L'anello del Doge

di AlchiMimesIstantanea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quella magica goccia di sole nel canale ***
Capitolo 2: *** Un incontro impertinente ed un parente ***
Capitolo 3: *** Il coraggio di togliersi la maschera e la paura di rimanere a volto scoperto ***
Capitolo 4: *** Bauta bianca, animo nero ***
Capitolo 5: *** A volte il piacere provoca dolore ***
Capitolo 6: *** E' il dettaglio a far la differenza ***
Capitolo 7: *** Bicchieri rovesciati e torri crollate ***



Capitolo 1
*** Quella magica goccia di sole nel canale ***



~~Venezia ,4 Maggio 1923
Lo vidi per caso, voltando  distrattamente lo sguardo verso le mansuete acque di un canale addormentato. Passeggiavo lungo i diversi marciapiedi senza una meta precisa mentre le prime luci dell’alba  ridestavano la Serenissima e mai mi sarei aspettato che una piccola scintilla di diamante , baciata dall’aurora , attirasse la mia attenzione. Sapevo che non  sarei andato oltre senza prima aver avuto la possibilità di tener fra le mani il responsabile di quello scintillio, cosi mi accovacciai sul bordo del canale, tirai su la manica della camicia ed immersi l’intero braccio in acqua riuscendo, dopo svariati  tentativi, ad afferrare quella piccola goccia di sole.
Riaffiorato il braccio dall’acqua già avvertivo che il  mio pugno stringeva qualcosa di particolarmente piccolo inizialmente pensai fosse una moneta di un certo valore caduta a qualche riccone o almeno ci speravo dato che non potevo certo definirmi  una persona abbiente, ma la mia speranza venne spezzata nel momento in cui la mia mano si aprì ,permettendomi di constatare che sul mio palmo era adagiato,ricoperto di alghe, un vecchio anello.

Se il  mio defunto padre fosse stato li in quel momento me la sarei vista brutta,  mi avrebbe sicuramente tempestato di rimproveri dicendo -“Ludovico!”- oh si, Ludovico sono io, dicevo-
- “…Ludovico! Possibile che tu non abbia niente di meglio da fare che vagabondare di notte come uno squilibrato e fissare l’acqua in attesa che ti risponda!? Mona!”-
“Mona” ,questo avrebbe detto, certo non era la persona più amabile del mondo ma sono costretto ad ammettere che senza il suo “contributo”  non sarei qui. Ancora mi chiedo come mia madre fosse riuscita a sposare un personaggio simile,lei si che era  una brava persona ,una colomba,che ,ahimè,è volata via troppo presto .Posso affermare che, momentaneamente, la solitudine mi tiene compagnia.

Comunque, ritorniamo all’anello.
Lo privai d’ ogni residuo e iniziai ad osservarlo più da vicino. Una piccola fascia di metallo nobile, molto probabilmente oro,quasi perfettamente levigata. Sembrava in condizioni accettabili, nonostante quell’anello fosse rimasto a stagnare in una delle “vene”della Serenissima per non osai immaginare quanto.

Non era ne uno Zecchino ne una Giustina ma si trattava ugualmente di qualcosa con un valore abbastanza elevato, l’avrei potuto vendere e con il ricavato assicurarmi una condizione economica migliore, almeno  in quel modo sarei anche riuscito a pagare l’affitto al  Sior Leandro, il mio padrone di casa, che non valuterei come il più affabile degli uomini. Avrei sicuramente evitato parecchie rogne se l’avessi portato al monte dei pegni per un prestito ma le  decisioni affrettate a volte  possono rivelarsi disastrose ed inoltre quel piccolo gingillo aveva un particolare fascino che azzarderei definire mistico. Quindi, dopo aver passato un ‘intera notte insonne  a salire e scendere da ponti e saltare da una sponda all’altra attraversando  una Venezia “ancora sotto le coperte”, decisi di tornare al mio alloggio di pochi metri quadri  portando il piccolo gioiello con me , riposto  accuratamente nel taschino del mio gilet, purtroppo quello della giacca era forato, forse avrei  dovuto informare  il Sior Leandro riguardo ai topi.

Arrivato a casa posai le chiavi sul comò e mi buttai di getto sul letto, o almeno quel che ne restava perché sinceramente non credo che un materasso sorretto da quattro palafitte di legno possa pregiarsi di tale nome. Venezia si svegliava ed io non sapevo cosa avrei dato per chiudere un po’ le palpebre, era buffo ma non una novità, ormai l’insonnia si era troppo affezionata a me. Riuscivo già a percepire le diverse sinfonie e sfumature della città:
le campane di San Marco rintoccare le sei, le prime chiacchierate dei gondolieri sotto casa, le onde della laguna molleggiare, i gatti sbadigliare, l’odore del caffè appena servito al ”El Baxìn” il bar della Siora Iole ed in particolare la musica di un grammofono provenire  dall’abitazione del Sior Alvise , celibe ed amante d’ogni tipologia d’ arte ,non per niente si recava al Correr ogni giorno ,diceva sempre che l’unico luogo dove avrebbe trovato l’amore sarebbe stato un museo, non c’è bisogno che dica che è ancora scapolo.
Seguendo il ritmo della melodia di quell’aggeggio finii con il  tamburellarmi il ventre , spontanea reazione che mi rammentò la presenza del famoso anello nel mio taschino,al quale, sinceramente, avevo smesso di pensare dal momento in cui mi ritrovai davanti agli occhi il mio letto.
Con l’anello nuovamente in mano ,mi alzai e mi diressi verso la finestra , mentre ruotavo quel piccolo cerchio fra le dita i raggi solari lo tempestarono di luce come se volessero dimostrare quanto splendore fosse capace di emettere il gioiello, mi allontanai dall’infisso e mi sedetti sul letto,  sedie non c’e n’erano e un altro possibile piano d’appoggio oltre al letto ed il comò, era il gabinetto ed ovviamente, come tutti, volevo usufruire di quel seggio senza fondo solo ed esclusivamente in determinati momenti.

Stavo ancora giocherellando con l’anello osservando il vuoto in cerca di una distrazione, finche mi resi conto che da quando avevo trovato il gioiello non avevo mai provato ad indossarlo. Quella stessa  mattina sarei andato al banco dei pegni per ricavarne qualcosa, giusto per fare un tentativo, ma prima volevo togliermi una piccola soddisfazione: vedere come mi stava.

La mia famiglia non è mai stata molto agiata e gli unici gioielli che mi capitava di vedere in casa mia erano i monili , spille , orecchini e gemme varie addosso alle “patrone” ,le nobildonne  per le quali mia madre lavorava  facendo da lavandaia e ciò che era peggio ,quelle arpie tutte in ghingheri pagavano anche la metà del servizio, tuttora mi domando come riuscivano ad entrare in quei vestitini da bambola visto che la loro stazza era tale da far imbarcare acqua ad una gondola.

Dovete perdonarmi per questi intermezzi malinconici ,non vorrei farvi perdere il filo del discorso, comunque, un goccio di raffinatezza nella miseria non poteva guastare così  ,senza altre esitazioni,  feci lentamente scivolare quel cerchio dorato lungo l’anulare della mia mano destra. Calzava alla perfezione, ne troppo lento ne troppo stretto, come se l’anello si fosse adattato al mio dito.
Il mio sguardo era talmente rapito dal gioiello che quando feci per sedermi, in un batter d’occhio ,atterrai sul pavimento, cosa che naturalmente mi fece trasalire. Il motivo poteva essere plausibile, sicuramente indietreggiando non sapevo dove andavo ed avevo mancato il materasso. Ragionamento abbastanza logico ,ma che venne ,inaspettatamente, smentito non  appena mi rialzai in piedi e realizzai che il mio povero posteriore non era atterrato sul morbido per il semplice motivo che il letto era sparito !

Sparito come tutto il resto, gabinetto compreso,lasciando il posto però ad altra mobilia, una tipologia decisamente più antica e la disposizione dell’ armadio , del letto e dei vari suppellettili era cambiata ,si era aggiunta  anche una scrivania, completa di penna, calamaio e carta da lettere e ,adagiato  su un comò in mogano, vi era un orologio da taschino d’argento. Ancora mezzo stralunato mi diressi proprio verso il ticchettio di quel marchingegno ed una volta adagiato nel mio palmo notai un piccolo dettaglio che mi provocò quasi uno svenimento. Sul retro di quel cipollotto vi era inciso un numero a quattro cifre: 1796.

Iniziai a camminare per la stanza  senza staccare lo sguardo da quella cifra, finche non venni distratto dall’immagine che uno specchio attaccato alla parete aveva catturato, sembrerà sciocco dirlo ma, fidatevi ,essere spaventati  dal proprio riflesso può essere fatale. Non che mi fossi tramutato in una bestia ma mi accorsi solamente in quell’istante che i miei stracci bucherellati  avevano lasciato il posto ad una camicia e calze di seta bianca, un gilet in sfumatura corallo, una giacca ed un pantalone color crema,scarpe con fibbie in bronzo ed un magnifico  tricorno nero con decorazioni in pizzo lunghi i lati, inoltre ,alcune delle mie ciocche castane erano unite da un nastro color avorio.
Non riuscivo ad assegnare una logica a ciò che stava accadendo, le opzioni erano due , o le passeggiate al chiar di luna mi avevano dato alla testa conducendomi alla pazzia oppure tutto ciò che avevo davanti era soltanto un bel sogno. Confuso ,mi diressi verso la finestra, tutto quello sfarzo mi stava soffocando, necessitavo d’aria  e, cosa più importante, dovevo svegliarmi, così aprii una delle ante ed affidai il volto ad un lieve soffio di vento.

Con ancora gli occhi socchiusi e le labbra sfiorate dalla brezza,venni distolto da un forte rumore,una specie di colpo, seguito subito da grida.

-De diana !Guarda cossa ga fato sto mona!-

-Mi no go fato gnente!-

- Cossa xe sta cagnàra!-

-Oe! Adesso adesso ve chiapo per un pie  e ve meno de fasa al Doze! -

Attirato  da quel baccano, spostai lo sguardo verso il basso e mi ritrovai davanti una scena a dir poco assurda. Due gondolieri se ne stavano dicendo di tutti i colori  in dialetto stretto a causa di un tamponamento avvenuto tra le loro imbarcazioni e come se non bastasse ,i diversi inquilini avevano iniziato a lamentarsi per tutto quel disordine ,ma ciò che mi fece veramente ribrezzo fu l’ultima frase detta da uno dei due :

“Vi prendo e vi porto davanti al Doge”


Per quale motivo aveva citato  il Doge, ormai a Venezia non se ne vedeva uno dal 1797. Gia…dal 1797.
In quel momento la mia mente si mise in moto, avevo ancora l’orologio tra le mani ,le mie dita sfioravano accuratamente quell’incisione a quattro cifre,cifre che non erano li per caso e che forse mi avrebbero suggerito quale delle due strade prendere nel bivio della mia mente: pazzia o fantasia? Esisteva forse una via di mezzo fra queste due fazioni?Magari ve ne era una terza, l’unica che la mente umana rifiuta ed è quasi incapace di tollerare : la magia.

Fortunatamente per me, riguardo a quest’argomento, potrei classificarmi nella categoria dell’ eccezione.
Con l’aggiunta di quell’essenziale ingrediente, nella mia testa ogni stranezza stava iniziando ad avere un senso:un tripudio  di vecchio stile, mobili sbucati dal nulla, io conciato come un damerino ed un orologio con una data assurda che ora tanto assurda non era. Catapultato nel passato senza accorgermene, ma la domanda cardine era : Come diavolo ci ero riuscito?
Ero a pochi centimetri dal davanzale, assorto nei miei più impensabili ragionamenti, quando una strisciolina di luce mi offuscò per pochi secondi la vista ,costringendomi ad  indietreggiare dalla finestra, poco dopo una probabile riposta alla mia domanda mi balenò in testa, mi diressi nuovamente verso la finestra ,distesi il   braccio verso la luce e finalmente ebbi la conferma che aspettavo:

la soluzione al mio rompicapo  era aggrappata all’anulare della mia mano destra. Chi avrebbe mai potuto immaginare che un oggetto così piccolo fosse stata la causa di tutto ciò che mi era accaduto ,abiti e mobili compresi.
Poi feci un secondo ragionamento: se nel momento in cui indossai l’anello feci un salto temporale di oltre un secolo forse sfilandolo dal dito sarei tornato nel presente. Senza pensarci troppo provai a togliermi il gioiello di dosso ma ogni tentativo era vano , non ne voleva sapere di venire via, era come incollato alla mia pelle.

Sicuramente aveva dimostrato di  non essere un anello come tutti gli altri ed io non facevo altro che chiedermi in continuazione chi potesse essere stato il suo precedente proprietario, di certo non una persona comune.
Resta da dire che ero comunque bloccato in una Venezia settecentesca e se volevo uscirne dovevo trovare una soluzione al più presto, tutto quello che potevo fare in quel momento era scendere di casa e sentire che sensazione si provasse a  passeggiare per le vie della propria città prima ancora di nascerci, e se questo non è un   privilegio ditemi vuoi cos’è.

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Capitolo 2
*** Un incontro impertinente ed un parente ***



~~Venezia, 4 Maggio 1796
Stavo iniziando a dirigermi verso la porta ma, prima che potessi sfiorare la maniglia, il tricorno nero, adagiato sul materasso,catturò nuovamente il mio sguardo. Non potevo certo uscire da quella casa senza aggregare i giusti accessori alla mia mise.
Mi diressi verso il letto, un profumato giaciglio avvolto da candide lenzuola di seta con un ampio risvolto in pizzo, un letto con la“L”maiuscola,decisamente imparagonabile a quell’agglomerato di stoffa e legname ad un centimetro dal pavimento, se i miei occhi riuscivano a chiudersi era dovuto solamente alla mancata forza di restar aperti e non certo per l’eccezionale ed inesistente “morbidezza” di quell’opera d’arte astratta che persino Boccioni in persona rifiuterebbe di  contemplare! Ci scommetterei il cappello!
….Il cappello! Che sciocco,quasi dimenticavo!

Perdonatemi,come al solito mi sono perso in chiacchiere, spero solo che la vostra pazienza abbia la meglio sulla mia mancata esperienza nel raccontare. Dunque, ad un passo da quelle aulenti  e fresche coperte, mi chinai per prendere il mio nuovo, anzi direi primo, copricapo. Nello stare chino potei notare che, abbandonato sul pavimento, a pochi centimetri dalle gambe bronzee del letto,ricoperto da un mantello in velluto nero fornito di cappa,vi era un elegante e pregiato bastone da passeggio completo d’impugnatura scolpita in argento, raffigurante uno dei più secolari simboli della Serenissima, il“Pettine”, ovvero il ferro di prua di una gondola.

In meno di dieci secondi ero li ,davanti alla porta, in grande spolvero, pronto a varcare l’uscita e ad immergermi in una Venezia che non vedevo l’ora di conoscere, di nuovo. Cappa sulle spalle, orologio nel panciotto ,un azzardato sguardo altero e in un batter d’occhio avevo già fatto pressione sulla maniglia aprendo la porta della stanza. Uscii e mi chiusi l’uscio alle spalle. Appena fuori la soglia, spinto da un impulso ignoto, mi affacciai alla ringhiera permettendo al mio sguardo di perdersi in quell’infinito turbine di scale, che percorsi quasi correndo per la gran voglia di visitare la mia città, o meglio la mia futura città. Lasciatomi alle spalle l’eco dei miei passi, giunsi finalmente al portone principale , già leggermente socchiuso , lo spalancai del tutto ed un velo di luce mi accompagnò fuori.

Non erano trascorsi che pochi secondi e già l’aria di una Venezia goldoniana mi accarezzava, sentivo le sfumature salmastre dei canali farsi strada nei miei polmoni ed un tiepido sole primaverile pian piano si espandeva a macchia d’olio sui tetti della città. Tutto ciò che mi si prostrava davanti possedeva,scusate il gioco di parole, un’estranea familiarità, nonostante conoscessi il luogo alla perfezione ogni cosa mi sembrava nuova, palazzi, botteghe addirittura il canale aveva qualcosa di diverso.

Ero talmente assorto nell’osservare , quasi con gli occhi di un neonato, ogni dettaglio ,che mi ci vollero diversi secondi per comprendere che qualcuno mi stava chiamando.

-Sior... me pardon... voleu montàr?..-

Ritornato alla realtà puntai lo sguardo in direzione della voce, un gondoliere a bordo della sua “barcheta”,convinto fossi in attesa di un’imbarcazione, continuava a fissarmi nella speranza di ricevere una conferma. Non feci in tempo  a chiarire il fraintendimento che alla mie spalle, dall’portone che avevo appena varcato, si animò una terribile confusione. Insulti e grida facevano eco fra i muri dell’edifico, dal quale , correndo come un forsennato, uscì un ragazzo sulla ventina,il quale  abbigliamento,leggermente più sgargiante del mio,mi fece intuire  si trattasse di un aristocratico.
Con ciocche ramate congiunte da un nastro smeraldo,occhi ambrati ed un sorrisetto impertinente quel giovane, che dimostrava essere mio coetaneo,si precipitò verso la gondola, che prima del suo arrivo ero quasi in procinto di prendere, ed incurante di me, vi saltò sopra con agilità intimando il gondoliere, tra una risata e l’altra, ad allontanarsi il più possibile da quel condotto e prima di svoltare l’angolo del canale,inaspettatamente lo sentii rivolgersi a me dicendo:

-Vi ringrazio per la cortesia, prometto di ricambiare il favore! –

poi , quasi sovrastando le urla del palazzo ,divertito, aggiunse:

-Se non morirò prima ahaha. Servo vostro!-

Un bizzarro personaggio non c’era dubbio, doveva essere un tipo simpatico ma a quanto mi era parso di capire non molto  desiderato. Udii dei passi provenire dall’atrio del palazzo e ben presto un uomo ,grondante di sudore e quasi piegato in due dall’affanno, spuntò sull’ingresso continuando, per quanto il fiato glielo permettesse, a sputare insulti e offese.

-Cancaro! Brutto balordo, son ben due volte sto mese! El se burla de mi in continuazion..-

Rammaricato,si accasciò sulla scalinata d’ingresso quasi in lacrime. Era un uomo dall’aria abbastanza umile, dimostrava sulla cinquantina, cappelli grigio cenere, leggermente stempiato ,oserei dire più largo che alto e letteralmente distrutto. Notai in lui subito una certa rassomiglianza con il burbero Sior Leandro.Poteva essere benissimo un suo avo, erano quasi identici ad eccezione della mancata bontà d’animo da parte del postero ,naturalmente. Doveva sicuramente essere il proprietario di quella specie di pensione in cui ,come mi era parso di capire, la tranquillità non era una frequente ospite.
Le persone che, come me ,avevano assistito alla scena,osservando quel disgraziato,che dopo un po’ ritornò dentro,mormoravano frasi di compatimento.

-Povero Sior Simon..- disse sospirando un gondoliere ,sdraiandosi su un sedile dell’imbarcazione.

-Per me dovrebbe buttarlo fuori e basta- aggiunse un altro collega.

-Mona,sai che non è possibile.-

-Urca se lo so!-

-Perché mai non può mandarlo via?- Domandai io ,quasi senza accorgermene, incuriosito dai loro discorsi.

A quel mio intervento i due rimasero quasi attoniti,  come stupiti che io fossi all’oscuro di tutto. Dopo quell’attimo, per me, imbarazzante uno dei due  riprese a parlare:

-Sicuramente el Sior qui presente xe straniero. Tranquillo , che ora ve spiega tutto mi.
 El Sior Simon ed il defunto marchese De rosa,il Sior Ernesto,padre di quel maladrin,eran buoni amici ed alla morte del compare el povereto decise di  prendersi cura di quel tornado del su fio, il Sior Anastasio De rosa.

-Per come la vedo mi, quello xe el fio de Casanova!- aggiunse l’altro scoppiando in una  grassa risata contagiando il collega.

-Prego?- chiesi io non riuscendo a capire bene il significato di quella reazione, ma non ricevetti risposta.

Quei due continuavano a ridere come imbecilli dimenticandosi della mia presenza e non c’era verso di distoglierli dalle loro battute.
Stavo quasi per rassegnarmi quando una voce alle mie spalle, che scoprii appartenere ad un altro ospite della pensione, mi chiarì ogni cosa.

-Intendeva semplicemente dire che la principale disgrazia di quel ragazzo è proprio il suo fascino . Si diverte a far il Don Giovanni con tutti i diamanti più pregiati della Serenissima. A mio avviso non ci trovo niente di male in questo,  ciò che gioca a suo sfavore è che molte di queste “gemme” hanno già un proprietario, un proprietario che le considera altrettanto preziose e che in casi estremi sarebbe pronto ad ammazzare pur di non lasciarsi “derubare”.Prediamo oggi ad esempio,Anastasio è stato sorpreso ad amoreggiare con la figlia del Sior Felice,un nobile che alloggia anzi,date le circostanze,alloggiava qui. Ormai erano quasi due settimane che i due si frequentavano in segreto ma la ragazza era già promessa al figlioccio del padre e data la veneranda età del Sior Felice ,quando  questa mattina scoprì ogni cosa, per poco le campane di San Marco non suonavano a morto. Se quel vecchio avesse avuto qualche anno in meno le uniche gemme delle quali Anastasio avrebbe goduto sarebbero state quelle dei fiori posti vicino la sua tomba. –

Quella storia mi divertiva ed inquietava al medesimo tempo. Come si può seguire soltanto un  determinato istinto primordiale, come l’attrazione, senza pensare alle conseguenze?! Sinceramente non sapevo se definirlo coraggio o incoscienza ma una cosa era certa,potevo considerarmi fortunato a non possedere quella dote tanto dolce quanto fatale.

-Caspita, dev’essere abbastanza famoso immagino, voglio dire ,non è una cosa…da tutti..-

-Uh si è molto conosciuto qui, non c’è donna che non sia stata sfiorata dalle sue labbra e non esiste uomo che non conosca il suo nome , ed eccezione di uno a  quanto vedo- disse riferendosi a me ,squadrandomi da capo a piedi e notando il mio imbarazzo.

 Non sembrava una cattiva persona anzi, doveva essere un tipo abbastanza amichevole forse la sua figura,incredibilmente alta e slanciata ,  poteva  intimorire ma ogni singola espressione del suo volto era pronta a smentire l’apparenza. Con iridi cerulee di uno sguardo incoraggiante e fiero ed il corpo avvolto da un mantello in nobile velluto color porpora sovrastato da un  tricorno della medesima tinta ,che permetteva a qualche ciocca corvina di scivolare sulle spalle ,quel giovane sulla trentina mi trasmetteva molta sicurezza, e per qualche strana ragione , avvertii come una specie d’intesa tra di noi. L’unico dettaglio ancora sconosciuto era naturalmente il nome di quel misterioso signorotto.

-Vi sentite bene?  Mi state contemplando come un’opera del Giambologna- affermò divertito, facendomi trasalire dai miei pensieri.

-Perdonate i miei attimi di distrazione, non vorrei sembrarvi così poco riguardoso.- risposi scusandomi

-Assolutamente . Avete un atteggiamento a dir poco curioso Signor..-

-Ludovico. Ludovico Mainardi.- risposi tutto d’un fiato sollevando il tricorno dal capo e facendo un lieve inchino.

- Conte Filippo Da Riva. La reverisso.- ribatté lui con il mio medesimo gesto.

Non appena finì di sillabare quel nome avvertii un sussulto nel mio petto. Nella mia testa stava avendo origine una serie di collegamenti avente come nucleo centrale quel cognome,“Da Riva”, ironia della sorte,lo stesso appartenuto a mia madre quando era ancora nubile. Ma la cosa che mi sbalordì e che in contemporanea mi privò d’ogni dubbio, fu la voglia color vino posta sul lato sinistro del suo collo, notata mentre il conte era concentrato nel suo inchino. Si trattava di  un marchio ereditario ,difatti nei pressi della mia giugulare ve n’era un’altra identica.
Se quel Filippo era davvero un mio avo allora ciò significava che  nelle miei vene scorreva sangue nobile, lo stesso che mia madre ha versato per mandare avanti ,come poteva, la nostra famiglia senza mai un lamento,sottostando ai voleri di un marito  immeritevole d’affetto.

Ecco,come al solito mi sono lasciato trasportare. È sempre un piacere per me onorare la nobile tenacia di mia madre ma in questo modo non farò altro che confondervi in continuazione quindi ,basta chiacchiere e proseguiamo.
Si dice che la prima impressione è quella che conta e per quanto m’era parso di vedere, potevo fidarmi abbastanza di quel tipo. Da quando avevo iniziato quel mio ragionamento non vi era più stato dialogo fra noi ,perciò il Conte decise di rompere il silenzio per primo, anche perché io stavo ancora conversando con i miei pensieri.

-Scommetto che siete nuovo di qui. Ho ragione?-

Se non fossi riuscito a  trattenermi, la mia risposta a quella domanda sarebbe stata una grossa risata. Non potevo certo dirgli :
“No, in verità sono stato catapultato nel passato tramite un misterioso anello ,trovato per caso in un canale durante una passeggiata notturna nella Venezia del 1923. Oh si, e non c’è quasi il minimo dubbio che io sia un vostro discendente”
Mi avrebbe riso sicuramente in faccia o peggio sarebbe svenuto per l’eccessiva follia racchiusa in un’unica frase . Onde evitare ciò risposi semplicemente:

-Indovinato. Sono qui solo di passaggio.- I miei pensieri non facevano altro che darmi del bugiardo ad ogni parola che sillabavo.

-Alloggiate anche voi dal Sior Simon?-

Risposi con un lieve cenno di conferma, poi il conte continuò:

-E avete intenzione d’andarvene presto?- domandò lui.

-A dir la verità non ho  ancora ben chiara la durata del mio soggiorno qui. Spero solo sia lunga quanto basta. Sapete,la nostalgia di casa comincia già a farsi sentire.-

-Naturalmente, e potrei chiedervi da dove venite? Sempre che non sia indiscreto ovviamente-

La mia testa stava per scoppiare, cosa avrei mai potuto rispondergli!

-Sono di Verona- Affermai.

Infondo dissi una mezza verità perché mio padre era originario di quella città, nonostante io a Verona non avessi mai messo piede.

-Avrete fatto un viaggio tutt’altro che breve immagino-

Stavo per rispondergli che in vita mia non vi era stato “viaggio” più effimero di quello ,ma mi limitai col dire:

-Già, ma posso dire che in questo momento mi sento fresco come una rosa-

-Sono felice per voi. Stavo giusto uscendo a far quattro passi , perché non venite anche voi. Sarebbe una buona occasione per visitare la città. Che ne dite?-

L’idea non mi dispiaceva ,ed anche se conoscevo Venezia a menadito, durante quell’uscita forse  avrei potuto ugualmente  scoprire qualcosa in più riguardo a quello strano anello  che mi aveva trasportato lì e che non aveva nessuna intenzione di staccarsi dal mio anulare. Così accettai l’invito ,ed insieme a Filippo iniziai a percorrere vie ,ponti e canali che i miei talloni avrebbero sfiorato solamente centoventisette anni più tardi.
 

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Capitolo 3
*** Il coraggio di togliersi la maschera e la paura di rimanere a volto scoperto ***



~~
Tranquillo ed abbastanza sereno passeggiavo, a ritmo di tacco, insieme a Filippo , facendo attenzione a non farmi strada da solo  anticipando i suoi movimenti per evitare altre domande alle quali sapevo di non poter dare una risposta.
Era davvero una bella giornata, zefiro primaverile tra i capelli, profumo di salsedine evaporare dai canali ,il mormorio veneziano, insomma non vi era elemento che stonasse in quell’armonia di percezioni.
Mentre ci addentravamo nelle varie vie, le miei narici percepirono un delizioso aroma di vaniglia dalla provenienza ignota.

-Che buon odore- dissi assaporando  quella gradevole fragranza.

-Noto che le leccornie della Siora Màlia sono riuscite ad inebriare anche il vostro olfatto. La sua bottega è proprio  qui dietro.-  Spiegò il conte facendomi strada.

Appena svoltammo l’angolo ebbi il piacere di scoprire  un ‘altra generazione ancora in vita nel mio presente: “El Baxin”,il locale della Siora Iole, che naturalmente, nell’epoca in cui mi trovavo in quel momento, era solo una semplice confetteria gestita da mani altrettanto esperte.

-Ha dei prodotti davvero ottimi, vi consiglio di passarci quando ne avrete la possibilità.- aggiunse Filippo.

-Ne approfitterò volentieri-

Dopo quella breve sosta davanti alla bottega,avanzammo inoltrandoci nei meno noti meandri di Venezia, fino a giungere in prossimità di una stretta curva,una delle poche che il tempo era stato incapace di mutare e soprattutto molto familiare ai miei occhi.

-Venite Ludovico. Ora non ci resta che svoltare da questa parte e le vostre iridi potranno ammirare…-

-Piazza San Marco- dissi io spontaneamente interrompendo il conte.

La velocità con cui la mia psiche aveva riconosciuto quella viuzza nella penombra obbligò le mie labbra a proferir parola senza riflettere. Naturalmente questa mia disattenzione mi costò un ‘altra domanda indesiderata da parte del conte.

-Cosa? Oh bella, ero convinto che solo pochi fossero a conoscenza di questa stradina. Come facevate a sapere dove saremmo sbucati?

-Oh non lo sapevo. Semplice intuito.-

 Non c’è bisogno di dire che stavo mentendo. Avevo attraversato quelle vie tante di quelle volte che avrei potuto riconoscere i muri delle diverse insenature anche con il solo ausilio del tatto. Quando nel 1902  la torre del campanile crollò ,io, ancora in tenera età,utilizzavo quei cunicoli come scorciatoia per arrivare  a San Marco ed assistere ai lavori di ricostruzione e nell’osservare ,alcune volte ,mi appisolavo lasciandoi cantare una nenia dalle onde della laguna.

-Mi avete guastato la sorpresa- aggiunse in seguito il conte con ironia facendo nascere un sorriso sulle mie labbra.

Abbandonato quel vicolo,i nostri corpi furono immediatamente avvolti dall’ immensa ombra del campanile  che, superba ,imprigionava e trascinava lungo il suo freddo strascico gli ormai muti sussurri di ricordi dimenticati ,udibili solamente alle profonde acque della laguna, dove quel sottile velo cinereo li abbandonava, lasciandoli lentamente affogare.

 Diversamente da quelle silenziose e sventurate voci, nella piazza sottostante quel colosso di oltre ottanta metri, le grida euforiche dei veneziani, quasi come un’ infinità di battiti cardiaci ,permettevano alla Serenissima di restar in vita. A questo proposito ,e mi rincresce dirlo, la Venezia che ha udito i miei primi vagiti soffre di una tremenda bradicardia. Ma smettiamola di pensare al passato, cioè nel mio caso al futuro,e proseguiamo.

Avevamo ormai attraversato quasi mezzo piazzale  finche non giungemmo al molo,a pochi metri dalle colonne di San Marco e San Tòdaro. Gli zampilli cristallini della laguna tentavano, fra un balzo e l’altro, di mischiarsi con le sfumature rosee d’un cielo appena destato. Nonostante i miei occhi fossero stati catturati da quel magnifico gioco di luci,colori e riflessi, un altro lieve bagliore, di natura molto diversa da quella che le miei iridi stava scrutando, attirò la mia attenzione. 
Obbligai il mio sguardo a spostarsi verso sinistra e finalmente compresi che quel piccolo guizzo di luce era stato concepito dall’inevitabile incontro tra i raggi solari ed uno dei vetri dell’edificio più celebre ed immortale di Venezia,il Palazzo Ducale.

Ogni dettaglio della struttura era perdurata nel tempo,logge e capitelli compresi,eppure era così “diverso”da come sapevo sarebbe diventato un giorno. In quell’epoca tutto era,come dire, più vivo ,tanto che se avessi posato l’orecchio su una delle sue colonne  avrei potuto percepire i respiri di quel gigante marmoreo.

Ad interrompere quella mia contemplazione fu la voce del conte,finalmente accortosi della mia disattenzione verso discorsi  che molto probabilmente solamente le suo orecchie avranno udito.

-Affascinante,vero? È il Palazzo Ducale. Altamente invidiato come luogo ,oserei direi.
Qui a Venezia non c’è persona più fortunata del Serenissimo Principe-

Udita quella frase mi girai di scatto verso Filippo. Forse alcuni pezzi del mio disordinato puzzle erano sul punto di combaciare.

-Il Serenissimo Principe?- proferii io , specchiandomi nelle scure pupille del conte, impaziente di ricevere una risposta .

-Che vi succede? Non starete per dire che non avete mai sentito parlare del “Signore” di Venezia.
Con il nome che vi è stato assegnato per giunta.-

Se agli occhi del conte potevo risultare uno smemorato di prima categoria , la mia mente era tutta’altro che priva d’informazioni. Le nozioni intrappolate nella mia testa formarono una lunga catena , al cui apice vi era legata la risposta che stavo cercando.

-Ludovico Manin..- Dissi con filo di voce,continuando ad osservare il conte, notando con piacere un espressione di sollievo sul suo volto.

Poi, spostando lo sguardo in direzione del Palazzo Ducale aggiunsi,impedendo a Filippo di ascoltare:

-..l’ultimo Doge di Venezia.-

 Purtroppo la mia vera epoca mi aveva già “riferito” l’ infelice sorte della città:
la Repubblica di Venezia sarebbe sparita giusto un anno dopo,nel 1797, non appena Napoleone Bonaparte avrebbe fatto il suo ingresso a San Marco.

-Siete davvero un attore eccellente. Per un attimo ero convinto che non conoscevate il Doge-

Disse Filippo, distogliendomi da quei tristi pensieri che mai gli avrei confidato, e da bravo interprete ,quale mi aveva definito, continuai a recitare la mia parte:

-Dovete perdonarmi, ma sapete a volte concedersi una piccola burla è come mettere un cucchiaino di zucchero in più nel caffè. Serve a sfumare quel sapore acre presente sia sul vostro palato che nella vostra vita..ma, ricordate, può solamente sfumarlo, non eliminarlo.-

Una risposta netta e spontanea, forse anche troppo spontanea. Che ci crediate o no, anch’io ero intento ad analizzare ciò che la mie stesse labbra erano stare capaci di formulare. Forse mi ero lasciato un po’ trasportare.

-Un paragone tanto bizzarro quanto tremendamente logico ,Ludovico-

Vidi gli occhi del conte inumidirsi.
Il tono usato in quel momento, aveva svelato l’altra metà del suo animo, quella insicura,malinconica, grigia ma comunque indispensabile per un essere umano. Senza questa parte “malata” l’uomo non avrebbe mai potuto conoscere quella "sana”, ricca di voglia di vivere, pronta ad avvolgere la sua “gemella parassita” tenendola nascosta agli sguardi esterni. 
Filippo in quell’istante stava confermando la sua  vera nobiltà,quella che non si acquista tramite un titolo. Si stava semplicemente comportando come un essere umano, permettendo alle sue lacrime di fargli scivolare “la maschera” dal volto, mostrando un animo sensibile ed onesto. 

Aveva tutta la mia ammirazione,non vi erano dubbi ma sinceramente ,anche si trattava di un più che sano sfogo,mi dispiaceva vederlo in quello stato, così, restando fedele a quella mia stravagante teoria di zucchero e caffè,provai a tirargli su il morale.

-Certo che..il Doge sarà anche fortunato ma si annoierà a morte a star sempre chiuso in quell’involucro di marmo. Se non fosse per il fatto che il palazzo affacci sulla laguna , avrebbe dimenticato addirittura l’aspetto di una gondola.-

A quella mia affermazione  potei subito notare un sorriso sul volto del conte, Il mio rimedio aveva avuto effetto.

-Siete degno d’una commedia goldoniana Ludovico-

affermò tra una risata e l’altra per poi  aggiungere:

-Se desiderate così tanto vedere il Doge dovrete pazientare altri quattro giorni.-

Notai il suo cambio d’intonazione .Quella risposta, diversamente dalle mie aspettative, non era una presa in giro.

-Perdonatemi ma non riesco a comprendervi- risposi  con aria disorientata.

-Per la Festa dell’Ascensione. Ogni anno c’è questa ricorrenza ,ormai è una tradizione secolare qui a Venezia. Durante il giorno dell’Ascensione ,quaranta giorni dopo la Pasqua, il Doge, sale a bordo del Bucintoro, una sfarzosa  imbarcazione dorata,e  viene scortato fino a San Nicolò di Lido, il luogo della cerimonia vera e propria.-

-Cerimonia?- lo interruppi io .

-Precisamente. Si tratta di uno sposalizio simbolico tra Venezia e le acque che attraversano i suoi canali, sancito da un prezioso anello d’oro che il Serenissimo Principe getterà nelle profondità del nostro mare.-

Al termine di quella spiegazione nella mia testa solamente determinate parole risultarono terribilmente nitide:

“Acque- Anello-Serenissimo Principe”

Anche se avessi modificato il loro ordine di composizione avrei ottenuto comunque la medesima risposta.
Quello schizzo di luce prezioso immerso nelle acque del canale che quella mattina attirò la mia attenzione,quella piccola circonferenza dorata che scivolò lungo il mio anulare rifiutandosi d’abbandonarlo,il salto temporale,tutto combaciava alla perfezione.

 Il mio puzzle era quasi completo e forse quell’antico rito poteva essere “il mio biglietto di ritorno”:

sarebbe stato sufficiente aspettare che il Doge gettasse ,come da tradizione, l’anello nell’Adriatico e sarei tornato a “casa” in un baleno.

 Mi sembrava tutto abbastanza semplice, forse troppo semplice ,difatti ,presto un enorme dubbio mi assalì senza  alcuna pietà: 

“Se quello legato al mio anulare in quel momento era l’anello che il Doge gettò nelle acque di Venezia  quello stesso anno, allora ciò significava che..”

In quel medesimo istante la voce urlante di un aristocratico uscito di corsa dal Palazzo Ducale disgraziatamente ,confermò le mie paure.

-L’ANELLO D’ORO DEL SERENISSIMO PRINCIPE E’ SCOMPARSO!-.

Ora si che dovevo far ricorso alle miei “doti attoriali”, speravo solamente che il  sudore nervoso non avrebbe fatto scivolare la mia “maschera” troppo presto.

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Capitolo 4
*** Bauta bianca, animo nero ***



~~
Stavo cercando in tutti i modi di domare il mio animo ma sfortunatamente mi accorsi che era lui a controllare me. Sentivo il sangue attraversarmi impetuosamente le vene ,quasi come volesse evadere da esse perché inseguito da quel panico che aveva già paralizzato il mio corpo, tanto da farmi competere con il bronzeo leone di San Marco che ,imponente,osservava la mia muta agonia dall’alto della sua colonna.
Perfettamente immobile ma terribilmente irrequieto allo stesso tempo. Se solo fossi riuscito a recuperare  le redini del mio corpo,avrei permesso ai miei arti di muoversi,almeno in quel modo sarei stato capace di “ridestarmi” con una bella sberla . Sberla che in quell’stante ricevetti ma sfortunatamente non dal mio palmo.

-Conte!- 

Gli occhi della mia mente poterono nuovamente vedere la luce,il flusso sanguigno aveva riacquistato il suo abituale scorrere e finalmente non ero più una scultura da contemplare. Filippo mi aveva riportato alla realtà ,una realtà che avrei trasformato volentieri in illusione.

-Chiedo umilmente perdono per il colpo Ludovico ma non mi avevate lasciato altra scelta. Vi ho chiamato e scosso più e più volte ma voi eravate come incantato dai vostri stessi pensieri e, credetemi, il vostro volto poteva far concorrenza al candore lunare. Non sapevo cos’altro inventarmi così ,a malincuore, sono stato costretto a giocare la mia ultima carta…-

Rispose il conte pronunciando l’ultima frase con un leggero imbarazzo, posando il suo sguardo sui marciapiedi di San Marco.

-Non dovete scusarvi,sono io che dovrei evitare di cadere troppo spesso nel mio inconscio. Avete agito come ritenevate più giusto..e direi che ha funzionato alla perfezione, ma,vi prego, se mai ci sarà una prossima volta sono sicuro che un pizzicotto basterà -

Dissi massaggiandomi la guancia ancora leggermente dolorante ,scatenando in lui una sonora risata, che sfortunatamente venne sovrastata dalle agitate urla veneziane che stavano crescendo a dismisura. Non potevo ancora credere che il colpevole di tutto quel caos ero quel minuscolo e dorato vermiciattolo avvolto al mio dito,che come un abile ammaliatore mi costrinse a raccoglierlo da quel canale putrido facendomi diventare suo “complice”. Ma perché!? Che cosa poteva volere da me quell’odioso pezzo di metallo!

-Una vera disgrazia!- 

 grazie al cielo Filippo interruppe i miei pensieri.

-Perdonate la mia ingenuità ma non potrebbero risolvere la faccenda utilizzando un altro anello, sicuramente il Doge sarà circondato di gioielli-

Risposi, facendo scivolare la mano destra che imprigionava il “vero criminale”sotto il mantello ,approfittando del distratto sguardo del conte.

-Vorrei tanto darvi ragione Ludovico ma sono costretto a  farvi notare che siete in errore. La forgiatura di quest’anello avviene solamente una volta all’anno in occasione dello “Sposalizio” che vi avevo accennato ed inoltre la sua lavorazione richiederebbe più di due settimane ,una durata decisamente troppo lunga per un evento che avrà luogo fra soli quattro giorni. Mi chiedo come diavolo abbia fatto a volatilizzarsi  così ,senza che nessuno si sia accorto di niente. Qualcuno l’avrà rubato non trovo altra spiegazione -

 Ecco che la mia fronte stava iniziando a far scivolare le sue prime gocce nervose.

-Forse sarà semplicemente rotolato da qualche parte e magari in questo momento è in qualche angolo del Palazzo Ducale, quel posto ha più stanze di un albergo ,non mi stupirei se si trovasse dietro a qualche tenda  o sotto un mobile.-

Provai  d’inventarmi un’altra possibile versione dei fatti con l’intenzione di deragliare il conte dal giusto ragionamento.

-Mi piacerebbe credervi ma temo che non sia andata come dite. L’edifico sarà stato sicuramente perlustrato da cima a fondo prima di dare l’allarme. Nessuno scatena il panico per niente. -

Tentativo fallito.

-E..e voi avete una vaga idea di chi possa essere stato?-

Domandai cercando di mascherare la mia ansia. Non volevo certo che iniziasse a sospettare di me.

- Non a tutti è permesso mettere piede nella sede del Doge,sicuramente si tratterà di qualcuno che frequenta il palazzo abitualmente,un aristocratico forse. Solamente pochi sono a conoscenza del luogo in cui l’anello era riposto, anche il mio nome ed il mio titolo rientrano in questa cerchia ma il furto è un’arte che non mi ha mai affascinato. –

Il conte si diresse verso il molo, ammirò il dorato ed umido velo della laguna per qualche secondo e poi, voltando leggermente lo sguardo verso la residenza dogale ,aggiunse:

-Comunque non posso considerarmi fuori da questa faccenda, sono sempre stato fedele al Serenissimo Principe e farò il possibile per rintracciare il responsabile .-

-Sareste in grado anche ….di uccidere?-

Esposi quella domanda guardando la sagoma del conte baciata dalla brezza .Con lo sguardo divorato dallo sconforto ero già consapevole della risposta.

-Si, anche di uccidere-

Sapevo che le sue intenzioni erano buone , ma il mio animo si sentii terribilmente coinvolto. Avrei tanto voluto dirgli “l’anello è qui con me! Prendilo, strappamelo dal dito s’è necessario e portalo al Doge così potrò tornare a casa!”ma purtroppo questo mi era impossibile. Cos’hai avrei fatto? Non potevo certo nascondermi in eterno in un secolo remoto che non mi avrebbe neanche permesso d’assistere in tempo alla mia stessa nascita.

Ero lì, con ancora gli occhi fissi sulla figura longilinea del conte che continuava a scrutare ogni lieve respiro emesso dalla laguna quando una cupa voce interruppe quel silenzioso dialogo di sguardi.

-State aspettando che si alzi la marea per  poter finalmente affogare i vostri dispiaceri ,Conte Da Riva?-

Poteva perfettamente essere intesa come un’innocua presa in giro ma fu la cattiveria che accompagnò quelle parole che tramutò la frase in un’offesa.

Ci voltammo rapidamente verso il proprietario di quelle note morte. Una figura misteriosa, l’intero corpo avvolto da un tabarro vellutato che avrebbe potuto far invidia alla notte, sul capo un tricorno circondato da vivi ricami scarlatti comunque incapaci di competere con la scura tinta dominante. L’unico accessorio che spezzava quella monocromia era la pallida e macabra maschera che gli celava il volto, una bauta per essere precisi, ciò giustificava quell’innaturale voce cavernosa. Non avevo idea di chi fosse ma non c’era da fidarsi, anche senza vedere i suoi connotati potevo già percepire il marcio che si nascondeva dietro quel  cadaverico pezzo di gesso.

-Marchese.-

Le labbra di Filippo si limitarono a pronunciare quel titolo accompagnate da un notevole disprezzo.
Finalmente,una volta che il saluto fu ricambiato, quello strano personaggio si scoprì il volto,che avrebbe potuto tranquillamente confondersi con quello di cui si era appena privato. Un viso devastato dalle rughe e dal tempo ed interamente ricoperto di cerone si voltò verso di me, due occhi arrossati e spenti mi scrutarono da capo a piedi per poi fissare  nuovamente  Filippo.

-La maleducazione non rientra nei vostri difetti,seppur a mio avviso ne abbiate molti. Perché non mi presentate il vostro accompagnatore. Oppure preferite che mi scomodi io.-

Ogni sua frase era un crescendo d’odio , lo stesso iniettato negli occhi del Conte che, cercando di contenersi, si dedicò alle presentazioni.

-Posso introdurvi il Signor Ludovico Mainardi, per il momento lo definirei un giovane alla ricerca della propria ambizione, davvero in gamba. E’venuto apposta da Verona  per ammirare le bellezze della Serenissima.-

Come risposta il Marchese mostrò un sorriso malriuscito, molto simile ad un ghigno di sofferenza, in attesa che il conte continuasse  il discorso.

-Ludovico, posso presentarvi il Marchese Egidio Galeazzo Pesaro, membro del Consiglio dei Dieci, addetto alla sicurezza di Venezia e del Serenissimo Principe. –  La sua voce era così glaciale.

 -Come voi Signor Conte. Lo avete omesso.-  

 intervenne quell’oscuro soggetto con voce caustica , quasi sovrastando di proposito le parole del Conte,che lo stava già fulminando.

-Siete una guardia del Doge?!- domandai di getto a Filippo che ,notando il mio stupore ,iniziò a spiegarmi.

-Rammentate quella famosa “cerchia” di cui vi avevo parlato,Ludovico?-

Feci un cenno di conferma con il capo.

-Il Consiglio dei Dieci, ne fa parte e, come organo della Repubblica Veneta, ha l’essenziale compito di mantenere ordine per le strade di Venezia e  garantire sicurezza e protezione al Doge, giurandogli fedeltà e silenzio.-

-Precisamente e, per quanto riguarda la notizia di stamane, non poteva accadere scandalo migliore  per poter dimostrare al Serenissimo Principe con quanta maestria i suoi uomini ripuliscano le strade della città da insulsi parassiti ,incapaci addirittura di abbottonarsi una camicia.-

Il conte,furente, riprese la parola pronunciando ogni frase con la stessa energia di una pugnalata.

-Il nostro compito non è quello di dimostrare qualcosa Marchese, ma di proteggere la città da ogni possibile minaccia. Quelli che voi definite “parassiti” non sono altro che persone innocenti ,adescate da voi per chissà quale sporco imbroglio e poi lasciate morire per evitare accuse che avrebbero potuto macchiare il “vostro buon nome”. Voi avete più timore di perdere il vostro titolo che la vostra stessa vita Marchese e pur di mantenere in vita il vostro onore sacrificate gli stessi figli di Venezia!-

E’ impressionante quanto un’emozione possa trasformare un essere umano. In quel momento Filippo aveva tentato di buttar fuori tutto il disprezzo che provava per quell’uomo che osava definirsi un addetto alla giustizia. Si dovevano conoscere da tempo ed anche detestare a quanto avevo potuto notare in quei pochi minuti di caos.

-Io rispetto solamente gli ordini, rendendo Venezia un posto migliore,quale membro del Consiglio dei Dieci , servo della Repubblica Veneta e discendente del defunto Giovanni Pesaro,centotreesimo doge della Serenissima.-
Ribatté il marchese ad un palmo dal naso di Filippo, restando sempre su quelle note basse e piatte per evitare sguardi indiscreti.

-Il centotreesimo certo ma anche uno dei dogi più spietati ed odiati di Venezia e posso affermare con disgusto che cattivo sangue non mente.-

Disse il conte sputando le sue ultime gocce di veleno.

-Potrei dire la medesima cosa di voi. Sapete a cosa mi riferisco,vero?-

Il conte indietreggiò di qualche passo,il suo sguardo in quell’istante oltre a contenere rabbia era ricco anche di impotenza, come se per un attimo si fosse sentito inoffensivo persino ad una formica.
Il marchese,notando la reazione desiderata,continuò ad affondare il coltello nella piaga

-Voi possedete un marchio che testimonia quanto la vostra defunta madre sia stata poco cauta.
Avrei amato volentieri quella donna se solo avesse preferito me a “lui”.
E poi  nessuno vorrebbe nascere da un errore, non trovate Filippo?.
Servo Vostro Signori. -

Pronunciando quell’ultima frase il vecchio acido, soddisfatto, riposizionò la bauta sul volto e si allontanò,immergendosi nell’irrequieta folla di San Marco. Gli occhi del conte erano spalancati , nelle sue membra si stava formando altro veleno che avrebbe immagazzinato in un piccolo angolo del suo corpo per poi buttarlo fuori in una volta sola, se in quel’istante non avesse tenuto a bada la sua veemenza si sarebbe avventato sul marchese senza troppi complimenti.

Quel disgraziato ,suonando la sua odiosa melodia ,aveva toccato un tasto sbagliato di proposito per irritare l’udito del conte.
La cosa che più attirò la mia attenzione fu la frase che il marchese proferì prima di far sparire il suo lungo mantello tra i vicoli della città: “Nessuno vorrebbe nascere da  un errore”.
Una frase tagliente ,completa, cruda e ricca di  frammenti utili per ultimare il mio puzzle.
Dovevo parlare con Filippo, estirpargli la verità ,se ve n’era una,e se le intuizioni che pian piano la mia mente stava partorendo erano giuste,forse sarei tornato a casa senza neanche poter dire“gondola”.

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Capitolo 5
*** A volte il piacere provoca dolore ***




~~Erano appena rintoccate le nove e le acque del molo di San Marco avevano smesso d’ospitare il nostro riflesso . Il conte ,a passo lesto, si diresse verso la basilica, quasi distanziandosi volontariamente  dalla residenza dogale. Le parole del Marchese Pesaro lo avevano visibilmente turbato e dietro di esse doveva celarsi  un segreto proibito  a cui mi sentivo terribilmente legato. Anche se fu solamente veleno quello che fuoruscì  dalle sue labbra, quell’uomo , seppur involontariamente, riuscì  a fornirmi un indizio abbastanza prezioso.

Raggiunsi Filippo fin sotto il gigantesco busto del campanile, il suo palmo era appoggiato sulla ruvida parete dell’amorevolmente detto “padrone di casa”, il corpo ,lievemente curvo, sorretto a stento da gambe vacillanti , occhi lucidi, volto pallido ed un sonoro affanno dovuto alla terribile apnea auto inflittasi pochi minuti prima.

Sì, doveva essere davvero qualcosa di molto importante, non vi era dubbio. Nonostante la mia impaziente curiosità, in quel momento non avrei tempestato il conte di domante , sarebbe stato da insensibili e di certo il mio nome non era Egidio Galeazzo.
Leggermente ripreso,Filippo notò  ,imbarazzato, che ero a pochi centimetri di distanza e tentando di ricomporsi iniziò a scusarsi senza che ,a mio avviso, ve ne fosse motivo.

- Sono davvero un irrispettoso Ludovico,mi sono precipitato in piazza come una furia senza neanche curarmi di voi. Di sicuro non vi avrò fatto una buona impressione..-

-Non dovete minimamente pensarlo. Avete dimostrato di possedere un grande autocontrollo, se al vostro posto ci fosse stata una persona abbastanza irascibile di sicuro il volto incipriato di quel tale avrebbe riacquistato un po’ di colorito-

Quella mia ironia ebbe l’effetto desiderato, sul viso di Filippo nacque un sorriso, tramutando presto  quel nervoso ansimare in una fresca e leggera risata.

-Alcune volte mi piacerebbe mettere da parte gli insegnamenti del galateo ed affidarmi all’istinto ma un’antipatica piccola peste con la sua vocina stridula m’impedisce sempre d’agire come vorrei. Alla gente piace chiamarla “Coscienza”-

Ero ben felice di sapere che il senso dell’umorismo era di famiglia. Mi sembrava leggermente sollevato anche se le rughe formatesi sulla sua fronte dovevano ancora distendersi completamente.

-Vi sentite meglio?-

-Sì, sì non dovete preoccuparvi. Voi piuttosto,spero che quel diverbio fra me ed il…marchese non vi abbia troppo infastidito.-

Una domanda molto premurosa ma inaspettata. Aveva nuovamente menzionato quell’argomento.

-No,se è quello che pensate ma a mio avviso dovreste riesumare i crimini di quell’uomo ed esporli al resto del Consiglio .-

-Come se il Consiglio non fosse già a conoscenza d’ogni cosa. Molti degli emissari del Marchese sono circondati dalle stesse mura che circondano il Doge, sarebbe tutto inutile. Non mi stupirei se il furto dell’anello avesse a che fare con quella serpe.-

-Già….- 

mi faceva star male mentire ad una persona come Filippo  ma non potevo ancora permettermi d’uscire allo scoperto con quell’antipatico  incollato al mio anulare.

-E poi secondo la gerarchia nobiliare, il mio titolo è di un grandino più in basso del suo.
 Io sono un Conte , lui un Marchese quindi non avrei molto appoggio da parte degli altri membri.
A meno che..-

Stava esitando. Una soluzione esisteva  e lui ne era consapevole.

-A meno che?-

provai ad esortarlo ma proprio quando le labbra del Conte stavano per proferir parola un nuovo vociare invase San Marco, provocando la crescita di scompiglio in tutta la piazza.
Dai vicoli della città provenivano urla e schiamazzi d’ogni genere. A prima vista poteva essere confuso con qualcosa di grave ma bastò aguzzare la vista e notare  delle ciocche rossicce contrastate dal vento accompagnate da una sonora risata per comprendere che si trattava solamente di..

-ANASTASIO!-

Le diverse grida che irruppero in piazza mi avevo preceduto. Circa quattro o cinque uomini, seguiti da quelle che intuii essere le corrispettive figlie o consorti, stavano rincorrendo quell’abile seduttore armati dei loro bastoni da passeggio,che in quel momento non  sarebbero stati sfruttati per far quattro passi.

Qualche metro più indietro le diverse conquiste di Anastasio, alcune di esse quasi svestite, imploravano ai padri ed ai mariti di risparmiare la vita a quel povero diavolo che tra una sghignazzata e l’altra acquistava terreno verso di noi.

-Scusate Conte ma ho fretta!-

Disse rivolgendosi a Filippo e con scatto fulmineo svoltò l’angolo del campanile e sgattaiolò verso il molo.
Aveva quasi terminato di percorrere l’intera facciata di Palazzo Ducale ma, sfortunatamente per lui ,caso volle che a passeggiare lì  vi fosse anche una graziosa signorina con morbide forme e sorriso accattivante.
Uno sguardo, una distrazione ed il giovane “Casanova” aveva appena baciato il lastricato marciapiede di San Marco.
Amore fa rima con Dolore e quella di Anastasio ne era una chiara dimostrazione…o quasi.

La folla gli si radunò attorno , anche io ed il conte ci avvicinammo. La gente , guardandolo dall’alto verso il basso non faceva altro che insultarlo , improvvisamente uno dei probabili consorti disonorati  lo afferrò per un braccio bruscamente  costringendolo ad alzarsi.

-Disgraziato! Come avete osato farmi questo! Io che vi credevo un innocuo cicisbeo avete approfittato della mia benevolenza per giacere con mia moglie!-

-La vostra signora desiderava solamente un po’ di  dolce compagnia -

-Con tutti i domestici che scorrazzano per casa di sicuro la compagnia non le manca-

-Non avete analizzato l’aggettivo “dolce”. Vostra moglie si sentiva sola, voi non eravate mai in casa e quindi il mio senso del dovere ha preso determinati provvedimenti.-

 -Ora vedrete i miei di provvedimenti ,casualità dei fatti  avete interrotto la vostra fuga proprio ad un passo dai Piombi.-

-Avrei sicuramente superato quell’edifico, in una  prigione non si incontrano belle donne.-

Solitamente la gente rabbrividiva nel sentir nominare i Piombi. Nessuno avrebbe desiderato essere rinchiuso in un carcere esclusivamente per detenuti con titolo nobiliare o ancor peggio nei cosiddetti Pozzi, dove veniva imprigionata anche la gente comune. Era un argomento tutt’altro che divertente ed Anastasio con una frase era riuscito a trasformare una parola proibita in una burla. Intanto la sua discussione con quell’aristocratico, già nero dalla rabbia,stava prendendo una brutta piega.

-Non dovevate permettervi di fare il donnaiolo con mia moglie!

-Ma voi non amate vostra moglie-

-Questo non centra, il nostro matrimonio sarà stato anche combinato , la giusta intesa non sarà nata ma resta comunque la mia donna e sappiate che ciò che avete fatto non mi piace per niente!-

-Oh, a lei si!-

Eh si,ancora stentavo a crederci ma purtroppo l’aveva detto. Che razza d’incosciente!

La folla era pronta ad avventarsi contro Anastasio ,  uno di loro lo aveva già afferrato per il fazzoletto in pizzo legato al collo. Ancora qualche secondo ed i suoi connotati sarebbero diventati irriconoscibili, sarebbe servito un miracolo  e  grazie al cielo Filippo intervenne in tempo.

 -Un momento!-

Si girarono tutti verso di noi con sguardo tutt’altro che aggraziato.

-Fossi in voi non lo farei-

la voce del conte era molto sicura a differenza mia che stavo tremando dal momento in cui quella folla iniziò a fissarci.

-Non dovreste intromettervi –

-Lo dico solamente per voi ,Signore.-

-E perché mai,sentiamo-

-Le donne-

-Che cosa?!-

Nella mia testa avevo formulato la stessa identica domanda.

-Le donne,le donne di Venezia, ogni fiore o bocciolo appena sbocciato appassirebbe se questo giovane dovesse sparire per sempre.-

-Tanto meglio,non mi importa un bel niente delle donne-

- Di quali donne? Della vostra o di quelle altrui?-

A quella domanda l’espressione sul volto di quel nobile cambiò, in quel momento era meno arcigna . Lasciò la presa dal bavaglio del ragazzo e pian piano si avvicinò al Conte. I loro volti erano ad un passo dallo sfiorarsi ed anche se il tono di voce era abbastanza basso per evitare che altre orecchie ascoltassero, io riuscii a captare diverse frasi.

-Cosa intendete dire?-

-Via non fate lo sciocco. E’ circa un mese che andate a far visita alla Baronessa Romieri, vi intrufolate nella sua stanza quando il Barone è assente e chiudete le tende per evitare  che occhi indiscreti scrutino il vostro dolce da farsi.-

Dalla mia prospettiva potei notare  il volto preoccupato di quel tale .Da predatore a preda.

-Vo..voi sapevate?-

-Oh sì. Ora riflettete un attimo con me. Vostra moglie si dilettava con il giovane marchese
Anastasio de Rosa  mentre voi non eravate in casa e naturalmente quando il fatto venne alla luce , pur non amando la vostra compagna vi siete fatto avvolgere da una falsa gelosia cacciando in malo modo il seduttore. Giusto?-

-Giusto-

-Bene. Adesso,facciamo un piccolo scambio di ruoli. Supponiamo per un istante che La Baronessa Romieri sia vostra moglie e voi siate il marchese Anastasio.
La vostra metà ed il marchese ossia voi e la Baronessa , amoreggiano con passione in camera, inaspettatamente la porta si apre ed il consorte sorprende i due amanti.
Voi pochi istanti fa eravate sul punto di picchiare a sangue il marchese De rosa quindi  la domanda che vi porgo è:
Che cosa sarebbe capace di fare il Barone Romieri se per casualità scoprisse che voi e la sua consorte trascorrete ore preziose sotto morbide lenzuola?-

Gli grondava il sudore dalla fronte per il nervoso, busto contratto e pugni serrati.

-Non oserete?-

-E perché no…-

-Vi supplico..-

-Facciamo un accordo, io manterrò il mio silenzio se voi ordinerete di lasciare in pace quel ragazzo.
Credetemi fareste un piacere a molti altri nobili nella vostra identica situazione. Le voci circolano veloci tra questi canali.-

-D’accordo -

Era andata. Avevamo vinto. Un stretta di mano ed in quattro e quattro otto e la gente si dileguò per le strade ,Anastasio, finalmente libero, si rialzò, risistemò il bavero in pizzo  e si diresse verso di noi.

-Vi ringrazio infinitamente Conte! Senza il vostro intervento il mio fascino non avrebbe mai più potuto ammaliare una donna. Non saprei proprio come sdebitarmi-

Disse il rosso con un inchino.

-Be iniziate con il corteggiare esclusivamente donne nubili e possibilmente prive d’altro spasimante-

-Conte, le donne sono come i gioielli,resti talmente incantato dalla loro bellezza che vorresti averle ad ogni costo nonostante il loro prezzo sia molto elevato.-

Dopo quel paragone bizzarro si voltò verso di me,quasi stupendosi di vedermi.

-Ma voi siete il messere della gondola! Giusto?-

Si era ricordato di me, non so sinceramente mi faceva piacere o meno , era un tipo alquanto imprevedibile.

-Sì, esatto. Ludovico Mainardi, lieto di fare la vostra conoscenza-

-Marchese Anastasio Filiberto De rosa. Ma immagino che il mio nome non vi sia sconosciuto-

Aggiunse Anastasio con il solito sorrisetto impertinente.

-già’..- dissi io imbarazzato.

-L’ultima volta che vi ho incrociato, questa mattina, avevo promesso di sdebitarmi dato che siete stato così gentile da concedermi il passaggio in gondola-

Certo..come se non ricordasse che fu lui a scostarmi e saltarci sopra.

-Ma no non dovete scomodarvi.-

-Insisto Ludovico, e dato che devo un favore anche al conte vorrei offrirvi da bere e gustare qualcosa a El Baxìn, dalla Siora Màlia. Che ne dite?-

Io ed il conte ci fissammo per qualche istante mentre  Anastasio era impaziente di una risposta. Demmo il nostro consenso ed  iniziammo ad incamminarci verso la bottega. In realtà poi scoprii che Anastasio aveva scelto qual posto solamente perché la proprietaria del negozio possedeva due bellissime figlie e per la gioia del Marchesino ,addirittura gemelle. Non sarebbe mai cambiato.

Durante il tragitto per raggiungere El Baxìn  iniziai a conversare con Filippo riguardo a ciò che era accaduto pochi minuti prima.

-Scusate la domanda Conte ma come facevate a sapere che quel nobile aveva rapporti con una baronessa?-

Dalle labbra del conte scappò una breve risata subito seguita da una spiegazione logica:

-Molto semplice. Il Barone e  Baronessa Romieri alloggiano alla nostra stessa pensione. La finestra della mia stanza affaccia sull’ingresso ed così  ho potuto notare che settimana dopo settimana quell’aristocratico andava far visita alla Baronessa mentre il marito era fuori. Uno entrava , l’altro usciva ,ogni giorno questo continuo cambio della guardia. Inoltre le pareti della  mia camera comunicano proprio con la stanza da letto dei Romieri perciò ogni volta che la Baronessa  era in dolce compagnia, per le mie orecchie fu inevitabile percepire, come dire, “determinati suoni”.-

 Dopo aver ascoltato quella storia le mie labbra stentarono a trattenere una risata. Le casualità della vita riescono sempre a sorprendere, in una sola mattinata avevo passeggiato e conversato con un mio avo, scoperto d’appartenere ad un ramo della nobiltà veneziana e messo involontariamente al corrente di un arcano segreto ancora non rivelato.

Sinceramente non sapevo  quando ne avrei parlato con Filippo ma non potevo prorogare l’argomento troppo al lungo. Il tempo stava scarseggiando ed anche se a malincuore , come con una vecchia pianta ,avrei dovuto eradicare quel prezioso frammento da un prato già ricco di ricordi e confessioni.

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Capitolo 6
*** E' il dettaglio a far la differenza ***



~~Umidi marciapiedi si lasciavano accarezzare dai nostri mantelli, l’eco di passi abbandonati imprimeva  schegge di vita lungo strade impregnate e calpestate dal tempo. Ponti, canali e riflessi erano ormai parte di un enorme ed infinito labirinto,così estraneo alla mia mente ed incredibilmente familiare alle mie gambe.
Chino a fissare i numerosi ciottoli opachi appena sfiorati dai tacchi del Conte ,a me antecedente , quasi non mi resi conto che la nostra meta era stata raggiunta.

A darci il benvenuto fu il soffice profumo fuoriuscito da una porta leggermente socchiusa. Un ottimo stratagemma per una “dolce trappola” e con l’olfatto ormai soggiogato entrammo in quella piccola bottega ricca di fragranze.
Un grazioso salottino in miniatura provvisto di  sedie e tavolini mise alla prova la mia mente. Quel posto era brillantemente riuscito a mantenere la sua forma originale. Pareti,suppellettili ed infissi non ancora baciati dal tempo dimoravano lì da sempre. Malgrado l’assenza di un grammofono,una luce finalmente priva di fiamma, quale la lampadina ed un tocco di modernità, quel salotto di profumi  mi faceva sentire a “casa”.
 
Nonostante tutti quei soavi aromi il locale era ancora vuoto come lo era il bancone principale a pochi metri da noi. Non vedendo nessuno io e Filippo eravamo sul punto di andar via finché,dirigendosi verso le scale del piano di sopra ,dove vi era una specie laboratorio dolciario, il Marchesino non urlò a gran voce determinati nomi.

-BICE!...BERTA!-

Non dovette aggiungere altro che dal piano superiore si sentiva già il cigolio degli scalini ,misto a degli incomprensibili ed acuti gridolini, che gradino dopo gradino iniziavano a farsi sempre più irritanti.
Rammentate ciò che precedentemente vi dissi riguardo alla scelta di quel locale da parte di Anastasio?
Be eccovi la motivazione, anzi oserei dire la “doppia motivazione del perché quel rubacuori ci aveva condotti proprio a “El Baxìn”.
 Ebbi solo il tempo per sbattere le palpebre che una rosea immagine a specchio mi si proiettò davanti.
Due ragazze perfettamente identiche,dimostravano vent’anni circa, stessa chioma corvina,stesso sguardo turchino,stesso sorriso. Oltre ad abiti di diversa tinta , uno tendente al lilla e l’altro leggermente azzurrino,una sola cosa  permetteva  ad occhi estranei di non far confusione tra le due,il colore dell’iride.
Osservandole più attentamente potei notare una lievissima eterocromia presente nell’occhio sinistro di una delle ragazze. Uno sguardo baciato sia dal cielo che dalla terra.

Alla mia mente quel raro particolare cromatico non era nuovo,anzi. Difatti, nella mia vera epoca, ogni volta che avevo la possibilità di fermarmi a El Baxìn per bere qualcosa,la mia attenzione si concentrava sempre sul curioso sguardo bicolore della padrona di bottega, la cara Siora Iole, madre di ben otto figli tra cui,ironia della sorte, una coppia di gemelli.
Me li ricordavo bene. Due piccole pesti. Gote rosee,pelle candida e fulvi riccioli.
Riflettendoci, potevano perfettamente essere due “Anastasio in miniatura”.
Ed ecco che, dentro di me, questo mio assurdo pensiero stava già assumendo la forma di un’ipotesi abbastanza sensata: stesso aspetto,stesso temperamento e magari…stesso sangue?

Era un ragionamento piuttosto logico e conoscendo le astute ed infallibili imboscate di quel maestro di seduzione,non mi sarei affatto stupito se quei due piccoli “argento vivo” fossero stati suoi discendenti.
Forse ,durante una sua avventura con una di quelle due signorine, il Marchesino non prese in considerazione la possibilità del ben noto“piccolo imprevisto”,trasformando involontariamente una delle ragazze in madre.  Avrei potuto metterci la mano sul fuoco.
Durante quel mio fulmineo collegamento di elementi, Anastasio era già intento a corteggiare e vezzeggiare le sue belle colombe, concentrate a disputarsi le attenzioni del Marchesino.

-Vi prego “signore”,contegno. Il Marchese De rosa è qui appositamente per assaporare ogni vostro singolo sospiro .

Affermò il dongiovanni cingendo i fianchi ad entrambe, stringendosele al suo petto e, notando subito dopo Conte leggermente infastidito, perfezionò le sue parole.

-Per assaporare ogni vostro sospiro ed anche uno di quei dolci manicaretti nati dalle vostre morbide e soffici mani.-

Era davvero incredibile. Aveva la spaventosa capacità d’inserire un elogio aggraziato anche nella più futile delle frasi. Intanto le giovani si distaccarono dal marchesino iniziando ad avviarsi verso le scale.
 
-Aspettate. Prima di tornare da vostra madre vorrei presentarvi una persona -

Il marchesino,volgendo il braccio in mia direzione,diede iniziò alle presentazioni.

-“Madamigelle”avete davanti a voi un giovane ed affascinate veronese, il Sior Ludovico Mainardi,
   giunto fin qui a bella posta per contemplare gli splendori di Venezia.-

Naturalmente con “splendori”non alludeva certo al luccichio della laguna.

-Ludovico,lasciate che vi illustri le signorine Beatrice ed Alberta Zaffin.-

Le due fanciulle fecero un lieve inchino pizzicando i lati della veste e con gentil sorriso risposero,quasi all’unisono, semplicemente :

-Serva -

-Queste incantevoli signorine sono le figlie della padrona di bottega, la Siora Màlia.-

 aggiunse il marchesino sfiorando le loro guance.

-E del Sior Giacinto Zaffin,che ,come ben sapete, non considera la finezza parte dei suoi pregi.
Cercate di tenerlo a mente Anastasio-

Intervenne Filippo quasi a labbra serrate, rammentando al marchesino di dar spazio più alla mente che a quel cuore affamato. Il giovane fece finta di non aver sentito continuando a gongolarsi fra i sinuosi corpi delle sue “rondinelle”.

-Perdonate Anastasio, eravamo venuti qui per ben altro-

Continuò il conte, stufo dell’atteggiamento puerile del ragazzo.

-Conte,avete ragione. Berta,Bice andate e portateci le vostre migliori delizie. Solo quelle della bottega,per adesso-

disse il Casanova lasciando le ragazze libere di andare, senza mai abbandonare la sua indole da predatore passionale.
 Mi divertiva vedere la buffa e rassegnata espressione sul volto del conte, sicuramente Filippo aveva assistito a quel romantico teatrino innumerevoli volte. Prima Ci dirigemmo ed accomodammo ad uno di quei tavolini, tricorni adagiati sul banco,mantelli sullo schienale di sedie in legno e mani conserte in attesa del pasto. A far stranamente  eccezione del posto a sedere fu proprio il marchesino, che a tre quarti ,quasi non curante di noi,fissava contemporaneamente sia le scale del piano superiore sia la porta d’ingresso.

Notai un’ espressione divertita sul viso del conte, il quale, accortosi della mia aria confusa, mi chiarì la situazione.

-Non badateci, vuole semplicemente esser certo da quale dei due possibili sbocchi possa spuntare il Sior Giacinto.
Quell’uomo è un iracondo di prima categoria e la presenza di Anastasio non è molto tollerata qui perciò in questi rari casi il marchesino deve agire con prudenza-

Prudenza ed Anastasio nella medesima frase,mi sembrava impossibile .
Approfittando dell’apparente assenza di Anastasio,decisi di riaprire il discorso interrotto dal “casanova” a San Marco.
 
-Conte,forse vi sembrerò irriverente ma vorrei riprendere la nostra conversazione riguardo ai crimini del  Marchese
Pesaro.Se non erro mi era parso di capire che forse vi era qualche possibilità di smascherarlo e far finalmente giustizia.-

Filippo aveva lo sguardo fisso su di me dalla prima parola che proferii. Non sembrava per niente entusiasta.
A volto teso e mani madide di sudore,il conte non disse che poche parole.

-No, non c’è niente che io possa fare,niente. La giustizia è morta da un bel pezzo qui ed illudersi di poter creare un luogo dove venga rispettata è e resterà sempre un’utopia. Mi dispiace Ludovico.-

Stava mentendo e ne era consapevole. Ma per quale motivo? Paura? Onore? Qualunque fosse stata  la ragione la mia caparbietà avrebbe vinto, ma sapevo che la risposta a tutte le mie teorie incomplete non l’avrei ricevuta da Filippo.

In quell’istante arrivarono le nostre fragranti ordinazioni accompagnate da dell’ottimo caffè, Bice e Berta si erano sistemate dietro al bancone nel caso arrivasse un nuovo cliente ma avevo potuto notare che nonostante gli ottimi prodotti ,solamente  qualche rumor di teglia ed i  nostri respiri animavano la bottega. Strano direi.

-Non c’è anima viva qui. E’ un vero peccato che un posto come questo non sia molto frequentato-

-Questa è solamente un’umile bottega nascosta tra i canali. Se desiderate conoscere volti nuovi e conversare del più e del meno vi consiglio di fare un salto in uno dei saloni per eccellenza,“Alla Venezia Trionfante”-

Fu il marchesino a rispondermi ,gustando una fetta di dolce ancora intento ad osservare l’ingresso per garantire la propria incolumità.

 -“Alla Venezia Trionfante”?- ripetei confuso.

-E’ un Caffè letterario. Si discute,si chiacchiera ,si progetta, si partoriscono idee per una Venezia ancora non nata e molto spesso ci s’illude. A me piace definire quel posto  una roulette russa, a volte si vince altre si perde. I più assidui frequentatori ,quali artisti, intellettuali e curiosi, per me  potrebbero assumere un unico appellativo, sognatori, ed è esattamente grazie alla loro mente utopica se quel luogo ,a distanza di circa settant’anni, respira ancora.-

Le parole del Conte erano ricche di una malinconica ironia. Quale servitor di giustizia ,i suoi occhi dovevano essere  sempre stati muti testimoni di atti che avrebbero condannato la Serenissima a restare, in eterno, un diamante allo stato  grezzo. Era certo che le fantasie di quei “visionari” appartenevano ad una Venezia Perfetta, una Venezia che non esisteva e che mai sarebbe esistita.

-Non dovete assolutamente farvi influenzare dalle miei opinioni a riguardo,Ludovico. Siete comunque libero di fare ciò che volete.-

Questa volta la voce del conte era meno grigia. Vidi Anastasio accostarsi a me e aprir nuovamente bocca.

-Perché non andarci sotto le vesti di visitatore ,quale siete. Che ne pensate Ludovico? D’altronde non aver mai messo piede lì sarebbe come non esser mai salito su una gondola. Per favore pensateci. Se avrete difficoltà a rintracciare il locale chiedete in giro del Sior Florian, vi saranno date le giuste indicazioni,il Caffè è proprio affianco al campanile,a San Marco. Ora sono desolato signori ma debbo andare,”faccende importanti”, sapete a cosa alludo. Servo vostro-

Quindi si trattava del “Caffè Florian” o almeno nella mia epoca lo avevo sempre conosciuto con questo nome. Conoscevo quel posto. Quando ero bambino ,durante il periodo autunnale ,osservavo sempre le diverse signore distinte sorseggiare della cioccolata calda accompagnata da biscotti o altri dolciumi. Erano lì,al riparo dal freddo,sotto l'accogliente porticato del locale mentre i rispettivi consorti,appoggiati alle diverse colonne dell’edifico ,parlavano d’affari,fumando un sigaro e contemplando i grigi ed umidi cieli di San Marco.

 Dopo avermi rivelato l’esistenza di un luogo già scrutato dal mio sguardo,il marchesino si rimise il tabarro sulle spalle ed il tricorno sul capo, posò qualche moneta sul bancone per pagare il servizio, donò un bacio fluttuante ad entrambe le fanciulle , si diresse verso l’ingresso e prima di disperdersi per i canali, dalla soglia, fece un ennesimo cenno di saluto verso di noi.

Terminato velocemente il pasto, anche io ed il conte lasciammo la bottega per poi raggiungere la pensione che ci ospitava. Per tutto il percorso non vi era stato dialogo tra noi, non una parola, solamente passi.
Eravamo a pochi metri dai gradini d’ingresso, sentivo le campane di San Marco echeggiare le dodici, il vento donava alla corrente un flusso regolare che cullava le poche gondole presenti su quel manto d’acqua.

Sulla soglia il Sior Simon ,pronto ad accoglierci, ci comunicò che il salone della pensione stava già preparando i coperti.

-Oggi desinerò nel mio appartamento, Sior Simon.-

disse Filippo ,lasciando un lieve malcontento sul volto del proprietario. Poi si volse verso di me.

-Perdonate se non potrò unirmi a voi per il pranzo Ludovico, ma ho molto lavoro e non posso permettermi troppe distrazioni. Spero che ciò non vi sia d’incomodo. Servo vostro.-

E scomparve oltre l’ingresso,seguito dall’eco dei suoi passi.
Scuse, solamente scuse.
Ecco cosa uscì dalle sue labbra.
Era evidente che Filippo voleva nascondersi. Stava tentando in tutti i modi di resistere .Voleva convivere con quel segreto in eterno,condannandosi ad una falsa esistenza.
Quale suo discendente anch’io ero inevitabilmente coinvolto in quella faccenda.
Volevo aiutarlo, dovevo aiutarlo. 
Magari una passeggiata al chiar di luna nei pressi di San Marco sarebbe stata un’ottima occasione per vistare il gran salone dell’ancor denominato Caffè  “Alla Venezia Trionfante”.
Un luogo talmente apprezzato da esser colmo anche superata la mezzanotte.
Avrei scoperto la verità dalle labbra di qualcun’altro e già sapevo chi sarebbe stato il mio uomo.
Tra poeti, musicisti e maestri,con un po’di fortuna, forse sarei riuscito a scorgere anche dei nastri scarlatti ed  una bauta bianca.

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Capitolo 7
*** Bicchieri rovesciati e torri crollate ***


~~
Riuscivo a sentirla,tutta quell’acqua. Captavo ogni singola lacrima di un cielo baciato dall’ombra d’una fresca notte primaverile. Da sopra il mio letto di morbido tessuto contavo le ombre proiettate su quelle grezze pareti da cui ero cinto, sembrava quasi che quelle “macchie scure” ,malformate dalla luce, mi stessero osservando, dall’alto della loro imperfezione.
Intanto il mio orecchio ospitava nuovamente il suono dei diversi scrosci.
Quelle schegge d’acqua picchiettavano contro il vetro della mia finestra con l’intento d’essere notate.
Mi alzai per poi accostarmi  alle tende,buttai uno sguardo oltre la vetrata.
Nessun mantello,nessuno strascico roseo. Solo pioggia.
Erano da poco passate le undici ,un ottimo orario per un’ umida passeggiata a San Marco.
Tricorno, tabarro e ,cosa fondamentale ,guanti. Non che io mi stessi dilettando a fare il nobile ma in quel momento era un accessorio indispensabile per nascondere a dovere la preziosa e dorata causa dei miei problemi,ormai sapete a cosa mi riferisco.
Soffiai lievemente sulle poche candele presenti ,permettendo a stoffe e pareti di inalarne il fumo, mi chiusi la porta alle spalle e percorsi la fredda rampa di scale fino a giungere fuori, sull’umido pianerottolo d’ingresso.
Scesi i pochi gradini che mi separavano dal marciapiede, mi diressi immediatamente verso San Marco.
Notai che il livello dell’acqua imprigionata nel canale era salito di una decina di centimetri circa,se la pioggia non avesse cessato avrei avuto serie difficoltà a tornare alla pensione. Potevo solamente sperare nella magnanimità della marea.
Ponte,vicolo ed i miei occhi poterono vedere la guglia del campanile,grondante di cielo.
Mi bastò avanzare di qualche passo ed il luogo del mio “appuntamento invisibile” era dinnanzi a me.
Nonostante l’ora tarda, le mura del Caffè Florian ospitavano ogni tipo di brusio, da acuti gridolini muliebri  a  virili risa. Attraversai l’arco a tutto sesto del portico ed entrai.

Ad attendermi vi era una sala dal pavimento marmoreo, tempestata , lungo le pareti, di canapè color porpora e diversi tavoli in legno pregiato con sedie imbottite, il tutto dava vita ad un corridoio adiacente alle altre stanze.
Superato il primo salottino varcai la soglia di un secondo, questa volta leggermente più ampio del precedente.
Non vi era sofà privo di mantelli e ventagli, il locale straripava di gente, e presto non sarebbe stato l’unico, data l’infinita quantità d’acqua intenta ad inghiottire San Marco.
Aromi d’ogni tipo aleggiavano nella sala, l’odore acre del fumo proveniente dalle pipe, l’inteso profumo sul collo di frivole fanciulle d’aspetto tutt’altro che casto, l’essenza di vino ed altre bevande presenti nell’aria.
Ed ecco che la mia caccia poteva aver inizio.
In verità ,ad agevolarmi la ricerca pensò un bicchiere o meglio,la frantumazione d’un bicchiere.
Ero lì ,ad esaminare ogni tavolo nella speranza di trovare il mio “orator del vero”che distrattamente ,urtai un nobile, in piedi alle miei spalle, facendogli scivolare dalle dita il calice vitreo colmo del“nettare degli Dei”.
Era calato un imbarazzante silenzio.
Con il panciotto macchiato di vino ,visibilmente irritato e completamente ciucco, masticando parole incomprensibili a causa della sbronza,quel tale afferrò una forchetta dal tavolino puntandola verso di me .
Quasi fosse un fioretto, iniziò ad agitare la posata alla cieca squarciando l’aria con l’intento d’infliggermi il “fendente mortale”.
La sua ebbrezza ed i miei riflessi pronti stavano trasformando quell’incidente in uno scontro impari, e francamente parlando lo svantaggiato non ero io.
Si rifiutava di demordere, nonostante fosse ormai una marionetta di Dioniso quel pazzo continuava a minacciarmi con quell’innocuo tridente in miniatura. Per evitare i  suoi colpi fui costretto ad indietreggiare fino ad essere frenato da un tavolino imbandito alle mie spalle.
Violento si avventò di colpo su di me ottenendo in cambio solamente delle tovaglie lacerate, coperti frantumati ed un bel bernoccolo. Cosa credevate, che non mi sarei scansato?

Con la fronte arrossata e gli abiti ancora più unti a causa di tutte le cibarie rovesciatosi addosso, il mio contendente ,per l’ormai mancata forza ,rimase accasciato sul pavimento della sala riuscendo ugualmente ad  emettere qualche lamento indecifrabile.
Affannato per la dura “lotta” spostai lo sguardo dal mio ormai inoffensivo avversario al resto dei presenti.
Gli improvvisati spettatori di quel duello non riuscivano a staccarmi gli occhi di dosso,lievi sussurri si dispersero per il salone.

Poi, improvvisamente, un suono. Un rumore netto il quale eco si era già ramificato lungo tutto il pavimento.
Come tutti gli altri, mi voltai in direzione di quella nota strozzata alla ricerca della sua origine.
Forse la mia caccia poteva considerarsi terminata.
Sulla soglia d’ingresso, a pochi metri dai tavoli, un mantello nero stava graffiando il marmo della sala ,già precedentemente trafitto dalla plumbea punta d’ un bastone da passeggio , causa di quel suono morto.
Un corpo baciato dalle tenebre ed un volto occultato da una candida maschera, sovrastata da un copricapo contornato da nastri cremisi.
 -Avrei giurato che sull’insegna vi fosse scritto “Caffè” non “Letamaio”.-

Disse, osservando le unte conseguenze di quanto avvenuto poco prima. Uno dei proprietari del locale,un tale Valentino Francesconi, nipote dell’ormai defunto Sior Florian, accorse immediatamente, tentando di giustificarsi. Dovevano conoscersi abbastanza bene.

- Sono mortificato Eccellenza. Dovete considerare che alcuni dei nostri clienti certe volte peccano d’imprudenza nel bere..-

-Qui l’incauto siete  voi, Signor Francesconi.Dovreste prestare più attenzione a chi mette piede in un luogo situato a pochi metri da Palazzo Ducale. Il Serenissimo Principe non tollera disordini ed io nemmeno. Fate in modo che non vi siano repliche di questo spettacolo, altrimenti il vostro “teatro” potrebbe anche chiudere i battenti.-
 
Come un viscido serpente assonagli quell’ombra stava strisciando lungo il corpo dell’uomo formulando  frasi velenose.
-Ce..certo.-

 Quel poveruomo aveva quasi le lacrime agl’occhi.
Voltatosi in direzione dell’ebro disastro, soffermandosi unicamente sul povero aristocratico inerme e rivolgendosi ad alcuni addetti, “l’uomo ombra” riprese la parola.

-Accompagnate il signore fuori…ed assicuratevi che non finisca in qualche canale.-

Due camerieri  si diressero verso di noi ed alzarono lo sfortunato nobile,ancora incosciente, per poi trascinarlo oltre la soglia del salone.
Dopo pochi secondi di tensione il vocio della sala stava pina piano rinascendo, aristocratici e non ripresero le loro chiacchierate quasi come se nulla fosse successo.

A fare eccezione ero io che, vispo, continuavo a contemplare ed udire i discorsi tra il proprietario e quell’oscura figura.

-Sappiate che questa sera ho fatto un’eccezione. Fatti come questi non posso considerarli degni di supplizio.-

-Vi ringrazio Eccellenza. Ricambierò il favore -

-Naturale che lo farete. Un tavolo, nella sala est.-

Quella serpe non tardò un secondo per approfittarsi della generosità e sopratutto della paura del Sior Francesconi, il quale provvide immediatamente.

-Subito. Preparate la sala est per Sua Eccellenza il Marchese Pesaro.-

Bingo!Quel miasma di un’anima putrefatta non poteva appartenere a nessun’altro.
Lo vidi scrutarmi per qualche secondo per poi ritirarsi nella sala che lo attendeva.
 Si ricordava di me? Può darsi ma non era il mio interesse primario.
In quel momento necessitavo della sua “voce”.

Abbandonai il salone del mio “duello” e mi diressi verso la sala est.
Ad ogni passo le mie emozioni continuavano a confondermi. Era la cosa giusta da fare oppure l’incoscienza d’Anastasio aveva preso il sopravvento su di me? Qualunque fosse stata la risposta la mia impulsività bramava le parole proibite di quel cadavere ancora in vita.
Giunsi all’ingresso della sala, forse la più elegante e raffinata del “Florian”. A differenze delle altre  in questa non regnavano che miseri sussurri, era quasi vuota.

Prima che potessi varcare la soglia due uomini “ostruirono” l’entrata con i loro corpi impedendomi l’accesso.
Erano entrambi avvolti da un mantello scarlatto con tricorno nero privo di ricami. Un abbigliamento adottato unicamente da determinati “servi” della Serenissima, gli Avogador de Comun.
Una carica prestigiosa ma non quanto esser parte dei “Dieci”.
Senza dubbio erano stati ingaggiati dal Marchese Pesaro per una ronda notturna e a quanto potei notare si comportavano già come cagnolini ben addestrati.

-Perdonate Signore ma non potete entrare, questa sala è riservata esclusivamente ai Servi del Serenissimo Principe. Ordini del Marchese Pesaro. - disse subito uno dei due

 Non potevo crederci, quel vigliacco si era addirittura impadronito del locale. “Riservata esclusivamente ai Servi del Serenissimo Principe” ,che sciocchezza. Non mi sarei affatto stupito se avessero concesso l’adito ad una dama di facili costumi per rendere la serata meno tediosa.
 Non avrei desistito così facilmente, dovevo vedere il Marchese e lo avrei fatto.
Perciò, evitando di passare alle maniere forti, volli giocare la mia unica carta.

-Sono un conoscente del Conte Da Riva-


Dopotutto anche Filippo era un membro del "Consiglio dei Dieci" e nella mia testa ero convinto che pronunciare il suo nome sarebbe bastato per varcare la soglia.

I due erano sul punto d’eccepire quando inaspettatamente l’echeggiare d’una voce precedette le loro parole.
-Da Riva?...Filippo Da Riva?-

-Sì- confermai impulsivamente non riuscendo a vedere il mio interlocutore ma riconoscendo comunque le sue sillabe
rauche.

-Lasciatelo passare -

Gli Avogadori si scostarono liberando il passaggio. Iniziai ad ispezionare la sala, l’intonaco delle pareti era costellato di dipinti e specchi, la luce soffusa di candele ormai esauste e prossime ad affogare nella loro stessa cera donava al luogo un’atmosfera rilassante ma al contempo mesta. I diversi divanetti vellutati ed  imbottiti  si presentavano intatti e privi di pieghe,solamente pochi facevano eccezione compreso quello su cui era adagiato  un macabro confidente oppure un mio probabile nemico.

Avanzai verso di lui, non provavo paura ,sinceramente in quell’istante mi consideravo incapace di decifrare emozioni.
Ero a pochi metri dal suo tavolo,sul quale oltre ad una bottiglia di vino ed un calice, vi era anche una scacchiera in legno, una di quelle pregiate,antiche ma ancora perfettamente levigate,per niente consumate dal tempo. Lui era lì,con la bauta adagiata sul volto consumato, seduto sull’imbottitura  in velluto rosso intento a posizionare ogni singolo componente del gioco su quella tavola da sessantaquattro caselle.
Convinto che non avesse percepito la mia presenza fui quasi sul punto di aprir bocca,privilegio che, per la tempestività del marchese, non riuscii ad’usufruire.

-Il Sior Mainardi. Dico bene?-

Pronunciò quelle parole a capo chino e bauta ancora in volto. Nonostante quella stessa mattina, il nostro primo incontro si fosse basato su rapidi sguardi il mio nome era comunque riuscito a raggiungere il suo udito.

-Esatto. Sinceramente non mi aspettavo che la mia comune persona fosse già impressa in una così illustre memoria. -

Sapete,a volte adottare un po’ di ruffianeria può dare i suoi vantaggi.

-Come dimenticare chi è stato graziato nel ricevere il medesimo nome del Serenissimo Principe.-

A quanto potei notare vi era qualcuno più abile di me nel generare false lusinghe.
Con lo sguardo incollato su alfieri ,pedoni e torri , con un lieve movimento del polso,il marchese mi fece cenno d’accomodarmi.

Qualche secondo di silenzio e quella “maschera”,dopo aver allineato ogni singolo componente su quella piazza bianca e nera, riprese la parola.

-Vi prego, concedetemi il piacere di questa partita. La solitudine non è mai stata una brava sfidante,lascia sempre vincere chiunque.-

Era un invito per ammazzare il tempo o soltanto un’occasione per dimostrare la propria bravura attraverso quattro pezzi di legno?
Sicuramente non era noto per la sua modestia e ad ogni caso non avevo scelta se non d’accettare la sfida.
Prima di dar il via al “mio secondo duello” il marchese immerse una mano nel mantello la quale dopo qualche secondo riaffiorò con una moneta al suo interno.
Era uno zecchino raffigurante San Marco ed il Doge da un lato ed il Redentor benedicente dall’altro.

-Bianco o Nero?-

-Bianco-

-La sorte farà da giudice. Se la parte che ci si prostrerà davanti sarà quella raffigurante “San Marco” la prima mossa è vostra, se così non fosse questo privilegio spetterà a me.-

Dopo queste parole ,gettò in aria quel pezzo di metallo facendolo roteare per qualche millesimo di secondo.
Atterrò ,questa volta adagiato sul dorso del suo proprietario che con il palmo opposto occultava la risposta. Il marchese sollevò lentamente la mano e sfortunatamente sulle sue labbra iniziò a nascere un sorrisetto irritante.

-Desolato Signor Mainardi. A quanto pare dovrete accontentarvi dello schieramento opposto per questa volta. Non si può sempre godere del “Vantaggio Bianco”.-

Masticava quelle frasi iniettando ad ogni movimento delle labbra un’abbondante dose d’impudenza.
Quella faccia di bronzo mi stava dando dello sconfitto prima ancora di muovere il primo pedone.
Ogni pezzo era nella sua giusta collocazione ,la battaglia lignea poteva avere iniziò.

Pedone bianco avanti, medesimo passo da parte del pedone nero. Mossa dopo mossa quel campo quadrettato ospitava già le sue prime vittime, cinque pedoni bianchi  fuori gioco , un Cavallo nero divorato, due torri di entrambe le fazioni crollate.

-Ditemi, che cosa volevate da me? Immagino che non siate venuto qui per che io potessi godere della vostra compagnia.-

-In effetti non posso dire che una partita a scacchi fosse nei miei progetti. La motivazione del mio disturbo ha un nome ed un cognome.-

-Ed un titolo. Il Conte Da Riva eh. Incrociando le nostre vite il destino fece un grosso errore. Sua madre, lei era una donna di spudorata bellezza,talmente incantevole che persino la morte stessa ,baciandola avidamente,la strappò dalle braccia del mondo terreno. La desideravo,la bramavo con tutto me stesso. Lisa,così si chiamava. Contessa Lisa Elena Giulia Da Riva. Labbra perfette, un corpo sinuoso, morbidi e profumati boccoli castani.-

Durante quel suo discorso non potei non  notare un prezioso dettaglio. Il Marchese Pesaro stava rimembrando la madre di Filippo esclusivamente tramite una descrizione fisica. Ciò che allora provò  per quella donna fu semplice e sfacciata voluttà, nient’altro. Ciò fece  nascere in me  rabbia e ribrezzo, stava palesemente considerando un essere umano ricco di sentimenti, e per giunta del mio stesso sangue, solamente come  un bel corpo da accarezzare e possedere. Nonostante il mio disgusto feci finta di niente e lo lasciai continuare.

- Davvero una creatura meravigliosa. Frequentava spesso Palazzo Ducale, passava intere giornate lì e ciò faceva crescere in me un forte desiderio, io la contemplavo, la studiavo, avrei voluto sfiorare le sue vesti. Un vero peccato che una rosa simile sia sfiorita prima del tempo, l’inverno ha preceduto l’autunno per lei.-
 
Pronunciò quell’ultima frase con strana aria cinica, strappando le parole dal sentimento,quasi fosse indolente dinnanzi alla morte di una persona. Dopodiché ,con voce sprezzante ,resa ancor più aspra dal “becco” della bauta ,quell’essere continuò.

-La  nascita del suo rampollo si rivelò  sintesi di numerosi problemi ,alcuni dei quali ancora parzialmente irrisolti ed indelebili.-

-indelebili?-

-Come macchie d’inchiostro.- pedone nero mangiato,i bianchi attendono la prossima mossa.
-Non mi sorprende affatto che vorreste saperne di più sul Conte Da Riva. A Venezia tutti lo considerano un uomo abbastanza misterioso,si formulano persino delle leggende sulla sua persona,sapete. Il fatto di alloggiare in una misera pensione piuttosto che nella residenza di famiglia ,fa sospettare non poco. Per alcuni ha acquisito l’appellativo di “uomo senz’anima”, smarrita durante un duello o magari affogata nella laguna.
Ognuno inventa ciò che vuole. -

 -Anche voi?- dissi spavaldo.

-Per quanto ne so è impossibile inventare la verità,nonostante la si possa sempre occultare-

-Questa affermazione mette in evidenza il vostro egoismo, Marchese.-

Torre nera mangia Alfiere bianco. Un punto a mio favore  
Il Marchese emise una breve e rauca risata, muovendo un altro componente del suo esercito

-Siete un uomo di spirito. Mi piacete.
Sapete,io ho un debole per gli indovinelli e se volete potremmo fare un piccolo esperimento.-

Se lui andava matto per i misteri io non ero dello stesso avviso ma dovevo ugualmente sfruttare tutte le possibilità che mi si prostravano davanti, e questa rientrava nella lista.

Uno spazio libero, Cavallo bianco scoperto, Alfiere nero avanza in diagonale stroncando quel candido nitrito.
Da fedel cavaliere l’ Alfiere bianco divora subito il suo riflesso nemico facendo da scudo alla Regina.
Stato attuale della partita :
Pedoni neri svenuti sul campo, i Reali della notte sono privi di protezione, torre bianca avanza in verticale.
Il Marchese iniziò a formulare il suo rompicapo.

-Utilizziamo come contesto proprio l’universo di quest’affascinate svago.
C’è una piazza,una Torre,un Cavallo,un Re, una Regina ,un Alfiere ed un Pedone.
 La Torre inizia con l’attraversare la piazza occupando una postazione  vuota. Trovandosi a poche caselle di distanza dalla Regina nemica, quello scacco diventa una vera e propria minaccia. A questo punto la Sovrana per evitare d’esser divorata dalla “nuova arrivata” è spinta a “mangiare per prima”, così , slittando verso la Torre avversaria la scaraventa fuori dal gioco.
Dalla piena soddisfazione la Regina è costretta a pentirsi amaramente della mossa appena fatta.
Perché esattamente in quell’istante, percorrendo le diverse caselle,un Alfiere nemico travolge senza pietà la Donna, privandola d’ogni potere.
Una trappola davvero ben riuscita
Eliminando la Torre la Regina non solo abbandonò la propria postazione ma di conseguenza lasciò solo il Re.
Per evitare il peggio Il Cavallo si  posiziona davanti al proprio Sovrano tentando di proteggerlo,ma in vano.
In quattro e quattr’otto l’Alfiere lo aveva già divorato.
Un misero pedone orfano di Sovrana , l’unico ad aver mantenuto la posizione originale, avanza trasformandosi nel pasto dell’affamato Alfiere, sacrificandosi per difendere ,anche se per poco, il suo Re,che nel frattempo fece il suo primo passo.
Ora ,Signor Mainardi, la domanda che il mio indovinello vi pone è la seguente.
Secondo voi chi sarà il prossimo ad essere eliminato ?
Se necessitate di un ausilio vi consiglio d’ osservare la scacchiera..-

Abbassai lo sguardo. Sgranai gli occhi per l’orrore e stupore.
L’Alfiere Bianco stava per ultimare il suo tragitto verso il mio Re Nero. Quell’animo putrefatto era riuscito a giostrare le mie mani e la mia mente solamente per aver la soddisfazione di pronunciare la frase bramata da ogni fanatico di questa battaglia tra eserciti muti.

-Scacco Matto, Signor Mainardi.-

Ero ancora attonito, sembrava quasi mi fossi svegliato da un sogno. Quell’uomo iniziava ad inquietarmi sul serio. Volevo andarmene.
Con quattro frasi inventai un pretesto per abbandonare il Florian e sfortunatamente il Marchese lesse la mia paura. Si sollevò la candida maschera dal volto, naturalmente incipriato, permettendo alle numerose rughe di uscire allo scoperto. Riuscivo a captare il lezzo della sua cute fuoriuscire dal tricorno impregnato di sudore.   Uno spettacolo degno d’un camposanto.

- Spero di rivedervi presto Signor Mainardi.Vi consiglio di migliorare le vostre tattiche di gioco, troppe distrazioni,come avrete notato su questo campo bicolore, potrebbero essere fatali.-

-Servo Vostro Eccellenza.-

Senza perdere troppo tempo feci un lieve inchino ed uscii immediatamente  dal Florian. Fortunatamente la pioggia era diminuita ed anche se l’acqua mi arrivava alle caviglie si poteva ugualmente camminare.
Mezzanotte doveva essere passata da un pezzo. Riflettendoci l’incontro non era andato male,avevo ottenuto nuove informazioni riguardo alla madre di Filippo, nonché mia progenitrice. Lisa ,che bel nome…
 E poi quella partita infernale ..davvero troppi capogiri in una sola serata. Quindi, per evitare che le mie scarpe si trasformassero in una città portuale, dovevo smetterla di pensare ed aumentare il passo,con la speranza di non bussare al portone d’ingresso della pensione in stato d’apnea.

 

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