La Strega Bianca

di Eustachio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Borgo Barboso ***
Capitolo 2: *** La delegazione delle streghe ***
Capitolo 3: *** La foresta farfugliante ***
Capitolo 4: *** Il leone arcobaleno ***



Capitolo 1
*** Borgo Barboso ***


La Strega Bianca

Borgo Barboso

Una casa su zampe di gallina spuntò alle porte di Borgo Barboso seminando il panico. Attraversò la via principale lasciandosi dietro orme gigantesche e facendo tremare la terra a ogni passo. Tutti gli abitanti si barricarono in casa, sprangarono le finestre e nascosero i bambini. L’unica eccezione fu lo scemo del villaggio, che non si sarebbe accorto di nulla se solo qualcuno a cui piaceva ribadire l’ovvio non avesse urlato: «C’è una casa su zampe di gallina, si salvi chi può!» Lo scemo del villaggio bussò a un paio di porte, ma nessuno aprì. Si ritrovò in piazza, solo insieme alla casa su zampe di gallina, e fece l’unica cosa ragionevole in una situazione come quella: si buttò a terra e finse di essere morto.

La casa su zampe di gallina si fermò al centro della piazza. Le zampe si piegarono e si inclinarono in avanti. All’interno sbatterono ante, caddero tavoli e si frantumarono chincaglierie. La porta si spalancò e saltò a terra una persona. A quel punto lo scemo del villaggio chiuse gli occhi e pregò con tutte le sue forze di essere convincente come morto.

«Stai tremando» disse una voce femminile. «Hai freddo?»

Qualcosa lo picchiettò sulla spalla. Lo scemo del villaggio aprì un occhio e trattenne il respiro. Era senza dubbio una strega. Era senza dubbio spacciato.

«Mi arrendo, o potente strega!» urlò a occhi chiusi. «Sia benevolente!»

La strega sospirò. «Non c’è bisogno né di arrendersi né di urlare. Sono una strega buona».

La strega lo aiutò a mettersi in piedi e a scrollarsi la polvere e la terra di dosso. Lo scemo del villaggio non riusciva a smettere di tremare e la strega lo avvolse in un mantello. Lo scemo del villaggio non riusciva a stare in piedi e la strega lo fece sedere su uno sgabellino. Lo scemo del villaggio non riusciva ad alzare lo sguardo e la strega gli prese il mento tra pollice e indice costringendolo a guardarla.

«Non ti farò del male. Guardami. Sono una strega buona».

La strega era completamente bianca, capelli e ciglia comprese. Non aveva rughe, brufoli o nei. L’unico accenno di colore era negli occhi, che andavano dal grigio all’azzurro, e nelle labbra rosa chiaro.

Oh be’, si disse lo scemo del villaggio. Se non è vecchia, brutta e puzzolente, deve essere per forza una strega buona. Smise di tremare.

La strega sorrise e si erse in tutta la sua altezza. «Sono la Strega Bianca» disse. «Sono qui per aiutarvi. Chiama amici e parenti. Vi aiuterò nei vostri problemi. Ma lo farò nel massimo della discrezione, intesi?» E gli porse la mano. Lo scemo del villaggio la strinse, annuì e insieme percorsero le stradine di Borgo Barboso. Lo scemo del villaggio bussò a ogni portone dicendo: «C’è una strega qui che vorrebbe aiutarci! Siete in casa?» ma nessuno rispose. In una bottega qualcuno trattenne un singhiozzo e qualcun altro lo azzittì. Per il resto rimasero tutti in silenzio.

Borgo Barboso non era una grande città e tempo un quarto d’ora lo scemo del villaggio e la Strega Bianca si ritrovarono in piazza.

«Non c’è nessuno, pare» concluse lo scemo del villaggio. «Magari un’altra volta, eh?»

La Strega Bianca contemplò la piazza e le sue viuzze per qualche istante a braccia conserte. Poi disse: «Hai ragione. Non posso costringerli a credermi. Coprirò te di ricchezze e me ne andrò per sempre. Non voglio essere d’intralcio».

«È un peccato che se ne siano andati tutti proprio oggi» disse lo scemo del villaggio. «Non succede mai niente di interessante qui. Ecco perché questo posto si chiama Borgo Barboso. Anche se forse è perché prima non avevamo un barbiere e un po’ tutti avevamo la barba lunga».

La Strega Bianca annuì distrattamente. Si avvicinò a casa sua e strattonò una delle zampe: la casa depose tre uova d’oro grandi metà dello scemo del villaggio.

«Sono per te». La Strega Bianca sorrise. «E se c’è qualcos’altro con cui posso esserti utile prima che me ne vada, non fare complimenti».

Lo scemo del villaggio sgranò gli occhi. Picchiettò con le nocche su un uovo. «È oro vero

«Sì» rispose la Strega Bianca.

L’intero villaggio trattenne il fiato. Le porte si spalancarono e tutti si riversarono sulla piazza. I più curiosi si spinsero fin sotto la casa. Altri non erano abbastanza coraggiosi da andare oltre le zampe di gallina.

«È oro vero?» ripeterono i bambini e gli adulti, entrambi con lo stesso stupore, e ogni volta la Strega Bianca rispondeva di sì sorridendo. Quando lo scemo del villaggio le confermò che tutti gli abitanti erano lì riuniti, la Strega Bianca si schiarì la gola e disse ad alta voce: «Sono la Strega Bianca e sono una strega buona. Sono qui per aiutarvi. Mettetevi in fila, ditemi i vostri problemi e in cosa posso esservi utile e vi aiuterò come posso. Ma lo farò nel massimo della discrezione, intesi?»

Gli abitanti di Borgo Barboso non se lo fecero ripetere due volte e si disposero in una fila che arrivava fino alle porte del villaggio. La Strega Bianca fece apparire una pergamena, staccò una piuma da una delle zampe di gallina e cominciò a scrivere nomi, indirizzi, problemi e desideri. L’operazione coprì gran parte della mattinata e gran parte della pergamena, che si allungava sempre di più man mano che la Strega Bianca raggiungeva la fine del foglio.

Verso mezzogiorno la fila di persone era finita e in molti erano tornati a casa per il pranzo. La Strega Bianca arrotolò la pergamena e salì in casa, dove rimase per il resto della giornata. Fuochi d’artificio che schizzavano fuori dal comignolo e lampi colorati visibili dalle finestre illuminarono la notte di Borgo Barboso. Nessuno si avvicinò alla casa su zampe di gallina.

Il giorno dopo la Strega Bianca guarì gli ammalati e curò l’acne degli adolescenti, arricchì i poveri e diede altri soldi ai ricchi così che non avessero scuse per non fare beneficienza, rese rigogliosi terreni aridi da anni e riverniciò le staccionate, risolse i problemi di cuore dei giovani innamorati nati sotto stelle contrarie e aiutò i bambini con i compiti difficili.

Non c’era nessuno che a fine di quella giornata avesse qualcosa da ridire sull’operato della strega. Anzi, scrissero lettere a parenti e amici lontani, vantandosi della svolta di Borgo Barboso. E lo scemo del villaggio, che secondo la costituzione era anche il sindaco, organizzò una festa a sorpresa per celebrare la Strega Bianca. Fece fondere le uova d’oro per costruire una statua in suo onore e cambiò il nome di Borgo Barboso in Borgo Bianco. Il cambio di nome causò qualche disguido coi postini, ma nulla di grave. La mattina del quarto giorno tutti gli ordini arrivarono in anticipo, grazie anche alle generose mance per i corrieri, e quando la Strega Bianca saltò a terra per dare il buongiorno all’ex Borgo Barboso le mancò il fiato: lo scemo del villaggio, vestito in abito da cerimonia, sollevò un telo, svelando una riproduzione d’oro della casa su zampe di gallina e della Strega Bianca, le mani sui fianchi e lo sguardo fiero. I cittadini urlarono: «SORPRESA!», le lanciarono addosso coriandoli e un’orchestra cominciò a suonare.

«Vi avevo detto che vi avrei aiutato nel massimo della discrezione!» esclamò la Strega Bianca.

I cittadini la guardarono dubbiosi per qualche istante. Poi scrollarono le spalle, lanciarono altri coriandoli e l’orchestra riprese da dove si era interrotta.

Lo scemo del villaggio si avvicinò timidamente alla Strega Bianca e le chiese: «Cosa significa discrezione?»

«Lo imparerete a vostre spese, temo».

«Non sarà un problema». Lo scemo del villaggio sorrise a trentadue denti. «Ci hai dato abbastanza soldi da coprire le spese di una vita intera».

Quello che la Strega Bianca non sapeva era che l’ex Borgo Barboso era famoso non solo per un numero ormai ridotto di cittadini barbuti, ma anche per la sua pigrizia proverbiale. Per molti anni avevano avuto una biblioteca ma non un barbiere. Ora avevano un barbiere ma non una biblioteca. Il barbiere aveva rilevato la biblioteca per aprire il suo negozio, e i libri, stipati in un angolo perché nessuno aveva voglia di spostarli, al più li sfogliavano i clienti in attesa. In entrambi i casi l’amore per i libri non sembrava essere nei geni dell’ex Borgo Barboso. Di fronte a un libro si fermavano circa verso il terzo rigo, sbuffavano e dicevano: «Che barba!», il che spiega perché non fossero arrivati alla lettera D del dizionario e perché il barbiere avesse riscosso tanto successo: era ormai un costume consolidato rispondere a «Che barba!» con «Vai dal barbiere, no?»

Quello che lo scemo del villaggio non sapeva era che le streghe buone sono una rarità per una ragione specifica: non piacciono alle streghe cattive.


 


Note al capitolo:

Ciao a tutti e grazie per essere arrivati fin qui! È il primo dei quattro capitoli che compongono un racconto che ho scritto due anni fa, ora sottoposto all'ennesima revisione.
Ringrazio in anticipo chiunque voglia lasciarmi un parere, positivo o negativo che sia.

Riferimenti:

  • La Strega Bianca è anche un personaggio de Il leone, la strega e l'armadio. Ma a parte per il nome e un dettaglio dei prossimi capitoli non hanno nulla in comune.
  • La casa su zampe di gallina me l'ha prestata Baba Jaga dalla mitologia slava.
  • riverniciò le staccionate: vago riferimento a Tom Sawyer.
  • giovani innamorati nati sotto stelle contrarie: star-crossed lovers viene da Romeo e Giulietta.

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Capitolo 2
*** La delegazione delle streghe ***


La delegazione delle streghe

«Vi prego, fermate la musica… No, grazie, non ho fame, davvero… Per favore, basta con i coriandoli» stava dicendo la Strega Bianca quando cinque streghe — una dal nord, una dall’est, due dal sud e una dall’ovest — scesero in picchiata sulla piazza, ognuna a cavallo di una scopa. Una strega del sud, Lilla, inciampò sulla statua e la fece cadere con un gran fracasso. L’orchestra smise di suonare e i cittadini si dispersero, chi nelle viuzze e chi in casa.

L’atterraggio delle streghe sollevò un gran polverone che diede il tempo anche ai musicisti di dileguarsi. Alla fine in piazza restarono solo la Strega Bianca e le altre streghe, ognuna con la scopa in mano e un sacco in spalla. Si avvicinarono alla Strega Bianca, la scrutarono e la annusarono. Lei rimase impassibile.

«O Bianca, Bianca, Bianca, ma perché sei così bianca?» disse Mirta, la strega dell’ovest. Le folte sopracciglia verde scuro erano aggrottate in un’espressione di dispiacere.

«Non hai neppure un neo peloso!» esclamò Lilla.

«Ci fai arrossire dall’imbarazzo!» disse Vermiglia, che già aveva il naso rosso di suo.

«Perché loro non hanno nei pelosi?» Ocra, la strega dell’est, indicò i cittadini nascosti con un cenno del doppio mento. «Perché le staccionate sono riverniciate? Perché gli adolescenti non hanno problemi di acne? Perché gli innamorati stanno insieme? Perché i bambini non faticano con i compiti?»

«Quello che faccio non vi riguarda» disse la Strega Bianca a denti stretti.

«O Bianca, Bianca, Bianca». Zaffira, la strega del nord, scosse la testa. «Sei sciocca quanto incolore. Tutto quello che fai ci riguarda».

«Sei la nostra vergogna e insisti anche a rimanere bianca!» disse Lilla.

«Arrossisci un po’, su su». Vermiglia le sfiorò la guancia col manico di scopa.

«Potresti diventare verde, piuttosto» disse Mirta. «Verde dall’invidia di fronte a streghe di successo come noi».

La Strega Bianca fece un passo indietro. «Sto bene come sono. Andate via».

Zaffira schioccò la lingua. «Non possiamo andare via».

«Sei tu che ci hai chiamato».

«Non è vero!»

«Invece sì, cara».

«Quello che hai fatto è evidentemente una richiesta d’aiuto» disse Zaffira.

«E noi l’abbiamo ascoltata» disse Ocra. «Perché in fondo abbiamo un cuore. E sotto quel cuore abbiamo un altro paio di orecchie strappate a qualche bambino».

«Siamo molto brave ad ascoltare». Mirta si ficcò il dito in un orecchio e si pulì il cerume sul mantello.

«È per questo che ti abbiamo portato qualche assaggio» disse Lilla.

«Così per ricordarti di che colore sei davvero». Vermiglia le fece l’occhiolino.

Le streghe, radunate attorno alla Strega Bianca in circolo, aprirono i sacchi e rovesciarono il contenuto a terra.

Dal sacco di Zaffira uscì un bambino smilzo che piangeva a dirotto.

Dal sacco di Ocra uscì un bambino biondo, con gli occhi sgranati e una cicatrice dove un tempo doveva esserci il naso.

Dal sacco di Mirta uscì Eustachio, un bambino dall’aria più scocciata che terrorizzata.

Dal sacco di Lilla uscì un bambino cicciottello e rubicondo con le mani sporche di marmellata.

Dal sacco di Vermiglia non uscì nulla, perché il tragitto era stato lungo, lei aveva fame, e comunque c’era già Lilla a rappresentare le streghe del sud e lei non sarebbe dovuta neanche venire. Le altre streghe le lanciarono un’occhiataccia, ma nessuna commentò.

«Avevi detto che mi avresti portato dalla Strega di Marzapane» disse Eustachio a Mirta. «Mi hai mentito».

«E tu mi hai mentito quando hai detto che saresti stato buono e non avresti cercato di fuggire, Pistacchio caro». Mirta gli strizzò una guancia. «Siamo pari, no?»

Eustachio sbuffò. «Mi chiamo Eustachio».

«Cos’è successo al naso del tuo?» chiese Zaffira a Ocra.

Ocra ridacchiò. «Gli ho fatto uno scherzetto».

«L’hai… mangiato… davvero!» disse Senza Naso senza fiato. «Sei orribile!»

«Lo so!» Ocra gli spettinò i capelli affettuosamente.

Vermiglia si schiarì la gola. «Zaffira cara?»

«Sì?»

«Potresti gentilmente far smettere di piangere il tuo bambino prima che gli cavi gli occhi?» cinguettò Vermiglia. «Sta disturbando il mio».

«Ma se non ne hai portato neanche uno!»

«Parlavo del bambino interiore». Vermiglia si accarezzò la pancia. «Cioè il bambino che ho mangiato strada facendo. Sai com’è, non voglio che mi torni su».

«Il maleficio del pianto eterno è un tocco di gran classe». Zaffira mostrò la lingua blu a Vermiglia. «Non intendo rovinare il pasto della Strega Bianca per fare un favore a te. Lei ha la priorità adesso».

Le cinque streghe diedero un calcio ai loro bambini (quello di Lilla era abbastanza grasso da poter essere calciato anche da Vermiglia) e dissero: «Scegli».

«Non voglio scegliere» disse la Strega Bianca. «Ho già scelto. Sono una strega buona. Aiuto le persone e non mangio i bambini. Andate via».

«Sei sciocca quanto incolore».

«Non esistono streghe buone».

«Il mondo non è bianco o nero. È solo nero. Tutti i colori delle streghe messi insieme».

«Cos’è il bianco…?»

«… se non l’assenza di ogni colore?»

«Lo sanno tutti» dissero in coro.

«Io sapevo che era il bianco l’insieme di tutti i colori» disse Eustachio.

«È perché sei un idiota» disse Mirta. «Non mi mettere in imbarazzo».

Zaffira si schiarì la gola. «Se sei una strega mangi i bambini e acquisisci un colore. Se non lo sei muori».

«Non puoi essere una strega senza mangiare bambini».

«Non puoi essere una strega senza avere un colore».

«A meno che tu non sia la Strega di Marzapane, ma non è esattamente il tuo caso».

«Non esistono streghe buone».

«Scegli!» dissero in coro.

La Strega Bianca rimase impassibile e non guardò neanche per un istante i bambini.

«Se non ti piacciono loro, possiamo sempre prenderne degli altri».

«Senza carestie questo posto sarà pieno di bambini».

«Potremmo banchettare in tuo onore».

«Come se fossimo una famiglia».

Sia Lilla che Vermiglia si asciugarono una lacrimuccia con la manica del vestito.

Mirta sorrise. «O potremmo farci uno spuntino mentre tu decidi, no?»

«Oh sì, uno spuntino!» esclamò Vermiglia.

«Tu hai già mangiato» dissero le altre.

«Mangio volentieri un altro boccone pur di allontanarmi da quel piagnucolone».

Vermiglia saltò sulla scopa e si librò in volo. Le altre streghe non replicarono e, chi ridacchiando chi leccandosi i baffi, seguirono il suo esempio.

«Allora, Bianca?» fece Mirta. «Banchetto o spuntino?»

La Strega Bianca strinse i pugni. Non fece in tempo a rispondere che Zaffira la precedette: «Vada per lo spuntino!»

«Ma prima ci divertiamo un po’, no?» disse Lilla.

Le streghe girarono sulla piazza di Borgo Bianco ridendo a crepapelle. Ocra ricoprì di acne gli adolescenti. Mirta bucò le tasche dei cittadini, sia i poveri che i ricchi, e le monete d’oro rotolarono verso i tombini. Vermiglia bruciò le staccionate e inaridì i campi. Zaffira maledisse le famiglie degli innamorati nati sotto stelle contrarie. Lilla complicò i compiti di matematica dei bambini.

La Strega Bianca approfittò a malincuore della situazione: strizzò una zampa di gallina facendo avvicinare la casa al terreno e aiutò i bambini a salire. Quando si chiuse la porta alle spalle e la casa si rimise in equilibrio, le urla delle streghe si unirono a quelle dei cittadini di Borgo Bianco.

«Ha preso i bambini!» gridò Lilla.

«Ha preso i nostri bambini!» urlò Vermiglia.

«Tu non ne hai portato neanche uno!» sbottò Ocra.

«E tu hai mangiato il naso del tuo!» ribatté Mirta.

«Era uno scherzetto» borbottò Ocra.

«Non è importante adesso!» esclamò Zaffira.

Le streghe volteggiarono attorno alla casa su zampe di gallina, che aveva cominciato a muoversi. Le serrande erano chiuse e il comignolo sbuffava fumo.

Zaffira prese a calci la porta, ma non si aprì. Ocra si librò sul comignolo e ci ficcò dentro la testa, ma si ritrovò a tirarla fuori ricoperta di cenere e in preda a un attacco di tosse. Mirta pizzicò una zampa di gallina, ma questa la scalciò via come se fosse stata una mosca. Vermiglia e Lilla colpirono le serrande, ma il legno non cedette.

«Sei una scostumata, Bianca!»

«Noi veniamo ad aiutarti e tu ci rubi i bambini!»

«E poi, zampe di gallina, ma davvero? Cos’è, poi comincerai ad andare in giro con un mattarello gigante?»

«Non hai classe!» Mirta sputò una piuma che le era finita in bocca.

«Non potrai fuggire per sempre!»

Ma la casa su zampe di gallina non si fermò e procedette a grandi falcate ben oltre le fiamme, le urla e i brufoli di Borgo Bianco, con le streghe che le volavano attorno cercandone i punti deboli.

Cominciò a piovigginare. Per un po’ gli unici rumori furono il ticchettio della pioggia, i passi della casa, il piagnucolio ovattato del bambino di Zaffira e gli sbuffi delle streghe. Questi ultimi vennero interrotti quando, superata una collina, apparvero le cime degli alberi della foresta farfugliante.

Di poche cose le streghe hanno paura: una di queste è quello che potrebbe dir loro un albero loquace, figuriamoci un’intera foresta farfugliante.

A quel punto cominciarono a fare sul serio. Recitarono formule lanciando incantesimi, fatture, sortilegi e maledizioni contro la casa su zampe di gallina. I fulmini blu di Zaffira, le ondate gialle di Ocra, le frustate verdi di Mirta e i raggi rossi di Vermiglia e Lilla tempestarono la casa, ma non sortirono alcun effetto. Sempre più vicine alla foresta farfugliante, si misero in riga a mezz’aria di fronte alla casa, contarono fino a tre e all’unisono lanciarono l’ultima maledizione contro la porta.

I fulmini blu, le ondate gialle, le frustate verdi e i raggi rossi si scontrarono insieme sul legno della porta senza neanche scalfirlo, ma sotto la pioggerellina leggera accade un’altra magia, una magia imprevista: i colori si fusero insieme formando un leone arcobaleno. Le streghe applaudirono di fronte a quel prodigio inaspettato e Zaffira per poco perse l’equilibrio della scopa.

«Esattamente quello che volevamo fare!»

«Un leone arcobaleno, magnifico!»

«Fa sicuramente al caso nostro!»

«Adesso sarà facile far uscire Bianca!»

«Siamo proprio delle streghe eccezionali!»

Guardarono il leone e il leone guardò loro. La criniera e il manto cambiavano colore di continuo. Solo gli occhi rimanevano neri e indecifrabili. Il leone ruggì e le streghe si dispersero trattenendo il fiato.

«Straordinario!»

«Superbo!»

«Sublime!»

«Spettacolare!»

«S…» Vermiglia tossì. «S… Strano!»

«Volevi dire sensazionale?» bisbigliò Lilla.

«Sì, sensazionale!» ripeté Vermiglia.

Il leone saltò sul tetto e annusò prima l’aria, poi le tegole. La foresta farfugliante era sempre più vicina, e quando un alito di vento portò verso di lui l’odore e il farfugliare degli alberi, il leone mostrò le zanne. Si tuffò davanti alla casa, prese a testate la porta e al terzo colpo la infranse. Le streghe applaudirono. Era fatta! I bambini gridarono e il leone ruggì mentre le zampe di gallina si piegavano e la casa passava sotto i rami. Prima che la casa sparisse del tutto, il leone frantumò una serranda sul retro e saltò fuori. Si mise a percorrere avanti e indietro l’ingresso della foresta farfugliante, poi si sedette e si leccò una zampa. Le streghe tornarono a terra, si misero le scope sotto braccio e si raccolsero attorno a lui.

«Non male».

«Sei stato bravo».

«Molto, molto bravo».

«Hai addirittura danneggiato la casa».

«Non potranno restare nella foresta farfugliante per sempre. Quando usciranno, mangeremo i bambini e daremo Bianca in pasto al leone».

Le streghe risero a crepapelle e il leone si leccò i baffi.

 

 

 


Note al capitolo:

  • «E poi, zampe di gallina, ma davvero? Cos’è, poi comincerai ad andare in giro con un mattarello gigante?» Altro riferimento a Baba Jaga.
  • L'altro collegamento con Narnia: il leone. E volendo anche Eustachio, ma è un personaggio spocchioso che ho fatto apparire in così tante fiabe nere di questa "serie" che spesso dimentico che deve l'origine del nome e del caratteraccio al bambino de Il viaggio del veliero.

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Capitolo 3
*** La foresta farfugliante ***


La foresta farfugliante

La foresta farfugliante si infittiva sempre di più. I rami colpivano la casa e le zampe di gallina, facevano cadere le tegole e punzecchiavano la Strega Bianca e i bambini attraverso i varchi creati dal leone arcobaleno. A un passo da uno stagno la casa cedette e si accasciò a terra ribaltandosi da un lato. La Strega Bianca e i bambini uscirono da una finestra ricoperti di graffi.

«Sei stata brava» disse la Strega Bianca accarezzando la casa.

«Scommetto che una casa di marzapane avrebbe fatto meglio» disse Eustachio.

La pancia di Rubicondo brontolò. «Almeno avremmo potuto mangiare qualcosa».

«Non ci… mangerai… vero?» biascicò Senza Naso.

«Per l’ennesima volta, no» rispose la Strega Bianca.

«Voglio tornare a casa». Piagnucolone singhiozzò. «Quando torniamo a casa?»

«Non voglio spaventarvi…» cominciò la Strega Bianca.

«Siamo già spaventati» disse Eustachio.

«Delle streghe ci hanno rapito» disse Rubicondo.

«Non smetto di piangere da giorni» disse Piagnucolone.

«Quella strega… si è mangiata… il mio naso» disse Senza Naso.

La Strega Bianca sospirò. «Non posso garantirvi che tornerete sani e salvi a casa».

«Ma tu sei una strega!» disse Piagnucolone.

«Sono una strega buona. Aiuto le persone, non combatto».

«Potresti far apparire un leone come hanno fatto loro e far combattere lui!» disse Rubicondo.

«Quella è una magia che non ho mai visto. È magia pura. Avete visto come mi ha guardato».

«Non posso morire» disse Eustachio. «Ho un cuore d’oro e chi possiede un cuore d’oro non muore, punto e basta».

Gli altri bambini inarcarono un sopracciglio. La Strega Bianca si limitò a squadrare Eustachio dalla testa ai piedi.

«Tu non hai un cuore d’oro» disse Rubicondo. «Piagnucolone e Senza Naso forse sì, ma solo perché sono… sai com’è… sfortunati».

Piagnucolone singhiozzò e si coprì il viso con le mani. «Lanciavo sassi contro i gatti! Non sono buono!»

«Io tiravo… pizzicotti… a mia sorella…» disse Senza Naso.

«Rubavo sempre i barattoli di marmellata» disse Rubicondo. «Me lo sono meritato».

«Anch’io» dissero Piagnucolone e Senza Naso.

«Io no» disse Eustachio. «Ho cercato la Strega di Marzapane apposta per farmi rapire, ma sono finito con quella Mirta. Non mi sono meritato un bel niente. In compenso ora ho un cuore d’oro». Si diede una pacca sulla tasca.

Rubicondo prese Eustachio per il colletto e gli agitò il pugno sotto il naso. «Tu non hai un cuore d’oro! L’hai meritato quanto noi! Sei cattivo quanto noi!»

«Non quanto il tuo fiato, fidati» disse Eustachio.

Rubicondo fece per tirargli un pugno, ma la Strega Bianca li separò. «Basta, voi due. Nessuno di voi si merita questo. La verità è che le streghe scelgono a caso i bambini da mangiare».

«La mia mamma… dice sempre…» fece Senza Naso.

«Le mamme dicono sempre che le streghe ci mangeranno se non facciamo i bravi» disse Piagnucolone.

La Strega Bianca si strinse nelle spalle. «È una bugia». Si sedette su un masso e i bambini si sedettero attorno a lei a gambe incrociate. Nella penombra della foresta farfugliante il candore della Strega Bianca era spettrale quanto un fuoco fatuo.

«Non c’è una regola generale» disse la Strega Bianca, «ma di solito le streghe del nord amano maledire i bambini prima di mangiarli». Piagnucolone annuì singhiozzando più forte. «Le streghe dell’est sono più schizzinose e anziché mangiare un bambino in un sol boccone mangiano tanti piccoli bocconi da più bambini». Senza Naso si indicò il punto in cui un tempo aveva il naso. «Le streghe dell’ovest sono molto selettive perché vogliono bene…» — Eustachio sorrise trionfante — «… in carne i bambini che scelgono. Li catturano e li mettono all’ingrasso prima di mangiarli». Eustachio si imbronciò. «Anche alle streghe del sud piacciono i bambini grassottelli, ma non si fanno tanti scrupoli e mangiano qualunque bambino gli capiti sotto tiro, a prescindere dal peso». Rubicondo tirò su col naso.

«Quando mangiavo bambini io…» cominciò la Strega Bianca.

I bambini trattennero il fiato. «Tu mangiavi bambini!»

«Era molto tempo fa» disse la Strega Bianca. «Non volevo, però, e ho smesso. Per questo le altre streghe mi danno la caccia. Per questo sono diventata completamente bianca».

I bambini la guardarono con tanto d’occhi.

«Qual è il tuo vero colore?» sussurrò Eustachio.

La Strega Bianca li guardò uno a uno: Piagnucolone con le guance rigate dalle lacrime, Senza Naso con i capelli biondo paglia sulla fronte, Rubicondo con le dita sporche di marmellata, e infine Eustachio con i suoi vispi occhietti verdi.

La Strega Bianca scosse la testa prima di rispondere: «Era molto tempo fa. Non ricordo. Credo che se cominciassi a ricordare potrei riprendere quel colore e tornare a…» Scosse di nuovo la testa come per scacciare via il pensiero. «Adesso è il bianco il mio colore».

«Quando mangiavo bambini io» riprese dopo un po’, «non andavo a vedere se erano dispettosi o se non facevano i compiti. La verità è che brutte cose accadono ai buoni e ai cattivi, senza distinzioni. Voi siete solo stati al momento sbagliato nel posto sbagliato».

Eustachio fece per dire qualcosa.

«Eccetto tu» disse la Strega Bianca.

«E ora cosa facciamo?» chiese Rubicondo.

La Strega Bianca si strinse nelle spalle. «Le streghe e il leone non possono entrare nella foresta farfugliante. Finché siamo qui siamo al sicuro».

«Perché… non possono… entrare?» domandò Senza Naso.

«Ci sono cose di cui anche le streghe hanno paura» rispose la Strega Bianca.

I bambini si guardarono intorno. Le fronde degli alberi si muovevano appena. Anche se nella penombra potevano nascondersi creature pericolose, i bambini non avevano paura della foresta. Rimasero in ascolto cercando di percepirne qualche farfuglio, ma il respiro pesante di Senza Naso non era d’aiuto.

«Gli alberi parlano?» chiese Eustachio.

«Gli alberi loquaci possono parlare» disse la Strega Bianca. «Ma hanno parlato a sufficienza e non vogliono rischiare di ripetersi. Torneranno a parlare quando avranno qualcosa di nuovo da dire».

«P-potrebbero suggerirci cosa fare» balbettò Piagnucolone.

Ancora una volta rimasero in ascolto e ancora una volta il respiro pesante di Senza Naso non aiutò a distinguere il fruscio delle foglie da un eventuale farfuglio.

«E ora cosa facciamo?» ripeté Rubicondo.

«Non possiamo stare qui per sempre» disse Eustachio.

«Lo so» disse la Strega Bianca. «Ma loro sono cinque streghe e un leone. Noi siamo una strega e quattro bambini. La casa è stanca e danneggiata e non può più andare avanti. Possiamo solo sperare che si stufino e che se ne vadano».

«Ma non possiamo rimanere inermi!» disse Piagnucolone.

«Sei una strega!» disse Rubicondo.

«Puoi fare magie!» disse Eustachio.

«Deve esserci… qualcosa… che puoi… fare…» biascicò Senza Naso.

La Strega Bianca sorrise triste. «Essere una strega buona non significa solo non mangiare bambini. Non posso fare del male a nessuno, l’ho promesso. Altrimenti sarei cattiva quanto loro».

«Non puoi fare male neanche ai cattivi?» chiese Eustachio.

La Strega Bianca scosse la testa. «Neanche ai cattivi. Posso solo aiutare le persone».

«Allora… aiuta… noi!» disse Senza Naso.

La Strega Bianca fissò Senza Naso, poi annuì. «Hai ragione. Almeno questo lo posso fare».

Si alzò, si arrampicò sulla casa e saltò dentro una finestra. Uscì volando in sella a una scopa con un sacco in spalla. Tornò dai bambini, scese dalla scopa e si sedette sullo stesso masso di prima.

«Ho qualcosa per ognuno di voi».

A Piagnucolone diede un libricino grande quanto un francobollo. A Senza Naso diede un vaso con un fiore fucsia dallo stelo lungo. A Rubicondo diede un berretto decorato con una piuma di gallina. A Eustachio diede un pasticcino.

«Possiamo fare a cambio?» chiese Rubicondo a Eustachio.

Eustachio annusò il pasticcino. Prima che potesse rispondere, la Strega Bianca fece cenno di no.

«È per voi e solo per voi». Si rivolse a Piagnucolone: «Quel libriccino ti farà ridere. Non farlo leggere a nessun altro, è solo per te».

«Mi farà smettere di piangere?» disse Piagnucolone asciugandosi le lacrime con i pugnetti chiusi.

«Anche quella è una maledizione» disse la Strega Bianca. «Finché riderai non piangerai. A volte ti faranno male le mascelle e riderai in occasioni inappropriate, ma non posso rompere la maledizione di un’altra strega, posso solo attenuarla».

Piagnucolone annuì e aprì il libricino. Lesse la prima riga e trattenne una risata. Lesse il resto e scoppiò a ridere. Si asciugò le ultime lacrime e anche quando riusciva a trattenere le risate aveva un sorriso perenne stampato in volto.

«Possiamo leggerlo anche noi?» chiese Eustachio.

«Sembra divertente» disse Rubicondo.

«Meglio di no» disse la Strega Bianca. «Ripeto, anche quella è una maledizione».

«Non potresti raccontarci cosa c’è scritto?» domandò Eustachio a Piagnucolone.

Piagnucolone, ora Risolino, scoppiò a ridere scuotendo la testa. «Lasciate perdere, è troppo divertente!»

Eustachio e Rubicondo sbuffarono, ma non insistettero.

«E a me… cosa serve… un fiore?» chiese Senza Naso.

«Tappati le orecchie, chiudi gli occhi e respira dal fiore con la bocca» disse la Strega Bianca.

«Cosa farà?»

«Fallo e basta».

Senza Naso posò il vaso a terra e fece come gli era stato detto. Si tappò le orecchie, chiuse gli occhi e trasse un respiro profondo dalla bocca. Alcuni semi neri, come pepe, gli finirono in gola. Fece per tossire, ma il fiore gli chiuse la bocca con una foglia. Aprì gli occhi terrorizzato, ma il fiore gli coprì anche quelli con l’altra foglia. Si ritrasse e prima ancora che potesse togliersi le mani dalle orecchie, il fiore allungò lo stelo e lo legò. Con gli occhi, la bocca e le orecchie tappate, Senza Naso continuò a divincolarsi, ma la presa del fiore era salda e dopo qualche momento Senza Naso starnutì e un naso gli spuntò nel bel mezzo della faccia. I semi neri che aveva inghiottito uscirono come proiettili dalle narici e tornarono sul fiore, che liberò le mani, gli occhi e la bocca del bambino e tornò docilmente nel vaso, non prima di essersi pulito le foglie sulla sua maglietta. Senza Naso, ora Nasone, si tastò il naso meravigliato: adesso aveva un grosso naso a patata.

«Non è il naso che avevo prima! È enorme

«Quello di prima era il naso da latte» disse la Strega Bianca. «Questo è il tuo nuovo naso».

Nasone continuò a tastarlo e a studiarsi, tenendo la bocca chiusa e respirando silenziosamente dal naso.

«E io?» chiese Rubicondo agitando il berretto. «Se lo metto divento magro?»

«Per dimagrire devi smettere di rubare barattoli di marmellata» disse la Strega Bianca. «Con quello però diventerai leggero come una piuma e potrai correre senza stancarti».

Rubicondo se lo calcò in testa, saltò in piedi e corse attorno alla casa in un baleno. «È vero, è vero!» disse rimettendosi a sedere. «Nessuna strega mi acchiapperà adesso».

La Strega Bianca sorrise indulgente.

«E io cosa me ne faccio di un pasticcino?» disse Eustachio.

«Posso sempre mangiarlo io, se non ti va» disse Rubicondo. «Con questo berretto tanto posso mangiare quanto mi pare e correre veloce lo stesso».

«Ora che ho di nuovo un naso lo mangerei volentieri anche io» disse Nasone. «Se non altro posso mangiarlo a bocca chiusa senza paura di soffocarmi se mangio troppo velocemente».

Risolino si limitò a ridacchiare sfogliando il resto del libricino.

«Non è un semplice pasticcino» disse la Strega Bianca. «Ha un ingrediente segreto. Chiunque lo mangia avrà un cuore d’oro».

«Ma allora…» fecero i bambini in coro.

«No, non funziona con le streghe».

Eustachio si rigirò il pasticcino in mano. «Che regalo inutile. Cosa me ne faccio di un altro cuore d’oro?»

«Pensavo» disse la Strega Bianca con calma, «che potesse addolcire il tuo carattere».

«Ho già un cuore d’oro, non me ne serve un altro». Eustachio annusò di nuovo il pasticcino. «L’ingrediente segreto sono le mandorle?»

«Non posso dirlo».

«È deciso, allora». Eustachio gettò il pasticcino nello stagno. Un rospo gracidò. «Non hai niente di meglio per me?»

«Cosa vorresti?»

Eustachio ci pensò su, poi sogghignò e si diede qualche colpetto in tasca. «Mi sa che non c’è niente che puoi darmi tu. Ho tutto quello che mi serve in tasca».

«Posso darti la scopa».

«Per fare pulizie?»

«Per volare».

«Che noia!» Eustachio si coprì la bocca fingendo uno sbadiglio.

«Non posso tirargli un pugno adesso?» domandò Rubicondo alla Strega Bianca. «Con questo berretto potrei tirargliene di continuo e lui non potrebbe farci nulla. Gli tiro un pugno, corro via, torno, gliene tiro un altro, corro via…»

«Chissà cosa ti farei se ce l’avessi io, un berretto del genere» disse Eustachio.

«Avresti dovuto mangiare quel pasticcino» disse Nasone. «Ti avrebbe fatto bene».

«Eh già». Risolino ridacchiò.

«Non possiamo costringere nessuno a fare qualcosa contro la sua volontà» disse la Strega Bianca. Si alzò e fece cenno agli altri di seguirla. «È ora di andarcene».

«E la casa?» chiese Nasone.

«La casa ne ha viste abbastanza». La Strega Bianca accarezzò una zampa di gallina. «È ora di salutarla e andarcene da soli».

«Ma ci sono ancora le streghe lì fuori!» disse Rubicondo.

«Ci ho pensato» disse la Strega Bianca. «Noi abbiamo qualcosa che loro non hanno».

«Un libricino divertente?»

«Un naso enorme?»

«Un berretto incantato?»

«Un cuore d’oro?»

La Strega Bianca annuì. «Tutto questo e anche…»

«Lui non ha…» cominciò Rubicondo.

La Strega Bianca lo azzittì schioccando la lingua. «Non importa. Noi abbiamo tutto questo e altro ancora. Una scopa».

«Cosa ce ne facciamo di una scopa?» chiese Eustachio.

«Tu non la vuoi, ma loro due» — la Strega Bianca indicò Risolino e Nasone — «sono abbastanza piccoli da salirci insieme. E tu» — si rivolse a Rubicondo — «puoi correre veloce come il vento. Hai ragione, non ti acchiapperanno».

«E lui cosa farà?» domandò Rubicondo.

«Se ha davvero un cuore d’oro, non ha nulla di cui preoccuparsi».

La Strega Bianca guardò Eustachio con un’espressione indecifrabile. Eustachio sostenne il suo sguardo. Se la Strega Bianca sperava che Eustachio ammettesse di aver mentito e fosse disposto ad accettare il pasticcino, riponeva male le sue speranze. Eustachio scrollò le spalle e la Strega Bianca distolse lo sguardo.

«A meno che le streghe non si siano divise attorno al confine della foresta farfugliante, se ci dividiamo avete più possibilità di tornare a casa sani e salvi. Voi due, mi raccomando, volate basso. Non date nell’occhio. Bruciate la scopa non appena sarete al sicuro. Sia le streghe che gli uomini non ve la farebbero passare liscia se vi vedessero con una scopa volante. Tu invece corri e basta. Non fidarti troppo del berretto: la piuma è incantata e ogni magia, come ogni storia, ha una conclusione. E tu… tu, Eustachio, puoi venire con me, se vuoi».

«Puoi fare magie?» chiese Eustachio.

«Non posso fare del male a nessuno» disse la Strega Bianca. «La mia magia è in quella casa e sta finendo con lei. I doni che vi ho fatto erano tutto quello che mi rimaneva».

Rubicondo, Nasone e persino Risolino colsero la gravità della situazione e l’importanza dei doni della Strega Bianca. La abbracciarono dicendo: «Grazie».

«Non posso garantirvi che tornerete sani e salvi a casa» mormorò la Strega Bianca stringendo a sé i tre bambini.

«Lo sappiamo».

Nasone tirò su col naso. Risolino si asciugò una lacrima, poi sghignazzò. Rubicondo guardò torvo Eustachio.

«Cosa vuoi fare?» gli chiese la Strega Bianca.

«Se non puoi fare magie, faccio meglio ad andare da solo» disse Eustachio. «Sei albina, bianca, candida. Sei sgargiante. Scommetto che le streghe ti individueranno appena metterai piede fuori dalla foresta farfugliante. No, è meglio se vado da solo».

«Come vuoi» disse la Strega Bianca.

Abbracciò ancora una volta Rubicondo, Nasone e Risolino. Posò una mano sulla spalla di Eustachio. Accarezzò ancora una volta la casa e si avviò. «Addio, bambini, buona fortuna».

Risolino e Nasone salirono in sella alla scopa, molleggiarono le gambe e sollevandosi da terra presero il volo nella direzione opposta rispetto a quella della Strega Bianca. «Addio!» gridarono.

Rubicondo diede un pugno sul braccio a Eustachio dicendogli: «Buona fortuna, Pistacchio» e sparì di corsa oltre lo stagno.

Eustachio si incamminò per ultimo con le mani in tasca, facendosi guidare dal fruscio e dal farfugliare degli alberi.

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Capitolo 4
*** Il leone arcobaleno ***


Il leone arcobaleno

La Strega Bianca spuntò fuori dalla foresta farfugliante. Pioveva a ciel sereno. La Strega Bianca accolse la pioggia e il cinguettio degli uccelli come un buon segno: alla presenza delle streghe cattive o di prodigi quali il leone arcobaleno la natura tace.

Almeno lei era salva. Non aveva più una casa, certo, e ci sarebbero voluti anni per costruirne un’altra, ma in fondo chi la costringeva a costruirsene una? Tutto quello di cui aveva bisogno era una nuova scopa e un sacco in cui raccogliere nuovi ingredienti. Oh, un nuovo inizio! Poteva scrivere il libro di contro-maledizioni e magia bianca che aveva sempre sognato e istruire nuove generazioni di streghe a essere buone come lei e ad aiutare il prossimo. C’erano tante cose che poteva fare.

In cielo si intravedeva un arcobaleno. La Strega Bianca, senza sapere dove stava andando, lo seguì. Era fradicia, ma non aveva né un cappello né un mantello e fuori dalla foresta farfugliante non c’erano altri ripari.

Alla base dell’arcobaleno, in una radura con l’erba alta, trovò Eustachio circondato dal leone e dalle streghe. La Strega Bianca si nascose dietro una betulla.

«Dov’è Bianca?» strillò Vermiglia.

«Dove sono i nostri bambini?» gridò Lilla.

«Dov’è il tuo naso, eh? Dov’è il tuo naso?» Ocra fece per strapparglielo, ma Mirta la fermò: «Lui è mio! Se ci provi un’altra volta te la stacco, quella mano!»

«Se non parla gli staccherò io la lingua!» sbottò Zaffira.

Il leone ruggì, le streghe si azzittirono e aspettarono. Eustachio incrociò lo sguardo della Strega Bianca, ma fece finta di non averla vista e scoppiò a piangere. «M-mi hanno cacciato!» balbettò. «Hanno d-detto che n-non mi volevano e s-se ne sono andati via su quella c-catapecchia!»

«Da che parte, da che parte?»

«P-penso ». Eustachio indicò vagamente dietro sé.

«Quindi dici che sono passati per di qua e tu li hai seguiti?» chiese Zaffira.

«S-sì!»

«Ed erano sulla casa su zampe di gallina?» domandò Ocra.

«S-sì!»

«Non ci sono orme della casa» disse Lilla.

«La casa non è passata qui» disse Vermiglia.

«Pensi che siamo delle sciocche, Pistacchio?» Mirta gli tirò uno schiaffo che Eustachio evitò per un pelo.

«Be’, non avrei usato proprio la parola sciocche, ma…»

«È inutile!» disse Lilla.

«Stiamo solo perdendo tempo!» disse Zaffira.

«Non sa nulla!» disse Vermiglia.

«E se sa qualcosa non vuole parlare!» disse Ocra.

«Visto che l’ho portato io tocca a me mangiarlo» disse Mirta. Aprì la bocca e si avvicinò a Eustachio.

Le streghe non si opposero. Si leccarono i baffi, pregustando quando sarebbe toccato a loro…

A quel punto una serie di emozioni investì la Strega Bianca. Eustachio aveva cercato di aiutare lei e gli altri bambini. Forse ce l’aveva davvero un cuore d’oro. E ora lei doveva vederlo morire senza far nulla? Ma se lui non era buono e si stava sacrificando per lei, questo non la rendeva cattiva quanto le altre streghe?

C’erano così tante cose che avrebbe potuto fare se fosse fuggita prima che si fossero accorte della sua presenza: poteva costruirsi una nuova casa e una nuova scopa, poteva raccogliere nuovi ingredienti e scrivere un libro di contro-maledizioni e magia bianca, poteva istruire le nuove generazioni di streghe a essere buone come lei e continuare ad aiutare il prossimo. Ma valeva qualcosa se per fare tutto questo doveva sacrificare la vita di un bambino, per quanto fosse un bambino antipatico e arrogante?

Uscì allo scoperto. «Sono qui!» esclamò.

Le streghe si voltarono. Il leone la guardò con quegli occhi neri e indecifrabili. Le corse incontro, le saltò addosso e spalancò le fauci. Le streghe osservarono lo spettacolo deliziate, e in cuor loro un po’ preoccupate.

Quando il leone finì con la Strega Bianca, le altre streghe erano pallide. Smise di piovere e il leone sparì. Allora le streghe cominciarono a ridere sollevate, saltellarono attorno ai resti della Strega Bianca cantando: «La Strega Bianca è morta!» e una a una spiccarono il volo sulle loro scope.

Per quanto lo spettacolo fosse stato divertente, la morte di una strega è una di quelle occasioni in cui anche le più forti di stomaco perdono l’appetito. Ecco perché Mirta dimenticò di chiedersi dove fosse finito Eustachio, e quando Vermiglia lo trovò, tornando verso casa con Lilla, si limitò ad acciuffarlo e a portarlo con sé.

Cosa ne era stato di Rubicondo, Nasone e Risolino? Ascoltarono la Strega Bianca e si disfecero del berretto e della scopa. Non vissero per sempre felici e contenti, ma tornarono a casa sani e salvi.

E cosa ne era stato degli abitanti di Borgo Bianco? Recuperarono le monete d’oro e le usarono per investire sull’educazione dei loro figli, di cui si diceva che avevano preso a imparare come prima parola “discrezione” e che compivano atti di bontà tenendoli sempre per sé.

E cosa ne era stato della Strega Bianca? Era davvero morta, come credevano le altre streghe? Be’, la strega era morta, certo. Ma al mondo, si sa, ci sono molte magie, e sono gli atti d’amore disinteressati che generano i prodigi migliori, quelli della stessa sostanza di un cuore d’oro, quelli in grado di dare anche a una strega prima cattiva e poi redenta il dono di una nuova vita.

 

 


 

Note alla storia:

La storia della Strega Bianca finisce qui, ma nelle prossime settimane conto di rivedere e pubblicare un altro racconto dove alcuni di questi personaggi torneranno.
La Strega Bianca l'ho scritto come regalo per la mia amica Alessandra. Le somiglianze con Narnia sono un omaggio obbligatorio: tra le sue richieste c'era un personaggio albino che non morisse, e quale idea migliore che ampliare la storia della Strega Bianca, citata di passaggio nell'altro racconto come quella divorata da un leone, e capovolgere un po' le aspettative?
Spero che il racconto vi sia piaciuto. Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino alla fine :) Alla prossima!

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