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di dreamsseason
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1.Un nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** 2.Freedom ***
Capitolo 4: *** 3.Just a dream ***
Capitolo 5: *** 4.House ***
Capitolo 6: *** 5.Nuovi incontri pt.1 ***
Capitolo 7: *** Nuovi incontri pt.2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


<< Mamma, ho sonno! >> si lamentò la bambina seduta sul seggiolino

<< Jess tesoro, siamo quasi arrivati .>> disse dolcemente la donna, voltandosi leggermente per guardare la piccola seduta sui sedili posteriori.

Si stava stropicciando gli occhi,era così tenera.
E pensare che inizialmente non aveva voluto avere figli, voleva dedicarsi ad altro ritenendo i bambini solo una distrazione.
Poi però era rimasta incinta e non aveva avuto il coraggio di abortire, anche grazie al marito che cercava di convincerla del fatto che avere un bambino sarebbe stata una cosa stupenda.

Ora non poteva essere più d'accordo con lui. Quella piccola bambina le aveva cambiato la vita, in meglio. Le aveva dato una valida ragione per vivere ed era diventata la fonte della sua felicità.

<< Abbiamo fatto tardi alla fine. >> disse l'uomo tenendo gli occhi fissi sulla strada

<< Si, di solito è già a letto da un bel pò. >> rispose la donna tornando a mettersi composta sul sedile

<< Lo so, tra un pò arriviamo. Durerá ancora per poco >> disse l'ultima parte con tono di voce molto basso,ma lei capì comunque.

<< A cosa ti riferisci? >> chiese sapendo già quale sarebbe stata la risposta

<< A tutto. Tra poco tutto questo finirà. >> disse lui voltandosi a guarda la donna.

Si soffermò principalmente sui suoi occhi, erano la prima cosa che lo aveva colpito di lei.
Pur essendo i soliti occhi marroni, non avevano niente di ordinario. Erano la cosa più bella che avesse mai visto.

Inizialmente anche lei lo guardò negli occhi,ma dopo un pò non riuscendo più a sostenere il suo sguardo tornò a guardare la strada.

Come ogni matrimonio anche il loro aveva avuto degli alti e bassi, ma erano ancora lì, insieme.
Nonostante tutto non avevano ceduto, erano rimasti uniti senza dare retta alla gente.

Ed ora dopo anni di matrimonio erano più innamorati che mai, erano sempre stati insieme e nessuno glielo avrebbe impedito.

Lei era diventata una droga, anche peggio, lui era come una marionetta nelle sue mani. Avrebbe fatto qualunque cosa se solo glielo avesse chiesto.
Era come stregato, a tal punto che l'uomo non riusciva a distogliere lo sguardo da quella donna.

Fin quando tutto non ebbe inizio,
o fine....dipende dai punti di vista

<< Artur! >> urlò la donna vedendo che un camion gli stava andando addosso

<< Cosa? >>l'uomo non riuscì neanche a capire cosa stesse succedendo che la macchina fu travolta.

Il camion non si era fermato allo stop,prendendo in pieno l'auto che dall'impatto ruotò andando a finire fuori strada.

Sentendo le urla dei genitori la piccola dietro iniziò a piangere.

<< Shh non piangere tesoro >> la madre cercò di tranquillizzarla usando le sue ultime forze.

L'impatto era stato troppo violento per uscirne vivi e questo lei lo aveva capito.

L'autista del camion era scappato via, lasciandoli lì da soli.
Troppo spaventato dell'accaduto per prendersene la responsabilità.
Avrebbe sicuramente perso il lavoro e non poteva permetterselo,aveva una famiglia da mantenere.

<< Mammaa! >> urlò Jess tra le lacrime

<< Mi fa male il petto!!! >>

La donna cercò di voltarsi per vedere cosa fosse successo alla sua piccola, ma non ci riuscì.

Non aveva abbastanza forze, però poteva immaginare la causa del dolore.
Il camion trasportava pezzi di lamiere, alcune delle quali erano entrate nell'auto sfondando il parabrezza.

La donna decise di usare le forze che le restavano per dirle che le voleva bene, pensando di non aver glielo detto abbastanza volte.

<< Sii forte, tesoro.Qualunque cosa accada ricorda sempre che ti voglio bene. >> tossendo si voltò verso il marito.

Vedendolo con la testa poggiata sul volante capii che non ce l'aveva fatta.

Chiuse gli occhi, cercando invano di trattenere le lacrime.

<< Avevi ragione, è tutto finito. Ma ce ne andremo insieme, come abbiamo sempre fatto. >> strinse la mano dell'uomo più che potè e tra le urla e i pianti lasciò in balia del destino quello che più amava al mondo.

<< Mamma! >> Jess continuava a piangere ininterrottamente.

Le faceva malissimo il petto e non riusciva a respirare.

Aveva paura, tanta paura.

Voleva la mamma, voleva sentirle dire che sarebbe andato tutto bene,come faceva ogni volta che la piccola si faceva male.
Ma vedendo che non le rispondeva provò a chiamare il papà

<< Papà! Aiutami, per favore! >>

Quando però neanche lui le rispose capì di essere rimasta sola. Continuò a piangere cercando di credere che fosse tutto un brutto sogno, ma non lo era.
Era la crudele realtà.

Cercò di essere forte, come le aveva detto la mamma.
Ma il dolore lo era di più e lei era troppo piccola per riuscire a contrastarlo.

Aveva sempre sognato di diventare una bellissima principessa e che quando sarebbe stata in pericolo sarebbe arrivato il suo bel principe azzurro ad aiutarla.

Ma allora perché non stava arrivando? Perché aveva lasciato che la sua bella principessa stesse male. Perché l'aveva lasciata sola?

A soli due anni Jess capì che il principe azzurro non esisteva, nessuno sarebbe andato ad aiutarla.

Da quel momento doveva dimenticare quello che aveva sempre fatto, o creduto.
D'ora in poi se la sarebbe dovuta cavare da sola.

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Spazio autrice

Hey, questa è la prima storia che pubblico quì perciò non so ancora bene come funziona. Ho bisogno di un pò di tempo per ambientarmi.

Spero veramente che vi piaccia, io personalmente ci tengo molto.
Ringrazio tutti coloro che spenderanno un pò del loro tempo per leggere la storia!

Mi rendo conto che è piuttosto corto, ma non preoccupatevi, gli altri capitoli saranno molto più lunghi.

Fatemi sapere cosa ne pensate, ovviamente anche le critiche costruttive sono ben accette!
Alla prossima

 

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Capitolo 2
*** 1.Un nuovo inizio ***


Tirai frettolosamente fuori da sotto il letti il borsone. Lo aprii e ci infilai dentro i miei pochi vestiti e tutti gli effetti personali, che poi non erano altro che alcune foto.
Lo chiusi velocemente e prendendolo in mano guardai in giro per la stanza assicurandomi di non aver dimenticato niente.

Sarei andata via da lì il prima possibile e, giuro, non ci sarei più tornata.

Uscii dalla camera dandogli un'ultima occhiata. Quella era stata la mia dimora per 16 lunghi anni, l'unico posto in cui mi sentivo a mio agio, l'unico in cui potevo essere me stessa.

Mi sarebbe mancato, ma solo quello, il resto dell'edificio per me non era niente.

Chiusi la porta e andai verso la camera affianco, non potevo andarmene senza salutarla.

Bussai e dopo pochi secondi la porta si spalancò mostrando l'esile figura di Clarissa.

Aveva gli occhi arrossati, segno che aveva pianto.

<< Pensavo te ne fossi andata>> disse tra i singhiozzi

<< Senza salutarti? Neanche per sogno.>> la strinsi forte a me, come se fosse l'ultima volta che l'avrei vista.

Dopo averla stritolata per bene la scostai leggermente per poterla guardare in viso

<< Mi mancherai, ma sai che devo andare.>>

<> disse abbozzando un sorriso

<< Solo...non dimenticarti di me.>>

<> risposi convinta

Era stata la mia unica amica per tutti quegli anni, era diventata come la sorella che non avevo mai avuto. Le volevo un bene dell'anima.

<< Come farò senza di te? Le giornate non passeranno mai. Non posso farcela!>> riscoppiò a piangere

<< Hey, non sarà per molto. Tra qualche mese ci potremo rivedere. Intanto fa come se fossi qui. Fa come se fossi in punizione, chiusa nella mia camera.>> cercai di rassicurarla, asciugando le lacrime che le rigavano il viso.

Capitava spesso che mi mettessero in punizione, ma d'ora in poi non lo avrebbero più fatto.

<< Hai intenzione di andare via da Sydney?>> chiese tirando su con il naso.

Sembrava così piccola e fragile in quel momento, come se si potesse rompere da un momento all'altro.

Era quel posto, ti toglieva la voglia di vivere, ti abbatteva poco a poco.

Lo faceva con tutti, lo aveva fatto anche con me.

<< Non con te qui. Mi troverò un appartamento e farò ciò che fa una normale ragazza della mia età, fin quando non uscirai di qui. Poi potrò anche andare via, ma prima devo saperti al sicuro.>>

Non volevo lasciarla lì da sola, fino ad ora mi ero 'presa cura' io di lei, ma andandomene sarebbe toccato a lei badare a sé stessa.
Ovviamente ne era capace, ma avevo imparato che bisognava avere qualcuno al proprio fianco per andare avanti lì dentro.
Ma dovevo farlo, dovevo andare via.

<< Ora devo andare.>>

Lei annuì.
L'abbracciai un'ultima volta sussurrando tra i suoi capelli

<< Siamo più forti di quanto immaginiamo.>> non so se fosse diretto più a lei o a me.

Strinsi il manico del borsone e mi voltai un'ultima volta verso Clarissa

<< Ricordati sempre di sorridere. Sei più bella quando lo fai.>>

Percorsi il corridoio familiare fino ad arrivare alle scale. Scesi tre piani senza guardare mai indietro.

Le mani iniziavano a sudare, il battito ad accelerare ed i piedi a tremare. Avevo percorso quella strada miliardi di volte, quella però sarebbe stata l'ultima.

Arrivai davanti la porta dell'ingresso, mi guardai intorno cercando di trovare qualcosa che mi facesse rimanere, ma non c'era niente.

Con le mani tremanti abbassai la maniglia ed uscii fuori. L'aria calda di Novembre mi colpì non appena misi piede fuori, istintivamente strinsi maggiormente il manico del borsone.

Feci un respiro profondo e percorsi il vialetto senza mai voltarmi.

Ero certa che la Signora Monroe mi stesse guardando dal suo ufficio, ma non m'importava. Quello era il mio passato, ora dovevo pensare al presente.

Avrei vissuto ogni attimo come se fosse l'ultimo. Non sapevo cosa volesse dire ' vivere', ma avrei cercato di scoprirlo.

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Spazio autrice

Diciamo che ancora non ho ben capito come funzionano le cose su questo sito, specialmente quando si devono aggiungere i capitoli....è per questo che ci ho messo tanto ad aggiornare.
Vi basta sapere che questa è' la seconda volta che pubblico il capitolo perchè prima non so cosa avevo combinato...

Comunque, vi chiedo di non giudicare la storia solo dal prologo, che è piuttosto triste, perchè gli altri capitoli saranno più lunghi e allegri.

Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate, e niente, alla prossima!

 

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Capitolo 3
*** 2.Freedom ***


~~Stavo camminando ininterrottamente da circa un'ora ed ero arrivata nel cuore di Sydney.

Calcolando che ero partita dal nord della città, avevo percorso una bella tappa.

Ora però non sapevo dove andare, non avevo pensato a dove avrei passato la notte o a dove avrei vissuto. L'unica cosa importante era andare via.

Continuai a camminare, durante le nostre uscite avevo cercato di memorizzare più particolari possibili, nella speranza che una volta andata via avrei avuto almeno dei punti di riferimento in quella grande metropoli.

Poco più avanti c'era una piazza, o almeno mi sembrava, mi sarei potuta riposare un po' lì. Ma poi?
Poi cosa avrei fatto?

Non avevo molti soldi a disposizione, avevo solo quel poco che ero riuscita a racimolare negli anni.

Incominciai ad essere invasa da una sensazione di panico. Non volevo ammetterlo, ma nel collegio ero sempre stata al sicuro. Lì non mi era mai successo niente.

Avevo fatto un passo più lungo della mia gamba? Avevo sbagliato ad andarmene?

Tutta la sicurezza che avevo qualche ora fa era sparita completamente. Forse sarei dovuta tornare indietro.

Subito però mi venne in mente tutto ciò che avevo dovuto sopportare in quegli anni, per quanto potessi essere stata al sicuro dal mondo esterno non lo ero stata da quello interno.

Chiusi gli occhi e scossi la testa per cacciare via tutta l'insicurezza. Avevo superato di peggio, sarei sopravvissuta ad una nottata su una panchina.

Intanto ero arrivata nella piazza, era esattamente come la ricordavo. C'era la grande fontana al centro, era pieno di negozi e sparse qua e là c'erano anche diverse panchine.

Ne vidi una libera in un angolo piuttosto appartato, andava bene anche per passare la notte perciò mi ci precipitai sopra.

Buttai il borsone per terra e chiusi gli occhi rilassandomi.

Ad un tratto sentii qualcosa sbattermi contro una gamba. Aprii gli occhi e vidi accanto ai miei piedi un pallone arancione, lo presi in mano e guardai di fronte a me.
 Un bambino di circa tre anni mi guardava spaventato, sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

Quando vide che avevo il suo pallone spostò lo sguardo su una figura femminile che gli stava andando incontro, la madre suppongo.

<<  Su, vai dalla ragazza a chiederle scusa e a riprendere il pallone. >> lo incoraggiò la donna, abbassandosi alla sua altezza.

Quel bambino mi faceva tenerezza, aveva delle guance stupende e il nasino leggermente all'insù , vedendo i suoi occhietti pieni di lacrime mi si strinse il cuore.

<< Hey piccolino, è tuo il pallone? >> chiesi dolcemente

Lui in risposta annuì.

<<  Allora tieni  >> allungai le braccia in modo che venisse a prenderlo.
E così fece.

Lasciò la mamma, che lo guardava sorridendo, e venne a prendere il pallone, che tra l'altro era più grande di lui.

Vedendo che anche dopo esserselo ripreso restava lì a guardarmi gli porsi la mano

<< Io sono Jess >>

<<  Io sono Nick >> disse stringendomi la mano con la sua piccina

<< Campione, guarda cosa ti ha portato papà! >> un uomo ci venne incontro portando in mano un gelato. Dalle sue parole capii fosse il padre di Nick.

<< Sii! Il gelato!! >> il piccolo gli corse incontro rischiando di cadere e lasciando il pallone

<< Scusi, è un bambino molto vivace e spesso non riesco a gestirlo neanche io. >> la madre venne a riprendersi il pallone, esausta.

<< Non si preoccupi. E' solo un bambino. >> le sorrisi

Vedendo quella famiglia felice allontanarsi non potei non pensare al fatto che io ero stata privata di quella gioia. Qualcuno aveva deciso di rovinarmi la vita, e ci era riuscito.

Avevo solo due anni quando i miei genitori morirono in un incidente stradale. Un camion non si era fermato allo stop e ci era venuto addosso, o almeno così mi avevano detto.

Io ero viva per miracolo, il camion trasportava lamiere e una mi aveva trapassato il torace.
Ero stata sottoposta a numerose operazioni e rimasi in ospedale per diversi mesi dopo l'incidente.

Inizialmente la mia salute era stata precaria, ma con il passare del tempo si era stabilizata.
Ora fortunatamente stavo bene.

Cercai di allontanare quei pensieri, non era il momento, dovevo cercare un luogo in cui passare la notte.
Stava per piovere e la panchina non sembrava una buona soluzione.

Pensa Jess,pensa.

Dove puoi andare?

È quasi sera, ti devi sbrigare.

Mi strinsi nel giubbino, pur essendo aNovembre c'era un venticello fresco e l'atmosfera era cupa, come sempre quando sta per piovere.

Il massimo per confortare qualcuno come me, che è già disperato di suo, no?

Pensai a quanti soldi avessi, potevo passare la notte in un hotel non troppo caro, ma domani mattina sarei dovuta andare via.
Ripresi in mano il borsone e tornai a camminare.

Spesso in collegio ci portavano fuori, in città. Per lo più per motivi didattici ma almeno lo facevano, perciò bene o male conoscevo la città.

Mi era sempre piaciuta, ogni volta che vedevo tutte quelle persone passeggiare beatamente per le vie di Sydney pensavo a cosa si provasse a sapere che quando tornerai a casa ci sarà qualcuno che ti aspetta, qualcuno che ti vuole bene.

Ora però non conoscevo nessuno lì fuori e la cosa mi spaventava, tutto per me era nuovo.

In 18 anni non ero mai andata a mangiare fuori, a prendere un semplice gelato con gli amici, in discoteca o ad un concerto.

'Nuocevano alla mia intelligenza e non erano altro che stupidi modi per perdere tempo' con testuali parole la Signora Monroe ci aveva vietato ogni genere di svago.

Persino il computer andava utilizzato con moderazione, che alla fine mi sarebbe andato anche bene se non fosse stato per il fatto che avevamo gli orari stabiliti e lo usavamo sotto supervisione.

Lo stesso, ovviamente, valeva anche per telefono e tv.

Ma io non avevo mai rispettato quelle stupide regole, anzi inizialmente lo avevo fatto ma poi le cose erano cambiate e non mi ero più fatta mettere i piedi in testa da quegli idioti che si credevano Dio sceso in Terra.

La ramanzina e la punizione mi sarebbero toccate in ogni caso, tanto valeva meritarle.
Per quanto sbagliato possa essere vedere la fine di un film pur dovendo tenere la Tv accessa per 10 minuti più del dovuto.

Svoltai a sinistra e proseguii diritto, quando passai davanti una pasticceria un profumo di torta appena sfornata, pur essendo tardo pomeriggio, m'invase i sensi.

Sarei entrata volentieri se solo avessi avuto più soldi e tempo a disposizione.

Era pur sempre il mio compleanno, avevo compiuto 18 anni e non avevo mangiato neanche una fetta di torta o ricevuto un regalo. Ma a quello c'ero abituata.

Non credo che nessun'altro avesse passato il suo diciottesimo compleanno a impacchettare le cose e andare via da ' casa '.

Bella la parola casa, no?

Peccato che non avessi la minima idea di cosa volesse dire avere una casa. Di certo dove avevo vissuto fin'ora non lo era.

La casa non è solo un edificio, è il posto in cui vivi con le persone che ami. Non importa se sia sotto un ponte o in un palazzo. L'importante è con chi la condividi.

Forse una volta l'avevo avuta una casa, ma non lo ricordavo.

Questa magari sarebbe stata la mia possibilità di avere una casa.

Allungai il passo per allontanarmi da quel profumo e arrivata alla fine della strada vidi una scritta illuminata, era un hotel.

Menomale, non ce la facevo più a camminare e stava iniziando a piovere.

Entrai e non vedendo nessuno alla reception mi accomodai su una delle poltrone.

Mentre aspettavo mi guardai un pò intorno, non era un albergo di lusso, ma sembrava comunque ben tenuto.

Le pareti bianche erano ricoperte da quadri, al centro della sala c'erano delle poltroncine con un tavolino e delle riviste, a sinistra la porta e a destra la reception e l'ascensore.

Per passare il tempo decisi di prendere una rivista, ne vidi una in cui erano elencati degli appartenenti in vendita, presi quella.

<< Signorina, mi dica. >> una donna di mezz'etá si accomodò alla reception

<< Vorrei una camera >> presi la rivista e il borsone alzandomi.

<< È appena arrivata? Non l'ho mai vista in giro. >> la donna mi guardò da sopra gli occhiali

<< Si, diciamo di si. >>

Dopo aver pagato e preso le chiavi andai verso l'ascensore.

La mia camera era solo al secondo piano, ma ero sfinita per prendere le scale.

Quando finalmente arrivai davanti la porta della camera 111 l'aprii ed entrando lasciai il borsone per terra per andare a buttarmi sul letto.
Senza neanche preoccuparmi si dare un'occhiata alla stanza.

Fuori era ormai buio e la pioggia stava bagnando le strade di Sydney.

Avevo solo una notte per trovare un appartamento e decidere cosa fare.

Era troppo breve per tutto quello che dovevo fare, ma troppo lunga per rimanere sola con tutti i miei demoni cercando di non andare a fondo con loro.

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Spazio autrice

Scusate se non aggiorno da tanto, ma con la scuola non ho molto tempo. D'ora in poi cercherò di pubblicare il prima possibile anche perchè i prossimi capitoli li ho già scritti.
Saranno anche più lunghi.

Fatemi sapere cosa ne pensate!

Alla prossima,
dreamsseason

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Capitolo 4
*** 3.Just a dream ***


La luce che filtrava dalle tende mi diede fastidio agli occhi a tal punto che dovetti portarci una mano davanti.
Il sole era già alto in cielo ed io dovevo sbrigarmi, avevo molte cose da fare.

Dopo essermi stiracchiata decisi finalmente di alzarmi, quando qualcuno bussò alla porta.

'Chi è adesso?' pensai. Non stavo aspettando nessuno.

'Chi dovresti aspettare, scusa? Non hai nessuno.' Mi ricordò una voce nella mia testa.

La verità faceva sempre male.

<< Chi è? >> chiesi

<< Il servizio in camera. >> rispose una voce vagamente familiare.

Ma io non avevo ordinato niente...

<< Apra la porta altrimenti i cornetti si raffredderanno! >> continuò la voce fuori dalla porta.

Stavo morendo di fame, ieri sera non avevo mangiato niente. Un cornetto adesso lo avrei mangiato volentieri, perciò mi alzai ed andai ad aprire.

Quando spalancai la porta però mi ritrovai davanti l'ultima persona che mi aspettavo.

Clarissa con un uniforme da cameriera e un carrello con sopra un vassoio coperto entrò nella stanza

<< Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! >> iniziò a cantare, togliendo il coperchio dal vassoio e mostrando una stupenda torta al cioccolato con un diciotto disegnato sopra.

<< Tanti auguri a Jess! Tanti auguri a te! >> continuò a cantare battendo le mani

Non era possibile, lei non poteva essere qui. L'avevo lasciata nella sua camera ieri pomeriggio.

<<  Allora la vuoi una fetta di torta? >> chiese sorridendo

<< Non puoi essere qui.. >> mormorai. Non volevo illudermi.

<<  Si, invece, sono qui. Ora vieni su, mangiamo la torta. >>

Non m'importava se fosse vero o meno, l'avevo rivista e questo bastava. Per non parlare della torta, la mia prima vera torta di compleanno.

Mi avvicinai a lei, che stava tagliando la torta, per abbracciarla. Ma quando la raggiunsi una voce sulla porta mi fece voltare di scatto

<< Che state facendo! Clarissa, non dovresti essere qui!>> la Signora Monroe era apparsa davanti la porta, come sempre per rovinare un bel momento.

<< Ma è il suo compleanno! >> protestò Clarissa con le lacrime agli occhi.

Entrambe sapevamo che quella torta non l'avremmo mai mangiata.

<< Le ho solo portato una torta! >>

<< Non dovevi farlo. Lei ora è andata via, tu no. Vieni con me. >> la raggiunse afferrandole il polso per trascinarla via

<< La lasci stare, non vede che le fa male! >> cercai di liberarla dalla presa della Signora Monroe

<< Jess, lasciaci stare. Hai preso la tua scelta, ora lasciaci in pace. >>

Risi alle sue parole

<< Ora sta facendo passare me per l'ingrata che è andata via. Ma si rende conto di quello che dice! >>

Lei però non rispose, andò verso la torta prendendola in mano e buttandola per terra.

<< Ma che fa?! >> le urlai contro

<< Noo >> Clarissa iniziò a piangere

<< Ho fatto quello che era giusto. Non ti meriti nessuna torta! >>

E ora, anche dopo essere andata via dal collegio, l'odio per quella donna continuò a crescere.

Non riuscivo a trovare nessuna frase che riuscisse a esprimere tutto l'odio che stavo provando, perciò mi limitai a lanciarle uno sguardo carico del sentimento che provavo nei suoi confronti. A lei però non importò più di tanto, andò verso Clarissa e la trascinò via.

<> l'unica cosa che riuscii a fare fu urlare.

Avevo immaginato moltissime volte l'ipotetica conversazione che avremmo potuto avere una volta che fossi stata libera dalla sua tutela, ma ora non ricordavo neanche una delle frasi che avevo preparato. L'unica cosa che riuscivo a fare era rimanere ferma a guardare la mia unica amica che mi veniva portata via, di nuovo.

<< Noo >>

Mi svegliai di soprassalto, urlando. Ero nella camera di hotel e non c'era nessun altro, la porta era chiusa ed era tutto come lo avevo lasciato. Era stato solo un sogno.

Fantastico, andavo via per non vederla più e me la ritrovavo nei sogni...

Mi passai una mano sulla faccia, era stato solo un sogno, ma davvero realistico. Riuscivo a sentire l'odio verso di lei crescere.

Forse una doccia avrebbe aiutato a farmi rilassare. Mi alzai dal letto e andai verso il bagno. Non era tardi, anzi erano solo sette, ma del sonno non c'era più traccia.

Dopo essermi tolta i vestiti andai ad aprire l'acqua e mentre aspettavo che raggiungesse la temperatura giusta vidi il mio riflesso nel specchio.

La cosa che, come sempre, attirò per prima la mia attenzione fu la cicatrice che avevo sul torace, proprio sotto il seno.

Ci passai una mano sopra, faceva parte di me ed era sempre lì per ricordarmi cosa era successo. La causa di tutto era racchiusa in una cicatrice che di semplice non aveva niente. Dietro aveva una storia e un'altra l'aveva creata. Nel corso degli anni mi aveva creato diversi problemi, soprattutto da piccola. Quando vedevo tutti gli altri bambini con la pancia liscia mi sentivo un pesce fuor d'acqua. Ma il peggio era quando erano loro a notare la differenza, mi guardavano come se fossi un alieno.

Mentre tutte le altre bambine del collegio facevano danza io facevo nuoto. Avevo provato anch'io a ballare, ma ogni volta che dovevamo fare un saggio e perciò cambiarci il vestitino le altre bambine mi guardavano spaventate. Ma come dargli torto, io ero piccola e la cicatrice era grande. Ora invece io sono grande e la cicatrice non così tanto.

Per questo decisi di fare nuoto, ma era anche peggio, lì dovevo fare la doccia ogni giorno e la situazione era anche peggiore.

Avevo pensato di non fare sport, ma mi avevano praticamente obbligata, perciò l'unica cosa che potei fare furono le arti marziali. Lì non ti devi cambiare vestito e la doccia la fai una volta tornato a 'casa'.

Scossi la testa entrando nella doccia.

L'acqua calda non servì a niente, il peso che avevo sullo stomaco e tutta la rabbia causata dal sogno non andarono via.

Stranamente non ci misi più di dieci minuti, di solito c'impiegavo almeno mezz'ora, ma oggi non avevo voglia neanche di stare sotto la doccia.

Mi avvolsi in un asciugamano e andai a prendere dei vestiti puliti. Ieri dopo aver cercato qualche appartamento mi ero addormentata senza neanche mettere il pigiama.

Verso le sette e mezza ero già vestita e con il borsone di nuovo in mano. Controllai per l'ennesima volta di non aver dimenticato niente, già avevo poche cose non potevo iniziare anche a perderle, per poi uscire.

Non avrei fatto colazione lì, sarei andata in un bar, sia perché sarebbe costato di meno sia perché non volevo avvicinarmi alla cucina.
Forse per il sogno, ma non avevo intenzione di mangiare lì.

Arrivata alla reception consegnai la chiave alla stessa signora di ieri sera.

<< Già sveglia? >>

<< Già >> mi limitai a dire, apatica. Non ero in vena di grandi dialoghi.

Poi però mi pentii, lei non centrava niente con il mio umore.

<< Scusi, è solo che sono stanca. >>

<< Il materasso non era di suo gradimento? Avrei potuto cambiarle camera! >>

<< No, il materasso era perfetto. Sono io che ho molte cose per la testa. >> cercai di essere il più cordiale possibile

<< Cosa potrà mai avere per la testa una ragazza così giovane, a tal punto da non riuscire a dormire? >>

Se solo sapesse...

Lei neanche lo poteva immaginare in che condizioni ero.

<< Solite cose. >> dissi vagamente

<< Arrivederci >> salutai per poi andare via.

A differenza di ieri sera oggi sembrava una bella giornata. Già da ora l'aria era piuttosto calda mentre le strade erano ancora bagnate.

Iniziai a camminare nella stessa direzione da cui ero venuta ieri, nella piazza c'erano molti bar, sarei andata in uno di quelli.

Pur essendo ancora le otto meno venti i bar erano pieni e per le strade c'erano già molti ragazzi pronti ad andare a scuola.

Se ci fossi riuscita oggi sarei andata ad iscrivermi in una scuola pubblica. Avevo detto di voler vivere come una normale ragazza della mia età e lo studio fa parte della quotidianitá.

Arrivata al centro della piazza scelsi il bar meno affollato.

Entrai e vidi un tavolo libero, infondo proprio acanto alla vetrata che affacciava sulla strada.

Andai a sedermi e dopo neanche due minuti una ragazza dai capelli biondi e gli occhi azzurri venne a portarmi il menù.

<< Tieni. Torno tra un po' per prendere l'ordinazione. >> sorrise. Sembrava una ragazza solare ed energica, l'amica che riesce a tirarti sempre su il morale, in pratica.

Mi piaceva osservare le persone e cercare di capire come fossero i realtà, come si sentissero. Ormai non lo faceva più nessuno, tutti si fermavano all'apparenza. Se fingi di sorridere sei felice. Non importa a nessuno se fai finta, loro ti vedono sorridente e per loro sei apposto.

Non mi serviva neanche il menù, avrei preso il solito, ma lo sfogliai comunque.

Non era solo un bar, era anche un ristorante, ecco perché c'erano anche delle varietà di pasta e pizze.

Richiusi il libretto posandolo sul tavolo. Mi guardai un po' intorno, la sala era davvero grande, non tanto larga, quanto lunga.

Nel tavolo difronte al mio c'era un gruppetto di ragazzi che aveva messo sul tavolino una marea di libri e quaderni.
Le possibilità erano: o stavano copiando i compiti o stavano ripetendo.

Sicuramente però era la prima.

<< Sbrigati, altrimenti faremo tardi! >> disse uno dei ragazzi conservando dei libri nello zaino

<< Si si, ho finito! >> rispose l'altro ragazzo, finendo frettolosamente di copiare.

<< Stasera ci sarete alla festa? >> un terzo ragazzo, più calmo e rilassato rispetto agli altri, si unì alla conversazione

<< Ovvio >> risposero gli altri due in coro, finendo di mettere apposto i libri

<< Fantastico. Ora andiamo. >>

I tre ragazzi si alzarono correndo via.

Chissà com'era una festa, cosa si faceva o se ci si divertisse.

<< Posso prendere l'ordinazione? >> una ragazza, non quella di prima, mi distolse dai miei pensieri.

<< Certo. Un cornetto e un capuccino. >>

<< Cornetto al cioccolato? >>

Annuii, per me non faceva differenza.

Osservai la ragazza scrivere l'ordine, era completamente diversa dalla cameriera che avevo visto prima.

Aveva i capelli a caschetto neri, più lunghi da una parte e più corti dall'altra, con delle ciocche rosso fuoco.
Gli occhi neri e un piercing del medesimo colore ad un sopracciglio.

Non sapevo perché,ma lei non riuscivo a capirla molto bene.
Forse per il fatto che non avesse lasciato trasparire neanche un'emozione.
E forse era proprio questo quello che attirava l'attenzione su di lei, il suo essere cupa.

<< Torno subito >> disse andando verso il bancone

Intanto guardai un pò fuori dalla grande finestra di vetro, tutti i ritardatari stavano correndo per arrivare in tempo a lezione.
Di certo non volevano fare tardi proprio il venerdì, soprattutto se non era la prima volta.
Qui a Sydney se fai tardi molte volte ti mettono in punizione e non credo che sia questo il modo in cui vogliano passare il venerdì sera.

<< Ecco a lei. >>
La cameriera di prima posò sul tavolo la mia ordinazione

<< Grazie >>

Quando si fu allontanata iniziai a bere il mio cappuccino riportando lo sguardo fuori.

Ormai anche le strade erano piene di auto e il traffico iniziava ad aumentare.
Questa era una delle cose che odiavo, il caos che si creava e il continuo suono dei clacson.
Non lo sopportavo proprio.

Continuai a mangiare, guardando in giro per la sala.

Una vecchietta era appena entrata nel bar a la ragazza bionda che aveva accolto anche me,la stava portando verso un tavolo lontano dal mio solo di un paio di metri.

Osservai quell'anziana signora, nonostante l'età e i problemi che comportasse era uscita da casa forse per andare a fare la spesa o per comprare le medicine. Non si faceva abbattere dalla vecchiaia nè dalla malattia.
O almeno questo era quello che si poteva pensare vedendola, in realtà poteva stare in qualsiasi modo,io non lo sapevo.

Forse il passato aveva segnato anche lei, sicuramente aveva vissuto nel periodo della guerra e non sarà stato sicuramente facile.

Io non mi ritenevo una persona fortunata, ma in confronto a tutti coloro che erano testimoni dell'orrore della guerra stavo un pò meglio. Non c'erano dubbi.

Dopo aver finito il cornetto ripresi la tazza tra le mani e continuai a sorseggiare il cappuccino.
Cercai di non riportare più lo sguardo sulla signora, non volevo sembrare una maniaca,perciò guardai fuori.

Un uomo al telefono attirò la mia attenzione.
Era vicino l'entrata del bar e da come gesticolava si capiva stesse litigando con qualcuno. Forse con la moglie o con il suo capo, ma sembrava una cosa importante.

Quando si ricordò di essere in un luogo pubblico riattaccò.

Lasciai perdere tutto e finii quello che avevo ordinato, era davvero tardi.

Un tintinnio fece intendere che qualcuno fosse entrato.
Mi voltai e vidi l'uomo che prima discuteva al telefono con una rosa in mano. Si guardò intorno e poi si avvicinò al tavolo dov'era seduta la vecchietta di prima.

<< Buongiorno Signora >>

Lei però sembrò non dargli corda e continuò a fare quello che stava facendo.

<< Stia tranquilla non voglio soldi,voglio solo regalarle una rosa. >>

Veramente voleva solo regalarle una rosa?

Tutti nella sala stavano osservando la scena, anche i camerieri.

Riportai lo sguardo sull'uomo, non mi convinceva. Avevo pensato fosse strano già da quando lo avevo visto al telefono,ma ora ne ero certa.

Fissai ogni suo movimento da quando le porse la rosa fin quando non le si inchinò davanti.

Lei sembrò sorpresa, quasi felice, da quel gesto.
Io invece continuavo a pensare ci fosse qualcosa che non andava, nessuno dopo aver litigato va a regalare una rosa ad una vecchietta.

Lo guardai mentre era inginocchiato per terra,ma poi vidi una cosa luccicare vicino i piedi della signora. Era un braccialetto d'oro che probabilmente le era caduto.

Alzai lo sguardo verso la donna per dirle che le era caduto quando capii.
Riportai immediatamente lo sguardo per terra,ma non c'era più.

L'uomo si alzò immediatamente andando verso la porta

<< È stato un piacere, signora. >>

<<  Aspetta! >> neanche me ne resi conto che mi ero alzata

Lui si bloccò di colpo e girò leggermente la testa per guardarmi.

<< Sicuro non ci sia nient'altro che devi darle? >>

Non mi diede il tempo di capire se fosse spaventato o sorpreso dalle mie parole che iniziò a correre via.

Vedendo che nessuno degli altri presenti accennava a volerlo inseguire gli corsi dietro.

Fortunatamente la sala era lunga e il tavolo era piuttosto infondo, ma comunque non riuscivo a raggiungerlo.

Mi maledii di essere così fuori allenamento,ma trovai subito una soluzione.

Come avevo imparato gli ostacoli vanno raggirati.

Mi fermai di colpo e sotto lo sguardo sconvolto di tutti salii su un tavolo proprio accanto alla vetrata per poi uscire dalla finestra aperta.

Controllai dentro e l'uomo non si era accorto della mia deviazione perciò continuai a correre verso l'entrata del bar.
Arrivai giusto in tempo.
L'uomo stava per uscire,ma spalancò gli occhi vedendo che gli avevo bloccato la strada.

Cercò di tornare indietro, ma mi ci buttai sopra.

<< Te lo ripeterò un'altra volta,sicuro di non doverle dare altro? >>

Chiesi cercando di farlo stare fermo.

<< D'accordo d'accordo! Tieni! >> sbuffo tirando fuori dalla tasca dei pantaloni il braccialetto e dandolo a me.

<< Ma per favore non chiamare la polizia. >>

<< Perché non dovrei farlo? >> domandai alzandomi

<< Perché ho dei figli. È per loro se faccio questo, è per dargli quello di cui hanno bisogno. >>

Alle sue parole venni assalita dalla rabbia, che unita all'odio causato dal sogno aveva un effetto micidiale.

<< Non provare a giustificarti usando i tuoi figli. >>

<< Loro preferirebbero avere un padre onesto e che gli voglia bene, piuttosto che avere un criminale come padre. >> non potevo esserne più certa.

<< Ma tu che ne sai di cosa vuol dire avere un padre che non può permettersi di comprarti il giocattolo che vuoi solo perché costa troppo e perciò ti devi accontentare di quello che trova! Tu che ne sai?! Tu avrai avuto tutto dai tuoi genitori. >>

'Io non ce li ho i genitori.
Io non ho mai avuto nè il giocattolo che volevo nè un'altro. Io non ne ho avuti!'

Avrei voluto urlarglielo in faccia, ma se lo avessi fatto sarei sicuramente scoppiata a piangere e non volevo accadesse.

Presi un profondo respiro per poi parlare.

<< Tu non sai niente di me o della mia vita. Non puoi prenderti il lusso di commentarla. Ora va via e non farti vedere più in giro. >>

Non se lo fece ripetere due volte,scappò via.

<< Questo è troppo, io mi licenzio! >>
La ragazza dai capelli neri e rossi si tolse il grembiule andando via

<< Dove vai?! Torna qui! Non puoi farlo! >> gli urlò dietro un ragazzo

<< Oh si che posso! >> urlò lei uscendo dal locale

Non ci badai molto, andai invece a ridare il braccialetto alla signora.
Non vedevo l'ora andare via, mi era passata la voglia di fare ogni cosa, volevo solo buttarmi sul letto e non fare niente, ma il letto dovevo andare a cercarlo.

<< Tenga. >> porsi il braccialetto alla signora.

<< Grazie mille, signorina. Se non fosse stato per lei avrei perso una cosa molto importante. >>

<< Si figuri, non era giusto la facesse franca. >>

Andai a prendere il borsone rimasto accanto al tavolo per poi andare verso la cassa.

<< Scusate, quant'è? >>
Chiesi prendendo il portafoglio

I dipendenti stavano discutendo tra loro, probabilmente per il fatto che la loro collega era andata via, ma nel vedermi la ragazza bionda venne verso di me.

<< Niente >>

<< Che? >> non avevo nessuna voglia di mettermi a discutere anche con lei

<<  Visto quello che hai fatto offre la casa. >>

Guardai gli altri suoi colleghi e anche loro annuirono.

<< D'accordo. Arrivederci. >>

Avevo pochi soldi e di certo non mi sarei messa a protestare perché non volevano farmi pagare. Avrei usato quei soldi per altro.

Questo era praticamente il mio primo vero giorno di libertà e come inizio prometteva bene, no?
-------
spazio autrice
Allora, la storia inizia a farsi più interessante, ora Jess inizierà a cercare una casa, un lavoro... ma  non spoilero niente!
So che tutto ciò che è successo in questo capitolo può sembrare stupido e senza senso,ma non è così.
Servirà per i capitoli che verranno!
E so anche che non è scritto in maniera eccellente, ma pazienza
.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima :)

 

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Capitolo 5
*** 4.House ***


Uscii dal locale ancora scossa da quello che era successo. Non era questo il genere di eventi che volevo mi accadessero ogni giorno, volevo semplicemente passare inosservata e vivere tranquillamente la mia vita.

Avrei iniziato con il cercare una casa, non doveva essere troppo grande, perché in fin dei conti vivevo sola, ma neanche uno sgabuzzino .

Ieri su quella rivista avevo trovato qualcosa che poteva andare bene anche come prezzo, l'unico problema era che non avevo la più pallida idea di dove si trovassero quelle vie.

Mi guardai intorno e vedendo un negozietto proprio all'inizio di un vicolo andai per comprare una mappa della città. Non sapevo leggerla, o almeno non ci avevo mai provato, ma in qualche modo sarei riuscita ad orientarmi.

Entrai nel negozio e seduto alla cassa c'era un vecchietto con tanto di occhiali e cappello.

<< Buongiorno Signorina, posso aiutarla? >>

<< Cercavo una cartina della città. >>

L'uomo annuì per poi abbassarsi sotto il bancone per cercare qualcosa. Poco dopo si rialzò porgendomi un foglio arrotolato. Lo presi in mano aprendolo.

Era pieno di linee rosse e blu, di scritte e di altri colori. Provai a capirci qualcosa, ma niente. Non riuscivo a capirci nulla, sembrava scritto in aramaico.

Sbuffai, non ero portata per questo genere di cose.

<< Quant'è? >> chiesi all'uomo che mi stava osservando stranito

<< Scusi se m'intrometto...è riuscita a leggere la cartina? >> ignorò completamente la mia domanda

<< In realtà no >> mormorai in imbarazzo

<< Provi ora >> disse prendendomela dalle mani e ruotandola

<< Era al contrario. >> spiegò

<< Ah >> effettivamente ora si capiva qualcosa in più.

Non potevo essere stata così stupida, non riuscivo neanche a crederci.

Dopo aver pagato uscii senza guardare in faccia l'uomo. Era un cosa troppo imbarazzante farsi spiegare da un anziano come tenere, non leggere , tenere una cartina.

Mi fermai sul marciapiede in un posto dove non davo fastidio ai passanti e tirai fuori dal borsone la rivista con degli appartamenti cerchiati in rosso.

Il primo della lista si trovava nei dintorni di 'Darling Harbour', una delle tante baie di Sydney, ma era un quartiere piuttosto affollato e non era esattamente quello che cercavo. Lo esclusi immediatamente, non avrei neanche dovuto cerchiarlo.

Il prossimo si trovava vicino la stazione ferroviaria e come posizione era ottima, dato che non avevo la macchina. Sotto la breve descrizione c'era anche un recapito telefonico da chiamare per informazioni.

Presi il telefono dalla tasca posteriore dei jeans e composi il numero. Non dovetti aspettare più di due squilli perché qualcuno rispondesse

<< Pronto? >> era la voce di un uomo, ed era piuttosto roca.

<< Ehm... parlo con.. il Signor Turner? >> chiesi leggendo il nome, a disagio. Non avevo mai parlato con degli sconosciuti e sinceramente non sapevo come comportarmi.

<< Si, lei è..? >>

<< Sono Jess Stevens e chiamavo per la casa che è in affitto. >>

<< Oh certo, vuole venire a vederla? >>

<< Si >>

<< Le va bene tra mezz'ora? >>

<< Ehm...d'accordo. >> mi sarebbe bastata mezz'ora per riuscire a capire dove si trovasse la stazione, no?

<< Sull'annuncio c'è scritta la via, ci vediamo lì. >> continuò l'uomo

<< Ok, ma come faccio a riconoscerla? >> domandai troppo tardi, aveva già riattaccato.

Lo avrei chiamato una volta arrivata.

Erano le 8:30, dovevamo vederci per le 9, potevo farcela.

Presi la cartina cercando di decodificarla, ero nella piazza principale di George Street e se quel rettangolo grigio era la stazione, non distava poi molto. Il punto era come arrivarci...

Allora, per prima cosa dovevo percorrere la strada principale fino ad un incrocio.

Iniziai a camminare continuando a guardare il foglio che avevo tra le mani, se avessi distolto lo sguardo non ci avrei capito più niente.

<< Ok, dovrebbe essere questo. >> borbottai guardando la strada principale dividersi in due, ma tenendo con un dito il punto che dovevo guardare sulla mappa.

Ora dovevo andare a destra per poi prendere la prima a sinistra.

'Speriamo bene..'

Seguii le indicazioni lettera per lettera fino a trovarmi su un ponte.

Un ponte?

Guardai sulla mappa e non c'era segnato nessun ponte. Benissimo, avevo letto male, dovevo tornare indietro.

<< Ma non è possibile. Ho seguito la mappa e sono convinta di averla letta bene.... >>

Forse la cartina era vecchia e il ponte piuttosto recente. Guardai se sul foglio ci fosse scritta qualche data, ma niente.

'Io non torno indietro'

Avrei potuto chiamare il proprietario della casa per farmi dare delle indicazioni o avrei potuto fermare qualche passante...

La seconda, senza dubbio.

Sedute ad una panchina c'erano due ragazze che stavano parlando, mi ci avvicinai

<< Scusate, sapete dirmi come arrivare alla stazione? >>

<< Ci sto andando anch'io, puoi venire con me! >> propose una delle due ragazze alzandosi

<< Oh, ok. Grazie. >> finalmente una cosa di buono mi stava succedendo

<< Ci sentiamo dopo! >> salutò l'altra ragazza per poi farmi cenno di seguirla

<< Siamo praticamente arrivate, dobbiamo solo percorrere il ponte. >>

<< Ah, ok. >>

<< Sei nuova di qui? >> chiese continuando a camminare

<< Si nota molto? >>

<< Beh, tutti sanno dov'è la stazione. >> disse sorridendo ed io scrolla le spalle

<< Devi andare a prendere qualcuno? >>

<< No, devo andare a vedere un appartamento. >> spiegai << Tu? >>

<< Sta venendo mia sorella. Sono mesi che non la vedo! >> rispose entusiasta

<< Siamo arrivati. >> m'informò una volta percorso tutto il ponte

Era pieno di persone, come avrei fatto a riconoscere il Signor Turner?

<< Io vado di qua, l'aspetto al binario 3. >>

<< Si si, vai. Grazie ancora. >>

<< Figurati >> sorrise allontanandosi

Guardai in giro, non avevo mai visto quell'uomo ma forse sarei riuscita a capire chi fosse.

Oppure no.

Presi il telefono e lo richiamai.

<< Pronto? E' arrivata? >>

<< Sono alla stazione, ma non so come riconoscerla. >>

<< Indossa un paio di jeans, una maglietta grigia e un paio di scarpe nere? >> che?

Mi guardai intorno spaventata, come aveva fatto a capire chi ero in mezzo a tutta quella gente.

<< Immagino di si. Sono davanti a lei. >>

Mi voltai per poter guardare davanti a me e vidi un uomo con un'impermeabile nero, cappellino nero e occhiali da sole neri avvicinarsi.

Ma era una spia? Un investigatore segreto o cosa? E poi non aveva caldo?

<< Mi segua. >> disse con tono autoritario dopo avermi squadrato da capo a piedi

Ma chi si credeva di essere sto tizio?

'Non è che vuole ammazzarmi?' da com'era vestito poteva anche essere un killer.

L'unica cosa che gli mancavano erano i guanti neri, ma non gli avevo visto le mani perché ce le aveva nelle tasche.

<< Scusi, ma lei si può permettere di pagare l'affitto? >> chiese senza voltarsi e continuando a camminare

<< Dipende da quanto è alto il prezzo. Scusi ma dove stiamo andando? >> mi fermai vedendo che ci eravamo allontanati dalla zona affollata e stavamo andando in un vicolo disabitato che era anche in salita.

E la cosa non mi piaceva, quel tizio mi faceva paura.

Se mi avesse buttata giù da lì sarei morta.

'Solo perché è vestito così non vuol dire che sia un killer' cercai di convincermi

<< La casa è da questa parte. >> indicò con la mano la fine del vicolo, continuando a camminare

Spalancai gli occhi incredula, aveva anche i guanti di pelle nera!

Ok, ora era davvero inquietante..

<< Sa una cosa, non fa per me. Scusi se le ho fatto perdere del tempo. >> indietreggiai

<< Ma se ancora non l'ha neanche vista? >> l'uomo si fermò voltandosi verso di me

<< No, ma sa, non riuscirei a fare ogni giorno più di due volte questa salita. >> sorrisi nervosa

<< Ma se è giovane? >> rispose confuso

<< Ma è alla mia età che iniziano i dolori. Ha presente... i reumatismi? Ecco, sono una cosa pazzesca! Lei può capire, no? Scusi ancora per il disturbo...e addio! >> me la svignai immediatamente, fermandomi solo quando fui di nuovo in mezzo alla gente.

Avevo sparato la prima cosa che mi era passata per la mente, ma tanto non lo avrei rivisto più in vita mia,perciò...

Presi la rivista e depennai anche quest'appartamento.

Guardai il prossimo e composi il numero.

' Fa che sia normale! Fa che sia normale!' sperai, incrociando le dita

***

<< Mi raccomando, ci pensi! >> mi urlò dietro la donna dal pianerottolo

<< Si certo >>

<< Che no... >> continuai una volta uscita dal palazzo

Erano le QUATTRO del pomeriggio e ancora non avevo trovato un appartamento.

Dopo il presupposto killer di stamattina avevo chiamato ad altri cinque annunci, ed erano uno peggio dell'altro.

L'ultima era una donna anziana che voleva vendermi un appartamento in cui era morto il marito e dove per non sentirsi sola lo aveva fatto imbalsamare e mettere all'entrata, poggiato al muro come guardia. Ovviamente non legalmente. In modo tale che 'controllasse che non entrassero ladri'. Ma la cosa peggiore era che non lo aveva mai spostato di un millimetro e sul muro era rimasta la sagoma del corpo.

Solo al pensiero mi vennero i brividi.

Ma era possibile che non riuscissi a trovarne uno decente? Tutti i tipi strambi li trovavo io, ma si erano organizzati?

Un altro per esempio non sapevo se facesse più ridere o piangere. Già quando lo avevo chiamato avevo capito quanto spiccasse in intelligenza.

<< Pronto? >>

<< Parlo con il Signor Williams? >>

<< Si. Mi dici. >> ( non è scritto male ahah)

<< Chiamavo per l'appartamento in affitto. >>

<< Oh, certo. Vediamoci tra dieci minuti lì. >>

Questa volta però non gli diedi il tempo di riattaccare.

<< Aspetti! Come faccio a sapere chi è? >>

<< Oh giusto, mi scusi. Allora... sono uomo, ho i capelli neri, gli occhi, indosso sempre dei pantaloni e cos'altro... ah si, mi piace la pizza e ho un cane. >>

Non ero riuscita neanche ad aprire bocca tanto che mi aveva scioccata.

Ma il punto era che quando arrivai non ci fu bisogno neanche di chiamarlo, appena lo vidi ero sicura al 100% che fosse lui.

Indossava un giubbino leopardato e un paio di pantaloni rossi lucidi e aderenti... vi lascio immaginare.

Scossi la testa inorridita e mi venne la pelle d'oca al ricordo.

Restava solo un appartamento da visitare e doveva andare bene, non c'erano altre possibilità. Non potevo usare altri soldi per un hotel e non volevo restare per strada.

Chiamai il numero segnato sulla rivista e dopo poco risposero

<< Pronto? >>

<< Pronto, sono Jess Stevens. Chiamo per l'appartamento in affitto. Lei è il Signor Lewis? >>

<< Si, sono io. Guardi, ora ho una riunione, possiamo vederci tra una mezz'ora davanti il palazzo. >>

Fortunatamente questa volta non servì che chiedessi informazioni

<< Lo riconoscerà subito. E' l'unico palazzo giallo di tutta la via. >>

<< Va bene. A dopo. >>

Riattaccai e lessi le informazioni sulla rivista per poi cercare la via sulla mappa.

Dovevo tornare in piazza e da lì prendere la salita dopo una pasticceria e arrivata alla fine svoltare a destra. Poi non ci avrei messo molto a trovare il palazzo se era davvero l'unico di quel colore per tutta la via.

Non ci misi molto ad arrivare in piazza, era tutto il giorno che camminavo e ormai avevo imparato quasi tutte le strade della città. Adesso non mi sentivo poi così smarrita.

Stranamente non c'erano molte persone, forse la maggior parte si stava preparando per uscire tra qualche ora, era pur sempre venerdì pomeriggio.

Dopo aver capito quale fosse la pasticceria trovai subito la salita, ma per salirla ci volle molto più tempo. Non tanto perché fosse molto lunga, più che altro per il fatto che stavo camminando ininterrottamente da ore e non mi ero fermata per più di dieci minuti.

'Su che manca poco' cercai di incoraggiarmi mentalmente.

Quando finalmente arrivai in cima alla salita mi trovai davanti ad un lungo viale.

Guardai il cartello in alto, ero arrivata ad Avenue Road.

Tutto quel viale era Avenue Road.

Non sembrava un quartiere molto di lusso, ma neanche trascurato. Era normale, quello che mi serviva.

E poi c'era di tutto: bar, negozietti e molte altre case.

Come ambiente andava bene, ora dovevamo vedere l'interno.

Guardai l'orologio, erano le 16:25 perciò ero in anticipo di quindici minuti, ma decisi di avvicinarmi comunque.

Effettivamente trovai immediatamente il palazzo. Era davvero alto, sicuramente ci sarebbero stati cinque piani, anche di più, davanti c'era un cancelletto di ferro e difronte il portone c'era qualche panchina.

Fortunatamente il cancello era aperto ed entrai, non c'era nessuno, solo un ragazzo seduto su una panchina.

Andai a sedermi su un'altra panchina accanto alla sua ed aspettai pregando.

Pregando che almeno questa volta fosse andata bene, che non avrei incontrato un altro psicopatico e che la casa fosse perfetta. Pregavo di non dover passare la notte per strada.

Non so dopo quanto tempo, a distrarmi dai miei pensieri fu un rumore provenire dalla panchina di fianco alla mia.

Il ragazzo sbuffando si passò una mano tra i capelli e incrociò le braccia al petto per poi voltarsi.

<< Ciao >> sembrò accorgersi della mia presenza solo ora. Aveva i capelli biondi un po' lunghi, soprattutto il ciuffo, e degli occhi verdi davvero belli.

<< Ciao >> accennai un sorriso per poi controllare l'ora sul cellulare.

Era in ritardo di venti minuti.

Sospirai, e se non fosse venuto?

<< Aspetti qualcuno? >> chiese il ragazzo

<< Anche tu? >> chiesi annuendo

<< Esatto. >>

Non avevo tempo da perdere, se neanche quest'appartamento sarebbe andato bene dovevo trovare una soluzione.

Sbloccai il telefono e ricomposi il numero del Signor Lewis, portandolo all'orecchio.

Con la coda dell'occhio vidi che anche il ragazzo era al telefono. Forse aveva un appuntamento oppure doveva semplicemente uscire con gli amici.

<< Il numero da lei chiamato è al momento occupato. >> la voce registrata mi fece sbuffare e rimettere il telefono in tasca.

Mi voltai verso il ragazzo, anche lui sembrava irritato.

Un attimo... forse...

Anche lui sembrò pensare lo stesso, infatti si voltò immediatamente verso di me.

<< Jess Stevens? >>

Annuii incredula

<< Sei tu il Signor Lewis? Ti credevo più...vecchio. >> dissi alzandomi

<< Infatti sono il figlio. >> rise alzandosi e venendo verso di me

<< Drew Lewis >> mi porse la mano e io l'afferrai

<< Jess Stevens, anche se già lo sai. >>

<< Mio padre non è potuto venire per una riunione di lavoro perciò tocca a me farti vedere la casa. >>

<< Ok. Perciò abbiamo aspettato qui per venti minuti senza motivo? >>

<< Si. Il fatto è che non pensavo fossi così giovane, ma li hai fatti diciotto anni? >>

<< Ieri. E poi neanche tu sembri così vecchio. >>

<< Ho solo un paio d'anni in più di te. Comunque, vieni. >> si diresse verso il portone facendomi segno di seguirlo.

Presi il borsone andandogli dietro, grata che non avesse fatto domande sul perché fossi subito andata via di 'casa' o sui miei genitori.

<< E' al quarto piano. >> m'informò tenendo aperto il portone

<< C'è l'ascensore vero? >> chiesi quasi implorando. Non sentivo più le gambe e non sarei riuscita a farmi quattro piani a piedi.

<< Si. Ma adesso è rotta. >> si grattò la nuca abbassando la testa per cercare di trattenere una risata.

Avevo spalancato gli occhi corrugando la fronte.

<< Non ridere. >> gli puntai un dito contro. << E' tutto il giorno che cammino e ora mi dici che devo salire tutte queste scale! >> piagnucolai

<< Posso portarti in braccio se non ce la fai. >> propose

<< Si così stramazzeremo tutti e due per terra dalla stanchezza. >> risi al pensiero

<< Possiamo sempre fare una gara a chi arriva prima strisciando per le scale. >> continuò con le sue proposte sorridendo

<< Muoviamoci >> iniziai a salire scuotendo la testa

<< Se prenderò la casa parlerò con l'amministratore! Da quanto è rotta l'ascensore? >>

<< Un mese? Non lo so non abito qui. >>

<< Avete traslocato da molto? >> chiesi cercando di non guardare quante scale restassero ancora

<< Non abbiamo mai vissuto qui. >>

<< Allora perché avete messo l'appartamento in affitto? >> domandai inarcando un sopracciglio

<< Mio padre è l'amministratore del condominio. >> spiegò

<< Ah >> e io prima stavo per chiedergli chi fosse quell'idiota dell'amministratore che non aveva aggiustato l'ascensore...

<< Conosci qualcuno nel palazzo? Non so, quelli che dovrebbero essere i miei vicini? >> continuai a sollevare i piedi come fossero dei macigni, eravamo ancora al secondo piano

<< Non conosco proprio tutti, molti sono andati via e ora non so più chi abiti qui. Da quanto so ci sono principalmente anziani. >>

<< Ah, ok >>

<< So che non sono il massimo come vicini, ma almeno sarai informata su tutto quello che succede in città. >> cercò di sdrammatizzare

<< Almeno... >>

***

<< Non ce la faccio più! >> mi buttai
per terra lasciando cadere il borsone

<< Dai, siamo al terzo piano, manca poco. Te lo porto io il borsone. >> disse prendendolo in una mano e porgendomi l'altra

<< Oh, ma te lo puoi anche tenere. Non c'è niente dentro. >> risposi sfinita, guardando la sua mano

<< Ti prendo sul serio. >> scherzò

<< Muoviamoci. >> mi alzai afferrandogli la mano

<< Ci abbiamo messo più a salire un piano, che a salirne tre. >> Drew posò il borsone davanti la porta

Effettivamente ci avevamo messo una decina di minuti, perché avevo camminato come una lumaca, fermandomi ad ogni gradino.

<< Avrei voluto vedere te nei miei panni  >> borbottai raggiungendolo

<< Entra, su. >> aprì la porta e portò dentro il borsone

<< Questo è un piccolo ingresso. >>

Era davvero accogliente, per quanto fosse piccolo era ben arredato: appena si entra sulla destra c'era un piccolo attaccapanni, mentre difronte alla porta c'era un piccolo specchio con un mobiletto in legno su cui posare chiavi e cose del genere.

<< I vecchi proprietari hanno lasciato tutti i mobili? >> chiesi

<< Non è stato mai abitato. E' stata mia madre ad arredarlo. >>

<< Ah. Ha gusto tua madre. >>

<< Si, molto. Vieni, ti faccio vedere il salotto. >>

Sulla sinistra ci si affacciava in una sala abbastanza grande con una parete piena di mensole e un mobile basso, sempre in legno, su cui si trovava la televisione. Per il resto nella stanza c'erano due divani bianchi e un tavolino in legno al centro.

Fortunatamente non c'era niente che non mi piacesse, ma anche se ci fosse stato avrei cercato di farmelo piacere a tutti i costi.

<< Che te ne pare? >>

<< Mi piace molto. >>

<< Da qui c'è la cucina. >> indicò una porta dalla parte opposta a quella della televisione

La cucina non era grande come il salotto, ma neanche piccola. Era giusta per farci entrare un tavolo, un frigorifero e il resto di elettrodomestici che servivano in una cucina.

<< Qui c'è un piccolo ripostiglio. >> Drew aprì una porta accanto la finestra

<< E' davvero bello fin qui! >> dissi sinceramente. Non riuscivo neanche a crederci di aver trovato un appartamento che faceva al caso mio

<< Sono contento che ti piaccia. Ora sono rimaste le camere da letto. >>

Tornammo nell'ingresso, ma questa volta invece di andare a sinistra andammo a destra. Accanto l'attaccapanni c'era una porta che portava in un corridoio.

<< Allora, la prima stanza sulla destra è una camera da letto, come quella infondo al corridoio, mentre l'unica sulla sinistra è il bagno. >>

Me le mostrò tutte e tre e devo dire che non delusero le mie aspettative. Erano stupende.

<< Allora, che te ne pare? >> domandò Drew sedendosi al tavolo della cucina

<< L'adoro! Quando posso prenderla? >> chiesi facendolo scoppiare a ridere

<< Con calma! E' tutto pronto, perciò suppongo anche adesso. Papà ha lasciato le carte da firmare sul tavolo in salotto, ma se vuoi pensarci su puoi chiamarmi domani così magari abbiamo anche il tempo per ricontrollare tutto... >>

Non gli diedi neanche il tempo di finire

<< No no, non devo pensarci. Sono convinta. >>

<< Perché tutta questa fretta? Non fraintendere, mi fa piacere, solo che non capisco. >>

<< Non avrei dove andare altrimenti. >> dissi senza pensarci

Solo quando vidi lo sguardo confuso di Drew realizzai cos'avevo detto e mi morsi la lingua

<< Che vuol dire? >> chiese lui e io non sapevo che rispondere.

Non volevo fargli pena, ma non sapevo che rispondere.

Vedendo che non parlavo lo fece lui

<< Scusa, non sono affari miei. Prendo i fogli da firmare. >>

Si alzò andando in salotto e io approfittai del momento per sbattermi una mano in faccia. Forse avevo trovato un amico, ma a causa della mia lingua lunga avevo rovinato tutto.

<< Eccoli. >> disse rientrando nella stanza

Parlammo di quando e quanto dovessi pagare e firmai tutti i fogli.

<< Ecco a te le chiavi >> mi porse un mazzetto che afferrai titubante.

Non riuscivo a crederci. C'ero riuscita, avevo una casa.

<< Per qualsiasi cosa chiamai. Ti ho lasciato il mio numero. >> disse alzandosi e andando nell'ingresso

<< D'accordo, grazie. >>

<< Ci si vede. >> salutò uscendo

<< Ciao >> chiusi la porta una volta che fu andato via.

Ora che ero finalmente rimasta sola feci un pesante sospiro, come se avessi trattenuto il fiato per tutto quel tempo, e senza accorgermene le lacrime iniziarono a rigarmi il volto.

Mi appoggiai alla porta, e scivolando per terra mi portai le gambe al petto.

Ora si, ora potevo iniziare a vivere la vita che avevo sempre desiderato. Il primo passo lo avevo fatto e nessuno avrebbe potuto più fermarmi, non ora che stavo scoprendo la libertà.

Piegai la testa all'indietro, poggiandola alla porta, lasciandomi andare ad un pianto che avevo trattenuto per troppo tempo.
-----------
Spazio autrice
Si, questo capitolo è venuto molto più lungo degli altri, ma sinceramente non mi sembrava il caso di dividerlo.
Non ho niente da dire perciò vi auguro solo concludere bene quest'anno e di iniziarne uno anche migliore!
Alla prossima

 

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Capitolo 6
*** 5.Nuovi incontri pt.1 ***


Non so dopo quanto mi alzai da terra asciugandomi le lacrime, il pianto era servito. Aveva aiutato a smaltire un po' di tensione e mi aveva dato il tempo di riflettere su quello che era appena successo: avevo trovato una casa. Ora non restava che trovare un lavoro e vivere la vita come faceva ogni ragazzo di 18 anni, beh forse l'ultima parte era quella più difficile, ma ci sarei riuscita.

Mi alzai, prendendo il borsone da dove lo aveva lasciato Drew e avviandomi verso le camere da letto.

La prima era piuttosto semplice e ... vuota. C'era solo un letto matrimoniale a destra, un armadio in legno bianco sulla parete a sinistra e difronte alla porta una finestra che affacciava su Avenue Road.

Non mi convinceva molto, era troppo spoglia. Andai verso quella alla fine del corridoio e aprii la porta. Era decisamente meglio.

Appena entrata sulla destra c'era un grande armadio con accanto uno specchio, sulla parete sinistra, invece, c'era una scrivania piuttosto grande affiancata da una libreria vuota. Il resto della parete era occupato da mensole e scaffali tutti vuoti eccetto uno con una televisione. Sulla parete difronte la porta si trovava una finestra rettangolare piuttosto lunga, da cui si poteva vedere la salita proveniente dalla piazza. Ma la cosa che più mi affascinò fu il davanzale interno su cui potevo sedermi per guardare fuori.

Infine, nell'ultima parete libera c'era il letto.

E che letto!

Non avevo mai avuto un letto così grande, era il doppio rispetto a quello in cui ero abituata a dormire.

Lasciai cadere il borsone per terra pesantemente, per poi buttarmi sul materasso e prendere in mano uno dei tanti cuscini poggiati sopra.

Non riuscivo a crederci, era come un sogno che diventava realtà.

Rimasi per un po' a contemplare la comodità di quel letto, era come un pezzo di paradiso disceso sulla terra. Forse perché prima avevo il timore di dover passare la notte per strada, non so, sta di fatto che ero estasiata da quella camera.

Mi portai un cuscino sulla faccia, cercando di soffocare un urlo di gioia, non volevo che i vicini mi prendessero per pazza dopo neanche due ore.

Quando finalmente decisi di alzarmi sistemai i vestiti nell'armadio, le foto e gli altri oggetti sulle diverse mensole.

Poi andai a fare un giro nelle altre camere, ancora stupita da tutto questo, quando ebbi finito il giro di perlustrazione constatai che era il caso di andare a fare un po' di spesa. Avevo visto un supermercato lungo la strada, perciò presi telefono, soldi e chiavi ed uscii.

***

Quando tornai nell'appartamento ero sfinita. Avevo più o meno dieci buste stracolme di roba e le avevo dovute portare su per le scale, diciamo che adesso potevo ' vantarmi' di avere i bicipiti.

Portai tutto in cucina per poi smistare il tutto. Avevo preso un po' di ogni cosa: saponi, acqua, bibite, cibo, carta, avevo persino trovato un reparto dedicato al materiale scolastico perciò comprai un po' di penne, fogli e cose del genere. Avevo fatto una bella scorta, e poi la signora che era alla cassa era anche simpatica. Mi aveva persino fatto uno sconto per tutto quello che avevo preso.

" E ci credo, hai comprato mezzo negozio.."

Quando ebbi finito di sistemare tutto mi sedetti e pensai alle cose importanti. Avevo quasi finito tutti i soldi che avevo a disposizione e dovevo trovare al più presto un lavoro. Dovevo pagare l'affitto e comunque avrei avuto bisogno di soldi.

<< Che lavoro farebbe una normale ragazza? >> chiesi, consapevole del fatto di essere sola nella stanza e che nessuno mi avrebbe risposto

<< Di solito, o almeno nei film, lavorano come babysitter o dogsitter, ma con i cani non ci so fare e dove li trovo dei bambini? >> sbuffai, poggiando le braccia sul tavolo e il mento sulla mano chiusa a pugno

<< Oppure lavorano nei negozi, o nei bar. >> borbottai, ripensando alla ragazza bionda che lavorava come cameriera nel bar di stamattina.

Quella era già un'ipotesi più accettabile, non ci voleva una laurea per servire ai tavoli. Sempre se non si inciampa in una sedia o sui propri piedi e si butta una tazza di caffè bollente addosso a qualcuno.

Mi coprii la faccia con le mani, potevo farcela. Non ero così imbranata, se ero arrivata fin qui lo avevo fatto da sola, se fossi stata così incapace non ce l'avrei fatta, no?

' E se andassi a lavorare in quel bar? La ragazza col piercing al sopracciglio è andata via, magari mi assumono.'

Guardai l'orologio sopra il frigorifero, erano già le sette, forse era meglio andare domani mattina.

Mi feci un panino ed iniziai a mangiarlo. Era così strano essere sola in un appartamento così grande, certo anche in collegio c'era un silenzio tombale ma almeno sapevo che nelle altre stanze c'erano altre persone.

Qui invece ero completamente sola.

' Quasi quasi mi compro un cagnolino. ' Pensai

' Prima però dovrei trovarmi un lavoro... '

Andai in salotto a guardare un po' di tv, ma non c'era niente di decente. Che poi alla fine chi il venerdì sera stava a casa a guardare la tv oltre a me?

<< Oddio, Clarissa! >> saltai giù dal divano correndo verso il telefono che avevo lasciato in cucina e per poco non mi strozzai

Le avevo promesso che le avrei fatto sapere qualcosa, già me l'immaginavo seduta su una sedia a mangiarsi le unghie dal nervosismo.

" Hey! E' tutto ok, ho trovato un appartamento fantastico. "

Chiusi la tv, ero troppo stanca per guardarla e anche se erano solo le nove andai a coricarmi. Per la prima volta da anni mi addormentai non appena posai la testa sul cuscino.

***

La mattina dopo mi svegliai che erano le otto, non avevo mai dormito così bene, non mi ero svegliata neanche una volta.

Mi voltai a guardare fuori dalla finestra, sembrava una bella giornata e di sicuro gran parte delle persone sarebbe andata a passarla al mare.

Non riuscivo a credere che dall'altra parte del mondo in quello stesso periodo dell'anno fosse inverno, o comunque autunno.

Presi il telefono che ieri sera avevo lasciato sul comodino, per leggere la risposta di Clarissa, ma non c'era nessun messaggio.

Era davvero strano, lei rispondeva sempre entro mezz'ora. Non penso fosse già andata a letto quando glielo avevo mandato, potevamo restare svegli fino alle dieci e mezza, e di certo non stava ancora dormendo. La colazione era praticamente adesso.

Forse era successo qualcosa, oppure non aveva avuto tempo di leggerlo.

' Si, sicuramente tra un po' risponderà. ' cercai di convincermi

Mi alzai e mi diressi in cucina per fare colazione, facendo intanto una lista mentale delle cose che avrei dovuto fare oggi:

1) Cercare un lavoro.

Sarei andata al bar dell'altro giorno, come si chiamava...Food's sound mi sembra. Se non mi avessero preso sarei dovuta andare a cercare qualcos'altro, ma meglio cercare di essere ottimisti.

2) Dovevo iscrivermi a scuola.

3) Se Clarissa non avesse risposto sarei dovuta andare a controllare che stesse bene.

Non mi piaceva per niente l'idea di tornare in quel posto, ma dovevo farlo. Per non parlare del fatto che sarei dovuta andare a piedi, non avevo l'auto e prima di spendere soldi per taxi o autobus dovevo trovare un lavoro.

Quando finii di mangiare andai a lavarmi e vestirmi. Indossai un semplice jeans e una maglietta nera, poi presi la solita vecchia borsa e ci misi dentro soldi, telefono, la mappa della città e le chiavi. Avevo quella borsa da anni, ma era ancora in ottime condizioni. Questo solo perché, come avevano ripetuto più volte delle ragazze del collegio, la trattavo come una figlia, ma che potevo fare? Non sapevo mica quando me ne sarei potuta comprare un'altra.

Quando finalmente fui pronta erano le 9:15, presi la borsa ed uscii.

La strada per arrivare in piazza ormai la sapevo a memoria e infatti in dieci minuti fui davanti la porta del bar.

Entrai dirigendomi direttamente verso il bancone vuoto. Poggiai le braccia sul ripiano e aspettai che arrivasse qualcuno, preparando mentalmente il discorso.

" Hey, che ne dite se venissi a lavorare con voi? Siccome l'altra ragazza ieri se n'è andata avevo pensato vi servisse qualcun altro. "

No, era troppo...come dire...

<< Cosa ti posso portare? >> una voce mi fece tornare con i piedi per terra

Davanti a me c'era un ragazzo con i capelli castani e gli occhi chiari.

<< Ehm.. non sono venuta per questo... volevo.. >> cercai di spiegare, ma fui interrotta

<< Steven, mi dai il conto del tavolo 7? >> la ragazza bionda di ieri si poggio al bancone, proprio accanto a me

<< Tu sei la ragazza di ieri? >> sorrise voltandosi nella mia direzione

<< Ehm...Si  >>

<< Steven, è lei la ragazza di cui ti parlavo prima! >> si rivolse al ragazzo che le stava porgendo uno scontrino

<< Quella della vecchietta?! >> urlò stupito

Ehm... ero diventata famosa per caso?

<< Sii, proprio lei! >>

<< Come ti posso aiutare? >> domandò sorridendo il ragazzo

<< Ecco vedi, ieri mentre ero qui una vostra collega è andata via dicendo che si licenziava. Mi chiedevo se il posto fosse libero? >> dissi tutto d'un fiato, poi alternai lo sguardo tra i due.

Mi stavano fissando senza dire niente

<< Ok, non fa niente. >> dissi , ora mi toccava sul serio cercare un altro lavoro

<< O mio Dio, sul serio vuoi lavorare qui?! >> il ragazzo, Steven mi sembra, urlò spalancando gli occhi

Tutti si erano girati a guardarci

<< Steven, abbassa la voce! Ci stanno guardando tutti! Comunque, si il posto è libero e per noi andrebbe benissimo. Abbiamo davvero bisogno d'aiuto, ma dobbiamo prima parlarne con il capo. >> spiegò la ragazza e io non riuscii a non sorridere.

Non potevo crederci, forse avevo persino trovato un lavoro!

<>

<< Chi? >> chiese lui

<< Il capo, Steven ma che ti prende? Perché t'imbamboli? >>

<< Non posso credere che voglia lavorare qui. >>

<< Perché? >> chiesi

<< Qui dentro non si fa altro che parlare di quello che hai fatto ieri! Sei diventata un mito e ora vuoi venire a lavorare qui? E' fantastico! >>

<< Ah >> non pensavo di aver fatto così scalpore, fortuna che non sapevano niente della mia vita altrimenti sarebbero morti...

<< Comunque si, vado a chiamarlo io! >> Steven prese il telefono allontanandosi

<< Scusalo, di solito non è così. Comunque io sono Britney, piacere. >> la ragazza mi porse la mano sorridendo

<< Jess >> l'afferrai ricambiando il sorriso

<< Secondo te mi assumerà? >> chiesi un po' preoccupata

<< Ne sono convinta. Ci serve davvero una mano. Siamo in pochi. >>

<< Perché quella ragazza ieri se n'è andata? >>

<< Sophia? Era da un po' che minacciava di andarsene e ieri lo ha fatto. Comunque, a parte i cuochi siamo solo in tre, con te in quattro, i camerieri. >>spiegò

<< Io, Steven e Kristal. Lei oggi fa il turno di pomeriggio, ma sono convinta che andrete d'accordo, è una ragazza dolcissima.>> annuii

<< Il capo non ha niente in contrario. Inizi da lunedì. >> Steven tornò dandomi la comunicazione

Non riuscii a trattenere un sorriso. Tutto sembrava andare per il verso giusto, ma questo non mi rassicurava. Per niente. Ogni volta che mi succedeva qualcosa di bello subito dopo ne succedeva una terribile.

<< Tutto ok? >> chiese Britney preoccupata

<< Si, è solo che non riesco a crederci. Sono Jess, comunque. >> mi presentai al ragazzo

<< Steven, ma penso tu l'abbia già capito. >> sorrise << Britney, perché non le spieghi un po' come funzionano le cose? Mi occupo io del locale tranquilla. >>

<< Con piacere! Allora.. >> si sistemò sullo sgabello accanto al mio per poi parlare << Per i turni ci organizzeremo lunedì pomeriggio. Faremo in modo che ci siano tutti per poterne parlare, ma comunque funziona così: durante la settimana la mattina solitamente c'è Steven e il capo cerca di dare una mano. >>

<< Steven non studia? >>

<< Va all'università, ma ha detto lui che preferisce studiare il pomeriggio e per noi va bene. Dato che sia io che Krystal andiamo a scuola. Ma comunque se entriamo dopo o usciamo prima a volte veniamo a dare una mano. >> iniziò a gesticolare mentre spiegava le cose

<< Come ieri? Entravi dopo? >>

<< Esattamente. Che bello parlare con qualcuno che capisce subito, non come Steven. >> disse l'ultima frase alzando il tono della voce in modo che il ragazzo, intento a servire un tavolo lì vicino, la potesse sentire

<< Britney guarda che ti sento! >>

Urlò lui per farsi sentire e noi scoppiammo a ridere. Sembravano davvero una bella squadra, non mi ero sbagliata quando avevo pensato che Britney fosse una ragazza solare e divertente.

<< Comunque, per quanto riguarda il pomeriggio ci organizziamo tra di noi. Se abbiamo degli impegni ne parliamo e cerchiamo di aggiustarli come ci fa comodo. >>

<< Ma non sono un po' pochi quattro camerieri? >> sembrava davvero difficile gestire un bar in così pochi

<< Oh si, ma non ci sono molte persone disposte a fare questo lavoro. Soprattutto perché il capo è un tipo piuttosto isterico. >>

<< Buono a sapersi. >> borbottai.

<< Se vuoi restare un po' per ambientarti fa pure, altrimenti ci vediamo lunedì. Vado a dare una mano a Steven altrimenti chi sa che combina. Ah, ti lascio il mio numero. >> prese una penna e un taccuino dalla tasca del grembiule per poi scrivere qualcosa su un foglio.

<< Ci vediamo! >> mi porse il pezzo di carta allontanandosi

Restai a dare un occhiata per una mezz'oretta, poi quando decisi che era il momento di darmi da fare, andai via.

Nella lista che avevo fatto stamattina il prossimo punto era la scuola.

Avevo sentito parlare bene di una scuola, la St. Louis , potevo andare lì. Può sembrare strano ma per me lo studio non era un problema. In collegio non avevi altro da fare ed ero convinta di aver già finito tutto il programma del mio anno e di quello successivo.

Presi la mappa dalla borsa e cercai di capire dove fosse quella scuola, a piedi ci sarebbero voluti dieci minuti ma non avevo voglia di camminare ancora e dato che ormai avevo un lavoro potevo anche prendere l'autobus.

Alla fine ci avevo messo comunque dieci minuti ad arrivare, ma almeno sentivo ancora le gambe.

Quando arrivai mi ritrovai davanti un'imponente edificio giallo circondato da un cortile pieno di aiuole fiorite e panchine. In cima al palazzo c'era una grande targa con scritto in nome della scuola.

Salii i gradini che la innalzavano da terra ed entrai, era identica alle scuole che si vedono nei film, i corridoi erano larghi e su entrambi i lati c'erano diversi armadietti rossi. Accanto la porta si trovava un contenitore con degli opuscoli sui diversi corsi che si potevano seguire e con una mappa dell'edificio.

Cercai la segreteria sulla piantina dell'edificio e iniziai a camminare per i corridoi tenendo lo sguardo fisso sul foglio che avevo in mano.

Ero talmente concentrata nel seguire la strada che non mi accorsi di stare andando addosso a qualcuno fin quando non ci scontrammo.

<< Oddio scusa! Non ti avevo visto! >> mi scusai, abbassandomi per raccogliere i libri che erano caduti nello 'scontro'.

<< Non è colpa tua, ero tra le nuvole. >> disse la ragazza, mettendosi in piedi

Era davvero una bella ragazza, aveva dei capelli biondi, che le arrivavano fino alla pancia, con le punte mosse e gli occhi azzurri.

Ci avrei scommesso che mi ero imbattuta nella ragazza più popolare di tutta la scuola, ma stranamente era gentile.

<< Sei nuova di qui? >> chiese sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio

<< Sono appena arrivata, devo iscrivermi. >>

<< Ti posso accompagnare in segreteria se vuoi! La scuola è davvero grande e con quella non ci capirai molto. >> indicò la cartina che avevo in mano

<< Oh, ok. Grazie. >> misi il foglio nella borsa e la seguii

<< Sono Rachel, comunque. >>

<< Jess >> sorrisi.

<< Allora dimmi, a che anno sei? >> chiese continuando a camminare

<< Penultimo. Tu? >>

<> sembrava euforica all'idea

<< Conosci qualcuno qui? A scuola, intendo. >> continuò

<< In realtà no. >> ammisi

<< Beh, ora hai un'amica. >> mi sorrise incoraggiante e non potei fare a meno di ricambiare il gesto << Siamo arrivate.>>

Eravamo davanti una vetrata dietro la quale si trovava una donna di mezz'età, che nel vederci si accigliò.

<< Rachel? Che ci fai qui di sabato mattina? >>

<< La mia amica si deve iscrivere. >> m'indicò

<< D'accordo. Tieni, compila questi.>> mi porse dei fogli e una penna

Iniziai a rispondere alle domande sorvolando quelle riguardanti i miei genitori, tanto ormai ero maggiorenne.

Quando ebbi finito lo passai alla donna da sotto la vetrata.

<> disse la donna,leggendo il mio nome dal foglio

<< Da lunedì inizierai le lezioni, quì c'è l'orario, e potrai anche iniziare a seguire i corsi che preferisci. Per quanto riguarda i libri questo è l'elenco >> mi diede diversi fogli

<< Ok,grazie. Arrivederci. >> dissi senza distogliere lo sguardo dalle carte che avevo in mano

<< Ciao! >> salutò Rachel, andando via

<< Allora, che ne dici se ti accompagno a prendere i libri? >> chiese

<< Per me va benissimo >>

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Capitolo 7
*** Nuovi incontri pt.2 ***


<< Allora che ne dici se ti accompagno a prendere i libri? >> chiese
<< Per me va benissimo. >>

<< Allora, parlami un po’ di te. Ti sei trasferita da fuori? >>Rachel iniziò a farmi delle domande, mentre uscivamo dall’edificio. Erano completamente normale che lo facesse, ma dovevo ammettere che avevo sperato non lo avrebbe fatto.
<< Diciamo che non vivevo proprio a Sydney, piuttosto fuori città direi. >> ok, fin qui non avevo proprio mentito. Era vero che non avevo vissuto a Sydney, non conoscevo niente delle città e poi il collegio era quasi fuori città.
Lei annuì
<< Dimmi qualcosa di te. >> dissi, attraversando la strada davanti la scuola
<< Cosa posso dirti… sono un ragazza normalissima a cui piace leggere e ascoltare la musica. A te piace la musica? >>
<< Si, molto. >>  era una delle poche cose che mi aveva sempre affascinata. Era un’ottima scappatoia dal mondo. Molte, troppe, volte avevo passato intere giornate chiusa in camera mia con le cuffie nelle orecchie cercando di scappare dalla realtà, cercando di immaginare una vita diversa. Perché diciamocelo la vita per un orfana non è facile, per niente. Si vedeva la pietà, la compassione e la tristezza negli occhi di chi ti guardava e io non ne avevo bisogno. Forse era proprio per questo che non volevo mi facessero domande sulla mia vita, non volevo fare pietà a nessuno, né a Britney o Steven, né a Rachel, né a Drew.
E beh, spesso la musica sapeva confortarti, c’erano canzoni che esprimevano esattamente il tuo stato d’animo, cantanti che riuscivano a capirti senza bisogno di conoscerti  e melodie che sapevano portare via tutto il dolore e che riuscivano a darti la forza per rialzarti. La musica arrivava dove nessun’altro  poteva, nelle parti più oscure di tè, quelle che non sai di avere neanche tu.
<< Qual è la tua canzone preferita? O anche un cantante o una band? >>chiese interessata la ragazza accanto a me
<< Oh, in realtà non ho una canzone preferita, e neanche un cantante. Ascolto quello che capita e solitamente scelgo le canzoni in base al mio stato d’animo. >> spiegai
<< Anch’io faccio così il più delle volte! Pensavo di essere l’unica a dire la verità! Ma ad essere sincera c’è una canzone che mi piace molto, non solo il testo, ma anche la melodia. >> disse cercando qualcosa nella sua borsa, per poi tirare fuori il cellulare e le cuffie, porgendomene una.
<< Tieni, ascoltala. >>
Misi la cuffietta nell’orecchio e aspettai che la musica partisse

I walk a lonely road                                                                                                                        Cammino in una strada solitaria
The only one that I have ever known                                                                                         l’unica che ho sempre conosciuto
Don’t know where it goes                                                                                                           non so dove porti
But it’s home to me and I walk alone                                                                                       ma è la mia casa e cammino da solo
I walk this empty street                                                                                                             percorro questa strada vuota
On the Boulevard of Broken Dream                                                                                         nel viale dei sogni spezzati
Where the city sleeps                                                                                                               dove la città dorme
And I’m the only one and I walk alone                                                                                     e io sono l’unico e cammino da solo
I walk alone                                                                                                                                Cammino da solo
I walk alone                                                                                                                                Cammino da solo
My shadow’ the only one that walks beside me                                                                    la mia ombra è l’unica che mi sta vicino
My shallow heart’s the only thing that’s beating                                                                  il mio cuore debole è l’unica cosa che pulsa           
Sometimes I wish someone out there will find me                                                               certe volte desidero che qualcuno la fuori mi trovi
‘Til then I walk alone                                                                                                                 Sino ad allora continuerò a camminare da solo


<< Allora? Ti piace? >> chiese riprendendosi la cuffietta
<< Si  >> mormorai
Quella canzone parlava della mia vita. Ero sempre stata sola e anch’io avevo camminato da sola nel ‘ viale dei sogni spezzati ’. Quella strada immaginaria piena dei sogni che avrei voluto realizzare, ma che non ho mai avuto la possibilità di vivere.
Anch’io a dirla tutta stavo aspettando che qualcuno venisse a camminare con me in quel viale, o magari in  una strada vera, dove i sogni possono realizzarsi. Anch’io stavo aspettando quella persona che mi avrebbe rivoluzionato la vita, e forse era arrivato il momento di ammetterlo anche  a me stessa.
<< Ok. Questa è la libreria dove vado io di solito. >>
Ero talmente assorta nei miei pensieri che non mi ero neanche accorta di essere arrivata  davanti la porta di una piccola libreria.
<< Se  mi dai l’elenco dei libri ti segno quelli che devi prendere. La maggior parte sono inutili, non te li fanno neanche usare. >>
Annuii e presi il foglio dalla borsa per poi porgerglielo.
Mentre lei controllava i libri io mi guardai intorno, no sapevo neanche come c’ero arrivata, avevo semplicemente seguito Rachel. Poteva benissimo portarmi in un bosco sperduto, non ci avrei neanche fatto caso, tanto ero immersa nei miei pensieri.
Guardai dall’altra parte della strada e vidi un negozio che mi sembrava di aver già visto. Ci misi qualche secondo a capire.
<< Siamo ad Avenue Road! >>
<< Mh? Ah si. E’ uno dei miei quartieri preferiti. C’è di tutto. >>
<< Non mi ero accorta fossimo venute qui. >> confessai
<< Ti ho vista pensierosa e ho preferito lasciarti un po’ di spazio. >> disse alzando lo sguardo dal foglio << Ok, possiamo entrare. Propongo di andare direttamente dal signore alla cassa così ci sbrighiamo subito. >> suggerì per poi entrare seguita da me.

***
Quando finalmente uscimmo dalla libreria presi il telefono per controllare l’ora.
<< Sono le 11:15. Ci abbiamo messo mezz’ora! chi aveva detto di andare direttamente alla cassa che ci saremmo sbrigate? >> dissi ironica, rimettendo il telfono in tasca
<< Come facevo io a sapere che il solito signore oggi non c’era? No, ma hai visto come camminava qual signore! Mio nonno sa andare molto più veloce! >> scosse la testa ridendo
<< Jess, se vuoi puoi venire da me. Non so se magari sei sola a casa. >>
E ora? Se le avessi detto che ero sola sarebbe saltata fuori la domanda ‘ I tuoi genitori sono a lavoro?’ e io non volevo perdere la mia nuova amica. Non perché le facevo pietà.
<< I miei genitori mi stanno aspettando. >> dissi senza neanche pensarci.
<< Ah, ok. Se vuoi però ti posso accompagnare .>>
<< Non c’è bisogno, abito proprio qui. >> indicai il mio palazzo e nel vedere la sua espressione delusa mi sentii uno schifo. Lei cercava di essere gentile e carina ed io le mentivo e cercavo di allontanarla.
<< Allora, ci vediamo a scuola. >> sorrise timidamente.
<< Si, ci vediamo a scuola. Ciao,Rachel. >> cercai di essere il più amichevole possibile, ma a che serviva ormai?
Mi voltai incamminandomi verso il palazzo. Come sempre avevo rovinato tutto, non mi avrebbe più rivolto la parola.
Il cancello era aperto, perciò entrai ed andai verso il portone. Presi le chiavi ed aprii.
Ma poi, perché non le avevo detto la verità sui miei genitori? Non potevo mica mentire a tutti, prima o poi l’avrebbe scoperto.
Entrai, lasciando il portone aperto, la signora del primo piano stava uscendo, e iniziai a salire le scale.
Ero stata una scema, se le avessi detto che non c’era nessuno ad aspettarmi a casa sarebbe stato meglio, no? Io sarei stata sincera e lei poi avrebbe avuto pietà di me. Era sempre così.
‘ Ma forse lei era diversa. Forse avrebbe apprezzato Jess e non la ragazza orfana. ’
Beh, ormai era troppo tardi per saperlo.
Quando arrivai davanti la porta del mio appartamento presi le chiavi dalla borsa ed aprii. Poggiai la busta con i libri per terra e chiusi la porta.
Sospirai controllando se Clarissa avesse risposto, ma niente.
‘ Sistemo i libri e vado. ’ Pensai
Presi la busta per portarla nella mia camera. La poggia sulla scrivania ed iniziai a sistemare i libri nella libreria, quando qualcuno suonò al campanello.
‘ E ora chi è? Qualche vicino che ha notato la mia presenza? ’
Lasciai stare i libri ed andai verso la porta.
<< Chi è? >> chiesi titubante. Se fosse stato un ladro con cosa mi sarei difesa? La mie tecniche di combattimento non erano così efficaci, io puntavo più sull’astuzia che sulla lotta.
<< Rachel >> rispose affannando la voce dietro la porta
Che?
Aprii immediatamente la porta per ritrovarmi davanti la ragazza con le mani poggiate sulle cosce mentre riprendeva fiato.
<< Che ci fai qui? >>
<< Ti erano caduti questi. >> mi porse una banconota da 20 dollari.
Controllai la tasca posteriore dei jeans, li avevo messi lì.
<< Oh,grazie non mi ero accorta di averli persi. >> dissi vedendo che effettivamente non li avevo.
<< Jess? >> iniziò, rimettendosi diritta << Non sono scema, c’è troppo silenzio perché i tuoi siano a casa. >>
Restai a guardarla per qualche secondo.
<< Entra. >> sospirai facendole spazio per farla passare per poi chiudere la porta
<< Vieni , andiamo in cucina. >>
Una volta che fummo sedute al tavolo non sapevo come dirle quello che dovevo dire.
<< Hey, perché non mi hai semplicemente detto che volevi tornare a casa? Per me sarebbe andato bene. >>
Chiusi gli occhi sospirando e poggiando le braccia sul tavolo
<< Rachel >> iniziai, dovevo dirle la verità << I miei genitori non sono a casa e non ci saranno mai. >> nel dire quelle parole sentii un groppo alla gola
<< Che vuoi dire? >> si accigliò
Aspettai di riuscire a parlare
<< I miei genitori sono morti quando avevo due anni. >> sentii gli occhi pizzicare, era la prima vera volta che lo dicevo ad alta voce e che lo raccontavo a qualcuno fuori dal collegio.
Rachel rimase sorpresa dalle mie parole.
<< Ho vissuto in un collegio fino ad avantieri. Solo all’età di 18 anni si può andare via e appena ne ho avuto l’opportunità sono andata via. Lì la vita non era così piacevole. >> non riuscii a impedire ad una lacrima di uscire, ma anzi mi ero trattenuta fino a quel momento.
<< Jess, perché non me lo hai detto subito? >> chiese dolcemente, prendendomi una mano
<< Non mi va di parlarne in giro, e poi…non volevo provassi pietà per me. >>
<< Io non provo pietà per tè. Non so cosa voglia dire crescere senza l’affetto dei tuoi genitori e non so cosa tu abbia passato, ma ti sono infinitamente grata per avermene parlato. Puoi stare tranquilla, io non me ne andrò. Non ti sbarazzerai di me così facilmente. >> si alzò venendo ad abbracciarmi
<< Grazie, Rachel. Sei la prima persona con cui ne parlo. >> ricambiai l’abbraccio
<< Ne sono onorata. >> sorrise staccandosi << Ma parliamo di cose serie: mi stai dicendo che avantieri hai fatto 18 anni e hai passato la giornata ad impacchettare le tue cose? >>
Le fui davvero grata per aver cambiato argomento, ma soprattutto per non avermi compatito. Forse saremmo diventate davvero buone amiche, e non potevo esserne più felice.
<< Allora ci vediamo domani mattina sotto casa tua >> Rachel stava andando via 
<< D’accordo. A domani allora .>>
<< A domani. >> mi salutò con la mano andando via
Dopo che le avevo raccontato la verità avevamo iniziato a parlare e si era fermata a pranzare. Le avevo detto della mia vita nel collegio, cosa facevamo, di come erano morti i miei genitori e del fatto che non ricordavo niente della mia vita prima del collegio, di Clarissa e di cosa avevo fatto una volta andata via. Dopo mangiato lei mi aveva raccontato della sua di vita: la sua famiglia, i suoi amici e i suoi hobby. Avevo scoperto che aveva un fratello più grande, Neal, e con mia sorpresa che non era la ragazza più popolare della sua scuola. Quella era Cearra, con il suo gruppetto.
Poi ci eravamo organizzate per uscire domani mattina, saremmo andate a fare shopping e poi dovevo andare a casa sua, non avevo scelta.
Tornai in cucina e misi dei bicchieri che erano rimasti sul tavolo nel lavandino per lavarli. Prima però ricontrollai se Clarissa avesse risposto, ma ovviamente non c’erano messaggi.
Sbuffai scrivendone un altro
‘ Clarissa giuro che se non rispondi vengo lì e ti prendo a sberle! ’
Sapeva quanto mi odiavo per averla lasciata lì e ora non rispondeva!
Posai il telefono sul tavolo ed andai ad aprire l’acqua per lavare i bicchieri, ma non usciva acqua.
<< Ma daii! >> continuai a girare la rotella, ma non usciva niente
<< Mi sembrava strano che stesse andando tutto per il verso giusto! >>
Era incredibile! L’avevamo usata fino a due minuti fa e ora non c’era più.
<< Ahh >> sobbalzai quando sentii i piedi bagnarsi
<< Oddio! >> mi allontanai il prima possibile. Usciva acqua da sotto il lavandino.
Corsi nello sgabuzzino per prendere degli stracci da usare per asciugare per terra.
<< E ora? >> aprii lo sportello sotto il lavandino e vidi diversi tubi, ma non sapevo quale fosse quello rotto
Io non avevo la più pallida idea di come si aggiustasse un lavandino rotto, se avessi chiamato Rachel scommetto che avremmo rotto tutto, chi potevo chiamare?
L’unica possibilità era Drew, ma sarebbe stato sicuramente occupato. Era sabato pomeriggio in fin dei conti.
‘Non penso preferisca che gli si allaghi la casa’
Sbuffai prendendo il telefono e cercando il suo numero, odiavo il fatto di non potermela vedere da sola e odiavo ancora di più il fatto di dover dipendere da qualcuno.
Dovetti aspettare solo un paio squilli
<< Pronto? >>
<< Drew, sono Jess. Scusa se ti disturbo è solo che ci sarebbe un problemino. >> dissi guardando il lago che era per terra
<< Tranquilla, che succede? >>
<< Penso si sia rotto un tubo. >>
<< Dieci minuti e arrivo. Non toccare niente. >>
<< Ok. >> riattaccai vedendo che l’acqua continuava ad aumentare.
Dopo dieci minuti sentii suonare alla porta
<< Puntuale come un orologio svizzero. >> dissi vedendo Drew fuori dalla porta e facendolo entrare
<< Non faccio mai aspettare una fanciulla in difficoltà. >>
<< Mi dispiace sul serio di averti fatto venire fin qui. Ma non sapevo veramente cosa fare. >>
<< Hai fatto bene, tranquilla. Cos’è successo? >>
<< Ho aperto il rubinetto, ma non usciva acqua. Poi mi sono accorta che invece usciva, ma dalla parte sbagliata. >> dissi facendolo entrare in cucina
<< Potevi dare una festa in piscina.. >> rimase fermo a guardare il lago, alzando un sopracciglio
<< Spiritoso. Io mi sono spaventata. >>
<< Nello sgabuzzino dovrebbe esserci una cassetta degli attrezzi, puoi prendermela? >>
<< Certo >>
Quando tornai lo trovai sdraiato per terra con la testa dentro lo sportello che avevo aperto prima
<< Ma li non c’era bagnato? >> chiesi portandogli la cassetta
<< C’è un lago, ma intanto lo devo aggiustare. >> rispose prendendo una chiave inglese
Lo lasciai armeggiare per un po’ poi mi abbassai per dare un’occhiata
<< Allora? >>
<< Si è svitato un tubo, niente di grave. Però vieni più vicino, così se capiterà qualche altra volta saprai cosa fare. >>
Mi avvicinai ai tubi e lo vidi stringere un bullone
<< Posso provarci? >> chiesi
<< Certo. >> mi fece prendere la chiave e provai ad allentare il bullone per poi stringerlo di nuovo
<< Secondo me, va stretto ancora. >> dissi ridandogli la chiave inglese
<< Aspetta >> ritornò con la testa sotto i tubi << No, va bene così. >>
<< Se lo dici tu. >>
<< Un gioco da ragazzi, visto? >> si rimise in piedi, per poi richiudere lo sportello
<< Hai tutta la schiena bagnata. >> lo informai
<< Non posso dire di aver caldo. >> scherzò
<< Ora vediamo se funziona. >> allungò la mano e aprì l’acqua. Solo che non uscì neanche questa volta come doveva uscire, ma schizzò completamente addosso a Drew.
Scoppia a ridere, mentre lui cercava di ripararsi con le mani, cosa che non servì a niente.
<< Potresti aiutarmi, eh. >>
<< Si, scusa. >> dissi asciugandomi le lacrime dovute alle  risate e avvicinarmi per aiutarlo, ma era troppo tardi. Si era tolto la maglietta e la stava usando per fermare l’acqua.
<< Ok, forse andava stretto di più. >> ammise
<< Puoi stringerlo tu? Io intanto chiudo l’acqua da qui >>
<< Certo. >> seguii le sue indicazioni, cercando di non guardarlo o sarei diventata rossa come un pomodoro.
<< Fatto. >> lo informai alzandomi
<< Ah >> sospirò << Ora ho tutta la maglia bagnata. >>
‘ Non fa niente. Non giudico mica. ’
<< Puoi stenderla se vuoi. Con il phon non risolveresti molto. >>
<< Se posso, la stendo volentieri. >>  disse sorridendo imbarazzato
<< Dammi, faccio io. Intanto vieni con me ho delle maglie che potrebbero andarti. >> gli feci segno di seguirmi
<< Non credo. Sai, ho minimo due taglie più di te. >> disse seguendomi comunque
<< E a me piacciono le maglie larghe. >> dissi entrando nella mia camera e aprendo l’armadio.
Cercai la maglia nera che un anno mi avevano regalato per il mio compleanno dei ragazzi in collegio. Poteva sembrare un atto dolce, ma non lo era affatto. Lo avevano fatto per prendermi in giro, quegli stronzi. Ma ora servivano a qualcosa.
<< Tieni. Io intanto vado a stenderti questa. >> alzai leggermente la mano con cui tenevo la sua maglia
<< Come mai hai una maglia che è il doppio di te? >>
<< Lunga storia. >> dissi uscendo dalla stanza
Dopo avergli steso la magliette andai in cucina, dove lo trovai appoggiato al lavandino.
<< Se vuoi puoi aspettare che si asciughi, altrimenti te la posso portare domani. >>
<< Se non ti dispiace aspetto. Vorrei chiarire una cosa. >>
<< Cosa? >> chiesi sedendomi al tavolo. La mia maglietta gli stava davvero bene. Era un po’ piccola, ma meglio…
<< Mi dispiace per ieri. Non avrei dovuto chiederti perché non avessi un altro posto dove andare. >> disse sedendosi difronte a me
Sospirai, c’era rimasto davvero male.
<< Drew, non è stata colpa tua. Era lecito che tu lo chiedessi, lo avrei fatto anch’io. >>
Si merita una spiegazione dopo che era venuto fin qui per aggiustarmi il lavandino
<< E’ solo che.. >> m’interruppe
<< No, non devi darmi delle spiegazioni. >>
<< Invece si, perciò fammi parlare. Non avevo altro posto in cui andare perché non ho nessuno a questo mondo. >>
<< Come no? E i tuoi genitori? >>
Sorrisi leggermente alle sue parole. Riuscivo a sembrare una ragazza normale, con una vita tutta rose e fiori allora.
<< Sono morti quando avevo due anni. Fino a un paio di giorni fa ho vissuto in un collegio, poi ho compiuto 18 anni e sono andata via. Ora eccomi qua. >> dissi semplicemente le cose essenziale. Ormai ne avevo parlato anche con Rachel perciò non era la prima volta e avevo imparato a controllare le mie emozioni, ma questo non voleva dire che non mi facesse male parlarne. Gli dovevo una spiegazione e questo era abbastanza.
Drew mi stava fissando, come pensavo ora gli facevo pietà.
<< Non te lo volevo dire per non farti pietà. Odio quando le persone lo fanno. >>
Lui sembrò non ascoltarmi, invece mi prese una mano.
<< Capisco perché non l’hai fatto,ma puoi stare tranquilla io non provo pena per te. Mi dispiace che i tuoi genitori non possano vedere quanto bella sia la loro bambina. >>
Sorrisi << Grazie >>
<< Allora, ti va di vedere un film e magari di mangiare una bella pizza? >> chiese poi sorridendo

 

 

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