Hell's Guardians

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Home ***
Capitolo 2: *** Hungry Demon ***
Capitolo 3: *** Meet The Bounty Hunter ***
Capitolo 4: *** That damn piano ***
Capitolo 5: *** Against the wall ***
Capitolo 6: *** Hello, it's me ***
Capitolo 7: *** Hocus Pocus, Alakazam! ***
Capitolo 8: *** Let's kill some zombies ***
Capitolo 9: *** Away ***
Capitolo 10: *** Lights ***
Capitolo 11: *** Who let the dogs out? ***
Capitolo 12: *** The End ***



Capitolo 1
*** Home ***


Crossover tra P!ATD e Supernatural (Il demone che voleva diventare cantante e Take a chance on me) nonché sequel delle mie ff citate in parentesi.
Era da un po' di giorni che ci pensavo, ma mi rifiutavo di scriverla: volevo lasciarmi alle spalle Annabeth a tutti i costi! (Per me, la sua storia era conclusa già con Darkness and Light, ma poi ci ripensai). “Purtroppo” non ho resistito e, dopo aver fatto qualche ricerca (sì, be', ecco, non sono proprio un'esperta per quanto riguarda i P!ATD), mi sono messa a scrivere questa FF. Essendo in un universo parallelo, posso descrivere Brendon come single e la FF può filare liscia esattamente come l'ho pensata.
Bene. Detto questo, (ri)preparatevi ad un “Beebo” demone, una Nephilim particolare e ad una storia d'amore animata e focosa.


Xoxo
Marra

 


HELL'S GUARDIANS


Chapter One
Home


Il concerto era appena finito. Brendon aveva fatto la sua solita capriola e si era anche tolto la maglietta sudata. Era felice, aveva appena scatenato una folla italiana, era novembre e Crowley non si era fatto più vedere dall'ultima volta.
«Bee-bo! Bee-bo! Bee-bo!» urlarono alcune ragazze della prima fila mentre lui lasciava il palco. Sorrise loro nel modo più tenero che possa esistere: era fiero dei suoi fan.
L'ultimo videoclip registrato, quello di LA Devotee, aveva scaturito non poche polemiche, ma anche tanti dubbi. Brendon ce la stava mettendo tutta per far capire al mondo chi era, ovvero un demone.
Nel camerino, il succo d'arancia lo attendeva sulla scrivania colma di foto e testi, ma Dallon lo trattenne per la spalla.
«Ehi, amico, dove vai?» gli chiese Dallon. Lui, Daniel e Kenneth erano alle sue spalle, ancora pieni di adrenalina per la serata indimenticabile che avevano appena passato, ma che non era ancora finita. «Andiamo a farci una birra?»
Brendon era entusiasta, per questo accettò al volo. L'unico rischio era di incontrare decine e decine di fan... Be', gli sarebbe piaciuto senz'altro!
I quattro si prepararono ed il muro gelido che incontrarono appena usciti dal locale li fece rabbrividire. Ovviamente, Brendon finse.
«Ehi, Bren, lo sai che ti credono un satanista?» sbottò Daniel. «Voglio dire...»
«Sì!» rise Kenneth, «Subito dopo essere uscito il videoclip di LA Devotee, i fan sono impazziti!»
Brendon guardò il marciapiede della via secondaria che avevano appena preso. Sorrise soddisfatto. Finalmente, pensò.
«Sì, immagino» fu in grado di dire solamente. Avrebbe voluto esultare, saltare e urlare, ma la birra che avrebbe bevuto di lì a poco sarebbe bastata. Aveva finito con le ragazzate, si era deciso, voleva essere una persona più seria, ora.
Persona.
No. Non voleva essere una persona. Voleva continuare ad essere un demone.
Girarono l'angolo. Un taxi bianco sfrecciò a tutta velocità. Conducente ubriaco. Probabilmente auto rubata. I quattro musicisti non si stupirono: quelle cose accadono anche dalle loro parti, dopotutto. Ma Brendon non sopportava cose del genere.
Il cantante dalla voce divinamente demoniaca diede un ultimo sguardo all'auto e, di nascosto, si concentrò: l'auto si chiantò subito dopo contro un palo della luce. Tutti loro si girarono, Brendon fingendo stupore, ma l'autista non aveva subìto alcun danno. Peccato, pensò Brendon, ai veri bastardi non capita quasi mai nulla.
Qualcuno, dall'altra parte della strada, chiamò un'ambulanza, così i quattro poterono proseguire senza aumentare il rischio di essere riconosciuti, specialmente Brendon. Trovarono finalmente un locale, era semivuoto, e decisero quindi di entrare. Tuttavia, Brendon chiese loro qualche istante: avvertiva uno strano odore familiare, nell'aria. Zolfo, avrebbe giurato...
Infatti, poco dopo essere rimasto da solo, spuntò fuori dal nulla il Re.
«Crowley!» esclamò sottovoce Brendon. Era raggiante, ma anche un po' sospettoso: che fosse successo qualcosa? E la risposta la ebbe dal sorriso dell'altro che tardava ad arrivare.
«Brendon.» Il saluto di Crowley, effettivamente, era monocorde.
«Cos'è successo?»
Crowley inspirò, infilò poi le mani nelle calde tasche del suo cappotto e si avvicinò al cantante. «Ho visto l'ultimo videoclip.»
«Wooo, fermo!» si allontanò Brendon preoccupato. «Mi avevi dato carta bianca, ricordi?»
Il Re corrugò la fronte, poi capì. «No, imbecille! Cioè, sì, ma...» Sbuffò. «Volevo farti i miei complimenti.»
Ma Brendon non volle cascarci. «Mhm. E?»
«Cosa?»
«Senti: non sei il tipo da fare “poof Ehi, bravo!” per nulla.»
Crowley sorrise, giusto un poco imbarazzato. «Touché!» Poi tirò fuori le mani dalle tasche, senza avvertire il gelo pungente e umido di una notte milanese in pieno autunno. «Lucifero sta cercando un nuovo tramite. Probabilmente per vendicarsi di Amara.»
«Chi?!»
«Te lo spiegherò più avanti» disse Crowley. «Quello che sto cercando di dirti è che non posso lasciare che Lucifero vaghi per il mondo in questo modo! Sta facendo fuori decine e decine di esseri umani, anime che potevano un giorno appartenere all'Inferno! Devo fermarlo, in qualche modo, per cui devo assentarmi per un po' dal Trono.»
Brendon sembrava trattenere una battuta, moriva dalla voglia di dirla, ma si concentrò. Era una situazione seria, eh, per dindirindina! «Okay» disse Brendon. «E, a quanto ho capito, qui entro in gioco io, giusto?»
«Sì, ma non lavorerai da solo.»
«Ma dovrei lasciare perdere la musica per un po', dico bene?»
«Una pausa, Brendon, è tutto ciò che ti chiedo. L'anno sabbatico di una star come te che sarà mai? I tuoi album verranno venduti lo stesso» proseguì il Re. Forse era riuscito a convincerlo poiché vide il suo amico pensarci su e di solito faceva così quando stava per acconsentire ad un accordo.
«Ci sto.»
Evvai!, pensò Crowley.
«Dammi tre o quattro giorni per sistemare le cose e torno a casa.»
Crowley sorrise fiero e felice.
Brendon tornava a casa.


Nota dell'autrice:
Per chi avesse letto "Darkness and Light" e si stia chiedendo "Ehi, ma l'Oscurità non era stata sconfitta tramite il sacrificio di Annabeth???", non preoccupatevi, spiegherò tutto! ;)
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto!! Fatemelo sapere <3

xoxo
Marra

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Capitolo 2
*** Hungry Demon ***


Chapter Two
Hungry Demon


«Signore» lo chiamò un demone.
Gambe divaricate, Crowley se ne stava seduto comodamente sul suo Trono. Dentro, però, era agitato. Fece cenno all'altro demone di proseguire.
«Signore, è arrivato.»
Il Re scattò in piedi. «Alla buon'ora!» Lasciò di fretta il bicchiere di liquore e quello slittò per tutto lo spazio offritogli dal tavolino posto al fianco del Trono. Glielo aveva fatto fare sua figlia per ringraziarlo delle opportunità che egli le aveva offerto e lui ne andava così fiero! Sgambettò placido fino alla porta ed uscì dalla Sala, seguendo l'altro demone. «Dov'è?»
«In superficie, Signore.»
«Di' agli altri che può scendere, nel frattempo. Ci incontreremo strada facendo.»
Obiediente, il demone svanì per eseguire l'ordine mentre i passi di Crowley riecheggiarono tra le celle delle anime più prelibate per poi prendere a scendere dei gradini di pietra più freddi del ghiaccio. Arrivò all'incrocio che attendeva ed aspettò Brendon.
Pochi istanti più tardi, eccolo: Brendon indossava una semplice maglia bianca comoda, una giacca di pelle nera ed un paio di pantaloni, anch'essi di pelle nera, che gli stringevano le gambe a tal punto da mostrare ogni curva, tonica e sensuale.
«Hola, chico» salutò Brendon. In mano reggeva un sacchetto di patatine e se le stava mangiando a manciate.
«Mezzo chilo di grassi saturi in due minuti?» chiese Crowley semi-inorridito. «Fai impressione. E nemmeno avresti bisogno di mangiare!»
«Le patatine sono buone! E anche la pizza! Ahh, la pizza...» fantasticò il cantante. «I cheeseburger e le torte e il pollo allo spiedo e la carne alla brace... Ma gli italiani fanno da mangiare meglio! Una volta ho mangiato in una trattoria in cui fanno riso integrale con salsiccia e zucca... E di secondo c'era purea di patate con la costata più buona che io avessi mai assaggiato!» Brendon si mise a fissare il soffitto con aria sognante mentre Crowley lo guardava con aria scocciata.
«Okay» disse infine il Re. «Abbiamo appurato che ti piace mangiare. Ora potremmo, per favore, proseguire? Il tuo partner dovrebbe essere qui a momenti.»
«Certo, Alfred.»
«Alfred?» chiese Crowley continuando a guidarlo tra le celle di anime urlanti.
Brendon rise. Non si sorprese molto. «Sì, Alfred, il maggiordomo di Batman» rise ancora. «Mi ricordi molto Sean Pertwee. Avete lo stesso accento da ...aristocratici» continuò ridendo. Poi Brendon quasi urtò Crowley poiché quest'ultimo s'era fermato all'improvviso. «Che ti prende?!»
«Sean Pertwee è inglese. Io sono scozzese. E sono cresciuto tra maiali e incantesimi e... orge» Crowley quasi sussurrò l'ultima parola per l'imbarazzo. «Non sono aristocratico.»
Brendon lasciò cadere dalla bocca una coppia di patatine e rimase con gli occhi spalancati, impressionato. «Okay, scusa» disse trattenendo una risata. «Credo solo che voi abbiate un accento un po' bizzarro e, be', faccio fatica a distiguere i britannici dagli scozzesi o irlandesi e... Ehi, non è che ti sei offeso, vero?»
Crowley si voltò, stringendo i pugni, e proseguì a camminare; se fosse stato un fumetto, gli sarebbe uscito il fumo dalle orecchie!
Brendon si guardò attorno, cercando conforto nelle anime che in quel momento stavano ricevendo le peggiori torture mai pensate. Poi notò che Crowley si era allontanato parecchio e quindi scattò in avanti correndo fino a raggiungerlo spargendo però le ultime patatine sul pavimento roccioso.
«Domanda, per non pensare più al malinteso» disse Brendon nel suo tono più ruffiano.
Crowley grugnì, svoltò a destra ed entrò in una sala.
«Chi sarà il mio partner?»
«È una ragazza. Sarà un problema?»
«Ah, no, tranquillo.» Anche Brendon entrò nella sala immensa. «Ma chi è esattamente?»
«Non ci pensare» sorrise Crowley. «Tu aspettami qui.» Chiuse le porte e lo lasciò da solo a pensare ancora a quel magnifico risotto italiano quando Brendon sentì uno strano rumore provenire da dentro di sé e disse: «Fame!»

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Capitolo 3
*** Meet The Bounty Hunter ***


Chapter Three
Meet the bounty hunter


«Fame, fame, fame...» Fece il giro di tutta la sala d'attesa, ma di dispense o simili nessuna traccia. Brendon, allora, si mise a dondolare sui proprio piedi, a guardare il soffitto, a contare i secondi che diventavano minuti e, proprio quando decise che stava cominciando ad annoiarsi, ecco tornare Crowley accompagnato da una ragazza giovane, la sua nuova partner. Le porte non le avevano ancora aperte, ma Brendon poteva chiaramente sentire ciò che si stavano dicendo.
«Sono appena tornata da un caso e tu mi schiaffi in questa situazione... Sono stanca!»
«Be', diciamo che sarà una vacanza, tesoro! C'è l'ottanta per cento di probabilità che starai seduta tutto il tempo finché non sarò tornato!» disse Crowley, la voce ovattata dalle spesse porte in legno intagliato e rinforzato da rifiniture di ferro battuto a tema floreale. Subito dopo egli spalancò l'entrata ed una ventata d'aria urlante pietà investì il viso fresco e liscio di Brendon.
Stupito, il cantante non riuscì a dire una parola. Quando il Re gli aveva detto che avrebbe collaborato con una ragazza, non se l'era immaginata così... riccia! Ogni ciocca le ricadeva perfettamente sulle spalle magre e muscolose al punto giusto e le incorniciavano il viso allungato in maniera divina, sembrava essere uscita da un Caravaggio da come le ombre le facevano risaltare gli occhi e la bocca. Le iridi castane, scurissime, non lasciavano intravedere le pupille e ciò la rendeva più misteriosa e, per finire, una bocca carnosa, leggermente truccata, accese uno strano ribollio nel petto, nello stomaco e in altre parti del corpo di Brendon.
La ragazza lo squadrò due istanti prima di riconoscerlo. «Oh, mio Dio» disse con voce strozzata dall'emozione; si coprì la bocca con le mani e Brendon le notò le dita affusolate. Dita affusolate e fragili che, però, avrebbero potuto sterminare mezza dozzina di demoni in una manciata di secondi. «Non dirmi che dovrò lavorare con lui
Crowley sorrise e la guardò dall'alto col suo solito charm. «Basta che non vi distraiate...»
«Difficile prometterlo!»
«Comunque io sono Brend-»
«Lo so!» esultò stringendogli la mano vivacemente. «Ma, aspetta:» aggiunse poi lasciandolo e guardando il padre. «Il demone è Brendon o Brendon è stato posseduto?»
«La prima» disse Crowley.
«Ah! Lo sapevo!» esultò ancora lei. «Comunque io sono Annabeth! È davvero un piacere!»
Crowley abbassò un attimo lo sguardo. Cosa stava succedendo? Annabeth non era così spensierata e felice da... Be', da quando era risorta. L'Oscurità, in qualche modo, l'aveva cambiata e, ora, rivedere la sua principessina così allegra era piuttosto strano. «Annabeth, scusa, possiamo parlare? In privato?»
Brendon afferrò il concetto, sorrise e lasciò la sala vagando per i corridoi, ammirando le torture a cui erano sottoposte parte delle anime che si erano guadagnate l'Inferno.
«Annabeth, che ti succede?»
Lei inspirò e, solo quando Brendon fu fuori portata, disse la sua: «Lui non mi piace.»
«Non c'è bisogno che ti piaccia per lavorarci assieme! Puoi sempre fare uno sforzo!»
«No, papà, non capisci.» Annabeth prese il padre per la giacca e lo avvicinò a sé come se avesse davanti una preda. «Nasconde qualcosa, lo sento» sussurrò prima di lasciarlo andare. «Non mi convince.»
Crowley si accigliò. Sua figlia aveva un certo sesto senso riguardo determinate cose, c'era da fidarsi, ma... Brendon era uno tra i suoi migliori demoni. Cosa mai poteva tramare? «Okay, allora, se la metti così...» buttò un'occhiata dietro di sé per poi tornare sul viso di sua figlia. «Da adesso fino a nuovo ordine non sei più una cacciatrice di taglie» disse grattandosi il mento. «Sarai la sua ombra.»

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Capitolo 4
*** That damn piano ***


Chapter Four
That damn piano


Silenzio. C'era solo silenzio. Spezzato da qualche urla delle anime più vicine alla Sala del Trono. E da Brendon che sgranocchiava noccioline confettate seduto con le gambe incrociate mentre fissava Annabeth controllare i Registri.
«E così tu sei la figlia del Re» commentò serio in volto. Poi mutò e sorrise. «Una principessa!»
Annabeth sbuffò scherzosa; fortunatamente non le era difficle marcare l'ipocrisia. «Oh, ti prego! Non chiamarmi così» rise. «Sono solo Annabeth, una cacciatrice di taglie che... si è presa una pausa» disse per rimettere poi il naso tra le righe del Registro numero quattrocentoventiquattro.
«Va bene.» Brendon mise da parte il sacchetto di schifezze e si strinse le ginocchia al petto, studiandola in silenzio.
Annabeth rimase a guardare il Registro, tuttavia si sentiva osservata. Con la faccia sempre rivolta ai dati delle torture, lo guardò accigliata. «Cos'hai?» gli chiese preoccupata. Già cercava di ricordare dove avesse messo la sua ascia.
Ma Brendon si lasciò andare. Le lanciò un sorriso così innocente da togliere il fiato a chiunque. Per un attimo Annabeth pensò a quanto fosse bello e affascinante. Un attimo prima sembrava misterioso e un micidiale serial killer, quello dopo era dolce e quasi umano. Eppure suo padre gli aveva detto che, secoli prima, Brendon era il migliore torturatore che l'Inferno vantasse di avere.
«Mi piace guardarti!» Brendon stirò le gambe per non farle formicolare. «Be', mi piace guardare un po' tutti, a dire il vero.» Poi si alzò finalmente in piedi e, scattante, raggiunse la sedia vicina al Trono su cui era seduta Annabeth e ancorò le proprie mani ai braccioli della sedia, bloccando Annabeth, la quale si mise sull'attenti subitamente. Ma le intenzioni di Brendon non erano cattive: cercò fulmineo la sua bocca e la baciò. Durò solo un istante, il tempo fugace di un bacio sulle labbra, asciutto, pulito e senza peccato, nonostante il sangue che scorreva nelle loro vene.
Annabeth ne rimase sconvolta, per poco non le cadde il Registro dalle mani. Avvertì il suo respiro strozzato e solo allora sbattè le palpebre.
Brendon si era staccato dalla sedia e ora camminava lentamente dandole le spalle. «Mhm...»
La ragazza chiuse poi il Registro e lo posò a terra. Lo sguardo le scappò sul fondoschiena di Brendon, sodo e perfetto. Scosse la testa, con fare confuso. Concentrati, stupida! si disse massaggiandosi le tempie; fece quindi per riprendere il volume di pergamene ammuffite, ma qualcosa, un suono lontano attirò la sua attenzione. Era musica. Note alte, ora basse, melodia frenetica e cupa. Pausa ad effetto ed ecco che il tocco ritmato tornava e così le note che sembravano danzare in quel regno di matti. Nessuna voce, ma Annabeth si accorse della scomparsa di Brendon.
Come un grillo, la cacciatrice di taglie si alzò dalla sedia e, ancora un poco scossa, seguì la scia di musica come attirata da una calamita. Percorse non molta strada quando capì che la stanza da cui proveniva quella meravigliosa musica era la sala d'attesa in cui lei e Brendon si erano conosciuti.
«Annabeth» disse Brendon vedendola entrare un po' confusa.
Lei indicò il pianoforte al centro della stanza. Lucido, splendido, quasi sovrannaturale. «Come ci è entrato qui?!» esclamò confusa. «Prima non c'era!»
«Shhh» la zittì suonando note che lei conosceva benissimo. «I'm so tired of being here
«Suppressed by all my childish fears
«And if you have to leave
«I wish that you would just leave
«'Cause your presence still lingers here
«And it won't leave me alone...»
Era la prima strofa di My Immortal che, cantata da Brendon, sembrava ancora più struggente e stranamente paradisiaca. Appena Brendon aveva iniziato a cantarla, Annabeth aveva avvertito un formicolio che, dalla nuca, corse veloce su tutta la colonna vertebrale; le sembrò di volare, voleva piangere, crollare a terra, ma no, non poteva: doveva tenerlo d'occhio, non si fidava. Eppure la sua voce era così... Ipnotizzante...
Annabeth si ritrovò ad arricciarsi una ciocca di capelli mentre Brendon suonava le note tra la prima strofa e la seconda. La guardava. Sembrava giù di morale. E proprio quando la magia stava raggiungendo il livello massimo, Brendon abbandonò le mani sui tasti.
«Be'?» Annabeth finse dispiacere. «Perché hai smesso?»
Ma lui non sembrava molto propenso a risponderle. Continuava a guardare le sue mani.
«Brendon, cosa c'è che non va?»
Dopo un lungo sospiro, Brendon si alzò e camminò nella direzione di Annabeth, andandole incontro. Deglutì, una piccola nota di imbarazzo sulla sua faccia da sberle, poi alzò lo sguardo negli occhi di lei. Un Brendon così serio non si era mai visto. «Annabeth, scusami per prima» disse con un sorriso sghembo e guardando di nuovo in basso. «E...» Accennò ad un proseguimento, ma ci ripensò. Le sorrise e fece per andarsene. Che stupido, che era!
Annabeth, tuttavia, lo afferrò per un braccio, il sinistro, quello tatuato. «E?»
«Non so come dimostrarti che sono sincero, ecco. Speravo che cantare avrebbe risolto, ma credo di aver scelto la canzone sbagliata...» Non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo nemmeno un secondo. «Lasciare la musica, i fan, riprendere la mia vecchia vita sapendo che non sarà mai più nulla come prima è...»
«Stressante. Lo so» finì Annabeth. Ma nemmeno allora lei vide chi Brendon era davvero.
Lui sorrise di nuovo, ora più fragile e scoperto, per nulla pentito. Si riprese il controllo del braccio e uscì dalla sala lasciando Annabeth da sola.
Da sola a contemplare il ricordo di una musica accompagnata da una voce profonda e sensuale. Si toccò il petto: qualcosa scalpitava al suo interno. Era il suo cuore, ne era certa, era come se esso avesse avuto un sussulto, come se avesse voluto dirle È lui!

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Capitolo 5
*** Against the wall ***


Chapter Five
Against the wall


«Principessa... Principessa!»
«Ti ho detto di non chiamarmi così!» urlò Annabeth al demone di fronte a lei. «Sono Annabeth. Solo Annabeth. Hai capito o devo ficcarti in gola la mia ascia?»
«No, non si disturbi, la prego!» esclamò subito il demone, intimorito fino alla punta dei capelli.
Brendon era poco dietro il Trono, appoggiato allo schinale con un gomito mentre si godeva la scena. Pensò che quella ragazza avesse una doppia faccia stranamente affascinante. Gli venne da sorridere nel vedere l'altro demone sudare.
«Perché sembra che tu sia corso fin qui per annunciarmi il fatto dell'anno?» chiese poi Annabeth al demone. Con le gambe accavallate, sensuali e le braccia accasciate sui braccioli imbottiti del Trono, la Nephilim forgiata dall'anima nera del Re degli Inferi e dall'essenza pura di un angelo del Paradiso sembrava del tutto a suo agio.
«Oh, ecco, sì, in effetti...» balbettò il messaggero.
«Parla» sibilò Annabeth. Gli occhi ridotte a fessure; il sangue reale che le ribolliva nelle vene mentre sentiva le mani animarsi di fiamma viva.
«Si tratta di John Winchester... Annabeth.»
Annabeth si alzò di scatto dal Trono, a Brendon scappò il gomito e per poco non sbattè la faccia sullo schienale, ma lei non se ne accorse. «Cosa? Che succede?» chiese allarmata.
Il povero demone sudaticcio sudò di più. Si tirò il colletto della camicia azzurra del suo tramite per far passare un po' d'aria fresca, ma non sentì miglioramenti. Deglutì e decise di parlare. «È evaso.»


«Non possiamo lasciare l'Inferno, Annabeth!» Brendon continuava a mettersi e a togliersi quel fastidioso cappellino nero dal nervoso. Forse uno dei due doveva comunque rimanere lì. «Tuo padre ci ha affidato un compito!»
«Mio padre non può occuparsi anche di John Winchester! Ha già da cercare Lucifero! E non può venire a saperlo perché significherebbe una delusione, un insuccesso!» Cominciò ad avviarsi verso l'uscita della Sala accennando a Brendon di seguirlo. «Come hai detto tu, mio padre ci ha assegnato un compito, ci ha donato la sua fiducia, cosa non semplice! E ci scappa il Winchester da sotto il naso? No, Bren, questa è una cosa che dobbiamo risolvere noi.»
Brendon si fermò. «Scusa, ma... Mi hai appena chiamato Bren?»
La ragazza millenaria rimase a bocca aperta mentre il diavolo tentatore le sorrideva. «Era per abbreviare» tagliò corto. Fece per andarsene, ma Brendon la prese per un braccio e la spinse contro il muro. Ella sentì la morsa bollente della mano di lui, ma non le importò; una parte di lei voleva che non la lasciasse più. «Dobbiamo... Dobbiamo andare, Brendon» disse sottovoce, ma le labbra carnose di lui la intrappolarono, di nuovo. Tuttavia, questa volta fu un bacio più bagnato.
Brendon infilò quasi aggressivamente la sua lingua nella bocca poco lottatrice di Annabeth mentre le sue mani scivolarono fino a soffermarsi sui fianchi morbidi della ragazza. Avendo le labbra parecchio carnose, egli non fece molta fatica a provocarle un brivido lungo la schiena.
Annabeth si sentì, infatti, tremare le gambe, lo stomaco e – strano a credersi – anche il cervello, ma allo stesso tempo non riusciva a capire bene perché Brendon si comportasse così, perché schiacciasse il suo corpo contro il muro col proprio corpo... A quale scopo? Quando poi egli si staccò dalle sue labbra...
«Sorpresa?» le chiese sfiorandole la punta del naso con il labbro inferiore.
Annabeth annusò involontariamente l'alito dolcemente caldo di Brendon. Si aspettava un odore spiacevole o per lo meno un po' pesante, imbarazzante – essendo un demone, si sarebbe sicuramente preoccupato poco di lavarsi – tuttavia, la sola cosa che riuscì a non fare fu chiedergli di respirare ancora sul suo naso.
«Mi sa di sì» rispose Brendon per lei. «Be', lo ero anch'io quando mi hai chiamato Bren.» Tutto lì; era stata una semplice ...vendetta? Brendon sorrise e si staccò definitivamente da Annabeth dopo una lieve spinta data col bacino, uscendo dalla Sala e lasciandola lì ad ansimare nel tentativo di raccogliere le idee.

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Capitolo 6
*** Hello, it's me ***


Chapter Six

Hello, it's me

 

Concentrarsi non fu più così semplice per Annabeth come lo era stato in passato. Aveva sempre il fondoschiena di Brendon sotto gli occhi, il che, nonostante fosse determinata quanto suo padre, era comunque una grande distrazione. Lo vedeva oscillare da una parte all'altra con movimenti sensuali e provocanti, non come una femmina, ma come un gazzella suicida nel suo habitat naturale nel tentativo di attirare l'attenzione su di un felino in astinenza da selvaggina.
«Allora, dimmi, Annabeth...» prese a parlare Brendon guardando le nuvole rosee dell'alba. «Cos'eri prima di diventare una cacciatrice di taglie?»
Annabeth arrestò il passo. La brezza mattutina del bosco le scompigliò i ricci mentre il beccare di un picchio sommato alle parole del demone le fecero ricordare i tempi ormai andati. Deglutì e solo allora Brendon si accorse che lei si era fermata. «Non ero nessuno. Vivevo in un bosco, isolata da tutto e da tutti» disse, sguardo basso per nascondere la tristezza nei suoi occhi. «Poi un giorno l'Oscurità scappò dalla sua prigione e per me cambiò tutto.»
Brendon non si aspettava l'argomento Oscurità. Non ne sentiva parlare da secoli e ne rimase sconvolto. «Sì, Dean Winchester aveva il Marchio, è vero. Fu quando riuscirono a toglierglielo dal braccio. Ma tu cosa c'entri con essa?»
Annabeth sospirò. «Me lo chiesi anche io.»
Andarono verso un albero e vi si sedettero alla sua base, vicini, senza che Brendon potesse vederla negli occhi.
«Venni a sapere che mio padre era il Re dell'Inferno così volli conoscerlo. Non avevo alcun ricordo di lui e la prima volta che lo vidi...» Annabeth sorrise con le lacrime agli occhi, ma poi si ricordò del diverso rapporto tra lei e Mark Sheppard e si rabbuiò. «La prima volta che vidi mio padre fu indescrivibile» disse comunque, perché fu ciò che aveva davvero provato. «Fatto sta che mi dissero che ero l'unica a poter salvare il mondo, questo mondo. Inizialmente non ne volli sapere nulla. Stavo bene dove mi trovavo, cioè il mondo parallelo in cui mi avevano spedita i miei genitori per salvarmi dall'Oscurità. Tuttavia...»
Brendon l'ascoltava senza fare domande, guardando il cielo aprirsi ad un nuovo meraviglioso giorno.
«Tuttavia decisi di salvare il mio mondo e non lo feci solo per mio padre, ma perché non ne potevo più. Brendon, io ho più di duemileseicento anni. Mi sentivo schiacciata da tutto, dagli umani, dalle guerre... Da tutto! L'Oscurità aveva bisogno di me come tramite, così sfruttammo questa cosa a nostro favore: un angelo di nome Castiel mi pugnalò e la luce che il mio corpo conteneva annientò l'Oscurità, io morii e finì tutto» disse. «O almeno così sembrava.»
«Ma Amara non è morta! Voglio dire...» Brendon non ci capiva più nulla. Se Annabeth era morta, perché era lì con lui? Se l'Oscurità era stata annientata, perché Amara no? Il suo sguardo sembrava tranquillo, ma la sua mente era in tilt.
«No, infatti» rispose Annabeth con un leggero sorriso ironico a colorarle il viso. «Io finii in Paradiso, ma, quando tornai, mio padre mi raccontò cosa avvenne nel frattempo: Amara era sopravvisuta e-»
«Sì, poi il resto lo so» la interruppe lui parendo perso nei suoi pensieri. «In pratica, l'avete sottovalutata.»
Annabeth annuì. «In Paradiso, pensai di essermi meritata quella pace. Quel ricordo che rivivevo ventiquattr'ore su ventiquattro era così puro e meraviglioso che non volevo lasciarlo andare. Eppure qualcosa, Dio, mi ha riportata qui e non ho ancora capito il perché» si lasciò andare la Nephilim. «Credevo di aver trovato me stessa facendo la cacciatrice di taglie, ma...»
Brendon le prese una mano e la strinse. I due si scambiarono uno sguardo fugace, ma lungo abbastanza da far scattare Annabeth.
Quando ella si riprese la mano, Brendon pensò che la magia fosse svanita per un suo gesto avventato, tuttavia Annabeth spostò una gamba, ruotò su se stessa e si mise a cavalcioni su Brendon.
«Cosa...?»
«Stai zitto» sibilò Annabeth e, in preda agli ormoni e all'istinto animale che da settimane alimentava il suo cuore, gli prese il viso e lo baciò con passione. Gli morse un labbro, facendolo sanguinare, ma a nessuno dei due sembrò importare. Le loro lingue danzarono e guizzarono, le loro mani vagarono le une sul corpo dell'altro, nei capelli, si graffiarono, si morsero ancora, fino a che qualcuno alle spalle non rise.
I due volsero lo sguardo in direzione del guardone e ne rimasero entrambi sconvolti. Si rialzarono piano, poiché il terzo incomodo sembrava non avere fretta. Egli portava una giacca di pelle nera ed una sciarpa rossa al collo. Una lunga mazza da baseball contornata da filo spinato e poggiata alla spalla destra completava la figura. Ma il volto sembrava scavato, come se fosse vecchio di secoli ma volesse apparire fresco e giovane; nulla di tutto questo, quindi, poté ingannare la Nephilim, la quale esclamò, quasi terrorizzata:
«John Winchester!»


Nota dell'autrice:
E qui parte il “crossover”! Spero che la maggior parte di voi conosca Negan di The Walking Dead! Okay, da qui in poi racconterò di come -secondo me- ha avuto origine il pericoloso Negan, ma non sarà un vero e proprio crossover, mi spiace xD è già abbastanza complicata l'idea di Brendon con Annabeth! Okay, then... Spero che in sei capitoli non vi abbia già annoiati :3 alla prossima!!


xoxo
Marra

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Capitolo 7
*** Hocus Pocus, Alakazam! ***


Chapter Seven
Hocus Pocus, Alakazam!

 

«No, tranquilli, continuate pure!» esclamò, ridacchiando, John Winchester.
Annabeth sospirò dal naso e rimase con un'espressione accigliata e sconvolta. Cosa ci fai qui? Perché ti porti dietro una mazza da baseball? Perché non scappi? voleva chiedergli. Tuttavia, le uniche parole che le uscirono di bocca furono: «Che hai fatto alla faccia?»
John sorrise. Roba che pure a Brendon vennero i brividi, così lui avvolse un suo braccio sulle spalle di Annabeth e il calore del corpo di lei lo fece star meglio.
«Magia» disse John. «Vedi, Annabeth...» Fece un passo nella loro direzione, lento ma sicuro. Voleva terrorizzarli. Se ci fosse riuscito con loro, figuriamoci con gli umani. «Giù all'Inferno, si imparano tante cose.» Parlava con voce ferma e sorprendentemente calda. Scandiva ogni singola parola come se i suoi interlocutori fossero alieni alla sua lingua.
«Magia? Che intendi dire?» chiese la Nephilim con i ricci scompigliati più da Brendon che dal vento.
«Magia intessa come magia, ragazzina.»
Annabeth serrò la mascellà e, sibilato un «Ragazzina?», scattò in avanti. Prontamente, Brendon la trattenne così lei si calmò. «Perché hai rivoluto la tua faccia?»
John Winchester inclinò la testa da una parte, rattristandosi. «Nostalgia, credo.» Il suo tono di voce, ora, si era abbassato e Annabeth avrebbe giurato di scorgere delle lacrime nei suoi occhi. Tuttavia l'ex cacciatore si riprese in un istante. «Sentite» disse abbassando la mazza da baseball fino a farla oscillare a pochi centimetri da terra. «Sarei potuto scappare subito senza dare spiegazioni, invece mi sono fatto vedere da voi.»
«Questo vuol dire che c'è qualcuno da cui non vorresti farti vedere in queste condizioni» dedusse Brendon.
«Sì, ma è un demone» puntualizzò Annabeth.
«Già, potrebbe essere in una qualsiasi parte del mondo, invece si è ripreso la sua identità, quindi vuole...»
«Vuole un altro mondo» terminò Annabeth. «Giusto?»
John Winchester abbassò lo sguardo. La barba incolta, gli occhi stanchi, il foulard rosso sangue che lo faceva sudare anche se egli non avrebbe dovuto sudare, ma il suo era un caso particolare. «Voglio andare in un posto in cui i miei ragazzi non possano trovarmi. Darei di matto se vedessero cosa sono diventato» confessò.
Annabeth non conosceva molti incantesimi ed il padre, certamente, non l'avrebbe appoggiata. Forse poteva però rimediare creando uno squarcio nella realtà, un qualcosa che collegasse due universi, e farcelo passare attraverso. Se avesse poi funzionato, questo non poteva saperlo. E non sapeva nemmeno cosa fare esattamente: aiutarlo avrebbe risolto molti problemi, ma, se suo padre fosse venuto a sapere che un demone era fuggito in un'altra dimensione, non poteva prevederne le conseguenze; non aiutarlo non avrebbe risolto nulla, anzi, probabilmente avrebbe fatto impazzire John Winchester più di quanto già non fosse. «Dove vuoi andare?» gli chiese.
«Ovunque.»
Brendon, che non conosceva affato la magia quanto Annabeth, si sentiva escluso, tuttavia sembrò voler partecipare attivamente alla missione. «Io potrei raccogliere gli ingredienti! Tu» indicò Annabeth, «non puoi viaggiare per il mondo come faccio io e lui» indicò John, «è troppo debole per farlo.»
La Nephilim approvò, seppur a malincuore: preferiva Brendon al suo fianco, ormai, invece che saperlo in giro da qualche parte. E poi voleva tenerlo sott'occhio ancora per un po', giusto il tempo di accrescere la sua fiducia in lui. «Okay. Mi servono un pugnale interdimensionale, sesamo cinese, un fagiolo inglese, una ciocca di capelli di un morto, un rametto di aneto e uno di alisma, un dente di Pekhet e sangue di Preta-Bahawa» elencò.
Brendon la guardò a bocca aperta. «Eh?» esclamò ridendo. «Okay, okay. Ho appuntato tutto in mente. A presto» le sorrise staccando il suo braccio dalle spalle calde della ragazza. Stava per andarsene quando esitò: scoccò un bacio sulla testa colma di ricci di Annabeth e poi, sì, scomparve.

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Capitolo 8
*** Let's kill some zombies ***


Chapter Eighth
Let's kill some zombies


Brendon tornò nel giro di poche ore. Il sole non era ancora tramontato, infatti, quando il demone si presentò, nello stesso punto da cui era sparito, con tutto l'occorrente in una sacca di iuta.
«Ah!» esclamò Annabeth. «Alleluia!»
«Non mi hai detto che Pekhet era così aggressiva!» si alterò Brendon.
«Già...» intervenì John, il quale se n'era rimasto seduto contro le radici di un solido albero da quando Brendon era partito fino a qual momento. Rialzandosi in piedi, pensava agli ingredienti elencati da Annabeth quello stesso mattino. «Cosa sono tutte quelle cose che servono per l'incantesimo? Non le ho mai sentite nominare, nemmeno durante la mia vita da cacciatore.»
«Il pugnale, il fagiolo ed i capelli serviranno alla fine per aprire un passaggio per un'altra dimensione.» disse Annabeth. «Le altre cose te le spiegherò man mano. Ora venite, si comincia.» Lanciò uno sguardo colmo di scuse a Brendon, poi notò la sua camicia: per quale diamine di motivo si era messo una camicia hawaiana?!
Non molto lontano da lì, vi era una piccola radura. Faticavano comunque a scorgere il cielo poiché i lunghi e alti rami degli alberi si annodavano formando un tetto verde e fresco, ma la radura aveva uno spiazzo abbastanza grande da permette loro di procedere con l'incantesimo.
Annabeth passeggiò veloce verso alcune rocce. Una di esse aveva una conca non molto capiente ma utile per quello che doveva fare. Vi versò dentro il sesamo cinese, lentamente, per poi stappare la boccetta contenente il sangue. «Gli antichi cinesi credevano che il sesamo donasse l'immortalità, mentre Preta-Bahawa è lo spirito indiano che preserva il viso di chiunque da ogni danno» spiegò la Nephilim mentre versava anche il sangue e mescolava l'intruglio con l'indice destro. Prese poi il dente di Pekhet e lo porse a Brendon. «Frantumalo.»
Lui obbedì, in silenzio e incuriosito, con gli occhi di John Winchester addosso. Tutti e tre inginocchiati attorno alla roccia.
Riavuto il dente sotto forma di polvere, Annabeth lo riversò nella conca e pestò il tutto con l'aiuto di un ramo grosso e forte. «Pekhet è una dea egizia, paragonabile alla dea Diana. A volte si presenta sotto forma felina. Tuttavia si può essere più fortunati se ella si presenta con corpo umano e testa di gatto, perché non è al massimo delle forze e... Da quel che ho capito, Brendon, tu devi averla trovata in forma felina...»
Egli mugugnò sfiorandosi i graffi da gatta sul suo avambraccio.
«Mi dispiace, amico» gli disse John. «Ma ti ringrazio.»
«N'ah, figurati!» esclamò l'altro demone. «Tutto pur di aiutare Annabeth!»
«Che vuoi dire?»
«Annabeth conosce i Winchester e tiene a loro, dico bene?» chiese rivolgendosi alla ragazza che non lo guardava nemmeno. «Dico bene. Poi... Tu sei loro padre e non vuoi che ti vedano così, anche perché pure loro non la prenderebbero bene! Quindi se Annabeth vuole aiutarti, io l'aiuto più che volentieri. Questo non vuol dire solo far star meglio te, ma pure il padre di Annabeth, il quale non sa assolutamente nulla poiché alla ricerca di Lucifero, il quale è scappato di nuovo dalla Gabbia, ma questa volta non è colpa dei tuoi ragazzi, però sono i migliori amici di quel culo piumato con l'impermeabile che lo ha fatto fuggir-»
«Ragazzi!»
I demoni si zittirono e abbassarono lo sguardo immediatamente mentre a John scappò anche un mezzo sorriso. Aveva appena conosciuto quei due, eppure gli ci volle così poco tempo per capire...
«Okay» disse poi Annabeth. «Ora passatemi i rami di aneto e quello di alisma.»
Brendon scavò nella sacca tirando fuori le due piante e le porse alla Nephilim.
«L'aneto è riconosciuta come simbolo della purezza e della castità, ma anche dell'aggressività e imprudenza» cominciò a spiegare mentre spezzettava il rametto di cui stava parlando nella pappetta rossastra, sprigionando così un pungente aroma di anice nell'aria circostante. «L'alisma, invece» disse prendendo l'altra pianta, «simboleggia la tranquillità ed un buon equilibrio tra le due piante porta altrettando equilibrio nello spirito della persona interessata.» Detto questo, stacco dal rametto di alisma un fiore candidamente bianco e lo aggiunse agli altri ingredienti. «E questa è fatta. Ora...» Annabeth si rialzò e guardò l'ex cacciatore. «John, immergi un dito e portatelo alla bocca recitando Fortitudo, Mediocritatem, Me, Sicut Leo e poi manda giù.»
Sul viso scavato di John si dipinse un'orribile espressione di disgusto. «Oh, cielo, speravo non lo dicessi» esclamò con lo stomaco in rivolta.
«Se ti consola saperlo, non starai male» aggiunse Brendon. «Sei un fottuto demone!»
Fu così che, recitato l'incantesimo e bevuta qualche goccia di quella cosa rossa e dall'odore (e sapore) rabbrividevole, il sole tramontò all'orizzonte. Il vento si agitò ulteriormente, le nuvole si accesero mentre tutto cadde nel silenzio.
Annabeth sorrise. «La natura ha paura» osservò accarezzando una roccia. Poi vide Brendon tirare fuori dalla sacca il pugnale, il fagiolo e la ciocca di capelli. Lui glieli porse non sapendo che farsene, così Annabeth prese il fagiolo e se lo mise in tasca. «Questo servirà nel caso il pugnale non dovesse funzionare» disse prendendo poi la ciocca di capelli. «Parte del corpo di un morto. Questi, John, simboleggiano la realtà alternativa in cui ti voglio mandare: esiste questa dimensione alternativa in cui un'importante apocalisse zombie ha influito sull'esistenza umana.»
«E tu mi vorresti mandare lì perché...» fece John guardandola dall'alto in basso, ghignando.
«Perché tu possa sfogare la tua furia omicida sugli zombie, gente già morta, anziché sugli umani.» Dopodiché Annabeth prese il pugnale, ma ritrasse subitamente la mano: il pugnale le aveva bruciacchiato il palmo. Tra l'angoscia di Brendon per paura che stesse male ed un grugnito di rabbia da parte di Annabeth, ella esclamò: «Non posso toccarlo. Ho attraversato due mondi, me n'ero scordata! Il pugnale diffida da coloro che hanno viaggiato attraverso più realtà!»
«Ci penso io» si propose Brendon, ora più calmo. Impugnò meglio la lama apparentemente semplice, ma dagli intagli esoterici sul manico in avorio. «Cosa devo fare?»
Annabeth lasciò da parte la mano ferita, porgendo i capelli con l'altra a Brendon. «Lanciali in aria e poi di' firma con voce decisa. Fatto questo, taglia la zona d'aria in cui i capelli si fermeranno.»
John rimase a guardarli in silenzio. Sì, era proprio come aveva capito lui. Gli scappò un altro sorriso in ricordo dell'amore che anche lui aveva provato. Volse uno sguardo al cielo e pensò: Addio, Mary, lo faccio per i nostri ragazzi.
Brendon eseguì il secondo incantesimo, il quale terminò con un lungo squarcio sospeso a mezz'aria davanti a loro. I due demoni lo fissavano con meraviglia: non avevano mai visto qualcosa di quel genere. Al di là dello squarcio interdimensionale, non si vedeva assolutamente nulla se non una forte ed abbagliante luce azzurra che vacillava, animata da lunghi flash bianchi.
«Bene, John» disse Annabeth sorridendo. «Non fare troppi casini, okay?»
«Ce la metterò tutta, ma non prometto niente» le rispose appoggiando la mazza da baseball sulla spalla. «Grazie, ragazzi» aggiunse muovendo i primi passi verso la sua nuova casa. «Grazie di tutto.» John infilò una gamba nello squarcio, avvertendo brividi su tutto il corpo, poi fu la volta del capo, della schiena ed infine anche l'altra gamba sparì. Lo squarcio tremò un istante, come per digerire l'arrivo del nuovo ospite, poi si richiuse e i capelli, che fino a quel momento erano rimasti congelati nell'aria, caddero lentamente sull'erba.

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Capitolo 9
*** Away ***


Chapter Ninth

Away

 

Ritornati all'Inferno, Annabeth e Brendon passarono intere giornate ad annoiarsi e a controllare che tutto filasse liscio. Se quella era la vita che l'attendeva, un giorno, alla morte del padre, Annabeth non la voleva assolutamente: non era tornata in vita per poi finire a fare la contabile a tempo pieno. Le mancava la caccia e l'adrenalina che si sentiva scorrere per tutto il corpo mentre uccideva i demoni troppo ribelli o fedeli a Lucifero; le mancava l'aria fresca sulle guance; le mancava la sua ascia.
All'improvviso un urlo. Esso proveniva da una porta a pochi passi da loro, chiusa a chiave e logora.
«Crowley!» si sentì ancora urlare. La voce era di un uomo. Ora rideva, ma sembrava irritato.
Annabeth e Brendon si scambiarono un'occhiata, preoccupati, e si precipitarono ai piedi di quella porta. Poco prima che Brendon potesse parlare, la Nephilim gli tappò la bocca facendogli anche segno di tacere.
«Credo di sapere chi sia» gli sussurrò Annabeth per poi fare retrofront verso il Trono.
Brendon la guardò insospettito: «È Lucifero?» le chiese sottovoce. La vide annuire e guardarsi attorno. «Cosa cerchi?»
«La mia ascia. Sta per tornare mio padre» rispose. «Il nostro lavoro è finito.»
Al che, Brendon si rattristò in un millesimo di secondo. «Cosa farai, ora?»
Annabeth alzò lo sguardo e gli sorrise. «Torno a fare la cacciatrice di taglie? Mhm, forse» disse sorridendogli di nuovo per poi tornare a cercare la sua amata ascia. «Ah, eccoti!» esclamò quando l'ebbe trovata. L'accarezzò un istante prima di poggiarla a terra, sorreggendola dalla lama affilata. «E tu che farai? L'anno sabbatico non è ancora finito se non sbaglio.»
«Già» rispose Brendon guardandosi i piedi. «Credo che...» Non sapeva cosa dire; avrebbe voluto chiederle se poteva andare a caccia con lei, avrebbe potuto aiutarla, magari fare coppia fissa, partners in crime, e invece no, gesticolava e basta, con le parole che non gli uscivano di bocca.
«Rimarrai qui?»
No, in verità volevo dire “Vado a farmi un giretto per il mondo”, ma se tu vuoi, possiamo spaccare il culo ai ribelli insieme e magari, dopo, farci una birra, non so, ti andrebbe? Brendon annuì. «Sì, tuo padre mi ha offerto una specie di lavoro: personal trainer per demoni alle prime armi specializzato in torture fantasiose.» Fanculo, pensò. Era spaventato da ciò che Annabeth avrebbe potuto rispondere, ecco tutto.
«Interessante!» esclamò Annabeth con poca gioia nel tono di voce.
Brendon si accigliò. Nel frattempo, l'uomo aldilà della porta continuava ad urlare le peggio parole, ma nessuno dei due ci faceva ormai più caso. «Non sembri molto entusiasta...»
Annabeth cercava di mascherare quella strana sensazione di paura mista a soffocamento con un sorriso; faceva fatica ad alzare gli occhi per il timore di incontrare quelli di Brendon. Le tremavano le mani, ma perché? Quel demone dalla faccia da sberle non lo aveva convinto la prima volta che lo aveva visto e ora sentiva le farfalle nello stomaco? Annabeth si avvicinò, barcollando, all'uscita, verso il lungo corridoio che l'avrebbe condotta in superficie; si voltò un istante per guardare il volto di lui. Egli sorrideva, ma Annabeth poté giurare di scorgere dell'altro. «Quindi... Addio?» sussurrò la Nephilim senza un velo d'emozione sul viso: ne provava fin troppe, in quel momento, per concentrarsi solo su una di esse.
A Brendon si congelò il cervello. Deglutì. «Addio» rispose. In realtà avrebbe voluto mollare tutto, prenderla di peso e trascinarla via, ma anche lui aveva paura. Aveva avuto molte relazioni, spesso storie che finivano dopo una nottata passata a sudare, ma fin da subito aveva capito che con lei sarebbe stato diverso. Addio, si ripeté mentalmente. Addio. La vide varcare la soglia, con in mano un'arma letale quanto lei stessa e si sorprese a boccheggiare.
Chiamala, gli urlò il suo cuore, Falla tornare indietro! Ma la sua mente non era d'accordo: continuava a ripetergli Crowley ti ha offerto un ottimo lavoro, razza di idiota!
L'ultima parola che si erano detti Brendon non riusciva a digerirla, ma doveva affrettarsi: il Re stava tornando e lui doveva prendere una decisione: restare o andarsene? Torturare o ...amare?


Annabeth uscì dalla porta principale dell'Inferno coprendosi gli occhi con una mano mentre con l'altra stringeva forte la sua ascia. Per prima cosa avrebbe nascosto l'arma, dopodiché avrebbe cercato un caso: vampiri, demoni casinisti, licantropi o altri mostri, la razza non era importante: se non erano in grado di rimanere nell'anonimato, non meritavano la terra.
L'aria frizzantina del primo mattino le spettinò i capelli mandandoglieli in tutte le direzioni fino ad accecarla. All'improvviso, dopo essersi sistemata i ricci alla buona, andò a sbattere contro una persona.
«Brendon? Che ci fai qui?» esclamò sorpresa e felice. «Pensavo non volessi rifiutare il lavoro che ti ha offerto mio pad-»
Annabeth non fece in tempo a completare la frase poiché Brendon le prese il viso tra le mani e stampò le sue labbra carnose su quelle più sottili di lei: sembrava volerla mangiare e non osava lasciarla andare per paura che non fosse vero.
Poi, ansimante, egli si staccò. «Andiamocene via.»
Annabeth navigò qualche istante nelle iridi profonde di Brendon. Non ci pensò su molto, difatti rispose d'istinto: «Portami il più lontano possibile» gli sussurrò all'orecchio, poi gli saltò al collo lasciando cadere la sua ascia a terra, da sola, a raffreddarsi sull'asfalto gelido.

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Capitolo 10
*** Lights ***


Chapter Tenth

Lights

 

Annabeth guardava la pioggia cadere pigra sull'asfalto rovente. Era stata una giornata estremamente calda, quella, ed ora si godeva il cielo giallo del tramonto coperto da nuvole piene d'acqua che tardavano a svuotarsi. Brendon le arrivò alle spalle, cingendole i fianchi. Com'era successo? Solo un attimo prima era una cacciatrice di taglie e ora... Aveva lasciato tutto per lui, un demone. Se ripensava alla prima impressione che ebbe nel vederlo, le veniva da sorridere, si sentiva in colpa. Staccò le mani dal davanzale dell'appartamento e si voltò. «Questa casa è bellissima.»
«Tu lo sei» le disse Brendon sollevando un poco un angolo della bocca.
Annabeth arrossì. Si voltò di nuovo e dette un altro sguardo alle nuvole sopra New York. «Sai, Brendon» disse la ragazza, timidamente. «Quando l'incantesimo di mio padre mi ha portata in quell'universo parallelo, ho avuto modo di ascoltare molta musica e...» Annabeth lasciò la frase un poco in sospeso, giusto il necessario per farlo incuriosire. «Sei un artista davvero incredibile, Brendon. Anche dall'altra parte.»
Lui chiuse gli occhi, sorridendo, l'aria tiepida gli scompigliava i capelli. Nessuno mai glielo aveva detto, non così perlomeno. Annabeth custodiva dentro sé una sincerità disarmante. «Grazie» sussurrò. Quanto tempo era passato dall'ultima volta che erano stati all'Inferno? Forse era passato un mese, forse di più, chi lo sa? Crowley, tuttavia non si faceva sentire, il che era una cosa molto positiva: non gli interessava se loro due andavano a letto insieme. O era forse tutto un suo progetto?
Brendon si accigliò in un millesimo di secondo e Annabeth lo notò.
«Cos'hai?»
Il demone aprì la bocca, ma non trovava le parole; non voleva interrompere la magia. Eppure, nel profondo, avvertiva che qualcosa non andava... «Nulla.» Ed un sorriso della ragazza di cui s'era innamorato spazzò via tutto.


L'ultimo raggio di sole se ne era andato ormai da parecchi minuti quando Brendon stappò la seconda bottiglia di vino della serata. «Un brindisi a noi due!» esclamò con gli occhi un po' stanchi.
«Un altro?» rise Annabeth prendendo il bicchiere. «Non staremo esagerando?»
Brendon fece spallucce. «N'ah... La notte è giovane!»
«Ma noi un po' meno» esclamò lei. Già. Anche se Un po' meno era riduttivo per un demone ed una nephilim nata in Mesopotamia.
Brendon poggiò il bicchiere sul tavolino davanti al divano su cui erano mezzi sdraiati e si aprì un bottone della camicia bianca e immacolata: aveva caldo, tremendamente caldo. Si alzò. I resti di una cena thailandese vennero presi e portati sul lavandino della cucina, poi il demone si passò le lunghe dita d'una mano tra i capelli umidi e increspò le labbra. Pensò ad uno scatolone abbandonato in cima ad un armadio nel ripostiglio delle scarpe. Erano anni che non lo apriva e questo perché le festività erano diventate ormai prive di senso per lui. «Aspettami qui» le disse con un sorriso. «Torno subito.»
Qualche minuto dopo, Brendon era di nuovo in sala, a pochi passi dalla ragazza.
Annabeth posò il bicchiere. «Tutto bene?»
«Balliamo» propose lui.
Lei si alzò, incerta e un po' brilla. Non era ubriaca, no, solo un po' leggera, barcollante, priva di tutta quella pesantezza che si sentiva sulle spalle ogni dannatissimo giorno da quando era tornata dal Paradiso. Era così felice, ora, tra le mura di quell'appartamento, sotto il cielo di New York, lontana da qualsiasi porta dell'Inferno, tra le braccia di Brendon... Si dondolavano girando in tondo, lei con la guancia poggiata sul petto di lui, come due liceali al ballo scolastico, senza musica, eppure Annabeth sentiva un motivetto lieve, appena sussurrato...


Whether near or far
I am always yours
Any change in time
We are young again


Annabeth sollevò lo sguardo e vide Brendon cantare ad occhi chiusi.


Lay us down
We're in love


Annabeth si lasciò prendere dalle emozioni e attirò a sé il viso di Brendon per poterlo baciare. Un altro bacio caldo, lungo e umido. Si staccarono e si guardarono a lungo nelle iridi scure fino a che Brendon non prese l'iniziativa: svelto ma dolce, fece scivolare le sue calde mani sotto la maglietta di lei, sulla sua schiena rovente.
Annabeth avvertì un brivido dalla testa ai piedi e tremò leggermente quando sentì le palme di Brendon salire fino alle ascelle. Allora lei sollevò le braccia e chiuse gli occhi e Brendon lanciò in aria la sua maglietta. Non le staccava gli occhi di dosso e le pupille gli si ingrandirono all'inverosimile: la voleva più di ogni altra cosa.
Bottone dopo bottone, anche la camicia del demone venne sfilata e alla fine lanciata in aria. E poi le cinture e i pantaloni e le scarpe, tutto. Rimasero con addosso solo la propria carne e la biancheria intima.
Ansimanti, si guardarono per dei minuti che sembrarono ore, poi Brendon camminò piano all'indietro, un passo alla volta. Tese una mano ed Annabeth l'afferrò seguendo i suoi passi verso la camera da letto. Una strana luce di un colore indefinito li stava attendendo dietro l'angolo e più li attirava a sé, più si poteva distinguere il rosso dal blu dal verde dal giallo dall'arancio...
Annabeth si accorse della scenografia luminosa solo una volta messo piede nella camera buia e colorata; dietro di lei, Brendon le sfiorava i ganci del reggiseno. Guardò affascinata il letto: lo spinotto della piccola lampada posta sul comodino era stato staccato per far spazio ad un lungo cavo il quale serpeggiava tutto attorno alla testata in legno, lasciando pendere da esso circa un metro di lucine abbaglianti; ai piedi del letto, poi, un secondo cavo di lucine colorate era stato semplicemente posato lì, a formare una spirale piatta.
Ad Annabeth scappò un sorriso. «Per chi sono?» chiese imbarazzata.
Brendon, per tutta risposta, le afferrò i capelli senza tirarli e le girò attorno fino ad arrivarle nuovamente di fronte. La attirò di più a sé e le mordicchiò il lobo di un orecchio, facendola rabbrividire. Dopodiché, camminando ancora all'indietro, la portò verso il letto e ce la fece sdraiare sopra. Fulmineo seppur gentile, legò i polsi della nephilim con il cavo di lucine che pendeva dalla testata del letto e le caviglie, tenendole un po' separate tra loro, con l'altro cavo posto ai piedi del materasso. Dato che il cavo era molto lungo, avanzavano all'incirca un paio di metri e sarebbe stato uno spreco lasciarli penzoloni. Senza pensarci due volte, dunque, Brendon prese il cavo in più e lo passò attorno ad una gamba di Annabeth salendo fino alla vita; arrivato lì, si accorse di un errore e si sentì stupido. Si accasciò a sedere sul morbido materasso ed esclamò: «Crowley ha ragione!»
Ed ecco che tutta la magia si era dissolta nell'aria all'istante. «Come, scusa?» fece Annabeth tirando un po' su la testa per vedere meglio Brendon che rideva tra sé e sé.
«Sono un idiota» sussurrò lui. Notò poi la confusione e l'irrequietezza della sua amante e indicò le sue mutandine. «E ora come facciamo?»
Annabeth si rese conto della situazione imbarazzante e rise; un paio di lacrime le scesero fino a raggiungere le orecchie, ma non erano lacrime tristi: era divertita, una sensazione che, ultimamente, provava assai raramente e solo grazie a quella faccia da schiaffi che faceva smorfie stupide mentre lei rideva. Riaprì gli occhi e lo vide giocherellare con l'elastico dei suoi boxer; ci stava guardando dentro e al buio, Annabeth avrebbe giurato che una promettente protuberanza era pronta a spuntare fiera e orgogliosa dall'unico indumento che egli indossava. Ritrovata una buona serietà, anche se sempre sorridente, Annabeth gli accarezzò una coscia con un piede. «Ehi» disse per attirare la sua attenzione e funzionò. «Sei un demone. Non ti ferma niente e nessuno. Usa il tuo potere.»
Brendon si era quasi dimenticato di cosa fosse. Un demone. E un demone non dovrebbe avere ostacoli, specialmente così stupidi. Sorrise, ma più che un sorriso sembrò un ghigno e fece uno strano verso. Stava ringhiando? Gattonò fino a raggiungere il bacino di lei col suo e ci si appoggiò sopra delicatamente. Alzò una mano e schioccò le dita. La biancheria intima di entrambi sparì e ci fu un attimo di silenzio imbarazzante, fino a che Annabeth non sollevò le gambe legate contro la schiena di Brendon e lui cadde in avanti.
La pelle rovente di lei si scontrò con quella fresca di lui che le baciava ora le labbra ora il collo e poi scendeva fino ai seni, un'aureola, poi l'altra, lo sterno, tornava sui seni e li umettava di baci sensuali facendola ansimare dolcemente. Si soffermò a lungo su un capezzolo o forse fu solo un'impressione di Annabeth; comunque sia andata, la nephilim sentiva solo che Brendon stava facendo un giro troppo lungo e moriva dalla voglia di arrivare al dunque.
Ed ecco che Brendon, come se le avesse letto nella mente, scese sul ventre di Annabeth e lo baciò, poi mordicchiò leggermente i fianchi, infine, dopo istanti lunghi un'eternità, Annabeth urlò di piacere.

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Capitolo 11
*** Who let the dogs out? ***


Chapter Eleventh

Who let the dogs out?

 

Il mattino seguente era arrivato e, con lui, anche un forte mal di testa. Esso pulsava nelle tempie di Annabeth, un bussare continuo, insistente. Girò la testa dall'altra parte e trovò il volto di Brendon. Lo sfiorò con un dito e lui ebbe un riflesso nel sonno irrequieto. «Brendon» lo chiamò sottovoce, ma lui non si scompose.
Fuori la città cominciava ad animarsi sempre di più nonostante fosse domenica. Un camion dell'immondizia stava facendo retromarcia e prese in pieno un bidone colmo di avanzi di cibo, spargendoli sul marciapiede. Ad Annabeth dava fastidio tutto quel rumore, così si alzò in punta di piedi, indossò solo i suoi slip e la maglietta e saettò verso la finestra per chiuderla. Ora sentiva il respiro costante del demone. Le scappò un sorriso ripensando a come, solo poche settimane prima, pensava che la sua nuova vita da cacciatrice di taglie facesse schifo. E ora eccola lì, felice dopo una nottata passata a sudare. Poi, fulmineo, un altro pensierò la rabbuiò. «Cosa ne sarà di me quando sarà finito il tuo anno sabbatico?» le sfuggì ad alta voce.
«Potrei semplicemente fingermi morto.»
Annabeth ebbe un sussulto; non si aspettava fosse sveglio. «Brendon» disse preoccupata. «Questo significherebbe cambiare tramite!»
«Sì» rispose lui. Aprì gli occhi e mise a fuoco, abbagliato dalla luce del sole. «E allora?»
«E allora? A me piaci così, non voglio che tu cambi!» Annabeth si avvicinò di più al letto e si sedette ai piedi di Brendon. «Non si può trovare un'altra soluzione?»
Brendon si mise a sedere, il petto nudo che cominciava a rabbrividire. «Abbiamo di fronte due strade: una è lasciare definitivamente l'Inferno e continuare come coppia umana, sapendo che, prima o poi, dovremmo cambiare identità per ovvi motivi; l'altra è scappare in un'altra dimensione dove potremmo rimanere noi stessi.» Brendon era serio e studiava il viso di Annabeth in silenzio. Credeva davvero alle parole appena pronunciate: finti umani o fuggitivi. Per sempre.
Le sopracciglia della nephilim si avvicinarono e lei si morse il labbro inferiore. Stava per chiedergli cosa avrebbe desiderato fare lui quando avvertì una strana sensazione e il vento fece spalancare le finestre che poco prima lei stessa aveva chiuso. I vetri vibrarono andando a sbattere contro gli spigoli formati dalle mura e per alcuni istanti pensò che si frantumassero, invece rimasero semplicemente frastornati come lei e il demone.
«Cos'è successo?» Annabeth balzò giù dal letto, spaventata.
Brendon, più rilassato, scese sul pavimento freddo a piedi nudi e si mise davanti ad Annabeth. Se fosse entrato qualcosa o qualcuno dalla finestra, lui sarebbe stato il primo a vederlo e a reagire.
Rimasero fermi in quella posizione per alcuni istanti, ma dalla finestra giungevano solo i soliti rumori della strada, nient'altro. Sobbalzarono quando l'allarme di un'auto prese a strillare.
«Forse è solo un po' vecchia» commentò Brendon richiudendo i vetri per poi coprirli con la tenda color panna.
«No» disse Annabeth accigliata. «Non credo sia così.»
Brendon si voltò e la guardò senza capire.
«È già successa una cosa del genere, ma erano secoli fa» cominciò a spiegare lei. Si accasciò sul materasso intriso dei loro odori e si massaggiò gli occhi. «Ci serviranno degli occhiali, un accendino e dell'olio santo. »
Brendon inspirò; questa volta aveva afferrato. «Cerberi» disse sospirando.
«E nemmeno questa volta avvertirò mio padre.» Annabeth non sapeva quanto stesse sbagliando. Non avvertire suo padre voleva dire non venire a conoscenza di ciò che aveva fatto per salvare i Winchester un'ultima volta. Ma, d'altro canto, se avesse provato a chiamarlo e avesse saputo cos'aveva fatto, ora non avrebbe più alcun motivo per andare avanti. C'era Brendon, sì, ma l'amore di e per un padre molte volte supera quello di e per un amante che si conosce da poche settimane.
Annabeth pensò di essere stata ancora un volta più furba di quanto tanti altri si sarebbero immaginati. Subito dopo essersi messa una canotta nera, dei jeans e la sua collana con pentacolo, andò dritta verso l'armadio e ne estrasse un fagotto lungo e pesante. Lo poggiò sul letto e lo scartò. Il contenuto, per la maggior parte del peso, luccicava alla ormai fioca luce del sole che filtrava attraverso la tenda, mentre il resto era legno. L'aveva semplificata, togliendo le varie parti in pelle sul manico, e potenziata, duplicando la lama, ma la sua bambina, la sua ascia ormai simmetrica rimaneve sempre la più letale che i demoni avessero mai assaggiato. Aveva fatto bene a tornare indietro per riprenderla. Inoltre si era fatta fabbricare, sempre con lame angeliche fuse e rielaborate, due bracciali con pentacoli per proteggersi durante le lotte. Si era fatta fare anche un corpetto per proteggere le costole, ma aveva notato con piacere che si rompeva più frequentemente quest'ultimo piuttosto che le sue stesse ossa.
La nephilim indossò i due bracciali e afferrò l'ascia imitando poi una majorette un po' impacciata. Quando alzò gli occhi, Brendon era già vestito e reggeva in mano due paia di occhiali. «Cerchiamo l'olio santo» le disse sorridendo.
Passarono alcuni minuti, poi lasciarono la stanza e, con essa, anche un cadavere.

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Capitolo 12
*** The End ***


Chapter Twelfth

The End


«Non vedo l'ora di tornare a casa per togliere dal pavimento quello schifo di roba nera appiccicosa!» Annabeth camminava stando attenta a osservare tutta la via; ormai avevano quasi ispezionato tutto il primo quartiere. Da quando erano scesi in strada, quello nel loro appartamento era l'unico cerbero che avevano incntrato. E ucciso. Non ci sono molte alternative con creature di quel calibro: esse rispondono solo ed esclusivamente ai loro padroni. Inoltre Annabeth detestava quegli animali invisibili anche ai suoi occhi.
Brendon, a pochi passi dalla nephilim, dietro di lei, sorrise senza dire una una parola. Si sitemò gli occhiali trattati con l'olio santo ricordando la notte appena passata, ma non le ore trascorse a letto con Annabeth. Una proposta allettante...
«Ehi!»
Brendon venne bruscamente risvegliato dalla voce di Annabeth. I suoi ricci scompigliati e i suoi occhi penetranti lo fecero sentire in colpa, ma per poco. Si scusò e lei ripeté: «Le due vie a questo bivio si ricongiungono a mezzo chilometro da qui. Ci diviamo e ci vediamo dove ricomincia il rettilineo. Capito?»
«Sì» disse Brendon ed egli annuì anche con la testa per enfatizzare la risposta. «Ricorda» aggiunse prima di prendere la sua parte di bivio, «non entrare in alcuna casa a meno che tu non senta urlare.»
Annabeth annuì poi gli voltò le spalle. Fece vorticare un poco a mezz'aria l'ascia e partì per la caccia.


Aveva ispezionato tre giardini e i loro cassonetti dell'immondizia, eppure di quei cagnoloni infernali nemmeno l'ombra; cominciava a stufarsi, voleva scaricare l'adrenalina. «Se neanche in questo giardino trovo tracce di un cerbero, raggiungo Brendon e me ne torno a cas-»
Una donna urlò.
Annabeth si voltò di scatto; proveniva da una villetta non ancora perlustrata. Prese a correre più veloce che poté, un po' rallentata dalla pesante arma a doppia lama. Attraversò la strada senza guardare se stesse arrivando un'auto; saltò sul marciapiede; calpestò il giardino ben curato. Sentì gridare ancora, questa volta la donna implorava pietà, ma dalla finestra non si poteva vedere assolutamente nulla. Sfondò la porta d'ingresso con un calcio ed entrò, pronta a fare a pezzi ciò che stava facendo a pezzi la povera donna che ancora urlava. Sentì ringhiare, erano in cucina, scattò nuovamente in avanti scavalcando un piccolo divano, girò l'angolo e trovò una donna di mezza età a terra, in una pozza di sangue, la bocca e gli occhi spalancati; essa esalò il suo ultimo respiro poco prima che il cerbero, grande quanto tre pitbull messi assieme, smise di azzannarle il petto già tempestato di morsi e zampate.
Annabeth si sorprese a boccheggiare. Era da sola e aveva paura. Il cerbero la vide. La vide e abbaiò così forte da farle tremare lo stomaco. Era pronta, seppur prossima a un attacco di panico, con la sua ascia ben salda tra le mani. La alzò e anche il cerbero si preparò all'attacco ed esso stava proprio per saltare per atterrare sulla sua prossima preda quando qualcuno fischiò e la creatura rabbiosa si placò, sedendosi.
L'uomo che aveva fischiato si mostrò agli occhi di Annabeth e rise, applaudendo. «Bravo ragazzo» si complimentò col suo cerbero.
«Asmodeus» disse Annabeth, più per rendersi conto lei stessa della realtà che per altro. Ansimava. Non capiva. Era terrorizzata dalle sue stesse ipotesi. Dov'era Brendon?
Annabeth indietreggiò di qualche passo, strisciando i piedi e tenendo d'occhio Asmodeus. Ahimè, andò a sbattere contro qualcosa. No, qualcuno. Col cuore in gola, ma ormai priva di speranze, non poteva immaginare quali occhi avrebbe incontrato.
«Ciao, tesoro.»
«Brendon» sussurrò la ragazza. «Cosa sta succedendo? Perché Asmodeus è qui?»
Brendon sorrise, le mani dietro la schiena. «Mi dispiace.»
«Ti dispiace? Per cosa, esattamente?» Annabeth abbassò la guardia e allentò la presa sull'ascia, la quale, spinta dai poteri dal demone con gli occhi gialli, volò in aria finendo a debita distanza. Disarmata, la nephilim si sentiva ancora più esposta, ragion per cui cercò riparo al fianco di Brendon. Tuttavia questi si scostò, lasciandola sola, indifesa. «Brendon...» sussurrò ancora. Cercò di afferrargli una mano, ma le sfuggì.
«Ti spiacerebbe?» Asmodeus mostrò a Brendon un paio di manette massicce e decorate con sigilli enochiani.
Brendon afferrò al volo la ferraglia, per nulla pentito della scelta che aveva fatto. Voltandosi di nuovo, vide Annabeth indietreggiare ancora per poi iniziare a correre verso l'uscio. «Eh, no, cara!» esclamò. Alzò una mano e Annabeth venne come afferrata dalla schiena e trascinata all'indietro per aria. La fece schiantare sul piano da lavoro della cucina e la bloccò tenendola giù per la gola. È facile avere a che fare con una preda che prova ancora amore nei tuoi confronti. Difatti Annabeth non lottava, si dimenava appena. Ma prima che potesse perdere effettivamente tutte le sue forze, Brendon le imprigionò prima un polso, poi l'altro nelle manette e finalmente si staccò dalla sua gola.
Asmodeus rise mentre Annabeth riprendeva fiato. La prese per un braccio e la tirò giù dal tavolo. «Ci si rivede, principessa.» Dallo sguardo iniettato di sangue della nephilim, intuì di aver vinto. «Dopo tutti questi secoli passati a darti la caccia, finalmente sarai parte della mia collezione. Il pezzo ultimo, quello più ambito, prestigioso.» Rise di nuovo. Le accarezzò una guancia, ma Annabeth non si ritrasse: lo sfidava.
«Direi che è andato tutto secondo i tuoi piani, amico!» esclamò Brendon, divertito.
Annabeth sentì le lacrime invaderle gli occhi, crollando emotivamente a quelle parole. «Perché?»
Brendon e Asmodeus si scambiarono un'occhiata. «Mi ha fatto un'offerta migliore, ecco tutto» spiegò il primo. «Voleva che ti consegnassi a lui, in cambio rimarrò per sempre fuori dagli affari dell'Inferno. Cosa che ho sempre voluto.»
«È uno scherzo, vero?» sorrise Annabeth. «Anzi, no: un test! Sì, un test messo in atto da mio padre! Be', ho perso, non sono forte quanto lui crede! Ora toglietemi queste manette.»
«Tuo padre!» rise Asmodeus e così anche Brendon. «Tuo padre non sa badare neanche a se stesso.»
«Che vuoi dire?»
«Tesoro» disse Brendon. «Il re è morto.»
Per Annabeth fu come ricevere la stessa pugnalata che l'aveva spedita in Paradiso. Sentì le gambe tremare, il suo respiro si fece irregolare. «No, non può essere!» Le crollò il mondo addosso, voleva solo scomparire, chiudere gli occhi e ritrovarsi in quel meraviglioso prato della famiglia Sheppard. È tutto un sogno, è solo un sogno, continuava a ripetersi ad occhi serrati.
«Suicidio» commentò Asmodeus. «Per la prima volta nella sua miserabile vita, ha fatto la cosa giusta.»
Annabeth si accasciò a terra. Si guardò i polsi e si diede della stupida. Quale fu la sua prima impressione su Brendon? Non si fidava. E ora sapeva perché: il suo istinto la stava avvertendo, come sempre, che non sarebbe finita bene.
«Bella l'idea della trappola!»
«Ho solo sfruttato gli eventi, Brendon» rispose Asmodeus. «Questo quartiere ha fatto un patto con uno dei miei dieci anni fa, sono solo venuto a riscuotere le loro anime di persona.»


Buio. Buio e silenzio. Un vuoto di pochi istanti o forse una manciata di giorni, il necessario per digerire lo shock del tradimento. Ora Annabeth si trovava dentro le quattro mura – tre di pietra, una di un metallo intriso di magia – che le toglievano sempre di più la speranza di vedere un'ultima volta la luce del sole. Seduta a gambe incrociate per terra, teneva lo sguardo basso. Sentì dei passi e qualcuno si fermò davanti alla sua cella.
«Annabeth.»
Era Brendon.
«Annabeth, alzati, per favore.» Aspettò qualche secondo, poi proseguì con lei ancora nella stessa posizione di prima. «Annabeth, sono venuto qui per dirti che mi dispiace, ma-»
«Ma cosa, Brendon?»
Il demone increspò le labbra e sospirò dalla bocca. «Sono fatto così.»
«Tutto qui?» Annabeth alzò lo sguardo. Quella cella aveva un odore famigliare, ma lontano, non riusciva a ricordare; era di un angelo conosciuto molto tempo prima. «Asmodeus mi ha detto tutto. Mio padre. Lucifero. I Winchester. Ora lui ha preso il Trono e ha imprigionato me, unica erede in grado di governare l'Inferno, sia per tenermi lontana dal Titolo sia per vantarsi di possedermi. Sono un trofeo e dopo tutto quello che abbiamo passato, che abbiamo condiviso, la sola cosa che hai da dire è che tu sei fatto così?»
«In realtà no» disse Brendon guardando l'orologio da polso nuovo di zecca. «Avrei un'altra cosa da dirti.»
«Sentiamo.»
Brendon si lisciò la giacca blu elettrico e si passò una mano tra i capelli. «Ho un concerto che mi attende.» Sorrise e ripercorse il corridoio verso l'uscio.
«Un giorno uscirò di qui, Brendon!» Annabeth urlò con tutta la forza che possedeva, alzandosi prima sui piedi scalzi e freddi, sporchi. «Ti darò la caccia e giuro che la pagherai! Sarai il primo a morire!»
Le urla di Annabeth echeggiarono fino alla sala del Trono, dove Asmodeus sedeva in attesa di notizie da parte di Arthur Ketch.
Questa, miei cari, fu la triste fine della nostra povera e amata Annabeth, principessa degli Inferi.

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