, sentiamo!”
Ragazzino, non farmi perdere la pazienza!”
Io l’ho già persa, donnetta!! Non sto sbagliando, hai le allucinazioni acustiche a forza di sentire questa musica di merda!!”
 
Helen, da sotto il palco, scosse la testa in segno di diniego.
“Non è vero, Justin, l’ho sentita anch’io. Ed è da un bel po’ che la stai sbagliando.”
“Balle!”
 
Nathalie, fissando ancora furiosa la faccia pronta ad esplodere a sua volta del ragazzo, diede segno a Helen di far ripartire la base. Le prove con i musicisti erano state fatte alla mattina, e Justin non aveva fatto nessuna assurda stecca, e che provenisse da lui, poi, era un chiaro segno di dispetto infantile.
Aveva la voce più bella di tutti, un’estensione ed una tonalità alta che nella sua carriera di vocal coach aveva sentito pochissime volte, eppure era totalmente inaffidabile in una maniera che non avrebbe saputo spiegare. L’aveva sentito subito, sottopelle, e aveva preferito dare a Dorian le parti soliste, anche per questione di immagine, piuttosto che affidarle a lui.
In tutti quegli anni aveva imparato ad affidarsi al suo istinto, ed aveva fatto bene: Dorian, assieme a Shane, era infinitamente più malleabile ed aveva una voce chiara e morbida, seppure di un’estensione limitata rispetto a Justin. Eddie era stato un po’ un problema, ma doveva ammettere che tutta la sua buona volontà negli esercizi gli faceva perdonare una voce nasale, particolare certo, ma non proprio adatta ad una boyband.
 
Quando ricominciarono dalle parti soliste, Justin si stampò in faccia un’espressione da dolce angioletto, che faceva intravedere chiaramente come stesse per combinarne una delle sue.
Quella volta fu Helen a interrompere la base, fermandoli nel bel mezzo del chorus, che a quanto pare non voleva essere finito!
 
“Justin, insomma!!
 
Justin, lo sguardo innocente, si girò verso di lei, mentre gli altri sbuffavano e iniziavano ad odiarlo a loro volta.
Shane stava ricominciando ad innervosirsi, e se Shane si innervosiva non era un bene per nessuno, mentre Dorian, facendo in modo che Justin sentisse bene, si stava lamentando con Eddie che le gambe iniziavano a dolergli.
 
“Effettivamente…”pensò Nathalie “Stanno sforando di troppo, tra un po’ saranno troppo stanchi per riuscire bene, stasera.”
Intanto l’alterco tra Helen e Justin stava andando avanti, persino più acceso del suo col ragazzo. La coreografa lo stava scrollando, come succedeva sempre più spesso, facendolo apparire come una bambola sogghignante.
 
“Non credere di fare il cretino con me, sai?!”
“Tesoro, non mi abbasserei mai al tuo livello, lo sai!! Mi ci vorrebbe una scavatrice!”
 
Nathalie si nascose la faccia tra le mani, esausta.
Quando voleva, li faceva diventare matti tutti, compagni compresi, con quella linguaccia perfida!
Poi si comportava benissimo, e tutti dimenticavano ciò che aveva combinato prima, visto che quando voleva era davvero bravo e poteva affascinare davvero tutti, ma prima doveva semprefarli diventare pazzi.
Sempre.
 
Helen stava iniziando ad urlare, scrollandolo sempre di più.
Era ben più bassa di lui, ma con i suoi muscoletti guizzanti dava la sensazione di poterlo fare a pezzi.
“Se stasera ti vedo fare quelle smorfie da imbecille ti faccio sbattere fuori!! Chi ti credi di essere, mi dico io?!”
“Uno che ti farà venire la faccia rossa da schiaffi se non lo molli, stronza!”
Helen sembrò davvero sul punto di assestargli un diretto alla mascella, ma poi lo spinse solamente via, seppure violentemente, tremando di rabbia.
Justin faticò a restare in equilibrio, ma non smise per un secondo di sorridere.

”Provaci, razza di un Sid Vicious stronzetto del cazzo!”
“Oooooodddiiiio, Helen, ma perché non potevi parlare prima?! Sono gli effetti della menopausa o degli ormoni da toro che prendi? Stasera potrei darti una mano a farteli passare, non capisco cos’hai da incazzarti! Una mano, eh, perché se ti do qualcos’altro… Potresti sconvolgerti, da tanto tempo che non lo vedi, ahahahah!”, rise, perfido come non mai.
 
Helen crollò letteralmente a sedere su una poltroncina e fece ripartire la base, senza rispondergli o dargli bada. Era il modo migliore per farlo incazzare a sua volta, costringerlo a rifare ciò che odiava.
Purtroppo, prima che la canzone ricominciasse, Dorian si avvicinò al bordo del palco con una faccia tragica, e intercettò lo sguardo carico di strali al cianuro della coreografa.
“Helen…ti prego. Siamo davverostanchi! Non ce la facciamo più.”
 
Dorian non era uno dal lamento facile, perciò era più che probabile che avesse ragione, ma Helen non lo guardò neppure, impegnata com’era a trapassare Justin con dardi avvelenati di occhiate a diecimila volt.
 
Okay, furbastro, hai vinto tu. Per oggi.– sembrava dire.
Justin si limitò a seguire gli altri giù dal palcoscenico, calmo e indolente come un qualsiasi adolescente che avesse finito il suo compito ingrato e si avviasse al meritato riposo.
 
Fu quando passarono davanti a Nathalie, salutandola, che la vocal coach, rapida come una serpe, gli afferrò a sorpresa un braccio, e si alzò.
Quasi godette dell’espressione d’allarme del ragazzo, ma si limitò a trascinarlo di nuovo verso il palco.
 
“TUvieni con me. Te la faccio riprovare finché non la canti giusta!!”
 
Lei ed un annoiato Justin rimasero per più di mezz’ora a provare ‘One moment please’ ed altri due pezzi, mentre gli altri riposavano.
La cantò sempre giusta, con una voce che rasentava la perfezione ma che ad avviso della coach non meritava nessun battimani.
 
Nathalie lo lasciò andare a raggiungere gli altri, ancora poco convinta, ma con poco altro da fare.
 
Quel ragazzo era davvero un piantagrane.
 
**
 
Quando rientrò in hotel, Justin non fu certo accolto da sorrisi, neanche quando si buttò in poltrona, stiracchiandosi e  ridacchiando.
 
“Eddai, che razza di musi… È solo una boyband, ragazzi!”
“Si dice di rispettare i patti, di solito, Justin.”, lo rimbeccò Shane, prevedibilmente.
Justin smise di stiracchiarsi e si mise a tormentare i capelli corti, rimpiangendo la sua chioma, finita sul pavimento di un parrucchiere di Londra ancora otto mesi prima, e ci pensò un attimo.
“Li sto rispettando. Due dischi, due tour e poi la libertà, no?”, disse, con tono cupo, cambiando atteggiamento in un attimo.
Dorian si voltò dal pigro chiacchiericcio con Eddie per fissarlo, mentre, con un colpo, ributtava indietro quell’orribile frangia che non sapeva come tenere.
“Quando avremo la libertà sarà tutto ok, per ora… Mi sto solo divertendo un po’.”, ringhiò, non più sorridente.
 
 Bentornati nella trama del 1997\1998. 
Enjoy it. 
E c-c-c-c-c-changes!

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Capitolo 18
*** 18. Non c'è limite al peggio ***


18. Non c'è limite al peggio.

Che Dorian, in poco tempo, sarebbe diventato la ‘primadonna’ del gruppo, l’avevano supposto tutti subito, ma quando accadde veramente la questione diventò quasi insopportabile.
 
Era una critica mascherata da litania che veniva inflitta agli altri ad ogni intervista\show\riunione con lo staff: Dorian si muoveva bene, Dorian aveva le parti principali, Dorian era sempre al centro dell’attenzione, Dorian era il più richiesto, il più votato, il più idolatrato…
Dorian, Dorian, DORIAN!
 
In realtà, come spesso accadeva con le boyband, era stata una cosa un po’ manovrata ed un po’ casuale, sotto la spinta delle fans.
Si era deciso subito di dare a Dorian la parte della figura centrale, sia per la sua bellezza che per la sua malleabilità, ma all’inizio l’aveva bloccato una certa timidezza del palco, che niente aveva a che fare con quando aveva in mano la chitarra, millenni prima.
La parte del leone era passata a Shane, ma velocemente (il palco era palco, chitarra o non chitarra), il biondino aveva assunto sempre più sicurezza fino a diventare la ‘voce’ ed il ‘viso’ del gruppo.
 
La maggior parte delle fans erano arrivate al classico punto di identificare il gruppo col loro singolo idolo: i Changes non erano più Dorian, Shane, Eddie e Justin.
I Changeserano Dorian…E ANCHE Eddie, Shane e Justin, passati quasi subito come contorno invisibile ed insapore di quel piatto forte di nome Dorian Patrick Kierdiing.
I rancori che non avevano mai pensato di poter covare per simili motivi, crebbero pian piano, e quasi tutti erano creati dall’errata percezione che avevano del ruolo di Dorian.
 
Justin, che come antitesi dell’idea stessa di popstar sarebbe dovuto essere il meno coinvolto, era arrivato al punto di invidiarlo fin quasi all’odio, che indirizzava verso le fans, ree (a suo avviso) di preferirlo all’altro.
 
Eddie, che sapeva di impegnarsi più di Dorian nelle coreografie e negli esercizi vocali –per delle sue reali carenze, oltretutto-, non era ancora arrivato ad odiarlo, ma di certo la vista dei servizi fotografici dove le sua faccia da angioletto era quasi sempre in primo piano o in posizione centrale rispetto alle loro, non glielo rendeva certo simpatico come il ragazzo che gli fermava il bus a Linayr.
 
Shane, che dopo la partenza fulminante era stato battuto facilmente nella corsa alle simpatie delle fans (e nel loro cuore),  tentava di stargli vicino il meno possibile: correva il rischio di strozzarlo ogni volta che Dorian diceva qualche stronzata smielosa, in qualche stupida foto o, peggio ancora, intervista, nelle quali il biondino simpatico sembrava dare il massimo, in quanto a stramaledetta diplomazia da band-boy.
 
Non credevano fosse invidia, non si ritenevano capaci di provare invidia, e certo non verso qualcuno di loro, ma in realtà era proprio così. Un sentimento quasi infantile ma in un certo senso prevedibile di gelosia invase in fretta i tre, che non parlarono mai tra di loro della situazione anche se erano consci di essere tutti dentro, per paura di venire a loro volta giudicati male.
Erano tutti e tre nella stessa barca, ma non volevano ammetterlo.
 
Ma era gelosia, di quella nera, gelosia tale da accecarli e presentare loro i fatti distorti.
Dorian non era acclamato perché era il più carino, e anche grazie alle manovre di Rose Evans, no.
 
Dorian era il più venduto.
Si era venduto l’anima per un pugno di sorrisi, per migliaia di urla insopportabili da oche, svenimenti isterici e letterine a vagonate piene di cuoricini vomitevoli, nonché per speciali su MTV, VIVA e la sua bella faccia dappertutto.
 
Dorian era quello che aveva creduto di meno nel loro gruppo rock, Dorian si impegnava meno di tutti nel lavoro, in fondo a lui bastava fare la faccina angelica per riuscire. Dorian al massimo si stirava per fare stretching e lo mandavano già a cambiarsi, sia mai che sudasse, e non era Dorian quello a cui era scappata quell’orribile stecca e poi avevano speso altri tre giorni per rifare il singolo?!
Pian piano l’invidia mostrò loro un ragazzo che non aveva niente a che vedere col loro amico di sempre, bensì un anonimo fighetto egocentrico bello fuori e vuoto dentro, il tipo di persona che odiavano di più al mondo.
Loro non si erano venduti allo show business, loro non erano diventati dei fighetti, seppure cantassero in una boyband che non lasciava loro il minimo spazio.
Vi ci erano stati trascinati, in quella storia, e protestavano ogni minuto.
E, specialmente, loro- non- erano- Dorian.
 
Il biondino, che aveva superficialmente avvertito quella corrente elettrica (e se l’avesse scoperchiata ne avrebbe trovata abbastanza da fulminarsi, probabilmente), da un mese a quella parte aveva un certo timore di restare solo con i suoi ‘amici’, cosa che per fortuna avveniva raramente, essendo quasi sempre circondati dallo staff.
Un po’ li capiva, non era ancora così scemo, ed autoironizzava sulla sua posizione, ma tutto questo non lo portava a giustificarli.
 
Eddie, un pomeriggio libero e noioso, aveva perpetrato la tradizione di un vecchio gioco di quando erano piccoli, e l’aveva chiuso in un armadio… per più di tre ore, durante le quali era andato a telefonare ai genitori, dimenticandosi completamente dell’amico, il quale, quando gli era stata ridata la vista sul mondo esterno si era lasciato andare ad una crisi di nervi violenta e al limite del pianto rabbioso, di fronte alla quale Eddie non era sembrato del tutto stupito.
E neppure troppo dispiaciuto, aveva suggerito una voce, nel cervello non esattamente da bamboccio di Dorian, cui si rifiutava di credere.
 
Justin, sempre per scherzare, gli aveva fatto uno sgambetto.
Un innocente sgambetto.
Mentre correvano per le scale secondarie ‘anti-fans’, in ritardo per presentarsi alle prove di uno spettacolo e col timore sempre presente di scatenare un’isteria di massa se visti.
Dorian era caduto malissimo sulle ripide scalette, e si era fatto più di una decina di scalini rotolando, prima di essere preso al volo da un bodyguard.
Aveva cantato pieno di lividi e sofferente, quella sera, a Monaco.
 
Dopo lo show, Justin era stato ‘trattenuto’  da Rose Evans, che li aveva accompagnati per qualche data in Europa continentale, e conoscendone più che bene l’inflessibilità, Dorian pensava che la loro manager-pigmalione non ci fosse certo andata leggera con l’amico-ex amico. Eddie e Shane avrebbero potuto aggiungere ‘specialmente perché Justin ha toccato quel suo pulcino d’oro che è Dorian Kierdiing, il suo cocco splendente’, e ciò che aveva più ferito il biondo era che i due amici avevano minimizzato l’accaduto, quando ne aveva parlato con loro, affermando che Justin non l’aveva certo fatto apposta, accidenti, aveva solo voluto scherzare e si levasse dalla testa certe idee!
Dalle loro facce, mancava solo gli avessero dato completamente ragione e avessero quasi affermato di aver voluto dargli una mano.
 
Dorian, la sera dopo la tappa a Monaco, aveva voluto dormire in stanza da solo, per la prima volta.
L’aveva imposto, con un orlo di tremore nervoso.
 
E la mattina dopo i rapporti erano, ovviamente, ancora più tesi.
 
**
 
Sull’aereo privato per Lione, prima del decollo, Justin era andato a sedersi vicino a Dorian, che amava stare vicino al fondo dell’aereo, dove sentiva più le vibrazioni.
Sul suo viso campeggiava un’espressione da bravo ragazzo che era più unica che rara, e
Dorian pensava che gli mancassero solo le alucce e l’aureola, per nascondere il forcone e le corna, mentre Rose Evans, ripartita già la sera prima con un jet di linea per i suoi innumerevoli affari a Londra, ne sarebbe finalmente stata compiaciuta: l’ex avanzo di anni ’80 iniziava finalmente a sembrare a tutti gli effetti un membro di una boyband.
Carino, composto, gentile e con un bel sorriso perenne stampato in faccia.
 
Un sorriso che Dorian aveva imparato a temere, da qualche tempo a quella parte, per i suoi attacchi fino ad allora solo verbali.
Justin giocava un po’ da una sponda e un po’ dall’altra: a volte esasperava lo staff, a volte  esasperava lui.
 
No, non lo esasperava: lo mandava assolutamentefuori di testa.
E mandandolo fuori di testa esasperava lo staff.
Un ragazzo che aveva fatto bene i suoi compiti a casa, in fatto di strategia.
 
Eddie aveva piantato il suo bel culo (come lo autodefiniva) in un sedile in prossimità delle ali, scomposto, a parlare con Helen e le ballerine di supporto; la coreografa lo adorava, lo difendeva a spada tratta dicendo che era davvero portato per le parti più difficili delle loro movenze, ed era definito dai ragazzi il suo cocco.
Ovviamente, quella definizione non portava con sé strascichi negativi come quella di Dorian, di essere il ‘cocco splendente’ della Evans.
 
Shane si era rintanato tre file più avanti a chiacchierare con i musicisti, tra le rare pause che concedeva alle sue orecchie dagli Slayer; quattro schifosi caffè tedeschi non gli avevano fatto passare il sonno, e sperava di trovare caffè migliore in Francia, prima di schiattare o darsi alla cocaina.
 
Dorian quella mattina si sentiva un autentico straccio, fuori e dentro.
L’unica volta in cui era stato così male, era quando si era auto convinto -quando ancora avevo degli amici- di averli trascinati a fondo con sé, e cosa era successo, alla fine?
Forse li aveva davvero trascinati a fondo, ma era stanco di accollarsi responsabilità e vendette per decisioni non sue.
L’aveva chiarito più di un anno prima: quella decisione doveva essere unanime.
Lo era stata, anzi Justin era stato quello che l’aveva promossa.
Rognacce sue, ora, se avesse provato ancora a rompergli le palle!
 
Quella mattina, Dorian si era visto allo specchio, e non si era riconosciuto. Punto.
Le occhiaie profondissime, dove i suoi occhi scintillavano di un misto pericoloso di rabbia e paura, la faccia gonfia dal sonno che non si concedeva ormai da secoli: quello non era lui, neppure nei momenti peggiori che aveva avuto fino a quel momento.
Si era mimetizzato dietro un paio di enormi occhiali da sole ed una felpa col cappuccio alzato, ed era rimasto alla larga da tutti sia sul pulmino che in aereo, nascosto con i suoi Nirvana sparati nelle orecchie ad alimentare pian piano la sua rabbia, come ben sapeva che sarebbe successo.
 
La voce rotta e la chitarra rabbiosa e straziata di Kurt Cobain alla mattina presto, senza neanche un caffè per non dover incrociare nessuno, gli faceva sempre rimpiangere di non essere nato con un AK 47 al posto del braccio destro, anche per spararsi eventualmente una pallottola in testa alla fine della strage che avrebbe voluto perpetrare: figurarsi in quel momento.
Quello era il tipo di musica che voleva ascoltare, quello era ciò che suonava quando ancora riprendeva una chitarra in mano, quella era la rabbia che voleva avere, che Kurt fosse d’accordo con lui o no. Era morto, perciò la sua fottuta opinione non contava più.
E quelli erano i suoi pensieri, finché Justin non si sedette vicino a lui.
 
 
In quel momento stava spiando il suo viso crollato con un’aria così falsamente amichevole da fargli venir voglia di spaccargli la faccia; si sentiva le braccia, la schiena e specialmente il collo dolorosamente pulsanti, per il suo scherzetto del pomeriggio prima, e se non l’avesse conosciuto così bene (così dannatamente bene) avrebbe pensato che si era seduto lì per fargli le sue scuse.
 
Ma Justin Andreas Swanson, sebbene non fosse così suo amico e fosse diventato una popstar, rimaneva sempre Justin Swanson, no?
Uno stronzissimo bugiardo, quando voleva.
Ed ultimamente, anche un giocatore altamente sleale, al loro tavolo.
 
Justin, come ad indovinare i suoi pensieri, si aprì in un sorriso tanto grande da ricordargli le zanne di uno squalo.
“Come và, Dorian?”
Dorian accennò un grugnito sul fatto di aver dormito male e indicò le cuffie, come a volergli dire ‘NON ROMPERMI!’, dando una parvenza di assenso col capo.
 Justin annuì e allungò le gambe, che parevano non finire mai nei suoi jeans scuri alla moda, stiracchiandosi come un innocente angioletto che avesse appena finito di riprendersi dalla sveglia –cosa assai probabile: non importava cosa facesse di giorno, di notte mr. Swanson dormiva il sonno dei giusti, a sua differenza-.
E non aveva intenzione di stare zitto.
Ovviamente.
 
“Ho visto l’ultimo servizio fotografico che hai fatto in Irlanda.”, disse, osservandosi le unghie che, nonostante la manicure minimalista, riusciva sempre a rovinarsi.
Dorian sospirò e si tolse le cuffie.
Justin voleva parlare = Justin avrebbe parlato.
“Sì, l’ho visto anche io, e allora?”
Nonostante il tono lievemente aggressivo di Dorian, nel quale riecheggiava il famoso ‘non rompermi!’, Justin non interruppe l’ispezione delle sue unghie malconce, e un breve sorriso maligno campeggiò sulla sua faccia.
“Come sta Monik?”
“Sai bene che…”
“Che non la vedi più né la senti da quando è partita questa idea cretina della boyband, sì. E non ne abbiamo neppure parlato, quando l’hai mollata sembravi troppo…giù.”, finì e continuò per lui, con voce soave.
Dorian stava iniziando ad incazzarsi, ma era anche sorpreso: voleva vedere dove voleva andare a parare, quella volta, quella serpe che gli stava seduta accanto.
“Ti sembrano belle cose, quelle che hai fatto?”, sparò Justin, riavviandosi quello stupido ciuffo, e girandosi ad osservarlo.
Dorian rimase letteralmente a bocca aperta, non per la prima volta in vita sua.
Justin sembrava incazzato, e anche tanto!
 
“Cos…”
“Hai lasciato la tua fidanzata per… per ragioni di immagine, e sempre per ragioni di immagine, ti fai fotografare con… con la tua famiglia! Con quella carogna di tuo padre! Perché non racconti come stanno le cose?! Che amavi quella ragazza? Che tuo padre ti ha pestato a sangue finché non ti abbiamo tolto dalle sue luride mani?!”, si era sporto Justin, la faccia affilata dalla rabbia, a sputargli in faccia quasi il suo risentimento oltre che pulviscolo umido di caffè!
Dorian continuava a guardarlo, e qualcosa montava dentro di lui.
-Oh, Dio, non c’è davvero limite al peggio, allora! E’ proprio vero! Non c’è limite al peggio!!-, pensava, confusamente, mentre da un altro lato, uno che non aveva mai sentito, pensava -…è davvero lui. Davvero. Non l’hai mai visto finora, si è sempre nascosto bene anche nei momenti peggiori e tu  non avevi gli occhi giusti, sei sempre stato protetto, coccolato, ignaro, ma guardalo bene, ora. Ora che tutte le tue barriere sono cadute. E’ lui. Il tuo miglior amico.-
“Io non…”
“Tu non?”, chiese Justin, famelicamente curioso ed anche sbeffeggiante.
 
Dorian si girò, guardando il sedile davanti fisso, la schiena dolorante rigida come un palo sottoposta ad ulteriore pressione, mentre affondava le unghie nei braccioli.
 
-Mi hanno detto di farlo. L’ho fatto. Ho… eseguito gli ordini- e l’altra voce, sempre sua, sempre più insistente.–Guardalo per una buona volta e vedi cos’è!!-
 
Dorian si girò, piano piano, facendo scricchiolare i tendini del collo come giunture mal oliate, fino a fronteggiare Justin, occhi verde giada negli occhi trasparenti di ghiaccio dell’altro.
Entrambi riflettevano un’identica rabbia che dovevano sfogare, non importava su chi, ormai.
 
“E tu? Quando siamo partiti da Dublino hai gettato via la lettera di Catherine col suo indirizzo, ti ho visto bene. Non le hai più scritto, pensi che non l’abbia saputo?”
La sorpresa che si aprì sul volto di Justin era una fonte a cui la rabbia di Dorian si avventò a dissetarsi, per scoprire che creava dipendenza: ne voleva di più, scoprì, con grande soddisfazione.
Anche lui sapeva mirare basso e giocare sleale, ed era ora che quel…quello stronzo se lo cacciasse in testa, ed in fretta!
“E cosa dicevi, prima di partire per Londra?”, continuò, alzando la voce in un falsetto irrisorio.
”Dicevi: ‘La amo, io devoriuscire a re-incontrarla, io LA AMO, Dorian, dammi un fottuto consiglio! Come posso fare?’ Beh, i miei consigli non ti sono serviti, a quanto pare. Non ti sonomai serviti, stupido ex tossico! Hai preferito gettare tutto a puttane! In un cestino dell’aeroporto!”
Se pensi che paragonare una storiella di una notte e due stronzate scritte in una settimana alla tua storia con Monik sia la stessa cosa, ti sb…”
“E tua madre, Justin? Edele?”, continuò Dorian, che ormai sembrava la maschera dell’implacabilità.
Di più.
Ne voleva di più della rabbia sorpresa di Justin, di averlo finalmente preso in contropiede!
“Da quanto non senti tua madre? Lei non ti ha mai picchiato, lei ti ha sempre voluto bene, tu la adoravi, cazzo! Lo dicevi persino a costo di sembrare un mammone viziato!”, e fece una pausa, avvicinandosi ulteriormente.
Ormai con un solo leggero movimento avrebbero cozzato uno contro l’altro, probabilmente rompendosi a vicenda, da quanto erano, sotto sotto, fragili.
“L’hai salutata quando siamo partiti e poi non l’hai più chiamata. Lo so. Me l’ha detto LEI!!
“Cos…!”
“Era preoccupata per te e ha telefonato, e tu non hai risposto, hai rifiutato di rispondere a tua madre. E l’ho richiamata io.”, e Dorian si ritirò sul suo posto, lo sguardo buio.
“Prima di tentare di fare i conti a me, Justin, guarda che razza di schifo è diventata la tua vita.”
 
E si rilassò contro il sedile, in un ultimo ansito di tensione, il dito sul pulsante ‘play’.
Justin era ancora lì, ad occhi spalancati, a guardarlo.
Una statua di incredulità e… pianto?
 
Quasi, sì.
Dorian si girò verso di lui, lievemente, con la sua voce soffice speciale, con lo stesso sguardo mieloso che gli aveva rivolto Justin quando si era seduto per attaccare quella stupida discussione.
“Abbiamo finito, credo.”, gli disse, affettando un sorrisetto, quando Justin gli afferrò la mano che teneva sul lettore cd, facendoglielo cadere.
-17 anni di guai, stronzo…quello è un Sony!-
“Abbiamo finito, Dorian?”, gli chiese, gli occhi quasi traboccanti di lacrime di rabbia e incredulità, la bocca storta in un ghigno. “Pensi davvero che abbiamo finito?!
 
Dorian lasciò perdere il lettore cd e svicolò la sua mano dalla presa di Justin, disgustato.
“Sì.”, e si chinò a raccogliere il tutto, con una smorfia per la schiena, facendo per mettersi le cuffie.
“Abbiamo finito. E ricordati quello che ho detto.”
 
Fu solo a quel punto che Justin cambiò repentinamente espressione e finalmente si ritirò sul suo sedile, non più sporto in quella posa aggressiva, le lacrime di rabbia sparite, come non ci fossero mai state.
Come se quello fosse diventato, in un istante, un altro Justin.
 
“Sei nervoso, oggi, Dorian…”, affermò, con voce leggera, come commentasse la qualità del gelato tedesco a quello della gelateria all’angolo di casa sua.
Semplici chiacchiere.
“Non c’è male, Justin.”, strinse le labbra Dorian, suo malgrado, rimettendosi le cuffie, deciso a spegnere quella conversazione, quando proprio la leggerezza del tono di Justin lo fregò.
 
A posteriori ci avrebbe pensato bene: con Justin bisognava chiudere una sfida verbale quando si era in netta superiorità, poiché con una sola minima possibilità l’altro avrebbe facilmente ribaltato il risultato.
-Anche per quello era il nostro leader-, avrebbe pensato, secoli dopo quello che sarebbe successo.
 
“Hai passato la notte a piangere, ciccino?”
La domanda, o meglio l’affermazione, colse Dorian totalmente impreparato e lo snebbiò del tutto; pur con un tono leggero, Justin aveva infilato un misto tra il disprezzo e l’indifferenza che lo portò ad odiarlo ancora di più.
Di più, molto di più, perché non era la stessa partita, e quello era assolutamente SLEALE!
 
In una frase, Justin aveva ribaltato argomento, gioco, partita e, specialmente, momento.
Non erano più accuse sul suo operato, su di lui.
Era un’accusa diretta di essere caduto nella sua trappola, e di essere il bersaglio del suo odio, che si era manifestato fisicamente la sera prima, e un modo assolutamente vigliacco di farglielo sapere.
Era talmente una porcata che Dorian avrebbe voluto alzarsi e urlare ‘Fallo!!’, ma non poteva.
 
Quando gli rispose, sibilò ogni lettera possibile, reprimendo il desiderio di urlargli in faccia o di mettergli le mani addosso.
-Pensa ad altro o lo ammazzi, ecco, pensa alle torture medievali…Oh grazie, cervello mio, meglio!-
“No, ho passato la notte a cercare una posizione decente per dormire… grazie a te.”
Justin riassunse la faccia da bravo ragazzo, tornando a quello che, secondo le sue intenzioni, doveva essere probabilmente il discorso con cui voleva approcciarlo.
“Senti, mi spiace… Non pensavo che saresti caduto per davvero.”
 
Dorian si sentì gonfiare ancora dentro, più di prima, da una rabbia mai provata, devastante.
-Vuol farmi sapere che l’ha fatto apposta; lo sa che non mi frega, e lo sa che me ne sono accorto e…
Si sta divertendo!-
“Ah, davvero?! Io invece penso proprio di sì!”
“Dorian!”
“Che c’è?!”
 
Dorian si rese conto di aver urlato davvero, quella volta, ma se ne fregava altamente.
Potevano far salire sull’aereo tutti i loro fans e tutti i giornalisti e tuttichiccazzovolevano, per conto suo,  pure col contorno di ballerine brasiliane, circo a quattro piste e orchestrina samba, ma in quel momento aveva un solo pensiero.
Justin restò a bocca aperta nella sua posa da perfetto innocente, un po’ sorpreso ed anche lievemente indignato: sembrava non stesse credendo alle proprie orecchie.
Dorian invece sapeva che ci credeva benissimo, e che dentro di sé ne stava pure sghignazzando!
 
“Dorian, se vuoi ti chiedo scusa, anche prima abbiamo…trasceso. Ma non capisco perché tu ti stia incazzando tanto per…”
Ficcatele in culo, le tue scuse!!”
 
E fu in quel momento che Dorian lo sentì, Dorian che fino ad un anno prima pensava che le mani fossero fatte per indossare eleganti guanti di seta alla Oscar Wilde grigio perla; duro e micidiale, l’impatto delle nocche del suo pugno destro contro il naso di Justin, e vide con reale sorpresa la testa dell’amico ruotare verso sinistra e buttare all’improvviso sangue come una fontana.
Lui.
Aveva appena rotto il naso a Justin.
Lui. Dorian.
 
Sentì uno strillo, troppo lontano per le sue orecchie, probabilmente di Helen, e avvertì\vide Shane che balzava sul corridoio tra i sedili, e molto più indietro la sagoma corpulenta di Peter, l’enorme capo bodyguard di colore, ma quel che vide realmente era solo Justin che si ritraeva scompostamente, tenendosi una mano sotto il setto nasale e con gli occhi sgranati, che ancora non doveva sentire male, e sentì solo un impulso, accompagnato da una voce.
Non saranno mai abbastanza, perché impari la lezione, sai?Non ti darà mai pace.
E colpì di nuovo.
 
Per il suo cervello cosciente era alla cieca, ma il suo pugno prese lo stomaco, facendo ributtare tutta l’aria a Justin.
-Vediamo se riesci a dormire bene tu, stanotte, bastardo!!-, pensò, come in trance.
Justin si piegò in due come un telefonino, ricadendo seduto con un gemito sordo e, sempre nella sorta di nebbia in cui si trovava, Dorian gli sferrò un altro pugno allo stomaco, più violento del primo, che trovò fortunosamente il braccio di mezzo, e poi gli diede una spinta rabbiosa che lo fece sbilanciare ancora di più; Justin cadde in mezzo al corridoio, sbattendo violentemente col naso sul pavimento.
 
“DORIAAAAAAAAHHN!!”, gridò Helen, da quelli che sembravano parecchi chilometri più avanti.
Il mondo si era espanso, era entrato in un’altra dimensione.
Lui e l’altro erano il caldo nucleo, un bozzolo avvolto di elettricità; il resto era distante, e forse non esisteva neppure più.
Non per Dorian.
 
Justin ebbe giusto il tempo per fissarlo un attimo, mentre tentava di rialzarsi, con una sorta di preghiera negli occhi.
Fermo, Dorian, oddio stai fermo, ti prego ritratto tutti, ma ti prego fermat…
E Dorian, le labbra compresse, ridotte ad una sorta di cicatrice, gli occhi due fessure verdi che assomigliavano pericolosamente a quelli di suo padre, cieco a qualsiasi supplica, lo calciò violentemente nello stomaco con le doctor Marten’s che portava sempre quando era a riposo, e poi si arrestò, improvvisamente.
Uscì dai sedili, in piedi di fronte allo sfacelo che aveva ai suoi piedi, e lì rimase, come un tamburino senza più carica.
Inerte.
 
Shane, arrivato di corsa dal suo posto, lo afferrò per un braccio, facendolo ruotare verso di lui, e gli urlò in piena faccia.
Ma sei deficiente?! Guarda che cazzo hai fatto!!”
 
Eddie, almeno una decina di posti più avanti, ora che le dimensioni del mondo erano tornate normali, aveva degnato la scena di un’occhiata superficiale.
Da un mese a quella parte, i litigi si erano moltiplicati esponenzialmente, non solo con Dorian, ma tra tutti loro, e sotto sotto tutti sapevano che i primi ad esplodere l’uno contro l’altro sarebbero stati quei due.
 
Shane scrollò Dorian un’altra volta chiedendogli se fosse impazzito, mentre questi era come impietrito.
Osservava Justin che si rialzava aiutato da Peter. Doveva avergli fatto un gran male, visto stava singhiozzando, ma non si capacitava come.
La verità era che gli era sembrato averlo colpito solo tre o quattro volte, seppure violentemente, ma nella sua trance doveva averlo picchiato molto di più…E l’effetto sorpresa di un naso rotto e un diretto allo stomaco dovevano aver reso Justin più che arrendevole.
Sì, doveva avergli fatto un gran male, ma non gli importava già più: voleva solo cancellare il tutto dalla sua testa.
Il grosso bodyguard, tenendo delicatamente Justin in piedi, fece per allontanarsi con lui per farlo perlomeno riaggiustare, quando Justin si arrestò a sua volta, dopo pochi passi, e si girò, lo sguardo reso ancora più feroce dalle lacrime e dal sopracciglio destro spaccato. (…anche quello? E quello quando l’avrei fatto?)
-Sembra un pirata-, pensò, assurdamente Shane.
 
“AAAAAAHHH!!!!”
L’urlo di Justin prese tutti di sorpresa, anche Peter, che non riuscì a trattenerlo mentre questi scattava per artigliare Dorian.
Lo fermò un attimo prima che lo toccasse, afferrandolo per il cappuccio della felpa, come avrebbe afferrato un cane fuggito strozzandolo dal guinzaglio, ma non c’era niente di comico, e non poté usare ulteriori riguardi né per il naso né per lo stomaco: Justin era una biscia vibrante di rabbia, e se avesse allentato anche solo di poco la presa, avrebbe di sicuro fatto a pezzi Dorian,  che oltretutto era rimasto lì, impalato, alla portata della furia del ragazzo.
 
Justin gli sputò addosso la sua rabbia residua, ed era tanta, con tutto il veleno possibile.
Dorian credette di non aver visto niente e nessuno così pericolosamente furioso, era una cosa che riteneva ai limiti della realtà.
 
La luce negli occhi di Justin era odio allo stato puro.
E se si fosse liberato, l’avrebbe ucciso.
 
TO ODIO!!! TI ODIO, TIODIOTIODIOTIODIOTIODIO!!! NON SAI QUANTO TI ODIO MA TE LO FARO’ CAPIRE IO!! TU NON SOPRAVVIVERAI, DORIAN KIERDIING, TE LO GIURO!! TU NON VIVRAIIII!!!!”
 
“Smettila, adesso!!”, gridò Peter, incredibilmente in difficoltà, nonostante una quarantina di muscoli ed allentamento in più.
C’era qualcosa, nella profezia isterica di Justin, che gli aveva fatto accapponare la pelle, e non solo a lui.
Helen aveva tirato gli angoli della bocca con i pugni in un ghigno orribile, mentre Shane stava dando una mano a Peter, ma era rimasto per un attimo inorridito da quell’urlo che pareva venire dalle profondità del cervello di Justin.
 
“Io ti ammazzerò, Dorian! Giuro che ti ammazzerò, prima o poi!”, strillò Justin, ed in uno scatto improvviso quasi riuscì a liberarsi della morsa. Se non ci fosse stato Shane di mezzo avrebbe di sicuro messo in atto il suo proposito.
Peter, mentre due dei suoi colleghi correvano ad aiutarlo, si girò con cattiveria verso Dorian, incitandolo.
“Vattene! Non vedi com’è?! Va via o non riusciremo a calmarlo! Muoviti!!”
 
Dorian si girò e si allontanò lentamente verso la testa dell’aereo, evitato da tutti come un paria ma sentendosi addosso lo sguardo di quasi una quarantina di persone.
Da dietro, alta e isterica, arrivò la voce di Justin, che stava piangendo di nuovo, ed aveva smesso di lottare per liberarsi.
 
“Mi fai schifo, Dorian, mi senti?!Eh!?Mi senti?!SCHIFO!!Ti ammazzo, prima o poi! SCHIFOSISSIMO ANGIOLETTO DEL CAZZO, PRIMA O POI TI AMMAZZO! O IO O TE! CAZZO, LO GIURO! O IO O TE!!”
 
Dorian si sedette davanti, vicino alla cabina del pilota, e, nascosto, iniziò a piangere a sua volta.
Justin ormai non urlava più parole, solo urla sconnesse piene d’odio, mente il volo cambiava piano e veniva fatto scendere per restare a Monaco a rattopparsi, ma Dorian non riusciva a cancellare la sua espressione di odio, il suo scatto senza dubbio omicida.
 
Qualcosa gli si stava muovendo dentro: la gravidanza della rabbia accumulata, forse.
O qualcosa che pian piano lo avrebbe avvelenato, uccidendolo o facendolo uccidere.
Dorian si prese la testa tra le mani e tentò di piangere silenziosamente.
Eddie, Justin, Shane, Rose, i fans, la musica, lo show business…
Cominciava ad odiare profondamente tutto questo, e cominciava quasi a capire.
Ma più di tutto odiava i suoi…
..amici? Poteva ancora definirli così?
 
Si asciugò le lacrime, si infilò finalmente le cuffie, ed assunse un’espressione dura mai vista sul suo viso.
Sentì Eddie che faceva un commento ad una delle ballerine, apatico.
 
“Perfetto. Salteremo lo show di Lione, e quel cretino di Justin, a forza di urlare, non avrà voce per cantare per un bel po’. Grande mossa, quei due idioti.”
 
Dorian si sentì risvegliare, finalmente.
 
No.
Basta.
Oh, Dio, per piacere…
Basta.
 
La sua era una preghiera di un bambino sotto le bombe; forse la guerra sarebbe finita, e ci sarebbe stata altra vita, ma era segnato.
 
E, come in una guerra, era anche stato puntato dall’occhio infallibile, anche se calmo, di un cecchino.

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Capitolo 19
*** 19. L'importanza di provarci ***


19. L’importanza di provarci
 
 
*
 
(Un altro luogo \ Un altro tempo)
 
“… ora comprendi?”
“Comprendo le tue riserve, Immemore. Ma non illuderti. IO non seguirò la tua linea di condotta.”, ringhiò Dayer, la mano sull’elsa della sua spada viola.
I suoi occhi mandavano lampi di rabbia e comprensione.
E paura, sì…
Molta paura.
 
Alael si incupì solamente, ma non batté ciglio.
Non aveva chiesto la pietà dell’Innocente, sapeva bene che era il proprio comportamento, semmai, l’anomalia in un emissario.
Aveva raggiunto il suo nemico solo per una domanda, ma quel cielo tormentato, quel lago di sangue dove stava Dayer, seduto ed avvolto da una nube di informazioni del suo esterno, con quell’espressione apatica che si ravvivava solo per diventare più malinconica, mentre le anime sotto di esso urlavano e sparivano, lo avevano spinto al dialogo.
Dayer l’aveva spinto al dialogo, e non si era neppure scomodato.
Un affascinante attore, ma Alael sapeva bene come evitare le sue trappole.
 
“Dayer… perché hai agito in questo modo? Perché sei… sei…”
-Diventato Lui-, era la parte che non riusciva neppure a pronunciare, pensando al male che aveva ed avrebbe ancora provocato.
Fino alla fine.
L’Innocente alzò la testa, con occhi irrisori e con un movimento fluido si alzò in piedi, lasciando finalmente la spada, con un sorriso quasi sornione.
 
“Perché così non mi avresti ucciso. E perché, in questo modo, dopo averti ucciso, vivrò.”, e un risolino gli sfuggì, come avesse detto una barzelletta inappropriata ad un pranzo di gala.
 
“Pensi davvero che il mio esterno non si difenderà?”
Solo a quell’affermazione pacata l’emissario del Caos finalmente mostrò un vero segno di comprensione. Con un movimento fulmineo, afferrò un polso di Alael, che non manifestòinvece nessun segno di presenza: si lasciò afferrare e scuotere come una bambola, mentre Dayer deformava il suo sorrisetto in un tremendo rictus di paura, e lo stritolava quasi a volerlo rompere.
I suoi occhi, da viola, erano diventati neri, profondi oceani di terrore infinito.
 
“Tu… tu vuoi dire che Dorian…”
“Dorian non sa niente.”
 
Il respiro dell’Innocente era talmente forte e la sua stretta si intensificò per un terribile momento in cui Alael pensò che avrebbe distrutto tutto solo con la forza del pensiero.
Dayer era forte.
Era il più forte tra gli emissari del Caos che avesse mai incontrato.
 
Era dolore, imperfezione, intelligenza, rabbia e dolce innocenza, e con pochissima della sua forza di volontà avrebbe potuto distruggere tutto, sé stesso per primo.
Ma non lui, non ancora.
 
Dopo quel momento di tensione, in cui il cielo si era riempito di un bianco abbacinante, Dayer lo lasciò e mise mano all’elsa della spada.
“Non stai implorando per la tua vita, Immemore…”
“No.”
“Vorresti che… che seguissi il protocollo di voi, emissari della Ragione. Che risparmi… la vita del tuo esterno, ed uccida solo te.”
“Non solo.”, gli rispose Alael, con fierezza.
 
Dayer lo guardò, gli occhi sgranati che sembravano vedere ben al di là delle loro vite, e finalmente si aprì in un sorriso.
Un bellissimo sorriso.
“Vorresti che lasciassi il mio esterno.”
“Lascialo vivere. È servito abbastanza alla tua missione.”, sospirò Alael, pensando al male che aveva fatto il suo avversario. E forse anche lui stesso. “Perciò uccidimi e finiamola qui.”, e, sporgendosi, lasciò cadere la sua spada bianca.
 
Dayer non si scompose, inclinò di poco la testa osservandolo, mantenendo sempre quel bellissimo e delicato sorriso.
“No.”
“Come puoi rifiutare questa vittoria così facile?”
“Voglio di più, Alael. Voglio tutto.”, e si sporse verso di lui, compiendo un gesto incredibile.
 
Raccolse la sua spada e gliela ridiede.
 
“Voglio una vita.”, il sorriso sembrò ampliarsi ancora di più, mentre chiudeva gli occhi.
Assaporando golosamente l’unica illusione che aveva.
“Voglio falciare la tua vita e quella del tuo esterno. E voglio vivere la mia… prendendola.”
 
Alael osservò la sua spada, mentre i suoi occhi, blu come il cielo, si riempivano di lacrime.
“Te lo impedirò.”
“Allora dovrai combattere.”, lo canzonò Dayer, in un modo gaiamente macabro. “E dovrai…uccidermi. Tutto me stesso. Io…e lui.”, concluse, gli occhi ancora neri e indifferenti sopra quel sorriso gioioso.
 
Alael sentì la sua anima immortale che tentava di fuggire, a quelle parole, tentare prepotentemente di tornare solo particelle a caso, solo pura luce.
Ma non poteva.
 
Annuì, invece.
Avrebbero combattuto, vita per vita.
Ma non in quel momento.
Non era ancora ora. Avrebbero sofferto troppo.
 
“Non mi lasci scelta…”, mormorò e allungò una mano verso Dayer, proteggendosi gli oggi che, allo stesso momento, iniziavano a stillare lacrime.
Lacrime di un immortale.
“Cos…!”, disse Dayer, improvvisamente allarmato, mentre la sua mano tentava di sfoderare la sua arma.
 
Un lampo di luce blu li investì, e Alael, a fatica, si rimise in piedi, nel suo luogo di nascita, i capelli che si muovevano nella brezza eterna, mentre Dayer giaceva nel proprio mondo, dal quale si sarebbe risvegliato non ricordando niente dei loro incontri precedenti.
Avrebbe saputo il suo ordine primordiale: cercare l’Immemore ed ucciderlo.
 
Alael era stato scorretto, certo, ma Dayer era stato più che scorretto.
Aveva già mietuto una vittima, anche se non fisicamente.
 
Alael aveva solo azzerato la loro partita.
Voleva strappare quelle due vite innocenti a Dayer, e non sarebbe stato facile, perciò si era preso un vantaggio.
 
“Prova a sopravvivere per più di tremila anni senza imparare qualche trucchetto, Dayer…”, si disse, mentre si asciugava le lacrime.
 
Ora sapeva che ciò che aveva sentito dall’esterno era vero.
L’amore li avrebbe fatti a pezzi.
 
**
(Londra, metà settembre 1999)
 
Justin bussò alla porta della camera di Dorian, un paio di settimane dopo, con un’espressione indecifrabile sul viso restaurato parzialmente.
 
Nei giorni dopo ‘l’incidente’, come era stato raccontato alle varie testate (un banale scivolone durante una gita in bici, una cosa inizialmente sana che si era trasformata in bravata, dato il suo status di ‘ribelle’ del gruppo), lui e Dorian avevano evitato di parlarsi e persino di avvicinarsi.
 
Persino lo staff, capitanato da Londra dalla Grande Sorella Rose Evans, aveva provveduto a tenerli il più lontano possibile, e non farli mai, per nessun motivo, interagire: non che ci fosse stato un reale pericolo che questo accadesse.
Justin e Dorian avevano avuto voglia di parlarsi o avvicinarsi l’un l’altro quanta ne avevano gli USA di un'altra disfatta in Vietnam.
 
Eddie era risultato sempre più apatico alle loro faccende o assenza di esse; sembrava si aspettasse di passare così la vita, e morire in un modo sconosciuto del quale non si preoccupava. (–che faranno passare per una gita in bici-, pensò Justin, mentre attendeva nel corridoio).
La sua apatia iniziava a preoccupare lo staff che li accompagnava, ed era stato sottoposto a controlli medici per il sospetto di una depressione, ma la verità era solo una: Eddie era annoiato.
 
Justin aveva parlato solo con Shane, dopo che anche lui, sospirando, era sceso dall’aereo in partenza da Monaco di Baviera per stargli vicino durante l’operazione per riassestargli il naso.
Dire che Shane l’avesse giustificato era troppo, ma qualcosa di cos’era successo tra i due aveva capito: in fondo anche lui era sempre stato portato a ragionare più con le mani che con le parole, ed anche lui viveva quella tensione, seppure in misura minore.
Quello che aveva scagionato Justin ai suoi occhi (e successivamente a quelli di Eddie, sempre se Eddie riteneva ancora qualcuno colpevole o meno) era un ragionamento che, pur avendo concordato fosse una gran porcata fondata su un loro luogo comune dai tempi del liceo, entrambi avevano convenuto fosse stata sempre condiviso da tutti loro.
 
Justin non era stato solopicchiato.
Justin era stato picchiatoda Dorian.
Dorian.
Quello che avevano creduto sempre più debole, da difendere, da proteggere, che anche quando guidava la nave del loro scassato gruppo rock era stato carente e facile agli isterismi.
Non erano offese, le loro: era un dato di fatto ai loro occhi, consolidatosi negli anni, che Dorian fosse sempre stato il ‘cucciolo-da-difendere’ tra loro.
Il cucciolo che credevano non avrebbe mai morso.
 
Quanto fosse stato provocato, prima di mordere, lo sapeva solo Justin, e se ne guardava bene dal mettere quel discorso nel bailamme di teorie che Shane aveva messo in campo.
 
E così, stava finalmente stazionando nel corridoio ad attendere dopo la sua bussata, con ancora una fasciatura parziale sul setto nasale, che era tornato quasi come prima, ma con un timore tutto nuovo, nel cuore.
 
Dopo tutto quello che era successo, dopo la loro prima vera lite, Dorian avrebbe potuto respingere le sue scuse. Avrebbe potuto respingere tutto di lui, quella volta.
Avrebbe potuto abbandonarlo.
 
Fu così che, quando la bella testa bionda dell’amico fece capolino dalla porta, seppure con aria circospetta, un lago di sollievo gli riempì il cuore.
-Se vuoi, picchiami un’altra volta o ammazzami, Dorian. Ma non lasciarmi…-, pensò, mentre, confusamente, senza neanche tentare di mettere su un sorriso, gli chiedeva di entrare.
 
**
“Gelosia.”
“Invidia.”, corresse Justin, puntiglioso, nonostante tutto.
Dorian lo osservava attentamente, in piedi e con le braccia conserte, con un cipiglio poco meno che minaccioso, mentre alle sue spalle, Eddie e Shane si godevano il tutto come una partita di tennis al match point.
 
Dorian non cedette, neppure quando Justin abbassò lo sguardo, con le guance in fiamme.
“Così tu… voi, anzi… pensavate che mi stessi divertendo, a rispettare il contratto? A fare il cretino?! A…a… “, e mancò le parole, finite piano piano in un sibilo sommesso.
“A obbedire agli ordini.”, sospirò Justin, non osando ancora levare gli occhi.
“E tu che affare ci hai fatto, andandoci contro?”
Dorian era ancora ostile, ma non era furioso.
Era quasi fosse curioso, o stesse tentando di impartirgli una lezione.
 
Un’altra, dopo quella dei pugni.
“Niente…”
“E tu pensavi, perciò, che solo perché stavo onorando un contratto io mi stessi pure divertendo…”, scosse la testa, incredulo ma non troppo, il biondino.
Justin sospirò.
“Sono un coglione…”
“Ah, lo sei di sicuro…”, gli rispose svagatamente l’amico, per poi guardare di sottecchi gli altri.
“Ma non sei stato l’unico, oltretutto… Abbiamo dato tutti del nostro.”, soffiò, per poi sedersi.
 
Justin rialzò la testa, come uno scolaretto delle elementari, e incontrò lo sguardo chiaro di Dorian, che prendeva una coca cola.
 
“Dai, siediti… E vedi di non attaccarmi alle spalle, almeno stavolta.”
“Mi descrivi come un dannato serpente…”, mormorò Justin, avvicinandosi alla poltrona, senza malanimo.
Dorian si girò e si fermò contro il frigo, con la bibita in mano e lo sguardo perso, pensieroso.
“Sì…”, e poi con il suo solito sguardo abbracciò tutti i tre amici che gli stavano seduti di fronte.
“Ma sei il nostroserpente, Swanson.”
E prima che Justin potesse parlare, gli spedì una ghignata.
“Si può sapere dove sei andato a cacciarti con quella bicicletta, per ridurti così?”
 
*
*  
 
Il tour era finito a Londra, grazie al Cielo.
Grazie al Cielo, non si erano trattenuti a Dublino quando vi erano passati in tour, o almeno non tutti loro.
Dublino bruciava: erano quasi riusciti a farla loro come gruppo rock, e non volevano far vedere quanto fossero cambiati in così poco tempo.
Da guerrieri a semplici schiavi, in catene.
Ora stavano in un albergo di Londra, esercitandosi più duramente con la vocal coach per le loro mancanze durante il tour, ma in una sorta di limbo.
Sostanzialmente erano in pausa, e quell’atmosfera di relax forzato li stava mandando ai matti.
 
Shane ed Eddie si erano ritrovati nella camera di Dorian (l’unica singola), apparentemente per  ingannare il tempo giocando a carte, come quando erano a scuola, in realtà per parlare degli ultimi fatti accaduti e dell’ormai arrivo del secondo disco.
Volevano però riuscire a scavarsi un varco per discutere sulla rottura\unione della loro band dopo la fine di quell’inferno, e si ritrovarono inaspettatamente ad assistere alla parziale fine dei loro guai.
Ed anche nel modo più spassoso che avessero mai potuto immaginare: Justin, con ancora una fasciatura sul naso (per non parlare dei cerotti a mo’ di punti che gli aveva applicato per non rovinargli l’arcata sopraccigliare con una cicatrice)  per la frattura provocata  da Dorian,si era esibito in un impressionante esercizio di sincerità verso Dorian stesso.
 
Una scena che superava le loro sfrenate fantasie rimaste ferme al liceo.
Justin si era letteralmente umiliato, e Dorian, dopo aver fatto il solito siparietto da sostenuto, lo aveva perdonato.
 
Una volta esaurito il teatrino, Justin si stravaccò sull’unica poltrona vicino al divano, dove sedevano i suoi di-nuovo-amici (-e chissà quante volte capiterà ancora…-, sospirò Eddie, internamente), e si accese una sigaretta, che gli venne strappata subito dalle labbra da Dorian.
 
“Cazzo, non in camera mia!!”, sibilò il biondino.
Justin sbuffò e anche Eddie, incredibilmente, si unì, lamentandosi, uscendo dalla sua ormai robotica apatia.
“Dio, quanto pagherei per una sigaretta…”
“Beh…”, disse Dorian, guardandosi le unghie e poi aprendosi in un sorriso che poteva risultare sia maligno che grazioso.
Quando voleva sapeva fare lo stronzo, eccome; l’aveva già fatto parecchie volte, anche se non se n’era mai vantato, come Justin,  ed ci teneva a mostrarlo.
A tutti.
“Io conosco un posticino…”
 
**
 
Seduti sulla scala antincendio del dodicesimo piano, i ‘Changes’, si godevano le prime sigarette da settimane minimo, ben sapendo che avrebbero fatto urlare di orrore Nathalie Stewart per il danno inflitto alle loro voci, e, specialmente, incazzare come una bestia Rose Evans.
Ma forse qualcosa era davvero cambiato.
 
Se ne fottevano.
Tutti.
 
Dopo due tirate, Shane, in preda alle vertigini, diede in un accesso di tosse e Dorian lo sorresse prima che precipitasse nel vuoto.
“Cazzo, mi ero dimenticato come si fa a fumare…”, borbottò, tra un colpo di tosse e un altro.
“A me viene da vomitare…”, si lamentò Dorian con faccia schifata, e sotto lo sguardo esterrefatto e quasi inorridito di Eddie e Justin, lanciò nel vuoto la sua sigaretta fumata neppure a metà, sospirando.
“Mi sa che ho smesso… porca troia!!”, si lagnò, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Troia è la parola giusta.”, sibilò Eddie, e Justin ridacchiò, tossendo a sua volta.
“Ti riferisci a qualcuna in particolare?”
“Non di quelle che costano un patrimonio, Just… non certo a quelle!”
“Una di quelle potrebbe essere Helen… chi hamai sognato di scoparsela?”, intervenne Shane, ridacchiando ed alzando la mano.
Eddie e Justin si guardarono e poi alzarono la mano a loro volta, ridendo.
“Eddai, Dorian!”
“Dio Mio, avrai mica paura che andremo a dirglielo!”, lo fissò incredulo Eddie, alla cui faccia, il biondino rispose a muso duro.
“Certo che no. Non fino alla prossima scazzottata…”
“Dorian, ma…”, iniziò Justin, confuso e anche contrito.
“…che potrebbe non essere con te, ma con qualcun altro. O tra di voi.”, continuò implacabile Dorian. Ormai avrebbe detto tutto quello che pensava dai fatti di Monaco in poi.
“Voi pensate che davvero sia finita? Abbiamo un altro album ed un altro tour. Pensate di poter ancora resistere? E quanto? Pensate che avremo davvero libertà sugli strumenti, stavolta?”
 
Era come se Dorian si fosse ritrovato a due anni prima. Aveva preso in mano le redini di quello scalcinato gruppo che ormai tutti credevano sepolto.
Justin tentò una timida difesa.
“Il nuovo contratto dice che…”
“…potremo suonare live. Mi sono già informato, carino. Potremo al massimo fare qualche cover acustica… o a cappella, se ci va bene!”, e sbottò a ridere, senza allegria.
 
Si rabbuiarono tutti, attaccandosi un’altra sigaretta.
Dopo aver fumato in silenzio, mentre la sera calava grigia su Londra, Justin esalò il suo pensiero con l’ultima boccata della sua Marlboro.
“Le conviene. Le conviene stare ai patti, stavolta.”, annunciò, con aria truce, per poi guardarli, tutti assieme.
“E a noi conviene riprendere in mano gli strumenti.”, sussurrò, lapidario.
“Cosa?”
“Mi hai sentito, Shane. Per ora pensano che siamo quiescenti, in attesa, buoni buonini… ed abbiamo tanto tempo libero. Che usiamo per giocare a carte.”, stoccò, osservando i tre amici.
“E come facciamo a rimetterci a provare?”, si inquietò Eddie, che temeva serie ripercussioni che, come aveva supposto Dorian, non facevano presagire niente di buono.
Dorian che non stava ponendo domande, non stava fumando, non stava scavando nella testa di Justin.
Dorian stava letteralmente pregando che Justin avesse un’idea.
 
Una buona.
Una per salvarli.
 
E, riavviandosi i capelli da sopra i cerotti dell’arcata sopraccigliare, Justin sparò cos’aveva in mente, sperando che risultasse più convincente degli spezzoni confusi di discorso che aveva in testa da quando aveva bussato alla porta di Dorian.
“Nel nuovo contratto c’è scritto che potremo suonare live, no? E facciamo finta di averci creduto…”, sogghignò, mentre dentro di sé non si sentiva così sicuro.
“Invece di giocare a carte o alla Playstation –ed il suo sguardo si fissò su Shane, colpevole di perdere nottate con Dorian a giocare a Fifa sulla consolle ed aspettare spasmodicamente la sua nuova versione-, giochiamo ad essere una rock band.”, concluse, gettando la sigaretta.
 
Dorian annuì, visibilmente sollevato, e diede di gomito a Shane, mentre rientravano.
“Comunque io aspetto ancora la Playstation 2 per farti vedere i sorci verdi, Haynes.”
“Sai che non mi batterai mai, a Fifa, passerotto.”
Dorian si fermò, prendendo la spalla di Shane, con un sorriso sornione.
“Sai che ti dico? Se davvero faranno quel videogioco con la consolle a chitarra, come aveva annunciato Mtv, farò in modo di farci entrare anche un mio assolo, per Dio!”
“Giusto l’unico modo che avresti per vincere, Kierdiing…”
 
 
**
 
Dorian segnò la data sul calendario, come la prima volta.
Il 14 ottobre 1999, gli Interferences ebbero la loro vera prima reunion, ed iniziarono la loro doppia carriera come ‘Changes’ in pubblico e ‘Interferences’ tra di loro.
All’entrata del nuovo millennio, sempre a Capodanno, avevano di nuovo in mano tutte le loro canzoni.
 
Da quella cosa chiamata 'Changes', che non sentivano assolutamente loro, sentivano solo silenzio. 
Da gustare.
Per il momento.








Non sto smentendo il mio annuncio; è agosto, e questa transizione andava scritta. 
Alael e Dayer me l'hanno ordinato, e non sopravvivi più di tremila anni se non impari ad obbedire loro... 
Ma questa è un'altra storia.
Il ritmo andrà comunque in calando fino a metà settembre. 
Immagino ci saranno suicidi per questo...
Auf Wiedersen

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Capitolo 20
*** 20. Abbandono ***


20. Abbandono

Rose Mya Evans -chiamatemi-Rosie-tesori- telefonò proprio mentre Shane riusciva a ripararsi dietro il tavolo dove stava appoggiato il telefonino, ribaltandolo in scivolata e appoggiandovisi contro, cellulare ben stretto al petto, mentre una sedia gli si schiantava addosso.

Un'altra sedia sbattè contro la finestra, non rompendola ma lasciandole una sinistra ragnatela di crepe; nel mentre, Dorian lo saltò letteralmente, come fosse un ostacolo, urlando qualcosa di incomprensibile.
Ma se le parole erano incomprensibili, il tono era impossibile da sbagliare: era totalmente in tono minaccioso

Facendosi scudo con la mano per evitare le schegge, Justin, da dietro al comodino dove se ne stava acquattato, strisciò verso la porta.
Il suo riparo venne scaraventato a terra da uno spintone involontario di Eddie che stava avanzando come un panzer per portarsi a tiro di Dorian.

Quando Shane vide il nome lampeggiare sul display si alzò in piedi, incurante dei proiettili vaganti, il cellulare in una mano e l'altra sollevata pari: dove avesse trovato il coraggio non si sapeva, e assomigliava vagamente ad un predicatore americano di provincia che stesse per esortare un alleluja per la luce di Dio.
Aaaaaaaaaaaaalt!!! C'è Rose, ragazzi!! Un attimo, solo un attimo di tregua e poi potete ricominciare ad ammazzarvi, per Dio e per l'Irlanda!!”

Incredibilmente, tutti si fermarono, troppo stupiti per reagire, e Shane prese un respirone.
“Amen e grazie per l'ascolto.”, sospirò osservando la scena, incurante, ma non troppo, del malefico aggeggio che continuava a trillare nella sua mano destra.
La scena appariva come un frammento di un film fermato in un singolo fotogramma, e per un secondo ebbe l'assurda convinzione che dopo quell'attimo di gelo, il film avrebbe ricominciato a scorrere, con tutti che se la prendevano con lui.

Lui, che non c'entrava neanche un cazzo in quella discussione che stavano avendo Dorian ed Eddie, degenerata molto in fretta in rissa!
Lui, che era appena tornato con Justin dal fare il loro primo tatuaggio, e si era trovato davanti ad urla sempre più crescenti in merito ad una stronzata, ed erano finiti coinvolti loro malgrado.
Quando era volato il primo pugno, era una chiara provocazione all'ultima loro discussione tra Eddie e Justin, solo che Eddie aveva colpito esattamente il punto dove Justin si era appena passato tre ore di ago, e l'altro ci aveva messo un niente a restituirgli un calcio nelle parti intime.

E si era scatenato l'inferno.
-Un genocidio in scala-, pensò, assurdamente. -La prima boyband cancellata da una strage interna, e tutto per una discussione sullo smettere di fumare e le sue motivazioni.-

Dorian stava accovacciato in un balzo, caricato come una molla al massimo della sua pressione e pronto ancora a scattare; i muscoli tremavano di tensione trattenuta, mentre il suo volto era concentrato nell'espressione di furore che negli ultimi tempi avevano imparato a temere.
Stava per dare un bel diretto al mento di Eddie scoperto parzialmente, ma non troppo, fermatosi anche lui nell’attimo clou: aveva le mani dietro la testa, trattenute dall'ultimo momento dal piantare un vaso di ceramica in testa al biondino, dopo averlo mancato con la sedia, e se si poteva, la sua espressione era ancora più furiosa di quella di Dorian.
Justin stava con una mano sulla maniglia della porta che aveva finalmente raggiunto, ma teneva nell'altra una lampada da tavolo, non si sapeva se per lanciarla contro qualcuno o come difesa.
Era stravolto e pallido, e la cicatrice del sopracciglio rotto lasciatogli da Dorian mesi prima a Monaco, era rossa, in risalto come un marchio.

Shane non perse altro tempo, per paura di perdere la chiamata, e lasciò che il fato compisse ciò che dovesse: se avessero deciso di continuare quell'inutile strage fratricida, se avessero deciso di uccidere lui, se avessero deciso di calmarsi...
Gli altri tre abbassarono le armi e scelsero la terza opzione.
Per il momento.

Shane sospirò, mandò giù un grumo di saliva, e si stampò un sorrisone in faccia, prima di premere il tasto verde del Nokia.
Allò, Rosie, come stai?”
“Come mai ci hai messo così tanto, Shane?”
Shane sospirò dentro di sé; era impossibile ammansire Rose Evans, l'aveva imparato dopo la seconda volta che le aveva parlato.
Al di là della sua aria materna e disponibile all'ascolto, era inflessibile sulle regole, o meglio sulle sue regole, e la prima di tutte era, ovviamente, 'Non farsi mai vedere con una sigaretta in mano da giornalisti, fotografi o fans!'

Sembrava che come loro manager (o, come la chiamava Dorian in momenti più allegri, quella che si portava via quasi tutta la torta) avesse un terrore delle critiche che sarebbero potute piovere loro addosso, con l'accusa di traviare i giovani e portarli verso il fumo.
Un vero orrore, in un mondo dove ragazzine di dodici anni andavano a far marchette per morire di overdose.

Shane contò fino a tre (se avesse contato fino a dieci probabilmente Rose si sarebbe incazzata perchè troppo lento nel rispondere!) e poi risfoderò la sua miglior voce da pop-star: sono contento di esser fighetto e faccio bene, bevo tanto latte non birra!
Sentiva che Rose aveva qualcosa di importante da annunciargli, era troppo soddisfatta e non aveva raggiunto la solita quota di sospetto nella voce.

“Ho abbassato la suoneria e non avevo visto. Questo nuovo Nokia è abbastanza strano, sai che non mi trov...”
“Cambia libro delle scuse, questa ormai è vecchia!”
Shane si ritrovò graffiare la carta da parati sul muro, mentre gli altri si avvicinavano incuriositi, e riuscì a rispondere per miracolo, mentre la parte razionale del suo cervello gli intimava di prendere a morsi quello stupido cellulare e poi correre nudo per strada.
La parte irrazione gli suggeriva di farlo con una sigaretta in mano ed una in bocca.
Accese.

“Beh, hai ragione, in realtà ero in bagno.”, ed affettò una risatina. “Dimmi, Rosie, dimmi pure tutto!”
“Dove sono gli altri? Ancora a fare cretinate in palestra?”
E quella era la definizione di Rose Mya Evans per le loro prove da rock band, che camuffavano in disastrose cover per quando veniva a parlare con loro.
“No, Rosie, sono qui, stavamo...giocando alla playstation. Vuoi parlargli?”
Shane sentì Rose gongolare dall'altra parte del filo per il tono che aveva usato: un misto di fighetteria e di umiltà, quello che le piaceva sentire e che lui aveva imparato a fare con l'esperienza.
Si augurò che il filo le si avvolgesse attorno al collo come un malefico serpente telefonico, ma purtroppo la voce inflessibile, anche se un po' ammorbidita, tornò implacabile senza rispondere alla sua domanda.
Già, doveva proprio dire qualcosa di importante.
Soprattutto per lei.
Il che significava brutte notizie relativamente per loro.

“E' ora di entrare in studio, tesorini miei: l'album dev'essere pronto tra un paio di mesi, e mancate solo voi. Se Eddie si azzarda ancora a fare stecche come nel primo, prendo il primo taxi e mi piazzo in sala controllo con la frusta! E se Justin...”, e la sentì esitare un attimo, per poi riprendere, più sicura. “Niente. Justin non c'entra. Domande, cocco?”

Shane sentì uno strano sapore metallico in bocca: si era morso a sangue le labbra, e per sempre associò quello schifo al sentimento di delusione galoppante.
Abbandonò in un attimo il tono umile e sottomesso, semifurioso e quasi stridulo dalla rabbia.
“Come sarebbe a dire!? Il contratto diceva chiaramente che avremo partecipato alla stesura dei testi e della musica!”

Avvertì calare un silenzio soffocante e tetro in tutta la stanza, rotto appena dalla voce sibilante di Eddie, che mormorava un singolo apprezzamento alla loro manager.
“Brutta schifosa puttana...”
Incredibilmente, Shane sentì la suddetta brutta schifosa puttana ribattere.
E pure incazzata!
“Cos'è questo tono arrabbiatino, Shane, tesoro!? Spero che non abbiate pensato che vi avremo fatto davvero scrivere dei testi, vero!? Per non parlare della musica!...”
Rose se ne uscì con una risata gustosa che aumentò da cento a mille il conto dell'incazzatura di Shane, che mezzo passò e mezzo tirò il cellulare a Eddie; il ragazzo non fece tempo ad afferrarlo che gli venne fregato da un pallidissimo Dorian.
Justin li osservò, troppo annichilito per incazzarsi come tutti, ma in compenso la faccia del biondino non lasciava presagire nulla di buono, ma sentivano tutti che sarebbe stato peggio tentare di fermarlo.

Se una pistola carica avesse avuto un'espressione umana, avrebbe preso quella di Dorian in quel preciso momento in cui le sue ultime illusioni, spesso autoalimentate, di non essere un burattino scelto tra mille, si infrangevano contro gli scogli artificiali dello showbusiness.
Scogli con sopra una Rose Evans che lo osservava, sardonica.

Eddie si fece il segno della croce e Shane scosse la testa, sentendo la sua ira svanire sotto un cumulo di amara e umida delusione.
Dorian, osservato per un secondo il telefonino come fosse stato una nuova specie di animale, se l'avvicinò alla bocca.
“Rose sono Dorian. Spiegami tutto e fallo il più presto possibile. Grazie.”
Udì con malcelato compiacimento la voce della donna farsi appena più esitante e prendere una breve pausa alla sua domanda secca, senza emozioni di sorta né inventate né proprie.
Rose non era veramente in difficoltà, ma non si aspettava nemmeno una protesta che non potesse essere liquidata in quattro chiacchiere /ordini.
Anche lei, la Grande Sorella Rose Evans, con le chiappe rivestite nei suoi orribili tailleur albicocca posate sulla più comoda poltrona nella sua agenzia vicino a Trafalgar Square, aveva sentito che Dorian non era solo furioso.

Dorian voleva semplicemente la sua testa, punto e stop, e nemmeno una ritrattazione le avrebbe permesso di farlo ragionare.
Aveva passato un punto di non ritorno che il biondino si era marchiato a fuoco nella sua bella testolina che purtroppo non era affatto vuota come si era aspettata al primo incontro.

A dispetto di ciò marciò imperterrita sulle speranze di tutti, come non aveva mai fatto più di un anno prima, decidendo che era ora di smetterla di nutrirli di illusioni: i loro cervelli, nonostante le coccole a cui erano stati sottoposti, l'ovatta con cui avevano tentato di riempirli e i complimenti con cui li avevano blanditi per metterli temporaneamente fuoriuso, avevano la detestabile abitudine di continuare a ragionare e a sperare in quel che pensavano fosse meglio per loro.

D'ora in poi avrebbe parlato loro schiettamente, o non parlato affatto.
Avevano firmato con le loro mani.
Se un anno e mezzo prima non si erano premurati di leggere o di far controllare accuratamente il loro contratto, non era affar suo.
Ora erano suoi, e lei sapeva esattamente cosa fare per il loro bene, al contrario delle loro idee scoordinate.
Era ora di grossi cambiamenti.

“La storia è che i testi e la musica sono pronti, entro una settimana i musicisti arriveranno a Londra per registrare e dovrete esserci anche voi.”, si riprese, in tono quasi annoiato. “Fine del discorso. Dimmi se ho battuto il record, se stai cronometrando.”, aggiunse, sarcastica.
“Forse non mi sono spiegato, Rose...Avevi promesso che avremmo partecipato ai testi e alla musica!”, insistette Dorian, in una partita già persa.

Justin si girò verso Eddie, pallido e sul punto di svenire.
“Dammi una sigaretta, per piacere.”
Eddie gliela passò e se ne accese una a sua volta con le mani tremanti.
Non si era neanche accorto che Justin gli aveva chiesto qualcosa in modo educato, una cosa che non accadeva tra di loro da un anno se non in pubblico.

“Sì, Dorian, giusto!”, rispose ironicamente la donna. “Dimmi come avreste partecipato, dimmelo che non mi sono fatta le mie due risate quotidiane, forza!”
Dorian, avvertendo l'irrisione, tacque, pieno di rabbia e umiliazione.
Rose, credendo di averlo messo a tacere con le sue argomentazioni, continuò.
“Forse non mi sono spiegata io, Dorian, ma se partecipaste alla musica sareste solo d'intralcio! Non mi dire che avreste suonato uno dei vostri casini sotto una canzone come 'Let me love you'. Non siete ancora così tanto cretini o almeno lo credevo, fino a sentirti oggi.”
“Cretini?!Fottuta stronza! Se solo ci lasciasse fare quel che...!”-,urlò Justin, fortunatamente troppo lontano per essere sentito.
Eddie gli ficcò una mano sulla bocca, scottandosela con la sua cicca accesa.
Dorian tacque ancora, mentre si apprestava a commettere uno dei più grandi errori della sua vita: stava attivando la funzione vivavoce per poter far sentire e parlare anche gli altri.

Se questo era il nuovo corso delle cose, una svolta stava per farsi sentire e loro si sarebbero fatti sentire con la suddetta stronza.
Si accese a sua volta una sigaretta, facendo sentire bene lo scatto dell' accendino ed attendendo la reazione che non ci fu, in quanto Rose proseguì implacabile, decidendo di lasciarlo fare per calmare un po' gli animi.

In vista della bomba.

“In quanto ai testi, beh...Non dirmi che non capisci, Dorian, mi daresti una delusione.”
Dorian osservò l'espressione di Justin cambiare da deluso a sorpreso.
Sembrava che un enorme punto interrogativo campeggiasse sulla sua testa come un fumetto, mentre lui stesso non capiva: il suo compagno lavorava su quei testi quasi dipendesse da essi la sua vita, a volte anche cacciandolo quando era particolarmente impegnato, o quando aveva bisogno di aria, e chiamandolo anche alle quattro di notte per sapere un suo parere su UNA frase in un contesto.
Stessa sorte toccava, a turno, anche ad Eddie e in misura minore a Shane, vista la sua irritabilità ad essere svegliato.
Proprio quella cosa aveva provocato la loro 'passeggiata' odierna (ed il ritorno avec rissa, giusto per non farsi mancare niente); la convinzione di Shane che Justin dovesse prendere un po' d'aria prima di farsi risucchiare il cervello.

Scocciature a parte, i nuovi testi erano sembrati davvero belli, forse un po' claustrofobici, ma terribilmente belli.
Secondo Dorian evocavano a forza delle immagini e delle storie anche indipendenti dal tema della canzone.
Erano avvolgenti.

Ma Rose, che in un solo colpo gli diede l'ennesima conferma che aveva fatto un tragico errore ad accendere il vivavoce ed accettare quell'occasione così tremenda quasi due anni prima, non la pensava così.

Quello che seguì, dopo una raschiatina di voce della Grande Sorella, fu il più grande esempio di mancanza di sensibilità in un essere umano che ricevette nella sua giovane vita, fino a quel momento.
Rose ridacchiò e poi avanzò come un panzer verbale, nello stesso tono leggero di come se stesse parlato della qualità del fish and chips dell'angolo.
“Dorian, quei testi che mi avete fatto vedere... Fanno schifo. Tutto qui.”

Nella stanza il silenzio si trasformò in una cappa di piombo trasparente che avvolse ogni cosa, rendendo pesanti persino i pensieri.
Dorian avvertì un gemito strozzato provenire dall'angolo di Shane e immaginò, senza veramente vedere, Eddie voltarsi istintivamente verso Just, che pareva come stordito dal colpo.
“Ma...perché?”, sussurrò Dorian al telefono.
“Chi li ha scritti? Avanti, è stato solo uno, si vede. Devo solo dirgli una cosa”, lo blandì con dolcezza Rose.
Troppo intontito dalla sorpresa per pensare di mentire, Dorian commise il suo secondo errore dopo l'aver inserito il vivavoce.
“Just... Justin. Ma non puoi dire che...Insomma...Sì, sono di Just, io e Eddie e Shane ci abbiamo collaborato ma...Quando suonavamo era...il cantante...”
“Non lo è più.”, lo gelò la voce dal telefonino.

Dorian si sentì galleggiare.
L'aria aveva assunto una consistenza più rarefatta, e non riusciva ad afferrare i proprio pensieri, mentre la voce di Rose continuava, implacabile.

“Sospettavo che fosse stato lui, ma era meglio che me ne accertassi. Quel ragazzo non è a posto, Dorian, spero che ve ne siate resi conto e che se ne sia reso conto anche lui. E' malato e secondo me ha bisogno di un'urgente cura psichiatrica, ma soprattutto è i-na-dat-to ai nostri scopi. L'avevo già notato parecchie volte, ma quegli...” Rose fece una pausa in cui cercò la parola e Justin si avvicinò pericolosamente traballante al telefonino. ”...orrori di testi perversi rivelano che ha passato il limite. Vi tirerà tutti a fondo.”
Just si appressò al telefonino guardando un ancora scosso Dorian, che ricambiò lo sguardo con un'espressione incerta, mentre Rose concluse il discorso.
“Justin è fuori dal gruppo. E personalmente gli consiglierei una cura.”
“Anch'io te ne consiglio una, troia!” , sibilò a sorpresa Just, le labbra arricciate a scoprire i denti, in una smorfia pericolosa. “Una bella eutanasia!”

**

Dorian aveva riattaccato e non aveva risposto alle successive chiamate della loro manager, mentre Shane tentava di rimettere a posto la stanza d’ albergo.
Avrebbe fatto di tutto pur di distrarsi ma non ci riusciva, non era assolutamente capace di pensare ad altro.
La loro unità era tornata di colpo e gli veniva continuamente in mente che sembravano come amici ritrovati dopo tanto tempo al funerale di uno di essi.

Justin era andato al bagno in silenzio e poi si era seduto sul divano; ormai stava lì da quasi mezz'ora, lo sguardo fisso e inebetito.
Solo Eddie era rimasto a guardarlo, impalato, pensando vorticosamente.
Sono troppo giovane.
Sono troppo giovane, per favore.
Sono troppo giovane, non riesco ad affrontare tutto questo, vi prego.
Ho appena vent’ anni, l'adolescenza arriva fino ai trenta e io ci sono praticamente appena entrato, vi prego...
Ed a seguire un pensiero assurdo che gli rimbombava qua e là, come una pallina di gomma lanciata nel suo cervello, che a volte lo colpiva dolorosamente alle tempie.
Io mi chiamo fuori. Mi chiamo fuori. Mi chiamo fuori, voglio tornare a casa.

Dorian sembrava smarrito, ogni traccia di rabbia residua sparita, mentre fissava le chiamate continue sul cellulare, finché si stancò e lo spense, avviandosi alla finestra col vetro rotto.

Erano ad un funerale e nessuno se ne rendeva conto; il funerale dei Changes.
E spiaceva a tutti loro: i momenti brutti erano stati tanti, ma riguardando col senno di poi, come tutte le cose, tutte le persone defunte, scomparse, morte, destinate all'oblio, iniziavano a ricordare le parti divertenti.
Ne avevano avute molte.

Dopo ancora qualche minuto, Justin parlò, quieto e inespressivo come un officiante che non avesse neppure letto una riga sul defunto.
“Sapete cosa fare? Io lo so già.”
Dorian si bloccò di colpo e sembrò fulminarlo.
Justin nemmeno lo guardava, era rimasto col suo sguardo fisso: sembrava non avesse nemmeno parlato pochi secondi prima.
No.
Non sembrava neppure in grado di parlare.

“Vaffanculo!!”
“Posso sapere perché te la prendi così, Dorian? Non sei tu che devi andartene.”
Liscio.
Senza espressione, come se stesse parlando di fiori per la corona da porre sopra la bara.
Dorian era a bocca aperta.
“Stai diventando... no, sei un IDIOTA!!”
Eddie lo fissò senza parlare.
Justin era sempre stato il più indipendente tra di loro, uno che si scostava sempre e andava per la sua strada, ma quella era un’ altra storia.
Per quanto fosse sempre stato relativamente indipendente, era impensabile che parlasse in quel modo.

In un momento rivisse i dubbi che aveva sempre avuto su di lui, da qualche tempo a quella parte.
Che realmente a Justin non fregasse moltissimo e che quindi pensasse altrettanto di loro?
Non si era mai fidato di nessuno, lo sapeva perfettamente, ma sembrava che quelle questioni fossero risolte tacitamente da almeno un paio d anni; dopo la fine della scuola, aveva pensato che solo l'attaccamento a Dorian l'aveva spinto a non mollare nel modo più tragico che immaginasse.
L'asocialità non pareva più fare parte del mondo di Justin, in un modo o nell'altro...

Ma se si fosse sbagliato?
Justin era bravo a farsi maschere, e anche per quello era bravissimo a finirci in trappola grazie al suo cervello contorto, ben alimentato dalle sue amicizie.

Tra le quali non vi era però lui: sarebbe andato diretto e avrebbe preteso risposte.
Subito.

“Justin, tu pensi che ti molleremo? Che ci asciugheremo le lacrime e poi andremo avanti senza di te? Lo stai pensando davvero?”, chiese, seccatamente.
Justin sembrò svegliarsi momentaneamente dal suo intorpidimento.
Per un attimo.
“Io...non so che pensare, ecco. Penso che dovremo pensarci a mente fredda, adesso c’è piovuta addosso troppo di colpo.”
“Ma quando, pensarci, quando?!Cristo si parla di te, di Justin, di noi, di Eddie, di Shane, di me...!” ,gridò Dorian.
Justin tornò apatico a fissare il muro ad occhi spalancati.
“Non lo so. Possiamo parlarne tra un’ ora? Non riesco a pensare. Perché non mi lasciate solo un attimo? Davvero, ragazzi, non è niente, devo solo stare solo e pensarci. Mi state mandando in paranoia.”
Gentilmente e con calma soporifera.
Quasi impersonale.
A Shane ricordava ancora un funerale, le condoglianze ad un conoscente intimo ma perso di vista per un po’ .
Dorian sembrava sul punto di svenire.
“Oh, va…va bene. E già che ci siamo ti attacchiamo lo stereo? Vuoi una tartina? Un po’di tè?”, tentò di ironizzare, venendo smentito dal suo colorito pallido tendente al verde.
Stava per strangolarlo, virtualmente e materialmente, quando Justin tornò sulla terra un attimo e notarono tutti che aveva gli occhi lucidi.

“Grazie.”

Eddie si schiarì la voce cercando le parole.
“Justin, solo una cosa. Lo pensi veramente che ci sia la remota possibilità che ti lasceremo andare così?”
Justin sospirò, costretto a forza da uscire dalla sua bolla di apatia dove sperava di cullarsi ed autotorturarsi raffinatamente, come spesso accadeva in passato, capendo che non l'avrebbero lasciato in pace.
Bastava guardare Dorian: sarebbe stato come tentare di prendere al volo la bomba atomica con un retino sopra Hiroshima.

Eddie lo fissava sospettoso: maledizione, lui subiva il danno e lui doveva essere guardato come un fottuto lebbroso.
Shane...
Shane, sul quale tutti facevano spesso affidamento, ora stava evitando di guardarlo, e solo per quello si decise a non lasciarsi andare, come aveva inizialmente pensato.
Le labbra di Shane stavano tremando.
Il colosso Shane stava vacillando e se fosse caduto gli sarebbero andati tutti dietro.
E lui quello non poteva permetterlo.

Fu così che trovò la forza di alzarsi, prima su gambe che sembravano di gomma, poi via via sempre più sicuro, mentre iniziava a parlare.
Era il suo gruppo, maledizione!
Non poteva permettere che lo facessero a pezzi.
A nessun costo.

**
Londra.

Conferenza stampa alla Tower Records, 05 gennaio 2000
**

Dorian, entrato in un'altra dimensione, aveva capito ormai che la conferenza stampa era stata calcolata per sganciare la notizia ufficiale dell'abbandono di Justin in quell'esatto periodo, dopo la ridda di voci che si erano sparse per Natale.
Tra pochi giorni il loro bacino d'utenza, le ragazzine delle junior school o persino delle primary, sarebbero tornate a scuola, e si sarebbero invogliate ulteriormente a vicenda ad acquistare materiale rinnovato dei loro beniamini.
Ne aveva discusso con Shane, che aveva fatto spallucce, ormai non riuscendo più a stupirsi di niente, in quell'ambiente.

Eddie entrò per primo in sala, dove stava già seduta la loro manager, con un affabile sorriso che gli avrebbe volentieri cancellato con un pugno, nonostante non fosse proprio il tipo di irlandese che picchiasse le donne.
Peccato che quella non era una donna.
Per come la vedeva lui, quella era un coccodrillo in abiti umani.
E di pessimi gusti in fatto di vestiario e di educazione, ma di grande talento e gusto per il potere.

Evitò di guardarla ancora e si sedette, seguito da Dorian e Shane ai loro posti con i loro cartelli col nome affisso sopra.
Dorian quasi soffiò ai flash, come un gatto accecato, e Shane gli strinse la coscia con forza, avvertendone il nervosismo.
“Piantala.”, sussurrò il moro, minaccioso. “Ricordati cos'abbiamo detto. Non farmelo ripetere con un pugno in testa per fartelo ricordare.”
Shane era tornato quello di sempre.
Come Eddie.
Ma specialmente Dorian, che annuì affettando un sorriso, ma sibilando tra i denti, in una sorta di gioia macabra.
“Un anno. Un album. Un tour.”

**

Dublino.
Due giorni prima.

**

“Mi chiedevo quando ti saresti fatto vedere.”

La voce di Edele sembrava spenta, ma i suoi occhi no, mentre Justin scaricava la sua roba davanti alla porta del suo appartamento, dove era cresciuto.
“Appena ho potuto.”, replicò, sarcastico, il figlio.
Mentre Justin si portava le mani ai reni, stirandosi, Edele sospirò internamente.
Il mondo gliel'aveva preso, il mondo glielo restituiva.
Identico a com'era partito, forse solo un po' più stropicciato e con degli occhi più tristi.

“In due anni non hai mai trovato tempo di telefonare, se non a Natale, Justin?”, tentò di risultare ironica, ma ne uscì solo una stanca parodia.
Quello che rispose il figlio non la stupì, o almeno non del tutto, e le fece crollare la maschera dell'inflessibile mastino che gli sbarrava la porta.
La porta di casa.
La casa dove era cresciuto.
Sua.

“Mi vergognavo.”, ammise Justin, fissandola negli occhi.“Appena mi sono accorto cosa saremmo diventati, mi sono vergognato. E non volevo ti vergognassi di me nè che ci vergognassimo a parlarci.”
Edele sospirò.
“Non mi vergognerò mai di te.”, si addolcì.
Si sporse ad arruffargli gli ormai famosi capelli neri, che gli erano stranamente mancati.
“Dammi una valigia da portare, su... Se hai voglia di fare una corsa potremmo mangiare un po' di patatine col pesce.”
Justin sorrise, come non gli capitava da due anni, ed entrò nella sua vecchia casa.

“Non mi hai buttato niente, vero? Nessun cd...”
“Due anni di assenza e ti preoccupi dei cd...”, sbuffò la madre, lasciando la pesante valigia con i contrassegni degli aeroporti di mezzo mondo nell'atrio e slacciandosi il grembiule. “Non hai avuto i soldi per comprartene di nuovi?”
“Ho i soldi per portarti via di qui.”, le rispose, angelico. “Anche se preferirei che tu avessi pazienza, per poterli fare fruttare.”
“Basta con le idee stupide, Justin.”, proclamò Edele, con tono tragico, portandosi persino una mano alla fronte, da attrice shakespeariana. “Guarda dove ti hanno portato, figlio mio!”
Justin afferrò la sua vecchia giacca di pelle e si voltò per uscire di nuovo di casa, mentre sua madre gli porgeva il suo vecchio mazzo di chiavi.
“Come vuoi. Ma io ho stretto un accordo, ormai.”, e quasi scoppiò a ridere, nel vedere la faccia di Edele passare dall'ansia trattenuta ad un nervosismo tangibile.

Poi assaporò le parole in testa, prima di pronunciarle.

“Un album, un tour. Fine.”



Tadadadaaaaan!!
E' il 30 settembre, ce l'ho fatta!!
Mi scuso con tutti voi per questi due capitoli non solo traballanti, ma anche mal distribuiti nel tempo che hanno spezzato un po' la linea: avrebbero dovuto essere affiancati da quelli più forti, e spero d'ora in poi di trovare il tempo per farlo!
Da ora la linea di quattordici anni fa si interrompe (probabilmente pensai che avrei trovato un modo di riempire il buco: sì, lo farò ora. In corsa. Brava-bravissima!!), ma troveremo i nostri amici. Presto li ritroveremo. 
Per il ritorno al sovrannaturale si dovrà aspettare un po', tranne pochi accenni, poichè è evidentemente un periodo di transizione per i nostri, e di assestamento, e non si può lavorare così, stanno protestando i due amiconi 'emissari'. 
Felice di rivedervi, di rivedervi felice. 
Grazie come sempre a Jo per il betaggio e Sylvia per il supporto, ora più marcato stretto XD 
Let's have a black... 
Let's have a nice week!
Babs

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** 21. Uno scottante ritorno ***


 

 

 

Per ben tre giorni Edele lasciò il figlio in pace.

Justin, dopo la gioia del ritorno, si era ritirato in se stesso, nella sua camera, e sembrava di uno strano umore che la madre non gli aveva mai visto.

 

Era uscito di casa due volte, dopo aver sistemato le sue cose; si era coperto fin sopra i capelli e non l'aveva voluta con sé. Era tornato entrambe le volte nervosissimo, ma taciturno.

Usciva dalla sua 'alcova', dove si era rintanato come al solito ad ascoltare e leggere tutto ciò che gli capitava sotto mano, per mangiare distrattamente, la testa chissà dove.

Dopo i primi tentativi di informarlo dei cambiamenti in città e chiacchierare amichevolmente sulla sua esperienza, avendo ricevuto solo brontolii cupi in risposta o cenni distratti, Edele aveva rinunciato.

 

La verità era che Justin si sentiva enormemente spaesato, una cosa cui non avrebbe mai pensato di fare i conti.

 

Il ritorno alla realtà dei comuni mortali era stato un colpo più duro di quello che aveva pianificato: era uscito una volta per informarsi sull'allacciamento ad internet per casa sua (dopo averne usufruito in modo pesante durante la sua altra vita con i 'Changes' ne era diventato dipendente) ed acquistare qualche rivista per vedere cosa si diceva dei suoi amici.

La seconda volta per informarsi al Trinity college per la re-iscrizione, non avendo intenzione di passare il tempo perso a mani vuote.

E poi, laurearsi al Trinity era sempre stato il suo sogno, boyband o no.

 

Uno dei suoi sogni.

 

Erano giornate fredde, piovose, tipicamente irlandesi, e di certo non era raro incontrare qualcuno cui spuntasse solo il naso dal proprio vestiario pesante, ciò nonostante era stato riconosciuto.

Aveva firmato un paio di autografi più sorpreso che altro, ma al Trinity, mentre tentava di capire che moduli affrontare e in che ufficio andare per potere essere riannesso al corpo studentesco più prestigioso d'Irlanda, aveva sentito delle risatine dietro di lui: due ragazzine, matricole.

E non solo.

Imbarazzate fino alla punta dei capelli, nascondevano le risatine di agitazione dietro ai pugni con i quali mascheravano i sorrisi ebeti.

 

Justin tentò di ignorarle, anche quando queste si avvicinarono con chiare intenzioni, concentrandosi sulle spiegazioni.

Tali carte in tale posto, mentre le altre avrebbe potuto consegnarle solo di martedì e giovedì, e solo se...

 

Burocrazia universitaria.

Peggio di un Castello kafkiano: gli faceva rimpiangere di non essere rimasto in una stupidissima boyband!

 

“Ciao.”, salutò le ragazze che ormai gli erano tanto vicine da respirare l'umidità che aveva portato con sé, con un sorriso falso che ormai avrebbe saputo fare anche nel sonno.

“Oddio...”, riuscì ad esalare una, la più alta, mente il sorrisetto dell'altra si allargava quasi a formare un ghigno o un rictus d'orrore, dall'incredulità.

“Tu...tu sei... quello dei...”

Justin contò fino a tre, tenendo comunque quel sorriso di plastica in faccia.

“Se intendete dei Changes, no. Non sono più nella... band.”

“Sì, ma... sei tu, vero?”, non demordeva la più loquace.

L'altra ragazza, la più bassa, sembrava ora sulla via di incontrare il pavimento bagnato della segreteria del Trinity, in uno svenimento.

“Sì, sono io.”, sospirò Justin.

“Ci... ti darebbe fastidio se...”

“Ragazze...”, tentò di cavarsela con un po' di impaccio, passando il suo fascicolo di fogli da una mano all'altra e notando che anche qualche altro studente stava iniziando a fermarsi, attorno.

 

Irlandesi.

Un dannato popolo di curiosi,” pensò, con rabbia. “Se fossi al mio funerale, non farebbe nessuna differenza, entrerebbero a curiosare. Se fossi fermo al semaforo infilerebbero la testa nel finestrino a parlarmi!!...”

E il pensiero che ne seguì lo colpì, come fosse una verità a lui nascosta da tempo.

...ed io partirei e gliela mozzerei, quella testaccia.”

 

“Ve lo dico chiaro. Non me ne frega un cazzo di ciò che pensate di quel gruppo, io non ci sono più perciò...”, e prese un respiro profondo, vedendo con soddisfazione i sorrisi delle due mocciose spegnersi, ma anche con un po' di preoccupazione.

 

Gli ci voleva così poco per tornare la solita carogna?

“...evitate di chiedermi stronzate come autografi, foto, e, come già detto, stronzate simili. Sto solo re-iscrivendomi, poi sarò uno di voi. Stop.”

“Oddio, allora è vero che tu e Dorian Kierdiing avete studiato qui!”

Justin bestemmiò internamente per la stridula interruzione.

 

Sì, gli ci voleva così poco per tornare una carogna.

Era immensamente grato a questo.

“Sì, io e Dorian, mentre Eddie studiava al Dublin Tech, e S...”

Shane! Shane Haynes!”, quasi urlò la più piccola, quella che era sembrata quasi svenire fino a poco prima, con l'espressione di aver risposto giusto ad un quiz televisivo ed aver vinto un mega assegno.

Justin non ci vide letteralmente più.

 

Sono una carogna, sono un bastardo, sono cattivo.

Perdonami, mamma. Perdonami Dorian. Perdonami Dio, se puoi. Ma finché esisterà gente cretina, io resterò così!”

 

“SE NON LA SMETTETE DI INTERROMPERMI GIURO SU DIO CHE VI FACCIO VOLARE SOTTO LA PIOGGIA!”

E solo quando calò un totale silenzio nell'atrio, si rese conto che ora c'erano molte persone ad osservarlo, e si vide su una di quelle stupide riviste per teenager.

'JUSTIN SWANSON, CACCIATO DALLA BOYBAND 'CHANGES', NON REGGE LA LONTANANZA DAL SUCCESSO ED ATTACCA I FANS IN PUBBLICO'

 

Poi la sua rabbia cancellò il tutto.

Quello era ciò che aveva loro insegnato a pensare Rose 'stronza' Evans.

Quello era ciò che avevano fatto (non sempre e non sempre bene) Eddie, Dorian e Shane, e continuavano a farlo: e non perché si divertissero.

Ma lui non era Eddie, Dorian e Shane.

Lui era Justin, ed era il motivo principale per il quale era lì invece che a Londra, in studio.

 

Si rivolse alle due ochette, ormai zittite.

Quella che aveva parlato una sola volta era persino sull'orlo delle lacrime, dopo aver scoperto che uno dei suoi miti era uno stronzo patentato!

 

Un pensiero fugace attraversò la rabbia rossa di Justin.

Erano ragazzine.

 

Fans qualsiasi, forse un po' cresciute per ascoltare gruppi simili ad un livello così maniacale.

Appena uscite da una junior school, dove magari alla sera si trovavano con le amiche e la loro 'musica' veniva sparata dagli stereo e i loro video guardati ridacchiando.

Tenere, tenere... come peluches.

 

Il problema, in quei casi, era che a Justin non ne poteva fregare di meno, no.

Non era Dorian, appunto.

E forse non gliene sarebbe fregato neanche a Dorian. Né ad Eddie. Né a Shane.

Perciò finì il suo discorso.

 

“Io mi re-iscrivo e voi non mi rompete il cazzo, ok?! Gli altri restano amici miei...”, e calcò bene il possessivo. “Non rompetemi per loro! Sono miei amici …e non andrò a scocciarli per voi! E poi...“

 

Gli scappò.

Nonostante tutti i patti, quella appena scoperta solitudine e il desiderio, glielo fecero dire.

Purtroppo.

“...torneremo assieme. Come quando eravamo qui.”

“E perché tu sei qui?”

 

La rimbeccata, quasi furiosa, era venuta dalla ragazza più piccola, quella quasi piangente dopo la sua aggressione: proprio nelle lacrime che aveva negli occhi, in cui uno dei suoi miti le si sgretolava dentro in tanti cristalli, aveva deciso di usarne uno acuminato col quale colpire.

Per far morire quel mito con onore.

“Io...”

“Stai cercando scuse perché sei stato buttato fuori?! Per quello non vuoi che ne parliamo?!”, alzò il volume della voce, la ragazza.

Justin si sentì letteralmente svuotare dentro, ma non trovò la solita rabbia.

Solo un po' di desolazione; e paura.

 

“No... Io non voglio rinunciare a...”

“Ah, certo!”

Rapida e fulminea, la piccoletta si era asciugata una lacrima. Ma non demordeva.

 

“Ma sei qui, ora. Non con loro. E i tuoi amici, sempre se è vero che siate ancora amici, sono là. Non sono con te. LORO sono un gruppo!

E lo fissò con astio.

Justin arretrò di un paio di passi, con tutte le sue carte che faticava a tenere in mano.

“Sei qui con noi. E non stai facendo niente, Justin Swanson!

 

Justin la fissò per un momento, non trovando parole per rispondere, o forse trovandole, ma ancora coperte da troppa incertezza.

Si passò nuovamente le carte da una mano all'altra e decise di andarsene.

Perché si era fatto coinvolgere così, poi?

Non poteva che uscirne perderne, e lo sapeva.

L'avevano in qualche modo marchiato.

Si girò e fece un cenno di saluto alle ragazze, tentando di non apparire come un fuggitivo.

“Pensate quel che volete. Non resterò a lungo qua.”

La risposta gli arrivò alle spalle, come una pugnalata.

“Intanto ci sei, Justin Swanson. Sei con noi. E non con loro!!

 

Prendendo la grossa porta della segreteria, osservato da tutti i presenti, ad occhi bassi, Justin realizzò: non aveva una puntadi paura.

Aveva molta paura.

Nonostante quello che si ripetesse, non poteva convincersi.

 

Era certo di essere stato dimenticato... ma così in fretta?

Da tutti?

 

Mentre aspettava e poi saliva sul bus, pervaso da un'aria strana, come se fosse contemporaneamente fuori e dentro le cose (il bus aveva cambiato numero, ma nonostante tutto era lo stesso catorcio conosciuto. Ma aveva cambiato numero e spostato di poco le fermate, ciò bastava per disorientarlo), respirò a fondo, chiudendo gli occhi.

E ripetendosi quello che aveva, anzi avevano deciso.

 

Quando rientrò, Edele non osò neppure chiedergli cos'avesse fatto.

Un'altra settimana passò.

E un'altra ancora.

 

Quando Justin riemerse, lo fece con una cartellina nera scovata da chissà che cassetto, un block notes, e li mise sulla tavola, in ordine quasi maniacale, mentre tornava in camera a cercare una penna.

Edele, al suo ritorno, si arrischiò a chiedergli cosa stesse facendo, ricevendo in risposta un sorriso incerto.

“Domani pensavo di riprendere i corsi al Trinity, anche se inizierò con un ritardo. Spero di dare tre esami alla prima sessione disponibile.”

 

La pausa di riadattamento era finita, per lui.

Con l'ennesima telefonata, un paio di sere prima.

 

**

 

“...chi?”

“Ma allora è vero che hai comprato un cellulare! Quando Shane me l'ha detto non ho resistito a vedere se era vero! E cazzo, funziona! Non dirmi che ora ti farai mettere anche internet!”

 

Justin rimase in silenzio per qualche secondo, disorientato in camera sua, cercando di pensare e di spegnere i Cure contemporaneamente, che gli stavano ancora fracassando l'orecchio destro dall'auricolare, mentre il fiume di parole andava avanti in quello sinistro.

 

“Comunque verremo a Dublino tra poco, in visita alle famigliole. Che ne dici di trovarci?”

“Frena, frena... Dorian? Sei Dorian?”

“Hai fattoooooo bingooo!!”, esultò il biondino, dall'altra parte del mare d'Irlanda, a Londra, per poi continuare, in tono di rimprovero. “Non hai neanche inserito il mio numero di cellulare in rubrica! Per essere uno che vuole lavorare in studio mi deludi, Swanson!”

“Per essere uno che aspira a portare la rivoluzione grunge in ambiti inesplorati, mi deludi anche tu, Kierdiing. Hai fatto buon uso del falsetto da checca, oggi?”, sorrise, l'amico, al telefono da Dublino.

“Fanculizzati, Justin.”

 

Justin si appoggiò allo schienale della sua scrivania, allontanando i cd e socchiudendo appena gli occhi, sorridendo come un gatto.

“Sai come si dice... Anche tu mi sei mancato, Dorian.”

 

**

 

Dorian, e poi anche Eddie e Shane, si passarono a turno il telefono per raccontargli tutto.

Tutto quello che stava capitando loro, e che sinceramente non interessava a Justin, ma era comunque felice di sentire ancora i suoi amici.

Non si erano dimenticati di lui, non ancora.

Lo stavano aspettando.

 

**

 

“Così non c'è più Nathalie come vocal coach?”

“Ti giuro, Justin, Nathalie era persino simpatica! Questa è una strega!”

“Fammi indovinare, Eddie... Ti sta cazziando?”

 

Eddie, che era al telefono in quel momento, sospirò, prima di rispondere.

“Sì. Cazzia me. SOLO ME!! TI PARE GIUSTO?!?!”

“Non sei mai stato intonato, mettitela via! A battere su una batteria sei il migliore, ma a cantare no! E le parti principali le ha Dorian?”

“A-ah, sta cazziando anche Dorian! Prova sempre ad andare troppo alto! E' esilarante!”

 

Un borbottio incazzato li fece ridere entrambi, al telefono.

“Il passerotto tenta di prendere il mio posto?”

“Quello lo sta facendo Shane! Si è tolto la maglia ed è rimasto in canotta, allo show preparatorio di Edimburgo, e hanno visto tutti il tatuaggio che si è fatto sulla schiena! Il ribelle, lui! Rose è andata di testa, ma le fans lo adorano!”

 

Altro borbottio, stavolta del moro.

 

“Altre news?”

“Non ti dico i titoli delle canzoni, o rischi di vomitare.”, e sentì la voce allontanarsi dal telefono. “In che intervista abbiamo detto i titoli? Bravo? Graaaazie... “, poi tornò più forte, col solito timbro nasale di Eddie. “Se prendi quella cazzata di 'Bravo' o di 'Hit girls' dovresti trovare la track list.”, e gli sfuggì un risolino.

“Sempre le solite cose?”

“Gesù, Justin, è una porcata micidiale, ma venderà, ah se venderà!”, rise Eddie, assieme a Dorian e Shane.

 

Altri rumori si sentivano, e qualche parolaccia.

“Che fate?”

“Giocano a Gran Turismo.”, rispose, annoiato. “Stanno diventando matti, ad aspettare la Playstation 2, quei maniaci!”

“E così ti hanno lasciato al telefono...”

“Beh no... volevo parlarti, in realtà.”, disse Eddie, e abbassò un po' la voce, allontanandosi.

 

I rumori sullo sfondo diventarono più fiochi, così come gli incitamenti dei due amici.

Telefonare all'amico 'perduto' era stato eccitante, per la prima mezz'ora, ma erano pur sempre distanti, e si stavano facendo un pezzo di vita senza di lui.

Quella consapevolezza riportò alla mente quello di cui l'aveva accusato la ragazza, al Trinity.

Cosa stai facendo, tu? Niente!

Eddie non lo colse del tutto di sorpresa, così.

Ma senza risposte, purtroppo, sì.

 

“Cosa pensi di fare, concretamente, Justin? Abbiamo mitigato il più possibile i motivi della tua uscita, ma sai che siamo bloccati per almeno un altro anno e mezzo. Tu cosa farai? Stai scrivendo?”

Justin scosse la testa, pensando ai testi 'incriminati' da Rose, la scusa per buttarlo fuori, che aveva gettato egli stesso.

L'aveva fatto pensando che la sua mente fosse una miniera inesauribile, ma si era sbagliato.

Ascoltava tantissima musica, in quel periodo.

Più del solito, come se dovesse recuperare.

O imparare.

Si sentiva ancora spezzato.

 

“No. Non... Vedo la pagina bianca ma mi mancano i suoni. Senza di voi non ci riesco. Mi manca la situazione.”

Eddie rimase un po' sorpreso, conoscendo il vulcano creativo di Justin, poi pensò alla situazione.

Il suo amico era solo, forse anche sfiduciato.

Chi non lo sarebbe stato?

Chi non avesse creduto così tanto nella loro amicizia.

Il loro non era un gruppo, in fondo. Non lo era mai stato.

Il gruppo era stato solo il risultato, il sigillo finale della loro amicizia.

 

Una CONSEGUENZA.

 

Scosse anche lui la testa, cercando una soluzione.

“Beh, non penso tornerai a cercare lavoro come operaio, ora.”

“No... Ma non me la sento neanche di suonare. Preferisco aspettarvi.” -o morire facendolo, più probabilmente. Una mummia che ebbe 15 minuti di gloria. Curiosità per archeologi.-, fu quello che pensò ma non disse.

 

Eppure Eddie riuscì a captare il suo pensiero, e tentò di rassicurarlo.

“Arriveremo, Justin. Facci finire e arriveremo a raccoglierti.”

“Dici?”, chiese Justin, non troppo speranzoso. “O mi dimenticherete? Quanto durerà la vostra attenzione al figliol perduto? Finché non sarà interessante?”

“Sei sempre maledettamente diffidente.”, disse Eddie, assumendo un tono amaro, e guardando gli amici. “Lo sei per natura, so benissimo che lo sei, almeno non esserlo con Dorian. Non mostrarglielo. Lui più di tutti sta sperando nel nostro futuro.”

 

“Nostro? Inteso come... nostro?

“Nostro nostro. “, sospirò Eddie.

 

Niente avrebbe mai calmato Justin, né l'avrebbe rassicurato finché non avrebbero finito il loro sporco lavoro e si sarebbero riuniti.

Poteva sentire la sua diffidenza avvelenata fino a Londra, come un miasma che usciva dalla cornetta, di cui lo stesso Justin non sapeva di essere afflitto.

 

“Fallo per Dorian, per favore. Si è battuto personalmente per te.”

“Grandi risultati...”

“Che c'è? Volevi restare a collo torto, per caso?”, si scaldò Eddie.

“No, per carità...”, sospirò Justin.

 

Restarono in silenzio qualche minuto, poi Justin riprese a parlare, con una schiarita di voce.

“Mi... mi sono re-iscritto al Trinity, ma non so se...Se avrò il coraggio. Sai, la gente...”

“Parla.”, concluse Eddie, ad occhi chiusi. Doveva ben immaginare che l'amico non si stesse divertendo.

 

Per quanto mitigate dalle loro dichiarazioni, Justin restava sempre marchiato.

L'indesiderato dello showbusiness.

Bersaglio dei bisbigli.

Additato, e non positivamente.

Capiva la paura dell'amico.

 

“Justin...”

“Sì?”

“Fregatene. Ricordi cosa dicevi? O Trinity o morte.”

 

La risata da Dublino lo sorprese piacevolmente.

“Ah, hai ragione, Eddie! Me ne fregherò di quelle quattro oche e andrò ai miei fottuti corsi! E anche da un vero vocal coach!”

 

Eddie ci pensò un po'.

“Quattro oche? Allora io ci penserei, prima di mandarle a quel paese...”

“Eddie...”

“Si sa mai che ci rimedi una scopata, finalmente!”

“Eddie...”

“Sì?”

Vaffanculo!!!”

 

**

 

Una mattina di metà gennaio, Justin Swanson entrò nell'aula di 'Letteratura moderna europea', creando il silenzio attorno a sé, e scelse accuratamente un posto lontano dagli altri.

 

La settimana dopo, ritrovò uno dei suoi vecchi amici che girava per il campus, fumando uno spinello.

“Ehi, Fred...”

“Ma chi...ti... Justin!! Justin Swanson!! Ma non eri andato via con quel gruppo di checche?!”

“Ah, non ne parlare, ti prego! Ti spiegherò tutto dopo... Adesso aggiornami su quello che è successo mentre ero via!”

 

Frederick gettò il mozzicone, e nel freddo umido del giardino interno del college, iniziò a rollarsene un altro, socchiudendo gli occhi ed osservando l'amico.

Justin non era mai stato un amico, veramente: era stato un collega, uno con cui farsi quattro risate.

Uno a cui piacevano le cose.

Molte cose.

 

Quando gli offrì la canna, Justin negò, passeggiando un po' in silenzio col suo compagno fuoricorso.

 

Alla fine, Fred soffiò una lunga boccata di fumo, seguita da un accesso di tosse, e fissò Justin, con un occhio strizzato.

“Dubito che stia chiedendo a me la piantina delle nuove aule, eh?”

“Infatti. Volevo chiederti se... è tutto rimasto uguale.”

 

No, Justin non sarebbe mai stato suo amico.

Ma anche a distanza di anni, era un ottimo cliente.

 

**

 

Dorian, Eddie e Shane sbarcarono a Dublino, e staccatisi tra la capitale e Linayr per le foto 'amichevoli' con le famiglie (carini, dolci, simpatici ed educati!), appena liberatisi dai loro impegni, approdarono separatamente ad Elke Street.

 

Quando Dorian, da buon ultimo, entrò, trovò un clima di estrema rilassatezza, nel sempiterno salotto di Edele.

Non sembrava cambiato niente, da tre anni prima, dalla Wenders School, ma, appunto, era arrivato per ultimo.

 

Solo Edele aveva visto Justin irrigidirsi sempre più, negli ultimi giorni, smettere di mangiare dalla preoccupazione, scattare di rabbia.

Solo Eddie, che si era premurato di arrivare per primo, aveva visto il sollievo che aveva invaso l'amico, sciogliendolo come fosse una statua di marmo che avesse finalmente preso vita.

Solo entrambi avevano visto lacrime di felicità brillare quando era entrato Dorian, come un puzzle completato: un puzzle che avevano iniziato anni prima, con infinita speranza. 

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Capitolo 22
*** 22. In cerca di guai ***


22. In cerca di guai

 

Dorian si avviò nel dedalo di corridoi che portavano all'ufficio di Rose Evans, nel vecchio e storico edificio nei pressi di Trafalgar Square, a Londra.

Indossava il suo nuovo look da 'ragazzo adulto', quello che aveva evitato come la peste negli ultimi vent'anni di vita: jeans alla moda blu scuro, sneakers eleganti chiare, camicia nera e blazer grigio perla, con una sottile cravattina color piombo.

Si era sottoposto giusto il giorno prima ad un taglio di capelli più corto, senza neanche troppe lamentele, considerando che la sua chioma era sempre stata il suo maggior vanto.

Nel passare vicino alla segreteria fece per sporgersi a mandare un bacetto col palmo a Jacqueline, la segretaria più vicina alla Grande Sorella Con le Chiappe in Poltrona, la super fashionista Jackie, che era una delle poche fortunate ad essere finite a letto con quel gran figo del gruppo di irlandesi durante lo scorso capodanno a New York,questa lo ricambiò in un modo molto, molto più lascivo, che il biondo fece finta di non vedere.

Un bel gioco durava poco, e quello, anzi quella l'aveva annoiato da tempo.

 

In realtà Dorian ne stava approfittando per controllarsi allo specchio dietro di lei, raddrizzandosi la cravatta con un gesto che era diventato quasi abituale per lui quanto passare le mani in quella zazzera corta e ingellata bionda che erano diventati i suoi capelli, che ormai gli davano un'aria quasi adulta.

Eddie avrebbe commentato che niente sarebbe stato male addosso al loro passerotto.

Di certo non cinque o più centrimetri di capelli in meno avrebbero guastato la sua bellezza, o dei vestiti che, doveva ammettere, gli stavano maledettamente bene, anche se con degli altri pantaloni gli sarebbe sembrato di essere ancora alla Wenders school.

O uno dei giovani portaborse avviati verso il macello alla camera di commercio di Linayr, dove era iniziata quell'avventura che l'aveva portato a Londra, in quel corridoio dove stava ripredendo il passo, dopo un'ultima strizzata d'occhio a Jackie, intenta a passarsi il lucidalabbra caramellato sulle labbra provocanti e, per quel che ricordava tra la nebbia alcoolica di New York, anche molto capaci.

 

Dorian camminava con passo sicuro verso l'ufficio di Rose, sformando i suoi nuovi pantaloni con le mani, mentre fischiettava come una cinciallegra facendo girare tutti i presenti dai loro uffici ai lati, stupiti di vedere quanto strano bagliore emanasse quel giovane; Dorian, effettivamente, non si era mai sentito così in forma.

 

Il suo passo non era mai stato così deciso da quando si era avviato sul palco del contest al Dublin Tech Institute, con la sua amata Phoenix, e non si era mai sentito così sicuro di se stesso come in quel momento.

 

Sapeva bene cosa lo attendeva varcata la soglia in fondo al corridoio, e perchè solo lui era stato convocato.

 

Se n'erano andati separatamente da Dublino e forse proprio per quello solo lui era stato beccato da un fotografo; all'aeroporto, Eddie si era quasi disperato pensando alle conseguenze, Shane aveva dato per certo che fossero stati scoperti tutti e tre, e ciò avrebbe sancito l'inizio di una grossa rogna, invece solo Dorian era stato beccato ad uscire da quel casermone degno della DDR di Elke Street.

 

E dire che Justin aveva insistito per accompagnarlo in strada! Almeno quella l’avevano scampata, sarebbe stata una manna per i paparazzi e una disgrazia per entrambi.

 

Così stava per avere una lavata di capo che quantomeno avrebbe preoccupato qualsiasi persona, alla minaccia di perdere la propria carriera e i suoi vantaggi. Ma non lui.

Lui era Dorian Patrick Kierdiing, ed era semplicemente sicuro di una cosa, mentre girava la maniglia della temuta porta, facendosi affiorare un sorrisetto carogna.

 

Lui era fottutamente indispensabile.

Intoccabile.

Ultimamente anche arrogante, sempre più stronzo, intrattabile e molto, molto intollerante, ma quando era la sua ora stava là, al centro dei riflettori, con la messa in piega inappuntabile anche dopo due ore di show, nel suo outfit da bravo ragazzo che sarebbe piaciuto a ragazze e a madri, col suo sorriso perfetto come se tutto il mondo fosse il suo pubblico preferito.

Aveva imparato da subito il mestiere e, la sua maschera, non presentava debolezze.

 

Quella sicurezza gli avrebbe permesso di tirare avanti in qualsiasi modo, ed aveva deciso, a sua volta, di divertirsi un po'.

In fondo i Changes erano Dorian, no?

O, come aveva ipotizzato qualcuno, Dorian era 'i' Changes.

Perciò entrò senza bussare, continuando a fischiettare nel suo completo da gran bel ragazzo in carriera, ignorò completamente la faccia buia della sua manager, e atterrò con una sola mossa, piroettando, in poltrona. Il tutto senza perdere tempo con un solo movimento in più, con quella grazia innata che lo aveva sempre contraddistinto.

Quella che faceva sputare sangue alle sue coreografe da due anni per mostrarla sul palco; ciò fece salire ancora di più il sangue in testa a Rose.

Per non parlare di quello che fece dopo il biondino che, purtroppo per lei, proprio stupido non era.

 

Si accese una sigaretta.

 

Dorian Patrick Kierdiing sapeva di avere tutte le carte buone del mazzo in mano.

 

*

*

 

Dayer era confuso, probabilmente in seguito alla sua rinascita.

Conservava vaghi ricordi dell'immagine dell'altro immortale...

Alael. L'Immemore.

Era certo di averlo visto, forse persino di averlo attaccato.

 

E quella confusione che regnava dentro di lui, mentre giaceva sul lago di sangue cristallizzato per recuperare le forze, poteva essere interpretato come un chiaro segnale.

 

Il suo attacco era andato a vuoto ed era stato respinto nel suo scomodo giaciglio di nascita e di dolore perpetuo.

La spada era nel fodero, gli occhi stillavano lacrime color rubino che, staccandosi dalla sua faccia, andavano a mescolarsi con il sangue cristallizzato del lago dove giaceva, immobile, quasi non respirando, per recuperare ogni singola particella della sua forza.

 

La sua era una forza considerevole, ma l'Immemore era un mito vivente, non solo un guerriero leggendario.

Era qualcosa di più: un combattente che non aveva mai perso, né uno scontro che una parte di sé nelle battaglie, e lui avrebbe dovuto sconfiggerlo.

Da solo.

 

Da solo era nato, sì, ma da solo non avrebbe combattuto, e da solo non sarebbe morto.

Quello no.

 

Aguzzando gli occhi nell'interno, riuscì vedere la figura sfocata di Alael, ma non bene.

Era certo di averlo visto in passato, ma non potè capire chi fosse, per ora.

L'avrebbe riconosciuto, ne era certo, ma non era ancora giunto il momento di combattere.

 

Rivolgendo gli occhi verso la visione esterna, trapassando quello strano mondo, quelle nuvole tempestose sempre in movimento sullo sfondo di quel cielo viola lampeggiante, tentò di focalizzare la sua vera forza, colui che sarebbe stato la sua arma vincente, secondo la sua strategia.

 

Il suo esterno.

Ciò che sarebbe diventato se stesso. Il processo di identificazione era ancora in corso, ed il suo processo di fusione in un solo insieme non stava dando ancora risultati.

No di certo se era stato sconfitto dall'Immemore, ricordò con rabbia.

 

Quello che vide, gli bruciò istantaneamente le forze che aveva recuperato, in un autentico rogo di autocombustione generato dalla sua stessa rabbia.

Il suo 'esterno' se ne stava tranquillo, non agiva...

Era sicuro.

Tanto sicuro di se stesso.

Forse peccava nell'animo o nell'apparenza, ma in qualche modo la sua sicurezza traspariva.

 

E con essa rifiutava nettamente la sua missione.

 

Dayer, l'Innocente, si costrinse ad alzarsi dal lago dov'era sprofondato un po', sciogliendo col proprio calore furioso uno strato di sangue ghiacciato: le vesti bruciate, gli occhi completamente rossi, i capelli una fiamma nera e bianca, era una visione che neppure Alael avrebbe sopportato.

Mai aveva pensato di essere in qualche modo tradito dal suo esterno, e questo lo rendeva anche visivamente inguardabile, trasfigurato dalla rabbia.

 

Estrasse la spada viola con le dita scheletriche, mentre la pelle si scioglieva nel calore maligno che ancora emanava, e la puntò verso il cielo, come a volerlo trapassare.

Come aveva fatto con lo sguardo.

La puntò contro il suo ignaro ospite, così sicuro di sé da IGNORARLO.

Lui.

L'unica particella immortale in quel miserevole corpo umano, tronfio come non mai ma pur sempre stupidamente mortale, con un cervello mortale!

 

Dayer puntò la spada con le sue ultime forze, quasi spaventato dalla propria ira contro qualcosa che era quasi se stesso, e mormorò una frase, prima che un lampo rossastro attraversasse ancora il cielo.

 

Quando la luce si spense, ricadde nel suo 'giaciglio' di sangue, anch'esso ridotto a poco più di una maschera di ustioni, sangue, ossa messe a nudo e furia, ansimante.

Prima di perdere i sensi, mormorò di nuovo la sua profezia, come a renderla reale con l'ultima, infinitesimale, forza che lo stava abbandonando. Una maledizione.

 

“Verrò a prenderti. Saremo uno e due, uno assieme, che tu lo voglia o no. E, credimi, farò in modo da non renderlo piacevole per te, finchè ti lascerò vivere...”

 

*

*

 

“E' la terza sigaretta che fumi, ti spiace piantarla di intossicarmi e di fare il bamboccio?!”, strillò Rose Evans direttamente in faccia a Dorian, tentando di strappargli la sigaretta.

 

Aveva discusso col suo tono perentorio fino a quel momento e Dorian era stato a sentirla con un educato sorriso che, notò, lei gli avrebbe tolto a suon di schiaffi, ammettendo annoiato che sì, era lui nelle foto.

Sì, era andato a trovare Justin.

Sì, stava proprio fumando.

Sì, c'erano altre domande per Dorian?

 

Rose Evans non ne poteva più di quell'arrogante, maledetto bastardo di Dorian, ma il suddetto arrogante maledetto bastardo aveva fatto benissimo i suoi conti.

Non avrebbe potuto toglierlo dalla formazione.

Non Dorian.

 

Sbuffando, finendo la cicca, Dorian la spense educatamente, riavviando nel frattempo i capelli.

Se tutto, in lui, suggeriva calma e compostezza, gli occhi verdi acquamarina ammiccavano, sornioni.

 

“Rose... in tutto questo, cosa vorresti da me?

“Non devi più farti vedere con Justin Swanson! Sai perfettamente che ridda di pubblicità negativa sarebbe...”

“Rose...”, la interruppe, con voce flautata. “Non esiste buona o cattiva pubblicità. La pubblicità ci può solo fare bene.”, finì, alzandosi in piedi e tirandosi meticolosamente le pieghe del blazer.

Ti proibisco di farti ancora vedere con quella mina vagante di disadattato asociale di...”

Dorian, che era parzialmente girato verso la porta, la mano sulla maniglia, si fermò, di colpo, al tono minaccioso della donna.

 

I suoi occhi non ammiccavano più.

Lampeggiavano.

 

“..di? Di Justin? Del mio miglior amico? Quello che tu hai cacciato, nonostante la nostra amicizia, intendi? Quello che pensavi di aver fatto fuori senza conseguenze?!”, sibilò Dorian, facendo cadere la sua languida facciata controllata che i suoi amici avrebbero subito riconosciuto.

 

Dorian-il-principe-in-esilio che diventa serpe.

 

Rose tentò di ragionare, calmando il suo tono, sebbene avesse voglia di prendere il posacenere e tirarlo contro la bella faccia di Dorian.

Cancellarla. Annientarla. Sfregiarla.

Oh, sfregiargli quel ghigno mascherato da quel sorriso che incantava migliaia di ragazzine!

 

“Dorian, quel ragazzo era incontrollabile, e...”

“Ho fatto controllare il contratto da mio padre, mentre ero a Dublino a trovare Justin.”, calcò bene sul nome, appoggiandosi di schiena alla porta, come se improvvisamente avesse tutto il tempo del mondo, e Rose quasi immediatamente si ritrasse.

“Dorian... queste cose sono sempre state...”

“Utili. A saperle prima.”, finì, con voce calma, il biondino. “Non ho vincoli sulle mie frequentazioni.”

 

Lasciò che Rose digerisse la bomba, poi si girò e aprì la porta.

“Quando non avrò impegni sanciti dal contratto, andrò dove voglio, Rose.”, e con un'ultima occhiata vide che il suo bluff aveva vinto.

Non avrebbe mai messo niente della sua vita nelle mani del padre, poco ma sicuro, ma questa era una parte che a Rose Mya Evans non sarebbe interessata.

Quello che sapeva, e che le interessava, era che suo padre era uno dei migliori avvocati della capitale al di là del Mare d'Irlanda.

 

Quel mare che tanto mancava a Dorian.

“Ho molte cose di cui parlare, con Justin.”, completò, soave.

“Quel ragazzo vi tirerà a fondo, anche se è fuori dal gruppo, Dorian! E' una persona fuorviante!”

Fine.

 

La voce improvvisamente stridula di Rose, non più un vero deterrente, ma un qualcosa di sfiancato che si infrangeva contro la sua granitica sicurezza, era solo una conferma.

Era tutto finito.

Dorian scosse le spalle, uscendo.

 

“Può essere. Come può essere che ci piaccia, per quanto perverso...”, e le spedì un sorriso dolce e zuccheroso.

E assolutamente falso.

“Mi piaceva essere tirato a fondo da lui, c'era un che di... decadente. Quello che mancava in tutta questa plastica lucida.”

 

Chiuse la porta e si fece sentire per il colpo finale.

“Gli porterò i tuoi saluti, se vuoi.”

 

*

 

Sempre a Londra, in un palazzo di St. John's Wood, Eddie e Shane erano impegnati in una sessione fotografica in palestra con tanto di pesi (una palestra fittizia, decorata in oro e rosso, non quella dove si allenavano veramente per le coreografie), a seguito degli scatti 'sul campo' di rugby, per mostrare la comune passione che li aveva fatti conoscere.

 

Vi era almeno un po' di originalità in loro, confrontata con le altre boyband costruite a tavolino.

Loro si erano davvero conosciuti tutti prima.

 

Quando il fotografo diede la pausa per sistemare delle luci, irritato per l'assenza di Dorian (nonché per il suo rifiuto, con tanto di brividi dalla schiena fino al culo, di mettere piede su un campo di rugby da almeno cinque anni), Shane ed Eddie si ritirarono a bere una bibita dietetica, pensierosi e svagati come in ogni sessione fotografica.

 

Le foto di prima avevano rovinato un po' quel che rimaneva loro della magia del rugby che li aveva uniti per anni e reso il loro legame più profondo, così come la passione per i testi e un carattere complementare aveva reso profondo il legame tra Dorian e Justin.

Quello che si erano chiesti, a Dublino, in visita all'amico, vedendo come Justin si fosse illuminato all'arrivo di Dorian, passando dal modus 'statua di sale diffidente con tanto di recinto spinato attorno' a quello 'amico-nostro', che da due anni solo saltuariamente aveva fatto loro visita, era quanto la loro assenza, e specialmente quella del biondino, pesasse e sarebbe pesata su di lui.

 

Al ritorno da Dublino, si erano, viceversa, chiesti quanto l'assenza di Justin stesse pesando su Dorian, pur essendo un animale più sociale del loro amico perso.

 

Eddie ne era quasi tormentato, ed era particolarmente in pena per la 'convocazione' di Dorian, da solo, senza di loro, anche se era partito sulla macchina di servizio dello staff con una strana aria di sicurezza, con il nuovo look deciso dal loro assistente, consono all'immagine più matura del gruppo per il nuovo tour.

 

Come al solito, a Dorian era bastato prendere delle misure, aveva scelto personalmente i colori mandando in sollucchero il povero Guy, lo stilista che li seguiva, per il suo buongusto innato, ed in mezza giornata aveva già mezzo guardaroba fatto.

Shane stava combattendo tra le sue misure da sportivo e una generale insofferenza alle giacche che non fossero di pelle, per non parlare del suo odio per le camicie, mentre Eddie si lamentava di continuo, con commenti acidi, del nuovo look 'da zombie d'ufficio', rimbeccandosi con Guy, ma ormai il danno era stato fatto.

 

Un pensiero che tutti e tre avevano condiviso, con uno sguardo, quando Dorian aveva afferrato una sottile cravatta nera, per mettersela, era che quella sarebbe stata di Justin, senza dubbio.

E che anche lui sarebbe stato dannatamente bene con quel look, anche se probabilmente avrebbe fatto più storie di Eddie, prima di accettarlo.

Dorian aveva osservato la cravatta per un tempo sospetto, mentre i lineamenti gli si indurivano, e l'aveva posata, prendendone una grigia. Scura sì, ma non nera.

 

Era come se portasse un lutto al contrario.

E di certo lo portava più forte di loro due.

 

Shane, sulla panca al di fuori dell'area per gli scatti, borbottò qualcosa che Eddie fece fatica a sentire, mentre un'insistente truccatrice gli girava attorno per sistemargli un ciuffo fuori posto e dargli una passata di cipria opacizzante.

“Cosa?”

“Dicevo che...”, e un'occhiata eloquente fece capire l'antifona a Eddie, che si voltò, rabbioso, contro la povera ragazza.

“Insomma, Cynthia, non è che puoi lasciarci soli, un minuto?! Dopo giuro che ti lascerò fare le tue sperimentazioni da cavia senza lamentarmi!”

“Ma io...”

Vattene!”, sbraitò Eddie, e la truccatrice sparì, più veloce di Dorian quando si presentavano broccoli nel piatto.

 

Il rosso prese un sospiro e si girò verso Shane, che non aveva smesso di guardarlo per avere la sua attenzione.

“Che c'è, Shane?”

“Dorian sta andando in cerca di guai.”

 

Shane era così, da sempre.

Era molto intelligente, ma gli erano sempre mancate la velocità e l'intuitività degli altri tre; in compenso aveva quel particolare tocco che gli faceva capire persino in anticipo molte cose.

Come gli stati d'animo, il risvolto che agli altri sfuggiva.

Eddie non lo contraddisse: troppe volte aveva dimostrato di avere ragione, e senza farlo pesare.

 

Era come se lui vedesse, semplicemente.

Non aveva bisogno di ragionare, lui vedeva.

Gli vennero i brividi quando Dorian, qualche sera prima, gli aveva riferito una frase che Justin gli aveva detto, anni prima, al Grand Canal Docks, ai tempi dell'università.

 

Io vedo, Dorian... vedo...E non vedo cose belle! Vedo solo cose brutte!! BRUTTE!!

 

-...e piangeva. Dio come piangeva, Eddie, era... non so neanche come dirlo. Era disperato... Sembrava che da un momento all'altro volesse buttarsi nel Liffey. Era spaventoso e fottutamente spaventato, era... sembrava un fantasma, gli leggevi negli occhi che non conosceva la pace e che sapeva non l'avrebbe mai conosciuta. Quella volta mi ha fatto tanta paura, ma proprio per quello non avrei mai lasciato che andasse avanti a farsi male.-

 

Dorian soffriva di nostalgia o non avrebbe mai confessato quell'episodio, neanche durante una delle sue peggiori sbronze, due giorni dopo il ritorno da Dublino.

Una delle peggiori, perchè Dorian sbronzo e triste non l'aveva mai visto nessuno.

E non intendevano rivederlo.

Quella volta era parso loro che possedesse una lucidità inimmaginabile, tale da fargli vedere tutte le brutture della vita, passata presente e futura.

Il tutto finchè non era crollato al bar dell'hotel e l'avevano discretamente portato in camera.

Il giorno dopo era risorto, più determinato che mai.

 

Eddie si riscosse e si rivolse a Shane, che dopo la sua sentenza stava provando un vero manubrio, non uno di quelli ultraleggeri del set fotografico adibito a palestrina.

Shane aveva detto ciò che aveva visto e pensava, ed ora era passato ad altro.

Sapeva che Eddie, come Dorian o come Justin, aveva bisogno di metabolizzare quelle sparate così improvvise, e non aveva minimamente insistito.

 

Che venisse creduto o no, non era un suo problema.

Ma ormai sapeva di venir creduto.

 

“Come fai a dirlo, Shane?”, chiese Eddie, la voce improvvisamente arrocchita. “Che Dorian si sta mettendo nei guai?”

“L'ho visto come ci ha guardati quando è partito, stamattina.”, ansimò Shane, tra un sollevamento e l'altro, appoggiando poi con delicatezza il manubrio, e sedendosi sulla panca, a fissarlo, quasi tristemente. “Hai visto quando ci ha detto di non preoccuparci. Che avrebbe risolto tutto.”

 

La faccia di Dorian, appena sei ore prima, prima di salire sulla Mercedes argentata con i finestrini oscurati, dal retro dell'hotel, balzò prepotentemente alla memoria di Eddie.

Era Dorian, in tutto e per tutto, con tutta la sua dolcezza mattutina quando si rivolgeva a loro, specie in giornate piovose.

Ed era strafottenza, quella che aveva letto nei suoi occhi?

Lo era?

 

Eddie sospirò e prese un asciugamano, facendo per dirigersi ai bordi del set, dove un'agitatissima truccatrice l'aspettava, dopo la cacciata di prima.

“Dorian vuol giocare sporco. C'era da aspettarselo, dopo quello che è successo.”

“Sarebbe stato meglio se non fossimo andati a Dublino.”, disse Shane, pensieroso.

 

Eddie si bloccò, incredulo, mentre Shane lo fissava, dolorosamente.

“Non giudicarmi male, ma gli renderà solo le cose più difficili. Uno stacco netto...”,e mimò una riga piatta -un encefalogramma piatto...oh Dio ,no...-,pensò Eddie. “...un po' di storie, e poi... Onorare il nostro patto. Ora per Dorian sarà molto più dura, Ed.”

“Shaney...”

“So che vuoi dire. Non potevamo evitarlo.”, sospirò il moro, prendendo a sua volta un asciugamano ed affiancandolo, nel loro tragitto verso le postazioni di tortura. “Non potevamo per primi. Chi avrebbe potuto lasciarlo solo, in quel momento? Sto solo dicendo cosa sarebbe stato meglio fare.”

“Shane...”

“Dimmi.”

“Non ti pesa mai sapere cosa si dovrebbe fare e non poterlo fare, nonostante tutto?”

 

Shane si fermò e ci pensò sopra, un attimo.

La truccatrice stava per avere un infarto, visto mancavano solo cinque minuti alla ripresa del set fotografico e non osava avvicinarsi a fare loro fretta, dopo la sfuriata di Eddie.

 

“Sì, mi pesa, specie nel caso di quei due. Perchè so che se deviano un attimo dai binari del percorso che dovrebbero fare, per il loro bene, ci mettono un attimo a farsi male.”, e con quest’ ultima dichiarazione, lasciando di sasso l'amico, si avviò alla poltroncina del trucco, calmo e pacato.

 

“Una fottuta Cassandra. Davvero. State facendo di tutto per sostituire Justin, voi due...”, sospirò Eddie, raggiungendolo.

 

*

 

Justin, in quel momento, era al corso di Geografia Socio-Politica, in una fredda aula del Trinity e stava chiacchierando con una ragazza nel banco accanto al suo, che sembrava la brutta copia grassoccia di Courtney Love dei bei tempi grunge.

 

Se ne fregava di cravattine e blazer, lui. Stava con i suoi adorati jeans neri, stretto nella sua vecchia ed amata giacca di pelle, anche se avrebbe ben potuto prendersi di meglio, ora come ora.

Solo la sua abitudine di portare camicie non era cambiata, ci fosse tramontana o caldo infernale.

In quel caso tramontana, dati gli spifferi dello storico college.

 

La ragazza, appena più giovane di lui, masticava una gomma con forza, anche grazie all'imponente bocca, impastricciata di rosso scuro, probabilmente desiderando con tutte le sue forze una sigaretta, ma costretta in quel sedile.

 

“Io non sono mai riuscito a suonare la chitarra, davvero. Per fortuna c'era Dorian a farlo.”, rise Justin, ad un certo punto della loro conversazione.

La ragazza sorrise, benevola, fece un palloncino, quasi in faccia al docente che li guardava malissimo ma che non riusciva ad intervenire, e quando scoppiò, rise.

“Per fortuna cantavi, allora. Te la cavi molto meglio, per quanto ricordi del Queasy.”

Justin sorrise, un po' dolcemente ed un po' perfidamente, come solo lui sapeva fare. Specialmente quando si trattava di ricalarsi nella parte del sexy boy del Queasy.

“Pensavo che quei concerti non li ricordasse nessuno, ormai...”, disse, sornione.

“L'acustica del locale era uno schifo, ma ti si notava eccome, specie dopo che ti eri tinto i capelli. Prima era quel biondino con la chitarra che si vedeva di più da dove ero io.”

“Ed eri...?”

“Dietro a tutte le oche che volevano il suo pisello invece della vostra musica!”, scoppiò a ridere la ragazza.

Una risata sana, genuina e imponente come lei, che sfiorava di poco l'altezza di Justin, ma di certo avrebbe potuto inglobarlo in una delle sue calze a rete rotte.

 

Il ritrovato studente del Trinity si stravaccò sulla sua sedia, occhi sulla lavagna, penna sul quaderno e sussurri a fiori di labbra, come tutti gli studenti avevano imparato nella loro breve o lunga carriera scolastica, un'espressione assorta e vagamente seria, mentre si riavviava il suo adorato ciuffo color pece.

“E come ti chiami, tu?”

“Ròis... Rose. Justin, questa è Rose. Rose, questa è...”

“Preferisco Ròis...”, sussurrò Justin, a denti stretti, un lampo minaccioso tanto fugace, negli occhi, che la ragazza non vide, grazie al sorriso splendente che ne seguì.

Si chiese come mai quel ragazzo non fosse mai apparso tanto bello nelle foto con quel gruppetto.

 

Justin splendeva solo quando voleva, ecco il perchè, ma lo sapeva solo lui.

E Dorian, ma Dorian non c'era.

 

“Adoro i nomi veramente irlandesi. Ròis, ti và di accompagnarmi al Queasy, una sera di queste? Io... penso che mi sentirei a disagio, da solo.”

 

Decisamente splendente ed indifeso. La povera ragazza sentì il cuore accelerarle pericolosamente nell'ampio petto, sapendo di essere stata gabbata ma non potendo provare dispiacere, per niente.

Quando voleva, Justin sapeva davvero infinocchiare tutti.

Eccetto se stesso.

 

E chi gli era troppo distante, ormai.

 

*

*

 

“No...”

 

Una sola sillaba, da ormai mesi, profferì l'Immemore, chiuso nel suo guscio impenetrabile di pura energia.

 

Ed era energia quella che aveva sentito.

Prepotente e distruttiva, energia che avrebbe colpito e scavato.

Avrebbe scardinato, con paziente lavorio, e poi sarebbe dilagata.

 

E lui?

Lui avrebbe dovuto combattere?

 

Torno a guardare il cielo, immutabile nel suo Luogo.


“No...”, ripeté, le lacrime agli occhi. “Non puoi averci condannati tutti in questo modo, Dayer... Non puoi...”.

 

Ma nonostante le sue suppliche, il nemico l'aveva fatto.

Erano condannati.

 

 

Buonasera,

mi scuso per l'orrendo ritardo, generato dall'Università Cà Foscari e da altri adorabili impegni cui è impossibile dire di no, e mi prodigo specialmente a ringraziare la mia beta-reader Jo_the Ripper, che avendo ripreso a sua volta l'università è più impegnata di un Dorian a cercare guai e non capisco dove abbia trovato il tempo per betare questo capitolo!! 
Non so che dirvi se non che purtroppo il ritmo di pubblicazione rallenterà, non voluto, fino a Gennaio.
Ringrazio Cà Foscari ed altri adorabili impegni di questo (sarcasmo che gronda... voce da fumatrice... ah ma questa è una citazione!) mondo, non perfetto come ci stanno mostrando i nostri adorabili irish boy.
Spero siate soddisfatti di tornare sull'argomento come sono tornata io. 
E non preoccupatevi: presto gli eventi si muoveranno anche troppo velocemente. 
Perciò perdonatemi se prendo tempo ora...
DEVO essere veloce POI, quando le cose precipiteranno, sia in bene che nel male.

Looove is all I want (e qualche recensione). 

 

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Capitolo 23
*** 23. Il richiamo del Mare d'Irlanda ***


 

23.Il richiamo del Mare d'Irlanda

 

 

Era ormai quasi estate quando il secondo, nuovissimo tour dei Changes partì da Londra, e a metà luglio era già negli States.

 

Tante cose erano cambiate, dall'anno precedente.

 

Dorian aveva messo a dura prova la pazienza di tutti, avendo già comprovato di non essere sacrificabile.

Grazie a lui, spesso anche Shane ed Eddie evitavano grossi guai che potevano derivare da situazioni anomale per il settore in cui la loro musica era venduta.

 

Shane si recava ormai regolarmente dal tatuatore, nell'intenzione di far diventare la propria schiena un'opera d'arte e, finalmente, dopo pazienti lezioni durate settimane, aveva acquistato una moto: una Honda sportiva. Almeno non aveva cercato il vecchio cliché hard rock dell'Harley, e già quel particolare fece tirare un sospiro di sollievo a tanti del suo staff.

 

Ma poi aveva fatto di più.

Non solo aveva seguito le date del tour in Inghilterra e in Europa continentale in moto, ottenendo di portare l'agile mezzo con sé da un continente all'altro, ma si era anche guadagnato una foto in cui aveva fatto un'entrata cafonissima e trionfale davanti al Trinity college, a Dublino, scaricando Justin e tutti i suoi quaderni e cartellette per appunti.

Il povero ragazzo aveva l'aria di aver visto la morte in faccia almeno sette volte, e di stare per vomitare.

 

Rose non l'aveva mandata giù.

Neanche-un-po'.

Ma ormai, grazie alle regole che aveva fissato quel gran bastardo di Dorian, che poteva farci?

 

Come poteva tenerli sotto controllo-come nel primo tour- e tenerli distanti da quella potenziale minaccia, se essi stessi andavano a cercarlo e, purtroppo, erano completamente liberi di farlo?

Aveva evitato di dare risalto alla cosa, ben sapendo che il divieto di vedere il loro vecchio amico si sarebbe solo trasformato in una cosa proibita e succosa da fare e da usare per farla incazzare.

Erano maschi ed erano in un'età in cui le cose proibite erano ancora le più buone.

Ma non era riuscita ad evitare che ormai quei tre disgraziati passassero il loro tempo libero a Dublino, e non certo a trovare le famiglie.

 

Aveva ridotto loro il tempo libero, con esercizi vocali e palestra, e tante, tantissime session fotografiche, utili visto il loro tour stava andando a mille, anche grazie alla loro immagine più sfrenata e libera rispetto ad altre boyband (e questo la manager lo sapeva, ma non lo mandava giù comunque, grazie), ma non riusciva a fermarli.

Una giornata libera e zac! Dorian era già al telefono per prenotare posti per Dublino da Heatrow o da in capo al mondo.

 

Aveva tentato di non far sapere loro se non all'ultimo momento quando avessero avuto una pausa, ma prima Dorian aveva quasi frantumato una porta di cristallo, sbattendola, uscendo dall'edificio dove stava il suo ufficio, promettendo vendette che per sua fortuna erano andate a vuoto. Poi il maledetto biondo in camicia fumè se n'era fottuto e aveva iniziato a saltare sessioni fotografiche e prove, sostenendo che il suo tempo ricreativo era sacro e non sacrificabile!

E ovviamente in quei casi, facendo lui le regole, aveva il posto dove accomodare il suo ammiratissimo fondoschiena su un Boeing Air Lingus già da una settimana.

E stava via due giorni, non uno.

 

Di nuovo: come fare?

Dorian si era scatenato, e non si sarebbe fermato presto.

Quel punto che si era marchiato a fuoco in testa nel momento dell'allontanamento di Justin era ancora lontano dall'essere avvicinato e soddisfatto.

 

Ora aveva ottenuto di poter fare un pezzo acustico, una delle canzoni del primo album, con la sua chitarra: non che ci fosse niente di male, le fans andavano in visibilio, e Dorian con la chitarra non se la sarebbe cavata male fino alla morte, probabilmente con le mani sulle corde.

Stranamente non aveva imposto una delle loro canzoni pre-boyband, ma scelto una dei Changes.

Perciò tutto bene, si sarebbe detto.

 

Il problema era che l'aveva voluto e l'aveva ottenuto.

 

Eddie era uscito con un occhio nero da una rissa a Glasgow con un chitarrista indie locale, che l'aveva deriso per la loro attività, mentre lui voleva solo godersi lo spettacolo; vero è che Eddie in un pub non era certo sinonimo di sobrietà.

 

Dorian passava il tempo a scegliere il guardaroba, riavviarsi i capelli e strimpellare la chitarra, oltre che prenotare biglietti aerei, ma mai una volta che nello show non fosse impeccabile.

 

Shane stava visitando tutti gli studi di tatuatori di Londra e ora anche nelle varie città degli States.

Nelle tre date a L.A aveva trovato la Mecca, a sentirlo, sia per la sua moto che per i negozi.

 

E il tour, incredibilmente, era andato quasi sold out quando i biglietti erano stati messi in vendita, il merchandise preso d'assalto in ogni angolo del Regno Unito e degli States, e nel nuovo mercato del Sudamerica, oltre che in Giappone.

Un risultato, in soldoni, triplo se non persino quadruplo, rispetto a quello precedente.

 

Le cause potevano essere molte. Nonostante si fossero trasformati in tre bastardi, i ragazzi avevano acquisito molta più professionalità in studio, prove e, ovviamente, dal vivo.

Vi era il piccolo show unplugged di Dorian, che veniva praticamente coperto dagli strilli.

L'immagine del gruppo era cambiata, e lo show veniva suddiviso in due parti: la prima più sensazionalistica di luci ed effetti, più 'sportivo' e con coreografie, e la seconda più soffusa ed in crescendo, in linea con il secondo album.

La loro libertà ritrovata non sfociava comunque in atteggiamenti molto diversi dei post adolescenti di tutto il nuovo mondo globale, un mix di ribellione, maturità tradita e piccole soddisfazioni.

 

Rose, a Londra, evitava anche di compiere una delle sue famigerate visite a sorpresa, che, nel tour precedente, tenevano i ragazzi in riga; la vista di Dorian, che prima le scatenava un misto tra affetto materno e caldo nella zona inguinale, ora le faceva voglia di rompere qualsiasi cosa avesse sotto mano.

Il mouse del pc era la sua vittima preferita, e la sua segretaria, Jackie, ne teneva sempre due o tre di scorta, ghignando ogni volta che doveva portargliene uno.

 

Sapeva bene chi era la causa, e non poteva che sorriderne.

 

Quando, il 17 luglio 2000, venne chiamata all'interfono per scartare un nuovo mouse e portarlo alla Grande Sorella con le Chiappe in Poltrona, che presumibilmente ne aveva sfasciato un altro con un pugno, i tre disgraziati vagabondi erano in giro per Dallas, Texas, con un'afa incredibile.

 

Senza controllo, senza guardie, senza show da fare per almeno tre giorni.

Liberi.

 

Shane libero di bucherellarsi con l'inchiostro o di spaccarsi l'osso del collo, Eddie di sbronzarsi con una popolazione poco amichevole,(e finire contuso o ucciso dalla C.I.A. nel momento in cui, troppo sbronzo, avesse tirato in ballo il caso Kennedy), e Dorian- teoricamente- in viaggio verso Nashville per vedere delle chitarre.

 

Beh, su una cosa aveva ragione.

 

Dorian era in viaggio, sì.

 

Stava sorvolando l'Atlantico in quel momento, bevendo un Martini e maledicendo la durata del viaggio che non gli permetteva di fumare.

Era partito quella mattina dal Dallas-Fort Worth, , avrebbe poi cambiato volo a Heatrow e preso infine il classico Aer Lingus

 

Amava la livrea verde degli aerei, amava indovinare se il caso gli avesse riservato un vecchio Boeing o uno dei nuovi Airbus, amava sorvolare il Mare d'Irlanda (la prima volta si era dovuto trattenere con tutte le sue forze per non piangere), amava vedere la sua patria rifiorire e diventare un intero campo nell'oceano.

 

E, specialmente, amava trovare il sorriso del suo miglior amico all'uscita del terminal, sotto il cielo sempre in movimento della sua terra.

 

*

*

 

“E sai chi ho rivisto, di recente?”

“Mmm... in che senso? Gente che conosco anche io, o che dovrei fare uno sforzo per ricordarmene?”

 

Il duo era sdraiato a S. Stephen's Green, nel centro di Dublino.

Dorian si era cambiato in fretta con i suoi vecchi jeans e una t shirt prestatagli da Justin, a casa sua, ed erano corsi a St. Stephen's Green.

Se ne stavano sdraiati su una collinetta, sotto il sole che giocava a nascondino con le nuvole tipiche del cielo d'Irlanda, una birra a testa a portata di mano, e altre dieci (a testa) nello zaino.

Quando Justin le aveva messe in congelatore, Edele aveva commentato, acida ma con una punta di divertimento, se intendesse diventare un venditore ambulante.

 

Ròis ,invece, l'aveva aiutato a portare il carico a casa, dopo la mattinata universitaria.

 

Dorian stava a braccia incrociate, con occhiali da sole non troppo vistosi come i suoi soliti Ray Ban Wayfare, e un odioso cappellino da football a nascondergli i capelli, nella t shirt dei Cure troppo grande per lui.

Un regalo di Shane a Justin, aveva ricordato.

L'amico non sapeva che taglia prendere a 'quell'ammasso di ossa' quando erano andati a comprare i regali all’ ultimo anno della Wenders School, e aveva preso una L, basandosi sull'altezza.

 

Tutto, quel giorno, sembrava riportarli in quel glorioso 1997, partito bene e finito meglio, prima di imbarcarsi per quel brutto trip.

Persino il caldo.

 

Justin sembrò condividere la sua idea, poiché non fece altre domande su chi avesse visto l'amico, sedendosi e appoggiando le braccia sulle ginocchia raccolte.

“Ti ricordi che caldo faceva quando provammo la prima volta per suonare live?”

“Sì.”, sospirò Dorian. “E tu ti sentisti male, cretino.”

“Non sembra il 1997?”

“No, Justin.”, lo corresse Dorian, con più asprezza di quella che avrebbe voluto usare.

Tolse brevemente il cappellino, passandosi significativamente le mani nella corta chioma bionda.

“Non è il 1997. Vedi?”, ed estrasse il cellulare, debitamente scarico.

Poi, allungo la mano a prendere un ciuffo di capelli neri dell'amico.

“È da tempo che non è più il 1997, Justin. Questi te li sei fatti l'anno dopo.”

 

La faccia pallida dell'amico, arrossata dal sole, si imporporò dalla vergogna di essersi lasciato così trasportare.

La cicatrice che Dorian gli aveva fatto un anno prima risaltava, come sempre, sul sopracciglio mai ricomposto.

“Hai ragione, Dorian.”, ammise, sdraiandosi anche lui. “Ma tu pensi che potrebbe tornare?”

“No.”

 

La risposta di Dorian, rapida come una sentenza, quasi ferì Justin, ma l'amico riprese subito la parola.

“Sarà molto meglio. Sarà il 1997 in grande stile!

 

Justin sorrise alle nuvole che avevano ancora nascosto il sole, e si accomodò, i jeans neri che strusciavano l'erba.

 

“Allora, conosco chi hai visto o no?”, chiese, riprendendo il discorso di prima.

“Non so se puoi ricordartela, ma... sì, la conosci.”

“È una donna. O una ragazza. Periodo pre o post -Grande Truffa?”

 

Così Justin datava il suo periodo nei Changes, e nessuno si sentiva di dargli torto.

“Pre.”

“Alison, la sorella di Eddie.”

“Psssht, è più probabile che la veda tu, si è iscritta al Trinity anche lei.”

“Ma và?!”

“Torniamo all'argomento, Justin.”

“Dorian, ma che vuoi dalla mia vita?! Cosa posso sapere di chi... oh.”, e un'illuminazione parve farlo tacere, mentre scrutava la faccia impassibile del biondo.

“Sì?”

“È qualcuna che ti sei scopato?”

“Dio mio, che linguaggio scurrile, Justin Andreas Swanson!!”, sbottò Dorian, alzandosi in piedi e fissandolo allibito.

 

Per due secondi.

Prima di mettersi a ridere, assieme.

 

“Fottuto stronzo, hai visto Monik!”

“Fottuto stronzo, come hai fatto ad indovinarlo?!”

“Ti sei scopato UNA persona di numero, prima di mollare questo postaccio di merda, o almeno credo, se non contiamo le pecore dei pascoli attorno a Linayr… poi ho saputo da Shane che la tua carriera di troietta ha preso il volo, ma se parli di periodo PRE, allora è Monik! Come l'hai incontrata?”

“È diventata addetta stampa, p.r di un... personaggio musicale.”, disse Dorian, ridacchiando, sedendosi.

“E?”

“E... basta! L'ho vista nel backstage di una premiazione negli States, una settimana fa. Dio solo sa cos'ha fatto l'Irlanda a quella ragazza, ma le ha fatto solo bene!”, rispose Dorian, stiracchiandosi beato.

“Cioè? Ci sei finito di nuovo a letto? Mio Dio, Shane ha ragione, stai diventando una troia fatta e finita, Dorian Patrick Kierdiing, se le tue fans sapessero de...”

Non ci sono finito a letto assieme.”, tagliò corto Dorian. “Ho solo notato che ora parla un'inglese magnifico, assolutamente british, è professionalissima e stava un incanto in quei jeans di pelle e il suo microfono auricolare, l'ear-in, ma non ho potuto dirglielo.”,ridacchiò, al ricordo. ”Mi ha lapidato con uno sguardo di ghiaccio appena ho fatto un passo per avvicinarmi!”

“Quella è tedesca, è già tanto che non ti abbia staccato la testa con un'asta di microfono e l'abbia tenuta come trofeo, per come l'hai mollata.”

Dorian non volle replicare, ricordando come quel solo commento aveva fatto esplodere una rissa degna della loro breve storia.

 

E forse per quello stoccò l'informazione seguente, che a Justin non sarebbe andata molto giù, giudicò.

Il problema dell'essere tornati in breve così amici era che, forse, Dorian si era sentito rinvigorito, persino eroico nelle sue lotte per ritrovare l'amico.

Così facendo, però, non si era reso conto che Justin si riprendeva, sì, ma più lentamente.

 

Ignorava cosa facesse, come stesse veramente.

Quando lo vedeva, Justin era sempre felice, come mai era accaduto nella storia della loro amicizia.

 

“Sono andato a letto con un'altra vecchia amica invece, se ti interessa.”

“Jackie. Tu ed Eddie dicevate sempre che ve la volevate fa...”

“No, no, no, no. Un'amica dell'era pre.”, sogghignò Dorian, sentendosi un po' carogna.

 

Diamine, ma perchè, poi?!

In fondo Justin non stava uscendo con la fotocopia di Courtney Love?

Sarà stata pure grassoccia, ma a vederla in foto, Dorian avrebbe scommesso che quella sarebbe stata capace di succhiargli anche il cervello fuori dai pantaloni, se avesse voluto!

Anzi, a vederla dal punto di vista di Dorian, avrebbe voluto, eccome!

“Sono stato in una... romantica, amichevole, lunga e oltremodo piacevole, amabile e...”

“Doriaaaaaaaaaaannnnn....”, sbadigliò Justin, facendo finta di annoiarsi, mentre in realtà si stava divertendo un mondo.

“Ok. Con la tua ex vecchia amica di penna, Katryn.”

“Oh.”

 

Justin accusò il colpo e, d'improvviso, il suo sorriso scomparve dalla faccia, come il sole in quel momento.

Dorian, intento a sorridere al cielo, non si accorse di niente, neanche di come l'amico si girò lentamente a guardarlo per un secondo.

Non proprio amichevolmente.

Cancellò l'espressione furibonda prima che Dorian se ne accorgesse, insospettito dal silenzio, e ne assunse una apatica.

Non riusciva ad andare oltre, in quel momento, non sulla scala dell'amicizia.

“Ti... ti ha dato fastidio? Pensavo che... Tu mi avevi detto che era stata una... Sì, insomma, vi eravate scritti e poi niente. E poi ti vedi con quella Ròis, e...”

“Niente che non va. Ho un piacevole ricordo di quella ragazza... era americana, vero?”, sorrise Justin, più falso e dolce di una moneta da tre euro di cioccolato andato a male.

“Canadese.”

“Ah...giusto. Se non ha perso il suo... talento per far passare piacevoli notti ad un musicista immagino ti sarai divertito.”, continuò Justin, lievemente acido.

Il suo sorriso si era allargato, e non ci avrebbe messo molto a passare da 'splendente' ad 'inquietante'.

“Justin...”

“Come sta? Ha fatto carriera facendo po...”

“JUSTIN.”

Dorian aveva alzato la voce, ma era calmo e si era girato verso di lui, che teneva ostinatamente lo sguardo verso il sole che era uscito di nuovo, come volesse bruciarsi la retina.

Lo sguardo di Justin era diventato di ghiaccio, nell'essere ammutolito.

“Ho sbagliato, va bene?”, si difese Dorian, in impaccio. “Ma potevi anche non dirmi tutte quelle balle su una botta e via, amici di penna, storia che non contava niente! Mi sarei regolato!”

Justin alzò un dito singolo, l'indice, non del tutto accusatorio, ma chiedendo silenzio, con calma.

“Rallenta. Per finire a letto, si deve volerlo in due, giusto? O, per definizione, è stupro.”

“Co... Che intendi?”

“Che non so quanto tu ci abbia provato.”, e si girò verso l'amico, sul fianco destro, guardandolo dritto negli occhi. “Ma lei c'è stata. O forse ci ha provato. Non voglio saperlo.”, e si girò di nuovo, pigramente, a stendersi. “Ora, diciamo così: non mi interessa più. E' stato solo un colpo sentirlo. Ero un ragazzino ed anche lei. Se non te ne fossi accorto sto frequentando altre persone, più... consone.”, e un breve sorriso aleggiò sulla faccia di Justin, al pensiero della sua nuova amica .

 

Sì, forse Dorian lo immaginava, ma ne aveva vagamente saggiato le doti.

E non erano certo solo sessuali, come lui sapeva bene.

“Come sta?”

“Eh?”, un confuso Dorian venne preso di sorpresa a quella domanda.

“Hai parlato di un evento, personaggio musicale, p.r... E' andata avanti a suonare, o era con Monik nello stesso seguito?”

Dorian lo fissò ancora per un secondo, poi, rassicurato dallo sguardo sereno di Justin, si rimise sdraiato a sua volta.

“Canta. E' diventata solista, con un gruppo di supporto.”

 

Un altro colpo allo stomaco colpì Justin.

“E com'è?”, chiese con voce arrocchita, nascosta dietro un colpo di tosse.

“Oddio, è diventata bionda, ha smesso di vestirsi da wannabe punk, direi che è aumentata di peso, la faccia è meno scavata o si trucca con più criterio, e le te... Cioè, nel complesso, si è arrotondata. Più femminile.”, si corresse all'ultimo minuto Dorian, cosa che non sfuggì a Justin, comunque.

“Dorian...”

“Eh?”

“Musicalmente. Com'è?”, spiegò con pazienza Justin.

“Oh. E'...è brava. Ha sviluppato la voce, sia in basso che in alto, notevole per la sua altezza.”, si lanciò a spiegare, entusiasta. “Tiene un tono abbastanza monocorde, ma piacevole, visto poi fa delle salite impreviste ed incredibili con facilità, o...”

“Stare con i coach vocali ti ha rincoglionito il cervello...”, borbottò senza malanimo Justin. “La musica, Dorian. Musica.”

“Uh, qual è quel termine così di moda, ultimamente? Indie. Indie rock. Un pizzico di Nirvana, un po' di quella che a N.Y chiamano No Wave, ritmiche molto anni '80 inglesi, synth... Non è ancora emersa, ma emergerà.”, disse con una punta di fierezza, per poi continuare. “Ho il suo cd, lo vuoi?”

 

Justin ci pensò, combattuto un attimo se sguazzare tra vecchi ricordi o no, e si rivolse a Dorian, pensieroso.

“Vale l'ascolto?”

“Un po' debole al centro, ma almeno sei canzoni a livello singolo. Quel genere esploderà tra qualche anno, vedrai. Le premesse ci sono.”, e, magicamente, Dorian estrasse il cd dalla sua borsa stile studente chic.

 

La copertina era una foto anticata nella quale una ragazza, con lunghi capelli biondo miele (si intuiva più che vederli chiaramente), stava nella penombra davanti ad una finestra che mostrava un tramonto dipinto, di stampo impressionista.

Era inquadrata solo dal busto in su, e teneva un braccio teso ad afferrare una delle tende rosso scuro della finestra. Poco si intuiva della faccia, ruotata solo un quarto del volto, ma Justin ebbe lo stesso un tuffo al cuore.

 

Quella faccia.

Quella faccia che si sollevava a guardarlo, a fissarlo negli occhi, senza nessuna remora.

I suoi occhi di ghiaccio che si riflettevano in quelli blu, quasi viola della ragazza.

 

Mise via il cd, sentendo di essersi soffermato troppo a lungo ad osservarla, e infatti, la voce di Dorian lo raggiunse, mentre, seduto di schiena, stava cercando un posto nello zaino.

“Il booklet fotografico è molto bello. E' curato da un suo amico, mi ha detto.”

“Non ha perso l'abitudine di spacciare cd, nonostante stia per fare successo, a sentire te...”, disse Justin, dolcemente.

 

E perchè no?

Era un ricordo dolce.

Anche un po' amaro, come tutti i ricordi andati e ormai perduti, ma dolce perchè vissuto.

 

Si raddrizzò e si tirò in piedi, osservando il tramonto da St. Stephen's Green, sull'Isola di Smeraldo.

“Dici che questo genere farà strada?”

“Sicuro. Ho sentito molti gruppi underground negli States.”, disse , concentrato, Dorian, togliendosi gli occhiali da sole ed il cappellino, vedendo come la gente sfollava, alle prime folate di vento. “Sarebbe giusto che qualche gruppo rispondesse, qua da noi.”, continuò, pensieroso.

 

Justin tirò fuori un'altra birra e brindò, a sorpresa, con quella di Dorian.

“Ben vengano, allora.”, e bevvero.

Dopo un minuto di silenzio, Justin si contemplò le unghie, bevve un altro sorso ed osservò l'amico, con un sorriso furbetto.

L'attimo di gelo era passato o era forse solo sepolto, ma per ora se n'era andato, chissà.

 

“Domani ho prenotato una sessione di prove all'Airsound, di Artane. 4 ore.”, gustò le parole sulla lingua prima che lo abbandonassero.

“Dopodomani, se riesci a svegliarti al mattino, uguale. Ho scritto circa 20 canzoni...”, si gustificò, scrollando le spalle, davanti alla bocca debitamente spalancata di Dorian.

“Che c'è? Avevo tempo da perdere, io.”, sogghignò perfidamente.

“Venti canz... e quanti testi hai?!”

“Quasi settanta.”, ammise Justin, con un certo orgoglio malrespresso.

 

Dorian si alzò a sua volta e trangugiò un'imponente sorso di birra, con gli occhi ancora sbarrati.

Poi fissò l'amico.

“Immagino tutte in powerchords, vero?”

“Tutte in accordi pieni, Kierdiing.”, ammise Justin con un certo fastidio.

Non aveva certo fatto progressi con la chitarra, dai tempi della Wenders.

 

E pensando a quello, non sentì quello che stava dicendo Dorian.

“Scusa? Ero distr...”

“Siamo senza basso e batteria. Dubito tu voglia un sound acustico.”, lo scrutò, l'amico.

Justin sorrise, sempre un po' teneramente e po' furbescamente, e lo prese sottobraccio, mentre si avviavano ai cancelli del parco, tra le folate sempre più forti di vento che portavano con loro l’ odore del Mar d'Irlanda.

“Al basso ci stà Ròis. Non è bravissima, ma l'ho un po' esercitata. Per ora dovrai accontentarti. Mentre alla batteria c'è una vecchia, vecchiiiiiissssima conoscenza, passerotto mio bello.”

“Hai insegnato a tua madre a suon...”, e Dorian si fermò, con l’espressione incredula di chi avesse incautamente ingoiato una noce e stesse per morire soffocato, assistendo allo spettacolo più divertente del mondo.“Edmond.”

“Sì.”

“Hai...chiamato Edmond JAMES JOYCE, JUSTIN ANDREAS SWANS SEI UNO STRONZO MATRICOLATO, IL Più FOTTUTO DEGLI ESSERI SULLA TERRA!!!!”,e saltò ad abbracciarlo, incurante dello zaino e tutto, e finirono a terra, ridendo come cretini.

 

“Tutto pur di farti felice, passerotto mio! Grazie dei complimenti, so che mi vuoi bene!”, rise Justin, tentando di risollevarsi, vanificato nel tentativo dal troppo ridere e dal peso di Dorian.

“Stasera, Gran Canal Docks, con le birre rimaste!”

“E poi mia madre ci sbatterà giù dal letto col doposbronza!”, rise Justin.

“E se mi vedesse quella puttana di Rose Evans, mi sbatterebbe fuori in un nanosecondo, vacca sacra o no!”, rise Dorian.

 

*

*

 

La suddetta nominata puttana da Dorian Patrick Kierdiing, a Londra, aveva appena rotto un altro mouse, sapendo del ritorno in albergo dei suoi 'protetti'.

Protetti? Non più. Incontrollabili mine vaganti.

 

Ne mancava uno.

Dorian, quel fottutissimo Dorian!!

Sempre a fermarsi fuori la notte, a farsi chissà quale puttanella o a concerti, in ogni città!

Non sopportava il sorriso con il quale Jackie la guardava, come a dire 'io me lo sono fatto e tu no, a-ah!', e le aveva bloccato ogni avanzamento di carriera, finché non le fosse passata.

E la memoria di Rose, come le sue chiappe, era come quella degli elefanti.

 

Con tre giorni liberi chissà cos'avrebbe fatto, quel maledetto stronzetto!

 

Rose stava per tirare un pugno al nuovo mouse, decretandone la fine in tempo record, quando la mano le si bloccò a mezz'aria.

Tre giorni liberi.

Non era rientrato.

Tutti erano rientrati.

Persino i suoi compari, che non disdegnavano fare bisboccia, o vedere concerti di band mai sentite.

Loro erano tornati.

 

Ed in tre giorni si aveva un sacco di tempo, tempo che una persona come Dorian avrebbe saputo bene come far fruttare.

 

La mano che stava per distruggere, si posò quieta sulla scrivania, mentre il cervello lavorava.

E il suo intuito anche, resosi più fine dalla cantonata presa con Justin: il pacchetto intero non era andato bene, e andare poi a dimezzarlo si era dimostrato uno sbaglio colossale.

Aveva aperto un vaso di vespe, ed una di essere correva, correva restando ferma, correva più avanti per...

 

Dublino.

C'era la vaga possibilità che Dorian fosse in giro da solo per una città come Dallas, ovviamente c'era, e non sarebbe stato il suo primo sbaglio nel provare a prevedere le mosse di Dorian, ma questi si era fatto via via più sicuro col tempo.

Troppo sicuro.

 

Dorian era a Dublino.

Dorian Kierdiing era a Dublino dal suo vecchio amico, la causa di tutti i mali della manager.

 

Rose digrignò i denti e premette l'interfono.

Per fortuna non c'era Jackie in segreteria, ma la sua collega, Sophie, che le aveva dato il cambio per la sera.

A differenza della sgualdrinella, Sophie era meticolosa come una spia della Stasi, respingente come un cactus e aveva giurato fedeltà quasi sacra all'agenzia.

“Sophie.”

“Buonasera, Rose.”

“Chi abbiamo a Dublino, Sophie?”

“Nessuno.”, intuì il motivo, la giovane londinese. “Vuole che mi accerti che nessuno dei nostri sia a Dublino?”

“Sì, per favore.”, sospirò Rose, soddisfatta di dover sprecare così poche parole per un concetto così importante. E ciò la spinse a dire cose che mai Eddie, Shane, Dorian e men che meno Justin, avrebbero mai pensato potesse dire. “Grazie Sophie, ringrazio Dio per la tua precisione.”

“Avrò qualche risposta tra un'ora circa, Rose.”, fu l'impersonale risposta.

La manager, Colei che sedeva in poltrona con le chiappe color albicocca, ne fu sollevata.

 

“Ti prendo, passerotto...”, sussurrò, maligna, facendo il gesto di prendere qualcosa al volo.

Gli occhi le si erano assottigliati.

“Ti prendo...”

 

*

*

 

Quella sera, al Gran Canal Docks, nonostante la zona fosse tirata a lucido più di quanto ricordassero, il duo rideva, nonostante la fitta pioggerellina fredda che li inzuppava.

“E Shane, Shane... ahahahahahaha, insomma, Shane voleva provare un'impennata per fare una foto ricordo, e insomma prova, accelera e lui...AAHAHAHAH, lui riesce a restare in piedi e la moto gli sguscia via da sotto il culo, ahahahah, poteva restarci secco!!”

“Ahahahahahah!! Dio santo, quando mi ha portato al Trinity ha fatto quasi un frontale con un fottuto tram, la Gàrda ci è stata alle costole e lui l'ha seminata, sta diventando un fottuto pazzo!”

“Ed Eddie?! Non sai di Eddie!! Io sono partito da Fort Worth mentre lui si stava per buttare vicino a Fort Worth! Paracadutismo, la sua ultima passione!”

“Oh oddio, ti prego, hahahah... e...e si tiene sempre una lattina in mano?”

 

I due si guardarono e poi ricominciarono a sprizzare risate e lacrime alla luna, come al solito, in un balletto demente.

Alla fine, esausti per il tanto ridere, si appoggiarono ad un muretto, vicino all'argine del Liffey, e respirarono a fondo l'aria del Mare d'Irlanda.

 

Dorian, specialmente.

“Dorian...”

“Dimmi tutto.”, sospirò il biondo, capendo che era finita l'ora delle pazze risate.

No, in realtà non sarebbe finita mai, si corresse.

“Sai perché ho fissato tutte quelle ore di prova?”

“Perché hai fretta.”, e ridacchiò.” Venti canzoni! Mi chiedo se ce ne sarà una buona!”

“Non ha importanza.”, disse quieto Justin, appoggiato al muretto, trangugiando l'ennesimo sorso di birra scura. “Tu ne saprai certo cavare qualcosa. E poi non è ancora l'inizio.”, disse, con tranquillità.

 

Dorian lo fissò, perplesso.

“E allora, che...”

“Il tuo tempo, Dorian.”, e Justin lo fissò in modo strano, quasi inquietante. “Il tuo tempo, intendo questo tuo giochetto di fuggire, venire qui...”,e gesticolando, fissò involontariamente l'apertura dove il Liffey sfociava nel loro mare.

“Sta finendo. Cambierai. Poi tornerai, lo so.”, e lo fissò di nuovo, con quello sguardo trasparente. “Ma stai ballando sul filo del rasoio. Devi smetterla e tornare a fare il bravo. Onorare i tuoi impegni.”, concluse Justin, mestamente.

 

Dorian fu dolorosamente colpito da quelle parole.

“Cosa... cosa intendi?”, chiese, fievolmente.

“Tre giorni, Dorian. Starai qui tre giorni. Ed è perfetto, scommetto faremo un sacco di roba, ma...”, e Justin sospirò. “Togliti dalla testa che non sei sacrificabile.”, lo trapassò, con le parole.

“Io...”

“Tu pensi che non possano liberarsi di te?”, lo attaccò, senza malanimo Justin.

Non voleva ferirlo, sapeva solo a che gioco stava giocando Dorian.

Ci era passato prima di lui, in fondo.

“Guarda me. Anche io mi credevo inattaccabile. La VOCE dei Changes. Ricordi? Un caratteraccio, ma una voce che non sarebbe stato possibile togliere dalla struttura delle canzoni.”, e i suoi occhi brillarono, al ricordo. “Ma mi hanno cacciato. Stai giocando col fuoco, Dorian.”, gli intimò Justin, mentre lo fissava. “Smetteremo di vederci, dopo queste prove. Non ti accompagnerò neanche all'aeroporto. Ma...devi onorare il nostro patto.”, e la voce di Justin tremò lievemente. “Se fallisci, come me, non servirai a molto. Porta a casa tutto il salvabile, Dorian.”

 

“E se non lo volessi?”, chiese, con voce calma, Dorian, mentre dentro di sé tremava.

Justin alzò lo sguardo a guardarlo, freddamente.

“Lo vuoi. Vuoi farlo, e vuoi girarti a sputare in faccia chi ti ha fatto tutto questo.”, e in un gesto circolare, Justin sembrò abbracciare tutto.

La vita, il padre, Rose Evans...

Forse persino se stesso.

 

“Sarà un miracolo se riuscirai a nascondere questi tre giorni, Dorian. Farà male... Ma...”, e Justin esitò. “Aspetteremo. Aspetteremo di poterci muovere.”

 

Dorian si avvicinò a lui, la bottiglia levata in un altro brindisi, silenzioso, finché gli occhi si incrociarono.

“A Londra. Liberi.”

“Liberi. A Londra.”, ripeté Justin, assaporando quelle parole.

 

*

*

 

Tornando a casa, fradici ed ancora ridenti (la serata non si era certo fermata lì, per loro), un fotografo scattò una foto, non chiara, da rotocalco, ma sufficiente.

 

Al suo ritorno a Dallas, anzi direttamente a Fort Worth, la tappa successiva del tour, Dorian trovò qualcosa di inaspettato.

Rose Mya Evans aveva ripreso l'abitudine di fare loro visite a sorpresa.

 

Ed era venuta per lui.

 

 

Bene, questa volta non siamo tanto in ritardo, grazie a quella santa donna di Jo_the ripper che viene a prendermi anche durante lo studio di Antropologia Culturale ( odiodiodiodiodiodio e oddioddioddioddio!!).

Visto in tante storia, mi sono presa la libertà di un esperimento, un account efp dedicato SOLO a questo; chi ne ha voglia mi aggiunga e mi scriva in privato, poichè mi sento triste e sola con le mie critiche preferite ( tanto ammmore per queste povere donne!), sennò lo cancellerò e non è una minaccia, è una constatazione: diciamo che 'Voglio fare un gioco...' (come dico alle mie conqui quando suono al citofono, povere donne). 

https://www.facebook.com/profile.php?id=100007135950754

Ah, ho preso il ticket per i FF. Ma a parte a chi ne ho parlato, nessuno proprio indovina a che band mi sono ispirata per questa storia (inizialmente...) e poi da quali altre ho preso spunto? No? Ok. Kuessel!

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Capitolo 24
*** 24. Kisses from Pasadena ***


24. Kisses from Pasadena

 

(Attenzione, il seguente capitolo riempitivo potrebbe contenere tracce massicce di riferimenti ai Depeche Mode. 
Non vivi tremila anni se non inizi ad ascoltare belle cose... )


Dorian, mentre percorreva il corridoio adiacente al backstage del palco di Fort Worth ancora in costruzione, non aveva il passo sicuro di tre mesi prima, a Londra, quando aveva messo alle strette Rose, né lo stesso abbigliamento.

In jeans strappati, le sue Adidas malconce dei tempi della Wenders e maglietta dei Soundgarden, si era avviato quasi appena sceso dall'areo non appena Sophie, la segretaria che a suo avviso aveva una scopa nel culo l'aveva accolto in hotel.
E gli aveva dato la nuova.
La cattiva nuova. 
Cattivissima nuova.

O Justin era veggente o provava gusto a portare sfiga, si era ritrovato a pensare, mentre andava a cambiarsi d’ abbigliamento in camera, smettendo il suo travestimento da bravo ragazzo e indossando qualcosa di più comodo
. Mise con un sospiro i suoi soliti vestiti grunge-non trovando altro- sapendo che sarebbero stata una carta suo sfavore, se Rose avesse voluto giocare pesante.

'Se'?, si era chiesto, tra l'ironico e l'amareggiato. 
Quella troia l'avrebbe spedito fuori dalla band più veloce di Shane in uno scatto da trequartista ai tempi della squadra di rugby; la sola presenza di Sophie al posto di Jackie, la segretaria stronza al posto di quella gnocca di facciata, era il segno che l'avevano beccato.

Con le mani nel sacco, con la sigaretta in bocca, con una lattina di birra svaccato come un nomade, o con la chitarra in mano.
In compagnia di un batterista che andava ciondoloni e lo guardava male, di una bionda ossigenata cicciotta che non sapeva suonare il basso.
E con Justin che tentava di uccidere la propria chitarra, una Telecaster custom che aveva comprato perchè pensava stesse bene con la Stratocaster di Dorian, una dichiarazione talmente candida che gli aveva fatto venir voglia di ridere e piangere allo stesso momento.

O ancora peggio: beccato abbracciato a quell'adorabile scemo del suo miglior amico.

Il suo miglior amico.
E Dorian quasi si fermò un attimo, mentre la temuta porta si avvicinava, di più.

Tutto questo perchè non aveva voluto lasciare solo il suo amico. 

Eddie quasi sbattè addosso a lui, visto gli camminava un po' dietro, mentre Shane si era fermato a suo fianco, insospettito; avevano deciso di accompagnarlo, per rendere nota una cosa a Rose Mya Evans. 
Ma il pensiero di Dorian si era ora fissato su una cosa, che chissà perchè, come molte altre volte, non riusciva a cacciare dalla testa.

Il suo miglior amico.
Stava rischiando la testa, metaforicamente parlando, per non lasciare che Justin si sentisse solo, depresso, abbandonato, sospettoso che non venisse meno ai patti. 
-...e lui l'avrebbe fatto per te, alle stesse condizioni?-, fu il pensiero che venne a galla, senza se ne accorgesse. 
A quel punto si fermò davvero, a sei metri esatti dalla porta dell'ufficio posticcio della manager, mentre una litania si avviava nel suo cervello.

Justin, Justin, Justin, Justin...
Justin suo amico, così fragile e così difficile da proteggere, specie da se stesso.
Quella era la leggenda che girava ormai attorno al suo amico: se lasciato solo Justin sbroccava, andava di testa, era il peggior nemico di se stesso, era così fottutamente machiavellico, era come fatto di vetro, sembrava autoinfliggersi punizioni facilmente come Gesù operava miracoli!

Justin l'aveva, effettivamente, avvisato di quel che rischiava, ed aveva posto il veto di andarlo a soccorrere ancora, ma aveva anche fatto di tutto, silenziosamente, perchè Dorian andasse da lui.

Un lampo di rabbia attraversò i pensieri di Dorian, svanito quasi all'istante in una scia di vergogna, ma non scomparve del tutto. 
Rimase a sedimentare, a scavare e scardinare argini che fino a quel momento si sarebbero detti infrangibili, a corrodere sicurezze mai messe in discussione, mentre Dorian apparentemente si rasserenava e rivolgeva il suo sorriso dolce, da prima mattinata, agli amici. 
*
Quando Shane ed Eddie l'avevano incrociato in hotel, più bianco di uno straccio, vuoi per la stanchezza o per l'uno-due 'previsione di Justin-Tombola!' , l'avevano seguito dalla hall alla camera e strada facendo, vestito per vestito, erano venuti a sapere della 'convocazione' della Grande Sorella con le chiappe in poltrona.
Mentre calzava le vecchie Adidas, Dorian aveva stretto i denti e, non l'avrebbe mai detto, si era visto costretto a non piangere, mentre finiva di dare loro spiegazioni.
“...e sarà probabile che minaccerà di buttarmi fuori. O lo farà.”, e lì gli era scappata una lacrima, Dio quanto l'aveva detestata e quanto si era detestato! “Lo farà e... Non so cosa succederà dopo, ragazzi. Forse vi parlo con la stanchezza o forse ho visto cos'ha fatto a Justin questa cosa, ma penso che per un po' non sarei reperibile...”, concluse Dorian, strofinandosi il viso, pieno di sonno e brutti presagi.
Shane, che era nella sua solita posa, braccia incrociate (una ancora immacolata ed una tatuata di fresco a Dallas) e poggiato al muro, si staccò lentamente, e si scambiò uno sguardo con Eddie, visibilmente preoccupato per lo stato del loro passerotto.

Loro non sapevano neanche della presenza di Rose Evans attorno allo show, anche se avevano notato un certo perfezionismo nello staff che li attorniava, ormai anche un po' stanco dopo un tour mondiale al giro di boa.
Shane l'aveva fissato, e poi si era tolto la polo da bravo ragazzo dei sobborghi sotto la quale stava una bella tank senza maniche, e aveva sorriso. 
Dolcemente.
“Andiamo, allora.”
“Shane...?”, tentò di capire Eddie, stavolta preso in contropiede dagli eventi.
“Voi non c'entrate.”, disse Dorian, in un soffio, allacciandosi anche l'altra scarpa, chino. “Quella strega vuole punire me, e...”
“No, non hai capito tu, Dorian.”, spiegò Shane, avvicinandosi allo specchio a figura intera nell'armadio di Dorian, e girandosi a rimirare il tatuaggio che ormai gli copriva quasi tutta la schiena.
Quando si girò in posizione normale, si trovò un paio d'occhi verdi e un paio nocciola a guardarlo, interrogativi ed immobili, e si sentì in dovere di spiegare.

Sì, di solito i suoi amici erano più svelti di lui, che spesso si era preso le nomee di bisonte senza cervello o belloccio tutto muscoli e niente materia grigia. 
Ma visto quanto sbroccavano molto più facilmente i suoi amici, così svelti, preferiva di gran lunga essere quello più lento, in quella combriccola. 

E, appallottolando la polo e gettandola sul letto, aveva sbuffato ed alzato le spalle, non abbandonando mai il suo sorriso, che si era trasformato in un ghigno.
“Se ti butta fuori, dovrà sentire anche il nostro parere.”, e fissò Eddie, che si illuminò, capendo. 
“E non saremo per niente contenti di ciò. Anzi, potremo prendere in considerazione l'idea di seguirti.”, concluse, avviandosi per il corridoio.
*
Sostavano ora davanti alla porta di Rose Mya Evans, come tre pistoleri piuttosto strani e disarmati, ora più insicuri di minuto in minuto di quando erano partiti, quasi marciando, dalla camera di Dorian. 

Il biondino prese un sospirone e si voltò a fissare i suoi amici.
“Entro io. Voi aspettate...”
“Sì, e al mio segnale scatenate l'inferno! Ma per piacere!”, lo sorpassò Eddie, nervoso fin da quando aveva incrociato Dorian, e prendendo il pomello della porta, voltandosi a guardare gli altri, con un sogghigno che gli riusciva davvero bene.
“Ultima occasione per ripensarci! Ripensato bene a tutte le vostre vite? BENE!”, e spalancò la porta, facendola sbattere contro l'appendiabiti e facendo quasi saltare le chiappe di Rose Evans dalla poltrona da dirigente.
Vederla così per un attimo, così inerme, lo ripagò di tante, troppe umiliazioni, e si sentì veramente bene. 
'Dio, se devo essere licenziato, tolto dai piedi con un calcio nel culo, gassato, scomunicato dallo showbusiness, fa pure! Fa del tuo peggio, avanti, sono qui! Ma fammi restare così FOTTUTAMENTE FIGO!', pensò, mentre entrava impettito ed a passi lunghi nell'ufficio provvisorio di Rose, lasciando a bocca aperta lei ed anche i suoi amici.
“Coraggio, ragazzi, entrate! E' la nostra manager, non ci mangia mica!”, disse sguaiatamente, ad alta voce. 
Li guardò come una tata premurosa mentre i due entravano, fissandolo come fosse impazzito.
“Su ragazzi, accomodatevi.”, e strizzò loro l'occhio, prima di girarsi verso Rose, lentamente, e sorriderle. 
Eddie, non il più bello, non il più aggraziato, ma 'il ragazzo sorridente della porta accanto'.

“In fondo stiamo solo per farci licenziare, no?”
*
*
A Dublino, Justin stava leggendo un testo di Storia del Giornalismo, mentre in realtà ascoltava rapito il crescendo di 'In your room' dei Depeche Mode, una delle cose che più lo avvicinavano alla beatitudine, specie nelle sue Sony a prova di bomba e di basso. 

Le altre appartenevano quasi tutte al bel tempo passato, come la lotta che ingaggiavano gli eccitanti ed i calmanti nel suo corpo, o l'essere su un palco con dietro il suo gruppo, solido eppure arioso.

Porca miseria, il giorno in cui avrebbe saputo muoversi e cantare come Dave Gahan avrebbe iniziato a credere in Dio e tutta la combriccola di santi e cristi compagnoni, da buon irlandese, ma per ora si accontentava di sentirlo in cuffia, ad occhi semichiusi, il libro ormai sulla faccia, tanto che le parole 'contributo della diffusione multimediale degli articoli si è rivelato' gli si stavano imprimendo sulla guancia.

Stava ad un bivio nella deliziosa posizione tra un'erezione ed addormentarsi, tanto che non sentì neanche la madre entrare e dirgli qualcosa, sovrastata dalla magnificenza della salita da brivido del pezzo, per poi andarsene.

Quando entrò la sua ospite dopo un paio di minuti a chiacchierare con Edele, Ròis, che gli tolse il libro dalla faccia, quasi si commosse.
Justin si era addormentato, pur con la musica nelle cuffie che sparavano ancora a decibel da suicidio del timpano, e lei si sedette compostamente sull'unica sedia libera della camera, le mani sulle ginocchia, quasi non respirando, osservandolo. 

La testa appoggiata al braccio destro ripiegato sotto la testa, l'altro braccio abbandonato sul petto, le gambe lunghissime nei jeans neri. 
Il viso sempre teso, in un modo o nell'altro, finalmente rilassato. 
Ròis era davvero ad un passo dalle lacrime, quando si alzò per guardarlo bene in faccia, dall'alto. 
Justin non si rilassava mai, si guardava sempre attorno, rideva sempre con una punta di nervosismo, e a volte, anche non contraendo nessun muscolo, bastava il suo sguardo per far pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato. 
Non si era rilassato neanche quando si erano baciati, la sera della loro prima uscita al Queasy, nonostante l'abbondanza di birre in corpo, e neanche quando dopo la loro storia lentamente si era avviata. 
Sembrava che cercasse qualcosa, qualcuno, un momento. 
Perennemente in ricerca, perennemente guardingo.

Ed ora eccolo lì, il viso disteso, le labbra sottili appena schiuse che respiravano piano, i capelli neri che un po' gli cadevano sulla faccia ed un po' stavano ancora rialzati dalla lacca, il petto che si alzava ed abbassava impercettibilmente.

Doveva avere un sonno leggerissimo, giudicò la ragazza. 
Sarebbe bastato un nonnulla per svegliarlo, e lei non avrebbe voluto interrompere quel momento per niente al mondo; se ne sarebbe andata, lasciandolo nella sua pace che raramente trovava. 

Quando allungò la mano per non-toccarlo ma solo compiere il gesto, sulla guancia, il braccio sinistro di Justin scattò e l'artigliò all'altezza del polso, gli occhi di ghiaccio improvvisamente spalancati e scintillanti di attenzione. 
Ròis si fece sfuggire un urletto e si ritrasse d'istinto, mentre Justin usò il suo braccio per fare leva e sollevare il busto a sedere dalla posizione supina in cui era.

Era stato talmente veloce da spaventare la ragazza, che si era persa la maggior parte dei suoi movimenti, quando se lo trovò faccia a faccia, il polso torto che la costringeva ad abbassarsi.
“Cosa volevi fare, Ròis?”, sibilò Justin, sempre con quegli occhi ad un passo dall'essere pericolosi.
“Io...io...”
“Cosa, Ròis?”, insistette Justin, torcendole impercettibilmente ma dolorosamente il polso, e strappando una smorfia alla povera ragazza, che ormai ansimava, i capelli biondi che le cadevano sulla faccia.
“Io volevo...”
“Volevi?”, e Justin aumentò la stretta, tanto che Ròis si fece sfuggire un gemito e si piegò su sé stessa, incapace di fare resistenza. 
Justin la incalzò, ormai sopra di lei, in ginocchio sul letto, le cuffie chissà dove che sparavano 'Higher Love'.
'Appropriato.', pensò ironicamente la povera ragazza, che ormai non osava respirare.

“Volevi, Ròis? Su, dillo al tuo Justin...”, e sorrise, in apparenza dolcemente, anche se non poteva vederlo. Ma sotto il dolce c'era uno di quei sorrisi che Dorian avrebbe riconosciuto al volo. 
“Volevo...volevo...mi fai male!”
“Volevi?”
“VOLEVO ACCAREZZARTI, BRUTTO STRONZO!!”, strillò la ragazza, quasi scontrandosi con la sua faccia, nel tentativo di divincolarsi, le lacrime che le stavano per cadere dagli occhi dal dolore e dall'umiliazione.

E fu come se Justin si riscuotesse, magicamente svegliato da un incantesimo malefico. 
Gli occhi quasi rischiavano di cadergli, da tanto li aveva strabuzzati.
“Oh...”, esalò, e lasciò subito il polso della ragazza.
“Che diav... che cazzo ti ha preso, Justin Swanson?!”,strillò lei. 
Sì, stava piangendo e si massaggiava il polso con forza, laddove si sarebbe di certo creato un livido.
“Volevo lasciarti dormire e... oh, fanculo a me e a quello che posso aver pensato!”, e dopo essersi pulita sommariamente le lacrime miste a trucco, con espressione rabbiosa, la ragazza prese la sua borsa e fece per lasciare la stanza, a passi rabbiosi. 
“VAFFANCULO A TE, ANZI!! VAFFANCULO TE E LE TUE MANIE, JUSTIN!!”
“No, no, no, ehi aspetta, fermati!”
“Non mi tocc...non mi toccare, lasciami!”

Justin era scattato verso la porta, a bloccarle il passaggio, improvvisamente spaventato che se ne andasse ed al suo tentativo di spintonarlo via l'aveva presa per i polsi, facendola ancora urlare.
Ròis si immobilizzò, crocifiggendolo con lo sguardo, e sillabò le parole, sporgendosi.
“Lasciami andare. O strillo.”
“Ròis, no... io... Mi spiace. Ti prego, non andartene!”, supplicò Justin, lasciandole i polsi. “Ecco, ti ho lasciato, ma non andartene.”, e le sorrise, dolcemente, inclinando la testa a sinistra. “Per favore?”

Ròis si fregò ancora il polso offeso, imbronciata, ben sapendo che l'avrebbe fregata.
Non era la prima volta che Justin le stritolava un polso o le lasciava i segni, artigliandola di sorpresa, magari immobilizzandosi di colpo e immobilizzandola, e poi lei rimaneva.
Come un'idiota. Un'idiota di prima categoria. 
Stupidamente innamorata come non era mai stata.
Lei.
 
Justin davvero non lo faceva apposta, glielo si leggeva negli occhi contriti, e poi aggiungeva sempre quel maledetto tocco in più.
Quell'adorabile sorriso timido e splendente.
Fottutamente indifeso, lo stronzo.
 Ròis sospirò e gli diede una spinta, tra l'amichevole e l'offeso, quasi scaraventandolo contro la porta, il broncio ormai come pro-forma.
Ah, ma sapeva di essere così sexy, quando lo faceva, peso o no...
“Sei un bastardo, Justin Swanson. Davvero.”

Justin la abbracciò, accarezzandole i capelli, mentre lei si appoggiava alla sua spalla, finalmente rasserenata. 
“Sì, lo so...”, mormorò lui, chiudendo gli occhi, mentre la accarezzava delicatamente. “Lo so. Ma che Dio mi fulmini se ti facessi male apposta. Non so come ho fatto a diventarlo, credimi...”
*
*
“Allora, a parte le divertenti battute di Eddie, cos'abbiamo qua?”
A Fort Worth, Rose Evans si alzò in piedi, lentamente, quando i ragazzi presero posto.
Gli occhi le scintillavano, e non era certo un buon segno per nessuno.
“Avevo chiesto solo di Dorian e mi capitate in tre. Dovrei esserne contenta, visto ultimamente voi due...”, e indicò Eddie e Shane, ancora impavido con i tatuaggi in bella vista, ma internamente meno baldanzoso di prima. “...Voi due ormai passate il tempo a sfuggire, mandando il vostro amico a fare il lavoro sporco.”
Eddie sembrava avere ingoiato un cavo elettrico, tanto fremeva.
Dorian invece era nella posizione che aveva tanto desiderato vedere, negli ultimi mesi: accasciato sul divano, occhi spenti, rassegnato e capo chino, quasi aspettasse la scure. 
La sua scure.

“Allora non ti secca se anche noi partecipiamo agli affari del gruppo, no?”, la interruppe Eddie, la voce quasi stridula. 

La stava sfidando?
La stava sfidando eccome!
Rose desiderò avere un fucile a pompa: prima Justin, poi Dorian ed ora Eddie! Shane a modo suo era già un caso perso, con tutta quella roba da promoter della Jack Daniel’s per motociclisti.
'Tutti, dovrei farli fuori tutti!!', riflettè con rabbia, per poi ripensare, velocemente: 'Ed è quello che ti stanno spingendo a fare, Rose. Ecco perchè sono tutti qua.'
E fissò Eddie negli occhi, ricambiata.
'Bastardi!!', pensò, illuminata. Banda di bastardi!!
Volevano farsi cacciare, tutti. 
Farla passare dalla parte del torto, così loro non avrebbero infranto niente, e lei avrebbe dovuto pagare per le loro ribellioni!

Bastardi che avevano ben fatto i loro conti.
Bastardi a cui non bastava più quello che aveva loro dato e concesso... 

Ma Rose Evans non si sarebbe mai fatta fregare così. 
Li avrebbe fatti sputare sangue prima di questo!
Si raschiò la voce, e fissò Dorian, con occhi fattisi improvvisamente più furbi.

“Immagino siate finalmente diventate un fronte compatto.”, disse, invece, girando con calma attorno alla scrivania. “Dovrebbe essere un piacere vedervi se non fossi così... preoccupata per voi.”, calcò bene sulla parola. 

Dorian alzò stancamente la testa, fissandola, e Rose ebbe quasi un colpo.
Così, da un giorno all'altro, Dorian appariva sciupato: no, nessuna l'avrebbe mai gettato via, ma la stanchezza e la tensione micidiale che lo minavano apparivano sul suo viso stupendo, dandogli un'aria davvero adulta.
E sempre dannatamente sexy, a prima vista, ma c'era dell'altro.
Altro che Rose voleva sentire.

Era venuta per dare battaglia, Rose Evans, per minacciare, litigare, sbattere porte e forse cacciare qualcuno.
Mostrare la cosa di cui andava più fiera: il suo potere.
Il fatto che si fossero presentati in formazione gli avrebbe dato solo più soddisfazione nel mortificarli.

“Rose, io so cos'hai...”, disse Dorian, con la voce arrocchita. 
Fottutamente sexy, più adulto in soli due giorni. 
Faceva fatica a tenere su la testa, e infatti la appoggiò ad un gomito, mentre si passava una mano nei capelli corti come gli era diventata d'abitudine.

“Perciò finiamola qui. Ho esagerato. Ti chiedo scusa.”
“Cosa?!”,quasi urlò Rose. 
Voleva litigare, lei. Voleva minacciare, arrivare alla soglia di cacciarlo, fargli balenare una vita vuota davanti, sciorinare tutte le clausole che l'avrebbero rovinato, che gli avrebbero fatto passare per sempre la voglia di andare in Irlanda o mettere il naso fuori da casa. 
Ma Dorian l'aveva presa in contropiede.
Si era arreso.

Dorian avrebbe voluto ghignare, ma ero troppo intento nella sua commediola, per potersi sputtanare.
“Chiuso. Non vedrò mai più Justin. Avevi ragione tu.”, e finalmente alzò la testa fieramente, guardandola negli occhi.“Non è una compagnia adatta. Avrei dovuto darti ascolto.Me ne sono accorto tornando. E' cambiato, non è più la persona che conoscevamo, e non lo sarà mai più.",e le spedì un sorriso.
Un sorriso speranzoso, da amicone.

Un sorriso al posto della battaglia che aveva pregustato la manager per tutto il tempo in aereo, come una spettacolare partita di risiko, con affondi, ritiri ed attacchi.
“Puoi perdonarmi, per favore?”
*
*
(Un altro dove\Un altro quando)

Dayer.
Dayer l'Innocente.
Avrebbe dovuto essere chiamato Dayer Il Soddisfatto, dall'espressione che aveva assunto.
Era un gatto che era andato al lardo, e non ci aveva rimesso lo zampino.

E mentre le forze gli tornavano, lentamente, mese dopo mese, se non in anni per riavere tutte le sue forze sprecate, prima nello scontro fallito e poi nella sua mossa vincente, sorrise, abbandonandosi al ghiaccio di sangue, appoggiandosi delicatamente e lasciandosi andare al riposo e alle forze che piano piano, stilla dopo stilla, tornavano a lui. 
“Non dovrai neanche vedere la mia faccia, Immemore...”, e rise, vezzosamente in contrasto col suo aspetto ancora orrendo. “Ti colpirò... E non saprei neppure come. O quando. O chi sarà. E non lo saprò neanche io.”, e chiuse gli occhi, con un'espressione quasi di felicità.
“Finchè non mi incarnerò. Non lo saprò neppure io...”
E si addormentò, nel nuovo millennio.
*
*
A Dublino, nell'estate calda, ma finalmente di nuovo piovosa del 2000, Edele allungò una cosa ancora bagnata al figlio, che stava ancora beatamente sul letto, condividendolo con Ròis (voleva bene a quella ragazza, ma a volte si chiedeva se Justin fosse mai rimasto schiacciato) così come condivideva l'altro paio di cuffie ed ancora la copia di Songs of faith and devotion sul piatto dello stereo.
Ròis era quasi addormentata, quando una leggera gomitata la svegliò da 'Rush'; a lei i Depeche Mode non piacevano tanto, ma aveva voluto assecondare il volere di Justin di farle sentire uno dei dischi più 'passionali' della storia. 

Lei chiamava passionale qualcos'altro, di solito.

Quando si tirò su, sbadigliando a dovere, si trovò davanti due occhi ridenti sopra una cartolina tutta bagnata e stropicciata di un posto assolato.
“Una cartolina...”, disse, trattenendo un altro sbadiglio. Quel fottuto gruppo inglese era soporifero, non pieno di passione, cazzo! Ma guai parlarne a Justin.
“Pasadena, Rose Bowl...Qualcuno ha modificato il 'rose' con un pennarello”, lesse, mente Justin leggeva l'altro lato. 
-Caro il nostro frocio, indovina dove stiamo per suonare? Esatto!! Abbiamo pensato che sarebbe stato doveroso pensarti...Dorian ha deciso di dire 'Good Evening, Pasadena' in tuo onore.-
Poi, con la scrittura di Dorian, con la sua stilografica nera elegante, un P.S.
-Ti abbiamo mandato due biglietti. Uno per te ed uno per 'quella gnoc' (cancellato male) la tua fidanzatina. Se accetti di venire, ricordati... Stiamo scaldando il Rose Bowl per te! Dorian-

Ròis stava per addormentarsi, di nuovo stesa, quando Justin la svegliò, stavolta completamente eccitato.
“Ròis, mio tesoro...”
“Mmm, Justin...ho sonno...”
“E io me ne frego. Vuoi venire con me a Pasadena?”, le chiese, con espressione mielosa, prendendole la mano.
“Eh?”
“Pasadena. L.A. USA.”, e rise. “Scaldiamo i motori, bella mia!”

Capitolo scritto con la collaborazione di U2 (fin dall'inizio), Depeche mode assunti in massicce dosi fino al 1996 ed un pizzico di Cure. 

Betato da Jo_The Ripper.

I prossimi capitoli, causa sfortuiti (esiste? Boh. Chissenefrega!!) eventi e tempistiche non coincidenti, potrebbero essere non betati. 
Poi spero la cara beta reader vorrà correggere e li rimetterò al loro posto ben scritti.
Da febbraio circa inizierà la valanga. 
Non vivi tremila anni se non impari a portare pazienza, direbbe Alael...
Un 2014 di M... a tutti (psicologia inversa)

Babs

 

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Capitolo 25
*** 25. Non c'è niente che voglia di più ***



25. Non c'è niente che voglia di più

"And...
There was nothing in the world 
That I ever wanted more 
Than to feel you deep in my heart 
There was nothing in the world 
That I ever wanted more 
Than to never feel the breaking apart 
All my pictures of you
Lallalallala
Lallalallala
Lallalallala
Lallalallala-ah..." *

Al finale delicato della canzone, in un emozionante calando di tutti gli strumenti acustici per lasciare posto alla voce, resa piano piano più impalpabile, Dorian applaudì come risvegliandosi da un sogno che stava via via già dimenticando. 

Eddie e Shane se n'erano andati a vedere il Rose Bowl, emozionati come due scolaretti in libera uscita e lui si era separato da loro per andare a quel concerto acustico a Los Angeles.
 Lui il Rose Bowl l'aveva già visitato.
*
*
Dopo la litigata sfiorata per un pelo con Rose, dopo che il duo-meraviglia li avevano lasciati soli su incitamento di Dorian, la Grande Sorella con le Chiappe in Poltrona (seppure una semplice sedia d'ufficio) aveva tentato di farlo contraddire in tutti i modi, calcando la mano sul perchè Justin non sarebbe stato una buona compagnia per lui.
Aveva provato a farlo esplodere, ma non c'era riuscita: che dicessero quel che voleva su William Fitzgerarld Kierdiing, ma aveva cresciuto Dorian con dei nervi sui quali, se solo avesse voluto più spesso tenerli saldi, avrebbe potuto camminarci un equilibrista! 
Si era dichiarato d'accordo con tutto ed ammesso di essersi lasciato ingannare dalla nostalgia, e la manager, dopo due ore di quello che credeva un ulteriore e definitivo lavaggio del cervello, aveva lasciato libero Dorian, sospirando. 
"Non vi ha mai portato a niente di buono, Dorian. Ricordalo. Ricordati di quando avete litigato, voleva praticamente cavarti gli occhi! E ricordati anche di come ci ha portati a litigare, con i suoi modi subdoli.", aveva concluso, mortalmente stanca, portandosi le dita alle tempie.
Dorian aveva annuito, l'aria angelica ed afflitta allo stesso tempo. 
E se n'era uscito mogio mogio dall'ufficio improvvisato, percorrendo il corridoio verso la sua camera per riposarsi.
Erano stati giorni stressanti, mesi stressanti prima di venire a patti con i fatti, per citare una delle frasi che aveva usato. 

Due ore dopo, si era seduto sulle gradinate del Rose Bowl di Pasadena, pensieroso e guardando la notte limpida e stellata sopra di lui; entrata speciale, notturna, per lui, la popstar.
Il Rose Bowl, con la sua magnificenza, non gli trasmetteva quell'eccitamento che avrebbe visto poi in Shane e in Eddie; gli dava calma, quell'enorme catino vuoto ma che sembrava ancora risuonare delle urla, come spettri ancora aleggianti sul suolo. Pulsazioni sorde e basse, con qualche strillo fantasma a squarciare la notte. 
Uno snodo positivo nelle parallele dell'emisfero.
  
Anni prima, Justin l'aveva costretto a divorarsi due o tre volte la VHS dei Depeche Mode nel concerto '101', quella che Shane, sottovoce, definiva ' un'ottantata pazzesca'- Lo faceva ma sottovoce, per non farsi sentire dall'amico. A Justin non si potevano toccare certi gruppi, gli si ingolfava persino la faccia per la rabbia, tentando di illustrare loro tutta la storia ed i  cambiamenti per cui erano importanti nella storia della musica!, ed era meglio evitarlo. 
Dorian, sebbene non fosse un avanzo di anni '80 come lui, l'aveva divorato.
Non aveva amato la band in sè, ovvero era chiaro che i Depeche Mode gli piacevano; aveva un cervello e funzionava bene e solo quello sarebbe bastato, ma non aveva amato solo loro. (*)
Aveva amato soprattutto la performance. 
Era fisica, sudata, in uno stadio enorme e gremito, come per grandi concerti rock. Aveva il sapore di un arrivo e di uno start assieme. 
Aveva guardato il Rose Bowl con occhi decisamente diversi da quelli che avevano concordato, con la Grande Sorella Evans, che occuparsi del suo amico ulteriormente sarebbe stato uno sbaglio.
Aveva guardato il Rose Bowl come quando, a Linayr, aspettava Eddie ed il sole colava il cemento o la pioggia sembrava evitarlo.
Aveva visto, infine, nel Rose Bowl un punto di arrivo.
Di un lungo, lunghissimo viaggio che sarebbe partito chissà quando.
*
*
Una gomitata nelle costole l'aveva risvegliato da quel coma leggero che l'aveva preso alla fine di 'Pictures of you' dei Cure. 
Con suo sollievo, dopo averla rivista un altro paio di volte, aveva scoperto che Monik Schreiber, la sua ex di una vita fa, non era incazzata eternamente con lui.
Era incazzata con tutti, compresa la sua datrice di lavoro\amica, che aveva appena finito lo spettacolo e se ne stava andando. 
Con un'altra gomitata appuntita, la biondina tedesca con l'eterno microfono ear in con auricolare e  mano sull'orecchio, senza smettere di sibilare qualcosa in perfetto inglese british, gli aveva allungato un pass magnetico ed indicato una porta nascosta tra le quinte dei pesanti tendaggi di velluto rosso. 
Il backstage. 

Dorian si rigirò il pass tra le mani e tentò di parlare, impacciato come le altre due volte. 
"Monik, io..."
"..."
La biondina, fasciata di lattice nero in cui i soli capelli corti a spunzoni e quasi bianchi risaltavano nelle luci UVA, fermò per un momento il suo dare ordini\istruzioni per inchiodarlo con i suoi occhi azzurro ghiaccio. 
Uno sguardo che gli permetteva forse di parlare, ma di muoversi, please!
"Volevo dire che... vorrei parlare con te, quando avrai più tem..."
"Vai, Dorian. Non starà qui per molto tempo."
Liquidato.
Gelato.
Affisso al muro della vendetta con una frase.

Dorian fece un ulteriore tentativo, ma nel tempo che ci mise per prendere fiato (due secondi), Monik stava già avviandosi a passo svelto, non smettendola di parlare, gesticolando come una forsennata verso i tecnici delle luci. 
Con i tacchi 12. 

Dorian si sventolò un attimo col pass, giusto per pensare che forse era stato meglio così, non sarebbe mai stato felice con quello che Monik era diventata (-ma lo sarebbe diventata, se lui non l'avesse lasciata in quel modo? Ma se l'avesse lasciata lo stesso per...- Queste erano cose che portavano un lungo strascico di domande a loro volta...), e si avviò verso il backstage. 

Per quella notte, e ancora per un po' di tempo, il Rose Bowl avrebbe atteso.
*
*
"Problemi per passare?"
"Problemi con le extensions?"
"Un'altra battuta sui miei capelli e chiamo Monik."
"Così sbatte fuori me e se la prende con te!"
Katryn sorrise di vera gioia a battagliare in quel modo adolescente con Dorian, mentre si spazzolava i capelli, fino a poco prima sobriamente raccolti per lo show unplugged. 
"Non ho le extensions, e lo sai."
"Le avevi, l'altra volta."
"Dove?"
"A Minneapolis."
"Ah, ma venivo da uno stupido servizio fotografico per GQ... Sai come sono quelle riviste da maschi..."
"Riviste da segaioli o froci in incognito, le chiamava Shane."
"Guarda, un bel servizio su Playboy come mamma mi ha fatto sarebbe più gradito e piacevole, se perdessi cinque chili di sedere. Per quelle riviste da uomini patinati, invece... per poi trovarmi tutta photoshoppata, oltre che le due ore di trucco e le extensions e il corpetto che non mi lasciava respirare..."
"Photochè?"
"Ah, lo faranno anche con te, probabilmente. Modifica digitale della fotografia.", e abbassò impercettibilmente le palpebre, fermando la spazzola."O pensi di essere troppo bello per avere qualcosa di modificabile, Dorian-Dorian?"
"Penso di essere troppo bello.", e si lasciò cadere in una poltroncina vicino alla sedia per il trucco. "E un paginone centrale di Playboy come mamma ti ha fatto lo comprerei volentieri anche senza che tu dimagrissi! E manderei anche una lettera di ringraziamento a Mamma Delaroux!"
"Stronzo. Dove sono i tuoi compari?", lo interrogò Katryn, alzandosi in piedi e venendo subito messa seduta da Monik, sbucata dall'oscurità, rapida come un furetto.
"Ferma, non vorrai uscire così, vero?! Hai il trucco sciolto dal calore! Dove cazzo è la stylist?!", e scomparve di nuovo, lasciandoli soli.
"..."
"..."
"Dorian..."
"Eh? Se mi chiedi di sposarti non rifiuto, ma camere separate. Russi, lo sai, vero?"
"Me l'hai detto almeno cinquanta volte in tre volte. No, pensavo... Se  scappassimo in un fottuto fast food?"
"Oddio Kat...",sospirò Dorian, passandosi la mano tra i capelli."Io ho paura di Monik, lo sai benissimo! E ce l'hai anche tu o non mi proporresti di farti da complice, lo faresti e basta!"
Katryn provò col broncetto sexy ma non ottenne risultati.
Gli occhioni da cerbiatta, trucco sciolto o no, ottennero un ennesimo sospiro. 
"Tu... ci farai ammazzare, ragazza!"
"Dai, bello di boyband, si vive una volta sola!", strillò, alzandosi dalla sedia ed infilando la porta del camerino.
Quando Monik Schreiber tornò, sprizzando ormai scintille dai tacchi stiletto d'acciaio, fu inavvicinabile da chiunque al mondo. Per quasi mezz'ora si espresse nella sua lingua natale con un linguaggio talmente colorito e così dannatamente tedesco che mai avrebbero immaginato gli addetti ai lavori. 
Katryn stava per decollare e lei stava lavorando come un mulo per farglielo fare.
E scappava col suo ex Dio solo sa dove?!
NEIN, NEIN, NEIN, NEIN, NEIN!!!!!
SCHEI§E!!
*
*
In un affollatissimo McDonald's di L.A, nella zona di West Hollywood, nessuno faceva caso ad un biondissimo idolo per teenager vestito come uno dei tanti grungettoni per la città ed una ramatissima rockeuse in ascesa con pantaloni di lattex ed un bustino nero ricamato che si piantarono in uno dei tavoli più lontani dalla folla. 

Qualche squadra di qualche college doveva aver vinto qualcosa, poichè tutti, telefonino alla mano e digitali nuovissime, tentavano di autofotografarsi nella ressa di giovani e ragazzine al banco degli ordini; gente troppo mainstream per riconoscere quei due, senza abiti di scena uno e senza ancora troppo successo l'altra. 
Sarebbe stata un'altra storia se fossero capitati, malauguratamente, Shane ed Eddie, vestiti in blazerino d'ordinanza e riconoscibilissimi; Dorian aveva segnalato la sua posizione, per quanto aveva capito dove lo stava portando Katryn, ma dubitava quei due a) fossero ancora al Rose Bowl b) fossero ancora nella Contea di L.A.
Ed anche se fossero stati là non li avrebbero certo raggiunti; credevano di far loro un favore a lasciarli soli. 

Certo; Katryn rimestava la sua insalata di pollo, svogliata, dopo due tortini alla mela ed una coca cola, e Dorian azzannava senza troppa voglia ma convincentemente un doppio McBacon per non parlare. 
La verità era che dopo la volta che si erano rivisti ed erano finiti a letto assieme (ci siamo 'andati', non 'finiti', non si cade in un letto...-si corresse Dorian-), a New York, avevano concordato di aver sofferto di una grave sindrome di 'newyorchite', o di Sex and the City. 
Peccato poi c'era stata la volta di Minneapolis (e che fatica districarsi tra tutti quei capelli finti!); ma già lì c'erano state troppe risatine, molte chiacchiere e poco di fatto. Ad Akron era andata a vedere un loro spettacolo e nel backstage era stata felicissima di vedere Eddie e Shane, tanto da non lasciarli andare via, così come non aveva voluto lasciarli andare via Dorian. 
Se lo sarebbe scritto in faccia.
NON lasciateci soli!
Una foto tutti assieme per qualche rivista da teenager o magari anche più top, vista la fama esordiente ma seria di Katryn, e il raccontino di come si fossero conosciuti da ragazzi, quando lei era una riotgrrrl con un cappottino sbrindellato e i capelli rosso fuoco che girava l'Europa al seguito degli Smashing Pumpkins, e loro un vero gruppo rock. 
Nessuna menzione a Justin, ovviamente. 
Ovviamente.

Quel discorso non era mai saltato fuori tra loro, così fu forse il karma che fece saltare fuori il discorso, mentre Katryn se ne stava ad occhi bassi a fare del tavolo un'opera di arte contemporanea grazie alle salse, con aria schifata e divertita assieme. 
Il karma o la noia di Dorian Kierdiing.

"Sai, ho visto le foto di quando eri venuta a Dublino.", e le sorrise, con ancora mezzo panino tra la gola e lo stomaco.
"Le mie foto da punkettina?"
Katryn lo guardò sorpresa.
"Sì. Quelle che ci avevi fatto e quelle che poi ci siamo fatti tutti assieme."
"Ma...erano mie. Avevo dato le copie solo a...",e lo guardò sospettosa. "Tu... vedi Justin, ancora?"
"Lo vedevo.", ammise a malincuore Dorian, poggiando finalmente l'enorme panino. Il boccone non voleva andarsene del tutto giù, sembrava rimanere tra la gola e lo stomaco, ed il suo amaro boccone, tra la testa ed il cuore.

Ok, il mio cuore è dove è sempre stato, la mia testa da qualche parte, lì in mezzo...**-pensò Dorian, assurdamente. 
"L'ho visto tre giorni fa. Sono stato da lui."
"A-ah. E che avete fatto?", chiese, poco interessata, la sua collega, iniziando ad alzarsi, incurante dello scempio.
"Gli ho detto di te."

Katryn si bloccò mentre stava per alzarsi, a bocca spalancata e borsetta che debitamente si ribaltò a terra, svelando un'impressionante numero di trucchi pret à porter. 
"Tu...che cosa hai...PERCHE'?!?", strillò l'ex rossa, ora debitamente del colore dei suoi 'capelli punk' anche in faccia.
Dorian fu colto da sorpresa, tanto che restò impalato anche quando Katryn raccolse e gettò sommariamente in borsetta i trucchi e si alzò del tutto, lanciandogli una fulminata.
"Ho bisogno di una sigaretta. Muoviti!"

Dorian sospirò, raccolse un tubetto di rossetto Mac che si era lasciata dietro e le si lanciò alle calcagna.
"Certe teste di cazzo non cambiano proprio mai..."
"Cos'hai detto?!", le urlò lei, da in mezzo alla calca, fregandosene della gente che avrebbe potuto riconoscerli o meno.
"Che anche io vorrei tanto una sigaretta.", si riavviò i capelli Dorian, con un tono leggero.

Avrebbe voluto aprire la testa a lei e a Justin, altrochè sigaretta.
Cantanti.
Teste di cazzo per definizione.
*
*
Seduta in un parco, alla quarta sigaretta fumata di seguito, in silenzio totale, Katryn sembrava più calma, tanto che riuscì ad affrontare il discorso, accendendosi la quinta sigaretta.
"Perchè gliel'hai detto?"
"E tu perchè l'hai detto a Monik?",e quasi Dorian si mollò uno schiaffo in bocca. Detta così sembrava una ripicca tra ex, e questo fu quello che gli fece intendere lo sguardo luccicante di Katryn.

"Monik ci ha svegliati, a New York, se ben ti ricordi..."
"Mi ricordo, scusa, non volevo dire che..."
"...perchè qualcuno mi ha fatto fare tardi per l'intervista che dovevo dare dopo il concerto all'East Village!", concluse con voce sempre più stridente la ragazza, come non fosse neppure stata interrotta. 
Sembrava avere una lima al posto dei denti.
Dorian si prese la testa tra le mani: ma che aveva fatto?!
Ti sei fatto la ragazza sbagliata!
Entrambi avevano reagito malissimo: era lui che era sbagliato? Erano loro che raccontavano un sacco di balle? 
Justin era sembrato affiatatissimo con Ròis, tanto che aveva creduto di avere le allucinazioni; è vero che Katryn era stato praticamente il suo primo amore, ma, come lui, con l'arrivo della boyband, non si era fatto scrupoli a lasciarla. 
Katryn non si era ricordata di Justin finchè non l'aveva nominato, e poi era scoppiata. 
Dorian decise che ne aveva abbastanza.

"Qualcuno ti ha fatto fare tardi a New York, cara mia?", chiese, alzandosi in piedi e fronteggiandola, improvvisamente serio e determinato.
"Sì,e sai bene che..."
"Che la parole giusta è 'scopata'!! Una, anzi due! Due scopate, e non mi pareva te ne fregasse poi tanto! Almeno alla prima volta! Non mi sembravi così scontenta! A meno chè non fingessi, e se vuoi dirmelo sparamela pure qua, in testa, tanto tra te e Justin non c'è verso di ragionare! Dai, dài pure un colpo al mio non-orgoglio virile!",e riprese fiato per sparare qualcosa che aveva sentito e che non gli era mai passato dalla testa. "A meno chè tu non lo volessi. Allora è stato uno stupro, e non mi sono mai arrivate denunce! Perciò se vuoi concludere qua un'amicizia dillo subito e tolgo le mie ammirate terga da questo posto di merda! Vuoi l'indirizzo di Justin?! E' quello vecchio che scommetto hai ancora! Ma sappi che ha una ragazza e che comunque, ragazza o no, secondo me avrebbe voluto ri-sbatterti lui, non so se per davvero o in onore dei vecchi tempi! Dammi un pezzo di carta e te lo scrivo! Anzi ti dò il suo numero di cellulare!", e si avviò, tra il turbinare del vento losangelino, lasciando Katryn basita, la sigaretta a consumarsi da sola, impietrita sulla panchina dove si erano rifugiati dopo il fast food.
Poi si fermò e le puntò l'indice addosso.
"No, non scomodarti. Te lo mando per messaggio! Sappi che comunque ci sarà domani sera al nostro show a Pasadena! Puoi venire a prendertelo, per quanto mi interessa!"
"..."
"Bene, ci vediamo!",e si girò, iniziando a bestemmiare in irlandese. 
"Dorian....",e sentì il rumore di passetti rapidi sul cemento che lo seguivano ma non si girò, imperterrito.
"Dorian... fermati!"
"..."
"Dorian...non lasciarmi da sola, per favore!!",e qualcosa nell'incrinatura della voce, fece abbassare le spalle al macho in lui per far posto al solito Dorian.
Quello che aveva aspettato mezzo pomeriggio sotto la pioggia per portare un gelato a Monik, a Dublino.

"Katryn, sono stanco. Domani sera devo essere in scena. Che c'è?"
"Noi...non parliamo più del passato. Noi...", e sembrò esitante, stranamente.
"Noi che? Se non parleremo più del passato non ci sarà neanche un noi.", ironizzò cinicamente.
"Noi...siamo amici?"

Dorian sospirò e allungò un braccio a prenderla per le spalle, un po' per sorreggerla sui tacchi con i quali era scappata dalla scena, un po' per sentirla vicino e per farsi sentire.
"Sì, siamo amici. Da quasi tre anni, ormai.", e le rivolse un sorriso disarmante. "Ci hanno solo separato e ci siamo ritrovati male. E' questo che vuoi? Sicura?"


Katryn sembrò pensarci, poi annuì, sorridendo.
"Non c'è niente che voglia di più."
"Domani come farai con Justin?"
"Mmm.... è rimasto il figo che era?"
"Più o meno... anche se figo non sarebbe la definizione che gli ho dato. ma sarà con la sua fidanzata."
"Davvero ha una fidanzata?"
"Sì. E molto simpatica. E...determinata."

Katryn si fermò ancora a pensare, inclinando la testa ed accendendo due sigarette, una per lei ed una per Dorian.
"Deve esserlo, se riesce a stare con quella testa di cazzo. L'ho conosciuto poco ma è dura stare con Justin."
E lo vieni a dire a me..., pensò Dorian, sospirando internamente.

"Sarà divertente. Se è una tizia che resiste con quello stornzo, sarà una tizia divertente ed in gamba. Io non ci sarei rimasta.", finse di rabbrividire. 
Falsa come Giuda...
"Allora noi resteremo amici?"
"Amici, Kierdiing."
"Amici. E detto questo, puoi mettere per me una buona parola con Monik...AHIA, la borsetta no, fa male, ehi, i morsi non valgono, acc...!!""
*
*
Dopo mezz'ora di rincorse, capitomboli, morsi e tirate di capelli (no, Katryn non aveva davvero le extensions), i due si ritrovarono sulla panchina, a respirare rumorosamente, prendendo fiato.
"Si...sigaretta?", esalò Katryn, gettando la testa indietro melodrammaticamente e sporgendo il seno in avanti. 
"Ma che...vuoi...che...muoia?!", riuscì a rispondere Dorian, la testa tra le mani, in basso tra le ginocchia, come dovesse vomitare.
"Non... lo so. A volte sì..."
"Stron..za!"
"Fro...cio!"

Stettero in silenzio per un po', riprendendo fiato, quando un 'tweet' sommesso, dalla tasca dei pantaloni sformati di Dorian, li fece quasi sobbalzare, nella quiete del parco. 

"Ecco un sms dai due soggetti, vediamo dove...",e si interruppe improvvisamente, scrutando lo schermo. 
"Dove sono?", chiese Katryn, sventolandosi con poca efficiacia con una mano, non guardando il cellulare.
"Non sono loro...", rispose Dorian, con voce ovattata.
*
'Hey, stronzo, non so che ore siano da te. West Coast? East Coast? Ah, Pasadena. Good evening, Pasadeeenaaaa! E' sempre sera a L.A! Salutami il Rose Bowl, vai a farci un giro o sepellirci Rose, fallo per me. 
E poi vai dove dovrete esibirvi.  In quanto a me... Vorrei ringraziarvi del pensiero, ma preferisco sepellire quel che è per me adesso il gruppo senza me. 
Sai cosa penso, non è il mio gruppo, quello. Non è il mio posto. 
Ròis ti saluta, si è divertita molto a suonare con te. Non dire niente, è stato penoso.LEI è stata penosa, non sa suonare ed era emozionata, ed io non ho suonato meglio anche se possiedo una Telecaster! Tu hai suonato meglio di tutti, anche se hai perso un po' di smalto. Ma ne riparleremo.
Quello che voglio dirti è che NON ne riparleremo domani. Non voglio. Voglio ritrovarvi dopo e provare anche io a fare quello che mi porterà a fare la vita, finchè ci riuniremo. 
E poi, conoscendoti, avrai progettato qualche trappola a sorpresa per me!
Mi raccomando il saluto.
"GOOD EVENING, PASADENA!!"
*
Ora Katryn lo stava fissando, mentre Dorian leggeva le poche e confuse motivazioni per cui Justin opponeva un rifiuto al loro invito. 
 ...non è il mio gruppo. Non è il mio posto.
-E qual è il tuo posto se non con noi? Ti costava così tanto, dopo tutte le volte in cui ho rischiato il culo per venirti a vedere, ad assicurarmi che non stessi per tagliarti le vene?! Stronzo. Irresponsabile. Menefreghista. Ne riparleremo, sì. Stai tranquillo. Ma non tanto presto!-,pensò Dorian, con rabbia, riponendo il cellulare ed imponendosi un sorriso forzato.

"E' Justin. Frena i bollori. Non viene."
"Ah. Beh, penso sia meglio così, per lui.", sentenziò Katryn, mentre si accendeva la sigaretta, ripreso fiato. 
-Per lui sì. Per me? A me non pensa nessuno, eh?!-

Fu riscosso da questi pensieri dalla voce di Katryn, arrocchita dal fumo e dalla corsa, resa un po' più dolce in quel modo.
"Pensiamo a te, adesso..."
"Mi leggi nel pensiero?"
"Siamo a L.A. Hai uno show domani sera a Pasadena e poi uno a L.A. stessa. Pensavo di presentarti una persona se non ti comporterai come un coglione."
"Cosa vuoi dire?"
"Ho mandato un messaggio a Billy Corgan. E' in città.",ed espirò la boccata di fumo, non guardandolo ma sorridendo perfidamente. "Avevo fatto sentire la vostra demo da mocciosi. Gli era piaciuto veramente tanto il songwriting e almeno metà è opera tua. Silences spaccava di brutto ed è tutta tua."
"Stai scherzando?"
"No. Se ti và possiamo incontrarlo. Sennò puoi riconsegnarmi nelle grinfie di Monik e ci vediamo domani sera!"
"E domani sera che farai, a proposito, visto che Justin non ci sarà?", sorrise più naturalmente Dorian. Per quello non l'aveva lasciata. 
Lo metteva sempre innaturalmente di buonumore, la sua amica.

"Mmm... penso mi prenderò Shane. Quello aspetta solo di essere preso.", finse di ponderare, con tanto di mano sotto il mento, Katryn.
"Shan...oh mio dio!", scoppiò a ridere Dorian. "Ma vuoi passare alla storia come quella che si è fatta tutti i Changes?!"
"Oh no..."
Katryn si alzò dalla panchina e si diresse verso la strada per fermare un taxi.
"Semmai come quella che si è fatta tutti gli Interferences."

Secca come una fucilata e misericordiosa come se ben puntata, la speranza colpì Dorian, a sentire quelle parole. 
Si alzò e corse verso il taxi dove stava salendo la sua amica, sul sedile posteriore, e aspettò che desse indicazioni all'autista.

"Tu... pensi che potremo farcela? A riunirci?"
"Dorian, dio mio, come sei noioso...", sospirò, accendendosi una sigaretta. "Tu e Justin siete come quando una forza inarrestabile incontra un soggetto inamovibile***..." 
"E sarebbe?"
"Un modo per dire che è inutile che vi incazziate l'un l'altro. Vi annullerete. Non si sa come, ma siete sempre arrabbiati l'uno con l'altro, ma trovate sempre il modo di uscirne. Siete solo melodrammatici.", e lo fissò, con un sorriso contagioso. "E ovviamente, due teste di cazzo!"

Da che pulpito sentirsi dare della 'testa di cazzo'...
*
*
A Dublino, Justin spense il cellulare e si rimise a seguire la lezione di Sociologia occidentale. Ròis gli strinse una mano sul ginocchio, sotto il banco.
"Sicuro di aver fatto la cosa giusta?"
"No.",sospirò, ma aprì il quaderno e provò a prestare attenzione alla lezione. 

La foto dello show di Pasadena, con Dorian che esibiva con fierezza Phoenix, usata nell'intervallo acustico, autografata da Billy 'Pumpkin' Corgan, che gli stava a fianco nel backstage assieme a Katryn e Melissa Auf Der Maur, la bassista negli Smashing Pumpkins e nelle fu-Hole, che Shane aveva preso amichevolmente per la vita, gli arrivò una settimana dopo, comprando NME. 

Un infarto sarebbe stato più piacevole, anche se non avrebbe potuto dire di non averlo sfiorato.
Il suo ex-gruppo era su New Musical Express, non su qualche cagata da teenager!

Non lo stavano aspettando!! 
*


CAPITOLO NON BETATO, PORTATE PAZIENZA MA DA STUDENTESSA SOTTO ESAMI NON POSSO SCOCCIARNE UN'ALTRA (JO_THE RIPPER, LA MIA BETA-READER, CHE HA 8 ORE DI LEZIONI)!!
In compenso ci sono molte citazioni, che molti avranno colto ma che preferisco chiarire a scanso di equivoci.


* E
 Non c'è stato altro al mondo
Che abbia mai desiderato di più
Che sentirti nel profondo del mio cuore
Non c'è stato altro al mondo
Che abbia mai desiderato di più
Che non sentire mai la distruzione
Di queste mie immagini di te

(The Cure- Pictures of you) 

**
Well, my heart is where is always been
my head is in something in between

(U2-Even better than a real thing)

***
Citazione da Batman, Il Cavaliere Oscuro (Joker); da questa si ricava il cosiddetto 'paradigma dell'onnipotenza', che non volevo assolutamente usare per intero, bensì solo per l'idea dell'annullamento. 

(*)La citazione finale è del mio chitarrista, un avanzo di anni '80 vero, lasciato dai Cure, dai Bauhaus,da Siouxsie e dal gatto: io ce l'ho con i Depeche Mode -ma và?!-, anche se questo racconto era nato come omaggio agli U2 -ri-mavà?!Sedici anni fa-, e lui una volta ha risposto con questa frase, alla mia mania:"Ci mancherebbe criticassi i Depeche Mode, è ovvio che mi piacciono, qualsiasi persona abbia un cervello dovrebbe amarli, ma..."
C'era anche un MA.
Con questo non voglio certo discriminare chi non ama U2 o DM. Ci sono tante cose dei due gruppi che non amo neppure io. 
Amen.

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Capitolo 26
*** 26. Saliscendi ***


26. Saliscendi
 


28 agosto 2001
*
Il tour si era concluso con tre serate da tutto esaurito a Londra, di cui una alla Royal Albert Hall da brividi in cui Dorian aveva suonato ben quattro canzoni, cantandole anche.
 
Sembrava il classico trionfo di fine tour, agli occhi dei fans che erano accorsi su Londra da tutto il mondo per acclamare il loro successo: non sapevano che quelle serate avevano già un velo d’ombra e d’incertezza per il futuro precario della boyband.
Rose era stata chiara, sebbene non usando termini specifici nel parlare con loro prima che lasciassero gli States per la vecchia Europa: il mancato rinnovo del contratto e la cosiddetta ‘libertà’ avebbe portato loro grosse grane.
 
Vi erano registrazioni, interviste, filmati pronti a dimostrare quanto poco bravi ragazzi fossero stati, quanti vizi avessero addosso, quanto ordinari fossero i loro problemi e persino quel poco di criminale che avevano mostrato.
La rissa tra Dorian e Justin era una mattonata nello stomaco di chi avrebbe letto le testimonianze dello staff e le foto di Justin accompagnato dall’aereo all’ospedale di Monaco di Baviera; l’amico cacciato si era paradossalmente trasformato in un’arma mortale contro il biondino, che a vedere foto e interviste sull’argomento aveva esalato un respiro e poi era diventato cereo.
 
Le bravate di Eddie nei bar erano sfuggite lievemente al controllo di Rose Evans, ma le più erano state sempre fotografate: sbronzo, puntualmente, specialmente negli States.
Oh sì, lì avevano dato il loro peggio.
 
Shane che tirava coca in un locale, beveva tequila e poi si metteva alla moto in piena Los Angeles. Un criminale, cazzo.
 
Foto di discussioni non propriamente pacifiche durante le prove, prima a quattro e poi a tre, condite da spintoni e facce ringhianti.
Notti brave di Eddie in strip bar.
Dorian che cambiava compagnia femminile come calzini: di quella ce n’erano diverse testimonianze.
 
Il futuro era tutto meno che roseo per il rimanente trio irlandese, ancora battente bandiera ‘Changes’  fino a nuovo ordine.
 
Avrebbero dovuto essere furbi, cosa che non si erano affatto dimostrati di essere fino a quel momento, e specialmente rapidi.
Coordinati.
 
E non erano certi, neanche se tutto fosse filato liscio, di scampare al linciaggio mediatico che sarebbe avvenuto.
Qualcuno sarebbe sopravvissuto, qualcuno sarebbe affondato.
Come sempre
*
Dopo la fine del concerto alla Royal Albert Hall, con quasi sette bis, il trio si ritrovò stanco, afono e a pezzi nel salotto del loro hotel a Londra.
 
Shane si accarezzava il bracci o tutto tatuato a L.A, mentre riflettevano, dopo lo scenario futuro  dipinto da Eddie: avevano evitato di pensarci fino a quel momento, rimanendo d’accordo su un solo particolare.
 
A fanculo tutto; non sarebbero rimasti in quel gruppo un giorno in più compreso dal contratto.
Sapevano cosa avrebbe fatto Rose, l’aveva persino detto loro, gongolando quasi.
Una bella conferenza stampa in cui li avrebbe letteralmente sputtanati; aveva talento per certe cose.
E loro erano stati lasciati allo sbando, dopo il concerto, letteralmente abbandonati dallo staff per non farsi rivelare niente: si erano dimostrati troppo svegli in passato, e non avrebbero lasciato che intuissero qualcosa.
 
Eddie tirò dalla sigaretta, nonostante il mal di gola dovuto alle tre esibizioni di seguito, e rantolò un accenno di tosse, guardando il soffitto, stravaccato sulla poltroncina della hall.
“Ci farà a pezzi. Ha quelle foto e persino quei video. Mi chiedo chi…”
“Aveva persone ovunque, è abbastanza chiaro.”,strinse i pugni Dorian, che non fumava più, a sentire lui, ma aveva una voglia dannata di una sigaretta. Appena quel cazzo di casino sarebbe finito si sarebbe comprato un pacchetto di spacca polmoni,  magari di maledette Pall Mall rosse da Jim Morrison, e se le sarebbe fumate tutte fino al filtro, probabilmente per poi vomitare l’anima. “Anche nella nostra città per tenere d’occhio Justin.”
Nella sua mente c’era la foto che erano riusciti a prendergli A DUBLINO, santo iddio, aveva avuto qualcuno da sguinzagliare anche là!
E perché no? Là stava sepolta la vergogna più grossa della sua carriera, quel componente fantasma che anche molte fans avevano reclamato e che Dorian, Eddie e Shane non avevano mai mostrato quanto mancasse loro.
 
Dorian stava ancora stringendo i pugni con rabbia, pensando con quanta astuzia e malevolenza li aveva incastrati, più di una volta, e non li lasciava neppure andare.
-Due album, due tour e la LIBERTA’ un gran bel cazzo!! E una reputazione rovinata!-, pensava, mentre senza accorgersene allungava la mano verso il pacchetto di Camel Light di Eddie, senza vederlo.
 
Senza vedere neppure la faccia di Shane che era come attraversato da un’illuminazione, ma a rovescio.
L’amico si era scurito in faccia, segno di un macchinoso arrovellarsi; c’era qualcosa in quello che Dorian aveva detto, ma cosa?
Un rovescio della medaglia.
Qualcosa che avrebbe avuto peso a loro favore, qualcosa con cui contrabbattere.
E poi, poi…
 
Il secondo pensiero che stava affiorando venne a galla assieme al primo, all’improvviso, e Shane si raddrizzò all’improvviso, continuando a grattarsi lievemente il braccio tatuato, come un portafortuna.
“Quando ha cacciato Justin. Non l’ha menzionato.”
“Sarà nelle sue carte e nelle sue foto, o avrà registrato qualcosa dal telefono… Qualche clausola del contratto, insomma non può averlo fatto fuori cos…”, ed anche Eddie si interruppe, guardando Dorian, ancora assente nella sua bolla di pessimismo.
“Eh, certo, figuratevi se ha tenuto testimonianze di aver fatto fuori Justin, di solito si dice che ‘ci si lascia consensualmente’, non si fanno queste cose in…”,e finalmente anche Dorian ci arrivò, sollevando lo sguardo e improvvisamente lasciando il pacchetto di sigarette cadere a terra.
 
“Cazzo…”,mormorò, premendosi una mano sulla bocca, gli occhi pieni di speranza.
“Oh sì… Quella è una macchia bella e buona!”, sorrise Eddie, di rimando.
Un sorriso perfido, che di allegro non aveva neanche l’ombra.
Shane lo imitò e gongolò nel prepararsi a dire l’altro.
 
Le sue idee affioravano come tante bolle da un corpo vivo in procinto di annegare in un mare infido; veloci, disperate e con una certa successione che non afferrava ma non gli importava.
C’erano.
 
Così, sogghignando, guardò fisso Dorian ed Eddie, seduti vicini, e li incalzò con una serie di domande.
Dovevano arrivare dove lui era approdato, ma dovevano arrivarci da soli –o perlomeno convinti di averci provato-.
 
“C’è dell’altro. Cosa faremo dopo che Rose ci avrà coperti di merda?”
“Ci ammazeremo?”, buttò lì Dorian, di nuovo nello sconforto.
“Ribatteremo, ma sarà tardi.”, quasi azzeccò Eddie, con rabbia. Salvo poi correggersi ed illuminarsi. “Tu vuoi ribatterle subito, vero, Shaney-Shaney?”
“Chiamami ancora così e ti spezzo un braccio.”, sogghignò.
“E’ impossibile farlo.”,arrivò la voce della disfatta sotto forma di un attraente biondino un po’ disfatto che si baloccava con una sigaretta. “Non sappiamo quando si terrà quella maledetta conferenza stampa o quello che sarà, con la quale intende sputtanarci. Ha allontanato tutti da noi.”, sbuffò, quasi più seccato che arrabbiato.
“Non è del tutto vero…”,lo fissò Shane, tanto da farsi ricambiare lo sguardo con un punto interrogativo da parte del biondino. “Tu. Hai ancora un contatto che sarebbe in grado di darti una mano.”
“O due…”, ghignò Eddie.
 
Dorian li fissò interrogativo e per un momento sembrò ritornare alla sua adolescenza.
Alla LORO adolescenza, in cui lui era il passerotto smarrito o meglio, il falco d’acciaio che si nascondeva sotto il passerotto inzuppato d’acqua che muoveva tutti a tenerezza con i suoi occhioni verde acquamarina e l’aria arruffata.
Poi capì, e un mano corse, senza volerlo, alla cravatta grigia che gli stringeva il collo sobriamente, mentre la faccia si apriva in un ghigno pari loro.
 
“Oh, voi fottuti bastardi…”
“Oh no, tu fottuta sgualdrina!”, rise quasi sguaiatamente Eddie.
 
Perché il loro piano non era politically correct e neanche si curava della parità dei sessi.
Nemmeno un po’.
“Jackie. Jacqueline. Volete che mi… che sappia da lei quando sarà la conferenza perché di certo ci sarà!”,  scoppiò a ridere Dorian, una mano in faccia.
Non ci credeva, quasi, era un piano pazzesco, ma più ci pensava e più ci rideva.
E perché no?
 
Ormai erano comunque fottuti, una cosa in più o in meno…
E se quell’oca non avrebbe saputo dirgli niente in merito beh… Peggio per lui.
Non ne sarebbe uscito a mani vuote.
 
“Un’altra cosa.”
La voce quieta ma col suo solito sottofondo massiccio di Shane li riportò all’ordine dalle sghignazzate più immaginarie che reali.
 
“Di cosa avete paura, realmente? Che ci infanghi?”
Dorian tornò ad inquietarsi, seppure con una fiammella ballerina negli occhi.
“Porco diavolo, Shane, è quello che vuole fare! Ricoprirci di merda, l’hai detto tu! Linciaggio mediatico, immagine rovinata per sempre, reputazione….”,e Dorian si bloccò, pensando, mentre invece Eddie rialzava la testa.
“Immagine a puttane. Per una boyband. Cose quasi accettabili per una rock band.”, e si alzò in piedi, spegnendo l’ennesima sigaretta nel posacenere quasi colmo.
“Ho capito cosa vuoi dire, Shane.”, mormorò, e fissò gli amici. “Qui non si parla di un futuro come questo presente che stiamo vivendo. Ma di un futuro diverso.”, e si perse con lo sguardo.
Nel garage di Shane, due anni fa.
Avevano appena riscosso un certo successo locale con la loro demo e avevano deciso…deciso…
“…la libertà.”, soffiò Dorian. “Vogliamo la libertà. Riprendiamoci la fottuta libertà. Al diavolo il gossip. Riprendiamo a suonare.”, e si alzò in piedi a sua volta, quasi furente. “E’ PER QUELLO che ci siamo venduti l’anima, abbiamo lasciato andare Justin senza ribellarci e ora cosa stiamo facendo?! Stiamo tremando davanti ad una puttana londinese infarcita di quattrini e in orgasmo da potere?! No! Torniamo a suonare, per Dio!!”
 
Si sedette e sembrò ritirarsi in sé, mentre parlava.
“Strapperò la data di quella conferenza a Jackie, ne potete stare tranquilli. Ribattiamo. E ricominciamo subito.”
 
Shane lo guardò, soddisfatto che avesse colto le sue sensazioni meglio di lui, quando Eddie, ancora in piedi che aveva iniziato a girellare, intervenne.
 
Eddie era lo svelto per definizione, niente gli sfuggiva.
Non si sarebbe fatto sfuggire anche questa cosa.
“Una contro-conferenza…in quattro. Chiariamo che siamo stati gabbati.”,e si illuminò. “Chiamate Justin. Che stia pronto a dire la sua.”, e sogghignò per l’ennesima volta.
“Ne ha tante, da dire, quel ragazzo, tante che si porta dentro da almeno due anni…”
 
*
Stesso giorno stessa ora, Dublino
*
Justin era ad occhi chiusi, fissando il poster dei Nirvana che gli aveva regalato Dorian almeno –una vita fa- oh, almeno 6 anni prima, rotto in un punto.
 
Era rotto in più punti per l’usura, ma in quel particolare punto era rotto per averci schiantato il cellulare.
 
Aveva rotto con Ròis da quella mattina. Una stronzissima mattina in cui quella stupida vacca boriosa aveva  accennato di aver risposto, qualche settimana prima, a delle domande sul suo conto.
In fondo era o non era la fidanzata di un’ex popstar che, ne era sicura, sarebbe tornato come rockstar anche senza i suoi amici che lo avevano lasciato da parte?
 
E Justin era nervoso, maledettamente nervoso; Shane lo aveva avvisato delle intenzioni di Rose e di tenere un comportamento defilato ed un silenzio stampa giusto la sera prima.
E Ròis se ne usciva con….quello!
 
Le avrebbe perdonato tutto, anche il fatto di fargli perdere tempo quando tentava di suonare, di voler sempre uscire e di fargli perdere la concentrazione, e di criticare i suoi testi e le sue canzoni come depressive e ‘da suicidio’ o di non capirle. Di rubare tempo a qualcosa che sentiva di dover fare e che senza stava male.
Le avrebbe perdonato tutto perché l’amava; di certo l’aveva amata.
Le avrebbe perdonato tutto perché stava affondando nel buio e lei gli aveva porto una mano…prima di spingerlo di nuovo, anche con una certa forza.
 
Il mondo che sembrava parzialmente stabilizzato si era rimesso vorticosamente a girare, mentre lui fissava costellazioni sconosciute e meteore infuocate, quando lei aveva accennato ai segni giallastri che nascondeva sotto i braccialetti e ridacchiava.
“Ho anche detto che hai un caratteraccio. Un vero caratteraccio, Justin Swanson. Ma che io ti amo anche così, anche se a volte sei un po’ matto.”
Justin si era sentito letteralmente boccheggiare; l’aria condensata in grumi dolciastri.
“Cosa hai detto di preciso?”,era riuscito ad esalare, pallidissimo.
“Beh ho raccontato di quella volta che mi hai preso il braccio e…”
 
Non aveva potuto sentire di più.
Aveva capito tutto e si era allontanato, mentre i primi tranci di conversazione gli martellavano in testa.
 
“Così ti avrebbe picchiata?”
“No, Justin non è cattivo… è solo che si arrabbia facilmente.”
“Si è arrabbiato facilmente tante volte con te?”
“Beh…”,e vedeva, VEDEVA con i propri occhi Ròis dubitare, pensare se mentire o no. Ma perché, poi? Lei amava Justin e lui avrebbe capito tutto, una volta gli avesse spiegato. “Ha un caratteraccio!! Poi se ne scusa ma se gli salta la mosca al naso…”,e la vide RIDERE, la risata profonda e di gusto, di piena gola, che conosceva bene. “…non si ferma davanti a nessuno, figurarsi a me. Guarda, una volta…”
 
Justin si era premuto le mani sulle tempie ed aveva proseguito, a caso, con un enorme mal di testa, lontano dal Trinity College.
 
Quando era approdato a casa, mentre tentava di infilare le chiavi nel portone mentre provava contemporaneamente a non lasciare pezzi di cervello martoriati sulla pavimentazione stradale, aveva sentito un flash.
Si era voltato e ne era stato colpito da un altro.
 
Il suo primo pensiero era stato talmente forte da trapassare la nebbia di mal di testa e rabbia che ormai gli invadeva il cervello.
MAMMA!
 
Si era ricordato che Edele era a zonzo con una sua amica dopo il lavoro.
Avrebbe dovuto subito dovuto avvisarla; sperando che trovasse dove stare la notte.
E forse anche il giorno dopo.
 
Totalmente all’oscuro dei piani che lentamente prendevano forma dei suoi tre amici a Londra, così Justin se ne stava sdraiato sul letto.
 
Ròis aveva chiamato, preoccupata, due ore prima e lui, tentando di mantenere la calma, le aveva spiegato cos’era successo, quando la sua voce gli aveva trapassato la testa, ancora provata, come uno spillo di ghiaccio.
“Così il fatto che sei un maledetto psicopatico ora sarebbe colpa mia?! E’ questo quello che vuoi dirmi?! Addossarmi la colpa di quello che hai fatto?!
 
A quel punto il cellulare era esploso in mille pezzi alla fine di un volo alquanto rapido, nello scontro con il muro sotto la chitarra di Kurt Cobain.
 
Justin se ne stava sdraiato sul letto, mentre sentiva il brusìo sotto casa sua, dove probabilmente intervistavano anche i suoi vicini di casa, e volontariamente non cercava niente per coprirlo.
 
Pensava di dover scontare quella pena.
Come aveva detto Ròis, era qualcosa che aveva creato lui
*
Stesso giorno, stessa ora, L.A
 
Katryn si svegliò confusa ed infradiciata da un sogno terribile.
 
Ne faceva sempre più spesso e per quel motivo quanto aveva preso quell’appartamento a L.A aveva insistito che Monik stesse con lei: quando erano sole la sua presenza, seppure in parvenza di acciaio inossidabile, si alleggeriva e addolciva e tornavano ad essere le amiche che erano state per anni.
Non poteva certo negare che le era indispensabile, specie in quel momento.
In quel momento la stava scuotendo, aiutandola ad uscire dal sonno.
 
“Se scendi tu, scendo anch’io…”,stava quasi cantilenando, con voce infantile, quando poi, fissando la sua amica negli occhi ma senza vederla, scandì perfettamente:”La spada non è solo decorativa.”
“Svegliati, Kat!”, la scosse ancora Monik, spaventata e turbata, ma più decisa che mai a strapparla da quell’incubo.
 
Katryn si svegliò, infine, ribaltando il bicchiere d’acqua che teneva sempre a portata di mano.
“Io.. io… oh…”, sospirò, accasciandosi sui cuscini. “Cos’è stato, Monik? Un terremoto?”
“Io lo chiamerei post-Seconal, razza di stupida!”, tentò di fare la voce grossa la tedeschina, ma sedendosi comunque accanto a lei e prendendole la mano.
“Piantala con quella roba. Rinuncia al sonno, piuttosto. Dormirai di giorno.”
“Non ho preso Seconal.”, disse distrattamente, accarezzando di rimando la mano di Monik e fissando lo specchio antico che aveva acquistato qualche giorno prima nei giri entusiasti per L.A, per arredare il loft, ancora mezzo spoglio.
“Mi spazzoli i capelli, Monik?”
“Uff…”
“Daaaaaiiiii…?”, smielò Katryn, con uno dei suoi sorrisi, appoggiando la testa ed i suoi lunghi capelli biondo ramato al braccio dell’amica, con tanto di occhioni.
 
Di norma, Monik non avrebbe accettato; l’avrebbe squadrata con i suoi freddi occhi trasparenti e l’avrebbe mandata di nuovo a letto, abbandonandola a qualsivoglia protesta, ragionata o no che fosse.
Katryn aveva un concerto il giorno dopo e doveva prendere l’aereo per il Canada il giorno dopo ancora; quell’appartamento era spaventosamente spoglio e non stava facendo certo progressi con i suoi mobili ‘tanto carini’ ma poco funzionali ed i mercatini delle pulci dove si infilava, lasciandola incazzata (ovviamente) a cercarla.
Ma qualcosa, quella volta, la convinse; dietro al sorriso, Katryn nascondeva un rictus di paura che non le aveva mai visto, neanche il giorno del suo debutto come solista.
 
Si alzò dal letto, sospirando, e prese la spazzola antica.
Sarebbe stata un’impresa districare quei capelli sudati ed intricati, nonché lunghi: a volte si chiedeva se non fosse stato meglio che l’amica si rapasse e indossasse parrucche.
 
Per la sua immagine, ovviamente.
Dopotutto lei era pagata anche per pensare a quello, ma da amica non l’avrebbe mai permesso.
 
Iniziò così, lentamente e con cura, fermandosi ad ogni nodo a bestemmiare in tedesco, a spazzolarle i capelli, cosa che calmò notevolmente l’amica.
-Dieci gocce di Valium e sarà come nuova, domani.-, pensava, ormai anche lei alle porte spalancate del sonno, quando Katryn parlò.
 
E non col tono dell’amica, ma con tono della datrice di lavoro, che raramente usava con lei.
“Tieni d’occhio i nostri amici a Londra e Dublino, Monik. Ho l’impressione che si solleverà un vespaio…”, e fu un bene che Monik le fosse dietro, impegnata a scuotere la testa e scurirsi, sentendo nominare i suoi ‘amici’, sicura che portassero sfiga, perché a Katryn sfuggì una lacrima dall’occhio sinistro e non la asciugò neppure, non abbandonando la voce da capo.
In verità non se n’era minimamente accorta: forse quello avrebbe preoccupato Monik.
“E tienti pronta a volare oltreoceano. Io me la caverò in Canada da mammà e papà.”,e sorrise di malavoglia.
“Ritorno a Bifolcoland.Cazzo.”
*
03 settembre 2001
*
I quattro amici ebbero un breve abbraccio prima della conferenza stampa, a filo con l’aereo di Justin.
 
A Dorian tremavano letteralmente le gambe.
In quei giorni erano stati massacrati in tutte le forme possibili e la loro eco aveva colpito anche Justin, che manco a farlo apposta aveva del suo a cui badare.
 
Shane gli strinse una spalla, prima di entrare e sedersi.
Dorian si girò e, a sorpresa, incontrò il sorriso speciale di Justin, solo che per una volta non sembrava quello luminoso ed affascinante che incontrava anni prima.
Ovvero lo era, ma era pericoloso; gioiva dell’idea di poter sbranare mediaticamente Rose Evans.
 
Una delle cose che si ricordò a lungo, nella vita, fu l’amico che oltrepassava tutti, un filo di matita incorniciargli gli occhi gelidi, affacciarsi alla sala e poi incamminarsi verso il posto centrale con il microfono.
 
La sua camminata lenta ed aggraziata; come non avesse aspettato altro nella vita


Il capitolo non è stato betato. 
Mi spiace per il capitolo precedente, una schifezzuola lasciata dal gatto? Anche questo non brilla, ma ho le idee più chiare
Questo capitolo serviva, purtroppo serviva.
Saluti, Babs

 

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Capitolo 27
*** 27. La fine di un'era ***


 

 

27. La fine di un'era

 

 

03 settembre 2001

**

Dopo i primi botta e risposta, né Eddie né Dorian riuscivano a tenere più testa alle domande serrate dei giornalisti.

 

Justin si era chiuso quasi subito in un cupo mutismo , sembrava che il fondo bianco della sala stampa catturasse tutta la sua attenzione dopo un'iniziale partenza brillante e scherzosa.

“Non sono morto.” aveva risposto, alla giornalista che gli aveva chiesto perchè fosse presente in quella circostanza. “E mi sono riunito ai miei amici dopo l'assenza forzata impostami dalla nostra ex manager, che Dio la benedica... Mi ha fatto tornare a studiare un altro po'!”

 

Era stata una buona mossa: Justin non aveva apertamente criticato Rose Evans , ma aveva chiarito di non essersene andato spontaneamente!

Il problema era che ciò aveva causato una reazione a catena, dove ora si erano arenati proprio nel momento in cui avrebbero dovuto fare chiarezza.

 

“Come potete sostenere di essere stati truffati o illusi con il vostro contratto come 'Changes'? Sarete stati coscienti di quanto avete firmato o vi hanno drogato, rapiti e costretti a firmare?” aveva ironizzato un giornalista americano.

“Ovviamente no.” aveva risposto Shane riluttante, giochicchiando con l'asta del microfono.

“Allora cosa vi aspettavate?” aveva chiesto sempre lo stesso, insistente.

 

Dorian prese un respiro e provò a gettarla come gli veniva, sperando nel sostegno degli altri.

“Io ed Eddie eravamo andati a Londra nel 1998 con la nostra demo, decisi a fare il giro delle case discografiche. Non avevamo internet e la musica si spacciava ancora a mano.”. Tentò di sorridere.

Inutilmente.

Quello era un pubblico che non si faceva incantare dai suoi sorrisi né dalla sua chitarra.

Il pubblico più difficile che avesse avuto.

Riprese a parlare, mentre un silenzio curioso ma ostile calava nella sala.

 

-Ci hanno già giudicati...- pensò, mentre tentava di avvicinarsi il microfono. -Non ne usciremo bene.-

Mentre pensava a come continuare, qualcosa gli attraversò la testa.

-IO non sono qui per essere giudicato.Devo far capire loro che non mi interessa il loro giudizio. Voglio solo la chiarezza.-

 

“Approdammo alla nostra precedente casa discografica, dove accettarono la nostra demo e ci proposero il cosiddetto 'patto con il diavolo'. Saremmo stati sì una band sotto controllo, ma con delle libertà, specialmente nella scrittura della musica.”

“Avevamo una formula per definire quello.” lo interruppe Eddie, talmente nervoso da tremare.

“Due album, due tour e la libertà.” intervenne Justin con voce dura.

 

Dorian si voltò a guardarlo.

Era all'estremità del tavolo, a sinistra, mentre lui era nel secondo posto da destra; tra loro Shane, cupo e granitico.

 

Justin aveva i lineamenti affilati e la frangia nera gli cadeva quasi negli occhi, scompostamente.

Occhi azzurri talmente trasparenti da sembrare senza anima e pietà.

 

Se Dorian aveva accuratamente scelto il suo vestiario più 'grunge' per la conferenza stampa, Justin sembrava passato attraverso un'esplosione di tintoria nera, dai jeans alla camicia, per finire con i capelli appena ri-tinti.

 

In tutto quel nero, la faccia pallida e gli occhi azzurri risaltavano come un macchia.

Shane sfoggiava una delle sue canotte da nu rocker che risaltavano le possenti spalle e braccia, una tatuata e una no.

Eddie , mentre cincischiava nervosamente con la bottiglia, si era mantenuto sull'elegante standard. Era il più duro da convincere, ma all'epoca della boyband si era fatto conquistare, infine, da quello stile indie puramente british dai colori neutri, dove i suoi capelli rossi e la sua faccia simpaticamente lentigginosa spiccavano; sembrava avesse fregato i vestiti a Jude Law.

Dorian li stava ancora osservando, quando una domanda gli arrivò come un pugno nello stomaco.

“Cos'è successo esattamente tra Dorian e Justin a Monaco, due anni fa? Ci sono delle foto di una lite piuttosto violenta.”, scandì accuratamente le parole una giornalista irlandese, poco più di una ragazzina.

 

Erano stati bravi.

Rose Mya Evans aveva tenuto la conferenza stampa il giorno prima, svelando accuratamente i loro segreti con lo staff che li seguiva, sotto forma di spiegazione per il mancato rinnovo del contratto, e fornito materiale succulento alla stampa.

 

E loro erano stati tempestivi ad arginarla, prima che le sue verità diventassero scolpite nella pietra, rendendo vana ogni loro risposta.

Erano stati più bravi del solito, col loro piccolo complotto difensivo, sebbene Dorian si sentisse ancora in colpa di aver estorto quelle informazioni a Jackie, come una qualsiasi sgualdrina, erano stati veloci e di certo qualcosa ci avrebbero ricavato.

 

Ma non si erano preparati: non ce n'era stato tempo, ed erano soli.

 

Non erano più abituati a non avere nessuno attorno che insegnasse loro come parlare e come salvarsi. Erano nettamente confusi.

Ciò nonostante, mentre Justin si ritirava sulla sua sedia, come a distanziarsi con le bracciai ncrociate a formare uno scudo tra sé e la stampa, e forse anche tra sé e loro, i suoi amici. Dorian prese coraggio.

 

-Davvero vuoi essere giudicato!? Davvero?-

'No. Voglio solo raccontare la verità ed andarmene. Se vorrò essere giudicato, lo sarò per altre cose. E non da un branco di avvoltoi scatenati.'

-Allora sputa fuori tutti e mandali al diavolo, Dorian! Al diavolo!-

 

“Io e Justin abbiamo litigato. Io ero abbastanza... montato dalla fama in quel periodo e avevamo tutti screzi interni perchè ritenevamo di essere caduti in una trappola e neppure troppo furbamente.”

 

“Ce l'avevo apertamente con lui e lo spinsi giù per le scale. Avrei potuto rompergli qualcosa. Sull'aereo non smisi di provocarlo e lui decise di non passare più per vittima. Ne uscii più malconcio di lui perchè l'avevo realmente portato a quello. Lo odiavo.”

 

Dorian, Eddie e Shane, si girarono a guardare Justin, che nella stessa posizione con gli occhi scintillanti dopo quella schokkante rivelazione, pareva non avesse neppure parlato.

 

 

La sala stampa stessa restò muta per un secondo. Poi esplose. Ridda di domande si scatenarono.

 

Eddie e Shane tentarono di tenere a bada i più, spiegando la situazione interna alla band in quel periodo, mentre Dorian osservava il suo amico.

 

Dio solo sa quanto aveva dubitato di lui.

Troppe.

Migliaia di volte!

Anche in quella circostanza aveva pensato che sarebbe toccato a lui assumersi la colpa per entrambi mentre Justin aveva preso su di sé tutto l'intero carico.

 

Era passato dalla parte della vittima a quella di un essere spregevole, invidioso di un suo amico. Una domanda capitò quasi a proposito.

“Dorian, come siete potuti tornare amici dopo quello che è successo, se Justin ha detto chiaramente che ti ha odiato?”

“L'ho odiato anche io.” rispose Dorian, il mento appoggiato ad una mano, pensieroso. “Lo odiavo per i dispetti che mi faceva. Era prepotente nei miei confronti. Ma quando poi l'hanno cacciato...”

“Non possono vivere senza di me.” Justin si aprì in un sorriso, interrompendolo. “Io sono il loro frontman.”

 

“E' vero, a questo proposito, che vorreste suonare come un'autentica band?”

 

I ragazzi sembrarono sorpresi da quella domanda.

“Noi siamo una band. Non abbiamo mai smesso di esserlo.” rispose Eddie, quasi ridendo.

“Dobbiamo allenarci, ma intendiamo ripartire da dove abbiamo lasciato, più di due anni fa.” continuò Shane, sorridendo finalmente e sciogliendo l'espressione di essere scolpito nel granito.

“Viviamo per questo. Abbiamo sopportato tutto per questo.” concluse, allungando un braccio e stritolando Dorian per un secondo, finalmente sciogliendo la tensione che l'attanagliava , sorridendo.

 

“Sappiamo che almeno Dorian e Justin hanno continuato a fare musica, anche se separati.”, chiese un giornalista locale, con un voluminoso pacco di appunti.

Certamente un reduce dalla conferenza stampa di Rose Evans; il più informato e pericoloso.

“Sappiamo che avete coraggiosamente portato avanti il vostro progetto anche con elementi esterni, a Dublino.” insinuò, e d'un tratto una luce si illuminò nel cervello di Justin.

 

Una luce rossa, di allarme.

 

-E' stato pagato da Rose per mettere zizzania... e come possiamo arginarlo?-

Non potevano.

Infatti il tizio, lisciando i suoi appunti come se avesse un pacco bomba per loro, concluse guardandolo, con un sorriso affilato come un falcetto.

“Avete suonato con il fratello di Eddie e con la tua, uhm... a quanto risulta ex-ragazza, Justin. Che ha avuto interessanti dichiarazioni da fare.”

 

Gli altri tre amici si sporsero a guardarlo, con curiosità.

-Non sanno niente neanche loro. Con questo abbiamo perso gioco, partita ed incontro.- pensò, chiudendo gli occhi.

Si era letteralmente impietrito, come catturato dallo sguardo di una perfida Medusa.

Rose, Roìs...
In inglese o irlandese, il risultato non cambiava. Un nome che l'avrebbe perseguitato.

Un nome che l'avrebbe sempre fottuto.

Il giornalista, che ormai aveva catturato tutta l'attenzione in sala, sembrò quasi un gatto che si stava per leccare le labbra a vedere il canarino pronto e distratto nelle sue zanne.

 

“La tua ex-fidanzata ha detto che prima di lasciarvi avete avuto un litigio piuttosto... violento, per parafrasare lo scontro tuo e di Dorian. Ovviamente non della stessa portata, ma...”

 

GRAZIE PER LA PARTECIPAZIONE, SIGNORI, LA CONFERENZA E' PER ORA FINITA!”

 

Una voce femminile con perfetto accento british, aveva superato il brusìo e la voce stessa del giornalista, decisa e squillante come quelle che in quel momento Justin si immaginò che fossero le trombe di Dio.

 

Monik Schreiber fece il suo ingresso in sala dietro la loro postazione rialzata, soliti tacchi 20 a stiletto, decisa e rapida come una morte misericordiosa.

E ancora con un microno ear-in a sopravvanzare le voci di tutti, come gli annunci ferroviari.

 

I MIEI ASSISTITI VI RINGRAZIANO ED IO MI SCUSO DEL COSI' POCO PREAVVISO PER LA FINE DELLA CONFERENZA STAMPA, MA NON SONO STATA AVVISATA CHIARAMENTE.

VI RINGRAZIO PERSONALMENTE DELLA VOSTRA PRESENZA E SPERO VORRETE GIUSTIFICARLI.”,e si girò a spedire un sorriso velenoso a Dorian. “In fondo sono rocker. Non sono abituati ancora a seguire le regole.”

 

Dorian si sentì all'improvviso scisso: da una parte era grato infinitamente a Monik (e a chi l'aveva mandata), certo che avesse loro parato il culo.

Dall'altra era anche curioso di cosa avesse combinato Justin, dato che solo una domanda sulla sua ex l'aveva fatto diventare uno straccio, dal pezzo di marmo che era diventato prima.

 

Era una cosa che non avrebbe mai saputo per molto tempo. Forse mai, a giudicare la faccia ancora ad occhi chiusi, stavolta di sollievo, di Justin.

Mentre Monik salutava, quasi strepitando, e li faceva alzare uno ad uno, salutandoli tutti e quattro con una stretta di mano e con un sorriso più falso di Giuda, i giornalisti si lamentavano, mentre il tizio pagato da Rose -che stava per annientarli tutti- urlava che era una vera buffonata e la conferenza stampa era stata pilotata.

 

Sì, era vero, avevano giocato sleale.

Slealissimo.

Ma non avevano iniziato loro.

 

 

*

*

 

Ad Heatrow, con tanto di guardie del corpo, Monik faceva strada ai ragazzi, storditissimi, verso il gate per Dublino.

 

In due ore era stata capace di far fare loro i bagagli, riunirli, chiamare 'gente fidata' e organizzare un perfetto trasporto in incognito fino all'aereoporto perchè non fossero disturbati.

Niente da dire, era la migliore nel suo campo.


“Per Dio,dovremmo almeno ringraziarla, no?!” aveva sibilato Shane, attento a non farsi sentire.

Quattro ragazzi grandi e grossi (beh almeno lui) che temevano una poco più che ragazzina alta un metro e cinquanta per quaranta chili scarsi.

 

La cosa gli sembrava quasi patetica ma era il più impaurito, in verità!

“Sarà pure stata la tua amica a mandarla, ma tutto questo l'ha fatto lei. Dille qualcosa,Dorian!” sussurrò a sua volta Eddie, facendo finta di essere alle prese con un trolley difficile da trascinare.

“Cos-volete sbarazzarvi di me, per caso?! Non mi può vedere!!”

“Vado io, allora.” disse Justin ,a denti stretti. “Non ho paura né di lei.”

 

Justin passò coraggiosamente in testa al gruppo passo dopo passo, mentre Dorian si asciugava virtualmente la fronte ed Eddie recitava una prece per l'amico ritrovato e presto di nuovo perso per mano di una tedesca troppo zelante nel suo far raggiungere loro un aereo.

 

Justin se ne fregava realmente; lui e Monik non erano stati mai amici, dai tempi del Trinity college, una vita fa.

Forse erano stati entrambi gelosi l'uno dell'altra, per l'amicizia di Dorian.

 

Dubitava di poterle mai risultare simpatico, ma da quel lato si sentiva estremamente leale: lei aveva svolto un servizio prezioso per loro e gliel'avrebbe fatto sapere.

 

“Monik...”

“Tra dieci minuti c'è l'imbarco e solo tu sei qui, direi che ti sei guadagnato il titolo di frontman.” le rispose, gelida con una punta di sarcasmo e senza neppure guardarlo negli occhi.

“Monik, posso parlarti?”

“Parlerai a casa. Io non sono pagata per stare ad ascoltarti.”

“Da chi sei pagata?”

“Non sono affari tuoi.“ e si volse a guardarlo, finalmente. Gli occhi di Monik, così simili ai suoi, scintillavano di gelida rabbia. “Se volete il mio parere non ce la farete mai. Siete disorganizzati, indisciplinati e non sapete neppure stare nella stessa stanza assieme senza scannarvi.” sorrise, finalmente.

 

Un sorriso che assomigliava ad falcetto di ghigno, come una luna morente.

 

Justin l'avrebbe volentieri presa per il collo, sapendo che lei sapeva di fargli male, con quelle parole, ma si trattenne.

Per Dorian, si trattenne.

Per il loro passato, si trattenne, si sistemò la cinghia del borsone meglio sulla spalla e la fissò negli occhi, tentando di sembrare il più sincero possibile.

 

“Va bene, Monik. So di non starti simpatico, ma...Grazie. Anche se non era il tuo compito ci hai comunque salvato il culo e volevo solo ringraz...”

“C'è anche un'altra cosa.”, continuò lei, addolcendo un po' il sorriso, e accettando finalmente le mani che gli venivano tese.

 

Lasciò passare Shane ed Eddie in zona bagagli a sgravarsi e mostrare documenti e biglietti, e trattenne Dorian, perchè sentisse quello che avesse avuto da dire.

Justin si fece guardingo, a quella mossa; Monik aveva capito benissimo che avrebbe potuto colpirlo a parole.

Era il suo campo, era brava ed aveva un vantaggio: Dorian la ascoltava.

 

“Accettate il mio consiglio: non andate avanti con questa storia della band. Forse funzionerete ma poi rimpiangerete di averlo fatto.” riprese, tenendo lievemente per la maglietta Dorian come se la sua presa fosse d'acciaio. “Non siete più le persone che conoscevo. Non siete più il gruppetto del Trinity college. Vi mandereste in pezzi dopo pochissimo tempo.”

“Dimmi il perchè.” sibilò Justin. “A parte la tua antipatia verso di me.”

“Caro Justin...” e si voltò verso Dorian, sorridendo sempre in quel modo, solo ossa che sporgevano dalle gengive.

“Non funzionerete perchè ci sei tu. E perchè ci sei anche tu.” indicò l'amico, allibito.

“Vi rovinerete” fece una pausa osservandoli e ghignando “Assieme vi rovinerete.” , disse, togliendosi finalmente dalla zona boarding.

 

Un ultimo monito a voce alta ma non tanto alta perchè altri sentissero, arrivò alle spalle di Dorian e Justin, che si guardarono spaventati.

 

Troppe volte avevano sentito quel concetto.

 

“Non potrete resistere. La vostra amicizia vi danneggerà e un giorno vi odierete. E non per poco come stavolta. Vi odierete per sempre.”

 

Un vento freddo accompagnò quella profezia odiosa e un po' roca. Monik osservò i due amici distanziarsi lentamente, senza accorgersene.

 

Poi si girò e, congedando le guardie che li avevano accompagnati fino al gate, si avviò al suo volo per gli States.

Prese da uno dei bodyguard in congedo la sua borsa da viaggio e ringraziò tutti, mentre , come aveva concordato, mandava un esauriente sms in cui confermava che la sua 'missione' era giunta a termine in modo positivo.

Seduta sulle poltroncine della sala d'attesa di prima classe del suo volo si sorprese a sibilare in tedesco, come da tanto non le capitava.

“Separatevi. Andatevene, per Dio. Se non volete separarvi, almeno toglietevi dai piedi. Porterete solo guai a voi e a chi vi sta intorno, maledetti... stupidi.”

 

*

*

 

Due giorni dopo la caduta delle Torri Gemelle a New York, volutamente nel marasma per passare inosservati, Dorian, Eddie, Shane e Justin si rinchiusero ai Windmill Lane studios di Dublino.

 

Il 13 settembre 2001, erano di nuovo assieme, finalmente.

 

*

*

Un altrodove\Un altroquando

*

*

 

Sotto un cielo violaceo ed in perpetuo movimento, recuperate le forze e attinto dalla sua esperienza, dove l'Immemore l'aveva facilmente sconfitto, Dayer l'Innocente si sentì in grado di alzarsi dal suo gaciglio dove aveva lasciato una sorta di prima pelle.

 

Sorrideva.

Il caos ed il dolore collettivo dell'umanità lo nutrivano, ed in quei giorni ve n'era per più di un emissario; ne aspirava goloso, mentre il suo 'esterno' non si accorgeva di niente, anzi pensava persino di provare disinteresse.

 

Ma qualcosa dentro di lui si era mosso, lentamente: il messaggio che l'Innocente aveva lanciato al suo esterno ribelle anni, mesi o settimane prima stava iniziando ad attecchire come un seme malvagio, e contrariamente alle sue previsioni, stava crescendo molto rapidamente.

 

Avrebbe ucciso, oh sì.

Avrebbe ucciso l'Immemore, uccidendo il suo esterno.

E ne avrebbe persino pianto le spoglie.

 

E Dayer ne avrebbe, ancora una volta, giovato.

 

“Mio sciocco amico, sto venendo a prenderti.”, sussurrò, sedendosi composto e chiudendo gli occhi, assaporando quella nuova forza dentro di sé. “Troppo a lungo mi sei sfuggito. Ora tu ed io parleremo, Alael. E morirai.”, e si aprì in un sorriso grazioso. “Tutti ne soffriranno, perchè tu in fondo porti sofferenza ma sei amato. Ed io me ne nutrirò.”

 

E scoppiò in una risata che ben poco aveva di umano.

 

Le lancette del conto alla rovescia al loro scontro, fermate anni prima, per contrappasso si misero a girare vorticosamente.

Il loro mondo iniziava a precipitare, com'era giusto che fosse.

 

E Dayer, impercettibilmente nella sua bolla di eternità, si preparava alla fine.



CAPITOLO BETATO DA CALIPSO (MARTINA BERTON, O 'SIS'); grazie alle sue correzioni ed al suo incoraggiamento per avermi fatto uscire dala buca narrativa e stilistica della trama. Dal prossimo capitolo, come annunciato, si tornerà in rockandroll. E tutti inizieranno a correre? Forse...

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Capitolo 28
*** 28. Un compromesso soddisfacente ***


28. Un compromesso soddisfacente

 

"Dammi quella cazzo di maledetta chitarra...Subito!!"

 

Dorian rimase interdetto quando Justin attraversò la stanza rapido e gli strappò di mano Phoenix, fregandosene che la cinghia strozzasse l'amico o meno, e stette a fronteggiarlo con aria furiosa.

 

"Ti rendi conto di come stai suonando,eh!? “ urlò. “Te ne rendi conto, almeno, o mi stai pigliando per il culo?!"

 

Dorian rimase impalato, la bocca in una perfetta 'O' di stupore.

No, non aveva capito.

Shane si mosse verso di loro, apparentemente sorpreso se non più di lui, mentre Eddie aveva l'espressione di uno che si era appena svegliato, da dietro ai suoi piatti che gli celavano quasi del tutto la scena alla vista.

Al di là del vetro che li divideva dal banco mixer, il tecnico del suono (nonché produttore) poggiò sospirando il suo abbondante thè, mentre l'assistente al mixaggio entrava con una tazza di caffè e due occhiaie da record.

 

Gli Interferences erano rinchiusi ai mitici Windmill Lane Studios di Dublino da solo cinque giorni, di cui solo quattro col loro tecnico del suono, e quelle scene non erano nuove né a lui né al suo assistente, il quale poggiò la tazza con cura sul banco vicino al banco mixer, mentre Mark Ellis si accasciava lentamente sulla sedia.

 

“Oggesù, un'altra lite, no!Non li sopporto più, davvero...! E dire che sembravano tanto simpatici ed educati, via skype!”

Si premette le mani sulle tempie e fissò con altrettante occhiaie da sotto i sobri occhiali il suo assistente, con aria implorante.

“Ah...no!” indietreggiò verso la porta Lou, detto 'The Peacemaker'. “Mi hanno tenuto qua fino alle tre, stanotte! Là dentro c'è più elettricità che su una vecchia sedia elettrica a Sing Sing!Io non ci vado! Tu sei più pag..” si corresse velocemente “..qualificato di me per questo!”

“...è dai tempi di Songs of Faith and Devotion che un gruppo non mi faceva impazzire in sto modo...”, mugugnò Mark 'Flood' Ellis, alzandosi in piedi e stropicciandosi la faccia.

 

“Sai perchè mi hanno convinto? Sai che sono partito con un volo notturno dopo che quei quattro...disgraziati mi hanno chiamato su skype facendomi le facce più angeliche del mondo?!”

Lou lo sapeva, ma stette zitto e si dispose ad ascoltare un'altra volta la storia che Flood amava raccontare per darsi la carica necessaria per andare a fare il culo ai quattro irlandesi.

“La loro fottuta demo! Era così carica di potenzialità inespresse, roba da tirarci fuori un tesoro! Tre canzoni per ogni canzone che avevano buttato giù, tanto erano ricche di sonorità! Fosse per me avrei fatto un disco solo con le due canzoni finali, ed ora...” sospirò. Senza parole ormai.

Si tolse gli occhiali, si stropicciò gli occhi e decise di andare all'attacco.

“Stanno rovinando tutto il loro lavoro, quelle grandissime teste di cazzo, ed io non lo permetterò!

 

Lou 'The Peacemaker' tirò un sospiro di sollievo, quando Flood partì a razzo per la porta di comunicazione, dopo essersi autocaricatosi col suo discorso e col ricordo di aver ficcato in fretta spazzolino, cambio per qualche giorno e tanta pazienza, consapevole che gliene sarebbe servita tanta a dispetto dell'armonia che mostravano quel gruppo di disgraziati sullo schermo del pc.

Aveva sentito di quanto avevano litigato come boy-band e solo la demo l'aveva convinto a partire; dare completo affidamento a dei rumors di gossip sarebbe stato non solo da scemi ma ignorarli del tutto sarebbe stata la stessa cosa, e Mark Ellis detto 'Flood', uno dei più grandi sound engineer del mondo ed attualmente co-produttore degli Interferences, non era per niente scemo.

Aveva il brutto vizio di ribaltare i recipienti pieni di liquidi, come il primo boccale da una pinta di Guinness addosso ad Eddie la sera del suo arrivo, ma non era del tutto scemo. Questo proprio no.

 

Entrò in studio, interrompendo l'alterco sbattendo la porta: ecco un'altra cosa che non aveva mai fatto e che aveva imparato con loro.

Perdere la pazienza.

 

Si rivolse a Justin, che aveva iniziato il tutto.

Justin iniziava sempre qualcosa, era tipico dei frontman insicuri e quello non era insicuro.

Era insicurissimo!

 

"Justin, mi vuoi spiegare cosa...?", ma venne interrotto dal ragazzo, che gli diede sulla voce.

"Cosa?! 'Cosa' ,mi viene a chiedere! Ma l'hai sentito come suona?!", e si rigirò contro Dorian di nuovo. Con un fare che non prometteva niente di nuovo.

Sbattè due volte Phoenix contro il petto dell'amico, la seconda volta tanto violentemente da farlo quasi cadere, e Dorian cominciò ad incazzarsi, oltre a non capire niente, a parte il fatto che Justin teneva la sua chitarra in mano e la stava usando contro di lui.

La SUA chitarra!

CONTRO lui!

 

"Senti bello, se hai le tue cose non prendertela con me, okay!? Sto suonando come al solito, era giusta!"

Flood si mise in mezzo ai due, mentre Justin stava per dare un'altra 'schitarrata' a Dorian, con la differenza che di certo quella volta il biondino gli avrebbe risposto e non troppo pacificamente.

"Justin, piantala e spiegati. E lascialo suonare!”

 

Justin si arrestò suo malgrado, sempre cupo.

Flood gli prese Phoenix e la restituì a Dorian, scambiandosi con lui un'occhiata come a dire 'ci penso io'.

"Ha ragione, era giusta come l'abbiamo fissata prima. Che ti prende, non la riconosci?"

Justin sembrò interdetto per un paio di secondi, poi scoppiò a ridere.

 

A Flood non piaceva quel giorno, in verità non piaceva a nessuno ma erano in quei momenti che uscivano i loro pezzi, durante quelle massacranti e interminabili litigate mascherate da session.

Suonavano un po' a casaccio, magari senza cavare un ragno dal buco per giorni e tutto d'un colpo, PAM!

Sembrava che un'epifania attraversasse il cervello di Justin e lo facesse diventare irritabile per qualunque stronzata! Ma anche dannatamente creativo, sia per i testi che per le melodie, benchè sapesse a malapena tenere in mano una chitarra., come tutti malauguratamente sapevano. Indovinava tutto, persino le pause della batteria o che effetto tenere sulla chitarra o sul basso.

TUTTO Sembrava incastonarsi alla perfezione attorno alla sua voce.

 

Durava poco, per questo le chiamavano pause creative, ma quel poco era abbastanza per tutti.

Da quelle maledette discussioni infinite, che spesso si tramutavano in risse, stavano uscendo dei pezzi buoni, che poi Flood, col supporto di Dorian, arricchiva di campionamenti al mixer.

Il biondino aveva un indiscusso e mai sospettato talento per i suoni ed i sequencer e spesso, se non aveva parti da suonare, si rifugiava col 'maestro' in mixing desk.

 

Erano bravi, però i brani erano sì belli ma scollegati. Attaccati solo dal filo logico di Justin.

Sembrava non avessero un'idea precisa, dopo le canzoni della demo che si rifiutavano di destrutturare; Flood passava dallo sconforto più totale all'esaltazione, in control room, ergendosi persino come arbitro a volte.

Cosa che raramente aveva fatto.

Ma quei quattro erano giovani e teneri, e Justin sembrava voler fare il disco da solo, tanto era carico da scoppiare.

 

E purtroppo scoppiava, sì, ed il timore reverenziale per il produttore dei dischi che più amava era scemato in un giorno, purtroppo per tutti; riusciva persino a scontrarsi con lui e, parola di tutti i gruppi che aveva prodotto, scontrarsi con Flood era davvero un'impresa.

Non di quelle di cui vantarsi.

 

"Ah, sì, era giustissima per come la intende lui!", continuò Justin, tornato apparentemente calmo, sporgendosi verso Dorian alle spalle di Flood. "Ma io sto cercando di inculcargli un po' di aggressività nel sound! Ha mille effetti in pedaliera, ne avrà uno che gli tiri fuori le palle no?!"

Shane si mise il basso in posizione di riposo e si avvicinò alla discussione, mentre Eddie, non visto e neppure ansioso di essere avvistato, iniziò ad avviarsi per i corridoi degli studios per prendersi un caffè, sospirando.

Sapeva bene che la discussione poteva protrarsi per ore, sempre che non fosse continuata anche il giorno dopo e l'altro ancora e ancora....E non gli serviva incazzarsi ulteriormente, aveva già combattuto senza esclusione di colpi con Justin il giorno prima.

Se lo vedeva ancora dieci minuti in quella posa da galletto rischiava di farsi saltare i nervi un 'altra volta.

 

"Non credo che abbiamo bisogno di altra aggressività visto che la tua vale per quattro!!",contrabattè Dorian, che iniziava a scaldarsi.

 

Le risse scoppiavano quasi sempre tra loro due, e quella volta anche Shane si stava stufando.

Cominciava a rompergli il fare da sparring partner per uno o per l'altro.

Era da ben cinque o sei anni che era stufo di quelle situazioni!

 

"La chitarra non la suono io!", urlò a denti stretti Justin

"Questo è il mio modo di suonare, non ti va bene!? Ti andava bene fino a dieci minuti fa, tutto di un colpo no!, bhè se non ti va bene prendi la chitarra e suona! E canta! E fai tutto tu, allora!!", rispose nello stesso tono Dorian.

"Non dire cazzate, che non sono dell'umor...!"

"Cazzate!? Chi dice cazzate?! L'unico che dice cazzate, qui...",iniziò Dorian, per venire interrotto da Justin, sull'orlo dell'isterismo.

"Non lo voglio quel maledetto attacco distorto nel bridge, neanche un po'!! Te li spacco, quegli aggeggi del cazzo, ti hanno rammollito!"

"Provaci e io ti spacco quella poca roba che ti resta nel cervello!Guarda che non scherzo!! Affanculo l'aggressività, questa è una nostra canzone e questo è il MIO modo di suonare la chitarra!!!"

"Tu non suoni così!Sei capace di suonare come mi intendo io, allora perchè non lo fai, eh?! Cazzo, SUONA!!",urlò Justin contro Flood a fare da sponda.

Dorian, da dietro di lui, percepì che da li a cinque secondi si sarebbero presi a botte, ma se ne fregava, anzi era giusto quello che cercava da quando Justin gli aveva preso Phoenix.

 

"Ma suonati il cervello, imbecille! Io suono come mi pare!! Se hai le visioni acustiche vai a fartele curare, già mi sembri malato! L'artista cerca ispirazione!,io direi L'artista cerca botte!! Ti han lasciato a corto di psicofarmaci?! O magari di altra roba!? ", urlò Dorian, ormai agli sgoccioli della già poca pazienza.

"Oooooh!,Dorian!Piantala anche tu,adesso!", tentò di calmarlo Shane, ma fu inutile.

 

Flood chiuse gli occhi, in quel casino.

No, neppure i Depeche Mode ne erano stati capaci! Neanche gli U2 a Berlino!

 

Il brutto era che Justin era riuscito, fosse o meno il suo intento primario, a far saltare i nervi definitivamente a Dorian e quando saltava Dorian non ce n'era per nessuno!

Flood si tolse di mezzo e Dorian ebbe solo Shane a fare da precaria sponda al suo sfogo contro Justin.

 

Piantarla?! Cristo,questo deficiente si faceva già quando eravamo una boy-band di merda!Che c'è, pensate che non si faccia anche adesso? IDIOTA DI UN PEZZO DI STRONZO!!! Non ti sopporto più, lo giuro! Sei diventato uno stronzo completo! Non te ne frega un cazzo del gruppo!!Vuoi fare il dittatore?!Accomodati,ciccio!Ma non qua! NON! CON! ME!! Conosci l'uscita, gran figlio di puttana!!”

Justin spinse da una parte Shane quasi con delicatezza e un attimo dopo volò ad assestare un destro a Dorian, che lo evitò e con un paio di pugni non troppo forti ma persuasivi e una spintonata lo mandò addosso alla batteria.

Justin si rialzò fulmineo, ancora pieno di elettricità bellica ma Shane lo fermò al volo quasi con un placcaggio da rugby, trascinandolo a spintoni fuori dallo studio.

 

Flood rientrò in sala, porgendo il suo thè a Dorian.

-Sono giovani ed in più sono così fottutamente tutti fuori controllo, porca miseria...-, pensò, mentre Dorian, scosso dai nervi, si accasciava a terra, con Phoenix, accettando la bevanda.

 

Il tutto si era svolto in mezzo minuto, la solita discussione-scazzottata lampo.

Dorian bevve un sorso, i capelli che quasi cadevano nella tazza coprivano parte del viso. Lasciò andare un tremulo sospirone, alzò lo sguardo verso Flood, che lo ricambiò interrogativo, e poi alzò gli occhi al soffito.

"Se continua così si cerca un altro chitarrista. Se non un altro gruppo."

"No, Dorian." contrabbattè calmo Flood. "Tra due minuti si sarà calmato, anche senza Shane, e ti chiederà scusa. E' meglio se vi sfogate, altrimenti quando la merda salta fuori, salta fuori tardi e con gli interessi. E sono molto di più di quelli che ti danno le banche. Meglio ora che in tour, ricordati. Il tour è già pieno di tensione per conto suo."

Dorian tentò un mezzo sorriso, a sentir parlare di tour.

 

Arrivarci, al tour...

“No, Mark...in misura meno violenta abbiamo sempre litigato per via del modo di suonare.” finì il thè in un sorso unico, prima di buttare la verità sul piatto.

“Sai...Io saprei come vorrebbe che suonassi."

“...?”

La faccia da poker di Flood, inespressiva ma sotto sotto in piena confusione, era un programma.

Pensava forse che stesse provocando il compagno apposta?

O che volesse cambiare le carte?

Dorian decise di spiegarsi al meglio, anche se non riusciva neanche lui a capire cosa gli stava succedendo.

 

Musicalmente.

 

Personalmente avrebbe solo voluto dare un paio di sberle al suo 'frontman'.

 

"A me non piace come vorrebbe farmi suonare.", sospirò Dorian. "Io come background ho praticamente solo Nirvana, Alice in Chains, Screaming Trees, Pearl Jam e...diciamo quello che viene comunemente definito rock grunge. Ma all'atto del suonare per me è troppo...grezzo. Non lo so gestire, Mark.” ammise.

“E' bellissimo da sentire ma non mi da soddisfazione suonare le nostre canzoni nel modo che vorrebbe farle Justin. Finora non gliel'ho detto a...a lui, ma non mi piace che l'album diventi un album di matrice grunge. Avevamo detto 'sporchiamolo un po' di tastiere, chitarre distorte, un po' di echi, filtri'...-oh, wow,- avevo pensato, -ne riuscirà una cosa tipo Nirvana un po' tecnologici. Grandioso.-” fece una breve pausa sospirando Bhè, sto scoprendo che non mi piace molto, e che invece mi attira l'idea di 'sporcarlo' sempre di più. Prendimi come un novellino, non lo nego, ma scoprire tutto quel che si riesce a fare con una chitarra, avendo gli strumenti giusti per arrangiare il tutto, mi affascina più della visione che ho sempre avuto di rock. Mi sta prendendo pian piano, ma vaglielo a dire a quello psicopatico..."

 

Flood lo osservò quasi caritatevolmente, poi scosse la testa, dando finalmente voce al pensiero che aveva avuto quando li aveva davvero visti, di persona ed in studio.

-Sono troppo giovani. Hanno troppa poca esperienza e hanno fatto solo una dannata demo indipendente, anni fa. E vorrebbero fare il disco del secolo, a sentire loro?-

 

Il produttore riprese la tazza da thè dalle mani di Dorian, che pareva assai abbattuto dalla confessione, come se nell'aver espresso il suo pensiero l'avesse finalmente reso reale.

Dorian non ce la faceva, non sapeva gestire la sua parte e, cosa peggiore, aveva illuso tutti su un modo di suonare che non era il suo. Avrebbero dovuto per forza far tornare Justin dalla parte della ragione, per uscirne.

 

Avevano bisogno di lui, ma prima si sentì di dare un consiglio a Dorian.

Era così fottutamente giovane e pieno di talento, ed era solo invischiato. Infondo non sarebbe stata né la prima volta né l'ultima nella sua carriera, se ne avesse avuta una, ma il suo compito era proprio di aiutarlo, no?

 

"E' il vostro primo disco, Dorian, e siete giovani. Eddie ha appena compiuto ventitrè anni e venite da una situazione, bhè... inusuale. Non è roba da tutti i giorni che un gruppo rock provi l'esperienza gratificante di essere una boy-band e nel vostro caso, sul vostro carattere e sulle dinamiche interne del gruppo, ha certamente influito.

Dovete prima dimostrare assolutamente che ce la farete, per fare stare zitti gli avvoltoi che vi volteggiano attorno.”

“Non me ne parlare, esco di casa e sono assediato, rimpiango quasi...”- Monik- stava per aggiungere Dorian, ma stette zitto.

 

Flood sospirò, sparandone una delle sue.

“Siete rockstar ancora prima di aver suonato. La vostra è la storia dell'anno per il mondo musicale.”

Dorian si appoggiò alla parete; persino i suoi capelli sembravano meno brillanti del solito, di un biondo smorto, tanto era lo stress che aveva addosso.

“Ho letto degli articoli. Ci stanno dando tutti addosso. E se solo sbagliassimo...”

“Non sbaglierete.” commentò il produttore, quieto.

Dorian stava passando dalla sovreccitazione allo sconforto e tra un po' avrebbe messo via la chitarra.

Confuso o no, incapace di tenere ritmi da grande band o no, a Flood sembrava un peccato mortale farlo smettere di suonare. Era fottutamente geniale.

 

“Dorian...A mio parere ce la farete,se si tira fuori Justin; tu stai solo capendo che non ti piace suonare le stesse cose che ascolti, hai fatto troppa poca gavetta per poter scoprirlo da solo e con la giusta tempistica, se mai esistesse una vera giusta tempistica. Sembra una stronzata ma è brutto, è come se stessi andando contro i tuoi sogni. Per tutta la vita hai pensato 'che culo potessi essere Stone Gossard' per poi scoprire che non ti piacerebbe affatto. Avete suonato troppo poco nei vostri panni.”

 

Dorian sospirò.

La loro poca esperienza come band live era lontana e insufficiente. Stavano emergendo un caos di carenze tecniche e, mentre Justin continuava ad accelerare,loro si impantanavano sempre di più.

Non riusciva a capire assolutamente che con le loro difficoltà,con la loro poca esperienza,non ci stavano dietro.

 

Flood continuò,imperterrito,come se stesse parlando da solo.

“Devi diventare il primo fan di tè stesso, e anche questa sembra una stronzata ma è una delle stronzate che non devi scordarti mai.” puntualizzò. “ Un fan vero è anche critico verso il suo idolo. Tu devi essere contento e scontento di te a seconda dei casi. Justin ha capito ancora di meno! Crede che quel modo di suonare sia il tuo modo e non una copia a modo tuo, che è tutta un'altra cosa, e tu devi fargliela capire. Cerca di parlargli, anche se continuate a riempirvi di lividi e ad attaccarvi siete i più legati."

Dorian, suo malgrado annuì accettando la sigaretta che gli offriva Lou, entrato in sala solo dopo che Flood aveva sedato la quarta guerra mondiale. Non era affatto un cuor di leone, l'assistente, ma si stavano affezionando al loro team di produzione.

Il chitarrista stava legando con Flood in un modo allarmante, tanto da fare le nottate con lui a mixare i pezzi.

 

Accese la sigaretta, pensieroso: aveva smesso quasi due anni fa, ma sentiva di averne bisogno.

Lou aspirò una boccata, annuendo, e poi si voltò verso il corridoio, dove si sentiva ancora Shane e Justin accapigliarsi animatamente.

Su certe cose Shane era l' unico che poteva tenere testa a Justin:gli spaccava la testa se andava troppo in là a parole, poteva pure tirare tutte le cazzate che voleva. Che paranoico..! Ma Shane passava direttamente alle botte.

 

 

Flood riprese a parlare,dopo averlo lasciato assimilare quello che aveva detto.

"E le idee...Non ho mai visto una carica simile,anche se siete a corto di esperienza e tecnica. Justin quando si sblocca è un vulcano, tu hai degli spunti assolutamente originali e soprattutto sapete riciclare ogni cosa,non buttate via il minimo scarto! Dovete trovare un compromesso soddisfacente e non credo che sia così grave la situazione. Potrà esserti utile il background di Justin sulla musica industrial e anni '80 per trovare il tuo modo di suonare. Se non lo trovate...beh” fece spallucce “ ne verrà fuori un buon album in ogni caso. Con così tanta merda in giro,persino dei pivellini possono diventare star.” ammiccò.

“Flood...ti amo per queste parole.”, rispose sarcastico Dorian.

“Sì, sono venuto qua solo perchè per Skype mi avete fatto gli occhi a cuoricino ed avete detto di amarmi! Poi vedi come si è smontato in fretta Justin, dopo che ha guadagnato l'autografo sulla sua copia di Achtung baby!”, ironizzò a sua volta il produttore, pulendosi gli occhiali.

 

Calmata la discussione, fece per andarsene dall'altra fetta di gruppo, quando Dorian lo chiamò, timidamente.

"Senti... Hai parlato di un nostro modo di suonare. Che sarà difficile trovarlo proprio ora. E se lo trovassimo?"

Il ragazzo era francamente spaventato dal sentir parlare di un suo modo di suonare.

Ciononostante non lo riteneva impossibile.

 

Non con Flood.

E non con il suo gruppo.

Flood sorrise, a quell'uscita quasi spavalda; Dorian iniziava a cambiare decisione.

-E' solo maledettamente giovane e confuso. Ma ne uscirà. E' un grande chitarrista.-

 

"Ne uscirà un grande album, Dorian. Di quelli storici. Le premesse ci sono tutte, ma... tutto sta a voi due.” poggiò il dito sul petto di Dorian fissandolo negli occhi “Siete tu e Justin che create il suono, anche se non ho mai visto un modo così disordinato di lavorare.”

"Flood, sai meglio di me che senza Ed e Shaney..."

"Senza Eddie e Shane non sareste quello che siete, ma pensi che non riuscireste a cavarvela con altri?"

 

Dorian ci pensò sù per qualche secondo, tentò quasi matematicamente di cancellare Shane e Eddie dalla loro equazione-gruppo.

Non ci riusciva in ogni modo: erano una band, cazzo.

Da sempre. E non avrebbe mai permesso che nessuno ne uscisse.

 

"No, sinceramente penso che non riusciremo a cavarcela. Io no di certo."

"Meglio così, se lo pensi. E senza Justin ve la cavereste? Senza il vostro frontman?"

"Assolutamente no!", protestò allibito Dorian.

"Ancora dell'idea che debba cercarsi un altro chitarrista? Se non un altro gruppo?"

 

Dorian rise.

"Touchè! No, non lo penso. Adesso vado a cercarlo."

"Ricordati quel che ti ho detto."

"Di essere il mio fan?"

"Il vostro fan. Non è così urgente; per ora pensate a fare un buon album che faccia tacere un po' di corvacci che beccano già sulla vostra lapide. Non uno che sia storico, badate anche a divertirvi. Come hai detto tu, sperimentate. Ma prima o poi dovrete trovare un punto di incontro. Magari prima macinatevi un po di chilometri e sopravvivete,soprattutto. Allora potrà uscire un grande album."

"Un compromesso."

 

Flood tornò al banco di mixaggio in control room e sorrise, prendendosi un'altra tazza di thè.

"C'è sempre un compromesso soddisfacente per tutti."

*

Dorian trovò Eddie per il corridoio, che stava tornando lentamente in sala prove, stiracchiandosi apparentemente placido.

"Finita la bagarre?"

"Grrrrrrrazie, Eddie!,c'è stata praticamente la quarta guerra mondiale e tu stai lì lì per addormentarti!"

"Io ho avuto ieri la mia parte sul ring con Justin, scusami non ci tengo a discuterci anche oggi. Mi ha logorato la vita a sufficienza e sto riprendendo solo ora in ottimismo." si difese il rosso, incrociando le braccia.

"Beh, se ne hai voglia accomodati pure a sbacchettare sui piatti, io vado a dire un paio di cosine all'artista."

"Dorian, non ti pare il caso di...", iniziò subito Eddie, mutando l'espressione placida in preoccupazione.

"Vado a fare pace, tranquillizzati. Arriviamo subito, tu fai quel che vuoi."

"Oggi non è più sbarellato del solito, magari si conclude qualcosa per la fine della giornata.",concluse Eddie, riavviandosi per la sala prove.

 

-Beato ottimismo-, pensò Dorian, mentre il suo rigurgito orgoglioso da chitarrista stava già svanendo.

 

Trovò gli altri due al bar interno e giudicò che Shane doveva aver buttato giù a forza almeno una dozzina di camomille a Justin, che sembrava ancora cupo ma più per posa.

Il moro era infatti nella sua tipica posa da mastino e Dorian intuiva che pur di cavarsela Justin si fosse arreso a darsi una calmata,almeno per quel giorno.

 

Quando lo vide arrivare, guardò Shane implorante, che scosse la testa sibilandogli 'vai', e così Justin gettò via il bicchierino di carta e gli si avvicinò a mani alzate; quasi come per far vedere che era disarmato, sia a parole che a fatti.

 

Sulla sua faccia campeggiava un'aria maledettamente stanca e stressata.

Era al limite almeno quanto lui.

"Okay,Dorian,senti...Mi scuso, ok? Ma dobbiamo darci delle regole. Siamo entrati in studio a cazzo, praticamente."

"Discuterne civilmente, magari.",sospirò Dorian.

"Tutti, prima , dobbiamo capire cosa non vogliamo e vedere se possiamo poi evitarlo. Bisogna cercare un compromesso soddisfacente per tutti."

 

Shane sembrò quasi leggergli nel pensiero.

"Non può uscire un album grunge. Dobbiamo metterci d'accordo e coniugare un modo di suonare che si adatti a noi, alle nostre capacità unite, ai nostri ritmi e soprattutto che ci piaccia. Siamo entrati in studio troppo presto e con le idee confuse, ha ragione il tizio qua." aggiunse, dando una pacca alla spalla di Justin, che lo mandò avanti ancora più vicino a Dorian il quale ebbe modo di osservarlo un attimo.

 

Justin sembrava distrutto, davvero.

Come se qualcosa di interno lo stesse consumando, forse la stessa cosa che lo metteva in moto quando dava così fuori.

 

"Dorian...”

“Eh?”, soffiò, riportandosi alla realtà; Justin lo guardava fisso e guardingo.

“Non vuoi suonare grunge?"

"No.",ribattè secco l'amico."Non è il mio suono."

 

"Il tuo suono è quel maledetto delay, in primis.", si fece sentire Eddie, che li aveva raggiunti. "Da quando hai scoperto quanto Flood può modificarlo non ci vivi senza, a volte penso che te lo porti pure a letto!. Ed è inutile che ti incazzi tanto, tu.", aggiunse guardando Justin che si mordeva un lembo della maglia. "Tanto si vede che ti piace."

 

Dorian fissò stupito Justin., che alzò le spalle, con aria vagamente colpevole.

“Io... volevo che tenessimo le canzoni della demo com'erano. Non cambiarle. Però è vero... Possono essere migliorate, solo che ..”

“Hai fatto questo casino perchè non ne hai mai parlato?!”, gli apparve magicamente alle spalle Shane, facendolo sobbalzare. “Cristo, ancora con questi problemi di comunicazione?!”

“No, io...”, Justin pareva in trappola quando proprio Dorian lo salvò, caritatevolmente.

“Pensava di guadagnare tempo, vero Justin? Invece se non ricostruiamo le nostre basi lo perderemo e basta.”

“E non vuole far vedere che gli piace il suono più leggero di chitarra! E' proprio un deficiente!”, rise allegro Eddie, stemperando del tutto la tensione. “Ma io dalla mia postazione dei piatti vedo tutto!”

 

Justin si aprì un sorriso coinvolgente.

"Lurida spia!"

"Tutto te, amore!"

Eddie si riavviò ridendo, come un fantasma dopo una profezia.

 

Shane si alzò.

"Non ne uscirà un album grunge.", ripetè. Sembrò piacergli il suono di quelle parole.

A Dorian, da circa cinque minuti, piacevano ancora di più.

Justin stava iniziando a riscoprirle.

"A me non è mai piaciuto il grunge.",ribattè Justin. "Ma tu hai sempre suonato così."

 

Dorian scrollò le spalle.

"Mark mi ha detto che se scegliamo la tua o la mia ne verrà fuori un buon disco. Justin, posso concederti dei lussi o delle forzature su qualche canzone."

"No.",disse Justin, mettendogli un braccio attorno al collo, in segno di scherzoso affetto. "Non concederemo niente e ne verrà fuori un grande disco. E non sarà grunge, anche perchè a me i Nirvana hanno sempre fatto schifo, Dorian Kierdiing!"

"Ehi, adesso vacci piano, stronzo!" finse di indispettirsi Dorian, ridendo."Dobbiamo trovare un'alternativa."

 

Shane si avviò dietro di loro.

"Tutto sta a provarci. Secondo me ci vuole un ambientazione."

 

Justin si fermò, guardandolo.

Shane ci pensò sù e poi spiegò quel che intendeva.

"Un qualcosa che ti porti come in un altro posto,lo usano in tanti. Non solo la musica, anche la voce, il ritmo. Una scena. Come...",tentò di trovare Shane.

 

Justin lo fissò per circa due minuti mordicchiandosi incessantemente la maglia...Poi sembrò avere un'illuminazione.

 

Puf!,puf...PUM!

Sembrava l'avviarsi di un motore a scoppio.

Sfruttato, malandato, ma ancora maledettamente grande.

L'illuminarsi del razzo cerebrale sembrò illuminarlo quasi anche in faccia.

Solo che non c'era molto da illuminare,vero? C'era da scurire...

 

"...un ambiente saturo...Energia statica...Salto nel buio...Metallo, tecnologia primordiale...", sparò in fila Justin, crescendo di tono.

Dorian si spaventò.

"Una seconda nascita.",aggiunse Shane, eccitato. "Un bambino che nasce, cos'aveva prima? Il ventre cupo, molle, l'ignoto attorno, avvolgente..."

"Ironia nera. Dobbiamo giocare su questo. E su questi elementi. Pensa al dark, non a quello banale dei vampiri, pensa alla desolazione! Cosa ti viene in mente?"

Shane ci pensò.

"Uno scenario tra il cyber e il gotico. Blade runner, forse.Quello che sembrava il mondo dei primi 90,quando avevo quindici anni,sedici. Freddo. Plastica. Ritmiche ossessive, pulsanti. Robot. Le Nintendo e le Sega della Sony . Cos'avevi detto prima? Energia..."

"...statica. Credo che abbia ragione la popstar (-Dorian gli mandò un vaffanculo ignorato-), bisogna distorcere, ma non appesantire! Sound distorto, realtà distorta...",concluse Justin, a sua volta pensieroso.

 

Poi si illuminò e si guardò attorno. "E' così! Non c'è un foglio?"

"Il notebook è...",iniziò Dorian.

"Affanculo i computer!!",quasi gli urlò Justin in faccia. "Non ne abbiamo bisogno! Abbiamo bisogno di macchine, non di computer! Di cose che si facciano comandare ma che non siano troppo intelligenti!"

Scappò via per il corridoio cercando un foglio qualunque sul quale scrivere.

Dorian afferrò il braccio di Shane non appena si voltò.

"Shane, cosa...?"

"Ha trovato quel che stava cercando.",sorrise Shane. "Si sta ricordando di tutto quel che parlava sempre prima della boy-band. Il senso di decadenza. E la decadenza passerà per l'ironia ma non sarà leggera, sarà pesante. Uno scenario a modo suo."

 

Shane ci ripensò.

"Nostro."

 

Quando rientrarono in studio, trovarono Justin che discuteva animatamente con Flood mentre riempiva una lavagnetta magnetica di scritte.

“Tutto di un colpo,così..”

“Non è tutto di un colpo, Mark, Adesso ti spiego. No,aspetta! Non toccare,devo finire...”

“Ma questo...”

“Fammi finire,cazzo,poi ti spiego!”

“Tutto il tempo che vuoi, Justin, con la fretta non si fa niente.”, sospirò Flood, allontanandosi di nuovo da quelle mine vaganti.

 

La lavagnetta si stava riempiendo velocemente di scritte , sembrava quasi che Justin le scrivesse col pensiero ed ognuna dava modo ad altre due di nascere per poi scindersi, cancellarsi e tornare all'inizio.

Ben presto anche Dorian prese un pennarello e si mise a scrivere, anche se all'inizio lentamente poi sovraccaricandosi come l'amico.

 

Eddie notò come a quei due brillassero gli occhi.

Stavano pensando in tandem, una cosa che non accadeva da quasi tre anni.

 

Justin sorrideva sempre più, come fosse un gioco che avesse dimenticato e finalmente riscoperto.

 

Il suo gioco preferito.

 

Gotico. Plastico. Pesante. Ironia. Macchine(non computer!!). Distorsione. Sovraccarico. Sentimento. Bugie

Innovativo,non troppo. Ironia(doppia dose di quella nera). Grezzo. Rumore. Dark non banale. Massa. Confuso. Contraddittorio. Desolazione. Metropolitano. Mittel-Europa. Anni 90,lo show.

 

Shane sogghignò e prese il basso, Eddie scrutava la lavagna non capendo un cavolo, e a lavoro finito, dopo un'ora. Justin ancora si spremeva le meningi, cancellava per poi riscrivere. Dorian sospirò mentre raccoglieva Phoenix.

 

Ma dentro di sé stava esultando.

“Visto che ci dobbiamo rovinare del tutto...qualcuno mi dà una sigaretta?”

 

Mentre provava a ricreare le note cristalline della sua adolescenza, si sentì Shane minacciare Justin, che scartabellava tra i suoi testi.

 

“Se mi fai fare come disco d'esordio qualcosa di complicato come un concept album, Swanson... Ti ammazzo, ci credi?”

“Ci credo. Ma penso anche che correrò il rischio.”, sorrise Justin.

 

Flood si assestò sulla sedia a bersi il suo sospirato thè.

 

“Che lo show abbia inizio, signori...”



Capitolo betato da Martina Berton, che ringrazio per il suo stile ed eleganza con cui ha riportato in retta via i miei svarioni più grossi (coff coff, verbi...coff coff, intercalare...) e che non ha mai sentito il proverbio 'Non si cava un ragno dal buco'. Sis, non mi minacciare, non ho firmato nessuno contratto perciò a)ti chiamo col tuo nome b)sì, sto sfottendo :3

Grazie speciale a Jo_The_Ripper, la mia prima beta reader; senza di lei non avrei mai pubblicato questo mostruoso labirinto.

MARK ELLIS, a.k.a FLOOD; sound engineer e produttore di notissimi album negli anni '80,'90 ed in attività. 
Controllate su wikipedia che album ha prodotto e potreste farvi un'idea di dove andranno a parare questi scemi.

 

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Capitolo 29
*** 29. Chi vivrà vedrà ***


29. Chi vivrà vedrà

 

In Ringsend Road, ai Windmill Lane studios, il lavoro degli Interferences e di Flood, assistito da Lou e da pochi altri, ferveva da quando la tregua era stata dichiarata.

 

In una settimana di lavoro, grazie anche al fatto che si mandavano i pezzi via e mail, dai quattro irlandesi uscirono cinque canzoni nate già quasi perfette ed in soli due giorni Flood e Lou riuscirono a mixarle nel modo migliore, effettando specialmente la batteria ed i microfoni ambientali.

Dorian li seguì passo passo, chiedendo e dando suggerimenti (spesso non richiesti ma a volte davvero pieni di buonsenso) fino a guadagnarsi l'accesso alle sacre manopole del mixing desk, seppure sotto la stretta sorveglianza di Flood.

 

In due settimane riuscirono a rifare quasi daccapo le altre cinque canzoni già registrate, lasciandone intatta solo una che suonava già perfetta.

 

 

Justin, Eddie, Shane e Dorian lavoravano con un videoregistratore acceso a volume bassissimo o azzerato con i loro film preferiti e quelli che dovevano dare loro la spinta verso quell'ambiente oscuro e saturo di meccanismi nascosti che volevano raggiungere.

Primeggiavano Il Corvo, Blade Runner, Il cielo sopra Berlino,Così lontano così vicino, Trainspotting, Velvet Goldmine e I ragazzi dello Zoo di Berlino; per lo spasso di Dorian, un sacco di cartoni animati che avevano furoreggiato nei 90's ma che non avevano mai avuto il tempo per goderseli nell'età giusta.

 

Il cielo sopra Berlino sparì dopo tre giorni e riapparve a singhiozzo due-tre volte al mese; Flood lo sequestrò a Dorian perché si incantava a guardare il film invece di suonare.

Justin portò I ragazzi dello Zoo di Berlino e Velvet Goldmine ed il biondino suo amico, per equilibrare le sorti del torto che gli aveva fatto Flood col suo film,li sfasciò letteralmente durante una litigata.

 

Avevano stabilito una tregua, non una pace eterna, e non sarebbe stata neppure l'ultima volta che avrebbero litigato in studio.

 

Una pace eterna tra Dorian e Justin era fattibile quanto sconfiggere la fame nel mondo con un pacchetto di gallette; difatti quasi si scazzottarono di nuovo, per la disperazione di Flood e il sottile divertimento dei loro due compari.

Dorian riuscì a riallacciare i rapporti con il cantante solo regalandogli di nuovo i film in edizione Dvd e aggiungendoci anche 'L'uomo che cadde sulla terra'.

 

Justin ed Eddie facevano fuori dall'uno ai due pacchetti di sigarette al giorno,Shane aveva smesso in pianta stabile e Dorian aveva ricominciato a ritmo allarmante;in capo a un mese li batteva entrambi,soprattutto in fase di missaggio, visto si fermava anche di notte.

 

Verso la fine del lavoro Flood gli impose un limite tassativo, facendo anche la voce grossa; avrebbe dovuto calare ad un pacchetto e mezzo al giorno perché iniziava a stentare nella seconda voce, sempre molto alta e che in certe canzoni era indispensabile.

 

Come già detto, Dorian e Justin si accapigliarono un'altra dozzina di volte, non arrivando mai comunque al parossismo di prima; almeno cinque volte fu per i testi, e le restanti quando tentarono di mettere le mani su 'Silences'.

 

Quella cosa era stata caldamente sconsigliata da Flood, visto quella canzone sembrava maledetta.

 

Era stata perfetta ai tempi del gruppo indipendente e secondo, beh, tutti, compagni compresi, non si sarebbe riuscito a modificarla per integrarla nell'album, trasportandola così nell'epos che volevano, ma Dorian lavorò per ben tre giorni senza mai staccare, litigando con tutti e persino con Flood su certe parti del missaggio, finchè Justin un giorno non abbandonò lo studio lasciando detto al bellicoso biondino che la parte di testo di Silences che sarebbe dovuta cambiare e che non gli andava mai bene avrebeb dovuto scriversela da solo, così come era nata.

 

L'abbandono avvenne in seguito ad un litigio particolarmente violento che ricordava quelli pre-tregua; si erano urlati dietro di tutto, non risparmiandosi nessuna meschinità finchè Dorian, in un attacco di nervi, rabbia, isterismo e non ultimo stress e consapevolezza di essere l'unico a tenere così tanto a quella canzone, non aveva preso Justin dai capelli e lo aveva trascinato in giro per lo studio per cinque minuti a vuoto, con l'altro impossibilitato a liberarsi.

Quando Eddie gliel'aveva fatto mollare,Justin era scappato con le lacrime a metà guance dal dolore e aveva dato loro l'impressione di un addio definitivo.

Dorian, preso dai sensi di colpa e ispirato dal temporale come un novello Frankestein, mandò via tutti ed infine anche Flood e Lou dal mixing desk e, fumandosi un'intero pacchetto di sigarette in due ore, incazzato come una iena e con gli occhi resi ormai folli dallo stress, rivoluzionò la canzone ed anche il testo.

 

Il giorno dopo, la suonò assieme agli altri (Justin era ancora latitante a causa del nervosismo) e ne fu talmente soddisfatto da telefonargli per farlo tornare in studio a cantarla.

Quando Justin tornò, cupo come nei soliti postumi di litigata, prima gliela fecero sentire, poi gli diedero il testo con le variazioni da leggere.

 

La prima cosa che Justin disse fu 'Quando canti ti mangi le parole' e la seconda, col mento per terra, fu 'Dorian, l'hai DAVVERO scritta tu?! E' persino più cupa di prima!'

Dimenticate le vicissitudini passate, insistette perchè la cantasse l'autore, ma Dorian rifiutò in ogni modo. Quando la provarono in versione definitiva, Shane disse, senza offesa, che se con Dorian suonava bene, ma con Justin suonava grande.

 

Modificare 'Silences', il loro caposaldo di sempre, ebbe l'effetto di uno scossone da voltaggio elevato ma non mortale; rimasero storditi per un po', poi tutti, compreso il sempiterno indeciso Eddie, capirono in che direzione andare.

 

Se 'Silences' era modificabile, tutto era modificabile.

Se il loro passato era modificabile, potevano cancellare ciò che erano stati.

Se potevano cancellare e modificare, potevano provare a fare seriamente ciò che volevano.

 

E come se ne convinsero, come quell'idea attecchì nelle menti di tutti, capirono di aver preso il biglietto giusto per l'album che sognavano.

 

Tutti i pezzi finirono di nuovo (quinta volta) sotto le mani di Flood (che giurò di non produrre mai più interamente un loro disco), Lou, Dorian e persino Justin si aggiunse all'allegra brigata in control room, facendo più danni che altro, ma con la sua ritrovata calma riusciva a frenare i bollori di Dorian, spesso troppo solerte ai limiti del disturbo.

 

Quando l'album fu finito, quasi fu rimandato indietro dalla casa discografica da tanto era ciò che non si aspettavano, non fosse stata per l'appassionante difesa del produttore.

L'Universal si arrese, sia perchè i critici di cui disponeva dettero un'ok appasionato, sebbene stupiti, sia perchè il parere di Flood non era acqua fresca.

 

'Velvet Wall'

Questo era il titolo del disco.

E puntava ad essere un grandissimo disco.

Uno di quelli miliari, per intenderci.

*

*

Alla festa di presentazione del disco completamente missato, finito e ormai persino chiuso in quello che sarebbe stato il suo packaging di distribuzione, Eddie si sentì gonfio d'orgoglio all'ultimo tocco di batteria che lo chiudeva.

Non riusciva a crederci, non poteva crederci.

Per lui era stato tutto facile, troppo facile, aveva buttato fuori tutto quello che aveva e non si era guardato indietro mai, non aveva lasciato vittime sul percorso e i suoi sensi di colpa non affioravano mai.

Aveva fatto un lavoro che quel bastardo di suo fratello Edmond, presente alla festa a Dublino e che si nascondeva dietro due Mojiti, elogiava borbottando a mezza voce.

Se pensava che una volta gli sarebbe bastato quello come apprezzamento, ne rideva: ora puntava a molto di più.

 

Shane, riascoltando per l'ennesima volta Blindness, si sentiva commosso: non aveva mai creduto nella sua vita di riuscire a suonare qualcosa di così bello, di così carico ma semplice, così fottutamente suo.

Era suo quel bellissimo giro di basso che lo stava colpendo al cuore fin quasi alle lacrime; lo stava sentendo sul cd dalle cuffie: quel suono che aveva cercato per anni in tutte le canzoni e non riusciva mai a trovare.

Il SUO suono!

 

Justin, invece, si sentiva stremato e vagamente spaesato sentendo il suo ultimo disperato falsetto.

Era stato faticoso per lui, a volte addirittura umiliante e il peggio doveva forse ancora venire, con i suoi pensieri e le sue visioni in pasto agli ascoltatori, probabilmente mal interpretate, bisognose di spiegazioni e di voce, una voce che non riusciva sempre a fare ma che sentiva di dover per lo meno provarci.

Era nato per quello, non sarebbe vissuto se non l'avesse rifatto al più presto.

 

Poi si aprì in un sorriso, ascoltando una traccia cui teneva particolarmente, 'Someone in my mind'.

Aveva così tanto ancora da dire, da urlare, da sussurrare, da inventare...Aveva ancora tanti scritti già pronti e tanti ancora da preparare ma tutti lì, intorno a lui, nella vita che svolgeva tutti i giorni, non necessariamente in forma di parole.

Immagini...e anche facce, atteggiamenti, fatti, distorsioni, sentimenti...Ma soprattutto immagini.

 

Guardò con affetto gli altri, mentre il nastro ripartiva su Silences.

Si sentiva come se avesse concluso un parto difficile e doloroso, ma dopo aver visto il frutto della fatica era più che pronto a ricominciare.

C'erano tanti, tanti fiori sotterranei da cogliere...

*

*

*

ROLLING STONE UK, Gennaio 2002

 

Recensione di 'Velvet Wall', Interferences

 

“Il cambiamento da molti definito "ridicolo" e "senza speranza" dei Changes (boyband irlandese) ad Interferences (stessi elementi ma suonano veramente) trova sfogo, dopo guerre con l'ex management, molti annunci, false dichiarazioni e una partenza volutamente tenuta nascosta, nel primo album ufficiale del gruppo, 'Velvet Wall', registrato e missato ai Windmill Lane studios di Dublino da Mark 'Flood' Ellis, il Re Mida delle produzioni dei gruppi che hanno ispirato i quattro ragazzi irlandesi.

Il lavoro sembra esattamente il contrario di cosa ci si aspettava dalla band irlandese ma non giunge certo sgradito in questo momento e soprattutto non è stato progettato come un operazione mirata di un utopico cambiamento-svolta rock, con una pennellata di basi di chitarre elettriche e riffoni a mascherare un gruppo che ormai stava cadendo a pezzi.

Questo, signori, è un disco autentico e chi l'ha suonato sono dei veri musicisti; certamente non i migliori ma veri.

Velvet Wall suona a tutti gli effetti come un disco alternative rock e della miglior qualità, con ottimi intrecci di melodie e testi efficaci anche se spesso troppo introspettivi e, sorpresa sorpresa, suona completamente anni '90; in un periodo in cui impazza il crossover, il nu rock, il nu metal e la Bristol school, questi quattro ragazzi (a cui nessuno avrebbe dato mezza sterlina come musicisti veri ed anche in grado di pensare) dal background musicale molto diverso tra loro, hanno riunito le varie sfaccettature degli anni '90 ed anche '80 in certi casi, e sono riusciti a registrarle negli anni 2000, pur non perdendo niente del buon secolo appena passato.

La prima canzone, Blindness, sembra costruita appositamente per farsi odiare da chi ha amato le canzoni pop sdolcinate o le coreografie esagerate della precedente vita del gruppo e l'intero disco sembra calibrato su questa idea, con i pesanti ritmi di una batteria abbellita da echi e un cantato a tratti aggressivo e a tratti filtrato e inquietante, che lascia spazio ad una seconda voce quasi sempre presente.

Come per liberarsi dalle melensaggini e le banalità del precedente disco, gli Interferences sembrano voler scaricare sull'ascoltatore un epos macabramente ironico a chi li aveva ritenuti incapaci di suonare e di ricostruirsi; scaricano la loro adolescenza rubata e tornano volutamente indietro nel tempo, fregandosene delle mode in circolazione ora, puntando a rifarsi a grandi nomi nella loro evoluzione con una maturità impressionante.

Provate a non lasciarvi impressionare dall'ex bella vocina di Justin Swanson che lascia un'eco di un sussurro dicendo 'Next shot missed it will be just for you' fondendosi con l'eco del basso e della chitarra in dissolvenza.

Ignorate che il delicato ritornello di 'Silences', tra l'altro presente in due versioni come bonus track cantata in acustico da Dorian Kierdiing, autore sia del testo che della canzone, sia un carrillon di delay distorto dopo brevissime punteggiature di powerchords che, a due voci, ricorda sinistramente i lavori di Trent Reznor-Nine Inch Nails; macabramente simili nel ritornello quanto lontanissimi nella strofa.

 

Velvet Wall suona come una sorta di eredità dell'eurowawe della trilogia berlinese di Bowie (Heroes, Lodger e Low), le atmosfere inquietanti dei sopracitati NIN (su tutti l'e.p. Broken) , è un disco che suona tirato dall'inizio alla fine senza una pausa, rifinito fino all'ultimo dettaglio seppur fatto in fretta e intenzionalmente decandente e industriale, una sorta di Songs of faith and Devotion dei Depeche Mode o di Achtung baby degli U2 parte seconda, arrivando persino a toccare muri grunge di tanto in tanto. Ne sono la prova i due capisaldi del disco, Silences, tra l'altro attuale singolo di lancio, e la centralissima ed infatti anche baricentro del disco, Someone in my mind , una strana canzone con un ritmo di 3\4 e una linea di basso fissa e persistente, che lascia un po' perplessi all'inizio ma che conquista pian piano.

Il basso pulsante ed insistente ma non groovy, la chitarra usata come strumento ritmico quando accuratamente distorta e come solista quando insistente con il delay (a proposito, è proprio il biondino ex-preferito dalle ragazzine il maggior protagonista dell'album, sia come songwriter che come co-produttore) e la batteria pesante e rumorosa, il tutto completato da un cantato filtrato e pieno di effetti, danno l'impressione che gli Interferences abbiano voluto deliberatamente fare un disco che suonasse come rumore industriale, tecnologicamente grezzo, sopra un base rock, forse per liberarsi del troppo lucido che avevano accumulato con il loro passato.

La canzone finale, Burn, lascia un senso di estraneità con un basso che scorre ed una voce in perenne falsetto, chiude perfettamente il cerchio sullo stesso ritmo di Blindness, e invita a far ripartire il disco come un circuito chiuso ma lascia anche una porta aperta su un futuro.

L'album, benchè grezzo e industriale, suona come un parto doloroso e rumoroso avvolto in un'impalpabile velo di tastiere programmate che scopre le carte della produzione di Flood, che fa in modo, assieme ad un team di produzione di tutto rispetto, che il disco suoni come un'accusa al mondo dell'apparenza globale. Sfacciato e assurdo, rumoroso ma affilato, fragile sotto una tela grezza, oscuramente ironico, schizofrenico, Velvet Wall è un disco contraddittorio che richiama il bisogno di un paio di calci allo stereo ma incredibilmente funziona e affascina, e che potrebbe raggiungere sia una massa come disco da classifica che un'ottima posizione sulla scena alternativa.

E' ancora presto per parlare di next big thing, ma se il tour in partenza a febbraio e presentato come un ritorno ai grandi show itineranti, confermasse il loro talento, il bassista Shane Haynes, il batterista Edward Joyce, il cantante Justin Swanson e il chitarrista Dorian Kierdiing, età media 23\24 anni, si ritrovebbero ben presto nell'aria rarefatta dell'alta scena rock, grazie a questo disco che ha un po' dell'incredibile rispetto al passato.

La favola di questi quattro irlandesi,se ben gestita,potrebbe andare avanti per molto tempo prima del finale,bello o brutto che sia.

E comunque andrà,per usare una frase fatta,per loro è già un gran successo.”

*

*

Le recensioni di NME,Kerrang!, Hot Press e di vari altri giornali minori, confermarono quello che Rolling Stone, il primo a ricevere il cd per i critici assieme ad NME, aveva detto su di loro.

Velvet Wall era in pole position per essere il disco dell'appena iniziato 2002.

 

E, se si fossero giocati bene il mastodontico tour in cui avevano investito quasi tutti i loro guadagni e la percentuale che stavano ricevendo dalle prenotazioni del loro cd dalla casa discografica, sarebbe forse stato in pole position per raggiungere i suoi illustri predecessori citati nell'articolo che, negli anni a venire, sarebbe stato spesso ripreso.

Velvet Wall era un capolavoro, uscito non si sa da dove; era nell'aria da sei anni tra loro, messo in cantina per essere rimpiazzato con un onesto disco rock, e finalmente i ragazzi lo avevano recuperato e fissato su supporto in due mesi o poco più.

 

Justin, durante i festeggiamenti che seguirono l'uscita commerciale del disco, decretò che quel disco sarebbe diventato immortale: giusto perchè era Justin lo lasciarono dire.

 

Che sarebbe diventato davvero immortale, dopo un periodo di dimenticanza,non lo immaginava realmente nessuno.

*

*

Shane, durante le prove in studio del tour, notò improvvisamente che Justin era nuovamente dimagrito.

Poco prima dell'inizio delle registrazioni doveva pesare sui settanta chili nella boyband a quanto ricordava, ora doveva essere sui sessanta scarsi, arrivando al metro e ottantacinque con un ultimo salto dell'evoluzione.

Così magro aveva un'aria pallida ed evanescente che gli era tristemente familiare ma avrebbe messo la mano sul fuoco che non prendesse niente.

Lui non era cambiato ('...ci mancherebbe!', avrebbero commentato gli altri) minimamente, gli piaceva ancora tenersi in forma col rugby anche se non ai livelli di una volta, ma di Justin non se n'era accorto nessuno.

 

Ricordava per esempio di Dorian, che era cresciuto di quasi quindici centimetri tutto di un colpo nell'ultimo anno alla Wenders School, (dall'uno e settanta al metro e ottantadue dell'era Queasyzoica) e di Eddie, che aveva fatto un'incredibile elevazione da tappo fino al metro e ottantacinque apparentemente nel giro di tre giorni quando giocava a rugby il secondo anno, se n'era accorto subito.

Che diavolo, sua madre diceva di sentirlo crescere di notte!

E poi Justin era sempre sembrato più alto, a causa del suo fisico, ora ancoradi più con quel dimagrimento.

 

Tuttavia, Shane dovette ammettere che non aveva la solita aria malaticcia che aveva a scuola.

Anzi, non era mai sembrato più a posto.

 

Justin, con la sua copia di Velvet Wall sempre in borsa tracolla, lo sorprese a fissarlo mentre si girava con la sua Telecaster in mano e gli spedì un sorriso dopo una boccata di sigaretta, con gli occhi scintillanti sotto il solito ciuffo spettinato dai riflessi violacei.

 

Sembrava un gatto che stesse per papparsi il pesce rosso.

Shane imputò la sua felicità alle recensioni positive del disco,e si disinteressò della faccenda.

 

A intromettersi nel rapporto tra Justin ed il cibo, Justin ed il peso, Justin ed i testi, Justin e la sua visione del mondo, Justin ed i suoi capelli, se ne usciva sempre pesti.

Così, mentre Dorian affannato correva a sistemargli un cavo che non stesse, agitato come al solito nell'anima ogni volta che lo vedeva con quella grazia di Dio di Telecaster in mano, pronto per rovinare la base sotto un suo assolo, Justin esalò un'altra boccata, compiaciuto.

“Piantala di agitarti, passerotto...”, disse, con tono leggero, mentre si toglieva dai piedi per permettere che Dorian potesse smadonnare liberamente sul casino del suo jack. “La vita è troppo breve per passarsela male.”

 

Eddie, che si stava sedendo dietro la batteria con una mezza pinta di birra fresca, sbuffò.

Le solite sparate di Justin e Dorian che lo stava anche a sentire, a vedere come si era rallentato nei movimenti, finendo di fissare il cavo jack in modo che l'amico non ci si inciampasse e togliesse l'audio a quegli scarni powerchords che sapeva fare per riempire il suo vuoto, quando il suono di Phoenix diventava più assente.

“Tu pensi che la vita sia breve?”

Justin annuì, bevendo dalla sua tazza di caffè.

“Breve, combattuta e con poche soddisfazioni.”

Dorian gli spedì il suo sorriso luminoso, che ultimamente si era visto raramente.

 

Sembravano tornati alle discussioni liceali; sembravano loro due liceali.

“Io invece penso che ti sbagli, Swanson. Penso che sia lunga.”,e finì di sistemare il cavo, facendolo passare tra il corpo e la cinghia della chitarra dell'amico. “E per aver appena finito un disco che sognavamo da una vita, penso che sei maledettamente pessimista.”

 

Justin accolse il commento dell'amico con un sorrisetto ironico che voleva quasi sfotterlo.

No, compatirlo, pensò Eddie, l'unico attento alla scena.

“Allora vedremo chi avrà ragione, probabilmente.”, alzò la tazza Justin, con voce dolce, come ad un augurio.

Dorian lo fissò e gli rivolse lo stesso sorriso.

Con uno sguardo di sfida.

 

“Chi vivrà vedrà.”

 


CAPITOLO BETATO DA CALIPSO_MACABRE DOLL.
Eh sì, ci saranno un paio di capitoli di transizione, d'altronde è un romanzo su un gruppo rock, che volete che descriva?
Il sovrannaturale dovrebbe tornare tra poco, e tornerà a valanga, ora niente più nascondini, si gioca all'aperto!!
Grazie a tutti per il seguito e cercate di non perdervi in questa trama così banale e a tratti noiosa
Babs

 

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Capitolo 30
*** 30. L'immortalità ***


30. L'immortalità

 

Il video di 'Silences' era di quanto più banale ma coinvolgente fossero riusciti a fare con così poco preavviso; il singolo uscì circa il 20 dicembre 2001, pochissimi giorni prima dell'album, che uscì il 1 gennaio.

 

Shane, che si dilettava di disegno, caricature ed era l'unico che riusciva a spiegarsi con delle immagini e delle parole contemporaneamente, riuscì a far intendere al regista cosa volevano evitare.

 

Solo il veto di Dorian aveva convinto (costretto era la parola giusta) Justin a rinunciare a contattare Anton Corbijn, con un discorso conciso fatto quasi ruggendo come un leone, quando l'amico aveva espresso la sua idea alla casa discografica, ancora prima di comunicarla a loro.

 

“Scusa, cosa vorresti fare?!CHI vorresti disturbare per il PRIMO video di una band ESORDIENTE?!”

“Ma dai, Dorian, anche a te piac...”

“Ovvio che mi piace. Ed è ovvio che piaccia a te, anzi no, cretino io a non avere pensato che ci avresti provato a contattarlo! Ma posso ragguagliarti su un paio di cose, caro il mio angioletto dark, prima che tu chiami mr. Anton Corbijn e ci fai sbattere tutti in un deserto americano con una sedia a sdraio?”

“Fa il cazzo che vuoi...”, mugugnò Justin, mettendo il muso.

“Non ho sentito!”, ruggì Dorian contro Justin, che sosteneva il suo sguardo ma si era raggomitolato in poltrona sotto lo sguardo divertito di Eddie, a cui sembrava un gatto che avessero tirato una secchiata d'acqua gelida.

“Spiegati pure.”, brontolò Justin, più distintamente. Ora sembrava un bambino cui avessero sottrattro il leccalecca; aveva capito che non poteva avere Anton Corbijn e niente gli sarebbe interessato della situazione e della spiegazione, ma Dorian non resisteva alla tentazione di fargli una ramanzina.

“Ti ricordo che mr . Corbijn non è l'ultimo degli scemi e non si fa neanche pagare proprio come l'ultimo degli scemi. O non avrebbe il nome che ha, giusto?”

Un vago mugugno dalla poltrona fece intendere che Justin era d'accordo. O no, ma comunque c'era.

“Cosa non indifferente, dobbiamo fare un video in una settimana e, in quel lasso di tempo, metterci d'accordo col regista. Cosa che con Anton Corbijn non si potrebbe fare. Sappiamo come lavora, no? No, cioè, tu lo sai meglio di tutti! Avrebbe la sua idea bislacca e come minimo ci troveremmo in Marocco o comunque dall'altra parte dell'oceano, e qua nessuno di noi sa recitare. E se per recitare intendi quei video scemi dell'epoca della boyband, sei fuori strada!”

Altro mugugno da parte di Justin.

“E arriviamo al punto base, mio caro cantantino fottuto... I SOLDI. Abbiamo investito tutti i guadagni come boyband, le nostre percentuali sulle vendite del disco, e praticamente il nostro FUTURO, per avere un tour mastodontico invece di seguire il classico circuito indie di piccoli locali! Di chi è stata l'idea? Chi ha insistito tanto, convinto che saremmo riusciti a sopportarlo?”

E Dorian mise una mano dietro l'orecchio, in direzione della poltrona incriminata, finchè Justin asserì, con rabbia.

“Mia. E' stata mia!”

“BENE!! Dunque grazie alla tua idea rischiamo di essere a) col culo a terra, ma è la vita e potrebbe succedere ma, cosa più importante b)ricoperti di debiti dall'Universal e a me questo non andrebbe!! Perciò NIENTE ANTON CORBIJN!!”

Justin mugugnò un altro po' e si rifugiarono in un video di riserva con un regista esordiente che non combinò poi più di tanto nella vita ma che li condusse bene e non li fece recitare, bensì solo suonare.

 

Ovviamente Justin mugugnò per tutte le pause della lavorazione.

A distanza da Dorian.

 

'Silences' mostrava due band opposte che suonavano al Queasy; in realtà erano sempre loro,in una versione vestiti come quando avevano suonato la prima volta, strumenti sgangherati e pettinature comprese (Justin aveva indossato una parrucca biondo cenere con un gemito), in contrapposizione alla loro attuale immagine, attraverso uno specchio. Nel finale delirante della canzone, due gruppi si suonavano contro attraverso un turbine di immagini allo specchio,in bianco e nero e seppia e spesso distorte, finchè Dorian non rompeva lo specchio con la chitarra e poneva fine al tutto, poiché la frantumazione dello specchio metteva fine ad entrambi i gruppi.

Durante le riprese la chitarra gli era davvero scappata dalle mani contro uno specchio vero e si era beccato tre punti sul braccio grazie ad una scheggia.

Il video fu come quello di 'Smells like teen spirit'; banale ma dannatamente d'impatto, e contribuì alle vendite del singolo e alle prenotazioni, sia su I-Tunes che su cd nei negozi.

 

La crisi dell'industria discografica c'era e iniziava a farsi sentire, ma avevano suscitato un vespaio anche con poche interviste mirate, e le prime date del loro tour erano sold out.

 

Eddie lo chiamava, sempre sfiduciato, il culo degli esordienti.

 

Il giorno di S. Valentino, il 14 febbraio 2002, l'Over A Velvet Wall tour arrivò ai suoi enormi blocchi di partenza a Londra.

Due giorni per montare l'imponente scenografia, un nervosismo palpabile.

 

La Wembley Arena; non era ancora il vecchio Wembley stadium, ma ci sarebbero arrivati presto.

 

Dorian gironzolava qua e là come un ignavo nell'inferno dantesco, mandando giù cicchetti di Jack Daniel's come non ci fosse un domani. Justin stava in fissa con i monitor e gli sembrava sempre ci fosse qualcosa fuori posto; Eddie si era incollato al palco da quando avevano montato la batteria a fare un souncheck infinito e Shane discuteva dello scarto tra luci e schermi.

 

Nessuno avrebbe dato loro dei novellini, non in quel momento.

Flood entrò nel backstage del concerto per far loro gli auguri e poi si allontanò in tutta fretta.

Era positiva tutta quella carica, quel silenzio rimuginante. Ma li conosceva, ormai.

Una sola parola e sarebbe andato tutto in vacca.

 

Alle 21.25 del 14 febbraio 2002, nel corridoio del backstage della Wembley Arena, i quattro stavano con gli strumenti in mano, gli abiti di scena, a fissare il pavimento, in attesa del 'fuori'.

Dorian tentò di ricordare com'era stato l'esordio da Jeremy, al Queasy, ma non ci riusciva.

Riusciva solo a ricordare che, con sua sopresa, gli era venuto tutto naturale.

Nutriva dubbi sul fatto di riuscirci anche quella volta; per l'ultima volta mandò giù un cicchetto di whiskey, giusto mentre le luci si abbassavano e gli facevano prendere un colpo, spedendo il liquido ambrato per la via diversa e facendolo tossire.

Shane gli battè la schiena con troppa forza, agitato anch'esso.

“Non provare a soffocarti ora, cretino, ci servi!”

“Cof-coffcoff... cazzo,non dirmi che è già ora di andare!”

Shane si volse verso il corridoio che portava allo stage e sospirò.

“Non sarò io a dirtelo. Justin è già partito.”

*

*

“LONDON!! QUESTO E' UN ROCK'N'ROLL SHOW!!!”

L'urlo di partenza di Justin a musica ancora spenta nella notte appena calata con le luci momentaneamente spente e il salto dalla piattaforma n. 1, solo un paio di metri ma avevano fatto un grande effetto (nelle prove si era riempito di lividi cadendo male una volta).

Le luci improvvise blu ghiaccio a far calare un gelo da flash sull'Arena.

I venti schermi di dimensione varia, più gli 'schermetti' di un paio di metri tra il pubblico.

Le gigantesche torrette piene di luci e pulsanti di elettricità, tanto imponenti da aver avuto bisogno delle basi di cemento.

Velluto ed acciaio cromato dappertutto tranne che sul pavimento di assi, duro e sanguigno nella più classica tradizione rock.

L'oscurità irradiata e confusa con la massa elettrica.

Energia statica dappertutto.

Delirio.

 

Justin sentiva ogni nervo del suo corpo scoppiare di felicità ed eccitazione, non capiva come tutto il pubblico pensasse che fossero loro quattro lo spettacolo.

Lo spettacolo era tutto l'insieme, pubblico compreso.

Justin afferrò direttamente il microfono senza aspettare gli altri e si portò il più vicino possibile al bordo, mentre le luci dello stage lentamente alzavano un ulteriore sipario che svelava i loro schermi.

“QUESTO E' UN ROCK'N'ROLL SHOW!! CHI E' VENUTO A VEDERE BALLETTI!?!”

 

Un boato lo avvisò che Dorian, da buon ultimo, aveva trovato il coraggio di uscire ed annuì soddisfatto, mentre si sistemavano, la base tecnolisergica che martellava sotto.

Il biondino si era vestito come quando suonavano al Queasy ed era, come al solito, bellissimo; i jeans strappati e la maglietta, i capelli ondulati e biondissimi che sembravano creare un altro punto luce.

Phoenix, con i suoi colori sgargianti ed i suoi adesivi.

Non era affatto lo stesso ragazzo che affascinava ragazzine con un movimento di bacino, anche se avrebbe potuto farlo anche in quel momento.

 

Nessuno dubitava che buona parte del sold out fossero loro fans dell'ex boyband che volevano vederli ancora.

E che probabilmente avevano anche comprato il disco non per ascoltarlo, ma per le foto.

Peccato che ci sarebbero rimasti, o meglio rimaste, molto male; nel libretto del cd vi erano giusto quattro foto, una per membro, di Anton Corbijn, e la copertina che non li ritraeva affatto.

Sì, Justin era riuscito ad avere il suo fotografo preferito; pur di avere quelle foto aveva insistito fino a pagarlo di tasca sua, cosa che poi gli era stata impedita dagli altri a suon di insulti a mezza voce.

Di certo non erano le foto che si aspettavano le loro fans di lunga durata.

 

 

Sul Justin indossava pantaloni di pelle da schiattare sulle gambe magrissime e una t-shirt nera unisex a collo largo, il tutto nero.

Fu come se si fosse ritrovato, nelle urla del pubblico; il sexy boy della band, che camminava ancheggiando e indossava i suoi panni più lascivi.

La sua maschera più riuscita, uscita dal sarcofago in pochi minuti.

 

Si parò col viso davanti a una delle videocamere che proiettava sugli schermi, dopo aver ancheggiato fino al bordo destro, trascinando con sé l'asta.

Ce n'erano più di una ventina e ci voleva un intero staff di tecnici per curare i collegamenti con i 'televisoroni', come li aveva ribattezzati Shane.

Il pubblico, vedendolo sullo schermo più grande, raggiunse il delirio.

Sbattè le ciglia ingigantite da eyeliner e rimmel, e mandò un sospirone.

Poi stampò un bacio sulla videocamera, lasciando l'impronta del leggero lucidalabbra.

Shane ridacchiò, mentre mandava un paio di note col basso; Dorian mise le dita sul primo accordo, Eddie alzò le bacchette, pronto.

 

La tensione raggiunse un punto di non ritorno e Justin corse letteralmente fino a centropalco, dove afferrò l'asta del microfono e la tirò verso di sé come un'amante.

Aveva una voglia incontenibile di urlare, mostrare a tutti che erano davvero i numeri uno, che si sentivano i migliori.

“QUESTO SARA' ROCK'N'ROLL!!! FINO ALLA FINE DEL MONDO!!!!!!”

*

*

Quando stavano per concludere Blindness, Eddie alla batteria credette che Justin fosse sul punto di morire, da come urlava, totalmente perso nel finale delirante della canzone, e ricordò che verso la metà del lavoro in studio erano tanto presi che una volta aveva cantato fino a scorticarsi la gola.

 

Si era girato, dopo un sacco di stecche, ed aveva sputato direttamente sangue sulla moquette.

D'altronde anche lui aveva avuto quasi un collasso, dopo una giornata particolarmente calda e pesante in studio.

Avevano fatto delle prove micidiali per il tour, quasi due mesi chiusi in studio a suonare e risuonare le canzoni e delle cover, a provare varie soluzioni e arrangiamenti, per i quali sempre Dorian aveva dimostrato di avere un reale talento adattatore; si era messo con pazienza a risolvere i problemi del suono live e avevano concluso con delle più che accettabili tastiere programmate.

 

Poi erano venute le prove per le arene all'aperto ed era toccato loro ripartire daccapo.

Ma ce l'avevano fatta.

 

Eddie chiuse Blindness con una micidiale rullata e scrosciò sui piatti, mentre la chitarra di Dorian tirava gli ultimi.

Il grande palco dell'Over al Velvet Wall tour illuminava quasi a giorno metà arena mentre l'altra metà non era certo al buio. Schermi e schermetti erano stati messi dappertutto, anche giù dal palco ed in mezzo al pubblico, mentre tutta la zona dietro la batteria e tra i quattordici schermi di varie dimensioni posizionati lì era rivestita di acciaio cromato intaccato da velluto nero, quasi a creare un postmoderno salottino alla Wilde, reso sfacciatamente industriale.

Ogni tanto, in mezzo agli schermi, passava una riga di interferenza di telefonino, creata apposta per ricordare a tutti il loro nome.

Interferenze.

 

Eddie si trovò a riflettere, non per la prima volta, di com'era incredibile tutto quello che era successo.

E specialmente il fatto che fosse successo.

Dalle chiacchiere di sei anni prima, a quello che li aveva piegati in un modo che sembrava irreversibile al vero miracolo: Velvet Wall e tutto ciò che ne era derivato.

 

Poter esprimere le loro idee o i loro punti di vista, l'incredibile carica che li aveva assaliti appena entrati in studio, il timore che la loro musica fosse ancora una volta rifiutata o, ancora peggio, accettata solo in ricordo di cos'erano quando cantavano e ballavano la musica di altri, il sollievo provato all'uscita del disco, la gioia nel vedere che finalmente erano apprezzati per quel che valevano, non solo per quel che figuravano, la sorpresa e l'emozione indescrivibile nel poter finalmente parlare da pari a pari con i loro idoli...

 

Tutto riunito lì, davanti a lui, in quella massa di fans che urlavano, fischiavano, applaudivano, cantavano le loro canzoni, nelle altre migliaia di fans in tutto il mondo che spedivano i loro messaggi e i loro commenti via Internet o che vedevano in loro qualcuno che avesse le loro stesse idee.

 

In Dorian che finalmente poteva parlare in intervista e a chi voleva di cos'aveva provato per Kurt Cobain senza correre il rischio di venir tacciato di parlare così per convenienza.

 

In Justin che dal palco accusava e sfotteva le boyband e soprattutto ironizzava sul fatto che fossero stati così anche loro e su molto miti costruiti dello star system, in giornali seri e autorevoli che avevano tessuto lodi sul loro disco e altri che li avevano criticati.

 

Tutto quello era lì, davanti dietro intorno e dentro lui.

Erano cambiati, punto e stop.

 

Eddie si godette per un attimo l'applauso e le urla del pubblico e poi scese ad abbracciare tutti gli altri per i ringraziamenti, e incrociò lo sguardo di Justin.

 

Entrambi avevano le lacrime agli occhi.

“La sapete una cosa, ragazzi?”, aggiunse Shane, con voce incrinata. “Mi sento come se fossimo...per sempre!”

*

Justin prese un asciugamano e si girò anch'esso verso gli altri.

 

Il backstage, dove si erano appena rifugiati a riposarsi cinque minuti,non era certo il luogo più adatto per fare conversazioni amabili sul ruolo e sulle frasi da neorockstar, ma sentiva che quella non era una banale sparata da novellino...o da fighettino istruito sul cosa fare e cosa dire.

Shane vedeva davanti a sè l'eternità, l'immortalità come l'aveva avuta Elvis, Jim Morrison, Janis Joplin o, per rimanere in tema delle ossessioni, Kurt; l'immortalità nel suono dei cd o di quello che sarebbe venuto in un futuro prossimo, perfetto, l'immortalità nelle foto, nei video, nei semplici ricordi e immagini dei fans, l'immortalità che sentiva sicura perchè nessuno li avrebbe dimenticati, lo sapeva, lo sentiva; non sarebbero mai stati messi da parte per un disco sbagliato o per un'immagine out, come non erano mai stati messi del tutto da parte Doors e Led Zeppelin e Lou Reed ed i Velvet e Elvis e Pink Floyd e Neil Young e Police con Sting che non si sapeva se aveva fatto bene o no, i mostri come Rolling Stones e Beatles, via via a risalire la corrente come salmoni del rock a cercare l'immortalità negli ultimi esempi, riconoscibili già al primo o secondo album o entrati di diritto nella leggenda dopo anni di militanza,i Pearl Jam e le stupende melodie e i ruggiti di Vedder, i Nirvana col loro mito e il loro disagio urlato, i Metallica che non serviva altro che ascoltare la potenza e la poesia che anche se non sembra lo è, cazzo se lo è, i Cure che sembravano morire ma poi saltavano sempre fuori, Trent Reznor ed i Nine Inch Nails che ogni tot di tempo saltava fuori con un progetto ed insegnava a tutti come sedersi e fare rock, i Joy Division che non sarebbero mai stati ricordati come New Order , inutile e che si dessero pace i Red Hot Chili Peppers che era inutile dire tanto, se non salti con quelli sei paralitico, e i Radiohead che erano gli esploratori e riportavano indietro da terre lontane nuovi tesori, e David Bowie che come cazzo faceva ad evolversi così, e gli U2 che giravano giravano e colpivano, mica scemi, e i Depeche Mode, pure loro, semplicemente incredibili,e in mezzo a quel casino, quel talento, quegli stili che in realtà sono solo una cosa sola, quell'atmosfera che riesci a percepirla solo da fan o da cantante mediocre, uno che non ha il permesso di respirarla, loro ci stavano fluttuando, come se alla lista ci fossero pure segnati, e nemmeno tanto lontano dalla vetta, gli Interferences.

 

Loro.

Semplicemente.

Niente altro che il nome; non erano nè sopra nè sotto alla leggenda.

C'erano.

 

Come i Sex Pistols gli era bastato un solo album e non sapevano neanche come cazzo avevano fatto a farlo. Non erano dei geni, era solo uscito così, come veniva e come sentivano, poi ci avevano lavorato sopra, lo avevano affinato.

O ispessito.

 

Incredibile, eh?

Quando si è così grandi non si riesce neanche più a montarti la testa.

 

Non mancava poi molto all'immortalità, quella vera dei Beatles e Elvis, pensò Justin.

Wow.

Rock'n'roll.

 

Quindi si girò e si sentì in grado di rispondere alla sparata di Shane con un'altra banalità commovente, anche perchè, nonostante tutta la sua preparazione psicologica votata al cinismo si sentiva realmente commosso nel vedere quello spettacolo e soprattutto nel sapere che sarebbe stato solo il primo di una serie che non sarebbe stato neppure in grado di immaginare, com'era possibile immaginare anni di concerti se alle volte arrivava a contare i secondi dalla paura di sbagliare un attacco vocale?

Ma avrebbe imparato tutto.

 

L'indifferenza, quella no, non poteva, quando arrivi ad un livello veramente alto l'indifferenza l'hai lasciata alle spalle come l'esaltazione, altrimenti non ci arrivi. E' un processo quasi indolore, se ci sei destinato.

 

Se hai l'anima da rockstar.

Forse non è rock'n'roll.

 

“Non devi sentirti come se fossimo per sempre, Shane...Noi saremo per sempre.”

Sbriciò il pubblico, una massa incredibile, impossibile da immaginare ma c'era, che aspettava il bis, rumoreggiando forte e facendo partire cori.

 

Per il loro primo concerto avrebbero fatto anche a meno di una pausa, eccitati com'erano, ma quanto sarebbe brutto andarsene senza un bis o qualcosa che apparisse tale?

Dorian indossò una

“Manca poco. Circa cinque minuti.”

*

*

Justin lasciò finire quasi tutta la parte finale di Burn alla seconda voce di Dorian, oltre alla chitarra tirata, e ci aggiunse solo una variazione al testo finale, una continua ripetizione del ritornello in un falsetto tanto leggero da essere quasi sepellito dall'altra voce chiara e morbida.

 

Dorian, col massimo della cretineria, all'inizio aveva battagliato per mettere let me burn and I can let you dance.

Wooo-oooh,quello era rock'n'roll di Dorian.

 

Come dire hope'n'roll.

 

Con tutto l'animo buono che aveva quel ragazzo, se avesse fatto un disco solista avrebbe fatto le canzoncine di Natale ma in studio riusciva a cavargli fuori quello che voleva lui.

Justin tirava fuori i suoni da Dorian come fossero state le sue idee, se avesse saputo suonare la chitarra in quel modo inimitabile.

Mitragliando schegge di ghiaccio che colpivano tutti, ferivano ed erano improssibili da togliere.

 

Dorian non suonava la chitarra in incredibili assoli interminabili o raffinati arabeschi: con la chitarra picchiava, creava muri sonori, sbarramenti pesantissimi e a volte improvvisi, sostenuti da un inimitabile basso a spessore, come chiamavano il modo di suonare di Shane.

 

Dorian, fin da quando lo conosceva, combatteva le sue guerre interne e personali con la chitarra, la scuoteva e la violentava finchè non le dava quello che voleva in una sorta di intima concessione.

 

E, appunto, come in una guerra, spesso mitragliava.

 

RatttatatttattattàPUMMMM!

Chi cazzo l'ha lanciata quella bomba, soldati!?!

"Signore, Dorian, signore!"

"Signore, Justin mi ha torto il braccio e me l'ha fatta lanciare, io non volevo signore, ma dato che ce l'avevo in mano l'ho lanciata il più lontano possibile, signore!"

Tre giorni di consegna per tutti e due!!

 

Justin sentì Dorian concludere e aspettò, lasciandolo finire, si avvicinò al microfono pazientando per poter parlare, e si rivolse direttamente al pubblico, dopo il suo saluto iniziale.

 

Si sentiva qualcosa dentro dall'inizio del concerto, troppo tempo, e ad ogni canzone lo sentiva crescere dentro.

Era la sua piantina che gli indicava la via per l'eternità, la sua personale scala per il paradiso.

“Hello, London, this is Dublin callin'!”

Il suo accento non impedì ai fans di sbottare in urla di incoraggiamento, e Justin si sentì crescere ulteriormente qualcosa sotto la pelle.

 

“Calma, calma, tanto quello che ho da dirvi è solo una banalità, sapete? Ma visto che a quanto sembra questo è il concerto delle banalità...Io volevo solo dirvi” fece una pausa forse in cerca delle parole giuste ma disse solo “bhè, volevo dirvi grazie! Anche se siamo solo al primo concerto!”

Il boato di approvazione e di applausi che accolse quelle parole, fece ridacchiare Dorian di felicità malcontenuta, mentre Justin tratteneva le lacrime dagli occhi, incredibilmente.

 

Una vita.

Sacrifici.

Sofferenze a non finire.

 

Tutto per QUEL momento.

 

“Grazie, davvero! Siamo una band che non fa cose molto diverse da tutti, anzi più di una volta ci siamo autodefiniti “Coverband” dalle vendite d'oro , non spacchiamo chitarre sul palco, non diciamo niente di nuovo alla gente se non in modo diverso eppure ci avete accolti e ci state pure applaudendo...Voglio dire, noi non facciamo altro che divertirci, in fondo!Abbiamo una visione del mondo che è...beh,particolare. Ma non vi daremo mai bugie... almeno per ora!”

 

Un autentica ovazione.

Justin riprese,pensieroso.

“Ci hanno detto tante volte di chiudere il becco, forse poche forse troppe, e adesso non vorremo parlare solo per dare aria alla bocca...Ma se anche voi fino ad adesso vi siete divertiti e vi sentite toccati dalle nostre canzoni.. beh credo sia il miglior regalo che avete potuto farci! Grazie,ancora! Ci avete accolti nel più bello dei modi a scatola chiusa!Se non ci foste voi noi non saremmo qui!”

 

”E questo è un controsenso perchè se noi non saremmo qui non sareste qui neanche voi!”,aggiunse Shane chiudendo l'intermezzo su una nota comica e mandando all'apice del delirio il pubblico.

 

“Questo è il nostro primo grande concerto!”,disse Justin, sorridendo paziente.

Aspettò che il boato del pubblico si calmasse e poi ripetè:"Questo è il nostro primo grande concerto, abbiate pazienza, per ora ci escono solo battute banali e stupidate da popstars, quando torneremo qui ci prepareremo meglio, volete? Per ora vi dovete accontentare di sentirci solo suonare!Siamo troppo felici per parlare.”

 

Il pubblico esplose in un vero e proprio boato.

Dorian, cambiata Phoenix con una Gretsch semiacustica, iniziò, quasi non sentito nel terremoto di entusiasmo, una versione inedita di 'Silences' , dominata dalla chitarra e dalla voce che sarebbe venuta molto, molto dopo; con la chitarra semiacustica, che sapeva suonare molto meno di quella elettrica, cambiava moltissimo, sembrava voler sciogliere di dolcezza quello che avrebbe aggredito.

Sceglieva il metodo della bontà.

Gli piaceva particolarmente quel suono dolce ma non avrebbe mai rinunciato alle abituali staffilate tecnologiche, però in quel contesto l'avrebbe mandato avanti quasi quanto sarebbero stati a sentirlo, cioè per sempre.

 

Il pubblico si calmò in un silenzio graduale, un mormorìo ammirato quasi melodico; immaginate.

Un indefinito numero di persone che mormorano estasiate, che sembra dicano 'ancora, ancora, continua, ti prego...'

 

Una canzone nella canzone, quasi più bella della musica stessa.

 

Justin per un istante sembrò perso e poi si voltò e si diresse verso la batteria, in paziente attesa del suo momento, verso la fine.

Alzò tutte e due le mani e poi le abbassò pian piano, puntando contro l'indice a Eddie, le spazzole già in posizione per un ulteriore tocco alla magia che lo guardò curioso e in attesa, incredibilmente fiducioso come non era mai stato nell'amico.

 

Justin, vestito di pelle nera come un moderno Dio lucertola dozzinale eppure con una personalissima aura, si aprì nel sorriso più luminoso che avesse da anni e si abbracciò, le mani attorno alla vita, e quel sorriso carico puntato su di lui e intanto su tutti loro, sul pubblico anche se era di spalle, sulla musica stessa, lo affascinò come una volta, col fascino che li aveva ammaliati così tante volte.

 

Allargò lo sguardo su Shane. Che ricambiò il sorriso in modo dolce, vedendo come Justin fu costretto ad asciugarsi una lacrima.

 

“Tesoro...siamo nell'immortalità.”

 

Shane, scuotendo la testa e scambiandosi un'occhiata con lui, si aprì in un sorriso incredibilmente tenero, affascinato a sua volta, anche perchè era troppo facile lasciarsi sedurre da quegli attimi sempre più rari, e iniziò a far scorrere il basso, senza sforzo da tanto gli usciva dalla pelle quel suono.

Gli si avvicinò, mentre Justin lasciava il sorriso spegnersi pian piano ma lasciare un alone negli angoli della bocca, come dei brillantini che gli illuminavano il viso tanto da abbagliarlo, occhi spenti da troppo e quella sera vivi, tanto che il pubblico, vedendoli, li aveva mandati nell'immortalità, scorgendo solo la superficie di quello che c'era dentro, quello che li avrebbe spinti anche...più in là.

 

Shane li vide accesi e ricambiargli il sorriso, solo per il fatto di vederlo così dopo tutto quel tempo, gli venne più che spontaneo.

“Sentiamo come canti, da immortale.”

 

Il sorriso di Justin si riscoprì mentre si girava verso di lui, dirigendosi verso il bordo palco e iniziando a cantare, lui e il pubblico, immortalati in quell'attimo bellissimo che non sarebbe mai finito, il primo di tanti attimi che non sarebbero mai finiti.

 

L'inizio dell'immortalità.

 

Sorrise in quel modo, abbagliando tutti, anche quelli che non lo vedevano ma che lo sentivano nel cantato, fino alla fine, fino a quando la gola gli faceva tanto male da non riuscire quasi a sussurrare, fino a quando il pubblico cantava da solo, semplicemente bellissimo, sopra alla musica, fino a quando sforarono di quattro canzoni e riuscì a cantarne sì e no metà, fino a quando Dorian salutò Londra, in un finale dolcissimo e incredibile dove cantò tutta l'ultima canzone da solo, fino a quando il pubblico urlò con tutto il suo fiato le canzoni e un 'grazie' lunghissimo, interminabile, vivo, fino a quando, spentesi le luci e mentre il pubblico defluiva, si sedette sotto la batteria, nascosto nel buio a quelli che rimanevano ancora o ai tecnici che sgombravano, e mentre piangeva sorrideva e ripeteva quel 'grazie' interminabile che non l'avrebbe mai abbandonato, qualunque cosa fosse successa, messo via per sempre, ancora grazie, grazie, grazie, grazie, grazie. Grazie !

 

Erano nell'immortalità e lui voleva solo piangere di felicità, solo.

E ringraziare.

 

 

 

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Capitolo 31
*** 31. Il pesce piccolo ed il Gatto ***


 

31.Il pesce piccolo ed il Gatto

 

 

Poco dopo lo show di Londra, uscì il singolo 'Someone in my mind'.

 

Justin riuscì ad avere come regista Anton Corbijn con lo stesso metodo col quale riusciva a far saltare i nervi a Dorian nel cuore della notte o in qualsiasi momento, e lo stesso (o comunque simile) col quale su sua sobillazione il gruppo aveva ottenuto la produzione di Flood per quel miracolo chiamato 'Velvet Wall'.

 

Da cantante si tramutò in uno stalker.

Telefonò all'artworker olandese per una media di venti volte al giorno e mandò mix su mix della canzone, nel caso potesse venire un'idea al Maestro, ascoltando una versione differente.

 

Anton Corbijn, l'artefice dell'immagine di quasi i suoi gruppi preferiti, cedette dopo una settimana in cui persino nel backstage degli altri artisti Justin lo chiamava e non lo lasciava appendere se non dopo venti minuti di chiacchierata.

 

Alla fine si arrese: avrebbe diretto il loro maledetto video, disse 'ma che sia una cosa facile, indolore, che obbedirete a quello che dirò e che Justin dovrà tenere murata quella bocca se non per muovere le labbra a ritmo di playback!'

Aggiunse persino un 'PLEASE' inconfondibile: il verso della vittima incastrata.

 

Justin entusiasta accettò tutto, Shane ed Eddie mugugnarono e l'artworker olandese si trovò a Dublino in un freddissimo pomeriggio di fine febbraio.

Appena sceso dall'aereo si trovò a dover cercare 'un tipico muro irlandese', perchè l'altra campana creativa del gruppo, Dorian, aveva accettato (entusiasticamente, per carità, non avrebbe mai giurato che le prevendite dei biglietti comprassero loro il lavoro di un gigante simile al secondo video) ma solo se 'il Genio', come lo chiamava enfaticamente Justin, non li avesse sbattuti tutti in Marocco, in qualche deserto statunitense, a Parigi con dei megafoni o chissà dove.

 

Anche lui amava il lavoro di Anton, ma aveva paura delle sue idee.

 

Così il primo giorno lo trascorsero a fare foto, ovviamente sempre tutti vestiti di nero con qualche variante grigio fumo di Londra ma nel complesso eterogenei di abbigliamento, davanti ad un 'tipico grigio muro irlandese'.

 

Justin tenne fede al suo patto e tenne il becco chiuso a distanza di Anton; in compenso si agitò, continuò a ridere, non stette mai fermo, fece distrarre i compagni e Shane dovette rincorrerlo ogni due minuti per farlo stare al suo posto prima che il 'Genio' prendesse baracca e burattini (le sue macchine fotografiche) e li piantasse davanti al 'tipico muro irlandese'.

Dorian non fece che lamentarsi tutto il tempo di quanto fosse annoiato, così la sua espressione fu sempre corrucciata: non aveva ancora imparato che in quel modo non faceva un dispetto a nessuno, bensì metteva in serio pericolo le ovaie delle loro fans.

Dorian era sempre Dorian, il bellissimo angioletto dai capelli splendenti, sia da teen idol della boyband che da ragazzo che suonava la chitarra nella rockband.

Shane si mostrò un istrione e un 'attore' col quale sarebbe stato un piacere lavorare... se non avesse dovuto abbandonare puntualmente la posa per andare ad acchiappare Justin ed impedirgli di fare danni.

Eddie fu l'osso più duro, come tutti i batteristi: la 'gratificante' esperienza di mille photosession come membro di boyband non l'aveva mai spezzato, e su cento foto Anton ne salvò due singole e quattro in gruppo.

 

Il giorno dopo ci fu il girato, in una strada periferica di Dublino.

 

In una settimana il video fu pronto e bello impacchettato.

Verso la fine del lavoro Anton li aveva persino trovati simpatici, specialmente Dorian e Shane, che ormai si teneva attaccato al braccio quel rompiscatole adorante ed esagitato del cantante.

 

'Someone in my mind': Justin camminava, si stancava, si sedeva ai piedi di un muro nero di velluto cui restava appiccicato e poi, dolorosamente, si avvicendavano le foto prese il giorno prima dei singoli compagni, di lui stesso, di tutto il gruppo. Il muro scoloriva e diventava grigio e tutti restavano intrappolati in una fotografia.

Il finale non dava adito a capire se tutto il gruppo, che intanto aveva avvicinato Justin, restasse in una fotografia mentale o se tutti restassero imprigionati in una fotografia come parte del muro: Anton li aveva resi grigi come il muro.

 

Non solo loro erano nelle 'fotografie nella mente di Justin', l'artworker aveva fotografato altre cose.

Un sasso.

Una rosa.

Una porta.

Una bomba.

Un angelo senza la faccia.

Una pioggia di vetri e cristalli rotti.

 

Queste erano state le cose che aveva concordato con Justin di inserire.

 

Solo il diavolo sapeva perchè Justin avesse scelto quelle cose, ma alternate alle foto del gruppo o mixate (in una foto Eddie teneva in mano una bomba, in un'altra vi era lo stop motion della pioggia di vetri e Shane vi appariva solo dopo un brevissimo stacco, tagliandosi; Dorian si appoggiava alla porta; tutto il gruppo giochicchiava con delle rose ed alla fine una esplodeva in aria), avevano fatto un grande effetto.

 

Ne uscì un video in bianco e nero, a tratti in stop motion ed a tratti fotografico, pesante per un gruppo così giovane ma perfettamente calzante con la canzone.

D'altronde, fin da quando Anton aveva accettato, tutti inconsciamente sapevano che ne sarebbe uscito un ottimo lavoro.

 

'Someone in my mind' era la canzone di Justin quanto 'Silences' lo era di Dorian; entrambi avevano deciso per il loro video e se Justin aveva ottenuto di più era perchè teneva mortalmente all'aspetto visivo, mentre per Dorian i video di gruppi che suonavano (preferibilmente con la ripresa a binario circolare) erano i migliori.

 

Comunque fosse andata, 'Someone', col suo fare ipnotico ma anche le sciabolate di chitarra new wave distorte, raggiunse presto 'Silences' e, trascinata dal video in heavy rotation, la superò.

 

In attesa di tornare in tour, gli Interferences avevano piazzato un singolo n.1 nelle Uk charts.

*

*

L'uscita di un altro singolo così presto non aveva niente a che fare con i cosiddetti problemi di partenza dell'Over a Velvet Wall tour 2002\2003.

 

Non vi furono problemi, se non di capienza; da problemi furono esaltati ben presto in vittorie.

Le date successive a Londra, che dovevano tenersi a Dublino, furono triplicate: da due a sei, più una serata ad inviti, al Point Depot dove, con delusione di tutti, non si videro gli U2.

 

Due giorni dopo, Mtv aveva trasmesso quasi integralmente il concerto di Londra, lo start up, e le richieste di biglietti si erano letteralmente quintuplicate; il management iniziò a pensare di progettare il palco per gli stadi, ad una seconda leg europea e persino una americana e australiana.

 

L'Irlanda era punteggiata di date, l'Inghilterra anche, la Germania le seguiva a ruota ed i paesi dell'ex blocco Sovietico adoravano quei quattro irlandesi; i capelli biondo ramato di Dorian, i tatuaggi di Shane, l'apparente sobrietà nel vestire contro le sbronze continue di Eddie, la matita nera per gli occhi di Justin diventarono presto argomenti di tutti i forum.

 

Mentre il programma di date si assestava e loro si adattavano, brontolando (erano pur sempre giovani maschi), a fare delle prove in arena in previsione di location più grandi, per non parlare dei festival estivi, Dorian e Justin tentavano di re-incollare i rapporti che spesso avevano portato vicino al collasso in studio durante la lavorazione di 'Velvet Wall'.

 

Inziarono ad uscire tutti assieme e ripresero un andazzo più simile alla loro adolescenza.

Sbronzarsi la sera, lamentarsi il giorno dopo; non in aula, ma in studio.

 

C'erano pomeriggi in cui persino Dorian non sopportava le note più acute di Phoenix e doveva smettere di suonare, prima di vomitare.

Una volta vomitò nel secchio della carta ma Eddie rimase impressionato dal fatto che non perse più di due battute prima di ricominciare a suonare.

 

Se Dorian era il loro punto di forza musicale, Justin era diventato quello comunicativo, sia sul palco che fuori.

Lui e Shane catturavano tutta l'attenzione di un'intervista anche per un'ora e la ampliavano persino, scambiandosi siparietti o cadendo in spiegazioni dettagliate.

Eddie era ben felice di dover chiudere la bocca; da buon batterista non amava parlare troppo in pubblico: era già abbastanza spaesato su un palco grande come quello che calcavano e, si diceva, sarebbe stato presto più grande.

 

Eddie spaesato sul palco non era un problema: non sapeva dove fosse Justin, non vedeva Dorian, ma li sentiva, mentre Eddie spaesato in intervista era uno spasso, con la bocca aperta mentre il cervello cigolava in cerca di una risposta, di solito colto di sorpresa nel suo mondo di fantasia e nei suoi progetti bizzarri.

 

Vi fu un'altra volta che Eddie si sentì spaesato ma vi rimediò a suo modo.

E si perse una scena che gli fu ripetuta per secoli.

 

Per la prima volta in vita sua maledisse l'alcool.

*

*

Earl's court, Londra.

 

Afterparty dei BriT Awards 2002

*

*

Alla cerimonia dei British Awards 2002, cui tutto il gruppo aveva partecipato, più che altro curioso di accedere alla mitica location di Earl's court, era andato tutto bene.

Dorian si lamentò infinite volte che gli doleva il sedere, Justin gli aveva sibilato di smetterla di farselo aprire tutte le notti, Shane li minacciò con un pugno e se ne andò alla fine della premiazione, così in compenso, all'afterparty, Eddie era totalmente spaesato, una cosa che gli accadeva spesso nel periodo della boy-band, ma che credeva di essersi lasciato alle spalle.

 

L’avevano letteralmente ri-trascinato in Inghilterra, ed ora si trovava a quel party post- premiazione non sapendo cosa diavolo dovesse fare : se chiacchierare, darsela a gambe, andare a farsi una striscia di cocaina nei bagni o congratularsi con i vincitori.

Nonostante fosse con i suoi amici, si sentiva sballottato come un piccolo battello in una burrasca, con la costante sensazione di essere diventato, da pesce grande in un piccolo stagno come quando suonava a Dublino, un pesce piccolo in un oceano; vedeva costantemente pesci più grandi lui, veri e propri squali o docili, enorme balene (il fatto che la balena fosse un mammifero non gli interessava più di tanto, nel suo stato confusionale).

A fronte di questi pensieri così profondi, decise di fare quello che gli veniva meglio.

 

Bere come non ci fosse un domani.

Una megasbronza ad un megaparty! Poteva permetterselo, erano ancora una band in via di promozione, non grandi nomi, nessuno avrebbe fatto caso a lui.

 

Lui?

Lui era solo il batterista di una band in ascesa.

Ok, in forte ascesa.

Con un singolo al primo posto nella brit charts.

Fortissima ascesa!

Ma sempre ascesa si trattava, no, per Dio?!

 

E fu così che, autoinfliggendosi un k.o tecnico ed un ulteriore danno al fegato, collassando educatamente su un divano attorno alle 02.00, non vide una scena che sarebbe rimasta negli annali degli Interferences e nelle loro biografie ufficiali o meno.

 

Pesci piccoli con un pesce DAVVERO grosso.

 

**

 

Anche Justin non si sentiva del tutto a suo agio, mentre volti che pensava di vedere solo uscire dal tubo catodico o dal monitor del portatile si avvicendavano davanti a lui, scambiandosi battute amichevoli o meno, ridendo, bevendo ed in generale respirando come comuni esseri umani.

 

Se ne stava attaccato a Dorian quasi ne andasse della sua vita; il suo tubo respiratore, oh sì.

Il suo depuratore di reni.

La sua salvezza e la sua condanna.

Dacci oggi il nostro Dorian quotidiano, si ripeteva mentre si avvinghiava al braccio dell'amico, contrastando così i continui artriti che avevano in sala prove, standogli tanto vicino che sembrava dovesse prenderlo per manina con aria disperata da un momento all'altro.

 

Il Justin passione rockstar era sparito come il contenuto dell’intera bomboletta di lacca che si era spruzzato sui capelli, come ai vecchi tempi; lì vi era solo Justin versione fans intimidito.

Il Justin a 18 anni che guardava il Devotional dei Depeche Mode e lo Zootv tour degli U2, incapace di decidere quale fosse il migliore ed il Justin che a 24 non lo sapeva ancora ed aveva deciso che le cose si decidevano in scala di grigi, non in bianco e nero.

 

Per Dorian, invece, quella festa era meglio di un negozio di caramelle: se ne andava in giro con gli occhi quasi a cuoricino, stringendo mani a caso, trascinando avanti Justin quasi di peso quando questi si impuntava, sordo alle sue proteste sibilate sottovoce che davano fiato al suo timore reverenziale.

“Dorian, non puoi andare a parlare con Damon Albarn così come foss.. No, senti, adesso non comportarti da ragazzina maniaca!Smettila di ammiccare a quella!!! Hai mandato un bacino a Kilye Minogue?! Non andare da quella, parte, ci tocca passare davanti a… a….”

“Dorian questo, Dorian quello, vuoi farmi respirare!? Smettila di tirarmi per la manica della camicia, si sforma!”

“E' già sformata, è una delle tue camicie wannabe punk!,oh Cristo ti prego non puoi voler andare veramente a parlare con Damon Alb...”

 

E all’ennesima invocazione di pietà di Justin, anche Dorian si fermò, all’improvviso, mentre il compare si chiedeva, quasi sbattendogli addosso, come apparivano.

Come due babbei, ubriachi dell’apparenza di uno star system a cui non appartenevano.

-Non ancora… E’ solo questione di tempo…-

Ma quel pensiero non riusciva neanche a lasciare segno sul suo cervello troppo carico della sua prima abbuffata, nella sua vita, di star vecchie e nuove.

E poi anche i suoi occhi si posarono sulla ‘preda’ di Dorian, e non riuscì più a pensare a niente.

 

“Oh… mio…”, tentò di esalare Justin, ad un passo dallo svenimento.

Dorian finì per lui, anch’egli senza fiato, ma già con un sorrisone luminoso, come una locomotiva diesel che iniziava a scaldarsi.

“...mio Gesù personale.”, finì, scrollando la testa, sempre con quel sorriso ebete ma incantevole, che sembrava puntare direttamente verso Dave Gahan dei Depeche Mode, girato per tre quarti di schiena, ignaro degli occhi di Dorian che splendevano come un faro.

Come a volergli recapitare un ‘Ti ho trovato’.

 

“Coraggio, Justin… Non vuoi conoscere il tuo idolo?”,e prese a tirare letteralmente avanti Justin, che allargava tanto d’occhi come uova alla coque e puntava i piedi, mentre abbandonava il suo tono sottovoce per aumentare via via di volume, supplicante.

“No, no…No, Dorian, ho detto no!!Non so cosa dirgli, non farmi fare queste figure, Doriaaan!!!!

 

Inutile; scansate un paio di meteore pop (che Shane avrebbe classificato ‘buone per una scopata ed un caffè’…e meno male che se ne fosse andato, visto non si sarebbe limitato a collassare su un divano come Eddie!) ed un vecchio chitarrista contrario all’antidoping, Justin si ritrovò quasi scaraventato davanti all’immagine di ciò che sognava essere da ragazzino.

 

O almeno, uno dei tanti cui sognava di prendere il posto.

 

David Gahan, vocalist dei Depeche Mode, si sentì precipitare addosso un 60 chili di Justin Swanson degli Interferences balbettante e senza equilibrio, e con lui la sua birra chiara, lanciato direttamente da Dorian Patrick Kierdiing, che aveva capito che l’amico non si sarebbe mai mosso senza il suo aiuto.

E che aiuto!

 

Dopo lo spintone di imponente entità il biondino se ne andò fischiettando felice a cercare qualche altro mito da abbordare, mentre lasciava Justin a scusarsi, imbarazzato fino alla punta delle scarpe, del danno inflitto alla giacca chiara elegante di Dave dalla sua birra.

 

Quando vide che l’altro minimizzava e stava offrendo la sua mano all’amico, che stava rimanendo a bocca aperta come un perfetto boccalone invece di stringerla, Dorian, prendendo un’altra lager, decise di andare a caccia dell’altra preda che aveva intravisto, prima.

Ma prima si girò a fare il segno di vittoria a Justin, che lo fulminò con gli occhi, mormorando, con un labiale esagerato per farsi vedere dall’altro:”Strike UNO!”

 

**

 

“I-io...Dorian…lui mi ha…”, -spinto- , ma la conclusione rimase bloccata tra i polmoni e la laringe di Justin, che si decideva finalmente a prendere la mano che Dave Gahan gli offriva, aggrappandoglisi quasi come un’ancora di salvataggio.

“Non c’è problema, è solo un po’ di birra… Sapessi quanta me ne sono versata addosso, negli anni passati.”, lo giustificò il cantante, con l’ombra di un sorriso amichevole.

 

A Justin, sì, a quel Justin, stavano cedendo letteralmente le ginocchia, mentre si imponeva di non afferrare il suo idolo anche con l’altra mano, trascinarlo avanti e baciarlo!

“Oh-ok…Sì, anche io me ne ri-ribalto tanta ad-ddosso, Mr. Ga…”

“Non ti pare il caso di chiamarmi Dave?”

 

Ancora una volta il tono asciutto ma amichevole del famoso vocalist fece mancare il fiato e quasi riempire di lacrime di felicità gli occhi di Justin; nel suo cervello si accavallarono le immagini di Mtv di quando era stato dato per morto per tre minuti, le sue continue overdose, la sua lenta ripresa, e quelle interviste torrenziali, nelle quali sembrava non misurare le parole, sempre tra l’allegria e l’esaltazione.

Eppure, quella stessa persona, si stava dimostrando cordialmente amichevole, senza sbilanciarsi troppo, almeno con lui.

E Justin sparò così la prima stronzata che gli scese dal cervello, noto per perdere spesso il filtro con la bocca, anche se non sempre come Dorian.

“Io…mi spiace avervi fregato Flood.”

 

Dave Gahan piegò educatamente un sopracciglio, interrogativo, e Justin cadde nel panico più totale.

“Cioè…preso a prestito!Insomma, averlo sottratto al vostro album, che è comunque un album dei… Depeche Mode! Non il primo album degli Interference ma col suo aiuto almeno abbiamo chiarito le idee, anche se io e Dorian…Dorian è il chitarrista… continuiamo a scazzarci, ma neanche troppo, ora scazziamo in studio ma poi torniamo amici, usciamo la sera, e tutto grazie a Flood, che ci ha…a-aiutato a focalizzare un’idea comune, anche se un giorno ha ribaltato la coca cola vicino alla custodia della chitarra di Dorian e quasi è finito fulminato, insomma è noto che non sia proprio un… un gatto, come agilità!”

“Un gatto?”, sorrise Dave, sorseggiando il suo cocktail, con un’espressione sorniona adatta al caso.

 

-Gesù, Justin, fermati!-, si impose l’irlandese, mentre l’altro emisfero del cervello pensava, gioiosamente senza freni –Machissenefrega! E' il tuo Personal Jesus! Sbrodolagli addosso amore fino a finire i tuoi giorni come una balbettante macchina di felicità in via d’esplosione!!-

“Un… un… Ho capito, no, cioè, mi scuso, non dovevo tirare fuori la storia de ‘Il Gatto’!,comunque, ecco, scusate se vi abbiamo sottratto…Flood.”,finì, borbottando, a testa bassa.

 

Dave Gahan stette in silenzio, rigirando l’ombrellino del cocktail, osservandolo attentamente, mentre le guance di Justin prendevano fuoco.

‘Gatto’ era stato il soprannome di Dave Gahan all’epoca di un’overdose al mese, tentati suicidi, rehab e incidenti vari.

‘Gatto’ era colui che quasi aveva distrutto una band, agli occhi dei più.

Ovviamente, non a quelli di Justin, si vedeva.

 

Dave inclinò la testa e poggiò il bicchiere, sospirando.

“Hai consumato una bomboletta di lacca, ragazzo?”

“…sì! Come fa a saperlo?!”, si stupì Justin, riaffiorando dal suo pozzo di vergogna.

Dave sventolò una mano.

“Dimentichi che veniamo dai mitici anni '80. Era la norma.” e sorrise, quasi malinconico. “Poi ci sono stati i '90. Ma tu questo lo sai, vero? E nei '90 io ero il Gatto. Perchè non esaurivo mai le mie vite. Un paramedico di L.A, riportandomi in vita, mi urlò 'brutto cazzone, ancora tu!'. Ero conosciuto tra il personale delle ambulanze.”, ridacchiò.

“I-io... non mi sarei mai permesso di...”

“No, tu non ti saresti mai permesso di urlarmelo, vero?”, lo riprese distrattamente il vocalist, quasi annoiato, per poi puntargli addosso gli occhi di quello strano castano screziato di verde.

Occhi profondi, avrebbe sentenziato Eddie, se solo non fosse stato sbronzo marcio su un divano.

“E così sarei morto. Perchè tu rispetti quello che sono stato, giusto?”

“N-non l'avrei mai... lasciata morire, signor Gahan!”, protestò allibitò Justin, la birra dimenticata che ormai quasi versava sulle sue Adidas.

“Dave.”, lo corresse l'altro, senza pensare. “Ora chiedimi perché la penso così?”

“I-io.. perché…?”

“Perchè hai l'aria di rispettare chi ha avuto una vita da 'gatto'. E a rispettare e magari sognare, a volte ci si finisce dentro, come ho fatto io, per osmosi ed imitazione.”, lo sguardo di Dave Gahan ora era adamantino. “E quello che perdi non torna, ragazzo.”

“Justin, sign…Dave. Justin Swans…”

“So chi sei. Ma con i tuoi continui ‘mister’ e ‘signore’ mi fai sentire un vecchio sergente perciò ti chiamo 'ragazzo' finchè mi pare.”,e sospirò.”E mi fai sentire malconcio, sofferente di tutti i pezzi che ho perso, nonostante gli strati di palestra e beletto.”

“Ma non è vero!”, si stupì Justin, sentendo parlare di un ipotetico ‘Viale del Tramonto’ da uno dei suoi miti di un tempo, ora, per sempre e amen.

Dave sorrise, stavolta malinconico, attorno al bicchiere.

“Sono stato fortunato, te lo concedo. Ma ascoltami bene…”,e gli posò una mano sulla spalla, cosa che fece rischiare l’infarto a tuffo libero del collega più giovane.

“Ho 39 anni. Ho perso pezzi e ne ho acquisiti altri. Ma i pezzi acquisiti sono… pezzi acquisiti, capisci? Quello che se n’è andato non torna. Specie gli amici.”, gli soffiò, stringendo come a fargli capire.

“Io… capisco.”, disse Justin, e si girò a cercare Dorian, prima con affetto quando riconobbe la chioma bionda, poi con orrore quando vide con chi stava parlando. –Oh no,no,no!,passeremo alla storia come gli stalker dei Depeche Mode, altrochè come rocker!!-,bestemmiò, tra sé.

Dave lo riportò alla realtà privandolo del beato contatto, creando un ponte tra i loro occhi, all’identica altezza.

“Flood parla ancora con noi, sai? Quando ha mixato 'Freelove' aveva già quasi tutto il vostro lavoro quasi mixato sul pc.”

“Vedo che non ha perso la solita parlantina sciolta.”, Justin rispose, accennando il primo, timido sorriso.

“In entrambi i sensi, visto ho sentito il vostro lavoro fatto finora e specialmente ho sentito cosa dice Flood di voi…”, accennò Dave, ridacchiando e sorpassandolo, andando verso Dorian ed il suo bandmate Martin Lee Gore che parlavano ridacchiando, probabilmente di chitarre alquanto strambe o, ancora più probabilmente, entrambi sbronzi.

“D-di noi?…”, e il sorriso di Justin si smorzò, tornando ad essere una mina vagante di panico.

“E’ un ottimo lavoro e voi siete dei piantagrane. Forse il lavoro è migliore del nostro. Exciter…”,e assaporò il nome sulla punta della lingua, per poi girarsi a guardarlo.

“Forse per quello ti senti in colpa, pensi che con Flood avremmo potuto fare meglio, ma non illuderti…”,e lo prese per una manica della giacca, trascinandolo avanti.

“Ha giurato non lavorerà più con voi, ma ricordati che l'aveva detto anche a noi, dopo 'Songs of faith and devotion'. Si sbagliava ed è tornato. E tornerà ancora.”, e fece una pausa, sornione. “Ed è affascinato da voi, anche se vi descrive, specialmente voi due -e indicò Dorian con il bicchiere- come due infernali casinisti. Così, quando tornerà da tutti noi, potremo confrontarci.”e lo fissò direttamente negli occhi azzurri. “Justin.”

“Io…”,e Justin si decise a mandare al diavolo le sue riserve. “Volentieri. Dave.”, e si lasciò trascinare avanti, vicino alla sensazione di galleggiare in un confortevole liquido amniotico.

“Forza. Andiamo a recuperare quei due angioletti ubriaconi, collega.”

“Con piacere…collega.”

*

*

Stettero due ore a chiacchierare e ad ogni picco di risate, Justin pensava di aver raggiunto il paradiso; poi scendeva e riusciva a parlare un po', sempre stando ad un passo dal voler baciare Dave Gahan, e una battuta di Martin su un certo giro di chitarra lo rimandava in paradiso.

Fu solo quando Dorian prese la scena e si mise a fare air guitar con un ubriachissimo Martin Gore, per sommo divertimento di Dave, che Justin iniziò ad avvertire un principio di mal di testa.

Dapprima accennato, poi sempre sempre via via più insistente, fino a diventare delle fitte allucinanti sopra l'occhio sinistro.

 

Pensò di tenere tutto sotto controllo e di allontanarsi alla chetichella, ma quando Dave gli posò una mano sulla spalla per chiedergli cos'aveva, un po' preoccupato del suo costante mutismo, che si rese conto che non riusciva più a starli a sentire.

Stava letteralmente uscendo di testa per il dolore e interruppe il contatto, così a lungo cercato, per filarsela, sotto gli occhi sorpresi del cantante inglese.

Quel dolore.

Lo avrebbe perseguitato per giorni e ancora non lo sapeva.

*

Fece per dirigersi verso i bagni e risciacquarsi la faccia (e magari rimettersi tutta quella matita che gli si era sciolta, dandogli un aspetto di un Ville Valo con i capelli corti e sparati in alto), anche con l'intento di tentare di dare una scrollata ad Eddie, che era letteralmente addormentato su un divanetto.

Almeno quel cretino aveva avuto il buongusto di mettersi il più in disparte possibile.

 

Il dolore era lancinante, una fitta alla tempia sinistra che gli faceva lacrimare l'occhio in stranissime macchie nere e massaggiarsela non contribuiva, ma ne era spontaneo.

Strizzava l'occhio e lacrimava, scansando la gente con una mano tesa come fosse..

Beh, lo era.

Mezzo cieco.

 

Dalla filodiffusione partì 'Someone in my mind' e qualcuno levò il bicchiere al suo passaggio; le fitte si fecero più acute, sotto la dannata chitarra di Dorian.

Dorian e le sue note dannatamente acute e cristalline.

Dorian, che l'aveva trascinato in quel casino.

Dorian l'aveva trascinato in innumerevoli casini ed ora si stava pappando il suo personal Jesus; il mal di testa ora era talmente feroce da non fargli solo malema anche farlo incazzare di brutto, mentre quel muro di celebrities si frapponeva tra lui ed il bagno.

 

Con la coda dell'occhio avvertì un brusco movimento di qualcuno più basso di lui vestito di pelle, qualcuno che si era frapposto; l'aveva urtato? Gli era solo passato troppo vicino e questi si era spostato?

Perso in quegli strani pensieri di curiosità quasi vorace, non si accorse che l'occhio aveva smesso di lacrimare, poiché gran parte del dolore era passato; quando se ne avvide, era ormai ai bagni ed entrò senza troppo pensarci, giusto per sciacquarsi la faccia e sedersi a massaggiarsi via il dolore residuo.

 

Non aveva scritto una cosa simile?

Per quanto lavi il dolore non passa mai?

O era una pubblicità sullo sporco insistente?

 

Le sciabolate di chitarra di Dorian.

Quelle note, prima, erano state lancinanti per la sua testa che minacciava di esplodere tutta a sinistra, e la sua voce filtrata dagli echi e riverbero pure, specie mentre sibilava 'I cannot stand with someone in my mind'.

La sua voce danneggiava sé stesso.

 

Se era così avere qualcuno nella propria testa, non l'avrebbe certo mai scritta, pensò, confuso.

Col cavolo. E' il tuo pezzo e la tua verità. Dì piuttosto che non vuoi qualcuno nella tua testa, ma guardati dentro: l'avresti scritta eccome.

 

Anche i suoi pensieri se ne andavano alla deriva, mentre, invece di chiudersi in un bagno e sedersi, afferrava una cannuccia che gli veniva porta, sempre senza pensare.

Perchè anche dopo tutti quegli anni, era un gesto automatico.

 

Si chinò e sniffò, desideroso solo che anche gli ultimi residui di quelle fitte passassero; mentre sniffava, un paio di lacrime nere caddero nella polverina bianca della seconda striscia.

Sempre senza pensare, Justin sniffò il suo stesso dolore.

Ed il suo stesso dolore iniziò a nutrirsi di sé stesso, iniziando un ciclo che non si sarebbe concluso presto.

 

Justin sniffava dolore per il futuro e dolore del presente.

Come non ne avesse avuto a sufficienza nel passato.

*

*

Una mano sulla spalla, infuriata, fece voltare Dorian dal far ridere di gusto Martin Lee Gore e Dave Gahan dei Depeche Mode; lui stesso aveva le lacrime agli occhi, mentre raccontava di quando Anton li aveva piazzati davanti ad un 'tipico muro irlandese'.

“E...e poi che cos'aveva un muro grigio di cemento di così tipicamente irlandese,mah, me lo sto ancora chiedendo!”

“Ahahaha, ehi Dave, com'era esordito col video di 'Barrel of a gun'?”

“Oh, Martin, non me lo ricordare!”. Le labbra di Dave Gahan fremettero dalla voglia di passare dal suo sorriso divertito ad una risata vera e propria. “Disse:'Dave, ho avuto una visione!' E io mi sono visto di nuovo con quella cazzo di sedia a sdraio!”

“Non offendetevi, ragazzi, ma per me il video migliore era quello di 'Strangelove', mi facevate ridere tantissim...ouch!”, storse la bocca per il dolorino improvviso alla spalla che lo fece girare simultaneamente, mentre i Depeche Mode venivano rapiti da chissà quale altra entità, e si trovò fronte a fronte con Katryn.

 

“Begli amici che siete, tu stai a fare il pavone con i Depeche Mode mentre Justin quasi mi travolge!”, sibilò.

Per scansare Justin mezzo accecato ed in picchiata verso il bagno si era ribaltata un cocktail su un vestito che doveva costare minimo come le prevendite di Wembley, niente da dire fosse incazzata, ma non fu quello che Dorian colse, e neppure Dave, che aveva drizzato le orecchie anche se stava per andarsene.

 

“Sono contento anche io di vederti, cara.”, ironizzò Dorian, ma con una punta di preoccupazione. “E' vero, Justin era qui, dove si è...”

“L'ho visto allontanarsi di fretta, pensavo volesse recuperare il vostro amico.”, si intromise Dave, la cui apparizione fece a Katryn quello che non era riuscito fare a Justin: quasi bagnarsi le mutandine.

“Dove l'hai visto, Kat?”, chiese Dorian, corrugando la fronte.

 

Oh, ma Dorian conosceva un certo angioletto in bianco e nero, specialmente nero, che il giorno successivo si sarebbe svegliato con un occhio davvero chiuso, se fosse andato dove pensava?

 

Dipendeva tutto dalla risposta di Katryn, se si fosse decisa a non guardare Dave con scritto negli occhi 'trombamitrombamitrombami' e si fosse degnata di rispondergli.

“Katryn!!”

“Eeeeeh, ahhm, eh sì!”,e la faccia riprese l'espressione incazzosa di prima. “Mi ha quasi investito e mi ha fatto versare il mio Martini su questo maledetto vestito!”, e alzò la punta del naso, sprezzante come non mai. “Bell'amico. Io vi salvo dai casini e lui? Manco mi caga. Corre al cesso e so io in che modo si corre al cesso, quando si corre in quel modo!”

“Cosa?”, chiese Dorian, evidentemente confuso, mentre Dave, prima di andarsene, annuì mestamente, per poi salutare i due colleghi più giovani.

“Ricordo anche io come si corre al cesso in quel modo.”, e salutò, non lasciando adito a dubbi.

Mentre se ne andava pensò, cupo. “E gliel'avevo appena detto. Gatto cretino.”


Capitolo betato con santa pazienza da Calipso
Capitolo ritrovato miracolosamente da Jo_the Ripper per supplire al crash dei miei hard disk contemporaneamente dove si trova ancora la storia.

Questo capitolo era nato come un divertissement tra me e Jo ma, in mancanza di materiale (vedi crash degli hard disk) ho deciso di riprenderlo.
Vedetelo come un EXTRA o come un GUESS, un puro divertimento che però nasconde qualcosa al suo interno. 

In attesa di riavere il filone narrativo, ormai troppo a lungo perso
Babs

 

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Capitolo 32
*** 32. Questa storia non cambierà mai ***


32. Questa storia non cambierà mai

Sull'aereo per Dublino, il giorno dopo, gli umori del gruppo erano tesi.
Dorian non rivolgeva minimamente la parola a Justin, badando di non voltarsi neppure quando questi parlava, ed aveva saltato il suo posto scambiandolo con Eddie, che si era prontamente riaddormentato, sotto i postumi martellanti di una sbornia che anni prima avrebbe sopportato con (quasi) nonchalanche. 

Justin aveva imputato il malumore del biondino al fatto che l'aveva piantato in asso alla festa e gli aveva messo a sua volta il broncio; non solo il suo mal di testa era di nuovo presente, anche se meno doloroso della sera prima, ma soffriva anche lui di postumi del party: possibile che Dorian non ci arrivasse a capire che mai e poi mai, se non fosse stato per un'urgenza, avrebbe lasciato nelle sue mani quella preziosa preda che era Dave Gahan?!
Avrebbe voluto dormire come Eddie, ma purtroppo era andato avanti a 'ricarichine' tutta la notte ed ora i nervi gli saltavano come cavallette; nonostante tutto il mal di testa lo stava corrodendo, ridotto ora a pulsazione sorde e ritmiche ma non meno fastidiose.

Shane si era stravaccato sulla poltrona a fianco di Dorian, inclinandola, e tutto faceva presupporre che appena si sarebbero staccati dalla pista di decollo si sarebbe messo a ronfare, incurante di tutti loro, proprio come li aveva abbandonati al party: in giro per Londra a troieggiare, quel grandissimo figlio di puttana, approfittando del nome che il loro disco aveva dato loro.

-Che io ho dato a loro-,pensò Justin, conficcandosi le corte unghie nel palmo nella mano, i pensieri cupi e frenetici alimentati dalla coca residua e dal mal di testa. -Che loro non avrebbero mai ambito a desiderare. Che non avrebbero mai avuto il coraggio di sognare.-

Inserì 'Velvet Wall' nel suo lettore cd, lanciando un' occhiataccia al sedile davanti, pensando che forse era l'unico ad aver capito la lezione del loro producer, che solo lui era il primo fan di sè stesso. A metà disco riuscì a rilassarsi, finalmente, e a produrre una parvenza di sonno, mentre sorvolavano il Mare d'Irlanda, o forse qualcosa di più visto che parlò anche, nella sua sottospecie di riposo agitato.
Questo si disse Dorian, quando, girandosi di sorpresa, lo vide addormentato, abbandonato come inerte sulla poltrona di prima classe dell'Aer Lingus.
Aveva sentito chiaramente una frase sibilargli nell'orecchio, come se il compagno fosse stato vicinissimo alla fessura dei sedili davanti.
Cercando rogne, visto la natura delle parole.

"...è un ottimo suono di chitarra ma non c'è altro..."
Ma, seppure nella sua bella testolina il chitarrista avesse tutte le ragioni per avercela con Justin, non pensò neppure per un momento che l'avesse veramente detto; il cretino era addormentato e lui conosceva,  (oh sì, proprio come aveva detto la sera prima)sì, conosceva un angioletto in bianco e nero che se avesse parlato troppo si sarebbe trovato un occhio nero al momento di scendere.

Quando passò l'hostess ordinò un bicchiere di whiskey, doppio, senza pensarci; non ci stava ad essere l'unico che dovesse preoccuparsi e pensare sempre per tutti, in quel gruppo di deficienti.
Si fossero arrangiati, d'ora in avanti. 
*
*
 A Dublino, per la prima volta in 24 anni di vita, Dorian Kierdiing dovette essere aiutato a scendere dall'aereo; Justin e Shane lo tenevano in qualche modo, dopo non essere stati rapidi ad evitargli una brutta caduta sulla moquette dopo il segnale di slacciare le cinture, mentre Eddie, completamente rinsavito, cercava freneticamente qualcuno del loro staff. 

Quella volta Monik Schreiber non era lì a salvare il loro culo, no, e se avesse visto il suo ex in quello stato, ridacchiante, inerte come un bambolotto e aromatizzato al buon whiskey irlandese, avrebbe di certo tirato fuori il suo famoso ghigno a falcetto e forse dato loro una mano a farlo scendere dalla scaletta. Con un calcio in culo dei suoi famosi tacchi 12 d'acciaio.

A pensare a quella circostanza, mentre il cielo di Dublino gli vorticava pericolosamente attorno, sopra la testa, come al solito gravido di maltempo,  Dorian si lasciò scappare una risatina e si attaccò quasi con la bocca all'orecchio di Shane, che si spostò un attimo per l'odore di alcool che emanava; Justin mancò di accendersi per l'incazzatura  solo grazie ad un miracolo, vedendo come era ancora ignorato, nonostante tutto. 
Il sottobosco dei suoi pensieri producevano immagini che gli balenavano, non viste, e scomparivano senza lasciare traccia, solo la vaga impressione di dover fare qualcosa. 

Mollare Dorian all'improvviso, oh sì.
Shane non avrebbe retto il peso da solo, senza preavviso, e se non avesse avuto il buonsenso di mollarlo... Beh affari suoi. Quel che contava era che il biondino avrebbe fatto una gran discesa.
Giù per la scaletta dell'aereo, sai che tombolo.
Che figura per l'angioletto biondo della rockband che ancora tutti amavano, sempre e comunque; scendere a quattro zampe e a sacco di patate perchè sbronzo marcio, il bravo ragazzo.

Vola, angioletto- gli suggerì una voce nella sua testa,ancora  troppo esile. -Come a Monaco. Vola giù dalle scale.-

Per fortuna era troppo occupato a scambiarsi urla di preoccupazione e nervosismo con Eddie e con le hostess per afferrare quel filo rosso troppo sottile, non riuscendo a far capire che dovevano far arrivare lì una macchina, checcazzo,entrassero pure in aereoporto con una fottuta Ferrari, ma questo non sta in piedi e non voglio ci rimetta quel poco di cervello che ha sulla vostra scaletta!!
-Ah, no?-
No!

Intanto Dorian andava avanti a tentare di comunicare con Shane, principalmente a risatine; l'alito dell'amico non era dei più gradevoli, ma se fosse servito a tenerlo buono, a fargli passare quella dannata voglia di non-collaborare che gli si leggeva nelle fiammelle ballerine dietro gli occhi verdi appannati ma scintillanti...
"Sai, Shane, pensavo che... che... ri-ricordi quando la...Monik!Quando Monik ci-ci ha salvato il c-culetto? Culetto!!", strillò, più che gaio.
Diavolo, stavolta Dorian se n'è presa una con i controfiocchi, pensò Shane, con una smorfia, pilotandolo per i primi gradini.- E dire che pensavo che Eddie e Justin avessero una brutta cera...-
"Sì, Dorian...", acconsentì, mentre anche Justin si portava alla loro altezza, cosa non facile su una scaletta di discesa d'aereo. 
"Beh, forse mi è venuta in mente... perchè... perchè?",si fermò Dorian, sul terzo gradino, facendo imprecare mentalmente Shane e mandando quasi a gambe levate Justin, nonostante i buoni propositi, che bestemmiò tra i denti. 
Inutile, il buon vecchio Dorian si era fermato, inchiodato, piantato, aveva messo radici sul terzo gradino del volo 2295 dell'Aer Lingus delle tre e cinquanta del pomeriggio ed aveva assunto un'espressione meditabonda, rivolgendo i solenni occhi verdi al cielo d'Irlanda, che prometteva fulmini e tuoni per tutti.
E tanta pioggia per tanto tempo.

Si riscosse e scese un gradino, ridacchiando, ovviamente con Shane e con Justin che fece il gradino con malagrazia, preso di sorpresa.
"Beh, mi ver-hic-verrà in mente! Comunque pensavo a Monik e... pensavo che stavolta... stavolta in-invece di salvarci il culo ce l'avrebbe piallato,ahahahahah!!", rise sguaiatamente Dorian, mentre un sollevato Eddie, in fondo alla scaletta, ed un se possibile più sollevato Justin, trascinato e fermato dall'impeto dell'amico su quella trappola di ferro, vedevano la macchina di servizio tagliare per le strade interne dell'aeroporto verso l'aereo. 

Shane fece per tenere bene Dorian e si apprestò a portarlo giù per altri due gradini quasi di peso, scambiandosi un'occhiata d'intesa con Justin, che non restasse troppo sorpreso dallo strattone, quando Dorian, mentre Shane era già in movimento e Justin si apprestava a seguirlo, ragliò un'altra risata al cielo e finalmente si girò verso l'amico che pareva aver dimenticato a Londra.
"Ah, sìììììììììììììì, ecco perchè mi è torn-tornaaata in mente! Justin ha letteralmente sbattuto contro Katryn pur di correre a farsi di coca, ahahahah!",e, colto di sorpresa dalla perfidia della battuta e dalla maestrìa del tempismo con il quale l'aveva lanciata, Justin si pietrificò;anche Shane si pietrificò, ma ormai due gradini sotto e Dorian, il cui braccio passava attorno al collo di Justin, lo trascinò con sè e...

Ci mise anche del suo o fu solo forza d'inerzia?
Ci ha messo del suo, eccome no; mi ha steso in tre mosse: mi ha sorpreso parlandomi di Katryn, mi ha fatto passare come un drogato di merda davanti a Shaney e mi ha tirato di sorpresa! Un colpo di maestro alla Dorian Kierdiing come non se ne vedevano da cinque anni! 1-2-3 knock out!-, pensò poi amaramente Justin, anche lui su un'auto di servizio per allontanarsi dall'aereoporto. 

Fosse stata forza d'inerzia o forza d'inerzia più uno strattone imponente di Dorian, Justin non riuscì a trattenersi; riuscì a fare un gradino e poi il metallo gli mancò sotto i piedi: aveva perso l'appoggio, tenuto fino a quel momento con i denti, con le unghie e con i nervi iperattivi della coca e Dorian, quello era sicuro, era stato lesto a mollarlo.
Cadde faccia avanti sulla scaletta di metallo dell'Aer Lingus, pestando uno zigomo, riuscì in un'elaborata capriola involontaria senza troppi danni, solo sbucciandosi i palmi -ma ohcomebruciava!- e finalmente, dopo altri due gradini fatti con malagrazia ma con la speranza di fermarsi, la caviglia si impigliò in un gradino e si torse dolorosamente, facendogli cacciare un urlo e affiorare subito, nonostante il clima, goccioline di sudore. 

Dall'alto, con Shane ancora ghiacciato sul gradino,che teneva ora Dorian con entrambe le braccia, arrivò una risata stridula e maligna.
Sembrava impossibile che l'avesse lanciata il suo chitarrista angioletto, il loro passerotto, ma così era; gli occhi di Dorian erano gemme dure e scintillanti di furbizia, mentre Justin tentava di rialzarsi, trafitto ora anche dal mal di testa che finalmente, come un bubbone infetto, gli era esploso e che quelle risate alimentavano come non mai, per non dire quello che dopo gli urlò, al culmine della gioia malefica, il suo chitarrista.

Oh, Dorian, il ragazzo biondo che suonava nella band
Dorian, che sapeva essere così... stronzo.
Dorian, il loro angioletto che non avrebbe mai voluto far male a nessuno.
Dorian, che colpiva solo con la chitarra, si erano sempre detti.

"LA DROGA TI FA MAAAAALEEEEEE, AHAHAHAHAHAH, TI FA MALEEEEE, SONO ANNI CHE TE LO DICO!!!"
Fece un altro gradino, stavolta con Shane che lo seguiva, quasi un'appendice inutile ,da sostegno indispensabile che era stato nel farlo camminare, e finalmente disse quello che pensava, sempre in un'altra grandiosa esplosione di allegria marcata DorianKierdiing-Purospasso!
"Da Monaco a Dublino, ragazzo mio, da aereo ad aereo... La storia non cambia!Ahahaha!Questa storia non cambierà maiiiii!"

Justin, risollevatosi in qualche modo, ringhiò quasi, ma non era in condizioni di correre su per la scaletta, prenderlo per il collo e...
-...ucciderlo. Subito. Affanculo tutto, ammazzarlo e finire questa storia!!Tutte le storie, di qua e di là ed anche più in là!-
...fargli lo stesso scherzetto, schiantandogli un braccio, magari.

Eddie, che corse a soccorerlo, pensò solo, con una punta di sollievo, che almeno uno era sceso dall'aereo. 
Almeno quello.
*
*
Il giorno dopo, in sala prove, si affrontarono solo Eddie e Shane; dopo qualche improvvisazione poco convinta, con Shane al microfono, si sedettero sul divanetto, accantonando le bacchette ed il basso.

Il silenzio gravava su di loro da dieci minuti, quando Eddie sbottò, prevedibilmente; se c'era uno che sarebbe sbottato, lì, in assenza degli altri due stronzi, sarebbe stato Eddie, non di certo Shane. 
Era quasi orripilante vedere come i ruoli che si erano dati anni prima, quella sorta di maschere viventi, erano puntualmente rispettati con tempi e modus quasi perfetti, insaccandoli in ruoli e clichè nella loro piccola famiglia.
 Almeno fino al giorno prima.  Fino a quando Dorian si era trasformato nel Justin più sadico e macchinoso che conoscevano, con quella assurda allegria alla DorianKierdiing che se di buonumore (o sbronzo) avrebbe trovato divertente anche una tortura medievale, e Justin... Era rimasto Justin, ma non aveva stranamente protestato, quando Eddie l'aveva caricato in una macchina diversa e spedito via.

"Cristo,Shane!", esplose, come predetto, Eddie.
Ma era un colpo a vuoto, solo per far parlare l'amico; cosa pensavano entrambi non c'era neppure bisogno di dirlo. Che erano fottuti, con quei due di nuovo ai ferri corti.

"Lo so, Eddie.",sospirò, infatti l'amico . "C'è modo di venirne a capo? Justin è davvero drogato? E se lo è, a che punto lo è? Come una volta? E Dorian? Dorian come è messo?", sintetizzò Shane, una mano a sostenere il mento, pensieroso. "Dorian l'ha spinto? Quanto è messo male lui?"
"Justin si è fatto, non ci sono dubbi.", borbottò Eddie, dalle profondità del divano dove sembrava voler diventare tutt'uno. "L'ho visto alla mattina. Occhio sinistro iniettato di sangue ma sosteneva di avere mal di testa. Dorian... Dorian sembrava ok. Ok, come no....",sospirò, prima di continuare."Fino all'aereo. Lì..."
"Ha bevuto mentre noi dormivamo. E tende a farlo in sala prove. Ricordi le prove in arena? Quante prove abbiamo sospeso perchè stava male?"
"E quando ha vomitato a lato del palco?",ricordò Eddie. "E' successo più di una volta."
"Justin... abbiamo solo le parole di Dorian e Dorian non è affidabile quando si parla di queste cose.",scosse la testa Shane, abbacchiato. 
Non avrebbe dovuto andarsene, dopo le premiazioni.
Sarebbe dovuto rimanere lì con loro, a fare la guardia...
-A chi?! Hanno 24 anni, non riuscivi a frenarli neanche a scuola, quei due! Guarda Dorian, ieri ce l'avevi letteralmente in mano eppure ti è sfuggito quel che stava macchinando e forse...
...forse ha sfasciato un gruppo.- concluse, mesto.
"Non possiamo fare un tour in queste condizioni.", dichiarò Shane, alzandosi in piedi, sicuro e forte come una roccia, ma vibrando internamente.
Voleva rompere la faccia di Justin e, se ne avesse avuto tempo, anche quella di Dorian, per aver alzato quella cortina non perfetta ma che erano riusciti a fare calare con la lavorazione del disco, rivelando i mostri oscuri che da tempo si portavano dietro; per aver mostrato loro il nero. Il loro muro di velluto.
Le loro carenze. 
Grande band, brutte persone; erano certi non sarebbe successo a loro, quando erano adolescenti. 
"Non possiamo.", ribadì, come se qualcuno lo avesse contraddetto. "Non siamo sicuri di Justin e non glielo strapperemo mai dalla bocca finchè non sarà arrivato al livello più basso di... miseria. Il problema di Dorian invece è palese.",e si passò una mano che iniziava a tremare davanti alla bocca. "Non possiamo fidarci di lui."

Eddie, che saltuariamente a qualche party esclusivo aveva anch'esso tirato di cocaina (e ovviamente bevuto a fiumi), sospirò, pronto a prendersi le sue colpe e comunque a confermare le parole di Shane.
"Io non sono di certo la persona più in grado di dare giudizi, lo sai... Bevo come una spugna ogni altra sera, e ci ho messo anche io il naso, però come si sta dando da fare Dorian...", rabbrividì. "E' come se volesse scacciare qualcosa di brutto. Dovrebbe farsi aiutare. Cazzo, dovrebbero farsi dare una mano tutti e due!", sbottò. "E comunque a Dorian manca evidentemente il senso della misura. No, neanche io mi fido di lui."
"Io sì."
Il muoversi silenziosamente, superata la fase dolorosa della goffaggine adolescenziale, aveva sempre fatto parte di lui, innatamente; come il saper cambiare registro di voce velocemente, come controllarla meglio di tutti loro: d'altronde non era il loro cantante?
"Se non siete sicuri di Dorian, tanto vale che buttiamo quel disco nel cesso.", sibilò maligno Justin dall'ingresso dalla control room, avanzando zoppicando a fatica ma con l'aria di non volersi fermare neanche di fronte ad un muro.

La caviglia non era rotta, si era solo storta; lo zigomo pesto e lacerato ed il livido che si andava allargando, prendendo l'occhio, il labbro superiore gonfio e le mani scorticate lo facevano sembrare uno scampato ad un disastro naturale, ma non era così grave da aver mai messo in dubbio il tour.
Aveva riflettuto e, dopo aver riposato nel suo nuovo appartamento, si era diretto in sala prove, dove li aveva sentiti.
Era quasi incredulo che dubitassero più di Dorian che di lui e se all'inizio ne era stato malignamente soddisfatto, il pensiero che quella preoccupazione facesse saltare tutto l'aveva spinto a difendere l'amico. 
Nonostante tutto.

"Dorian è messo male con l'alcoo, sì, beve; ma tirerà avanti, come ha sempre fatto.", sentenziò, sedendosi finalmente al divano, con una smorfia. "Dorian non è in discussione.", disse  tagliente, con un gesto rapido di mano per traverso, come a chiudere la questione.

Shane ed Eddie tacquero, sentendosi come colpevoli, mentre Justin, con fastidio, controllava la voluminosa fasciatura alla caviglia.
"Tempo tre settimane e la toglierò. Non è rotta. Possiamo giustificare il ritardo con l'aggiustamento della tabella di marcia.", e sorrise, riuscendo quasi convincente anche con quello zigomo pesto. "In fondo abbiamo quasi quintuplicato gli shows. Ci basta solo un po' di rodaggio. Dovreste essere impazienti, non tirare il culo indietro.", sentenziò, quasi gelidamente, fissandoli. "Dorian non baderebbe a niente e ci si tufferebbe a pesce. E voi?"
"E tu?", si fece sentire Dorian, echeggiante, dall'uscita di sicurezza. Cupo, avanzò senza un'ombra di zoppìa, mal di testa o malessere fisico di qualsiasi genere e per un momento Justin volle poterlo -uccidere!- odiare. 
Forse un po' ci riuscì, ma non quel tanto che voleva, dannazione a lui.
Dannazione a Dorian. 
Dannazione a Dorian che gli si parò di fronte, bello dritto e splendente, i capelli che come sempre mandavano schegge luminose in quell'ambiente tetro.
Come non avesse mai, neppure col pensiero,  tentato di fracassargli il cranio buttandolo giù da una scaletta d'aereo.

"Diciamo che ti ringrazio per la fiducia datami, Swanson...", si sporse col busto, arricciando le labbra.
"Non è necessario.", lo fissò negli occhi Justin, scintillando e dandogli battaglia.
"...e grazie per aver difeso la voglia effettiva che ho di andare in tour. Ma in realtà un dubbio ce l'ho. E sei tu.", sibilò Dorian, a denti stretti.

Justin si alzò, faticosamente ma senza esitazioni di sorta -ma soffriva, vero? Oh-come-soffriva!-, lentamente ma senza fermarsi finchè fu faccia a faccia col suo migliore amico, nel solito duello di occhi che li incatenava senza tregua da più di sei anni. 
-Sono otto anni che ci vogliamo male e bene, bene e male... potremmo smetterla, ora?-,pensò, quasi esausto, nella sua testa. -Dio, Dorian, Personal Jesus, ti voglio bene da far male, fa male e fa bene, e ci stiamo esaurendo... Quanto durerà questa storia?- 
Non finirà mai, gli rispose un tocco funebre. Mai

"Vuoi che te lo dica o vuoi spingermi giù dalle scale antincendio, Kierdiing?", gli soffiò, bassissimo. 
In quel momento Justin stava rischiando tutto; che Dorian prendesse e se ne andasse, mettendo fine alla loro 'carriera' e alla loro amicizia. Che rifiutasse il fatto, attecchendo ancora più ripercussioni maligne nel loro immediato futuro. Che lo accusasse di essere un ipocrita e di voler sfruttare la posizione di vantaggio che aveva su di lui. 
Quante rogne in meno se lui non ci fosse...Se non ci fosse mai stato...
-Non avremmo nemmeno iniziato, se non ci fosse stato lui.-,pensò in un botta e risposta con la sua mente, mentre iniziava a strofinarsi la tempia sinistra, in un gesto che gli era ormai diventato abituale. 
Il suo dannato mal di testa... sembrava nutrirsi di quelle cose. 

Fortunatamente Dorian ebbe il buonsenso di arrossire e fare un passo indietro, sulla difensiva.
"Non volevo... ma ero fuori di me. Al pensiero che ci fossi... che l'avessi..."
"Allora chiedimelo, perchè mi sta scoppiando un mal di testa e non vorrei trascinarmelo a lungo. Vorrei prendere un paio di antidolorifici per la caviglia e per la zucca.", sibilò Justin, a occhi chiusi. 
"Tu...",ed esitò, guardando Eddie e Shane, come spettatori allibiti. Inutile, niente aiuto da quella parte. Dorian prese fiato. "Come sei messo? A che livello...quanto in basso sei?"
"Hello, how low, eh?", sorrise senza allegria Justin, sempre ad occhi chiusi, per poi sospirare. "Sono stato preso dalle prime avvisaglie di questo tremendo mal di testa mentre tu parlavi di Anton Corbijn con Dave e Martin -avvertì un moto di stupore da parte di Eddie, che si era perso quella scena- e intanto che cercavo un bagno per mandare giù un paio di aspirine si è fatto tanto forte da non vederci.", si risedette, stavolta con più fatica. "Quando sono arrivato al bagno non ho pensato: mi hanno passato una cannuccia, soffrivo, ho sniffato. E' stato istintivo, come anni fa. Sniffa e passa tutto.",ed aprì gli occhi in uno sguardo abbacchiato, facendo fare un salto quasi a Shane. 
L'occhio sinistro era quasi del tutto iniettato di sangue.
Cosa che non sfuggì neanche a Dorian, che si limitò ad allargare gli occhi, ed ad Eddie, che si lasciò fuggire un 'Dio santo!' volante.
"Che avete?"
"Tu, Ziggy... Tu.", rispose debolmente Eddie, come tanti anni prima. 
Migliaia di anni prima.
"Io che? Volete una dichiarazione giurata? Ve la firmo col sangue, cazzo!", si innervosì Justin, fraintendendo. Tutti e tre lo guardavano. 
Dorian scosse il capo, impressionato anch'esso e...  Era paura quella che aveva? Rimorso?
Forse Shane aveva ragione, ma per i motivi sbagliati; con Justin in quelle condizioni non sarebbero potuti andare da nessuna parte senza che ci rimanesse secco in poco tempo. 
Non si intendeva di cefalee, ma se in poche ore un mal di testa poteva fare un danno simile, la questione della droga passava in secondo piano. Nonostante tutto, non potè evitare a sè stesso di confermare ciò che aveva detto Justin.

Era la loro vita.
La loro dannata musica.
Era ciò che li aveva tenuti assieme e li aveva dannati, forse per sempre.
"Partiremo appena la gamba di Justin sarà a posto. Parlerò io con Quentin, oggi, e con l'Universal. Non possono mandare a puttane un tour simile.", affermò, deciso, e nel farlo sembrò crescere di un paio di centimetri; orgoglio, superbia, la consapevolezza di aver ripreso le redini del suo gruppo e forse una certa smania che tutti, lì dentro, condividevano, anche se in misure diverse.
"Verrò anche io.", si parò deciso, Shane.
"Ed io chi sono, il figlio della serva?", sottolineò con allegria Eddie. "Non voglio perdermi una predica di Quentin manco morto!"
"Grazie.", sospirò Justin, a nessuno in particolare, chiudendo gli occhi.

"Justin?", sentì la voce di Dorian, tornata normale, soffice e dolce, dopo quei giorni.
"Sì?"
"Fatti controllare anche quel mal di testa, oltre che la caviglia. Non mi piace."
"Certo."

Sapevano tutti dove sarebbe finita la raccomandazione di Dorian, con un tour imminente in arrivo; Justin avrebbe spacchettato la gamba, sarebbe andato avanti ad aspirine o medicinali sempre più forti ma non avrebbe mai pregiudicato la possibilità di partire. Sarebbe tornato a farsi, forse, e di roba ben più tosta pur di tirare avanti, ma sarebbe stato impossibile fermarlo.

-Dovevo rompergliela quella gamba, anzi rompergliele entrambe.-, pensò Dorian, stizzito a quei funesti pensieri.
Non inauguravano solo un tour; forse stavano per inaugurare la condanna di entrambi. 

Grazie a Calipso_oh mia beta reader e donna che sopporta le mie scocciature ed incertezze ogni volta che un capitolo le arriva, con tanto di messaggi vocali ansiogeni! Mia calmante! 
Una cosa che la povera Jo_the_Ripper ricorda (peggio io che un esame di anatomia in due giorni)

Beh, mi è stato detto che è stato un bel ribaltone (chiedete a Justin come eseguirlo), insomma Dorian che si trasforma in strega... Non è tanto giusto il ragazzo, hein?
Chi vivrà vedrà per attendere sviluppi! 
Perchè sviluppi ci saranno, tanto l'avete capito, ormai, no?

QUESTA STORIA NON FINIRA' MAI
 

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Capitolo 33
*** 33. Come un tornado ***


33.Come un tornado

Tolte le bende, sia al piede che agli animi, riarrangiati nuovamente i brani, a primavera l'Over a Velvet Wall tour 2002\2003 ripartì, nuovamente dalla Wembley arena. 

Cinque serate sold out e pubblico per altrettante. 

Per qualche data, causa una scarsa coesione ancora tra i componenti dopo l'ultimo scontro, si evitò la tecnica del tuffo libero passata la metà concerto: non si sentivano in grado di fidarsi l'un l'altro, ma data dopo data tornarono ad essere quello che erano sempre stati.

Non tanto una grande rockband, ma un gruppo di amici prestato all'Olimpo del rock.

Sbarcarono nel Continente a fine aprile, al club Paradiso di Amsterdam, dove sfiorarono più di una catastrofe poichè per scelte completamente errate o per sottovalutazione, era stata programmata una sola serata, mentre tutto il locale era circondato da una folla che lo avrebbe riempito almeno altre sette volte. 
Erano scampati ai fans famelici per miracolo.

 Dorian si era dotato di camice da infermiere per omaggiare il famoso concerto del Festival di Reading dei Nirvana ed aveva fatto il suo primo stage diving.
La security lo recuperò dopo solo un minuto, ma tornò lo stesso sul palco a brandelli, tremante, e  fortunatamente preso al volo da Justin e Shane prima che si accascasse a terra, pieno di lividi e sconvolto dalla ferocia del pubblico.
La chitarra, dispersa e presto fatta a pezzi, non era Phoenix o qualcuno ci sarebbe andato di mezzo, una volta che il biondino si fosse calmato e ripreso dal trauma.
Dopo quell'esperienza, Dorian non si lasciò mai più tentare, neppure dal pubblico più mite.

Justin iniziò a 'scongelarsi', come ne parlò in seguito Eddie, dopo quell'occasione; se prima avevano un algido cantante new waver, poi piano piano ritrovò la vena teatrale che l'aveva sempre caratterizzato e ben presto i due nemici-amici si ritrovarono spalla a spalla nei pezzi più intensi e rockeggianti. 

Sapevano che sarebbe successo, come sapevano che da quel momento, dopo quel periodo di relativa calma, i rapporti si sarebbero ancora pian piano incrinati fino al punto di rottura.
Dorian e Justin, anche se apparentemente diversi, sotto sotto erano fatti dello stesso materiale: ghiaccio duro o vetro, qualcosa di trasparente che si crepava in vari punti ma resisteva fin quando una di queste crepe ne incrociava un'altra. Solo allora esplodeva tutto l'apparato.

Justin lo sapeva e aveva accolto con un misto perfettamente bilanciato di orrore e sollievo quel tornare grandi amici, sia sul palco che fuori, ma forse...
Forse il sollievo aveva prevalso.
Era NETTAMENTE prevalso quando, il 21 aprile, dopo una trionfale tournèe in Germania, arrivarono a Monaco, nel grandioso OlympiaStadion.
Justin era dannatamente felice di avere Dorian al suo fianco quando solo entrò nell'enorme stadio, il primo della loro carriera; sarebbe stata una data che avrebbe avuto un enorme peso nella loro storia, lo sapevano tutti, e serviva la maggiore potenza di spirito, calibro e potenza di fuoco che poteva assicurare loro solo un Dorian in pace col mondo e specialmente col resto della band.

Da aereo ad aereo erano di nuovo a Monaco;dove erano iniziati tutti i loro guai, anni prima, sempre su un aereo, ma dove rischiavano di far avverare il loro sogno una volta per tutte.
*
*
Prima della ripartenza del tour, Dorian era tornato in studio da solo per modificare i brani per il concerto live, con l'assistenza di Flood, ma non aveva mai tirato fuori quel metodo di procedere prima d'allora; ci pensava Justin a congelare l'atmosfera, mentre lui, Shane ed Eddie la mandavano nell'ozonosfera, bollente di passione.

Era stato un mix perfetto che aveva mandato il pubblico alle stelle; vi erano momenti in cui Justin, come al solito nerovestito, teneva persino le mani dietro la schiena mentre cantava con aria seria, ma senza pose alla Liam Gallagher, mentre attorno a lui il palco impazziva come in un tornado di sound. La loro fama di nipotini dell'eurowave e di un certo rock alternativo dei primi anni '90 ne aveva giovato non poco, ma non poteva durare molto.
Justin teneva quelle pose per insicurezza nonostante le sue parole, temendo in uno sfacelo e restando serio al limite del funebre; ora la sua personalità da frontman, a lungo frenata, stava uscendo dal coma dell'indecisione, muovendosi prima a scatti e con prudenza e poi raggiungendo la disinvoltura di un rocker americano anni '70, persino chiedendo (e purtroppo ottenendo) di suonare la sua Telecaster.
Dorian, cosciente quanto se non più di lui della potenza dell'immagine ,specie in merito alla sovraesposizione sempre maggiore dei media rispetto a quella che era la loro esperienza di fans, e dotato di occhio distaccato e critico (a parte che ad Amsterdam), aveva deciso che se l'immagine era cambiata, con Justin che padroneggiava la sua natura di frontman con passione come tutti loro, avrebbe congelato qualcosa nella musica; così voleva che loro e la loro musica apparissero.

Una contrapposizione continua tra freddo gelido e caldo bollente. 
E per Dio, ce l'avrebbe fatta. 

Fu così che, nei tre giorni preparatori alla data (unica) di Monaco, chiuse tutti nel primo studio decente che trovò e grazie a due nottate insonni in cui fece lavorare quasi tutti in punta di frusta, rivelò cos'avevano ideato lui e Flood per il tour e che poi avevano abbandonato.
Avevano lavorato su avvolgenti coperture di synth programmati, talmente gelidi da dare l'impressione che ritrovarsi nel tornado di quelle note avrebbe riportato tutti negli anni '80; avevano effettato la chitarra e la voce in modo da renderle meno dirette e Dorian, dotato di effetti tali da rendere Phoenix una tastiera, dovette convincere Justin a non 'sbraitare' (come lo rimproverava) sul suo range alto abituale, come al suo solito, ma tornare in modalità 'stoccafisso' per certe canzoni, per il reverbero che avevano regolato altissimo per il suo microfono. 
La resa della batteria di Eddie fu ridotta di volume ma non di spessore; ora il rosso batterista non suonava più direttamente da macellaio, ma girava attorno al ritmo ossessivamente; il ruolo di Shane fu paradossalmente aumentato, con un potente basso che stava sotto a tutto, anch'esso ispessito da effetti, in primis una compressione micidiale.

Quando, finita la preparazione, si presentarono nel backstage dell'OlympiaStadion di Monaco, erano lo stesso gruppo, ma sentivano di avere in mano finalmente l'esecuzione giusta, quella che fino ad allora era mancata nonostante i fans non sembravano essersene accorti, per la loro musica.

Gelavano tutti poi gettavano fuoco vivo e poi rigelavano il tutto; era come l'aveva descritto Shane in un'intervista. 
Arrivavano come un tornado, non si sapeva se generato dal calore o dal freddo; lasciavano comunque i morti alle loro spalle. 
*
*
Dorian stava facendo un soundcheck solitario sull'enorme palco dello stadio di Monaco, schiacciando vari pedali e cacciando il tecnico delle chitarre, intenzionato a fare da solo, tradendo così il proprio nervosismo.

Justin salì i gradini del backstage e si appoggiò al tom della batteria, ormai senza neppure l'ombra di zoppìa; era stata una giornata calda, da tre giorni batteva sole splendente su Monaco di Baviera, ma internamente tremava, come era sicuro stesse tremando Dorian.

Il biondino, sotto il sole, come al solito scuoteva la chioma mentre cavava suoni scintillanti dalla chitarra, mandando raggi ovunque; freddi dagli amplificatori, caldi dai suoi capelli, vitrei dagli occhi verde acquamarina, che guardavano con inquietante fissità il campo vuoto davanti a loro. 
Sembrava impossibile che quella creatura, proveniente da un mondo forse di elfi e fate che suonavano la chitarra, fosse stato vicino a spaccargli il cranio poco meno di due mesi prima, ma in quella luce, in quel momento, niente sembrava impossibile.

Persino che il loro primo set in uno stadio, con quelle modifiche all'ultimo secondo da synth rock di Dorian e Flood, avessero funzionato. 

Justin, spostato di poco (ma non di molto, in fondo era vicino. Era quello che li condannava a stare vicini e che forse li aveva riconciliati -prima di quando?- Prima della prossima rottura, ovviamente), fissò il microfono al centro del palco con una paura quasi irrazionale.
Lui, paura di un microfono?
Un microfono al centro di un palco in uno stadio?
Lui, la rockstar?
Diavolo, sì.

Tutte le cose che aveva sognato prima che iniziasse la loro disfatta, quella camminata lenta e il microfono al centro del palco, in uno stadio pieno, si erano avverate con inquietante esattezza; sapeva che al buio una luce tra il blu ed il viola avrebbe illuminato i suoi passi lenti e lunghi verso il microfono, mentre i lugubri cori sintetici di 'Someone in my mind' si sarebbero uniti al basso corposo di Shane, mentre Dorian avrebbe cavato qualche nota di ghiaccio ed Eddie al massimo avrebbe fatto risuonare lievemente i piatti, in un crescendo atmosferico che solo lui sarebbe stato in grado di spezzare con la sua voce.

Era straziante.

Per un momento Justin volle fortemente tornare all'ultimo anno alla Wenders school o al primo, unico, vero anno accademico di Trinity college.
Un attimo prima del cambiamento, per poter non cambiare niente, perchè era stato lui a spingere Dorian e Dorian a spingerli tutti giù per quella china, vero?

Ed ora, volente o nolente, doveva farlo. 

Mentre Dorian, ignaro di tutto, provava un'altra chitarra per un'altra canzone e Justin si afferrava la testa tra le mani, colto di nuovo da una delle sue emicranie improvvise che sembrava essersi lasciato in Irlanda, Eddie salì a sua volta dalla scaletta del backstage e stette immobile a guardarli, per un minuto buono.

Uno, sofferente, si teneva la testa non perdendo mai di vista il microfono (o Dorian) e l'altro, i nervi tirati, sembrava entrato in una dimensione parallela per forse non uscirne più; quelli erano i suoi amici, che l'avevano trascinato, a volte forse recalcitrante, a volte forse recalcitranti loro stessi, fin lì.
Non erano un belvedere, ma nonostante la paura che l'aveva attanagliato per i nuovi arrangiamenti ora, uscendo al sole sotto un cielo talmente azzurro che non aveva mai visto in Irlanda nè in Inghilterra, sentiva ogni dubbio riguardo al nuovo sound sciogliersi sotto i raggi caldi benefici.
Sorrise, o meglio, ghignò.

Se i due frontman erano entrambi sul pianeta 'Desperation', anche se ai due poli opposti come al solito, Eddie era allegro come non mai, mentre si avviava alla batteria e dava una pacca a Justin, che levava lo sguardo incerto su di lui.

"Mal di testa ancora?"
"Dev'essere il caldo.", replicò in tono lamentoso Justin massaggiandosi la tempia sinistra; da un mese circa se n'era liberato, ma ora il gesto tornava alla memoria di Eddie più prepotentemente che mai.
 
Dorian lo aveva dato segretamente per spacciato e non credeva alle varie consulenze che aveva chiesto e che avevano escluso ipotesi nefaste (come al solito Dorian aveva subito pensato al cancro al cervello, tanto per stare allegro), ma si era dovuto ricredere quando erano sbarcati in Europa; lo 'scongelamento' di Justin come cantante era andato pari passo con l'attenuarsi dei suoi mal di testa e tutti ci avevano messo del loro, a più sospetti.

Nuove medicine, nuove medicine talmente efficaci da essere droghe o essere usate come droghe, magari prescrivibili sul continente più che sulle isole, droghe pure e semplici, Dorian che aveva ribaltato il camerino di Justin trovando solo aspirine forti ed aveva dovuto arrendersi, non senza un certo sollievo mentre si subiva il cazziatone (ed era stato un cazziatone-one-one, aveva commentato Shane) di Justin sul dare e avere fiducia, a cui aveva ridotto un macello lo spazio per prepararsi.

Non avrebbero perso il cantante, nonchè suo migliore amico. 
Nè per 'mal di testa avanzato', come lo chiamava sottintendendo un tumore maligno, nè per overdose, almeno per quel tour. 

E rieccolo là, l'occhio arrossato e la tempia strofinata, appoggiato ad un tom come non stesse in piedi, di fronte a Eddie, con Dorian che noncurante mandava raggi come una palla da discoteca persino rivaleggiando col sole. 

"Dov'è Shaney? Dobbiamo fare il soundcheck. Quello là...", e Justin indicò col mento Dorian "...ha intenzione di suonare a cazzo e cambiare effetti fino a stasera se glielo concediamo." 
"Stava broccolando una tizia di un canale tedesco, sai; bionda, con due tet..."
"Ho capito... DIO!,dovremo mica andarlo a prendere, pure?", si abbattè completamente sul tom Justin, spalmandosi sulla batteria a mò di disperazione.
"Nah, vedrai che ai primi colpi di grancassa arriva; di corsa ma arriva sempre.",disse Eddie garrullo ed incosciente come sempre. "Sempre se mi lasci sedere."

Justin si girò a guardarlo dalla sua posizione, sfrittellato sulla batteria Pearl, proprio con l'occhio arrossato ma con un'espressione gelida, ed Eddie per un lunghissimo secondo ebbe l'impressione di - non è mal di testa e non è una coincidenza che gli sia passato, non gli serviva più, ma ora forse gli serve...- averlo stuzzicato nel momento sbagliato, poi l'amico si rigirò e si alzò, seppure lentamente.
"Tutta tua, io vado a prendere un paio di aspirine.", sospirò Justin, girandosi verso le scalette per abbandonare la scena.

La sua scena.

Si fermò però ancora accanto alle scalette, mentre Eddie si sistemava gli auricolari e il suo tecnico si avvicinava per provare il sound; impossibile non notarlo, la faccia era una macchia quasi di porcellana, aggravata dal pallore del mal di testa, addobbata dal nero contro quell'incredibile cielo.

Gli stava facendo pena, Justin; sembrava non avesse del tutto superato i suoi guai e proprio quel giorno, il giorno della loro consacrazione, il giorno che tutti sapevano sognava da anni, era ricomparso quel -quella presenza- mal di testa.
Gli lanciò una voce, un po' preso dall'inquietudine ed un po' dall'impazienza del soundcheck.
"Hai intenzione di fargli una dichiarazione o vuoi startene a cuocere lì tutto il giorno, beccamorto?"

Justin si scosse e lo guardò, sorpreso.
"Dorian. Lo guardi come se volessi chiedergli la mano al ballo scolastico.", chiarì Eddie, sempre a pieni polmoni e sempre ignorato dal soggetto della sua discussione.

Finalmente Justin capì ma non scoppiò in una risata o in 'vaffa' gioioso come si aspettava, ma gli sorrise.
E fu bello;era  quel sorriso riservato a loro che lo rendeva così speciale, che gli lasciava i brillantini negli occhi.

"Perchè, tu non te ne innamoreresti, in questo momento?"
E finalmente scese la scaletta, lasciando Eddie interdetto per poi scoppiare in una risata.
"Vaffanculo, lo sapevo! Suono in un gruppo di gay!", proruppe.
Rise fino ad asciugandosi le lacrime, osservando la sottile figura di Justin che finalmente spariva e incrociava Shane che correva in senso opposto ed una stilettata gelida lo colpì, per poi svanire come molti pensieri di tutti loro in quei giorni, solo che questo era nettamente diverso.

-Mi innamorerei anche di te, caro. Se solo ti lasciassi volere bene... Allora ci innamoreremmo tutti di te.-
*
*
La sera calò inesorabile sull'Olympiastadion di Monaco.

L'Over a Velvet Wall tour stava per decollare come un gigante finora costretto a gattonare ed ora libero di camminare, correre e forse anche distruggere.

I synth pre-registrati vennero fatti partire e la band entrò in scena; Shane, che si mise quasi subito a suonare, supportando la corposa linea di synth bass che si stava esaurendo, Dorian che lanciò una lama di chitarra digitalizzata nell'oscurità, Eddie che non si mosse per il momento, ma salutò il pubblico.

E poi, a lunghi e lenti passi, verso il microfono posizionato al centro del palco, mentre ormai tutto era in movimento attorno a lui, pronto a scatenare la tempesta, Justin. 

Justin, in jeans cargo neri e camicia nera fuori dai pantaloni, fasciante, la faccia che risaltava bianca e dentro quella gli occhi che le luci e la matita rendevano di un azzurro brillante: invitante e pericoloso come una pozza d'acqua fredda in una corrente calda.

Si approcciò al microfono a mani unite dietro la schiena, come fosse in chiesa, e  il momento prima di cantare, quando Eddie attaccò,  stese le braccia e si inarcò per poi ricadere sul microfono e scatenare il tornado. 

Era tutto come aveva sempre sognato.



Capitolo non betato.
Signorine, posso capire che l'evento rock possa stufare e che si possa lamentare del poco sovrannaturale, ma si deve leggere tra le righe molto finemente, specie in questi capitoli, specie in quello precedente.
Ci sono due emissari, ci sono due (o più?) protagonisti che non sono nè bianco nè nero.
OVVIAMENTE chi ama la musica è avvantaggiato, non lo nego. 
Sono solo amici prestati al rock, non un vero gruppo da classifica :P
E poi come dice Alael 'Non vivi tremila anni se non impari...' bloah blah ci hai stufato!!
Accetto critiche, ne avrei bisogno come il pane. 
Buona estate


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Capitolo 34
*** 34. Questa è la nostra band ***


34. Questa è la nostra band

"Che ha il beccamorto? E' da stamattina che sembra una cinciallegra.", borbottò Eddie, apparendo nella stanza d'hotel di Dorian dalla sua, dov'era stato a smaltire i postumi non proprio allegri di una festa colossale della sera prima. "Mi ha bussato alla camera, mi ha canterellato qualcosa in faccia e se n'è saltellato via come il Bianconiglio. Siamo sicuri che non si droghi proprio più?", aggiunse, tirandosi tragicamente i lineamente verso il basso, nel tentativo di svegliarsi.

Alle tre del pomeriggio.

Dorian stava lavorando con una tastiera midi agganciata al notebook mentre  Shane si trovava a fare un po' di sauna nella palestra dell'albergo e Justin probabilmente a correre in tondo;  il biondino borbottò qualcosa che Eddie non sentì, mentre si versava in gola una generosa dose di sali minerali.

Dopo la meravigliosa data nello stadio di Monaco, persino più emozionante della partenza alla Wembley Arena di Londra, dove il concerto si era protratto per quasi un'ora più a lungo del solito a favore di quasi 70.000 fortunati fans, l'Over a Velvet Wall tour aveva iniziato a correre. 

Per loro significava abituarsi a platee sempre più grandi ed accentrate nelle metropoli,nella maggior parte dei casi; a volte invece incredibilmente tante ma piccole come trovarono in Italia e nei Paesi Bassi.
Partecipare come 'guests' a festival di incredibile portata (fu leggendaria la cacarella che colpì Shane al 'Rock am Ring 2002', imputabile ad un mix tra aria fredda ed emozione) ed alla fine assestarsi su una certa routine quando ripassarono come un rullo compressore l'Europa con l'estate tutta nei grandi stadi e la previsione di un inverno indoor, prima di sbarcare in Nord-America.

Per la casa discografica significava invece solo soldoni: ai tempi del peer to peer e dei vari sistemi di download, per non parlare del problema della masterizzazione, gli Interferences erano un ottimo gruppo in attivo che vendevano dischi reali e merchandise, con concerti dal sold out facile e, nonostante gli inizi incerti all'interno del gruppo, sembravano non volessero smettere tanto presto, nè avevano vezzi costosi da rockstar, per il momento. 
Dorian aveva ovviamente sfruttato questo per angariare il loro manager, che, tra l'incudine ed il martello, aveva insistito per uno sbarco in grande stile negli Usa.

Non solo; mentre Justin andava a farfugliare notizie all'alba di Eddie, Dorian stava componendo.
Di già. 
Ci stava prendendo diabolicamente gusto. 

Eddie tuffò la testa ramata sotto l'acqua gelida per riprendersi un po' e studiò il viso coperto di efelidi, guastato dalle sempre più frequenti occhiaie disastrose; per la prima volta in vita sua pensò di darsi una calmata con le feste. Iniziava ad essere un'altra routine.  
L'alcool gli era sempre piaciuto ma non era certo un suicida e voleva ancora il modello originale del suo fegato a cinquant'anni, quando avrebbe calcato ancora il palco, secondo le sue previsioni. 

Questo lo riportò ai pensieri di prima e, tornando in salotto, fronteggiò Dorian, che fissava con uno sguardo inquietantemente perso il risultato del suo lavoro al pc, le enormi cuffie da studio ancora sulle orecchie, come se l'amico non fosse esistito neppure.
Eddie si sporse e gliene schiccherò una, facendo uscire un casino di chitarre e dissonanze e facendolo soprattutto trasalire, ripiombato di colpo sul pianeta Terra da 'Distorsionland'.
"Allora, che ha Justin? A parte che oggi non ha mal di testa ed è una grande notizia."
Dorian stette un attimo ad armeggiare furiosamente con il pc per spegnere quel rumore da fine del mondo e lo osservò, la fronte lievemente corrugata.
"Justin?"

Eddie sospirò e si passò di nuovo le mani in faccia, premendo sugli occhi.
Quando Dorian partiva per l'altro mondo non ce n'era per nessuno.

"Justin-mi-ha-tirato-giù-dal-letto-e-mi-ha-farfugliato-qualcosa-ALLEGRAMENTE. Ora, caro passerotto, ammetterai che non è nei suoi standard il fatto di contemplare la vita con allegria, e così mi chiedevo se..."
Non fece ora a finire che la faccia di Dorian passò da interrogativa a sorridente.
"Alt, alt, ho capito, capito!", lo interruppe, ridendo e mettendo le mani avanti. "Intanto, immagino che con 'tirato giù dal letto'  tu intenda le due o le tre, secondo il tuo fuso orario, e poi... sei pronto per la notizia?"
Eddie mugugnò che era mezz'ora che tentava di farsela dire e Dorian assaporò le parole sulla lingua prima di lasciarle andare a segno.
"Il delinquente è riuscito a farsi remixare 'Someone in my mind' da Trent Reznor in persona. E non solo!, ci ha parlato al telefono stamattina e da quello che ho capito dev'essere stata una conversazione GRANDIOSA,ANIME GEMELLE,IDEE MAGNIFICHE, e questo è quello che ho capito io quando è venuto a scocciare ME!", rise.

Appoggiò le cuffie Bose al pc, chiudendo il suo lavoro, sempre con un sorriso accennato sulle labbra.
"E' più una notiziona per il gruppo, ma sai come si infiamma quando gli si tocca la SUA canzone..."
"Gesù...",mormorò Eddie, debitamente svegliato dalla notizia. "Ed io che pensavo fosse tornato a drogarsi."
"Parlate di Justin?", li interruppe una voce profonda. 
Shane era entrato con un asciugamano attorno alla vita, mentre si riavviava i capelli castani, gli occhi blu scintillanti di allegria. 
"Ma che è, la chiave della mia camera ce l'avete tutti?!", imprecò Dorian, ma senza malanimo. 

Era felice di riavere di nuovo il suo gruppo di amici e, a parte le sue escursioni per la Terra delle Distorsioni dalle quali bisognava ritirarlo poi con molta cautela, non perdeva occasione di dimostrarlo. 
Troppi anni bui a litigare, intervallati sporadicamente da qualche raggio di luce e speranza, e finalmente sentiva che tutto iniziava ad assestarsi. 

Shane si stiracchiò, facendo mostra della sua muscolatura che non mancava di allenare, e si approcciò al tavolo, appoggiandosi con i gomiti, un fremito di risolino che gli aleggiava sulle labbra.
"Stavate parlando di Justin? Ho sentito 'remix' e 'droghe'. Non potete che parlare di lui."
"Dunque tu sai tutto.", lo canzonò Eddie, versandosi del caffè freddo. "Ma non eri in sauna?"
"E' entrato a dirmi tutto e come voi ho capito solo 'remix' 'grandioso' 'telefono' e poi quella cosa da brividi, 'anime gemelle'...", e finse di rabbrividire, accostandosi a Dorian. "Ci proteggerai tu, passerotto, dal muro di suono che ci attende?"
"Shane, dimmi che hai un costume sotto quell'asciugamano!"
"Vuoi dire che è entrato in sauna CON I PANTALONI DI PELLE e ti ha fatto tutto il discorso SENZA SCHIATTARE?!"
"Che razza di puritani, ovvio che non ho un costume, comunque io credo che..."
"YUUUUUUUU, ACCOZZAGLIA DI STRONZIIIIII!?",si sentì un urlo risuonare all'interno della stanza e Dorian, facendo per alzarsi ed allontanarsi da Shane, bestemmiò di nuovo sonoramente, stavolta seccato. 
"CRISTO,ma davvero avete tutti la chiave di camera mia?!"
"Ma non viene da dentro...", aggiunse dubbioso Eddie, guardando come un'idiota la porta d'ingresso, quando notò le facce allarmate e subito impallidite degli amici e si voltò verso...
...la  ringhiera dela balcone.

Justin stava tentando di issarsi dalla balconata bar del piano sotto, osservato da mezza clientela dell'hotel madrileno dove avevano finito la loro seconda leg europea, ancora ridacchiante ed esaltato dalla notizia di quella mattina.
"Eddai, tiratemi su... non ce la faccio più a stare qua!"
"Da quanto sei lì?!", chiese Dorian, incredulo, facendo rapidamente il giro del grande tavolo rotondo per raggiungere quello sciroccato del suo cantante.
"Da quasi un quarto d'ora ad aspettare che vi svegliaste, razza di rincretiniti, ahahaha, gli ad-ad-ad-dominali mi fanno malissimo, ooohh Dio, tiratemi dentro, dai!", rideva senza ritegno Justin, sempre in bilico precario e sempre con quei dannati e scivolosi pantaloni di pelle.
In agosto.

Eddie era rimasto imbambolato, vuoi per l'essere appena emerso dallo stato comatoso vuoi per la sorpresa, ma Shane si mosse rapido come una serpe, andando ad afferrare sotto le ascelle l'amico che non intendeva smettere di ridere ed ora anche di scalciare per aria
"Sei un grandissimo imbecille!", ringhiò tra il divertito e l'incazzato il biondino, che come muscoli difettava quasi quanto il suo cantante e aiutava solo con una debole presa sulla camicia del suddetto imbecille.
"Concordo, appena sarà dentro lo prendo a... Oh, hey, no! TIENILO, DORIAN!!"
"Co... NON LO MOLLARE, SHANE!!", urlò Dorian, mentre Shane si ritirava istintivamente a chiudersi l'asciugamano che minacciava di aprirsi e sbattere i gingilli di casa Haynes in faccia a Justin, che si ritrasse istintivamente, (ma senza smettere di ridere) e...

...per un momento furono di nuovo in bilico, Dorian e Justin, occhi negli occhi; solo che stavolta si stavano dando mano a vicenda e gli occhi di entrambi erano venati della folle ed allegra incoscienza dell'amicizia. Solo il precario equilibrio di Justin fece sì che Dorian perdesse la presa sulla camicia dell'amico.
Smettendo all'improvviso di ridere, Justin cadde all'indietro dal bordo della ringhiera di sotto, precipitando ancora, apparentemente al rallentatore agli occhi di Dorian (-Stavolta si spacca la testa, si spacca la testa nel momento migliore della nostra vita e sarà ancora colpa mia, Cristo perchè non gliel'ho rotta e fine dei giochi?!-) ed atterrò con un tonfo glorioso ma sgraziato nella piscina sottostante il bar, sollevando schizzi fino ai vecchi clienti che si godevano il fresco.

Eddie ed un ricomposto Shane si affacciarono con lui dalla balconata, tutti e tre di un pallore mortale e non respirarono finchè il ciuffo ormai smosciato di Justin e le lunghe gambe fasciate di pelle non emersero, spruzzando acqua ovunque dall'azzurro della piscina, ancora ridente nonostante il volo e la paura che gli aveva letto negli occhi Dorian quando aveva perso la presa.
"E METTETE QUESTA NELLA NOSTRA BIOGRAFIA! IL NOSTRO PRIMO TUFFO DAL PRIMO PIANO IN PISCINA, AHAHAH!! SIAMO UFFICIALMENTE ROCKSTARS!"

I tre amici si guardarono, tirando un sospiro di sollievo con l'espressione di 'sempre il solito deficiente' e fecero per tornare dentro, quando Shane, all'improvviso, si liberò dell'asciugamano incriminato e si lanciò dal balcone, urlando con le chiappe al vento e qualcos'altro all'aria che fece strillare di sdegno le anziane signore madrilene al bar.
"E METTICI QUESTA ANCHE, AHAHAHAHAHA!!!"
I due superstiti si guardarono ed Eddie, con aria rassegnata, si mise in bilico sul balcone, ancora con un occhio semispento.
"Io lo faccio solo per non lasciarli soli...BANZAIIIIII!!!"

Dorian si strinse nelle spalle, mentre un sorriso si apriva, incantevole, sul suo viso.
"Cosa tocca fare per questi disgraziati...", e prese la rincorsa, scavalcando la ringhiera con una mano con la solita grazia e volando fuori con un urlo selvaggio.

*
*
La conferenza stampa della fine delle date europee era attesissima, a Dublino; Quentin Storrow, il loro manager, avrebbe preferito Londra ma non l'aveva spuntata contro il volere adamantino di Dorian di non voler più mettere piede in quella città.

Odiava Londra, gli evocava solo brutti ricordi e il clima era sempre schifoso; non trovava attrazioni nella City quanto nel muoversi a Dublino, a casa sua. 
Perciò la conferenza stampa, premessa ai due mesi di riposo per ricalibrarsi e sbarcare negli Stati Uniti con una terza leg nelle arene ('asfaltandole', aveva promesso Shane) , si svolse a Dublino. 

Quando entrarono in sala, le guance di Dorian erano rosse come una mela; aveva percorso le vie battute dal vento della sua città dalla mattina, non era quasi mai stato riconosciuto (aveva evitato i posti in cui avrebbero potuto assalirlo) e quei pochi che gli avevano parlato se n'erano andati con l'impressione di aver parlato con una persona gradevole, simpatica e per niente montata. Dorian, nonostante avesse in testa un sacco di cose, appariva rilassato e senza pensieri, felice solo di essere dalla parte giusta del Mare d'Irlanda.
Nonostante fosse originario di Linayr aveva sempre considerato Dublino la sua città. 

Vi erano molti più giornalisti alla conferenza stampa di fine tour europeo che a quella d'inizio, e certamente molti più di quella dopo aver buttato l'immagine 'Changes' alle ortiche. 

Dorian si sedette rilassato, seguito da Eddie, Shane ed eccezionalmente da Quentin.
L'unico neo, che però pesava maledettamente sull'immagine generale, era l'assenza di Justin. 

Era in camera sua, nello stesso albergo: ancora preda di quel fottutissimo mal di testa, proprio in quel momento, dopo i due giorni di pace a Madrid. 
Niente; nessun'idea di lavorare con uno dei musicisti più influenti del mondo, nessuna delle conquiste fatte in campo musicale, nessuna bella cosa degli ultimi tempi della sua vita poteva tirarlo su. Si trovava in una stanza con le serrande abbassate, una mano sulla tempia sinistra e l'occhio perennemente arrossato. 

In quel momento, lo sapevano tutti, Justin avrebbe dato tutti i suoi risultati per stare meglio.
Quella cosa li spaventava un po'. 
*
*
"Nei vostri due mesi di riposo  intendete davvero riposarvi?", chiese un'inviata di Viva, un' emittente tedesca. 

Dorian ci pensò e prese la parola prima degli altri. 
"Dovremo riprovare il sound per le arene, ma non solo; abbiamo un sacco di idee in cantiere, per non ripetere gli stessi errori di partenza di Velvet Wall. Stiamo lavorando sul suo seguito e non sarà per forza un Velvet Wall parte seconda."
Eddie e Shane si scambiarono un'occhiata, con Dorian tra loro che la colse.
Che stava succedendo? 

A fare luce emerse appunto la stessa giornalista, carina e preparata, a giudicare dalla rapidità delle domande.
"Velvet Wall è caratterizzato dagli spunti della chitarra, del synth e delle linee vocali, spesso filtrate ed appesantite. Pensate che anche il prossimo disco sia incentrato esclusivamente sul songwriting tuo e di Justin?"

Eddie e Shane si scambiarono di nuovo l'occhiata, stavolta comprendendolo.

Era da metà della seconda leg europea che Dorian, a parte qualche notevole e devastante occasione, non prendeva parte ai party del backstage post- concerto e preferiva tornare in hotel, forse a suonare o forse persino subito a riposarsi per essere pronto, la mattina dopo, a fare un po' di esercizio fisico e poi suonare; suonava nel backstage prima di un concerto, continuava a riadattare anche singole note, suonava riff nuovi e ci pensava, girava col notebook sempre appresso e Phoenix a spalla, nonostante la sua collezione di chitarre si fosse ormai ampliata a 12, per contrappuntare meglio ogni canzone. 
Sapeva che gli altri non erano rimasti impassibili dal suo comportamento, specie in vista di una meritata pausa, ma lui sapeva perfettamente cos'aveva sbagliato in 'Velvet Wall' (-ma, oh, suonava così grandioso quel capolavoro, vero?-)  e cosa non intendeva sbagliare; stava creando delle basi per tutti. 

Tante.
Tante cose su cui lavorare. TUTTI.
E non un altro album praticamente da solo, come sospettavano gli altri.

Dorian aspettava quel momento da tempo, e nonostante la passeggiata mattutina fino al Grand Canal Docks non si era sbollito, anzi.
Aveva due cose da dire, sia ai suoi compagni che ai media.

"Non nego di avere... più di Justin,sì. Non nego di aver monopolizzato il processo creativo, in passato. Flood doveva buttarmi fuori dallo studio con una pala da neve..." e tutti risero, rilassandosi, ma non lui. "Ma dimenticate una cosa. 'Velvet Wall' è il nostro disco e..."
"Il songwriting è sempre stata una sua prerogativa.", lo interruppe Shane, quasi scusandosi delle idiozie che stava dicendo l'amico. Dorian restò a bocca aperta. "Non è certo una colpa essere un pazzo scatenato come loro due. Io ed Eddie siamo la sessione ritmica e ci è stato sempre bene, fin dai tempi del liceo, figurare in questo modo come gruppo. Contribuiamo con tante piccole cose che spesso sono dimenticate, ma la verità è che Dorian ha già dei pezzi pronti e..."
"COL CAZZO!!"

Dorian si era alzato in piedi, sconvolto.

Questo pensava la sua band? Quella che si era tuffata in piscina tutta assieme per solidarietà per il tuffo involontario di Justin?

Così lo vedevano? 
Come un monopolizzatore del suono? 
Un dittatore della sala studio?

Dal punto di vista di Dorian questo non esisteva, proprio per il lavoro che si era sobbarcato durante il tour, invece si spassarsela come tutti,  ed afferrò il microfono, facendo fischiare tutto come nei peggiori locali dove avevano suonato (il ricordo del 'Paradiso' e della sua follie era ancora presente) e, tremante, passò lentamente lo sguardo sui giornalisti, avidi come iene  (-no, sciacalli. Siete solo sciacalli, ma ne dovrete ancora passare di queste cose perchè io non morirò, così presto, oh no!-) di sapere, di notizie e di che mattata da rockstar ne sarebbe uscita, e poi, ancora più lentamente, sui suoi compagni.

Quentin, a lato, si mise le mani a coprire il volto; Dorian era il peggior cliente gli fosse mai capitato. A volte persino peggiore di Justin.

"Sì, è vero, ABBIAMO dei pezzi. Grezzi. Pezzi che non andrebbero da nessuna parte senza una batteria -ed indicò Eddie-, un basso potente come ha dimostrato di saper fare il nostro Shane e della voce di Justin." e prese un respiro. "Perchè NOI SIAMO UNA BAND. Non vi sono primedonne, anche se abbiamo avuto problemi in quel senso. E lavoreremo ASSIEME sui pezzi. Se l'impressione generale è che 'Velvet Wall' sia stato un disco completamente assemblato da me con l'aiuto di Justin, beh... toglietevelo dalla testa.", e si voltò a fissare i suoi compagni, muti e sorpresi. "TUTTI."

La domanda, neanche a farlo apposta, arrivò fulminea come una bolletta a fine mese.
"E come mai il vostro cantante manca, a questa conferenza stampa?"

Ecco, in quel momento sia Eddie che Shane videro Dorian accendersi letteralmente.
"Justin NON-STA-BENE! Perchè dovete sempre insinuare che vi siano screzi interni o qualche disgrazia, razza di avvoltoi?!"
"Dorian...", provò Quentin, inutilmente.
"Perchè non vi mettete nei suoi panni?! Ci sono foto che lo ritraggono in tutto il tour mentre sta male, eppure è SEMPRE salito su quel cazzo di palco!"
"Calmati, per favore.", sibilò Eddie, prendendolo per un braccio.
"NON MI CALMO! Io non... non ....NON CE LA FACCIO PIU' A VIVERE IN QUESTO MODO, SOTTO ACCUSA!  Abbiamo finito il nostro primo, assoluto tour europeo, un passaggio nelle arene e nei locali e poi siamo TORNATI  negli STADI! IN UN ANNO!! Un anno, signori, per conquistare gli stadi europei, da Mosca a Madrid! E voi solo accuse, accuse, accuse! Non vi è piaciuto il disco o i concerti o il fatto che al mio amico stia esplodendo la testa?!"
A quel punto Dorian urlava e Shane giudicò che sarebbe scoppiato A LUI un mal di testa grandioso se non avesse abbassato la voce ed il feedback del microfono.
"Se è così, ho solo una cosa da dirvi..."
"Dorian, no...", si sentì chiaramente Eddie supplicare al suo microfono.

Ma Dorian lo fece. 
Salì sulla sedia, si sporse sul tavolo fino a piantarci un ginocchio, come ad imprimere un messaggio a fuoco in ognuna di quelle teste di cazzo che per una laurea in giornalismo erano lì a rompere loro le palle.

"FOTTETEVI! E non ascoltateci! Perchè IO ME NE FOTTO DEL VOSTRO PARERE!!", e prese fiato.
"PERCHE' QUESTA E' LA NOSTRA BAND, VI PIACCIA O NO, E ANDREMO AVANTI! IN-SIE-ME!!"

E sbattè il microfono a terra, frantumandolo.
Scese dalla sedia ed allargò le braccia, con un sorriso maligno sotto gli occhi verdi scintillanti.
"IO.HO.FINITO.", urlò, e fece per avviarsi, per poi fermarsi ancora e puntare un dito a caso, nella moltitudine di giornalisti sconvolti. "Ed anche voi! Fuori dalle palle!!"
*
*
Nella sua suite al Parc de Princes, dove regnava oscurità e silenzio, Justin tremava internamente; anche in lui erano vividi i ricordi gioiosi di Madrid, come del loro battesimo del fuoco e del ghiaccio a Monaco, il tour de force per tornare e preparare la conferenza stampa e la consapevolezza che, anche se il suo corpo richiedeva riposo, la mente non glielo concedeva.

Quel mal di testa, quel fottutissimo mal di testa!!

Oltre a quello, non era mai riuscita ad abituarsi all'aspetto che assumeva la sua faccia dopo pochi minuti di incessante martellare, con la sicurezza che qualche vaso sanguigno stesse per saltare, volta per volta. 
Era una maschera grottesca di quello che era il suo viso, con una metà contratta e deturpata, l'occhio sanguigno a sporgere come quello difettoso di un mostro di Hollywood.

Si sentiva una bambola rotta; i circuiti in tilt lavoravano ad una velocità doppia rispetto al normale ma il suo corpo non riusciva a compiere niente che non fosse il minimo sforzo.
Prima aveva tentato di prendere il bicchier d'acqua dal comodino e l'aveva rovesciato; non aveva potuto fare altro che osservare come la moquette la bevesse, con la bocca arida e le pulsazioni a mille.

La cosa più grave era che pensava di nuocere al resto del gruppo, nonostante avesse sempre fatto la sua parte, come Dorian nello stesso momento stava ribadendo alla stampa. 

Si girò da un lato, tentando di comprimere la tempia anche contro il duro cuscino: niente da fare.
Il suo famoso ciuffo di capelli neri gli pendeva davanti agli occhi, floscio come tutto il suo corpo dal collo in giù; la testa era, al contrario, un'unica contrattura data da una fitta incessante di dolore.

In due giorni era diventato quel vampiro agonizzante, dal ragazzo gioioso che era caduto in piscina per caso e si era anche divertito. 
No, neanche.
In mezz'ora, poco prima di entrare in sala stampa: stava bene ed all'improvviso era dovuto invece correre via, con i soliti sintomi di cecità parziale e quella maledetta testa che minacciava di esplodere in faccia a qualcuno. 
Nessuno l'aveva fermato, nessuno gli aveva detto niente, anzi Quentin gli aveva fatto preparare la camera in modo potesse riposarsi.
Ormai si sentiva solo un peso.

Un discorso di Edele di quando era piccolo  gli martellava in testa, in quel momento;  sua madre, con il suo brioso e singolare senso dell'umorismo, che chissà cos'avrebbe fatto nel vedere il suo ragazzo conciato così.
-Sai Justin, devi stare attento ai microbi. Sono dappertutto. Sono come dei piccoli agenti segreti incaricati di farti male. E ce ne sono tanti.- e l'aveva guardato, per capire se avesse compreso la lezione sul lavarsi sempre le mani. -Ma ci sono anche tanti agenti segreti che sono incaricati di farci del bene. Questa è la nostra fortuna. Ma dobbiamo aiutarli.-

Quando una lama di luce fioca cadde esattamente sulla metà del suo volto sofferente, una parte gli rimbombò in testa.
-...per farti del bene...per farti del male... ma devi aiutarli...-

E come evocato (-ma forse lui VA' evocato... a suo modo-) Dorian entrò, in punta di piedi, sedendosi ai piedi del letto, non osando parlare.

Dorian con lo sguardo scintillante; ne aveva appena fatta una delle sue ma non voleva dirgliela, per farlo stare peggio, e questo fatto scaturì un altro pensiero dalla mente di Justin, chiusa in una morsa ormai.
('E tu, Dorian? Sei qui per farmi del bene o per farmi del male? Dovrò aiutarti in ogni caso?')

Dorian sospirò e si schiarì la gola, palesando la sua presenza.
"Justin..."
"Dimmi (-bene o male?-)...", replicò, con voce fievole.
"Voglio solo farti una domanda, poi me ne andrò e ti lascerò in pace. Non devi neppure pensarci su e non dovrai mai più pensarci su. Se non vuoi non te la farò. Se pensi che possa peggiorare il tuo mal di testa... Aspetterò."

Il silenzio di Justin venne scambiato per assenso, tanto che Dorian scosse la testa e si alzò in piedi.
"Noi... siamo una band, vero?"
"Dorian... (-bene o male?COSA sei?!-) questa è la NOSTRA band."

Dorian sembrò stesse per mettersi a piangere a quella risposta e lo confermò la voce, cammuffata ma impastata, della sua risposta.
"Sì. E' la nostra band. Ora riposati e non preoccuparti di queste sciocchezze.", e per un istante, brevissimo, Justin fu certo di vedere una scia argentea attraversare il viso di Dorian; una lacrima, nello spicchio di luce della porta. Oh-come-era-bello.

"Sì,Dorian.", fu solo in grado di rispondere, mentre il suo mal di testa aumentava ed un altro pensiero prendeva il posto di quello prima, pulsando come un neon difettoso assieme alla centralina del suo cervello.
('Questa è la nostra band')
*
*
Uscito da camera di Justin, Dorian soprassalì, quando vide Eddie e Dorian seduti sul divanetto di fronte, sul corridoio.
Prima che potesse parlare, Shane si alzò in piedi, schiarendosi la voce.
"Come...sta?"
"Non l'ho mai visto così male.", sospirò Dorian, mandando giù il groppo di lacrime che gli era salito con la risposta coraggiosa dell'amico. 
Anche Eddie si alzò in piedi ma non disse niente, dondolandosi sulle scarpe da tennis. 

"Andiamo, passerotto. Tra un paio d'ore torneremo a vedere come sta.", lo prese Shane per il braccio, delicatamente.
"E dove volete andare? Quentin mi starà cercando per farmi la pelle.", ironizzò macabramente Dorian. 
Ma voleva comunque anch'esso levarsi di lì, da quel posto che sembrava circondato dal malessere che opprimeva il loro amico, perciò si mosse verso gli ascensori, ora affiancato anche da Eddie, che finalmente ghignò.
"Facciamo un giro. Sai che anche il 'Parc de Princes' ha una piscina?...."

Dorian scoppiò a ridere, mentre si lasciava trascinare (ignaro che l'avrebbero buttato dentro senza preavviso e che l'acqua stavolta sarebbe stata gelata); in un attimo aveva cancellato la tensione che li aveva attanagliati quel pomeriggio.

"Dio, quanto amo questa band!"
"Questa è la nostra band.", sottolineò semplicemente Shane con un'alzata di spalle, mentre gli ascensori si chiudevano.

 

Andate in pace, tutti voi.
A parte Justin.
Cos'avrà?
Capitolo betato dalla mat... da Calipso Macabre Doll. Love you, sis, ti regalerò un Justin tutto tuo.
Buone vacanze a chi và

 

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Capitolo 35
*** 35. Emersione ***


35. Emersione

"Allora, come stai?"

I tre membri sani degli Interferences stavano seduti tutti di fronte al letto dove Justin stava con la testa sotto il cuscino. 
La notte era calata e avevano così potuto aprire le finestre e lasciare filtrare la luce della luna e un po' d'aria fresca, ma pareva che il loro compagno non sopportasse neppure quella; si era infilato con la testa sotto il cuscino e pareva volerci prendere la residenza a vita.

Dorian batteva i denti, nonostante si fosse cambiato dopo il gelido tuffo nella piscina ormai dismessa; a Dublino i divertimenti acquatici finivano presto e poi c'era aria di tempesta.
Solo lui e qualche foglia staccatasi dagli alberi del ricco giardino erano finiti nella vasca, ed entrambi non consenzientemente.

Dopo le sentite bestemmie, il cambio abiti e le lamentele del biondino ('Mi ammalerò!' 'Etciù, lo sapevo, mi verrà una polmonite!' 'Morirò e sarà solo colpa dei vostri scherzi cretini!') sempre ottimista, erano risaliti nella camera-pronto soccorso di Justin.
E non era un bello spettacolo. 

Forse dipendeva dal fatto che Justin tendeva a nascondersi nel suo camerino, quando preso dal mal di testa, forse che quello fosse stato il peggior attacco fino a quel momento, ma un'aria cupa e maligna regnava nel silenzio della camera, interrotta solo dal vento che stava aumentando pian piano d'intensità.

Con quella matita negli occhi o sempre qualche accenno di make up, Justin  sembrava sempre colare lacrime nere, come una Madonna piangente sangue nella versione più dark e disperata.
Ma almeno le Madonne piangenti non tentavano alla cieca di prendere l'acqua e la ribaltavano per ben tre volte, finchè Shane non gliel'aveva data con la cannuccia; nè ogni tanto si lamentavano da sotto il cuscino come Justin, con le mani che tremavano e si aprivano e chiudevano debolmente ma incessantemente, i muscoli della schiena tutti contratti.

Le Madonne non parlavano o almeno non si sforzavano a farlo.
Justin purtroppo ci provava ed i risultati erano pessimi.

"Com'è andato il concerto?"
La voce soffocata dal cuscino non riusciva a trattenere il dolore che traspariva attraverso; dolore fisico e dolore per considerarsi un peso.

Dorian si scambiò uno sguardo con Shane e con Eddie, che scosse la testa.
-No. Non dirglielo.-

"E'...andato bene, Just..."
"La CONFERENZA STAMPA, cazzo, non il concerto!", e Justin sembrò quasi riemergere alla luce, in un moto di rabbia contro sè stesso; strinse un debole pugno e sembrò quasi volerselo dare sulla testa, o meglio sul cuscino che gli faceva da casco.
"Stupido, stupido,STUPIDO CHE SONO! Ho mancato la conferenza di FINE TOUR!!"
"Justin, non potevi..."
"E ho detto 'concerto', ma si può essere più STUPIDI!!",e stavolta davvero calò un pugno su sè stesso, alchè Dorian scattò a fermarlo.
"Ma sei scemo?! Ora ti metti anche a picchiarti in testa!?"
"E tu perchè non mi hai corretto quando ho detto concerto? Pensavi stessi iniziando a mancare di cervello?!", la voce soffocata e rauca di Justin non perse un milligrammo dell'acredine e della rabbia che l'attanagliava, con un fondo quasi petulante. 
-Ah beh, secondo me stai mancando da molto più tempo, ragazzo mio...-, pensò involontariamente Dorian, subito sentendosi colpevole.

Eddie osservava prudentemente, sempre seduto, ma non impediva ad un rutilante turbinio di pensieri di farsi largo nel suo cervello.
 -Sembra condannato a morte, senza possibilità di fuga, e che vi stia resistendo con tutte le forze. Anche se sa che perderà.-
Un inconsulto moto di orgoglio gli riempì gli occhi di lacrime, mentre mandava giù il groppo in gola non facendosi notare da Dorian e Shane, impegnati a calmare Justin che sembrava ora chiuso in un mutismo sofferente, stillando lacrime e singhiozzi appena udibili.

Il suo amico stava combattendo; non si sapeva contro cosa ma di certo non era contro il famoso 'forte mal di testa' che molti medici avevano liquidato con antidolorifici generali e sul quale, di fronte agli ultimi attacchi, non stavano capendo più niente. 

Neppure Dorian se n'era accorto, no... Dorian NON voleva accorgersene. 
Dorian voleva ancora sperare che fosse una cosa materiale come un banale malessere, per quanto forte. 
Dorian avrebbe accettato anche un cancro al cervello, purchè fosse stato spiegabile. 

Non poteva sapere quanto il biondino fosse diviso su questa cosa: da un lato avrebbe voluto che Justin stesse meglio. Il suo lato più umano ma forse anche egoista lo voleva al suo fianco, sul palco e nella vita. 
Ma vi era una parte di Dorian che, seppure difendendolo, avrebbe voluto che stesse in quella stasi per sempre: una persona sedata, in fondo. Non autosufficiente. 
Non senza di loro.

-Ritrova la strada e torna da noi un'altra volta. Torna da noi... Ma torna te stesso.-, pensava il biondino, mentre lasciava le sue mani alla presa salda di Shane per impedirsi di farsi male. 
-Non tornare ancora diverso. Non ora. Torna te stesso per un po' e poi giuro che ti darò quello che vorrai.-

In quell'oscurità ed in quella situazione muta, sembrava quasi che i suoi pensieri fossero leggibili e forse era così.
Justin smise di agitarsi, ma rimase sotto il cuscino, sospirando.

"Non c'è bisogno che stiate a farmi da infermierine... se mi portate un'altra aspirina rimarrò qui a riposare stanotte. Domani se sto meglio vi chiamo.", e si interruppe, abbandonando le braccia ai lati del cuscino. "Andate a casa, almeno voi. Il tour è finito.".
*
*
Così, dopo mille rimostranze, se n'erano andati, lasciandolo solo. 

Nell'impeto di cacciarli, Justin aveva quasi riacquistato un po' di forze e colore, così avviandosi alle macchine nel parcheggio dell'hotel, si erano scambiati l'opinione comune che forse avrebbe dormito un po'.
Di solito, con una dormita profonda, il dolore più acuto scemava o a volte scompariva del tutto, verso il pomeriggio.

Eddie, silenziosamente, si avviò all'auto di servizio, un'anonima berlina metalizzata; lui aveva visto scintillare una luce negli occhi di Justin, che stillavano lacrime nere.
Il suo amico non avrebbe dormito.
Non se lo sarebbe permesso.

E, salendo e salutando distrattamente gli altri, diretto al suo appartamento a Ballymum, Eddie pensò, a sua volta, che niente poteva essere più pericoloso per Justin in quel momento che quell'ulteriore sforzo. 
Ma nessuno avrebbe potuto impedirglielo, quello ormai era chiaro.
*
*
Contrariamente alla previsioni di Eddie, appena preso un'altra aspirina ed un leggero sonnifero sotto prescrizione del medico che l'aveva visitato nel pomeriggio, Justin si addormentò quasi subito.
Cadde in un profondo torpore come un sasso in uno stagno, ma non è esatto dire che dormì.

Quello che è certo, è che sognò.
*
Sognò, in un assurdo senso di deja-vu perenne, come nel malore che aveva avuto il giorno del loro primo concerto da sbarbatelli, a 18 anni. 

Cadere in un vaso, attirare tutti quei ricordi;  ora anche di più e più dolorosi che si erano aggiunti negli anni.
Tutti quei ricordi, come piccoli spezzoni di film, a volte anche solo fotogrammi, che lo pungevano, lo tormentavano, lo costringevano a dibattersi in quella strana sostanza che lo intrappolava e lo faceva muovere lentamente. 
Il soffocare e la sensazione di scivolare sempre più in basso; disperazione nel non potersi liberare.

Il dolore.
Il dolore.
IL DOLORE, sempre più forte; nonostante se lo fosse ripetuto molte volte, in quell'anno, era ormai convinto che quella volta sarebbe morto, che la sua testa sarebbe esplosa.

Ma successe qualcosa, rispetto ad anni prima.

Non ricordò mai cosa; lo dimenticò appena si svegliò.
No.
Aveva voluto dimenticarlo.

Proprio all'apice di quel doloroso tormento, gli era stata porta una mano, caritatevolmente; per uscire, lasciarsi finalmente alle spalle tutto quel male, quella cosa che continuava a vivere in lui. 
Solo che quando l'afferrò, ormai incapace di pensare, Justin si rese conto che, oltre a trarlo in salvo, la mano sembrava stringersi come in un patto, mentre una voce che sembrava provenire dal suo interno gli faceva una domanda, in un attimo lunghissimo.
Prima di salvarlo.
-Cosa vuoi?-
'Non voglio niente, sono felice... voglio solo che continui così e solo... stare meglio per potere aiutare i miei amici. E finalmente godere del mio lavoro.'
-Bene.-

E, nel sogno, venne tirato a secco in un mondo alieno in uno strano vortice che lo risucchiò, benchè non con una sensazione del tutto spiacevole.
Si guardò attorno con uno sgradevole rimasuglio di paura per il patto appena stretto ma una confortante sicurezza di non dover vivere mai più quella cosa. 

Ne era certo; era guarito.
*
Al suo risveglio, alle sette di mattina esatte, non aveva nessuna avvisaglia di mal di testa, neppure la più tenue fitta di dolore. 

Era in forma come mai da mesi, anzi...
Rimpiangeva quasi che il tour fosse finito; aveva energie da vendere.
*
*
 (Un altro Dove\Un altro Quando)

Una figura dava le spalle alla pianura dietro di sè, sorridendo dolcemente.

Fronteggiando sè stesso nel mondo reale, dove il tempo scorreva e le distanze erano reali.

Il mondo dove si sarebbe svolta la battaglia che non intendeva perdere.

Allo stesso modo sorrise Justin, un po' di sbieco ma dolcemente, a Dorian che, passata una notte insonne, era andato a prenderlo o a vedere se stesse meglio, salendo sulla sua auto per andare in studio. 
*
*
" Allora, come stai?", chiese il biondino.

Per lui niente auto di servizio; si era preso una maledetta S-Type Jaguar del 1999, rossa.
Aveva sempre amato la Jaguar, nonostante il suo patriottismo sfrenato avesse sempre avversato il fatto che 'rifornisse' la Casa Reale inglese, e appena aveva avuto i soldi in anticipo dai conti ancora da finire di fine tour, se l'era presa. 

Era  appariscente, sfrontata e sportiva, stava stretta alle strade di Dublino  specialmente in mano a Dorian, che era praticamente un neo-patentato (aveva preso la patente in una delle pause di tour con 'Changes' ma aveva guidato pochissimo), ma stava a pennello col suo nuovo, riscoperto, ego.

Justin, riposato, si accomodo sui lussuosi e un po' pacchiani sedili di pelle, e si stiracchiò energicamente.

"Andiamo a fare colazione?"
"Stai meglio?"
"Andiamo a fare colazione?"
"Stai..."
"Sto da Dio.",e sorrise in quel modo affascinante che aveva, all'amico. "Ora portami a mangiare, penso che divorerei un allevamento di suini, volendo! A partire da te!"

Dorian borbottò, mettendo in moto, ma sotto sotto sorridendo.
"Pensavo di trovarmi con gli altri al Clarence, dopo essere passato da te. Sei l'unico senza macchina.", lo rimproverò, facendo una retromarcia paurosa (per le altre auto parcheggiate)

"Uff...", continuò a sorridere Justin, appropriandosi degli occhiali da sole di Dorian e indossandoli, in ricerca delle sigarette nel taschino della camicia nera stazzonata.
"E che Clarence sia, allora.",e fece per accendersi una Camel, subito schiaffeggiato dietro la nuca dal biondino, arrabbiato.
"NON-IN-MACCHINA-MIA!",sibilò, facendogli riporre le sigarette con uno sbuffo, e poi continuando, apprestandosi ad uno dei soliti discorsi-tirate marchiate Dorian Kierdiing, sempre un po' petulanti. "Quando avrai una macchina tua potrai..."
"Dorian..."
"...fumare quanto vuoi, ma allora dubito che lo farai, caro mio, perchè sarà..."

Justin tirò indietro il suo sedile e stese le lunghe gambe, incrociando le mani dietro la testa, la sigaretta spenta in bocca e gli occhiali da sole a specchio dell'amico in faccia.
"Dorianbello... divertiti a fare il figo finchè vuoi con questo transatlantico, perchè presto mi comprerò un'auto anche io."
"Ah sì?"
"Sì, e ti dirò...", e si trovò per un attimo a tenere l'amico sulla soglia dell'attenzione. "Sarà una fottutissima Lamborghini nera, e anche se potrò, quando fumerò -perchè FUMERO'- con te dentro, non aprirò mai i finestrini!"

Dorian rimase interdetto e poi scoppio in una risata.
"Vaffanculo!", lo apostrofò Dorian, sorridendo. "Collezionerai multe più di Shane che colleziona gnocche!"
"Ma almeno io la guiderò, non prenderò un maledetto Concorde per lasciarlo a prendere aria ai 20 km all'ora come fai tu, sfiorando i paraurti di tutti!"

Risero assieme e scesero al Clarence, posteggiando con difficoltà la S-Type appariscente.
*
Non smise mai di ridere e sorridere per tutta la giornata, sembrando quasi rinnovato ai suoi amici, ma quando era sceso dall'auto di Dorian, nel parcheggio, aveva provato un attimo di puro terrore e senso di affogare; avrebbe voluto urlare a Dorian di trarlo in salvo, ma qualcosa l'aveva ancora afferrato, tirandolo in salvo. 

Quando era stato afferrato era stato il momento peggiore; avrebbe dato tutti i mal di testa della sua vita per lasciarsi affondare, piuttosto.

Per il resto stette una favola; ogni tanto una nuvola scura di terrore passava sulla sua vita, ma non ci faceva più caso e col tempo non se ne accorse neppure più. 

Due mesi passarono in un lampo, preparando altre canzoni e provando le vecchie, e si sentirono pronti a sbarcare negli Stati Uniti per 'asfaltarli', usando la pittoresca espressione di Shane; erano in una forma maledettamente smagliante.
*
*
In un altro Dove e in un altro Quando, qualcuno osservò il suo esterno agire molto lentamente per conto suo. 

Il seme aveva attecchito anche troppo bene e presto avrebbe portato i suoi frutti, belli o brutti che fossero stati, ma impossibili da cogliere.
Quelli rimasti sull'albero sarebbero marciti ed avrebbero avvelenato l'anima di chi aveva scelto.

Di chi aveva tratto in salvo dai proprio demoni, come si diceva nel mondo reale, il mondo dove avrebbe combattuto per lui la sua battaglia. 


Bentornati da questa estate disgraziata.
Beh io veramente devo ancora partire, ma un capitolo ci stava, insomma...
A quest'ora maturano i frutti, if you know what I mean.
Questo è un capitolo piccolo, piccolo ma per niente leggero come può sembrare: è uno spartiacque, come si può facilmente indovinare.

Ringrazio Calipso per il betaggio e perchè... E' lei! 



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Capitolo 36
*** 36. Con le migliori intenzioni ***


36. Con le migliori intenzioni


 

Si era ormai in un malinconico ottobre irlandese, ma il quartetto non si accorgeva delle stagioni che passavano e dei cambi di abiti, costantemente impegnati com'erano stati ai Windmill Lane Studios, specialmente nell'ultimo mese.


 

Si erano abituati con relativa velocità al benessere di Justin; se Dorian gli gettava di tanto in tanto occhiate indagatrici o Eddie gli telefonava a sorpresa ( il più delle volte di notte, e in giro per locali) erano più vecchie abitudini dure da togliere: tenere d'occhio il combinaguai della compagnia.

Ciònonostante, in una settimana si dimenticarono di quanto era apparso loro sofferente l'amico solo pochi giorni prima, con la faccia gonfia e la convinzione che non sarebbe sopravvissuto a quegli attacchi.


 

Abituarsi al meglio era facile.

Quasi come dimenticare il brutto.


 

Dorian arrivava come al solito prima di tutti agli Studios, un po' per approntare tutta la strumentazione e poter rifinire le sue basi di demo per poi lavorare con gli altri, un po' per giochicchiare con i synth.

Justin lasciava sempre lì la sua chitarra ed ogni tanto si prendeva anche la briga di strimpellarla, fosse anche per esprimere qualche idea che a voce non riusciva a spiegare a Dorian (e di solito restava comunque inespressa, a causa della sua incapacità), ma la sua impresa principale era riuscire a portare semrpe più lyrics; il suo quaderno ad anelli di Velvet Wall era ormai una cosa sformata e con sè aveva sempre due o tre quaderni in una borsa da studente consumata (forse era addirittura la borsa per i libri che aveva portato con sè nelle sue avventure al Trinity college, conoscendo Justin che era un fan del riciclaggio dello style), foglietti volanti e persino tovaglioli.


 

Non parlò mai di porte della percezione, occhi dell'anima o interiorità, ma spesso si fermava, incantato da qualcosa che gli altri non riuscivano a vedere, qualcosa che la frenesia dei suoi pensieri e solo quella gli permetteva di catturare.


 

I suoi pensieri, a volte, acceleravano talmente tanto che sentiva di lasciarsi tutto il resto alle spalle e continuare così a prendere velocità, senza peso, fino ad arrivare ad un punto in cui erano talmente veloci in cui tutto appariva rallentato, persino le immagini e le scene; in quel modo le catturava velocemente, le esaminava e le scartava o le metteva da parte per un futuro; se erano abbastanza buone le teneva e le ingrandiva; gli pareva di poter scrutare nei singoli angoli di una parola, sia fossero recessi polverosi che improvvise schiariture.


 

Justin era un cacciatore, in quel senso, quanto i fotografi d'autore ed i poeti, ma possedeva il dono di trasformare quelle immagini in qualcosa di più prosaico ed accessibile alla maggioranza delle persone.

Divideva con loro le sue prede.


 

Sue e di nessun altro: Dorian non questionò mai più per le lyrics, impegnato com'era a mettere al mondo il più devastante attacco di effetti de-generato da una singola chitarra, e neppure si accorse di aver lasciato tutto lo spazio all'amico.


 

Forse per il fatto di essere stati lasciati a briglia sciolta,una volta sistemati i suoni per lo sbarco negli States che, sapevano benissimo sarebbe stato più insidioso dell'Europa (dove sarebbero volentieri rimasti per un altro paio di annetti, non fosse stato per gli accordi con la casa discografica e la loro smisurata ambizione), gli Interferences affastellavano prove su prove, abbozzi di canzone su abbozzi di canzone.


 

Stavano già lanciandosi in un altro album, quando il ciclone musicale arrivò e si abbattè su Dublino, facendoli volare più in alto e paurosamente di quanto avessero mai sperato, prendendosi così tutti per mano.

Quando il ciclone arrivava così, non c'era altro da fare: prendersi per mano, in un cerchio, e chiudere gli occhi, sperando passasse e atterrassero incolumi.


 

Più dei concerti negli stadi, Dublino fu il loro vero e proprio battesimo del fuoco.

E vi si gettarono, come incoscienti. Ma con le migliori intenzioni.

*

*

"HEADLINERS?!"


 

La voce stupita di Dorian al cellulare, in pausa al pub poco distante dai Windmill Lane, fece voltare gli altri, improvvisamente ammutoliti dalle chiacchiere che si scambiavano durante la telefonata di rito al loro manager, Quentin Storrow.


 

Eddie si bloccò con la sigaretta a mezz'aria e Justin sputò la birra che aveva in bocca nella sua pinta, mentre Shane e lo stesso Dorian, col cellulare premuto quasi fin dentro la testa, sfoggiavano un'espressione da perfetti boccaloni.


 

Sapevano che qualcosa era nell'aria, qualcosa di grosso che riguardava Dublino ed Mtv; persino la loro piccola etichetta -che comunque faceva capo ad un pesce ben più grosso- aveva captato i segnali; sapevano che qualche boccone ci sarebbe stato anche per loro, ma quella cosa -quella PAROLA- li sconvolse in un nanosecondo.


 

Avevano partecipato a tanti festival europei ma mai come headliners; mai più si sarebbero aspettati di trovarsi capofila tra gli eventi del primo Mtv Irish Festival.

Non importava che fosse la prima edizione di un festival interamente dedicato alla musica rock irlandese, e che fossero 'solo' gli headliner della sera di apertura in una manifestazione che ne contava altre due, col gran finale con gli U2, un botto tanto grosso quanto assicurato; tutti e quattro vedevano solo quella parola, a lungo cercata nei festival estivi europei nei quali avevano spesso faticato a riscaldare le folle se non con i due singoli e quasi mai avevano visto il tramonto.


 

Quando Dorian, bianco come la spuma della sua birra che ormai era svanita, mise giù il telefono, fu loro chiaro che non potevano aspettare; corsero fino ai Windmill Lane, si stiparono nella sfacciata macchinona di Dorian e sfrecciarono (guidò Justin, giustificando per l'urgenza i due paraurti che prese uscendo da Ringsend Road) fino all'ufficio del loro manager per chiarimenti.

Ma non vi era molto altro da dire.


 

Erano stati selezionati come headliner della prima serata dell' Mtv Irish Music Festival, un primo esperimento concordato tra Mtv, la Guinness, la città di Dublino e gli stessi U2, ormai un'autentica mafia musicale per la musica mainstream in Irlanda.

Come aveva borbottato Eddie, sempre il più realista, non erano loro ad essersi meritati un posto come capofila nella kermesse musicale, erano stati gli U2 a volerli.

 

Probabilmente per mostrare i muscoli davanti ad una nazione e a più di mezzo mondo già innamorato di loro, che non si sarebbero fatti soffiare il posto da una banda di novellini, ma che essendo novellini DUBLINESI che avevano venduto tanto non potevano lasciare fuori ma bensì accogliere e, con facilità, 'umiliare'.


 

Justin, da fanatico perso che ormai stava rantolando sul pavimento dell'ufficio di Quentin, gli saltò alla gola e gli rispose che se ne sbatteva: se Bono avesse detto a lui di saltare a prendere il biscotto o srotolare il tappeto rosso per la loro entrata in scena, persino fargli da roadie, lui l'avrebbe fatto. E che il fatto che proprio gli U2, se così era come se l'immaginava, li volessero ad un festival non poteva essere una cosa buona? Un passaggio di consegne simbolico? Un accettare la loro presenza nel panorama irlandese e riconoscerli come una sorta di eredi?


 

Eddie rinunciò alla sua tesi vedendo la sua faccia con gli occhi a cuoricino; gli era letteralmente partito il cantante, poteva vedere nella sua testa un duetto abbracciato al suo eroe su 'Where the streets have no name'.

Aveva il fiato ed il coraggio di perdere giornate a discutere con Justin su quello?


 

Ovviamente no; che se ne rendesse conto da solo, il giorno in cui sarebbe maturato.


 

Quando tornarono ai Windmill Lane, alla sera, con la testa in fiamme ed il cuore impazzito, Dorian fissò vagamente la sua chitarra, prima di mettersi a provare, e decise sui due piedi di comunicare quello che, lo sentiva, tutti pensavano.

Avevano già raggiunto quel punto di fissione in cui tutti pensavano circa la stessa cosa, quella sorta di telepatia interna del 'sta andando tutto oltre la perfezione e non ci credo ma lo sfrutto' che raggiungevano i grandi gruppi, e che spesso li portava all'apice.


 

Quello o una tragedia.


 

"Ragazzi... Dovremo tenere un set di due ore, anche di più forse. Non ce la faremo assolutamente con 'Velvet Wall' e neppure allungando con le cover.", ed alzò lo sguardo su di loro, malfermo e supplicante.

Shane intervenne a soccorrerlo, impaurito da quanto apparisse incerto Dorian, sotto quelle che pensava fossero le sue responsabilità.


 

Erano un gruppo, come aveva specificato poco tempo prima.

Se la sarebbero cavata come Interferences, non come 'Dorian &'.


 

"Abbiamo quasi un altro disco pronto. Mettiamo dentro quelle. Limitiamoci ad un paio di cover e buttiamoci a rifinire le canzoni nuove. Si fottano gli States.", buttò lì, come fosse ovvio, il muscoloso bassista.

"Si fottano gli States!!", diede un colpo di piatti Eddie, ridendo.

"Sapete una cosa?", mugugnò pensieroso Justin, cercando dei fogli sparsi e confrontandoli, mordicchiando una penna. "Secondo me gli U2 sapevano che avremmo avuto dei pezzi nuovi o non ci avrebbero messo come headliner a sostenere un set così lungo.", e li fissò tutti, sempre pensieroso per poi aprirsi in uno sguardo esterefatto, con gli occhi che divoravano la faccia e lo facevano sempre apparire più giovane.

"Dite che ci stiano spiando?!"

"Rallenta, Ziggy! Questi sono i loro studios storici, avranno solo saputo dai tecnici o dalla reception che siamo su del nuovo materiale!", rise Dorian, in un'atmosfera più rilassata e calda. "E poi...se ci spiano, potrebbe significare che hanno paura!", insinuò, godendosi la faccia quasi sconvolta di Justin,


 

Sollevò la sua chitarra verso le telecamere di sicurezza. "Ehi, Edge, se ti stai cacando sotto per paura che possiamo soffiarvi il pubblico, beh... FAI BENE!!"

 

Le prove per quello che sarebbe diventato il loro secondo disco, 'Underground Flowers', partirono così tra mille risate, al contrario di 'Velvet Wall'.

*

"Dorian?"

"...ss'mi 're...."

Il borbottìo addormentato con tanto di bavetta di Dorian, mentre Eddie guidava la sua auto, reso ancora più incomprensibile dalla sua posizione spalmata contro la portiera, fu facilmente tradotto da un'amicizia quasi decennale in 'Lasciami dormire', ma un tarlo divorava il rosso.

Quentin, da saggio manager, aveva accennato una cosa solo a Dorian, mentre usciva per ultimo, e lui per caso l'aveva sentita; era una raccomandazione di non combinare guai, ma non per loro e neppure per tutto il gruppo.

E avevano ormai deciso che nè Dorian nè Justin sarebbero stati lasciati soli, dopo il famoso sfogo in conferenza stampa, ad affrontare i loro guai; come Shane aveva chiarito col suo intervento energico quel pomeriggio.


 

"Dorian... Justin lo sa o lo sai solo tu?"

"...'ssa?!"

Irritato, stavolta.

Buon segno, vuol dire che si stava svegliando; non del tutto buono, però, visto Eddie gli avrebbe tolto il sonno per un paio di notti, ora.


 

"Che la seconda serata ci sarà..."

"NO, non lo sa.", si drizzò subito Dorian, come avesse preso una scossa elettrica.

Eddie poteva vedere i suoi occhi, lucidi di sonno, risplendere ulteriormente dall'agitazione e sospirò.

"Calmati. Non ho intenzione di dirglielo."

"E anche se fosse?", chiese Dorian, apparentemente a sè stesso. "Me lo sto chiedendo da tutto il pomeriggio. L'evento sarà pubblicizzato tra una settimana, il tempo di finire le line up minori. E poi... A che pro tenerglielo nascosto?", mugugnò, guardando fuori dal finestrino.

"Non so... Per evitare che crei casini?", ironizzò Eddie, consapevole dell'abilità del suo cantante di poterli fare fuori dall'evento con due parole mal piazzate. "Evitare che vada ad infastidire e magari far scappare a gambe levate la star della seconda serata che, se non vado errato, avrà più materiale e più affermazione di noi?"

Dorian continuò a guardare fuori dal suo finestrino, ostinato.

Non si girò neppure, quando gli pose una domanda, con un tono che nacondeva, sotto sotto, un'irritazione verso l'amico.

"Secondo te riusciremo ad impedirgli di intrufolarsi nel backstage degli U2? O persino farsi invitare, conoscendo come sa essere abile quando vuole qualcosa?"

"Sei davvero cinico, a volte...", borbottò Eddie, sterzando un po' troppo all'improvviso, colto anch'esso da pensieri di inevitabilità.

"Tu rispondi."


 

Eddie sospirò, ingranò la retromarcia e fece per spingersi nel parcheggio sotterraneo dove lasciare il 'transatlantico di Dorian'.

"No. Non lo fermeremmo mai, se davvero lo volesse fare. Ma se dovesse infastidirla e irritarla tanto da..."


 

E, nel buio, prima che si accendessero i neon del garage, vide scintillare gli occhi ed il sorriso di Dorian come quelli di un gatto del Chesire incredibilmente vivido ma amichevole, anche se inquietante.

"Credimi... non sai di chi stai parlando, allora."

*

*

Provarono senza pietà ma senza neanche lamentarsi per una settimana intera, non risparmiandosi neanche nel weekend; lavorarono quasi come operai: sveglia alle 7, in studio alle 8 circa, pausa caffè (doppia per Dorian e tripla per Eddie, che non rinunciava ad uscire alla sera, al contrario di tutti loro che sembravano essersi messi in astinenza) alle 10, pranzo alle 13 circa e poi una tirata fino alle 18, spesso anche più tardi.


 

Alla fine delle prove, Dorian cadeva addormentato già in auto, Eddie si lamentava di non poter alzare un dito (e dopo due ore era già nel locale più rock di Dublino a bersi la prima Guinness con un club sandwich), Justin rantolava di essere senza voce e correva a farsi di sciroppi ed aereosol -dopo i primi due giorni rimase senza per tre, ma insistette per essere in sala, poi migliorò pian piano, cantando piano-, Shane rimaneva col basso addosso e spesso usciva più tardi degli altri, provando e riprovando parti di cui non era convinto.

Flood fu richiamato alla fine della settimana per restare per 'aiutarli giusto un pochetto' per avere, quantomeno, delle versioni live decenti delle nuove canzoni: finì per fermarsi due settimane ancora come al solito, non riuscendo a staccarsi dal loro lavoro e neppure prendendosela tanto, almeno fino ad un certo punto.


 

Quei quattro erano pericolosi e dannosi per la propria salute, lo sapeva, e fu piacevolmente sorpreso di trovarli molto più disciplinati che nelle lavorazioni per 'Velvet Wall'...


 

...Fino al momento in cui Justin arrivò tardissimo, forse un mercoledì o un giovedì, attraversò la sala prove come un fulmine, pallido a parte un paio di chiazze rosse sugli zigomi, e puntò direttamente a Dorian, afferrandolo per il bavero della camicia ed alzandolo, quasi, anche se erano alti praticamente uguali.

La non-sorpresa sulla faccia di Dorian fu una conferma per il produttore: ancora intrighi, sospetti e lacerazioni. Gli Interferences non erano cambiati di un gran cavolo.


 

In quel momento, Flood ricominciò a maledirli ogni cinque minuti.

Come ai vecchi tempi.

*

*

"Tu lo sapevi, eh?!", lo investì Justin, apparso chissà dove, chissà come, con quell'inquietante faccia cinerea dallo sguardo fisso e allucinato. "Lo sapevi fin dall'inizio che c'era LEI!"

"Sì, lo sapevo.", confermò Dorian, calmo.


 

Come se Justin non fosse lì ad un momento dallo spaccargli la faccia, come aveva previsto Eddie vedendolo entrare con quel passo e puntarlo direttamente, ricordando i discorsi filosofici di Dorian sull'auto. 'Se succederà qualcosa non potremo evitarlo noi'.

Bei discorsi che ora gli avrebbero rovinato il profilo, probabilmente.


 

"Lascialo, per la miseria! Che diavolo stai farneticando?!", intervenne Shane, sempre ansioso di mettere pace.

Eddie ripose le bacchette e sospirò, mentre Justin e Dorian sembravano essersi congelati, dopo l'urlo di Shane.


 

Solo il respiro affannoso e a volte spezzato di Justin riempiva la stanza, tanto rumoroso che Flood avrebbe potuto registrarlo, campionarlo ed usarlo come effetto; se Dorian avesse scommesso che, una volta letto sui giornali del mattino della line up dell'Mtv Irish Festival, avesse fatto tutta la strada di corsa, senza una sosta, avrebbe vinto.

E avrebbe vinto grosso.

 

"Sta per rivedere la sua ex. Katryn è la star della seconda serata.", sospirò Eddie, scendendo dalla batteria e facendo cadere quasi la mascella di Shane, oltre che intensificare la stretta di Justin.

Dorian vide che gli occhi gli si strabuzzavano sempre di più, incredibilmente.


 

"Quella gno...",iniziò Shane, sempre fine e signore, ma non potè proseguire che venne fulminato da uno sguardo assassino di Justin; se gli occhi avessero potuto uccidere Shane sarebbe rimasto secco sul momento, senza il tempo di dire un amen, e così finse di schiarirsi la voce. "...La tua ex."

"Sì, la sua ex. O come si sono lasciati, non lo sa nessuno. ", ripetè Eddie, incrociando la braccia e fissando il suo compagno. "Lascialo, lo sapevo anche io. Abbiamo evitato di dirtelo finchè non avessero reso pubblica la line up principale per poter provare almeno un'altra settimana in pace. ", e si girò a guardare Shane per dargli una spiegazione, caritatevolemente. "C'era da aspettarselo che desse di matto."


 

Justin lasciò Dorian lentamente, sempre con quegli occhi terribili che sembravano voler sporgere ulteriormente e rotolare fuori dalle orbite; poi si girò a guardare Eddie e Shane.

"Lo... lo sapevi anche tu?", si sgonfiò. "Lo sapevi?"


 

Eddie aveva detto di averne abbastanza delle mattane di Justin, qualche tempo prima? Oh sì.

Da anni, ormai; ma non era riuscito a farsi ascoltare, pareva.

Sarebbe presto arrivato il giorno in cui quel cretino avrebbe preso una giusta paga per tutti i suoi anni di rotture.


 

Justin si sedette, o meglio crollò sul divanetto della sala prove, prendendosi la testa tra le mani.

"Io... Penso mi stia tornando il mal di testa."

"Mal di testa da fifa?", lo rintuzzò bonariamente Dorian, che si tolse Phoenix da dosso.

"O mal di testa da rimpianto?", tentò di soccorrerlo Shane, sedendosi vicino a lui ma infrangendo le proprie buone intenzioni contro occhi gelidi come l'acciaio.


 

Justin non rispose ma ammorbidì lo sguardo, svaccandosi sul divano e sospirando platealmente.

"Io... non ce la faccio ad incontrarla."

"Dopo tutti questi anni?"

"Dopo tutti questi anni."


 

Dorian si guardò le mani e alzò le spalle, con un sorriso interiore.

"Nessuno ti obbliga."

"E se lei volesse vedermi?"

"Sarai indisposto."

"Mentireste per tenermela lontano?"


 

Dorian si sedette anch'esso sul divano e Flood, da dietro il vetro, iniziò a inveire contro le loro scenette adolescenziali da amiconi: stavano lavorando così bene, PER UNA VOLTA, porcamiseria!!


 

"Ti dirò... Ho come l'impressione che non vorrà starti troppo vicino dopo la tua ultima esibizione in cui le hai rovesciato addosso un cocktail e l'hai ignorata.", e gli diede una pacca sulle spalle. "A meno chè non voglia cavarti gli occhi."

"Eros e Thanatos...", disse con voce lugubre ed un po' dottorale Eddie, scendendo dalla batteria e mettendosi di fronte a Justin, che alzò lo sguardo, speranzoso in un po' di consolazione.

Che ovviamente, da Eddie, non venne.

"Sai, beccamorto, pensavo che ci andassi a nozze con temi simili... L'amore tormentato, impossibile, che strazie e sanguina, abbandonato e ripreso, romantico fino alla morte di uno dei due... Beh in queso caso TU."


 

Justin si lasciò di nuovo andare sul divano, mettendosi una mano sulla fronte come scottasse, ma lasciando partire uno sguardo carico di uno scintillìo malevolo verso Eddie.


 

"Vaffanculo."

"Oh... detto da te dev'essere un complimento!"


 

Dorian sospirò pensando a quello che l'aspettava, probabilmente mediare tra un amico ed un'altra ed evitare che si mettessero le mani addosso (- in un modo o nell'altro-) , mentre Eddie e Justin si punzecchiavano, o meglio Eddie punzecchiava e Justin provava a morire sul colpo, Shane tentava di calmare la situazione e Flood sembrava sul punto di prendere a craniate il mixer da dietro il vetro; fece spallucce, rimettendosi Phoenix per suonare.

Le prove non erano ancora finite, e nonostante le lamentazioni di Justin, l'Irish Mtv Festival sarebbe dovuto arrivare, prima o poi.

Meglio farsi trovare pronti.

A tutto.

*

Riuscirono in qualche modo a concludere le prove e a separare Justin ed Eddie che quasi si attaccarono in malo modo durante la pausa.

Riuscirono persino ad accordarsi di continuare il giorno dopo allo stesso modo di sempre, anche se sapevano che ora Justin sarebbe stato notevolmente più nervoso.


 

Raggiunsero le auto; Eddie e un Dorian come al solito quasi addormentato, Shane ancora in sala a provare come al solito, e Justin prese un taxi per casa sua.

Eddie parcheggiò l'auto di Dorian, gli aprì la portiera facendolo quasi cadere sul pavimento del garage, e gli mise in mano le chiavi del transatlantico rosso, avviandosi fischiettando verso il suo appartamento, che era vicino a quello dell'amico.


 

Dorian, completamenta sveglio dopo la mossa dell'amico, si stiracchiò e uscì dal garage sotterraneo del complesso di appartamenti dove abitava, residenze per giovani professionisti totalmente anonime o 'torri del silenzio', come gli piaceva chiamarle.

Gli piaceva particolarmente, dopo un sonnellino ristoratore ed uno spuntino malsano (nessuno l'avrebbe detto, ma Dorian era drogato di schifezze al microonde) , appostarsi al piccolo balcone attorno a mezzanotte: non abbastanza sporto da farsi vedere, non abbastanza all'interno da non vedere la notte dublinese dall'alto del suo appartamentino.


 

Raramente vedeva le stelle ma se le vedeva, oh...

Quelle erano le notti in cui provava le nuove canzoni in acustico, o provava nuove basi per nuove canzoni, canticchiando sofficemente tra sè, o suonando le loro canzoni dell'infanzia e della loro adolescenza.


 

Un'adolescenza che non sapeva se definire breve o lunga; forse breve nel modo in cui era stata loro strappata e poi ridata ma, lo sapevano, in un modo che non sarebbe mai stata più ricomposta.

Forse lunga perchè essere artisti era come essere eterni adolescenti, con quel qualcosa di sbagliato nella testa che era la loro fortuna.


 

Uscendo dal garage, il cellulare in mano a controllare eventuali messaggi e le chiavi di casa nell'altra, ebbe la conferma di come il tempo delle loro vite fosse cambiato e come non potesse mai più tornare a quello di una persona normale.


 

"Cosa devo fare, Dorian?", chiese una voce roca, dall'ombra.

Dorian si immobilizzò e non gli passò neppure per l'anticamera del cervello di sbagliarsi ad identificare chi, alla fine, l'aveva seguito.

Chissà, forse aveva ordinato al tassista 'Segua quella macchina, sì, quel transatlantico rosso, no, non è un film e non è uno scherzo!', visto non aveva il suo indirizzo, si era trasferito lì da poco.


 

Justin si avvicinò di un passo, strofinandosi la tempia sinistra come un brutto presagio; come se fosse tornato il suo male ed effettivamente ne sentiva le avvisaglie. Ma sapeva anche che non sarebbe tornato, il suo era un gesto abituale.

Un patto era un patto, e lui sarebbe stato bene.


 

Dorian non perse neanche tempo a chiedergli il significato della sua domanda: era lampante ai loro occhi, come era lampante la voce roca per le prove intense, non per malessere e neppure per pianto.

Justin non era in un momento drammatico come tanti nel loro passato, ma non era neanche ad un passo dalla felicità, come poco tempo prima a Monaco o sul palco.


 

Era confuso, tutto qui; non mercanteggiava pietà, ma certezze che non potevano venirgli fornite.

Una cosa che capitava spesso, a Justin, quella di essere confuso; gli era capitata per tutta la vita e per tutta la vita aveva tentato di tenere un timone saldo nella tempesta, seppure in direzioni spesso sbagliate, ma in quel momento non avrebbe potuto farlo.

Dorian lo sapeva, ciononostante lo fissò attentamente e tentò di aiutarlo.


 

"Tu cosa vuoi fare?"

"Io... non lo so."

"Non vuoi rivederla.", disse Dorian. Lo affermò, non lo chiese; lo fece attendendo la reazione dell'altro.

"Io... non POSSO rivederla! In che modo abbiamo smesso di vederci, di scriverci, in che modo poi potrei vederla, quando... " , rispose Justin affastellando parole su parole, gesticolando violentemente per poi fermarsi di colpo, come una macchina che ha esaurito le batterie. La testa china, le braccia lungo i fianchi. "Dopo che l'ho lasciata...", sussurrò, lo sguardo in una pozzanghera, spento.

"L'ho lasciata. Non sono venuto a prenderla quando potevo e... te la sei presa tu... E ancora non sono venuto a prenderla. L'ho vista e...", non potè proseguire.

"Le sei sbattuto addosso.", finì quasi allegramente, per lui, Dorian.


 

Dorian che non la vedeva così tragicamente.

Dorian che, fuori dagli studios o dallo stage, non vedeva NIENTE di tragico.


 

Lo sguardo che Justin gli rifilò era di puro odio e lo fece arretrare di mezzo passo, impercettibilmente.

"Tu non capisci. Tu... ci sei stato a letto e non...non..."

"Non?", chiese Dorian, vagamente inquieto da quello che aveva visto negli occhi di Justin.

"Tu non l'amavi...",finì Justin, come un condannato a morte a cui mancavano le forze; il cuore sembrava volergli squarciare il petto e abbandonarlo lì, inerte, a morire con le guance in fiamme sotto lo sguardo del suo miglior amico.

-Che si è fatto la tua ragazza-, sghignazzò qualcosa, dentro di lui.

(-...non era mia.L'avevo lasciata come un vigliacco.-)


 

"Le rare decisioni che ho preso in vita mia si sono rivelate sbagliate, a parte continuare con questo gruppo.", continuò, con voce fievole, come fosse malato. "Spesso le ho prese in fretta e si sono rivelate errori. Quelle invece su cui ho ragionato, compreso quella di... lasciarla, di lasciare che tutto morisse tra noi e non rivangare più le ceneri, si è rivelato un errore solo più grosso.

Da quando l'ho saputo non faccio che domandarmi 'E ora? E ora? Come sarebbe ora?', credimi...", e strinse i pugni fino a sentire le nocche scrocchiare. "Me lo chiedo da tutto il pomeriggio, nonostante riesca a cantare. 'Come sarei ora? Come SAREMMO ora?!'.Ma specialmente mi chiedo cosa succederà ORA. Perchè io vedo solo una via da percorrere, e non sarà quella di un lieto fine.", finì, con la voce tremante come una candela che stentava a tenersi accesa.


 

Dorian rimase impassibile, ma dentro di sè ebbe un tuffo al cuore; quello era Justin?

A quel punto la situazione era così pesante.


 

Buon Dio, Justin era...

"Tu sei ancora..."

"...innamorato? Non lo so. Forse. ", sospirò l'amico, sforzandosi di rilassare le mani. "Forse sono solo innamorato del ricordo, di qualcosa che non c'era e... Potrei cascare in questa trappola.", ammise. "Innamorarmi perchè... quando me ne innamorai eravamo giovani, eravamo fottutamente vincenti, eravamo pazzi ed era... era tutto perfetto.", e alzò lo sguardo verso Dorian, i capelli neri scompigliati che si fondevano con la notte irlandese, col ciuffo di traverso agli occhi trasparenti, talmente trasparenti e confusi in cui si potevano vedere nuotare i suoi caotici pensieri. "Era tutto perfetto, ricordi?"


 

Dorian scosse la testa.

Non poteva parlare dell'amore, non lui; lui vi portava rispetto, ma alla veneranda età di 24 anni doveva ammettere che non era mai stato innamorato: Justin sì e non meritava le sue opinioni superficiali.

Però sapeva una cosa.


 

"Anche ora è tutto perfetto, Justin.", sussurrò, avvicinandoglisi.

Pericoloso o no, non sarebbe stata la prima volta che rischiava nello stargli vicino; forse aveva rischiato fin da quando aveva scelto di stare nello stesso banco, sette anni prima.


 

"Non lo è più.", tremò leggermente la voce di Justin. "Non come allora."

"No, non siamo più così pazzi, giovani e innocenti.", sostenne Dorian, sospirando, prendendolo per un braccio e costringendolo a guardarlo. "Ma non pensi che... se lo vogliamo, se lo vogliamo possiamo proprio ORA rendere tutto perfetto?", affermò, con sicurezza.


 

Justin sostenne lo sguardo,poi alzò anche lui lo sguardo a guardare il cielo, come faceva l'amico di notte.

"Cosa faccio, Dorian?"

"Prova a parlarle. In qualche modo ti ascolterà.", fu l'unica cosa che si sentì sicuro di dirgli. "Tu le sei sempre piaciuto. Ha sempre chiesto di te. Non te l'ho mai detto perchè... Beh, non te l'ho mai detto.", tagliò corto Dorian, tralasciando la reazione negativa che aveva avuto Justin anni prima. "Ma ti ascolterà. Io lo so."

"Tu lo sai, eh?", ironizzò malamente Justin, un guizzo sardonico rapido ma effettivo nella voce. Un ghiaccio infido che si incrinava; si incrinava perchè era una maschera di spavalderia che Justin tentava di indossare, di fronte a forse uno dei più grandi dilemmi della sua vita. "Tu sei suo amico. Sei ancora suo 'amico'? Non è che mi sto scavando la fossa, dicendo queste cose proprio...a te?"

"Dire stronzate a cui non credi neppure tu non ti tirerà fuori dai guai.", ribattè Dorian, come se l'argomento fosse fuori discussione. "Ma se vuoi avere una chanche, fosse anche solo per sapere se hai perso qualcosa o no, se invece puoi continuare con la tua vita, se vuoi.. se vuoi anche solo sbagliare e perderti, io...", si fermò, per prendere fiato, mentre Justin lo guardava, cercando sicurezze.

Il ghiaccio su cui tentava di camminare si era già incrinato, era ora affondava nelle sue incertezze.


 

Dio, lo guardava penosamente, con una sorta di cieca disperazione negli occhi e Dorian non lo sopportava.

Per un momento odiò Katryn, la sua idea, per aver ridotto il suo miglior amico così.

Per un momento, poi gli venne in mente una cosa.


 

"Io penso che sarà bellissimo, in ogni caso.", sorrise Dorian.

"Tu... lo pensi?"

"Io lo so."


 

E tutto d'un tratto Justin parve svegliarsi da un incantesimo. "I-io...Non dovrei essere qui a...a... dirti queste... "

"Vai a casa. Dormi e calmati. Domani ci sono le prove.", gli disse Dorian, dolcemente, lasciandogli il braccio.


 

Justin si girò bruscamente, vergognandosi e con le guance in fiamme; si allontanò da lui con un paio di passi malfermi acquisendo man mano velocità, per poi fermarsi pochi metri più avanti di colpo e indicare il cielo, il viso abbagliato di colpo da una luce che gli restituiva quell'espressione felice dei suoi magnifici diciotto anni e quel sorriso che raramente vedevano.


 

Dorian si sorprese a pensare, tristemente, che quel sorriso sembrava restituirgli quello che era rimasto di Justin, da quando era iniziata quella giostra mortale , cinque anni prima.

"Dorian! Stella!", esclamò, infantilmente, puntando la mano verso il cielo, indicando una luminosissima stella cadente.


 

Una stella cadente ad ottobre.

Il cielo di Dublino non smetteva mai di stupirli.


 

"O-ooooh, allora esprimiamo un desiderio!", rise Dorian fissando la schiena dell'amico.

"Io l'ho fatto.", sussurrò Justin.


 

"L'hai fatto... bene?", chiese Dorian, avvicinandosi.

"Con le migliori intenzioni.", disse in tono solenne Justin, quasi alzando una mano a giurare.

"Non dire così, per carità.", rise Dorian. "Finora il vecchio detto ci ha solo portato grane.", e nell'espressione interrogativa di Justin, spiegò.


 

"La strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni."


 

"Mai detto fu più vero, Dorian.", disse Justin, l'espressione gioiosa svanita in un lampo e gli occhi fattisi all'improvviso seri, squadrandolo mentre si apprestava ad andarsene.

"Mai detto fu più vero..."


Sta per tornare una persona che si è vista nei capitoli precedenti; se ve la siete fatat sfuggire, suggerisco di andare a rileggere  15. 15. Le cose rotte non possono essere riparate; semplicemente, cambiano. , 24. 23. Il richiamo del Mare d'Irlanda, e 26. 25. Non c'è niente che voglia di più
Per chi invece avesse seguito morbosamente tutta la storia, beh a voi và il mio plauso perchè io mi sarei già smarronata dopo la 'grandiosa buca' dei capitoli verso la 3\4 del racconto. 
Ringrazio la mia beta reader Calipso che probabilmente perderò nel prossimo capitolo quando farà volare il pc fuori dalla finestra. 
Il perchè lo sappiamo io e lei. 


 

 


 


 

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Capitolo 37
*** 37. La lunga marcia verso lo stage ***


37. La lunga marcia verso lo stage


Ottobre in qualche modo finì, trascinandosi tra prove e interviste sull'evento

Dorian, Eddie, Justin e Shane si permisero persino di tirare il fiato, quando Flood marciò verso l'aereoporto, dichiarando che senza un vero album lui non aveva ragione di restare. 

Dorian avrebbe voluto correre a sbarrare la porta, ma Eddie fece un gesto di un lazo che viene lanciato e riacchiappato.
"Tornerà.", sentenziò il rosso, ghignando. “Gli sta sui nervi solo che non stiamo facendo niente per registrare in via definitiva e si sta annoiando.”
"Sarà...", borbottò Dorian, funereo. “Ma stavolta lo chiami tu. Ogni volta è una faticaccia convincerlo!”

Niente male; non c'era niente di male, in fondo, in quello che stavano facendo; erano giovani, si godevano il successo ben meritato, lavoravano di gusto, si preparavano per un ulteriore salto nella loro carriera e si divertivano nel farlo. 

Niente male, se non fosse stato che le prime due settimane di novembre lanciarono il sintomo di una glaciazione dopo un'estate torrida. 
Una DOPPIA glaciazione. 

Le temperature fecero una discesa a tuffo siderale verso il basso; niente carpiato, niente evoluzioni, andarono inesoribilmente abbassandosi quasi a sfiorare il sottozero. 
Il vento diventò in quel modo uno schiaffo che li colpiva appena uscivano di casa o dai Windmill Lane; sferzante il giusto per screpolare la pelle e le labbra in quel modo che persino Dorian ne soffriva, costringendolo ad una routine di maschere e creme che gli altri prendevano puntualmente per il culo, cose che riuscì a raggirare.
 

Dorian fu il primo homo metrosexual a rivelare la sua identità al mainstream rock tramite le interviste, e in un modo che avrebbe fatto pure tendenza; la sua routine di bellezza e l'ammissione che teneva al suo aspetto quasi quanto alla sua chitarra, divenne prima scioccante e poi un dannato punto di riferimento per tutti i gruppetti indie-rock che crescevano loro intorno.
Se già era stato consacrato come coach style, ora più che mai Dorian dettava tendenza all'interno dello stardom, ma inutilmente: la bellezza di Dorian era naturale e qualsiasi tentativo di imitarlo da parte di altre persone andò vano ma non inutile, poiché crearono la propria immagine, cosa di cui il biondino sembrava possedere una laurea da come ne parlava, in tono quasi dottorale.


La seconda glaciazione fu quella, meno avvertita all'inizio ma presto scoperta come inesorabile, di Justin.

Non nei confronti del gruppo inteso come persone, ma sembrava quasi dalla vita in ogni senso; si accorse dell'assenza di Flood quasi una settimana dopo, i suoi occhi erano sempre persi in qualche Più in Là, a volte dimenticava le strofe da cantare anche delle canzoni 'vecchie' e finalmente il picco di distanza massima dal pianeta e dalla sua popolazione venne quando accostò come rima 'young' e 'dumb'.

Dorian lanciò un'occhiata ad Eddie, che alzò le spalle con sguardo sconsolato: a nessuno era piaciuto Justin versione 'carogna', men che meno Justin 'passione droga' e, meno di tutti, Justin 'pronto soccorso', ma Justin 'bell'addormentato' sembrava dovesse quasi fare una bavetta mentre cantava i suoi difficili passaggi al microfono, peraltro senza sbagliare di una micronota o sbavatura, ma sembrando un disco in tutto e per tutto.

Shane si stampò una mano in faccia, ovviamente non notato dall'amico; si preannunciava una catastrofe con quell'automa lobotomizzato e non si parlava di amicizie tradite, percosse o ferite, per una volta. 
Da quel lato, Justin era educato, perennemente stupito e persino collaborante.

Ovunque lo mettevano, stava; di un comodo incredibile.
Nessun mugugno, nessun borbottìo, nessuna lagnazione a voce acuta. 

Il verso che più si avvicinava a quello di un giovane uomo di 24 anni nel pieno di una fulgida carriera da rockstar, era quando si scottava le labbra col thè del distributore, puntualmente.


La catastrofe che si preannunciava era l'Irish Mtv Guinness Festival: sapevano da cosa stava allontanandosi Justin, e vi era il 99% di rischio che proprio durante il momento in cui sarebbe occorsa la propria presenza per mandarli alle stelle, sarebbe brillato per la propria assenza, invece. 
Mandandoli alle stalle. 


Quando, all'inizio della terza settimana di novembre, la grossa infrastruttura fu approntata, ampliando l'arena di pubblico esterna facente capo poi al palco del famoso 'Point Depot' dove avevano suonato l'anno prima (e dove, nel 1999, gli attuali Interferences erano stati ospiti nell'edizione dublinese degli Ema come 'Changes', cosa che i giornalisti non dimenticavano loro di rimarcare e che nessuno di loro nominava), i vari gruppi si spostarono sul posto ed i fans iniziarono lentamente a sciamare attorno all'arena in cerca di pesci piccoli e grossi. 

Tutti a parte gli headliners, ovviamente; solo Dorian fu presente dal primo giorno, girando come un Dio Apollo baciato dal sole inesistente creato dalle varie prove luci e dai suoi capelli, tra i gruppi spalla e i support act, facendo amicizia a destra e a manca, lasciando vittime di overdose di carineria tra i gruppi che magari fino a tre secondi prima li avevano odiati per il loro successo così immediato e malignamente sussurrato come 'paraculo' visto il loro passato. 


A partire da metà settimana, toccò a tutti gli Interferences trasferirsi nel backstage, per fare i continui soundcheck di un evento del genere, come giovani portavoce della loro città  e capitale del loro cuore, intendevano dare fuoco a Dublino prima che ci pensassero gli U2; ne avevano subito parlato ed erano subito stati d'accordo, un mese prima.

TUTTI.

Anche chi, in quel momento, era intento a mettere più anni-luce dalla sua anima a quella di qualsiasi persona nel raggio di cinque km. 


Justin dormiva, mangiava, cantava, stringeva mani e sorrideva, gli occhi fissi nel vuoto di uno strano mantra che ripeteva tra sé da qualche tempo.


-Se non me ne interesserò, tutto andrà bene; se non me ne interesserò tutto andrà bene, se non me ne interesserò tutto...-, e mercoledì 13 novembre, mentre un annoiato Shane si grattava i gioielli di famiglia rivelando una sanissima cavità orale in uno sbadiglio da orango davanti alle telecamere per ora spente ('ma non si sa mai') dell'evento, Justin salì sull'enorme palco del Point Depot sempre con quell'assenza stampata nell'anima, fissando il vuoto davanti a sé con occhi vuoti ed iniziava la litania del soundcheck del microfono, mentre gli altri sospiravano sentendo il tono già piatto e aspettavano con gli strumenti addosso, pronti a partire. 


Finiti i vari 'sa-sa' e prove di parole e pezzi di canzoni, quando si girò verso gli altri ,composti nella classica formazione da palco rock 'a quattro' con i compagni di chitarre lievemente più indietro ai suoi fianchi ed Eddie direttamente dietro di lui, Dorian guardandolo quasi mandò un gemito, anche se chi avrebbe dovuto mandarlo sarebbe dovuto essere il suo cantante. 


Gli occhi di Justin finalmente mandavano un'emozione, lampeggiante come un fusibile rotto... ed era completamente di fusione, tanto che il chitarrista credette quasi di sentire l'odore inconfondibile di bruciato venire dal corpo e specialmente dal cervello dell'amico. 
La bocca di Justin era stretta in una sorta di ringhio, tutta denti e tirata in giù, disperata ma ferrea, gli occhi sanguinanti disperazione navigavano nelle lacrime e stava aggrappato all'asta del microfono come se questa fosse un'ancora, sì... ma già affondata.


Eddie non dimenticò mai l'espressione di Justin, neppure in un futuro lontano, prima che questo si rivolgesse a Dorian e tentasse di prendere aria per parlare.


"Non...io non..."
"Gesù, Justin, stacca le mani da quel microfono!”, urlò Shane coprendo il proprio, mentre i primi feedback si facevano sentire e laceravano l'aria. 

Dorian fece per togliersi la chitarra, un'espressione di tentativo di soccorso estremo stampata in faccia senza che se ne accorgesse, ma Justin lo fermò con un altro, potente risucchio d'aria e l'urlo più forte che avesse mai cacciato.

Di certo, l'urlo più lacerante che avesse mai cacciato da MESI.


"IO NON POSSO...FARLO!!", e spinse via violentemente microfono e asta con un moto di terrore, lontano da lui, mentre si piegava nel silenzio improvviso e boccheggiava.
"Non... posso...", e lì finì.


Si piegò ancora e per un attimo sembrò vomitare, appena oltre il palco ed Eddie, pietrificato, si sorprese a giustificarlo in una marea di pensieri.
-Un attacco di panico. Oh mio Dio, l'avrei anche io se dovessi stare davanti a tutti, a tutto il mondo, alla mia nazione, alla mia città ai miei parenti in prima fila ecco cos'era, ha paura, fifa, una paura boia come non ne ha mai avuto da novellino ed ora vomiterà, proprio come tutti i novellini, come Shane che al Rock am Ring andava al bagno a getto, e finalmente affronterà il palco, era tutto qu...-

Ma poi Justin si raddrizzò e stavolta il suo sguardo non era disperato; era andato ormai più in là e Dorian d'un tratto capì una cosa.


Non l'avrebbe fatto, se non fosse stato costretto.
Era come diceva: non poteva, no... non RIUSCIVA.


Justin prese un altro fortissimo risucchio d'aria e finalmente cadde in avanti ed emise un fiato, debole. 
Quel gemito che aveva dentro da settimane e che avevano tutti ignorato.


Un flebile 'no' che solo i suoi compagni sentirono. 


A quel punto Shane, mollato il basso come un pezzo di legno senza valore a riaccendere l'aria di fischi e in corsa verso l'amico che si era rannicchiato su sé stesso, pregò che DAVVERO le telecamere fossero state spente.

*
*

 Alla fine Justin vomitò, ma solo quando Shane lo portò giù dal palco quasi in braccio, dopo che lui e gli altri due, un po' con la forza ed un po' rassicurandolo e blandendolo, lo convinsero a riemergere da quel groviglio di arti tremanti e tesi in cui si era autavviluppato.
Vomitò quasi solo aria e ciò rese tutto più penoso, nel loro camerino. 


Dorian da quell'essere baciato dalla fortuna che era sembrato quella settimana ai gruppi minori, aveva allontanato tutti a spintoni dalla strada dal palco al loro backstage, sia chi aveva sciacallamente curiosato e sia chi si era sinceramente preoccupato; certamente molte opinioni su di loro erano di nuovo cambiate, tra i supporters.

Ora giaceva quasi abbattuto su un divano, fumando una sigaretta dietro l'altra come nelle registrazioni di Velvet Wall, creando una nebbia simile a quella del Liffey in quel mese e tentando di rientrare in sé stesso, quasi come Justin prima sul palco. 


Eddie stava all'altro capo del divano, sfogliando una rivista e facendola a pezzi dalla violenza dalla quale girava la pagine, nervosissimo e con una sigaretta anche lui.


Shane non stava fermo un attimo, facendo la spola tra la porta d'ingresso ed una poltrona, la poltrona e lo specchio per riavviarsi i capelli, dallo specchio alla poltrona con un basso per saggiarne l'accordatura, dalla poltrona all'amplificatore per suonare qualcosa, in un giro che mirava a coinvolgere piano piano l'avvicinamento in-discreto al bagno a controllare l'amico. 


Quando Justin rientrò, bianco come la camicia di un cresimando, con l'aria di aver visto passare anche l'estrema unzione nella sua infelice esperienza e di averla accettata ma di esserne poi stato rigettato indietro, tutti abbandonarono le inutili manovre con cui si baloccavano da quasi mezz'ora. 


Inutile fingere; quella fiammela bruciata c'era ancora nei suoi occhi e non sarebbe risalito sul palco, per quel giorno. 
Ciònonostante Dorian fece un tentativo.
"Justin... non ti sarai drogato per la paur...per il nervosismo?"

"No.", scrollò il capo verso il basso l'amico, come fosse stato colpevole davvero di qualcosa. 


Beh, ai suoi occhi lo era. 
Era un mancatore di parola, un idiota che aveva procrastinato quel giorno fino a credere che non sarebbe mai venuto, un autentico cazzone di strada.  
Ed era nella merda. 

Perchè ciò che aveva detto, in quel delirio di prima, era vero.

NON.POTEVA.


Dorian sospirò e guardò gli altri. 
"Forse è meglio che noi si vada a fare almeno un'ombra di check. Dopodomani sera...”, e non finì la frase ma tutti la sentirono, come se la propria coda maligna fosse rimasta appesa nell'aria, come il sorriso dello Stregatto. 
-...Dopodomani sarà pieno di gente che ci osserverà fin dentro la guaina dei nervi.-

Solo che non sarebbe stata 'gente', vero?
Sarebbero stati irlandesi. 


Non 'gente'.
La LORO gente.

E a quel pensiero lo stomaco di Justin, si vide benissimo dalla sua espressione, fece una lenta, molle capriola.


Sarebbe stata la LORO gente che avrebbero deluso. 
Questo capiva Justin, e cacciò un altro, sordo gemito, mettendosi la mano davanti alla bocca.

"Scusate...", e scappò di nuovo in bagno.


Shane sospirò, mollando sul supporto il basso che stava facendo finta di suonare, Dorian spense con un moto di stizza la sigaretta ed Eddie lanciò da qualche parte la rivista.


Coperto dal rumore dei conati a vuoto, Eddie si arrischiò a parlare a Dorian, che ora sedeva rigidamente sconsolato, con l'aria di voler piangere.
"Dove vuoi andare, con lui...", e mosse la testa verso il bagno. "Conciato così? Oggi su quel palco non ci sale. Dopodomani sera è LA sera. Abbiamo una marea di cose da fare...”
"Dio, Eddie, non mettertici anche tu, ora!", sbottò Dorian, facendo retrocedere il rosso, cosa che raramente accadeva. “Dovessi andarci io a cantare, cosa che potrei anche fare se volessimo fare un concerto mediocre, dovessimo dividerci le parti tra me e Shane, ma in qualche modo ci andremo!”, e si alzò in piedi, nervoso e riavviandosi i capelli, quasi parlando tra sè. 

"E' solo uno sfogo. Deve solo sfogarsi. Cristo, quel palco mette paura anche a me! A voi non mette paura? A me sì! Vogliono schiacciarci e noi dobbiamo mostrare le palle che non ci schiacceranno, e così cosa fanno? Voilà!, mettono dei novellini -beh quasi- su un palco enorme al centro del mondo e spremono finchè uno non salta! Così funziona! Così abbiamo sempre resistito! Adesso starà meglio e, sì ok, oggi a cantare non ci verrà, ma domani sì, e per Dio dopodomani sera ci sarà!”, e si voltò a fissare Eddie con occhi fiammeggianti, fermandosi di colpo.
"Venerdì sera, venerdì 15 novembre 2002, dal Point Depot di Dublino, LUI CI SARA', darà il massimo come tutti noi e ripagheremo questa fottuta città di tutta la fortuna che ci ha sempre dato mostrandole che abbiamo meritato TUTTO e che stiamo diventando fottutamente grandi! Le daremo il concerto che aspettiamo di darle da anni e che si merita, non un fiacco live di routine!”

Eddie ricambiò lo sguardo, dubbioso, e Dorian insistette, ora con toni esaltati da crociato, non accorgendosi che Shane, preoccupato, stava dirigendosi in fretta verso il bagno. 

"E' così. Non gli è mai successo, ma la sfangherà, come sempre. Ci sarà e davanti a migliaia di irlandesi e centinaia di migliaia a guardarci in diretta, e noi faremo il più grande...”

"Scusa se ti interrompo, Messia.", si fece sentire in tono amaramente ironico Shane, uscendo dal bagno e spezzando la tensione tra i due amici. "Ma abbiamo un problema.", sospirò, appoggiandosi alla porta e sperando che Dorian avesse una buona idea.
Un'ottima idea.


"Cosa succ..."
"Abbiamo perso il cantante.", e il muscoloso bassista chiuse gli occhi. "Se l'è data a gambe dalla porta del retro."


A quel punto, nessuno risalì su quel palco, per quel giorno. 

E la macchina del tempo continuò, inesorabile, la sua marcia verso venerdì sera.

*
*

Fu solo dopo mezzanotte che Eddie riuscì a raggiungere Justin, sorprendendolo nel suo nascondiglio.


Non era nel suo nuovo appartamento, aveva il cellulare spento, Quentin stava per prendere a craniate un muro appena appreso cos'era successo, aveva scomodato persino un irritatissimo Flood ed un ancora più irritato Dorian, che probabilmente stava facendo lo stesso giro di telefonate da ore.

"Hai provato da sua madre?"
"Sì.", sbuffò Dorian, come se Eddie fosse stato un completo deficiente. “Ma non c'è. Edele mi ha detto che non lo sente da giorni. E se ora vorresti scusarmi...”
"Se vuoi chiamare Flood, Quentin e casa sua sappi che è tutto inutile.”, lo rimbeccò Eddie, irritato dalla sua supponenza e godendo del silenzio sgomento che sentì all'altro capo di Dublino. “Resta Shane, ma dubito non ci avrebbe avvisati.”
"Lo credo anche io...", rispose Dorian, ora mogio. 
"Dai, passerotto, domani ricomparirà.”, si sentì in dovere di rincuorarlo Eddie.
"Domani? Domani dovrei...dovrei...", ed uno sbuffo esasperato di esalazione di fumo di sigaretta partì da Dorian. “Dovrei spaccargli la chitarra in testa! Buttarlo giù dal palco! Mettergli le mani al collo e.... e... “, e si sgonfiò di colpo. “Che diavolo, probabilmente lo abbraccerei e gli farei anche da tappetino per suonare o leggio. Tutti i dannati cori che mi accusa sempre di non fare. Canterei mezze canzoni. Ma specialmente penso che spargerei fiori al suo cammino, se... se venisse.”, si spezzò la voce di Dorian.
 
 "Ma non verrà.”,continuò, dopo un a brevissima pausa. “Io l'ho visto prima di voi. Non ce la fa. Non ce la può fare. Ce l'ha nascosto tutto questo tempo mentre... mentre sembrava sempre più svagato. Forse lui vuole, ma ha qualcosa che glielo impedisce. E ormai... ormai c'è troppo poco tempo.”

Eddie sembrò pensare, tanto che si prese un paio di richiami da Dorian se fosse al telefono o no, e cambiò discorso, con un dubbio.
"Hai detto che da sua madre non c'è?"
"A meno chè Edele abbia imparato a mentire bene quanto lui, non c'è. Era anche preoccupata e mi ha dato il numero dell'appartamento nuovo, che oltretutto non ave..."
"Dorian...",lo interruppe con delicatezza Eddie, deciso a fare luce. "Non può tutto essere legato alla tua amica? Alla sua ex? Sai...”, e seppe di aver affondato i denti in qualcosa di cui Dorian, nei suoi meticolosi calcoli di gloria, non aveva tenuto conto.

O che pensava di avere già liquidato. 

"Io... gli avevo parlato e sembrava più calmo, ma...”,ed inspirò rumorosamente, succhiando dalla sigaretta. “Oddio, questa no...”, esalò il biondo, nel vento tagliente della notte dublinese.

'BINGO.', pensò Eddie, massaggiandosi la testa, sotto il peso di tutti quei problemi.

"Oh mio Dio....",continuò intanto Dorian, la voce ridotta ad un sussurro. "L'abbiamo letteralmente affossato di preoccupazioni. Le canzoni nuove, Katryn, i discorsi sull'importanza del Festival..."

-I TUOI discorsi, caro.-, pensò Eddie, ancora, ma non volendo esporre i suoi pensieri ad un Dorian che si autofustigava. 

"Che poi, diciamocelo, Justin non è un mostro di sicurezza... ricordi cosa diceva Flood?”
"Che un leader insicuro è pericoloso, e Justin era insicurissimo.”, sospirò Eddie, mettendosi la giacca mentre un la parola 'insicurezza' gli lasciava una scia nella testa. 
Aveva una vaga idea di dove andare. 

*

Justin fu, così, sorpreso da Eddie non lontano da dove avrebbe dovuto essere quel pomeriggio.

"E così...”, disse il batterista, saltando fuori da una scalinata oscura. “L'assassino torna sempre sul luogo del delitto.” 
Se la sua presenza fece sobbalzare Justin, Eddie non se ne accorse. 

Il cantante era avvolto da una pesante sciarpa sopra una lunga giacca di pelle nera, contro la nebbia che risaliva il Liffey in quella serata tipicamente irlandese, umida al massimo.


Justin non si girò neppure, assorto come tante altre innumerevoli volte a guardare l'apertura verso la baia del Mare d'Irlanda, con una strana espressione negli occhi. 

Dopo anni si ritrovavano ai Grand Canal Docks, appena uno sputo al di là delle luci e dell'agitazione del Pont Depot, al di là dell'East Link Bridge. 
Le loro zone storiche. 


Stettero in silenzio dieci minuti, in cui Eddie maledisse di non essersi portato una sciarpa e ragionando poi che a lui un raffreddore o un po' di mal di gola non avrebbero fatto niente, mentre per Justin sarebbe stata una disgrazia. 
-Certo. E se non vorrà cantare, mal di gola o meno, chissenefrega alla fine? Al di là di quello che dice Dorian, non possiamo portarlo sul palco in catene.-


Alla fine Justin si raschiò la gola e parlò, con voce roca. 
"Io... non ce l'ho fatta.", e dette quelle parole, malcelando una nota di pianto, si girò verso Eddie, come che il fatto di averle detto avesse liberato un meccanismo inceppato dentro di lui. 
"Non ce la faccio. Io... deluderò milioni di gente, l'evento è in diretta in tutta Irlanda, vi tirerò a fondo...”, e si fermò, tossicchiando, facendo capire ad Eddie che sentimento provasse in quel momento.


Vergogna. 
Pura e semplice.


Gli parve di interpretare i suoi pensieri: 'Justin Swanson, una delle voci più promettenti della rockband più promettente d'Irlanda, promossa nonostante l'inesperienza come headliner del più grande evento della Nazione, ha dato forfait. Che delusione.' 


Quello che pensava Justin, invece, era diverso. 
-Eddie potrebbe capirlo. Lui è lo svelto. Eddie potrebbe... capire. Eddie...-
('Taci. Per il tuo bene e dei tuoi amici.')


"Non penso di farcela.", sospirò, infine, scandendo le parole e girandosi. “Non... non so cosa dire. Salgo sul palco e mi viene la tremarella.”

"Mm-m. Anche a me.", confermò Eddie, parzialmente per consolarlo. “Ma non è che la tua paura sia anche un'altra?”
"Che?", ansimò Justin, mentre si asciugava una traccia di lacrima.
"Lei.", ed allo sguardo interrogativo dell'amico, Eddie non nascose un moto di impazienza. "Oh, andiamo, sai di chi parlo!"
"Oh...",disse solo Justin, irrigidendosi. "Non ci... non ci avevo neppure pensato."

-Perfetto. Così gli ho dato un'altra cosa di cui preoccupars. Edward Joyce sei davvero un cretino!-


Dopo quel singolo 'oh', Justin mordicchiò la sciarpa, una sua vecchia abitudine, e stette in silenzio un altro po',  riempiendosi gli occhi di quella indulgente assenza e riflettendo quella misericordiosa luna ed inquietando Eddie, che stava per dire qualsiasi stronzata, quando Justin si aprì in un sorriso doloroso. 
"No. Non mi preoccupa, comunque.", ed Eddie stava per obiettare, quando Justin si mosse verso l'East Link Bridge, avvolto nella nebbia, i passi ancora un po' malfermi e le ultime lacrime di vergogna da asciugare. "Non mi preoccupa come salire su quel palco.", sussurrò.
"Andiamocene da qui, comunque. Mi sto ghiacciando il culo e non voglio ammalarmi."

"Justin?", lo fermò per il braccio Eddie, mentre stava per sorpassarlo.
 Aveva notato quegli occhi ancora vuoti.

" C'è qualcosa che vuoi dirmi? Sai che non sono Dorian, ma... siamo amici. Lo siamo, no?”, chiese, in uno slancio di preoccupazione. 
"Sì, Eddie.”, gli rispose Justin, gli occhi ora animati di qualcosa, ma terribilmente serio. " Ho pensato che questo giorno non arrivasse mai. L'ho PREGATO, Diosanto. Sapevo che avrei reagito così, o in qualche altro modo così violento.”, e abbassò la testa, le labbra che tremavano, a prendere fiato. “Sono davvero stato stupido. E, se vuoi chiedermelo subito, so che non ce la farò.”, e gli prese a sua volta il braccio, portandolo vicino. “A meno chè non sia costretto. A meno chè non debba sopravvivere a qualcosa, salvandomi in quel modo. Cantando all'Irish Festival le nostre canzoni.”, sussurrò.

Eddie pareva non capire, ma Justin lo lasciò.
"Andiamocene, adesso."
"Ma tu...domani?"
"Verrò. Ma non penso di cantare.”, tremò la sua voce. “Al pensiero, ancora ora... mi mancano le gambe. Mi manca la voce. Ed era un'arena vuota.”, e si nascose la faccia tra le mani. “Dio mi fulmini se vi suonerò quando sarà stracolma di gente e con addosso gli occhi di tutta una Nazione che vuole il nostro sangue!”
"Vogliono solo sentirci, Justin. Dovremmo essere lusingati, non preoccupati", tentò di tranquilizzarlo Eddie, ma si beccò un'occhiata, nonostante tutto, sardonica. 

"Davvero lo credi, Eddie?", e si avviò, lentamente, verso il ponte e le luci. “Forse dovresti studiare un po' di più come finivano certi concerti, una volta... La gente vuole il sangue.”, e lo squadrò, sempre allontanandosi, con uno scintillìo negli occhi prima vuoti. 
"La gente vuole sempre il sangue, alla fine dello spettacolo.", e sospirò. “E io non mi sento pronto a dare il mio.”, concluse, allontanandosi. "Non ancora, per lo meno." 

*
*

Il giorno dopo, nel backstage, si ritrovarono tutti. 


Dorian trattenne un respiro e guardò Eddie, che si strinse nelle spalle, non visti da Justin che venne abbracciato da quell'orso di Shane, non lasciandolo quasi respirare e cianciando di quanto fosse contento fosse lì, prima che Justin lo smorzasse.


"Non verrò a cantare. Sono venuto solo per voi.”, ma lo sguardo pareva almeno un po' meno assente del solito. “Salirò su quel palco, domani sera, e probabilmente mi sentirò male o ancora più probabilmente abbandonerò il palco e poi darò qualche giustificazione stupida", e Dorian assottigliò gli occhi alle sue spalle, guardandolo nella schiena. “Ma non salirò oggi. Nè domani pomeriggio.”, e fece una pausa, guardando Eddie.

Eddie che, in fondo, nonostante le sue continue frecciatine e tutto, si era preoccupato. 
E non solo di riportarlo all'ovile, ma anche di come stesse veramente. 

"Sono qui perchè siamo amici. E non vi lascerò soli.", sussurrò. 


Shane non sembrò curarsi del fatto che cantasse o meno, sembrò quasi commosso; Eddie ne fu perplesso.


Così si concludeva, dopo tutto? 
Andava tutto così, davvero?
DAVVERO credeva di farlo?


E si autorispose, guardando l'espressione tesa di Justin.
'Sì, lo farà. Non riuscirà a salire su quel palco.'


Solo Dorian, dietro tutti, sogghignò e lo guardò dritto in faccia, la chitarra già indossata.
"Puoi cianciare finchè vuoi, Swanson.”, e il sorriso divertito si ampliò, incredibilmente. “A patto che non ti consumi l'ugola perchè ti servirà. E sai perchè?”, ridacchiò. "Perchè ci salirai, alla fine, su quel dannato palco, prove o no.”, e si girò per salire sullo stage per poi girarsi e quasi cavare un occhio ad Eddie con la paletta della sua Strato. “Ci salirai perchè non ne puoi fare a meno, caro mio!”

"Parla, parla...", lo liquidò Justin, andando a sedersi davanti, chiedendosi cos'avrebbero fatto.

Avrebbe cantato Dorian?
Ne sarebbe stato in grado, togliendo le parti più difficili ed alte, e forse un po' di pathos. 
In fondo 'Silences' era sua e non era mai stato un gramo cantante.
Davvero lui e Shane si sarebbero divisi le parti, come i Joy Division durante i malori di Ian Curtis?

A quel pensiero quasi sudò freddo e si ritrasse nel suo sedile al buio, pieno di vergogna.
-Che diavolo sto facendo? Sto guardando il mio gruppo suonare... senza di me?-
(-...potreste dare fuoco a Dublino. Fare terra bruciata di questo stupido Festival. Uscirne vincitori assoluto.-)
-...rannicchiato sul palco a tenermi le ginocchia. No. Mille volte no.-

L'arena e le prime file erano tutte per lui, che quando Dorian prese il microfono con una certa sicurezza si sentì un po' sciogliere quel dannato nodo d'acciaio alla colonna vertebrale, tanto che pian piano si addormentò nonostante la musica, e a ben ragione visto aveva quasi una settimana di notti in bianco alle spalle. 


Ciò che lo svegliò non furono le mitragliate di Eddie sui tamburi e sui piatti, non furono le regolazioni del basso, davvero impossibili finchè non trovarono un buon mixaggio, e neppure le lancinanti sciabolate di chitarra di Dorian -per non parlare della stecca su 'Someone' che in circostanze normali l'avrebbe fatto scattare ad aprire la giugulare e bere il sangue dell'amico-. 


Ciò che lo svegliò fu il silenzio.
Il silenzio, la luce quasi a giorno ed un tippettìo insistente sulla spalla che lo convinse a girarsi, di malo modo.
Girarsi e fronteggiare chiunque fosse a disturbarlo, nemico o amico, che sorprendentemente prese la parola e lo fece retrocedere in modo disonorevole nel giro di due secondi dalla sua sveglia irritata.


"A parte che mi devi un vestito Stella Mc Cartney, cazzone... Perchè tu sei qui a ronfare e quello stonato gallinaccio è sul palco a fare gorgheggi al posto tuo?"

Justin si alzò di colpo, non esattamente sveglio ma neanche con la minima traccia di sonno, sentendo lo stomaco che compiva le stesse capriole del giorno prima, ma molto più veloci; e non importò che fosse più alto di Katryn, in quel momento: sembrava che la ragazza, vestita semplicemente e con una coda alta di capelli biondi ramati, lo sovrastasse facilmente, dall'espressione decisa e ferrea contro quella confusa di lui. 
O forse al fatto che se ne stava lì, in adamantina attesa di spiegazioni che neppure il loro manager era riuscito ad estorcere loro. 


Dorian, dal palco, non riuscì a nascondere la sua ghignata se non dietro una mano aperta. 
Oh, Justin sarebbe salito on stage, sì.
E più presto di quando avrebbe immaginato, ad occhio.


Salve! Questo sarebbe dovuto uscire come la parte di un capitolo doppio, ma purtroppo ieri era tardi e non ho salvato il proseguimento.
Sarebbe dovuto essere 'uno-due' come knock out, ma vabbè, questo è successo.
Spero di aggiornarlo il prima possibile, in settimana!! 
Babs


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Capitolo 38
*** 38. Un'anima in pena ***



38. Un'anima in pena 

"E tu cos'hai da ridere, cretino?!"

La sferzata di coda nel girarsi verso il palco di Katryn, rapido e letale come una freccia dalla punta avvelenata, sorprese Dorian in una ghignata poichè con la mente immaginava già il suo cantante lanciato sul palco a calci in culo dalla sua amica e lo fece ammutolire e arrossire. 

Intanto Justin sembrava impegnato a non svenire, tirato quasi su di peso dal suo sonnellino cui aveva ceduto dopo il nervosismo estremo di quegli ultimi (-mesi-) giorni, quando la ragazza si girò di nuovo verso di lui, distogliendo l'attenzione dai tre soldatini allibiti sul palco.

"Dio, Dorian, dimmi che non l'hai chiamata per costringere Justin a salire on stage!", gli sibilò Shane, avvicinandosi, mentre Eddie lasciava le bacchette e si sporgeva, spalmandosi sui tamburi. 
"Se questa carognetta travestita da angioletto ha fatto una cosa simile ti autorizzo a darlo in pasto ai rottweiler degli U2, Shane! Anzi, lo infilerò sulle bacchette a mò di sushi!”, e ne afferrò una per rendere l'idea e la girò minacciosamente in direzione del biondino, che sgranava sempre più gli occhi.

"Eddie...", si spalmò una mano in faccia Shane. 
"Eh? Che c'è? Dico io, se si è azzardato a...”
"Gli U2 non hanno i rottweiler. Perlomeno non sul palco."
"Ma li compro e poi glieli presto io! Quello che voglio dire è che...”
"Pensate davvero che abbia fatto una cosa simile?!", protestò Dorian, allibito. "Dico, ma..."
"Vuoi la verità? Sì, ne saresti stato capace!", ironizzò Eddie, che si beccò uno sguardo incendiario dal biondino.
"Mi giudichi proprio uno stronzo, tu,  eh?"
"Penso che questo festival ti abbia dato un po' alla testa. Giusto un po'.", rispose Eddie, con una smorfia.

Dorian rimase venti secondi a fissarlo con aria offesa, poi vedendo che Eddie non recedeva dalla sua posizione, cambiò atteggiamento e sospirò, rassegnato.
"No, non l'ho fatto per far venire Justin a cantare, io...", e mandò giù quasi un groppo, prima di continuare. “Dovevo fare da guest alla chitarra nella seconda serata per una versione acustica di 'Pictures of you' dei Cure con lei , le avevo detto di venire più tardi ma...”,e fece spallucce, rassegnato. 

Sì, aveva accennato a voler vedere le loro prove, visto finora non era riuscita a vedere un loro spettacolo; colpa di un carnet troppo pieno, visto il suo terzo disco, uscito quasi contemporaneo a 'Velvet Wall', un mese prima, era troppo occupato a piazzare singoli sicuri al n.1 in quasi tutte le  European Charts per non parlare oltre Atlantico. 

Lei l'aveva chiamato Il Terzo Glorioso, una volta al telefono con Dorian; una sferzata decisa sul rock venato di indie, l'abbandono della no wave più sperimentale ed i toni elettronici più calcolati, un ritorno alla forma canzone quasi grezza e specialmente l'abbandono, durante la lavorazione, di NYC e di tutte le sue influenze stramboidi e l'avvalersi di un produttore di calibro pesante come Brendan O'Brien, un nome garanzia di top 1. 
Tutte mosse che Dorian aveva seguito con avidità e che, aveva ammesso, erano stati tutti punti a favore. 

Tanto loro erano suonati europei o, come li avevano spesso definiti 'eurowave', tanto Katryn suonava come completamente americana; energica, sferzante e con prudenti sperimentazioni senza allontanarsi da canzoni tradizionalmente rock.


Tutte cose che ora non contavano, mentre Justin si sentiva stranamente pesante, uscendo dalla file dei sedili, afferrandosi persino ad uno di essi, come avesse bisogno di camminare.
Era coma se l'anima gli fosse precipitata di peso dalle altitudini dove l'aveva spedita ad orbitare attorno al misero pianeta che abitava; migliaia di kilometri, forse centinaia di migliaia, un'altra galassia dove si era astratto, un 'Più in là' che era riuscito a rendere reale con la sua forza di volontà mentale. 

Ed ora era ripiombata in lui tutta e doveva di nuovo adattarsi ad un nuovo baricentro che non aveva da mesi: il peso della sua anima doveva espandersi. 
Per ora lo sentiva tutto nella testa, e faceva un gran male!


Katryn lo osservò preoccupata, facendo un passo indietro ma al contempo sporgendosi, come se avesse voluto toccarlo ma non avesse osato.
"Stai bene?"
-Sono stato molto meglio, grazie, mi sento come un sacco di merda da 5 chili riempito da 10!-,ed il ragionamento successivo, che doveva probabilmente vedersi sulla faccia, visto Katryn fece un altro passo (-micro-) indietro, fu quasi accavallato al primo, come se con l'anima gli fosse tornata anche la velocità di pensiero che lo caratterizzava. -E lo sono. Un sacco di merda che sta spaparanzato a vedere i suoi amici che affrontano per lui la...l'occasione più importante che abbiamo!-.

"No...non sono stato molto bene...ieri.", si raschiò la gola Justin, tentando di riprendere colore sulle guance. "Non... non ho provato neppure ieri. Devo essermi preso...",e alzò lo sguardo verso Dorian, che gli ricambiò lo sguardo decisamente sconcertato. "...qualcosa. Ecco. Qualche virus."

-Brutto stronzo!-,fu il messaggio che inviò a Dorian con gli occhi, che si sentì decisamente preso di mira e non potè che ripetere il gesto fatto agli amici prima. 'Non è colpa mia!!'

"Beh...", parve esitare Katryn, abbassando lo sguardo.  "Se l' avessi saputo non sarei venuta e non ti avrei svegliato in quel modo. Dovevo provare anche io oggi, sai, un piccolo break acustico con Dorian, ma non sapevo stessi poco bene.", e si girò di nuovo verso il palco, i capelli a sferzare di nuovo l'aria con quel colore tra il miele ed il ramato che sembrava troppo naturale per non essere finto ma anche troppo suo per non sembrare almeno un po' vero.

"Perchè qualcuno poteva anche dirmelo che stava male, no?", alzò la voce verso Dorian, che incassò anche quel colpo, ormai sull'orlo di un'incazzatura per essere il punching ball della situazione. “Avremmo anche potuto rimandare o saltarlo, potevi avvisarmi di non venire a disturbare!”
"Bla, bla, bla, come se non facessi il cazzo che ti pare...", borbottò Dorian, senza essere sentito, togliendosi la chitarra e deciso a marciare verso una corposa Guinness.

Justin aveva davvero ragione: quelle erano le ricompense per le buone intenzioni!

Katryn si girò, come a voler radiografare Justin ma con un lieve sorriso sulle labbra, che gli fece scendere un po' dalla testa il peso della sua anima; ora si stava espandendo ai polmoni, circa.
 
"Certo che però,anche tu...”, e ampliò il sorriso, tornando indietro di...
-Era il 1998. Erano... solo quattro anni fa. Quattro.-, e guardandola, mentre inclinava la testa per parlare, Justin affastellò una serie di informazioni che gli fecero scendere, piano piano, l'anima al cuore e spandersi negli arti come un fantasma di nebbia.
-Era freddo, come ora. C'era la nebbia, Dio che nebbia, saliva dal Liffey come l'altra sera! Avevamo un concerto importante,  per quello che eravamo allora e... - parve che il suo cervello volesse nascondergli quell'ultima informazione, forse non ritenendolo pronto, ma poi lasciò la presa. -Eravamo a Dublino. Sempre a Dublino....-
"...non credi?", ridacchiò Katryn, finendo un discorso, mentre Dorian ora marciava verso bordo palco.
"Eh?!", sbattè sorpreso gli occhi Justin, essendosi perso a divagare con la mente.

Dublino; sarebbe sempre stata con lui, forse era Dublino che era venuto a prenderlo e si stava spandendo in lui, ora, lentamente, sempre più pesantemente.
C'era sempre Dublino dietro, come una macchinosa ma meravigliosa scenografia della sua vita.
E sullo sfondo c'era anche Dorian, la sua personale macchia di colore nella nebbia. 

Un triangolo che, a lungo andare, sarebbe stato pericoloso, lo sentiva. 

"Non... non ho capit..."
"Stavo dicendo che anche tu, insomma... se stai male non hai modo peggiore di curarti che startene qua, in prima fila, a farti torturare le orecchie dalla voce di Dorian!", e stavolta scoppiò a ridere, buttando indietro i capelli. 
"Piantala di parlare male della mia voce, brutta oca!", si sentì dal palco una voce irritata.

"Vabbè, senti, se disturbo me ne vado ma... sei sicuro di stare bene? Non ti converrebbe andare a casa?”, si preoccupò Katryn, ignorando le berciate di Dorian. 
Justin per un minuto non seppe che rispondere, e Katryn sospirò e alzò lo sguardo. 
"Stare male per la tua città non ti farà avere una medaglia, Justin.”, gli disse, delicatamente. 


Così.
Se Justin si sentiva la testa pesante e la vista annebbiata per il ritorno ('di peso. Ripiombata. Pum.') della sua anima dalla Terra del Più in Là, quella delicatezza gli assestò un diretto anche allo stomaco, tanto che dovette appoggiarsi di nuovo ad una poltroncina e Dorian, che lo teneva d'occhio, scattò in piedi. 
-Gesù, mi muore stavolta!-

"N-no... veramente oggi...sto meglio..." -Che cavolo dici?!-, urlò il suo cervello, tanto che gli sembrò persino di sentirlo a voce alta. "...E, boh, pensavo quasi di fare... un minimo di check.", e ritrovò quasi sicurezza, mentre prendeva ossigeno.
-E' un'arena vuota. E' un'arena...VUOTA. VUOTA. V-U-O-T-A. Sillaba, Justin,Dio Cristo Gesù Personale, prendi ossigeno!-, mentre un'area della sua mente, inascoltata, sembrava quasi sconvolta.

Cioè, PIU' sconvolta del solito.
(-Vuoi davvero finire come ieri?! Lo vuoi davvero?!-)
-...respira...piano...arena...vuota-

E, miracolo della vita, l'ossigeno sembrò funzionare, come nella maggior parte dei casi di soffocamento; perchè di quello soffriva Justin e forse Katryn, come quattro anni prima, l'aveva capito.

Soffocava nelle sue insicurezze.
"In fondo è... una sofferenza per tutti noi sentire Dorian che canta, hai ragione.”, e miracolo dei miracoli, riuscì a confezionare un sorriso stentato. 

Dorian aggrottò la fronte per poi spianarla, gli occhi che si illuminarono come luci a Natale, con un tocco di follia.
"Oh Dio, lo fa...", esalò, con un debole fiato, per poi voltarsi allucinato verso Eddie e Shane. “Lo...fa. Lo fa. Lo fa.Lofalofalofalofalof....”,ripetè in un crescendo quasi isterico che finì per essere zittito fisicamente con una mano davanti alla bocca da Shane, che osservava le prime file di sedie, anch'esso a bocca aperta.
"Oh Dio degli Irlandesi, che stai di certo in cielo per sopportare tutti noi, sta a vedere che lo fa...", sussurrò anche Shane, vedendo Justin che si inoltrava nel corridoio, ora.

Magicamente, non badando al parapiglia on stage del suo gruppo.
No, non magicamente: aveva semplicemente ben altri pesi di cui occuparsi in quel momento. 

"Vado a farlo smettere, che dici?", e il sorriso sembro un po' più vero, quando lo disse; forse proprio perchè era vero. 
Era il suo fottuto lavoro e non l'aveva mai mancato, neanche quando credeva di morire dal dolore.

Katryn si sedette al posto suo, con grazia femminile che quattro anni prima si era sognata di mostrare, e alzò le spalle, perplessa.
"Basta che tu non stia male..."
"No, per ora... -...arena vuota,arena vuota,arena vuota!!...- "...sembra tutto ok. Semmai me la svignerò da dietro, non preoccuparti se non mi vedi o senti più!”, sorrise Justin, ora sentendosi però un po' falso e decidendosi così di darci un taglio. 

Katryn sospirò, guardandoli quasi accapigliarsi nell'accogliere il cantante sul palco. 
"Proprio vero che gli irlandesi morirebbero per la patria...", si disse, accendendosi una sigaretta, in fondo contenta. 
Avrebbe potuto assistere alle prove e fare un po' di chiacchiere svignandosela dal suo management, come un tempo;  un bene prezioso, in quegli ultimi tempi di agende piene e impegni ovunque, scanditi dal prezzo del successo.

E poi amava Dublino, si disse, mentre esalava il primo fiato della sigaretta. 
La amava da quattro anni, circa; prima non sapeva quasi neppure che fosse sulle mappe, riflettè. 
Justin sarebbe stato sorpreso di quanto avesse pensato la ragazza, nell'ultimo mese: a Dublino e a cosa vi era in quel posto.


Intanto un agitatissimo Dorian tenuto quasi per il colletto da un quasi altrettanto agitato Shane  si pararono incontro a Justin quando salì le scalette, riassumendo il suo grazioso e ormai abituale colorito pallido.

"Che cavolo vuoi fare?!"
"Il mio lavoro, Dorian.", sibilò Justin, dirigendosi verso l'asta del microfono principale. “E spero tu non mi abbia variato le regolazioni.”
"Vuoi che finisca tutto come ieri?", quasi gli salterellò attorno Dorian, disperato. “Finirà così, lo sai, e...”
"Dorian."

Justin si era attaccato con entrambi le mani all'asta, il microfono ancora spento, a testa bassa e schiena curva, come schiacciato da un peso.
"Ti ringrazio dell'incoraggiamento. Ma è il mio lavoro.", digrignò i denti Justin, voltandosi verso di lui, come sempre pallido ma con due chiazze rosse che spiccavano sugli zigomi. “Non so fare altro, perciò... lasciamelo fare.”, e alzò lo sguardò, recitando nella testa il suo mantra. 

Solo che ora l'arena non era proprio vuota, no?
C'era una macchia tenue di colore, proprio davanti a lui.

E lo stava anche salutando con la mano.
Dorian seguì la direzione dello sguardo e gemette, quasi.
"Dimmi che non lo fai per lei."
"Non lo faccio per lei.", sospirò Justin, mentre Eddie osservava il tutto con fare staccato ma pronto a correre in soccorso in caso di guai. Il cantante si girò verso Dorian, con quel sorriso solo denti, che però iniziava a portare la traccia di un vero sorriso, forse da qualche mese a quella parte.
"Però ha ragione.”, continuò, guardandolo e poi sorridendo veramente, nonostante stesse sudando freddo. “Non ti si può sentir cantare, Kierdiing. E' da star male.”

Dorian stette a bocca aperta per un secondo e poi scosse la testa, rimanendo a guardarlo fisso. 
"Tu...", e poi si girò, sempre allibito. “Dio degli Irlandesi, grazie per questo miracolo....”, sussurrò, mettendosi la chitarra a tracolla e allontanandosi verso la sua postazione. “Se lo fai anche stonare un po' per dimostrarmi che è tutto vero e non è un sogno verrò ad accendere un cero da un chilogrammo e lascerò una birra scura. Un fusto. Grazie e amen!”

Sulla sua strada verso la pedalboard, incrociò Shane che stava andando a posizionarsi e che gli fece un occhiolino.
"E' proprio vero, allora, quello che si dice, eh?", disse il bassista, in un prematuro accesso di ottimismo.
"Cosa?", chiese Dorian, sempre più frastornato dagli ultimi eventi e non in grado di capire ormai niente.
"Beh...", e Shane si mise il basso a tracolla, sorpassandolo e poi girandosi verso di lui per non farsi sentire da Justin. "Sai come si dice... Più di un carro di buoi tira più un pelo di..."
"MA VAFFANCULO!", scoppiò a ridere Dorian, sentendosi finalmente anch'egli come se gli avessero sciolto un nodo dalle viscere. "Sei sempre il solito cazzone!"
"Forse.", gli concesse Shane, da lontano. "Ma vivrò almeno vent'anni più di te ed i tuoi patemi!"

*
*

Dopo la sistemazione delle regolazioni del microfono, Justin scoprì, dopo aver iniziato esitante a causa delle frequenti boccate d'aria che prendeva, che l'asta non gli si sarebbe attorcigliata attorno al collo e che lo Shure non l'avrebbe morso; alla seconda canzone iniziò a scaldare il turbo.
Alla quarta canzone, 'Someone in my mind', quando erano ormai tutti regolati perfettamente con i volumi e gli effetti, era lanciato come in uno dei loro concerti più carichi e si era anche dimenticato dei motivi per cui non aveva voluto salire sul palco.
No, questo era inesatto.

Alla quarta canzone Justin non pensava più; era diventato quell'animale da palco che era sempre stato. 
Katryn sorrise tra sè, scuotendo la testa.

Non era sicura di cosa avevrebbe trovato e non lo era neppure adesso, Justin sembrava così strano, ma di una cosa era relativamente certa: quello era il ragazzo che aveva conosciuto quattro anni prima. 

E che non gli era mai uscito del tutto dalla testa.

*
*

Il soundcheck durò cinque canzoni, le più varie per provare tutte le regolazioni, ed andò a meraviglia.
Gli Interferences erano pronti ad offrire alla loro città tutta la potenza di fuoco che avevano a disposizione, specialmente quando si avevano 24\26 anni, talento, grinta ed ottimo materiale; per non parlare di un cantante ritrovato. 

Il gruppo si avviò verso il backstage, dopo una breve discussione con i tecnici per delle ulteriori modifiche, e Justin fece segno a Katryn di aspettarlo, al quale Katryn rispose con un 'ok' con le dira, accendendosi un'altra sigaretta.

Dire che erano bravi era poco; erano una dannata tormenta, e quelle erano solo cinque canzoni: una era inedita ma Dorian le aveva accennato al nuovo materiale, pensò, mentre soffiava un perfetto anello di fumo.
"Signorina, l'area è interdetta al fumo.", le arrivò alle orecchie una voce sottile e, sotto sotto, irritata. 
Un'irritazione che solo chi conosceva bene il proprietario della voce abvrebbe potuto intendere.
Poi un corpo esile si lasciò cadere nella poltroncina a fianco, mentre lei non si girava neanche e di certo non si scomponeva.
"Che ci fai qui, tu? Non dovevi essere a L.A?"
"Sono solo venuta a controllare."
"Che non mi droghi o che mandi a puttane il festival?"
"Che tu non faccia stronzate e basta."

La voce tacque per un momento, poi stese un braccio verso il palco, ora vuoto.
"Ti piacciono, vero?"
"Lo sai benissimo.", sospirò Katryn, aspirando dalla sigaretta e poi sbuffando. "Come se non ci fossi stata quando ho comprato il loro cd."
"Sai cosa intendo.", insistette, ora con voce veramente irritata, Monik Schreiber. "E' un'ora che sto guardando te, loro e quel teatrino tra te e...quell'altro."
"Allora non ti serve sapere altro.", ribattè Katryn, ora innervosita anche lei. "Che vuoi da me? Volevo solo fare due chiacchiere con vecchi amici, speravo di andare in un pub a farmi una birra dopo aver finito il 'check con Dorian che, ti ricordo, è stata una TUA idea, e mi sono imbattuta in Justin che non stava bene.", e si fermò, dubbiosa. "Almeno credo...Non ho capito bene cosa sia successo."

Monik stette zitta per un minuto intero, covando di certo qualcosa; vedeva guai ovunque per la sua amica e da quando da assistente era diventata la sua manager aveva utilizzato tutto il suo potere per evitarglieli; Katryn era piena di talento grezzo e lei ne aveva affinato l'immagine e  salvata da brutte figure mediatiche più di una volta, e spesso si rendeva conto di soffocarla proprio in nome di quell'amicizia che le legava. 

Ma in quel momento non si vedeva come un oppressore della sua vita, cosa che invece stava proprio pensando Katryn.
Non le era piaciuto che andasse alle prove, non le era piaciuta la sua partecipazione a quel festival e non le era piaciuto...
"Cos'era quella specie di gesto che ti ha mandato il tuo amico spaventapasseri?"
"Dio...",sbuffò Katryn, quasi comicamente scocciata. "Mi ha chiesto di aspettarlo, vorrà parlare!"

La tedesca tacque di nuovo, stavolta con fare ostile, ma  si alzò, consapevole di non potere fare niente se quella testa dura della sua amica avesse voluto combinare un guaio. 
"Parlare...", disse, in tono irrisorio. "Quello.", e si fermò, guardandola fissa con il suo ghigno a falcetto e desiderando di poter aprirle la testa con un sedile, quando vide che Katryn rifiutava cocciutamente di rivolgerle lo sguardo. 
"Ha già sfasciato un gruppo, lo ricordi?"
"Dici la boyband? Io dico che è stata un'eutanasia benevola, non uno sfascio di un gruppo."
"Non è acqua cheta neppure in questa."

Katryn sbuffò irritata e finalmente si girò a guardarla.
"Non l'hai mai potuto sopportare."
"Sto solo cercando di proteggerti", disse Monik, con l'aria di chi è afflitta da una piaga mortale ma è costretta a portarla per spirito di sacrificio. "E' il mio lavoro ed il mio dovere di amica."
"Allora falla corta e dimmi cosa vuoi.", sibilò Katryn, alzandosi anche lei in piedi. "Che me ne vada? Che non gli parli? Dimmi. Alla fine arriviamo sempre qui.", e incrociò le braccia, sprezzante. "Libertà? Sia mai! Se tutto questo è per il mio bene perchè non mi lasci un po' in pace a fare due parole in libertà? Sai, a volte potrebbe bastarmi anche questo poco!"

Monik assottigliò gli occhi e la guardò direttamente nei suoi.
"Vorrei che gli stessi distante. Non mi piace. Non mi piace ora e non mi è mai piaciuto.", ed esitò per un impercettibile attimo, prima di rivelare ciò che pensava. "Ha sempre l'aria di nascondere qualcosa. E a te piace.", affermò, con sicurezza.
Katryn assunse un'espressione quasi come se l'avesse schiaffeggiata e fece un passo indietro, ma Monik non smise.
"E tu piaci a lui. Non sarebbe salito su quel palco senza il tuo aiuto. Hai visto che faccia aveva.", assestò, quasi con un retrogusto maligno. 

Era arrivata ben di più che alla mal sopportazione: ormai odiava ufficialmente gli Interferences, ma specialmente Justin. 
Specialmente lui, perchè in lui vedeva il pericolo per la sua amica, che ora aveva assunto quell'espressione cocciuta che le faceva prudere le mani. 

"Sì, può essere.", le sibilò Katryn di rimando. "Quattro anni fa, però. Mi affascinava; ma ora siamo adulti, vaccinati e specialmente con una carriera in corso. E lui non è rimasto certo ad aspettarmi, se ben ricordi. Perciò non roderti troppo la testa, tesoro. Finirà tutto in chiacchiere da ubriachi al party aftershow di domenica sera. E poi torneremo a L.A."
"TU tornerai a L.A", disse Monik, con una smorfia, girandosi per andarsene. "Io ci torno ora. Non intendo assistere a questo teatrino, e questo posto non mi piace.", fece per tagliare corto, sprezzante.
"Certo.", le stoccò l'amica alle spalle, punta sul vivo poco prima e perciò poco incline a mostrarsi misericordiosa. "In fondo eri tu che anni fa ne parlavi come di un paradiso terrestre... quando eri fidanzata con Dorian." , finì, con un tocco di perfidia.
"Il tempo passa e le cose cambiano.", mormorò Monik, andandosene quasi a passo di marcia ed estraendo un cellulare per distrarsi. 

Dio la fulminasse se avesse di nuovo messo piede in Irlanda! 
E specialmente se la sua strada avesse di nuovo incontrato quella di Dorian e Justin.

"Se osi innamortarti ti ammazzo con le mie mani, kleine Prinzessin.", mormorò, uscendo dall'arena. "E poi ti resuscito per prenderti a calci. Ma prima di tutto squarterò quell'essere infame se solo oserà farti soffrire.", e, alzando la mano per chiamare un taxi, iniziò a piovere.
Una pioggerellina sottile e fredda, perfida come solo quei luoghi sapevano produrre.
Decisamente.
Monik Schreiber, mentre arrancava verso un taxi, ormai fradicia, giurò di non voler più sentir parlare di Irlanda.

*
*

"Bene... se tutto è a posto...", disse Justin, avviandosi verso la porta del loro camerino.
"Dove stai andando?", chiese Dorian, insospettito, che stava ancora controllando lo stato di Phoenix dopo che il suo tecnico le aveva cambiato la corda del MI. 

Nonostante il soundcheck avesse stupito gli altri tre, specie dopo la scena del giorno prima e le risoluzioni del loro cantante, Justin era ancora molto pallido e ogni tanto appariva assente, totalmente estraniato dal loro mondo. 

Shane congiunse le mani e lo guardo estatico, sbattendo le ciglia e gongolando.
"Oh, passerotto, non è chiaro dove voglia andare?", smielò, dondolandosi come una ragazzina ridacchiante, praticamente come uno scemo patentato. "Dalla sua bella!, poi la inviterà a cena, e ora di domani sera..."
"Shane, se fosse per te due esseri di sesso opposto che si scambiano un 'ciao' sono potenziali elementi per una scopata.",sospirò Eddie. "Io voglio sapere piuttosto se sta bene."
"E' chiaro che sta bene, no?", brontolò Shane, punto nell'essere stato trattato come al solito come un deficiente. "Ha visto la sua amica...",e sottolineò il fatto virgolettando con le dita ed un sorriso ampio. "...ed ora vuol solo ringraziarla -virgolette- per averlo aiutato.", e concluse strizzando l'occhio.

Dorian sbuffò, mentre Justin si appoggiava alla porta, guardando Shane.
"Credi che voglia portarmela a letto, Shane?", gli chiese. 

Era fottutamente pallido, sì, ma la voce era tornata quella di sempre; con la sua anima era tornato tutto il pacchetto. Dorian sentì il pericolo e tentò di parare in corner.
"Non capisco perchè lo stai ancora ad ascoltare dopo tutti questi anni, Just...", borbottò, facendo finta di badare a Phoenix ma tenendoli d'occhio.
"Se non te la fai sei un cretino. Specialmente se ci sta.", minimizzò Shane con uno sventolìo di mano, come fosse una cosa ovvia, e Justin restò quasi a bocca aperta prima di chiuderla violentemente e stare zitto per sentire cos'aveva da dire il bestione. 
Per il momento.
"Ci sei riuscito quattro anni fa, un ritorno di fiamma non dovrebbe essere così diffcile neanche ora.", continuò sventatamente Shane, mentre Eddie si metteva una mano in faccia, vedendo Justin perdere il colorito pallido per affidarsi ad un rossore diffuso. "Il mio parere è che se te la dà e tu non te la fai, sei..."
"Modi più carini per parlare non ne hai, eh?!", lo interruppe Justin, ormai ad occhi sbarrati dalla rabbia che spiccavano nel rossore diffuso. "Chiccazzotidice che voglia fa... che voglia portarmela, oh cazzo!", esplose il cantante, dando un pugno alla porta dietro di sè e fissandolo come per fargli prendere fuoco. 
"Justin. Dio mio...", sospirò Shane, con aria quasi caritatevole per nascondere il ghigno. "Non volevi cantare su quel palco neanche in catene. Arriva lei e ti fiondi su e canti. Canti BENE come non cantavi da mesi. Ora, se questa non è una prova..."
Justin trattenne il fiato, inspirando violentemente dalle narici, e rimase immobile per un secondo.

TUTTO rimase immobile per un secondo.
Dorian con la chitarra a bocca aperta.
Eddie che si allacciava le scarpe e teneva la faccia all'insù per guardarli. 
L'aria. 

E il momento dopo si scagliò contro Shane, travolgendo ogni cosa ci fosse in mezzo, sedia, leggio, la sua chitarra e quasi Dorian.
"Io...TI AMMAZZO, CHECCAZZO!!"
"Cosa.. cosa vuoi fare, tu?!", gli rispose Shane, facendo un paio di passi indietro per la sopresa ma afferrandolo prontamente per le spalle e tenendolo a distanza. "Vuoi...che?! Ma se pesi venti chili meno di me!", continuò, sorpreso. 
"Oddio, lo sapevo...", piegò la bocca Dorian, in un gesto tragico e lasciando Phoenix al volo, lanciandosi a separarli. 
O meglio, ad evitare che Justin facesse davvero incazzare Shane e finisse conciato di botte.
Eddie si sollevò subito, inciampò nei lacci e li raggiunse, staccando il loro esile cantante dal muscoloso bassista, ancora incapace di rendersi conto di cosa stesse succedendo.
"Io...ti... Non osare più... INSOMMA LASCIATEMI, CAZZO, almeno voi due!!", urlò Justin, intrappolato letteralmente. 
"Se ti mette una mano addosso Shaney ti ritrovi in Uganda, idiota!", sibilò Eddie, nei suoi sforzi per tirarlo via.
"Eddie ha ragione, Just.", confermò Dorian, raddoppiando i suoi sforzi, ansimando. "Vai a fare quel giro che volevi farti, eh? Così ti calmi!"
"Io.. E VA BENE, MOLLATEMI!!", cedette Justin, lasciando all'improvviso cadere le braccia. "Me ne vado, ma mollatemi!", e quando gli altri lo lasciarono, non perse tempo ad interporre tempo tra le sue parole e l'azione e prese la porta, sbattendola furiosamente.

"Ecco, và... Vai, che è meglio.", ghignò Shane, allegramente, sfregandosi le mani e poi girandosi verso gli altri, che lo stavano fulminando. "Ma davvero voleva fare a botte?"
"Sei un coglione...", lo apostrofò Dorian, con una smorfia. "Non lo vedi com'è in questi giorni? E' una miccia accesa."
"No, passerotto.", scosse la testa Shane, sempre sorridendo ma ora meno ghignante. "Vedo però altre cose."
"Ad esempio, bestione?", chiese Eddie, quasi infastidito al posto di Justin. 
"Se ha reagito quando ho parlato così... quanto credete gli sia indifferente?", spiegò Shane, caritatevolmente. "Io l'ho provocato e lui ha perso le staffe in una perfetta scena di onore tradito." , e ampliò il sorriso, stavolta nel solito modo bonario e dolce che aveva solo lui, nonostante tutto. 

Dorian aggrottò la fronte, improvvisamente pensieroso.
"Se è come pensi tu...",e alzò la testa per fissarlo, gli occhi verdi scintillanti di preoccupazione e qualcos'altro. 
Qualcosa che non gli suonava benissimo ma a cui non sapeva dare un nome; forse i timori stessi che gli aveva espresso Justin sotto una notte stellata di ottobre, non molto tempo prima, quasi in lacrime. 

Sospirò, passandosi la mano nei capelli bisognosi di shampoo. 
"...se è come pensi tu, beh... Spero vada solo tutto bene."

*
*

Justin uscì dal backstage ai lati del palco per arrivare alle poltroncine, quasi di corsa, prima di fermare e ricomporsi.
Tirare un bel fiato.

Poi aprì la porta ed uscì.

Katryn si era appena ricomposta dalla rabbia dopo la discussione con Monik, e forse fu anche quello, una piccola nota di vendetta e di disobbedienza nei suoi confronti,  che le fece notare una cosa che, quattro anni prima e nelle foto del suo -loro- passato, non aveva mai notato.
Gli occhi di Justin. 

Pensò di non averne mai visti di più belli, mentre si alzava per andargli incontro. 



Capitolo non betato, ma dedicato a Martina_Calipso, la mia beta reader che sta malissimo.
Purtroppo avevo bisogno di farlo uscire, dopo aver troncato l'altro.
Tieni duro, vecchia mia!

Enjoy.

Babs

 




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Capitolo 39
*** 39. L'atteso ritorno ***


39. L'atteso ritorno 
 
 
Justin, sentendosi notevolmente più redivido di solo tre o quattro ore prima (per non parlare del giorno addietro), tentò un sorriso dei suoi, schiarendosi la gola.
 
"Grazie per essere rimasta dopo il check."
"Figurati. Tanto sarei dovuta tornare tra poco per provare con quella specie di Barbie del tuo chitarrista!", e finse un sospiro di noia, sbuffando fumo di sigaretta in imitazione di una gran diva, disperdendolo regalmente. "Piuttosto,direi che hai ripreso colore rispetto a pri-"
...Katryn non potè finire la frase: le potenti casse dell'evento mandarono una scarica di bassi su 'Firestarter' dei Prodigy che fecero portare le mani di entrambi alle orecchie e persino strappare una smorfia a Justin. 
 
Quello era Eddie che si cimentava come dj, ci avrebbe scommesso; l'avrebbe quasi ringraziato per averlo tolto da una situazione spinosa, visto l'afflusso di sangue -ciò che aveva fatto passare il suo colorito per 'sano'- al viso all'osservazione della ragazza, ma nel frattempo l'avrebbe anche preso a sberle. 
Effettivamente, Justin si rendeva conto di essere insanamente diviso perfettamente a metà dalla voglia di darsela a gambe e da quella di riuscire a parlare con scioltezza come quando era sul palco, ma... 
A che serviva descriverla, quando il cuore minacciava di sfondargli il magro petto come una pelle di tamburo troppo usata dal pesta duro\dj mancato del suo batterista, in parte per un'ansia indefinita che continuava ad aleggiare, in parte per i bassi e in parte per quella cosa che sembrava gli stesse succhiando la linfa vitale come una zanzara? 
 
"Ma che diavolo...!"
"E' Eddie, ogni tanto si crede di essere un dj e si mette in consolle! Non preoccuparti, a brano finito non riuscirà a cambiare correttamente e tornerà pace per qualche secondo! Cioè prima che riparta l'imb... cioè, lui! Cosa stavi dicendo?"
 
Entrambi urlavano per farsi sentire e si erano notevolmente avvicinati l'uno all'altra senza accorgersene; Dorian era appena risalito on stage e, mentre a sua volta si proteggeva le orecchie, benedisse la prontezza di Eddie, che aveva avuto una delle sue idee stramboidi con un tempismo mirabile. 
Ma lo maledisse nella sua parte più profonda e radicata di chitarrista, mentre il tentativo di discorso, giù in platea, sembrava riavviarsi.
 
"Stavo dicendo che ti trovo bene!!", urlò Katryn, per sopraffare i decibel. "Sembri sempre lo stesso, a parte i capelli!"
"Che diavolo hanno i miei capelli?!", urlò Justin di rimando, immediatamente preoccupato dal suo maggior vanto, seppur artificiale.
"Mi piacciono, ma non posso fare a meno di notare che sono più lunghi di una volta, non voglio sapere cosa stai usando per tenerli su! Non riesco a decidermi se assomigliano a quelli di Alan Wilder, Peter Murphy o Robert Smith, ma probabilmente hai deciso di scolpirli senza neanche sapere a chi ispirarti! O a tutta la decade degli anni '80!"
"Sono i miei e basta!", rise Justin, felice che l'argomento si fosse incanalato sui binari della nostalgia senza rimpianti.  "Ed i tuoi che fine hanno fatto? Erano  la cosa più colorata che avessi mai visto!"
"E questo conferma che il tuo cervello si è fermato alla new wawe!!", strillò gioiosamente di rimando Katryn, le lucine negli occhi che le si accendevano come quando l'aveva sfottuto, anni prima.
 
Lo stomaco di Justin si esibì in una capriola veloce ed una veloce centrifugata, nel rendersi conto che nonostante fosse cambiata e nonostante fossero stati assieme solo una sera, riconosceva tutti i suoi gesti. 
E c'era, purtroppo per il suo debole organismo, di più.
 
Si commuoveva nel vederli. 
-Da quando sono diventato così molliccio?!-, si chiese, mentre ricacciava prepontentemente un rictus nervoso. 
Ma in risposta venne solo il suo stomaco impudente, che simulò un altro tuffo da kamikaze. 
Senza casco.
 
Intanto Eddie, dalla consolle, spiava senza ritegno cosa succedeva sotto il palco, quando venne raggiunto da Dorian e da Shane, nessuno dei due troppo contento. 
"Che cavolo stai combinando?! E' un miracolo se non ho rigettato la cena!"
"Ti rendi conto che dovremo ricalibrare tutto il sistema audio per provare  dopo il tuo exploit, deficiente?!"
 
Eddie rise e si accinse a cambiare 'Firestarter' dei Prodigy con un altro brano, talmente concentrato da avere la lingua all'angolo della bocca, mordicchiandosela. 
"State zitti, un secondo eeeeeeee...LA'!", disse, soddisfatto, quando riuscì a mixare e fare partire un pezzo dei Faithless. "Alla faccia di Justin che dice che non so fare i cambi!", se la rise, indicando il compagno che si rimetteva le mani sulle orecchie per poi voltarsi verso i soci.
"Cosa sto facendo? Non è ovvio?", sospirò, portandosi una mano a pizzicare il naso lentigginoso, un sorriso furbo sotto gli occhi ridenti. "Gli sto dando una mano."
 
Shane allungò il collo come un tacchino, mentre Dorian si ritirò borbottando sui volumi che sarebbero dovuti essere rimessi a posto -non c'era furia sulla Terra che competesse con Dorian quando le regolazioni di qualche amplificatore subivano variazioni-, e commentò in un solo colpo la mossa di Eddie ed il suo pensiero.
"Porcatroia, Joyce, mica una grama idea...",e poi si ritirò con lui sulla consolle, con un sorrisetto. "Metti su l'eurospazzatura più rumorosa che hai, scommetto che riuscirà quasi a fare un discorso intero.", e si girò per tornare in camerino, fermandosi a metà scale. "Se riesce a portarsela a letto però , ricordagli che gli hai dato una mano a rompere il ghiaccio. Cavagli almeno un paio di settimana di pace in sala prove!"
"Facciamo pure un mese...", commentò Eddie, mentre spulciava nei vinili, ridendosela.
*
*
Edward Joyce concluse la sua versione personale di 'Ira di Dio' mainstream dopo cinque rumorosi e sofferti minuti di elettrorock, e dopo un minuto esatto Justin piombò in camerino, letteralmente, lasciandoli tutti di stucco: spalancò la porta come se l'inseguissero i cani dell'inferno, la chiuse con un tonfo e ci si appoggiò contro come a sbarrrala, cinereo in faccia a parte i soliti segni rossi sugli zigomi e sul sopracciglio, gli occhi fissi sull'infinito, le labbra congelate che segnalavano terrore e le mani tremanti, quasi ansimando. 
 
Alla sua entrata Shane ed Eddie balzarono in piedi e Dorian, intuendo che aveva finalmente campo libero, prese la Fender baritona con tutte le intenzioni di uscire. 
"Allora, beccamorto?!", lo interrogò Eddie, gongolante della sua trovata.
"Cosa...?", esalò Justin con un respiro irregolare, mentre Dorian lo spostava per uscire, brontolando che aveva da fare, LUI, non giochicchiare come loro.
"Ci sta o non ci sta?", intervenne Shane, con un tatto invidiabile da un dinosauro che passava sopra ad un vetro di Murano. 
"Cos..."
"Oh, insomma, ho messo su i brani più potenti che avevo a disposizione, sei riuscito almeno a farci due chiacchiere?!", lo aggredì Eddie, quasi spazientito, provocando lo spalancamento di occhi da parte di Justin. Ancora di più, cioè.
"Allora l'hai fatto apposta!"
"OVVIO che l'ho fatto apposta! Dai, ora dimmi che senza che di me saresti riuscito a fare un discorso di senso compiuto, dopo questi giorni!",si pavoneggiò il rosso, di fronte all'amico, ancora allibito, per poi proseguire, affiancato da Shane, che si fregava le mani. "Adesso, se non avete parlato di cose troppo intime..."-"Tipo se, come e dove finire a letto..."-"Ecco, grazie della delicatezza, Shaney; comunque adesso voglio...", e con un'occhiata all'amico ansioso a fianco, sospirò e si corresse. "VogliAMO sapere. Cosa vi siete detti?"
 
Justin li fissò ancora un attimo, sempre sorpreso, poi si riappoggiò alla porta e chiuse gli occhi, stremato. 
"...volevo chiedervi qualche consiglio..."
"Sì, dicci!", si affrettò a sporgersi Shane, con gli occhi festosi come un bimbo a Natale.
"Siamo qui, a tua completa disposizione!", fece segno Eddie di prendere un notes con aria professionale ed una penna, quando Justin li fulminò.
Possibile fossero così impudenti, quei due?!
 
Un'altra occhiata al duo che si scambiava una gomitata lo convinse: sì, possibilissimo. 
I suoi amici erano stati a spettegolare su di lui tutto il tempo ed ora volevano pure impicciarsi dei fatti suoi! 
 
Scosse la testa, incredulo, e si portò una mano alla testa, ringhiando qualcosa.
"Scusa? Perchè non parti da quello che vi siete det-"
"Dicevo che...col cazzo che vi dico qualcosa!!", e rianimatosi, prese la porta, arrabbiato non si sa bene con cosa -almeno agli occhi dei due soci-.
 
Eddie e Shane rimasero a loro volta allibiti e si guardarono, prima di ghignare. 
"Preso malissimo, il ragazzo!"
"Preso? Quello è impanato, fritto e ancora non lo sa!"
"Mr. Joyce, propongo una bevuta!"
"Mr. Haynes, sa che la sua idea non mi spiace affatto, vecchio mio?"
 
E come due comari si avviarono verso il pub più vicino, fuori dalla struttura.
 
La sera dopo avrebbero lanciato il loro show davanti a tutta l'Irlanda e probabilmente mezza Europa in collegamento diretto; era giusto ci arrivassero in piena forma. 
*
*
Justin tornò a sedersi davanti al palco, sospirando, con una coca cola trafugata in tempo dal catering, aprendola con una smorfia mentre ripensava alle facce di Eddie e Shane. 
 
Katryn era salita on stage e Dorian l'aveva raggiunta da quando era uscito dal camerino, con la sua chitarra particolare. 
Sbrigarono il loro piccolo soundcheck in neanche venti minuti, suscitando la sua ammirazione: in solo due chitarre, Katryn con le power chords della sua acustica e Dorian con i suoi intrecci, rendevano una 'Pictures of you' dei Cure che non perdeva assolutamente la dolcezza malinconica che Robert Smith aveva infuso nella ballad ma non la rendevano neppure più triste, semmai forse più aperta di speranze.
 
Finito il 'check e chiacchierando abbastanza confidenzialmente, scesero le scalette a lato e raggiunsero Justin, che si sentì un attimo ignorato, mentre i due riflettevano a che punto del set intervenire con quel piccolo gioiello acustico per un minutino.
 
Un minuto.
Un intero minuto.
Un intero minuto in cui Justin si sentì fuori luogo, inopportuno e indesiderato come non mai nella sua vita; e ultimamente pochissima gente si permetteva di tagliare fuori Justin per più di pochi secondi -a meno chè non si tagliasse volontariamente fuori da solo, ovviamente-. 
Un lunghissimo, ansioso, pieno di troppe decisioni che si aprivano come vere e proprie porte su di lui, MINUTO. 
 
Cos'avrebbe potuto fare, in quel minuto?
Scappare, senza dubbio inosservato se ci avesse messo una dose di delicatezza, convinto com'era che non lo stessero minimamente cagando. 
Stare educatamente seduto ad imbarazzarsi sempre di più finchè se ne sarebbero andati senza di lui. 
Partecipare alla discussione, risultando così pateticamente inadeguato e guardato come un minorato mentale.
Uccidere qualcuno -Dorian- per suscitare una qualche, primitiva reazione -e perchè andava fatto- in Katryn.
Prendere la sua Telecaster e provare a suonicchiare, prendendo l'aria di chi non aveva tempo da perdere. 
 
Ma tutto quello che fece fu starsene seduto, arrossendo sempre più e dondolandosi lievemente sulla poltroncina sul quale si sarebbero sedute le chiappe di qualche papaverone importante di Dublino, dalla posizione vicina allo stage. 
 
Quando il lungo minuto finì e Katryn si voltò verso di lui, mostrando così di non essersi dimenticata della sua esistenza -oh, non ancora una volta!-, Justin si sentì quasi più sollevato di quando, prima, la sua voce era riuscita ad uscire dalla gola, non impastandosi come il giorno prima. 
Fu quello che aggiunse che lo mando quasi di nuovo k.o.
 
"Vogliamo toglierci dai piedi da questo posto?", e Justin si era già alzato, quando Katryn si voltò di nuovo verso Dorian, che veramente progettava già di andarsi a perfezionare i pezzi in studio. "Conoscete un pub o qualche locale, qua vicino, dove possiamo parlare senza venire paparazzati?"
 
Dorian  si sentì improvvisamente trafiggere la nuca da un paio d'occhi calibro 22 azzurro ghiaccio, mentre veniva fissato, in attesa di risposta, da un altro paio di occhi azzurro chiaro sorridenti ma anche che lo esortavano a sbrigarsi. 
"Io... vorrei ripassare i pezzi per domani sera...", tentò di cavarsela il biondino, sorridendo e rivolgendosi direttamente a Justin, come a dire che lui non era colpevole, lui non era ASSOLUTAMENTE colpevole, NON LUI!! 
Un biglietto di scuse preventive formato umano; in questo si era trasformato Dorian. 
 
"Oh, che marea di cazzate...", sbuffò Katryn, roteando gli occhi, mentre Justin si alzava lentamente, mostrando con lo sguardo che non accettava le sue scuse.
Per niente. 
 
-Cazzo, finito il concerto domani sera mi ucciderà...-, deglutì Dorian, riprovando.
"Insomma... Justin, hai visto anche tu che quel.. pezzo sul nuovo pezzo... intendo proprio uno degli ultimi composti... ha bisogno di un'entrata migliore, insomma.", si ridusse a borbottare. 
"Che strano, mi sembrava di aver visto Eddie e Shane andarsene, prima.", gli fece il verso Katryn, mentre una comunicazione invisibile continuava ad avvenire tra Justin e Dorian (-ti ammazzo!-\-non è colpa mia, insiste!-\-me ne frego, levati!-)  "Come faresti a provare senza il tuo gruppo?", e Dorian provò ad aprire la bocca quando Katryn lo anticipò, freddandolo con lo sguardo in un modo che Justin aveva scordato era capace di fare. 
"O forse non vuoi farti vedere con me e basta. A quel punto, basterebbe dirlo, no?" 
"Ma no!! Io...io... JUSTIN, INSOMMA!!", sbottò disperato Dorian, sentendo gli occhi dell'amico che gli stavano scavando un buco rovente in centro alla nuca e affrontandolo, quasi a muso duro. "DIGLIELO TU che quel pezzo va' rivisto, che non possiamo mica..."
"Kierdiing, piantala.", disse lentamente Justin, fissandolo negli occhi con una lama di ghiaccio. Per poi fare una cosa totalmente in contraddizione col suo  sguardo assassino, che ovviamente Katryn non aveva notato. 
-Ah no, ovviamente-, pensò Dorian, in un moto di rassegnazione misto ad ira di una scomoda posizione non cercata. -Il bastardo sa come fare, no? In queste cose potrebbe tenere un corso di laurea!-
 
Justin allungò il braccio e diede una pacca amichevole sulla spalla a Dorian, aprendosi in un sorrisone falso quanto i soldi del Monopoli e alzando le spalle.
"Quel pezzo è a posto così com'è. Se insisti, lo rivedremo assieme domani!", e si girò verso Katryn, tenendogli una mano sulla spalla. 
Una morsa ferrea con un sorriso da amicone e uno sguardo che prometteva vendetta.
"Lo conosci, Kat... è bello quanto stupido! E purtroppo, se non lo sapevi, è perfezionista quanto vanitoso...", e scrollò le spalle, sempre tenendo quel sorriso d'acciaio e affondando di più le dita nella spalla dell'amico.
-Ahia, per Dio!!- 
"Andiamo, Kierdiing. Guidaci ad un abbereviatoio locale e gustiamoci un paio di pinte.",e lo fissò negli occhi, mentre faceva segno di far passare Katryn e il suo sorriso si spegneva, come gli occhi. "In allegra compagnia."
 
Dorian deglutì. 
E stramaledisse chi diavolo aveva avuto l'idea del dannato festival, mentre si avviava in coda, massaggiandosi la spalla. 
*
La sera dopo, venerdì 15 novembre 2002, Dublino era scintillante e pronta ad accogliere i suoi più amati figli, più altri guests ed amici, come mai era successo. 
*
*
Justin era tornato alla sua calma glaciale che lo caratterizzava, Shane ed Eddie mostravano di non risentire della sbronza, Dorian aveva dimenticato quel che era successo la sera prima col compagno grazie ad un avvenimento che avrebbe segnato su tutti i calendari possibili: nel pomeriggio, durante l'ultimo soundcheck, aveva parlato dieci minuti con Edge degli U2, sorpreso mentre era nell'arena a fare un giretto, e dopo aver esaurito l'argomento 'effettistica' avevano addirittura accennato ad un discorso serio sul fatto che dopo il ciclone degli U2 negli anni '80, uniti avrebbero potuto riportare la città di nuovo alla ribalta internazionale. 
 
Ovviamente il biondino era andato farneticando per tutto il pomeriggio di aver toccato la perfezione, ma dopo i primi dieci minuti (in cui tutti avrebbero voluto tirargli il collo -Justin per ragioni ANCHE personali...) lo lasciarono fare: nell'impresa di lasciare di sasso il suo idolo, Dorian aveva impostato i suoi effetti sul gradiente più aggressivo possibile che gli fosse permesso, e quella cosa piaceva a tutti. 
Dorian in piena potenza di fuoco era 50% dello show, ed ad occhio e croce si sarebbe inerpicato su e giù per i due piani del palco, sperando non si lanciasse persino da un Marshall ad un altro. 
 
Shane aveva scommesso che, nonostante sembrasse il solito stronzo pezzo di ghiaccio pre-crisi di panico da palcoscenico,  persino Justin si sarebbe lanciato su una delle passerelle aeree che collegavano i due enormi schermi alle loro spalle, che in alcuni casi davano l'idea di camminarci sopra. 
Eddie, più realisticamente, aveva scommesso su qualche stecca orribile data da un ritorno di panico. 
 
Mezz'ora prima del 'fuori', mentre una base elettronica partiva, Justin iniziò a mettersi la matita nera negli occhi, mentre Dorian, sistemate le sue annose faccende con capelli e resto, girellava come una tigre in gabbia affamata; Shane stava abbastanza tranquillo a sistemarsi il ciuffo, mentre Eddie batteva le bacchette contro le cosce.
 
Qualcosa lo rendeva inquieto, ma si disse che non erano stati giorni facili, e che sarebbe stato come una sorta di loro primo concerto, ancora. 
Il nervosismo era molto simile, ma scoprì che si sbagliava; quella volta era completamente diversa e, a concerto concluso, si chiese quasi se l'irrequietezza del pre-show non fosse dovuta a cosa sarebbe poi successo. 
 
Come una sorta di premonizione.
 
Ci furono pochi scambi verbali, nella mezz'ora che precedette il loro concerto, mentre il gruppo spalla finiva il suo set, e quasi nessuno di vitale importanza.
 
Justin si chiese se mettersi la matita anche all'esterno e se darsi un'altra passata di lacca, Dorian lo rimbeccò impazientemente chiedendogli se volesse asfissiare tutti loro, Shane chiese di poter uscire per primo ed Eddie, con la testa sulle nuvole a riflettere su quello strano nervosismo, gli rispose che a lui non cambiava niente. 
 
Sarebbe bastato uscire.
Quel camerino lo stava soffocando. 
Li stava soffocando tutti, le pareti si stringevano ad ogni minuto in più che passava, e l'ora del 'fuori' venne accolta con un sospiro misto di sollievo e paura. 
 
La base di tastiere programmate di 'Burn' partì, e  Shane si avviò per primo, basso in mano, inseparabile; il boato che ne seguì fu indescrivibile, una cosa che neppure gli stadi europei erano riusciti lontanamente ad eguagliare. 
 
Si sarebbe detto che il Point Depot e l'arena esterna ricavatane fossero ad un punto di esplodere; Dorian si appoggiò ad una parete, con Phoenix al collo, ed Eddie si avviò, dopo un attimo di esitazione.
Ed ecco di nuovo il ruggito dei dublinesi: fu quello che, in definitiva, cacciò tutte le sue paure: quella era la voce della sua terra.
La sua patria che lo chiamava.
 
Si portò la mano con le bacchette alle labbra, la baciò e la sporse verso il pubblico, mandando il boato ad un conto inarrivabile. 
 
Dorian sorrise tra sè e guardò il compagno, che ne ricambiò lo sguardo, immobile come la pietra, e poi chiuse gli occhi. 
Justin sembrava tornato su un altro mondo, da qualche minuto a quella parte, e Dorian l'aveva notato, con crescente preoccupazione. 
Una goccia di sudore freddo gli scendeva dai capelli immobilizzati dalla lacca e dai vari prodotti.
"Justin...", lo chiamò, mentre controllava Phoenix, sapendo di non poter aspettare a lungo: la base si sarebbe esaurita e avrebbero dovuto iniziare a suonare. 
"Sto bene.", sospirò Justin, massaggiandosi le tempie. "Ho solo... un po', ecco."
 
Dorian lo fissò e fece per avviarsi, poi si fermò. 
-No, non ne hai un po'. Ne hai tanta. Tanta paura e ci vorrebbe un altro miracolo per farti salire sul palco, ma stavolta non ne abbiamo più...-
"Se non ce la fai non provarci neppure.",  lo prese per un braccio Dorian, consapevole che una sua entrata in ritardo sarebbe potuta sfociare in disastro, tra fine della base pre-registrata e mancata chitarra. "Mi hai capito? Non provarci!"
 
Justin aprì gli occhi e li fissò nei suoi, e Dorian fu sorpreso di trovarci, contro ogni sua aspettativa, una fiammella ridente.
Anzi, irridente. 
Sembrava stesse comunicandogli  che avrebbe fatto ciò che avrebbe voluto, in barba alle sue raccomandazioni; ma di certo non sembrava disperata come due giorni prima.
 
"Tira fuori tutte le palle che hai, Dorian.", e si strappò la sua mano con facilità dal braccio, sbilanciandolo. "Perchè non accetterò errori, stasera. Entreremo nella storia.", sibilò, con un sorriso storto. "In un modo o nell'altro.", concluse.
 
Dorian, inebetito, si avviò per il piccolo corridoio verso il palco, sentendosi seguito da quegli occhi; duri, quasi inanimati come un quadro con una cornice di matita nera, se non fosse stato per quella fiammella. 
Quella che conosceva, ormai. 
Che poteva mandarli in paradiso o all'inferno.
 
O in entrambe le parti, pensò confuso, mentre alzava meccanicamente un braccio a salutare Dublino per poi cavare un accordo da Phoenix sulla base calante di tastiere. 
 
Il pubblico ormai non si sarebbe più calmato e tutto il gruppo per iniziare, aspettava il boato finale; quando arrivò, Dorian non si voltò neppure, finchè non ebbe Justin a fianco.
*
Occhi chiusi, fronte appoggiata al sostegno del microfono: in un secondo Justin, prima di attaccare, capì cosa dicevano quei dati che gli mostravano da una settimana.
-SOLD OUT- 
 
Si rese conto che era la loro città ad averli mandati avanti, a sceglierli come rappresentanti, che la loro città era lì per loro e che la gente nell'arena era loro coetanea, anno più o in meno; la loro gente li aveva proiettati lì.
 
Così, prima di cantare, poco prima della rullata di Eddie che avrebbe dato il via ai giochi, si risollevò e alzò le braccia in una a 'v', scatenando un altro boato, e tenendo la posa.
 
Il mondo stava guardando loro: e attraverso loro, l'Irlanda.
Così, con le braccia spalancate come stesse raccogliendo  quel tornado di urla, elettricità statica ed eccitazione che proveniva dal pubblico, dal loro pubblico e da loro stessi in simbiosi con esso, gonfiò il petto e urlò al mondo il loro saluto.
"Hello world... this is Dublin's calling!!"
 
Dorian, nonostante fino un minuto prima temesse problemi a misura di Justin, si sorprese a sorridere, no di più, a ridere incontrollabilmente: il pubblico era impazzito. 
Ma Justin, non contento, staccò il microfono e corse alla più vicina videocamera, girandola verso di sè, gli occhi scintillanti. 
 
"Siamo qui per te, Dublino.", quasi sussurrò, piano, per poi staccarsi e tornare al centro del palco, lievemente ancheggiante, un fantasma nero nelle luci accecanti. 
"Siamo qui, Dublino.", e alzò solo un braccio, risplendendo per un momento da una scarica di luci restrostanti in sintonia con la sciabolata fredda della chitarra di Dorian. 
"SIAMO TORNATI!!" 
*
*

Ebbene.
Non provo più a giustificarmi, davvero, ho perso il file originale -da ben 3 hard disk- e ho dovuto riconvertire un sacco di cose.
Perciò.
Questa è una transizione totalmente '2015' ma non prendetela troppo sottogamba: da qui inizierà il VERO ritorno. 
Dal prossimo capitolo si alzeranno altarini

Babs

 

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Capitolo 40
*** 40. Ospitata all'inferno ed il senno di poi ***


40. Ospitata all'inferno ed il senno di poi
 
Buffo come funzioni il senno di poi: fa sembrare che il modo in cui sarebbero potuto o sarebbero DOVUTE andare le cose fosse stato così dannatamente ovvio e a portata di mano, se solo ci fosse stato quel minuto.
Se non si fosse stati distratti da altro.
Se si fosse stati presenti col pensiero. 
Se semplicemente ci si fosse stati minimamente presenti con la testa.

Bene, gli Interferences realizzarono che sul brano di chiusura, la fatidica 'Someone by my mind' che mai sarebbe stata dimenticata da quel momento in poi  (di certo non da loro), al primo Irish Mtv Festival, anno del signore 2002, Dublino, palco del Point Depot trasformato in un'arena di gladiatori, loro non c'erano minimamente stati con la testa.
E con loro, neppure 25.000 irlandesi.

Erano riusciti, in fondo, nell'impresa più grande per un musicista o una band; avevano mandato nella deliriosfera un pubblico letteralmente impazzito di loro. 

Questo era stato il loro concerto: un concerto in cui Dorian, come predetto, lanciò una potenza di fuoco dalla chitarra, alternando le sue note micidiali come laser di ghiaccio a sbarramenti infuocati hendrixiani, in cui dalla sua postazione sembrava dare fuoco alle polveri con sorrisetti demoniaci appena accenati che sembravano anticipare le sue mosse. 

Un concerto in cui la dolcezza di 'Silences' probabilmente funse da calma prima della tempesta: un calmante talmente potente da lasciare inebetiti.
Un concerto in cui ognuno di loro perse la testa, e ogni singola testa del pubblico la perse per loro. 
Un concerto in cui, se solo Shane non fosse stato impegnato a fare almeno una decina di stage diving ridendosela come uno scemo, avrebbe potuto evitare quello che successe. 
Un concerto in cui Eddie era talmente affascinato dalla fascinazione del pubblico, che andò col pilota automatico, non commettendo neppure il minimo errore, come stesse guardando -ed effettivamente stava proprio facendo ciò- lo spettacolo più bello del mondo.

Un concerto in cui, insomma, finirono in estasi in Paradiso.
Prima che arrivasse Justin, fino a quel punto ineccepibile; colui che tagliò la corda alla gabbia di metallo sospesa che li teneva tutti in quella bolla di Eden personale e che, precipitando, li mandò direttamente all'Inferno. 

*
*

Riflettendo, col famoso senno di poi in cui sembravano diventati tutti esperti nel backstage, Shane identificò l''apice del delirio esattamente poco prima che Justin si apprestasse alla sua bravata, ed entrò in un loop di pensiero vizioso.
Era stato il delirio del pubblico a spingere il suo collega a fare ciò che aveva fatto, o era stato Justin stesso che aveva inteso infiammare ulteriormente quella bolgia col suo gesto?

Il brutto della situazione era che, a differenza di altri, lui aveva la risposta.

Nessuna delle due cose c'entrava, in realtà, ma se se ne fosse accorto prima avrebbe potuto intervenire, se solo non fosse stato anche lui in una sorta di baccanale selvaggio dalle tinte algide ma non per questo meno selvagge. 

Gran bella cosa il senno di poi, vero?

*
*

I due schermi  giganti che apparivano alle loro spalle, sullo stage, avevano sopra delle passerelle aeree collegate tra loro, in modo da dare l'illusione al pubblico che ci si potesse camminare direttamente sopra: una fusione tra la tecnologia e la persona. 

Negli stadi europei, dove il palco presentava anche schermi molto più piccoli e numerosi, Dorian aveva provato a salire sopra un visore durante le prove, a Bratislava; sbilanciatosi per via della chitarra,  era caduto malamente da uno alto circa un paio di metri, procurandosi una lussazione della spalla.
Aveva suonato con dolore per cinque o sei date e aveva abbandonato l'idea, anche dopo essersi beccato del cretino da tutto il gruppo, Justin compreso, che negli stadi europei aveva giocato la carta della sua glaciazione quasi funerea.    

L'idea delle passerelle aeree non era mai stata abbandonata, visto ogni tanto Shane vi si avventurava -sugli schermi più bassi- ed era persino successo che, durante la data infuocata a Berlino sia Dorian che Justin fossero saliti contemporaneamente sulle più alte, finendo di suonare, spalla a spalla, proprio l'ultima canzone.
Che era, notoriamente, 'Someone in my mind'.

In virtù di quei pochi momenti non erano mai state smantellate dallo stage ed all'Irish Mtv festival, con l'assemblaggio del palco mediato con l'organizzazione, ne erano state tenute solo le principali tra i due schermi giganti e le laterali per salirci.
Ma sapevano che sarebbe stata l'ultima volta. 
Come si dice molte volte: 'last but not least'; Justin contribuì a dare importanza alla loro struttura poco usata ed anche al motto, con la sua impresa. 
*
Quando Shane, appena risalito sul palco all'inizio di 'Someone by my mind', lo vide scendere dalla passerella aerea su uno dei due schermi giganti, sbiancò e dimenticò momentaneamente la sua parte di basso. 

Per comodità, durante gli spostamenti europei, gli schermi erano stati numerati per dimensione da 1 a 16; al Festival, dovendo limitare il palco, avevano fatto sistemare solo il 13 ed il 14, perciò...perciò Justin stava quindi camminando su una sottile lamina di plastica a...

-A quanti metri sta per rimetterci la pelle?! Mi sarà utile nelle interviste. Nell'autopsia. Nel...-
“Oh...Dio!”,sussurrò fievolmente Shane, mentre Justin iniziava a cantare, quasi sussurrando ed il resto della band andava avanti.

Mentre Dorian riduceva gli effetti a quasi zero, per poi lanciarsi nella bordata del ritornello ed Eddie non faceva che tenere un 4\4 molto basico, mentre il pubblico non si accorgeva della follia che stava avvenendo sul palco -no, in un solo punto del palco-, Justin stava giocando a fare il fantasma nero cantando 'Someone in my mind' a circa cinque metri da terra. 

Shane, immobile, non capiva come tutto questo stesse accadendo.
Non capiva neanche come anche lui stesso potesse starsene immobile, invece di fare qualcosa di utile, insomma... 
Magari salvare quella brutta testa di cazzo del suo cantante, probabilmente poi per ammazzarlo di botte, sarebbe stata una buona idea, no?!

Era come un incantesimo a doppio taglio; da un lato c'erano riusciti, erano riusciti a portare il pubblico dalla loro.
Ma dall'altro lato si trovavano intrappolati nella stessa bolla in cui avevano portato tutti.
Erano tutti là, in quello speciale posto dove andavano quando le prove riuscivano particolarmente bene, quando si trovavano miracolosamente tutti d'accordo, quando la musica scorreva come tessuto fluido di watt, quando lo spettacolo era particolarmente bello.

La stessa aria, lo stesso delirio, la stessa follia che avvolgeva, più o meno, ognuno di loro. 
-Wooo-oo... rockandroll-, pensò Shane debolmente, smettendo di suonare e rimanendo immobile a guardare Justin che proseguiva imperterrito, invisibile agli occhi dei più. 

E forse fu proprio quella stonatura che fece il danno, alla fine. 
Forse.
Forse che...
Forse che l'orecchio più allenato su quel palco avesse sentito che il suo basso si era fermato e girandosi per cercare cosa non andasse -nel suo momento perfetto- , trovasse il suo bassista a fissare apparentemente il vuoto, come un perfetto scemo, e forse seguendo il suo sguardo...

*E' già stato chiarito che il senno di poi è una bellissima e imprendibile cosa?*

L'unica cosa certa, in quella baraonda che scoppiò, è che quando ANCHE Dorian se ne accorse fu la fine: smise di suonare nel bel mezzo del ritornello e anche Eddie si fermò, giustamente perplesso e seguendo poi gli sguardi di tutti. 
 
Per un momento, poco più di tre secondi, Shane si sentì avvolgere da una surreale bolla di silenzio ed era fottutamente certo che nessuno, né tra loro nè tra il pubblico, osasse respirare, avvolti tutti in un'orgia di esaltazione espressa non ad urla ma col loro contraltare: un silenzio che sembrava pesasse, tanto era palese.

E poi, oh mio Dio...

Il pubblico.
Il PUBBLICO.
 
Era strafatto di musica, strafatto del loro show, strafatto da loro. 
Non sembrava volare una mosca.
Non un amplificatore che friggesse un minimo.
Non una voce dagli addetti ai lavori.

Justin per una decina di secondi andò avanti su 'Someone in my mind', mentre le luci non osavano inquadrarlo, in un silenzio innaturale;  fantasma nero nel nero, camminando su una striscia di plastica di circa trenta centimetri, e Shane 
'...avrei bisogno di uscirne, adesso...'
-in quel momento-
'...ma non è detto che io lo faccia con piacere..'
-assurdo-
' ...ma non posso trascinarmi con qualcuno nella mia mente!'
-pensò, portandosi entrambe le mani alla bocca, beh pensò seriamente  “Oh mio dio...E' pazzo! Ed io lo sapevo, lo so, lo sapevo ma adesso lo so, lo so, lo vedo...E' DIVENTATO PAZZO!”

Poi si girò e vide chiaramente ciò che stava per accadere.  
Ovvero Dorian.

-Sì, è Dorian, ovvio. O è Dorian o è Justin, non vi è via di scampo. O uno o l'altro. Si danno il cambio, ma nessuno dà il cambio a loro...-

E, mentre si toglieva le mani dalla bocca, tremanti, per la prima volta pensò una cosa che gli balenò alla testa ora chiara come la luce del sole, tanto era lampante.

-Moriranno giovani!-

-No, Dorian, no.-
-No, Dorian, ti prego, non farlo, Dorian.-
-Dorian, ti pre...-

Dorian urlò, letteralmente portando alla luce la voce dell'isteria.
“JUUUUUSTIIINCAAAAZZOOOO!!!!!”

L'urlo, amplificato dal microfono, lacerò quel silenzio reverente e troppo carico di emozioni come una spada affilata e nello stesso momento una luce fredda inquadrò il loro fantasma nero, mentre il mondo loro attorno rimaneva ancora immobile.

-Oh mio Dio, non si rende neanche conto di dov'è, omioddio stavolta si ammazza e non per scherzo, si ammazza e non per scherzo e neanche saprà come, omioddio com'è finito là sopra?!-, pensò convulsamente Shane, finalmente muovendosi e sbattendo a terra il basso, correndo verso le passerelle aeree.
-Chi diavolo ti ha portato là sopra, Justin?!-
 
Dorian urlò di nuovo qualcosa di incomprensibile ma nel boato che esplose nessuno lo sentì e fu in quel momento che Shane lo vide, chiaramente, e si fermò alla base della rampa della passerella aera.

In quel momento l'essere che aveva tenuto loro compagnia, a volte inquietandoli e a volte stupendoli, scomparve e lasciò il posto chiaramente a Justin Andreas Swanson, un Justin lontanissimo con il trucco sbavato ma presente, che per un decimo di secondo incrociò lo sguardo  -i pensieri- con lui e...
-aiutoShanetipregohopauratipregoAIUTAMI-
gli trasmise un messaggio oscuro e disperato prima di
-nonvoglioandarmenenonvogliolasciarvi,io...NON...VOGLIOOOO!!!-
venir accecato dalle luci.

Shane per un attimo ebbe la sensazione di un luogo tetro che sapeva di marcio e di morte vicina, che si stava avvicinando a spron battuto; quell'attimo lo soffocò e fu il più lungo della sua vita, in cui il tempo e l'aria si dilatarono come cera fusa, in cui i suoi polmoni si riempirono di una strana sostanza dolciastra che non gli permetteva di respirare, come una sorta di melassa grumosa.
Ed in cui ebbe la netta sensazione che la vita di Justin, criticata in più di un'occasione dai primi anni della loro conoscenza fino a quel momento -begli amici che siamo stati!- proprio da loro stessi, fosse sempre stata così.

Fu un attimo, poi tornò ad essere il palco dell'Irish Mtv festival, con Justin che spalancò gli occhi, lasciò cadere il microfono a terra -cinque fottuti metri da terra, il botto si sentì fino alle ultime file- ed indietreggiò istintivamente, accecato dalle luci e spaventato dall'urlo del pubblico, finchè non trovò lo stramaledetto orlo del ripiano.

Tentò di mantenersi in equilibrio sbracciandosi e quasi ce la fece, quando l'istinto di coprirsi gli occhi feriti vinse la ricerca disperata del piano.

Non fu una cosa aggraziata: Justin semplicemente perse l'equilibrio, precipitò e atterrò molto male di schiena: un colpo che si sentì spaventosamente bene nella nuova bolla di silenzio.

Shane sentì Eddie che gli sfrecciava accanto e vide una moltitudine di persone che si accalcavano dietro lo schermo e poi qualcosa di nero che veniva trasportato via.

-Mio dio, ma tutta quella gente lavora per noi!?-

Sentì il riso acuto e isterico lottare per venire a galla e lo represse bruscamente. 
Si avviò di corsa dietro le quinte del Festival ed afferrò Eddie per la spalla, che si era fermato poco dopo il posto dove avrebbe dovuto trovarsi Justin dopo la caduta, inebetito. 
Dorian li raggiunse simultaneamente, tremante come un coniglietto.

“Oddioddioddioddioddioddio...”
“Piantala.”, sibilò Eddie, sempre fissando il posto dove avrebbe dovuto trovarsi il corpo di Justin, gli occhi ormai fuori dalle orbite.
“I...io mi sento ma-al...”
“Dorian, calmati.”, gli impose con più dolcezza Shane, afferrandolo per un braccio, un po' per sostenerlo ed un po' per calmare lui stesso.
“Shane...”, e lo sguardo carico di terrore di Dorian si puntò inesorabilmente su di lui. “Sai...sai se... se è...”

Shane scosse la testa.

Aveva deciso di aver già dato, per quel momento. 

Solo più tardi, iniziò a torturarsi raffinamente col senno di poi; e non smise presto.

*
*

Quando Dorian riuscì a vedere Justin adagiato su un gaciglio di fortuna in lontananza, nello stage, gli vennero restituiti quei venti anni di vita che aveva ipotecato in quegli attimi di caos totale.

Lo raggiunse di corsa prima di tutti, aprendosi un varco tra la folla di addetti ai lavori fino al divanetto dove era stato portato e fatto sdraiare, e lo abbracciò delicatamente, forse temendo qualche frattura. 
Shane l'aveva prontamente raggiunto, aveva tirato un sospiro di sollievo e poi aveva mollato un leggerissimo buffetto sulla spalla al ferito, sospirando.
 
Justin si era beccato una bella botta, a dire del medico che lo stava visitando.
Sì, aveva perso conoscenza per quasi un quarto d'ora e gli si stava consigliando almeno un paio di giorni di riposo -a letto, figurarsi!- ma non aveva nè fratture nè traumi, e dall'espressione che aveva negli occhi sembrava stesse meglio di loro tre, che avevano vissuto il casino dall'inizio alla fine.

La cosa che riuscì a tutti incomprensibile, fu che quando Eddie riuscì a raggiungerli e lo vide, Shane dovette trattenerlo dall' ammazzarlo.

Tutti diedero la colpa alla scossa di nervi, ma Shane sapeva che ormai c'era qualcosa di più.
*
“Ma bravo, bbbbbbraaaaavoooo, BRAVOBRAVO, bella mossa!! E adesso che credi di aver fatto di tanto grande!?”, lo apostrofò Eddie, dandogli un vero spintone, cui Justin non rispose, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie.

Fu come sventolare una bandiera rossa davanti ad Eddie.
“Credi di aver dato un nuovo mito al rock!? Bhè, ti sbagli di grosso!!”
“Piantala.",mormorò Justin, sempre massaggiandosi le tempie, come in preda ad un mal di testa.
“Piantarla!? Ci potevi restare dopo quel volo!”
“Fffff....”, sbuffò Justin, sempre ad occhi chiusi e passando a massaggiarsi le palpebre, cosa che scatenò un moto di frustrazione in Eddie. 
“Già, 'fff'.", e abbassò bruscamente le braccia, cupo. "Sapevi già di cavartela, tu, vero?”, scandì lentamente il batterista, facendo voltare bruscamente Shane verso di lui, allibito, e provocando finalmente una reazione nel suo cantante.

Gli occhi chiarissimi di Justin si spalancarono, increduli.
“Co-Cosa?”
“Pensi che nessuno lo sapesse, per caso?”, lo rintuzzò Eddie, mentre Dorian e Shane si guardarono come se il loro amico fosse diventato pazzo. 

Justin restò a bocca aperta, con sua enorme soddisfazione.
-Alè, il granduomo chiude il becco, vittoria ai punti per Edward Joyce, grazie, grazie, basta applausi!-, pensò Eddie, trionfante. 

Shane vide gli occhi di Justin rannuvolarsi come un temporale improvviso e violento e passare da quasi trasparenti al blu per la rabbia, ed alzò i suoi al cielo.

Andata.
Eddie aveva fatto la frittata, L'ENNESIMA frittata tra di loro, ma era così incazzato da non rendersene conto. 
E insisteva, pure!

“Sai che ti dico, Justin?”
“Non mi interessa.”, rispose atono il cantante, guardandolo però fissamente.
“Bhe fiorellino, non me ne frega niente, ascolti e taci, anche! La prossima volta che cascherai da un fottuto televisore alto tre metri...”
“Cinque.”, rettificò Dorian in un sussurro.
“..e ti farai male per davvero, se non ci resterai in pieno per nostra fortuna, non me ne potrà fregare di meno di te, mi hai capito? Se ci lascerai la pelle, non verserò una lacrima! Anzi, c'è la fottuta possibilità che venga a ballare sulla tua stramaledettissima tomba, se mai sarai così fortunato da averne una! Ne ho le palle piene di te! DA ANNI!!”

Justin sembrò accendersi di scatto e accennò una rapida reazione, sollevandosi, ma Eddie fu più svelto di lui; lo schiaffeggiò violentemente di dritto e manrovescio, rimandandolo disteso sul divanetto, con un'espressione incredula.
Il cantante boccheggiò un paio di volte, confuso, de Eddie avvertì una soddisfazione maligna ed intensa come mai aveva provato; come pensava che dovesse sentirsi proprio il suo cantante quando mandava ai matti qualcuno di loro, solitamente Dorian.

Era maligno e intenso, ma non solo...
Era una
-Testa di cazzo!- ,pensò inferocito mentre lo sguardo di Justin recuperava ancora l'espressione aggressiva di prima. -Sono almeno cinque anni che te le volevo dare!- 

Justin rimase a fissarlo. 
A lungo, nel silenzio che la loro lite aveva provocato, che TUTTI gli eventi assieme avevano provocato.
Lo fissò a lungo, socchiudendo lentamente la bocca e assottigliando gli occhi, tornati trasparenti e glaciali. 

Eddie non fece ora ad accorgersi che quel silenzio e quell'immobilismo attorno a loro erano falsi:  più che un'assurda sensazione, si rese conto con orrore che solo loro due erano rimasti sul posto, che  gli adetti ai lavori fossero solo dei fantasmi intangibili e che solo Dorian e Shane fossero appena più solidi degli altri, ma ugualmente congelati e muti. 

Ma di veramente reali c'erano solo loro due.
Gli scappò un pensiero disarticolato -alla fine ce l'ha fatta a portare qualcuno nel suo mondo,il bastardo!Oh adesso vedo le cose come le vedi tu, se solo ti accontentassi di me...- senza che se ne rendesse conto.

L'altro lo guardò come se avesse davanti una cosa repellente e gli (parlò) trasmise un messaggio.
'Va bene, buffone, carte in tavola!'
Eddie gli (parlò) rispose allo stesso modo, comunicando senza parlare.
-Cosa?-
'Tu sai.' 
-No, non so niente, so solo che tu non assomigli per niente a Justin, non al Justin che conosco io, e non mi venire a raccontare di stress o di puttanate varie perchè una persona non può cambiare così in pochi minuti! Io ho visto tutto di Justin, conosco Justin e tu...-, e si armò di coraggio. -Tu non sei Justin.-, sparò, tutto di un colpo.

Eddie credette di aver vinto quando vide lo sconcerto apparire sul volto dell'altro e insistè nella bolla silenziosa d'irrealtà che si era creata.
-Tu non sei Justin e basta. E anche Dorian lo sa. E anche Shane.-
Il viso di Justin sembrò avviarsi ad esplodere ed invece, dopo i due secondi più lunghi della vita di Eddie, si rilassò gradatamente in un sogghigno.
'Povero, povero Eddie! Povero soldatino che si è fatto un anno in banco alla Wenders school con una persona che non riesce nemmeno a riconoscere dopo averci passato assieme degli anni!'
-Vai a farti fottere!-
Il sorriso sparì completamente dal viso di Just per esplodere in una smorfia di rabbia fredda.
'Non ci provare.'
-Oh, che paura!-
Eddie, in realtà, stava persino fisicamente male in quel piano di iper-realtà, ma non voleva mostrare la sua paura a quel pagliaccio che una volta si chiamava Justin Swanson e si era fatto due anni di cazzate scolastiche con lui. 
'Sei nei guai, Eddie.', gli arrivò una voce beffarda. 
'Nei guai mooolto seri.'
Eddie tentò di non cedere e di rispondere ancora beffardamente, ma sentì qualcosa lacerargli violentemente il cervello e tutto tornò normale ai suoi occhi; tutta la piccola folla e Dorian e Shane ripresero consistenza, passando dallo stato di fantasmi ad esseri umani solidi, e ebbe la sensazione che fosse passato solo un attimo dall'inizio di quello strano fenomeno di irrealtà -o iper realtà, Gesù, o cosa...-
Si illuse anche di aver sognato, per un attimo.

Poi posò gli occhi su Justin; Justin sdraiato sul divanetto che aveva un sorriso appena accennato.
Justin che lo guardava con una luce beffarda e ironica negli occhi, come a dirgli qualcosa.

Forse voleva dirgli che era nei guai.
Guai mooolto seri.

Ma lui non sapeva ancora in quali guai sarebbe caduto.

Justin fece posa di massaggiarsi le tempie,con un aria infinitamente stanca,e si sistemò sul divanetto.
-Balle- ,pensò Eddie. -Hai più reattività di una centrale nucleare,schifoso contapalle!-

“Ragazzi...”, ed ancora quel gesto di massaggiarsi le tempie.
Poi si rivolse direttamente a Dorian, il bastardo.

Dorian, che alla fine ci cadeva. 
Che andava protetto, a quel punto; questo pensò Eddie, mentre iniziava ad odiare in modo definitivo Justin.
“Penso che mi riposerò un po'. Sento che mi sta salendo il mio vecchio amico mal di testa...”, e  simulò una smorfia. 

Aveva mai creduto a qualcosa di quel pagliaccio? Le sue cosiddette sofferenze?
“Semmai vi raggiungerò dopo.”, e si sistemò meglio, sorridendo esitante a Dorian. 

E Dorian, che aveva quasi le lacrime agli occhi -un altro idiota-, fece segno a tutti di andarsene. 
“Aria, resto io!”, e fissò LUI, proprio lui, Eddie, con ostilità, incolpandolo di quel nuovo malessere. “Voi andate pure. Avete già fatto abbastanza.”, sibilò.

A quel punto Eddie mandò a farsi fottere anche lui.

Il SUO senno di poi non gliel'avrebbe mai perdonata.

*
*

'Idiota!Sei solo un idiota, un idiota,un perfetto idiota!'
Tutto questo mentre Justin credeva di dormire,messaggi infinitamente nascosti al di là del pensieri incosciente.
Se avesse percepito solo un centesimo di quel che gli stava succedendo in testa, probabilmente sarebbe morto in meno di un secondo, per infinite emorragie interne. 
'Oh, per quello che sta sempre sopra a tutto, sapevo di non avere scelta, ma perchè proprio questo idiota devo diventare?!'

Dorian girellava inquieto, con una bottiglia di Guinness in mano ancora da stappare, mentre Justin si rigirava nel suo sonno tormentato; dopo dieci minuti, Katryn apparve dal backstage, gli occhi ingigantiti e vagamente acquosi e Dorian sospirò.
“Oh Dio, mi chiedevo dove fossi finita.”, mormorò, sedendosi finalmente.
“Monik... non mi lasciava più venire. Si è messa di traverso alla porta, una... una scena...”, e il suo risolino acuto si spezzò. “Non come quella che hai vissuto tu.”, sospirò e si sedette a sua volta.

Rimasero in silenzio per quasi cinque minuti, prima che Katryn trovasse il coraggio di spezzarlo.

“Come..sta?”

Dorian ci pensò, pensò alla lite con Eddie e a quella bolla di delirio irreale del concerto, prima di decidersi a dire quello che pensava veramente.
“Per ora è ancora vivo.”, e rabbrividì, convincendosi ad aprire la maledetta birra, sospirando.
 “Per ora.” 

Così si concluse, o quasi, la prima serata di quel grande evento che nessuno si sarebbe scordato in Irlanda e che purtroppo mai più si ripetè. 

**
(Un altrodove\Un altroquando)
"...è così vicino...", mormorò Dayer in estasi, socchiudendo gli occhi e alzando il naso per aria come a fiutare nell'aria l'odore dell'altro Immortale, quasi sulle punte.

Nel mentre anche Alael, nel suo altro dove\quando si alzò in un solo movimento impercettibile, silenzioso e aprendo gli occhi. 
"Non ora...", sussurrò, mettendo la mano sull'elsa della sua spada bianca. 

E come se l'avesse sentito Dayer spalancò gli occhi per poi assottigliargli, smettendo la sua aria estatica per assumerne una diffidente. 
"Non ora, se voglio continuare a vivere in pace... ma basterebbe uno scatto... uno scatto...", disse tra sè e sè, piano, mimando il gesto di ghermire. 

Ghermire la vita di qualcuno. 

E si ritrovò a sorridere veramente, finalmente; non i ghigni che l'avevano contraddistinto, non i sorrisi amari della sua specie, non i sorrisi bugiardi. Niente che avesse mai avuto a che fare con lui.

Un'espressione di felicità. 
"Non puoi più scappare...", e si ritrovò ad autoalimentare il sorriso con la sua felicità, come non potesse più fermarsi, iniziando anche a ridacchiare vezzosamente. 
"Sei mio, ormai."


Capitolo non betato; d'ora in poi, per il poco che manca alla fine, i capitoli non saranno più betati per impegni e discontinuità nella pubblicazione.
Spero di poter fare del mio meglio -ed aggiornare più in fretta, ora che dopo tanto tempo il file originale è tornato in mano mia-. 

Dedico questo capitolo ed i prossimo alla mia ormai ex-beta reader Martina-Calipso, affetta da problemi ben più gravi della mia sintassi, che è già un BRUTTO vedere\BRUTTO sentire

Ed a voi, coraggiosi lettori.


 

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Capitolo 41
*** 41. Camminando fra sogni, incubi e noia ***


41. Camminando fra sogni, incubi e noia

Mentre il respiro di Justin diventava più regolare e profondo e gli occhi smettevano di muoversi irrequieti sotto le palpebre per poter finalmente scivolare in un sonno un po' meno superficiale indotto dal calmante che gli era stato somministrato, Dorian soffriva il silenzio della situazione, sforzandosi di non mettersi a ballare sulla sedia dal nervosismo

Katryn stava educatamente seduta con le mani giunte e la testa abbassata, come fosse ad un funerale, quasi corrucciata; nessun aiuto da quella parte, sospirò internamente il biondo.

Il backstage era stato quasi abbandonato tranne che per i tecnici che smontavano e iniziavano a predisporre il palco per la serata successiva , qualche musicista vagante, (tra i quali stava di certo un irrequieto Shane a trattenere per il collo il loro manager Quentin, o sarebbe già stato lì a dare il suo contributo all'agitazione), mentre tutti erano temporaneamente emigrati al party post-live dal quale mancavano probabilmente solo loro: i protagonisti della prima e seconda serata. 
Un grande onere di rappresentanza toccava ad Eddie, pensò ironicamente il biondo; di certo era già sulla via della sbronza ridanciana, fottendosene di quello che stavano passando i suoi compagni, e per un momento Dorian, proprio quello che aveva cacciato tutti via per stare lì a guardia dei sonni dell'amico, odiò tutti per avere messo lui in quella situazione.

Justin, per la sua brillante idea di provare a imparare a volare da cinque metri d'altezza.
Eddie ,per non aver esitato neppure un secondo a minare una situazione come al solito instabile.
Shane, sì anche lui, Shane; assurdamente solo per avergli obbedito, quando aveva cacciato tutti, e poi...
Katryn. 

Per essere piombata lì di corsa dopo avergli mandato un sms un secondo prima e per starsene ora così zitta, agitandolo ancora di più.

Perchè era dannosa e se aveva un punto debole nascosto non lo aveva ancora trovato e specialmente perchè, ne era assurdamente certo, se non ci fosse stata lei Justin non si sarebbe arrampicato sullo schermo per poi cadere, come un'assurda sbruffonata da pre-adolescente come impennare con la bicicletta.
 
Ne era, in qualche modo, geloso; del rapporto esclusivo che aveva con lei e che ora tendeva ad essere minato.
Ed anche del rapporto esclusivo che lui  aveva con Justin e che sarebbe riuscita ad infrangere in poco tempo se solo avesse voluto;  dei guai che avrebbe portato, manco ne fossero stati immuni fino a quel momento. E si ritrovò, quasi con sorpresa, a fissarla intensamente, piantandosi inconsciamente le corte e pulite unghie da chitarrista nei palmi delle mani per non fare qualche atto sconsiderato come rovesciarle una sedia sulla schiena. 

Capo chino, la treccia biondo miele che le cadeva da parte ed un velo di capelli sfuggiti alla capigliatura raccolta; una madonnina raccolta in preghiera, una penitente, un' infermierina caritatevole al capezzale del soldato ferito... 
E sarebbe andato avanti con quegli assurdi pensieri scombinati per un bel pezzo se proprio la voce di Katryn non lo avesse tirato giù di peso dal suo piccolo limbo.

"Vai a farti un giro, Dorian.",  gli suggerì, guardandolo con un' improvvisa luce di sfida negli occhi blu, neanche avesse intercettato i suoi pensieri sprezzanti. "Tra un po' scoppierai, ti conosco. Stai già maledicendo il mondo e anche lui per farti stare qua. Datti tempo prima di parlarci." 

Dorian, sentendosi preso di sorpresa, trovò miracolosamente della saliva per raschiarsi la gola e accennare ad una debole protesta, mentre, come manovrate dalla volontà di qualcun altro (-o altra..-)  le sue gambe lo stavano obbligando già a tirarsi in piedi.
Non proprio del tutto controvoglia, vero?

"No...Se si svegliasse..."
"Oh, sai che differenza se trovasse me o te... ", sbuffò Katryn, cercando le sigarette nella sua minuscola borsetta e rompendo l'illusione di essere una madonnina dolente di cera con la sua aria strafottente direttamente dal 1998.

Dopo un minuscolo clic ed il primo sbuffo, con Dorian che cercava ancora una protesta credibile per non essere visto come un vigliacco, riprese la parola, ancora una volta quasi interpretando i suoi pensieri.
"Hai bisogno di calmarti prima di parlargli; non so neanche come hai fatto a stare qua tutto questo tempo, se fosse stato un mio musicista o un mio amico lo avrei svegliato per farmi dire che cazzo gli sia passato per la testa. Ora vai a farti un giro; fumati una sigaretta o anche una canna, beviti un birra in compagnia di qualcuno, somatizza almeno un po'. Vai a maltrattare quella povera chitarra. Appena si sveglia e si riprende ti chiamo io.", e si girò verso di lui, la voce fattasi gradatamente più dolce e la scintilla di sfida scomparsa misteriosamente dagli occhi.

Davvero l'aveva odiata?,si chiese Dorian, confuso più che mai da quella serata che, ben lungi dal finire, era solo al principio; davvero aveva pensato di romperle qualcosa in testa? 
Lui?! 
Non ne avrebbe mai avuto la forza, anche se ne avesse avuto la volontà: si sentiva la testa presa  in una rete elettrificata di idee convulse, come se un'anguilla o un pesce elettroforo dalla luuuuuunga coda, si fosse infilato nel suo cervello e si fosse divertito ad annodarsi.

"Vai a calmarmi Monik, fammi questo piacere...", continuò Katryn, ora assumendo un tono falsamente implorante.  "O domani sera non ci sarà nessuno spettacolo, mi metterà su un aereo per L.A. o, ancora peggio, per Montreal con una camicia di forza."

Dorian quasi dovette scuotere la testa, incredulo, per liberarsi da quel grosso casino che sentiva aggrovigliarglisi in testa ma solo una cosa fu in grado di afferrare, e si pietrificò a guardarla a bocca aperta.
"Andare a parlare con Monik... per te equivale a calmarmi?! Quella mi uccide!"

Katryn sorrise dolcemente ma con un tocco di perfidia, mentre tirava ancora dalla sua sigaretta.
"Renditi utile, Dorian, su... vai."
"Avresti dovuto scrivere gialli... hai ideato il delitto perfetto.", borbottò il biondino, finalmente avviandosi verso la porta del camerino e poi fermandosi con la mano sulla maniglia, mentre la ragazza lo osservava.
"Se si sveglia mi chiami tu..."
"...e se Monik decide di azzannarti mi chiami tu.", finì Katryn con un sorriso. "Non dirle dove sono e non accennare al fatto che sto fumando.", fu il suo commento di commiato dal biondino, prima di girarsi nel riprendere la sua posa da vegliante.

E per un secondo Dorian credette di vederle davvero una luce strana negli occhi, diversa da quella che aveva creduto di vedere prima.
Una sorta di cieca cupidigia.

Scosse ancora il capo per snebbiarsi ed uscì nel backstage, percorrendolo con occhi assenti, apprendendo senza emozioni di sorta che anche Shane se n'era andato.
Si fermò al loro camerino, recuperò un paio di sue cose e si accese a sua volta una sigaretta, prendendo due bottiglie di Guinness dal catering.
Rollando pesantemente sotto il peso caotico e informe che aveva in testa, approdò finalmente davanti al camerino di Katryn, dove trovò una sorpresa finalmente in grado di svegliarlo da quella specie di incantesimo che gli aveva lanciato la sua amica.

Monik Schreiber era seduta per terra davanti alla porta del camerino, le ossute ginocchia rivelate dalla gonna di un sobrio vestitino nero e tenute tra le braccia, anch'essa con una sigaretta in bocca aspirata come una ciminiera industriale.

Non fosse bastata la posa da adolescente in fuga, dei lacrimoni che mai avrebbe pensato più di rivedere le brillavano negli occhi di ghiaccio, rendendo il tutto più irreale, come un grottesco ritorno al passato. 

Dorian sospirò e si passò una mano in faccia.
Quella serata si preannunciava come la più lunga della sua vita. 

Si schiarì la voce e attirò l'attenzione di Monik, che non si curò di nascondere il viso o gli occhi lacrimanti e invece lo guardò dritto in faccia con aria interrogativa. 
"C'è posto anche per me, laggiù?", sospirò, offrendole una bottiglia di Guinness.

La tedesca lasciò andare un fato tremulo, mentre con una mano affusolata compiva un grazioso ma energico gesto circolare attorno a sè, alzando le spalle anch'esse ossute.

"Tutto il posto che vuoi, Dorian Kierdiing."
"Allora penso che starò quì anch'io, un po'...", si accomodò il biondino, anch'esso con la schiena contro la porta del camerino. "Ne ho bisogno."
"Di cosa? Di calma? Sei venuto nel posto sbagliato, allora...", emise un risolino acuto Monik, buttando poi giù un sorso dalla birra che le aveva dato.
"Credimi...", sospirò Dorian, aprendo la sua bottiglia con un accendino. "I buoni porti calmi, per me, sembrano essersi esauriti ormai da tempo.", e la imitò, intenzionato ad anestetizzarsi almeno un poco dal tutto.

Almeno per un po'
*
*  
Katryn era alla terza sigaretta e si era alzata a girellare per il camerino, intenta a sgranchirsi le gambe: Justin sembrava avere l'intenzione di tirare dritto tutta la nottata e lei si stava quasi annoiando.
Aveva deciso che se la situazione non fosse cambiata da lì a mezz'ora avrebbe chiamato Dorian che probabilmente avrebbe portato via in qualche modo il suo degno compare o magari l'avrebbe lasciata lì a vegliare da sola, tanto era sembrato nervoso. 

Si avvicinò a sbirciare cosa accadeva nel backstage dalla porta, quando dovette fermarsi improvvisamente: aveva sentito una voce o era il suo cervello in overdose di noia e silenzio che, come al solito, le tirava scherzetti cretini?

Si voltò di scattò e quasi la sigaretta le cadde di mano, incrociando lo sguardo con gli occhi spalancati e vigili, come non si fosse mai addormentato profondamente, di Justin che la scrutavano freddamente con un'ombra di sorriso ma niente di più, i suoi occhi chiarissimi che tanto le erano piaciuti e che ora le trasmettevano un sottile brivido lungo la spina dorsale.
Non di quelli gradevoli.

Justin che aveva provato cosa voleva dire pagare le conseguenze delle bravate del rock ed era ancora non solo vivo, ma sembrava anche reattivo.
Justin che le era sembrato incredibilmente tenero nella sua insicurezza nel parlarle che sembrava portarsi direttamente dal millennio scorso, con quella luce calda negli occhi di ghiaccio che ora sembrava raffreddatasi a contatto con essi.
Justin che non sembrava minimamente sorpreso di trovarla lì.
Sembrava non potesse stupirsi di niente, in verità...

"Come...ti senti?", chiese prudentemente la ragazza, tornando sì vicino al divanetto dove si stava tirato seduto l'irlandese, ma rimanendo in piedi.
Non era così sicura di volergli stare vicino, finchè non gli fosse passata quella strana espressione di indifferenza negli occhi. 

Justin voltò la testa verso il resto del camerino, come a cercare qualcuno, e intanto le rispose.
"Uh... addormentato. Non so cosa mi abbiano dato, ma... Beh, sì...", e si voltò verso di lei, tenendosi una mano sulla fronte ma non guardandola, stavolta. "...addormentato, insomma. Che ci fai tu qui? Dov'è Dorian?", le chiese rapidamente, lasciandola a bocca aperta.

"Dorian è... l'ho spedito via, era troppo agitato per starsene fermo."
"Via?", chiese Justin in modo insofferente, passando a sfregarsi le tempie, chiudendo quegli inquietanti occhi che sembravano porre una lastra di marmo sulla sua anima.
"Era... nervoso. Pensavo ti avrebbe agitato.", si riprese con più decisione Katryn, puntellandosi i fianchi come se avesse contestato la sua decisione.
-Ma non c'è niente che potrebbe agitarti per ora, vero, cocco? Non certo io, come sembrava anni o anche poche ore fa...-

Justin smise di tormentarsi la testa e alzò lo sguardò che lei intercettò prontamente, decisa a vedere di nuovo ed esplorare quella scintilla di indifferenza, ma questa non vi era più; vi era invece un sorriso decisamente tenero e un contatto visivo più annebiato ma quasi imbarazzato, come se l'avesse colto alla sprovvista in un momento di debolezza -o del contrario, in quel caso- personale e se ne vergognasse fortemente. 

"Grazie per essere... essere rimasta. Non sapevo neppure ci fossi.", abbassò la testa Justin, smorzando anche quel poco di sorriso che aveva prodotto. "Dorian, tu... ", sospirò. "Non mi merito tante attenzioni dopo quello che ho fatto.", sembrò soffrire ad ammetterlo.
"E che avresti fatto?", chiese Katryn, sedendosi senza accorgersene e sporgendosi verso di lui, alla stessa altezza seduto sul basso divanetto. "Cos'era quel gesto?", chiese, incapace di trattenersi, nonostante se lo fosse imposta. "E sapevi dov'eri, almeno?", sparò, quasi di un fiato.

Justin alzò di nuovo gli occhi sbarrati, sorpreso, e Katryn ebbe un lieve strizzamento di cuore.
-Ti pare giusto accanirti come la peggiore iena di paparazzo sulla faccia del pianeta? Guarda com'è smarrito, non sa neppure dov'è tra un po'...-, per poi correggersi, dubbiosa dei suoi stessi pensieri. -...non ora, almeno. Ma prima lo sapeva benissimo. Giusto fino a tre secondi fa.-

"Io... a pensarci adesso sapevo dov'ero.", si passò la mano in faccia Justin, le spalle basse per poi continuare, così come gli sembrava venire. 
"Ero da qualche parte ma non su quello schermo. Non so se ti è mai capitato... Ma non ero lì. Ero con tutti e non ero lì allo stesso tempo. Mi stavo godendo lo spettacolo e ne ero parte.",disse di un fiato, quasi come un sussurro colpevole. "E mi sono svegliato sullo schermo. E sono caduto.", e la fissò, con una nebbia di consapevolezza che gravava sullo sguardo. "Come un imbecille."

E fu così che mentre Justin sembrava voler iniziare ad autocommserarsi e forse anche piagnucolare un po',  forse per abbattere quel velo che aveva negli occhi e che non le piaceva, Katryn scattò col braccio gli prese una mano quasi con ferocia, costringendola a guardarlo.
"Non sei sembrato un imbecille.", gli disse, quasi ringhiando. "Non importa cosa ne diranno gli altri. Io ti ho visto.", e Justin fece per ritirare la mano, come preso da un colpo basso, ma lei non lo lasciò andare, le unghie curate smaltate di argento ad un millimetro dal fare male. 
La sua stretta era quasi minacciosa, ora.

"Sei tornato dov'eri quando scrivevi queste canzoni, o dove sognavi di essere... Stavi camminando in un sogno.", gli sibilò parola per parola, come ad imprimergliele in testa. "Io ci sono stata, spesso.", e per un momento sembrò che volesse entrargli nella testa e fu...
...Incredibilmente piacevole, come un collegamento mentale stabile e non sempre oscillante, come in tutta la sua vita.
Il piacere della comprensione, pensò Justin; quello che non aveva mai trovato. 

"Ma non sei mai caduta.", sussurrò suo malgrado Justin, affascinato dalla situazione. 
 "Solo perchè non ho passerelle aeree", e si lasciò sfuggire una risatina cupa, lasciandogli anche la mano ma riprendendo lo sguardo ferreo. "Perciò, se anche ti affosseranno per questo, non lasciare che te lo impediscano mai più.", e si alzò di scatto per prendere il cellulare per chiamare Dorian.

Il suo tono sembrava voler aver detto:'DISCORSO CHIUSO', a caratteri cubitali, ma ritenne suo dovere aggiungere qualcosa ai molti dubbi sempre presenti di Justin, se lo conosceva e lo ricordava o se LUI si fosse ricordato di quando lo conosceva.
Mentre premeva i tasti, evitò di guardarlo ma il ragazzo sentì la durezza nella sua voce e una sorta di ombra, come qualcosa che la perseguitasse in quelle cose.

"Non lasciare mai che ti impediscano di camminare nei tuoi sogni. Li hai creati apposta per te, non per loro."

"Se i miei sogni fossero stati così, ti giuro, avrei evitato di metterli al mondo...",mormorò Justin, lasciandosi andare con la testa sul divanetto, chiudendo gli occhi mentre un leggero brivido percorreva il suo corpo e gli increspava i capelli all'inizio della nuca. 

"Come?"
"Stavo dicendo: chi stai chiamando?"
"Dorian. Gli avevo promesso che l'avrei chiamato se ti fossi svegliato bene.", e prima di girarsi gli spedì uno dei suoi sorrisi che, come al solito, gli aumentavano il battito cardiaco e gli facevano temere per la sua salute. 
"Dove l'hai...mandato, così per curiosità?"
"Boh... mi aveva promesso che avrebbe parlato con Monik, era piuttosto incazzata che fossi scappata via..."

E una risata la sorprese, mentre il cellulare finalmente iniziava a squillare.

Justin, che era caduto da cinque metri da terra mente camminava nei suoi sogni e poi era stato sedato con una dose di rincitrullina, stava ridendo di gusto.
"E...l'hai mandato alla morte per calmare il suo nervosismo?", riuscì ad infilare, tra una risata e l'altra. "Ragazza mia, se volevi delle scuse per stare sola con me non era necessario uccidere il mio chitarrista!", e riprese a ridere di gusto, una risata sana e spassosa e, perchè no?, contagiosa, tanto che iniziò a ridere anche lei.
"Beh, sai come si dice... Ogni mezzo è valido quando si ha un buon fine!"
*
*
Dorian stava ignorando suo malgrado  la tanto attesa chiamata sul maledetto cellulare che stava tentando di scavare una buca nella sua tasca con la vibrazione che gli aveva messo.

" Cosa è successo, Monik?"

La tedesca mandò quasi una sghignazzata, mentre frugava nella borsa  alla ricerca di sigarette; Dorian ne era impressionato, la ragazza era alla settima sigaretta di fila e alla terza Guinness che solertemente le portava, ma almeno sembrava che fosse receduta dall'improbabile eventualità di scoppiare a piangere a dirotto o affossarlo a badilate nei denti con improvvisi scatti di rabbia. 

Si schiarì la voce, deciso a ripetere la domanda.
"Allora, cosa..."
"Ti ho sentito, Dorian.", sbuffò Monik, accendendo ormai l'ottava Marlboro spaccapolmoni.

Dorian non era certo un santo quando si trattava di fumare, ma persino lui iniziava a navigare a vista nella nebbia creatasi!
"E non ti và di rispondermi?", provò a chiedere, il più dolcemente possibile.
"Cosa vuoi che ti risponda...", e la bondina riprese quella sua mezza sghignazzata tra il maligno ed il malinconico. "Non riesco a tenere a bada Katryn da quando è qui. E' già dura metterle un freno di solito, ma da quando è sbarcata all'aereoporto si sarà fermata in hotel sì e no per due ore per cambiarsi e perchè le facessero i capelli, ed oggi uguale!", e gli piantò addosso due occhi che conosceva benissimo, punteggiati di strali di colpevolezza. "Voleva vedere te... e adesso ci si è messo pure il tuo amico!"

Dorian sospirò, passandosi una mano tra i capelli sudati che non aveva provveduto a lavare nella baraonda alla fine del concerto.
"Per quello non sei ripartita per Los Angeles?"
"E cos'avrei fatto a L.A?!Stretto accordi economici, organizzato date e supervisionato a mille stronzate ed avrei lasciato che stesse qua a...a....", e strinse i pugni, quasi volesse spezzare il collo della bottiglia che aveva preso in mano e poi esalò un respiro. "Io nella città degli angeli a curare bazzeccole e lasciarla qua...",e finalmente lo guardò, facendolo trasalire.

Le lacrime erano riapparse ma non erano le stesse di prima: ora era come se un velo di rabbia le ricoprisse gli occhi, rendendoli notevolmente più lucidi, pericolosi ma bisognosi allo stesso tempo.
Quando lo guardò, Dorian ebbe voglia che non parlasse, dirle che aveva già capito tutto oh-grazie-signorina, ma non potè; aveva chiesto, era rimasto con lei e poi...

E poi aveva dei debiti a lungo termine con lei, vero? 
Debiti lunghi come serpi; cose che forse l'avevano trasformata dalla creature dolce e ingenua che era stata a quell'essere d'acciaio che non poteva mai mostrare la propria sofferenza, che aveva bisogno di credere in qualcuno e solo uno, o meglio una, per sentirsi viva.
Che per la seconda volta nella sua vita aveva rinunciato ad essere sè stessa, annullandosi per un'altra persona. 

"Volevi che l'avessi lasciata qua nelle mani del tuo amico?! Pensi che non sappia cosa sta facendo?!"

Dorian chiuse gli occhi, sentendosi colpevole per due e apprestandosi ad aprire una discussione.
"Monik, Justin non è come sembra..."
"No, non lo è...", sembrò riflettere lei, le unghie sbiancate dalla forza con cui teneva il vetro. "Non lo è mai stato, te lo posso concedere. E non ci crederai ma quando eravamo più giovani mi faceva pena, persino. Ha sempre avuto l'aria di aver perso un pezzo importante della sua vita.", e tirò dalla sigaretta, mentre Dorian metabolizzava che per la prima volta Monik aveva accennato al loro passato comune. 
"Ma non mi interessa. Lei non sarà il pezzo che lo completerà.", scandì, guardandolo bene come ad imprimergli il messaggio, prima di iniziare a parlare a valanga, come dovesse vuotare il sacco.

Che diavolo, quella ragazza DOVEVA vuotare il sacco, probabilmente; forse da anni, anni e anni.

"Quando... quando la band la lasciò, dopo il tour con gli Smashing Pumpkins, dopo avervi conosciuto, rimanemmo in contatto. Io me ne andai dal Trinity College poco dopo che... vene andaste anche voi da Dublino e terminai di laurearmi a Berlino in Scienze della Comunicazione.", soffiò dalla sigaretta. 

Sembrava ringiovanita di quattro o cinque anni; la sua fidanzatina, la prima volta che aveva fatto l'amore con una ragazza, negli scomodi dormitori del Trinity.
Oh Dio, si gelava in quel posto quando pioveva, stava ricordando Dorian, come se avesse sepolto quei suoi ricordi così belli e puri talmente sotto tante scorie che ora riportarli alla luce faceva male. 
Tanto male che sentiva anche lui il bisogno di piangere, almeno un po', mentre Monik continuava, implacabile e forse un po' sbronza. 

"Vi era l'occasione di andare a New York per un corso di specializzazione e quando venne a trovarmi a Berlino, quell'estate, decidemmo di andare. Fu una di quelle cose che pensi dureranno un anno al massimo, come i vostri corsi Erasmus, e poi riprenderai la vita normale. Lei si era iscritta al college a Vancouver per passare il tempo, lavoricchiava come cameriera e continuava a cambiare gruppi, insoddisfatta; persino a Berlino, nel mese che venne da me, riuscì a suonare in giro con delle ragazze.", ridacchiò.  "Era incontenibile."

-Un bel ricordo-, pensò Dorian, mentre contemporaneamente tentava di pensare se lui avesse mai avuto il coraggio di fare una cosa simile. (-Sì, tu sì... Ma avresti dovuto abbandonare gli altri. E non l'avresti fatto...-)

Monik aspirò l'ultimo tiro e buttò via la sigaretta, non cercando neppure di prendere un'altra, gli occhi interiori fissi al passato. 
"Beh, a New York ci rimanemmo per due anni, infine: io non finii mai il mio corso di specializzazione se non sul campo, visto che riuscii a farle avere un contratto con un'etichetta indipendente.", e storse il naso lievemente. "Il disco non mi piaceva, era troppo infarcito di quei suoni di cui New York era piena. No wawe, minimal sound, pretese artistiche e non metteva in risalto la sua voce, ma le melodie del suo basso erano sporche e ci sembrava la cosa più innovativa mai fatta.", ridacchiò amaramente.
"La stessa etichetta distribuì anche il secondo disco e tra me e lei convincemmo che lasciare più spazio al rock convenzionale sarebbe stata una fortuna ed effettivamente ottenemmo un po' di spazio ma sai com'è...", e gonfiò le guance in un modo comico. "It's Niuuuu Yaaaaark, beibi! O accetti o te ne vai. Ci sono più artisti che pavimentazioni. Ne uscì un disco di college rock, abbastanza indie, e le radio iniziarono a passarla; iniziò a fare tour in NordAmerica e in piccoli posti in Europa quando ormai voi eravate lanciati come boyband ma non era ciò che cercava. Era... troppo poco per lei. Nonostante il disco girasse bene non avrebbe trovato posto e lei riesce ad esprimersi solo in grandissimi posti. ", sospirò.
"Fino a questo.", disse Dorian, guardandola.
"Fino a questo.", ripetè Monik, pensierosa. "Questo è il suo vero via. Questo è il su e gù che abbiamo fatto assieme negli Usa e in Europa.", e si voltò a guardarlo, sempre con quell'aria assorta. 
"Questi sono i pasti che abbiamo mangiato, i locali dove siamo state, le contrattazioni furibonde che ho fatto e gli spettacoli non sempre buoni che ha tenuto, il come si muore di fame ad essere un artista 'di culto' e dormire nello stesso letto della tua assistente; i litigi che abbiamo fatto perchè potesse andare avanti e le nostre idee contrastanti anche solo su che spilla portare. Questi sono tre anni di speranza che hanno covato e spesso è stata persa, ma in cui sapevamo almeno di avere l'un l'altra. A dispetto dei ragazzi che ha avuto lei, a dispetto dei ragazzi che ho avuto io, delle nostre famiglie.", riflettè, non vedendolo, per poi riprendere quel poco di colore che aveva negli occhi e fissarlo.

"E non permetterò al tuo amico di tarparle le ali. Lei 'vive'. Vive i sentimenti con una forza inaudita. Questa è la sua arma migliore e anche la sua dannazione."

Monik si alzò, lasciando Dorian a bocca aperta.
"Justin invece non se la saprebbe cavare da solo; ha te e gli altri, ma ha specialmente te, io l'ho sempre saputo.", e per un momento gli occhi le scintillarono. "E non permetterò che si appropri di nessun altro. Ha già avuto tanto per poter andare avanti, debole com'è."

Dorian si tirò in piedi anch'esso, colpito da un pensiero e non volendo anche lasciare il suo amico in balìa di quel fuoco di fila di accuse; no, non era solo fastidio, forse era anche il desiderio di tappare un attimo la bocca alla presunzione che stava inavvertitamente sfoderando Monik.
'Loro' due, lei e Katryn avevano fatto, visto, viaggiato, sofferto, vissuto...
E 'loro',  invece? Avevano vissuto la vida loca e poi si erano ritrovati per miracolo lì sopra? Non avevano sofferto anche loro? Non si erano separati?

"Hai solo paura che ti abbandoni.", scosse la testa, preparandosi a morire per mano della sua ex ma non smettendo. "E prima o poi accadrà.", e la sfidò con gli occhi, guardandola.
"Sei la sua manager, la sua assistente. Non sei la sua famiglia. Prima o poi ne avrà una e ti abbandonderà.", sussurrò, avvicinandosi.

Era ancora attratto da Monik?
Se in quel momento lo era, vi era qualcosa di fascinosamente perverso nel modo in cui si stavano piano piano avviluppando in quella tela di bisogno e pericolo, come due serpi; era un qualcosa che non aveva mai sperimentato ma che forse Justin avrebbe potuto spiegargli. 

La biondina sorrise, come avesse capito cosa stesse pensando a proposito, e si avvicinò a sua volta.
"No. Questo non mi fa paura, è per chi mi abbandonderà che temo. Perchè temo che allora tornerà, dopo avermi abbandonato, e io non so se saprò perdonarla e rimettere a posto i cocci.". 
Fece una pausa, pensandoci e poi scuotendo la testa.
" Ma è inutile preoccuparsi, ora.", e ampliò il sorriso, dolcemente. "Abbandoneranno anche te. Prima di me.", e gli sfiorò un mano con la sua. "Nel frattempo che ne dici di farci compagnia?"

"L'avevo detto che sarebbe stata una lunga notte.", mormorò Dorian, come inebriato da un profumo velenoso e accettando che la mano di Monik lo trascinasse via.
*
*
"...ffffffffff...."
"Che hai detto?" 

Katryn e Justin erano ancora nel backstage, ora lievemente imbarazzati e confusi.
Justin sospirò.
"Non ho detto niente. Senti, mi daresti..."
"No, non ho intenzione di farti fumare.", ribattè la ragazza, seccata dall'ennesima richiesta.
"Oh Dio, dai! Mica mi metterò a fumare dalla testa!", si scocciò Justin, anche lui con i nervi logorati. Dove cavolo era finito Dorian? Dov'erano tutti?

-Ti abbandonano, come sempre-
'Vaffan...'

"Hai un trauma cranico, non puoi fumare."

Justin sbuffò e incrociò le braccia al petto, irritato. 
"E se ce la svignassimo per una birra, per favore?"
"E di certo non potresti neppure bere!", lo rimbeccò la cantante. "E poi tu sei pazzo, Monik mi farebbe a pezzi! Sono già convinta che se Dorian non risponde al cellulare è perchè l'ha già ucciso e sta cercando dove scavare per sepellirne il corpo!"
"Uff... Ma che sei, la mia secondina?!"

Solo dopo due ore di rimbeccate e frecciatine superficiali e fastidiose, annoiati quanto bastava per mandarsi quasi al diavolo solo per movimentare l'ambiente, Shane li trovò con sua enorme sorpresa e poterono finalmente andare a dormire in pace.

Ognuno nel suo maledettissimo hotel.

**

Era finalmente libero, libero di volare, di nascondersi dalla gente o di poter gridare a pieni polmoni tutto quello che gli sarebbe passato qua e là per la testa.

Era LIBERO, e lo stava per fare.
Dorian camminava su un palco alto quattro metri, con Phoenix a tracolla, in un'arena in Germania; non ricordava la città, ricordava che il pubblico era straniero perciò niente uscite in slang.
Era il glorioso tour estivo con il successivo asfaltamento degli stadi. 

Eddie era già posizionato alla batteria, mentre spingeva e tirava lo sgabello per riuscire a trovare una posizione che gli permettesse di darci senza pietà per due ore e mezza minimo, sempre se non avesse rotto il rullante come il concerto prima.

Dorian aveva un vago ricordo del suo amico d'infanzia che sollevava il rullante per mostrarlo al pubblico in un'altra città, ma non ne era più tanto sicuro. 

I suoi ricordi iniziavano a farsi fumosi, in quel momento, mentre si avvicinava sempre più alla pedalboard che aveva calibrato col suo tecnico del suono (credeva e sperava) e al microfono. 
Mentre saliva alla luce, il buio inghiottiva il passato. 

Shane era stato il primo ad uscire, come sempre. 
Quella cosa non sarebbe mai cambiata: Shane usciva, si prendeva il primo, enorme boato e lasciava un grosso mormorìo fino a quando usciva Dorian e il boato ripartiva.
La musica di sottofondo era martellante ed insipida techno e il bassista iniziava a farci qualche nota, per stuzzicare il pubblico; una martellante base con un basso che fissava delle note continue delle loro canzoni.

Shane era un pazzo ed era creativo e sapeva come far montare l'onda.

Finalmente Dorian era arrivato alla sua postazione ed aveva attaccato Phoenix, con un leggero feedback, alzando il braccio sinistro per salutare il boato che l'aveva accolto.

Quella massa senza nome era là per ubriacarsi di loro, mentre lui era già ubriaco della folla, non sapeva più neppure il suo nome e le informazioni basilari si perdevano nel suo cervello, mentre se ne stava là, alla luce.

Ed annegava il resto nel buio, l'oblìo, la scelta che aveva fatto.
Da dove, lentamente e con passi lunghi ma calmi, come avesse aspettato quel momento per tutta la vita, usciva Justin, i capelli new wave neri e gli occhi azzurri incorniciati, finalmente alla luce. 

E mentre sorrideva e salutava, si girava a guardarlo, guardare il suo miglior amico emergere alla luce, con quel sorriso speciale che riservava solo a loro e al palco e solo quando c'era quell'energia, dai tempi della Wenders School. 

Ma Justin si fermava, poco prima dell'inizio della luce, e ricambiava il suo sguardo. 

Non vi era il sorriso speciale.
Non vi erano gli occhi luminosi.

Justin restava nell'oscurità e si stringeva le braccia attorno, in un autoabbraccio consolatorio che nessun pubblico, nessuna chitarra gli avrebbe dato.

E in quegli occhi che Dorian avrebbe fatto di tutto per vedere ancora sorridenti, non vi era gioia nè perplessità. 
Vi erano solo pozzi di paura.

Paura di lui.

**

Dorian fracassò una lampada da tavolo, nei suoi tentativi di svegliarsi da quello schifo, e quando ci riuscì non potè trattenersi dall'afferrarsi alle coperte con un rantolo disperato che si trasformò quasi in un lamento.
Accanto a lui una testa bionda, molto bionda, si alzò di scatto, con le enormi pupille dilatate e, come in un'acrobazia, subito in piedi, sebbene in biancheria intima: Dorian (e nessun'altro che la conoscesse) non avrebbe mai pensato che Monik Schreiber conoscesse il termine 'spavento' ma in quel momento era chiaramente intimorita.

Da lui. 

Per un momento ancora, Dorian annaspò, rovesciando anche una bottiglietta d'acqua e facendo ancora sussultare il quasi inesistente seno della sua compagna di letto, poi si irrigidì e si lasciò cadere sul cuscino, esausto.

-Un fottuto sogno, un fottuto, stronzissimo sogno, ma cazzo... Dio che male alla testa, perchè mi sono svegliato in questo modo!?-
"Dorian?"
"Sto...bene. Ho avuto un incubo."

Monik, ripreso il suo piglio d'acciaio (che in quelle ultime dodici ore si era notevolmente ammorbidito ma mai scomparso), si risedette sul letto così com'era, in biancheria nera sexy, allungandosi a prendergli una mano.
" Sei in una pozza di sudore."
"Io... Sì, immagino.", sussurrò Dorian, passandosi una mano sulla fronte e trovandola veramente bagnata del suo stesso sudore freddo. "Non capisco, era un sogno... stupido. Non so perchè mi sono agitato così.",e veramente non lo capiva.
-Era vivo. Reale. Era reale, porcaputtana! Eravamo là, c'eravamo tutti come avevamo sempre pensato, e lui... non voleva esserci. Aveva paura di me.-
All'agitazione si sostuì la rabbia in fretta, peraltro anch'essa ingiustificata.

Non era giusto. Non sarebbe stato giusto, se fosse stato reale! 

Monik si stava alzando e stiracchiando con calma, sbadigliando ed accendendo il cellulare; probabilmente sarebbe sparita in bagno per mezz'ora a controllare dove fosse Katryn  e come stesse andando l'allestimento del prossimo spettacolo (quel pomeriggio sarebbero rotolate teste) e per una doccia veloce. 

Un rutto acido stava per salirgli dalla gola e tentò di ignorarlo. 

Era scappato dal suo sogno.

Quando Monik tornò dalla rapida doccia, si fermò sulla porta del bagno ad osservarlo, non vista.

Il lato dolce della ragazza tornò a galla per un momento, mentre osservava quello che in altri tempi aveva considerato il suo compagno di una vita, andare volontariamente incontro all'oblìo in un modo talmente disperato quale lei non aveva mai visto. 

La chioma bionda e splendente di Dorian ormai unticcia dalla mancata doccia dalla fine del concerto della sera prima e dalla sudorazione eccessiva che aveva accompagnato quell'incubo, il tremito alle mani che gli avrebbe reso impossibile suonare qualsiasi chitarra, i meravigliosi occhi verdi arrossati.

Si schiarì la voce, ermegendo -oh, almeno lei- dall'oscurità.
"Dorian... hai preso qualcosa?"
"Un'aspirina.", disse lui, lapidario, alzandosi. "Devo andare."

"A fare cosa?", emise un'amara risata lei, per nascondere che, non volendo, la quasi profezia espressa proprio da lui ieri sera, si stava compiendo sotto i suoi occhi.

La stava abbandonando, no?
"Io...", e si fermò, Dorian, mentre i primi raggi d luce filtravano dalla tapparelle abbassate dell'hotel e colpivano i suoi occhi, come dando loro un nuovo vigore. 
"Devo recuperare i miei sogni...", mormorò, sedendosi e rinunciando ad allacciarsi i jeans. 
"Credo di averli persi, da qualche tempo..." 

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Capitolo 42
*** 42. Il dolce succo della riconoscenza ***


42. Il dolce succo della riconoscenza 

*avviso: rating leggermente più alto, scene di sesso non esplicite*


Dorian arrivò nel backstage di Katryn per provare 'Pictures of you' in un ritardo mostruoso;  trovò il palco deserto e la ragazza che vi girellava sopra come una tigre affamata, battendo impazientemente nel palmo di una mano un microfono Shure, come un direttore d'orchestra nervoso con una bacchetta. 

O un vecchio maestro irlandese con ben altra bacchetta, pronto per vergare le sue tenere e ammirate chiappe. 


"Si può sapere dove sei stato?!", le mandò un'occhiataccia da stenderlo.
"Con Mo...", provò, ma venne interrotto.
"Intendevo IERI SERA!", sbuffò Katryn, irritata. "Mi hai lasciato con quella statua di sale del tuo amico! Da quando si è svegliato non ha fatto altro che rimanere in silenzio e darmi sui nervi! Ho provato a chiamarti mille volte ed anche lui! Dove avevi il cellulare, nei pantaloni assieme al cervello?!"
"Sono stato con Monik!", si giustificò Dorian, allibito.
"Lo so. Cicciobello, io so TUTTO!", ed enfatizzò le parole con un movimento ampio del braccio, come una ballerina classica. "SO che sei stato con Monik, evviva evviva, e non pensare sia così sprovveduta, anzi! Ti farei persino un monumento, Dio solo sa se quella ragazza non aveva bisogno di una scopata come si deve, oggi mi ha persino quasi lasciata in pace!", disse di tirata, per poi portarsi una mano alla fronte, come le sovvenisse un mal di testa. "Ma l'avermi lasciata con Justin finchè è arrivato il vostro amico a...a liberarmi da quella sorta di immobilismo..."
"Kat, era appena caduto da...", ri-provò Dorian, ma venne immediatamente fermato. 
"E io me ne SBATTO! UNA STATUA DI SALE!!", ripetè Katryn, incrociando le braccia davanti a sè, risoluta come Johnn Goodman ne 'Il grande Lebowsky'. 

Dorian sospirò e prese la chitarra baritona, mentre Katryn si sedette con la sua acustica e ne saggiò l'accordatura. 

"Posso salire o vuoi sbranarmi?"
"Ma sali e suona, per l'amor di Dio, che tra quattro ore saremo di nuovo qua...", sospirò Katryn, mettendo un parziale coperchio sui suoi bollenti umori. 

Dorian salì le scalette e si sedette alla sua sinistra, mentre a sua volta pizzicava la chitarra, osservando l'amica tutta concentrata sullo strumento.
"Posso farti una domanda?"
"Una sola e poi partiamo.", gli concesse Katryn, osservando i tecnici che microfonavano il tutto in fretta e furia. 

"Justin, ieri sera...", e si interruppe, colto da un pensiero. 

Erano fatti suoi?
No che non erano fatti suoi, neppure lontanamente (oddio, forse l'essere in mezzo tra due amici sì...) ma come aveva previsto in tempi non sospetti, il re-incontro tra Katryn e Justin avrebbe fatto perdere molti anni di vita a LUI!

"Justin ci ha... provato, insomma?", finì, pensando che la vita era proprio ingiusta con lui.
Lui fino a pochi anni prima avrebbe voluto solo fare l'angioletto suburbano, suonare la chitarra e uccidere Justin; non necessariamente in quest'ordine.
E guarda dove l'aveva portato la vita, quella perfida cattivona. 

"Provato?", finse di pensare Katryn, appoggiata alla chitarra -o meglio, stravaccata-. "Sì. A farmi saltare i nervi. Ed io a lui. Siamo stati sulla stessa, perfetta linea d'onda di noia, sarcasmo e renderci inutili.", ironizzò, per poi tornare seria. 
"A volte mi guardava fisso, però... Ma dubito fosse quelle stupidaggini da sguardo di sfida o mi guardasse il culo.", e si girò a guardare Dorian, perplessa. "Penso che si accorgesse conto solo a tratti che ci fossi. Forse quella botta gli ha fatto più del previsto." 

"Boh...", borbottò Dorian, pensieroso. "Vedremo come stà al party dopo il concerto, stasera..."
"Sei pazzo?!", sembrò quasi inorridire Katryn. "Venire al party dopo il tentativo di Icaro di ieri sera?!"
"Mia cara, non sai cosa può fare quell'essere dannato...", sospirò Dorian comicamente, strappando finalmente un sorriso all'amica, ma tenendo il resto del pensiero per sè.

-...specialmente visto il party si tiene dopo il tuo concerto. E sa che ci sarai di sicuro...-, e tenne il resto per sè; c'era ancora un 0,1% che le sue teorie di cuoricini e loveintheair fossero errate. 

"Beh, cominciamo?"
"Aspettavamo solo lei, Lord Kierdiing!", ironizzò Katryn, finalmente calmatasi.
*
*
Le previsioni di Dorian si dimostrarono clamorosamente sbagliate: Justin non piombò come un corvo all'afterparty.
O meglio, NON SOLO.

Si introdusse nel backstage di Katryn ben due ore prima dello spettacolo e si posizionò in un angolino, non volendo disturbare e sperando di non apparire come un curioso -cosa che in cuore suo sfiorava la patologia, più che la passione-, aspettando il momento adatto per poter fare due parole con Katryn, ma nonostante cercasse in tutti i modi uno straccio di contatto visivo, per quasi un'ora e mezza il tutto fu inutile.
In compenso ebbe modo di osservare in modo molto accurato la sua preparazione; la rocker sembrava possedere una calma olimpica, sebbene Monik l'avesse persino spinta una o due volte per affrettarla, che non perse mai durante quel tempo.

Passava con grazia leggera, quasi sbadata, da un impegno all'altro; sotto le mani dell'hairdresser per un leggero ondulamento delle chiome biondo ramato e la sistemazione di qualche extensions, sotto le mani della make up artist e con un personal trainer per scaldare i muscoli, per finire a parlare con i musicisti per eventuali dubbi. 
Il tutto attraversando il backstage come una farfalla ma inesorabilmente, senza mai fermarsi, cosa che scoraggiò notevolmente Justin, che sentiva ormai le gambe addormentate e le sue chanches di poterle parlare sfumare via via sempre più velocemente.  

-Quasi un'ora di esercizi vocali... questa è una body builder della voce.-, stava pensando, mentre solo la vorace curiosità e il solito fascino del proibito dell'essere nel backstage altrui ormai gli negava di andarsene, quando Dorian sbucò anch'esso nel backstage e se lo ritrovò davanti, sorpreso. 

"E tu che..."-...diavolo ci fai qui.-, sarebbe stata la legittima prosecuzione, ma Justin lo fermò prima che parlasse ed alzò le mani, ridacchiando e spalancando gli occhi simulando un'innocenza da galeotto. 
"Calmo, calmo! Non voglio fare niente di male e neanche riprovare a volare da un megaschermo, anzi se vuoi puoi pure perquisirmi. Anche se sospetto che la cosa potrebbe piacerti.", ridacchiò.

Dorian si guardò attorno, poi si posizionò direttamente ad un passo di fronte per parlargli; con quel gesto potè così abbassare notevolmente la voce senza farle perdere un millesimo dell'acredine che voleva trasmettergli.
"Ha rimproverato ME per la tua noiosità, ieri sera! Si può sapere che hai fatto per farla innervosire così prima di un concerto? Possibile che ancora adesso ti serva la balia?! "
"Cosa?! Io non ho fatto niente.", si stupì Justin, mostrando anche un po' di imbarazzo. "Dov'eri TU, piuttosto! Mi sono svegliato dopo essere stato sedato con dosi da cavallo,  aver sbattuto la schiena per un volo da un megaschermo,  intontito e con solo voglia di lamentarmi o di sapere qualcosa a proposito della mia vita futura e mi trovo lei, che ieri poi...", e si fermò, mostrando che un rossore diffuso si stava diffondendo sulla sua faccia.

"Beh, qualsiasia cosa tu abbia fatto, non l'hai fatta bene.", lo stuzzicò malignamente Dorian. "STATUA DI SALE, ti ha chiamato, e più di una volta! Incredibile, se non avessi informazioni di prima mano avrei risposto che è impossibile passare una serata noiosa con Justin Swans..."
"DOVE CAVOLO ERI FINITO,TU?!", lo afferrò all'improvviso per la giacca di pelle Justin, in uno scatto. "Se avessi risposto a quel cazzo di cellulare non sarebbe successo niente!"
"Se non mi molli immediatamente prendo il primo aggeggio che mi capita a tiro e te lo spacco in testa, così se il volo di ieri non ti ha lasciato segni ci penso io, razza di...!"

"COSA CAZZO STATE FACENDO, VOI DUE, NEL MIO BACKSTAGE?!",li gelò una voce acuta, fermandoli in tempo dalla solita minirissa pre-concerto. 

"Beccàti...", soffiò Justin, lasciando Dorian, con gli occhi che mandavano ancora scintille ma ora anche un po' divertito.
"Parla per te.", si raddrizzò il colletto Dorian, con la solita aria offesa da lord. "Io qui ci devo SUONARE!"

Si girarono e, mentre Dorian si avviò verso i musicisti, oltrepassando Katryn che in posizione di attacco con i pugni sui fianchi stava fulminando Justin, questi si sentì in dovere di avanzare dalla sua posizione retrocessa per mostrarsi alla luce, con un sorriso nervoso.

"Io volevo solo..."
"...fare a pugni col tuo chitarrista e rovinarmi l'intermezzo acustico.", finì per lui Katryn, rivelando che la sua calma pre-concerto era solo una maschera finemente costruita. 
"No, cioè... So come ci si comporta in un backstage.", sembrò stupito e persino un po' offeso Justin.

"Cioè?", chiese lei, ironica, mentre Monik le si affiancava, lanciandogli un'occhiataccia di puro acciaio tedesco che teneva in serbo apposta per lui dalla sera prima. "Ridurlo a brandelli, litigare con i membri della tua band e poi uscire in qualche modo? E' così che vi preparate per un concerto, voi?"

Un pensiero colpì contemporaneamente sia Dorian che Justin, che si fissarono negli occhi e poi scoppiarono a ridere.
-Se solo sapesse...!!-

Uno dei rari momenti di telepatia che alla Wenders school li caratterizzava così spesso e che poi, essendosi sempre più spesso contrapposti, erano diventati ormai solo ricordi.

Justin lo prese come buon auspicio e decise di giocarsela, visto aveva ormai una platea ad osservarlo ed un riflettore inesistente ad illuminarlo ad occhio di bue.

Katryn continuava a fissarlo, sollecitando violentemente con lo sguardo delle spiegazioni esaustive della sua presenza, incurante della truccatrice che le si affannava a stendere il fondotinta.
"Katryn, se non ti siedi non riuscirò a stendere bene del tutto questo..."
"E mollami, Samantha!!", quasi la aggredì, avanzando di un passo verso la poveraccia. "Già non sopporto tutto questo cerone in faccia che si squaglia alla quarta canzone!!"
"Ma io..."
"MA TU vai lì e mi aspetti, e mentre faccio una paio di parole con quel guastafeste pensa a come alleggerire questo trucco da Cleopatra!!", e alzò gli occhi e le braccia al cielo in un gesto drammatico come per mandare al diavolo il tutto. "Mollatemi due secondi, checcazzo!"

Monik le sibilò qualcosa in tedesco direttamente nelle orecchie, ma la canadese non le diede bada ed avanzò verso Justin decisa, anzi dandole come risposta solo uno scuotimento di testa che fece innervosire ulteriormente la tedesca, tanto da mandare un'altra occhiata carica di odio liquido a Justin, che non si fece scrupoli a risponderle con una linguaccia infantile che fece ridacchiare Dorian (che però, nel frattempo, pregò per la sua anima e si tenne ben nascosto dietro un batterista più alto di lui). 

Justin si apprestò quasi a godersi la scenetta da lui creata... ma nello stesso momento si trovò davanti Katryn, che di infantile non aveva proprio nulla a giudicare dallo sguardo, lontanto ancora dall'essere sopito. 

"Io...",  Justin arrossì violentemente, cercando aria. "Io... ciao."
"Ciao.", ribattè serafica lei. "Che ci fai qui, oltre a mettere caos, fare incazzare la mia manager e tentare di scazzottarti con Dorian che, ti ricordo, stasera serve a me e non a qualche tuo giochetto tipo punching ball?"

"Io... volevo solo scusarmi!", rispose Justin, sorpreso. "Lo giuro, solo che... non volevo disturbare e cercavo il momento adatto."
"Ah, più adatto di così...", sospirò Katryn, portandosi le mani alla schiena, come fosse già provata dall'esibizione. "Devo riconoscere il tuo NON- tempismo eccezionale, Justin Swanson."
"Ma...io...davvero.", si ingarbugliò Justin, non sapendo più come spiegarsi e lanciandosi in una spiegazione quantomeno spezzetata e farfuggliata ma che, sperava, sarebbe forse servita a qualcosa, quantomeno a giustificare la sua presenza.

"Ieri sera sei andata a letto tardi... per colpa mia, ovvio, sì! Ed io non stavo bene, ti sei -ehm- annoiata, mi pareva giusto almeno ringraziarti e ...scusarmi. Non ero in me, davvero, non... insomma mi hanno stordito e poi... cioè... Così per farmi perdonare mi sono anche fermato da un fioraio, venendo qui, ma appena sono sceso mi hanno assalito, così ho chiesto al mio assistente ma non ha... trovato quello che volevo e così... niente...", finì mormorando in calando, rimpiangendo di non avere un cappelluccio da quattro soldi tra le mani da stringere e cincischiare, mentre chinava gradatamente il capo e il suo ciuffo tendente a gravità zero.
-E poi come diavolo spiegavo un mazzo di rose rosse a gambo lungo, anche le avessi trovate?! Cretino me e le mie idee...-

Katryn sembrò improvvisamente interessata, anche se ancora diffidente.
"Davvero hai cercato di comprarmi dei fiori?"
"Io... li avrei anche. Solo che non penso ti piacciano... Pensavo di metterli nel tuo camerino con un bigliettino, visto sembravi troppo occupata..."
"Ah, certo.", sospirò Katryn, disillusa tanto in fretta così quanto velocemente si era acceso l'interesse. "O magari anonimamente, vero? Come bugiardo vali poco."
"Ma... non mi credi?! Guarda, aspetta... li ho proprio lasciati qua dietro...", e Justin sparì per un secondo e riapparse con un mazzo viola-lillà, come un trucco da poco eseguito da un illusionista assolutamente incapace.

Un trucco che però parve impressionare grandemente Katryn, che rimase a bocca aperta e si portò le mani al suo oggetto-di-gossip seno, fissando alternativamente i fiori e Justin per quasi dieci secondi, cercando fiato per parlare.
Quando lo trovò, Justin pensò che stesse provando a fracassargli le orecchie, dal balzo di decibel che provò a compiere! 

"MI HAI PRESO DEI FIORI!! NESSUNO MI HA MAI REGALATO DEI FIORI!", quasi urlò, andando in crescendo e spaventandolo quasi, mettendo in allarme anche Monik che si avvicinò con sguardo sospettoso. "ROSE SERENISSIMA, le mie preferite! Come facevi a saperlo?!"
"Non lo sapeva, non hai sentito?! L'ha chiesto al suo assistente.", si allungò Monik per toglierle il mazzo per 'sistemarlo' -buttarlo nel bidone dell'immondizia, più probabilmente-, quando Katryn si girò come una serpe contro di lei e le strappò il mazzo dalle mani, allontanandosi con esso perchè non lo prendesse. 
La tedesca fu troppo stupita per ribattere e Katryn affondò la faccia nelle profumatissime rose lilla.
"Dio, quanto le amo... Quanto mi piacciono e mai ne ho per le mani!", sospirò, dopo aver annusato a lungo a pieno polmoni, soddisfatta.

-Ay caramba, che culo!!-, tirò il fiato Justin, riuscendo a connettere qualche neurone stordito dal volume vocale tra loro e reprimendo l'istinto di asciugarsi la fronte dal sudore freddo. -Ed io che pensavo fossero schifezze da morto!-

"Te le avevo prese io per il tuo debutto come solista, se non ricordi.", sibilò Monik continuando a provare a portargliele via, con uno sguardo che includeva ora anche la sua assistita nella lista di persone da 'omicidare' in modo lento e doloroso. 
"Oooooh, ma mille grazie, Monik!", le fece il verso Katryn, tenendosi sempre stretto il mazzo. "Sai bene che l'ho apprezzato, ma anche che tu non sei un certo Just..."

Il silenzio cadde come una cortina di piombo sul backstage; Justin si sentì inchiodato al muro da non si sa che vergogna -'Oh no, prego, fa pure come io non ci fossi e FAMMI AMMAZZARE!'- e dagli strali di Monik diventati di lava, Dorian risucchiò l'aria in modo MOLTO rumoroso prima di riuscire a sbattersi una mano davanti alla bocca e Katryn decise di sepellire la faccia nei fiori finchè Justin quasi si arrischiò a chiederle se volesse soffocarsi, quando poi ne riemerse con un colorito simile al suo. 

Un grazioso amaranto tendente all'aragosta.

Affidò i fiori a Monik per sistemarli e le sibilò in tedesco di non buttarli, mentre l'altra se ne andava tenendo il mazzo in qualche modo, borbottando in suoni grutturali che le sarebbe proprio piaciuto farlo, oh eccome!
E buttare anche qualcun' altro nell'immondizia, magari, in barba alla raccolta differenziata e alle leggi in vigore in Irlanda!

Recuperato un colorito normale ed un tono di voce consono, Katryn si sistemò le bretelline del top in similpelle che lasciavano nude le braccia, recuperando pian piano sicurezza e riuscendo quasi a guardarlo in faccia. 
Non negli occhi, in faccia.
"Grazie dei fiori. Non ti dovevi disturbare così tanto, davvero."

Allora perchè la sua voce sembrava, alle orecchie di Justin, così normale da risultare formale? Formalmente FALSA?
"Non mi è... Sono contento che...che ti piacciano.", rispose, ancora esitante.
"Ora... spero vorrai scusarmi ma devo continuare a prepararmi per il concerto. Manca solo mezz'ora e Samantha sta impazzendo per stendermi non so cosa sul muso.", sospirò e si girò, avviandosi verso la poltrona del trucco. "Grazie ancora per i fiori. Non servivano."

In quel momento, non si sa con quale coraggio o con che santo o demone più pesante sulla sua spalla, Justin ebbe un vero momento di disperazione e si lanciò avanti, prendendole una mano e costringendola a fermarsi e guardarlo interrogativa.

Dorian quasi mollò la chitarra che stava saggiando per terra, portandosi stavolta entrambe le mani alla bocca, gli occhi verde acquamarina sgranati come il rosario che avrebbe voluto tra le mani.
-Ce la fa, ce la fa, ce la fa...celafacelafacelafa,Diodegliirlandesi,celafa!...-

"Io... tu,cioè, dopo andrai al party?"
"Sono l'ospite d'onore, mi sembrerebbe scortese mancare, non credi?", ridacchiò lei, con un sorriso ora più dolce che fece prendere uno scartino in più di coraggio al cuore di Justin. 
"E...vuoi starci tutta la sera?"

Katryn sembrò pensarci su un attimo, poi gli si avvicinò e gli sussurrò qualcosa all'orecchio, allontanandosi poi rapida, con un sorrisetto.

"Dipende da ciò che vuoi fare tu...", gli aveva detto. 

E, nonostante fosse una frase semplicissima, senza doppi sensi, senza neppure troppa malizia, Justin sentì che immediatamente inizò a rimbalzargli nel cervello, deformandosi o deformando la mente stessa, colpendo qua e là qualche neurone inutile e mandandolo k.o, come se proprio non ne avesse bisogno.
Una cosa con la quale si torturò per poi scoprire una cosa disarmante che mai, da lui stesso, si sarebbe aspettato.

Non aveva assolutamente nessuna idea di che fare.

*
*
Il concerto visto con gli occhi del pubblico fu un grande live, più ricco di effetti, luci e qualche piccola e non troppo improvvisata coreografia, il momento acustico con Dorian Kierdiing che fece prima ammutolire e poi impazzire la folla,  una cover tipica irlandese cantata con passione e delle ottave al limite della sopportazione, ma agli occhi di Justin fu quasi magico.

Ogni passo che Katryn compiva su quel dannato palco che l'aveva fatto stare così male lo commuoveva fin dentro all'animo, pensare che era talmente bello vedere un'altra persona condividere la stessa passione per lo stage in un modo quasi diamentralmente diverso, tanto che gli sembrava non potesse essere vero. 

Amò infinitamente quel concerto: gli sembrò finalmente di avere quasi tutte le carte del mazzo chiaro-oscuro della persona che temeva di aver iniziato ad amare. 

Quasi.
Gli mancava la carta più pericolosa, quella che gli faceva fare ogni volta la figura del perfetto idiota dal 1998; il jolly.
E che forse rendeva il tutto ancora più magico.
*
*
Direttosi al party in centro, Justin divenne gradualmente nero quando si rese conto che  un' infinita sequela di gente mai vista e celebrità vecchie e nuove gli avrebbero chiesto del suo salto dallo schermo.
E specialmente, in domande più o meno velate, che cosa gli fosse saltato in testa di fare.
D'altronde non avrebbe potuto chiedere una mano a nessuno: Eddie aveva il suo daffare a tampinare tutte le ragazze presenti in sala, già ai suoi livelli soliti di sbronza, Shane era a parlare con qualche nugolo di giornalisti per salvare la faccia dalla loro assenza della sera prima e Dorian, piombato lì come un ciclone per ultimo e sconvolgendo la festa da tanto era caricato a mille,  a tampinare gli U2 come al suo solito.
I suoi compagni erano dispersi in varie zone del party,tutti apparentemente in via di divertirsi,a parte lui.

Justin, mentre tentava di affogare il suo malumore con dei gin tonic, sentì la sensazione opprimente, come nelle feste liceali, di dare l' impressione di essere lo sfigato della festa; destinato a girellare con un bicchiere in mano ma nonostante tutto rifiutando ogni occasione di parlare, liquidando con qualche commento acido qualsiasi interlocutore.
-Ho decisamente sbagliato epoca.- pensò, appoggiandosi ad una colonna. -Nel 1800 sarei stato considerato un eccentrico aristrocratico bhoemienne, interessante da frequentare, ora sono solo una rockstar barbosa. Anzi, solo un barboso. Avrei dovuto finirlo, quel cazzo di Trinity College.-

I suoi piani di autoannoiarsi procedettero a buon fine per un'ora e mezza, mentre l'alcool non gli faceva più l'effetto della gioventù chiassosa ovvero del Grande Socializzatore, ma gli stava lasciando in compenso un ottimo mal di testa, ed era arrivato persino all'idea di svignarsela dalla porta di servizio.
Non che qualcuno avrebbe badato a lui, dopo l'inavvicibilità astiosa dimostrata in quella serata; ma qualcosa sconvolse i suoi piani ormai formatisi.

O meglio, qualcuno.
Quando Katrin sbucò fuori, ridendo, da un gruppetto che non aveva notato,il suo mondo interiore in cui si stava tormentando andò in frantumi.
*
Justin restò piacevolmente senza fiato quando la vide dirigersi verso Dorian:  la ragazza era l'essenza del minimalismo rock, con un vestito corto di pelle nera stile tubino. 
Riusciva a sembrare una lolita di classe e allo stesso tempo l’amica rockettare con cui vomintare nei cespugli.

 Justin si rese conto di adorarla praticamente in quel momento, quando gli passò davanti senza vederlo: no, di più.

Di...amarla? 
Oh, Dio, ma era così grave la situazione?!
 Gli mandava lo stomaco in gola solo il guardarla e dello stesso parere doveva essere anche Shane, visto  si fermò vicino a lui, debitamente a bocca aperta e con un bicchiere ignorato in mano, tanto da costringere Justin a distogliere l'attenzione dal suo oggetto di desiderio (-no, di più...oh, Signore, fa che non vomiti ora perchè mi sento da vomitare...-) e fissare invece lui con sguardo annoiato.

"Chiudi la bocca, Shane."
"...eh?"
"Entrano i moscerini se la tieni così spalancata.", spiegò l'amico, caritatevole.

Shane chiuse la bocca con un mezzo fischio e sembrò quasi di sentire il rumore delle mascelle che sbattevano, come il clangore di un portone.
"Ecco una cosa per cui valeva la pena di venire, Justin. Oh mio Dio, ma da dove è uscita? Da Narnia?"
"Non lo so, Shaney.", ammise, scuotendo la testa dolorosamente. "Dovremmo essere noi quelli che si intendono di fate, folletti e creature magiche, no?"

Shane sospirò, bevendo.
"Ringrazia il cielo che Eddie abbia troppo da fare o sarebbe qua in un nanosecondo."
"Mi sembra già strano che TU non abbia spiegato le vele e... Cosa?!", si insospettì Justin, voltandosi bruscamente. "Come sarebbe dire 'ringrazia il cielo'?!"

Shane non lo guardò neppure, continuando ad osservare Katryn che ora faceva finta di assestare un pugno sulla spalla a Dorian.
"Non farmi dire cose che sai già, Justin..."
"Cosa..."
"...o che tenti di ignorare. Sei così dannatamente...APERTO, su questa faccenda.", e finalmente si girò a guardarlo, quasi intenerito. "Ti si può leggere come un libro delle elementari. Hai scritto tutto in faccia. LA VUOI.", e bevette un altro sorso, mentre Justin restava debitamente a bocca aperta, incapace persino di incazzarsi come al solito. 
"Non la vuoi per giocare o solo per possesso.", tornò a ponderare Shane, in tono più mite. "Ti sei innamorato. Potresti anche ammetterlo.", ci pensò su l'amico, prima di dirgli il resto. 
"Potresti anche ammettere di essere umano, ogni tanto. Almeno a tè stesso." 
Con quell'ultima sparata, Shane scoppiò a ridere e gli mise in mano il suo bicchiere, cominciando a dirigersi verso Dorian.

"E comunque se non ti muovi ci penso io. Uomo avvisato..."
Justin, per superare l'imbarazzo, bevve un sorso sovrappensiero e poi storse la bocca: gin lemon...con vago sapore di lemon, ecco da dove derivava quell'insolito coraggio di Shane nel parlargli.
Finì il bicchiere velocemente e poi si diresse da loro, sentendosi ancora più pungere da quel malefico insettino adesso che anche Eddie si era aggiunto alla compagnia e Shane si stava esibendo in un ridicolo baciamano instabile.
-Pagliaccio-, pensò con disprezzo.
-Gruppo di pagliacci, che cazzo stareste facendo adesso?! Stareste cantando cover in un baretto o saltellando pop da mercato su un palco decorato buono per le junior school  e non potreste nemmeno avvicinarvi a lei.

Mentre si avvicinava, Just percepì una cosa che ormai non accadeva da un paio d'anni: gli stava venendo naturale sorridere quando la vedeva.

"Ehilà!", esordì, incredibilmente senza la minima esitazione nè nella voce nè nel sorriso smagliante. 
"Ehilà a te!", gli rispose Katryn, ritirando la mano da Shane, mentre Eddie incrociava gli occhi con il compagno.
-Tregua.-
-Tregua.-, risposero gli occhi di Justin, mentre Eddie prendeva Dorian sottobraccio e si allontavana -e faceva allontanare il suo maggior pericolo di distrazione.-.

Si sentiva di buonumore in quel momento, avrebbe graziato tutti; Eddie dal litigio avuto la sera prima, Shane sesoloavessetenutochiusaquellafogna, Dorian colpevole dell'esserle stato troppo vicino. 

"Mi spiace per te ma Monik non è venuta.", quasi rise Katryn. "Ti cercava, prima. Con qualche strano tipo di arma bianca che incuteva comunque un certo timore al vederla e che, scommetto, ha imparato a manovrare durante il mio live!", e poi si rivolse verso Shane, che osservava la scena un po' in disparte con un sorriso bonario come quello di un vecchio zio. 

"Sai, la mia manager non lo può sopportare. Oggi pensavo volesse stenderlo.", gli disse, con aria cospiratoria. 

"Posso capirlo.", le concesse Shane, sempre con quell'aria di maestosa benevolenza. 
Katryn rise come se la battuta di spirito fosse finita lì, quando Shane continuò a parlare alle sue spalle, sempre con quel tono gentile che all'improvviso gelò il sangue di entrambi.
"Ha paura che ti faccia cadere; cosa più che l'amore potrebbe far distogliere l'attenzione di una persona dai suoi obiettivi?"

Katryn rimase un attimo senza fiato e poi si girò verso Shane, con gli occhi sgranati e, come Justin prima, incapace di qualsiasi reazione se non d'incredulità. 
Justin scongiurò che Shane si fermasse anche se, nel profondo, sapeva che tutto sarebbe stato inutle: Shane era un panzer, lento ma inesorabile.
"...prego?!"
"Oh Dio, siete due libri aperti entrambi...", sospirò il moro, alzando gli occhi all'aria e poi guardando entrambi quasi con aria di rimprovero. "Se ho notato questo vostro ballarvi intorno reciproco IO, che come Justin sa benissimo non sono una cima....", mosse la mano come a mostrare l'ampiezza della sala. "...quanti pensate che l'abbiano notato? Ti credo che la tua manager vuole farlo fuori. E' PALESE quanto vi siate attaccati.", e bevve un sorso dal nuovo bicchiere che si era procurato, per poi allungarsi verso Katryn, che ora lo guardava tra il terrorizzato ed il furioso. 
"E anche se deciderete di mandare tutto in malora, ringrazialo. Sennò a romperti le scatole ci saremmo sia io che Eddie. Ma non con tutto il suo sentimento.", e si girò per andarsene. 

Katryn lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava confondendosi tra la folla, ora con la sensazione di essere completamente terrorizzata. 
Justin si era portato pian piano le mani alla faccia ed ora più che mai nascondevano il suo rossore imbarazzato, quando lei si girò serpentina verso di lei.
"Questo... questo è un tuo stupido piano, vero?!"
"I...io no. No!", si ritrovò a protestare Justin, allibito anche per quell'accusa. "E'... è ubriaco, non lo vedi?! Come pensi che potrei fare stupidi piani su... questa cosa?"

Lo sguardo di Katryn era ormai vitreo, non si sapeva se dalla rabbia o da una paura che aveva nascosto a sè stessa. 
"Justin... portami via da questo posto, ti scongiuro. Non respiro più."
"Neanche io.", le confessò, togliendosi le mani dalla faccia per rivelare i segni dell'imbarazzo di cui temeva di morire.  "Meglio se andiamo sul balcone."

Mentre si avviarono sul balcone, incuranti della pioggerellina fitta e bastarda che da due giorni cadeva su Dublino, Justin non si accorse neppure di averle messo una mano sulla spalla per pilotarla. 
E difenderla. 

Sul balcone, dopo un paio di sigarette -o forse fu mezzo pacchetto, Justin aveva ben altri pensieri in testa- Katryn sembrò calmarsi. 

"Va bene. Vabenevabenevabenevabene.", disse, sottovoce. "Ormai il danno è fatto."
"Che danno...intendi?"
"Quando il tuo amico ha parlato...", Katryn fece una pausa, esistante. "Mi ha spaventato. Ha.. Oh, al diavolo.", imprecò, dando un pugno al marmo che recintava il balcone. 

"Sì. L'ho pensato anche io.", espresse la sua solidarietà Justin. "Oh, al diavolo. Avrei voluto scotchargli la bocca. Buttarlo da una finestra, se solo non pesasse il doppio di me. Usare la famosa arma bianca di Monik..."
"Sì, certo...", gli concesse Katryn, distrattamente, per poi voltarsi verso di lui. 

I suoi occhi luccicavano di lacrime di...  sembrava rabbia.
Rabbia e forse delusione. 
"Ha detto ciò che pensavo. Stiamo solo perdendo tempo a girarci intorno." e sembrò prepararsi per litigare, dall'espressione del viso che assunse. "Ora lo sai. Lo sai e... Penso proprio che lo sapessi anche prima o non...non ti saresti comportato così, in questi giorni.", ed il suo piccolo pugno colpì di nuovo il marmo, rabbiosamente. 
"Perciò voglio sapere. Ora!"
"Sapere... cosa?!", chiese Justin, allibito e confuso a dovere da quella girandola di eventi che lo stavano mandando a dissepellire la sua anima nelle miniere roventi dell'imbarazzo più spinto che avesse mai provato. 

Lo sguardo di Katryn funse, in qualche modo, da pulsante di sblocco, poichè se gli occhi di Justin erano spalancati, sembrarono perdere persino colore a quell'esternazione non verbale. 
"Io... cosa... cioè...",farfugliò, mentre tentava di far arrivare ossigeno al suo cervello in tilt. "Io non avrei certo... parlarne in questo modo. Od ora... Cioè, nè ora nè in questo modo, ma..."
"Sì, va bene, ho capito.", lo liquidò rapidamente Katryn, ora con uno sguardo assomigliante a quello della sua manager quando gli faceva capire che gli avrebbe volentieri rotto un braccio.  "Ci hai giocato, ci hai ricamato, non intendevi far male. Non cambierai mai, Justin Swanson.", e si staccò dalla balaustra, facendo per avviarsi dentro quando finalmente Justin capì.

Capì che per lui era il momento di mostrare davvero di essere umano; che non stava mostrando nessuna debolezza.
Che non era fottuta gara a chi cedeva prima o di sciarade, o meglio che il tempo delle sciarade era finito. 
"Aspetta!"
"No che non...", e Katryn si trovò la strada sbarrata, con Justin che forse col più grosso sforzo di volontà contro la ragione che gli urlava di mollare tutto e darsela a gambe la afferrò per le spalle sottili quasi ferocemente, bloccandola.

"Vuoi sapere cosa ne penso? Cosa penso di quello che ha detto Shane o quello che penso io? Penso che mi piaci; no è riduttivo. Un tempo mi piacevi, andavo matto di te, ho sofferto nel non vederti più e ricordavo sempre quel poco tempo che abbiamo passato assieme. ADESSO non è che non mi piaci più...", e prese fiato, decidendo di annegare o imparare a nuotare. "Adesso credo di amarti. E non poco. Credo di... essermi innamorato di te. Perso. Senza speranza. Senza nessuna possibilità di rendenzione.", e non si accorse che quasi le faceva male da tanto forte le teneva le spalle, dritta di fronte a sè.  "Non ho mai giocato, non ho mai ricamato, non ho mai, mai mai e poi MAI inteso farti male.",e  finalmente allentò un po' la presa, mentre il suo tono diventava quasi implorante. "Non...dirlo mai più. Tu sei l'ultima persona a cui vorrei fare del male. Io...ti amo."

Katryn lo guardava fissamente, senza accorgersi che la sua testa aveva assunto uno strano dondolio e gli occhi le si erano fissati in un punto indefinito in quelli di lui.
"Io... non...."
"Non mi importa se non mi ami.", continuò Justin, come se avesse ormai rotto gli argini e non fosse più in grado di arrestarsi. "Anzi sì, accidenti, mi importa. Mi importa eccome. Perchè quando ci sei io smetto di respirare. Non mi senti? Non riesco neanche più a formulare discorsi di senso compiuto, proprio io! Sì, mi importa. Mi importa ed è quello che... Che mi ha frenato. Ho paura. Una paura da lasciarti qui e fuggire a gambe levate. Ma non... lo farò, perchè anche io voglio la mia risposta.", e prese fiato. 
"Perchè sono umano, anche io. E perchè ti amo. E voglio sapere."

Katryn rimase a fissarlo, con quell'aria tra lo shock ed il trasognato.
"Vuoi una risposta?"
"Io...sì."

Si liberò della sua stretta sulle sue spalle e si avvicinò, guardandolo sempre fisso negli occhi. 
A posteriori, Justin si disse che era una sorta di incantesimo e che l'aveva, in quel modo, incatenato. 

"Questo potrebbe bastarti come risposta, per ora?", e senza inteporre tempo, lo baciò quasi in uno scontro ormai inevitabile, quasi dolorosamente da sentirne il rumore. 

Quando finì quell'unico bacio, Justin non si sentì più in grado di parlare, se non sollecitato. 
"Allora, che pensi? Basta, per ora?", gli chiese Katryn, dolcemente.
"Uno solo?", rispose Justin, con voce tremante. "Assolutamente no..."
*
*
Da dietro la porta-finestra dell'attico  in cui si svolgeva la festa, Dorian alzò i pugni al cielo, ridendo di felicità e un po' per la sbronza galoppante. 
"EeeeeeeCELAFAAA!! AHAHAHA, DIODEGLIRLANDESI,CELAFA!!"
*
*
Quello che sorprese maggiormente Justin, quando riuscì a recuperare un minimo di lucidità da quel pozzo di passione perduta che sembrava l'avesse investito, fu che le labbra di Katryn sembravano un miracolo risanatore. 
Fresche e morbide, contro le sue ruvide e bollenti, parevano dargli una pozione di vita più che un vero bacio; un succo magico a cui attinse volentieri, tenendola sempre ben stetta a sè come se avesse paura che scappasse. 

Tutto era dolce e fresco ma non noioso, come la caraffa succo di mela che aveva bevuto quando aveva 7 anni, sfuggito al controllo di Edele, ed il conseguente malore notturno che ancora ricordava.
Ma ora, sebbene stesse attingendo ad una fonte più generosa ed in modo più ingordo, quasi da avere paura di farle male, ne era sicuro: non sarebbe stato nessun male, dopo.

Lo aveva saputo fin dall'inizio. 
Lei era ciò che anni fa ed ora in quel momento stava aspettando per risanarsi.

Lei era la sua magia, anzi era LA magia che gli veniva concessa ma non in modo sprezzante, bensì alla pari e questo la faceva amare ancora di più. 

Le luci di Dublino, all'improvviso, tornarono a brillare sotto la pioggerellina per Justin, diventando quasi accecanti e moltiplicate dai mille cristalli in cui si dividevano; le gocce nei capelli di Katryn riflettevano la bellezza di Dublino e questa sembrava splendere per lei, ora. 

Justin non pensò più e si lasciò andare ad uno dei momenti più belli della sua vita. 
Dublino e Katryn risplendevano per lui, e lui stava suggendo linfa di vita da lei.

Non l'avrebbe mai e poi mai lasciata. 
*
*
"Justin..."
"Dimmi."
"Che ne dici di spostarci di sopra? Penso di aver visto quel deficiente di Dorian esultare come se avesse segnato l'Irlanda ai Mondiali. Sempre se non vuoi interrompere tutto mentre io vado a pestarlo."
"Non lascerei mai che ti rovinassi le mani su quella brutta testaccia.", disse teatralmente Justin, facendole un baciamano. "Lo pesterei io per te. Anzi, lo farò appena lo avrò a tiro. Però accolgo con favore l'idea di spostarci."
*
*
Appena nella suite non persero neppure tempo a cercare altre luci se non quelle poche, soffuse, che si accesero automaticamente; l'unica cosa che cercarono avidamente, persino disperamente, furono l'un l'altra, avvinghiandosi di nuovo in modo spasmodico, Katryn che teneva agganciata ferreamente -e che anche quello faceva commuovere Justin- la camicia di lui. 

Le mani di Justin si muovevano da sole, non sapendo cosa stessero facendo tanta era la bellezza che provava solo sfiorandola; gli pareva persino impossibile essere ancora più ingordo di quanto fosse in quel momento, quando senza quasi accorgersene, trovò la sua apertura ed in un modo impensabile vi scivolò dentro, sempre agendo come muovendosi in un sogno e lei -oh, lei!-, era così calda e bagnata che sembrò così dannatamente GIUSTO che la toccasse e in un modo delicato che fece subito fuggire un gridolino a Katryn contro la sua guancia, una cosa che non avrebbe più scordato. 

Il fiato della ragazza si fece immediatamente più rovente e lo baciò persino con più foga, mantenendo le sue labbra sempre fresche e morbide nonostante ormai l'usura, e lo portò pian piano con sè a sdraiarsi sul divano, con le ginocchia che le tremavano da quello che lui le stava facendo e, anche lei, desiderandone di più.
Di più.

Si portò un braccio sopra la testa e gli sorrise, dolcemente, mentre con l'altra mano gli apriva la camicia; Justin pensò che niente poteva superare quel momento, e si fermò, un attimo prima di entrare in lei. 

"Sei...",e riprese voce, lievemente rauco e tremante d'emozione. "Sei bellissima.  La cosa più bella che abbia mai visto...", sussurò, incredulo, prima di passarle una mano ad accarezzarle col dorso la guancia accaldata. "Temevo di non vederti mai più. Ti aspetto da anni."
"Io invece sapevo che ci saremmo rivisti", sorrise lei, dolcemente. "Ma, se devo essere sincera, non ci speravo più...", e con quello diede un lieve colpo di bacino e fu la fine per entrambi. 

A differenza di anni prima, stavolta si unirono per sempre.

I loro corpi lo sentirono, muovendosi assieme, così dannatamente giusti. 
I loro nervi sembrarono fondersi in un'unica guaina.
Il loro respiro sembrò regolarizzarsi sulla stessa frequenza. 

Più di loro, a livello primordiale, i loro corpi si unirono per l'eternità e nessuno li avrebbe divisi. 
Quella volta era per sempre.

Un momento prima di venire, Justin si sollevò, quasi imbarazzato, mentre Katryn faticava  a respirare, essendo già venuta due volte.
"Io...n-non ho..."
"Oh, vienimi dentro.", gemette lei, muovendosi ancora piano e subdolamente contro il suo ventre. "Venimi dentro. Ci penseremo dopo.", furono le sue ultime parole, con ben più di una nota di urgenza nella voce.

In quel modo, decidendo probabilmente di morire perchè quello pensava Justin -muoio, oh Dio la mia testa non lo sopporterà mai, muoio ora e morirò dopo!-, la afferrò sotto il bacino e dopo due o tre affondi esplode in mille fuochi d'artificio assieme a lei.

Evitò di crollarle addosso solo per la provvidenziale puntellatura dei gomiti, poi rimase nell'incavo della sua spalla ad ansimare, finchè sentì la mano di lei, incredibilmente ancora fresca, accarezzargli i capelli sudati e allora, chissà perchè, iniziò a singhiozzare. 

"Sssshhh.... va tutto bene...", sussurrò Katryn, sotto di lui e con la bocca al suo orecchio.
"Lo so...", respirò lui in qualche modo, non smettendo quegli strani singhiozzi. "Sono solo... felice. Penso di non ricordare più come si stesse..."
"Allora stai quanto vuoi, Justin Swanson...", gli arrivò, come da lontano, un altro sussurro. "Stai quanto vuoi. Purchè tu stia con me. E che tu stia felice con me."

-IO, felice...-, pensò Justin, smettendo piano piano ma sentendosi ancora esplodere.  -A chi potrei mai dirlo senza essere visto come un bugiardo?-, quando la risposta gli venne fulminea e si girò a guardarla. -Con lei. Con lei posso essere. Felice. TUTTO.-

"A cosa pensi?", chiese lei, incrociandone lo sguardo, con voce soffice.
"Pensavo quanto fosse incredibile che tu mi abbia voluto con te.", le rispose, inclinando la testa. "Quanto ti amo. Quanto sia...incredibile tutto questo.",e sospirò, sempre guardandola, sicura che avrebbe capito.

"Penso a quanto sono felice."
   
  
 

Salve. 
Avete presente quando si scrive un capitolo di getto in mezz'ora, è vicino alla perfezione e si passano quattro giorni a rifinirlo, limarlo all'inverosimile e poi il pc antiquato e bastardo non lo salva all'ultima correzione? (non so ancora come sia successo)
Avete presente recuperare dalla memoria i punti salienti, dopo aver (lo ammetto senza vergogna) pianto come una fontana ed essere talmente a lutto di aspettare 3 settimane per paura di finirlo?
Questo è ciò che è successo.
Non sarà mai più il capitolo che volevo, ma ciò che mi è riuscito. 

Fascia a lutto.

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Capitolo 43
*** 43. The Seeker ***


43. The Seeker 

"I've looked under chairs,I've looked under tables! I've tried to find the key to fifty million fables! They call me 'The Seeker'...I'VE BEEN SEARCHING LOW nd HIIIIIIGHH!!!" *1

La voce squillante proveniente da qualche meandro della suite svegliò lentamente Justin dal suo sonno in consueto stile coma perpetuo, residuo della sua saltuaria insonnia accentuatasi in occasione dello stramaledetto Festival; i pochi minuti dopo aver aperto a fatica gli occhi gli causarono un accenno di panico domato a fatica.  

-Dove cavolo si trovava?
-Perchè era a letto?!
-Chi aveva attaccato  gli Who a volumi così assurdi in quella che pensava fosse prima mattina?!
-E, visto che c'era ormai dentro a impanicarsi e uno in più non faceva male in più, CHE RAZZA DI ORA ERA?!

Katryn apparve dal bagno, con la camicia nera di Justin aperta sul suo completo di pantaloncini e reggiseno bordeaux ed il cervello gli si schiarì notevolmente, rimanendo poi a bocca aperta quando la ragazza gli puntò contro lo spazzolino da denti e cantò a squarciagola, in uno scimmiottamento di accento british: "I won't get to get what I'm after...Till the day Iiiiii die!!!", e in seguitò saltò sul letto, offrendogli così una generosa vista sul culo, mentre mimava con l'airplay la chitarra.
"Povero me... che razza di sveglia!"
Justin non potè trattenersi dal mettersi a ridere mentre si portava una mano alla fronte mettendosi seduto, con le coperte raccolte attorno alla vita, mentre Katryn cantava un'altra strofa saltellando sul letto, i capelli a frustare l'aria e la camicia che si allargava a mò di mantello, con lo spazzolino a mò di microfono.
"TILL THE DAAAAY III DIE!! Tadan-tadan-TAAA!!", e si tuffò finalmente all'indietro atterrando di schiena sul morbido, ridendo senza fiato. 

"Sei sveglio, ossicino?"
"Non vedo come avrei potuto dormire con te che urli 'The seeker' peggio di un lupo siberiano!", rise di gusto Justin. "La regina del karaoke di Montreal in terra irlandese, potrei venderti e farci dei soldi!"
"Ho già venduto la mia anima su E-bay ; la dignità invece  è attualmente all'asta, ho un indonesiano scatenato per il suo possesso.", prese un altro respirone Katryn, ridendo ma sfiancata dalla performance canora salterina. "In fondo non mi servono, sono il miglior prodotto di mè stessa e anche la miglior venditrice!" 
"Hai surclassato Bowie, insomma.", ironizzò Justin stiracchiandosi e poi appoggiandosi su un fianco per guardarla. "Effettivamente sei molto più..."
"Talentuosa? In gamba? Un passo avanti?"
"Gnocca. Cioè bella!", si affrettò a correggere Justin con un principio di imbarazzo che non riusciva a togliersi, nonostante la nottata di fuoco. 

Aveva la sensazione che, per una volta nella sua vita, avrebbe dovuto procedere con cautela; forse in quel momento stava esagerando, ma non essendo abituato a dosare la prudenza (anzi, non sapeva neppure di esserne provvisto) ne aveva inavvertitamente ribaltata ben di più del necessario, come un cuoco principiante con una torta. 

Ma nonostante ciò, Katryn scoppiò a ridere, recuperato il fiato. 
"Gnocca è un gran complimento! La bellezza passa, la gnoccaggine no!",e si girò anch'essa sul fianco, anch'essa puntellandosi su un gomito per guardarlo. "Tu sei gnocco. Il chè non esclude che tu sia bello, ovviamente. Se tra qualche anno la tua bellezza sarà sciupata sarai comunque affascinante. Come Bowie, per restare in tema."
Justin quasi mandò giù un grumo di saliva sentendosi paragonare al suo Dio, pur rimanendo con gli occhi fissi e non tremando a tale affermazione e persino mantenendo un sorriso spastico da impasticcato. 
"Ora non... "
"Oh, Justin, non puoi rilassarti per una volta?", gli chiese Katryn, la voce che tradiva davvero una traccia di supplica, dietro alla pantomina degli occhi verso il soffitto e lo sbuffare comico. "Almeno per un po'... Finchè stiamo assieme."

Justin ci pensò.
Pensò come ribattere -che lui non si rilassava MAI, dannazione, e non ne era neanche troppo contento!-, pensò come mascherare -oh, lui? Cherìe, era sempre rilassato!- , chiedere spiegazioni -E per quanto tempo staremo assieme? Vuoi che me ne vada entro sera?- e infine optò per una mezza bugia.
Piccola e in fondo innocua, se questo la faceva stare bene: in fondo, per tutta la sua vita era stato un forte sostenitore della verità alterata e poi Katryn?
Quella? 

Figuriamoci, probabilmente aveva iniziato ad 'alterare' piccole verità da quando aveva imparato a parlare con cognizione di causa!

"Ci proverò, mia bellissima.", sorrise, prendendola una mano e posandole un bacio, per poi alzarsi di nuovo seduto. 
"Che ore sono?"

"Mmm... le undici.", si stiracchiò beata Katryn, pensando che raramente godeva di tali alzate tardive e privilegiate, specialmente in tour o comunque a seguito di date. 

Monik si era data dispersa ed aveva spento il suo cellulare, fatto unico della storia; probabilmente l'aveva fatto per dispetto, per capire se Katryn sarebbe tornata da lei strisciando o se si sarebbero trovate a fil di lama a L.A... E se Monik era out, lei era praticamente libera, nessuno avrebbe osato romperle le scatole!
Già solo quello bastava a metterla di ottimo, ottimissimo umore! 

"...o usciamo?"
"Eh?"
Il discorso di Justin, che ora si stava alzando-tentando di mettersi una maglietta per coprire la sua penosa assenza di muscoli o di qualsivoglia massa, andò perduto a parte la fine, ma il ragazzo non sembrò spazientirsene.

"Vuoi fare colazione qui o fuori? Vuoi che usciamo?"

Katryn rimase ad osservarlo in modo strano, sfilandosi intanto la camicia e facendo per ridargliela. 
"Vuoi farti vedere con me?"
"Io.. non ho problemi.", esitò Justin, con la camicia in mano inerte, come non riuscisse più a capire come infilarsela. "Cioè...se tu non ne hai, è chiaro. Dici che...", e sempre rimanendo immobile, sembrò ancora ingarbugliarsi in quel modo che lo portava quasi a esplodere, che tanto piaceva a Katryn ma che un po' la faceva soffrire per lui. "Oh, i... i paparazzi! Saresti beccata all'istante, giusto!",e finalmente vide che teneva in mano la propria camicia e si affrettò a mettersela. 

"No, non ho paura dei paparazzi... Che possono farmi?", gli arrivò una voce meditabonda, mentre lui si allacciava le scarpe, sforzandosi di non far arrivare in faccia più sangue di quanto ne fosse affluito già. 
"Beh... farti beccare con me.", si raddrizzò Justin con un doloroso schiocco di schiena, memore della nottata passata. "Questa cosa potrebbe costringerti a... dare spiegazioni che non vuoi, quando sarai di nuovo in America."
"Capisco. Ma TU ti vergogneresti di farti beccare con me?", gli chiese Katryn, ora seduta con le gambe incrociate sul letto, come a volergli spiegare un discorso con tutta la calma che, assolutamente, Justin non avrebbe mai posseduto. 

"Io?!", sgranò gli occhi Justin, sedendosi sul bordo e fissandola come se fosse pazza. "Perchè dovrei?! Certo, se dovessero rompere le balle mi infastidirei e probabilmente manderei a fanculo la deliziosa omelette che volevo infilare in questo stomaco ma...", scosse la testa, come se l'idea fosse assurda. 
No, di più.
Proprio per il fatto che per lui l'idea fosse COMPLETAMENTE assurda.
"Vergognarmi... Proprio no. Non capisco il perchè. Mica ho commesso qualche delitto"
-Non ancora...-, gli ricordò la sua mente a sproposito, in un subconscio talmente profondo da non essere avvertito.

Katryn lo guardò intensamente per un buon paio di secondi, quasi mettendolo di nuovo in imbarazzo e poi si sporse a dargli un bacio; uno tenero, ma non ancora sopito. 

"Allora... facciamo che usciamo per pranzo e saltiamo la colazione?", gli propose, abbassando il tono della voce e passandogli una mano tra i capelli neri spettinati. 

"Io...", e come prima cosa la maledetta camicia fu in un lampo sbottonata e di nuovo gettata via. "Ti avviso che ho fame, però. Molta."
"Allora vedremo cosa si potrà fare...", sussurrò Katryn, con espressione sorniona. "Ma ti avviso: poi avrai ancora più fame."
"Sono disposto a correre il rischio, madame."
*
Dopo un paio d'ore, mentre Katryn finiva di darsi gli ultimi ritocchi al make up -lamentandosi per il fatto di non potersi portare in tasca la sua truccatrice che poi spesso vessava-  Justin decise di testare se davvero le proprie gambe sembrassero fatte di gomma o fosse solo un'illusione data dall'intensa ginnastica mattutina e notturna a stomaco vuoto; checcazzo, si sarebbe mangiato un intero agnello pasquale e chissenefrega fossero ancora in inverno!

Katryn uscì dal bagno , borbottando di essere orrida con un trucco fatto in casa ma con l'aria di chi sapeva che ogni mossa veniva osservata da occhi più che interessati e scelse un cappotto a dir poco appariscente di Dolce&Gabbana dal suo armadio da viaggio, da abbinare ad un vestito che definire succinto sarebbe stata gran cosa. 
"Secondo me ti gelerai le chiappe con quel coso.", osservò Justin, che si era ridisteso sul letto accavallando le gambe, completamente vestito e che osservava con divertimento la procedura d'abbigliamento della ragazza. 
Lui, in fondo, si era re-infilato le cose della sera prima e vaffanculo; aveva deciso di passare sotto il getto di una doccia quanto prima ma per fortuna come metabolismo non assomigliava ancora ad Eddie dopo una delle sue feste: un relitto che puzzava di alcool, prostitute e sigarette. 

Anzi, il lieve profumo che aveva addosso gli faceva dimenticare che fosse conciato da sbattere via e si era deciso a tenerselo il più possibile, a costo di rimandare la doccia.

Katryn storse il naso, guardando il cappottino striminzito e poi la pioggerellina ancora fastidiosa fuori dall'enorme finestra della camera da letto. 

"Dici faccia freddo qua in Irlandolandia?"
"Ti gelerai le chiappe.", sospirò Justin, con una vena di pungente ironia. "E io dovrò prestarti soccorso. Se speri che ti porterò al volo a fare shopping, te lo scordi. Fiutano distante tre chilometri la mia presenza. L'Anticristo della Moda mi chiamavano, ai bei tempi. Non sai quanto può essere terribile il clima, qui."
"Ciccio, sono canadese; ho imparato ad andare in motoslitta a dieci anni e in questo periodo dell'anno la neve è già più alta di casa mia.", ribattè Katryn, infilandosi infine lo straccetto nero con inserti zebrati oggetto di discussione. "E in quanto al gelarmi, qualcosa mi dice che hai un qualche interesse sulle mie chiappe più che sulla mia salute."
"In effetti...", fece finta di ponderare Justin, con aria meditabonda. "Se diventeranno insensibili dal freddo almeno potrò morderle.", concluse, alzandosi ridendo dal letto, mentre una spazzola lo sfiorò di pochissimo. "Si prospetta un bel dessert per me!"

Tra una cazzata e l'altra riuscirono infine ad uscire dalla suite e percorsero il breve tratto oscenamente elegante dell'hotel ridacchiando, spintonandosi e riprendendosi prima di cadere, stando sostanzialmente abbracciati; Katryn aveva degli stivaletti a forma di anfibio militare con dei tacchi che, Justin ne era sicuro, l'avrebbero fatta lamentare del mal di gambe dopo mezz'ora. Si era rimessa il profumo di lillà e appariva fresca come una rosa ed elegante come una diva, nonostante tentasse di spingerlo continuamente contro le pareti per poi riprenderlo e finire ridacchiando salvata dalla sua stessa spinta sui tacchi 10.

Salirono in ascensore con una vecchia coppia di apparentemente titolati inglesi che mostrarono un'aria inorridita al vederli e rimasero irrigiditi per tutta la discesa verso la hall, mentre Justin reclamava qualche altro piccolo bacio e Katryn per risposta lo spingeva, ridendo, a sbattere contro le pareti dell'ascensore. 

Scesi, si guardarono -mentra la coppia lord\lady puzzalnaso se ne fuggiva il più presto possibile da loro- e scoppiarono a ridere così, come due adolescenti alla prima cotta.
Justin pensò un po' tristemente che non sarebbe stato del tutto scorretto definirli così, almeno dal canto suo: non aveva mai avuto una cotta per nessuna, una passioncella, anzi sfotteva spesso Eddie e Shane -Dorian era un caso perso a parte per la sua sgualdrinaggine impenitente affinatasi nel periodo boyband e mai più fermatasi- per le loro ragazze, ma solo ora comprendeva cosa si era perso.

O forse cosa si era ritrovato: in fondo aveva amato una sola ragazza o almeno così gli era parso in tutta la sua breve vita ed in quel momento quella se ne stava a pochi cm da lui a ridacchiare mentre faceva la linguaccia all'incartapecorita lady che si era malauguratamente girata a guardarli dal bancone delle informazioni.

La sua ragazzaccia; così come lui era forse il suo ragazzaccio?
Decise di non chiederglielo, almeno per il momento. 

Decise di donarsi il lusso di stare tranquillo, almeno per il momento.
Quella volta voleva godersela tutta... 

...Se fossero riusciti a passare attraverso la folla di giornalisti e paparazzi che stava assediando l'entrata principale dell'albergo, della quale si accorse solo in quel momento, allibito.
-Non è giusto!,anche io ho fatto un tour sold out negli stadi europei ma non ho tutto questo casino fuori casa mia!-, pensò, in un primo momento con una certa ironia. -Proprio vero che nessuno è profeta in patria!- 

Katryn, seguendo il suo sguardo, gli afferrò inconsapevolmente una mano e la strinse forte; Justin, un po' stupito, si affrettò ad abbracciarle le spalle in segno di conforto.
"Vuoi che usciamo dal retro?, le propose, cercando di ammorbidire la voce il più possibile.

Ma al suo contrario, lo sguardo di Katryn si fece sempre più duro, guardando la marea  che con tutta probabilità quasi ogni giorno la seccava.

Come sarebbero state le reazioni alla vista di loro due assieme, sempre se niente fosse già trapelato dalla festa della sera prima?  Ovvio che qualcosa era trapelato. 
Quella ressa di paparazzi era troppa persino per lei.

Sarebbe stata ancora più perseguitata per via di quella cosa? Diamine, sì. 
Sapeva che nello showbussiness si andava per somme: se paparazzare un artista era un bingo, beccarne due assieme era un jackpot completo.
Una fottuta  scala reale.

Justin potè intravedere tutto ciò come se leggesse nella sua mente e ciò, non senza ragione, lo rattristò e lo portò ad avvicinarsi alla reception.

"Chiamo un'auto da dietro."
"NO."

Katryn era rimasta immobile, rigida e con uno sguardo talmente duro da non sembrare di non aver parlato, nè mossa o respirato, ma Justin fu fulminato da quella risposta secca e immediata.
Un fottuto ordine impartito con una vera voce di comando; quella che forse mancava a lui e che così creava tanti casini in seno al gruppo, quando voleva ottenere qualcosa. 

"Chiamiamo una macchina e saliamo dal davanti.",lo sorpassò, andando alla reception e rivolgendosi ad un giovanotto irlandese che, voltatosi, aveva sgranato gli occhi tanto che Justin aveva temuto gli cadessero le pupille. 

"Ciao, uhm... Sean.", e rispose in modo adeguato al sorriso smagliante che le rivolse il quasi coetaneo, dopo aver letto il suo nome sulla targhetta. "A chi devo rivolgermi per avere una macchina qua fuori? "
"Non una macchina della Emi, un taxi.", la interruppe Justin, raggiungendola al bancone e facendo strabuzzare -se possibile- ancora di più gli occhi al giovanotto. "Ti porto a mangiare irlandese, bella mia, e per questa missione ci serve un tassista autoctono.  Accetti la sfida?" 
"Manderai in malora la mia dieta, ma per amor tuo lo farò.", sospirò platealmente Katryn, tornando poi a rivolgersi al receptionist; anzi, ora il povero giovane Sean aveva due paia di occhi azzurri dotati, dal suo punto di vista, dell'ineffabile e decadente glamour dello starsystem che lo fissavano in attesa dei suoi servizi. 

Servizi che furono attuati in due telefonate in modo egregio e in tempo record. 

Quando il taxi parcheggiò fuori l'entrata principale, con la massa ondeggiante tenuta a bada dai bodyguards e dai portieri dell'albergo, Katryn si rivolse di nuovo al giovanotto.
"Grazie, Sean. Potrei anche non tornare ed avere bisogno di un cambio d'abiti: chi posso chiamare per..."- dettofatto, il giovane aveva scritto un numero su un foglietto di carta e glielo stava porgendo con mano quasi tremante. 

"Questo... questo è il mio numero di cercapersone, signorina. Staccherò a mezzanotte e... se chiamerà più tardi la farò mettere in contatto con qualcuno dell'hotel o ci penserò io stesso.", deglutì. "Sarebbe... sarebbe un piacere ed un onore."

Katryn prese il foglietto con un sorriso un po' rassegnato di chi ormai era abituato a certe scene, cosa che invece aveva fatto quasi trasecolare Justin. 
-Per forza non ci sei abituato, stupido papero goffo! Quando mai hai chiesto un cambio di vestiti al volo?! Di solito c'è Shane che pensa a tutte queste cose, quando non c'è Quentin a farti da balia asciutta!-

"Signore..."
"Eh?", fu strappato alle sue riflessioni Justin, trovandosi a fissare insistentemente il pomo d'adamo del giovane Sean che faceva su e giù, su e giù, su e giù incessantemente come uno yoyo, affascinandolo; a momenti avrebbe avuto un infarto, giudicò sarcasticamente ma anche tacitamente visto Katryn sembrava essersi affezionata al ragazzo come al suo nuovo giocattolino.

"Potrei... potrei avere il suo autografo, mister Swanson?"
"Il...mio?", chiese Justin, allibito, girandosi a guardare istintivamente Katryn, shokkato. 
"Se non le dispiace...", pareva avere ritrovato sicurezza il giovane receptionist, porgendogli un blocchetto intonso ed una penna nera e allungandosi sul bancone per sussurrargli un qualcosa distante dalle orecchie del direttore d'albergo, impegnato con qualche difficile transazione in moneta estera. 
"Il vostro concerto dell'altra sera è stato... incredibile. Io c'ero.", e spinse avanti il blocchetto, come ad incoraggiarlo. "Siete un'istituzione a Dublino, ormai. Aspettavamo con ansia il vostro ritorno.", gli sorrise.

Justin prese la penna come in trance e, dopo averla guardata come fosse un oggetto alieno, si scosse e firmò, con un leggero sorriso di rimando. 
"Se vuoi posso imitarti la firma di Dorian.", sussurrò complice a sua volte, mentre aggiungeva una dedica ed una data. "Non sai quante volte gli ho firmato i brutti voti a scuola!"

"Mi accontenterò, signore.", rise il suo coetaneo che era dall'altra parte del bancone di una reception, seppure titolata e in così giovane età, e non su un palco o in studio per chissà quale  gioco del destino o per mera sfortuna; entrambi sembrarono accorgersene e mentre il ragazzo porse il blocchetto anche  a Katryn, quasi riverente, Justin si sentì come percorrere da un brivido.

Se quello era il gioco del loro destino, chi aveva lanciato i dadi per lui? 
Ripensando a come Katryn era riapparsa sulla sua strada, ne era quasi spaventato; sentì calare una cappa oscura sulla sua vita passata e futura, nel corso della quale solo il suo presente attimo per attimo era luminoso.

Se il suo destino sembrava volesse dargli,  per il momento, tutto ciò che aveva mai desiderato, cosa gli avrebbe riservato il futuro? 
Le cose erano fatte per salire e per scendere, lo sapeva; e sapeva anche di essere al punto più alto della sua salita, in quel momento. 

Poi un gridolino lo colse di sorpresa e la pesante cappa di gelo sparì, mentre la sua attenzione fu richiamata da Katryn che stampò un bacio sulla guancia del povero receptionist, reo di averle confessato di avere i suoi primi album ordinati d'importazione; aveva il sospetto che tra poco anche qualcosa sotto la cintola dei pantaloni del povero Sean avrebbe iniziato a fare su e giù, non solo il suo pomo d'adamo!

"Andiamo, principessa, lascialo in pace! La zucca è arrivata!", rise, aiutandola a scendere dal bancone dove tutto il personale dell'hotel ed i clienti presenti la stavano guardando.
"NOIOSO!Giuro su Dio che sei più noioso di Monik!", sbuffò lei, intrecciando le sue dita con la sua mano e avviandosi verso l'esterno. 

"Ehi, ehi, aspetta! Dammi un secondo, io non ho mai affrontato una cosa così!", la fermò, prima di varcare le pesanti porte.

Katryn ci pensò sopra per un secondo, mentre Justin osservava la folla di paparazzi che, grazie alla porte a specchio dell'hotel non potevano vedere loro o si sarebbero ancora più aizzati; erano una massa, sì. 
Una sorta di marea che rimaneva quiescente finchè non arrivava un'altra ondata e allora si rimescolava, si agitava e si sollevava e poi tornava pian piano di nuovo tranquilla a brontolare in attesa della prossima onda, che probabilmente erano soffiate da vari entourages. 

Katryn scosse i lunghi capelli, non perfettamente acconciati come la sera prima ma dignitosamente ondulati, e spinse il labbro inferiore in una smorfia bambinesca.
"Non lo so...", e poi si illuminò in modo quasi maligno, sembrò a Justin che ormai aveva imparato a temere quell'espressione. "Ce l'hai un avvocato?"
"Co..?!"
"Un avvocato. Un azzeccagarbugli. Una dannatissima persona che ti tiri fuori dai guai!"

Il pensiero di Justin per un nanosecondo si fissò sull'onnipresente Dorian, alla dicitura 'fuori dai guai', ma capì che Katryn intendeva un avvocato vero.
"N-no. Ehi, perchè dovrei avere un avvocato personale?! Non ho ancora fatto niente! Non ho mai sfondato una camera d'albergo!"
"Hai un manager?", lo riprese, paziente, Katryn.
"Quentin?"
"Ottimo, lui ti troverà un avvocato.", ed il sorriso astuto riapparve sulla sua graziosa bocca glossata. "Uno che ti eviti di sborsare il tuo patrimonio in caso tu dica che Bonjovi è gay!" 
"Scusa?!"
"Usciamo e facciamo dichiarazioni a cazzo! 'Oh com'è bello vedervi qui!', 'Abbiamo in progetto di sposarci presto e ritirarci a vivere in Nebraska.', 'Stiamo pensando ad un ritiro spirituale assieme ai Pearl Jam' e cose così.", lo incitò eccitata e perfidamente scherzosa, con gli occhi che le brillavano in modo magnifico.

Ah, era una delle cose che avrebbe sempre voluto provare se non ci fosse stata Monik a frenarla e in alcuni casi a spingerla via fisicamente e inventarsi qualcosa per giustificarla... Ma la lucina che iniziava a riscaldarsi negli occhi di Justin le diceva che aveva trovato il complice giusto.

"Ti sbagli, chèrie. Dave Ghrol è GAY!"
"Ricalcheremo il mito di Sid e Nancy!"
"Courtney Love e Kurt Cobain!"
"Fonderemo una joint venure con gli U2 per evadere le tasse!"
"Finanzieremo le girl scout!"
"Uno split con Marilyn Manson!"

Scoppiarono a ridere mentre, tenendosi per mano, si avviarono ad aprire il pesante portone a vetri, ovviamente continuando con le beoterie prima che Katryn si fermasse, stampandogli un bacio sulla guancia.

Un vero bacio, non un bacio di rappresentanza come al povero receptionist.

"DIO MIO!, sei uno spasso! Ma dove ti ho trovato?! Anzi, ritrovato? Dove, dico io?"
"L'hai cantato giusto stamattina, amor mio.", rise Justin, un po' dal nervosismo un po' per vera felicità. "Tu sei 'The Seeker'. Hai cercato sopra e sotto!" 
"E non eri nè sotto la sedia nè sotto il tavolo: eri bello e cotto in un letto caldo!", scoppiò a ridere Katryn, entusiasta, mentre uno dei portieri si affrettò a spalancare la porta. 

"UNTIL THE DAY I DIE!!", esclamò, riprendendo la canzone, tirandosi dietro Justin che scuoteva la testa, ridendo, nella ressa dei giornalisti che più che un'ondata, alla vista di loro due assieme improvvisò un vero e proprio maremoto; una cosa spaventosa che li lasciò senza fiato quando riuscirono a salire sul taxi, anche perchè stavano ancora ridendo per tutte le cretinate di dichiarazioni che avevano rilasciato, urlando a squarciagola.
*
La sera stessa andarono al concerto di chiusura dell'Irish Mtv Festival,     quello degli U2, che faceva sembrare i loro show precedenti come dei semplici preludi in due atti.
La caduta ed il risollevamento.

Prima del trionfo assoluto. 

Un Dorian sornione li accolse assieme ad uno Shane ammiccante e ad un Eddie rassegnato alla presenza del suo cantante, mentre anche Monik decise di ricompattarsi senza gioia al gruppo, non mancando di rifilare occhiate assassine a Justin dai quattro posti in là in cui era stata confinata. 

Dopo il party finale post-concerto degli U2 -dove Dorian, mogio mogio, ammise 'Ci hanno demoliti tutti'- fattasi spedire tre cambi completi, una valigetta make up che sembrava provenire dalla Nasa e un quantitativo inquietante di profumi e fragranze, Katryn decise di tenere prenotata la suite in hotel ma dormire a casa di Justin e iniziare un tour di Dublino con un dublinese, cosa che non sempre riuscì bene grazie ai dannati paparazzi.

In capo a due giorni, per il mondo intero del musical showbusiness delle due sponde dell'Atlantico, erano diventati una coppia. 

Per il momento, la cosa più interessante da seguire nella scena. 



*1-The Seeker, canzone degli Who.
Da ascoltare al massimo volume, per la resa. 



In fase di ricalcolo necessario del finale causa cambiamento della trama. 
Ci sono bradipi più veloci di me
Babs
*capitolo non betato


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Capitolo 44
*** 44. Il poster che volle cadere ***


44. Il poster che volle cadere


Dorian non sapeva perchè insistesse  tanto a trovarsi nello studio, mentre si cincischiava con Phoenix al collo e passeggiava per la loro sala nei Windmill Lane studios; dall'Mtv Irish festival di una settimana prima gli Interferences si erano trovati in stato d'assedio dei fan irlandesi in Ringsend Road e lui era l'unico che fino a quel momento aveva sfidato la sorte per andare a suonare. 

"Non ce l'avresti mai fatta senza di me.", borbottò amichevolmente al poster promozionale che li raffigurava per la promozione della loro serata al festival, in particolare a Justin. 
"Non ce l'avresti fatta, caro mio. Nè con il tuo bel muso, nè con la tua voce, nè col cuore. Non ce l'avresti mai fatta e basta.", scosse la testa, con un sorriso un po' amaro. "Ti dò atto di avere coraggio, comunque: ho come l'impressione che non sia stato facile. Non per te di certo.", addolcì la voce. 

Si avvicinò alla sua pedaliera da studio, il suo fuoco di potenza di suono come lo chiamava, ci armeggiò su per qualche minuto spostando regolazioni, ma fu del tutto inutile; quel giorno la sua mente lo spingeva a vagare col pensiero.

I suoi occhi tornarono di nuovo al poster, in cui tutti loro erano stati inquadrati dall'alto mentre camminavano lungo il Grand Canal Docks in mezzo ad altra gente sfocata.
Lui era stato colto di tre quarti, il capo inclinato a sinistra per guardare i suoi compagni incuriosito, in modo da far risaltare i suoi bellissimi capelli ondulati e i suoi zigomi perfetti.
Justin ed Eddie erano stati colti un passo più avanti che parlavano assieme o almeno pareva: Justin guardava avanti, gli occhi che sembravano trasparenti in quella luce in cui erano stati ripresi, la bocca aperta nell'atto di parlare ed una mano fissata per l'eternità semi-protesa  verso l'orizzonte nell'atto di spiegare; Eddie lo guardava sorridendo e come accennando a parlare a sua volta, le braccia incrociate e gli occhi scuri ridenti.

Questo prima che volesse accoppare il loro cantante per la performance suicida al festival annunciato in quell'immagine.

Shane era più avanti di tutti di un paio di passi in tutta la sua possente fisicità, le mani nelle tasche della lunga giacca e gli occhi di una fissità distratta verso quell'ipotetico orizzonte che sembrava stesse per indicare Justin: Shane l'inamovibile, granitico come una roccia. 

Un gruppo di amici qualsiasi occupati in una discussione per strada, ognuno coinvolto a diverso livello a seconda del carattere e dell'argomento trattato, Eddie e Justin i più presi. 

Dorian lasciò Phoenix con un sospiro e si mise davanti al poster con le braccia incrociate ed una faccia corrucciata; lo sguardo cartaceo di Justin sembrava volergli sfuggire, guardando a quel meraviglioso orizzonte che stava spiegando davanti a sè, e perchè no?
Justin alla fine aveva vinto su tutto, scala reale: jack, regina, re ed asso, ovviamente giocando illegalmente la sua carta preferita, la 'matta'. 

Dorian si protese col busto in avanti e le gambe un po' divaricate ancorate a terra come fossero di piombo, una sorta di osservatore scrupoloso in una galleria d'arte: guardò bene gli occhi dell'amico, fotografati e forse ritoccati in post-produzione in modo da sembrare ancora più chiari - ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco-.

Era una foto della promozione del tour di Velvet Wall non usata, ricordò; degli scatti fatti a Dublino in una pausa presa in corsa dal loro tour europeo. 

"Ci vedevi già il Più in Là, in quel momento?", soffiò, improvvisamente inquietato dallo sguardo fisso del poster. "O non ne sapevi ancora niente? Lo stavi immaginando? Stavi costruendo qualcosa per noi o per te? O  forse stavi parlando di cosa sarebbe venuto, cantastorie?", e la sua voce si incrinò di disprezzo, senza sapere il perchè. 

Innervosito senza motivo, Dorian si allontanò di scatto come scottato dall'immagine e andò a sedersi sul divanetto della sala, accendendosi una sigaretta ma sempre con gli occhi incapaci dallo staccarsi dall'immagine.
A mano a mano che continuava a fissarla vedeva qualcosa in quegli occhi, qualcosa di indefinito che non sapeva neppure lui ma che non gli piaceva: lo sentiva nelle viscere, a livello inconscio. 

Lo faceva stare male e bene.
Bene  perchè nonostante tutto Justin gli era sembrato felice, più felice di quanto l'avesse mai visto; male perchè spesso il concetto di felicità di Justin si pagava sulla sua stessa pelle e spesso ne veniva coinvolto anche Dorian. 

In uno scatto improvviso si riportò davanti al poster, sempre con la sigaretta accesa: se ci fosse stato qualcuno gliel'avrebbe fatta spegnere subito, con tutti i cavi e le attrezzature che vi erano nello studio, ma Dorian era solo.

Da solo era tornato a finire il lavoro, dopo i fasti del Festival. 
Da solo aveva sfidato le orde di fans accampati davanti ai 'nuovi' Windimill Lane studios come ai tempi dei primi Windmill Lane -che non erano originariamente lì- ai tempi degli U2.
Da solo perchè forse così sperava di trovare consolazione e ispirazione per andare avanti dopo l'apice toccato con l'ultimo concerto che gli aveva lasciato un vuoto, non per sentirsi..
...spaventato?

Sì, era come spaventato ma nessuno era lì per consolare 'lui'. 

D'un tratto, pensando solo a quella cosa e facendola diventare un loop nella testa, si tolse la sigaretta di bocca e soffiò direttamente il fumo contro il poster, spostandosi i capelli con una mano come per vedere meglio e ancora prima di rendersene conto la spense contro gli occhi cartacei di Justin che bruciarono lentamente e si fermarono ai contorni della faccia.

Dorian fu quasi spaventato da quel suo gesto così troppo spontaneo ma non si ritrasse, anzi si avvicinò per osservare l'opera fatta anche se qualcosa di diverso ora gli girava nelle sue budella. 

Aveva la netta sensazione di fissare degli occhi vuoti più che un atto di vandalismo e questo non rese il tutto più simpatico, ciònonostante non si arrese.
"E' meglio che tu inizi a pensare bene e presto cosa potrebbe succedere se restassi senza me.", sibilò a quegli occhi senza sguardo.  

"Cosa stai facendo? Cos'è questa puzza?"

La voce dalla control room lo fece sobbalzare mentre Eddie si avventurava per la prima volta negli studios dopo il festival, affannato per la corsa per sfuggire ai fans. 

Dorian si girò di scatto con un rossore diffuso ed una gran confusione in testa.
Cosa gli era preso?!
Perchè ora ce l'aveva così tanto con Justin?

"I...io... Non sopporto quel poster.", tentò di giustificarsi. "Non mi è mai piaciuto, mi mette ansia e poi il festival è... finito.", concluse, in una parata malfatta. 

Eddie lo osservò e poi guardò il danno senza troppa attenzione.
"Dopo lo togliamo, allora.", sospirò. "Hai ragione, comunque. Non piace neanche a me.", e mentre si avvicinava e lo sorpassava per guardare il grande poster promozionale portato da lui stesso nelle prove pre-festival, a Dorian parve di sentire qualcosa nell'aria tra lui ed Eddie. 
"Era bello. Era bello quando noi eravamo belli."

Ma forse se lo immaginò e basta; l'unica cosa di cui era certo era che fosse fortemente confuso; forse non sarebbe dovuto venire, quel giorno. 
Forse aveva la febbre.
Di certo qualche tipo di malessere l'aveva colto, fisico o psichico.


Dopo un tentativo di prove infruttuose (Shane era vittima del 'morbo del Rock am Ring', come chiamavano spassosamente tra di loro il ricordo della sua leggendaria diarrea prima di salire sul palco del festival tedesco - Justin al contrario era riccamente tracciato ma avevano deciso di dare ancora un po' di tempo per assestarsi in quella che sembrava la sua nuova vita), Eddie si sedette sul divanetto assieme a Dorian. 

"Stiamo diventando un grande gruppo.", attaccò senza tanti giri di parole Eddie, cosa di cui Dorian di solito gli era grato anche se in quel momento avrebbe evitato qualsiasi argomento che riguardasse il loro quartetto come band. "Quello che abbiamo fatto al festival, beh...", fece uno strano risolino. 
"Sembra come che il nostro paese ci abbia riconosciuti. Non mi sono mai sentito tanto irlandese come questa settimana. Prima era come se fossimo una band inglese o americana e venissimo nelle nostre case affittate qua."

Dorian annuì: anche lui aveva provato la precisa sensazione ed era certo che anche Shane l'avesse provata. 

Justin? 
Justin forse era stato il primo a capirlo, visto che la sua fobia per il palco si era scatenata proprio in casa e non negli stadi europei. 

"Ritorno con vittoria.", sospirò Dorian, tra il serio ed il sollevato. "Siamo anche noi una band irlandese che ottiene buoni riscontri all'estero, sulla strada maestra dei primi U2 e con ambizioni di superarli. Mi sento come se mi avessero ridato la cittadinanza."
"E abbiamo una vera rockstar nel gruppo, ora.", disse in modo un po' perfido Eddie. "Roba che fa parlare i giornali in tutti i modi."
"Se potesse scavarsi una buca penso lo farebbe.", mormorò Dorian. "Almeno in parte so quanto gli è costata questa vittoria e non so quanto se la stia godendo. "

Ci fu un attimo di silenzio che spinse Dorian a guardare Eddie, che lo stava fissando tra l'incredulo ed il prendiperilculo in modo comico.
"Quanto se la stia godendo? Vuoi la mia opinione?"
"Eddie, non intendevo..."
"Se la sta godendo, altrochè! Chi non se la godrebbe?! Dài retta a me, quello se la sta spassando un mondo!", e fece un sorriso poco divertente. "Se la sta spupazzando per bene se non è scemo, credimi, e quello stronzo sarà pure tante cose ma non è sce..."
"EDDIE."

Sebbene non si fosse alzata di volume, la voce di Dorian aveva trasmesso una certa severità che anche la piega della sua bocca tradiva.
"Stai parlando di due miei amici. Io c'ero e non è stato divertente vederli soffrire così e soprattutto non mi và che tu ne parli come un pettegolezzo spregevole da paparazzo.", disse lapidario, stringendo i pugni. 

Eddie assottigliò gli occhi, sempre osservandolo.
"Già. Forse hai ragione.", e poi lo punto con un dito indice.
(BANG)
"Però ti rode.", soffiò. "In un certo senso è come se Justinsi fosse portato via tutto di colpo, vero?"

Come tante volte nella sua vita, Dorian fu stupito da come Eddie intercettasse i suoi pensieri ancora prima che prendessero una vera forma.
"Ti rode o l'avresti sentito almeno una volta in questa settimana. Magari lei, se non lui."
"Scusa?!"
"Lo so perchè l'ho sentito io.", disse Eddie, con un sorriso sornione che presentava anche dei tratti maligni, gli occhi scuri ora più che mai con un sottofondo di irrisione. "Volevo vedere se avevo indovinato. E a quanto pare ho fatto un centro completo.", concluse, prima di accendere la sua sigaretta e tornare a rivolgersi a lui. "Era stupito che non gli avessi telefonato per le prove o altro."

"Ma... Io pensavo che sarebbe stato giusto lasciarlo in pace finchè... finchè Katryn non se ne fosse andata.", tentò Dorian alla cieca, mentre ripensava a Justin che, in un atto di coraggio estremo, tratteneva Katryn per poi rivelarle quello che pensava. 
A Justin in terrazzo con lei; e come aveva fatto il tifo per lui!

"E se ne non se ne andasse?", provò dolcemente a farlo ragionare Eddie. "Non puoi evitare questa idea per sempre, a maggior ragione visto che sei amico di entrambi." 
"Se non se ne andasse?", chiese Dorian corrugando la bella fronte, come di fronte ad un problema irrisolvibile. "Cioè se restasse qui?"

Eddie sospirò.
"Dorian, sei un grande chitarrista.", e si interruppe per spegnere la sigaretta. "Ma di amore non sai davvero un accidente.", e si alzò, stirandosi le braccia per poi guardarsi attorno, tra il seccato ed il divertito. "Direi che con questo assedio possiamo fare a meno di provare, tanto Shane ne avrà per un po' e credo che Justin non ricorderebbe neanche la strada per questo posto...", si girò a guardarlo, senza severità ma con una certa fermezza. "Riuscirai a recuperarlo?"
"Da dove?", chiese Dorian, confuso.
"Dal baratro del primo amore.", sorrise Eddie più dolcemente. "Dicono non ci sia niente di più intossicante e velenoso.", e il suo sorriso mutò in qualcosa tra il triste ed il quasi soddisfatto. "E come sappiamo Justin è sempre in ricerca di cose tossiche e velenose."

Dorian ebbe un momento di incertezza in cui si guardò le scarpe, pensieroso, poi fissò gli occhi in quelli di Eddie.
"No. Non sta a me recuperarlo.", disse con più durezza di quella che forse voleva far intendere. "Sono stanco di recuperarlo. Di trascinarlo sul palco. Di fare il suo bene.", sibilò sinistramente le ultime parole. 
"Se ci tieni, vallo a prendere tu. Stavolta può anche provare ad arrangiarsi.", concluse, incrociando fermamente le braccia e arricciando le belle labbra, lasciando che Eddie traesse le sue conclusioni. "Io non mi metterò in mezzo a niente, non stavolta."
"Cambierai idea, passerotto...", disse il rosso, finalmente sorridendo  e facendo spallucce. 

Raccolse la sua giacca e scosse la testa, sempre mantenendo il suo solito sorriso sornione.
"Vedrai che in qualche modo tutto si risolverà, come sempre. Se non lo andrai a riprendere tu tornerà. Magari in qualche modo traumatico come al solito, ma torn-FRAAAAAAPP!!

Il forte rumore improvviso fece voltare improvvisamente entrambi e fare un salto a Dorian, con i capelli biondi che volarono per un istante dappertutto, come quando era sul palco.

Il poster incriminato era caduto dal muro, senza l'ausilio di nessuno e senza preavviso.

Dorian lanciò uno sguardo ad Eddie, mantenendo per qualche secondo una luce allarmata negli occhi e poi guardò a lungo l'ammasso di carta plastificata che si era afflosciata a terra, mentre Eddie si avvicinò per raccoglierlo e buttarlo, come aveva promesso poco prima in tutta tranquillità.

Dorian osservò tutta l'operazione con il cuore che lanciava avvisi tachicardici, fissando stavolta il suo sguardo sullo spazio vuoto del muro.

"Era solo un poster, Dorian.".
La voce di Eddie alle spalle lo fece sobbalzare e girare verso di lui, aumentando ancora di più il ritmo del battito cardiaco; il suo amico lo stava guardando con una sorta di preoccupazione mista a curiosità.
"Non so cosa ti abbia fatto, ma era solo un'immagine. Ce ne sono a bizzeffe in giro."

"Io...", deglutì Dorian, ravvivandosi i capelli e trovando un filo di sudore viscido e freddo sul filo della sua cute, mentre cercava delle parole dentro di sè. "Temo di non stare bene, Eddie.", e chiuse gli occhi, mentre la sensazione di sudore freddo si espandeva sul resto della pelle.
"Penso che... sì, per un po' niente prove.", e si costrinse a pensare come il leader che era: il leader di un gruppo che al momento non aveva voglia affatto di guidare. "Se avrò qualche idea... te la manderò per e-mail, siamo d'accordo?"
"Non sforzarti.", gli mise una mano sulla spalla Eddie, comprensivo. "Abbiamo lavorato come schiavi fino a quel diavolo di festival. Spetta anche a noi un po' di riposo, ora come ora. Vai a casa e mettiti a letto con un'aspirina ed una bella figliola e se hai bisogno di una o dell'altra chiamami e sarò la tua infermierina!", scoppiò a ridere Eddie, allegro e senza la minima  vera preoccupazione. 

Fu così che, da tempo innumerevole e senza un vero motivo per una volta nella sua vita, Dorian si rifugiò a casa, spossato da non si sa cosa.

Gli Interferences sparirono per un po', nell'immaginario colletivo a godersi il trionfo del festival ed il loro ritorno a casa.
*
*
"Quando ripartirai?"

Fatto.  
La domanda che Justin aveva lasciato in sospeso per una settimana intera, aleggiante sulle loro teste come un fantasma consapevole di esserci ma non riconosciuto, era stata posta finalmente. 

Una settimana in cui Katryn aveva insistito per vedere i posti più caratteristici di Dublino sia per turisti che per irlandesi, in cui erano stati in battello sul monumentale fiume Shannon, avevano girato indisturbati la campagna irlandese come ai tempi del primo ed unico tour indipendente da ragazzi della band, avevano superato il confine ed erano andati a Belfast ma anche camminato per il Grand Canal Docks ed ora stazionavano pigramente a riposarsi nel loft di Justin da ben due giorni.
Come innocui vampiri che non avevano voglia di uscire alla luce del sole, ma solo trascinarsi tra letto, divano e qualche volta tappeto o vasca da bagno. 

Un minitour dell'Irlanda anche Justin aveva trovato divertente e rilassante; non riconosceva quasi più la sua terra (se mai l'avesse conosciuta, visto che da Dublino era uscito solo per dei concerti ed era stato raramente a Limerick per via dei parenti residui che non aveva neppure voglia di vedere) anche se ne parlava molto ed era stato bello scoprire di esserne comunque sia parte integrante che un po' distaccato.
Sentiva che tutto questo gli sarebbe stato utile nelle sue frequenti prese di posizione, specialmente dopo l'Irish mtv festival dove, come nel frattempo ne stavano discutendo Eddie e Dorian, sentiva che gli fosse stata data una sorta di cittadinanza onoraria, rappresentativa dell'Irlanda nel mondo. 

Ma in quel momento non stava pensando a quello; solo il torpore in cui erano avvolti in quelle ore a disposizione e l'andirivieni dal sonno di Katryn probabilmente gli avevano dato il coraggio di squarciare finalmente il velo e fare la domanda che gli premeva da quando l'aveva avuta nelle sue braccia, ancora prima di baciarla.

"Mmm... Vuoi che me ne vada? Lasciami almeno fare un riposino...", quasi sbadigliò Katryn, ad occhi socchiusi, avvicinandosi a lui e tirandosi dietro un po' di lenzuola calde.
"Sai che semmai è il contrario...", soffiò Justin, perfettamente di fronte e anche lui avvolto nel calore, a fronte della pioggia che non aveva mai smesso di cadere da una settimana a quella parte e che li aveva spesso ghiacciati. "Non vorrei mai che te ne andassi."
"Un sonnellino ed un bagnetto caldo...", chiuse del tutto gli occhi Katryn, la voce leggermente più impastata via via che parlava. "Ti lascerò una mancia se mi massaggerai la schiena, ragazzo. Una grooooossa mancia..."

Justin pensò, sconfortato, che non sarebbe riuscito a farla parlare per quel momento e si rigirò mettendosi supino nel letto, sospirando e incrociando le braccia dietro la testa, pensando alla voglia di accendersi una sigaretta.

"Ehi...", una mano brancolò alla cieca prima di trovare il suo torace non propriamente ampio e aggrapparsi, con Katryn che si tirò ancora semiaddormentata con la testa sopra di lui, addolcendolo all'istante. 
No, di più.

Commuovendolo. 
-Sono un patetico frignone.-, pensò Justin, senza sentirsi colpevole. -Un dannato mollaccione. Gliele darò tutte vinte andando avanti così.-
Per poi essere colpito ancora da un pensiero a catena.
-...avanti quanto?-

"Parlo sul serio.", le afferrò una mano non stringendola forte, ma facendosi sentire e Katryn aprì gli occhi all'istante, vigile. 

In quel momento rivelò di non essere mai stata adormentata o sul limite del sonno, fissandolo dritto negli occhi con una traccia di sorriso, e per uno straniante e lungo momento Justin non fu in grado di ricambiarle il sorriso. 
Fu come se qualcosa dentro di lui pensasse al posto suo, e pensasse di -di prenderla per il collo e romperglielo. Pensi di non poterlo fare, non saperlo neppure fare e di certo di non averne il coraggio ma lo faresti. Lo faresti perchè ti ha preso in giro e non hai MAI accettato che ti prendessero in giro senza il tuo permesso, figurarsi su questioni importanti come questa! Perchè ti ha preso in giro sui tuoi sentimenti che non hai mai permesso quasi a nessuno di toccare e perchè l'ha fatto così facilmente. Così la elimineresti velocemente e senza pensarci, come una vergogna. E sapresti, potresti ed avresti il coraggio di farlo. In fondo sai chi sei, in fondo, in fondo, in fondo... -che l'avesse ascoltato tutto quel tempo per prepararsi una risposta o prepararsi alla risposta stessa. 

Justin seppe che anche lei temeva quella risposta nel momento in cui il sorriso tenue si spense nei suoi occhi e apparse una preoccupazione tremante che non vedeva da una settimana, da quando l'aveva baciata per la prima volta; e la riconobbe perchè prima, nella loro raffinata danza senza toccarsi, ve n'era stata in abbondanza da entrambe le parti. 

"Devo ripartire per L.A tra un paio di giorni.", sospirò Katryn, ora spostando lo sguardo dai suoi occhi alla propria mano, con lo smalto che iniziava a rovinarsi. "C'è... se c'è una possibilità di rimanere qua fino a Natale devo assolutamente tornare e far sentire la mia voce con il management. A Natale non scamperò ai fottutissimi special televisivi...", e la sua mano corse a coprirle la nuca, come se già sentisse il peso dei suoi impegni. "Dovrò andare almeno un giorno a Montrèal da mia madre, mentre sarò a casa; ha avuto un altro esaurimento nervoso e anche se Monik e mio fratello mi hanno assicurato che è tutto a posto, ora, mi sentirei un verme se non andassi almeno a trovarla.", sospirò pesantemente. 

Quella era una delle poche cose -se non l'unica- che sarebbe stata in grado di distruggerla sia fisicamente che mentalmente: un senso di colpa per il suo successo che pareva, a sentire lei, costruito sulla pelle coriacea di una madre che ad un certo punto aveva ceduto, in una famiglia altrimenti troppo debole. 
Una paura folle che tutto venisse a conoscenza dei media, decretando la fine delle cure pazienti, lente ma a basso dosaggio della madre a favore di cure obbligatoriamente più pesanti e nascoste. 

Justin le strinse la mano, sentendosi colpevole per i suoi sospetti e per quella stranissima traccia di pensiero di poco prima.
Stettero un po' così, lasciando che la pace si ricomponesse poco a poco, poi Justin le passò una mano sotto il volto, costringendola dolcemente ma con un pizzico di fermezza a guardarlo. 

"Vuoi che venga con te?", le chiese, facendo intendere che non voleva andare perchè la riteneva incapace di fare ma solo per darle un supporto in più. "Monik me la evito volentieri ma non mi darebbe fastidio rivedere L.A e non ho mai visto Montrèal.", cercò di buttarla sullo scherzoso. 
"Tu non hai un album da completare, mr Swanson?", arricciò il naso Katryn, di nuovo sorridente. "Dorian mi accuserà di averti rubato al gruppo! Come se avessi paura delle sue minacce da stronzetto..."
"Ecco, vedi... ti sei risposta da sola.", ridacchiò Justin, che però al nome di Dorian ricordò improvvisamente che non lo sentiva da una settimana.

Non una telefonata, non un sms, niente di niente.
E questo era maledettamente anomalo, da lui; specialmente quando Eddie, che non era la persona con la quale avesse i rapporti più tranquilli del mondo, gli aveva telefonato per riferirgli che in studio stava succedendo poco o niente e che erano sotto assedio peggio degli spartani alle Termopili.

"Seriamente...", la voce di Katryn lo strappò dai suoi pensieri. "Non dovresti essere a lavorare sul nuovo album, invece di preoccuparti della promozione del mio?"
"No... Penso che dopo questo anno infernale mi possa prendere una settimana. E poi i Windmill Lane sono impraticabili, Eddie mi ha detto di tenermi alla larga se tengo alla pelle."

"Ah beh, allora...", sbadigliò veramente Katryn. "Ce la fai in due giorni ad organizzarti?"
*
*
Dorian era a casa sua per la seconda o terza notte di seguito, i giorni si accavallavano quando non riusciva a dormire e non aveva un programma di cosa fare così come l'aveva sempre avuto nei suoi ultimi ventiquattro anni di vita.

Aveva recuperato uno dei poster promozionali identico a quello che aveva sfregiato ai Windmill Lane studios e l'aveva appeso nel suo mini-studio casalingo, mentre provava a suonare una scarsissima canzone che aveva intitolato provvisoriamente "Without me". 
Era scarsa sia musicalmente che di lyrics, arrugginito com'era, ma non era riuscito a comporre altro e continuava a canticchiarsela sfiduciato, sperando in una fulminazione positiva. 

In quel momento, come agli studios, mise giù la chitarra e si accese una sigaretta, conscio che non sarebbe riuscito a fare nulla per quella sera come nelle precedenti due -o tre- e tornò alla sua ossessione. 

"Chi ti credi di essere, il genio di 'A beautiful mind'?", si disse, chinandosi ad accarezzare Twisted, il suo gatto rosso bastardino che faceva le fusa tra le sue gambe vestite di un paio di vecchi jeans strappati della sua non lontana adolescenza. "Che ne dici, Twisty? Il tuo padrone è un genio o un imbecille?", disse, sollevandolo in fronte a sè e soffiandogli in faccia una boccata di fumo che causò una smorfia del gatto che divertì Dorian. 

'Sei chiaramente un coglione, se vuoi sapere il mio parere. E anche la mossa di castrarmi è stata disonesta, gran figlio di puttana. Ma se vuoi perdere il cervello giocando con quel poster invece di darmi altro cibo, fai pure. Mangerò il tuo cadavere.'

Dorian immaginò il dialogo con il gatto che lo guardava agli sgoccioli della sua pazienza felina e lo rimise giù, sorridendo. 
"Mah, mi sa che hai ragione. Tiro giù quel cazzo di coso, lo butto... e poi pappa per tutti e due, che ne di-", ma bloccò la frase quando notò che qualcosa era cambiato, nell'immagine.

Non vi era più Eddie a fianco di Justin, nella foto.
Vi era lui stesso e fissava Justin con uno sguardo allarmato, come pregandolo di non fare qualcosa; gli occhi verdi acquamarina erano sgranati in una supplica muta, la bella bocca socchiusa in un inizio di preghiera che non sarebbe stata ascoltata, o forse era troppo stupito e spaventato per parlare. 

O forse non riusciva a parlare, visto aveva una lama conficcata nel fianco, piantata dalla stessa mano che fino a poco prima era stata semispiegata verso un forse orizzonte luminoso.
La mano di Justin.
Justin che lo aveva colpito e che negli occhi vi leggeva una luce che non conosceva, un furore che solo una volta aveva visto nella sua vita e che era sicuro non sarebbe ricomparso: quando aveva promesso di ucciderlo a Monaco, anni prima, durante la loro più grave rissa. 

Quando aveva urlato 'O io o te' e vi aveva aggiunto, tanto per completare il tutto un 'Tu non vivrai' . 
La bocca sottile chiusa in un ringhio silenzioso ma feroce, la luce aliena negli occhi e il breve spazio di manovra.
Eddie che aveva preso il posto di Dorian nell'immagine e li guardava corrugando la fronte, preoccupato ma non veramente: forse solo incuriosito e non in grado di capire. 
Shane che sembrava esitare nel suo andare avanti e accennava a girarsi, accigliato come solo lui poteva essere.

E la gente sfocata attorno...che urlava.

Più osservava, più Dorian non si capacitava.
Era IMPOSSIBILE che il poster fosse cambiato!, era chiaro che il suo cervello iniziava a giocargli brutti scherzi, per l'insonnia,  per lo stress post concerto, la solitudine di quei giorni a cui non era abituato e alla sua osservazione frequente di quella stramaledetta immagine.

"E se non fosse uno scherzo?", gli parve di sentire una voce. 
Guardò allibito Twisted che si stava leccando una zampa e che aveva l'aria di non dargli attenzione neanche di striscio e sentì per un microsecondo di anticipo un fiato vicino al suo orecchio.
"Bu."

Saltò letteralmente all'indietro, girandosi e quasi calpestando il gatto e finendo a terra nel suo balzo, per ritrovarsi faccia a faccia proprio con...
"Just...Justin!"
"Se pensavi che fosse il gatto a parlarti sei davvero andato di testa, Dorian-bello.", lo fissò quieto l'amico, vestito della sua divisa nera da palco come la chiamavano, i suoi pantaloni di pelle e la sua maglia nera unisex a collo largo, con i soliti capelli neri che tentavano di battere qualche record di gravità. 
"Co-come sei entrato?!", lo assalì quasi Dorian, in parte riavutosi. 
"Ho avuto le chiavi da Eddie.", fece spallucce Justin, come fosse una cosa logica. "Hai spento il cellulare o ti avrei chiamato. Non ho il tuo numero di casa. Volevo solo dirti che domani parto per gli USA e non so quando tornerò; poi volevo vedere cos'avevi contro di me.", e i suoi occhi assunsero la sfumatura trasparente di quando era in ira con qualcuno e non si curava di nasconderlo.

Perchè nasconderlo, poi?
Justin incazzato era il più grande e sleale stronzo che la Terra avesse mai partorito, almeno nei suoi confronti; il chè rappresentava per il 70% il bersaglio delle sue ire.
 
"Non ti sei degnato di farti sentire dal festival.", lo accusò, la voce trasformatasi anch'essa di ghiaccio. "Sono dovuto venire a cercarti e a parlare di persona. Mi stai chiaramente evitando!" 
Ma tutto questo a Dorian non interessava; c'era qualcosa che gli era sfuggito all'inizio ed aveva fatto prendere vantaggio all'amico, ma che aveva subito ritrovato. 

"Come cazzo hai indovinato a cosa pensavo?!"

Justin fermò l'inizio della sua contumelia e lo fissò, come per prendergli le misure. 
'Le misure della cassa da morto! Si mangia, si mangia!!'
-Non mi sei d'aiuto, Twisty!-

"E' chiaro come il sole... Ti stai preoccupando per il futuro del gruppo.", e avanzò di qualche passo, verso il poster con la strana immagine. "E posso capire che tu possa vedere la mia partenza come un tradimento alle spalle. Ma dovremmo almeno parlarne, prima di trarre considerazioni così... affrettate.", si voltò a fissarlo, con una specie di ghigno strafottente. "Una pugnalata... Sei sempre così melodrammatico, passerotto!"

"Quelli nel poster non sono i tuoi occhi.", affermò Dorian, senza neanche sapere perchè l'aveva detto. 
"No.", rispose quietamente Justin continuando ad osservare l'immagine come fosse un'opera d'arte. "Ma potrebbero diventarlo. Sono adatti, no?", disse, con un grazioso sorriso a testa inclinata, come ad autoammirarsi. 

"No...", sussurrò Dorian, avvicinandosi anch'esso a guardare l'immagine e anche l'amico, di lato. "Non sono adatti. E non sono i tuoi."

"Melodrammatico come un'attrice da operetta.", lo giudicò Justin, senza malanimo, voltandosi e cercando il gatto.
Quando lo  trovò, lo prese in braccio e si girò verso Dorian, fissando l'amico.
Con quei suoi nuovi occhi; e se gli occhi di Justin erano sempre stati chiarissimi, tanto da sembrare quasi senza colore a volte, quel nuovo modello da carnefice non era molto diverso se non in quello che vi leggeva dentro.

E Dorian vi leggeva, senza sforzo e senza bisogno di interpretazioni, l'epicentro della sua fine, non si sa bene ancora come ma di certo per mano sua.
Non era un'immagine, era come leggere ed interpretare un filamento di DNA, un cromosoma che avrebbe portato delle mutazioni ma che non si sapeva con certezza come si sarebbe sviluppato, solo che si sarebbe sviluppato in quel senso. 

L'orrore era così tanto che lo lasciò per un momento a bocca aperta e fece ridacchiare l'amico, ormai diventato un estraneo. 
"Così sei proprio uguale alla faccia che hai nel poster.", disse Justin, con un'orribile voce dolce come a blandirlo. "Bravo, Dorian! Sei talmente pieno di talento, che..."

"Questo è un FALSO!!", urlò Dorian senza sapere cosa stava dicendo e girandosi verso il poster, deciso. "Ed io so come farlo smettere!", e protese di nuovo la sigaretta accesa che per un qualche momento aveva dimenticato di avere, verso gli occhi cartacei di quello che era stato suo amico e premette. 
"Dorian che..."
"NO, NO, NO, NO! NON VIVRAI IN QUEL MODO, LO GIURO!!", urlò, con parole che uscivano da troppo dentro di sè per capirle, e cancellò gli occhi cartacei, troppo spaventato per girarsi se non a lavoro compiuto.

Fu una cosa più lenta che nello studios e, quando finalmente trovò il coraggio di voltarsi, nel più completo e funereo silenzio, non trovò più Justin bensì il suo gatto a leccarsi ancora la zampa sinistra, noncurante di tutto il baccano che doveva aver fatto.
Sentiva come che la zona fosse diventata un epicentro di emozioni negative, ma che in un certo senso provenivano da lui: l'odore della sua paura era tangibile e le sue ondate di paura e di terrore si spandevano tutto attorno, come onde di un terremoto chen on riusciva a fermare.

Dorian, il respiro ansante e le ciocche madide di sudore dei bellissimi capelli biondi davanti agli occhi sgranati, rimase a fissare il gatto, finalmente espirando il proprio sollievo. 
"Vaffanculo... sto diventando matto.", sussurrò, passandosi una mano in fronte, quando il lembo del poster, ormai stracciato dalla sua opera, lo toccò e lo fece quasi urlare e girarsi di scatto di nuovo. 

Solo che non era stato il poster a toccarlo.
Non vi era più il poster. 
Vi era Justin, con le orbite vuote e il tessuto attorno cicatrizzato dal calore, una cosa orribile e ripugnante che aveva allungato una mano a cercarlo, cieco. 

"Cosa hai fatto, Dorian?", sussurrò, prima di stramazzare a terra e ancora fissarlo con quello sguardo cieco. "Cos'hai fatto...", e...
...basta.

Era morto. 

Dorian non ebbe il tempo di urlare che, nel rilassamento dei muscoli della morte, Justin lasciò andare un pugnale uguale a quello con cui lo colpiva nel poster. 

Solo allora trovò il fiato e specialmente il coraggio per urlare.
*
*
"NOOO!!", e si svegliò, madido di quel sudore perfido che aveva sentito su di sè quella mattina stessa ai Windmill Lane Studios. 
Non erano passati due e tantomeno tre giorni; si era messo a letto sì e no da un paio d'ore.

Ci mise ben dieci minuti a riprendersi dal sogno e quando Twisty saltò sul letto a cercare coccole e pappa, lo cacciò assente mentre si alzava.

Andò nel suo piccolo studio casalingo e strappò il poster che aveva davvero recuperato, non guardandolo neppure.
Quando lo accartocciò per buttarlo, si sentì un po' meglio; non tanto, ma un po'. 
 
Tornato in camera con una bottiglia d'acqua, prese in mano il cellulare e quasi si strozzò con quello che stava bevendo quando gli rivolse l'attenzione.

Justin gli aveva lasciato un sms che sarebbe partito per gli States ed aveva provato a chiamarlo a lungo.


Dorian si sedette sul letto, la patina viscida di sudore che non si decideva ad andarsene e dopo un po' si prese la testa tra le mani, con l'impressione che scoppiasse. 
O forse con la speranza che scoppiasse, togliendolo dai suoi pensieri infernali di quella giornata infinita. 



Buon Primo Maggio.
Sottotitolo: gente che diventa matta


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Capitolo 45
*** 45. Doppio sogno ***


45. Doppio sogno

Justin tornò dopo appena una settimana dagli States, quasi avesse calcolato il limite dei nervi di Dorian prima che impazzisse e avesse deciso di tornare mezza giornata prima che il suo biondo ed affascinante chitarrista sull'orlo traballante di uno strano abisso si lasciasse andare a qualche brutta cosa come una crisi di nervi.

Dorian non aveva raccontato a nessuno del suo incubo, che non si ripetè mai più con la vividezza della prima volta e che tornò puntualmente a torturarlo sì nei suoi sogni ma specialmente quando si perdeva ad occhi aperti nei vari momenti di quelle giornate assenti; non era stato in grado di creare più niente, con grande stupore di Eddie che gli telefonava regolarmente due o tre volte al giorno, gongolando per la loro crescente popolarità e non riuscendo allo stesso tempo a capacitarsi del perchè Dorian se ne stesse chiuso nel suo appartamento a non fare un accidenti di niente.

Solo che Dorian non stava facendo un accidenti di niente, vero?
Dorian stava provando a farsi saltare il circuito del cervello nel modo più disastroso, ovvero dall'interno; provava la sua mente di continuo come il suo nuovo lettore dvd o come il suo vecchio videoregistratore vhs, paragonandola più ad un nastro che ad un laser disc.
Un nastro era più facile si rovinasse, come sentiva stava per essere strappato qualcosa a forza di fermi immagini, avanti-veloce e avanzamento per fotogrammi. 

E indietro, indietro, indietro...
Sempre, tornava indietro a riguardarsela.

Eddie e Shane andarono a trovarlo per trascinarlo ad una festa a Londra ma non ottennero quasi riscontro: Dorian era assente e al tempo stesso nervoso, più che irritabile e -sembrava- irritato dalla loro visita. 
Il biondino riuscì a cavarsela con la scusa che stava cercando di smettere di fumare e visto quanto le sigarette avevano avuto un peso sui suoi nervi nei vari momenti trascorsi, sarebbe potuto essere quasi credibile non solo ai suoi amici ma anche a lui.

Quasi.
Perchè, al momento di uscire, Shane si voltò e lo squadrò per bene, trattenendosi sul pianerottolo.
"Sicuro di stare bene?"
"Ah, Shaney...Vorrei fumarmi un pacchetto di Marlboro e berci dietro tre birre, non in quest'ordine, ma..." - 'ma' un beato cazzo, non prenderò mai più in mano una sigaretta con esseri umani nel raggio di due chilometri!!-
"No, intendo.... Stai veramente bene?"

Dorian si appoggiò allo stipite della porta e lo guardò incuriosito, chiedendosi cosa stesse vedendo Shane in quel momento.

Il relitto del suo scintillante chitarrista alla deriva?
Il suo delitto immaginario riflesso nei suoi occhi?
Il senso di colpa che sembrava uscirgli da tutti i pori per qualcosa che non aveva fatto, oh no -non ancora-, ma che tornava a tormentarlo?

Il massiccio bassista scosse la testa e incrociò le braccia, per fortuna con l'aria di chi non avrebbe avuto tempo da perdere.
Shane non era Eddie, Justin o lui: non si perdeva in discorsi troppo lunghi o arzigogolati; Dorian dubitava fortemente che a lui capitassero incubi del suo genere. 
 
"Secondo me tu soffri di astinenza, è vero.", sospirò il moro, guardando verso l'alto come tutte le volte in cui aveva dovuto mettere pace o inserirsi in qualche modo in quel bipolarismo che sembrava fosse inevitabile per la vita della band...e la loro. "Ma non soffri di astinenza da sigarette.",e lo fissò dritto negli occhi, prima di andarsene. "Soffri di astinenza da Justin. Per la prima volta in sei anni..."-"Sette."-"...ecco. Sette anni. Non mi perderò a dirti che starà benissimo senza te perchè non lo so, sappiamo che Justin và a caccia di guai come un orso col miele, ma so che tu puoi stare bene senza lui.", e alzò l'indice per un attimo, come se Dorian avesse mai avuto intenzione di interromperlo, stupito com'era da quanto Shane avesse fuorviato il suo malessere. 

"Anzi, tutto questo cambiamento potrebbe farci bene, non ci hai pensato? Io ed Eddie ne abbiamo discusso, venendo qui. Ma tu... secondo me tu vuoi solo accertarti che Justin torni al Dublin airport tutto intero.",e ci pensò sopra vagamente. "E magari solo...? Spero non sia co-"
"Questa è una bugia FOTTUTA!!", proruppe finalmente Dorian con  un tono così acuto da sembrare una dama ottocentesca scandalizzata, gli occhi ormai spalancati tanto da fargli quasi cadere le orbite e la bocca debitamente aperta in modo quasi comico. "Mi stai accusando di essere geloso! Tu...Voi! Voi siete fuori di testa nel modo più assoluto!" 

Ed era sincero, Dorian, mentre lo diceva?

Assolutamente. 
Riguardo al fatto che Justin fosse solo, single, fidanzato, si fosse sposato a Las Vegas o fosse diventato parte di un circo, non gliene fregava proprio niente, a parte forse la scorta di kleenex che avrebbe dovuto fare in caso di rottura tra lui e Katryn.
Sia che fosse chiamato in causa da una parte che dall'altra.

Riguardo al fatto che Justin scendesse vivo dall'aereo, beh... quello era un discorso che non riguardava Shane nè Eddie.

"Meglio così.", fece spallucce Shane. "Ma non stare a rimuginarci troppo tutto solo, tappato in casa."
"Non sto rimuginando proprio niente.", ringhiò Dorian. "Ho la febbre, sto di merda perchè non posso fumare e vieni pure ad aumentarmi il carico?!", mentì abilmente, usando la sua rabbia vera ed incanalandola in una bugia. "Non è che mi aiuti molto nelle mie scelte salutiste, pare tu mi stia augurando un cancro!"
"Right, right...", alzò le mani Shane, arrendendosi. "Sicuro di non volere venire?"
"Dopo questo discorso e questo nervoso?! Vi aprirei il collo a morsi, probabilmente, ed anzi ti ringrazio perchè se prima a forza di chewingum mi ero fatto passare un po' il pensiero ora ho voglia di farmi tre pacchetti e vomitare l'anima!"

Shane lo osservò attentamente con la sua solita flemma, mentre di sotto Eddie lasciò partire una scarica di trombe di clacson che quasi fece scappare la pelle via dallo scheletro di Dorian e proprio sotto gli occhi inquisitori dell'amico.

"Hai due occhiaie da paura, passerotto, va bene il salutismo ma qua sembri ad un passo dal farti fuori.", sospirò infine il moro, accingendosi ad andarsene. "Fatti un favore e riprendi a fumare, per l'amor di Dio. Abbiamo già un mestruato nel gruppo, in due anche no."
"Se và avanti così mi farò mandare una stecca di sigarette anche di contrabbando.", sospirò Dorian, internamente sollevato che la sua menzogna fosse stata accolta. "Divertitevi a Londra. Io vado a farmi fuori altri due pacchetti di chewingum."

Shane mimò un saluto e scese le scale, raggiungendo Eddie che mostrava la sua impazienza dando accelerate a vuoto all'auto.
"Non viene?", gli chiese, appena l'amico si fu accomodato nel sedile del passeggero della piccola auto sportiva. 
"No, sta proprio di merda...", sospirò Shane.

Eddie lasciò il complesso di appartamenti dove abitava Dorian e si immise in un'arteria stradale piena di traffico in direzione dell'aereoporto, stando attento alla guida e abbandonandosi un po' al sedile solo quando le altre auto iniziarono a scorrere più fluidamente. 

"Hai scoperto cos'ha?"
"Non sono convinto abbia qualcosa, Eddie. Ha sempre fumato come una ciminiera e ha la febbre, ha una faccia da paura ma ce l'avresti pure tu se decidessi di smettere di fumare. O di bere."
"Sicuro non c'entri nulla quell'altro disgraziato?", ignorò la provocazione Eddie.
"Pareva una veginella vittoriana capitata per caso nel Bronx, quando gliel'ho accennato...", e allo sguardo interrogativo dell'amico, Shane spiegò, bontà sua. "Ha strillato la sua indignazione da baronetto offeso, mi ha persino perforato un timpano."
"E' come una prova di sincerità, conoscendolo.", si rilassò Eddie, finalmente. "Sono contento sia così; mancherebbe solo che la storia di Justin crei casini interni al gruppo oltre che alla storia dei paparazzi. E proprio in questo periodo di successo.", se ne uscì, con un piccolo sorriso trionfale.
"Non credevo tenessi così agli interessi amorosi di Justin. Se non ricordo male,ecco... Sì, mi pare che l'ultima volta che siete stati assieme sembrava volessi ammazzarlo."
"Difatti non può fregarmene di meno.", sorrise ancora Eddie. "Ma messo così, innamorato, il ragazzo è molto più malleabile, meno cazzone e meno propenso a fare stronzate o mettere qualcuno di noi nei guai, oltre a sparire dalla circolazione più spesso. Il chè, parlando di Justin, è sempre cosa buona e giusta a vederla dal mio punto di vista. "

"Sei un cinico di merda.", brontolò Shane, ma con un sorriso aleggiante.
"Ma terrò in piedi questo gruppo.", scrollò le spalle Eddie. "E' dura ma lo faccio per i posteri. Ed ora pensiamo solo alla serata. E' tanto che non andiamo a berci il cervello assieme!"

 Mentre Eddie e Shane sorseggiavano il primo cocktail della serata al Dublin airport, ovviamente pianificando di atterrare moderatamente sbronzi a Gatwick e abbastanza su di giri al party di qualche brand di abbigliamento giovanile schifosamente famoso che stava corteggiando Shane come modello, Justin stava quasi terminando la sua traversata dell'Atlantico, rincorso dalla sua anima rimasta indietro di cinque ore col jet lag. (*)

L'aereo per Londra partì due ore prima che l'aereo da New York atterrasse sul suolo irlandese quasi a mezzanotte e con la pioggia a spazzare la pista, rendendo l'amata patria un luogo brullo ed alieno agli occhi assonnati di Justin, che appena uscito dal terminal come un comune mortale in quel luogo all'apparenza dimenticato da Dio si fece prendere dallo sconforto e prendere in mano il cellulare con una certa decisione, digitando prima un sms alla sua ragazza oltreoceano, rassicurandola che l'aereo non era caduto e lui era a tutti gli effetti vivo,anche se sfinito.

Subito dopo, mentre con un braccio richiamava l'attenzione di un taxi -uno qualsiasi per l'amor di Dio prima che mi infradici!- senza pensarci neppure fece una chiamata, non sapendo bene cosa trovare dall'altra parte della linea. 

"Sì?", rispose una voce arrocchita, con una certa cautela.
Una voce di un vecchio.

"Ehi Dorian, sono Justin. Sono appena arrivato a Dublino da un cambio raggelante a NewYaaavk, sono sfiancato dal jet lag ma non ho voglia di dormire. Posso passare da te?"
*
*
Dorian attese Justin fuori dalla porta del suo appartamento da scapolo nelle 'torri del silenzio'  in una posa rigida di chi stesse per combattere una battaglia controvoglia,  con una sigaretta in mano ed l'accendino nell'altra, stretti in pugno quasi come armi.

Quando Justin scese dall'ascensore e lo vide, con le occhiaie marcate e le labbra compresse quasi a formare una riga trasparente, anche se mancante della sua caratteristica velocità di ragionamento e notevolmente più svagato del solito comprese che forse non aveva scelto un buon momento per fare visita o tenere mattina col suo vecchio amico Dorian; anzi, aveva proprio una cera di merda, non c'era male grazie, anche se era certo che la sua fosse uguale se non peggiore addirittura.
"Come và, Dorian-bello.", trattenne uno sbadiglio, fermandosi davanti a lui che sbarrava la porta come un guerriero stanco di troppe battaglie.

"Ho sognato di ucciderti.", sputò fuori subito Dorian.
E come per miracolo Justin di colpo si sentì sveglissimo, non intorpidito dal jet lag che comunque non lo lasciava dormire, ma proprio sveglio, reattivo e in guardia. 

Dorian non si accorse della sua reazione, anzi parve proprio non vederlo e Justin fece un mezzo passo indietro, difensivamente.
"Un sogno, hai detto."
"Un sogno.", confermò Dorian, con un'aria assente negli occhi verdi acquamarina.

Stava cercando di ricordare, visto che da quando aveva raccontato la bella storiella a Shane nelle ultime ore finalmente gli era sembrato di 'guarire' da quella perfida ossessione che da quasi una settimana gli stava rodendo il cervello quando...
Eccolo lì.

Lì sulla sua porta, il responsabile di tutto. 
Che poi... di tutto cosa?
-Ti sta saltando il cervello, Dorian. Ma stavolta per davvero.-

Ma no, era solo l'impressione che gli faceva averlo davanti in carne ed ossa dopo aver passato giorni a rimuginarci sopra e rivederlo nella sua mente tutti i momenti che passava da sveglio (e dormiva ben poco, ultimamente). 

Si accorse comunque che Justin si era come ritirato ed aveva appoggiato la borsa da viaggio a terra, pronto per qualcosa, e a sua volta fece un mezzo passo indietro; non rientrò nel suo appartamento,  ma all'amico diede l'impressione di una serpe spiritata pronta a spiccare il balzo per attaccare.

"Dorian...", lo chiamò Justin, quasi soffiando a bassa voce. "Cosa... cosa vuoi fare?"

E in quel momento Dorian si riscosse e, pur non avanzando dalla sua posizione, guardò le sue 'armi' e si rese conto di non essersi neppure reso conto di averle prese in mano. 
"Niente...", e lo sguardo assente e un po' folle riprese un'ombra di colore, mentre lo guardava, abbassando un po' la tensione e la rigidità delle spalle. "Ma... Tu tentavi di uccidermi per primo, nel sogno.", sussurrò, guardandolo finalmente negli occhi. 

"Era un sogno, Dorian...", gli rispose Justin, poco convinto e sempre attento ai movimenti del biondino. 
"Un sogno, già...", gli fece eco Dorian, abbassando la testa, come arrendendosi all'evidenza per poi rialzarla di nuovo e guardare fisso negli occhi di Justin. 
"Mi credi se ti dico che sembrava fottutamente vero? Ci ho creduto... Anche se non capivo il perchè." 
"Perchè... nei periodi di stress certi sogni sembrano più vividi di altri e tu mi sembri stressato forte. Ricordo quando prendevo le anfe, scambiavo realtà per-"
"No. Non ho capito il perchè di come apparisse così vivido...", sembrò riflettere Dorian, ormai quasi pacificato ma sempre tenendo i suoi occhi piantati in quelli di Justin.

"Quello che non ho capito è  PERCHE' volessi uccidermi."
   
Poi parve scuotersi di colpo e retrocesse nell'appartamento, poggiando sigarette e accendino sul tavolo. 
"Non so cosa mi sia preso, davvero... Ho passato una settimana senza sigarette ed ora ne ho fumate cinque di seguito e mi pareva di essermi rilassato, ma col cavolo. Entra, comunque."

-Ecco. Tutto d'un tratto non mi pare più questa buona idea tirare mattino per rimettermi in pari col jet lag a casa di Dorian...-, pensò Justin, ancora restìo a recedere dalla sua posizione di guardia.

La cosa l'aveva scosso non poco, nonostante il rincoglionimento andante, specialmente perchè anche lui aveva qualcosa  da esorcizzare, vero? 
Qualcosa che gli si agitava nella testa e che aveva giustificato il suo ritorno quasi precipitoso in patria. 

"Vuoi entrare o pensi che ti aspetti con un coltello in mano?", gli arrivò la voce ormai sedata di Dorian. 
"Di quello non ho paura.", rispose Justin che decise, con una scrollata di spalle, di entrare e andare incontro al suo destino, qualunque esso fosse. "Anche perchè nel sogno mi uccidevi accecandomi."

Quando entrò, Dorian aveva perso quel poco di colore recuperato ed era appoggiato alla tavola per non svenire, guardandolo stravolto.
Justin prese una sigaretta da quelle sul tavolo, sotto lo sguardo spaventato di Dorian, e la accese, andando poi a sedersi sul divano. 

"Ti andrebbe di offrirmi un caffè? Non vorrei addormentarmi fisicamente prima che la mia anima arrivi e trovi chiuso..."

Dorian lo guardò, intimorito e confuso, e poi si avviò verso la cucina  lanciandogli occhiate da sopra la spalla, guardingo. 
"Se lo sapevi... perchè sei venuto qui, infine?"

"Perchè ti voglio bene, passerotto.", ironizzò Justin. "Iniziavo a soffrire di astinenza da te. E poi perchè volevo raccontarti cosa mi è successo in Canada.", e fissò la punta della sua sigaretta, mentre tutta quella situazione iniziava a sembrargli più che irreale, ma si decise a confessare il resto. 

"Anche io ho sognato, in questi giorni.", e allo spuntare sbalordito della testa bionda di Dorian dalla cucina come un pupazzo a molla, si lasciò scappare un mezzo sorriso mesto. 
"Solo che nel mio sogno 'molto vivido' c'era un suicidio. Ma solo dopo che tu mi hai ucciso in un altro sogno. Lo stesso tuo.", e soffiò il fumo, mentre i suoi nervi assaltati dalla nicotina e dalla stanchezza shakerarono per un momento dall'ansia. "Un sogno dentro l'altro. Ed entrambi molto realistici. Ma ti assicuro che nell'altro... ", e abbassò lo sguardo sulle mani, che tremavano. 

"Insomma, ci ho pensato per giorni. Dannazione era tutto vero.", e poi alzò lo sguardo a fissare Dorian, che vide tutta la finta sicurezza di Justin andata in frantumi al solo ripensare. 

Ah, non era stato così diversa la sua settimana al di là dell'Atlantico, vero?

Dorian scosse la testa lentamente, la bella bocca appena aperta dallo stupore e gli occhi che iniziavano ad intristirsi, vedendo le lacrime affiorare in quelli di Justin.
"Va bene...", disse, tentando di recuperare almeno lui una certa sicurezza.  "Ora faccio il caffè e poi ci diciamo tutto. Con calma e tranquillità."

"La tranquillità l'ho lasciata qua a Dublino anni fa e non so ancora dove.", sussurrò Justin, chiudendo gli occhi e appoggiandosi al divano, mentre l'amico era già sparito in cucina. "E temo non tornerà mai più da me..."
 
"Che hai detto?"
"Sbrigati con quel caffè."
*
*
Dorian tornò con un caffè lunghissimo, cattivo e nero che in qualche modo a Justin ricordò immediatamente gli States,  fatto in qualche modo dalla sua moka e dalla sua abilità di bruciare anche l'acqua ma efficace nello svegliarlo dall'abbiocco in cui era caduto su quel divano molto, troppo comodo, tanto da fargli dimenticare quanto il biondino prima l'avesse guardato come si guardavano i pericolosi assassini.

"Dio, Dorian, sei peggio degli americani nel fare il caffè...", storse la bocca Justin, bevuto un sorso dall'enorme tazza che teneva tra le mani. 
Dorian aveva per sè una tazza notevolmente più piccola, corretta con panna e whisky quasi in un irish coffee tradizionale ma, immaginava, sempre cattivo nonostante tutto; si accese una sigaretta e, come se nulla fosse successo, si stirò le gambe sedendosi al tavolo, soffiando fuori il fumo.

"Com'è andata negli States?"
"States e Canada.", rispose Justin, ricevendo chiaramente l'imbeccata di Dorian; il suo povero chitarrista si era probabilmente srotolato il cervello durante la sua assenza se non persino prima -solo ora gli tornò in mente che non vedeva Dorian dal Festival- ed ora gli stava chiedendo un po' di requie per rimettersi almeno in condizioni di poterlo ascoltare. 

Gli stava chiedendo di fare due parole innocenti, distrarlo per fargli riprendere fiato e come dargli torto? 
Guardare Dorian, per Justin, era come vedersi in uno specchio distorto in quel momento e non se la sentì di rimproverarlo nè di cambiare rotta.

"States e Canada.", ripetè, come a convincersene. "Ti confesso una cosa: non sopporto il ritmo di L.A. In tre giorni siamo andati a due party della RCA-Sony, uno di Mtv, un incontro con la casa discografica nel quale ho fatto salotto per tre ore con il batterista dei Foo Fighters..."
"Cosa?!", sobbalzò Dorian, già dimenticatosi di tutte le altre faccende a sentire il gruppo che dal suo punto di vista aveva tradito la memoria dei Nirvana. 
"Era sbronzo marcio, è stata un'orribile tortura!", si lamentò Justin, prima di bere un altro sorso dello schifoso caffè da petrolchimico. "Ma quella strega di Monik non ha permesso assolutamente che entrassi anche io all'incontro con la dirigenza della Sony, come se fossi una spia nemica, cazzo quanto mi odia! Tanto Katryn se n'è uscita spiattellando palesemente che non aveva capito un cazzo, sai, termini tecnici etc, a parte di dover tenere un mini set il giorno dopo sul Sunset boulevard proprio appena dopo i Foo Fighters; Dio non voglia che la stiano spingendo per una collaborazione.", sospirò Justin. 
"Tu sai che la ucciderò prima che ciò accada, vero?"
"Tu sai che è amica di quella pazza di Courtney Love? Penso taglierebbe la gola a Dave Ghrol, prima di farlo.", sospirò Justin, pensando che ora per riportare Dorian sui binari della conversazione ci sarebbe voluto un miracolo di quelli cattivi. "Comunque, tre giorni: tre party, un concerto al pomeriggio in cui mi ha detto cortesemente di togliermi dai piedi dal backstage per evitare che, come al solito, me lo dicesse la stronza tedesca con un paio di lame ben affilate, insomma mi suggerisce un paio di bei posti dove andare a fare un giro ed effettivamente mi piace, gironzolo e mi perdo un po' via, torno e sai cosa? Quentin mi chiama dicendo che la Sony si è lamentata con l'Island-Universal perchè me ne sono andato e quando sono tornato non ho trovato il posto a sedere che avrebbero dovuto riservarmi in tribuna vip  e che per questo avrei potuto creare uno scandalo!"
"Ah, siamo a posto...", mugugnò Dorian, versandosi un po' di panna liquida nel caffè. "Dici sia stata una mossa di Monik?"
"Ci piazzo sopra un carico."
"E io te lo accetterei. E il soggiorno in Canada?"
"Aspetta, non ho finito! Mi hanno anche rimproverato di aver mancato una matinèe dopo un party finito alle quattro di mattina!", sospirò teatralmente Justin, portandosi una mano alla testa. "Io ci credo che Kat ha preso l'impegno dell'Irish Festival come una vacanza! Se le sue giornate sono così, effettivamente lo è stata!",e si massaggiò una tempia al solo ricordo.
Dorian annuì, conscio da prima di lui grazie ad una fitta corrispondenza ed occasionali telefonate per via della sua amicizia, che con l'ultimo disco Katryn era stata lanciata molto più in alto di loro ed essendo un'artista solista non poteva diluire i suoi impegni tra uno o l'altro componente di un gruppo. 

Era sola, dannatamente sola.
-E che questo l'abbia spinta ad innamorarsi di Justin? Di una persona che invece soffre se lasciata sola?-, pensò, nel silenzio creatosi. -Che l'istinto da crocerossina delle donne sia un dato appurato è okay, lo accetto e non ci vedo niente di male se non arriva all'autolesionismo, ma che non sia questo il caso? Una persona così forte che soffre di così tanta solitudine da attaccarsi ad una debole pensando di farle del bene e farsene a vicenda?- 

Ma insomma, che cazzo stava pensando?!
Possibile che in quel periodo tutti i pensieri su Justin gli riuscissero solo negativi? 
Su Justin che li aveva portati così in alto quasi a prezzo della sua stessa vita, appena pochi giorni prima?!
-...e che poi ti avrebbe ripagato con una coltellata allo stomaco. Sì, su quel Justin, non sul tuo amico cantante.-

"Bevi quel caffè, Just. Da caldo fa schifo ma da freddo sembra cicuta!"
"Sembri mia madre, quando parli così.", borbottò Justin, con una vena polemica. "Anzi scusa, mia madre almeno fa un buon caffè e lo è anche da freddo.", ma bevve lo stesso, sentendo i nervi che piano piano riafforavano al loro stato naturale di ipertensione. 
"Il chè, parlando di madre, mi porta al mio soggiorno in Canada. Hai mai visto dove abita?"
 Dorian sventolò la mano.
"Foto..."
"Beh, sembra davvero il villaggio degli elfi. Il primo giorno l'abbiamo passato assieme, non ti dico... Sembrava una favola.", e lo sguardo di Justin perse contatto con la gravità in un modo tanto dolce che a Dorian quasi andò di traverso il caffè dal trattenere una risata. 

Justin versione 'innamorato' ; l'aveva immaginato ma non l'aveva mai veramente visto.

"Non ridere tanto... Prima o poi capiterà anche a te e poi mi saprai dire!"
"Non rido, non rido. Ho il massimo rispetto per la vostra relazione, vi difenderei contro un branco di squali..."
"...ma? Perchè c'è un 'ma', lo sento nella tua voce, razza di oca."
"...ma vederti con quella faccia da imbambolato vale come uno 0 verde alla roulette! Dai, vai avanti!", sputò fuori caffè e fumo Dorian, tra le risate trattenute, riprendendosi con un sorriso ebete che valeva per due, anche per Justin che si era rabbuiato.
"Guarda, visto trovo quasi umiliante che tu mi stia prendendo il culo..."-"Ma dai!, non ti sto prendendo per il culo!"-"...salterò la parte in cui l'amico finalmente innamorato si confida col suo miglior amico e ti dirò subito ciò che mi preme.", lo lapidò Justin, e Dorian improvvisamente si ammutolì.

Eccola, la parte che temeva da quando Justin gli aveva telefonato, ormai tre ore prima.
"Bevi un altro po' di caffè, prima di doverlo buttare via tutto.", disse. "E prima dimmi come sta sua madre. Ho saputo che hanno dovuto ricoverarla di nuovo."

"Sua madre?", pensò Justin, alzando gli occhi improvvisamente ispessiti, di nuovo lanciati in un posto a zero gravità e forse in un luogo distante sei ore da lì. 
Un posto in mezzo alla neve, all'apparenza fiabesco, ma a differenza degli altri posti all'apparenza fiabeschi con delle porte chiuse a chiave e corridoi silenziosi e finestre, seppure graziose, impossibili da aprire. 

Quando riportò lo sguardo a terra, Dorian quasi saltò sulla sedia.
"Sua madre. Non ho mai visto una persona piangere tanto e non poterci fare niente..." 
-...senza esserne io la causa...-    
"Deve stare proprio male.", balbettò Dorian, irrigiditosi improvvisamente in modo che Justin solitamente avrebbe subito notato.

Ma Justin non era lì, vero? 
Era in posti immaginifici dai quali era facile entrare ma difficile uscire, e non necessariamente villaggi pieni di neve o case di cura private.
"Non la madre. Lei.", e si alzò in piedi di scatto, come a soffocare la rabbia che stava salendo. "Katryn. Ha pianto così tanto che non sapevo più che fare; avevo paura rimanesse anche lei in quel dannato posto. In quel... manicomio! E invece no, a tornare anche il giorno dopo, cantare le ninnananne, portare fiori e vestiti, foto, cazzo...", ed in quell'istante Justin sembrò davvero soffocare dalla rabbia, per una volta in vita sua non per sè stesso. "A portare ME per vedere se questo almeno l'avrebbe scossa!", e si risedette, non rendendosi conto di aver ribaltato la sua tazza di caffè ciofeca. 

"Sua madre è una palla al piede.", sentenziò, accendendosi una sigaretta e guardando Dorian senza vederlo. "Ed io la abbandonerei senza pensarci due minuti. Tutta la sua famiglia è una palla al piede, che imparino a nuotare o affoghino in silenzio."
"Non stai dicendo davvero, vero...?", protestò debolmente Dorian, al limite del terrore. 
Perchè lui ci vedeva, oh sì, ci vedeva chiaro.

I sogni non sempre avvenivano per un cazzo, come era poeticamente solito dire Eddie. 
"Se fosse stata Edele..."
"Edele non si sarebbe mai ridotta così.", lo liquidò Justin, riportando piano piano lo sguardo sulla terra e focalizzandolo su di lui; Dorian si accorse subito che Justin non aveva usato la parola 'madre' ma il nome proprio, ma subitava che l'amico -se tale era- se ne fosse accorto. "Mai, lo capisci? Perciò la questione non si...", e finalmente si accorse di come Dorian fosse rigidamente arretrato sulla sedia, la gambe pronte a schizzare in piedi ed i pugni serrati. 

"Diosanto, Kierdiing, ma che ti prende?!"
"I... tuoi occhi. Sono simili a... a...",e Dorian non riuscì a continuare, alzando solo infantilmente un dito per indicarlo. "...quelli. Quegli occhi. "

Non dovette continuare, che gli occhi di Justin riacquistarono non solo colore, ma anche una buona dose di spavento; anzi, più che spavento vero e proprio terrore, come quello che Dorian sentiva annidarsi nel suo stomaco in quel momento e come sapeva si stava aggrovigliando anche in quello di Justin.

Perchè anche lui aveva sognato e lui aveva capito subito di che occhi stava parlando, vero? 

E non solo, aveva accennato ad altro, nel corridoio...

"Justin..."
"Io...Dev'essere un gioco di luci, non... Non ho niente dietro! Niente!", disse, quasi disperato, per poi girarsi verso lo specchio del salotto. "Dannazione, perchè non mi hai dato uno specchio?!"
"Justin..."
"Cosa c'è, vuoi che ti firmi una dichiarazione giurata che non ho un coltello?! Sono solo stupidi sogni!! Siamo stati in un periodo di... casino! Siamo stati scaraventati al successo totale, siamo scombussolati, siamo...IN UN PERIODO DI FORTE STRESS PSICOFISICO!!"

Dorian prese fiato, riconoscendo una difesa che non avrebbe mai potuto abbattere, non senza la collaborazione di Justin, che in quel momento non avrebbe mai potuto avere.
Chiuse gli occhi e si impose di calmarsi, non credendo comunque ad una parola di quello che ormai urlava delirando Justin.

"Justin... che altro hai sognato? Hai parlato di un suicidio. Chi era di noi due?", e internamente le sue budella, se possibile, si aggrovigliarono preventivamente in un modo che parve non gli avrebbe più permesso di mangiare per almeno due o tre futuri alternativi. 
"Sì...", esalò Justin, esausto da quell'uno-due di tensione e di paura, anche lui logorato da quella settimana infernale. 
"Ero io."

Un silenzio di tomba calò sui due amici, finchè Dorian lo ruppe con la sua voce delicata ed una sola parola, come una goccia che dovesse finalmente cadere.
La prima di tante.

"Perchè?"

Justin lo guardò, con i suoi occhi tornati normali sì, ma di nuovo in quella nube di pensieri pericolosi. 
"Non lo ricordo, Dorian. Questo non lo ricordo.", e si prese la faccia tra le mani. "Ricordo solo che era dopo... Dopo il sogno in cui c'eri anche tu.", disse, con voce soffocata.

Il silenzio tornò, cupo come una nube di presentimenti e per cinque minuti rimasero in quelle pose totalmente prive di plasticità, come statue di un futuro nefasto. 

Justin rialzò il viso e guardò Dorian dritto negli occhi, presente come non mai ma con una voce debolissima. 
"Io... credo di non sentirmi bene."




(*)= il cosiddetto 'ritardo dell'anima' o 'anima che viene lasciata indietro' nelle traversate intercontinentali con conseguente grosso sballo di fuso orario, è un'espressione coniata da William Gibson, uno dei maggiori scrittori cyberPunk, nel libro 'Accademia dei sogni'. 
Essa significa che l'anima rimane indietro, all'orario di partenza, e raggiunge solo dopo ore o persino giorni il corpo, che in quel lasso di tempo si sentirà come 'svuotato'; da insonne, questa espressione non ha potuto non affascinarmi.

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Capitolo 46
*** 46. Un prezioso fallimento ***



46. Un prezioso fallimento.

Justin sentì che finalmente non aveva nessun impedimento per le sue lacrime; non la vergogna di essere con qualcun altro, non le sue mani a nasconderle, non il ricacciarle in gola. 

Scorrevano libere sulle sua guance scavate e poi si libravano nell'aria, oscillando un attimo nel vento attaccate ancora al suo viso come gocce di cristallo purissimo e di gran valore e poi si staccavano, andando ad aggiungersi alla pioggia. 

Sì, perchè non era più in casa di Dorian, non più.
Era sul tetto di casa di Dorian, e come ci era arrivato?

Dal bagno, sì; per la scala antincendio.
No, no, quello era un qualche film che aveva visto in una vita precedente e molto meno complicata, forse solo pochi anni prima cioè. 
DORIAN era andato al bagno, anzi ci era lettarmente corso dopo che LUI, Justin, aveva dichiarato di stare per sentirsi male.

Sempre troppo empatico, il caro-vecchio-dolcino Dorian; aveva persino vomitato al posto suo.

Così lui aveva avuto tutto il tempo per alzarsi, avviarsi con calma nel corridoio e salire le scale per un altro paio di piani fino al tetto piatto e scoprire che la pioggia non aveva smesso di cadere, da quando era atterrato al Dublin Airport poche ore prima.
Credeva che quel tipo di tetti a terrazza fossero stati aboliti, per via dei suicidi; l'aveva pensato la prima volta che aveva visto casa di Dorian da fuori, quando il suo amico gli aveva detto nei secoli remoti che 'sarebbe stato comunque bellissimo'. 

Lo era stato, 'bellissimo'; ma non gli aveva detto 'quanto'. 
E nel suo caso, temeva, sarebbe stato quel pochissimo: sempre comunque più alla vita di continuo dolore e scavo interiore che sembrava essersi autoimposto ai suoi neuroni alla nascita. 

Mentre saliva le scale con tutta calma, prima, una scena si imponeva su tutti i pensieri. 

Lui che si svegliava madido di sudore, in un grande letto caldo in un piccolo paese vicino a Montrèal, in un paese dove le distanze erano comunque soggettive visto il clima; l'altra parte del mondo e così gli andava bene, in quel periodo.
Per la terza notte si svegliava ed urlava, interrompendo quella pace che aveva  inseguito così a lungo e nel tremare cacciava tutto quel poco che aveva avuto combattendo così tanto.

Non importava quanto l'abbracciasse Katryn, strettamente a contatto con il suo sudore gelido come se bagnandosene a volerne condividere gli incubi.
Non importava  quanto lo baciasse, quanto facessero l'amore, quanto poi ridessero durante il giorno -perchè sì, nonostante quello che aveva detto in non si sa che momento a Dorian, lui la faceva ridere nonostante tutte quelle lacrime per la madre-, quanta felicità sentisse quando era cosciente. 
Tanta da sentirsi scoppiare e commuovere, tanta da pensare di morire. 

A lui importava di quell'attimo, in cui non solo lui era terrorizzato ma in cui anche lei si svegliava e per un attimo lo fissava, incapace di fare altro, spaventata che la afferrasse e la uccidesse nell'ululato del vento gelido all'esterno che il caldo del loro letto contrastava. 

E poi, la terza notte di seguito, mentre Justin tentava di prendere fiato dopo un urlo che era sembrato persino non finire più, lei che correva nell'altra stanza e gli prenotava un volo per Dublino, senza chiedergli niente; scalo a New York e poi via per la terra degli elfi, perchè aveva capito che qualcosa non andava e lui non reggeva più e non avrebbe retto una notte di più lì, lontano da casa sua e andassero in malora tutte le fesserie sull'amore che tutto vince, sul tour e sullo stress.

E quelle di Katryn, di lacrime?
Un pietoso luccicore nella luce impietosa dell'aereoporto di Montrèal, la mattina dopo, infagottata in un giaccone del fratello; oh, quanto ne era stato geloso per un attimo, quanto era stato meschino a pensare a quei fiumi di lacrime che spendeva per la sua famiglia di perdenti e quanto poche ne stava serbando per lui. 
E quanto poi se ne sarebbe vergognato una volta lasciati gli States e sentendo quell'angoscia che lo stava tenendo in scacco allentarsi, lasciare finalmente il suo stomaco e i suoi nervi mentre la sua anima urlava ancora tra il gelido inverno di Montrèal e New York ed il suo corpo ed il cervello erano proiettati verso l'Irlanda.

Verso la speranza di esorcizzare quell'incubo.
Verso Dorian.
Verso Dorian che in quel momento, fino a poche ore prima, rappresentava la sua speranza. 

Verso Dorian che non aveva esorcizzato un bel niente, anzi...
Dorian aveva solo rinfocolato la sua paura trasmettendogli da poro a poro la sua, temperandola come una mina  appuntita che gli stava scavando i residui d'anima. 

O come un coltello; quello che nella prima parte del sogno, nel poster, piantava nel fianco di Dorian.
Quello era anche il suo sogno ma continuava diversamente da quello dell'amico: finiva certamente in modo diverso e perchè no, poi?

Non veniva accecato, in fondo, no. 
Si riconosceva e quella era la parte orribile, che lo faceva sudare, mormorare e infine urlare e svegliarsi tremante: i suoi occhi erano veramente terribili come quelli del poster, fotogrammi per sempre fermati di morte e foglie in via di decomposizione, sogni infranti che urlavano vendetta e vetri rotti.

E delle lacrime. Nere.

Lacrime che scorrevano dagli occhi glaciali al mento, in una fila continua e non formando una ragnatela, come il suo make up di scena, ma che si univano in un torrentello sulle guance e, arrivate al mento, risalivano. 

Non si staccavano. 
Ed erano il suo male che era uscito in qualche modo da lui, il suo male di pochi mesi prima  che non si decideva ad abbandonarlo: era lì, visibile a sè stesso ma non agli altri. . 

E poi, sotto gli occhi di Dorian uccideva entrambi, perchè lui era diventato quello che non voleva neppure immaginare di diventare e l'altro aveva visto tutto ciò e non avrebbe dovuto vivere, vero? 
Dorian non avrebbe dovuto vivere un secondo di più alla sua scoperta. 

Sotto gli stessi occhi di Dorian che quella sera stessa ma davvero, non in un sogno, avevano visto qualcosa di sconvolgente in lui, in quegli stramaledetti occhi: e se aveva visto quel poco, quanto sarebbe passato prima che vedesse quel male puro, liquido, uscire da lui ma non staccarsi, come un organismo vivente a sè stante che gli si era abbarbicato addosso?


Justin non pensava, non più, non in quel momento in cui il vento della baia di Dublino arrivava fino a lui, carico di voci e promesse che non avrebbe mantenuto, come secoli o solo pochi anni fa, lo stesso odore ancora salmastro che arrivava in quella parte della città... 
Da suo rifugio a trappola. 
 
Aveva estratto una boccetta, mentre si avviava verso il cornicione con lo sguardo assente eppure definitivamente 'suo', non un occhio maligno o alterato; voleva finire con sè stesso, non a patti con qualcun altro. 
Voleva morire come sè stesso. 

 La boccetta di semplice cristallo trasparente di profumo di lillà, fattagli scivolare da Katryn poco prima che si imbarcasse a Montrèal, parve mandare uno strano scintillio violaceo e ricordò le ultime parole smozzicate, nel luccicore di quegli occhi blu velati di lacrime e di rossore per la sveglia -LE sveglie di tutte quelle notti di fiaba inframezzate di incuboi.

"Se hai bisogno di me... Chiamami quando vuoi. QUANTO vuoi. E...anche se non ti piace mettilo su un fazzoletto... E... e sentimi.", aveva soffiato l'ultima parola. 
"Cos'è?", aveva chiesto lui, con la voce rauca da quei sonni interrotti ormai per sempre.
"E' il mio profumo... sono fiori di lillà. Sai che..."
"...sono i tuoi preferiti.", aveva accennato un lieve sorriso, tentando di essere rassicurante Justin. "Grazie. Li userò ogni volta che sentirò la tua mancanza. Sempre."

Non era riuscito ad essere consolatorio, lo aveva visto riflesso negli occhi di Katryn dai quali le lacrime non traboccavano ma neppure se ne andavano, lasciandola ad occhi asciutti. 

"Promettimi che tenterai di stare bene.", gli aveva chiesto, in un tono fermo ma supplice, mentre il suo imbarco veniva chiamato e Justin veniva colpito. 

Non uno 'stare' bene, ma un 'tentare'. 
Un tentativo, dei tentativi; uno dei tanti della sua vita.

Era diventato così trasparente?
Se così era, la situazione era MOLTO più grave di quanto avesse sospettato e da lì a non poco TUTTI avrebbero visto il male che sgorgava da lui e che in fondo scorreva in lui, il mostro che era diventato. 

Questo pensava, mentre il profumo di lillà, così adatto alla primavera gioiosa e breve del suo amore e così inadatto all'ambiente che lo circondava ed ai suoi pensieri, si spandeva tutto attorno e impreziosiva ulteriormente le sue lacrime che lentamente si staccavano e si fondevano in quella pioggia battente che, come la sera del suo amore, stavano moltiplicando per mille le luci di Dublino, rendendole accecanti alla sua vista provata.
La sua città, la sua terra, la sua gente.
Sè stesso. 

Salì sul cornicione, senza sbilanciarsi ma fermo, deciso a tenere in mano la boccetta per tutto... 
...tutto il tempo necessario che ci sarebbe voluto. 

Non guardò giù e non prese neppure un gran respiro; rimase fermo a guardare fisso la sua città, Dublino, che amava alla follia seppure avesse ormai visto il mondo. 
Amava Dublino, amava Katryn e, in fondo, amava Dorian; tutti e tre in modo diverso ma sempre profondo e nella stessa misura. 

Ecco perchè aveva deciso di farlo.

Togliersi e di evitare ancora scontri, sofferenze e inevitabili futuri in cui se ci sarebbe stato avrebbe portato solo dolore, dolore e dolore, forse cammuffato da altro,forse persino da felicità, ma sarebbe stato un portatore di dolore.

I suoi occhi lo dicevano. 

Ma le sue orecchie ora gli dicevano qualcos'altro, nel rumore del vento e della quasi tempesta in cui aveva deciso di tuffarsi. 

"SCENDI SUBITO DA Lì!!!"

Voltando lentamente il viso -il corpo ancora rivolto verso la sua amata città ed il terreno che, nonostante tutto, non era stato capace di ancorarlo e verso il quale intendeva cadere-, Justin non si stupì sulle prime di cosa vide.

Dorian, infradiciato ormai, che si avviava verso di lui da dove sbucavano le scale interne del suo palazzo: dal grado di ammollo della sua camicia bianca che ormai si stava appiccicando alla maglietta sottostante e il tutto alla pelle, i capelli che ormai erano incollati al viso -niente riflessi d'oro e rame per Dorian quella sera, no-, si vedeva a colpo d'occhio che non era appena arrivato, trafelato e stupito.

Lo stava osservando da un bel po' e come stava avanzando, beh...

Dorian sembrava un piccolo panzer particolarmente agguerrito: non sconvolto, non inorridito, non isterico o semiparzialmente isterico come poco prima, no.

Oh no, non Dorian. 
Dorian era INCAZZATO NERO.
Con lui.
Ed avanzava a passo di marcia, deciso e con gli occhi cerchiati di rosso dai conati di prima che mandavano lampi di rabbia.

Quello, non la sua presenza nè il suo richiamo, indusse Justin a distrarsi e rimanere quasi a bocca aperta con l'ombra della sua morte imminente non più ad aleggiare sulla città di Dublino ma parzialmente girata nel vento: quello ed il vago profumo di lillà.

Dorian era fermamente deciso a porre fine a tutta la storia e, a dirla tutta, era ben più deciso di lui.
Justin, sentendo il profumo che amava sentire da poco tempo a quella parte spandersi in quel luogo in cui tutto evocava il malessere, non si sentiva più improvvisamente attirato dall'andarsene, il suo futuro di dolore sembrava dissolversi a contatto con quell'aria profumata.
Quel profumo che lo sferzava, grazie al vento, come uno schiaffo.
Come a voler dirgli 'Idiota!' con una voce che conosceva benissimo e che aveva lasciato oltreoceano.

E poi c'era Dorian; Dorian che ora si era fermato, ma non con quella prudenza tipica delle persone che circondavano i potenziali suicidi per non far loro fare sciocchezze, bensì in una posa battagliera con una mano sul fianco ed il busto proteso, puntandogli un dito contro che era solo lievemente tremante e forse più per il freddo che per la scena che gli si parava di fronte. 

Eccolo lì, il cretino, dov'era scappato: a fare una delle sue tipiche sceneggiate coreografiche!

Il cielo battente pioggia, i lampi in lontananza sulla baia di Dublino, il vento che nonostante tutto sollevava i loro capelli fradici ed ululava in mulinelli, il tetto del migliore amico dopo un sogno spaventoso, la figura esile e nera che si stagliava contro l'oscurità in una FOTTUTISSIMA FOTOGRAFIA MENTALE un attimo prima di cadere nel vuoto senza clamore ma solo un passo calmo e calcolato...
Persino la giacca nera di pelle svolazzante doveva essersi immaginato quello...stronzo!!   

Dopo tutto quello che non solo lui ma ENTRAMBI aveva passato in quei giorni di pena, Dorian pensò che non ne aveva il diritto: Justin non aveva il diritto di farlo soffrire ancora, di sfogarsi in quel modo mentre lui l'aveva aspettato per potersi confidare.

Dorian era talmente infuriato che si sentiva persino stizzito e ad un passo dal mettersi a battere i piedi per terra quando gli puntò addosso l'indice a non meno di due metri di distanza, fermatosi per prendere fiato e risultare più stentoreo, quando Justin parlò, con voce flebile.

"Dorian, no... Non lo fare.", sembrò pregarlo, i capelli neri spioventi in faccia e qualcosa in mano, qualcosa che in quel momento non gli interessava scoprire cosa fosse, ma solo far scendere quel malato di momenti da incorniciare dal suo tetto, la stramaledettissima diva mancata!

"Non lo fare?!FACCIO! FACCIO ECCOME, RAZZA DI CRETINO ESPONENZIALE!! SCENDI DA QUEL CAZZO DI CORNICIONE!!",e con uno scatto tipico di quella marcia decisa, Dorian si sporse e lo afferrò per la mano libera, dandogli un imponente strattone verso l'interno del tetto e...

-ODDIO-
Justin.
Justin non si fece tirare dentro, ma afferrò a sua volta la sua mano che lo teneva, lasciando cadere per terra, sul cemento 'salvifico' della terrazza, la boccetta che si ruppe con un rumore che Dorian intese come più forte del dovuto con i suoi sensi amplificati dall'adrenalina e... 
Tirò a sua volta, dalla parte del vuoto.

Tirò Dorian nel vuoto, dalla sua parte, nell'oscurità; con quegli occhi folli riapparsi come una lampadina luminosissima che si fosse accesa con un semplice 'clic', quando gli aveva afferrato la mano. Justin non stava lottando per lasciarsi andare, no, Justin lo stava PORTANDO CON SE'.

-GESU', QUI CI AMMAZZIAMO!, E' PRATICAMENTE FUORI DAL CORNICIONE!!-, ebbe modo di pensare Dorian, che finalmente sgranò gli occhi debitamente sconvolto dall'idea che l'amico stesse non solo per suicidarsi, ma anche per portarlo con sè mentre il suo corpo stesso si sbilanciava avanti senza volerlo ed i suoi piedi scivolavano sul cemento bagnato.
-E' come Madrid, ma stavolta ci spacchiamo la testa tutti e due, stavolta non c'è una piscina, c'è ma a dodici piani più giù ed è vuota, GesùCristo è, è.. è....-

"E' una follia...", mormorò Justin guardandolo, quasi sul punto di perdere l'equilibrio e trascinarlo con sè;così Dorian vide come quella luce di morte gioiosa gli si era spenta all'improvviso così come gli si era accesa, e in quel

-Se l'è sempre immaginata così, ne sono sicuro, oh Dio, ora so come finiva il suo sogno... Trascinava tutti e due all'inferno, perchè Justin è così, non sa vivere senza nessuno intorno, non sa stare da solo, soffre, oddio posso anche sentire come soffre, quanto soffre e cosa... cosa c'è ancora? C'è...QUALCOSA ANCORA...-

momento, lunghissimo istante 

-C'è QUALCUNO E NON E' LUI!-

dilatato come cera molle, una cera di una candela nera che mandava sinistri bagliori, Justin lasciò la presa ferrea con cui teneva la mano di Dorian nell'imminente volo con lui e diede ancora un colpo di reni, i piedi puntati, stavolta  per liberarsi. 
"Lascia...mi... andare!!"
"NO!"
Dorian, come riscosso, lo prese invece con due mani sulla sua e gli diede uno strattone ancora più deciso, ancora con in mente l'espressione spaventata che aveva Justin a Madrid, quando era caduto ed era caduto bene e non volendo neppure in un sogno futuro vedere l'espressione di Justin quando sarebbe caduto e caduto male in QUEL momento. 

Non avrebbe voluto vedere Dublino piangere Justin e non l'avrebbe mai vista, se avesse potuto impedirlo con tutte le sue forze.

"VIENI...DENTRO!!", urlò e, puntando i piedi a sua volta, tirò di nuovo, come se il braccio dell'amico fosse una fune di un gioco e il tiratore stesso.

Justin si ritrovò scaraventato all'interno della terrazza, gli occhi spalancati per l'improvviso contraccolpo, e -con un urlo indefinito di frustrazione, rabbia e, in fondo in fondo, sollievo infinito- finì per capitombolare addosso a Dorian.

I due finirono uno addosso all'altro in un groviglio di arti, faccia e schiene contro il ruvido cemento della terrazza in un doloroso atterraggio -ma sempre meno doloroso anzi inesistente di quello che avrebbe avuto questo...imbecille, se non fossi arrivato!-, in un tripudio di urla incontrollate di uno e dell'altro, finchè si sgrovigliarono e si ritrovarono con Dorian schienato a terra e Justin con la faccia grattuggiata dal ruvido cemento ma senza sentire dolore. 

Fermi immobili ed entrambi con gli occhi sgranati ed il respiro ansante.
Avrebbero potuto ricoprirli di qualche lega e  farne una bizzara statua ad memoriam e non se ne sarebbero neppure accorti, non in quei momenti.

Dopo due minuti così, immobili poco più di quel momento terribile di stallo che Dorian aveva giurato di non voler più rivivere, in uno stato di tensione da pre-allarme che gli stava suggerendo di mettere le ali ai piedi e pieno di adrenalina, il biondino si alzò a sedere e si osservò i palmi sbucciati mentre lo strappo che aveva ricavato al tricipite destro per aver tirato dentro l'altro imbecille iniziò a farsi sentire in pulsanti segnali. 

Si girò verso Justin che stava ancora faccia a terra, scosso da qualcosa e nonostante tutti i suoi sensi gli urlassero di andarsene decise di parlargli in qualche modo.

Justin stava sussultando, la faccia premuta contro il cemento e di certo con quegli occhi terribili chiusi: Dorian non era certo di voler rivederli, ma non aveva scelta a meno chè di fuggire e lasciarlo là sopra da solo a vedere se magari la volta dopo ci sarebbe riuscito ad attuare il suo piano.

"Justin?"

Niente, solo ancora quei sussulti soffocati. 

Justin e l'immagine di loro due, allacciati per le mani in quel legame folle oltre la vita che da anni li mandava avanti e che quella volta li avrebbe spediti in braccio alla morte.

Un' immagine che l'amico si era di certo rigirato in testa troppe volte e che aveva tentato di evitare: nel mondo più sbagliato possibile, certo, ma aveva tentato di farlo e di questo avrebbe dovuto dargliene onore.
Perchè sapeva, da quando l'aveva afferrato, che quella era la conclusione del sogno di Justin: che non solo lui stesso moriva, ma che anche Dorian sarebbe morto con lui.

Una dannata ironia che stessero per fare quella fine per davvero; e che Justin, per impedirla, stesse per ammazzarsi davvero. 

Riusciva quasi a vedere come Justin avesse immaginato la cosa: un volta gli aveva spiegato come faceva a scrivere testi così efficaci.

Justin 'vedeva', come aveva detto più e più volte;  vedeva i più piccoli particolaridi un'immagine che si muoveva, una storia. Li prendeva dalla vita reale, dai libri e dalle scene dei film, della tv e li univa, creando un'immaginario tutto suo.
Quella FINE sarebbe stata perfetta nel suo universo, con l'immagine che aveva creato e che Dorian aveva giustamente visto e supposto fosse una coreografia creata a puntino : ma non aveva fatto i conti -o forse sì- con Dorian.

Se li aveva fatti CON LUI sarebbe stata una brutta storia, ma ciononostante Dorian riprovò, mandando giù il groppo che aveva in gola.

"Justin...? Vuoi almeno rispondermi? Stai b..."
E prima che potesse rispondere i sussulti ripresero, più forti di prima, e Justin si ribaltò con una mossa a sorpresa, tenendo le mani davanti agli occhi come il nascondino più spaventoso del mondo e rivolgendo al cielo tempestoso sopra Dublino le sue risate più folli, più acute che avesse mai lanciato, arcuando la schiena dallo sforzo.

-Oddiomio... fa che non si levi le mani dagli occhi, fa che non...-
Ma Dorian non fece ora a finire la preghiera che proprio lui, mosso da una forza e da una curiosità più grande di lui, si allungò per toglierle ma Justin lo anticipò, scattando a sedere come un pupazzo a molla e togliendosele dalla faccia all'improvviso come in un gioco da bambini.
"BUH!!"

Dorian non seppe trattenersi, nonostante le molte, moltissime decisioni sul mostrarsi coraggioso e sulla paura di poco prima e saltò letteralmente indietro, con un strilletto che, ripensando alla faccenda, avrebbe giudicato  'da femminuccia', e Justin continuò con quelle risate, decisamente isteriche e corredate di lacrime.

Lacrime che sgorgavano da occhi forse folli, di certo sconvolti, ma definitivamente 'suoi', non di qualche entità mortifera della porta accanto. 

Dorian, accovacciatosi a riprendere fiato, piano piano incredibilmente si lasciò coinvolgere da quella stupida cosa e iniziò, prima trattenendosi e poi apertamente, a ridere ed ululare risate come un coyote alla lune dietro le nubi gravide di pioggia che non avrebbe illuminato nè Dublino nè loro per quella notte. 

Alla fine, quando si rialzò asciugandosi lacrime sgorgate da sollievo e da risate -così tante, oh che aveva persino i crampi da addominali!-, porgendo una mano a Justin per rialzarsi -che la osservò come fosse una cosa sconosciuta per poi riprendere a ridere, senza speranza-, notò solo una cosa nell'aria.

"Cos'è questa puzza?"

Justin smise di ridere quasi avessero chiuso un rubinetto di colpo, ma una fiammella giocosa danzò ancora nei suoi occhi, mentre accettava la mano che Dorian gli porgeva e con un colpo di reni si alzava. 

"Il profumo della mia ragazza. Vorresti dire che Katryn puzza?"
"No, solo che... Al diavolo, fa senso questa cosa così dolce!"

*
*
Mentre si avviarono verso la scala per rientrare, più zuppi di tassi sotto una pioggia da inondazione biblica, Dorian fermò Justin per una spalla.

"Justin..."
"Sono fradicio e... ho bisogno di qualche liquido chiaro e forte, Dorian. Non possiamo parlarne dopo?", stava tremando Justin, effettivamente.
"Ho solo una domanda per te.", scrollò la testa comicamente Dorian, lanciando gocciolina dappertutto dalla zazzera per poi fissarlo negli occhi. 

"Sei ancora il mio miglior amico?"

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Capitolo 47
*** 47. Il mio miglior amico ***


47. Il mio miglior amico

 

Mentre scendevano lentamente le scale, zuppi come due tassi il giorno dell'inondazione biblica, Dorian si accorse di essersi messo davanti a Justin inconsapevolmente ma non senza una ragione, che ora affiorava nella sua completezza e consapevolezza.

 

Aveva posto la domanda e poi, davanti al mutismo momentaneo di Justin, si era affrettato a rientrare e come biasimarlo?

Ne aveva tutte le ragioni: il temporale che infuriava, il fatto che si erano provocati delle abrasioni da grattata sul cemento che andavano disinfettate, grazie quello stupissimo giochetto mortale,poi ancora il gelo che si stava infiltrando nelle loro ossa grazie al complice ignaro di quella sceneggiata, ovvero la tempesta su Dublino, il voler parlare con Justin ma farlo all'asciutto...

 

-parlare con Justin senza altre prodezze di sorta...-

-tirarlo via da quel posto maledetto...-

 

Eh sì, tirare via l'amico da quel posto che aveva esercitato un'attrazione così morbosa per lui, tanto da voler provare l'ebrezza di un volo dal trampolino dei dodici piani, era stata una priorità assoluta per Dorian, che si sentiva in un certo senso rinfrancato e via via più lucido grazie all'inzuppata gelata che prometteva almeno una settimana a letto con la febbre ma aveva cacciato deliri di altra portata.

 

Fumosi, dai contorni incerti, intangibili.

 

Ma gli si era messo davanti con una certa sicurezza, non appena ebbe richiuso la porta delle scale che portava al tetto

('E, a proposito, quella non dovrebbe stare sempre chiusa a chiave?', gli passò per il cervello una vocetta irritante, che gli provocò una dolorosa stilla ghiacciata nella testa a cui si affrettò a contrabbattere. 'Sì, e tu non dovresti lasciare la chiave con le altre, sulla credenza; se l'occasione fa l'uomo ladro, certe cose rendono Justin ancora più alterato. Ma posso nascondergli tutto, come ad un lattante? Dovrei. Ma non posso, sono stanco.', finì di dialogare con quel suo altro sé stesso con una punta di irritabilità.)

convinto che se l'avesse lasciato andare per primo dopo quello che era successo, Justin probabilmente se la sarebbe data a gambe non appena gli avesse girato le spalle.

 

Perchè quando l'aveva fissato, dopo la domanda che finalmente aveva avuto il coraggio di porgli dopo settimane di incubi, incubi di risposta e tragiche accuse mai mosse, come un balletto di orrori onirici sempre più profondo, come una scenografia espressionista muta della suspence e dai contorni languidi, Justin aveva ricambiato lo sguardo con uno altrettanto diretto ma con un'espressione insofferente che sfociava quasi nel malizioso.

 

Ma prima vi era stato quel lampo di paura.

 

E Dorian l'aveva vista; nitida e aperta negli occhi azzurri, vi era stampato il suo terrore di dover rispondere finalmente a quella domanda che, lo sapevano, avevano rimandato per tutto quel tempo.

Sei ancora il mio miglior amico?”

 

Oh Dio, che inesattezza!

 

Non era affatto vero che loro due avevano rimandato per tanto tempo: Dorian l'aveva rimandata per tanto tempo, non Justin.

Justin, lui... Oh, andiamo!

Seriamente?

 

Justin era appena tornato da oltreoceano, dall'ex Impero Britannico, Justin l'aveva quasi tirato con sé nel voler volare incontro alla morte di tuoni e pioggia sopra Dublino, Justin non aveva mai avuto bisogno di chiedere certe cose a costo di ammazzarsi quasi e in più di un'occasione, Justin aspettava sempre ed alla fine Dorian lo leggeva come un libro aperto e lo salvava in qualche modo.

 

Era terribilmente crudele, era porcamente cinico, sì.

Ma era anche la verità.

 

Justin era sicuro che lui, Dorian, fosse ancora il suo miglior amico.

Ciò che Dorian aveva visto era che Justin aveva paura di rispondergli a proposito del suo concetto d'amicizia.

 

Perciò gli era davanti, nello scendere le scale, intrappolandolo in qualche modo finchè non l'avrebbe chiuso nel suo appartamento e gli avrebbe torto le risposte, fino in fondo.

Anche quelle scomode, per lui e per sé stesso.

Anche quelle che gli aveva fatto sospettare che non avrebbe mai voluto sentire.

 

E chissà, magari poi l'avrebbe pure rinchiuso da qualche altra parte mentre si sarebbe riposato, finalmente.

 

*

 

Quando arrivarono al suo appartamento Dorian si sedette guardingo sulla sedia (dopo aver nascosto bene le sue dannate chiavi) che aveva occupato prima di dover rincorrere l'amico sul tetto, mentre Justin si svaccò letteralmente sul divano, sospirando forte.

 

Ora la scintilla di malizia era riapparsa nei suoi occhi più forte di prima, notò il biondino mentre gli lanciava uno strofinaccio per almeno asciugarsi la testa e farlo a sua volta visto che, in barba alla situazione, stavano comicamente lasciando pozzanghere sul suo povero pavimento di noce.

 

Nonostante l'apparenza da moccioso in vena di marachelle, Justin non fiatò e si mise a fissare il parquet con una forza che pareva instancabile, mentre si dedicava alla religiosa opera di ripristinare la sua chioma, ma Dorian si accorse di come lo sbirciasse tra una strigliata e l'altra.

Si tenevano d'occhio, realizzò con un certo spiacere ed un nodo allo stomaco.

Lui e quello che aveva sempre creduto il suo miglior amico, quello con cui avrebbe condiviso una certa idea di vita da ben prima del successo, da prima della musica stessa che aveva assunto il ruolo di un collante più forte, si spiavano e si controllavano a vicenda.

 

Erano in uno stato di tensione in cui una parola sola sarebbe stata sbagliata, facilmente fraintesa e, specialmente, erano stanchi di tutta quella situazione fatta di stravaganze in cui si erano trovati loro malgrado ed il primo che avrebbe parlato lo avrebbe fatto a suo rischio e pericolo, esponendosi.

 

Ma che stronzata, quella cosa: non vi era forse lì una persona che aveva adottato come stile di vita fin dalla prima adolescenza l'esporsi?

Anche solo per, anzi no, forse solo per cacciarsi nei guai.

Dritto dritto.

Così era fatto Justin e così era uno dei motivi per cui Dorian in fondo gli aveva voluto un bene impossibile da misurare; fino a quel momento.

 

“Dorian...”

-Se se ne esce con qualche stronzata stavolta lo ammazzo, lo giuro!-,pensò Dorian, guardandogli quelle fiammelle ballerine e con un accenno di irridenza che aveva negli occhi.

Non si sorprese nello scoprirsi furioso con l'amico.

 

“Dimmi.”-Ed è ora che parli, bello mio. E' proprio ora.-

 

Al tono secco di Dorian Justin restò come interdetto, perdendo per un attimo la capacità di parlare e spegnendo un po' il suo sguardo, passando come ad uno di valutazione; ma dopotutto non così esperto nel giudicare, a sentire il seguito del suo discorso confuso.

 

“Perchè... insomma, come hai fatto ad indovinare...ecco, sai, ...”, si ingarbugliò con le parole Justin, ora reso più insicuro dall'occhiata prima inceneritrice e poi via via sempre più incredula di Dorian.

 

“Perchè eri su, insomma?”

CooooOSAAAAAAA?!”, sbottò il biondino, tra il veramente furioso ed il veramente incredulo; la domanda di Justin non era in nessun modo un tentativo di fare ironia e ciò lo rendeva ancora più incattivito, se possibile.

 

Era un misto tra una reale curiosità ('come diavolo hai fatto ad anticiparmi?!'-'Come se ormai non ti conoscessi, idiota scenografico!') il suo solito modo per potersela cavare: rigirargli le domande finchè uno dei due si arrendeva e non si veniva a capo di niente per qualche vaso sanguigno che minacciava di scoppiare, così si rimandava, si rimandava...

-Fino ad arrivare fin qui!-, si stupì ancora di più Dorian. -Ed è per questo che siamo qui, perchè è sempre stato così dannatamente ma anche innocentemente fuorviante, così... così... impreciso!-

Per poi pensare, fissandolo negli occhi mentre quasi si ritraeva sul divano al suo sbotto: -Ma questa volta non ti mollo, caro mio. Tesoro, ora mi dici tutto. Oh sì, dirai tutto, allo zio Dorian. Anche quello che lo zio non vorrebbe sentire!-

 

“Se la metti così...”, ringhiò. ” Allora dimmi cosa ci facevi tu sul mio tetto!”

“Volevo buttarmi.”, affermò con un crescente disagio Justin.

 

E quel ragazzo magro dai capelli neri ancora infradiciati che navigava in vestiti di svariati euro o dollari, ora che la camicia si era incollata al torace e i jeans zuppi alle cosce, gli era parso così sicuro nel volersi uccidere e persino nel volerlo portare con lui?!

 

Sembravano passati anni e forse così era stato; già il fatto di poter parlare con Justin aveva assunto di per sé la dimensione onirica e fumosa che permeava i loro incubi reciproci.

Incubi.

Sogni e sogni riflessi, paure riflesse da sogni.

Davvero avevano avuto un peso simile, quegli scarti di subconscio reciproci?!

 

E quanto tempo era passato da quando era andato a recuperarlo sul suo tetto?

Un'ora?

O un anno?

 

Dorian dovette mordersi la lingua per riportarsi a terra e fissare di nuovo il suo sguardo incandescente su Justin.

 

“Lo ssso che ti volevi buttare.”,disse, stringendo i denti e sibilando tutto d'un fiato. “Quello che voglio sapere è il perchè! Perchè ti volevi buttare dal mio fottuto tetto?!”

-E, tra parentesi, sei ancora mio amico, Justin?! Perchè mi pare che tu stia sfuggendo alla mia domanda e... lo stai facendo dannatamente bene!-

 

Justin si abbandonò di nuovo all'indietro contro il divano, abbandonando lo strofinaccio tra sui jeans fradici e alzò una mano a massaggiare una tempia, la sinistra, mentre chiudeva gli occhi.

Avvisaglie del suo vecchio amico mal di testa tornavano a pulsargli pericolose; non sarebbe tornato per il momento, ma erano come segnali di minaccia.

 

Minaccia per quello che aveva provato a fare o per quello che avrebbe dovuto dire?

Dire, fare o baciare, non vi era scampo quella volta, vero?

Vero??

 

Quando aprì gli occhi, Dorian era fisso su di sé come un rapace e mandò giù saliva a vuoto, mentre pensava febbrilmente, il suo cervello come una macchina che stava per andare in sovraccarico e incredibilmente vuoto.

“Non... non fissarmi così, Dorian. Mi spaventi.”

Tu mi spaventi, Justin.”

“A volte mi spavento da solo.”, ammise e, porcamiseria!,appena l'ebbe detto seppe che era vero.

 

Dorian fece un mesto segno di comprensione con la testa, come a dire che capiva bene e che non stentava a crederci, dopodichè rimasero in silenzio.

 

A Justin quel silenzio carico di sensazioni ricordava quando Dorian gli aveva indirettamente chiesto di diventare il loro cantante, secoli e secoli prima; così lontano nel tempo che aveva quasi scordato quel momento prezioso, il momento in cui tutto era andato a posto almeno per un po' nella sua vita, e si sentì assalito a tradimento da uno strano sentimento di nostalgia quasi mortale.

 

Perle simili andavano perdute perchè era incapace di conservarle: meritava veramente la vita, in quelle condizioni?

 

“Justin.”, lo richiamò quasi severo Dorian, trattenendosi dal battere le mani come una maestrina, vedendo il suo assentarsi.

Al suo tornare sulla terra, lievemente e forse non rendendosene veramente conto, il biondino sentì anch'esso una lieve eco di nostalgia ma la represse.

 

“Non ti lascio andare da qui finchè non mi dirai tutto, sappilo subito così ti dai una regolata.”, e si alzò, sempre seguito dallo sguardo un po' assente ma incredibilmente invecchiato in poche ore di Justin.

Ripescate le chiavi dai jeans zuppi, diede tre giri di chiave alla porta, fermandosi lì davanti.

 

“Se vuoi dirmi è meglio che inizi, Justin. Perchè da qui non uscirai finchè non avrai sputato l'osso.”

 

E a quelle parole finalmente Justin parve accorgersi in pieno di quello che stava succedendo e fece per alzarsi dal divano, allarmato.

“Dorian...NO!”

E a quella specie di invocazione, Dorian si fermò nel suo armeggiare, di schiena verso di lui.

“Oh sì... Sì, invece.”, disse, sottovoce. “Dorian...sì.”

“Dorian...”,quasi implorò Justin. “Non ora, non... No.”

Prese fiato e lo ripetè, sottovoce.

“No.”

 

Quando si girò verso di lui, Justin credette di non averlo mai visto così freddamente incazzato.

O forse sì, ma mai contro di lui: il Dorian che conosceva Justin urlava e sbatteva i pugni e, qualche volta, era andato a sbatterli contro di lui, ma quel Dorian, oh...

Quel Dorian stava letteralmente vibrando di rabbia malrepressa, e la sentiva partire in ondate verso di lui e crescere sempre di più contro la barriera invisibile di qualcosa che ancora tratteneva l'amico dal non lasciarlo andare alla deriva da solo, una volta per tutte e cos'era quella cosa?

 

La speranza?

 

Justin pregò che fosse la speranza, ma Dorian storse la bocca.

“No? Ho sentito un 'no', Justin?...Bhè, me ne fotto altamente se ho sentito un 'no', tesoro, me ne sbatto alla grande. Spero che tu ti renda conto di come ci...anzi, di come mi stai rovinando la vita, visto che sono quello che ti sta più vicino e Eddie e Shane più o meno la scampano, perchè non sono più intenzionato a sopportare cose come quelle appena successe e quello che è successo all'Irish Mtv Festival, dove ti ho dovuto tirare fuori dalle mani di Eddie!”

 

Dorian riprese fiato dopo la tirata e fece un passo avanti, freddamente furioso.

 

“Non stai più assumendo delle pose, Justin, e se credi che io non me ne stia accorgendo pensi che debba vivere su Marte come il tuo amico Bowie!”, e poi chiuse gli occhi.

Per la sua sparata finale.

 

'Oddio,Dorian, cos'hai fatto, l'hai provato nelle notti in cui non dormivi e non volevi dormire per non sognare?!', pensò Justin, senza fiato e con gli occhi strabuzzati. 'Provavi questi discorsi e mi... mi aspettavi al varco? Aspettavi che... che impazzissi per accusarmi? No, non sei tu, non è vero e tu non sei Dorian e io sto impazzendo...'

 

“Tu stai impazzendo, dammi retta! Non sembri più pazzo, lo stai diventando! Sei una fottuta rockstar, come si dice adesso, no? Sei una fottuta rockstar, e fin qui va bene, ma a quante pare non ti rendi conto che lo sei! Cristo, NON SEI PIU' AL MONDO, NON IN QUESTO!!-, esplose, per poi parere sgonfiarsi ma avere ancora fiato per alzare gli occhi su di lui, quasi cadendo sulla sedia invece che accomodandosi.

 

“Non siamo più nella nostra Dublino, Justin. Non siamo più così facili ad essere felici.”, mormorò, come voler chiudere una discussione animata che in realtà aveva aperto e chiuso da solo.

 

Prologo: Dorian e Justin impazziscono

I Atto: Dorian e Justin si accusano

II Atto: Justin prova ad uscirne e Dorian lo acchiappa

III Atto ed Epilogo: Dorian accusa e Justin esce di scena.

Voilà.

 

Justin fu costretto a chiudere gli occhi, per una volta non a causa del mal di testa ma di qualcosa che gli si stava muovendo dentro e che gli stava facendo male alla gola.

 

Lacrime.

Oh Gesù, lacrime!

E nonostante le lacrime una domanda che gli stava affiorando prepotentemente. 

C'era sempre qualcosa dentro di lui che provava a vedere se riusciva a farsi più male; era un dato di fatto incontrovertibile, dannazione!

Più male di quello che sentiva ed era tanto, tanto, tanto...

 

“Dorian...”, deglutì, tentando di richiamare l'attenzione dell'amico, che sembrava essersi svuotato ed accasciato cavalcioni sulla sedia, il bellissimo viso con i capelli fradici appoggiato alle braccia incrociate.

“Sono qui. Sono qui per sentire. Non scapperò neanche se mi dirai... quello che non voglio sentire. Ma voglio sapere.”

 

Ora Dorian era ufficialmente esausto, e non grazie alle notti insonni e agli incubi.

 

“Chi te lo fa fare, Dorian? Voglio dire...Chi te lo fa fare ti starmi vicino?”, chiese Justinin un soffio, tentando di non far trasparire le lacrime che affioravano già da sotto le ciglia.

 

“Cazzo, Justin, devi smetterla.”, sospirò Dorian, strofinandosi le guance arrossate. “Sei il miglior amico, ancora?”

Eccolo.

Il dente guasto, il nervo infetto che da anni ormai li stava guastando fino ad arrivare a quell'apice non degno della loro amicizia; quella cosa che li aveva dannati, forse, li aveva legati nell'insicurezza ma li aveva resi via via più infelici.

Una corona di dolore.

 

“Lo sai benissimo.”, sputò Justin, finalmente.

 

“No, non lo so più. Ecco la verità. Non... non lo so più.”, sospirò Dorian, non mutando un micromuscolo di posizione.

“ Avrei dovuto dirtelo prima, ora lo so. Non so più se io, Eddie, Shane...Oh, cazzo, AFFANCULO LORO!” ,imprecò, in un accesso e sollevando la testa con un moto rabbioso.

“Non mi interessa di loro, in fondo. Voglio sapere di me. Sono ancora il tuo miglior amico, Justin? Io credo proprio di no!”, sibilò Dorian chiudendo gli occhi, come stesse sputando una bibita bollente.

 

E d'un tratto Justin fu lucido.

Sconvolto e toccato dentro da tempo immemorabile e non certo in modo piacevole,anzi letteralmente annicchilito da un'affermazione simile persino a livello fisico oh sì, un bell'accesso di acidità improvvisa, ma lucido.

Oh, mentalmente lucido e ormai questa cosa era più unica che rara.

Ma, soprattutto, ne fu spaventatato a morte.

 

Perchè Dorian ne era convinto.

Dorian era convinto che ormai qualcosa tra loro fosse morto ma non solo morto; morto e senza possibilità di ritornare.

  

Come poteva solo dire una cosa del genere, Dorian, seppure in uno sfogo quasi isterico?

Cos'aveva combinato, in nome di Dio, da farlo dubitare di lui!?

 

 

Per un lungo momento temette di impazzire.

 

Oh Dio, cos'ho fatto, cos'ho fatto, cos'ho fatto, cos'ho fatto, cos'ho fatto,COS'HO FATTO!?!

 

Si accorse di preferire la tempesta a quella calma e lucida follia degli ultimi anni ma non era una cosa che stava comandando e non avrebbe forse mai più ritrovato e che su una cosa probabilmente Dorian aveva ragione.

 

Stava impazzendo, in un certo qual modo.

Anche se non nel senso che intendeva.

 

“Justin torna al mondo, ti prego.”, lo implorò improvvisamente Dorian, in un soffio. “Dio,da quanto non sei più al mondo?Ti rendi conto di quanto stai lasciando indietro? “

 

Justin, come per magia, si ritrovò inondato dalle sue lacrime silenziose; e d'un tratto capì perchè, come al solito, non si stava nascondendo o negando all'infinito.

 

Si sentì afferrare da un affetto che aveva dimenticato, e capì che Dorian doveva vederlo piangere, doveva vederlo piangere perchè in quel momento riusciva a capire, ma capiva anche che sarebbe tornato in poco tempo come prima, che avrebbe perso ancora, per quello doveva dire tutto quello che pensava e che provava prima di perdere ancora tutto.

 

“Dorian...”, sussurrò. “Dorian, forse me n'ero dimenticato. Forse ho...ho perso un pezzo di noi.”

 

Nonostante la pioggia e quegli ultimi minuti l'avessero stravolto, Dorian accennò un sorriso doloroso che, come al suo solito, rese bellissimo il suo viso, nonostante tutto il male appena scaturito da entrambi: come un esorcismo riuscito.

 

Purtroppo momentaneamente, ma questo lui non lo poteva sapere al pari di Justin.

Dorian vedeva una speranza, e per quanto sapeva quella speranza stesse facendo male a Justin, decise di adottarla.

 

“Lo credo anch'io, Justin. Ma puoi sempre recuperare.”

 

Justin si alzò e le gambe non lo sorressero, come pure la testa seppure fosse oh-così-lucido; cadde disteso dopo due passi incerti, ma non perse tempo a rialzarsi e quando Dorian si alzò per aiutarlo lo abbracciò all'altezza delle ginocchia, buttando fuori il dolore per tutti gli anni persi del tutto a parte le sofferenze, che quelle non mancavano mai, vero, aveva passato letteralmente l'inferno sul filo di qualcosa di peggio e lo stava buttando attraverso le lacrime più disperate che Dorian avesse mai sentito, e attraverso i singhiozzi lo guardò dal basso all'alto con quegli occhi trasparenti che lo avevano sempre affascinato,carichi di un dolore che poteva quasi toccare.

 

Si inginocchiò ad abbracciarlo e Justin inondò di lacrime la sua guancia, ma per Dorian fu la cosa più dolce che avesse potuto fare.

 

“Allora, Justin...Sei ancora il mio miglior amico?”, chiese, sottovoce.

Justin singhiozzò a lungo abbracciandolo sempre più forte.

“Sì, sì, sì, SI'! Non lasciarmi andare, ti prego!”

 

Dorian si sentì stringere il cuore.

“Non ti lascio andare, no.”, gli mormorò. “Dove devi andare, poi? Stai qui con me, siamo... sicuri. Dove vorresti andare? ”

Justin sollevò la testa e lo guardò negli occhi, scosso da singhiozzi involontari, poi si riappoggiò alla sua spalla.

“...Più in là...”

“Come, Justin?”, chiese, con voce dolce ma con uno strano indolenzimento nello stomaco per poi essere attraversato da una scossa inspiegabile di terrore.

 

Oh, Dio.

Se l'era scordato.

Si era scordato di come non gli era mai piaciuto quel modo di assentarsi di Justin.

“Più in Là.”, sospirò di nuovo Justin.

 

Dorian avvertì il suo sguardo cercare i suoi occhi, anche se aveva la testa appoggiata alla sua spalla.

Non riusciva ad immaginarsi di guardarlo.

Faceva male dirlo, dopo tutto quello che era appena successo ,ma era così giusto.

Aveva bisogno anche lui di tempo.

Di recuperare.

 

“Va bene, Justin.”, mormorò. ”Va tutto bene, calm...”

“Dorian.”

Non lo stava chiamando, era come un'affermazione.

Un richiamo.

 

Per un istante Dorian avvertì i capelli sulla nuca ritti, come animati di vita propria ed inspiegabilmente.

Poi Justin si lasciò sfuggire un singhiozzo e sentì altre lacrime che lo lavavano da dentro, portavano alla luce le sue impurità. Strinse l'amico con tutte le sue forze.

“Oh Dio, Dorian, non lasciarmi, ti prego...ti prego!”

 

Dorian lo strinse contro di sè e sorrise di sollievo e di dolcezza.

“Non ti lascio, no...Stai tranquillo, non ti lascio.”

Lo tenne delicatamente tra le braccia, lasciando che si sfogasse, e si stupì di sé stesso, di quanta dolcezza riuscisse ad esprimere senza parlare e quanta pazienza gli uscisse senza sforzo.

 

E perchè mai avrebbe dovuto sforzarsi?

Justin era il suo miglior amico.

 

Quando a poco a poco si calmò, Dorian quasi lo cullò dolcemente, sussurrandogli che andava tutto bene, che sarebbero sempre stati insieme, che non era niente...ma sentiva come un abisso oscuro nel cuore e aveva voglia di piangere a sua volta.

 

Non sapeva se per Justin o per lui.

 

*

 

Quando Justin smise di singhiozzare e Dorian lo tirò in piedi per portarlo a casa sua, aveva già dimenticato in parte perchè aveva pianto; era così dannatamente lucido, e capiva cosa gli era successo ma non capiva come avesse potuto mettersi a piangere per quello.

 

Stava ricominciando tutto di nuovo, stavolta più in fretta.

 

Ma in quel processo riesumò per intero il suo affetto mai svanito (anche se a volte dimenticato temporaneamente) per Dorian.

Una piccolissima parte del suo cervello gli fu per sempre grata per questo.

 

Quando Dorian, dopo essersi cambiati, prese le chiavi dell'auto e si accinse ad aprire la porta, Justin lo fissò e, senza accorgersene, si aprì in uno dei suoi meravigliosi e rari sorrisi che venne prontamente ricambiato.

 

Quando la chiave iniziò a girare, però, il suo sorriso si offuscò come se un fulmine improvviso gli avesse attraversato il cervello.

 

-Il mio miglior amico...-,pensò, guardando Dorian.

 

E chissà perchè, quelle parole gli rintoccarono come una campana funebre, nella testa. 

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Capitolo 48
*** 48. Un incontro cercato ***


48. Un incontro cercato

 

(Un altro dove \ Un altro quando)

 

Dayer si stava muovendo, scivolando sinuosamente sulla lastra di ghiaccio di quella che ormai era diventata la sua casa.

D'altronde, da quanto era in quel luogo?

Da quanto aveva atteso di essere pienamente nelle sue forze e anche più, per muoversi?

 

Mesi?

Anni?

Forse secoli, ancora?

 

No, non secoli; il Caos l'avrebbe annullato, dando per fallita la sua missione.

La sua unica missione.

 

Uccidere il suo nemico.

Uccidere l'Immemore.

Uccidere Alael.

 

Quel detestato, troppo sicuro di sé e superbo combattente ed emissario della Ragione che l'aveva distolto già una volta dai suoi propositi e l'aveva mandato a cuccia con la facilità di un movimento della mano nel vento.

Alael si credeva forse la Luce stessa, non un essere di Luce ma c'era di più di ciò l'aveva fatto infuriare in modo che, quando era stato creato, aveva creduto non fosse possibile.

 

Alael lo compiangeva; aveva pietà di lui e specialmente del suo Esterno.

Il suo Esterno che l'aveva finalmente accettato, dopo anni di resistenza, tentativi malriusciti di ospitarlo per poi respingerlo ancora con orrore -cosa che acuiva in modo netto la rabbia di Dayer- e persino modi per sbarazzarsi di lui.

Di Lui!!

 

Di Dayer, l'Innocente.

Il più forte emissario del Dolore e del Caos mai forgiato.

 

Ma finalmente l'aveva accettato, lo sapeva.

Sentiva le sue sensazioni espandersi come non mai, attingere senza sosta a quel tesoro senza fine del suo esterno umano.

Come un pozzo oscuro e fetido, portatore solo di cose spiacevoli, la malsanità del suo 'amico' era stata nascosta, resa invisibile e forse neppure ne era cosciente di portarla.

 

Tutte cose che giocavano a suo favore.

O forse non per caso il suo nome era Dayer, sì.

L'Innocente.

 

'Che stupenda ironia', pensò, scivolando sul ghiaccio insanguinato della sua terra natìa come un serpente, camminando senza toccare terra ma muovendo i fianchi in un modo che aveva appena attinto a quel meraviglioso pozzo oscuro.

Allo stesso modo si passò una mano sul viso, levandosi una ciocca di capelli ('capelli, che bellissima cosa!') dagli occhi in un gesto naturale.

 

 

Davanti a lui, a pochi passi, Alael l'Immemore giaceva in una sorta di trance, sdraiato supino.

Dayer si fermò a pochissima distanza e si accovacciò, con una stupenda nuova grazia e si allungò finchè la sua faccia sovrastò quella del nemico.

 

“Voglio provare una cosa...”, mormorò sorridendo, gli occhi fissi negli occhi senza luce dell'Immemore.

Sguainando la sua spada, lentamente, e sempre oscurando quello strano sole che mandava quella forte luce con il suo viso.

Allungò la mano non occupata dalla spada e, lievissimamente, accarezzò il volto di Alael.

Immobile, eppure pian piano sempre più presente.

 

Dayer si abbassò lentamente.

Le sue labbra arrivarono a pochi centimentri dalle labbra dell'Immemore, e lì si fermarono.

Bellissime labbra quasi a toccare altre bellissime labbra.

Morbide, invitanti...

Più da mordere, secondo la sua indole, che da baciare.

 

...forse non esistevano.

Niente e nessuno esisteva, al di fuori della missione, tantomeno loro due.

Specialmente adesso.

Ma Dayer era speciale e non si sarebbe accontentato di una facile uccisione; ma neppure di una schifosa pietà per la sua vita.

 

I suoi occhi si illuminarono, mentre rimaneva fermo in quella posizione e gli occhi di Alael recuperavano lucidità e colore.

“Voglio provare una cosa...”, ripetè.

 

Un'altra carezza.

“Me lo lascerai fare?”, chiese, con un tono di dolce minaccia.

*

*

“Siamo sicuri che non proverai altri volteggi senza rete?”

“Mmm?”

 

Dorian stava guidando il suo transatlantico di Jaguar con cura, mentre Justin si era ormai addormentato con la testa contro la portiera in modo doloroso per il futuro del suo collo, prima di essere risvegliato.

 

“Volevo dire...”

“Sì, ho capito cosa vuoi dire.”, borbottò Justin, strofinandosi gli occhi arrossati dal jet lag e -come scordarsene!- dal pianto di poco prima. “Niente più tentativi di volteggio senza rete. Promesso.”

 

Dorian non si girò neppure a guardarlo né proferì verbo.

Justin si accorse di non essere creduto proprio dal suo silenzio e si snebbiò notevolmente il cervello, riportandosi in posizione quasi seduta.

“Gesù, Dorian, se ti ho detto che...!”

 

Dorian non replicò, non ancora, si limitò a lanciargli un'occhiata per traverso, dal suo monitoraggio del poco traffico e dalla guida difficoltosa dell'auto.

Inutile dire che Justin si sentì infiammare sotto quell'occhiata, ma in nome del recente lavaggio di coscienza e recupero dei suoi detriti d'amicizia a discapito della sua massa -comunque sempre presente- di nervosismo e tragedia, tentò di approcciarsi in un modo più soft di come avrebbe fatto al solito.

 

“E va bene, non mi credi.”, sospirò, lasciandosi cadere teatralmente le mani in grembo.

“Justin...”

“No, ok. Me lo merito. Ho fatto una cretinata. Una cretinata che ci costerà minimo un'influenza, oltretutto.”, replicò, sentendosi già un certo pizzicorino alla gola ed al naso. “Ora dimmi cosa dovrei fare per convincerti.”

 

Dorian mugugnò qualcosa, ma Justin, che pure era ad orecchie tese, non capì.

Niente di buono, comunque, conoscendolo.

Dalla sorveglianza ventriquattrore su ventiquattro personale ('perchè riterrebbe che la farei sotto il naso a qualsiasi agente, questo prevenuto.', pensò torvamente.) al rinchiuderlo in qualche istituto per celebrities fuori di testa, magari cammuffato da rehab.

L'unica, per il momento, sarebbe stato tirarglielo fuori di forza, perchè era qualcosa che non piaceva neanche al caro biondino, si era capito.

 

“Puoi ripetere, per favore?”, scandì Justin, con la massima calma. “Lo sai che ti mangi le parole.”

Dorian si trattenne dal non mandarlo al diavolo dopo quel culmine arrivato in fondo ad una settimana che definire infernale era poco.

La verità era che non sapeva neanche lui cosa fare per potersi fidare.

Se gli avesse letto nel pensiero Justin avrebbe macabramente esultato poiché avrebbe beccato un facile jackpot: come sorvegliare o farsi promettere qualcosa da quel gaglioffo matricolato del suo miglior amico, noto per non essere la più limpida delle persone?

 

“Ne parleresti con gli altri?”

 

La reazione scomposta di Justin alla proposta fu tutto un dire, ma nonostante tutto il tizio che ora era quasi in ginocchio sul sedile della sua auto si sentì in dovere di fare sentire anche verbalmente la propria risposta ed in modo così stentoreo e immediato che Dorian quasi sterzò bruscamente dallo spavento.

 

“MA NEANCHE MORTO! ANZI, SOLO DA MORTO!!,SE VUOI SPINGERMI A SUICIDARMI QUESTO E' IL METODO MIGLIORE!! EDDIE... EDDIE MI TRASCINEREBBE IN UN ISTITUTO PSICHIATRICO, E COME MINIMO GETTEREBBE LA CHIAVE! E SHANE, OH DIO, SHANE...”, e al pensiero del suo robusto amico Justin si rimise seduto in un lampo a fissare la strada come un coniglio abbagliato dai fari dell'auto mentre Dorian prendeva un respiro e si concedeva di guardarlo allibito per poi scuotere la testa, finalmente sentendo la tensione sciogliersi.

 

“Sì, quello ti farebbe l'equivalente di un elettroshock a calci, probabilmente.”, si ritrovò a sorridere suo malgrado Dorian, per poi rimettersi a pensare.

Nel suo sbraitare, Justin aveva fatto intendere anche che non vi erano istituti correzionali di qualsiasi tipo, ospedalizzazioni o terapie di sorta nel suo futuro.

 

Il bello era che se solo avessero proclamato illegale il vario e multicolore cielo di psicofarmaci, visto il suo feeling saltuario ma in fondo mai sopito con le droghe, quell'imbecille di Justin si sarebbe sottoposto a qualche trattamento anche solo per provare qualcosa che gli alterasse la coscienza, il ritmo biologico o l'umore, ma come farlo approdare ad una terapia farmacologica senza passare attraverso un qualche tipo di iter?

 

E poi, sotto sotto, se Justin aveva bisogno di una visita forse non ne aveva anche lui, col suo delirio di incubi e contorno?!

Non era forse quello che dava più fastidio a Dorian, ammettere che forse erano entrambi da ricovero?

 

Accantonò quei pensieri con un sospiro, vedendo ragazzi della loro età attraversare allegramente la strada e notando che Justin aveva ormai perso l'ombra di qualsivoglia sonno, assumendo quella faccia da schiaffi tipica e stando stravaccato sul sedile come quel dannato ragazzino cocciuto che era.

'Idiota.', pensò affettuosamente, mentre sterzò pericolosamente -e all'ultimo minuto, facendo dubitare la Jaguar E-Type di riuscire appieno nella sua manovra senza lasciarci almeno un parafango contro l'angolo- in una via a sinistra, facendo raddrizzare di colpo Justin, allarmato.

“Checcaz...E' senso vietato!!

“Rilassati, mi serve solo un parcheggio....coooosì. Olà!” si concesse Dorian, soddisfatto, dopo un paio di manovre avanti e indietro

 

Justin si guardò attorno, nel suo posto passeggero, e quando si girò per parlare con Dorian gli arrivò in faccia solo il forte rumore della portiera che si chiudeva; il biondino aveva approfittato del suo momentaneo spaesamento per togliere il suo ammirato fondoschiena dai sedili e scendere, stiracchiandosi e sbadigliando nel contempo.

“Dove diavolo mi hai portato?”, lo aggredì quasi Justin, sceso velocemente a sua volta ma tenendo ancora una portiera aperta.

“Siamo ancora a Ballymun, non vedi le 'Torri'*?”,si appoggiò Dorian al tetto della macchina, fissandolo.

“Sì, le vedo. Che ci facciamo ancora a Ballymun?”, chiese l'altro, dubbioso, occhieggiando il pub di periferia.

“Andiamo a berci una pinta come dei comuni mortali. Dio solo sa se ne ho bisogno.”, scosse la testa il biondino, con aria sorniona.

“Ma... qui?! In questo pub scalcagnato?!”

Dorian lo fissò per un momento allibito per poi farsi apparire un meraviglioso sorriso allegro che non si vedeva ormai da settimane.

 

“Dio Mio, Justin! Smettila di sembrare una verginella nel Bronx!”, lo canzonò, vedendo come Justin lo stesse guardando come fosse un sudicio buco degno del bagno di Trainspotting. “Il pub dove lavoravi durante le vacanze estive a scuola non era certo più 'in' di questo!

Justin lo fissò sentendosi colpevole e chiuse finalmente la portiera, con le guance in fiamme.

“Touchè.”, mormorò. “Queste feste da vecchie rockstar, backstages e festival ci stanno dando alla testa. Celebriamo il ritorno al vecchio pub con un paio di belle pinte.”, ridacchiò , finalmente sollevato.

 

“E davanti ad una birra vedrai che troveremo una soluzione.” disse con tono volutamente leggero Dorian. “Una birra in corpo fa muovere sempre il cervello verso buone idee.”, proclamò solennemente mentre si voltava verso la fine del vicolo e l'ingresso del pub, seguito da un gemito di Justin che gli fece abbozzare una risata.

 

Ma i suoi occhi non ridevano, anzi.

Sembravano diventati distanti e valutativi.

 

Freddi.

 

*

*

 

(Un altro dove \ Un altro quando)

 

Dayer era fermo da un bel po' in quella posizione di bacio, sguainando la sua spada centrimetro per centrimetro in una deliziosa agonia.

 

Tutto gli procurava piacere in quel momento: il sapere di potere mettere fine alla vita di Alael mentre questi, seppure ancora distaccato, se ne sarebbe accorto e si sarebbe finalmente reso conto di che fatale errore aveva fatto a sottovalutarlo e, soprattutto, compatirlo.

La sua semplice posizione fisica di predominio.

Persino la spada che frizionava, metallo contro metallo, uscendo dalla guaina gli procurava piacere.

 

Era edonista, speciale o forse solo sciocco, ma stava attendendo il risveglio dell'Immemore pazientemente e, appunto, con un grande fremito di gioia che si avviava ad esplodere.

 

Ormai solo un velo staccava Alael dalla lucidità, quella che pervadeva Dayer e che, eppure, lo riempiva di calma.

Con quelle labbra così invitanti a pochi centimetri dalle sue, l'Innocente finì di estrarre la spada pur sempre fissando, occhi bellissimi in altrettanti, quel minimo velo di opacità del nemico; se avesse potuto, l'avrebbe bruciato con il suo nuovo e bellissimo sguardo.

 

Alael riprese conoscenza come attraversando una nuvola, sofficemente, e fissò dritto negli occhi Dayer, quegli occhi luminosi e giocosi ma allo stesso tempo attenti.

 

Dayer si umettò le labbra con la punta della lingua, sempre così vicino come non erano mai stati.

Se un'emozione vi fu dall'emissario della Ragione, questa non trasparve se non un'educata curiosità che poi venne espressa sempre con quella voce dolce ed assurdamente ragionevole.

 

“Salute Dayer, emissario del Caos. Cosa ci fai sopra di me?”

 

Davvero credeva di poter rimanere lucido, Dayer, con quel forbito assassino della Luce?!

No, in un attimo non era più calmo, ma non pensò neppure di recedere dal proposito che lentamente era maturato nella sua mente.

 

“Ti sto per uccidere, Immemore.”, disse, in tono distaccato.

 

Sollevò la sua spada con entrambi le mani e poi si riabbassò lentamente, uno sguardo di sfida nei suoi occhi.

“Potresti fermarmi?”

Alael non disse niente, continuò solo a fissarlo negli occhi.

“Hai paura?”

“...”

Non hai paura?”

“...”

“Non temi per la tua missione?”

“...”

 

Perplesso, Dayer si accovacciò, quasi sedendosi sul busto del suo avversario, le gambe che stringevano i suoi fianchi.

“Eppure sento... sento la tua paura.”, e chiuse gli occhi per meglio assaporarla, come un prelibato aroma che aprendo gli occhi sarebbe svanito. “Sento... timore. Paura... Ma non per me. E nemmeno per te...”

E d'improvviso aprì gli occhi, stupito ma non fino in fondo.

 

In fondo gli era stato detto.

 

“Sento... amore! Temi per il tuo umano!”, quasi rise, con quegli occhi capricciosi.

“Sì.”

 

Dayer rise e poi sollevò la spada di nuovo, contro quel pallido e strano sole, tenendola alzata.

“ADDIO, IMMEMORE!!”

 

Calò la spada in un colpo in verticale con tutta la sua forza, in un fendente mortale.

Scalfì il ghiaccio a pochissimi millimetri dal volto di Alael, che ancora non si decideva a mostrare una qualsivoglia emozione, ma ora Dayer non ne aveva bisogno.

 

Si abbassò fulmineo, tenendo sempre la mano sulla spada e mormorò sempre a pochi centrimetri dal suo nemico.

“Sapevi che non ti avrei ucciso, vero?”

“Sì.”

Perchè?!

“Vuoi prima far distruggere il mio est... umano.”, e finalmente un'emozione trapelò dagli occhi dell'Immemore.

Una lacrima.

Una singola lacrima su un volto di pietra.

 

“Non farlo. E' puro e innoc...”

“INNOCENTE!!”,gli urlò Dayer in piena faccia. “Innocente?! Quello sono io!! Io, io, io, IO!!”, e si battè la mano non occupata sul proprio petto, rialzandosi un po'.

“IO ho... sprecato...usato...anni,anni e anni per soffrire, IO vivo e soffro!”, e finì mormorando, a testa bassa. “IO ho legato a me il vero innocente.”

 

“Se così dici, lasciali andare.”, lo supplicò in un mormorìo Alael, anche se sapeva che sarebbe stato vano.

 

Difatti Dayer si portò di nuovo a tiro di bacio e lo fissò, come se la tempesta dentro di sè non fosse mai avvenuta.

“Cosa farebbe il tuo umano per difendersi?”

“Non credo potrebbe difendersi da te, dal tuo Esterno.”, ed un'altra lacrima seguìla prima sul volto marmoreo dell'emissario della Ragione. “Potrebbe, ma non penso lo farà E tu in questo modo li condannerai.”, e chiuse gli occhi, non volendo vedere di più nel futuro.

 

Dayer stette un buon minuto a fissarlo, poi si aprì in un sorriso meraviglioso.

“Lo sapevo.” sussurrò. “E se ora io ti uccidessi qui? Mh?”

“Fallo. Sarebbe solo un atto di pietà.”, mormorò Alael, esausto da quell'incessante lavorìo che vedeva in quegli occhi del suo nemico. “Sarebbe pietoso anche per te.”

 

Dayer si abbassò ulteriormente; parve pensarci per un attimo.

Poi le sue labbra si poggiarono, fresche e morbide, su quelle di Alael, mentre la spada veniva tolta dal ghiaccio.

Sempre in quello strano bacio, in cui il freddo di Dayer e l'asciutto di Alael si incontrarono in una sorta di amara dolcezza, l'Innocente appoggiò la sua arma alla guancia dell'Immemore e, con lentezza, iniziò a lasciargli un segno, uno sfregio sul viso.

 

Quando le labbra si staccarono anche la ferita fu completa e Dayer, senza mostrare di voler fare altro, si alzò con un unico movimento fluido e lo fissò dall'alto al basso, assumendo un'aria cupa.

“Ora ci credi che saròin grado di compiere la mia missione?”

“Non lo credo. Ma so che ci proverai.”, disse a bassa voce Alael, alzandosi a sua volta e passandosi una mano sulle labbra, non degnando lo sfregio.

 

Dayer avrebbe usato la cortesia di quel bacio come il suo esterno avrebbe usato al suo avversario, forse solo per addolcire la sua morte, fargli capire che quel distacco non sarebbe dipeso da lui o forse persino dimostrargli che il suo amore travalicava il suo gesto.

Oppure l'avrebbe liquidato freddamente, senza neppure quel gesto pietoso.

Era poi un gesto pietoso, mostrare un sentimento per poi rinnegarlo?

Alael pensava che fosse piuttosto crudeltà, come aveva usato ora fare Dayer.

 

Dayer avanzò di un passo e mise di nuovo la spada vicinissima al viso di Alael, che rimase immobile, con lo sguardo triste.

“Ora so cosa mi troverei davanti...”, sibilò, con rabbia. “Arrendevolezza. E non mi piace.”

“Tu vorresti una grande battaglia.” gli rispose Alael, sempre col suo modo pacato. “Ma io non posso dartela.”, e scostòla spada con un semplice movimento, abbassando gli occhi. “Potrai vincere, all'inizio, ma perderai alla fine.”, continuò rassegnato. “Perderai, ma prima farai soffrire come non mai tutti noi.”

 

 

 

Dayer gli diede le spalle, sicuro di non essere colpito, e tornò ad allontanarsi lentamente.

Quando si fu un po' allontanato, Alael, finalmente libero di lasciare le sue emozioni, lasciò le lacrime scorrere e non impedì che la sua voce uscisse, imponente.

“Soffrirai, Dayer l'Innocente! Soffrirai in ogni caso!!

 

Poi si passò una mano sulla guancia e la trovò sporca di sangue dalla ferita.

“Soffrirai... Come tutti noi.”

Si guardò la mano, non vedendola veramente.

Quante persone farai soffrire, mio amato? Quante?

*

*

 


Aggiornamento in corso. 
Buon anno!!

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Capitolo 49
*** 49. Dolce gabbia ***


49. Dolce gabbia
 
L’anno domini 2002 si apprestò riluttante a lasciare il posto al 2003, con quegli ultimi sussulti tipici di un anno vissuto appieno e in fretta che somigliavano più a spasmi irrigiditi che a rilassatezza dopo un periodo faticoso.
A metà dicembre Justin si recò mestamente da un plurititolato ‘medico delle celebrità’, spinto da una minaccia non troppo velata di Dorian di spifferare tutto ai loro compagni, alla sua ragazza e non per ultima sua madre; alla tenera età di ventiquattro anni Justin temette che alla verità sul suo tentativo di Icaro dal dodicesimo piano, Edele l’avrebbe guarito a suon di schiaffi, così pur essendo brontolante e con un muso lunghissimo nonchè cercando una scappatoia in un silenzio di pietra, si recò per la bellezza di cinque sedute da tale psichiatra e ne ricavò un’imprecisata diagnosi di disturbi di ansia generalizzati e una prescrizione per tranquillanti ‘al bisogno’.
 
Visto che non aveva più problemi di ansia di quanti ne avesse mai avuti in tutta la sua vita, per lui il bisogno corrispose a tendere ad abusarne per noia, assumerne e poi bere incoscientemente alcool per approfittare dell’effetto e infine addormentarsi e bucare tutte le lenzuola nuove perché si dimenticava le sigarette accese in mano, in breve i suoi amici ne ebbero abbastanza.
Quando cadde per la quarta volta sul pavimento di Ringsend Road, ai Windmill Lane studios, ridente, con la lingua impastata e incapace di rialzarsi e stare in piedi, Dorian dovette difenderlo da Shane che proclamava di volerlo prendere a calci in culo fino a Galway e ritorno, spiegando una mezza verità ovvero dei medicinali che Justin stava assumendo in modo scriteriato e per quella volta riuscì a portarlo via incolume sotto lo sguardo sprezzante di Eddie al quale le cretinate dell’ex compagno di classe ormai non impressionavano.
 
Una volta fattogli ingurgitare una dose di caffè simile a piombo fuso e averlo fatto riprendere, ebbero una litigata che mise a dura prova i muri e nella quale Dorian capì che Justin in qualche modo era riuscito a farlo fesso: se avesse continuato quella che definiva la sua idea di terapia li avrebbe fatti ammattire tutti ma dalla parte dell’aiuto medico avrebbe ricavato solo quelle scenette da piccolo chimico.
D’altronde era stato lui a insistere perché si recasse da uno psichiatra e quello che ne avevano ricavato finora era stato quello, perciò stringi-stringi era colpa sua; alla fine, più per k.o. tecnico di stanchezza e mancanza di argomentazioni Dorian cedette a convenire che la causa di quello che era stato ora ridimensionato a ‘richiamo di attenzione’ e ‘voglia di fare lo scemo’ era stato un fusibile saltato a causa dello stress, di quegli stupidi sogni e di stanchezza in generale.
 
Dorian abbozzò, di fronte alla sconfitta; Justin, ai vecchi tempi –e forse anche adesso- avrebbe persino accennato una piccola danza di vittoria, se solo il biondo non avesse preso nel frattempo una cortomisura che neanche volendo l’amico avrebbe potuto contrastare.
*
*
“A me non ha detto niente.”, rispose come previsto Katryn, dall’altra parte dell’oceano.
Dal primo pomeriggio si stava preparando per il Christmas Special del Saturday Night Live, anzi aveva già indossato i pantaloni di pelle e nonostante il talco sulle gambe stava già iniziando a sudare e lo show sarebbe iniziato solo tra tre ore.
Non aveva dormito e siccome doveva ancora essere truccata vedeva anche troppo bene i segni della nottataccia passata.
Insomma, era il suo primo Saturday Night Live, era uno Special di Natale ed era perciò debitamente nervosa.
 Proprio come voleva Dorian.
L’avrebbe definita ‘croccante’ al punto giusto per quello che intendeva e, indovinate un po’?, non si sentiva neppure un po’ in colpa, anzi quei due gli dovevano giusto un qualcosa per il suo ruolo da Cupido involontario.
Almeno delle fottute Festività tranquille.
“Uhm , si sarà dimenticato di dirtelo.”, minimizzò con la giusta noncuranza Dorian, al telefono. “Io ci ho parlato un paio d’ore fa… Magari dovrà ancora dirtelo. Magari ha preferito lasciarti tranquilla per via dello Special.”
“Perché tranquilla? Dovrei agitarmi?”
Uh, quella punta o forse più di sospetto che le sentì nella voce lo fece esultare mentre riprendeva una vocina innocente e un po’ troppo spigliata.
“Insospettirti di cosa? E’ solo una festa di Capodanno!”
“Non mi ha detto niente.”, ripetè Katryn, cocciuta ma stavolta con un picco di cupezza nella voce.
“Te lo dirà, che ti importa? Pensa allo Special, piuttosto. Ti è passato quel mal di gola che…”
“Mi ha chiamato un’ora fa per farmi l’In bocca al lupo e non mi ha detto niente.”, sembrò ragionare ad alta voce la rockstar; Dorian sbuffò come se fosse stato seccato dall’interruzione mentre internamente gioiva.
Aveva abboccato amo, lenza e tutto, ora sarebbe praticamente fatta.
“Possiamo parlare d’altro che non sia Katryn e Justin  o, in alternativa, Justin e Katryn ? Non che mi spiaccia parlare di voi ma la parte della spalla sta iniziando ad andarmi stretta. “
“Servirebbe a farti guarire dalle tue manie di protagonismo!”, arrivò una risatina poco convinta d’oltreoceano. “Dai, lo sai che vorrei essere informata solo per potermi organizzare, non per altro!”
Certo, e i maiali volano in quel di NYC!
“No, no. Aspetta, ma oggi non l’ho visto e non è neanche previsto che ci vediamo. A che giorno ti riferivi, chèrie?”
“Idiota.”, brontolò leggermente Katryn. “Senti, io dovrei andare a fare un primo ‘check, se non hai niente di così importante da dirmi.”
Primo soundcheck? Quanti dovrai farne?”
“Mi hanno dato disponibilità di farne due.”, sospirò, per poi accennare quasi frettolosamente ma con una punta di agitazione nella voce. “Non mi fido molto dell’acustica di questo posto e poi ho avuto una brutta nottata.”
“Ci credo.”, ribattè sinceramente rispettoso Dorian.
“Perciò non prendertela se ti dico che devo andare.”
“Non c’è problema.”, tornò col tono più leggero e amicone che disponesse Dorian, il suo tono che sperava fosse come quello di un etero quantomeno gay-friendly se non girl-friendy. “Volevo solo sapere come ci si sentiva ad essere al Saturday Night Live!”
“Nervosi, ecco come ci si sente, perfido rompiballe!”
“L’immaginavo.”, la rintuzzò sadicamente per poi mandare a segno la stoccata finale.
“In bocca al lupo anche da parte mia e in caso non ci si sentisse ci vediamo a Capodanno!”
 
Katryn non ebbe il tempo di ribattere che Dorian riattaccò, rimase con in mano il cellulare per un attimo e poi liberò un sospirone vittorioso, voltandosi verso il suo indifferente gatto e puntandogli una pistola immaginaria contro e facendo il verso di premere il grilletto.
“SonooooooooooounFICO!”
Adesso era sicuro che Justin sarebbe stato blindato almeno per qualche giorno.
*
“Justin, tu e Dorian avete litigato?”
“Eh…?”, riuscì a sfiatare Justin, dopo aver visto stupito l’unico numero che aveva dall’altra parte dell’Atlantico che lo chiamava un’ora scarsa dopo che l’aveva salutato.
 
Oh no. No no. Nonononono! Quel bastardo ha spifferato tutto! Tutto-tutto! Gli psicofarmaci, l’alcool e –riuscì a spaventarsi ancora di più- il tuffo da casa sua!
-Ma stavolta lo ammazzo!!-
Seee, ci fossi riuscito almeno una volta…
“…preoccupare.”
“Cosa?”, cercò di riprendere il filo del discorso, più che allarmato per poi calmarsi un attimo con respiri profondi simili al rilascio della respirazione in pratiche yoga.
“Mi ha detto che forse te ne sei dimenticato o non mi hai detto niente proprio oggi per non farmi preoccupare.”, ripetè Katryn, con una punta di nervosismo.
Già, e perché no?
Perchè sì, piuttosto! Quante cose le hai nascosto in quasi un mese?! Le hai nascosto tutto, TUTTO!
-Non ho nascosto che la amo-
E si accontenterà di questo, a-ah! Le sarebbe bastato quando saresti stato un ammasso di carne frollata in fondo ad un condominio!
“Di cosa, amore?”, rispose il più normalmente curioso che potesse, nonostante i pensieri corressero al galoppo nella pianura sconfinata che era la sua testa.
“Della festa di Capodanno.”, gli notificò asciutta lei. E prima che potesse raccapezzarsi puntualizzò, schiarendogli notevolmente le idee. “Di Dorian”
 
-Quel maledetto bastardo!-, pensò ammirato, capendo subito con che sottigliezza aveva imbastito la rete attorno a lui il biondino.
“Oh, ehm… l’ho saputo solo…”
“Sai che appena c’è qualche appuntamento o qualcosa dovresti dirmelo subito.”, sospirò Katryn, notevolmente risollevata che apparentemente il suo fidanzato e il suo amico non si fossero davvero presi a pugni e usato lei come moto riconciliatore. “Sai che devo organizzarmi.”
“Hai ragione, amore.”
“Sarò lì per il pomeriggio del 27.”.
Sospiro.
Manco stesse andando all’inferno invece che ad un veglione di Capodanno, pensò divertito, suo malgrado.
“Mia madre torna a casa per Natale e voglio essere presente per la Vigilia, Natale e Santo Stefano almeno. Poi posso venire in Irlanda e godermi un po’ di festività fino alla Befana. Chiedo subito di trovarmi una make up artist e una parrucchiera.”
Pausa.
“Sei contento, almeno?”
Dolcezza con una punta di sospetto.
“Ricordi che ho un letto ad una piazza e mezzo?”
“Ricordo che sei magro e che ci starei anche distesa a stella.”, rise finalmente sollevata del tutto, lei.
“Come ti senti per il SNL?”
“Tesa.”
“E’ normale. Ma li stenderai.”.
Lo pensava davvero.
 
Dopo le romanticherie di rito, fatte appena un’ora prima e ripetute senza perdere un briciolo di amore seppure, appunto, ripetute e quasi identiche, riattaccarono con la certezza che finalmente vi era una data vicina per rivedersi.
 
Nonostante fosse un lieto avvenimento ed entrambi fossero più leggeri al fatto che all’incertezza del quando sarebbe successo, Justin sentì una punta di indispettimento per come era stato preso in trappola da Dorian, in fondo.
 
“Una festa di Capodanno.”, borbottò, ridistendosi a quattro di bastoni sul suo letto, essendo le undici del mattino troppo presto per lui per alzarsi di spontanea volontà ed andare incontro alla giornata piovigginosa misto nevosa che lo aspettava.
“I pagliacci si vedono a Carnevale, invece.”, sbadigliò, lasciando andare pian piano il cellulare.
 
Qualcosa in lui si era comunque ridisteso e appacificato, come un gatto agitato placato dalle carezze, perché senza prendere nulla si rannicchiò nel bel calduccio delle coperte e si riaddormentò placidamente, prendendo a russare poco a poco e ristabilendo da tempo le forze.
 
In quel momento era il caldo centro dell’universo di più entità ma non avvertiva il minimo increspamento delle acque, a guardarle dalla superficie dove era stato in grado finalmente di issarsi.
 
Lui non era stato, forse da mesi e mesi, mai più in pace.
C’era da credere che quel farabutto di Dorian avesse avuto, per una volta in vita sua, un’ottima idea. 



Chiedo venia.
Per l'assenza, per questo capitolo di puro interludio, per tutto. 

 

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Capitolo 50
*** 50. Un lago di tempo ***


50. Un lago di tempo
 
Fu così che nel pomeriggio del 31 dicembre 2002 Katryn si trovò piacevolmente distrutta e finalmente in procinto di rilassarsi nella vasca da bagno del mini-appartamento da scapolo di Justin, mentre questi era uscito nella tormenta atlantica che stava affrontando l’Irlanda.
 
Dal suo arrivo era stata incessantemente coinvolta: dalla festicciola di benvenuto di mezzanotte dei ragazzi al suo arrivo ad un sobrio party di congratulazioni da parte della Sony per il successo di ascolti al Saturday Night Live ed infine a quella che Dorian chiamava ‘ un’adunanza di ordinanza’: nella fattispecie una sbronza quasi completa in un pub vicino agli studios di Ringsend Road.
 
Un segno che la vita per gli altri Interferences stava andando avanti e per il suo fidanzato no, lavorativamente parlando,  fu il fatto che Dorian avesse chiamato in tono concitato proprio poche ore prima per pregare letteralmente il suo vocalist di andare a provare di mettere una pezza ad una linea vocale nel santo giorno della Vigilia, mentre Justin dal suo arrivo non aveva accennato a scollarsi neanche con una leva; ovvio che lei adorava averlo attorno o mai si sarebbe accollata un viaggio tra Natale e Capodanno, quando aveva già poco tempo anche solo per stare con la sua famiglia, ma a volte Justin non sembrava conoscere la nozione di ‘lasciar spazio’.
 
Katryn già dalla prima sera aveva odorato trappola di Dorian, quando aveva visto Justin prendere una pastiglia prima di andare a letto, ma il fatto non si era ripetuto e quando l’altro giorno si erano sbronzati per bene in un anonimo pub era stato lui a portare fuori lei e fermare un taxi, trascinarla per le scale e prepararle un caffè, facendola quantomeno non sbattere contro il bordo di qualche mobile con la testa, segno che di certo non si era intossicato con qualcosa che avrebbe amplificato l’effetto dell’alcool.
 
Che Justin si fosse messo in qualche guaio non era un fatto così assurdo visto quanto aveva potuto conoscere Katryn del suo passato, ma che Dorian avesse chiamato lei per risolverlo sembrava la cosa più stupida che lei potesse concepire; negli anni passati, specialmente nei periodi on the road nei quali era passata di piano da artista di culto a successo commerciale, era stata spesso e volentieri toccata dall’insonnia e dalla paranoia generata dall’ansia più o meno di continuo in varie misure e spesso senza una ragione apparente che, in modo totalmente contrario a Dorian che tentava di capire alla radice le cose, contrastava in modo tipicamente americano com’era ormai lei di adozione
Non stava ad analizzare il guaio, cercava la soluzione più rapida; e la soluzione più rapida e a portata di mano erano i farmaci, di cui sia lei che Monik avevano avuto accesso e uso in modo efficace.
 
Mai droga.
Mai per un periodo significativo, solo a bisogno che spesso si dissolveva in qualche giorno.
Mai più di un farmaco e mai mescolati con l’alcool.
 
Per quello non vedeva nessun pericolo nella pillola che Justin aveva ingoiato quattro giorni prima e, se anche se si fosse trattato di un uso più ravvicinato, non avrebbe trovato nulla di così anormale.
 
Su questo stava riflettendo, e sul fatto che Dorian era una gran testa di cavolo ad essere in studio alla Vigilia e trovarsi nelle peste per una linea vocale tanto da dover chiamare Justin in mezzo ad una tormenta di neve, vento ed acqua ghiacciata che stava imperversando su Dublino.
E sul fatto che fosse doppiamente testa di cavolo perché a quell’ora sarebbe dovuto essere piuttosto a preparare la festa, sia mai che avesse organizzato tutto prima, sia MAI.
Si parlava di Dorian, che cazzo!
 
Su quelle cose e sulla cosa meno preoccupante, che dei suoi capelli ormai sfibrati da qualche tentativo di acconciatura maldestra in casa se ne sarebbe finalmente preoccupata una professionista da lì a qualche ora, similmente al trucco, e avrebbe smesso di sembrare una rifugiata per almeno un giorno.
 
Sull’onda di quei radio segnali sempre più annebbiati e ormai sfocati come lucine rosse e gialle in lontananza, in un nero avvolto da un fumo via via più denso, scivolò lentamente col sedere nell’acqua calda dell’anonima vasca da bagno e si addormentò beata, senza un vero pensiero al mondo che aspettare serena il sicuro ritorno del suo grande amore.
*
*
Si svegliò quasi subito ad occhi chiusi, con una sensazione di soffocamento e un pensiero passò accecante e di certo più rapido di un lampo
Mio dio sto annegando
senza poi lasciare traccia quando prese finalmente una boccata d’aria.
 
Ad occhi chiusi scosse la testa, per liberarsi di misteriose gocce d’acqua che sentì levarsi da lei, dai capelli che avrebbero dovuto essere fradici, ma che non c’erano veramente.
Non era bagnata, di sicuro.
E di sicuro aveva freddo, percepì senza pensare mentre si abbracciava il torso con le braccia, aprendo gli occhi.
 
Il tutto era durato meno di due secondi, ma il panorama era decisamente cambiato, tanto in fretta e tanto alieno a dove si trovava prima di quell’assurdo risveglio che altro non poteva essere che un sogno.
In quale altro posto avrebbe potuto risvegliarsi ai bordi di uno specchio d’acqua su un verdissimo prato curato, coperta da una sola sottoveste di cotone bianca e con l’alito che le si condensava nel fiato, arrivando dall’ urbanissima vasca di bagno piastrellata di beige, calda ai limiti della sopportazione e nuda, se non in un sogno?
Non capiva se ci fosse un sole accecante che si rifletteva sull’acqua a lei vicina o se il cielo fosse effettivamente bianco, di certo la luce era intensissima e il freddo secco anche.
 
In tutto questo si sentiva come quando si era addormentata, pochissimo fa: tranquilla, come se la sua mente fosse in un placido liquido amniotico tiepido, dove i pensieri arrivavano come onde radio lontanissime, fuori portata e a volume quasi azzerato.
C’erano, ma non ci dava peso; sapeva di essere col corpo e col novanta per cento della mente a Dublino, immersa nell’acqua calda (tanto calda che Justin due giorni prima le aveva chiesto se volesse anche un po’ di spezie per autocucinarsi meglio) e quindi di godersi il sogno.
Già il fatto che potesse permettersi di pensarlo lo faceva classificare come sogno lucido; non che ne sapesse poi così tanto o che sapesse quanta percentuale del suo cervello fosse impegnata in quel momento.
 
Non era in pericolo di affogare, non era in ritardo –aveva puntato la diabolica sveglina del cellulare per un limite massimo di ammollo- e quello strano prato verde si trasformava in piastrelle bianco-azzurrine tipiche di un bagno anni ’80 che andavano sparendo gradualmente nel lago in cui si tuffavano.
 
Decise di aspettare che succedesse qualcosa, ma poiché niente si decideva ad accadere e lei stava lentamente congelando, decise di alzarsi, notando le strane calzature a fantasmino di cotone antidiluviane, e camminare attorno a quella strana acqua intrappolata da ceramica.
 
Decise senza un vero pensiero di andare verso sud, non che qualcosa cambiasse.
Forse alle sue spalle si ergevano delle montagne con vette aguzze, ma quella luce intensa che le feriva quasi gli occhi le impediva di vedere chiaramente, ma evidentemente la sua mossa era stata azzeccata poichè dopo neanche una decina di passi venne raggiunta da una voce che sembrava agitata e parecchio trafelata.
 
“Ehi, ehi, ferma! Non di là, non di là! Devi venire di qua!
-Il mio bianconiglio personale…-, pensò lei, divertita, ma quando si voltò non c’era niente di divertito sul viso del giovane che le stava venendo incontro dalle spalle da dov’era sbucato all’improvviso.
“Non di là!”, ripetè ancora il ragazzo, ancora agitato ma un po’ meno trafelato ora che l’aveva fermata e la stava per raggiungere.
 
Katryn si prese mezzo secondo per osservarlo.
Un bel ragazzo bruno con occhi assolutamente scuri, tanto convenzionalmente bello quanto anonimo, poco più alto di lei, stava assestandosi su una camminata dinoccolata, non smettendo di fissarla in un modo inequivocabile.
Quasi riuscì a indovinarne i pensieri sotto la bella faccia quasi scocciata e arrossata dalla corsa, qualcosa come ‘rincoglionita’ e ‘perché sta andando di là?’.
 
Quasi a volerle leggere per davvero nel pensiero, il bel ragazzo adesso fermò ad un passo da lei ripetè, stavolta con un moto di impazienza:” NON di là, oca. Ti ficcherai in un lago di guai che neppure ti immagini. Per tutto ciò che sta sopra, quanto sei lenta!” 
“Cosa?”
Era riuscito a scuoterla, finalmente, ma per la miseria si sentiva veramente lenta! Come se stesse scuotendosi da un’anestesia locale.
Dal canto suo Katryn pensò se avesse sentito male o avesse davvero detto un lago di guai.
 
“Forza, andiamo.”, le disse il tizio, allungando un braccio per afferrarle la spalla. “Non abbiamo molto tempo e non so perché tu sia qui, ma se sei qui chiunque tu sia, non puoi andare di là bensì di qua.”
“Ma io non so se voglio venire.”, si spaventò Katryn, lì per lì. “Voglio dire, ci saranno cose che mi faranno male?”
 
Il tizio inclinò la testa e sembrò veramente pensarci su, mentre gli occhi si perdevano nel bianco accecante del cielo.
“Non lo so. E non dovrebbe importarmene.”, disse, lentamente, per poi scuotersi. “Voglio dire, a me dovrebbe importare di te? Diavolo, no! A me importa solo che questa brutta storia si chiuda senza grossi danni per tutti. Cosa che ormai sarà impossibile.”, ridacchiò quasi sbarazzino.
“Oh.”, riuscì solo a produrre una flebile vocine Katryn, tentando poi di incavolarsi senza molto risultato. “Grazie della considerazione.”
 
Il tizio la guardò, ora con un misto di compassione e benevolenza, come se percepisse che la sua rabbia era svanita come l’anidride carbonica di una lattina aperta un anno prima.
“Oh, ora non prenderla a male. Non hai nessuna colpa, se non quella di essere piombata qui. Qualcosa deve averti fatto da guida tra i piani.”, e si fermò, inclinando ancora la testa. “O qualcuno. C’è sempre un rompiscatole in queste cose. Uno che va contro le regole. Ma un’interferenza simile non si era vista da… secoli. Minimo. “, e ridacchiò di nuovo, stavolta imbarazzato.
“Lieta di aver rotto l’imbattibilità.”, mormorò Katryn, che percepì i primi sintomi del disagio sotto i segnali radio ovattati.
 
D’improvviso il tizio scattò e le artigliò il braccio, tirandola verso di sé.
“Non c’è molto tempo. Andiamo.”, e iniziò a trascinarla da dov’era venuto, ove improvvisamente sembrava apparsa una collinetta di pochi metri, sufficienti a non mostrare cosa ci fosse dall’altra parte.
“Non so cosa tu ci faccia qua, da secoli non vedevo visitatori in questo luogo ed anche secoli fa, quando la battaglia infuriava molto più sovente, erano relativamente rari.”, e questo pensiero sembrò colpirlo proprio mentre si accingevano a salire il morbido prato che ricopriva l’altura, tanto da fermarlo. “Secoli. Proprio così.”, per poi ridacchiare stavolta in modo sbarazzino, come un ragazzino che osserva un disastro fatto da un fratello prevedendo la reazione dei genitori.
“Non so chi, nella battaglia, ma qualcuno è davvero un gran casinista!”
“L’hai già detto.”, lo riprese Katryn, che si lasciava trascinare passiva.
Oh, scusi, madamoiselle Oca!”, le rispose gioviale il tizio, che nonostante tutto non riusciva a starle antipatico.
 
E neppure simpatico.
Solo indifferente: dopotutto era la sua guida, non era pagato per essere simpatico, no?
Ma pagato da chi? E come? E per…
“Rallenta i pensieri, tanto non ne capirai nulla.”, la colse in fallo il tizio, mentre arrivavano quasi a metà della collinetta, che era alta forse cinque metri. “Non è neppure colpa tua, sia chiaro, anche se sei terribilmente lenta. Ma piombare in un cinema dove il film è proiettato a metà non è mai una grande idea.”
E si fermò di nuovo, colpito da quell’idea.
“Perciò, chi vorrebbe portarti qui a metà del film? Anzi, quasi alla fine? Qualunque essa sia, perché sia chiaro io non protesterò, ma una fine ci sarà e lontana non sarà.”, assentì con la testa, ricordandole per un attimo uno Yoda più arzillo.
La afferrò per entrambe le spalle, stavolta, e la girò di centottanta gradi.
 
“Cosa vedi, signorina Oca?”
“Un…polverone.”
Il tizio rise.
“Ah, hai ragione in verità e non ce l’hai! Perché polvere c’è e altra non è che polvere dei secoli: ove vi è l’Immemore essa non può non esserci. D’altra parte l’Innocente porta con sé la polvere nel suo sangue, vi è ammantata per distruggere il sole e lo circonda. Ma non è polvere quella che vedi.”, e la girò verso di sé, a portata di bacio, gli occhi illuminati di un riso quasi incontenibile.
 
“Quella che vedi è l’aura della battaglia che in realtà è già decisa ma deve essere combattuta. Niente essa vale, alla fine, eppure per coloro che la combattono vale tutto poiché è la loro natura, altro non hanno.”
“Chi sono?”, chiese Katryn ancora girata, affascinata suo malgrado da quello che le sembrava un polverone che intenzionalmente stesse nascondendo qualcosa.
“Te l’ho detto,  ma che sei veramente una madamoiselle Oca?!”, sventolò le mani, disgustato.
 
“L’Immemore e l’Innocente, così sono stati chiamati per ciò che sono, che combattono la loro battaglia.”, e quando Katryn si girò lo trovò con un sorriso grazioso e birichino sul volto.
“Oh, combattono una grande battaglia senza vedersi e senza premio alcuno che la sopravvivenza. Grande perché la battaglia è dentro di loro.”, e rise con un tintinnio argentino, quasi contagioso. “Quando sarà il momento neppure si vedranno e zac!”, mimò un taglio netto della gola col dito, inequivocabile.
“Uno cadrà e l’altro forse neppure lo saprà. O lo saprà se lo saprà dentro.”
 
“A cosa serve, tutto questo?”, non riuscì a non chiedere Katryn, affascinata seppure non riuscendo a capire.
“A cosa non serve.”, replicò spazientito il tizio. “Adesso andiamo.”, e la riprese per il braccio, trascinandola in due passi oltre la cresta della collinetta.
 
Katryn notò che i suoi occhi si erano fatti nel frattempo sempre più brillanti, forse ristorato dal fatto che lei non costituisse un pericolo o forse persino rinfrancato dall’avere compagnia da molto tempo.
 
“Ecco. Qui.”, disse infine il tizio, lasciandole il braccio.
 
Ai piedi dell’altra parte collinetta si stendeva lo stesso corto prato che, piastrellato, si gettava in un lago identico a quello che si erano appena lasciato alle spalle.
 
“Ma... Non è cambiato nulla!”, si sorprese ad obiettare, senza troppa veemenza.
“Oh sì, invece.”, rispose il tizio giovialmente, e nuovamente la prese per le spalle, per spingerla avanti a vedere meglio quel nuovo lago.
 
“Cosa vedi?”
“Vedo l’identico lago, l’identico prato, le stesse piastrelle…”, e aguzzò la vista, facendosi anche schermo con una mano in quella luce ed osservando a lungo, prima di parlare.
Non aveva voglia di essere ancora sferzata da quella lingua lunga del suo accompagnatore, seppure non si sentisse particolarmente ferita da quell’atteggiamento, ma non era particolarmente portata per mangiare merda.
“Non vedo il polv… la battaglia che c’era nell’altro lago.”
“Che acume!”, nitrì quasi una risata il tizio, e poi quasi la spinse, volendo forse incoraggiarla.
“Vedi altro?”
“Qui la luce è forte, ma… E’ meno intensa?”, provò.
 
E si sentì il cuore quasi alleggerito quando la sua guida rise di approvazione.
“Esatto! Qui il tempo è stato consumato, la battaglia è nei tempi andati, la luce stessa è migrata.”, e si fermò ancora per pensare. “Quantomeno nel mio tempo. Tu la vedrai ancora a lungo, dovessi restare qui.”, e la girò di nuovo verso di lei. “Il tempo è differente, spero che anche un’oca come te se ne renda conto!”
“Me ne rendo conto.”, rispose, stavolta con una punta di irritazione.
Ma non più di una punta, poiché aveva notato un altro tizio che stava venendo verso di loro, stavolta emergendo senza essere bagnato dal lago che ora avevano davanti.
 
Era scheletrico, con i capelli neri ondulati e lunghi e grandi occhi verde scuro contornati da lunghe ciglia scure, e si rivolse direttamente al suo accompagnatore.
 
“Salve, Caiel.”, mormorò, fermandosi a poca distanza da loro, non notandola e mantenendo la posizione curva che aveva caratterizzato il suo cammino.
“Aichal.”, lo salutò di ritorno il tizio bruno, che teneva ancora le mani sulle spalle di Katryn, quasi sporgendola verso di lui. “Come vedi il Tempo non si è ancora esaurito.”
 
“Che assurdità.”, mormorò questi, stringendosi le braccia ossute addosso al magro torace. “Si è esaurito due secoli umani fa. Nel 1804 persi il mio esterno e non capii mai perché fuggì al suo compito.”, ed alzò un dito tremante e bianco come una candela, come ad ammonire.
“Non ripetermi la stessa cosa, Caiel. Non quando hai un visitatore, qui.”, e finalmente guardò di striscio Katryn.
“C’entra cosa con quello che sta succedendo nella polvere dei secoli?”
“Non chiamarla così anche tu.”, fischiò tra i denti il tizio bruno, irritato. “Non c’entra. Non c’entra come non c’entriamo noi. Per quello l’ho portata qui.”, e lasciò finalmente cadere le braccia, esausto.
 
Il tizio nuovo arrivato alzo le spalle scheletriche in un gesto di noncuranza, senza guardare nessuno.
“Non m’importa. Il mio tempo è stato. Ed anche il tuo.”, e si voltò verso il lago che chiamavano ‘esaurito’, con un’espressione di lontana sconfitta.
“Verrai?”
“Ovviamente.”, disse il tizio suo accompagnatore, superandola e poi fermandosi subito, come avesse dimenticato qualcosa, ma non parlando.
 
Katryn aspettò che le dicesse qualcosa ma il tizio rimase semplicemente fermo, mentre l’altro iniziava a scendere la collinetta per dirigersi verso il lago.
Infine si decise a prendere la parola, rischiando un’altra rimbeccata, ma a che pro?
 
Non era forse un sogno?
Inizia a sospettare che fosse qualcosa di più, ma qualcosa di più anche di lei, forse.
Qualcosa a cui davvero non avrebbe potuto assistere, ma a cui sarebbe stata costretta.
 
“Cosa… ehm…Cosa devo fare io?
Il tizio si girò con un’espressione stupita, come se si fosse già quasi scordato di lei.
Tu?”
“Sì, ehm… perché sono qui?”
 
Il tizio parve rabbuiarsi e si portò di nuovo a tiro di bacio, fissandola intensamente con occhi improvvisamente quasi neri.
“Tu non  dovevi essere qui.”, e si concesse una pausa, sembrava per trattenere la rabbia, quasi.
“Tu sei un errore.”,le disse, sillabando lentamente. “Il mio compito era che non mettessi in pericolo la battaglia e così ho fatto. Ora non dipende più da nessuno se ci saranno errori.”, e indicò con un cenno del capo l’altra parte della collinetta.
“Neanche da loro.
 
Con queste parole si voltò per scendere verso il lago, improvvisamente muto e con un aspetto polveroso.
-Esaurito.-, pensò Katryn, non sapendo in realtà di pensare.
-Come il suo tempo. Esaurito. Senza potere.-
 
E mentre il tizio si immerse senza rumore nelle profondità del lago, che rifletteva la luce accecante ma in fondo che permetteva di vedere qualcosa, Katryn si voltò e iniziò a risalire la collinetta.
 
Quando si sentì scuotere pensò che inevitabilmente il tizio era tornato e stava per dirle qualcosa di sferzante che l’avrebbe ancora un poco –oh, ma pochino, pochissimo, niente in confronto di quanto si sarebbe incazzata nella realtà- annicchilita, ma imperterrita continuò a salire la collinetta, arrivata ormai alla cima.
*
*
E si ritrovò nella vasca da bagno, nell’appartamento di Justin a Dublino, con lo stesso che la stava scuotendo, vagamente preoccupato.
 
“Ragazza, ti vuoi svegliare? Non so neanche come si faccia ad addormentarsi in questa vasca, dovrei proporti per un guinness!”
“Mmm…”, emerse lentamente dal suo sogno Katryn, accorgendosi di essere ormai emersa solo di metà testa, quel tanto che le consentiva di respirare senza fastidio.
“Signorina?”, provò scherzoso Justin, allora, sentendo finalmente un verso vitale anche se assonnato. “Mademois…”
“Non sono un’oca.”, protestò lei con un moto di vigore, sollevando le braccia a mò di protesta e aprendo gli occhi.
Justin sgranò gli occhi e smise di scrollarla, facendo cadere la mano pigramente nell’acqua schiumosa.
“Potrei pensare diversamente da quanto è calda quest’acqua.”, sospirò scherzosamente.
 
A quel punto Katryn si svegliò veramente, fissando i suoi occhi negli occhi maledettamente trasparenti e sui capelli danneggiati dallo stravento di Justin.
 
“Non crederesti mai al sogno che ho fatto.”, affermò, iniziando a cercare con gli occhi una salvietta.
“Prova a raccontarmelo.”, si offrì il più gentilmente possibile Justin, mentre le porgeva un accappatoio che si era fermato a comprare proprio nel ritorno.
Katryn lo notò, lo guardò con affetto e fu sul punto di aprire la bocca e raccontare effettivamente tutto, quando qualcosa (o qualcuno. ‘Fanno sempre qualche casino’ o qualcosa di simile, aveva detto quel tizio.) la fermò dal narrargli la sua assurda avventura onirica.
 
E poi Justin stava letteralmente battendo i denti dal freddo, gentilezza o no.
 
“A dire la verità non me lo ricordo più…”, ed era una mezza verità. Come mezza era la verità sulla polvere dei secoli che portava la battaglia.
“Qualcosa a che fare con Brad Pitt.”, mentì, mentre accennò ad alzarsi e Justin visibilmente sollevato si tirò in piedi, facendo schioccare le ginocchia e iniziando a togliersi la camicia nera evidentemente fradicia.
 
“Non posso lasciarti sola un po’ che mi tradisci.”, sospirò, dandole una mano ad uscire e candidandosi a posizionarsi per almeno qualche mezz’ora sotto il pelo dell’acqua calda.
 
“Hai proprio ragione.”, lo rintuzzò allegramente Katryn, strofinandosi vigorosamente la testa e nascondendo dietro i capelli e l’asciugamano i suoi pensieri.
Anche se non so in che modo.

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