Would you marry me? Will you?

di Always_Always
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ain't no rest for the wicked ***
Capitolo 2: *** I do... do I? ***



Capitolo 1
*** Ain't no rest for the wicked ***


 

Titolo: Would you marry me? Will you?
Nickname autore EFP: Always_Always
Nickname autore Forum: Always_Always
Personaggi/Coppia: Joker/Harley Quinn, Pamela Isly/Poison Ivy, Selina Kyle/Catwoman, Jack Ryder, Edward Nigma/Enigmista, Guy
 Kopski, Nuovo personaggio
Raiting: giallo
Betareading (sì/no): no
Introduzione:
Harleen Quinzel sta per sposarsi. Ha un ragazzo perfetto, un matrimonio perfetto e una vita splendente che la aspetta.
Cosa potrebbe andare storto?
«Non dici niente?»
«Auguri e figli maschi».
E questo sì, l'aveva immaginato. Ma quanto aveva sperato di sbagliarsi.
Note dell’Autore: la storia fa riferimento a fumetti, film e videogiochi dell'universo di Batman. Non avendo particolari preferenze, ho deliberatamente scelto di non descrivere le caratteristiche fisiche dei personaggi in modo da permettere a chiunque di immaginarli nella versione che più preferisce.
L'episodio della rosa è un riferimento al fumetto Mad Love e la parte finale della storia si ispira a un episodio della prima stagione della web serie TheJokerBlogs. Si citano anche Metropolis e Superman. Pamela Isley non è ancora diventata Poison Ivy. Guy Kopski è un personaggio dei fumetti, ma non avendo letto niente in merito ho soltanto preso in prestito il nome e niente di più. 


 

Prologo


 

In principio è il niente.
Un nulla gassoso e offuscante che le riempie gli occhi e la fa sentire vuota, come se le sue stesse viscere fossero schizzate fuori dalle orbite lasciandole nient’altro che la pelle moscia.
Morte. La sente tutt’attorno a sé. Una baccante dai capelli annodati che alza le braccia, muove i fianchi e balla. La sente canticchiare, ma non è una voce definita: è un coro dissonante, un concerto disarmonico di brividi e sudore freddo. Lei resta a guardare quel volto che non è umano e ci rivede una vecchia amica. O forse un amico… quel volto cambia talmente spesso: lineamenti sottili, occhi taglienti, sorriso sfacciato…
Le sta tendendo la mano, la Morte. Tra le dita, c’è un fucile.
"Coraggio cara: qui moriamo dalla voglia di sapere…"
Harleen è sempre stata un’amante delle sorprese, dell’inaspettato, dell’imprevisto che piomba all’improvviso. Ma adesso…
Adesso è cambiato tutto.



 

Would you marry me?
Will you?


Capitolo 1. Ain’t no rest for the wicked



 

«Scegli. Quando vuoi, come vuoi, con tutta la calma che puoi concederti.
Ma non pensare che potrai dilungarti nell’incertezza in eterno. Dovrai scegliere, prima o poi.
E quando lo farai, sarà per sempre».



 

Harleen Quinzel è una bambola di porcellana che tutti vogliono possedere.
Mani straniere s’insinuano tra i suoi capelli dorati, le toccano il viso rotondo e scivolano sui suoi fianchi morbidi, sulle spalle esili, sui suoi piedi minuti, perché è una bambola e tutti vogliono renderla perfetta.
"No, il trucco più fine! Tira su quell’abito, tu! Ma dove diavolo è il bouquet! Vi licenzio tutti se non fate come dico! E quel rossetto? Levatelo subito. Mia figlia non è certo una sgualdrina!"
Sgualdrina. Bambola.
La differenza è tutta una questione di prospettiva.
Harleen distoglie lo sguardo dal suo stesso riflesso - un riflesso nel quale non si riconosce - per lanciare una muta preghiera all’unica persona rimasta in disparte fino a questo momento: Pamela ha i capelli mossi e sciolti, come un fuoco che sibila in aria. Infilata in un vestito verde aderentissimo, trasuda sesso e ostenta con forza la sua femminilità - la sua identità - come Harleen non è mai stata in grado di fare.
Pamela è libera. Libera di essere chi vuole.
Harleen ha avuto una possibilità e non l’ha colta al volo. E nonostante si convinca che sia stata la scelta migliore, si chiede se riuscirà mai a conviverci.
"Ora basta," Pamela ha il tono calmo e la mano ferma, "la sposa ha bisogno d’aria."
L’odore della sera può sicuramente distrarla, ma non basta per cancellare il ricordo, soprattutto non dalla sua testa.
«Mi sposo…»
Gliel’aveva proprio detto, alla fine? Aveva sempre saputo di essere una che parla troppo, ma pensava che con il tempo fosse maturata abbastanza da avere un discreto controllo del suo corpo. E invece…
«Mi sposo».
L’aveva ammesso così, senza preavviso. Durante la solita seduta, nella solita cella, con i soliti appunti sterili che aveva continuato a prendere per mera abitudine - per facciata, per inganno, per autoconvincersi che le cose fossero le stesse di quando avevano cominciato.
Gliel’aveva detto, ignorando quello che sentiva dentro - così terrorizzata da quello che provava da imporre dei paletti invalicabili tra lei e tutto quello che avrebbe mai potuto definirsi un loro.
Il silenzio che era calato dopo lo ricorda più tagliente di uno dei suoi sorrisi migliori - lui non si era mosso, non aveva fatto una piega; era rimasto sdraiato a fissare il soffitto come se non l’avesse sentita.
Ma oh, eccome se l’aveva sentita.
«Non dici niente?» una preghiera, quella di Harleen - disgustosamente incoerente, a quel punto.
«Auguri e figli maschi».
E quello , l’aveva immaginato. Ma quanto aveva sperato di sbagliarsi.
"D’accordo, signori," sua madre ha la fermezza di un generale, "dieci minuti di pausa per tutti."
Harleen avverte il peso del suo velo gravarle sulla testa fino a schiacciarla.



 

∞∞∞


 

C’è qualcosa di stonato in tutta questa faccenda.
Osservazione doverosa: stonato è spassoso, stonato è splendido. Ma non questa volta, perché non è caotico, o divertente, o elettrizzante; è soltanto scomodo e lui ha sempre detestato le scomodità.
"Sai che giorno è questo, mostro? Certo che lo sai. Scommetto che ci hai pensato tutta notte. La dottoressa sarà bellissima in quell’abito bianco ed è un peccato che tu non possa assistere."
Stupido Julio, insaccato in quella divisa da soldatino. Stupido, idiota, troglodita, inetto, incapace, inutile, insulso…
"Forse riuscirò a rimediarti una fotografia, se farai il bravo."
Stupido, idiota, troglodita, inetto, incapace, inutile, insulso…
"Che c’è?" le dita di Julio Gonzales sono salsicciotti rosa che si attorcigliano alle sbarre, "non ridi più adesso?"
Uno scatto improvviso, urla strazianti, rumori di carne che si squarcia; ed ecco che il salsicciotto indice di Julio va a decorare il sorriso insanguinato del Joker.
"La tua ironia di basso livello mi annoia a morte, Gonzales. Ti direi di puntare sull’aspetto, ma anche quello lascia a desiderare…"
Julio continua a urlare - unico tratto interessante della sua personalità. Il Joker sa che presto arriveranno i rinforzi e che lo pesteranno per vendicare quella poltiglia di lardo putrescente che si contorce sul pavimento. Non gli interessa. Non gli è mai interessato, ma oggi soprattutto: oggi non è incline alla quiete. Oggi prova una rabbia incandescente che brucia la sua lucidità in un fuoco rosso e nero. C’è soltanto una cosa che pretende, ora, e continuerà a mordere dita e a spaccare ossa fino a quando non gli permetteranno di ottenerla.
«Non dici niente?» una preghiera, quella di Harley - disgustosamente innocente, nonostante tutto.
"Piccola ingenua sposina," mormora il Joker calpestando l’indice strappato di Julio, "non si comincia un matrimonio senza la benedizione di papà."



 

∞∞∞


 

La navata centrale della chiesa è avvolta in un fascio di luce opalina e crea un’atmosfera surreale che fa sentire Harleen improvvisamente meglio. Pamela è andata a parcheggiare la macchina che hanno usato per arrivare fin qui, anche se non era particolarmente entusiasta della volontà di Harleen di fermarsi in chiesa prima dell’arrivo degli invitati. Una sposa si fa aspettare, ha detto, ma Harleen ha sempre trovato snervante quel ritardo dato dalla tradizione. E poi non aveva altra scelta: ha bisogno di esserci, prima di qualsiasi altra persona. Ha bisogno di percepire l’eco della navata deserta e respirare la sacralità di questo luogo immobile, per capire cosa l’aspetta. Al contrario di molte altre donne che ha avuto modo di incontrare durante la sua vita, non aveva mai fantasticato sul giorno del proprio matrimonio; niente vestiti da principessa, niente limousine bianca, niente ricevimento in grande stile degno di Maria Antonietta. Non si era mai fermata a pensare seriamente cosa volesse dire legarsi a qualcuno per sempre, ma ora, mentre sfila accanto alle cassepanche decorate di drappi bianchi e guarda l’altare ricoperto di fiori, si rende conto di cosa significhi.
La signora Kopski. Harleen Kopski.
È come se fosse in dirittura d’arrivo: davanti a lei ci sono candele, e fedi d’argento, e una vita per due che profuma di felicità - manca pochissimo al momento in cui afferrerà tutta quella bellezza e la reclamerà come sua.
Fino a quando non diremo: "Lo voglio".
"Allora," Pamela sbuca fuori dal portone laterale con la pochette sotto braccio, "vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?"
Harleen riapre gli occhi e si accorge di averli tenuti chiusi fino a questo momento. "Credevo che nel giorno del proprio matrimonio non ci fossero notizie cattive.
"Vada per quella buona, allora."
Pamela sfiora un mazzo di camelie con una delicatezza materna; è stata lei ad occuparsi dei fiori. Harleen non ha dubitato nemmeno un istante delle sue prodigiose capacità quando le ha affidato l’incarico e non è rimasta delusa: garofani, calle, ortensie… ha provato a insistere sulle rose, ma Harleen le ha categoricamente bocciate. Niente rose, nessuno minimo particolare che possa farle pensare a qualcosa che non sia questo giorno, l’abito bianco e gli occhi di Guy.
Però…
«E questa come è arrivata nel mio ufficio?»
I ricordi si insinuano dappertutto.
«Ce l’ho messa io, non ti piace?»
Harleen ricorda di aver pensato alla semplicità spiazzante di quella confessione. Mr J avrebbe potuto lasciare qualsiasi cosa sulla sua scrivania: un cadavere, una bomba, un arto a sua scelta di un’ipotetica vittima - omaggi molto più nel suo stile, a pensarci bene - e invece le aveva lasciato una rosa bellissima, con tanto di bigliettino e dedica, come se fossero stati al liceo.
«Quindi dovrei credere che tu sia uscito dalla tua cella, abbia infilato la rosa nel mio ufficio evitando le guardie e poi sia rientrato nella cella prima che qualcuno potesse accorgersene?»
«Mi lusinghi, tortina. Bastava dire 'grazie'».
«Io sono il tuo psichiatra, non un giocattolo. Non mi lascerò manipolare da te».
«Oh, non oserei mai. Tu sei troppo sveglia per certi stupidi giochetti mentali. Per questo mi piaci».
Forse era stato quello, lo scivolone fatale. Quella prima, unica volta in cui Harleen si era convinta di averla spuntata, di averlo controllato e di poterlo fare in futuro. Ora è quasi certa che fosse tutto un suo maledetto scherzo, che lui avesse capito fin dall’inizio e che fin dall’inizio avesse cominciato a tessere le fila del loro destino.
"Harl," Pamela le tocca una spalla con una mano; con l’altra, ha il telefono rivolto contro il petto, "è l’Asylum. È tutto il pomeriggio che vogliono parlare con te. Dicono che sia urgente."
Harleen tira su con il naso e le rivolge un sorriso. "Non sono reperibile. E se dovessero chiamare ancora, ignorali. Ti ho dato il mio cellulare per una ragione."
"Evitare le chiamate scomode," recita Pam, riattaccando la telefonata.
"Evitare le chiamate scomode, esatto." Harleen si sistema la gonna dell’abito, poi, accortasi di essere nel centro esatto della navata, comincia a ruotare su se stessa, con gli occhi chiusi e le braccia spalancate. Il vento gonfia la gonna e il velo dandole la sensazione di volare.
Sono felice, sono felice. Sarò felice.
"Allora, questa notizia buona?" domanda, ancora roteando.
Ma Pamela continua a guardarla senza parlare, la osserva con gli occhi smeraldo grandi e profondi, con le labbra aranciate lievemente all'insù e una tenerezza nello sguardo che le ammorbidisce il volto.
"Sai cosa? Lascia perdere. Non era poi così importante."
Poi si alza e afferra le mani di Harleen, imitando i suoi gesti e ruotando su se stessa. Così entrambe si ritrovano a girare e a ridere come se fossero tornate indietro nel tempo, come se fossero ancora delle bambine.



 

∞∞∞


 

L’Arkham Asylum è un posto nato da solo e che da solo vivrà in eterno.
Larry Myers ha raggiunto questa consapevolezza la seconda volta che ci ha messo piede. Il primo giorno, fresco di assunzione, con il comitato di benvenuto, la stretta di mano del direttore e il fascino della nuova divisa, l’aveva scambiato per un lavoro come un altro: sottopagato e noioso.
Aveva rassicurato Katy - che aveva tentato invano di dissuaderlo dall’accettare l’offerta perché "Lì c’è la gente matta, tesoro, finisce che impazzisci anche tu!" - e si era crogiolato nell’illusione di una monotonia senza problemi.
Quando il secondo giorno, nell’ultimo disperato tentativo di far zittire tutte quelle voci, Emily Bennet aveva sbattuto la testa contro il muro fino a farsi schizzare le cervella, Larry Myers aveva capito che quel posto, se non fosse stato attento, l’avrebbe condotto dritto dritto nell’oblio.
Nessuno aiutava l’Arkham Asylum. Nessuno indagava sull’Arkham Asylum. La gente se ne stava alla larga perché lì c’erano i matti e a nessuno importa cosa succedeva loro.
Larry ha avuto un periodo della vita in cui ha provato pena per le persone come Emily; poi anche quel sentimento è sfumato nella più totale disillusione e a lui non è rimasto altro che una vita costantemente sull’orlo del pericolo, un lavoro sottopagato e un divorzio.
"La dottoressa, voglio la mia dottoressa! Dov’è la mia dottoressa? Avevi detto che sarebbe tornata! Sai che odio i bugiardi, Larry."
Occhi taglienti. Lingua lunga. Schiena ricurva come una belva inferocita. Il Joker è l’unico di quei matti che nonostante i quarant’anni di servizio riesce ancora a fargli venire la pelle d’oca. Ostenta calma e ironia, ma Larry sa quanto sia rabbioso e imprevedibile. Detesta quel sorriso.
"Allora, con quel telefono!?" sbraita a gran voce.
Dall’altra parte del corridoio, con un velo di sudore che gli ricopre la fronte e gli bagna la divisa all’altezza delle ascelle, c’è Jamie Collins che regge tra le mani tremanti un cellulare. Puzza di latte, di impacciato e di inappartenenza. Larry gli dà una settimana al massimo.
"Ha… ha riattaccato!"
"Prova ancora!"
Balbettii. "Non r-risponde!"
Merda.
Larry si passa una mano sulla fronte e pensa in fretta: potrebbe agire con violenza, ma se non è autorizzato le cose potrebbero mettersi male per lui. L’unica opzione possibile, quindi, è chiedere il permesso al pezzo grosso in persona: per questo motivo afferra il cellulare e compone il numero del direttore Arkham. Dovrebbe già essere tornato a casa, a quest’ora.
"Chi parla?"
"Mi dispiace disturbarla direttore, ma qui abbiamo un problema."
"Di chi si tratta?"
"Del—" Larry viene interrotto da una cantilena infantile.
"Larry Larry Larry… facciamo gli spioni, adesso?"
"… si tratta del Joker, signore."
Jeremiah Arkham sta in silenzio un istante e poi sospira. "Chi, questa volta?"
"Gonzales. Gli ha strappato un dito a morsi."
Il Joker ride di nuovo. "Batti il cinque, Julio! Oh beh… il quattro!"
"Non riusciamo a calmarlo, signore, e innervosisce gli altri pazienti. Due di loro hanno già avuto una crisi psicotica e Vincent Foster ha tentato di strangolarsi con le lenzuola per qualcosa che lui gli ha detto. Continua a ripetere che uscirà e farà una strage se non gli diamo subito quello che vuole."
"E cosa vuole?"
"Harleen Quinzel." Larry deglutisce. "Signore… non l’ho mai visto così… instabile."
Silenzio. Soltanto la risata isterica del Joker che s’insinua nel cervello e lo gonfia fino a scoppiare.
"Posso procedere con i tranquillanti se lei mi—"
"No." Arkham è irremovibile. Ogni volta che si tratta di sedare la bestia, Arkham dice 'no'. Nonostante la grande responsabilità data dalla sua posizione, Larry è convinto che il direttore abbia un insano interesse verso quel mostro, tanto da chiudere un occhio sulla sicurezza generale; come se lo volesse sempre vigile per poterlo studiare e magari - chissà - riuscire a trovare una cura per la sua psiche irrimediabilmente compromessa - se davvero ne esiste una.
La verità è che anche i medici, in questo dannato manicomio, sono matti da legare.
"Signore," tenta di nuovo Larry, "la dottoressa non è raggiungibile. È il suo matrimonio, non credo che avrà tempo per una visita di cortesia."
Ora assecondiamo le richieste degli psicopatici. Come ci siamo ridotti.
"Non servirà la dottoressa Quinzel," risponde Arkham, perentorio. "Scortatelo in isolamento. Sto arrivando."
E prima che Larry abbia il tempo di ribattere che è una pessima idea o di constatare che il direttore gli abbia piantato il telefono in faccia, si ritrova di fronte il ghigno iracondo del Joker al di là delle sbarre e sente i brividi scorrergli lungo tutta la colonna vertebrale.
"Larry… perché non vuoi farmi contento? Lo sai che sono intrattabile quando mi sento offeso."
Jamie Collins gli si avvicina lentamente, attentamente, con gli occhi di un coniglio che guarda in faccia una volpe. "Che cosa ha detto Arkham?"
Il Joker ride - costante snervante. Ha i muscoli contratti e gli occhi infiammati; i denti ingialliti sembrano più aguzzi, come quelli di una iena. È arrabbiato - no, è iracondo. Larry lo può dire: conosce abbastanza il linguaggio del suo corpo da interpretare i segnali più lampanti.
Non mi è mai capitato di vederti in questo stato. Sempre così imperscrutabile, sempre così illeggibile. Ecco perché Arkham ti vuole sveglio: per studiarti ora che non hai il controllo. Questi vostri giochetti di potere mi faranno rimettere la pelle.
"Che cosa ha detto il direttore?" ripete Jamie debolmente senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Ti fa paura, figliolo? Guardalo bene: quello è il volto del diavolo.
"Isolamento," ribatte Larry, "poi si vedrà."
Scortarlo in isolamento quando è in questo stato è come firmare una condanna a morte, ma non può certo mettersi a discutere gli ordini del direttore. Ha le mani legate. E che Dio li aiuti.
"Va bene!" ringhia il Joker, "facciamo una passeggiatina. Vediamo quale piccolo indiano resterà fino alla fine."
Larry è attraversato dal tristissimo pensiero che se qualcosa dovesse andare male per lui, oggi, a nessuno importerebbe.



 

∞∞∞


 

«Parliamo di amicizie, Mr J. Hai mai avuto qualcuno che consideri tuo amico?»
«C’è stato un tale, una volta. Grandissimi amici. Gli ho regalato uno di quei sorrisi che non vanno più via».
«Non parliamo dei tuoi omicidi, ma delle tue relazioni».
«Come quella che c’è tra me e te?»
Harleen Quinzel si lascia andare a un lungo e lento sospiro. Ritagliarsi un angolino di beata solitudine non è stato facile, ma con Pamela Isley che legge le sue intenzioni soltanto con un’occhiata, la situazione si è risolta per il meglio.
"Vado a controllare il Generale," ha detto, ed è sparita dalla sua vista. Harley sa che tra lei e sua madre non scorre buon sangue e che forse avrebbe dovuto impedire una possibile guerra planetaria; ma questo è il suo giorno e lei ha così bisogno di un istante di totale silenzio che alla fine l’ha lasciata andare.
Chissà come farò senza di te, sempre pronta a guardarmi le spalle.
Harleen esce dal retro della chiesa e cammina in mezzo al cortile fino alla fontana circolare che spruzza acqua con un’innata leggerezza. I fari subacquei, che ne illuminano il fondo, creano uno strano gioco di luci che si spande su tutta la struttura. Harleen si siede sul bordo di marmo stando attenta a non bagnare il vestito e carezza con la mano la superficie dell’acqua; riflessi in quello specchio rivede lei e Mr J, seduti uno di fronte all’altro - sempre così vicini.
«La nostra relazione è strettamente professionale, Mr J».
«Oh, smettila di fare la timida. Non c’è niente di male, sono un bel ragazzo».
Era uno dei suoi giorni no. Uno dei suoi tanti giorno no, in cui era particolarmente portato all’irritazione e alla scarsa collaborazione - ma lei piano piano aveva imparato a rigirare la frittata.
«Parliamo di Batman, allora,» gli aveva detto.
E, come ogni volta, l’attenzione di Mr J si era riaccesa come fuoco vivo. Batman era un punto fisso, un’ossessione morbosa e incessante che lo divorava dentro. Un ratto - volante - che rosicava le sue interiora fino ad arrivare al cervello e fomentare, ingrossarsi, farsi morbo e incubo.
Batman era. Harleen non aveva mai capito cosa, esattamente. C’erano infinite teorie, certo, alcune più verosimili di altre, ma ad ogni nuova seduta scopriva un dettaglio che ribaltava tutto.
Era probabile che Mr J imbastisse intenzionalmente la storia con aneddoti poco ortodossi per il solo gusto di confonderla, ma la sensazione di Harleen era che nemmeno lui sapesse fino in fondo cosa fosse Batman in realtà; semplicemente, ogni volta cambiava prospettiva.
«Batman, Batman! È un incoerente, ecco cosa. Un vile traditore. Un codardo abbindolatore. Batman. Un impostore. Un virus da espellere. L’ipocrita della coppia, Ha!»
Harleen ricorda di aver pensato che quello sguardo intenso, quasi devoto, era quanto di più affettuoso gli avesse mai visto. E ricorda di aver provato qualcosa, in quello stesso istante, qualcosa di pungente e fastidioso e poco professionale lì all’altezza del petto. L’aveva ignorato - ci aveva provato.
«Batman è un eroe, Mr J. Salva Gotham ogni notte».
«Stupida Harley,» - Stupida Harley. Era sempre la Stupida Harley quando non afferrava qualcosa che per lui era lampante. «Batman rovina Gotham ogni notte. Cosa crede, che le persone un giorno si sveglieranno e diventeranno angioletti beneducati? Gotham è marcia, Harley, è falsa e dannata ed è perfetta così. Lui si ostina a volerla cambiare, ma non la puoi cambiare. E io glielo farò capire».
«Come? Cercando di ucciderlo?»
«Portandolo a quel tanto che basta per fargli vedere la verità, Harley cara. È intelligente, sai? E divertente, anche. Un degno compagno di giochi».
Ed ecco che l’aveva sentita di nuovo: gelosia.
«Parli di lui come se parlassi di te stesso».
Solo allora Mr J aveva taciuto. L’aveva osservata con il silenzio di chi ha la mente altrove - ma Mr J aveva sempre la mente altrove - e poi era scoppiato in una delle risate più genuine che gli avesse mai sentito.
«Sai, Harley? Credo che Batman sia mio amico».
E, inspiegabilmente, Harleen era scoppiata a ridere insieme a lui.
"Che c’è di tanto divertente?"
I ricordi svaniscono sotto i suoi occhi e quando si volta vede Selina - abito nero in pizzo, trucco pesante che risalta gli occhi di fluorite, unghie e labbra laccate di rosso.
"Niente," risponde Harleen, annullando il sorriso, "pensavo a quello che succederà dopo oggi."
Selina la guarda torva e le sembra quasi di sentire la voce ammonitrice di Mr J dentro la testa.
Stupida Harley, si vede subito quando menti. Quel piccolo viso d’angelo è come un libro aperto!
"Vuoi sapere quello che succederà dopo?" riprende Selina sedendosi accanto a lei. "La tua vita diventerà un’immensa noia. Sarai così insensibile che cercherai emozioni forti ovunque: sport estremi, corsi intensivi di psichiatria criminale, lezioni di yoga. Ma niente funzionerà. Diventerai sempre più irritabile e nervosa e ti sfogherai su Guy, tanto che la vostra convivenza diventerà tremenda. Allora cercherai conforto in tresche clandestine che finiranno per distruggere il tuo matrimonio e dopo mille peripezie degli avvocati per ottenere il divorzio tornerai qui a Gotham per ritrovarti al punto di partenza."
"Cazzo, Selina. Non ti sembra di esagerare un po’?"
"Forse sul corso di yoga."
"Dovresti essere contenta per me."
"Sai che non lo sono."
Selina non ha mai avuto un briciolo di tatto, fin da quando Harleen ne ha memoria. Ha sempre pensato che grazie a questa sua caratteristica fosse un’amica fidata, ma ora non è del tutto convinta: non serve essere spietati, per essere sinceri.
"Parli come se non esistesse vita fuori da Gotham."
"Non per noi. Non per chi scappa."
"Si chiama 'trasloco', Selina."
"Non si trasloca da Gotham. Ci si prende una vacanza, al massimo, ma poi si torna sempre."
La solita solfa complottista. Selina è così attaccata a Gotham da credere che chiunque nasca in questa città sia marchiato a fuoco e destinato a restarci per sempre. Forse ha ragione, forse Gotham sceglie i suoi abitanti e li sceglie bene: matti, corrotti, speciali. Forse Gotham è la città del peccato e forse Mr J ha ragione quando dice che è perfetta così, ma Harleen è convinta di poter fare a meno di tutto questo buio.
"Guy ha accettato l’offerta di lavoro e—"
"E tu lasci il tuo - che per inciso, adori - per fare un favore al tuo uomo. Ah, se le femministe potessero parlare."
Harleen alza il sopracciglio e il velo le svolazza davanti agli occhi quando scuote la testa. "Posso fare la psichiatra anche a Metropolis."
"Il tuo caso più interessante sarà una madre di famiglia con problemi di sonno. Che colpaccio per la tua carriera."
"Guarda che le persone impazziscono anche lì."
"Ne dubito, visto che un alieno svolazza sopra le loro teste e nessuno dice niente."
Harleen vorrebbe ribattere che anche a Gotham c’è uno psicopatico in calzamaglia che vaga per le strade senza che nessuno dia di matto, ma le parole di Mr J rimbombano ancora una volta nella sua mente.
«È colpa sua, di Batman. Lui ha cominciato i giochi. Si è nominato re salvatore e gli serviva qualcuno che gli dimostrasse di avere torto».
Questa storia del Joker nella sua testa è andata fin troppo oltre.
"Voglio avere una vita normale, Selina," dice infine, con il cuore in mano. "Una famiglia, una casa, un cane, un lavoro che non mi risucchi tutta intera. Voglio i pranzi in giardino la domenica pomeriggio, i giocattoli dei miei figli sparsi per le stanze. Voglio svegliarmi la mattina e non avere paura di niente al mondo e so che Gotham non me lo permetterebbe, perché qui le cose non sono mai semplici. È così sbagliato desiderare altro oltre a questa città?"
E Selina non risponde, la osserva e addolcisce lo sguardo perché è quello che vorrebbe anche lei, che vorrebbe anche Pamela, che vorrebbero tutti, ma soltanto Harleen ha avuto la forza di ribellarsi, di guardare i suoi sogni e afferrarli. Chissà che lei non riesca davvero a voltare le spalle a Gotham. È sempre stata la più determinata, Harleen.
Selina si allunga verso di lei e le concede un abbraccio impacciato. "Gotham non sarà più la stessa, senza di te."
Ad Harleen viene quasi da piangere.



 

∞∞∞


 

Punto primo: scegliere la data, le location, il catering.
"Abbiamo un appuntamento, Larry, devi darti una mossa."
Punto secondo: trovare il vestito, gli anelli, le bomboniere.
Com’è difficile la vita di un Wedding Planner.
"LAR-RY! Spingi su quell’acceleratore, altrimenti il mio coltello potrebbe scivolare sulla tua gola e mi si sporcherebbe il vestito. Vuoi che mi si sporchi il vestito?"
Larry scuote la testa e mantiene le mani ben salde al volante - non che possa fare altrimenti, con quelle manette attorno ai polsi. È diventato improvvisamente muto da quando sono evasi dall’Arkham Asylum. Povero vecchio, non ha più il carisma di una volta ed è un vero peccato: aveva un grande potenziale.
"Larry, guarda che è Jamie quello senza parole, non tu."
Finalmente, una reazione: la guardia socchiude gli occhi un istante, li rotea verso il sedile del passeggero e poi mugugna qualcosa. Un insulto, probabilmente.
"Ti stai chiedendo perché sia toccato a lui invece che a te?"
Non sta piangendo, non ancora. Se dovesse cedere, il Joker si indispettirebbe parecchio.
"Oh, Larry, ma perché tu sei speciale!" il Joker si allunga verso il corpo di Jamie ed estrae il coltello dalla sua bocca slabbrata. Per un istante, quegli occhi sbarrati hanno uno spasmo. "E poi non potevo fare questa cosa da solo. Sai, c’è un momento nella vita di ogni uomo in cui bisogna compiere un viaggio per uscirne illuminati. Ma lo si deve fare con una persona fidata, il che escludeva il novellino. Con te invece c’è una certa intimità."
"Va’ al diavolo!"
"Ecco, adesso ti riconosco."
Punto terzo: selezionare gli ospiti, spedire gli inviti, ingaggiare gli animatori.
L’animatore numero uno è lui. Due barzellette ben piazzate e tutti cadranno a terra dalle risate. Ha!
"Che poi, se ci pensi bene, è tutta colpa del sistema."
Larry in risposta sputa contro il vetro e la saliva si spiaccica sul parabrezza per poi colare giù. E-si-la-ran-te. Il Joker sapeva che portare pazienza avrebbe dato i suoi frutti: sa essere lungimirante, quando si tratta delle persone.
"Seguimi un momento: se il sistema non ritenesse sbagliato quello che sono, non sarei costantemente braccato. Se non fossi costantemente braccato, non sarei finito in manicomio. E se non fossi finito in manicomio, ora tu non saresti qui con me, Jamie-mano-fredda e un coltello pronto a sgozzarti come un maiale. Hai proprio ragione ad essere arrabbiato: io sarei furioso."
"Tu non sei un criminale qualunque che ce l’ha a morte con la società. Tu sei un pazzo sociopatico che si diverte a fare massacri."
"Visto che c’è intimità tra noi?" il Joker ridacchia e gli picchietta la spalla. "Hai ragione. Sarebbe una caduta di stile avere delle motivazioni tanto banali."
"Che cosa vuoi da me? Perché non sei scappato? Perché non mi hai ucciso?"
Il Joker, dal sedile posteriore, si sporge verso lo specchietto retrovisore e si sistema il papillon nero. "Te l’ho detto: mi serve qualcuno che mi accompagni. Non s’è mai visto che uno sposo guidi da solo per arrivare al proprio matrimonio."
Larry assume una faccia da pesce lesso che gli fa venire voglia di ridere di nuovo. "Andiamo, Larry, non dirmi che sei davvero così stupido come sembri."
"Tu vuoi uccidere la dottoressa."
Ucciderla, mmh. Forse.
"Perché mai dovrei farlo?"
"Perché sei pazzo."
"Troppo scontato. Ritenta e sarai più fortunato."
"Perché…" Larry sospende la frase, poi stringe la presa sul volante, "… perché se n’è andata."
Con uno slancio, il Joker punta la lama sulla sua gola e comincia a premere, senza il minimo accenno di sorriso. "Attendo alla lingua, Larry: sei utile ma non indispensabile."
La guardia si ammutolisce e l’auto sfreccia sull’asfalto nel completo silenzio, costeggiando appartamenti, parchi e uffici. La sera va scurendosi sempre più e la luna, dietro i grattacieli, comincia a brillare di bianco panna.
Punto quarto: presentarsi all’altare, scambiarsi le promesse, fare festa con un grande, unico BOOM.
Harley Quinn non è una puttanella sprovveduta, merita qualcosa in grande stile.
"Tra me e la dottoressa Quinzel c’è un gioco in sospeso," riprende il Joker, infine. "Non si abbandonano mai, i giochi, soprattutto quando sono interessanti."
"Quindi è questo il motivo? Lei è interessante?"
"Accidenti, no: è stupida, appiccicosa, snervante e con un senso dell’umorismo che fa venire voglia di uccidersi."
"E allora perché stiamo andando al suo matrimonio?"
Il Joker non controbatte subito. Arriccia le sopracciglia, si passa il coltello tra le dita quattro o cinque volte e poi schiocca la lingua. Molla un pizzicotto sulla guancia di Larry facendolo quasi andare fuori strada.
"Per dimostrare una teoria," risponde. "E ora sta’ zitto: la tua voce è troppo fastidiosa."
E per sottolineare che la conversazione è finita si allunga sulla radio e schiaccia il pulsante di accensione.
Ain’t no rest for the wicked esplode con prepotenza proprio sul ritornello.







 

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Capitolo 2
*** I do... do I? ***


Would you marry me?
Will you?

Capitolo 2. I do… do I?


 

«A volte quello che vediamo e quello che sentiamo sono così distanti tra loro
che viene da crede sul serio all’esistenza di universi paralleli.»

 

La chiesa è splendida. Questa è la prima constatazione logica che gli viene in mente.
La seconda è che sia piena di gente e che anche la gente sia splendida, ficcata dentro vestiti eleganti. Tutti sorridono e sono davvero felici per i due sposi - ne è contento, nonostante tutto, perché Guy se lo merita e anche Harleen sotto sotto è una brava ragazza.
"Allora, è tutto pronto?" questa è la madre della sposa; lo sta guardando con un viso scurissimo e se non l’avesse vista pochi minuti prima asciugarsi gli occhi di nascosto avrebbe giurato che fosse di ghiaccio - e invece anche lei è emozionata come gli altri, forse più degli altri.
"Certo," risponde Jack Ryder e per rassicurarla le mostra la videocamera, pronto ad un intervento tempestivo nel momento in cui la cerimonia comincerà davvero. "Riprenderò ogni singolo momento. Renderò questa serata memorabile."
Ci proverà, per lo meno. Ha dimestichezza con camere e riprese, ma non ha mai avuto l’occasione di testare le sue abilità sul campo; questo è un favore che ha concesso a Guy e soltanto perché era disperato quando gliel’ha chiesto. Lui non è adatto per stare dietro le quinte, lui ha bisogno di un rapporto frontale con la camera, con il pubblico, con il mondo. Lui è perfetto per impressionare gli altri con la sua parlantina e con i suoi articoli, ma Guy è Guy e per gli amici i sacrifici sono contemplati.
"D’accordo, signor Ryder," risponde la donna - una bella donna, con i capelli grigi raccolti in una crocchia. Ha gli stessi occhi celesti di Harleen. "Fra poco dovremmo cominciare."
"Sarà una bellissima serata," risponde lui.
"Ne sono sicura."
La signora Quinzel gli fa un cenno del capo e poi si allontana verso altri ospiti. Jack Ryder, videocamera in spalla e papillon leggermente floscio, si ferma ad ammirare ancora un istante lo splendore della chiesa, poi gira i tacchi e si avvicina allo sposo. Guy sta parlando con il prete, un uomo di colore molto alto e dalla barba folta.
"Ma sta bene?" sta chiedendo Guy.
Il prete gli regala un bellissimo sorriso. "Quando entrerà da quella porta, ti sorprenderai di quanto possa essere bella la felicità."
Non hai risposto alla sua domanda, pensa Jack, ma il prete scompare in sagrestia prima che Guy possa aggiungere altro ed entrambi si ritrovano in silenzio, l’uno accanto all’altra. Jack odia queste situazioni. È palese la necessità di Guy di ricevere conforto, ma lui non è tagliato per questo genere di cose. Lui è fatto per gridare la verità, non per renderla più dolce.
"Dai, sai com’è fatta Harleen," tenta, "probabilmente vuole solo farsi aspettare. Sa essere insolente, quando vuole."
Guy gli rivolge un sorriso sghembo e Jack nota una luce nei suoi occhi, una luce che si accende soltanto quando c’è di mezzo Harleen. "Leeny è una macchina da guerra."
Orgoglioso e innamorato. Vai a capire come hai fatto a invischiarti in questo casino.
"E tu?" riprende Jack. "Come ti senti?"
"Pronto."
"Sicuro?"
"Vuoi farmi cambiare idea?"
"Ci riuscirei se ci provassi?"
"No di certo."
"Allora sì, sei pronto."
Guy lo spinge amichevolmente e poi ride di nuovo, una risata infantile e leggera che contagia anche Jack. Non pensava che sarebbe finita così, che Guy sarebbe stato il primo a trovare una donna da amare e a cominciare una vita insieme a lei. Guy è sempre stato il più immaturo, tra i due. Quello con i complessi adolescenziali che parlava a stento, che stava dietro, che faceva da spalla e acconsentiva a tutto.
E invece…
«È la persona più straordinaria che abbia mai conosciuto, Jack. Sarei un idiota a lasciarmela scappare».
… Harleen l’ha cambiato davvero tanto. Si è insinuata tra i suoi difetti più convulsi - come la lentezza eccessiva nel prendere decisioni, o l’insicurezza che lo attanaglia senza mai lasciarlo andare - e li ha limati piano piano, un piccolo pezzetto alla volta, fino a plasmare un uomo.
D’altra parte, Harleen Quinzel è una psichiatra davvero formidabile. Jack si chiede solo se la pulizia psicotica che opera sugli altri sia capace anche di imporla a se stessa. C’è un detto che dice che soltanto chi ha qualcosa che non va studia psichiatria e che Harleen sia una personalità alquanto particolare è pura evidenza. Basta guardare il segno che ha Guy sul collo…
"Hai visto mio fratello?" domanda lo sposo, improvvisamente corrucciato.
"Non è ancora arrivato?"
Il fratello di Guy è il testimone. Se non dovesse presentarsi alla cerimonia, qualcuno potrebbe accorgersene.
Guy abbassa gli occhi e afferra il cellulare dalla tasca dello smoking. "Provo a chiamarlo, scusami."
Così, di nuovo, Jack Ryder si ritrova solo. Lancia un’occhiata all’orologio da polso per constatare che manchi un quarto alle sette e che sono in ritardo sulla tabella di marcia di quasi mezz’ora. L’ipotesi remota che la sposa abbia cambiato idea lo sfiora e niente più, perché nonostante l’insolenza a tratti insopportabile di Harleen, se davvero lei avesse deciso di dare forfait lo saprebbero tutti, a quest’ora. Non nasconde che gli piacerebbe davvero scoprire cosa stia succedendo - la solita deformazione professionale: il giornalismo gli scorre al posto del sangue - ma è stato deciso che per stasera Jack Ryder farà il cameraman e niente di più. Allora si sofferma sulla figura di Guy, ricurvo sul cellulare e intento a picchiettare il piede sinistro contro il pavimento.
L’occhio di Jack cade sul collo di Guy, dove, sul lato sinistro, una piccola cicatrice sbiadita gli riporta alla mente un fatto alquanto insolito.
Harleen. Guy. Un litigio. Una colluttazione.
La concatenazione di eventi è così assurda da lasciare ancora moltissimi enigmi in sospeso.
Premessa: Harleen Quinzel e Guy Kopski, durante una delle loro poche liti, scoppiano in quella che si potrebbe definire una Guerra Civile.
Aggravante: in un momento imprecisato dello scontro verbale, Harleen Quinzel precipita in uno stato isterico e porta lo scontro al livello fisico, lanciando contro il compagno piatti e stoviglie di varia natura.
Fatto: Guy, più grande e robusto di Harleen, si getta verso di lei per impedirle di distruggere tutte le suppellettili di casa e Harleen, presa dalla furia, lo colpisce con un coccio di piatto rotto.
Ambulanza; punti di sutura.
Conseguenza: la cicatrice sbiadita sul lato sinistro del collo di lui.
A detta di Guy, Harleen si è disperata per giorni dopo l’accaduto e ancora adesso ogni tanto si sente in colpa. Jack non ha dubbi in proposito, ma non può negare quello che Guy rifiuta per colpa dei sentimenti: Harleen sa essere pericolosa. E non è difficile avvalorare questa tesi: Guy è grosso il doppio di Harleen, eppure lei è riuscita a ferirlo.
È anche vero che uno scontro del genere non si è più ripetuto, ma a Jack è rimasto il sentore di inquietudine che a volte si fa più persistente, soprattutto quando Harleen lo guarda con quegli occhi di ghiaccio - gli occhi della madre - e il suo sguardo assume una connotazione crudele. Probabilmente è una conseguenza data dall’antipatia palese che Harleen mostra nei suoi confronti, ma Jack Ryder è un giornalista e i giornalisti sono sempre portati ad andare oltre la semplice apparenza.
E quella cicatrice mi fa sempre un certo effetto.
"È al parcheggio," Guy torna verso di lui con l’aria sollevata, "sta arrivando."
Jack Ryder stringe la sua videocamera e spera che la cerimonia cominci presto: ha proprio voglia di un drink.


 

∞∞∞


 

"Allora, quanto è agitata?"
"Come faccio a saperlo?"
"Pensi che scapperà via?"
"Come faccio a saperlo?"
"Andiamo, voi tre non siete qualcosa come le sirene di Gotham? Sempre inseparabili?"
Selina alza gli occhi al cielo per poi concedere una lenta occhiata a Edward Nigma, infilato in un completo verde fin troppo appariscente. "È Pam la madre del trio. Io rendo le serate più stuzzicanti."
"Credevo fosse Harleen la regina delle feste."
"Soltanto dopo la terza tequila."
Edward fa una smorfia, poi sogghigna. Selina non crede di averlo mai visto sorridere senza quello sguardo accondiscendente stampato in faccia. Edward è un personaggio singolare: un genio completamente pazzo. Ed è anche un criminale, uno di quelli che si ritrovano spesso faccia a faccia con Batman. È stato durante una delle sue permanenze all’Arkham Asylum che ha conosciuto Harleen; al tempo lei era ancora una tirocinante e le assegnavano casi con una percentuale di pericolosità relativamente bassa - Eddy era certamente imprevedibile, ma non pericoloso. Harleen ha sempre detto di trovarlo esilarante, il povero Eddy, e ogni volta che veniva rimesso in libertà si premurava di invitarlo a cena. Recentemente è stato rilasciato di nuovo, ma Selina non crede che durerà a lungo: è controverso e ostinato, Eddy, anche se sotto sotto è semplicemente un eterno infelice. Le piace, tutto sommato. La fa divertire. Ed è uno dei suoi preziosissimi agganci al mondo del crimine, il che gioca a suo favore.
"Non trovi strano che non si sia ancora fatta viva?" Edward non demorde, ma d’altra parte quando pensa di aver ragione - cioè sempre - è difficile farlo desistere.
"Harleen entrerà da quella porta," risponde Selina. "Sposerà Guy e tutto andrà per il verso giusto."
"È determinata, dunque. Io la trovo una decisione affrettata."
"È preoccupazione, questa, signor Nigma?"
"Per me stesso, più che per lei," ribatte Edward, indispettito. "Odio i piagnistei e Guy ha l’aria di uno che piangerebbe come un bambino."
"Harleen non gli farebbe mai un torto simile."
"Forse," Edward si sistema gli occhiali sul naso, "ma Harleen è diventata strana nell’ultimo periodo, non dirmi che sono l’unico ad averlo notato."
Selina lascia cadere il sorriso e arriccia le sopracciglia. "Tutti diventerebbero strani se fossero costretti a stare in contatto con uno psicopatico del calibro del Joker."
"Nessuno l’ha costretta, è stata lei a volerlo."
"Tutti lo volevano, a detta sua. Gli psichiatri sono così strani."
"C’è qualcuno a cui piace la mente umana, Selina, soprattutto se guasta. Scommetto che tu potresti essere tra quelli."
"Io sono per le cose semplici, Eddy: gatti e diamanti."
"Oh, lo so bene. Ma Harleen sembra avere in comune con te l’attrazione per la criminalità."
"Il Joker non è soltanto un criminale. È un mostro."
"Eppure lei era più raggiante dopo le loro sedute, ci hai fatto caso?"
Selina non risponde, ma Edward sembra leggerle nella mente perché abbozza un altro ghigno e poi si sistema di nuovo gli occhiali. "Come dicevo: attrazione per la criminalità."
"Soltanto perché io e te siamo così, non vuol dire che questa sia la regola."
Gotham non crea solo mostri, crea anche brave persone. Come Pamela. Come Harleen.
Edward non è d’accordo. "Harleen ha guardato dentro la serratura, Selina, e quello che ha visto le è piaciuto. Per questo ha messo in scena questo teatrino e per questo ora ci mette tanto ad entrare sul palcoscenico: ha scelto di non aprire la porta, ma se ne sta pentendo."
"Harleen è più forte di quanto credi."
"Immagino che lo scopriremo tra poco."
Selina si ritrova ad osservare il portone principale, pregando che da un momento all’altro si spalanchi e disintegri tutte le preoccupazioni che le stanno corrodendo il fegato.


 

∞∞∞


 

Harleen Quinzel ha la gola secca e le gambe molli.
Quando Pamela l’ha avvertita dell’arrivo dei primi ospiti ha perso la capacità di respirare ed è stata costretta a sorreggersi a lei per riuscire a rientrare nella sagrestia.
"Le prendo qualcosa da bere," ha asserito Padre Mitchell con un sorriso genuino ed è tornato poco dopo con un bicchiere d’acqua gelata che Harleen si è scolata tutto d’un sorso.
Ora è in piedi di fronte a Pamela con il fiato corto e il corsetto stretto, mentre cerca di liberarsi la mente per costringersi a non pensare. È colpa della maledetta agitazione: a stento l’ha tenuta a bada fino a questo momento ed era da sciocchi pensare che prima o poi non sarebbe esplosa in un botto di nausea e tachicardia.
"Se devi vomitare, Harl, fallo ora."
Ma Harleen non vomita. Arpiona la mano di Pamela con tutte e dieci le unghie delle dita e tira un calcio al muro con tanta violenza da storpiare la punta del suo tacco dodici.
«Stavo pensando a un altro regalo per te, Harley Quinn. Il tuo cuore pulsante tutto infiocchettato. Ti piace come idea?»
Nemmeno adesso il ricordo del Joker si decide a lasciarla andare. Le piacerebbe ammettere di aver fatto un errore madornale ad accettare il suo caso clinico, ma almeno con se stessa non è costretta a fingere: lo rifarebbe, se potesse. Anche se a un certo punto i ruoli si sono invertiti; anche se a un certo punto si è accorta di volerlo sempre vicino, troppo vicino ma mai abbastanza; anche se lui ha costantemente minacciata di ucciderla per poi ricordarle che è sua, sua e soltanto sua.
«Così potresti guardarmi mentre lo stritolo lentamente, con le mie stesse mani. È come un matrimonio, ma molto più divertente!»
Dio, lo rifarebbe mille altre volte.
"Oh cara," è buffo che sia proprio il prete a riscuoterla dai suoi perversi pensieri, "non preoccuparti per la scarpa: sotto il vestito non si vedrà nemmeno."
Subito dopo il sospiro di Pamela e lo sguardo ancora eloquente di Padre Mitchell, Harleen lancia uno sguardo ai piedi e nota la scarpa irrimediabilmente compromessa: è sbeccata e deforme, ribaltata verso di lei come una di quelle scarpe arabe che ha sempre trovato divertenti.
Ed è in questo preciso istante - scandito dal rumore concitato degli invitati nell’altra stanza -  che qualcosa cambia, crolla e si spezza. Gusci taglienti la frammentano e la rendono diversa -  insicura - incasinata - distrutta - imperfetta - sbagliata.
"Si è rotta," dice con gli occhi grandi e la semplicità di una bambina, lasciandosi cadere sul pavimento con le gambe allungate. Poi spalanca la bocca, sbalza fuori la lingua e scaraventa fuori dai denti un suono stridente e acutissimo.
«Ridi, Harley. Cos’altro possiamo fare se non ridere?»
Una risata. La sua vera, prima risata. Incontrollata, convulsa e prepotente. La riconosce, questa risata, e la rivede nella sua che è più grave, più folle, più vera.
Non me l’avevi mai detto, pensa Harleen, buttando gli occhi al cielo e sentendosi magnifica, che ridere faceva così bene.
Non me l’avevi mai detto, pensa di nuovo Harleen contorcendosi su se stessa, mentre le risate lasciano spazio alle lacrime e portano via il trucco, che ridere faceva così male.
"Harl?" tenta Pamela, insicura, lanciando un’occhiata a Padre Mitchell. Ma Harleen continua a piangere, si lascia trasportare dal crollo nervoso che l’ha colta in fragrante e sta facendo man bassa dei suoi sentimenti.
Sei proprio un bastardo, Mr J.
Harleen si dispera e pensa che questo sarà il suo ultimo atto. L’ultimo omaggio al Clown Principe del Crimine e a tutto ciò che abbia mai rappresentato per lei. Questo è l’ultimo pezzettino di se stessa che gli concede, l’ultima parte di sé che sarà sua per sempre, poi chiuderà i ponti con ciò che è stato e i giochi saranno finalmente chiusi. Lo deve fare, non ha altra scelta. Deve lasciarlo andare. Lui è quello che la tiene incatenata al buio e così Selina lo definirebbe: Mr J è la sua Gotham. Ma lei, ora, adesso, per l’ultimissima volta, prende in mano la sua vita, fa i conti con se stessa e sceglie.
Addio, amore mio.
"Accidenti," mormora, tirando su con il naso e lasciando cadere le ultime lacrime, "ho fatto proprio un disastro."
E Pamela è subito accanto a lei, la raccoglie e l’abbraccia, le dà un buffetto sulla guancia e le asciuga via il trucco. "Due minuti e sarai più bella di prima," le promette, "e menomale che non sei crollata dopo la cerimonia. Guy sarebbe morto se ti avesse vista così."
Così Harleen pensa alla gentilezza di Guy, al suo petto caldo e alla sua voce profonda e anche l’ultimo residuo di imperfezione scivola via.
No, Guy non la vedrà mai più in questo stato.


 

∞∞∞


 

Padre Mitchell ha i denti dello stesso bianco puro del velo che ondeggia sopra l’acconciatura di Harleen. Le sue labbra si muovono, si bloccano, sorridono, parlano e raccontano di amori eterni e di promesse solenni - Guy e Harleen si sono scelti, Guy e Harleen si sono voluti; Guy e Harleen saranno immolati nella gloria del Signore e grazie a lui percorreranno una via splendente e luminosa.
Harleen si è soffermata spesso sul volto di Guy - di sbieco, quando il Padre era rivolto alla platea o quando era certa che il suo fidanzato non potesse guardarla. C’è dolcezza, nei lineamenti morbidi di Guy. Aspettativa e impazienza. Ogni tanto le sfiora la mano con le dita come a volerle sussurrare che c’è, che non è sola e che fra poco la sua vita, i suoi sogni e le sue paure saranno anche affar suo; lei gli sorride ogni volta, anche se lui non può vederla, e risponde al suo tocco carezzandolo lievemente, lasciando che si prenda cura di lei - per troppo tempo ha contato soltanto su se stessa e ora vuole sapere cosa si prova ad affidarsi totalmente a un’altra persona, una persona che la ami in modo diverso da come la ama Pamela ma con la stessa intensità. Forse scoprirà che vivere per qualcuno che abbia lo stesso equilibrio mentale della maggior parte delle persone sarà ancora più entusiasmante del farsi in quattro per un individuo che potrebbe spezzarla in moltissimi modi diversi.
«Non essere sciocca, Harley. Tu detesti le cose ordinarie. Altrimenti non indosseresti quel camice da dottoressa».
No, questa volta Mr J non riuscirà a dissuaderla. Guy Kopski è il suo domani, anche se dovesse metterci tutta una vita per convincersene.
«Stai ancora con quel Guy, tortina? Ma è così serio».
È umano, si risponde Harleen. È umano e buono ed è innamorato, e lei non ha bisogno di altro per riuscire a sorridere. Rimpiange solo di non essere riuscita a dirglielo quando ne ha avuto l’occasione.
"E ora," riprende Padre Mitchell, concentrando gli occhi nocciolati su di loro, "è giunto il momento delle promesse."
Nella platea si snodano sussurri e sospiri trattenuti. Guy prende un profondo respiro e sfiora un’altra volta le dita di Harleen - ci siamo, le sta dicendo. Ti amo e ci siamo. Questa volta Harleen gli risponde afferrandogli la mano e tenendola ben stretta nella sua, strappandogli un sorriso.
"Vuoi tu, Guy Kopski, accogliere Harleen Quinzel come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?"
Guy ha gli occhi luminosi come una stella sfavillante che esplode nello spazio. "Lo voglio," dice, e Harleen sente un groppo in gola grande quanto una noce che le fa diventare gli occhi lucidi.
"Vuoi tu, Harleen Quinzel, accogliere Guy Kopski come tuo sposo, promettendo di essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarlo e onorarlo tutti i giorni della tua vita?"
«Tu sei mia, Harley Quinn,» l’ammonisce il Joker nella sua testa. «Non è una condizione reversibile».
Harleen lo ignora. È in dirittura d’arrivo, davanti a lei c’è la fine del percorso. Si prende un istante per assaporare la nuova emozione che sente - oltre il tono disarmonico di Mr J, oltre le sedute oniriche al di là della comprensione umana, oltre la parte di se stessa che gli apparterrà per sempre. Sente la nuova Harleen e senza sapere se le piacerà, l’accetta. Si fida, e l’accetta.
"Lo voglio," risponde.
Padre Mitchell allarga il sorriso. "Allora io vi dichiaro marito e mogli—"
Uno sparo assordante spalanca il portone d’ingresso e una voce spaventosa esplode alle loro spalle. "Tesoro, sono a casa!"
Era troppo bello per essere vero.


 

∞∞∞


 

La claustrofobia è un insetto che striscia sotto pelle disseminando uova infette dappertutto.
Larry Myers s’incastra nello spazio angusto del bagagliaio e cerca di respirare attraverso la fessura dello sportello, pensando che, essendo la via d’uscita, potrà convincersi che da lì gli arrivi più aria se soltanto si concentrerà.
Respira, Larry. Respira.
Non è così semplice. I polsi gli bruciano e la schiena gli brucia e la testa gli brucia e ogni articolazione del suo corpo, perfino quelle che non credeva di avere, stanno scricchiolando senza pietà mandandolo a fuoco.
Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Il sudore gli cola lungo la fronte. Le manette tintinnano ogni volta che gonfia il petto, emettono un suono metallico che gli trapana il cranio e sono l’unico mezzo che ha per calcolare il tempo.
Tic… tic… tic… tic.
È chiuso lì dentro da trecentottantacinque tic.
Trecentottantasei.
Ha calcolato che ha circa quattrocentocinquanta tic a disposizione prima di cedere completamente alla sua maledetta patologia.
L’unica sua consolazione è quella di essere solo: non avrebbe sopportato di condividere lo spazio con le spoglie di Jamie Collins. Oltretutto, il cadavere ha già cominciato a puzzare di putrefazione, ne sente l’odore da lì.
Ha tentato di uscire, all’inizio, sferrando calci allo sportello o cercando di abbattere i sedili, ma è stato tutto inutile: quel pagliaccio sa il fatto suo e anche se non lo dimostra non è uno sprovveduto. Non lo è affatto. C’è sempre un piano dietro la sua caotica follia - se n’è accorto soltanto alla fine, quando il Joker prima di rinchiuderlo ha tirato fuori dal baule un fucile a pompa e gli ha lanciato un sorriso.
«Regalo di nozze. Allora, come sto?»
Larry non gli ha risposto, impietrito dalla vista del baule. Il Joker l’ha preso come un complimento taciuto e poi se n’è andato ridendo.
«Prometto che saremo a casa per mezzanotte, principessa».
Larry non sa se sperare in un suo ritorno o di morire per claustrofobia.


 

∞∞∞


 

Mr J è lì davanti a lei e Harleen non riesce a crederci. Si ripete che dev’essere uno sbaglio, che qualcuno vuole farle uno scherzo di cattivo gusto ma poi si rende conto che soltanto lui potrebbe architettare uno scherzo di questo genere e alla fine è attanagliata dal terrore completo che stavolta non ci saranno vie d’uscita. Qualsiasi cosa succederà.
"Ho cercato di essere puntuale," continua il Joker, avanzando lungo la chiesa. "Ma il mio autista era un incapace."
La platea è ammutolita e se Harleen non riuscisse a vederla le sembrerebbe deserta. Mr J focalizza l’attenzione come una tigre allo zoo - una tigre fuori dalle sbarre intenta ad osservare le sue prede mentre la saliva scivola lungo le fauci spalancate. Mr J ha sempre le fauci spalancate; quel sorriso bislungo mangia, mangia e mangia, spolpa il raziocinio per rigurgitare un grumo di follia repressa, un virus letale che si spande fino a intaccare tutto.
Harleen ne è stata infettata ma è riuscita a uscirne. La prova sarà quest’ultimo scontro. Se vincerà, con ogni probabilità il Joker le punterà contro quel fucile e le strapperà via il cuore come promesso - è sempre stato un uomo di parola, dopotutto.
Ma se perderà
… allora non ci sarà più nient’altro.
"Che cosa vuoi?" domanda Guy, gonfiando il petto e scrollandosi di dosso la sensazione di essere piccolo e insignificante.
Mr J lo degna di uno sguardo appena. "Tu devi essere Guy…" uno schiocco li labbra. "Ti immaginavo più alto."
"Che cosa ci fai qui?" mormora Harleen, dando voce a quelli che sono i pensieri di tutti. Si protende verso di lui giusto un centimetro, poi Guy le si para davanti, come se potesse difenderla. Come se davvero ci si potesse difendere dal Joker.
Lui è un veleno. Una malattia degenerativa che s’insinua in ogni anfratto dell’anima fino a divorarla tutta.
"Stupida Harley!" Mr J ha la malizia negli occhi e la menzogna nella voce. "Non ti insegnano proprio niente al corso di medicina? Sono un paziente ossessivo, dottoressa. Così geloso. Ma tu hai continuato a insistere con questa storia del matrimonio, nonostante quello che c’è tra noi. Mi hai praticamente costretto a venire qui, sai?"
Brutto bastardo.
Non va bene, non può rielaborare il loro rapporto e rifilarlo a tutti come se fosse una stupida barzelletta. I loro momenti sono privati, sono esclusivi, sono materia segreta che Harleen ha riposto in un angolo remoto della sua essenza, perché non può dimenticare ma non può nemmeno ricordare. E Mr J lo sa, questo. Sa di averla fatta a pezzi, psicologicamente e fisicamente, e che gli manca poco per finire il lavoro. Ma Harleen sperava di aver diritto a un trattamento speciale, dopo tanta fatica. Un errore madornale, certo: il Joker non fa trattamenti di favore a nessuno che non sia Batman - e probabilmente il pipistrello delegherebbe l’onere a qualcun altro, se solo potesse.
"Come sei evaso da Arkham?" domanda stupida ma necessaria. Harleen sta cercando di ricordare chi fosse di turno questa sera. Larry, di sicuro. E forse quello nuovo, ma non ricorda il volto, né il nome.
"È stato facile. Te l’ho detto che posso uscire quando voglio. Stasera ne avevo voglia. È un’occasione così particolare. Hai quasi rischiato di farmela perdere."
Perché pensavi non ne valesse la pena o perché non t’importava?
Harleen stringe le mani a pugno. "Perché non mi uccidi e non la fai finita?"
"Per chi mi hai preso, per un represso megalomane? Non sono mica l’Enigmista!" Mr J ride e poi lancia un saluto a Edward, in platea, che piega il cappello sulla faccia e sprofonda sul bancone della chiesa.
"Non voglio ucciderti, tortina. Non ancora. Prima c’è qualcosa che devi fare. Poi forse ti ucciderò."
Padre Mitchell fa un passo insicuro in avanti, con il sudore sulla fronte e la mascella tesa.
"Non c’è bisogno di—"
BANG.
Non si scherza con il Joker.
Harleen sgrana gli occhi e trova stranissimo come il corpo di Padre Mitchell si accasci languidamente a terra senza il minimo suono. Anche la macchia scura che si espande sul sagrato è strana e surreale - vernice rossa che emana un’odore persistente e si ferma proprio ai piedi di Mr J, che la evita per un soffio. La platea esplode in grida terrorizzate. La maggior parte degli invitati corre verso il portone e scappa dalla chiesa; Pamela e Selina restano impietrite, accanto alla madre di Harleen, osservando la scena con lo sguardo di chi vorrebbe intervenire ma non può farlo; altri invitati invece mettono mano ai loro cellulari per chiamare polizia, amici, parenti, perché il Joker è tra loro e forse non avranno altre opportunità per raccontarlo.
Mentre la platea precipita nel caos, Guy si china sul corpo di Padre Mitchell, anche se sa che non c’è più niente da fare.
"Allora tortina, adesso lo finiamo il nostro gioco?"
Mr J è indifferente; la morte gli scivola addosso come se non riuscisse a percepirla. A volte Harleen si chiede che effetto faccia vedere qualcuno morire attraverso i suoi occhi e così sentire quello che sente lui. Forse non prova niente; forse il Joker è un giullare stravagante che esiste solo perché qualcuno ha paura dei mostri. O forse a essere lui si provano così tante emozioni e così tanto enfatizzate da non riuscire più a farne a meno.
"Non ho più voglia di giocare… non ce la faccio," risponde Harleen, un tono di voce sull’orlo delle lacrime.
"Non dire così, bambina. Harley Quinn ha sempre voglia di giocare."
"Ma io non sono Harley Quinn."
Il Joker la squadra ruotando la testa di lato, stringe il fucile un istante prima di lasciarlo cadere lungo il fianco. "Perché non stai mai a sentire? Se io dico che sei Harley Quinn, tu sei Harley Quinn. So riconoscere un saltimbanco impazzito quando lo vedo."
"Sei un bastardo!" grida Guy, rialzandosi all’improvviso. "Un mostro! Uccidi e distruggi e neanche te ne importa!"
"Ehi," Mr J continua a fissare Harleen con le sopracciglia accavallate. "Non me l’avevi detto che anche Guy, qui, era uno psichiatra. E più bravo di te, a quanto sembra."
Harley ha gli occhi lucidi che gli offuscano la vista e un nodo in gola che le impedisce di parlare ma vorrebbe riuscirci per poter dire a Guy che si sbaglia: il Joker non è soltanto morte. Ci ha impiegato un po’ per capirlo, nonostante ce l’avesse davanti agli occhi: il Joker è un oratore con i fiocchi, plasma le menti con il suono suadente della sua voce e questo è il suo tratto più pericoloso. Gli basta un’occhiata per leggere chi gli sta di fronte e ancora meno per architettare diversi trucchetti per trascinarlo dalla sua parte. il Joker non distrugge, il Joker manipola, rende l’ordinario non-ordinario, fa in modo che quelli che hanno paura di lui diventino come lui e poi, solo se trova la cosa divertente, distrugge.
Lei se n’è accorta quando era troppo tardi. Perché il Joker offre una visione del mondo disturbante e iperbolica ma vera e ne parla talmente bene che rifiutarla diventa quasi impossibile.
"Perché," mormora infine, la voce è flebile e Mr J è costretto ad avvicinarsi per sentirla, "perché mi stai facendo questo?"
È in questo momento che il Joker si infuria per davvero. Harleen ci ha provato a fargli perdere il controllo quando erano soltanto loro due; ha provato a vedere oltre il trucco, oltre la magia, oltre la psicopatologia: è riuscita a scalfire la superficie, ma mai niente di più. Vederlo crollare sarebbe stato il suo trionfo più grande, a quel punto - la prova definitiva che anche lui, nonostante tutto, non era altro che una pagina sul manuale di psichiatria. E invece, niente. Niente… fino a ora. Solo che ora Harleen non si sente trionfante, non si sente invincibile. Mr J scatta verso di lei e l’afferra per il mento con la mano libera; piega le dita con forza dentro le sue guance. Guy fa un passo verso di loro ma poi si pietrifica, perché il Joker punta la canna del fucile sotto la gola di Harleen e lo guarda con insolenza, sfidandolo a fare qualcosa - lei non si stupisce e non le dà fastidio, però percepisce chiaramente l’odore rugginoso del sangue di Padre Mitchell e questo è sufficiente per toglierle il fiato.
"Smettila di compatirti, schifosa vigliacca," gli occhi di Mr J tornano su di lei - sono dardi fiammeggianti che le inceneriscono l’anima. "Perché? Perché? Non fare la stupida. Tu sai perché. Perché. Come se non fosse ovvio. Come se fossi una qualunque."
Harleen non abbassa lo sguardo e si lascia trapassare da quegli occhi; per un istante si convince che ci sia altro dietro quelle parole, qualcosa di meno aggressivo ma comunque spaventoso, qualcosa che ha cercato per mesi e che soltanto adesso lui le concede.
Non sono una qualunque? E cosa sono? Cosa?
Mr J è sempre stato un asso con la tempistica, lo deve riconoscere.
"Lasciala stare," Guy ci prova di nuovo. "Non c’è bisogno di finirla in questo modo."
Mr J finalmente gli concede uno sguardo, seguito a ruota da un sorriso. "Giusto. Guy è nuovo e non sa come funzionano i giochi. Allora, Guy, stammi a sentire: Harley e io abbiamo questa sorta di… come la chiamiamo, tesoro? Attrazione? Relazione? Folie a deux?" Il Joker passa la lingua lungo il collo di Harleen lentamente, lasciando una scia umida che la fa rabbrividire; Guy stringe i pugni e digrigna i denti. "Vedi," continua il Joker, "lei cercare di fare la brava dottoressa, ma in realtà è pazza. Di me, come me… scegli quello che ti pare e di sicuro avrai ragione. È un arlecchino sorridente, Harley. Voglio dire: si chiama Harley Quinn! Il fatto che non te ne sia accorto la dice lunga su di te…" Volta la faccia di Harleen verso di lui e riprende a parlare. "E dice molto anche su di te, tortina. Dimmi la verità: speravi che venissi stasera?"
Harleen fissa quel volto appuntito mentre una lacrima le scappa dagli occhi, scivola giù dalle guance e precipita sulla mano tesa di Mr J. Nessuno dei due se ne accorge.
Se Guy potesse parlare - e in realtà potrebbe, ma non osa farlo - ha il timore che nessuno dei due riuscirebbe a sentirlo, presi come sono da quella guerra di sguardi, come se il vero pericolo non fosse fuori, dove ci sono la gola e il fucile, ma dentro, tra i loro occhi. Guy non ha mai visto quell’espressione sul volto di Harleen. Un’espressione triste e devastata ma stranamente splendente, che la renderebbe radiosa se non fosse per le lacrime. Ha la surreale sensazione di sentirsi fuori posto, immerso in un contesto febbricitante di sangue e follia - Harleen sembra essere stranamente calma nonostante tutto: nonostante il fucile, nonostante Padre Mitchell, nonostante la mano del Joker che ancora resta attorno al suo collo.
Non riesce quasi a riconoscerla.
"Ti avrei fatto uscire da Arkham, se solo me l’avessi chiesto," scandisce Harleen, con le labbra serrate e gli occhi gonfi; è una dichiarazione pura e semplice. Una confessione d’intenti che entrambi avevano già percepito da tempo e che ora merita di prendere voce. Harleen poi sposta lo sguardo verso Guy, incontra il suo volto sorpreso e ferito e gli concede un sorriso strappato che ha la stessa consistenza della cenere.
"Non sarebbe stato divertente, Harley." Mr J le concede una carezza sulla guancia e poi, presa Harleen per il fianco, la costringe davanti a lui, tenendola ferma e obbligandola ad afferrare il fucile. La sua mano libera va a sovrapporsi a quella di lei, esattamente sopra al grilletto. La canna si alza, si alza… fino al petto di Guy.
"Allora," dice il Joker, il tono di voce eccitato, "ecco il mio regalo di nozze: liberiamoci dei pesi. Tabula rasa. Nuova vita. Ti va?"
Guy resta immobile, lo sguardo fisso al buco nero della canna. Ci sono tante cose che vorrebbe fare, tante altre che vorrebbe dire, e invece sono i ricordi quelli che gli riempiono gli occhi e la bocca. Ricordi felici, di lui e Harleen nella vita di tutti i giorni, intenti in azioni tanto insignificanti da risultare scontate ma che ora, con gli occhi della morte, assumono un significato più prezioso di tutto il resto.
Ci sono lui e Leeny che prendono il gelato per la prima volta - lui aveva preso dei gusti così disgustosi, soltanto per fare il gradasso, che alla fine era stato costretto a gettare via il suo preziosissimo cono con tanto di biscotto e panna montata; Harleen l’aveva preso in giro fino allo sfinimento, ma aveva volentieri condiviso la sua coppetta liquirizia e yogurt insieme a lui.
E poi c’è anche quella gita allo zoo, in una giornata graziata dal sole quando per tutto il mese non aveva fatto altro che vomitare acqua; Harleen si era innamorata di due cuccioli di iena - guarda come ridono, Guy, guarda! Che nome daresti loro se potessi portarli a casa? - e Guy per la prima volta aveva pensato che Leeny fosse speciale, speciale per davvero, una gemma grezza che doveva soltanto ritagliarsi lo spazio giusto per riuscire a splendere.
«Harleen, sei la donna più incredibile che io abbia mai conosciuto. Mi fai venir voglia di essere migliore, ma non posso farlo se non sei al mio fianco. Quindi: vuoi sposarmi?»
Si era convinto che da lì in poi sarebbe stato tutti in discesa. È sempre stato così ingenuo. Ma se c’è una certezza, in tutto questo maledetto incubo, è che Guy non si pente di niente. Non si pentirà mai di niente.
Così, regalandole un sorriso sincero senza rimpianti, Guy guarda Harleen e glielo ripete ancora una volta. "Ti amo, Harleen Kopski. Ora e per sempre."


 

∞∞∞


 

In principio è il niente.
Un nulla gassoso e offuscante che le riempie gli occhi e la fa sentire vuota, come se le sue stesse viscere fossero schizzate fuori dalle orbite lasciandole nient’altro che la pelle moscia.
Morte. La sente tutt’attorno a sé. Una baccante dai capelli annodati che alza le braccia, muove i fianchi e balla. La sente canticchiare, ma non è una voce definita: è un coro dissonante, un concerto disarmonico di brividi e sudore freddo. Lei resta a guardare quel volto che non è umano e ci rivede una vecchia amica. E poi, qualcun altro… un volto che rivede fin troppo spesso: lineamenti sottili, occhi taglienti, sorriso sfacciato…
Le sta tendendo la mano, il Joker. Tra le dita, c’è un fucile.
"Coraggio cara: qui moriamo dalla voglia di sapere…"
Harleen è sempre stata un’amante delle sorprese, dell’inaspettato, dell’imprevisto che piomba all’improvviso. Ma adesso… Adesso è cambiato tutto e la vera domanda è che cosa farà lei in merito.
È come se le due costanti della sua vita fossero proprio di fronte a lei: Mr J e Guy, due poli opposti che fanno emergere due parti diverse di se stessa che non possono in nessun modo coesistere insieme - ci ha provato ma ha miseramente fallito.
Guy e Mr J: con uno la tranquilla normalità del quotidiano e con l’altro la sgargiante avventura dell’imprevisto. Harleen e Harley si stanno guardando, ora, l’una di fronte all’altra, con occhi grandi e sorrisi rosso sangue. Se volta la testa verso quella che è stata la sua vita, Harleen ha ben chiaro ogni singolo istante - quelli sicuri, quelli insicuri, quelli così confusi da privarle il sonno o quelli talmente belli da cullarla come una vecchia ninna nanna. Harleen ha vissuto la sua vita: ha pitturato il palinsesto della sua esistenza riuscendo a scorgere il disegno più grande che l’ha sempre spinta ad andare avanti. Ma se volta la testa verso quella che sarà la sua vita, il disegno scompare e tutto precipita nel buio di un indovinello che non sa come risolvere.
Quello che ti devi chiedere, Frances1, le direbbe sua madre. È per cosa vale la pena soffrire.
Vale dunque la pena soffrire per una vita senza certezze, perennemente vagabonda, dove non le sarà mai permesso di avere qualcosa di suo, se non l’amore incondizionato - e forse mai ricambiato - per un principe folle?
Oppure è meglio soffrire nel rimorso, dentro una casa che sarà sempre la stessa, in una vita che sarà sempre la stessa, circondata dall’amore di una famiglia e di amici che riusciranno solo ad alleviare il vuoto che l’attanaglierà in eterno?
"Harley, spara dai. La magia si spezza a mezzanotte, le conosci le regole della fata madrina."
Mr J ha ancora la mano sopra la sua, il proiettile è ancora in canna e Guy ha ancora quello sguardo sereno - tutto è esattamente come prima, l’unica differenza è che stavolta Harleen non ha dubbi.
"Ti avrei fatto uscire da Arkham, se solo me l’avessi chiesto…" ripete, piano.
Mr J corruga la fronte. "Si è rotto il disco, per caso?"
"… ma tu non me l’hai mai chiesto."
Il Joker la guarda. Non spalanca gli occhi, non diventa muto, non dimostra di essere sorpreso, o ferito, o deluso. La guarda, perché è strano che le cose non vadano come aveva programmato.
Harleen lo sfida di nuovo con lo sguardo e non ci sono lacrime questa volta. "Mi dispiace, Mr J."
Guy ha il tempo di riprendere fiato e di godersi quell’inattesa vittoria. Ha il tempo di guardare Harleen, poi il Joker, poi la chiesa e di trovarla una giornata meravigliosa, nonostante tutto. Ha il tempo di pensare al futuro, a quella che sarà una vita condivisa e piena di soddisfazioni, prima di soffermarsi nuovamente sul fucile e deglutire un coagulo di terrore.
BANG.
Tutto è inghiottito da quel proiettile che lo colpisce al cuore.
La chiesa ormai quasi deserta piomba d’un tratto nell’oscurità. Il Joker sonda il buio con gli occhi a fessura e si lascia sfuggire un risolino profondo e cavernoso.
"È arrivato l’ospite d’onore."


 

∞∞∞


 

La vita è un telo costellato di buchi e increspature pronto a strapparsi non appena ci si sdraia sopra. Ecco cosa risponderebbe se qualcuno glielo chiedesse.
"Signor Myers, si sente bene?"
Annuisce, Larry, senza pensarci. È una risposta di circostanza dettata dalla semplicità della psiche umana: è stabilito che lui risponda di sì; nessuno vuole che lui risponda di no - nessuno vuole più preoccuparsi, per ora, perché è stata una lunga notte e bisogna ricaricare le energie per quando il Joker fuggirà di nuovo. Il fatto che lo farà è una certezza matematica che nessuno osa confutare.
Così Larry annuisce, perché sta bene se ci pensa a fondo; non ha ferite gravi che non siano nella dignità e nell’anima, quindi non si sente in diritto di gettare a terra la coperta termica che gli hanno messo addosso e di gridare che, cazzo! non sta bene per niente.
Jamie è morto, lui è stato chiuso in un bagagliaio. La differenza è netta e concisa e gli vieta qualsiasi tipo di lamentela. La birra sarà la sua medicina. Due o tre boccali e tornerà come nuovo - brinderà a Jamie, al novellino, alla sua quasi settimana di servizio.
Davanti a lui, oltre al trambusto delle macchine della polizia e degli agenti in divisa che si sparpagliano lungo il piazzale della chiesa, ci sono quelli che riconosce essere alcuni degli invitati di queste dannate nozze rosse. Stanno piangendo, molti di loro. Probabilmente per lo sposo. È appena passato davanti a Larry, steso su una barella coperta - il braccio insanguinato rasentava il terreno e la sua mano aveva al dito una fede d’argento.
Tutto sommato, pensa Larry stringendosi nelle spalle, si è goduto il matrimonio prima che diventasse un incubo.
Ogni pensiero razionale si blocca nel bel mezzo del nulla quando, dal portone ormai distrutto della chiesa, due agenti armati trascinano fuori il Joker, ammanettato e mal ridotto. Sarebbe davvero soddisfacente vederlo sanguinante e ferito se non fosse per quella maledetta risata che continua a sputare fuori dai denti ingialliti. Uno dei due agenti, evidentemente sotto pressione, gli sgancia una gomitata proprio in mezzo allo stomaco, ma è come se gli avesse fatto il solletico: il Joker reclina la testa indietro e ride più forte.
Larry Myers vede il commissario James Gordon avvicinarsi al mostro e incrociare le mani al petto - sembra più vecchio rispetto a come appare in televisione. "Un matrimonio, dannato bastardo. La tua depravazione non ha limite."
Il Joker ride. "Jimmy, ci crederesti se ti dicessi che sono innocente?"
Nessuno gli crederebbe mai, non con quel sorriso. E probabilmente è questo il suo dramma: il Joker ama rendere tutto uno scherzo, ma quando prova a essere serio nessuno gli dà retta.
"Un giorno o l’altro farò in modo che tu marcisca a Blackgate2, mostro," ribatte il commissario.
"Batman non sarebbe d’accordo. È già andato via? Sempre di fretta, il nostro ragazzone. Che gran maleducato."
C’è di mezzo anche il pipistrello, dunque. Larry avrebbe dovuto capirlo dalle contusioni del Joker: nessun altro riuscirebbe a malmenarlo in quel modo - nonostante la sua secca statura è abile con le mani. Comunque, gli sarebbe piaciuto vedere Batman dal vivo. Lo renderebbe più reale, riuscire a vederlo. Invece, ancora una volta, resterà un mito senza volto che si nasconde nell’ombra.
Il commissario ordina ai due agenti di chiudere il detenuto in macchina. Larry vede il Joker sfilare davanti a lui, saltellando come un bambino eccitato. Lo vede ruotare la testa, lo vede illuminarsi alla sua vista, lo vede schioccare le labbra e regalargli un risolino. "Ho dimostrato la mia teoria, Larry. Quella sciocca è una vera matta!"
Larry è così urtato dalla sua vista che non può fare a meno di girare lo sguardo e lasciare che siano soltanto le orecchie a subire le sue torture. La risata malsana e grottesca del Joker continua a propagarsi anche quando viene chiuso in auto e soltanto nel momento in cui la macchina scompare per i vicoli di Gotham, Larry riesce a non sentirla più. Libera il braccio dalla coperta termica e lancia un’occhiata al suo orologio da polso - vecchio quasi quanto lui: sono le 23.42.
«Prometto che saremo a casa per mezzanotte, principessa».
La voce di quel bastardo è più affilata di uno dei suoi coltelli e pensare che fosse davvero tutto prestabilito gli fa venire la nausea. Allora Larry chiude gli occhi e rivede il volto paffuto di sua moglie. Katy è vecchia e ha tante rughe, ma è sempre bellissima come il giorno in cui l’ha conosciuta. Larry pensa che potrebbe andare da lei e dirle che aveva ragione; e magari chiederle scusa per tutto, piangere sulle sue spalle e pregarla di non lasciarlo più. Di ricominciare da capo.
L’Arkham Asylum è un posto nato da solo e che da solo vivrà in eterno, ma lui non vuole restare solo. Non vuole più restare solo.


 

∞∞∞


 

C’è un capello bianco nell’acconciatura vermiglia di Pamela.
"Andrà tutto bene, Harl. Andrà tutto bene."
Quell’unico capello bianco sembra erigersi al di sopra degli altri capelli e danzare sulle loro teste. È buffo, a pensarci. Le teste dei capelli che stanno su un’altra testa. Davvero buffo.
"Io sono qui, Harl. Siamo ancora qui."
Qui… lì… due passi di danza. Piroette sul palco.
Selina è in disparte ma non le stacca gli occhi di dosso. Sua madre è ancora troppo scossa per riuscire ad articolare una frase. Le luci blu e rosse delle sirene della polizia volteggiano una dopo l’altra creando un disegno nel cielo notturno. In questa confusione sono i dettagli che colpiscono Harleen, che la fanno smettere di pensare.
«I dettagli, Harley. I dettagli fanno la differenza. Un buon commediante tiene sempre conto dei dettagli».
La gente tende a non farci la dovuta attenzione. L’essenzialità dei dettagli sta tutta nel loro potere di sconvolgere le cose. Come un dito che scatta su un grilletto prima che un altro dito possa costringerlo.
BANG.
Un proiettile di dettagli. Dettagli per capire la vera natura dell’Io. L’Io che finalmente non è più costretto a nascondersi. La luce che può finalmente illuminare gli angoli bui.
«Tabula rasa. Nuova vita. Ti va?»
Bisogna distruggere prima di poter costruire. Il Joker lo sa bene. Il Joker è il re della distruzione. Anche Batman è un ottimo demolitore. Se ripensa a come ha ridotto Mr J, in quella chiesa… non che non se lo meritasse. Mr J sa essere un vero villano, quando vuole.
«Stai ancora con quel Guy? Ma è così serio».
Il Joker non lo è nemmeno quando vorrebbe. Non riesce a essere ordinario nemmeno per finta.
«Tu detesti le cose ordinarie, Harley. Altrimenti non indosseresti quel camice da dottoressa».
Vero. E Guy non avrebbe capito. Guy era così serio. Per questo ha dovuto farlo. Un colpetto e via, tutto daccapo. Mr J le ha detto che al mondo l’unica cosa sensata da fare è ridere. Che donna vorrebbe stare con un uomo che non la fa ridere?
Stupida Harley, la risposta è 'nessuna'.
"Vieni, Harl," Pamela la prende sotto braccio, "torniamo a casa."
L’Arkham è la sua vera casa. Adesso più che mai.
«Ecco il mio regalo di nozze: liberiamoci dei pesi».
Splendido, straordinario, sublime. Un regalo perfetto per suggellare un matrimonio perfetto. Harley avrebbe dovuto capirlo subito che quella era la vera intenzione di Mr J. Col tempo imparerà a percepire le sue intenzioni - non prevenirle, perché nessuno potrebbe prevenire qualcuno come il Joker. Lui è perfetto. È un miracolo. L’uomo che tutte vorrebbero.
Soltanto l’uomo dei sogni avrebbe potuto offrirle su un piatto d’argento quello che ha sempre agognato ma non ha mai avuto il coraggio di provare: un omicidio. La dimostrazione più selvaggia di desiderio e rivalsa.
Spara, Harley Quinn, vedrai come ti divertirai.
Ha adorato ogni singolo secondo. E si sarebbe accontentata di quello, ma Mr J se lo sarebbe aspettato e lei avrebbe odiato risultare tanto prevedibile. Quindi, visto che entrambi amano i giochi, ha deciso di giocare. Fargli prendere la colpa è stata la mossa vincente. Certo, Mr J è più il tipo che si fa arrestare per crimini che davvero commette, ma Harley è tranquilla perché sa di averlo spiazzato. Sa che il Joker adora gli imprevisti e che adesso se la starà godendo un mondo nel constatare che non solo aveva ragione su di lei, ma aveva anche ragione su di loro.
Sì, se la starà ridendo di gusto quel delizioso pasticcino alla crema.
L’unica cosa che l’ha davvero fatta innervosire è che le ha rovinato il vestito. Gli abiti da sposa costano un occhio della testa e si comprano una sola volta nella vita, quindi Mr J doveva pensarci meglio prima di sporcarglielo tutto di sangue. Ecco perché è felice che venga rimandato ad Arkham. Lì avrà il tempo di vendicarsi strapazzandolo un po’ - fino a quando lui non le chiederà di farlo uscire, come avrebbe dovuto essere fin dal principio.
È la sua psichiatra, dopotutto: è l’unica che ha il diritto di vederlo quando e come le pare.
Il fatto che ora sia anche la sua fidanzata è un dettaglio che riveleranno in un secondo momento, quando Harley Quinn farà la sua entrata in scena infilata in un costume rosso e nero e insieme costringeranno Gotham sotto ai loro piedi. Sarà una vita da vivere appieno, giorno per giorno, istante per istante, soltanto loro due.
Finché morte non ci separi, pasticcino. Finché morte non ci separi.




Note:

(1): Il nome completo di Harley: Harleen Frances Quinzel.
(2): La prigione di Gotham City.

Ecco qui. Finita.
Ci sono altre cose che avrei voluto inserire, come la colluttazione tra Batsy e Mr J e un altro dialogo tra Selina e Eddy, ma poi ho desistito, un po' per mancanza di tempo, un po' perché non volevo appesantire troppo il tutto. L'attenzione doveva essere tutta su Harley - era il suo matrimonio, dopotutto!
Ma agli easter egg non ho potuto rinunciare. No, quelli mai. Ne ho disseminati qua e là sia in questo che nell'altro capitolo - chissà se riuscirete a beccarli tutti ;)
Volevo ringraziare ancora una volta Bellatrix_Indomita per aver indetto il contest che mi ha permesso di scrivere questa piccola Long e per i suoi consigli preziosissimi di cui ho fatto tesoro <3
Poi voglio ringraziare tutti voi che l'avete letta, tutti quelli che l'hanno recensita e tutti quelli che l'hanno messa tra le preferite/ricordate/seguite.
È sempre un piacere, sempre.

Spero di ritrovarvi in altre storie.
Un abbraccione grande grande a tutti.

Always_Always

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