Gli Affari sono Affari

di MattySan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rientro ***
Capitolo 2: *** L'accordo ***
Capitolo 3: *** Il Sospetto ***
Capitolo 4: *** Infiltrazione ***
Capitolo 5: *** La Scelta ***
Capitolo 6: *** Nuova Pista ***
Capitolo 7: *** Gazelle ***
Capitolo 8: *** Cuore Ferito ***
Capitolo 9: *** Brutta Sorpresa ***
Capitolo 10: *** La Morte all'Opera ***
Capitolo 11: *** Questione di Fiducia ***
Capitolo 12: *** La Talpa ***
Capitolo 13: *** Ordine di Uccidere ***
Capitolo 14: *** Sotto Accusa ***
Capitolo 15: *** La Promessa ***
Capitolo 16: *** Il Processo ***
Capitolo 17: *** Dolce Sinfonia ***
Capitolo 18: *** Tiger ***
Capitolo 19: *** Fine dei Giochi ***
Capitolo 20: *** Gli Affari sono Affari ***



Capitolo 1
*** Rientro ***


Una volta uscito dai cancelli della prigione, un nuovo mondo si era parato davanti ai suoi occhi.
Il sole che non vedeva da settimane e una sensazione di aria fresca che scosse il suo corpo.
Aveva un aspetto non molto curato, la criniera era tutta arruffata e i suoi occhi stanchi, il pelo era arricciato e anche la sua mente non ne poteva più di stare in una prigione e nemmeno riuscire ad accettare di esserci finito solo per aver tentato di proteggere i suoi cittadini.
Perché era questo il suo obiettivo no?
Gli agenti gli avevano restituito anche i suoi vestiti anche se per adesso non avrebbe potuto tornare a esercitare la sua professione di sindaco, poco gli importava in quel momento se non uscire da quelle mura.
Il cancello si chiuse alle sue spalle con un grande fracasso ma non si ritrovò da solo.
Una limousine nera era parcheggiata di fronte a lui con uno giaguaro nero in piedi di fronte a lui e sembrava che lo stesse aspettando.
“Venga sindaco Lionheart! Sono felicissimo di rivederla” disse mentre apriva la portiera.
Leodore era ancora incredulo.
“Ma chi è lei?”.
“Mi chiamo Renato Manchas e sarò il suo chauffeur per il momento” disse l’altro con un sorriso.
Leo non proferì parola e salì sulla limousine che partì subito e si inoltrò nel centro della città.
Attraverso il finestrino, Leodore osservò tutta quella gente che aveva tentato di proteggere e tutta la tranquillità che avvolgeva quelle strade ora che tutto era finito, vide la gente divertirsi e fare le proprie quotidianità, gli sembrò un mondo nuovo al di là delle mura di quella prigione che anche se è durata solo qualche settimana, a lui parve un’infinità.
Manchas guidava benissimo e in silenzio ma fu proprio Leo a romperlo.
“Mi scusi se mi permetto ma lei perché è venuto a prendermi? Io non l’ho mai vista”.
Manchas fece una risata.
“Vede signor Lionheart mi ha mandato il mio capo a prenderla ed è uno che la rispetta molto”.
“Posso sapere come si chiama?”.
“Mr. Big ma forse lo avrà già sentito dire e per favore mi dia del tu”.
“Certo va bene Manchas”.
Il viaggio proseguì senza problemi e Manchas arrivò precisamente sotto casa di Leodore.
“Eccoci qua”.
“Ma come fai a sapere dove abito?”.
“Mr. Big sa ogni cosa in questa città ma lei non ci faccia caso” disse Manchas mentre apriva la portiera a Leodore per farlo scendere e gli consegnò anche le chiavi di casa.
“Ecco le sue chiavi e non si preoccupi per tutto quanto il resto, lei tornerà in pochissimo tempo a fare il sindaco di questa città e ci penserà Mr. Big a tutto quanto lei adesso deve solo rilassarsi”.
“Va bene ma vorrei sapere di più se mi è concesso”.
Manchas gli diede un biglietto e salì sulla limousine.
“Lì c’è il mio numero e mi chiami se ha bisogno di qualcosa” disse prima di ripartire e sparire dietro l’angolo.
Leo mise il biglietto in tasca e aprì la porta di casa richiudendola subito alle sue spalle.
Si sentiva davvero meglio ora.
Ogni cosa era come l’aveva lasciata e non c’era nemmeno troppo disordine, si era accumulata solo un po’ di polvere ma niente di più ma non ci pensò e si fece subito un caffè.
Lo sorseggiò con calma e guardò l’orologio.
Le 16:30.
Aveva sonno e voleva rigenerarsi da quel brutto periodo, lavò la tazza nel lavandino e si diresse in camera sdraiandosi sul letto e togliendosi tutti i vestiti per restare più comodo.
Guardò la sveglia e dopo aver sbadigliato, chiuse gli occhi e non pensò più a niente.
 
Qualche ora dopo…
 
Aprì lentamente gli occhi per vedere le luci dei lampioni filtrare dalle tapparelle della finestra e si voltò per guardare la sveglia.
Le 20:00.
Si stropicciò gli occhi e si diresse in bagno a lavarsi la faccia, dopodiché andò in cucina a prendere qualcosa da mangiare ma la maggior parte della roba era scaduta e la dovette buttare, così si fece un panino e accese la televisione.
Al telegiornale stavano parlando di lui e come al solito della quotidianità di Zootropolis, dello sport e di alcune curiosità.
“Come al solito lasciano sempre le cronache nere per ultime o le censurano” sbuffò Leodore mentre divorava il suo panino.
Il telefono squillò improvvisamente e Leo rispose subito.
“Pronto?”.
Nessuna risposta.
Leo si stava innervosendo.
“Pronto!” disse a voce più alta.
Ancora nessuna risposta, tranne un fastidioso ronzio che proveniva dall’altro capo del telefono.
“Insomma sono stanco di questi giochetti!” ruggì Leodore che stava per riattaccare ma una voce parlò improvvisamente.
“Sindaco Lionheart!”.
“Si sono io ma chi è?”.
“Lei non ha pagato il giusto prezzo”.
“Ma chi parla!?”.
“Se ne accorgerà presto e scoprirà che il lavoro che stava svolgendo Bellwether era la cosa giusta da fare ma forse lei non vuole capirlo eh? La invitiamo a trattare con noi se non vuole avere brutte sorprese…”.
“ANDATE AL DIAVOLO!” ruggì Leo.
Silenzio.
 “Va bene lo ha voluto lei!”.
Il segnale era caduto e Leodore riagganciò con rabbia.
Strinse i pugni.
Un rumore lo fece allarmare e proveniva proprio dalla porta d’ingresso.
Leodore ebbe un sussulto e si mosse furtivamente verso la porta brandendo una sedia della cucina per colpire il malintenzionato che era dietro quella porta, non c’era dubbio che quella chiamata era solo un avvertimento e lui non si sarebbe fatto incastrare di nuovo.
La maniglia della porta girava lentamente e tra poco si sarebbe aperta.
Leo prese un bel respiro e sentì il click della maniglia.
Leo con la zampa spalancò la porta brandendo la sedia e si voltò contro chi era fuori dalla porta ma si fermò immediatamente.
“JUDY!?”.
“LEODORE? Ma cosa…”.
La coniglietta era pronta con un teaser e lo puntava contro il leone che mise subito a terra la sedia.
“Ma che ci fai qui? Vuoi sbattermi dentro un’altra volta?”.
“No veramente ero venuta a vedere come stavi, so che sei stato rilasciato oggi pomeriggio e volevo accertarmi che tutto fosse in regola”.
“Che intendi dire?”.
“Che nonostante Bellwether sia in un carcere di massima sicurezza, dopo qualche indagine siamo assolutamente certi che non agiva da sola e aveva messo in piedi una organizzazione ancora latitante e che aveva anche dei contatti con la Mafia”.
“La Mafia?”.
“Si ed è proprio per questo che sono venuta da te a controllare se stavi bene, i suoi scagnozzi sono ancora in giro e ti staranno sicuramente cercando per vendicarsi”.
Leodore adesso si spiegava tutto e fece accomodare Judy in casa e si presero un caffè caldo.
Leo era pensieroso e guardò fuori dalla finestra il traffico incessante e tutti i rumori dei passanti e delle macchine, con uno sfondo tetro e malinconico delle luci della città.
“Ti devo informare che ho ricevuto una chiamata poco fa ed era chiaramente un avvertimento da parte della organizzazione di Bellwether”.
“Cosa? Allora devo assolutamente far mettere sotto controllo il tuo telefono”.
“Fai pure ma tanto me lo aspettavo che la stronza sarebbe tornata a tormentarmi in un modo o nell’altro, non ho paura di lei e della sua sporca organizzazione, sono sempre stato onesto e ho fatto anche degli errori forse ma ho sempre cercato di proteggere questa città e i suoi abitanti” disse profondamente Leodore mentre finiva di sorseggiare il caffè.
Judy annuì e prese con sé il telefono.
“Vuoi seguirmi in centrale per raccontare tutto?”.
“No preferisco che rimanga tra noi e che sia tu ad occuparti delle indagini”.
Judy annuì ancora e uscì di casa dirigendosi in macchina verso la stazione di polizia, Leo prese i vestiti e si rivestì, era da molto tempo che non li indossava ma ancora non poteva esercitare la sua professione nuovamente e dopo essersi lavato la faccia, uscì e si diresse in garage a prendere la macchina e chiamò quel numero lasciato da Manchas.
Guidò attraverso delle strade poco illuminate che conducevano fuori città per recarsi nel luogo che gli aveva indicato Manchas al telefono, voleva assolutamente incontrare quel Mr. Big che stava riabilitando il suo nome pian piano.
Il buio di quella strada non lo turbò minimamente oltretutto era lo stesso buio che aveva visto nelle intenzioni di Bellwether, lo stesso buio che aveva visto nella sua cella e lo stesso buio che lo stava accompagnando quella notte.
Finalmente in fondo alla strada intravide una grande villa e un grande cancello ben illuminato si parava di fronte ad essa.
Leodore fermò la macchina e suonò il citofono.
“Si? Chi è?” chiese una voce quasi roca.
“Sono Leodore Lionheart”.
“Ah! Sindaco Lionheart! Entri pure”.
Il cancello si spalancò e Leo entrò nel giardino della villa con cautela e calma.
Molte guardie vigilavano il posto ed erano per la maggior parte orsi e qualche felino.
Parcheggiò la macchina e vide un grande orso polare che venne a dargli il benvenuto.
“Mi segua la scorterò da Mr. Big”.
Leo seguì l’orso e passò attraverso un lungo corridoio ben ornato con un sacco di quadri e altri dipinti, opere, statue e molto altro quella villa era enorme e anche un sacco di guardie si trovavano nel corridoio, giunse infine davanti a una porta di un ufficio e vi entrò.
Di fronte a lui c’era una scrivania con accanto due orsi e sopra vi era una piccola sedia girevole voltata dalla parte opposta.
“Dunque a cosa devo la vostra visita mio caro sindaco?”.
Leodore fece un passo avanti non capendo da dove proveniva quella voce.
“Vorrei sapere chi siete prima di tutto”.
“Chi sono io?”.
“Certo e anche perché vi state nascondendo alla mia presenza”.
Si udì una risata nell’aria.
“Ma io non mi sto nascondendo” e detto questo, la sedia si voltò verso Leodore e un piccolo toporagno vi era seduto sopra.
Leodore era incredulo.
“Vi do il benvenuto nella mia lussuosa villa, io sono Mr. Big”.
 
 

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Capitolo 2
*** L'accordo ***


Leodore era ancora fermo in piedi alla vista del piccolo toporagno.
Mr. Big fece portare da uno dei suoi orsi una sedia anche per il leone.
“Prego, si sieda e non faccia troppi complimenti”.
“Grazie ma è lei Mr. Big?”.
“In persona! E sono onorato di riceverla nel mio studio, lei ha fatto molto per aiutare gli abitanti di questa città”.
“Già anche se non so se ero nel torto o nel giusto in fondo”.
Mr. Big abbozzò una piccola risata e fece portare delle tazze di tè caldo per entrambi.
“Zucchero?”.
“No grazie”.
“Dunque che cosa l’ha portata qui Leodore? Parli pure”.
“Mi chiedevo chi fosse lei e perché mi sta aiutando a riprendere il mio ruolo di sindaco”.
“Vede Leodore io so tutto di lei, io so tutto quello che succede qui a Zootropolis e so anche cosa ha fatto per aiutare i cittadini, io l’ammiro molto per questo e l’ho sempre fatto, lei ha tutta la mia stima e il mio rispetto perché ha dimostrato la sua piena fedeltà al suo ruolo e a questa città e voglio anche che sappia una cosa: a volte per risolvere un problema disperato occorre sempre fare qualche “infrazione” per salvare la propria gente, lei si è comportato di conseguenza” disse mentre beveva lentamente il tè.
“Avrei un’altra domanda, prima ho saputo che Bellwether ha una organizzazione segreta che ha a sua volta dei contatti con la Mafia e…”.
A Big andò di traverso il tè e gli orsi si innervosirono.
“NO! Se sta pensando che io e la mia famiglia siamo coinvolti le consiglio di cambiare immediatamente strada perché è capitato in un vicolo cieco”.
Leodore bevve il suo tè scusandosi.
“So della esistenza di questa organizzazione ma niente di più, i miei informatori non hanno saputo addentrarsi di più e su questo non posso aiutarla mi dispiace, comunque non sono solo io il Don in questa città e forse lei non conosce ancora a fondo il marciume che si nasconde nei bassifondi”.
Leodore finì di bere il tè e si alzò.
“Se ne va di già?”.
“Si! Le risposte che volevo le ho trovate e adesso devo fare visita a una tizia che mi può aiutare”.
“Bene ma le dico una cosa io sono superstizioso lo sa? E ho la sensazione che Bellwether abbia in mente qualcosa e non credo che resterà in quel carcere ancora molto a lungo, non posso aiutarla in questo campo lo sa ma voglio solo metterla in guardia visto che lei ci ha lavorato insieme per molto tempo prima che successe quel “fattaccio” che sappiamo”.
Leodore stava per usciere ma si voltò e si diresse lentamente con uno sguardo serio e cupo verso il toporagno.
“Io lavoravo con Bellwether, Io rispettavo Bellwether… ma io non mi fidavo una cicca di Bellwether! Quindi caro Big non mi prenda per il culo perché  ci sono passato anche io. Intesi?”.
Big annuì e salutò il leone che uscì dallo studio e si diresse verso il giardino dove aveva parcheggiato la sua macchina, salì e lasciò subito la villa.
Big osservò dalla finestra del suo studio la macchina allontanarsi e si grattò la testa.
“Avete fiducia in lui capo?” chiese un orso.
“Si Vincent, ammiro il suo carattere ma stavolta non dovrà commettere errori o verrà sopraffatto nuovamente dagli sgherri di quella pecorella maledetta”.
Mentre Leo guidava pensò mille volte a Judy e alla sua proposta di aiuto, strinse le zampe sul volante e si fermò in una piazzola, prese il cellulare e stava per chiamarla ma lo stesso apparecchio squillò in quel momento ed era proprio lei che lo invitò a venire subito alla centrale.
Leodore si diresse verso la destinazione a tutta velocità e non appena sceso dalla macchina, incontrò subito la coniglietta che usciva dalla centrale.
“Dove sei stato?”.
“Non posso dirtelo o faresti irruzione nella sua villa con una squadra speciale”.
“Sei andato da Mr. Big”.
“Come fai a saperlo?”.
“Chiamalo intuito femminile e poi so chi è ma non ti devi preoccupare io e lui siamo amici”.
“Avevo sentito molto parlare di lui ma me ne infischiavo di chi fosse, comunque parlando di cose serie cosa volevi dirmi?”.
“Che abbiamo messo nel tuo telefono un micro chip che registrerà tutte le chiamate per tenerle sotto controllo”.
“Non servirà a niente perché sanno il mio indirizzo e dovrò cambiare casa temporaneamente o almeno finché la faccenda non si risolve”.
Judy si bloccò di fronte al leone.
“Scommetto che c’era qualcosa che volevi dirmi”.
Leodore la guardò direttamente in quegli occhi porpora profondi che non gli lasciarono scampo.
“Si volevo dirti che accetto la tua proposta di aiuto, d’altronde avrò bisogno di una come te per poter indagare più a fondo su questa organizzazione”.
Judy annuì e allungò la zampa verso il leone il quale la strinse.
“Inizieremo domani mattina e adesso dovremmo andare a letto ormai è notte fonda”.
“Tornare a casa mia è troppo rischioso vorrà dire che andrò in hotel”.
“Non credo sia possibile non hai nemmeno un soldo in tasca e mi ero dimenticata di dirti che non potrai ancora ritirare i soldi dal tuo conto, è stato bloccato qualche settimana fa e ancora è rimasto tale”.
Leo sbuffò e diede un calcio alla ruota della macchina.
“Però visto che non c’è alternativa non avrò nessun problema ad ospitarti a casa mia, prima stavo in un piccolissimo appartamento ma ora ne ho preso uno ancora più grande” disse Judy salendo in macchina di Leo e i due si diressero verso casa della coniglietta, Leo non riusciva a nascondere il suo imbarazzo ma la cosa non gli importava, la sua premura adesso era sistemare questa storia una volta per tutte.
Una volta arrivati  a casa di Judy, sembrò come entrare in un altro mondo per Leodore: l’appartamento molto illuminato e tutto con il massimo ordine, non c’era un libro fuori posto, non c’era un granello di polvere e tutto era pulito.
Anche i mobili non erano niente male, c’era anche un divano blu con un tavolino davanti e delle poltrone intorno che completavano il salotto.
Leo rimase fermo sulla soglia della porta.
Judy rise.
“Non rimanere lì impalato e vieni dentro!”.
Leo si mise a sedere sul divano e scrutò il salotto da cima a fondo.
“Hai veramente una bella casa”.
“Grazie posso offrirti qualcosa?”.
“No ti ringrazio”.
Judy prese un bicchier d’acqua e si sedette accanto a Leodore mettendo sul tavolino una cartina stradale completa di Zootropolis.
“Dobbiamo fare il punto della situazione domattina inizieremo le indagini e ci serve una pista da seguire”.
“Sono d’accordo non possiamo partire a casaccio, questa è la mappa completa della città?”.
“Esatto e potremo iniziare cercando nei luoghi più malfamati”.
Leo mise il dito su un punto della cartina.
“I Magazzini Smart andranno benissimo, sono situati nella zona industriale e me lo ricordo bene perché qualche anno fa autorizzai una squadra speciale per una pulizia della criminalità organizzata in quel posto, tuttavia il risultato finale fu parziale”.
“Sei perspicace ma non sarà un punto a caso, infatti abbiamo fatto delle ricerche e abbiamo appurato che in quel posto gira un losco traffico regionale e abbiamo ragione di credere che ci vada di mezzo anche la Mafia” concluse Judy bevendo un altro sorso d’acqua.
Leodore si alzò e prese un pennarello da un portamatite segnando vari punti sulla cartina.
“Propongo di perlustrare questi punti qui con la massima attenzione, inoltre mi sembra di ricordare che il servizio delle consegne passa tutte le mattine alle 8:00 e ci rimane diverso tempo per scaricare tutta la roba dato che i carichi sono quasi sempre abbondanti, e se come dici tu la Mafia ha un ruolo in tutto questo potrebbero consegnare merce grossa e potremo anche scoprire qualcosa” concluse Leodore.
Judy annuì e si alzò.
“Allora è deciso! Ora però è meglio se andiamo a dormire”.
“Mi prendo il divano” disse il leone e stava cercando di aprirlo ma la coniglietta rise.
“Non è un divano letto”.
“Cosa? Hai per caso un altro letto?”.
“No c’è solo il mio ma è matrimoniale e ci entriamo entrambi benissimo” disse Judy rossa in viso ma Leo si era già avviato verso la camera da letto nascondendo il suo imbarazzo.
“Sei sicura che non ti disturbo?”.
“Ma figurati!” rise la coniglietta mentre andava in bagno.
Leo si diresse in camera e si mise a sedere sul bordo del letto togliendosi i vestiti e pensando solo e unicamente a Bellwether e a quello che lo avrebbe potuto aspettare, anche le parole di Mr. Big non lo lasciavano in pace ma ormai era deciso ad andare fino in fondo alla situazione.
Si sdraiò sulla parte destra del letto vicino alla porta della camera a fissare il soffitto con uno sguardo spensierato.
Judy uscì dal bagno ed entrò in camera ma si voltò immediatamente appena vide Leo in mutande.
“S-scusa!” cercò di giustificarsi il leone mentre si copriva.
“No no! Non fa niente scusa non ho nemmeno qualcosa da darti della tua taglia ma non c’è problema! Puoi dormire anche così tanto non mi dai fastidio” disse la coniglietta mentre si sdraiava dall’altra parte del letto vicino alla finestra.
Leo rimase ancora con lo sguardo perso e sentì un improvviso calore.
Judy gli aveva appoggiato una mano sulla spalla.
“Che hai?”.
“Niente stavo solo pensando a tutta questa situazione…”.
“Avanti! Non mi dirai che sei così rammollito”.
Leo diede una occhiataccia a Judy che si mise a ridere.
“Sto scherzando ovviamente anche se so quello che hai passato, ti capisco e voglio aiutarti ma ti dirò anche un’altra cosa”.
“Ovvero?”.
“A mio parere hai sempre svolto egregiamente il tuo ruolo di sindaco e sei sempre rimasto in ogni caso fedele a questa città e ai suoi cittadini!”disse Judy per poi voltarsi frettolosamente per non far vedere il rossore che si stava impadronendo ancora di lei.
Leodore sembrava un altro di fronte a quelle parole.
Mise una zampa sulla spalla della coniglietta.
“Grazie”.
“In fondo è quello che penso” e detto questo, Judy spense la luce e i due poterono finalmente prendere sonno.

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Capitolo 3
*** Il Sospetto ***


Alba.
 
Silenzio.
 
Il sole che entra dalla finestra e i raggi che illuminano la sagoma robusta del leone che vi è davanti.
Lo sguardo perso su una città che si sveglia, su una città che apre gli occhi.
Lo sguardo di una città dai mille misteri, dai mille crimini e dalle mille passioni.
Gli occhi di chi l’ha vissuta e di chi ci crede.
Gli occhi di chi progetta e di chi sogna.
Gli occhi di chi sa e che lotterà.
 
Leodore stava fermo davanti alla finestra ad osservare Zootropolis che lentamente si svegliava.
Le macchine circolavano, i passanti salutavano, fischiettavano, tutto sincronizzato, ogni cosa come sempre, ogni cosa come tutti i giorni, ogni cosa da sempre.
Judy dormiva ancora alle sue spalle ma il leone non sarebbe rimasto lì a lungo.
Si infilò i pantaloni e si diresse in cucina.
L’ora?

6:00
 
Perfetto.
 
Aprì il frigorifero e versò il latte in una tazza, sbadigliò e prese altro latte, marmellata e biscotti.
Ogni cosa la fece per bene.
Un altro sbadiglio.
Aprì la finestra della cucina e un leggero vento lo investì donandogli una sensazione di freschezza e a dir poco anche eccitante.
Rise.
L’ora?
 
6:10
 
Scorre veloce il tempo oggi.
 
Judy aprì gli occhi e ancora mezza assonnata allungò la mano per sentire Leodore ma non era più nel letto e si alzò di scatto, si infilò velocemente le pantofole ma i rumori che provenivano dalla cucina la rassicurarono subito sapendo che il leone era lì.
“Buongiorno Leo!” disse sbadigliando e notò che il leone aveva preparato tutto.
“Grazie mille della colazione ma non dovevi disturbarti”.
Leo sorrise e si alzò da tavola e si diresse a prendere la cartina per esaminarla bene.
La coniglietta stava spalmando la marmellata sulle fette di pane.
“Non hai fame?”.
“Ho già mangiato grazie”.
“Ma guarda che abbiamo ancora molto tempo!”.
Leo posò la cartina e sorridendo tornò a sedersi accanto a Judy, prese del latte e anche dei cereali.
Judy era davvero ben rifornita e benché svolgesse per molte ore il suo mestiere, riusciva sempre a fare una spesa abbondante e a tenere la casa pulita e in ordine, non c’è che dire quella coniglietta era davvero strepitosa e di questo Leodore se n’era accorto benissimo.
Non appena ebbero finito di fare colazione, si vestirono e partirono subito per raggiungere la zona industriale di Zootropolis prima delle 8:00.
Leodore guardava tutte le macchine che passavano e di lì e non c’era ancora molto traffico.
“Se fossimo usciti un attimo più tardi avremo trovato un casino”.
“Già ma conosco questa zona e so all’incirca a che ora c’è il traffico pieno”.
Dopo qualche minuto di viaggio, i due arrivarono davanti agli enormi Magazzini Smart che si estendevano per un grande pezzo di terreno ed erano circondati da vari negozi, parcheggi e altri magazzini più piccoli dove si potevano già intravedere alcuni camion piccoli fermarsi per scaricare la merce, addetti che coordinavano le operazioni di scarico e altra gente che apriva i negozi vicini.
“Ecco fermati qui” disse Judy indicando al leone una piazzetta semi deserta lì davanti.
I due avevano la piena visuale sui Magazzini e potevano controllare gli spostamenti dei camion.
“Non è ancora l’ora, adesso ci sono solo camion piccoli ma tra non molto arriveranno anche quelli grossi ed entreremo in azione”.
“Stai calmo Leo! Innanzitutto mi servirebbe un mandato per irrompere nel magazzino e poi non possiamo destare troppi sospetti”.
“Si lo so ma teniamo d’occhio la situazione”.
 
7:50
 
I due non si facevano sfuggire niente.
“Mancano 10 minuti”.
“Bene”.
La gente continuava a entrare e uscire, i camion piccoli avevano finito le consegne e adesso anche la gente stava iniziando a venire nei negozi circostanti per fare compere, l’aria sembrava tranquilla e il parcheggio si stava già iniziando a riempire di qualche auto.
 
7:55
 
Leodore fissava quell’orologio e fissava il magazzino.
Judy non perdeva d’occhio i camion.
Dopo altri 5 minuti sembrò non succedere niente ma improvvisamente gli addetti aprirono completamente le grandi porte del magazzino, in lontananza si poteva vedere qualcosa di grosso arrivare ed erano proprio i camion che loro stavano aspettando.
“Sei pronta?”.
“Si ma mi raccomando stai tranquillo dobbiamo solo fare qualche domanda”.
Una volt scesi dalla macchina si diressero con molta calma verso il magazzino, il camion grande che era appena arrivato aveva iniziato a scaricare la merce e Leodore puntò subito un’occhiata a quest’ultima, tuttavia non appena si avvicinarono intravidero un montone che stava venendo verso di loro.
“Ehi voi!”.
Judy si voltò immediatamente e Leo non si mosse.
“Non potete stare qui! Intralciate il lavoro!”.
“Mi scusi se ci siamo presentati così senza preavviso io sono l’agente Hopps”.
Il montone non degnò di uno sguardo la coniglietta e si concentrò invece sul leone.
Sembrava fin troppo sorpreso di vederlo lì.
“Scusi mi sta ascoltando?”.
“Si va bene ma cosa volete?”.
“Abbiamo svolto indagini recenti che hanno accertato un traffico di merce illegale con coinvolgimenti mafiosi proprio in questi magazzini”.
Leo notò che il montone aveva uno sguardo leggermente nervoso.
Ma c’èra qualcos’altro di ancora più strano che aveva velocemente notato in lui.
“Le assicuro che qui va tutto in regola!”.
“Vorremo solo dare un’occhiata”.
“Avete un mandato?”.
“No ed è proprio per questo che volevo farle qualche domanda sulle attività, potrebbe concedermi qualche minuto?”.
Il montone era quasi irritato ma accettò freddamente la proposta e si diresse con Judy nel suo ufficio, Leodore era rimasto invece vicino al camion grosso e presto ne sarebbero arrivati altri.
Sentiva che c’era qualcosa che non andava.
Si avvicinò di più al camion senza farsi vedere dagli addetti che erano impegnati a sistemare la merce appena arrivata con cura.
C’erano ancora alcune casse sul camion e Leo ci salì sopra attento a non farsi scoprire e non appena gli addetti si furono allontanati un attimo, aprì velocemente le casse per scoprire che contenevano solo dei normali prodotti alimentari.
“Non è possibile! Eppure…”.
Ma si stava avvicinando qualcuno e il leone scese di corsa dal camion e tornò velocemente all’ingresso del magazzino ad aspettare il ritorno di Judy.
La coniglietta uscì poco dopo dall’ufficio del montone e insieme si diressero verso la macchina.
“Dunque mi sono annotata tutto, il tizio si chiama Harry Nail ed è il direttore del settore di quel magazzino che si occupa di alimentari, lavora lì da molto tempo e il resto lo scriverò al computer non appena arriverò alla centrale”.
“Ma l’hai notata anche tu quella cosa sul suo braccio?”.
“Cosa?”.
“Uno strano tatuaggio che aveva sul braccio sinistro e lo nascondeva a malapena con la manica della maglietta”.
“Non ci ho fatto caso ma cosa vuoi che sia?”.
Leo strinse i pugni.
“Ho già visto quel tatuaggio e la cosa non mi piace affatto”.
 
FLASHBACK
 
“ALLORA? CHE TE NE PARE?”.
Bellwether stava scarabocchiando da minuti interi su un sacco di fogli dei disegni apparentemente senza nessun senso.
Leodore la osservava a metà tra seccato e preoccupato.
“QUESTO! QUESTO LEO!” disse prendendo in mano e sventolando un foglio con scarabocchiato sopra uno strano tatuaggio raffigurante un corno rovesciato.
Leo aggrottò le sopracciglia.
“Non mi far perdere tempo e cosa sarebbe quello?”.
“Il simbolo della libertà! Vedrai che la mia idea andrà a meraviglia!”.
“Senti c’è in giro una epidemia, i miei cittadini sono in pericolo! La gente scompare, alcuni impazziscono e tu pensi a scarabocchiare queste stronzate? TE LO DICO IO UN PIANO! Un bel piano di libertà! E sai qual è? Liberare i cittadini dall’epidemia!” e detto questo, Leo se ne andò sbattendo la porta che si richiuse lentamente alle sue spalle.
Da lontano la pecorella lo guardò con uno sguardo vuoto e sinistro, uno sguardo gelido mentre stringeva quel foglio in mano.
Leo si voltò per un attimo e la vide.
Ferma e immobile.
Uno sguardo penetrante che tradiva quella sua aria innocente.
Per la prima volta sentì quella sensazione che lo avrebbe tormentato in futuro.
Ma si voltò di nuovo e tornò nel suo ufficio.
E la porta si richiuse.
 
FINE FLASHBACK
 
“Stai dicendo che quel tatuaggio…”.
“Esatto! Ma non ho prove che possano dimostrarlo, ho solo una netto sospetto che quel montone ci abbia raccontato un sacco di balle e che c’è sotto qualcosa di grosso in quel magazzino”.
“Qualunque cosa sia lo scopriremo”.
La macchina ripartì e i due tornarono in centro.
Da lontano veniva osservati da Harry con uno sguardo cupo dalla finestra del suo ufficio.
Chiuse le tende e si mise a sedere alla scrivania, prese il telefono e compose un numero.
“Pronto? Si sono io, quella coniglietta è stata qui si era proprio lei ma c’era quel leone bastardo e mi hanno intrattenuto, cosa devo fare? Mmmm… ok per il momento ci provo ma sono certo che Leodore già sospetta molto di me e del magazzino… va bene ci proverò, farò come chiedi” e detto questo, riagganciò e tornò al lavoro.
 
Qualche ora dopo
 
Fuori era scoppiato un fortissimo temporale e loro erano tornati a casa per riflettere sulla situazione ed elaborare un po’ il tutto.
Leodore stava a sedere sul divano osservando quella dannata cartina e cercava di pensare quali luoghi sarebbero potuti ipoteticamente essere interessanti per indagare, Judy se ne stava davanti alla finestra della cucina ad osservare con malinconia la pioggia che furiosa batteva sul vetro.
Leo si voltò e la vide lì immobile.
Lasciò perdere per un attimo quella cartina e si alzò dal divano.
Judy non distoglieva lo sguardo dal vetro.

Com’è bella… sembra un fiore smarrito nella pioggia.
Uno sguardo profondo che rievoca lontani passati, terre dimenticate e progetti ormai sfumati.
Un fiore bellissimo che nasconde un carattere di ferro ma un cuore fragile.
I suoi occhi sono capaci di esprimere più di quanto possano fare le sue parole.
Com’è fredda improvvisamente questa stanza…
 
Judy era ancora ferma ma sentì la zampa di Leo sulla sua spalla.
“Va tutto bene? Sei ferma qui da minuti interi”.
“Sto bene ma è la pioggia che mi rende malinconica”.
La coniglietta prese la zampa del leone e la strinse forte con grande sorpresa di Leo, infondendo un grande e piacevole calore anche a lui.
“Sono… sono dei ricordi che mi porto dietro fin dall’infanzia ma non è niente, dì la verità sembro una stupida in questo momento eh?”.
Leo la guardò intensamente.
“No credimi, abbiamo tutti i nostri punti profondi e mostrarli non è segno di debolezza... ci sono passato anche io” disse abbozzando un sorriso.
Judy lo guardò con un viso illuminato e lo abbracciò forte.
“Grazie”.
“Grazie a te e io penso che questa indagine ci abbia preso un po’ troppo e che dovremo anche rilassarci, tanto hai già portato quello che hai annotato stamattina a Bogo no?”.
“Si gliela ho consegnata stamattina quando siamo tornati”.
“E allora adesso ti preparo una tazza di latte caldo e ci guardiamo qualcosa va bene?”.
“Certo!” disse Judy con uno sguardo solare e leggermente arrossito.
Leodore riscaldò subito due bicchieri di latte, prese dei biscotti e si sedette con Judy sul divano scorrendo i canali della televisione.
 
Adesso questa stanza non è più fredda.
 
 

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Capitolo 4
*** Infiltrazione ***


“NO! Così non va!” gridò Bogo battendo un pugno sul tavolo.
“Ma è tutto quello che per ora abbiamo raccolto!” ribatté Judy.
“Ascoltami Hopps! So quello che hai fatto per questa città e il grande caso che hai risolto salvano un sacco di innocenti dal piano di Bellwether e ho rispetto per te, tuttavia non hai ancora imparato ad essere paziente e meno impulsiva! Non mi puoi portare nemmeno una prova e pretendere che io autorizzi una perlustrazione a quei magazzini!”.
“Ma ci sono tutti i sospetti e le buone ragioni per farlo!”.
“Questo non basta”.
Judy si alzò dalla sedia indignata.
“Tu stesso mi avevi detto che quella zona era stata ripulita in seguito a una ordinanza ufficiale e che fu una bella sorpresa per voi dato il grande numero di criminali che ci trovaste, io non ero ancora in servizio all’epoca ma fu un vero massacro”.
“Questo è vero ma credimi non posso fare di più per ora e ti dico la verità, so che sei sincera ma nemmeno io posso dare questo ordine senza le prove necessarie! E poi abbassa il tono delle voce con me! Sono pur sempre il tuo superiore!”.
Judy sbuffò e giurò che avrebbe trovato le prove sufficienti, dopodiché uscì dall’ufficio di Bogo e si diresse verso il salone principale.
Benjamin era ancora al suo posto a ingozzarsi di ciambelle e vide passare la coniglietta.
“Giornata nera oggi?”.
“Abbastanza! Mi serve qualcuno che conosca per bene quel posto, anche meglio di Leodore e credo di sapere a chi chiedere! Dov’è Nick?”.
“L’ho visto uscire poco fa e andare al bar qui dietro l’angolo”.
Judy si diresse di corsa fuori dall’edificio e trovò subito la volpe che stava uscendo dal bar.
“Judy! Dove vai di fretta?”.
“Ho bisogno di parlarti urgentemente”.
“Va bene tanto ho ancora 20 minuti di pausa, rientriamo che ti offro qualcosa”.
Nel frattempo Leodore era fuori dal Municipio e stava parlando al cellulare con Mr. Big.
“Ho bisogno che il mio conto venga sbloccato il prima possibile! E anche delle garanzie!”.
“Ma quali garanzie ti posso dare Leo? Sto facendo tutto il possibile e pian piano arriverò all’obiettivo non ti preoccupare! C’è un sacco di gente che ha bisogno di favori e ho parecchi amici nel sindacato, politica e anche qualcuno nel consiglio di amministrazione della città”.
“Va bene grazie cercherò di essere paziente” e detto questo, Leo riagganciò la chiamata e si diresse verso la stazione di polizia.
Al bar intanto, Judy e Nick erano seduti a un tavolo e lei gli avevo raccontato tutta la situazione.
“Se conosco quel posto? Certamente e diciamo che potrei anche farti entrare da una via secondaria senza essere visti, posso anche trovare un altro modo ma tanto conosco tutte le vie e le strade segrete di quel posto”.
“Non so come ringraziarti”.
“Sei davvero sicura di voler andare in fondo alla questione?”.
“Assolutamente sì! Non mi va che l’organizzazione di quella pazza possa fare altri danni a persone innocenti, tra l’altro credo che stiano preparando altri veleni per far impazzire i predatori”.
“Ne sei sicura?”.
“Ho questo sospetto e se seguono il piano di Bellwether ci può stare”.
Nick annuì e una volta pagato il conto uscì dal locale insieme a Judy e tornarono alla centrale.
Nick aveva però ancora qualche domanda.
“Senti ma allora Leodore per adesso dov’è?”.
“Per ora lo ospito a casa mia”.
Il viso della volpe si contorse in una smorfia ma Judy non se ne accorse.
Continuarono a camminare fino a quando non furono vicinissimi all’entrata.
“E per quanto tempo resterà da te?”.
“Finché non gli sbloccano il conto bancario, ma perché? C’è qualche problema?”.
“No”.
“Hai una faccia strana”.
“Sto bene”.
Judy stava per dire qualcos’altro ma vennero interrotti da Leodore che uscì proprio in quel momento.
Nick lo fissò con un’aria seccata e concentrata quasi come se lo stesse tenendo d’occhio.
“Judy! Ti ho cercata ma mi avevano detto che eri uscita”.
“E ho una novità! Nick può farci entrare nei Magazzini Smart senza problemi!”.
Leo guardò Nick ma si accorse subito del suo sguardo gelido e si limitò a fare un cenno in segno di gratitudine, tuttavia si respirava aria di sfida tra i due e Leo ne era da subito molto seccato.
 
Qualche ora dopo
 
Era sera e tutti i lavoratori del magazzino stavano sistemando gli ultimi pacchi di merce per poi andarsene a casa, c’era pochissima gente ed era il momento perfetto.
Due ombre stavano scivolando tra le mura ed erano Judy e Nick.
“Hai fatto bene a non portare anche Leo”.
“Si infatti è appena uscito di galera e se ci beccavano e lo trovavano in un posto del genere sarebbero stati guai seri”.
“Dov’è adesso?”.
“Gli ho detto di aspettarmi a casa”.
Nick svoltò in un piccolo vicolo con delle porte secondarie e ne scassinò una.
“Da qui si arriva direttamente nella sala principale del magazzino e a quest’ora non c’è quasi nessuno, di giorno mi ricordo c’è qualcuno che sorveglia anche questo punto sul retro”.
“Che spreco di tempo”.
“Non direi visto che il magazzino è enorme e ci sono molte entrate secondarie e quindi più rischio di infiltrazioni, tuttavia nonostante tutte siano molto esposte questa qui è l’unica un po’ più nascosta” e detto questo, la volpe aprì la porta e i due si ritrovarono nella sala principale.
L’ufficio si trovava proprio in fondo alla sala sopra delle scale e loro si mossero furtivamente in mezzo ai pochi lavoratori rimasti, tra casse, scatoloni e qualche camion ancora parcheggiato.
Nick fece un cenno e Judy lo seguì velocemente su per le scale fino alla porta dell’ufficio.
“La puoi scassinare?”.
“Non c’è bisogno sembra che sia aperta”.
Nick aveva ragione e infatti entrarono senza problemi nell’ufficio, era tutto buio e accesero le torce per illuminare bene la stanza, sembrava tutto in regola e si diressero a dare un’occhiata ai cassetti della scrivania.
Judy rovistò tra i fogli ma non c’era niente di interessante, quasi tutti riguardavano consegne e ordini già effettuati e c’erano anche delle ricevute ma niente di più.
Nick guardava fuori dalla finestra e dalla porta per vedere se arrivava qualcuno e provò anche a vedere nel computer, tuttavia l’entrata era protetta da password.
“Non trovo assolutamente niente!”.
“E il computer non vuole collaborare anche se è strano! Ho un presentimento però” e si guardò intorno come se stesse cercando qualcosa.
“Ma cosa stai facendo?”.
“Ci deve essere per forza qualcosa”.
Poggiando la mano sotto la scrivania sentì che c’era un pezzo rimovibile.
“Proprio come pensavo” e quando lo tolse vi era un pulsante rosso dietro.
Non appena lo premette il computer cambiò subito schermata e una lunga fila di file era comparsa di fronte a loro, successivamente si formò una specie di menu alternativo.
“Sei un genio Nick!” disse la coniglietta mettendosi subito a sedere per controllare com’era formato questo menu e notò subito un simbolo in alto a sinistra.
Judy sgranò gli occhi.
“Porca miseria Nick!”.
“Cosa?”.
“C’e l’abbiamo fatta! Quello è il simbolo dell’organizzazione di Bellwether!”.
Il simbolo rappresentava un corno rovesciato e sotto di esso vi era una cartella principale che comprendeva un sacco di file, documenti, immagini, video e anche dei piccoli appunti.
Nick tirò fuori dalla tasca una chiavetta USB e la infilò nel computer.
“Con questa potremo copiare i file”.
Judy annuì e prese subito l’intera cartella per copiarla nella chiavetta.
 
Tutto è così strano…
Lei è sempre così impulsiva e io non so come faccia a sopportarmi.
Ma so di valere tanto per lei e questo mi dà la forza di combattere e di andare avanti.
Non so cosa mi prende ma ogni minuto in più che sto con lei è come se fosse eterno.
Voglio che sia mia.
Farei l’impossibile, ogni cosa per lei e ogni ostacolo abbatterò per lei.
Finché sarà al mio fianco…
E sono talmente ottuso da non averglielo ancora detto ma accadrà.
Lei è tutto.
E io darò tutto per lei.
 
“Nick? Ti sei imbambolato?”.
“Cosa? No no! Sto bene”.
Nick la stava osservando con dolcezza e si era perso ormai nei suoi pensieri.
Ma quanto la desiderava… non avrebbe mai potuto dirglielo con esattezza.
Stavano ancora copiando i file ma all’improvviso si udì un boato e successivamente tutta la gente all’interno del magazzino fuggì, c’era un odore di fumo allucinante e delle fiamme si stavano propagando velocemente nell’edificio.
“JUDY! DOBBIAMO USCIRE SUBITO!”.
“Ma la chiavetta non ha ancora finito di copiare!”.
Nick l’afferrò per la mano.
“Non lascerò che ti accada niente! Lascia stare quei dannati file e andiamocene!”.
Nick la prese e corsero fuori dall’ufficio ma Judy lasciò andare la sua mano e tornò dentro di corsa.
“JUDY!”.
“ASPETTAMI!”.
La copia dei file era quasi finita e mancavano pochissimi secondi, il soffitto dell’ufficio stava però per crollare.
La copia era finita e Judy estrasse velocemente la chiavetta.
Il soffitto crollò.
Gli occhi di Nick erano colmi di terrore ma Judy agilmente era riuscita a scappare in tempo.
“CE L’HO!”.
“BENE! USCIAMO!”.
I due corsero a perdifiato fuori dal magazzino che fece una seconda grande fiammata e si udì un altro boato, loro vennero scaraventati a terra e in lontananza si udirono le sirene dei pompieri che stavano arrivando sul posto.
“Judy… stai bene?” chiese Nick accarezzandola.
“Si… abbastanza”.
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
 
Leodore si precipitò alla porta e vi trovò Judy e Nick.
“Ho appena sentito alla televisione l’esplosione ai magazzini! Ma come sei ridotta Judy?!”.
“L’onda d’urto mi ha fatto fare un bel volo…”.
Leodore la prese tra le braccia e la strinse forte portandola in casa e facendola sdraiare sul divano.
Nick era nervoso.
Sentiva un senso di rabbia nel vedere la coniglietta tra le braccia di un altro ma adesso l’importante era la sua salute, corse a prendere una coperta e stava per riscaldarla ma Leodore si sedette sul divano e la prese tra le sue braccia nuovamente.
“La tua pelliccia è calda…” disse serenamente Judy mentre si riscaldava tra le braccia del leone.
“Ecco ora dovrebbe andare”.
Nick posò la coperta e uscì.
“Io vado alla centrale potrebbero aver bisogno di me e non devono sapere che noi eravamo là”.
“Vai pure ci penso io a lei”.
Nick chiuse la porta molto nervosamente.
Strinse i pugni.
“Dannato… leone!!” e diede un calcio contro il muro.
Fece un bel respiro e scese le scale del palazzo per dirigersi alla centrale.

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Capitolo 5
*** La Scelta ***


Silenzio e calore.
La pioggia che incessantemente batte fuori dalla finestra.
Il calore della stanza sempre più silenziosa.
La notte che ancora non è finita.
 
Judy aprì lentamente gli occhi.
Era in camera sua nel letto tra le braccia di Leodore, si sentiva molto meglio ed era riscaldata da un piacevole calore proveniente dal corpo del leone.
“Finalmente ti sei svegliata”.
“Sono solo un po’ intontita ma sto bene”.
“Lo credo! Hai dormito per un bel po’ di tempo, adesso è quasi mattina”.
“Che ore sono?”.
“Le 5:30”.
Judy si alzò dal letto e cercò di camminare ma era ancora intontita e stava per cadere, Leo la prese in fretta e la portò in cucina tenendola tra le braccia.
“Vuoi che ti preparo qualcosa?”.
“Ti ringrazio e grazie ancora per esserti preso cura di me in queste ore”.
Leo sorrise.
Avrebbe fatto ogni cosa per lei, le era molto riconoscente.
 
Sento un calore nel cuore, un calore che solo Judy mi ha saputo dare.
L’ho sentito già dalla prima notte che ho passato in questa casa con lei.
Ma…
L’odio di Nick nei mie confronti è forte e lo posso immaginare.
 
“Dov’è Nick?” chiese immediatamente Judy non appena ebbe ripreso parzialmente i sensi.
Leodore si irrigidì.
“Era tornato alla centrale in caso avessero avuto bisogno di lui” rispose quasi seccato.
Judy lo aveva notato ma non capiva la situazione.
 
Lo sento chiaramente.
Ma Judy mi ha scaldato il cuore in un modo che nessuno c’era mai riuscito fino ad ora.
La sua generosità, la sua bontà, la sua determinazione e anche la sua testardaggine…
La desidero con tutto il cuore.
Ma non possiamo andare avanti così e lei dovrà fare una scelta.
 
Leodore preparò della cioccolata calda e la servì alla coniglietta.
Sentì la sua mano calda prenderlo dolcemente e ripetergli nuovamente “Grazie”.
 
Così dolce e bella…
 
Judy bevve la sua cioccolata e Leo rimase lì ad osservarla quasi come affascinato.
Lui la prese nuovamente e l’abbracciò ancora.
Stava veramente bene ogni volta che lo faceva.
 
Qualche ora più tardi ai magazzini
 
Bogo era giunto sul posto insieme a Nick, Benjamin e una squadra speciale con tanto di artificieri per far fronte a ogni evenienza, la zona o almeno quello che ne rimaneva era in continua perlustrazione.
“Cos’hai Wilde?”.
“Niente Bogo sto bene”.
“Dalla faccia non si direbbe”.
Nick stava cercando di nascondere il suo nervosismo ma non ci riusciva.
Si allontanò un attimo con una scusa e si rose dentro in silenzio.
“Perché? Perché non riesco a dirglielo?” si ripeteva dentro di sé.
Nel frattempo Bogo grazie a Benjamin aveva trovato delle tracce familiari vicino ai detriti.
“Come sospettavo”.
“Cioè?”.
“Non è stato un incidente, qualcuno ha piazzato due bombe qui vicino e penso proprio a sto punto che Judy aveva ragione e che si nascondesse qualcosa di grosso qui”.
“Cosa faremo adesso?”.
“Per il momento espandiamo le ricerche su questo posto, risaliamo a chi lo gestiva, facciamo un paio di telefonate e tracciamo una pista” detto questo, Bogo si allontanò e tornò da Nick che era ancora in disparte.
Gli posò una mano sulla spalla.
“Non mi prendere per i fondelli Wilde! Lo vedo che hai qualcosa e visto che noi abbiamo ancora da fare qui, ti do la giornata libera se abbiamo bisogno ti chiamerò”.
“Grazie mille Bogo”.
Nick si allontanò velocemente in macchina e si diresse verso l’appartamento di Judy, prima però fece un altro giro.
Judy si era rimessa a letto per riposare un altro po’ e Leo ricevette una chiamata da Mr. Big.
“Ottime notizie Leo! Ho fatto un paio di favori e ho stipulato qualche accordo riguardo il tuo conto bancario, sono riuscito a ottenere il foglio di permesso che lo farà sbloccare”.
“La ringrazio molto Mr. Big!”.
“C’è solo un problema”.
“Ovvero?”.
“Il foglio è stato emesso oggi dal sindacato e verrà fra poco spedito alla stazione di polizia e per essere valido ha bisogno di una firma da parte delle forze dell’ordine, il problema è che ho pochi contatti tra i poliziotti e non sarà facile che venga firmato”.
“Non è un grosso problema spero che qualcuno lo firmerà prima o poi”.
“Lo spero. Vedi è molto sospetta la cosa dopotutto è arrivato improvvisamente e senza preavviso, non scordare che sei uscito di galera da poco tempo ed è insolito che venga emessa un’ordinanza del genere in poco tempo”.
Leodore ringraziò e riattaccò.
Lui sperava che quella firma tardasse ad arrivare altrimenti non avrebbe avuto più nessuna scusa per rimanere a casa di Judy, sarebbe tornato a casa sua dato che avrebbe avuto tutti i soldi.
Judy stava ancora dormendo e Leo decise di rilassarsi ma improvvisamente qualcuno bussò alla porta.
Leo guardò all’occhiello per vedere chi era.
Era Nick.
Non appena la volpe vide la maniglia della porta muoversi, corse via subito giù per le scale.
Leo aprì la porta e intravide la coda di Nick mentre scendeva velocemente, notò che aveva lasciato una lettera e dei fiori e ringhiò.
“Leo? Chi è alla porta?” chiese Judy che si era svegliata.
Leo andò nel panico e velocemente nascose tutto.
“Avevano sbagliato indirizzo”.
Judy si sedette sul divano e accese la televisione, Leodore prese la lettera e i fiori nascondendoli dietro un mobile che si trovava nel salotto e si diresse verso il divano da Judy.
Il leone prese una decisione.
 
Non posso nascondere ancora a lungo ciò che provo per lei.
 
Leodore si sedette accanto a Judy e la guardò intensamente.
La coniglietta da prima non se ne accorse ma poi ricambiò lo sguardo.
“Va tutto bene Leo?”.
Lui non rispose.
Prese la sua mano e l’accarezzò con dolcezza senza staccargli gli occhi di dosso.
“Judy sento che sta per succedere qualcosa”.
“Non ti seguo”.
“Voglio dire… tutto quello che per adesso abbiamo passato in questi ultimi giorni, io e te lanciati in questo nuovo caso, le chiacchierate che facciamo, quello che condividiamo e soprattutto la tua presenza mi fa sentire il più felice del mondo!”.
Judy arrossì.
“Dici davvero?”.
I loro sguardi erano sempre più vicini.
“Si Judy e sei l’unica che ha saputo infondermi questo calore”.
Judy non sapeva cosa dire e sentiva il cuore battere all’impazzata.
Leo non disse altro e la accarezzò in volto.
I loro musi erano sempre più vicini.
“Vorrei che tu…”.
“Si?”.
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
 
Loro uscirono subito da quel mondo che si era creato e Judy si diresse a rispondere al telefono.
Leodore sbuffò.

C’ero quasi!
Ma sono sicuro che i miei sentimenti li ha capiti e sono certo che anche lei lo vuole.
Sono certo che sceglierà me.
 
Judy tornò da Leo con un’espressione diversa e leggermente irritata.
“C’è qualcosa che non va?”.
“Era Nick al telefono e voleva sapere come stavo”.
“E quindi?”.
“Perché non mi hai detto che era venuto? Era lui quello alla porta prima vero?”.
Leodore si bloccò.
Stava sudando freddo e gli era venuto un nodo alla gola.
Stava per dire qualcosa ma Judy notò che c’era qualcosa che si sporgeva da dietro il mobile, fu allora che notò i fiori e la lettera.
“Ma questi…”.
Judy si diresse subito a prendere tutto e se ne andò di corsa in camera.
Leo rimase fermo a sedere su quel divano come un fesso.
Non riusciva più a dire niente, ogni cosa si era bloccata e non poté far altro che aspettare.
Dopo qualche minuto Judy tornò in salotto e il suo sguardo era decisamente cambiato, a questo punto non c’era più niente da fare: aveva capito tutto.
Leo non disse ancora niente e lei si sedette accanto a lui con uno sguardo serio e prese le zampe del leone stringendole forte.
“Voglio che tu sappia una cosa Leo”.
Leo annuì.
“Il tuo affetto che mi hai sempre dato in questi giorni e il tuo aiuto avrà per sempre lo stesso valore per me”.
Leo non capiva.
 
Perché mi sta dicendo questo?
 
Judy gli fece intendere che ormai aveva capito i suoi sentimenti per lei e Leo ne fu felicissimo, tuttavia ancora c’era qualcosa che non andava e lui lo sentiva bene.
Lei si alzò.
“Nick al telefono mi ha detto che gli è stato riferito dalla centrale che è arrivato un foglio riguardante il tuo conto ed è stato firmato oggi stesso, da questo momento il tuo conto bancario è sbloccato e hai di nuovo i tuoi soldi”.
Leo si sentì cadere il mondo addosso.
Era contentissimo di riavere i suoi soldi ma allo stesso tempo era furioso perché avrebbe dovuto lasciare l’appartamento di Judy per tornare a casa sua, questo lo fece immobilizzare a ammutolire ancora di più, non riusciva più a dire niente.
Fece solo un falso sorriso di felicità.
Il campanello suonò di nuovo ed era ancora Nick.
Leo lo guardò.
Adesso erano faccia a faccia.
Judy non si mosse ed era dalla parte di Leodore, Nick non entrò in casa e restò fuori.
Non se la sentiva e stava regnando il silenzio più assoluto.
Leo non si mosse e stava accanto a Judy proprio come se volesse proteggerla dalla volpe ma fu proprio la coniglietta improvvisamente a rifiutare il braccio del leone che la stava parando dalla vista di Nick, fu proprio Judy a fare il primo passo e dopo un attimo di esitazione, Judy corse letteralmente fuori dalla porta tra le braccia di Nick che la strinse forte e non l’avrebbe più lasciata andare.
Leo abbassò la testa.
 
Ha scelto Nick.
 
Leo non disse più niente.
Prese la sua giacca e uscì dalla casa in silenzio, guardò per una frazione di secondo Nick negli occhi ma li dovette abbassare nuovamente.
Poteva sentire Judy che abbracciava la volpe piangendo per la felicità, felicità che condivideva anche Nick in quel momento ora che finalmente lei ricambiava il suo amore.
Leo capì tutto.
La lettera conteneva la dichiarazione di Nick a Judy e il foglio del conto era stato subito firmato da Nick in modo che lui se ne andasse subito da casa di Judy.
Leo scese le scale in silenzio ma a un certo punto si bloccò.
Sospirò.
“Ti amo Judy Hopps” disse senza voltarsi.
Ma ormai quelle parole non fecero nessun effetto e nessuna reazione da parte di Judy e Nick.
Adesso c’erano solo loro e si amavano per sempre, nessun’altro li avrebbe divisi.
Leo continuò a scendere le scale senza dire niente ed uscì dal palazzo.
Salì in macchina e prese a pugni il volante per la rabbia.
Non fece di più, non gridò, non pianse e non ringhiò ma dentro di lui si logorava l’anima.
 
D'altronde cosa potevo illudermi di ottenere?
Io sono entrato nella sua vita all’improvviso, lei e Nick erano già insieme da parecchio tempo.
Hanno condiviso avventure ed emozioni alle quali non potevo avvicinarmi.
Sono un povero illuso.
E devo cancellare Judy dalla mia mente.
Basta così.
 
Leodore accese il motore e partì a tutta velocità.
Attraversò il centro di Zootropolis, la sua Zootropolis illuminato dalle luci degli immensi palazzi, dei fari delle altre macchine con sottofondo la musica jazz della radio.
Privato della ragazza che amava, adesso il leone pensò solo a una cosa: risolvere il caso una volta per tutte e riprendersi il suo ruolo di sindaco.

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Capitolo 6
*** Nuova Pista ***


Intrappolato nel mio dolore ho scritto parole piene d’amore.
Amore illusorio, amore fatale, amore pazzo, amore falso.
Solo come non mai mi ritrovo in questa casa fredda come la mia anima.
Voler dimenticare solo io spero.
E che non mi si ritorca contro un amore sincero.
 
Queste sono state le parole scritte da Leodore prima che abbia bevuto un altro bicchiere di birra.
Il leone mandò giù un altro sorso e ripose il foglio nel cassetto del comodino.
“Basta con queste stronzate”.
Leo si alzò dalla sedia e si liberò di tutti i vestiti per poi buttarsi nel letto a braccia aperte.
Fissò il soffitto con uno sguardo perso.
Era la sbronza o la malinconia?
Non ci stette a riflettere troppo tempo e si rivoltò un paio di volte nel letto in cerca della posizione giusta, non riusciva a trovarla e ringhiò anche qualche imprecazione.
Ok, era la sbronza senza ombra di dubbio.
Si girò e rigirò ancora un paio di volte pensando a un sacco di cose, si alzò di scatto, prese la bottiglia di birra e la lanciò nel secchio della spazzatura, successivamente si buttò nuovamente sul letto ancora a braccia aperte.
Era abbastanza sbronzo ma il sonno stava velocemente prendendo il sopravvento.
Si guardò.
A un tratto si tolse anche le mutande e le lanciò dall’altra parte della stanza.
“Ma si! Via anche queste!” e subito dopo cadde con la testa sul cuscino e si addormentò di colpo.
La sua casa era ancora in ordine così come l’aveva lasciata, tranne per un leggero casino che c’era in camera da letto con vestiti sparsi sul pavimento, qualche bicchiere sul pavimento, fogli e penne in giro per la stanza e una foto di Judy strappata ad artigliate che si trovava ai piedi del letto.
 
La mattina dopo
 
Leo aprì gli occhi e quando si rigirò nel letto per l’ennesima volta, non si accorse di essere sul bordo e cadde sul pavimento e la botta lo aiutò a svegliarsi del tutto.
Si alzò velocemente in piedi e si guardò attorno focalizzando la vista sulla sua stanza.
Si stiracchiò con un sonoro ruggito.
“Meglio ripulire questo schifo”.
Tolse i vestiti da terra mettendoli sul letto, prese tutti i bicchieri e li lavò, rimise a posto tutti i fogli e le penne e infine buttò nel cestino i pezzi rimanenti della foto di Judy, diede aria alla stanza e la ripulì da cima a fondo.
Adesso si sentiva già molto meglio ed era consapevole di aver esagerato la sera prima con tutta quella birra, si diresse in cucina e preparò la colazione.
Versò del latte e prese dei biscotti.
“Devo rifare la spesa, qui non c’è più niente”.
Mentre stava mangiando prese il cellulare e chiamò Bogo per farsi dare i dettagli dell’ultima indagine riguardante l’esplosione al magazzino.
“Non posso rivelarti dei dettagli così preziosi come se nulla fosse!”.
“Coraggio Chief! Mi servono per una cosa importantissima”.
“Ci stai indagando sopra per caso? Perché se è così ti consiglio di starne fuori! Ci pensiamo noi!”.
“Ma no! Sono solo curioso anche perché so che Judy seguiva il caso e mi farebbe piacere esserne al corrente, dopotutto non credi che riguardi me giusto?”.
“Se vengo a scoprire che mi hai preso per il…”.
“Stai tranquillo e dammi i dettagli!”.
“E va bene! Ho scoperto che qualcuno aveva piazzato delle bombe sotto il magazzino per farlo esplodere ma non abbiamo trovato altro, nessun ferito per fortuna dato che tutti erano già usciti in tempo e per ora siamo fermi qui”.
“Grazie mille! E non battere troppo la fiacca mi raccomando”.
“Sei sempre il solito arrogante!”.
“E tu il solito bestione cornuto”.
“COSA!?” ma Leo riagganciò e corse a rivestirsi.
Accese il computer e fece una veloce ricerca nei registri del sindacato e nelle cartelle aziendali, aveva ancora l’accesso a quei archivi dopotutto e ne approfittò ricordandosi il nome del capo del settore del magazzino che è esploso e sul quale aveva visto quel tatuaggio dell’organizzazione, fece una veloce ricerca del nome e dopo qualche cartella riuscì a trovare quello che cercava.
“Harry Nail… capo presso il settore alimentare dei Magazzini Smart e anche un grande lavoratore con una passione per il gioco d’azzardo, schedato due volte dalla polizia si era rifatto un buon nome per buona condotta, carismatico e sempre pronto a prendere una decisione” mentre leggeva aprì anche qualche schedario della polizia e controllò le denunce di Nail, i suoi affari e i suoi spostamenti.
Qualcosa catturò la sua attenzione.
Aprì una seconda scheda dove era presente uno dei locali dove Nail passava le serate.
 
Locale Fever Night
 
“Brutto figlio di puttana” sibilò Leo mentre scorreva il documento.
Fever Night era uno dei locali più grandi e famosi di Zootropolis, giravano un sacco di affari ed era anche in territorio mafioso, era conosciuto molto soprattutto per una cosa: era uno dei locali dove Gazelle si esibiva nei suoi spettacoli.
“Me lo sentivo che c’era qualcosa sotto” disse Leo spengendo il computer e correndo subito in macchina per dirigersi a quel locale.
Quando ci arrivò notò che era chiuso e non apriva prima delle 19:00.
“Tanta strada per niente” si disse il leone ma almeno adesso aveva un’altra pista da seguire.
Improvvisamente vide qualcuno uscire di corsa da uno dei vicoli accanto al locale, era un coniglio bianco vestito in una giacca nera con tanto di capello ed era inseguito da qualcun altro armato di pistola.
Ci fu un colpo e poi un altro, un altro ancora e il coniglio venne ferito a una gamba cadendo a terra.
Leo abbassò la testa e la gente iniziò a scappare a destra e a manca, gli occhi pieni di terrore, lo sguardo angosciato e il terrore sulla propria pelle li divorava.
L’inseguitore non si fermò e ricaricò la pistola.
Il coniglio si rialzò ma inciampò e finì addosso a una macchina parcheggiata.
Si udirono altri spari e qualche grida, l’inseguitore corse alle spalle delle vittima e dopo averli piazzato altri 3 colpi nella schiena, scappò via subito e salì su una macchina che era venuto a prenderlo e se ne andò a tutta velocità.
Tutta la gente si riavvicinò lentamente e con cautela, Leo era come impassibile anche se leggermente turbato ma dopotutto sapeva com’era la vita in quei posti e può darsi che quello fosse stato solo un ennesimo regolamento di conti, il coniglio era a terra in una chiazza di sangue e tutta la gente osservandolo si faceva il segno della croce, qualcuno aveva già chiamato la polizia e un’ambulanza e Leo lo guardò quasi con indifferenza e in silenzio, lui capiva come poteva essere quella vita lì.
“Un tempo queste strade erano sicure” commentò qualcuno.
“Dove andremo a finire?” commentò qualcun altro.
Leo non disse niente e diede l’ultimo sguardo al cadavere per poi allontanarsi in silenzio sovrastato dal suono delle sirene in arrivo.
Decise di aspettare la sera ed entrare in quel locale ma mentre ci pensava non si era accorto di essere sotto casa di Judy, lei abitava lì vicino e non se lo ricordava più dopo ieri sera.
Restò impalato di fronte alla porta.
Doveva solo suonare il campanello ma era bloccato da qualcosa.
“Al diavolo!” ringhiò e se ne andò di corsa.
Nel frattempo in casa della coniglietta, lei e Nick stavano controllando la chiavetta USB con dentro la copia di quei documenti per decifrarli.
Ma ebbero una brutta sorpresa.
“Dannazione!”.
“Cosa?”.
“I file sono criptati e irreperibili! Non riesco a capire si sono come… danneggiati da soli”.
“Forse ho capito! Deve essere stato il trasferimento dal computer alla chiavetta a danneggiarli e sono sicuro che era una trappola, si aspettavano che te o Leodore sareste venuti per prelevarli”.
“Ne sei sicuro? Così si spiegherebbe anche il perché delle bombe”.
“Infatti! Non volevano lasciare alcuna traccia, sono spietati a quanto pare”.
Judy formattò la chiavetta e si alzò dalla sedia andando sul terrazzo a prendere una boccata d’aria.
Nick la seguì con uno sguardo scoraggiato.
“E adesso siamo di nuovo ad un punto morto”.
“Un’altra pista la dobbiamo trovare in ogni modo! La posta in gioco è troppo alta, se quelli nel frattempo sperimentano ancora un veleno per far impazzire i predatori non so come potremo neutralizzarli stavolta”.
“Ma vuoi ancora seguire questo caso?”.
“Certo l’ho promesso a Leod…” ma Judy si bloccò.
Nick la guardò con aria seria.
Sembrava come se si fosse bloccata e tremava.
“Va tutto bene?”.
“Non so come Leodore l’abbia presa e non sono sicura che riuscirò ancora a guardarlo in faccia”.
Nick abbracciò Judy con calore.
“Non ti devi preoccupare sono certo che avrà capito, comunque non può fare altrimenti! Deve accettarlo e basta!”.
“Si hai ragione”.
Il pomeriggio passò in fretta e Leo rimase per tutto il tempo a riposarsi, aveva bisogno di liberare la mente e di non pensare e nient’altro che potesse deconcentrarlo dalla sua missione, erano quasi le 18:30 quando si svegliò e decise di darsi una lavata veloce e di dirigersi al locale con calma, si volle godere l’aria fresca della sera e camminò in dei vicoli in cui non metteva piede da molto tempo mentre si stava dirigendo al locale.
Passò anche a prendere l’aperitivo al bar mentre stava pensando a come trovare Nail nel locale senza dare troppo nell’occhio.
“Di sicuro non avrà perso il vizio” pensò e dopo aver bevuto un goccio, si diresse verso il locale e fece un bel respiro prima di entrare.
Non appena mise piede nel locale gli sembrò di essere entrato in un altro mondo.
La musica era assordante e un sacco di gente ballava, beveva, chiacchierava, gridava o faceva altro ma non c’era qualcuno che stesse fermo.
Leo si diresse verso il centro della sala e notò che Gazelle non c’era ancora sul palco, guardò l’orario delle programmazioni e vide che era previsto un suo spettacolo in tarda serata.
La musica era talmente alta che Leo non riusciva a chiedere nemmeno al barista qualcosa da bere dato che non sentiva la sua voce, provò a farsi capire a gesti e il barista ridendo gli servì una birra fresca.
“Non sei abituato a questi locali eh?”.
“EH?”.
Il barista rise ancora a Leo stava per bere la sua birra ma qualcuno inciampò e gli cadde addosso facendo rovesciare la birra sul pavimento.
“Mi dispiace molto!”.
“Ma come ti sei permesso razza di…” ma Leo si fermò quando vide in volto chi era stato.
I suoi occhi si illuminarono.
“Gazelle!?”.

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Capitolo 7
*** Gazelle ***


Gazelle riconobbe Leodore e si mise in testa un cappuccio per non farsi vedere dalla gente, prese il leone per la zampa e lo portò in una stanza sul retro del locale, chiuse a chiave la porta e accese le luci mostrando che si trattava del suo camerino.
Leo non si immaginava che fosse così ampio e pieno di roba, c’erano un divano, vari mobili oltre che a qualche specchio e cassetti contenenti effetti personali e trucco, sedie d’epoca e poster firmati.
“Qui almeno siamo lontani da quella musica assordante, dimmi Leodore cosa ti porta qui? Scusa la domanda ma è insolito vederti in un locale come questo e poi non ti ho più visto da settimane”.
“Sto dando la caccia a un certo Harry Nail, un montone che dovrebbe frequentare spesso questo posto ed è anche un patito del gioco d’azzardo, tu ne sai qualcosa? Lo hai mai visto?”.
“C’è sempre tantissima gente qui ma mi sembra qualche volta di averlo visto ai tavoli, è veramente bravissimo con i dadi non ha mai lanciato un due in tutta la sua vita, si tratta di una sorta di leggenda tra questi locali e spesso i clienti ne parlano”.
Gazelle prese dello champagne e ne versò un po’ anche per Leodore.
“Grazie, sai verso che ora c’è il pienone ai tavoli di gioco?”.
“Abbiamo aperto da poco e stanno finendo di sistemare tutto ma tra non molto i tavoli saranno pronti per il pubblico, ti consiglio di giocare anche te qualche volta”.
“Devo declinare la tua offerta mi dispiace ma ormai non voglio perdere più niente”.
Gazelle cambiò espressione.
“Tutti perdiamo qualcosa…”.
Leo la guardò.
 
C’è tanta malinconia e tristezza nel suo sguardo…
Così bella e soave ma con qualcosa da nascondere che la turba…
Glielo leggo negli occhi.
Non tutta la bella vita significa che sia anche rosa e fiori e l’ho imparato anche io.
 
Gazelle bevve tutto in un sorso e prese dell’altro champagne.
Leo continuò a fissarla come se fosse rapito dal suo sguardo, non le staccava gli occhi di dosso e stava cercando di capire cosa stesse nascondendo e perché avesse totalmente cambiato a un tratto espressione, tuttavia il cuore di una ragazza è un profondo mare di segreti e lui lo sapeva.
“Che ti succede? Puoi anche guardarmi tranquillamente”.
“Ehm? No io veramente…”.
“Non ti giustificare non me la prendo mica sai? Sono sugli occhi di tutta Zootropolis ogni giorno e molti mi vorrebbero mettere le mani addosso, sono schifosi! Meschini e vigliacchi! Vorrebbero toccarmi tutta e violare il mio corpo ma ignorano che anche io ho un’anima e una dignità!” disse alzando improvvisamente la voce.
Leo rimase stupito.
Gazelle arrossì  e mandò giù un altro sorso.
“Perdona il mio sfogo ma è la verità… scusami ancora”.
“Non ti preoccupare posso capire come ci si sente”.
“NO! TU NON CAPISCI!” gridò alzandosi di scatto dalla sedia.
Leo era rimasto paralizzato.
Gazelle si fermò e chiese scusa ancora per il suo comportamento, ultimamente lei aveva spesso questi improvvisi scatti d’ira stressata dal suo mondo dello spettacolo che la opprimeva, da tutti quei fans che ignoravano la sua persona e desideravano solo il suo corpo, calpestavano i suoi sentimenti, tutti quei concerti e quei contratti firmati continuamente con le più grandi case discografiche della citta e tutte quelle lettere e gli autografi da firmare.
Leo non poteva immaginare quanto impegno e pazienza fossero richiesti per fare la vita famosa della cantante pop, lui non se lo aspettava e tutto quel lusso in cui Gazelle viveva non basta a darli la felicità che meritava.
Aveva bisogno almeno di una vacanza lontana da tutto e da tutti.
Chi lo avrebbe mai detto?
La bellissima Gazelle vittima della sua stessa famosa carriera.
“Avessero almeno la decenza di chiedermi come sto prima di pormi un sacco di fogli e una penna per firmare gli ennesimi autografi…” continuò Gazelle quasi sibilando.
Leo si alzò dalla sedia e andò verso di lei.
Lei lo guardò.
 
Quello sguardo…
 
Leo abbracciò Gazelle.
Regnò un silenzio assoluto nel cuore della ragazza per lunghi e interminabili istanti.
“So cosa significa e cosa stai provando, io prima ero un sindaco amatissimo dai miei cittadini e adesso sto lentamente cercando di ritornare a esserlo, ho fatto molte cazzate e molte ancora ne farò ne sono sicuro ma sono sicuro anche di un’altra cosa: non mi arrenderò mai, non mi abbatterò mai e non mi piegherò mai a nessuno e tu dovresti fare lo stesso, tu dovresti reagire e io so che tu hai la forza necessaria per farlo!” disse Leodore mentre guardava negli occhi Gazelle.
La ragazza ricambiò il suo sguardo e ci si rispecchiò dentro completamente, si sentiva strana ma felice.
“Provaci Gazelle! So che ce la farai” e detto questo, Leo la lasciò e si diresse verso la porta.
“Ti lascio sola perché tra non molto inizierà il tuo spettacolo e non voglio disturbarti” e chiuse la porta lasciando Gazelle senza parole, nessuno prima d’ora l’aveva considerata così tanto.
Leodore tornò in sala e si diresse ai tavoli per cercare Nail ma c’era troppa gente e procedette con calma, molti stavano ancora giocando e qualcuno imprecava per le perdite e qualcun altro esultava per le vincite.
Improvvisamente si udì un grido di felicità e Leo si diresse in quella direzione.
Eccolo lì.
A sedere ad un tavolo c’era Nail che si vantava di aver nuovamente vinto un bel po’ di soldi.
Ma i due si videro subito.
Harry intascò velocemente i soldi e preso dal panico corse via in mezzo alla gente, Leo si lanciò immediatamente all’inseguito facendo a spallate tra le persone per poterlo raggiungere, il montone era troppo veloce e riuscì ad uscire dal locale ma Leo con un balzo raggiunse l’uscita e lo vide subito.
“FERMO!” gridò e Nail salì su una macchina e partì a tutta velocità, Leo salì sulla sua auto e lo seguì senza perderlo di vista.
Attraversarono tutto il centro della città e svoltarono in un vicolo di periferia, Leo non perdeva di vista Harry, adesso ce l’aveva sotto tiro e non poteva farsi sfuggire l’occasione.
Harry fermò la macchina su una strada e uscì a piedi correndo lungo un vicolo, Leo fece lo stesso e non lo lasciò scappare ma lo perse di vista quando il montone sparì dietro un angolo.
“Merda! Ce lo avevo in pugno!” ringhiò Leodore e si mise a cercarlo.
La strada era buia e non c’era nessuno, il leone la percorse con estrema cautela, si potevano sentire strani rumori notturni e l’atmosfera era tetra e tesa.
Leo si guardò continuamente intorno senza perdere d’occhio la strada ed era in costante allerta, si stava addentrando sempre di più per quei vicoli bui fino a raggiungere un giardino con il cancello aperto, intuì che Harry doveva sicuramente essere passato di lì ed entrò nel giardino con cautela accorgendosi di trovarsi davanti a una casa enorme, osservò bene l’ambiente ma a un certo punto si bloccò.
Sentiva una strana presenza dietro di lui.
Senza perdere un attimo e con il cuore che batteva, si voltò di scatto giusto in tempo per fermare Harry che era uscito dall’ombra brandendo un pezzo di legno, glielo afferrò e lo disarmò gettandolo a terra.
“Ma tu guarda cosa abbiamo qui! Vinci sempre un sacco di soldi a quanto vedo e allora il lavoro al magazzino? EH? NON CREDO CHE TU NE AVESSI BISOGNO!” gridò e lo afferrò per il collo.
“Scommetto che era tutto una cazzo di copertura per poter nascondere i vostri affari eh?” disse ancora il leone strattonando Harry.
Il montone stava cercando di liberarsi ma il leone stringeva sempre di più.
“E scommetto anche che sei stato proprio tu a pizzare le bombe eh? PARLA!” ringhiò Leo lasciando andare Harry dalla sua presa.
“Mi hanno costretto… MI HANNO COSTRETTO TE LO GIURO! Sono spietati!”.
“Chi? L’organizzazione?”.
“Esatto! Mi era stato ordinato di tenere a bada te e quella ficcanaso di Hopps ma sapevo che sareste tornati con più domande e io non ci riuscivo, mi hanno allora costretto ad eliminarvi subito insieme all’intera struttura per non lasciare traccia!”.
“Ma tu guarda che bella confessione! TI RENDI CONTO CHE POTEVA MORIRE ANCHE DELLE GENTE INNOCENTE IN QUELLA ESPLOSIONE?”.
“MA IO NON VOLEVO PIAZZARE LE BOMBE! SONO STATO COSTRETTO! MI AVREBBERO UCCISO SE NON LO AVESSI FATTO!” gridò Harry con tutte le sue forze.
Leo lo afferrò nuovamente.
“E adesso dimmi! Dove si trova la base dell’organizzazione?”.
“Non lo so! Te lo giuro! Non so niente! Ricevevo solo ordini e basta! LO GIURO!”.
Leo ruggì e sbatté Harry contro il muro del giardino.
“TU SAI QUALCOSA! Altrimenti ti avrebbero già fatto fuori!”.
“Va bene! So solo che si stanno preparando a qualcosa di grosso! Stanno arrivando attraverso degli accordi che hanno preso con la Mafia molte armi, tutto in centro! Si decide tutto in centro! Chi controlla quelle bellezze controlla Zootropolis! Non so a cosa gli servono lo giuro! Non so altro! Ti prego!” gridò Harry e Leo lo lasciò andare facendogli riprendere fiato.
Leo lo guardò con uno sguardo cupo.
Harry era terrorizzato dallo sguardo del leone.
“Posso andare adesso? Si tratti di affari, solo affari! Ho moglie e figli!”.
“E allora faresti meglio a pensare a lor invece di sputtanare tutti i tuoi soldi su un tavolo da gioco! Anche se vinci o perdi la fortuna prima o poi ti volterà le spalle! PENSA ALLA TUA FAMIGLIA! Non fare gli stessi errori che ho commesso io…” disse Leo con un tono tristissimo che accompagnava quelle parole, prima di andarsene estrasse dalla tasca qualche dollaro e lo lasciò ad Harry che lo ringraziò con tutto il cuore.
“Sparisci” sibilò il leone mentre tornava indietro.
Adesso finalmente aveva le informazioni che gli servivano e si diresse alla macchina in fondo ai vicoli.
Ma dall’ombra uscirono delle figure.
Leo non si mosse e si guardò attorno stando in guardia.
Dall’ombra emersero dei tizi con giacca e cappello nero ed erano anche armati di pistole e qualche mazza da baseball, tuttavia Leo vide subito un corno rovesciato disegnato sui loro vestiti.
Erano dell’organizzazione.
Si avvicinarono in modo minaccioso e da camminare presero a correre, Leo si scansò subito evitando i colpi delle mazze e si infilò in un vicolo correndo all’impazzata, qualcuno sparò contro il leone mancandolo, Leo non si voltò e corse ancora poteva sentire il rumore dei passi dei suoi inseguitori che non lo mollavano e quando arrivò alla fine del vicolo, una macchina nera stava per investirlo ma si buttò in mezzo di strada evitandola.
La macchina si fermò e uscirono altri tizi in giacca nera con in mano dei fucili, dal vicolo arrivarono gli inseguitori e formarono un cerchio attorno al leone.
Leo si rialzò.
Era circondato.
Tutti stavano già caricando le armi ma improvvisamente, la macchina di Leo si diresse verso di loro e il leone non credeva ai suoi occhi, i membri dell’organizzazione si spostarono in fretta per non essere investiti e l’auto si fermò davanti al leone.
La portiera si aprì.
“Gazelle!”.
“SALI! PRESTO!”.
Leo non se lo fece ripetere due volte e una volta salito, la macchina partì immediatamente con tutti dietro che cercarono di sparargli ma invano.
“Ce lo siamo lasciati scappare! Il capo sarà furioso!” gridò uno di loro.
Nel frattempo in macchina Gazelle e Leo guardavano continuamente nello specchietto per vedere se arriva qualcuno ma ora erano salvi.
“Ma tu cosa ci fai qui?” chiese Leo.
“Quando sei uscito ti ho seguito prendendo un taxi e coprendomi con un cappuccio per non farmi riconoscere, ho visto che avevi lasciato la macchina in quel vicolo con la portiera aperta e quando ho sentito gli spari sono corsa da te”.
“Ma perché?”.
“Perché ho bisogno di parlarti  e poi mi immaginavo in quale trappola mortale ti stavi andando a cacciare, se non fossi arrivata in tempo saresti morto! Questa è gente che non scherza!”.
“Me ne sono accorto per questo ti devo la vita, grazie infinite”.
Gazelle annuì e cambiò strada entrando nel centro della città.
“Ma il tuo spettacolo?”.
“L’ho annullato con una scusa per seguirti”.
“Ma perché?” continuava a ripetere il leone.
“Perché… perché tu mi hai trattato in un modo che nessuno aveva mai fatto, mi hai detto delle parole bellissime che nessuno mi aveva mai detto e sentivo il bisogno urgente di parlare ancora con te! Stasera ti ospiterò a casa mia, non devi andare troppo in giro dopo quello che è successo”.
Leodore arrossì e annuì in silenzio mentre i due si stavano dirigendo verso la villa di Gazelle.

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Capitolo 8
*** Cuore Ferito ***


Gazelle continuò a guidare e Leo stette in silenzio osservando la lunga strada che pareva interminabile.
Arrivarono finalmente di fronte a un enorme cancello dietro il quale si estendeva una villa enorme, Gazelle estrasse dalla tasca del vestito un telecomando e il cancello si aprì di colpo permettendo di entrare e si richiuse subito.
Il giardino della villa era molto vasto e vi erano anche delle sculture di aiuole rappresentati Gazelle, le sue tigri stripper e anche qualche altra celebrità conosciuta dalla cantante, anche i fiori erano molto curati e al centro c’era una grande fontana, c’erano molte luci e gli irrigatori erano accesi.
Leo rimase di sasso di fronte a quello spettacolo, non si era mai avvicinato più di tanto alla villa di Gazelle nella sua carriera di sindaco e non aveva mai oltrepassato il cancello, tutto quello lo affascinò e lo spaventò allo stesso tempo.
La macchina si fermò davanti a una grande scalinata che conduceva all’entrata della villa.
Gazelle spense il motore e scese.
“Ci siamo” disse e prese la borsa mentre Leodore scendeva.
“Che strano”.
“Cosa?”.
“Mi aspettavo che ci fossero anche dei domestici”.
Gazelle rise.
“Gli ho mandati in ferie per un periodo” disse mentre salivano le scale.
“E la macchina?”.
“Non ti preoccupare ci penserà Gerard a parcheggiarla nel garage”.
“Gerard?”.
“Ogni cosa a suo tempo” disse la ragazza aprendo il grosso portone.
Leo sgranò gli occhi.
Il giardino non era niente in confronto all’interno della villa, una sala enorme si estendeva di fronte a lui, mobili, quadri, oggetti e molto altro era tutto d’epoca e si confondeva con l’aspetto moderno dell’abitazione, divani e molto altro, c’era anche un piccolo bar e un camino con sopra un grande orologio e ancora sopra un quadro di Gazelle.
Gazelle però non disse una parola e rimase indifferente di fronte all’espressione sbalordita di Leo che mai si sarebbe aspettato tale spettacolo, era ancora rimasto senza parole e immobile.
Gazelle fece accomodare Leo su uno dei divani e una tigre arrivò correndo dal corridoio.
“Gazelle! Ma dov’eri? Quando prima ci avevi detto di andare a casa e sei scappata di corsa in quel taxi ci siamo preoccupati, dove sei stata e che ti è successo?”.
“Va tutto bene Gerard! Sono stata a tirare fuori dai casini il nostro Lionheart”.
“Ma è questo Gerard?” chiese Leo.
“Esatto ed è il capo delle mie tigri ma a proposito dove sono i tuoi fratelli?”.
“Sono nella stanza di là e ti stanno aspettando”.
“Andrò da loro tra poco intanto intrattengo il nostro ospite, c’è la sua macchina qui in fondo alla scalinata te ne occupi te?”.
La tigre annuì e uscì dalla villa mentre Gazelle prendeva qualcosa da bere al piccolo bar e si sedeva davanti a Leo.
“Fratelli?” chiese Leo.
“Esatto forse tu non la sai la storia ma te la spiego subito, Gerard è il più grande dei suoi 3 fratelli Bruce, Jacob e Kiefer e io mi sono presa cura di loro e insieme siamo arrivati al successo, anche loro si sono presi cura di me e adesso siamo in affari ma sono anche i miei più grandi amici e credo proprio siano gli unici veri amici che mi sono rimasti, come puoi vedere tutto questo lusso come ti avevo già detto mi opprime e l’unica cosa che mi tiene su di morale sono loro”.
Gazelle aveva cambiato ancora l’espressione e il tono di voce, Leo se ne accorse e non fece nessun’altra domanda limitandosi a guardare ancora ciò che lo circondava ma dovette presto rompere il silenzio che si era creato.
“Perché mi hai salvato?”.
“Quello che hai detto su di me… mi ha profondamente colpito” disse piano Gazelle senza guardare Leo negli occhi.
Leo non seppe cosa dire.
Lui aveva detto solo quello che pensava.
 
La verità…
La verità è che Gazelle non riesce ad accettare quello che ha, la verità è che lei è schiacciata dalla sua stessa fama, la verità è che dietro a tanta ricchezza può celarsi una vita di malinconia.
La verità è che nessuno la capisce per quello che veramente prova, la verità è che nessuno la comprende per ciò che veramente vorrebbe.
Ma…
La verità è che a nessuno importa niente di lei ed è per questo che si sente sola.
L’unica cosa che tutti vogliono vedere è il suo viso, l’unica cosa che tutti vogliono sentire è la sua voce e l’unica cosa che tutti desiderano è il suo corpo.
 
Gazelle aveva ancora il capo abbassato ma lo alzò di scatto e fissò negli occhi Leodore.
“Cosa pensi di me veramente?”.
“Cosa? Te l’ho già detto”.
“Non è vero! Tu hai qualcos’altro da dirmi! NON MENTIRE!” disse con un leggero nervosismo ma poi si riprese subito.
“Scusami è stato l’ennesimo attacco nervoso, non so più nemmeno credere a ciò che mi dice la gente e ti chiedo ancora perdono”.
“Non fa niente posso capire come te la stai passando e ti dico una cosa”.
Leo si alzò e mise la sua zampa sulla spalla di Gazelle.
“Se vorrai il mio aiuto lo avrai! Dovrai solo chiedermelo”.
Gazelle arrossì e lo guardò negli occhi.
“I tuoi occhi sono meravigliosi”.
“I miei occhi?” chiese Leo.
“Si, c’è come una specie di macchia all’interno che li fa brillare”.
Leo fece una piccola risata.
“Quella? Ce l’ho dalla nascita e non si nota molto ma mi dona una vista particolare”.
“Ovvero?”.
“Vedo cosa si nasconde dietro gli occhi altrui… e dietro ai tuoi posso vedere il vero motivo del tuo successo: tu”.
Gazelle era arrossita molto e non disse più niente, si limitò a sorridere e prese per mano il leone conducendolo sull’enorme terrazzo della villa, da lì si poteva ammirare lo spettacolo mozzafiato di tutta Zootropolis illuminata di notte.
“Ogni volta vengo qui quando mi sento sola e questa vista mi riscalda”.
“Veramente spettacolare! Ma sono sicuro che in mezzo a tutte quelle luci c’è una che brilla ancora di più” disse Leo prendendo la mano di Gazelle e stringendola forte.
Lei cantò a bassa voce e con un tono più soave qualche nota di Try Everything mentre osservava il leone e infine gli diede un grande abbraccio.
Una lacrima scese lungo la sua guancia.
“Sei un tesoro Leo”.
Lui non disse niente e annuì con la testa per poi tornare dentro e bere un drink.
 
Ho fatto tante cazzate nella mia vita e lo ammetto.
Ma fino ad ora non avevo mai visto un cuore così ferito nascosto dietro a tanta bellezza.
Sento il bisogno di aiutarla.
Sento che stavolta non sto sbagliando.
Sento che potrei fare veramente qualcosa di giusto per lei.
E per me.
 
Leo bevve un drink e improvvisamente il citofono della villa suonò e Gazelle corse subito a vedere chi fosse, non appena lo vide sorrise e aprì il cancello.
Una coniglietta e una volpe si presentarono davanti al portone.
“Judy!”.
“Gazelle! Da quanto tempo!” disse abbracciandola.
Nick era ammutolito dalle bellezze che c’erano in quella villa e non disse niente, fece solo un cenno in segno di saluto.
“Lui dov’è?” chiese Judy con un’espressione leggermente incazzata ma poi voltandosi lo vide.
“TU!” gridò correndo verso Leodore che era rimasto imbambolato.
Aveva uno sguardo omicida ma si aggrappò con tutte le sue forze al leone stringendolo forte.
“DOVE SEI STATO? Io e Nick eravamo già in paranoia! Abbiamo beccato poco fa una banda di criminali in nero che bazzicava in periferia e abbiamo chiamato una squadra speciale che li ha presi tutti, Bogo era furioso voleva spaccare tutto e poi ti ho rintracciato attraverso un chip che ho messo nel tuo cellulare, ma adesso dimmi COSA CI FAI QUI DENTRO!?” gridò Judy.
Leo non disse niente e si scrollò subito di dosso Judy.
“Io con te non ci parlo ma se ti interessa è stata Gazelle a salvarmi la vita o mi avresti ritrovato a terra in una strada di periferia crivellato di colpi, questa indagine me la lavoro da solo e tu stanne fuori!” ruggì Leo.
“E no! Ormai ci sono dentro e ti avevo dato la mia parola che l’avremmo risolta insieme! Io non mi tiro indietro!”.
“Fai come vuoi ma cancella subito quel noi! Io faccio da me e a modo mio!” disse Leodore senza guardare in faccia la coniglietta e si andò a sedere sul divano bevendosi un altro drink.
Nick sospirò.
“Ha bisogno di tempo” disse.
“Va bene! Ma di me non ti libererai! Questa è anche la mia indagine!” disse Judy e tornò da Nick.
Gazelle si intromise un attimo.
“Visto che siete tutti qui ormai cosa ne dite di passare la notte da me?”.
“Dobbiamo declinare l’offerta mi dispiace, siamo reperibili e Bogo può richiamarci in ogni momento alla centrale” dissero Nick e Judy andando via.
Judy guardò ancora Leo prima di uscire ma poi si voltò e strinse la mano a Nick.
Loro se ne andarono e Gazelle spense le luci.
“Sono abbastanza stanca, vieni ti mostro la tua camera” disse al leone e lo portò al piano di sopra.
Un lunghissimo corridoio si estendeva a vista d’occhio e c’erano molte porte, Gazelle si fermò davanti a una di queste e la aprì con una chiave speciale.
“Se hai bisogno di me la mia camera è in fondo al corridoio” disse Gazelle mentre se ne andava.
“Buonanotte” disse il leone senza staccarle gli occhi di dosso e chiuse la porta.
Si liberò dei vestiti e si gettò sull’enorme letto che era nella stanza.
Pensò a quello che aveva detto Nail.
“Armi… l’organizzazione sta facendo arrivare nel centro di Zootropolis un sacco di armi, si stanno preparando a qualcosa di grosso…”.
Spense la luce.
“Devo tornare al mio posto di sindaco al più presto!” e chiuse gli occhi addormentandosi.

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Capitolo 9
*** Brutta Sorpresa ***


“Pronto? Sono io”.
“Leodore! Dimmi pure!”.
“Mi ascolti Big, la situazione sta diventando incandescente e ho bisogno urgentemente che lei si muova per farmi tornare al mio posto di sindaco, non ce la posso fare da solo e il suo aiuto mi può essere fondamentale”.
“Come al solito non ti posso dare garanzie ma stai sicuro che muoverò i miei uomini il prima possibile, tuttavia mi hai incuriosito cosa sta succedendo?”.
“Ho trovato e interrogato Nail e mi ha detto che sta arrivando da parte dell’organizzazione un grosso carico di armi nel centro della città, sembra a quanto pare che si stiano preparando a qualcosa di grosso e io se avessi i miei poteri di sindaco potrei tentare qualcosa ma per adesso sto a un punto fermo”.
“Cosa? Allora è proprio come sospettavo”.
“Che intende dire?”.
“Glielo spiegherò prossimamente, adesso ho da fare” e riattaccò la chiamata.
Leodore mise in tasca il cellulare e prese un altro bicchier di latte, si trovava nella cucina di Gazelle ed era un vero paradiso.
“Non ti ringrazierò mai abbastanza per la tua ospitalità”.
“Figurati e vieni pure da me quando vuoi, questo è il minimo che possa fare dopo tutto quello che mi hai detto e penso di aver capito che persona sei” disse Gazelle con uno sguardo felice.
 
No Gazelle, tu non sai che persona sono.
Dicono tutti di conoscermi ma la verità è che nessuno sa realmente qualcosa di me.
Mi faccio schifo da solo e ho tante stronzate che ho fatto in passato nascoste dentro di me, io non voglio assolutamente che vengano rivelate.
Meno mi conosci e meglio è.
 
Leodore finì di fare colazione e si alzò di scatto.
“Ho delle faccende da sbrigare e degli affari rimasti in sospeso”.
“Va bene! Volevo dirti…”.
“Si?”.
Gazelle ebbe un attimo di incertezza, prese la giacca di Leo e gliela passò.
“Te lo dirò più tardi! Buona Giornata!”.
Leo aggrottò le sopracciglia e uscì dalla villa, prese la macchina e si diresse in città.
Guidò con prudenza e con calma a causa dell’enorme traffico che c’era quella mattina.
 
C’è assolutamente una cosa che devo fare prima.
 
Si stava dirigendo in centro ma una macchina lo superò prepotentemente e si piazzò davanti a lui.
Leo suonò il clacson imbestialito e per tutta risposta il guidatore gli fece il dito medio dal finestrino.
“Idiota!” ruggì il leone mentre svoltava l’angolo e trovò parcheggio vicino a un bar, scese e si diresse verso la stazione di polizia.
Appena entrato andò al bancone per vedere se c’era Clawhauser, come al solito il ghepardo stava finendo la sua scatola di ciambelle e si diresse da Bogo nel suo ufficio.
Il bufalo se ne stava alla sua scrivania con le luci abbassate per far intendere che l’ufficio era vuoto, stava guardando con uno sguardo fulminato uno di quei video di danza con Gazelle, ovviamente aveva modificato la faccia della tigre per metterci la sua, era talmente elettrizzato da essere anche eccitato.
Non staccava gli occhi da quello schermo e non si accorse nemmeno che qualcuno stava bussando alla porta, non interruppe la sua visione e continuò a fantasticare su Gazelle, a volte le sue fantasie superavano qualsiasi perversione sessuale ma non se ne accorgeva nemmeno.
Leo si stancò di bussare e aprì direttamente la porta.
Bogo mise subito il cellulare in tasca e accese di corsa la luce.
“LEODORE! COSA CI FAI QUI?”.
“Dovresti essere più concentrato sul lavoro”.
“LO ERO! Stavo solo…”.
“Stavi solo chiuso qua dentro al buio segandoti su uno di quei video dance di Gazelle, senti non mi prendere per un idiota lo so benissimo cosa fai tu qui, a proposito parliamo di cose serie” disse Leo sedendosi davanti a Bogo.
“Che cosa vuoi?”.
“Sto cercando Judy Hopps sai per caso dov’è?”.
“Ogni volta che vieni qui chiedi di lei! Ma cos’è? La tua ragazza? O che cosa?”.
Leo sbatté un pugno sulla scrivania.
“PORCA MISERIA BOGO! Vengo qui tranquillissimo e ti trovo a masturbarti su un video del cazzo invece di pensare al tuo lavoro, mi fai pure le tue battute spicciole e pretendi che non perda anche la pazienza? Ti ho fatto una semplice domanda! Dov’è Judy? Devo solo parlarle!”.
“Innanzitutto abbassa il tono della voce con me! Ti ricordo che non sei ancora il sindaco di questa città! E comunque Judy si trova con Nick in una missione sotto copertura in uno dei quartieri in cui abbiamo registrato delle infiltrazioni mafiose, dalle recenti analisi abbiamo scoperto che sembra esserci un traffico illegale di armi, abbiamo mandato proprio Judy e Nick in borghese per non farsi riconoscere”.
“Aspetta! Traffico illegale di armi? E dov’è questo quartiere di preciso?”.
“In centro”.
Gli occhi di Leo si illuminarono e si alzò di scatto dalla sedia, mise le zampe sulla scrivania e guardò Bogo dritto negli occhi.
“Dimmi il nome del quartiere!”.
“NO! Non posso rivelartelo!”.
“Ma perché?”.
“ABBASSA LA VOCE! Non posso dirtelo e basta! Si tratta di una missione in borghese e non posso in nessun modo rivelartelo, non mi fido nemmeno più di te” disse Bogo in modo secco e Leo si allontanò dalla scrivania.
“Come vuoi” disse mentre usciva dalla stanza.
Si diresse nel salone principale pensando a un modo, ad un tratto gli venne un’idea.
Andò nuovamente al bancone e trovò Benjamin che aveva appena finito la scatola.
“Ehilà! Ma tu guarda! Hai già finito le ciambelle?”.
“Purtroppo! Non so se mi sono portato abbastanza dollari per comprarne altre”.
Leo ghignò ed estrasse il portafogli dalla tasca senza farsi vedere.
“Ma chissà! Forse io potrei darti una mano a comprare molte ciambelle, così tante ciambelle che ti basteranno per tutto il giorno!”.
Benjamin aveva gli occhi lucidi.
“V-VERAMENTE?”.
“Esatto! Ma ho bisogno di una piccola informazione! In quale quartiere sono andati Judy Hopps e Nick Wilde?”.
“Ehm… non posso rivelartelo! Sono ordini di Bogo”.
Leo posò sul bancone una banconota da 100 dollari.
Benjamin schizzò alle stelle.
“In Mulver Street! Sono andati proprio lì!” gridò Benjamin stringendo tra le mani quella banconota come se fosse un tesoro.
Leo ringraziò e si diresse in auto verso quella via.
Judy e Nick erano nel frattempo in una macchina in Mulver Street da un bel po’ di tempo, si trovavano di fronte a un bar e stavano tenendo d’occhio chi entrava e chi usciva, erano passati minuti interi e la coniglietta stava iniziando a stancarsi.
“Sei sicura che verrà?”.
“A questo punto inizio a perdere le speranze!”.
Nick esaminò ancora la foto del sospetto che gli aveva fornito Bogo.
Corrispondeva a un montone con un corno spezzato e nell’osservarlo, Nick scoppiò improvvisamente a ridere.
“Ma che hai?”.
“Ricordi quando eravamo insieme a Bellwether?”.
“Si”.
“Io le palpavo il pelo morbido in continuazione e te avevi uno sguardo assassino! Ahahahaha!”.
“Ma non puoi palpare le prede! C’è una legge di ferro qui!”.
“Si lo so ma che ci posso fare? Non mi fanno mai avvicinare alle pecore!”.
“Chissà perché” rise Judy ma poi voltò subito lo sguardo verso il bar.
Anche Nick ci diede un’occhiata e notò qualcuno vestito con un abito elegante, aveva una robusta corporatura e due corni di cui uno spezzato.
“Judy”.
“Si l’ho visto”.
“Che dici?”.
“Direi di entrare in azione, non cambieremo le cose restando fermi qui”.
Loro uscirono dalla macchina e si diressero lentamente e con cautela verso il sospetto, cercavano di confondersi tra la gente per non creare sospetto ma improvvisamente si fermarono, Judy fu la prima e fece cenno a Nick di non procedere oltre.
C’era qualcosa di strano.
Il montone si stava guardando ossessivamente intorno come se stesse aspettando qualcuno, la sua mano era infilata nella giacca come se dovesse estrarre qualcosa, il suo sguardo scrutò l’ambiente circostante con grande attenzione.
“Non è possibile” sibilò Nick.
“Allontaniamoci un attimo” disse a bassa voce Judy, tuttavia il montone si voltò immediatamente verso di loro e li puntò con lo sguardo.
Loro non si mossero.
Qualcosa scattò in Nick e prese improvvisamente Judy per un braccio.
Il montone si tirò fuori la mano dalla giacca ed estrasse una pistola.
Il tutto durò pochissimi secondi.
Il montone iniziò a sparare all’impazzata, Nick e Judy si erano rifugiati dietro una macchina ed estrassero le pistole.
“Tu vai là dietro quel vicolo! Io lo distraggo!” disse Judy correndo fuori dal rifugio e riparandosi dietro un muro, Nick ne approfittò e si piazzò dietro un’altra macchina.
I due risposero al fuoco e fecero attenzione a non ferire nessun civile, la gente aveva iniziato a scappare e il montone estrasse dalla tasca una granata.
“Dannazione!” pensò Nick mentre cercava di pensare a cosa fare.
Il montone lanciò la granata accanto al muro dove si era riparata Judy.
“JUDY! ALLONTANATI!” gridò la volpe e la coniglietta uscì allo scoperto, venne puntata dal montone e stava per premere il grilletto, tuttavia alle sue spalle spuntò Leo e lo investì con la macchina scaraventandolo a terra.
Il leone scese subito e prese Judy e Nick, corse via giusto in tempo prima che la granata esplodesse.
“State bene?”.
“Si! Ma tu che ci fai qui?”.
Leo non ebbe il tempo di rispondere, il montone si rialzò e puntò la pistola ancora contro Judy ma Nick gli andò addosso con tutta la forza che aveva facendolo cadere a terra, ma quest’ultimo diede un calcio in faccia alla volpe e si rialzò velocemente scappando dietro un vicolo.
Judy sparò più volte ma non riuscì a beccarlo.
“Questa non ci voleva!” gridò Nick sbattendo un pugno a terra per la rabbia.
“Eppure… eppure era come se sapesse che stessimo arrivando! Ci stava aspettando!”.
“Ma cosa dici? Qualcuno lo avrà informato?”.
“Molto probabile! Comincio a pensare che ci sia una talpa alla centrale!”.
Leo voleva parlare assolutamente con la coniglietta ma non gli parve il caso.
“Grazie veramente Leo! Ci hai salvato” disse Judy stringendo la zampa al leone.
Leo annuì e aspettò insieme a loro l’arrivo degli altri agenti chiamati da Nick.

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Capitolo 10
*** La Morte all'Opera ***


I rinforzi chiamati da Nick non tardarono ad arrivare.
Una grande orda di poliziotti circondarono l’area e la chiusero al pubblico, corsero subito a interrogare Nick e Judy su cosa fosse successo, iniziarono a ispezionare l’area e fecero anche qualche fotografia sulla scena della sparatoria.
Bogo scese dal furgone della squadra speciale che era arrivato proprio in quel momento e si diresse verso l’area della sparatoria, corse subito da Nick e Judy cercando di farsi dare più informazioni possibili sull’accaduto.
Ma era evidente che in realtà era preoccupato per la loro salute ed era felicissimo che si fossero salvati, non gli importava se il sospetto era fuggito.
“Almeno non ho perso due dei miei migliori agenti” disse a bassa voce Bogo per non farsi sentire ma tanto loro avevano capito e la cosa li rincuorava, tuttavia non appena Bogo vide Leo si precipitò verso di lui con un’espressione rabbiosa.
“TU!” gridò afferrandolo per la giacca e sbattendolo contro un muro.
“EHI! Non ti scaldare tanto!”.
“SI INVECE! Tu adesso mi devi assolutamente dire cosa diavolo ci stavi facendo qui! QUI! Ti sei intromesso in una missione importantissima! Ti rendi conto che dovrei arrestarti qui seduta stante?”.
“Ma tu non lo farai perché questa indagine riguarda anche me, soprattutto me! E se vuoi posso anche darvi volentieri una mano”.
Bogo lasciò andare Leo e gli poggiò una mano sulla spalla.
“Almeno stai bene?”.
“Si! Ma cosa fai? Adesso ti preoccupi per me?”.
“Non farti illusioni! Da morto non potresti servirmi a un granché, ho bisogno che tu sia vivo e in salute per poter parlare! E adesso dimmi cosa hai scoperto”.
“Ieri sera ho beccato Nail e sono riuscito a farmi dire un sacco di cose interessanti”.
“Quello del magazzino?”.
“Esatto, mi ha detto chiaramente che è stato lui a piazzare la bomba ma lo hanno costretto perché avevano minacciato di morte la sua famiglia, inoltre mi ha detto di un grosso carico di armi che sta arrivando nel centro della città ed è proprio per questo che quando me lo hai detto che tenevate sotto controllo questo tizio, ho pensato che fosse invischiato nella cosa”.
“Ma perché non me lo hai detto subito prima quando sei venuto nel mio ufficio?”.
“Perché non sono uno che rivela così facilmente i miei affari”.
Bogo sbuffò ed estrasse dalla tasca un taccuino e una penna, scrisse velocemente tutto quello che gli aveva riferito Leo e lo ringraziò, tuttavia non voleva ancora collaborare con lui.
“Perché? Una questione di orgoglio? Eh Bogo?”.
“L’orgoglio non c’entra niente, non mi fido di te e basta!” disse Bogo tornando dai suoi colleghi per dirigere le operazioni.
 
Ma guardalo.
Il duro e orgoglioso capitano Chief Bogo che mostra il suo lato affettivo.
E nemmeno vuole ammettere che anche lui ha bisogno di un aiuto.
Tipico.
Ma non lo avevo mai visto così, non sembra nemmeno lui.
Si preoccupa così tanto pe Judy e Nick ma anche per gli altri suoi agenti.
Sa che farebbero ogni cosa che lui ordinerebbe, sa che vorrebbero solo accontentarlo e non farlo incazzare, sa che farebbero ogni cosa per vederlo felice.
E lui ci tiene a loro, ci tiene in tutti i sensi ma lo dimostra a modo suo.
Quanto ti invidio Bogo, tu non puoi saperlo.
Sono io che avrei bisogno del tuo aiuto e non tu del mio.
 
Leo decise di cambiare aria e si diresse verso casa sua, non c’era stata nessuna infrazione e nessuno gli aveva sfondato la porta come da un lato si aspettava.
Entrò nel suo studio e si mise a sedere cercando di pensare a cosa fare.
 
Bogo non collabora.
Big non mi ha fatto ancora sapere niente.
Stanno preparando qualcosa di grosso e io non posso fare niente.
Non ho proprio ancora nessun potere.
Che schifo.
E quindi? Starò qui a girarmi i pollici senza far niente.
 
Il cellulare squillò improvvisamente risvegliando bruscamente Leo dai suoi pensieri.
“Pronto?”.
“Leodore? Sono Gazelle!”.
“Gazelle? Ma come hai il mio numero? Vabbè non fa niente, dimmi pure”.
“Ricordi quella cosa che ti volevo dire stamattina?”.
“Sì”.
Si udirono dei piccoli rumori e mix di voci confuse dall’altra parte, sembrava come se Gazelle stesse chiedendo consigli a qualcuno.
“Ti volevo dire che stasera alle 19:00 ci sarà uno spettacolo di opera lirica al Teatro Rinascimentale e si tratta di un vero e proprio evento, mi stavo chiedendo… ecco… se ti andrebbe…”.
Leo era stupito.
“Volentieri! A che ore ti passo a prendere?”.
“Sarò pronta per le 18:30”.
Leo annuì e riattaccò la chiamata.
 
Mi sento strano.
 
Dopotutto si era così tanto concentrato sul caso, sulle sparatorie, sull’organizzazione, sui misteri nascosti di Zootropolis e su un sacco di altre cose, aveva dimenticato però di come intanto girasse il mondo intorno a lui, aveva perso interesse per le attività quotidiane sulle quali era sempre stato massimamente informato e si è lasciato sfuggire uno di quegli eventi che tanto adorava.
Rise e corse in camera sua per vedere quali vestiti eleganti aveva nell’armadio.
“Ma dai! Non ho bisogno di starci a pensare un’ora! Visto che è un’opera lirica, un classico smoking sarà perfetto!” disse mentre prendeva un suo smoking che non indossava da tempo.
Gazelle che lo invitava a uscire.
Non ci poteva credere.
Nel pomeriggio decise di svagarsi e andò a fare la spesa, pulì la casa e si riposò.
Aveva ancora le parole di Judy nella testa.
 
“Comincio a sospettare che ci sia una talpa nella centrale di polizia!”.
 
Scacciò subito quelle parole dalla testa, non voleva sentirne parlare per tutta la serata.
Le 18:00 arrivarono in fretta e decise di essere puntualissimo, si vestì per bene con lo smoking scelto e si precipitò subito in macchina, fece il tragitto con calma e arrivò davanti alla villa di Gazelle.
Aveva il cuore a mille.
Parcheggiò davanti alla grande scalinata che conduceva all’entrata, scese e aspettò l’arrivo di Gazelle.
Erano le 18:30.
Eccola lì.
In cima alle scale insieme alle sue tigri, tutte avevano lo smoking.
Era bellissima.
Indossava un lungo vestito rosso che brillava, aveva dei lunghi guanti bianchi dalle mani fino ai bracci e una collana di brillanti al collo.
 
Bellissima… sembra una Dea.
 
Leo rimase impalato ad osservarla e lei rise sottovoce, gli fece un cenno e lui si riprese subito, aprì la portiera della macchina e attese che lei scese.
Gerard insieme alle altre tigri la stava accompagnando tenendola per mano giù per la scalinata, quel vestito era bellissimo ed era insolito vederla in quel modo, di solito indossava sempre quel piccolo abito lucente che la lasciava molto scoperta.
Gazelle salì in macchina, Leo chiuse la portiera e si mise subito al volante.
“Sei bellissima” cercò di dire il leone ma non riusciva a guardala in faccia.
“Grazie! Mi puoi anche guardare, non c’è niente di male sai? In effetti anche tu stai benissimo non ti avevo mai visto in smoking”.
“Grazie ma le tigri? Non vengono con noi?”.
“Loro vanno a un altro spettacolo”.
“Che genere?”.
“Di beneficienza”.
Leo accese il motore e la macchina partì subito, uscì dal cancello ed era già sulla strada principale.
“Non lo avrei mai detto”.
“Te l’ho detto Leo, nessuno ci conosce veramente noi celebrità, questo è da sempre un difetto di tutti i fans e le mie tigri hanno un sacco di misteri, ti posso rivelare che nel tempo libero non stanno con me sul palco ma vanno a fare degli spettacoli di beneficenza, raccolgono qualche soldo da donare ai quartieri poveri di Zootropolis”.
“Ma siete pieni di soldi!”.
“Sapevo che lo avresti detto, tuttavia non posso donare di tasca mia altrimenti lo avrei già fatto da un sacco di tempo, la verità è che il mio conto è tenuto sotto controllo dalla banca centrale e prima di fare una spesa devo chiedere a loro. Capisci? Anche per questo mi sento oppressa, non posso nemmeno spendere a piacere il mio denaro”.
Leo continuò a guidare e arrivarono nel centro.
“Ci siamo quasi” disse ma Gazelle sembrava che non lo stesse ascoltando, aveva lo sguardo perso e l’espressione pensierosa, guardava continuamente fuori dal finestrino.
“Non siamo così tanto diversi noi due Leodore, ma è anche per questo che in molti ci vorrebbero vedere morti” disse improvvisamente.
“Non lo metto in dubbio” ribatté Leo anche se non aveva del tutto capito il significato di quelle parole.
Finalmente arrivarono davanti al grande teatro, c’era un sacco di gente elegante e nessuno si aspettava di vedere Leodore e Gazelle.
“Però è insolito vedere una pop star a un concerto lirico” disse Leo prima di scendere.
“Ti posso dire la verità? La musica pop mi fa schifo ed è solo il mio passatempo, sono diventata così famosa in quel genere perché qualcuno ha detto che la mia voce era perfetta per il pop, tuttavia la mia vera passione è la musica classica” rise Gazelle mentre prendeva la zampa del leone e scendeva dalla macchina.
Tutti osservarono quella strana coppia mentre saliva la scalinata che conduceva all’entrata del Teatro, c’era davvero un sacco di gente e Gazelle non lasciò andare nemmeno un istante Leodore.
 
Mi tiene così caldamente la mano…
 
Mentre salivano, Leo notò che sorprendentemente tra la folla c’era anche Bogo ma era solo.
D’altronde un evento così speciale richiedeva anche una certa sicurezza.
Erano quasi arrivati in cima, quando improvvisamente si udì uno sparo e la gente si riversò sulla scalinata mentre gridava per il terrore, ci fu un altro sparo e Leo si buttò a terra ma non sentiva più la mano di Gazelle.
Bogo si alzò immediatamente e vide chi era stato, si trattava proprio dello stesso montone con il corno spezzato di quella mattina.
“FERMO!” gridò estraendo la pistola ma il montone gliela stava puntando contro e senza pensarci due volte, Bogo gli sparò un colpo in pieno petto uccidendolo.
Leo si rialzò in fretta cercando Gazelle ed era lì davanti a lui, non si muoveva e lo guardava con uno sguardo assente.
Si inginocchiò.
“Leo…” disse prima di cadere a terra.
Solo allora Leo si accorse che era sporca di sangue sulla spalla.
“No! NO! GAZELLE! Rispondimi!” gridava disperatamente e la ragazza teneva a fatica gli occhi aperti.
“Dove sei? Non ti vedo…”.
“Sono qui! Non mollare! MA NESSUNO LA CHIAMA UNA FOTTUTA AMBULANZA!?” gridò alla gente che gli stava intorno in modo disperato.
“Leo… non mi lasciare…”.
“Sono qui! Non ti addormentare! NON TI ADDORMENTARE! Ce la farai! Mi hai sentito? CE LA FARAI!” gridava il leone senza più controllo.
Bogo chiamò immediatamente l’ambulanza e stette accanto a Leo e a Gazelle per tutto il tempo.
“Ce la farai! Ce la farai!” disse ancora Leo mentre gli infermieri caricavano Gazelle sul lettino, non volle lasciar andare la sua mano ma Bogo lo costrinse a farlo e seguirono l’ambulanza fino in ospedale.

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Capitolo 11
*** Questione di Fiducia ***


Silenzio.
 
Un dannato silenzio sovrastato solo dai rumori dell’ospedale.
 
Gazelle era distesa su quel letto da più di un’ora ormai.
Non apriva gli occhi.
Non diceva niente, respirava e basta.
Leo era a sedere fuori dalla stanza insieme a Bogo, entrambi erano rimasti senza parole per l’accaduto ma il leone in fondo era l’unico che forse se lo aspettava.
O no?
In ogni caso, Leo non disse nulla e continuò a stare a testa bassa a fissare il pavimento freddo.
Bogo aveva già fatto un paio di telefonate per avvisare la centrale di polizia dell’accaduto, si era messo lì e non aveva detto più niente, anche la sua rabbia era sparita e aveva lasciato il posto al silenzio più totale.
La porta della stanza si spalancò ed uscì il dottore.
Leo e Bogo si alzarono di scatto.
“Come sta?” chiese subito il leone.
Il medico fece un sorriso ma incerto.
“Adesso è fuori pericolo ma ora dipende tutto da lei” disse guardandola attraverso la finestra della stanza.
Leo si appicciò a quel vetro per vederla.
Non era permesso entrare a nessuno per ora e poteva solo osservarla da quella dannata finestra.
“Non è giusto… lei non c’entra niente! Non è giusto che paghi per me” disse Leo a bassa voce.
Si voltò verso Bogo.
“Io e te dobbiamo parlare”.
“No…”.
Leo afferrò Bogo e lo sbatté contro il muro.
“Stammi a sentire! Adesso la situazione è seria e sono stanco delle tue stronzate, io e te dobbiamo fare qualcosa! Non possiamo più fare finta di niente! E stavolta non accetterò un no come risposta!” gridò il leone in faccia al bufalo.
Leo lasciò andare Bogo.
“Va bene” disse a bassa voce il bufalo.
Si diressero al bar dell’ospedale e presero un tavolo.
Leo aveva uno sguardo serissimo ma Bogo era ancora turbato.
“Devi fidarti di me Chief! Accetta il mio aiuto! Dobbiamo collaborare!”.
“Io non so più nemmeno cosa pensare”.
“Chief… non ti fidi più di me da quando hai scoperto quello che ho fatto? Cercavo solo di salvarli! Anche io mi sono tormentato a lungo, il fine giustifica i mezzi, in qualità di sindaco ho fatto anche operazioni segrete per salvare i miei cittadini e voglio che tu lo sappia”.
Bogo bevve una tazza di caffè con calma e fece un sospiro.
“Chi mi assicura che posso fidarmi di te?”.
“Ancora? Ma sei proprio testardo! Ti assicuro che voglio solo tornare al mio posto di sindaco e proteggere questa città! Ma non posso farcela da solo”.
Leo prese la mano di Bogo e lo guardò dritto negli occhi.
“Credimi”.
Il bufalo rimase in silenzio e abbassò lo sguardo, tuttavia poco dopo lo rialzò e ricambiò quello del leone.
“Va bene Leo, hai la mia fiducia”.
Leo face un cenno di ringraziamento e Bogo estrasse dalla tasca un foglio.
“Qui ci sono i dati del bastardo che ha sparato a Gazelle, è anche lo stesso che stamattina ha attaccato Nick e Judy che lo stavano pedinando, si tratta di un pezzo grosso ma ormai non lo sarà più dato che l’ho ucciso” disse mentre mostrava il documento a Leo.
Il montone si chiamava Jay Foreman e sembrava essere immischiato in traffico di armi, il documento era molto preciso e spiegava anche i suoi spostamenti, locali frequentati e anche il presunto patrimonio.
“Questo documento è stato ricavato grazie a dure settimane di indagini, eravamo addosso a questo tizio da tempo e abbiamo scoperto solo recentemente che era invischiato in un traffico d’armi in centro, non abbiamo ancora localizzato la base ma sappiamo con certezza che facesse parte dell’organizzazione di Bellwether” continuò Bogo.
Leo posò il documento sul tavolo.
“Lui era venuto al Teatro stasera per uccidermi!”.
“Probabile, mi chiedo però come facesse a sapere che eri lì e che c’ero anche io”.
“Sai cosa mi ha detto Judy? Che può esserci una talpa nella centrale di polizia”.
Bogo sgranò gli occhi.
“Una talpa? Ma è impossibile! Anche se…”.
“Anche se?”.
“Ci sono stati diversi fallimenti questi giorni nelle indagini, era sempre come se i nostri avversari sapessero cosa facevamo, dove andavamo e quando stavamo per colpire e non siamo riusciti a combinare molto, ho creduto che fossero solo coincidenze ma ogni volta ci anticipavano”.
“E scommetto che qualcuno ha informato Jay della posizione di Judy e Nick stamattina, c’è stata una breve sparatoria ma quel tizio era matto!”.
“Ma nessuno sapeva della loro posizione! Era una missione segretissima, solo io stesso ne ero al corrente e non ne avevo fatto parola nemmeno con i miei colleghi più fidati”.
Leo si grattò la testa e prese anche lui una tazza di caffè.
“Ti ho visto molto turbato per quello che è successo a Gazelle, lo sono anche io ma tu eri proprio scioccato da non poter parlare! C’è forse qualcosa fra voi?”.
Bogo sospirò.
“Adesso no ma qualche mese fa avevamo una relazione sentimentale che non è mai decollata veramente, abbiamo deciso di scendere dalle nuvole e di continuare le nostre vite come semplici amici… tu mi vedi sempre severo eh Leo? Ma in realtà non ti posso nascondere di essere solo, lei era l’unica che mi faceva compagnia ma adesso l’ho lasciata andare” disse a bassa voce.
Leo era stupito ma gli strinse la mano e capì.
Si alzarono da tavola e si diressero ancora verso la camera di Gazelle.
Non potevano fare altro che osservarla da quel vetro.
“Vedrai che è forte e ce la farà” disse Bogo.
“Lo spero con tutto il cuore, era come se sapesse che qualcuno sarebbe venuto ad attentare alla nostra vita e me lo aveva detto mentre eravamo in macchina, io non ho capito subito ma quella ragazza dentro è distrutta e oppressa dalla sua stessa ricchezza”.
Bogo si mise nuovamente a sedere e anche Leo.
Poco dopo arrivarono anche Judy, Nick e Benjamin che si misero di guardia alla stanza di Gazelle.
“Mi raccomando fate il massimo del vostro lavoro”.
“Certo signore!” rispose prontamente Judy.
Leo notò che Benjamin non si stava ingozzando di ciambelle, anzi non si era nemmeno portato dietro una scatola come fa di solito e il leone capì che dopotutto anche Benjamin aveva i suoi momenti seri, il suo carattere aveva diversi lati e non era solo un mangia ciambelle ma anche uno attento al suo lavoro, d’altronde Bogo ci deve aver visto del potenziale in quel ragazzo se lo aveva accettato come poliziotto.
Non perse l’occasione però di ringraziarlo per i 100 dollari, si era comprato un mucchio di scatole di ciambelle che teneva di scorta a casa, riuscì anche a strappare un sorriso a Leo in una situazione come quella.
Su consiglio di Nick, Leo e Bogo decisero di andare a casa a riposarsi.
Leo però prima voleva fare una cosa.
Prese Judy in disparte e gli mise una zampa sulla spalla.
“Volevo solo augurarti buona fortuna con Nick e di essere felice”.
La coniglietta lo accarezzò con un caldo sorriso e annuì.
“So che è lui quello che veramente ami, è un bravo ragazzo e non fartelo scappare” disse Leo mentre stava assumendo un’espressione quasi triste, Judy non se ne accorse e il leone si voltò.
“Buona fortuna!” disse e corse via in fondo al corridoio.
Bogo lo seguì e i due uscirono dall’ospedale.
“Vado a casa” disse il leone.
“Aspetta”.
“Dimmi”.
“Non me la sento di tornare a casa e… come dire… avrei bisogno della compagnia di un amico”.
Leodore diede una pacca sulla spalla a Bogo e i due si diressero verso casa del leone.
Arrivarono e Leo preparò un drink per entrambi.
“Dai! Adesso però non sei in servizio” rise il leone offrendo il bicchiere al bufalo.
“Già” ribatté Bogo bevendosi il drink.
Si sdraiarono poi sul letto esausti.
 
“Da ora in poi è una questione di fiducia”.
 
“Lo so Leo”.

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Capitolo 12
*** La Talpa ***


La sveglia suonò prestissimo e Leo guardò l’ora.
“Le 5:30? Ma chi si sveglia a quest’ora?”.
“Io! Vado al lavoro” disse Bogo mentre si stava rivestendo, Leo si alzò in fretta dal letto e lo prese per un braccio.
“Aspetta! Resta ancora un po’ qui con me”.
“E perché? Mi sento fresco come una rosa”.
“Ma se hai uno sguardo ancora profondamente assonnato! Resta almeno a fare colazione, ho da chiederti ancora un paio di cose”.
Bogo fece una smorfia ma annuì e si svestì nuovamente, si mise a sedere in cucina mentre Leo preparava qualcosa da offrirli.
I due si misero poi a tavola e mangiarono delle crepes.
“Cosa mi vuoi dire?” chiese Bogo.
“Che dobbiamo espandere le indagini, iniziamo dalla centrale di polizia”.
“Ancora convinto che ci sia una talpa? Io non ci giurerei”.
Leo sbuffò.
“Potresti mettere da parte il tuo orgoglio una buona volta e ascoltarmi?”.
“Va bene”.
“Benissimo, allora c’è per caso qualcuno che potrebbe essere sospettato?”.
Bogo chiuse un attimo gli occhi e pensò a lungo, gli riaprì e mandò giù un altro boccone.
“Non saprei dato che non rivelo mai a nessuno i miei piani, tuttavia ho fatto qualche eccezione”.
“Spiegati”.
“Ora che ci penso tutte le nostre azioni fallite contro l’organizzazione ultimante non le rilevavo a nessuno tranne Nick, Judy e Benjamin, tuttavia avevo anche delle conversazioni con alcuni dei miei colleghi più fidati ai quali impartivo nel massimo dettaglio le istruzioni dell’attacco, loro avrebbero poi avuto il compito di guidare la squadra nella missione”.
“Quali sono questi colleghi a te più fidati?”.
“L’agente McHorn, l’agente Claw e l’agente Morris”.
Leo finì la sua crepes e si alzò per lavare il piatto.
Guardava Bogo con uno sguardo concentrato.
“Cosa mi puoi dire di loro?”.
“Io gli escluderei dato che sono sempre stati attivi e leali nei loro doveri, l’agente McHorn è un rinoceronte sempre sveglio e attento al lavoro, l’agente Claw è una tigre ed è uno degli agenti più conosciuti e rispettati nella centrale per il suo impegno, l’agente Morris è uno un po’ troppo spiritoso a volte ma è sempre concentrato sul suo lavoro, inoltre sono tutti e 3 al mio servizio da tempo e non mi hanno mai deluso una volta sola” disse Bogo mentre finiva la crepes e si alzò da tavola.
Leo lo fissò e lo prese per mano.
“Ti sto per chiedere una cosa ma ho bisogno della tua autorizzazione”.
“Sarebbe?”.
“Dovresti farmi entrare negli archivi dei tuoi agenti”.
Bogo fece subito un’espressione fortemente contrariata ma Leo gli fece intendere che non scherzava e si trattava di una cosa seria, così il bufalo tentò inutilmente resistenza e infine accettò.
I due si vestirono in fretta e si diressero immediatamente alla centrale, approfittarono dell’ora perché molti agenti non erano  ancora in servizio.
“Sono le 6:00 e il turno di McHorn è il primo ad iniziare alle 7:10, pensi di farcela a leggere tutti e tre i fascicoli?”.
“Certo Bogo! Tu devi solo coprirmi”.
Leo fu il primo a scendere dalla macchina, l’aveva parcheggiata in un angolo della strada per non attirare troppo l’attenzione.
Bogo entrò per primo nella centrale, tutto era semideserto e non c’era Clawhauser al bancone nel salone principale dato che si trovava ancora da Gazelle all’ospedale, vi era invece l’agente Felix come sostituto.
Bogo e Leo salutarono e si diressero verso l’ufficio di Bogo, dove il bufalo prese una chiave dal cassetto della scrivania e si diressero verso una stanza chiusa e poco illuminata, Bogo l’aprì e restò di guardia alla porta.
“Gli elenchi sono per ordine di cognome e non ti sarà difficile trovare quello che stai cercando, fai in fretta però”.
Leo annuì e si diresse subito alla ricerca dei fascicoli dei tre agenti, trovò subito quello di McHorn e lo aprì.
Sembrava tutto in regola e non erano riscontrate infrazioni, sospensioni o abusi del suo potere e il suo livello di poliziotto era molto alto.
Leo passò quindi al fascicolo di Claw ma notò subito che anche se la sua reputazione era molto alta come quella di McHorn, non faceva il servizio a tempo pieno e la sera era sempre irreperibile con rari casi.
Leo si annotò subito tutto e passò al fascicolo di Morris che era ancora meglio di quello di McHorn e di Claw, non c’era nemmeno una minima cosa che non quadrava e il leone decise di concentrarsi sull’agente Claw.
Bogo era ancora ad attendere sulla porta e Leo uscì subito dalla stanza.
“Hai fatto in fretta!”.
“Già e credo che mi concentrerò di più sull’agente Claw”.
“Cosa? Ma eppure è veramente buono d’animo e anche molto efficiente!”.
“Non posso escludere nessuno Bogo lo sai bene, ti chiedo dunque di darmi pieno campo libero sull’indagine”.
“Va bene te lo concedo ma non combinare casini” e detto questo, Bogo chiuse a chiave la stanza e si diresse verso il suo ufficio.
Leo rimase nella centrale ad attendere l’arrivo di Claw ma passarono le ore e di lui nemmeno l’ombra, Bogo lo fece uscire promettendo che lo avrebbe chiamato non appena Claw si sarebbe presentato alla centrale.
 
Qualche ora dopo
 
Bogo aveva chiamato Leo per informarlo dell’arrivo di Claw, il leone attese che l’agente finisse il suo turno per pedinarlo.
Come previsto, Claw uscì dalla centrale verso le 18:20 e Leo lo seguì con la macchina.
“E adesso voglio proprio vedere” disse il leone senza perdere di vista la macchina della tigre.
Claw svoltò in un vicolo e Leo per poco non lo perse di vista, la tigre guidava velocemente come se avesse fretta di arrivare da qualche parte.
Improvvisamente la macchina si fermò davanti a un portone, Leo parcheggiò a qualche  metro di distanza e seguì di nascosto la tigre fin dentro il palazzo dove era entrata.
Salì le scale e notò che Claw era entrato dentro un appartamento, Leo attese qualche secondo e quando si sentì pronto, uscì dal suo nascondiglio e scassinò la serratura della porta.
“Chissà cosa ci fa in un quartiere come questo… ti ho beccato Claw!” pensò Leo.
Si sentivano dei rumori e Leo decise che era il momento di agire e uscì allo scoperto.
“TI HO SCOPERTO!” gridò ma poi restò a bocca aperta.
La tigre era lì in mezzo alla stanza, era nudo e aveva un costume da stripper con i brillanti in mano.
“Ma cosa… Gerard??”.
“Leodore!”.
Ci volle qualche minuto per calmarsi ma poi Gerard si mise a sedere e spiegò tutto a Leo.
“Hai scoperto il mio segreto ma ti prego non lo dire a nessuno! Faccio due vite, una da poliziotto e una da stripper e il mio nome completo è Gerard Claw”.
“Ecco perché non fai servizio di sera”.
“Già! La sera sono insieme a Gazelle nei suoi spettacoli, non posso però rilevare a nessuno questo segreto anche perché sono l’unico dei miei fratelli a fare il poliziotto, non dirlo a nessuno!”.
“Puoi stare tranquillo”.
“Grazie mille Leo e grazie anche a te e a Bogo per aver salvato Gazelle, adesso stiamo tutti aspettando che si risvegli, io e miei fratelli siamo andati a fargli visita stamattina”.
“Ma come mai questo appartamento?”.
“Si tratta di una copertura, infatti adesso mi stavo cambiando perché dopo ho uno spettacolo”.
Leo si alzò e chiese ancora scusa per il terribile inconveniente, Gerard capì anche perché adesso il sospetto era molto alto.
Gerard si preparò e Leo uscì dall’appartamento.
Adesso restavano solo McHorn e Morris ma quale sarebbe stato dei due?

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Capitolo 13
*** Ordine di Uccidere ***


Nick e Judy avevano l’orario libero e fecero un giro nel centro di Zootropolis per rilassarsi, era strapieno di gente da ogni parte e si respirava un’aria caotica.
“D’altronde è qui che sono nato” disse Nick quasi ridendo.
“Questo è vero ma sei cresciuto bene”.
Nick guardò Judy e strappò un sorriso, si voltò nuovamente in avanti e continuò a camminare.
Judy teneva in mano un taccuino e non faceva altro che fissarlo.
Nick la guardò.
“Cosa fai?”.
“Sto rileggendo tutti gli appunti del caso”.
Nick sbuffò.
“Ma possibile che non sai preoccuparti di altro?”.
“Perché scusa?”.
“Non pensi a cose più importanti? Ad esempio noi!” ma Nick si zittì.
Judy abbassò la testa.
“Si scusami hai ragione”.
“No, scusami tu carotina”.
“Carotina?” gridò Judy e Nick si mise a ridere.
“Si lo so che non ti piace come soprannome, non fa niente scusa!”.
Judy stava per rispondere ma poi vide qualcuno di familiare.
Davanti a loro a qualche metro di distanza, l’agente Morris stava uscendo di casa e si stava dirigendo da qualche parte.
“Ma quello è Morris!”.
“Ma aveva detto che aveva la febbre alta e stava malissimo!”.
Morris salì in macchina e si allontanò, Judy e Nick non riuscirono a stargli dietro ma alla coniglietta venne in mente qualcosa.
Decise di entrare in casa di Morris.
“Secondo me stiamo facendo una cazzata”.
“Zitto e dammi una mano!”.
Nick aiutò la coniglietta a forzare la porta d’ingresso e i due entrarono nell’appartamento.
Sembrava tutto in regola, tuttavia non lo fu quando Judy diede uno sguardo anche nella camera da letto.
La coniglietta sgranò gli occhi e anche la volpe.
“Figlio di puttana” sibilò Nick.
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN!
 
Leodore si alzò dal letto e si diresse a rispondere al telefono.
“Pronto? Judy! Che succede? EH? COSA? Ok! Arrivo subito!”.
Leo riattaccò e si diresse di corsa dalla coniglietta e la volpe.
Nel frattempo alla centrale c’era un bel fermento, molta gente era venuta per protestare del degrado di alcune strade della città e dell’attività mafiosa che vi era concentrata, Benjamin cercò di trattenere la folla il più possibile ma c’era ben poco da fare.
Bogo riuscì a calmare gli animi e si era formata una fila enorme davanti al bancone principale per raccogliere tutte le lamentele, la situazione si stava facendo sempre più incandescente.
“Con tutta questa criminalità chissà dove andremo a finire” pensò Bogo mentre riordinava le scartoffie nel suo ufficio.
Improvvisamente squillò il telefono ed era Leo.
“Cosa succede? Hai scoperto qualcosa? Cosa? Adesso veramente… e va bene arrivo!”.
Bogo uscì di corsa dall’ufficio e lasciò il comando in mano a McHorn, si diresse di corsa davanti a casa di Leo e lo vide che lo stava aspettando sul portone d’ingresso.
Il leone bisbigliò qualcosa nell’orecchio al bufalo.
Bogo era scioccato.
“David Morris è la talpa” disse Leo.
“L’agente Morris? Ma è impossibile! Ha sempre prestato fedelmente servizio, sei assolutamente certo di quello che dici?”.
“Certo e devi ringraziare la testardaggine e l’intelligenza di Judy Hopps, è entrata con Nick nell’appartamento di Morris dopo averlo visto uscire come se niente fosse nonostante disse di essere abbastanza malato, in camera sua ha ritrovato questa lista piena di contatti telefonici che sospettiamo essere di alcuni mafiosi” disse Leo consegnando il foglio a Bogo.
“Inoltre non ti pare strano che tutte le volte in cui avete fallito le missioni lui stesse sempre male? Coincidenza? No! Era lui che restando a casa avvertiva chi stavate andando a stanare, come da copione loro vi anticipavano e voi non riuscivate mai a prenderli” continuò Leo.
Bogo lesse scioccato quella lista ed era tutto macabramente vero.
“Quindi è stato lui ad avvertire Foreman che aveva Nick e Judy alle costole”.
“Già e anche che tu saresti andato al Teatro quella sera”.
Bogo strinse i pugni.
“Si in effetti ora che ci penso lo avevo confidato solo a lui che ci andavo, inoltre sempre a lui avevo confidato anche che Gazelle amava la musica classica, per un evento del genere avrà pensato che ci fossi anche tu e ha informato Foreman… tutto torna” disse Bogo quasi con uno sguardo di tristezza ma che si trasformò in rabbia.
Fregato dal suo stesso collega fidato.
Leo posò la zampa sulla spalla di Bogo con tono serio.
“Lo devi uccidere”.
“COSA?”.
“Non hai altra scelta, loro non scherzano? E allora dobbiamo farli capire che anche noi non siamo da meno”.
“Ma…”.
“So cosa tu possa pensare ma quello stronzo vi ha fottuti tutti, avrebbe potuto benissimo anche vendervi al nemico e invece era solo una viscida talpa che agiva alle vostre spalle, ha tradito in modo vigliacco la vostra fiducia” ribatté Leo con uno sguardo gelido.
La rabbia che stava consumando Bogo internamente era troppo forte.
Prese Leo per il braccio.
“Vieni con me!”.
 
Qualche ora dopo
 
Bogo chiamò urgentemente Morris alla centrale e quest’ultimo arrivò con molto ritardo.
“Eccomi agli ordini capitano Bogo! Scusi il ritardo, non mi sento ancora molto bene”.
 
Sta mentendo spudoratamente.
 
Bogo fece entrare Leodore e Morris ebbe come un sussulto nel vederlo.
“Visto che sei uno dei miei colleghi più fedeli voglio darti un’occasione, adesso andremo con il signor Lionheart a discutere di un affare importante riguardo alla tua carriera e penso che tu meriti di essere promosso ancora di più” disse Bogo ponendo un contratto a Morris.
A Morris si illuminarono gli occhi e si era formato anche un ghigno sulla sua bocca, Bogo ci aveva fatto caso e gli ribolliva il sangue nelle vene ma restò calmo.
Accompagnò Morris insieme a Leo su una macchina e partirono velocemente.
Leo guidava, Morris stava sul sedile anteriore e Bogo in quello posteriore dietro di lui.
Leo accese la radio e venne trasmessa la canzone “Speak Softly, Love” di Andy Williams.
I minuti passavano a non finire, Morris era sicuro di sé e stringeva avidamente quel contratto tra le mani, Bogo pensò a tutto quello che era successo per colpa di Morris e quando gli si piazzò in mente la sparatoria a Gazelle e al solo pensiero che potesse morire, Bogo stava quasi per esplodere dentro di sé.
Leo continuò a guidare, tutto era illuminato dal sole che picchiava forte quella mattina, il lungo traffico e anche un leggero vento fresco.
Leo non guardò mai in faccia Morris, continuò a guidare fino a giungere in un posto fuori città vicino all’autostrada, entrò in una strada secondaria che portava in una zona industriale e fermò la macchina.
Morris si guardò intorno.
“Dove siamo?”.
“Davanti a un ufficio di amministrazione” disse Leo mentre scendeva dalla macchina e si dirigeva all’entrata.
Morris rimase seduto e attese, pensò solo alla sua promozione.
Ci fu un silenzio di tomba.
 
Uno sparo.
Gli schizzi del sangue sul parabrezza.
Un secondo sparo.
Altri schizzi.
Buio.
 
Leo si voltò e tornò verso la macchina.
Non c’era nessun ufficio di amministrazione.
La zona era in realtà deserta e non vi abitava nessuno.
Bogo abbassò la pistola con la quale aveva freddato Morris alle spalle, nello stesso modo in cui lui lo aveva tradito alle spalle per tutto il tempo, uscì dalla macchina con ancora la pistola in mano, non tremò e non ebbe rimpianti.
Leo afferrò con dolcezza ma mano di Bogo.
“La pistola lasciala” gli sussurrò.
Bogo posò la pistola sul sedile posteriore e chiuse lo sportello, infine spinse insieme a Leo la macchina nel mare e la lasciò affondare lentamente.
La guardò scomparire e poi guardò Leo.
Il leone non se lo aspettava, ma come dal nulla Bogo gli diede un abbraccio forte e con calore.
Leo non poté che ricambiare.
I due si scambiarono uno sguardo e si incamminarono verso il centro in totale silenzio.

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Capitolo 14
*** Sotto Accusa ***


La chiamata di Mr. Big sembrava molto urgente, venne mandato addirittura Manchas a prelevare Leo per portarlo alla villa del Don, il motivo era per evitare di essere seguito da qualcuno.
Leo non disse niente mentre era in macchina insieme al giaguaro nero, notò che più si avvicinavano alla villa e più c’erano guardie a difesa anche nella strada circostante, sembrava come se si dovessero preparare a un attacco di massa.
Arrivarono alla villa e pareva che fosse diventata una fortezza, c’erano guardie ovunque e il cancello principale era sbarrato da qualche macchina, tutte le auto vennero spostate per far entrare la limousine di Manchas e dopo tornarono tutte al loro posto.
La villa era completamente blindata, guardie ovunque e il giardino soprattutto ne era pieno, lo sguardo attento e le armi bene in vista.
Leodore scese dalla limousine e venne accompagnato da Manchas all’entrata.
“Ma cosa succede?”.
“Non lo so nemmeno io” disse Manchas mentre accompagnava Leo per il corridoio.
Arrivarono davanti all’ufficio del Don e si poteva udire un mix confuso di voci, la porta si aprì e c’erano un sacco di persone all’interno che discutevano, parevano avvocati o comunque dei pezzi grossi dato che era tutti vestiti elegantemente e portavano delle valigette piene di fogli.
Mr. Big vide Leo e lo fece avvicinare, intanto tutti gli altri continuavano a discutere.
“Ma che succede Big?”.
“Grazie per essere venuto Leo, sta succedendo un’assurdità”.
“Cioè?”.
“Mi vogliono portare in tribunale! La corte di giustizia mi ha messo al centro dell’attenzione di un caso estremamente grave, sono stato incastrato!” gridò adirato.
Leo era allibito e non seppe cosa dire.
“Ma è impossibile”.
“Niente è impossibile! Quei bastardi ce l’hanno fatta alla fine”.
“Di chi parla?”.
“Delle famiglie rivali! Ma non sai proprio niente?”.
Leo scosse la testa e Big sbuffò.
“Ci sono 7 famiglie che insieme alla mia fanno 8 che controllano Zootropolis, non dirmi che non ne sapevi niente”.
“Diciamo che non mi ficcavo mai nei loro affari e non so molto di loro”.
“Ci sono i Manganello che controllano la periferia di Zootropolis, i Balestra che possiedono la zona portuaria della città, i Lombardo che hanno in mano la zona industriale, i Catalano che posseggono molti casinò, i Tarantino che controllano traffici di droga, i Maniscalco che hanno un grande giro di contatti anche fuori città, ci sono i Cannizzaro che sono i più temuti e controllano il centro di Zootropolis e ogni affare che passa da lì, infine c’è la mia famiglia: i Mancini”.
“Mancini?”.
“Io mi chiamo Salvatore Mancini” ribatté Mr. Big.
Leo era perplesso e non avrebbe mai immaginato quello che si nascondesse a Zootropolis, stava scavando il fondo di un barile che nemmeno lui avrebbe mai pensato.
Riprese il discorso.
“E queste famiglie da dove provengono?”.
“Siamo tutti siciliani compreso io, un tempo non c’erano avversità tra noi ma poi sono nate le prime rivalità con la grande sete di potere che questa città offre, lo stesso potere che ha rovinato in parte Zootropolis” disse Big con uno sguardo perso.
“Ma comunque la situazione è abbastanza grave, sembra che ci sia un testimone che possiede delle informazioni e accuse gravi contro di me e le mie attività, io sono perplesso non mi aspettavo una cosa del genere e non so nemmeno come abbiano fatto a sapere delle mie attività”.
“E in cosa consistono?”.
“Io controllo il sindacato e i pezzi grossi della città, questo gioca molto a mio favore e mi dà un netto vantaggio sulle altre famiglie, tuttavia la corruzione può durare fino a un certo punto e detto questo, ti informo che dopo aver fatto un giro di telefonate e discussioni sono riuscito a far approvare un consiglio sindacale che voti a favore per il tuo ritorno, sono anche riuscito a farlo anticipare ma adesso viene il bello”.
“Cioè?”.
“Hai un nemico solido che si oppone al tuo ritorno di Sindaco, si tratta di un certo Ford Napier ed è un pezzo grosso della città ma anche un viscido bastardo, i miei informatori hanno scoperto che collabora con quello stronzo di Carmine Cannizzaro e guarda caso sarà proprio Napier il testimone”.
“Carmine è il Don della famiglia Cannizzaro?”.
“Esatto e Ford è furbo ma non tanto sveglio si è fatto sgamare in meno di dieci minuti, ho gente preparata e professionale che è attiva in quasi tutti gli angoli della città e hanno subito scoperto cosa in realtà facesse Napier, però adesso sono con le spalle al muro e chiedo il tuo aiuto Leo! Se Napier parla siamo tutti fottuti! L’omertà è una legge di ferro nei nostri ambiti”.
Leo non sapeva cosa dire e cosa fare.
Come avrebbe potuto fermare Napier?
Non era ancora sindaco e non aveva nessun potere, non voleva comunque andarci di mezzo anche lui in questa situazione e non aveva altra scelta.
“Vedrò cosa posso fare” disse il leone con aria incerta e uscì dalla stanza.
Si diresse verso la limousine e Manchas lo portò fuori dalla villa.
Tutte quelle guardie intorno mettevano inquietudine.
 
Come posso fare?
Di sicuro Cannizzaro ha fornito a Ford delle prove contro Big.
Non posso sfidare un Don di una famiglia mafiosa come se niente fosse!
Probabilmente Ford sospetta che ho contatti con Big e farà ogni cosa per impedirmi di tornare Sindaco, devo toglierlo di mezzo.
Ma come?
A meno che…
 
Leo prese il cellulare e compose un numero.
“Svolta a destra e portami alla centrale di polizia” disse a Manchas e il giaguaro fece cenno di sì.
 
Spero di riuscirci o stavolta siamo tutti fottuti.
 
“Pronto? Leo!”.
“Ascoltami Bogo ho per le mani un grosso affare e stavolta ci va di mezzo la mafia”.
“COSA?”.
“Questa è un’occasione d’oro e potrebbe darvi una svolta nelle indagini, dovrai comunque fidarti di me e ti assicuro che non sto scherzando, stavolta la questione è davvero seria”.
“Leo tu hai la mia fiducia e lo sai! Dimmi cosa sta succedendo!”.
“Al cellulare non posso parlarne ma sto arrivando alla centrale e ne parliamo là” e detto questo, Leo riattaccò la chiamata.
 
Se lo merita povero Bogo, è da molto che si spacca la schiena su queste indagini senza arrivare a molto.
Giuro che lo aiuterò a prendere una volta per tutte quei bastardi.
E stavolta non fallirò.
 
Leo era pronto.
Era un bel passo da fare e forse sarebbe tornato al suo posto di Sindaco.
 

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Capitolo 15
*** La Promessa ***


Il suono dei macchinari.

La solita dannata aria silenziosa della stanza.

Nessuna parola.

Solo respiri.

Bassi respiri.
 
Leo strinse forte la mano di Gazelle.
Era ancora in coma ma adesso poteva vederla.
Nessuno glielo impediva, i medici erano d’accordo nel ricevere visite ma in piccoli orari.
La guardò.
Quegli occhi bellissimi che aspettava solo si fossero riaperti, avessero accolto nuovamente la luce e sarebbero potuti tornare alla vita.
“Niente di nuovo qui, te come va? Beh spero solo che tu possa farmi nuovamente compagnia, io mi sto terribilmente annoiando” disse sottovoce Leo a Gazelle ancora dormiente.
Stava per piangere.
“Torna ti prego…”.
Non aveva mai pianto ed era difficile strapparli una lacrima, quella gazzella ci era riuscita benissimo.
Una goccia di lacrima cadde sulle mani di Gazelle.
“Non temere… io ti starò accanto…” disse ancora a Gazelle, sperava con tutto il cuore che lo potesse sentire, che avrebbe aperto gli occhi da un momento all’altro e che gli avrebbe scaldato il cuore con il suo sorriso raggiante.
La porta si spalancò.
“Signor Lionheart l’orario delle visite è finito”.
Leo si alzò e diede una carezza sulla testa a Gazelle, uscì dalla stanza ma continuò a guardarla dalla finestra posta ne corridoio.
“Così bella… così giovane… non deve pagare per colpa mia! Non è giusto…” continuava a ripetersi Leo mentre batteva i pugni sul vetro.
Una mano si appoggiò sulla sua spalla.
“Avanti devi farti forza”.
Era Bogo che riuscì a calmare l’animo del leone, c’erano ancora troppe ferite aperte dentro di lui.
Si sedettero nel corridoio e Leo aveva lo sguardo perso.
“Che cosa facciamo Bogo?”.
“Sto aspettando che tu me lo dica! Mi avevi detto che ci vedevamo alla centrale, sei venuto ma poi hai voluto venire qui e mi hai detto che mi spiegavi tutto in macchina, invece sei rimasto muto tutto il tempo e ora siamo qui. Non sei più tu Leo e lo vedo chiaramente, cosa è successo? Avanti parla! A cosa ti servivo?”.
Leo non riuscì ad aprire bocca.
Bogo si stava spazientendo ma Leo riuscì finalmente a parlare e gli spiegò tutto.
Bogo era senza parole.
“Non chiedermi una cosa simile”.
“Devi farlo!”.
“NO! Sono il capitano della polizia di questa città! Non farò un favore a un Don della mafia!”.
Bogo si stava per alzare dalla sedia ma Leo lo afferrò per la giacca.
“Ti ho detto…” ma Bogo si bloccò.
Guardò Leo negli occhi.
Una tristezza immensa e un disperato bisogno di aiuto era inciso in quegli occhi, uno sguardo di un disperato che aveva assolutamente bisogno del suo aiuto.
Leo non lasciò andare la giacca di Bogo.
Lo guardò ancora.
Bogo non seppe cosa dire.
 
Ti prego Chief.
Sei l’unico amico che mi è rimasto.
L’unico vero amico di cui ho sempre sentito il bisogno, l’unico che mi ha sempre fatto sorridere.
L’unico che non voglio perdere.
 
Bogo si sedette nuovamente.
“Non ti riconosco più Leo”.
“Per favore Chief… ascoltami almeno…”.
Bogo fece un bel respiro e lo guardò.
“Va bene Leo parliamone”.
Il viso del leone si era illuminato.
“Non voglio che tu lo faccia per Mr. Big, io voglio che tu lo faccia per me! Tu conosci molto bene questo Ford Napier vero?”.
“Certo e in passato ho cercato più volte di trovare le prove per arrestarlo ma senza successo, io so che fa, so con chi è in contatto e in cosa è coinvolto”.
“E io ti sto dando l’occasione per prenderlo! Potrebbero finire nei casini anche le altre famiglie mafiose e sarebbe un colpo d’oro per te!”.
“Cosa dovrei fare?”.
“Vieni con me al processo”.
“Tutto qua?”.
“Si e Ford dovrà pensarci due volte prima di aprir bocca con te in aula, sa quello che puoi fare e sa chi sei, sei la mia unica speranza”.
“Leo…”.
“Fallo per e per Gazelle, potremo vendicarla! E io voglio lasciare tutto nelle tue mani”.
Bogo non sapeva cosa dire e guardò ancora Leo.
Fece un cenno.
Leo era commosso.
Adesso si sentiva veramente pronto in ogni senso.
Diede un altro sguardo a Gazelle dalla finestra e uscì dall’ospedale.
“Il processo è tra due giorni e il consiglio sindacale tra una settimana”.
“Mi piacerebbe che tu tornassi sindaco”.
“Adesso non ti riconosco più”.
“E sennò senza di te chi mi spaccherà le palle come prima?”.
Leo rise e salutò Bogo.
Non andò subito a casa ma si diresse da un’altra parte.
 
Napier è coinvolto con la mafia.
E la mafia collabora con l’organizzazione.
Togliendo di mezzo Napier arriverò alle famigli e di conseguenza all’organizzazione.
E questa storia finalmente finirà.
 
Leo si fermò davanti a un portone e suonò il campanello.
“Chi è?”.
“Sono Leodore”.
La porta si aprì e dopo una rampa di scale, Leo entrò nell’appartamento.
Gerard era lì e da solo.
“Sono stato da Gazelle e a te come va?”.
“Insomma… stasera non ho voglia di fare nessun spettacolo, voglio restare da solo”.
“E i tuoi fratelli?”.
“Sono alla villa e si sono chiusi in loro stessi”.
Leo mise una zampa sulla spalla di Gerard.
“Vedrai che tutto si sistemerà e io so già come vendicare Gazelle”.
La tigre vedeva un barlume di speranza.
 
La vendetta… potrebbe portare alla guerra.
Ma…
Non si arriverà mai da nessuna parte in questa città senza rischiare.
 
Gerard fece un cenno a Leo.
“Grazie di tutto Leodore e hai anche ragione! Smetterò di chiudermi in me stesso!”.
“Io non ho fatto niente, tu devi essere quello che senti”.
La tigre abbracciò il leone e quest’ultimo uscì dall’appartamento.
Fece una passeggiata fuori al chiaro di luna.
Un giorno forse… un giorno tutto quello che Leo ha sempre desiderato, tutto ciò che ha sempre sognato accadrà… o forse no?
Ma il leone non si era ancora arreso.
Si fermò in un parco e osservò la luna.
Fissò le stelle.
 
Gazelle…
Non so se tu puoi sentirmi ma ti faccio una promessa.
Se mai tu dovessi risvegliarti dal tuo sonno, passeremo insieme una bellissima giornata.
Smetterò con i loschi affari in cui sono sempre coinvolto e ti regalerò qualcosa che ti piacerà.
La smetterò con questa vita e smetterò di commettere cazzate.
Torna presto Gazelle…
Te lo prometto.
 
Leo continuò a fissare le stelle, si alzò e tornò alla macchina.
Aveva una lunga notte tutta da riposare.

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Capitolo 16
*** Il Processo ***


L’aria era pesante nell’aula e molti stavano prendendo posto.
Il primo ad entrare fu Napier, prese posto e lasciò entrare Big insieme anche alle altre famiglie.
C’erano proprio tutti.
La stampa e i giornalisti specialmente.
Big era la banco degli imputati col suo avvocato, dietro di loro c’erano tutti i capi della famiglie e anche Cannizzaro che era in testa agli altri, dall’altra parte vi era Napier che stava preparando dei fogli e aggiustando il microfono.
Entrarono anche molti agenti di polizia tra cui Judy, Nick e Benjamin.
Vi erano anche Gerard e McHorn che presero posto più indietro e infine entrò anche Leo.
Napier si voltò.
Guardò il leone ed era stranito che si trovasse lì, non ci fece molto caso e si rivoltò.
Stava già regnando quasi il silenzio e Napier aveva un ghigno sulla faccia ed era molto sicuro di sé, lo stesso era anche Cannizzaro ma poi quando Napier si voltò di nuovo, si era irrigidito.
Stava entrando Chief Bogo.
Cannizzaro e tutti gli altri capi delle famiglie erano paralizzati e senza parole, si erano irrigiditi anche loro e non sapevano cosa pensare.
Chief lì guardò tutti e poi spostò il suo sguardo su Napier.
Il sangue si era gelato nelle vene dei presenti.
Bogo prese posto accanto a Leo ed era dietro a Napier e i capi, era come un occhio che li stesse fissando nell’anima, la sua inquietante presenza aveva cambiato completamente Napier e adesso era come se fosse stato messo in un angolo buio.
Guardò Bogo e poi guardò Cannizzaro.
 
SILENZIO.
 
“Signor Napier”.
 
DANNATO SILENZIO.
 
“Signor Napier!”.
Ford si voltò subito verso il giudice che lo stava chiamando.
“Si sieda pure”.
Napier non si era accorto di essere rimasto in piedi.
Si sedette e fissò il giudice mentre esaminava gli atti dell’inchiesta, ma dietro di lui sentiva l’opprimente presenza di Bogo come se ce lo avesse direttamente addosso, sulla propria pelle.
C’era più di un giudice e altri funzionari.
Un giudice lo guardò.
“Oggi abbiamo qui un testimone che può provare il coinvolgimento di Salvatore Mancini noto con il nome di Mr. Big, in una associazione a delinquere e attività mafiosa, tale testimone è il signor Ford Napier che ha gentilmente firmato un documento scritto da lui stesso, il quale afferma di essere a conoscenza delle attività criminali di Big”.
“Lei nega queste attività signor Big?” chiese un giudice.
“Si Vostro Onore sono tutte accuse infondate, io e la mia famiglia abbiamo un’attività in tutta regola”.
“E quale sarebbe questa attività?”.
“Produciamo auto di lusso anche da esportazione”.
“E lei nega che questa sia una copertura come afferma il signor Napier?”.
“Si lo nego”.
Un giudice prese il documento firmato da Napier.
“Molto bene e sono sicuro che le parole del signor Napier potranno convalidare un’accusa di falsa testimonianza al signor Big, adesso passiamo ai fatti” e diede la parola a un suo collega.
Adesso tutti gli occhi era puntati su Ford.
Guardò ancora Cannizzaro.
Il Don era più agitato di lui anche se non dimostrava, tutti i Don erano agitati e volevano solo andarsene da quell’aula al più presto.
Bogo non smetteva di fissare Ford e i loro sguardi si incrociarono di nuovo.
 
"Sei fottuto!".
 
Napier si voltò nuovamente verso i giudici con lo sguardo assente.
“Passiamo subito ai fatti, signor Napier cosa può dirci riguardo alla attività criminali di Mr. Big?”.
Napier tremò.
Non poteva sfuggire agli sguardi penetranti dei giudici e non ci provò neppure.
“Le ricordo che è sotto giuramento” disse ancora il giudice.
Passarono secondi interi di silenzio ma poi Napier parlò.
“No… io non ho conosciuto nessun Mr. Big”.
Lo stupore investì tutti i presenti come un’onda anomala.
I giudici per primi erano increduli.
Big era incredulo e anche gli altri Don erano senza parole.
“C-cosa? Ma… Signor Napier! Le ripeto la domanda! Conosce le attività illegali e criminali commesse da Mr. Big che lei stesso ha affermato di sapere?”.
“Io conosco solo il signor Mancini e affermo che è una brava e gentile persona, le sue auto di lusso sono tra le migliori in circolazione e io stesso ne ho ben 4 esemplari nel garage della mia villa”.
Il sorriso dei giudici sparì per sempre.
Presero in fretta alcuni fogli tra i quali anche il famoso documento.
“Questo è assurdo! Qui c’è una documento con la sua firma in cui afferma che conosce in quali attività mafiose e illegali è coinvolto Mr. Big! Adesso lei smentisce tutto?”.
“Sono tutte balle quelle che ho detto in quel documento e lo può anche buttare” rispose seccamente Napier.
I Don stavano iniziando a sudare freddo, soprattutto Cannizzaro.
I giudici non sapevano più che cosa dire.
“Insomma io vorrei capire che cosa sta succedendo!” disse uno di loro ma non trovò risposta dai colleghi.
“Signor Napier si rende conto della sua smentita? E potrebbe far sapere a questa corte il motivo della scrittura di quel documento?”.
“Perché…” Napier si voltò verso Cannizzaro.
Il Don lo stava fissando con uno sguardo gelido e cupo.
Ford fece un respiro e strinse tra le mani una croce.
“Perché sono stato costretto Vostro Onore”.
Cannizzaro aveva lo sguardo vuoto e stava per estrarre presumibilmente una pistola, venne tuttavia fermato appena in tempo dal suo consigliere.
Gli altri Don erano diventati taciturni completamente, non si udiva neppure un bisbiglio.
“Costretto da chi?”.
“Da alcuni membri delle famiglie mafiose e in particolare da quelli di Cannizzaro, mi hanno ingannato! Mi aveva promesso un sacco di benefici anche economici, mi dicevano che Mr. Big aveva fatto un sacco di cose disdicevoli e anche degli omicidi, io ho scritto quel documento per far piacere a loro ma erano tutte bugie”.
Calò il gelo assoluto nell’aula.
I consiglieri dei Don si alzarono di scatto.
“OBIEZIONE VOSTRO ONORE!”.
“STATE SEDUTI! Non potete avanzare niente per ora!”.
Tutti si risedettero.
“Vista la situazione, questa corte è rinviata e nella prossima udienza verranno chiamati per accertamenti tutti i capi delle presunte famiglie, il signor Big è scagionato da ogni accusa rivelatasi infondata e il suo caso è archiviato, in quanto al testimone può andare! Non serve più!” e il giudice sbatté il martello.
L’aula si stava lentamente svuotando e Cannizzaro guardò Ford mentre se ne andava con uno sguardo inquietante, uno sguardo di colui che aveva firmato la propria condanna a morte e anche gli altri capi fecero altrettanto, Napier rimase ancora seduto e non si mosse.
“Questa commissione ci deve delle scuse! Ci ha diffamato!” gridò il consigliere di Big mentre quest’ultimo veniva portato davanti a Leo.
“Non ti ringrazierò mai abbastanza Leodore e sarò pronto a ricambiarti il favore”.
“L’importante è che questa cosa venga risolta subito e definitivamente”.
Napier nel frattempo si alzò e corse fuori dalla stanza ma trovò Bogo ad attenderlo.
Lo afferrò e lo sbatté contro il muro.
“I-io non ho parlato!”.
“Lo so e da questo momento anche se dovrei sbatterti dentro, dovrò inserirti nel programma della protezione testimoni!”.
“Ti dirò tutto! Ma non farmi niente!”.
“Certo avrai da spiegarmi molte cose ma soprattutto non boicottare il ritorno di Leo come sindaco! Sono stato abbastanza chiaro testa di cazzo?”.
“S-SI!”.
“Molto bene e adesso CAMMINA!” gridò Bogo tenendolo per un braccio mentre lo portava in centrale.
Aspettava da tempo quel momento.

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Capitolo 17
*** Dolce Sinfonia ***


Bogo uscì dalla saga degli interrogatori.
Leo era lì ad attenderlo e il bufalo fece un cenno.
“Ford ha confessato tutto e verrà preso sotto la cura della programma di protezione testimoni, adesso tutte le famiglie esclusa quella di Big lo vogliono morto, tuttavia noi abbiamo un sistema forte e ben organizzato, lo proteggeremo”.
“Ottimo”.
“Senti una cosa, come mai hai voluto che io assistessi al processo?”.
“Perché se Ford avesse parlato avrebbe messo nei casini Big ma avrebbe anche detto delle prove mafiose che sapeva e che te attendevi da tempo per arrestarlo, quello ha troppa paura della galera e darebbe chissà cosa per non finirci”.
“Già e poi ha detto una cosa interessante che conferma i nostri sospetti”.
“Cioè?”.
“Mi ha chiaramente detto che tutte le famiglie tranne quella di Big sono coinvolte nell’arrivo di nuove armi nel centro della città per conto dell’organizzazione, quel bastardo sapeva anche quando la consegna dovrebbe essere terminata, pare che abbia detto la prossima settimana ma non sapeva il giorno”.
“Bene questo è più che sufficiente, non sappiamo ancora dove si nasconde però la sede della organizzazione e non possiamo fare molto”.
“Ma abbiamo già molti indizi e poi abbiamo in pugno ormai quei bastardi”.
Leo fece un cenno.
“Già e finalmente pagheranno per quello che hanno fatto a Gazelle!”.
Bogo ricambiò il cenno e Leo uscì dalla centrale.
Si stava dirigendo verso la macchina ma poi il cellulare squillò, era Mr. Big che gli ordinò di venire subito alla sua villa e il leone non perse tempo, una volta arrivato venne fatto entrare subito e si diresse nell’ufficio del Don.
Mr. Big era contentissimo di vederlo e lo accolse con molti elogi.
“Eccoti qua Leo, ti sono ancora debitore per quello che è successo e aspetto solo che tu mi chieda di ricambiare il favore ma nel frattempo te lo farò io un regalo”.
“Ovvero?”.
Big fece prendere all’orso Vincent un pacco e lo diede al leone.
“Aprilo che aspetti?” rise Big.
Il pacco conteneva uno smoking nuovo di zecca, con tanto di fazzoletto nel taschino e c’era anche un biglietto d’invito a uno spettacolo teatrale.
Leo guardò Big ma prima che potesse dire qualcosa, il Don lo precedette.
“Questo consideralo un omaggio da parte mia, quel biglietto è un invito a uno spettacolo che si terrà stasera sul tardi al Teatro Rinascimentale, lo stesso teatro dove la tua amica Gazelle è stata ferita in un attentato da parte dell’organizzazione da quanto ho saputo, te l’ho dato perché voglio che tu vinca i fantasmi di quel momento critico e ritorni in quel Teatro stasera stessa. Ci sarò anche io”.
“Ma perché?”.
Big si fece improvvisamente serio e cupo.
“Perché stasera la tua Gazelle sarà vendicata in tutto e per tutto, ho ricevuto una chiamata da parte delle altre famiglie e vogliono trattare. Ti rendi conto? L’altro giorno in tribunale lo hanno prese nel culo e ora vogliono trattare, non c’è nessun problema dato che ho invitato anche loro stasera a Teatro e sarà fatta giustizia. Ci sarò anche io e tu sarai il mio ospite d’onore. Basta trucchi e basta giochetti, stasera le altre famiglie si accorgeranno chi è che comanda in questa città”.
Quelle parole sinistre lasciarono basito Leo, non seppe cosa pensare ma annuì con la testa e Big gli disse che sarebbe stato suo ospite per tutto il resto della giornata, il leone andò così a riposarsi in una stanza degli ospiti ben lussuosa e arredata.
Stava succedendo tutto così in fretta.
Erano passati giorni da quel processo e il consiglio di amministrazione per il suo ritorno a sindaco ci sarebbe stato tra due giorni, non sapeva cosa pensare ma cercava di essere ottimista.
Le ore passarono e decise di vestirsi per la serata, il nuovo smoking gli stava benissimo ma decise di fare una cosa prima.
Un’ora prima dello spettacolo si diresse all’ospedale per vedere Gazelle.
Era ancora lì e non si era mossa.
Nemmeno gli occhi aveva aperto.
Si mise accanto a lei e non fece a meno di stringerle la mano, non l’avrebbe lasciata mai andare ma aveva uno spettacolo da vedere e non poteva mancare.
Decise però di chiedere un favore alle infermiere.
“Vi prego potete sintonizzare il televisore su canale 2?”.
“Se non sbaglio trasmetteranno dal vivo uno spettacolo musicale” commentò un infermiera.
“Esatto e la canzone è appunto Un Giorno per Noi e vorrei che lei la sentisse”.
“Ma signore…”.
“Non importa se dorme… io sarò là e vorrei che la udisse… vi prego!”.
Le infermiere si guardarono e poi sorrisero facendo un cenno, accesero il televisore e lo sintonizzarono sul canale desiderato, Leo ringraziò e uscì.
C’era Bogo sulla porta.
Leo sorrise.
“Sei il primo a cui l’affiderei, guardala te io devo scappare” e il leone corse via.
Bogo si sedette accanto a Gazelle e rimase a vegliarla per tutto il tempo.
Più tardi la limousine arrivò davanti al Teatro e come previsto c’erano tutti i capi delle famiglie al completo, tutti entrarono e presero i rispettivi posti.
Big e Leo erano accanto in platea con un’ottima vista e ovviamente delle guardie del corpo.
“Stasera…” disse improvvisamente Big.
Leo si voltò.
“Si?”.
“Stasera io sistemo tutti gli affari della famiglia, stai tranquillo e goditi lo spettacolo”.
Leo si sistemò e chiuse la porta, lo spettacolo stava per iniziare.
“Conosce il cantante Mr. Big?”.
“Certo si chiama Joshua Grey e ha una voce stupenda, è un ottimo baritono e ancora più bella è la canzone che canterà stasera”.
Leo pensò solo a Gazelle in quel momento.
Le luci si spensero e il sipario si aprì.
Un lupo nero illuminato da una forte luce si presentò sul palco, aveva un bel vestito e un’orchestra alle sua spalle, aveva un microfono in mano e uno sguardo ghiaccio penetrante.
Tutto stava iniziando e adesso la mente di Leo era solo per lo spettacolo.
L’orchestra iniziò a suonare e Joshua fece qualche passo sull’enorme palco.
Poco dopo ci fu un accordo di contrabbasso e il cantante iniziò.
 
Un giorno sai, per noi verrà la libertà di amarci qui senza limiti.
E fiorirà il sogno a noi negato si svelerà l’amor celato ormai.
Un giorno sai, per vivere la vita che ci sfugge qui.
 
Delle ombre si stavano dirigendo per i corridoi, delle ombre di grande corporatura stavano andando verso i posti riservati dei Don.
 
Un giorno, sai per vivere!
La vita che ci sfugge qui.
 
Ci fu un intermezzo con ancora quel meraviglioso contrabbasso.
Don Balestra era così preso da quel suono soave e non si accorse di avere un coltello dietro di lui.
Venne sgozzato nell’oscurità della sala, schizzi di sangue macchiarono il suo bel vestito tutto pulito e le sue scarpe nuove.
Era il più vanitoso.
 
L’amore in noi supererà gli ostacoli e le maree delle avversità!
 
La voce di Grey era così soave e potente che distrasse Don Lombardo, venne strangolato alle spalle con una garrotta e non ebbe nemmeno il tempo di finire il suo sigaro.
Era un fumatore incallito.
 
E ci sarà anche per noi nel mondo un tempo in cui l’amore vincerà!
 
Don Catalano era così emozionato da quella voce e voleva anche applaudire.
Non ci riuscì.
Un coltello gli trapassò la schiena e non ebbe nemmeno il tempo di urlare.
Era un grande bevitore.
 
L’amore vincerà!
 
La voce del cantante era così forte e Don Tarantino non si accorse di aver bevuto della Vodka avvelenata, cadde a terra agonizzante e non si rialzò più.
Era un grande giocatore d’azzardo.
 
In questo mondo libero!
Verrà! Verrà anche per noi!
Il giorno della verità.
 
Don Maniscalco sorrise per l’ultima volta.
Venne freddato alle spalle da una pistola silenziata.
Era il più avaro.
 
E il fiorir delle rose ci rivelerà la strada.
Rose rosse come il nostro amore, rose rosse come la nostra passione.
Passione celata da troppo tempo.
 
Don Cannizzaro si era mangiato dei cannoli siciliani avvelenati.
Aveva la gola bloccata, si trascinò agonizzante fino alla porta e la aprì ma di fronte a lui vi era una pistola silenziata puntata.
Cannizzaro sgranò gli occhi ed esaltò il suo ultimo respiro.
 
E ANCHE PER NOI! NEL MONDO!
UN TEMPO PER I FIORI, UN TEMPO PER L’AMORE!
 
Lo sparo non si udì per via del silenziatore.
Cannizzaro cadde a terra senza vita con un buco in testa.
Era il più goloso.
 
E un giorno l’amore vincerà…
Vincerà…
 
La canzone era finita e un caloroso applauso si udì per diversi minuti.
Leo si sentiva un altro, sapeva che Gazelle aveva udito quella melodia.
Era solo per lei.
Vincent entrò nella stanza e sussurrò qualcosa nell’orecchio a Big.
Big annuì soddisfatto e poco dopo si ritrovarono tutti fuori dal teatro.
Big ringraziò e salutò Leo.
Squillò il cellulare.
Era Bogo.
Leo fu il leone più felice del mondo in quel momento.
Gazelle si era risvegliata.
 
Bentornata Gazelle.
Bentornata alla vita.
Bentornata da me.
 
E come un fulmine, il leone si diresse di corsa all’ospedale.

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Capitolo 18
*** Tiger ***


Nella stanza di Gazelle si erano riuniti in molti, lei si era svegliata e Leo insieme a Bogo erano stati i primi che l’avevano abbracciata e anche se era molto tardi, gli infermieri decisero di fare un’eccezione e permisero di farle visita a tutti i parenti e amici.
Anche le tigri vennero di corsa non appena ricevettero la telefonata di Leo, vi erano anche Benjamin, Nick e Judy e tutti si erano stretti intorno alla gazzella.
Lei era troppo commossa e volle trattenere le lacrime, non ci riuscì e si sentiva per la prima volta davvero viva e felice.
“Ho sentito quella dolce melodia” disse improvvisamente a Leo.
Il leone era commosso.
“Deve essere stata sicuramente lei a farmi risvegliare e so che c’entri tu”.
Leo annuì.
Era molto arrossito ma non disse una parola.
Poco dopo Leo uscì dalla stanza anche perché ormai era notte fonda, Gazelle aveva bisogno di riposare un po’ e volle lasciare Bogo a guardarla, il bufalo prese una notte di permesso e passò il comando a Judy.
Leo non sapeva come esprimere la sua felicità in quel momento, si limitò solo a sorridere e osservò il cielo stellato.
“Grazie” disse.
La mattina dopo c’era un grande fermento in città, di fronte al municipio c’erano un sacco di persone con aria di protesta e i rappresentati del consiglio non sapevano come fare per sedare la rivolta, ci volle una buona mezz’ora per calmare tutti i manifestanti.
Leo dormiva e lo squillo del cellulare lo svegliò.
“Pronto?”.
“Sono Judy! Vieni immediatamente alla centrale ti devo parlare”.
Leo si vestì di corsa e guidò fino alla centrale, al suo arrivo c’erano alcuni manifestanti anche davanti all’ingresso.
Judy riuscì a passare attraverso alla folla e raggiunse il leone.
“Ma che succede qui? Ho sentito la radio in macchina mentre venivo e non parlano d’altro!”.
“Lo so sta succedendo un casino nel centro della città, si sono incrementate le sparatorie tra bande tra ieri notte e stamattina con un livello impressionante, la gente è furiosa non riesce più a vivere in quei quartieri e il municipio non fa assolutamente niente!”.
“Se fossi sindaco queste cose non accadrebbero!”.
Judy portò Leo dietro un vicolo e lì ebbero più tranquillità.
“Cosa facciamo Judy?”.
“Non lo so ma c’entra l’organizzazione in tutti i modi, stanno trafficando troppe armi ed ovvio che facciano gola alle altre bande”.
“Dobbiamo stanare al più presto quei bastardi o la situazione ci sfuggirà di mano!”.
“Non ci rimane altra scelta! Ci vediamo dopo adesso ho da fare!”.
“Va bene e porta anche Nick! Conosce alla perfezione tutti i vicoli del centro!”.
Judy annuì e tornò in centrale di corsa per sedare la rivolta.
Leo telefonò a Big per spiegarli tutto e seppe una cosa interessante: date le circostanze, il consiglio di amministrazione sindacale è stato spostato proprio quel pomeriggio per votare il ritorno di Leodore ma c’era un altro intoppo.
“Cosa?” gridò Leo.
“Si hai capito bene, Ford non era l’unico ma adesso hai contro ben 4 azionisti e sono pezzi grossi del governo con idee contro di te radicate dagli eventi scorsi, temo che potrebbero impedire il tuo ritorno”.
Leo diede un pugno al muro e ruggì di rabbia.
Big sentì tutta la disperazione del leone e a quest’ultimo venne in mente un’ultima carta da giocare.
Il favore.
“Mr. Big si ricorda di quando lei mi doveva un favore?”.
“Certamente”.
Leo strinse i pugni.
“Mi sarebbe molto utile se togliesse di mezzo questi 4 azionisti senza esagerare”.
“Molto bene Leo, ci penseranno i miei uomini oggi stesso e ti richiamerò io”.
La chiamata si interruppe bruscamente.
Leo era rimasto inquietato dalla voce di Big e non seppe cosa pensare.
Ma non gli importava.
Doveva riprendere il suo ruolo di sindaco al più presto e non poteva più aspettare.
Ritornò in macchina e prese una cartina della città, si segnò i punti che avrebbero dovuto ispezionare lui, Nick e Judy.
 
Qualche ora dopo
 
Si incontrarono e decisero di ispezionare l’intera area, iniziarono dai locali per controllare se c’era qualcuno che sapeva almeno qualcosa delle attività losche presenti in quei quartieri, Nick era molto scettico ma decise ugualmente di dare una mano e non perse di vista Judy per tutto il tempo.
C’era un’aria pesante e di sicuro non tranquilla, la volpe non perdeva di vista la coniglietta per nessuna ragione e anche Leo stette attento a non fare brutti incontri.
Era ormai il tramonto e non avevano trovato niente, decisero quindi di fare l’ultimo controllo in uno dei bar più frequentati della zona e vi entrarono.
Tutti guardavano malissimo Nick e Judy perché erano in uniforme.
“La polizia non è ben accetta qui a quanto pare” osservò Leo e chiese al barista qualcosa da bere.
Sembrava non ci fosse nessuno di interessante ma qualcuno catturò la sua attenzione.
“Ancora Vodka per favore!” gridò questo individuo che se ne stava a sedere in fondo al bancone in un angolino, aveva la faccia bassa e un’aria triste e malinconica, il tutto era accompagnato dalla canzone che stavano suonando in quel momento, ovvero una reinterpretazione della famosa “Love Story” di Andy Williams.
Anche Leo dovette ammettere che per quanto fosse collocato in un quartiere malfamato, il locale era veramente molto lussuoso, grande e arredato benissimo, pareva infatti un locale d’alta classe anche se era messo davanti a una squallida strada.
“Pago io per lui” disse al barista e prese il bicchiere di Vodka richiesto dal tizio, glielo portò e si mise a sedere accanto a lui.
Il tizio alzò la testa e si voltò verso di lui, era un gatto con degli occhi smeraldo profondi.
“Grazie ma tu sei Leodore Lionheart?”.
“Esatto”.
“Ho sentito molto parlare di te e adesso dimmi che cosa vuoi” disse cambiando il tono della voce.
Leo era un po’ perplesso ma continuò.
“Innanzitutto chi sei?”.
“Mi chiamo Tiger Randazzo e lavoro in una fabbrica qui vicino, vuoi sapere anche il codice fiscale e la via in cui abito?”.
“Non fare l’antipatico con me! Sto solo facendo un’ispezione”.
“E su cosa?”.
“Sulle attività criminali che girano in questo posto, so che arrivano armi in centro ed è da qualche giorno che questo processo va avanti, sto solo cercando di scoprire la causa”.
“Mi prendi per il culo?”.
“No! Altrimenti non sarei nemmeno venuto qui”.
Tiger bevve un altro sorso e sbatté il bicchiere sul banco.
Si voltò verso Leo.
“Sei l’unico pezzo grosso che è venuto qui a controllare per ora, lo sapevi?”.
“No ma è assurdo!”.
“Ma è così! Io sono un immigrato italiano e lavoriamo tutti in quella fabbrica maledetta, la paga è anche abbastanza buona ma il lavoro è massacrante e poi come se non bastasse, ho avuto il colpo di grazia proprio oggi”.
“Ovvero?”.
“Quella stronza della mia ragazza mi ha mollato per un riccone, stupida puttana che in questo momento starà scorrazzando per tutta la città sulla Ferrari di quell’essere arrogante!”.
Tiger bevve ancora un sorso e svuotò il bicchiere.
Leo si fece avanti.
“Posso capire quanto sia impossibile per voi vivere in questi quartieri, sono qui proprio per offrirti il mio aiuto e ti volevo domandare se sai appunto qualcosa di questi traffici…” ma venne interrotto da Tiger.
“Non ti vedo abbastanza convinto, posso notare che il tuo carattere non si regge in piedi e nemmeno le tue parole, hai affrontato un sacco di insidie e pericoli vero? Brutti momenti dal quale sei uscito con fatica scommetto, tuttavia non è questo lo spirito giusto. QUESTA GENTE NON SCHERZA! E tu non puoi affrontarli con un morale così, dovrai essere pronto a tutto! Ma non lo sei” e detto questo, lo fece allontanare e Leo se ne andò insieme a Nick e Judy.
Camminò per la strada scura come la sua anima in quel momento.
Dove lo avrebbe portato tutto quello?
Ma voleva farcela, DOVEVA.
Pensò ancora a Gazelle.
 
Non posso vivere con lei in questa città se prima non ripulisco il marciume.
Non posso stare in un posto non sicuro neppure per me.
Eppure sono dannatamente bloccato da qualcosa.
La paura di non farcela.
La paura che potrebbe succedere ogni cosa e non voglio vedere quelli intorno a me soffrire a causa mia.
MA ADESSO BASTA!
 
Leo disse a Nick e Judy di tornare alla centrale e corse di nuovo verso quel locale come un disperato.
E pianse.
Ma erano lacrime di rabbia.
Entrò nel locale di prepotenza e afferrò Tiger per il bavero della giacca.
“STAMMI A SENTIRE! Ho promesso a me stesso che avrei smontato una volta per tutte quella dannata organizzazione di quella pecorella bastarda! E ADESSO NON MI TIRO INDIETRO! Non posso piangere per tutti e sono stufo dei miei rimorsi e rimpianti, le mie ferite si rimargineranno ma io a quel punto avrò già finito il lavoro! E VOGLIO DELLE RISPOSTE DA TE!” ruggì in faccia a Tiger.
Il gatto sorrise e Leo lo lasciò andare.
“Bravo leone, era questo quello che volevo sentire”.
E adesso Tiger si offrì di aiutare Leo.

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Capitolo 19
*** Fine dei Giochi ***


Leo prese finalmente in mano la situazione.
Basta con i giochi e con gli inganni.
Era stato nell’appartamento di Tiger, lui gli aveva mostrato in che situazione vivessero gli operai che lavoravano in quei quartieri, gli spiegò anche che è da molto tempo che conosceva Bellwether in quanto lei gli aveva chiesto informazioni su quei quartieri, indicazioni e molto altro ancora per poter presumibilmente costruire una base nascosta da qualche parte, gestire qualche affare, dei traffici e anche qualche scagnozzo in più da assoldare.
Leo aveva finalmente ricavato delle informazioni importantissime, ringraziò infinitamente Tiger e gli offrì anche abbastanza soldi per potersi svagare un po’ senza pensare sempre al lavoro, gli diede anche il suo numero e corse via da quel posto.
Mentre Tiger lo osservava andare via, una scintilla di calore si era accesa nei suoi occhi.
“Quel leone è stato salvato dall’amore” commentò sottovoce il gatto.
Leo guidò fino all’ospedale per vedere ancora Gazelle, nel frattempo lei si era già ristabilita in poche ore, aveva una forza interiore da ammirare nonostante tutto ciò che avesse passato e quando arrivò in camera sua, c’erano un sacco di regali dai fan che gli erano stati portati durante la giornata.
Il regalo più bello per lei però fu rivedere Leodore.
“Come stai?” gli chiese sedendosi accanto al letto.
“Abbastanza bene, i medici sono sbalorditi che abbia così tanta forza interiore”.
“Io non ho mai dubitato”.
Gazelle prese le zampe del leone con dolcezza.
“C’è una cosa che non ti ho detto”.
“E io ne ho un’altra ancora più bella per te”.
“Cioè?”.
“I bastardi che hanno causato il tuo coma sono stati puniti, adesso ho anche delle prove definitive per arrivare all’organizzazione di Bellwether e vedrai che chiuderò questa storia molto presto”.
Gazelle non seppe resistere e abbracciò forte il leone.
Nessuno si era mai spinto fino a questo punto solo per lei.
Lo guardò negli occhi.
“E quello che ti volevo dire io è che oggi c’è stato il consiglio come già sai, prima Bogo era qui e mi ha rivelato che forse ce l’hai fatta! Passa da lui domattina, mi ha detto che pure lui ha votato te”.
Leo era colmo di gioia e non sapeva più cosa dire.
Ringraziò in silenzio dal più profondo del cuore quel rude e scontroso bufalo, quel testardo e orgoglioso bufalo ma che in realtà aveva un cuore d’oro e dei sentimenti profondi, lui gli voleva un gran bene e glielo ha sempre voluto.
Salutò la ragazza e corse fuori dalla stanza con la gioia nel cuore, lei stava per fermarlo ma non lo fece, aveva ancora qualcosa da dirli ma preferì aspettare per il momento.
 
La mattina dopo
 
Le ore non erano mai passate così in fretta per Leo.
Si diresse di mattina molto presto alla centrale, Nick e Judy avevano iniziato il loro turno in anticipo e lo videro arrivare con uno sguardo totalmente diverso da quello che aveva di solito, decisero di seguirlo fino all’ufficio di Bogo.
“Leo! Arrivi giusto in tempo! Proprio poche ore fa ho ricevuto una lettera dal sindacato” disse il bufalo e si alzò dalla sedia.
Andò davanti al leone.
Gli strinse la zampa.
“Congratulazioni! Bentornato Sindaco! Ce l’hai fatta!”.
Leo non disse niente.
Prese la faccia di Bogo.
Davanti allo stupore generale di Nick e Judy, Leo baciò Bogo.
“Grazie!” gli disse con gioia.
Il bufalo rimase senza dire una parola per 5 secondi, gli occhi sgranati, la bocca allargata e un rossore violento sul viso.
“MA COSA DIAMINE STAI FACENDO!?” gridò Bogo ma il leone era già corso via, si stava dirigendo verso il municipio.
Finalmente era fatta.
Poté rientrare nel suo vecchio ufficio, era esattamente com’era stato lasciato, veniva anche pulito giornalmente e non c’era nemmeno una traccia di polvere.
Si mise a sedere alla sua scrivania e si rilassò.
Dietro di lui vi era un’enorme vetrata dalla quale si poteva vedere lo spettacolo mozzafiato dell’intera Zootropolis, lui si fermò ad osservala per qualche istante e ne fu rapito.
Ma ora non c’era un minuto da perdere.
Accese il suo computer e in un lampo fece una velocissima ricerca, aprì degli schedari e controllò tutti i vicoli, strade e locali di quei quartieri in modo che niente gli potesse sfuggire, inoltre visionò anche un completo elenco di nomi dei residenti, frequentatori locali di quei locali e aprì anche qualche schedario della polizia.
Ebbe poi come un colpo di genio e telefonò subito a Bogo per convocarlo quel pomeriggio stesso nel suo ufficio.
Come previsto, il bufalo si presentò puntualmente e i due iniziarono discutere sulla questione.
“Credo di aver capito dove si nasconde”.
“Hai fatto una rapida ricerca?”.
“Esatto e ho controllato diversi posti interessanti e non, se quello che penso è giusto, quella puttana sta trafficando armi proprio sotto i nostri occhi e noi nemmeno ce ne accorgiamo”.
“Come fai ad esserne sicuro?”.
“Perché ho la testimonianza di un gentile testimone, un certo Tiger Randazzo che mi ha raccontato tutto e penso proprio di aver capito, adesso però devi portarmi subito nel carcere di massima sicurezza nel quale hanno rinchiuso Bellwether”.
Bogo era stranito da questa richiesta ma accontentò subito il leone.
I due arrivarono e percorsero lunghi corridoio disseminati di celle, tutti i carcerati che li vedevano urlavano insulti, minacce e imprecazioni ma nulla distrasse loro da quello che stavano facendo.
La cella della pecorella si trovava in fondo a un corridoio e Leo ebbe un orribile presentimento.
Le guardie aprirono la cella.
In un angolo vi era una pecorella con le mani sulla testa e non voleva alzare lo sguardo.
Leo la vide e gli ribollì il sangue di rabbia.
“LO SAPEVO!” gridò mentre correva verso la pecorella, Bogo e le guardie stavano per fermarlo ma lui l’afferrò e quest’ultima lo guardò con uno sguardo inquietante.
Tutti si immobilizzarono e rimasero senza parole.
“Questa non è Bellwether! CI HA GIOCATI PER TUTTO IL TEMPO!” ruggì il leone.
La pecorella iniziò a ridere istericamente e il leone la gettò sul letto, le guardie provvidero subito a immobilizzarla.
“Non ci sto capendo più niente!” disse Bogo.
“Quella è Annie ed è la sorella gemella di Bellwether!”.
“COSA!?”.
“L’ho scoperto controllando i fascicoli al computer, Bellwether aveva questa sorella gemella ma con dei disturbi mentali e proprio per questo la teneva nascosta da tutti! TUTTI! Venne comunque schedata per piccoli crimini che vennero coperti dalla sorella”.
“E questo a cosa si collega?”.
“Tiger mi disse che Bellwether gli parlò nei giorni prima che scoppiasse l’epidemia dei predatori, tuttavia non era lei! In quei giorni lei era sempre con me in ufficio ed era la sorella ad agire per Bellwether passandoli tutte le informazioni, questo è provato anche dal fatto che Tiger mi ha confessato di essere inquietato dal carattere e dai modi di fare disturbanti di Annie e ha commentato che non ci stava con la testa!”.
Bogo era sbalordito.
A volte la spiegazione era più facile di quanto sembrava.
Stavolta Bellwether gli aveva davvero giocati.
Ma non sarebbe durato ancora molto.
“Andiamo! A questo punto penso di sapere dove si nasconde!”.
“Come pensi di saperlo?”.
“Sarà anche tanto furba ma è anche molto ingenua e distratta, mi ha spesso parlato di un progetto che voleva fare ma che io non ho mai approvato anche perché non mi voleva rivelare mai nemmeno un minimo dettaglio, si trattava di una fortezza sotterranea dove custodire le ricchezze della città ma la cosa mi pareva fin troppo strana”.
“Non starai mica parlando dei vecchi magazzini sotterranei che stanno proprio sotto le strade del centro della città?”.
Leo annuì.
Bogo sgranò gli occhi.
“Brutta figlia di…” stava ringhiando Bogo.
“Là sotto ci scommetto quello che vuoi che ci stanno i suoi laboratori ed è lì il covo dell’organizzazione! Andiamo!” gridò Leo e i due corsero fuori dall’edificio.

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Capitolo 20
*** Gli Affari sono Affari ***


Leo e Bogo erano arrivati sulle strade del centro.
“Ti ricordi esattamente da dove si arriva per i sotterranei?”.
“Prima c’era una banca ma adesso è ridotta a banco postale, c’erano delle scale sotterranee che portavano sottoterra” disse Bogo indicando una via e i due la percorsero.
Arrivarono davanti all’ufficio postale.
“Io chiamo la squadra” disse il bufalo prendendo il cellulare ma Leo lo fermò.
“Aspetta! Meglio non far insospettire nessuno!”.
Bogo rimise in tasca il cellulare e loro si diressero all’interno delle poste, c’era la fila come tutti i giorni ma la gente che stava lì aveva qualcosa di strano, tutti in silenzio e c’era un’atmosfera sinistra, nessuno parlava e le uniche parole che si sentivano erano “Il prossimo!” ed erano dette di fronte a dei grandi pacchi o alcuni più piccoli che la gente stava portando agli sportelli.
Bogo mostrò il tesserino all’amministratore e non appena quest’ultimo vide che si trattava della polizia, ebbe una reazione molto nervosa e cercò di trovare delle scuse per non far entrare lui e Leo, il bufalo non si arrendeva e la sua pazienza si stava esaurendo.
Vista la loro insistenza a entrare negli uffici, improvvisamente Leo vide qualcuno che era in file strappare il suo pacco dal quale uscì qualcosa di luccicante.
“ATTENTO!!” gridò il leone prendendo il bufalo e si buttarono a terra dietro una panchina, il tizio stava per sparare e mancò Bogo di poco.
“Grazie!” disse il bufalo al leone mentre estraeva la pistola.
Tutti dentro stavano scartando i propri pacchi contenenti armi da fuoco, iniziò una sparatoria e Bogo chiamò urgentemente la squadra speciale, i colpi si stavano facendo più violenti e Leo afferrò la pistola di Bogo e sparò velocemente a un estintore, lo schizzo che ne uscì distrasse qualcuno che stava sparando e Bogo ne approfittò per freddarlo.
Ci fu improvvisamente un comunicato della polizia che invitava ad arrendersi e tutti pensando di essere circondati gettarono le armi, in realtà erano solo Nick e Judy che avevano seguito Bogo e Leo tutto il tempo ed erano arrivati al momento giusto.
Bogo poté insieme a loro arrestare quella gente, Leo corse in fretta negli uffici amministrativi per cercare quelle scale e trovò una botola nascosta dietro a un mucchio di scartoffie, l’aprì e vi era una lunga scalinata che scendeva sottoterra.
“Leo!” gridò Bogo mentre il leone stava scendendo.
“Non farlo! Aspettiamo l’arrivo della squadra!” ma il leone era già corso giù e si era portato dietro una mitraglietta che aveva raccolto durante la sparatoria.
La lunga scala portava a dei magazzini sotterranei enormi, vi erano diverse sezioni e anche molte casse contenente armi.
Leo a quel punti capì e non poteva crederci.
Il traffico di armi avveniva con la normale posta, era passato sotto gli occhi di tutti senza che se ne accorgessero e questo lo fece ancora più incazzare.
Più avanti vi erano una serie di porte con delle vetrate, Leo guardò attraverso una di queste e con orrore vide che i suoi sospetti erano giusti: un grande laboratorio probabilmente per sperimentare un nuovo veleno per i predatori esisteva davvero ed era pieno di guardie e scienziati, decise di non perdere tempo e aprì una delle casse trovando della dinamite.
Mentre gli scienziati erano impegnati nel loro lavoro si udì un grande botto che fece allarmare tutti e ogni attività si bloccò, era esploso un pezzo di muro e di fronte ad esso vi era Leodore con la mitraglietta carica.
“Scusate se non ho bussato”.
Il leone iniziò a sparare alle guardie mentre gli scienziati fuggivano, prese di mira anche tutti gli esperimenti e distrusse gran parte del lavoro, gli schizzi di quel liquido maledetto spruzzavano per tutta la stanza mentre Leo gli sparava, ricaricò e finì il lavoro sparando a un barile che esplose e tutta la stanza venne distrutta.
Tutti scappavano di fronte alle fiamme ma improvvisamente, ci fu uno sparo che sfiorò Leo alla guancia e quando lui si voltò, una visione sgradevole si propagò di fronte ai suoi occhi.
“E così sei arrivato fino a qui” disse una voce.
Leo guardò meglio e tra le fiamme intravide proprio Bellwether con una magnum in mano.
Lei lo fissava con odio profondo e lo stesso era reciproco.
“Adesso basta con i giochi lurida puttana!” gridò Leo e sparò nella sua direzione ma lei scappò attraverso un corridoio e un sacco di guardie riempierono l’area, Leo era circondato e non aveva via di scampo.
Un fumogeno alle sue spalle salvò la situazione: la squadra speciale era arrivata, Bogo prese il leone e lo portò al sicuro dietro un riparo.
“Ma cosa ti è saltato in mente?”.
“Devo prenderla! Bellwether è laggiù! Lasciami andare per favore!”.
Bogo era testardo all’idea ma annuì e lasciò andare il leone.
“Leo!”.
“Cosa?”.
“VIVA! La voglio viva! Portamela viva!”.
Leo annuì e corse per il corridoio mentre la squadra arrestava i membri dell’organizzazione.
Bellwether si era barricata insieme a qualche membro in una sala, tutti avevano dei fucili e delle pistole puntati verso la porta d’ingresso.
“Sparate a qualsiasi cosa entri da quella fottuta porta! Non mi importa chi è! Avete capito? Voglio che si becchi un proiettile dritto in mezzo a quella testa di ca…” ma la porta esplose e tutti vennero scaraventati a terra.
Leo entrò di corsa e sparò ai membri ancora a terra per evitare che si rialzassero, dopo averli sistemati si avvicinò lentamente a Bellwether che stava tentando di trascinarsi via.
“Basta così, è finita”.
La pecorella gli sputò addosso.
“NO! Non è finito niente! Tu pensi sempre che le cose vadano per il verso giusto? Non stavolta! Mi metteranno dentro? E io uscirò! La povera pecorella soffre di disturbi mentali come la sorella? E andrà curata! Te ne accorgerai Leo! Non ho rinunciato al mio sogno e non lo farò mai! Voi predatori sarete messi al bando, rinchiusi, segregati e tolti dalla circolazione!”.
Leo non la stava ascoltando, estrasse dalla tasca un guanto e dopo averlo indossato, raccolse una pistola da uno dei membri a terra.
“Vedrai! Dopotutto lo sai meglio di me Leo, sono solo affari! E vedrai che spettacolo che sarà al processo! Daranno retta a una povera pecorella vittima di infermità mentale come me ? Ovviamente! Vedrai che show ci sarà al processo!”.
Leo si avvicinò e stava quasi per ridere.
“Si hai ragione, gli affari sono affari ma è giunto il momento che tu ti ritiri dagli affari! E un’ultima cosa che non hai capito mia cara e dolce pecorella…”.
Gli puntò la pistola.
 
“Tu non ci arriverai nemmeno al processo”.
 
Il sorriso di Bellwether sparì.
Leo aveva uno sguardo gelido e senza emozione.
Si udì uno sparo e Bogo corse subito insieme alla squadra verso la stanza.
Bellwether era a terra con un buco in testa, gli occhiali macchiati di sangue come il suo manto candido e soffice.
Leo buttò via la pistola e rimise in tasca il guanto.
“Gli affari sono affari. Niente di personale” disse sottovoce Leo mentre si allontanava.
Bogo arrivò nella stanza di corsa e non appena vide Bellwether senza vita sul pavimento, non poteva credere ai suoi occhi e chiese subito a Leo cosa fosse successo.
“Sono entrato e hanno sparato senza controllo, lei è finita in mezzo e l’hanno beccata in testa” disse freddamente il leone e strinse forte il bufalo.
“Bogo… è finita”.
Bogo annuì e fece immediatamente chiudere la zona, Leo si allontanò e non si voltò più ad osservare il cadavere di Bellwether, quella fu l’ultima volta che la vide.
Successivamente il posto fu distrutto e tutte le armi vennero sequestrate, ogni cosa venne fatta sparire e Leo nel frattempo si impegnò in qualità di sindaco per migliorare i quartieri poveri della città, fece una bella donazione per tutti e anche gli operai incluso Tiger poterono tirare un sospiro di libertà e lavorare meglio, aumentò infatti anche le loro paghe e autorizzò una pulizia della criminalità in quei posti da parte delle forze dell’ordine.
La morte di Bellwether venne archiviata e la sorella Annie venne rilasciata, venne condotta in un istituto psichiatrico per essere curata e Gazelle nel frattempo si era rimessa completamente.
Dopo qualche giorno da questi eventi, Leo si diresse da Mr. Big perché dopo tutto quello che era successo si era dimenticato di ringraziarlo per il suo aiuto prezioso con i 4 azionisti, la verità era però agghiacciante e venne coperta anche dai giornali locali: i 4 erano stati brutalmente uccisi dai sicari di Big contro il volere di Leo.
Solo a quel punto il leone si rese conto di chi aveva davanti e improvvisamente tutta la sua fiducia nel Don calò drasticamente, si allontanò con orrore dal suo ufficio.
“Anche tu sei uguale a me dopotutto” gli disse Big da lontano.
Ma con decisione, Leo ruggì.
“NO!”.
Si allontanò dalla villa e trovò Manchas ad attenderlo.
“Avrei una richiesta, posso diventare il suo Chauffeur signor Lionheart?”.
“Te lo ha chiesto Big?”.
“No è stata un’idea mia e Big l’ha approvata con molto piacere”.
Leo posò una mano sulla spalla di Manchas e fece un cenno.
“Accetto” disse e Manchas lo portò felicemente al municipio.
Ma le sorprese non erano finite.
Quello stesso pomeriggio ricevette Gazelle ed era stranamente più felice del solito.
“Ehi tutto bene?” gli chiese ma lei gli fece cenno di stare zitto.
“C’era un’altra cosa che volevo dirti quel giorno in ospedale ma avevo troppa paura, adesso non ne ho più e…”.
“Sono successe un sacco di cose ma tu mi sempre stata accanto, sei stata una grande amica”.
“Solo un’amica?”.
“Che vuoi dire?”.
“Leo… la verità è che io ti amo! Si, ti amo dai impazzire Leo!” e lo baciò con passione, lui ricambiò e volle che quel momento durasse per sempre.
“Anche io ti amo Gazelle, ti ho amata dal primo momento che ti ho vista e quella canzone era per te, non sapevo se tu mi ricambiassi ma ora lo so” e felicemente l’abbracciò e la baciò ancora.
Avevano ancora tante cose da fare ma erano troppo felici in quel momento.
Improvvisamente la porta dell’ufficio si spalancò e Anni entrò correndo come una pazza.
“LEODORE! CAROGNA MALEDETTA SEI STATO TU! HAI AMMAZZATO TU MIA SORELLA!” gridò istericamente mentre lo puntava con un dito, a lui tutto ciò non fece ne caldo ne freddo ma si era innervosito dato che non poteva permettere di farsi insultare di fronte a Gazelle.
“PUOI PRENDERE IN GIRO TUTTI MA NON ME! Non è stato un caso, mia sorella l’hai ammazzata tu! SEI STATO TU! La odiavi così tanto!” gridò ancora e Leo era imbestialito.
“ADESSO BASTA!” gridò e l’afferrò per un braccio ma Gazelle lo fermò.
“Dai Leo fermati! Non farlo!”.
Leo la lasciò andare e due infermieri corsero a prenderla.
“Mi dispiace signor Lionheart! Ha voluto vederla a tutti i costi ma poi ci è sfuggita quando stavamo salendo le scale, la riportiamo subito al’istituto” disse uno di loro.
“Riportatecela e tenetela sotto osservazione” disse Leo freddamente.
Annie scalciava e si dimenava mentre veniva portata via e Leo chiuse la porta.
Gazelle lo guardò.
“Quella lì è matta” disse lui quasi ridendo.
Gazelle però nutriva dei piccoli dubbi.
“Quello che ha detto è vero?”.
Leo la guardò di scatto, tentò di nascondere il suo sguardo gelido ma non ci riuscì.
“Gazelle ti amo anche io ma nei miei affari voglio assoluta privacy”.
“Ma è vero?”.
“Ti ho detto che non voglio che tu faccia domande sui miei affari”.
“Ma lei ha detto…”.
“Mai domande sui miei affari…”.
“Ma io volevo solo sapere se…”.
BASTA!” gridò Leo sbattendo un colpo sulla scrivania.
Gazelle si zittì e lui si grattò la testa, si voltò ancora verso di lei e la guardò.
Annuì.
“Va bene ma solo questa volta! Te lo concedo perché ti amo” gli disse.
Lei non volle credere che lui avesse potuto commettere quel crimine ma ripeté la domanda.
“Allora è vero?”.
Ci fu un silenzio di tomba, lei lo guardava e non ci voleva credere.
Lui la guardava con uno sguardo impassibile e penetrante.
“No” disse il leone.
Lei era felicissima e lo abbracciò forte.
“Per un attimo avevo pensato male ma sono certa che non faresti mai niente di simile” disse lei e poi lo lasciò lavorare e uscì dalla stanza, si sarebbero incontrati più tardi in serata.
Leo la guardò uscire e non poté far altro che pensare a lei.
Si diresse verso la grande vetrata.
Guardò Zootropolis.
La sua Zootropolis.
Ora era di nuovo tutto nelle sua mani.
Tutti gli avvenimenti successi in quei giorni era come se non esistessero più, ora c’erano solo lui e la sua Gazelle.
Guardò ancora fuori dalla vetrata e rimase rapito come sempre dallo spettacolo.
Sospirò.
E adesso poteva ricominciare a vivere.

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