Like a swallow

di maartsp
(/viewuser.php?uid=976469)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Scambiarsi sguardi ***
Capitolo 2: *** I. Un pezzo di vita ***
Capitolo 3: *** II. Lezione di biologia ***
Capitolo 4: *** III. Tempesta ***
Capitolo 5: *** IV. Guerra e pace ***



Capitolo 1
*** Prologo - Scambiarsi sguardi ***


 



Prologo
Scambiarsi sguardi


 

Se ci penso, è strano come l'estate passi così in fretta. Come il sole, il mare, tutte le notti passate a festeggiare, debbano andar via prima di renderci conto che ce li stiamo godendo. E' come se fosse uno scherzo, no? Sei lì, ridendo con i tuoi amici come mai in mesi e mesi di scuola, rinfrescandoti con un drink alcolico nel bel mezzo della festa, e improvvisamente la fine; come se tutte quelle risate non siano esistite davvero, come se il ragazzo abbronzato che stavi per baciare fosse solo frutto della tua immaginazione. E ti svegli, non nel bel mezzo della festa ma nel bel mezzo del tuo letto, pensando all'inizio di un nuovo, estenuante anno scolastico; ma devi alzarti, riodinare le idee e prepararti, indossando il tuo miglior sorriso, perché è così che dovresti affrontare ogni giorno della tua vita. Come faccio io - o, almeno, ci provo -.

E così ero lì, fuori la grande scuola che frequentavo, aspettando Juana. Juana era la mia migliore amica da quando avevamo 4 anni; abbiamo condiviso qualsiasi cosa potesse essere condivisa. Ci siamo dette ogni singolo segreto, anche i peggiori. Abbiamo semplicemente fatto di tutto insieme: abbiamo pianto, abbiamo riso, siamo state entusiaste, abbiamo viaggiato, ci siamo truccate nei modi peggiori, siamo andate ai concerti, siamo state sveglie tutta la notte, abbiamo ballato, abbiamo cantato le nostre canzoni preferite, siamo andate a fare shopping ogni singola domenica mattina, ci siamo aiutate l'una con l'altra quando ce n'era bisogno e ci siamo fatte anche del male, ma questa è la vita e quando un'amicizia è vera, nessuno può spezzarla.
« Swami! Swami! »
Sentii qualcuno urlare il mio nome ed ero sicura che fosse lei; nessuno aveva quel sexy accento spagnolo a parte lei. Mi sorrise quando la guardai e mi corse incontro; ci abbracciammo forte e lei fece un bel respiro.
« Cosa c'è, Juanita? » lei rise per il nomignolo che le avevo affibbiato.
« Niente... Stavo pensando che sarà un lungo, lungo anno » sospirò, portandosi la mano sinistra al petto.
« Andiamo, non essere sciocca! Questo sarà il nostro anno, ne sono sicura! » le feci l'occhiolino, facendola ridere ancora. Sapevo che era sotto pressione, perché si preoccupava troppo per i suoi voti; anch'io lo ero, ma dovevamo affrontarlo con positività ed ottimismo.
« Mica hai visto Frank? Era accanto a me cinque minuti fa, ma è improvvisamente sparito » sembrò confusa, ma pensavo di sapere il motivo per cui era sparito.
Frank era il nostro più caro amico; ogni sabato sera, uscivamo tutti e tre insieme e ci divertivamo sempre tanto. Era davvero simpatico, ma ogni tanto era un po' stupido, non in modo negativo: lui era semplicemente... Imbranato. E neanche così bravo con le ragazze, per giunta. Era profondamente innamorato di Marie, ma lei lo considerava solo un buon amico e una persona simpatica con cui scambiare quattro chiacchiere. Niente di più. Io e Juana abbiamo tentato più volte di farli stare insieme, invano. Non c'era modo.
« Cerca Marie e lo troverai » dissi ridendo, ma mi sentii triste per lui. Meritava davvero qualcuno che lo amasse, e io volevo che lui trovasse l'amore della sua vita; quello vero. Juana stava rispondendomi qualcosa, ma non la stavo esattamente ascoltando; pensavo che la persona su cui mi era caduto lo sguardo fosse una semplice visione, o un miraggio, o qualcosa del genere. E anche lui stava guardando me. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
« TERRA CHIAMA SWAMI! » urlò Juana. Riuscii finalmente a smettere di osservarlo e spostai il mio sguardo su Juana, che era in piedi di fronte a me con le braccia incrociate. Arrossii, accarezzandomi il collo.
« Cucciolo di coccodrillo! Cosa, o meglio chi, stavi osservando? » mi domandò, con sguardo indagatore.
« Nessuno, stupida bambina » risposi, pensando ancora a quanto belli fossero quegli occhi. E anche quel sorriso.
« Se pensi che ti crederò, lasciami dire che, beh... Ti sbagli »
Ci provai, ma non potevo mentirle. Mi conosceva troppo bene.
« Okay, okay. Hai vinto » dissi, ormai rassegnata. « Stavo osservando... » stavo per confessarglielo, ma qualcuno mi piombò addosso e per poco non caddi. Stavo per andare su tutte le furie, ma quando mi resi conto che si trattava di Frank, non riuscii a non essere felice. Mi era mancato tanto quell'estate.
« Swami, oh mio Dio! Sei stupenda. E sei abbronzata! Non posso crederci, troppe emozioni da sopportare! » finse di svenire, portandosi una mano alla fronte teatralmente. Risi fino quasi alle lacrime.
« Smettila, Frankenstein. » dissi. « E, solo per fartelo sapere, tornerò bianca come un vampiro molto presto! »
« Non ho dubbi, tesoro. Chi nasce tondo, non può morire quadrato. Comunque, andiamo dentro. La campanella sta per suonare » rispose, avviandosi verso l'entrata della scuola. Non era cambiato per niente: era sempre lo stesso ragazzo strambo e teatrale. Lo adoravo.
« Ho un conto in sospeso con te, cucciolo di coccodrillo. Non dimentico » disse Juana, facendomi l'occhiolino.
Ruotai gli occhi scherzosamente e le sorrisi. Aveva ragione: sarà un lungo, lungo anno, pensai sospirando.

 


 

Ciao a tutti! Questa storia l'avevo inizialmente scritta in inglese, convinta che potesse rendere di più, però ho pensato che mi sarebbe piaciuto anche vederla tradotta nella mia lingua madre, e quindi ho deciso di scriverla in entrambi i modi. Da suicidio, lo so. Ma dovevo. In ogni caso, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate tramite un commento. Accetto anche commenti negativi, ovviamente. Non si butta via niente, qua.
Questo capitolo è abbastanza corto perché è il prologo, ma farò del mio meglio affinché i successivi siano più lunghi. Ci si rivede, ragazzi. ♥


 

 

 

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** I. Un pezzo di vita ***


 

  I. 
Un pezzo di vita


 

Ovviamente il primo giorno di scuola è sempre il migliore. Non fai niente, solo brevi chiacchiere su com'è andata la tua estate e cose del genere. Rivedi i tuoi amici, ridi, e incontri persone che sono cambiate. Molto. Ti lasciano senza parole, ti senti come se le tue ginocchia siano così deboli che potresti cadere da un momento all'altro. A volte è difficile spiegare come mai queste persone rimangano nella tua testa per così tanto tempo; semplicemente non vanno via, e i tuoi pensieri corrono sempre verso di loro. Vorresti andare da loro e parlarci, ma cosa potresti mai dire? "Hey, ti stavo osservando e niente, volevo che tu sapessi che sei cambiato molto". Non impressionante di sicuro. Ma lo faresti lo stesso, perché non ti importa cosa dire, il punto è andare lì e osservare di nuovo quegli occhi che ti hanno fatto sognare, anche solo per pochi secondi. Ma poi la realtà ti colpisce in faccia, e tu devi dimenticare tutti i sogni ad occhi aperti e concentrarti sulla tua vita.


« Hai ragione. Comunque, vorrei tanto andarci e gustarmi un gelato all'Oreo » disse Juana, mentre stavamo passeggiando nel centro commerciale. Eravamo andate a fare shopping soltanto una volta dopo l'ultimo giorno di scuola, prima dell'estate.
« Perché pensi sempre al cibo, Juana? » chiesi ridendo. Era davvero ossessionata dal cibo. Dolce o salato, non importava. Lei adorava qualsiasi cosa fosse commestibile.
« Non è vero! Penso anche ai vestiti » rispose mettendo il muso. « E il mio fidanzato, ovviamente ».
Oh, giusto. Il suo fidanzato. La sua più grande ossessione dopo il cibo e i vestiti. Il suo nome era William, e si amavano incondizionatamente; non avevo mai visto un amore come il loro. Ero sicura che fossero destinati.
Credevo davvero tanto nel fato e nel destino. Pensavo che se qualcosa non andava come si voleva che andasse, non si doveva perdere la speranza, perché non era destino, e magari qualcosa di meglio stava aspettando all'angolo. Mia madre qualche volta diceva che è infantile credere ciò, ma io non la pensavo come lei. Era il mio modo per sfuggire la realtà e non arrendermi mai.
« Guarda chi c'è lì » sussurrò Juana al mio orecchio. Quando mi girai, vidi Jake.
Trascorsi mesi e mesi pensandolo, convincendo me stessa che non lo amavo più, e tentando di non piangere ricordando tutti i momenti felici passati insieme e tutte le cose che avevamo condiviso. Sentivo qualcosa di davvero forte quando stavamo insieme e quando mi ha lasciata, mi sono sentita il mondo crollare addosso. Mi lasciò dicendomi che non voleva avere una relazione seria perché, secondo lui, era una responsabilità. Solo dopo mi resi conto che in me cercava solo un modo per divertirsi e svagarsi, e che meritavo molto di più di quello. Vergognoso da parte sua, in ogni caso.
« E quindi? » le domandai tranquillamente, sorseggiando il mio frappè, come se lui fosse solo uno sconosciuto come tanti che per me non aveva mai avuto alcuna importanza. Lei sembrò scioccata dalla mia risposta.
« Niente, volevo solo vedere come avresti reagito » disse. « Sono così fiera di te, cucciolo di coccodrillo! » mi abbracciò, e mi sentii al sicuro tra le sue braccia. Lei era la mia forza, le dovevo tutto, e non avrei mai potuto immaginare la mia vita senza lei. E non volevo, onestamente.
« Stavo pensando... » Juana sembrò pensierosa. « Ora che hai dimenticato quello stronzo, dovresti conoscere Mike! » esplose in una nube di entusiasmo, applaudendosi da sola e saltellando qua e là.
« Nemmeno per scherzo, Juanita, non mi inventerò un piano. So che lo stavi pensando! » dissi ridendo, mentre guardavo i suoi comportamenti infantili. Era così stramba a volte.
« Allora non lamentarti di non avere un ragazzo » incrociò le braccia, delusa. « Stupida » 
« Juanita, sai perché non voglio farlo » ruotai gli occhi.
« No, non lo so. Mike è un bravo ragazzo, e so che potrebbe renderti felice » disse dolcemente.
Sapevo che Mike era un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle, e anche rispettoso ed educato. Era ciò di cui avevo bisogno, probabilmente, ma non ciò che volevo.
« Juanita, avere una relazione non dovrebbe essere il nostro unico obbiettivo. Sì, l'amore è una bella cosa. Condividere tutto con una persona che ti ama è una bella cosa. Ma succede spontaneamente, non puoi programmarlo o farlo accadere; se lo fai, non è amore. E' come un matrimonio combinato. Niente di speciale. Niente di emozionante » dissi, stringendo forte tra le mani il bicchiere di carta del mio frappè e spostando il mio sguardo sul pavimento. Portò il mio sguardo verso il suo, alzandomi il mento con le dita.
« Io non voglio che tu abbia una relazione forzata. Sono triste che tu non abbia capito affatto. Io vorrei solo vederti felice e spensierata, e so che un ragazzo può aiutare molto in questo. Non devi necessariamente seguire i miei consigli, se senti che non sia la cosa giusta da fare. Ma ricorda: il destino potrebbe essere reale, ma dobbiamo aiutarlo se vogliamo scoprire quello a cui siamo destinati » lei mi sorrise, ed io mi sentii sollevata. Lei sapeva sempre cosa dire, e pensai molto a ciò che mi disse. Conclusi che aveva ragione, perché le cose non cadono dagli alberi.


« Com'è andata la giornata, tesoro? » mi chiese mia madre con voce gentile. Presi in braccio la mia sorellina, e le lasciai dei baci sulle guance cominciando a dondolarla. Lei aveva solo 12 mesi e la vita era molto semplice per lei; non doveva preoccuparsi di niente a parte mangiare, giocare, fare i bisogni e dormire.
Mia madre era una donna forte, gentile e generosa. Aveva sempre lavorato duramente per mandare avanti la sua famiglia, perché mia nonna era troppo anziana per farlo e mio nonno morì di cancro quando lei aveva soltanto 5 anni. Quando andava scuola, si svegliava alle 5 del mattino. Metteva un po' a posto la sua camera, svegliava i fratelli, faceva i letti, aiutava la madre se ce n'era bisogno e poi andava a scuola a piedi. Quando tornava da scuola doveva cucinare per tutti, apparecchiare, fare i piatti e le pulizie. Incontrò mio padre quando aveva soltanto 13 anni, e si innamorarono follemente. Non terminò la scuola, e iniziò a lavorare come casalinga. Quando avevano 18 anni, mia madre restò incinta di mio fratello maggiore, Shawn. Dovettero sposarsi prima che la pancia crescesse, perché ai suoi tempi e nel paesino dove viveva era uno scandalo aspettare un figlio prima del matrimonio.
Pochi anni dopo, mia nonna morì ma mia madre era triste solo in parte: le sue sofferenze erano morte con lei e finalmente potette vivere una vita eterna assieme a mio nonno. Dopo ciò, la vita di mia madre migliorò: i suoi fratelli trovarono moglie e andarono a vivere con le loro coniugi, e lei non dovette più prendersi cura di loro.
Quando mio fratello aveva 6 anni, nacqui io. I miei genitori erano veramente felici e mia mamma smise di lavorare, perché il lavoro di papà era abbastanza per vivere umilmente.
Quasi due anni fa, scoprimmo che mia madre aspettava un altro figlio e ne eravamo tutti molto entusiasti. Volevo tanto una sorellina, forse a causa dell'istinto materno che caratterizza ogni donna.
« Bene, mamma. E' stata lunga, ma non estenuante » risposi, sedendomi sul divano con Sophie. Lei sorrise, ma non in modo felice, ed io mi preoccupai.
« Va tutto bene, mamma? » le chiesi dolcemente. Provò a non piangere, ma sapevo che era un'azione forzata. A quel punto, mi preoccupai davvero e pensai che potesse essere successo qualcosa in mia assenza.
« Papà mi ha chiamata » disse, iniziando a piangere. « Ha detto che deve stare via ancora un mese. Il capo gli ha detto che l'esercito ha bisogno di lui lì ».
Lasciai Sophie nel passeggino e corsi ad abbracciarla. Le mancava tanto mio padre, ed anche a me. Il suo lavoro era duro, ma dovevamo accettarlo. Un lavoro è un lavoro, anche se ti tiene via dalla famiglia per tanto tempo. Non sapevo come farla stare meglio, e mi sentii inutile. Ma, allo stesso tempo, avrei potuto dire qualsiasi cosa, e non sarebbe servito a niente ugualmente; era troppo a pezzi per essere aiutata.  

 


 

Rieccomi con questo primo capitolo. 
La mia intenzione era quella di farvi entrare un po' più a fondo nella vita della protagonista, raccontarvi un po' la storia della sua famiglia e quella che è stata la sua più grande delusione d'amore (ad immagine e somiglianza della mia, tra l'altro. Funziona così: un autore mette sempre sé stesso all'interno delle sue opere, è un istinto naturale!). 
Spero che vi abbiano un minimo incuriosito la vita e i comportamenti di questo cucciolo di coccodrillo (più avanti spiegherò il perché di questo nomignolo, ve lo giuro). 
See you next time.♥


 

 

 

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** II. Lezione di biologia ***


 



II.
Lezione di biologia


 

E' sempre strano quando pensi al passato dei tuoi genitori, quando ti raccontano come si sono incontrati e com'è iniziata la loro relazione. E' come se fosse una realtà mai esistita, perché non eri lì a viverla; ma pensarci ti fa sognare che un giorno tu possa essere in grado di innamorarti ed essere amata come hanno fatto loro e continuano a fare ogni giorno della loro vita. A volte capita che semplicemente non funzioni e devono stare lontani l'uno dall'altra, perché quando qualcosa non funziona non porta felicità in casa, e quando in casa non c'è felicità tutti i membri della famiglia sono influenzati da ciò; nei casi peggiori, può capitare che un figlio cresca con uno spirito ribelle, infrangendo le regole e combinando guai per riempire il vuoto del non vivere in un posto amato e confortevole.


Feci un respiro profondo mentre mi addentravo nel corridoio della scuola; quella mattina mi ero svegliata con il desiderio di restare al letto tutto il giorno a dormire. Trascorsi tutta la notte pensando a mio padre e a quanto mi mancasse. Lui era il mio faro nelle notti più buie, il mio eroe, il mio migliore amico, e solo dopo mio padre. Mi ritenevo davvero fortunata ad avere genitori come i miei. Si erano sempre presi cura di me e non facevano mancare niente alla mia vita; ero davvero fiera e non avrei voluto cambiare niente di loro.
« Stai bene, tesoro? » Frank mi accarezzò la spalla, guardandomi con uno sguardo dolce e gentile. Ero fiera anche dei miei amici. La mia vita era perfetta e non avevo alcun motivo per essere triste. Ero circondata da persone meravigliose e che mi davano attenzioni, il che era raro da trovare allora.
« Sì, sto bene, Frankenstein. Sono solo un po' stanca... Non ho dormito molto » risposi, grata delle sue attenzioni.
« Non preoccuparti, ciambellina al miele. Puoi dormire durante la lezione di filosofia! » scherzò. Risi ed annuii, concordando con lui.
« Suppongo che tu abbia ragione, piccolo Frankenstein. Il modo in cui il professore Maximilian spiega ha gli effetti di una ninna nanna. Penso di volerlo come racconta storie prima di andare a dormire » dissi ridendo. « Come va con Marie? » gli chiesi poi, curiosa di sapere come fosse andato il loro primo incontro dopo l'estate. Sospirò tristemente.
« Non molto bene, in realtà. Si è fidanzata » rispose. La sua voce era tremante, come se stesse per piangere. Mi dispiaceva per lui e avrei tanto voluto essere d'aiuto, ma non sapevo come avrei potuto far sì che la dimenticasse. Pensavo che il suo amore per lei fosse vero ed anche molto forte.
« Non preoccuparti, Frankie. Tutto passa, lo sai. A volte le persone piombano nella nostra vita e noi pensiamo di aver bisogno di loro per sopravvivere, ma non è così. Sì, sicuramente abbiamo bisogno di loro, perché ogni persona che incontriamo influenza noi ed il corso della nostra vita, ma non sono destinate a restare oppure a ricoprire il ruolo che noi vorremmo. E' la vita, ma puoi superarlo. Troverai la tua anima gemella, è solo questione di tempo. Nessuno sa chi sia, ma esiste e trovandola, troverai anche la tua felicità » risposi, sperando di aiutarlo.
« Grazie, mia piccola ciambella. Sai sempre cosa dire per tirarmi su di morale! » disse, tornando a sorridere.
Mi sentii sollevata dalle sue parole, ma sapevo che la sua era solo una reazione momentanea; è normale che quando sei da solo con i tuoi pensieri, la tristezza torni e ti pervada, ma sperai che lui fosse forte abbastanza da non permetterlo. Eravamo appena arrivati di fronte alla classe di biologia, che era la prima per me quel giorno.
« Beh, ci vediamo dopo allora! » gli diedi un bacio sulla guancia ed entrai in classe, sedendomi al mio banco. Juana entrò un secondo dopo di me e fui grata di vederla; pensavo che non sarebbe venuta a scuola e già iniziava a mancarmi. Mi mandò un bacio e si sedette accanto a me.
« Non è suonata la sveglia! » disse senza fiato; aveva chiaramente dovuto correre per arrivare in tempo.
« Nessuna scusa, signorina Martin. Spero che non accada di nuovo, o prenderò provvedimenti » imitai i nostri professori, che dicevano ciò ogni qualvolta qualcuno entrasse in ritardo.
« Mi scusi, signora Clarke. Le assicuro che non succederà » rispose ridendo, mentre cacciava i libri dal suo zaino.
La osservai pensando a quanto fosse bella. Aveva i capelli lunghi, scuri e ricci e profondi occhi marroni; le sue labbra erano grandi e sempre coperte da un rossetto rosso opaco e il suo naso era perfetto: non troppo grande, non troppo piccolo. Aveva la pelle olivastra, perché era per metà spagnola. Mi sentii insicura guardandola; mi piacevo, ma non quanto mi piaceva lei. Ogni ragazzo che avessi mai incontrato aveva avuto una cotta per lei una volta, e non era solo un caso... Chiunque si sarebbe infatuato di lei e tutti pensavano che il suo fidanzato si sarebbe dovuto sentire fortunato ed orgoglioso di avere lei al suo fianco; non solo per il suo aspetto, ma anche per la sua bellissima personalità.
Mi guardai davanti pensierosa e quando vidi quel ragazzo, il mio cuore cessò un battito e le farfalle cominciarono a volare nel mio stomaco. Mi sentii come una dodicenne alle prese con la sua prima cotta, così sciocca ma allo stesso tempo così genuina, ingenua.
Provai a non pensarci, ma era difficile considerando il fatto che non avrei potuto non guardarlo anche se avessi voluto. Quando la professoressa iniziò a parlare, mi sentii assonnata e dovetti forzare i miei occhi per tenerli ben aperti. Poi cominciò a borbottare su qualcosa che facemmo anni fa ma non riuscii chiaramente a capire di cosa stesse parlando.
« Valdés, potresti per favore dirci qual è la definizione di "osmosi"? » chiese autoritaria al ragazzo seduto davanti a me.
Lui mi sembrò in difficoltà e lo potetti dire guardando i suoi movimenti: raddrizzò la schiena immediatamente assumendo una posizione eretta e le sue gambe tremavano sotto il banco. Dovevo aiutarlo.
L'insegnante fu distratta da alcuni appunti sulla sua scrivania e ne approfittai; mi alzai leggermente dalla sedia per essere sicura che mi avrebbe sentito e riflettei. Quando finalmente mi venne in mente la risposta, feci un respiro profondo.
« L'osmosi è la capacità di un fluido di passare attraverso una membrana selettivamente permeabile dentro una soluzione in cui la concentrazione di solvente è maggiore » sussurrai, sperando che avesse capito.
Furono i secondi più lunghi della mia vita e pensai di non aver mai pregato tanto, ma quando ripetè cos'avevo appena detto stavo per saltare dalla sedia e urlare. La professoressa sembrò entusiasta della risposta e io mi sentii davvero felice di ciò.


Stavo mettendo dei libri nel mio armadietto quando sentii qualcuno tossire accanto a me; non prestai molta attenzione ma successe ancora e mi resi conto che si trattava di una tosse finta semplicemente per attirare la mia attenzione, e quando mi voltai e vidi il ragazzo dalla pelle scura avrei voluto scomparire. Sperai di non essere arrossita.
« Hey » disse tranquillamente. « Come mai mi hai aiutato in biologia oggi? » domandò. Mi sentii davvero imbarazzata. Spostai il mio peso da una gamba all'altra un paio di volte, pensando a come avrei potuto rispondergli. Feci spallucce.
« Non lo so, ho pensato che fosse la cosa giusta da fare. Mi sei sembrato in difficoltà » risposi dopo essermi grattata la testa. Lui annuì.
« Lo ero, in realtà » ammise. « Grazie, comunque. E' stato... Gentile » mi regalò un sorriso a labbra strette e se ne andò, lasciandomi senza parole.
Non sapevo ancora il suo nome ma era il mio obbiettivo scoprirlo, e avevo la netta sensazione che ci sarei riuscita. 

 


 

 


 

 

 

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** III. Tempesta ***


 



III.
Tempesta


 

Quando cominci a parlare con quella persona che per tanto tempo sei stata a guardare da lontano ti sembra come se non fosse vero, come se tutto fosse ancora un bellissimo sogno. Il giorno prima eri lì ad immaginare nella tua testa come potesse avvenire la prima conversazione e il giorno dopo avviene, anche se non esattamente come te l'eri immaginata; ma va bene lo stesso, perché invece le sensazioni sono esattamente quelle: ti tremano le gambe, le farfalle nello stomaco e balbettii improvvisi. Nonostante l'imbarazzo, vorresti essere in grado di poter congelare il tempo e godere di quel momento all'infinito, perché in fin dei conti non sei sicura che potrebbe riaccadere. Ne conosci appena il nome, ma sei consapevole che riconosceresti quella voce e quel particolare accento tra centinaia di persone, perché è sempre lì, pronto a tormentare le tue notti e non lasciare mai che i tuoi sonni scorrano tranquilli.


« Hey » il suo sorriso fu la prima cosa che vidi in quella uggiosa mattina di ottobre. I giorni erano passati veloci, ma le mie emozioni ogni qualvolta che parlavo con lui sembravano essere sempre le stesse. Non potei iniziare meglio la giornata. Osservai attentamente ogni suo minimo movimento, come se lo stessi studiando: si portò una mano dietro al collo accarezzandosi quel punto, i suoi occhi erano fissi su di me come se anche lui stesse facendo il mio stesso gioco. Distolsi lo sguardo portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Come va? »
Il fatto che fosse interessato a sapere come io stessi mi faceva sentire al settimo cielo, come se finalmente contassi davvero qualcosa per qualcuno. Ogni volta che ci rivolgevamo la parola e c'erano persone nei paraggi, queste ultime davano l'impressione di star borbottando qualcosa su di noi, ma lui sembrava non farci caso ed io mi comportavo allo stesso modo, anche se ogni tanto avrei voluto capire cosa passasse per le loro menti. Lui sembrò accorgersi del mio disagio, ma nessuno dei due sapeva come gestire la situazione.
« Bene, anche se il tempo mi mette un po' di cattivo umore » ammisi, rivolgendo il mio sguardo verso il cielo. Eravamo sotto il porticato appena prima dell'ingresso della scuola, per ripararci dalla pioggia. « Tu come stai? »
Fece spallucce senza rispondere, ritenendo probabilmente che non fosse importante. Oppure, semplicemente, voleva farmi capire che la sua vita andava avanti senza troppo entusiasmo.
Dopo qualche minuto di silenzio, finalmente i nostri occhi si incrociarono di nuovo. Scorsi un lampo colpire prepotentemente tra le nuvole, e immediatamente dopo il cielo tuonò. Quella era sicuramente la perfetta rappresentazione fisica dell'elettricità che io percepii tra di noi. I suoi occhi erano scuri, talmente profondi che sembrava non avessero né un inizio né una fine, ed io mi ci persi. Mi domandavo piuttosto spesso lui cosa pensasse di me, cosa sentisse quando gli rivolgevo la parola e cosa provasse dentro quando stabilivamo un contatto visivo; lui non era come tutti gli altri ragazzi che mi circondavano, lui era semplicemente diverso.
Un giorno era fuoco, un mare in tempesta, e il giorno dopo cenere, brezza marina. A volte i suoi occhi sembrava gridassero voglia di guerra, ed altre volte invece sembravano solo bisognosi di un posto sicuro dove abitare. Ed il mio desiderio, l'unico, era di soddisfare entrambe le sue voglie. Di fargli la guerra, di incasinargli la vita come un uragano, un fiume in piena; e poi di prenderlo tra le braccia, per permettergli di sapere che sarebbero state pronte in qualsiasi momento ad accoglierlo e prendersi cura di lui.
« Qual è la tua prima lezione oggi? » chiesi per rompere il silenzio formatosi tra di noi in quel momento.
« Psicologia. Prima interrogazione della giornata, meglio che non ci pensi » Rispose ruotando gli occhi al cielo e incrociando le braccia al petto. « Mi dispiace che tu non possa essere seduta dietro di me anche stavolta » mi punzecchiò.
« Hey! » mi lamentai. « Solo perché ti ho aiutato una volta, non vuol dire che lo farei ancora » falso. La campanella suonò, ed io la maledissi perché significava che avrei dovuto lasciarlo.
« E' ora di entrare. Ci si vede, Clarke » andò via anche quella volta senza aspettare una mia risposta. Come faceva sempre, nel modo più irritante e allo stesso tempo intrigante possibile. Certe volte lo detestavo ma, allo stesso modo, lo desideravo. Non sapevo praticamente niente di lui, ma avrei tanto voluto. Sospirai e mi avviai verso la mia classe, dove sapevo che avrei incontrato il mio caro Frank. Avevo tanta voglia di parlare con lui, perché Juana era con la febbre da un paio di giorni e non si era presentata a scuola, ed io mi sentivo come se mi mancasse qualcosa. Mi sedetti al banco proprio accanto a Frank e lo salutai con un bacio sulla guancia, come al solito.
« Ciao » mi salutò, ma non entusiasta come al solito. Lo sentii diverso, e sperai non fosse tornata quella “questione Marie”. Mi portai una mano alla fronte sospirando. « No, non è ciò che pensi, Swami » usò il mio nome, cosa che non faceva mai. Questo mi sembrò davvero strano. Il professore entrò in classe e non mi diede il tempo di chiedere delle spiegazioni sul suo stato d'animo quella mattina.
« Ne parliamo dopo » gli dissi, tirando fuori il mio libro ed il quaderno dallo zaino.

Non ci fu nessun dopo. Quando la campanella suonò annunciando la fine della lezione, Frank si dileguò scusandosi perché doveva correre al bagno. Una scusa banale, ma feci finta di cascarci nonostante stessi morendo dalla voglia di sapere cosa gli fosse accaduto. Pensai che fosse triste e che non volesse dirmelo per non procurarmi preoccupazioni, ma non riuscivo a capacitarmi del fatto che mi avesse evitata tutta la giornata.
Decisi allora di chiamarlo non appena tornai a casa da scuola. Il cellulare squillava, ma senza risposte. Ci riprovai ancora per almeno una decina di volte fino a quando, evidentemente scocciato, non rispose.
« Non credi che io meriti spiegazioni?! » chiesi adirata alla persona all'altro capo del telefono, senza aspettare che dicesse nemmeno “pronto”.
« Swami, io... » sentii un sospiro. Decisi di portare pazienza ed aspettare che finisse di parlare. « Sto male. Sto tanto male, e non so come affrontarlo » ammise. La sua voce suonò incrinata.
« Parlamene, Frank. Parlami di tutto ciò che ti sta passando per la testa... E per il cuore »
Così lui iniziò a sfogarsi. Mi disse che, in primis, la sua situazione in famiglia non era delle migliori, perché i genitori non facevano altro che litigare. Mi confessò che sospettava di un tradimento da parte di uno dei due, e che il solo pensiero gli faceva venire la nausea; Frank credeva molto nel vincolo del matrimonio, e per lui l'adulterio era semplicemente imperdonabile.
Il suo fratellino quindicenne aveva cominciato a frequentare cattive amicizie, personaggi del paese che non portavano con sé una buona reputazione e, quasi sicuramente, nemmeno una fedina penale tanto limpida. Nonostante gli innumerevoli rimproveri da parte di Frank, suo fratello non sembrava volesse ascoltarlo e continuava per la sua strada. Dopo mi parlò della sua situazione con Marie, la sua tanto amata Marie, la rappresentazione vivente di ciò che lui definiva la sua donna-angelo. Mi disse che con lei le cose si erano totalmente sfasciate; dopo aver saputo del suo fidanzamento, era corso da lei e le aveva confessato tutto riguardo il suo amore e la risposta è stata un semplice “mi dispiace Frank, io amo Jonathan”. Le pianse davanti, e lei gli voltò definitivamente le spalle, dimostrandogli che lui davvero non contava niente.
Dopo quel giorno, non si rivolsero più la parola e Marie tolse a Frank persino il saluto; lui, educatamente, la salutava ogni qualvolta si vedessero e lei distoglieva lo sguardo immediatamente.
« Questo è quanto, Swami. Grazie per avermi ascoltato, sei un'amica vera... Mi dispiace di averti ignorata stamattina, ma stavo davvero male e se avessi provato a rivolgerti la parola, avrei cominciato a frignare come un bamboccione » tentò di scherzare ma sapevo che, anche quella volta, stava fingendo.
« Frank io per te ci sono sempre. Tutto ciò che ti sta accadendo non lo posso comprendere, e di conseguenza non saprei nemmeno cosa consigliarti di fare a riguardo, ma sentiti libero di comporre questo numero ogni volta che hai bisogno di qualcuno con cui parlare, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per me sei un fratello ed il bene che ti voglio è inimmaginabile, voglio che tu lo sappia. Non lasciare che qualcuno abbia il potere di smorzare la tua adorabile follia e di spegnere il tuo sorriso » fu l'unica cosa che mi sentii di dirgli in quel momento; qualsiasi altro commento sarebbe stato futile e non lo avrebbe aiutato a star meglio. Se fosse stato lì con me lo avrei abbracciato, ma sperai che le mie parole potessero risollevargli anche un tantino il morale. Tutto ciò che stava passando non lo meritava e l'impotenza di non poterci fare nulla mi faceva sentire tanto male.
« Ti voglio bene, ciambellina. Sei speciale »


Quel giorno stesso mio padre sarebbe tornato dal servizio militare. In casa mia si respirava un'aria di tensione, mista a felicità ed entusiasmo; mia madre non stava nella pelle, e nemmeno io. Mio fratello batteva nervosamente le dita sul tavolo, con una finta espressione impassibile: non gli piaceva darlo a vedere, ma sapevo che anche lui stava morendo dalla voglia di riabbracciare papà. L'unica a non essere travolta da quel turbine di emozioni era Sophie, che continuava a scuotere il suo povero orsacchiotto su e giù.
« Mamma, potresti per favore stare ferma un secondo e respirare? » le dissi sull'orlo di una crisi di nervi. Stava cominciando ad essere davvero esasperante il suo comportamento. Continuava a camminare avanti ed indietro per la cucina, guardando l'orologio esattamente ad ogni minuto che passava e mangiandosi le unghie. Lei sembrò non aver nemmeno lontanamente ascoltato le mie parole, ed alle 17 in punto aprì la porta di casa e ci invitò ad uscire per avviarci in macchina. Presi tra le braccia la mia sorellina, il biberon, il ciuccio e, ovviamente, l'orsacchiotto, altrimenti avrebbe cominciato a piangere disperata per la sua assenza.

Il viaggio da casa all'aeroporto fu più tranquillo di quanto avevo immaginato. Mio fratello guidava a velocità sostenuta, nonostante mamma continuasse ad esortarlo ad accelerare per non arrivare in ritardo, e Sophie parlava in lingua incomprensibile.
« Baba bi » balbettò indicandomi e guardandomi con i suoi grandi occhioni azzurri. Avvicinai il viso al suo ditino paffuto e le diedi un bacio, facendola sorridere. Il suo sorriso sdentato mi fece scoppiare in una fragorosa risata e, anche se non capendone il motivo, rise anche lei con me.
« S W A M I » le dissi, scandendo bene ogni lettera. Il suo viso si corrucciò, in un'espressione di concentrazione.
« BA BA BI » ripetè nuovamente.
Continuammo così per il resto del viaggio, fin quando lei non decise di arrendersi e smettere di indicarmi per non dover subire l'umiliazione di essere derisa al causa suo modo buffo di parlare.
Arrivati all'aeroporto, la tensione crebbe così tanto che persino Sophie smise di giocare. Appoggiò semplicemente la sua testolina sulla mia spalla ed aspettò insieme a noi che papà ci venisse incontro. Quando finalmente, dopo quasi un quarto d'ora d'attesa, vedemmo una tenuta mimetica spuntare da lontano, ci alzammo dalle sedie e corremmo. Mia madre non disse una parola, gli buttò semplicemente le braccia al collo e lo strinse in un abbraccio, tenendolo stretto a sé. Quando lo liberò, fu il turno di mio fratello; si scambiarono qualche pacca amorevole dietro la schiena. Mio padre aveva gli occhi lucidi.
« Mi sei mancato, orgoglio di papà » gli sussurrò all'orecchio. A quel punto, non potei trattenere più le lacrime, che cominciarono a segnare le mie guance rosee.
Quando fu il mio turno, non esitai un secondo a porgli Sophie tra le braccia: lei aveva bisogno del suo affetto più di quanto non facessi io. La strinse tra le sue possenti e muscolose braccia e le diede un bacio sulla guancia paffuta, poi puntò i suoi occhi azzurri nei miei, lacrimanti. Con la sua mano libera avvicinò il mio capo a sé e mi lasciò un dolce bacio sulla fronte; appoggiai la mia testa sulla sua spalla e mi godetti quel momento. Non lo espressi a parole, ma la mia felicità nel rivederlo era immensa ed ero davvero fiera di poter dire che quell'uomo, quel forte e al tempo stesso dolce militare, era mio padre.

 


 

 


 

 

 

 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** IV. Guerra e pace ***


 



IV.
Guerra e pace


 

Sapere di avere nuovamente la famiglia riunita – fino a prossima chiamata – mi faceva sentire felice, piena, e mi aiutava a trovare la forza di svegliarmi ogni mattina per affrontare una nuova giornata. Noi, spesso, non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma talvolta ciò che basta per essere felici si trova esattamente dove non stavi proprio programmando di andare a cercare: in casa. Un “buongiorno”, un sorriso, un bacio, un abbraccio, sono tutte piccolezze che cambiano il verso della giornata, che possono davvero aiutare a migliorare l'umore e confrontarsi con il resto del mondo in maniera propositiva. A volte basta poco, bisogna solo rendersene conto.


Come ogni mattina da ormai quasi tre settimane a quella parte, ero sotto il porticato, chiacchierando con Douglas. Mi riusciva davvero difficile cercare di essere quanto più amichevole possibile e non lasciarmi rapire da quei suoi profondi occhi scuri.
« Swami, io... » si grattò la fronte e sospirò, probabilmente in un tentativo di trovare le parole adatte.
Nel corso delle ultime settimane il nostro rapporto sembrava essersi davvero rafforzato, e proporzionalmente anche i sentimenti che credevo di provare nei suoi confronti, i quali si distaccavano completamente dai principi dell'amicizia. La cosa peggiore di tutta quella situazione era sicuramente il non avere una certezza, perché lui sembrava non voler far trasparire i suoi pensieri, le sue emozioni. Calibrava ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo. Una parte di me sperava profondamente che lui provasse ciò che provavo io e mi chiedevo spesso come riuscisse a non sbilanciarsi mai, a non commettere passi falsi e scoprirsi della maschera.
« Io... Beh, mi stavo chiedendo se ti sarebbe piaciuto venire al Princess con me domani sera... Si esibiranno dei miei amici e sarei felice se tu venissi » disse, lasciandomi completamente senza parole.
Il Princess era il più bel locale del piccolo paese in cui vivevo – non che ce ne fossero molti, in realtà – ed era uno dei posti più popolati durante il fine settimana. Gruppi di adolescenti in comitiva si organizzavano ed andavano lì per godersi le loro serate, lontani dalle preoccupazioni dello studio e della scuola; tra i miei interessi non rientrava il ballare, ma il pensiero di passare una serata assieme a lui non mi rese complicato accantonare l'opinione che avevo della location, per quella volta.
« Sì, certo » risposi, cercando di mantenere un tono tranquillo; non volevo viaggiare con la mente, bensì rimanere nell'ottica di trascorrere una serata diversa in compagnia di un amico.


« Non ci posso credere! Ti ha chiesto di uscire! » Juana stava decisamente dando di matto. Le avevo chiesto di restare a casa mia per pranzo dopo la scuola, in modo tale da poterle parlare e raccontarle al meglio come le cose si stavano evolvendo tra me e Douglas.
« Dobbiamo assolutamente decidere cosa indosserai. Da dove iniziamo? » si alzò di scatto dal letto ed aprì le ante del mio armadio.
« Non divagare, Juanita. È un'uscita tra amici, nulla di più » dichiarai, tentando di convincere anche me stessa delle parole che erano appena uscite fuori dalle mie labbra. Lei sghignazzò, non dando peso a ciò che avevo appena detto.
« Per te non è solo un amico, stupida. Lo so io, e lo sai benissimo anche tu. Ti ha chiesto di uscire, amica mia. È la tua occasione »
Non mi lasciai influenzare dalle sue parole, non quella volta. Non avevo nessuna intenzione di illudermi su quelle che potevano essere le intenzioni di lui nei miei confronti, ed io mi sarei comportata come sempre. Juana sembrò leggermi nella mente, perché roteò gli occhi e sbuffò.
« Pensa ciò che vuoi, ma non ti permetterò di presentarti lì in jeans! »


« Dove pensi di andare così bella, principessa? »
Il rumore dei miei tronchetti alti in stile Beatles aveva attirato l'attenzione di mio padre, che spostò lo sguardo dalla televisione alla mia figura.
« Uscita con amici, sarò a casa per l'una. Lo prometto » gli lasciai un bacio sulla guancia; gli avevo mentito solo in parte, e cercai di non sentirmi troppo in colpa.
Stavo per uscire dalla porta d'ingresso quando sentii la sua voce chiamarmi ancora una volta. Mi voltai verso di lui con sguardo interrogativo e lui sospirò, alzandosi dal divano e venendomi incontro. Cinse il mio viso con le sue mani ed i nostri sguardi si incontrarono; i suoi occhi azzurri, così simili ai miei, sembravano implorarmi in silenzio parole che non voleva pronunciare.
« Ti voglio bene, piccola mia. Fa' attenzione » mi lasciò un bacio sulla fronte e tornò a ciò che stava facendo. Sapevo che lui voleva il mio benessere più di ogni altra cosa al mondo e si sentiva in colpa ogni volta che restava via di casa per tanto tempo, ma io ero consapevole che lo facesse solo per poterci donare una vita migliore. Era molto apprensivo, ma io lo comprendevo e lo adoravo ugualmente.
Quando finalmente mi decisi ad uscire, vidi Douglas appoggiato al sedile della sua moto nera come la notte. Lui sembrava avere un'aura diversa rispetto a quando era a scuola e, per quanto ciò fosse possibile, lo trovai anche più attraente. Quando i nostri occhi finalmente si incrociarono, ci sorridemmo.
« E così... Una YZF-R3 ABS? » chiesi studiando il motociclo imponente sul quale era appoggiato. Lui sembrò impressionato dal fatto che conoscessi il modello della sua “amica”. « Mio fratello ci va matto, solo per questo » ammisi sghignazzando. Se Shawn l'avesse vista, molto probabilmente avrebbe iniziato a sbavare ai lati delle labbra.
« Regalo di mio padre, gli piacciono le cose in grande » rise. Mi allungò il casco, dopo aver studiato da cima a fondo il mio corpo. Per un attimo mi sentii avvampare e le farfalle cominciarono a farsi strada contro le pareti del mio stomaco. Il pensiero di andare con lui in moto mi mise in circolo un'alta dose di adrenalina; mi sentivo spaventata ed emozionata allo stesso tempo. Soltanto quando partì mi resi conto di ciò che stava succedendo, ma ormai era troppo tardi per i ripensamenti e decisi di lasciarmi andare e godermi quella serata al meglio.
Durante il tragitto mi sentii libera. Libera dai pensieri, dalle preoccupazioni. Sentivo che, seduta sul sediolino di quella moto, sarei riuscita a conquistare il mondo intero. Era una sensazione indescrivibile: l'emozione, la paura, il vento gelato che soffiava contro il mio corpo. Quella velocità mi faceva sentire come se stessi infrangendo una qualche regola, ed un brivido corse lungo tutta la mia spina dorsale. Sembrava quasi una ribellione, come se stessi lottando contro tutto e tutti, cosciente del fatto che ne sarei uscita totalmente illesa. Solo allora compresi come mai mio padre e mio fratello adorassero tanto le moto.

« Una Paulaner, grazie » ordinai al cameriere dietro il bancone. Stranamente, quella serata al locale mi stava piacendo, anche se non avevo ancora osato mettere piede sulla pista da ballo. Mi servivano almeno quattro-cinque birre per quello.
« Non ti facevo una tipa da birra, Clarke » Douglas rise, riuscendo a mettermi nuovamente in imbarazzo.
« Mi facevi una tipa da analcolico alla frutta? » scherzai, cosciente del fatto che i miei occhi innocenti e le mie guance rosate ingannavano tutti. Non ero propriamente un'ubriacona, ma ogni volta che se ne presentava l'occasione non mi tiravo indietro davanti ad una bevanda alcolica.
« No, ma ero pronto a scommettere che avresti ordinato una Piña Colada o un Mojito al cocco » rise. Adoravo quando rideva, mettendo in mostra il suo sorriso dritto e bianco. Mi chiedevo come potesse una persona non avere nemmeno la traccia di un solo difetto. Se avessi provato a cercarne non ci sarei comunque riuscita, ne ero assolutamente certa. Nonostante fuori dal locale facessero almeno 3 gradi sotto zero, lui indossava una t-shirt bianca aderente, che metteva in mostra il suo fisico scolpito chissà da quali attività fisiche; ero certa che ne facesse, perché quei muscoli non potevano di certo essere frutto solo di genetica.
« Beh, allora ti stupirà sapere che non solo bevo birra, » dissi, dando un occhio alla bottiglia di vetro che avevo appena preso tra le mani; era terribilmente fredda, proprio come piaceva a me. « ma non utilizzo nemmeno il bicchiere » finii, bevendo un sorso della bevanda a canna.
« La tua apparenza inganna, Swami » biascicò il mio nome, facendomi dimenticare per un attimo tutto ciò che mi circondava, e con un gesto fulmineo mi liberò le mani dalla bottiglia, rubandone un sorso. Furbo da parte sua.
« Guarda, ci sono i miei amici ora. Andiamo sotto il palco »
Non mi diede la possibilità di replicare perché prese la mia mano e mi tirò con sé nel bel mezzo della pista e, di conseguenza, della folla. Non sapevo spiegarmene il motivo ma nonostante la calca, la musica ad altissimo volume, il sudore, il caldo asfissiante, mi sentivo come se in quel momento non ci fosse posto più giusto dove stare. Arrivati a destinazione riuscii finalmente a distinguere i tratti fisionomici dei suoi amici, poiché le numerose luci colorate puntavano soprattutto su di loro; vestito da ballerino hip-hop, c'era un ragazzo al lato del palco esattamente dove mi trovavo io che sembrava improvvisare in modo meraviglioso ogni ballo in base alla musica che passava al momento. Sull'altro angolo del palco c'era un ragazzo barbuto, dallo stile hipster, che intratteneva e invogliava la folla con un microfono, saltellando da una parte all'altra e coinvolgendo soprattutto le ragazze; tuttavia ciò non rappresentava un grande problema per il pubblico maschile perché al centro, dietro la sua tastiera da DJ, c'era una ragazza mozzafiato. Il suo collo era cinto da un paio di cuffie rosso fuoco, la sua fisicità era messa in risalto da un top in pelle che aderiva perfettamente al suo corpo, ed un paio di pantaloncini che non lasciavano per niente spazio all'immaginazione e mettevano in risalto le sue gambe snelle. I tratti del suo viso erano asiatici e sembrava davvero una Dea, sicura di sé e cosciente del fatto che chiunque, lì in mezzo, avrebbe ucciso per avere anche solo un bacio da lei. Per un secondo mi sentii male al pensiero che Douglas potesse anche lui averla desiderata, ma cercai di non dar peso a questo e mi godetti semplicemente la loro bravura.

Dopo aver ballato, cantato ed urlato a squarciagola sia io che Douglas avevamo bisogno di prendere un po' d'aria e uscire da quella calca che cominciava a diventare asfissiante, ritrovandoci a chiacchierare sul retro del locale.
« Sono forti i tuoi amici » dissi. Lui sorrise e si accese una sigaretta.
« Sì, decisamente. Abbiamo questa passione sin da quando eravamo bambini » la sua voce sembrò malinconica mentre pronunciava quelle parole, non sapevo a cos'era dovuto ma pensai che non fosse un ricordo felice per lui.
« Abbiamo? Anche tu ti esibivi con loro? » chiesi, curiosa di saperne di più. Lui sospirò ma non sembrò riluttante a rispondermi.
« Mi esibivo con Kita e Albert l'hipster. Ballavo la break dance, ma mi hanno sbattuto fuori dal giro dopo un casino che avevo combinato. Mi incazzai come una belva quando mi dissero che mi avevano sostituito, e decisi di lasciarli fuori dalla mia vita per sempre. Tornarono a cercarmi dopo mesi, chiedendomi di mantenere almeno un rapporto civile, nel rispetto di tutti gli anni di amicizia trascorsi insieme. Allora non volevo sentirne e mi dissero che, se mai mi fossi presentato ad una delle loro esibizioni, sarebbe stato un atto di pace, la fine della guerra. È inutile portare rancore, sono stato io quello ad aver sbagliato e l'ho compreso solo adesso »
Non avevo idea di cosa avesse fatto di tanto grave da essere cacciato ma leggevo nei suoi occhi la malinconia, la tristezza nel non essere riuscito a perseguire la sua passione. Mi venne voglia di abbracciarlo ma trattenni quell'istinto, perché non volevo invadere i suoi spazi.
« Io penso che loro saranno felici di ciò, perché anni di amicizia non si possono dimenticare, tanto meno sostituire con la presenza di qualcun altro. Magari un giorno potranno anche accettarti nuovamente tra loro, no? » ipotizzai, ma lui non sembrò molto convinto. La sua sigaretta era quasi giunta alla fine, e per me fu difficile sopportarne la puzza.
« Ho combinato un casino troppo grande. Se fossi in loro, nemmeno io mi fiderei ancora. Certe cose sono da prendere con le pinze, ed io lo comprendo »
La curiosità mi stava mangiando viva. La voglia di scoprire cosa avesse combinato sembrava divorare i miei organi interni, strizzarli. Solitamente non adoravo curiosare nelle vite degli altri, ma la sua mi interessava troppo per restare indifferente. Stavo per formulare la mia domanda per capirci qualcosa in più, ma sentii il rumore di passi che si faceva progressivamente più vicino a noi e mi bloccai.
« Douglas! »
Delle voci attirarono la nostra attenzione e ci ritrovammo l'hipster e la DJ di fronte. Sembravano emozionati e anche parecchio felici di rivedere il loro vecchio amico, soprattutto per il “patto”. Era pace.
« Finalmente ti sei deciso, mulatto » la voce femminile della ragazza mise a tacere il silenzio formatosi per un attimo. Era bella, da far stroncare il fiato e mozzare le parole in bocca. Nonostante la sua seducente presenza lui non sembrò in difficoltà; hanno passato così tanto tempo insieme che non ci fa nemmeno più caso, ipotizzai.
« Vieni qua, vecchio mio » Albert aprì le braccia e Douglas accettò volentieri l'abbraccio. Era passato molto tempo, probabilmente, ma non sentivo per niente la tensione nell'aria, come se tra loro non fosse mai successo nulla. Come se fosse tutto normale. Abbracciò anche la ragazza, Kita, ma anche quello sembrò un abbraccio fraterno ed innocente.
« Tu, invece? Chi sei? » lei mi studiò ma non in modo prepotente o altezzoso, piuttosto con pura e semplice curiosità. « Che il cuore di Douglas possa essere finalmente stato colpito dalla freccia di Cupido? » scherzò, scoppiando a ridere assieme all'amico hipster. Io mi imbarazzai ma cercai di non darlo a vedere e finsi una risatina.
« No, no. Impossibile » sentenziò Albert, beccandosi un pugno sulla spalla dal soggetto in questione.
Non riuscivo davvero a capire come mai parlassero in quel modo di Douglas. Mille ipotesi cominciarono a popolare la mia mente, ma quella che più mi tormentava era: ha un passato da sciupa femmine a causa del quale ritengono che non possa innamorarsi?
« È solo un'amica, teste di cazzo. Si chiama Swami »
Il fatto che mi stesse presentando ai suoi amici mi mise ancora di più in imbarazzo, perché non avevo idea di cosa fare, cosa dire, come comportarmi.
« È un piacere conoscerti, io sono Kita. Hai degli occhi azzurri meravigliosi, ragazza, e le tue scarpe! Oh cielo! Dove le hai prese? »
Non solo era di una bellezza ultraterrena, sembrava anche simpatica ed alla mano; se ci avessi passato un po' di tempo insieme magari avrei anche scoperto di andarci d'accordo e poterci parlare come un'amica.
« Lasciala perdere, Swami. È nata così, non spaventarti. È un vero piacere conoscerti, mademoiselle » il forte accento tedesco di Albert non lo aiutò nella pronuncia di quella tanto dolce parola francese e ci mancò poco perché scoppiassi a ridere.
Chiacchierammo per un po' e mi fecero diverse domande sulla mia vita e sulla mia amicizia con Douglas, mentre loro ci parlarono di quello che avevano fatto negli ultimi tempi e delle loro avventure amorose. L'atmosfera scherzosa si smorzò non appena ci raggiunse il ballerino, quello che ipotizzai fosse il sostituto di Douglas; quest'ultimo, infatti, non parve esattamente contento di vederlo.
« Douglas, Swami, vi presento Adam » fu Kita a prendere coraggio e parlare, mentre Albert si limitò a guardare Douglas con aria preoccupata.
« Molto piacere » disse quest'ultimo, con aria sarcastica. Incrociò le braccia al petto e lanciò al malcapitato uno sguardo di sfida, ottenendo uguale risposta. La miccia era stata accesa da Douglas ma Adam sembrava volerne approfittare per appiccare un incendio, e sperai vivamente che la situazione non degenerasse.
« Tu devi essere l'esiliato » scherzò il ballerino, ma la sua frase suonò sprezzante. La tensione nell'aria aumentò a dismisura ed ero sicura che se avesse detto una sola parola in più avrebbero cominciato a fare a botte, per questo tentai di trovare un diversivo per potare via Douglas da quel posto. Tossii.
« Credo di aver bevuto troppo e comincia a girarmi la testa. Mi accompagneresti a casa, Douglas? »

Sperai che dopo quella sera Douglas ed Adam non s'incontrassero mai più.

 


 

 


 

 

 

 

 



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3561695