Rebirth

di Gemini_no_Aki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 01 ***
Capitolo 2: *** Chapter 02 ***
Capitolo 3: *** Chapter 03 ***
Capitolo 4: *** Chapter 04 ***
Capitolo 5: *** Chapter 05 ***
Capitolo 6: *** Chapter 06 ***
Capitolo 7: *** Chapter 07 ***



Capitolo 1
*** Chapter 01 ***


Chapter 01

 

All’inizio era rabbia.
Una furia cieca che Mick sapeva di conoscere meglio di quanto gli sarebbe piaciuto ammettere, la furia che anelava al fuoco, inarrestabile, indomabile, la furia che arrivava quando restava bloccato lontano dalle fiamme. O quando le persone non riuscivano a vedere oltre le apparenze. Quel giorno erano state entrambe le cose a far scattare la scintilla nella sua mente.
Aveva chiuso ogni cosa fuori nel momento in cui Rip Hunter si era voltato borbottando quella che lui intendeva come una scusa ma che Mick sapeva non essere sentita, aveva cacciato Jefferson lontano dai suoi pensieri, il ragazzino non aveva fatto nulla di male, non voleva davvero coinvolgerlo. Aveva chiuso fuori dalla mente l’intera squadra con cui stava viaggiando, la missione che avevano, ogni singola cosa. Per un breve istante la sua mente rimase all’oscuro, silenziosa, avvolta in una pace incredibilmente rara. Poi fu il fuoco. Mick aveva imparato presto come funzionava, come una fiammella innocente sulla punta di un fiammifero potesse espandersi in un attimo, Mick conosceva il fuoco e in quel momento era l’unica cosa che esisteva.
Eppure in mezzo al crepitio delle fiamme resisteva un piccolo pensiero, qualcosa che era stato dimenticato mentre ogni altro pensiero fuggiva, qualcosa che Mick non era sicuro di sapere come fosse arrivato.
“Non ferirli. Non trascinarli nelle fiamme. Non ucciderli.” No, lui voleva solamente tornare a casa.
Apparentemente loro non erano della stessa idea, apparentemente il suo partner non era della stessa idea mentre lo abbandonava in una foresta in chissà quale luogo, chissà quale tempo.
Non era necessario per quella missione, era un pericolo, era stupido, Rip l’aveva detto più chiaramente che poteva, perché non riportarlo nel loro tempo? Cosa sarebbe cambiato?
La rabbia mutò in attesa.
Impiegò una settimana per accadere, una settimana perché il fuoco smettesse di ardere così impetuosamente da cancellare ogni altra cosa. Non si trattava del fatto che non fosse più arrabbiato con loro perché dire quello sarebbe stato mentire, era ancora arrabbiato, furioso, ma loro non erano lì, era da solo. Aveva tutte le ragioni per essere arrabbiato ma nessuno di fisico con cui esserlo. Così attese.
Non si spostava troppo dal luogo in cui Snart lo aveva lasciato e anche se lo avesse fatto dove avrebbe potuto andare? Non aveva indicazioni da poter seguire, non aveva una destinazione.
Un’altra settimana dopo smise di contare i giorni che passavano, un pensiero più piccolo del precedente si fece largo nella mente, era una vocina lontana ma nella mente ormai silenziosa risuonò come se giungesse da ogni direzione e da nessuna al tempo stesso.
“Non tornerà a prenderti.” Non voleva ascoltarlo eppure ogni volta che Mick cercava di concentrarsi su qualunque altra cosa, che fosse una pianta, che fossero delle bacche o un coniglio che si era sventuratamente trovato sulla sua strada, quella voce tornava prepotente a farsi sentire.
Snart, no, Len non sarebbe tornato, nessuno sarebbe tornato indietro per lui.
L’attesa divenne rassegnazione.
Tre settimane, tre mesi, forse erano quattro, forse erano solo due giorni.
Decine di chilometri, venti, due soltanto.
Mick aveva completamente perso il senso del tempo, della distanza, si era perso e non era certo se si riferiva a quello in senso letterale mentre si guardava attorno e non vedeva altro che alberi, o in senso metaforico mentre cercava un appiglio che gli permettesse di mantenere la mente unita mentre la sentiva spezzarsi, vagare in ogni direzione, con una miriade di pensieri tra i più disparati, senza capo né coda.
Il fuoco aveva smesso di bruciare, “Questo è letterale” pensò, la fiammella davanti a sé spariva in un ramo troppo grande e robusto che non si era acceso come lui avrebbe voluto. Il freddo lo avvolgeva, cercava di entrargli nelle ossa, di trascinarlo a fondo con sé e Mick non sapeva più cosa fare per impedirglielo.
Non sapeva perché fosse ancora vivo, perché si ostinava a cercare di sopravvivere, perché ogni mattina quando il sole sorgeva e i raggi filtravano fra le fronde lui si alzava e si ostinava a trascinarsi avanti in una direzione qualsiasi.
Perché?
Perché?
Che senso aveva tutto quello? Cosa aspettava, cosa cercava, perché il suo corpo non riusciva a fermarsi come la mente stancamente cercava di imporgli?
Cinque mesi, dodici giorni, forse erano sette settimane, ogni cosa era senza significato, perché cercava di ricordare quanto fosse passato? Perché cercava ancora di capire dove fosse? Come uscire da quel mucchio di alberi, o come bruciarli tutti uno dopo l’altro finché non fosse rimasto solo lui in mezzo ad un bosco di cenere, magari avrebbe attirato l’attenzione di qualcuno.
Qualcuno.
«I tuoi compagni, amici, ti hanno abbandonato.» Mick alzò lo sguardo su chiunque stesse parlando.
“Chi è? Si è perso anche lui?” No, impossibile. “Sa troppe cose.” L’uomo continuò a guardarlo dall’alto con fare superiore. “Chi si crede di essere?” Voleva dirlo, voleva parlare, ma quando aprì la bocca non uscì alcun suono.
«Posso darti quello che cerchi.» Aveva una cadenza lenta, controllata e precisa. Si inginocchiò davanti a lui, Mick non riusciva a scorgere il viso, solo i vestiti scuri, qualcosa di familiare ma non per quello sicuro.
«Tu li trovi per noi» “Di chi parla?” «Gli darai la caccia, non temere, ti insegneremo come fare, li consegnerai a noi, non importa come.» “La squadra.” «Avrai la tua vendetta, noi avremo fermato una minaccia, tutti vincono.» “No. Manca qualcosa. Non ti fidare Mick.” La voce nella sua mente era diversa, era una voce che non sentiva da… da troppo tempo, non sapeva quanto, avrebbe dovuto averla dimenticata. «E tu potrai andare a casa.»
Casa.
Mick accettò senza più dubbi, con voce rauca per il troppo disuso.
Quando aprì nuovamente gli occhi gli alberi erano svaniti, la stanza era ampia e bianca, senza finestre, senza mobili ad eccezione del letto su cui era. Mick posò finalmente lo sguardo su un uomo con le braccia conserte che lo guardava.
«Cosa volete da me? Dove sono?» La voce era sbagliata o forse era solo lui ad averne dimenticato il suono.
«Non temere, ci occuperemo noi di te.» Fece un breve gesto con la mano indicando attorno a sé mentre le pareti cambiavano mostrando uno schermo con cose che Mick non capiva. «Questo è il Punto di non Ritorno. Ti consiglio di restare il più fermo possibile.» Il sorriso che aveva era tutto fuorché rassicurante, Mick conosceva quel tipo di sorrisi. L’uomo uscì da una porta a scomparsa e una volta richiusa la parete era nuovamente uniforme come poco prima come se non esistesse nessuna porta.
Era a metà strada tra il letto e la parete che qualcosa gli attraversò la mente, come una scossa, come… non lo sapeva, cadde a terra.
La rassegnazione infine divenne Vuoto.




Angolino dell'Autrice: Alla fine mi sono convinta a scriverla subito e, soprattutto a pubblicarla. Non so quando la aggiornerò, non so se saranno due capitoli o dieci o cos'altro. So in che direzione voglio andare ma non se prenderò la strada più lunga... vedremo. Potrebbe prendere in considerazione la coppia Mick/Len, lo aggiungerò se sarà così. E probabilmente dovrò spostare il rating su giallo, ma vedremo anche qui come si sviluppa. Al momento è un poì confusionaria, non è che i pensieri di Mick siano esattamente lineari, nè tanto meno semplici D:
Per intanto spero vi piaccia com'è ;)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 2
*** Chapter 02 ***


Chapter 02


«Uno solo di noi uscirà vivo da questa situazione.»
Il raggio congelante che lo sfiorava. La pistola che per forse la terza volta quel giorno andava a cozzare contro la sua testa. Il freddo. La solitudine, l’abbandono, il tradimento di quell’unica persona di cui si fidava incondizionatamente, che era la sua famiglia, la paura.
Mick si svegliò di soprassalto, si mise a sedere scandagliando la stanza con attenzione, una dopo l’altra le domande iniziarono ad ammassarsi nella sua mente, si spintonavano l’un l’altra per avere una risposta per prime, urlavano a gran voce ma le risposte non arrivavano. I lunghi tentacoli della paura si erano attorcigliati attorno a polsi e caviglie, sottili e robusti, per quando l’uomo cercasse invano di muoversi e liberarsi loro non lasciavano la presa. Inquieto lasciò vagare ancora lo sguardo attorno a sé dando di tanto in tanto qualche colpo nella speranza di potersi muovere liberamente.
Non era casa, non uno qualunque dei rifugi dislocati a Central City e nelle altre zone limitrofe, non era un ospedale, niente prigione, niente urla da manicomio. Non l’infermeria della Waverider, non la cella, non-
«Ah, Signor Rory.» Si voltò verso la fonte della voce più in fretta di quel che il suo collo avrebbe voluto. «Vedo con piacere che ha deciso di svegliarsi.» La stanza era vuota e sterile, Mick non riusciva a ricordare dove fosse o come ci fosse arrivato, si dimenò ancora una volta ma tutto ciò che ottenne in cambio fu un costante dolore ai polsi.
«Suvvia non si agiti in questo modo, non voglio essere costretto a sedarla di nuovo.» Mick non lo ascoltò, continuò a dimenarsi come un animale in gabbia. Una vocina dentro di lui dichiarò che stava impazzendo, solo i pazzi sentono voci senza persone attorno.
«Possiamo risparmiare molto tempo se collabora.» Si bloccò nella posizione in cui era in quel momento quando la voce maschile pronunciò quelle parole, tempo, così aveva detto, le cose iniziarono a tornare al loro posto lentamente, i Signori del Tempo, il Punto di non Ritorno, la stanza. La luce si fece soffusa e tendente all’azzurro mentre uno schermo piatto comparve sul muro davanti a lui, quando si accese un uomo diverso da quello che il giorno prima, era il giorno prima? l’aveva portato in quel luogo era seduto ad una larga scrivania, le mani unite davanti a sé e un sorriso rilassato.
«Bene Signor Rory, iniziamo dalle basi.» Anche mentre parlava il sorriso restava stampato sul volto del Signore del Tempo, il primo pensiero che attraversò la mente di Mick fu quanto sarebbe stato soddisfacente farlo sparire a pugni, provò a mimare il gesto ma i polsi erano ancora bloccati. «Voi e i vostri amici, da quale tempo arrivate?»
Mick stava per aprire la bocca per rispondere quando qualcos’altro scattò nella sua mente, perché lo stavano chiedendo a lui? Abbassò lo sguardo sulle mani bloccate dalle cinghie scure, “Non erano tentacoli allora.” pensò, poi tornò a guardare il Signore del Tempo nello schermo, composto e rilassato alla sua scrivania. Avrebbe incrociato le braccia al petto se fosse stato libero nei movimenti.
«Ma come?» Domandò con tono sicuro e canzonatorio. «Non sapete una cosa così banale?» L’uomo non sembrò essere preso alla sprovvista dalla sua risposta, a onor del vero rimase completamente impassibile.
«Purtroppo Signor Rory nemmeno noi siamo onniscienti.» Rimasero a guardarsi per alcuni minuti senza che nessuno dei due parlasse come se fosse un gioco.
«Come ho detto poc’anzi possiamo risparmiare tempo se collabora.» Il grugnito che ottenne in risposta fu sufficiente a farlo sospirare ma nulla di più.
«È anche vero, purtroppo, che ero stato informato che avreste opposto resistenza.» Sospirò nuovamente, in modo troppo teatrale perché Mick potesse prenderlo sul serio. «Non sono solito usare questi metodi, preferirei evitarlo quindi ripeterò la domanda. Da quale tempo l’ex Signore del Tempo Rip Hunter vi ha prelevati?»
Mick continuò a guardarlo con aria di sfida, aspettò un paio di minuti prima di lanciare un’altra frecciatina, e un’altra ancora, e ancora.
«Non è così facile farmi parlare, dovrai impegnarti di più.» Una scossa attraversò rapida il suo sistema nervoso, sembrava generarsi da ogni singolo punto allo stesso tempo, strinse i pugni riuscendo in un primo momento a mantenere un’espressione pressoché neutrale. «Tutto qu-» Il Signore del Tempo dall’altro lato dello schermo non gli diede il tempo di finire la frase, una nuova scossa attraversò il suo corpo seguita in rapida successione da un’altra, e un’altra ancora, e ancora, Mick non sapeva quante erano state, aveva smesso di contare concentrandosi esclusivamente sul mantenere almeno un’apparenza forte. Finché il suo corpo non decise che era troppo, si lasciò cadere disteso sul materasso fissando il soffitto bianco. Il Signore del Tempo aveva smesso di ripetere la stessa domanda, o lui aveva smesso di ascoltare, eppure ogni volta che sentiva il suo corpo contorcersi sapeva che era solo un altro modo per chiederglielo senza sprecare fiato prezioso.
Una parte di lui implorava di rispondere e mettere fine a quella tortura, l’altra sapeva che anche con una risposta il Signore del Tempo non si sarebbe fermato. Ciò che vinse però fu qualcosa che Mick non si aspettava di trovare in quel momento né mai più, lealtà. Lealtà verso la squadra, verso Snart. Non sarebbe stata la prima volta che li vendeva a dei nemici ma mentre contro dei pirati spaziali potevano avere qualche chance contro di loro sarebbe stato diverso. Non li avrebbe traditi in quel momento, non sapeva cosa spingesse la sua mente verso quella decisione ma era la scelta dominante, non poteva far altro che assecondarla. Se ne sarebbe pentito, se ne stava già pentendo.
Alzò lentamente la testa verso lo schermo stringendo le labbra per lasciar intendere che non avrebbe parlato, l’uomo voltò il capo verso qualcuno fuori dalla visuale della telecamera e annuì. La testa di Mick ricadde sul cuscino e lentamente ogni cosa sfumò nell’oscurità.
«Se non vuole parlare non ci resta che entrare nella sua mente. Mio caro ragazzo ti avevo detto da subito di procedere in questo modo.»

Angolino dell'Autrice: è stato più complicato del previsto e non sono certa di sapere il perchè, forse perchè non avevo (nè ho...) bene in mente che genere di cose possano combinare quei gran simpatici Signori del Tempo... Oh beh, lo scoprirò andando avanti. Per il momento spero continuerete a seguirla, anche se è un inizio decisamente lento, sorry >.<

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 3
*** Chapter 03 ***


Chapter 03
 


Quando erano in casa da soli, mentre suo fratello maggiore seguiva il padre nei campi, era solita suonare per lui, Mick non aveva mai dimenticato quei momenti, quando le note di diverse canzoni riempivano il silenzio della casa accompagnate dal canto dei grilli, si lasciava cullare dalla sua voce come quando era piccolo, la sua voce lo rilassava come poche cose al mondo. Erano principalmente canzoni d’amore, la guardava negli occhi e non aveva bisogno di chiederlo, lei sorrideva e “Love will keep us together” risuonava serena nella campagna di Central City.
 
Leonard era un ragazzino magrolino, incredibilmente piccolo e con una bocca che non sapeva stare chiusa, come fosse sopravvissuto i primi tre giorni di riformatorio senza di lui era ancora un mistero. Sopravvissuto forse era una parola troppo grande, Mick era quasi certo che l’occhio non fosse nero quando l’aveva visto entrare la prima volta, non zoppicava nemmeno a differenza di quel momento. Zack al contrario era un armadio, i ragazzi erano divisi tra quelli che lo appoggiavano e quelli che lo temevano e gli stavano il più lontano possibile, ma questo Leonard ancora non lo sapeva. Lo imparò presto sulla sua pelle quando si rifiutò di consegnarli il dolcetto nel vassoio che non vedeva l’ora di mangiare. In un primo momento Mick non vi diede peso, le risse erano quasi all’ordine del giorno, fu il luccichio di un coltello ad attirare la sua attenzione. Si alzò sospirando, infilò in tasca l’accendino che aveva rubato dalla tasca di una guardia una settimana prima e si avvicinò. Non sopportava chi non era in grado di difendersi da solo ma ancora meno sopportava quelli come Zack. Si fermò dietro di lui afferrando e girandogli il braccio con cui teneva il coltello lasciandolo cadere, l’altro ragazzo si voltò livido, stava forse pensando cosa fare quando il pugno di Mick incrociò il suo naso. Lasciò la presa facendolo cadere seduto a terra guardandolo dall’alto senza dire una parola poi lo superò, alzò il ragazzino per un braccio e si allontanò dalla stanza col giovane che correva al suo fianco per stare al passo.
«Grazie di avermi aiutato.» Mick grugnì sommessamente fermandosi un corridoio prima dell’infermeria.
«Non l’ho fatto per te, Zack lo meritava.»
«Io sono…» Esitò un attimo pensando a come presentarsi. «Len.» Decise infine, Mick scrollò le spalle, non che già non lo sapesse, non era passata inosservata la notizia che il figlio di un poliziotto fosse lì dentro, e aveva letto il nome su uno dei fogli nella stanza di uno dei dottori.
«Mick.» Gli indicò la porta dell’infermeria e si voltò senza più una parola.
 
I bambini sanno essere crudeli, spesso più degli adulti, più di quegli adulti di cui Mick sente parlare ai telegiornali. Mick avrebbe voluto credere nella sua ingenuità di bambino che era davvero solo uno scherzo come l’insegnante si giustificò coi suoi genitori, ma per quanto ci provasse, e ci provava, eccome se lo faceva, sapeva che non era uno scherzo. Li aveva sentiti sogghignare alle sue spalle mentre camminava quasi in fondo alla fila, con le mani affondate nel cappotto e il cappello ben calcato sulla testa, aveva sentito le loro battutine su come lui sapesse già come funzionavano quelle cose dal momento che, a differenza loro, viveva in campagna, aveva sentito il disprezzo mentre lo dicevano. E di risposta aveva affondato di più la testa nel giubbotto per ripararsi dal freddo.
Non era uno scherzo, non si chiudono i compagni di classe in una cella frigorifera per uno scherzo. Eppure quello avevano raccontato senza nemmeno fingersi dispiaciuti. Uno scherzo. Mick si era aggrappato con entrambe le mani al fratello maggiore quando, in un momento in cui l’insegnante e i genitori si erano voltati, questi aveva stretto la mano a pugno con l’intenzione di colpire il compagno di classe.
«Ty, puoi insegnare anche a me?» Domandò una volta a casa infilando la testa nella stanza del fratello che si girò verso di lui prima dubbioso poi, dopo qualche istante, mimando un pugno con la mano. Mick annuì energicamente entrando e chiudendo la porta alle spalle, fu Tyler a insegnarli come difendersi, così come gli aveva insegnato molte altre cose prima di quello.
Ormai quarant’anni dopo ancora ricorda quanto le sue urla disperate gli avessero spezzato il cuore, se c’era una morte che non era riuscito a perdonarsi dopo tutti gli anni passati era proprio quella.
 
Il giovane Signore del Tempo che aveva cercato inutilmente di avere un’informazione da Mick aveva lasciato il posto a Zaman Druce, lo stesso che Mick aveva fronteggiato una volta, lo stesso che l’aveva trovato abbandonato, lo stesso che aveva addestrato Rip Hunter.
Osservava i ricordi che lentamente raccoglieva, non seguivano un ordine cronologico ma non era importante, ogni cosa, anche la più piccola, faceva parte di uno schema più grande che il Signore del Tempo aveva ben chiaro in mente, c’era molto da lavorare, fortunatamente avevano tutto il tempo che serviva loro.
 
Da quando Mick lo aveva salvato Len non aveva più lasciato il suo fianco, non che avesse ancora bisogno di protezione, nessuno osava avvicinarsi a lui per timore di Mick, semplicemente era diventato la sua ombra. C’era qualcosa nel ragazzino che Mick non riusciva a spiegarsi, qualcosa che gli diceva di tenerlo dalla sua parte, che non era saggio averlo come nemico.
«Davvero, Len? Questa è tutta la forza che metti in un pugno?» Non che come nemico in quel momento sarebbe risultato pericoloso. Mick sollevò di nuovo il cuscino che teneva tra le mani all’altezza del torace. «Ancora.» Disse soltanto mentre il più giovane prendeva a pugni il suddetto cuscino cercando di imitare al meglio quello che Mick gli aveva mostrato.
Sei mesi dopo le cose erano decisamente migliorate e il ragazzino sarebbe stato in grado di difendersi da solo.
«Ora sarò in grado di difendere anche Lise quando sarò fuori di qui.» Aveva detto fin troppo eccitato dalla cosa.
“Ogni cosa che tocco finisco col bruciarla.” Pensò prima di prendere dalle spalle Len per uscire dalla stanza. «Se avrai bisogno di una mano col tuo vecchio conta su di me.» “Non questa volta. Non loro.”
 
Il fuoco cancella ogni cosa, distrugge e ricrea dalle sue ceneri. Mick non ricorda a che età si è innamorato del fuoco ma sa che non può farne a meno. Il fuoco è caldo, è sicurezza e protezione, come una soffice coperta nelle notti invernali. Eppure il fuoco è indomabile, puoi controllare un caminetto, puoi controllare un fornello, una sigaretta, a volte un fiammifero o un accendino graffiato, ma non sempre. Il fiammifero si accorcia in fretta, il giovane Mick lo lascia cadere e ne accende un altro, si accorcia, cade anche quello, è un ciclo continuo finché un fiammifero non cade prima del tempo e ogni cosa svanisce.
Mick non voleva quello. Non voleva ucciderli. Non voleva bruciare ogni cosa. Il fuoco gli aveva tolto tutto ciò che aveva ma nonostante quello, nonostante la paura, Mick continuava a cercarlo.
 
Don se lo era meritato. Si era meritato di bruciare, si era meritato il fuoco che lambiva le tende, i tappeti, i vestiti e la pelle. Mick era rimasto in piedi davanti alla sua casa, l’accendino stretto nella mano e gli occhi fissi sulle fiamme che si alzavano al cielo.
Il fuoco era vendetta. Una vendetta lenta, attesa e progettata per lunghi anni, Don era quel bulletto stupido a cui Tyler voleva dare un pugno, il bambino che lo aveva chiuso in una cella frigorifera, che lo aveva costretto al freddo, Mick lo costrinse al fuoco.
«Se lo meritava.» Fu l’unica spiegazione che diede, la famiglia adottiva con cui era in quel periodo non cercò di difenderlo, non lo andò a trovare, semplicemente lo abbandonò come Mick già sapeva che avrebbero fatto, non gli importava, alla fine tutti lo abbandonavano, alla fine ogni cosa che toccava finiva col bruciare.
Fu allora che conobbe Leonard.
 
«Non c’è nessuno che ti aspetta.» Furono quelle le prime parole che Mick sentì quando riprese conoscenza, sapeva di aver già sentito quella voce ma non ricordava dove né quando, non tentò di sollevarsi dal letto, le cinghie erano ancora strette attorno ai suoi polsi, la testa pesante, aprì gli occhi cercando inutilmente di mettere a fuoco lo schermo sulla sua testa.
“Non era lì prima.” Pensò guardando l’immagine sfuocata dell’uomo. “O forse sì?” Ogni cosa attorno a lui era confusa, nella sua testa le cose non andavano meglio, sapeva di aver sognato ma non ricordava cosa, non ricordava di essersi addormentato, non ricordava perché fosse lì. Ovunque fosse.
«Nessuno ti cerca. A nessuno importa di te.»
Len. Lisa. Ty.”
«No. L’hai ucciso.» Lo corresse il Signore del Tempo, Mick non sapeva se era in grado di leggere nella sua mente o se inconsciamente avesse parlato ad alta voce senza sentirsi, l’unico suono era la voce calma e controllata dell’uomo, nessun movimento nella stanza, niente fuori, lo schermo era silenzioso anche quando il collegamento sembrava saltare, il letto non cigolava sotto il suo peso mentre si muoveva, c’era solo la sua voce.
«L’amore, il senso di colpa, sono tutte cose inutili Signor Rory.» Se Mick fosse riuscito a vedere chiaramente il suo volto probabilmente lo avrebbe paragonato ad un’inquietante stregatto, Druce sorrise nuovamente dall’altro lato dello schermo, abbassò lo sguardo sulla pulsantiera posata sulla scrivania e pigiò alcuni tasti.
«Senza è tutto molto più semplice. Senza ricordi non si ha nulla per cui sentirsi in colpa.»
Lo schermo si spense e lentamente le luci nella stanza si affievolirono fino a spegnersi. Con esse, lentamente uno dopo l’altro, i volti della sua famiglia svanirono dalla sua mente, poi scomparvero i nomi, ogni ricordo a loro collegato, il fuoco che aveva avvolto la casa in campagna, Mick avrebbe voluto afferrare quel ricordo come se fosse reale e tangibile, stringerlo prima che svanisse come tutto il resto nel buio.
Per ultimo svanì il calore che il fuoco aveva portato con sé, Mick sentì il gelo penetrargli lentamente nelle ossa, iniziò dalle dita per poi risalire lentamente verso il petto e da lì espandersi ovunque, sentì il freddo muoversi dentro di lui, prendere il posto del sangue e scivolare indisturbato nelle vene lasciando dietro di sé una sensazione di vuoto. Lo sentì entrare nei polmoni, riempirli e prendere il posto dell’aria, soffocarlo lentamente nella sua morsa gelida.
«Non c’è nessuno che ti aspetta.»
Il Vuoto lo prese con sé e per la prima volta nella sua vita tutto ciò che provò fu pace.




Angolino dell'Autrice: Terzo capitolo finalmente sei arrivato a destinazione, quasi completamente concentrato sui ricordi di un giovane Mick, sappiamo che Gideon può monitorare i sogni quindi immagino che anche i Signori del Tempo abbiano quel tipo di tecnologia, oltre che un modo per scatenarli. E quale modo migliore di eliminare i ricordi se non questo?  Riportarli a galla per poi cancellarli, giusto per lasciare ancora di più quel senso di vuoto che per quanto ti sforzi non puoi riempire..
... Non dovrei divertirmi così tanto a torturare Micky... è sbagliato. xD
Alla prossima ;)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 4
*** Chapter 04 ***


Chapter 04

 

«Non l’hai ucciso.» Era un’affermazione, Leonard si fermò davanti alla porta aperta della sua stanza ma non rispose. «Va contro il tuo codice.» “E non uccideresti l’unica persona che ti conosce più di chiunque.” Non lo disse ma era sottinteso nel tono che aveva usato.
«Ho fatto quello che dovevo fare.» Entrò lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui lasciandolo solo, era trascorsa un’ora, forse anche di meno, e la sensazione di aver preso la decisione sbagliata era sempre più opprimente.
«Tornerò a prenderti.» Promise a mezza voce prima di tornare ad indossare la maschera di Captain Cold, quelle cosiddette Leggende volevano credere che aveva ucciso il suo partner? Ottimo, lui non avrebbe fatto nulla per smentirlo.
 
 
Quando Mick si svegliò sentiva che c’era qualcosa di strano ma non sapeva decidere cosa fosse. Mancava qualcosa, qualcosa di importante, quasi fondamentale ma più ci pensava e meno riusciva a capirlo. La stanza era uniforme, lo schermo era svanito esattamente come la porta e, dopo diversi minuti, un’altra porta sul muro davanti a lui si aprì, nessuno gli disse cosa fare, nessuno gli disse se poteva entrare o meno, lo fece per mera curiosità, o quantomeno ci provò.
Alzarsi dal letto e restare in equilibrio in piedi sembrava improvvisamente una delle cose più complicate che avesse mai fatto, era come se il suo stesso corpo gli fosse estraneo, come se restare in piedi fosse qualcosa di impossibile per lui. Quando finalmente vi riuscì sembravano essere passate ore, era convinto che la parte più difficile fosse finita, invece cadde nuovamente in ginocchio nel momento in cui cercò di muovere un passo. La porta era rimasta aperta tutto il tempo davanti a lui, non sapeva se lo stesse chiamando, invitandolo ad attraversarla o se lo stesso osservando divertita davanti alla sua incapacità di restare in piedi.
Potevano essere passate ore come potevano essere stati solo minuti, non aveva modo di calcolare il tempo lì dentro, dall’altra parte della porta c’era una stanza piccola, come se fosse uno sgabuzzino, un tavolino metallico contro al muro e uno specchio. Un accendino arrugginito era stato lasciato lì incustodito insieme ad un coltellino, Mick ghignò a quella vista.
«Finalmente si ragiona.» Disse avvicinandosi e prendendo l’accendino in mano, lo aprì e lo accese, la fiamma era piccola, probabilmente era troppo vecchio e scarico, alzò lo sguardo osservando il riflesso allo specchio. Per un attimo rimase concentrato solo sul riflesso della debole fiammella come accadeva sempre quando il fuoco era coinvolto, quando finalmente lo sguardo riuscì ad andare oltre e osservò il suo riflesso nello specchio capì da dove arrivava la sensazione che aveva avuto svegliandosi.
Lasciò l’accendino sul tavolo e si sfilò la maglia solo per aver maggior conferma di ciò che aveva visto sulle braccia. Ogni cicatrice, ogni bruciatura che aveva definito chi era Mick Rory era di colpo scomparsa.
«Cosa mi avete fatto?» Si ritrovò a domandare ma nessuno rispose, la stanza restava silenziosa, sembrava quasi che avessero perso ogni interesse in lui. Continuò a fissare lo specchio mentre un inusuale terrore si faceva strada dentro di lui. Ognuna di quelle bruciature aveva definito la sua persona, gli avevano rivelato chi era veramente, ed ora era andato perso.
Come i tatuaggi, anche le cicatrici raccontano una storia e gran parte del suo corpo ne era coperto, fino a quando non si era addormentato erano lì, Mick ne era più che certo nonostante quella certezza stesse vacillando pericolosamente nel momento in cui si rese conto di non ricordare quando si era addormentato.
Ispezionò a fondo il palmo di entrambe le mani trovandolo liscio come non era stato da quando era giovane, la prima bruciatura era stata proprio lì, poche ore dopo l’incendio che aveva distrutto la casa di campagna.
“La mia casa?” Pensò confuso, scosse la testa decidendo che per quel pensiero ci sarebbe stato tempo, la cosa importante in quel momento erano le cicatrici. O la loro assenza.
I vigili del fuoco spegnevano le fiamme velocemente prima che si espandessero al campo dietro la casa, il giovane Mick li guardava seduto sul retro di un’ambulanza, frugò distrattamente nelle tasche della felpa estraendo una piccola scatola di fiammiferi, la stessa che stava usando prima che l’incendio scoppiasse. Ne prese uno, lo accese e lo fissò finché non si bruciò completamente spegnendosi sulle sue dita. Passò ad un secondo e un terzo. Al quarto posò la scatola sul pavimento metallico e tenne il fiammifero contro il palmo della mano, il calore rimase circoscritto in quel punto e quando si spense lasciò dietro di sé solo il ricordo. Mick si guardò rapidamente intorno, tutte le persone presenti correvano da un lato all’altro, i medici lo avevano lasciato solo. Con un saltello scese a terra, infilò la scatolina nuovamente in tasca e dopo aver controllato nuovamente che nessuno stesse guardando nella sua direzione iniziò a correre lasciando la sua vecchia casa dietro di sé senza mai voltarsi. Solo una volta lontano si fermò e il primo istinto fu di tenere tra le mani il piccolo fiammifero finché una bruciatura tonda non comparve sul suo palmo, non era troppo dolorosa, non era abbastanza dolorosa, meritava di peggio, li aveva uccisi. “Chi?” Li aveva lasciati morire nella disperata ricerca di un po’ più di calore.
La bruciatura era scomparsa. Mick guardò l’accendino per un attimo, lo accese e lo avvicinò al palmo, non si era accorto fino a quel momento di quanto quel calore gli fosse mancato, chiuse gli occhi beandosi di quel momento come se fosse una delle cose migliori che gli fossero mai capitate, il dolore era sopportabile, la fiamma troppo piccola, ma una nuova bruciatura comparve sulla sua pelle prendendo il posto di quella che doveva esserci, il fuoco era parte di lui, il fuoco aveva definito chi era. Ma quello non era abbastanza, era solo un piccolo, minuscolo segno sulla sua mano e quel vecchio accendino non sarebbe mai stato in grado di ricreare l’opera che il capanno in fiamme aveva compiuto sull’80% del suo corpo.
“Chi sono?” La domanda sorse spontanea nella sua mente, aveva vissuto così a lungo con un corpo sfregiato da non riuscire a ricordare un momento in cui non era stato così. Ricordava di aver intimato Gideon, sulla Waverider, di non toccare nessuna delle cicatrici ogni volta che era costretto a passare in infermeria, e così era stato, ma non era sulla nave, non più. Il suo sguardo si posò sul coltello, lo sollevò rigirandoselo tra le mani, sembrava vecchio proprio come l’accendino ma la lama era affilata e scintillante.
Ricordava la posizione di ogni singola cicatrice, le aveva guardate talmente a lungo da averle memorizzate, aveva imparato a non guardarle soltanto ma ammirarle come piccole opere. La lama scintillò nuovamente sotto la luce accecante, stavolta con una tinta rossa. Solo un paio delle cicatrici originali erano state provocate da un coltello, solo quelle che era stata la sua mano a fare mentre la vocina spaventata di una piccola Lisa lo pregava di smettere e al contempo chiamava il fratello, Snart non era lì a fermarlo, Lisa non lo pregava di smetterla con gli occhi grandi e spaventati di bambina, nessuno lo avrebbe fermato, anche perché a nessuno importava di lui.
Le cicatrici avrebbero impiegato qualche tempo a formarsi ma per il momento sarebbe stato sufficiente, quel corpo che vedeva riflesso nello specchio iniziava a somigliare nuovamente a quello che era davvero. Raccolse la maglia che aveva abbandonato a terra e la infilò fissando l’accendino mentre un’idea si faceva strada nella sua mente, non sarebbe stato abbastanza forse ma sarebbe stato quantomeno un inizio. Avvicinò la fiammella alla manica e attese pazientemente. Quando finalmente il fuoco si attaccò alla stoffa il gioco era fatto, sentì il calore espandersi lentamente, bruciare la maglia e attaccarsi alla pelle, Mick chiuse gli occhi sorridendo, immaginò che l’intera stanza attorno a lui fosse invasa dalle fiamme, non era possibile poiché l’unica cosa in grado di bruciare in quella stanza era lui, e lui soltanto. Immaginò le fiamme danzare davanti ai suoi occhi, muoversi sinuose ed eleganti e letali, le immaginò avvicinarsi, lambire il suo corpo in carezze roventi, plasmarlo fino a creare ciò che era davvero Mick Rory. Le persone andavano e venivano, le amicizie si spezzavano, i rapporti finivano con una parola o un gesto di troppo, il fuoco invece era eterno, il fuoco era l’unica cosa che non l’aveva mai abbandonato dal giorno in cui lo scoprì, il fuoco non lo avrebbe mai tradito, non importava quanto potesse bruciare o quanto lo avvolgesse.
Quando riaprì gli occhi le fiamme erano svanite, il loro calore solo un lontano ricordo ormai, non ricordava quando si era spostato sul letto e ultimamente accadeva spesso che non ricordasse qualcosa di così banale. C’era un tavolino accanto al letto che non c’era la volta precedente, l’accendino e il coltello erano posati su di esso. Lo schermo era nuovamente calato sul muro, come se i Signori del Tempo si fossero ricordati della sua presenza.
«Ho solo una domanda.» Disse l’uomo con la solita pacatezza e il sorriso di chi conosceva già la risposta. «Chi sei?»
Mick inclinò la testa leggermente, lo guardò come se fosse stupido prima di pensare che magari era un trabocchetto, magari era una specie di codice assurdo per avere qualche informazione precisa da lui, lasciò passare un minuto pensando a cosa rispondere.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel 1970.» Disse infine in modo quasi meccanico, qualunque informazione volessero da lui avrebbero dovuto fare di meglio per ottenerla, di certo non chiedendogli chi fosse. Al contrario delle aspettative il Signore del Tempo non cambiò espressione, al contrario sembrò quasi soddisfatto dalla risposta.
«Ne sei davvero sicuro?» L’immagine scomparve lasciando al suo posto uno specchio, non impiegò a lungo per capire cosa non andasse questa volta, le ferite e le bruciature del giorno prima erano scomparse, ancora una volta. Rimase ad osservare l’immagine per pochi secondi prima di voltare la testa di scatto, afferrare il coltello e l’accendino e farli cadere sul letto.
La prima volta che Lisa l’aveva visto con un coltello insanguinato in mano e un taglio sull’avambraccio si era giustificato semplicemente dicendo che era stato un incidente mentre cucinava la loro cena, quella sera era stata la verità, ma non le altre, il senso di colpo per l’incendio che aveva distrutto la sua famiglia non svaniva negli anni, si rafforzava, le radici si facevano più profonde.
Nel presente aveva dimenticato il perché di quelle cicatrici svanite, aveva dimenticato la famiglia che urlava tra le fiamme chiedendogli aiuto mentre lui restava incantato ad osservare la loro danza di morte, aveva dimenticato ma non capiva perché, né come. Nel presente quelle cicatrici senza più una ragione erano una delle poche cose che lo teneva ancora intero.
La lama affondava quel che bastava perché una volta guarita potesse restare la traccia chiara, la fiamma lambì la manica e si allargò sulla schiena, si attaccò caparbia al lenzuolo avvolgendolo.
Il lenzuolo era intoccato quando si svegliò, i due strumenti ordinatamente posati sul tavolinetto e lo schermo davanti a lui.
«Chi sei?» Mick sapeva dentro di sé che c’era qualcosa di strano, come un inquietante déjà-vu di quel momento.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City nel 1900… qualcosa.» Esitò incapace di ricordare l’anno esatto, il Signore del Tempo si limitò a sorridere, lo schermo si spense mostrando la sua immagine, pochi secondi e il sangue gocciolava sul lenzuolo che attendeva di prendere fuoco come se già conoscesse la sua sorte, Mick non capiva se la mano che reggeva il coltello tremasse per rabbia o per paura, non capiva nemmeno di cosa avrebbe dovuto aver paura. Il fuoco abbracciò ogni cosa che poteva toccare, vestiti, lenzuola, pelle, fino a trascinarlo nell’oblio.
«Chi sei?» Mick sapeva del tavolino, del lenzuolo bianco e i vestiti puliti, sapeva dello schermo calato e della voce che gli poneva quella domanda. E sapeva la risposta senza pensarci, era sempre più automatico.
«Il mio nome è Mick Rory, nato appena fuori Central City.» Mancava qualcosa, qualcosa che non riusciva ad afferrare, non aspettò che lo schermo si spegnesse, istintivamente abbassò lo sguardo sulle braccia.
“Perché lo fate? Perché continuate a togliere ogni cosa?” Le parole morirono in gola, le mani tremavano mentre afferrava l’accendino e lo passava sulla lama del coltello. Quando la terza famiglia adottiva si accorse dei tagli e delle nuove bruciature che ogni tanto comparivano sul suo corpo lo guardarono con disprezzo, una settimana dopo era ancora tra le mura di quel piccolo e sovraffollato orfanotrofio nel cuore della città.
Zaman Druce dall’altro lato dello schermo ghignò compiaciuto mentre il fuoco bruciava ogni cosa, si alzò lasciando il posto a un altro, una volta sulla porta si voltò verso il collega che osservava disgustato la scena.
«Lascia che bruci.» Disse senza dar peso al verso ancor più schifato dell’uomo. «Poi resetta.» E abbandonò la stanza, dopotutto Mick Rory non era l’unico paziente di cui doveva occuparsi.




Angolino dell'Autrice: Uff!! E' stato un parto questo capitolo, specialmente per il fatto che non ne volesse sapere di restare come avevo deciso, sono andata avanti per giorni a scrivere, cancellare e riscrivere finchè oggi non mi sono messa lì a concluderlo lasciando che prendesse la strada che voleva senza più cercare di impormi... (Odio quei capitoli che hanno vita propria... e al tempo stesso li amo, quando ho il tempo di scriverli tutti in una volta.)
Per l'anno di nascita vista la confusione che fanno nella serie ho deciso di tenere lo stesso dell'attore, almeno sono sicura non sbagliare o dimenticarmelo.
Spero di non esserci andata troppo dura, l'idea era che avesse solo l'accendino (e me lo sono ritrovata con un coltello in mano... D: ) e di non aver disturbato nessun lettore, nel caso mi scuso per questo!! >.<
Grazie di essere arrivati fin qua, al prossimo capitolo!  (Mick: vuoi dire "Alla prossima tortura.", giusto? No perchè io lo traduco in questo modo...)

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 5
*** Chapter 05 ***


Chapter 05
 


Ogni volta che apriva gli occhi ogni cosa era come la volta precedente, come se il tempo non fosse mai trascorso, come se fosse stato tutto un sogno. Ogni volta le nuove bruciature che era certo di essersi fatto erano svanite, ogni volta lasciava che il fuoco lo avvolgesse in nuovi modi, più caldo, più vicino, più letale. Ogni volta non era mai abbastanza.
Poi c’erano i sogni veri, quelli simili a dei ricordi ma non chiari abbastanza da essere effettivamente ricordi. Quelli coi volti sfumati o talvolta senza volto, quelli in cui le persone non avevano nomi eppure dentro di sé sapeva di conoscerli, spesso anche molto bene. Amici, famiglia, ogni cosa sfumava nella nebbia e quando si risvegliava l’uomo dall’altro lato dello schermo, a volte lo stesso, a volte no, ripeteva sempre la stessa domanda, «Chi sei?», con un sorriso sempre più compiaciuto ogni volta che Mick rispondeva.
«Il mio nome è Mick Rory, sono nato a Central City.» Esitò per qualche istante, corrugò la fronte e distolse lo sguardo dallo schermo prima di aggiungere «Credo.» in tono sommesso.
Quello che seguì era diverso dal fuoco quanto piuttosto più simile a tanti minuscoli aghi impiantati nel suo corpo, il dolore si espanse velocemente lasciandolo ben presto in uno stato di torpore.
«Chi sei?»
Mick deglutì, un innaturale senso di paura si fece strada nelle sue viscere quando la voce parlò, come quando a scuola ti viene fatta una domanda a sorpresa e non sei sicuro della risposta giusta, ma vuoi tentare comunque. E Mick tentò.
«Il mio nome è Mick Rory, sono nato…» Si bloccò, gli occhi spalancati in un’espressione di terrore, deglutì nuovamente mentre la mente scavava sempre più a fondo alla ricerca della risposta.
“Dove? Dove? Dove?” Era diventato quasi un mantra, non c’era altro che riuscisse a domandarsi se non quello. Dove? Il Signore del Tempo appoggiò una mano sulla scrivania accanto ai comandi in attesa.
«… Non ricordo dove. Né quando.» Non si stupì di vedere l’uomo sorridere, si passò le mani sul viso continuando a scavare nella mente alla ricerca di qualcosa che non era più lì. Più a fondo scavava e più i ricordi si facevano annebbiati e lontani, le voci che un tempo avrebbe riconosciuto in un batter d’occhio erano delle perfette sconosciute, le canzoni che da bambino amava ascoltare non erano altro che musica e parole senza significato né interesse.
“Dove?” Quella parola era diventata l’unica costante, chiuse gli occhi, li strinse, si coprì completamente il volto con entrambe le mani, si rannicchiò sul letto con le ginocchia strette più possibile al suo corpo.
Il Signore del Tempo diede solo un paio di istruzioni al computer prima di abbandonare la stanza.
Lo schermo si spense e con esso anche ogni luce nella stanza, Mick sbirciò intorno a sé attraverso le dita, come un bambino spaventato, si azzardò ad abbassare le mani quando si rese conto che la stanza era vuota e buia, erano passati anni dall’ultima volta in cui si era sentito in quel modo, non sapeva nemmeno bene come definire quella sensazione, smarrimento? Paura? Per un istante gli parve di essere tornato il ragazzino quindicenne che nonostante l’età e la stazza si rintanava nell’armadio della camera per sfuggire al padre che rientrava ubriaco. Di tutte le famiglie che aveva avuto negli anni che seguivano l’incendio quella era la peggiore, non era nemmeno certo del perché lo avessero preso con loro e alla fin fine non importava davvero, erano come tutti gli altri, non ascoltavano, non capivano, fingevano che potesse importare loro qualcosa di lui ma Mick sapeva la verità, non importava, non era importante per nessuno al mondo, le uniche persone che lo avevano in considerazione erano morte a causa sua. E il padre, quel padre, non si faceva di certo tanti problemi a mettere in chiaro quanto fosse desiderato.
Mick si spinse contro la spalliera del letto, lasciò vagare lo sguardo nell’oscurità, sobbalzò al suono di una porta che si apriva, gli occhi scattarono sulla parete su cui l’ultima volta aveva visto la porta ma non vide nulla se non il muro liscio, il rumore della porta che cigolava sui cardini e si chiudeva arrivò forte e chiaro, l’uomo osservò le altre tre pareti con la stessa inquietudine di bambino, la chiave girava rumorosamente nella toppa, si strinse se possibile di più contro la spalliera, lo scalpiccio trascinato dei piedi si avvicinò, un passo dopo l’altro, inesorabile.
«No…» La voce che uscì dalle sue labbra non era sua, deglutì, si portò le mani davanti per proteggersi meglio, sembravano così piccole rispetto a come ricordava, erano piccole, esattamente come la voce.
«La scuola ha chiamato ancora.» Mick si lasciò scappare un breve singhiozzo, si riparò con le braccia mentre lo scalpiccio si fermava accanto al letto.
«Non ho fatto niente…» Ribatté il quindicenne, perché non poteva essere nessun altro, perché non era più Mick, era solo un bambino spaventato senza un passato.
Le luci si riaccesero di colpo, ogni angolo della stanza venne illuminato di un bianco accecante, Mick si coprì gli occhi con la mano, non era in grado di distinguere la realtà dai sogni, non più ormai.
«Chi sei?» Lo schermo era spento quando Mick lo guardò, la voce sembrava arrivare da ogni angolo della stanza, o forse era direttamente nella sua testa. Aprì la bocca per rispondere e si fermò qualche istante dubbioso.
«Chi sei?» Il Signore del Tempo sembrava ridere di quell’incertezza, senza un’effettiva risata, era qualcosa solo nella voce, qualcosa che Mick non sapeva definire, qualcosa che doveva avere un nome ma in quel momento non gli veniva.
«Il mio nome è… Michael.» Mormorò, sapeva che mancava qualcosa, mancava un cognome, mancavano altri dettagli che avrebbero potuto definire chi era davvero ma in quel momento sembravano non esistere. Era solo Michael.
Michael era un nessuno, nessuno di importante, nessuno che sarebbe mancato a chiunque lo conoscesse, come se ci fosse qualcuno al mondo a cui importasse qualcosa di lui.
“Lenny.” La mente si fermò su quel nome, uno dei pochi che ancora sembravano avere un volto, uno dei pochi nomi che forse appartenevano a qualcuno di reale. Lenny. Lenny. Lenny. Eppure per quanto potesse apparire reale Michael non sapeva nient’altro di questo Lenny, solo il volto e il nome. Non sapeva perché fosse nella sua mente eppure si aggrappò ad esso con tutte le sue forze come se fosse l’unica salvezza che aveva.
Forse quel Lenny era con lui, forse no, forse lo stava cercando, forse no, forse era qualcuno per cui Michael era importante, forse era qualcuno che lo aveva abbandonato.
 Michael scattò in piedi a quel pensiero, spalancò gli occhi nella realizzazione della verità. Abbandonato. Ogni cosa tornò ad avere senso in quel momento.
Dovevano fermare uno psicopatico immortale, dovevano salvare il mondo, diventare eroi, leggende, ma non lui. Lui non era previsto, lui era una specie di danno collaterale, Rip non aveva detto quelle esatte parole ma il significato era quello. Lui non era previsto. Non sarebbe diventato un eroe, non che Mick lo volesse, non sarebbe mai stato nessuno per il mondo come non lo era mai stato in passato. Era un’ombra che cerca di allungarsi e prendere con sé tutto il resto, una scintilla che attende il momento giusto per esplodere, una fiammella che non aspetta altro che crescere e distruggere ogni cosa al suo passaggio.
Non era destinato ad essere un eroe, non era destinato ad essere ricordato, voleva tornare a casa. Così era stato abbandonato, lasciato indietro da quel Lenny a cui la mente si aggrappava. Non gli aveva dato il tempo di spiegare, non l’aveva ascoltato, forse Michael non aveva chiesto di essere ascoltato, non lo sapeva, non ricordava, ma non importava, in fondo Lenny come tutti gli altri in passato non avrebbe ascoltato.
«E tu potrai andare a casa.» Qualcuno gli aveva detto quelle parole, quell’uomo che vedeva nello schermo a volte, non sapeva il nome, ma gli aveva promesso di lasciarlo tornare a casa. La mente lasciò andare il nome e il volto di Lenny e si appigliò alla promessa di un volto ghignante senza nome.
Lenny era ancora lì, tranquillo nel suo tradimento, Michael concentrò ogni frammento di rabbia verso di lui, l’odio, la furia, la pazzia, il fuoco, riversò ogni sentimento che provava in quel momento su quel nome, su tutto ciò che significava, su ciò che era stato in passato, su ogni ricordo che in quel momento riaffiorava solo per essere spazzato via nuovamente.
E quando ogni briciola si fu concentrata su Lenny la mente si fece bianca, dello stesso bianco accecante della stanza. L’odio, la rabbia, il fuoco, ogni cosa svanì. Lenny, la missione suicida, Rip Hunter, la squadra, il bianco inglobò ogni cosa.
La vide arrivare nella forma di un piccolo puntino azzurro, una scia che dal nulla era schizzata contro di lui come un proiettile invisibile, non provò dolore nel momento dell’impatto, una scossa gli attraversò la testa, si espanse in tutto il corpo, nervi, muscoli, Michael non urlò mentre cadeva in mezzo alla stanza, mentre il dolore ora si attaccava ad ogni cellula e le distruggeva lentamente. Strinse gli occhi riverso sul pavimento con lo sguardo al soffitto, l’ultimo pensiero che il nulla distrusse fu l’odio e quando anche quello svanì Michael rimase immobile.
«Chi sei?» L’uomo parlò dopo dieci minuti che lo schermo venne acceso, erano rimasti fermi a fissarsi, a studiarsi, il Signore del Tempo seduto alla sua scrivania lucida, con le mani incrociate, in attesa, Mick seduto sulle coperte bianche del letto, le gambe distese e le mani su di esse, immobile come una statua, impassibile. Pensò alla risposta, pensò a chi fosse, senza muovere un muscolo.
«Non lo so.» Disse in tono neutrale, senza reagire all’assurdità della situazione, la mente non scavò per scoprire chi fosse, rimase silenziosa e immobile. «Non sono nessuno.» Il Signore del Tempo sorrise, Mick non si domandò il perché, la porta si aprì, un uomo apparve sulla soglia, gli fece cenno di alzarsi e seguirlo e Mick obbedì senza domande, si mosse in automatico senza più degnare di uno sguardo lo schermo.
«Informate Declan che il Cacciatore è pronto all’addestramento.»




Angolino dell'Autrice: Mi dispiace incredibilmente del ritardo! Ho avuto un blocco pauroso, poi dovevo completare un disegno molto molto molto importante in davvero poco tempo e farlo uscire il più perfetto possibile. E così ogni volta il capitolo slittava avanti, fino ad oggi in cui ho deciso di mettermi lì d'impegno e dare il meglio. Ho scovato un paio di playlist strumentali che hanno aiutato non poco nella scrittura (incredibile quanto la musica possa influenzare, sono arrivata al punto che seguivo il ritmo, scrivevo più velocemente quando la musica era veloce e rallentavo quando rallentava!). Anyway, eccoci qui. La prima parte di rebirth è finita, ora inizia la seconda, si spera con qualche interazione umana più consistente per il nostro Micky.
Spero che fino ad ora vi sia piaciuta,  e che continuiate a seguirla!
Thanks

Aki Out

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Capitolo 6
*** Chapter 06 ***


Chapter 06



 
Mick non contò quante persone, uomini e donne tutti con vestiti semplici e chiari come i suoi, fossero nella stanza quando entrò, loro non fecero caso alla porta che veniva aperta e al nuovo arrivo, continuavano a muoversi e a combattere gli uni contro gli altri. Il Signore del Tempo che lo aveva condotto lì non disse nulla, non gli diede istruzioni, si voltò ed uscì dalla stanza mentre Mick li osservava.
“Pecore.” Fu il primo pensiero che gli attraversò la mente, sembravano un gregge disordinato, disorganizzato, senza uno scopo preciso, senza un piano.
Uno degli uomini cadde e rimase immobile, nessuno si curò di lui, passarono ad altri, continuarono a combattere impassibili, due guardie si avvicinarono e presero il corpo allontanandosi.
Non c’era ombra di rabbia nei movimenti, non c’era odio, non c’era nulla, si muovevano, attaccavano come automi, come se non avessero altri stimoli se non quello, Mick non riusciva a vedervi nemmeno spirito di sopravvivenza. Almeno finché non notò una donna nell’angolo opposto a lui, era completamente vestita di nero ma non sembrava una guardia quanto più una come lui, come tutti loro, teneva la schiena dritta appoggiata al muro, le braccia conserte strette davanti a sé e gli occhi non si staccavano un istante dal gregge impazzito al centro della stanza, li studiava con avidità, non perdeva nessuna delle mosse, il suo sguardo incrociò quello di Mick, non fu sorpresa, probabilmente l’aveva visto entrare, forse si aspettava di vederlo unirsi alla massa come accadeva sempre, forse non pensava che qualcun altro a parte lei restasse immobile a studiare gli altri. E fu lei a fare il primo passo, si staccò dal muro e attraversò la stanza di corsa, veloce e agile scivolando tra quelli che tentavano di scappare e chi cadeva, Mick si preparò all’impatto quando fu vicina abbastanza, nessuno dei due sapeva come l’altro si sarebbe mosso, nessuno sapeva come l’altro potesse pensare o agire. Tre minuti dopo la schiena toccò il pavimento con un rumore secco, la donna rimase ferma in piedi sopra di lui, le gambe divaricate e i piedi contro i suoi fianchi per bloccarlo, gli occhi erano diversi da quelli che Mick aveva intravisto dagli altri uomini nella stanza, avevano una particolare scintilla che non sapeva descrivere, la mente era ancora troppo vuota per poter trovare le parole giuste, non era rabbia, non era odio e non riusciva ad avvicinarla nemmeno al fuoco, era qualcosa di totalmente nuovo. A differenza degli altri la donna rimase ferma su di lui, non cercò di dargli il colpo di grazia, non cercò di avere la meglio, attese semplicemente, Mick fu quasi certo che, per un momento, il suo sguardo fosse cambiato come ad invitarlo a contrattaccare. Non se lo fece ripetere due volte, si mosse, non agile quanto lei ma comunque veloce quanto bastava per la situazione e si rimise in piedi caricando contro la donna spingendola verso l’altro lato della stanza, nel parapiglia centrale nessuno diede peso a loro che continuavano a scambiarsi di ruolo senza mai cercare di avere completamente il controllo l’uno sull’altro, come se fosse un gioco.
Il Protocollo Omega era il vanto di Declan, aveva addestrato personalmente la Pellegrina rendendola una delle sue armi più letali, la lasciava nella sala d’addestramento di tanto in tanto, qualcuno osava fare una mossa contro di lei, e solitamente quel qualcuno veniva eliminato dopo pochi secondi. Quel giorno l’aveva fatta entrare con una promessa.
«Troverai qualcuno alla tua altezza.» Aveva detto, la Pellegrina aveva semplicemente annuito impassibile mentre chiudeva la giacca nera e superava una delle guardie verso la stanza, era rimasta immobile ad osservare i candidati per quasi due ore prima di posare lo sguardo su Mick. Nel momento in cui avevano iniziato a combattere Declan sapeva che si stava muovendo nella direzione giusta, presto sarebbero stati una coppia letale, dopotutto era ciò che il Tempo gli aveva mostrato.
Nel giro di un paio di sessioni l’ultimo arrivato si era rivelato uno dei migliori, dalla sua scrivania davanti al monitor Declan sorrideva soddisfatto, la Pellegrina aveva iniziato ad addestrarlo personalmente e quando non era presente lui restava immobile contro al muro osservando gli altri che si spintonavano e cercavano di avere la meglio. Di tanto in tanto qualcuno si avvicinava a lui, un attimo dopo era a terra mentre Mick si era mosso di qualche centimetro soltanto. Senza di lei quella sala aveva perso ogni interesse dal momento che non vi era mai nessuno alla sua altezza.
«Vieni.» Mick non aveva mai più tentato di calcolare lo scorrere del tempo, dopo i primi giorni durante i quali a quel tentativo otteneva solo confusione, aveva imparato che il tempo in quel luogo era relativo, quegli uomini dagli abiti scuri che li controllavano decidevano quando era ora di smettere e quando iniziare, una parte di lui osare azzardare che il tempo avesse smesso di esistere. Si alzò dal punto in cui la Pellegrina l’aveva atterrato per l’ennesima volta e la osservò, osservò ogni movimento, osservò lo sguardo, studiò la voce che parlava così di rado da non saperla ancora riconoscere. Ma nonostante tutti gli interrogativi, nonostante la sensazione di pericolo che la donna emanava, la seguì.
La guardia alla porta non lo fermò pur scoccandogli un’occhiata incerta.
“Disapprovazione.” Tradusse in automatico la mente, qualcosa gli diceva che stava infrangendo una qualche regola che nessuno si era preso la briga di elencargli. La stanza in cui si fermò dopo diversi corridoi tutti uguali, bianchi e sterili, era piccola, aveva solo un lettino simile a quello di un ambulatorio medico, e un macchinario strano che Mick non aveva mai visto.
«Addestrarti è una cosa.» La voce era bassa come ogni volta che aveva parlato, non lasciava trapelare alcuna emozione, quasi non ne avesse. «Ma la forza bruta non è tutto. Declan vuole un Cacciatore ma tu non sarai solo questo.» Fece un cenno verso il letto mentre accendeva il macchinario e, una volta carico, lo collegava ad un casco che gli aveva passato.
«E questo» Mick indicò con un gesto vago della mano il casco guardandola con la coda dell’occhio da sotto il visore che si illuminò di un tenue azzurro. «Questo mi mostrerà cosa, esattamente? Il mio scopo?» C’era un che di derisorio nel suo tono, la Pellegrina si limitò ad arricciare le labbra in quello che poteva sembrare, se lo si guardava con attenzione, un sorriso.
«No. Questo è solo il nostro speciale sistema di apprendimento rapido.» Aggrottò la fronte ma non ebbe il tempo di formulare la domanda che, troppo lentamente a confronto di quella macchina, era scivolata nella sua mente.
In un attimo decine e decine di diverse nozioni si rovesciarono in una mente fino a quel momento irrealmente vuota. Cose che non avrebbe potuto imparare a scuola, cose per cui sarebbero serviti anni di studi, cose di cui nemmeno conosceva l’esistenza. Nulla era veramente approfondito, erano piccoli spezzoni di miliardi di cose, il minimo indispensabile. Lingue straniere che non si era mai sognato di parlare, funzionamenti di macchine e tecnologie così lontane dal suo tempo, e infinite nozioni sul Tempo stesso. In un istante che parve infinito il Tempo prese ogni cosa.
Quando un urlo ruppe il silenzio la Pellegrina chiuse gli occhi appoggiata al muro fuori dalla stanza, prese un respiro e attese. Tutti al Punto di non Ritorno la conoscevano per la sua dedizione ad ogni missione che le era affidata, per la sua mancanza di scrupoli, di emozioni di qualunque tipo, girava una voce, appena sussurrata tra quelle mura sterili, che lei fosse un androide uguale in tutto e per tutto ad un essere umano, con gli stessi bisogni e lo stesso calore, ma privo di qualunque emozione. Lei lasciava che parlassero. In quel momento spinse il rimorso per ciò che stava accadendo nella stanza alle sue spalle il più in basso possibile, chiuse la mente e il cuore, che dopo anni si rese conto di avere ancora al suo posto, dietro una fortezza inespugnabile creata in anni e anni di condizionamento. Non sarebbe stato un urlo a farla cadere, per quanto straziante fosse.
Pur non essendo stata nella volontà di Declan il Signore del Tempo non fece nulla per fermare il processo, al contrario lo osservò con una crescente curiosità, quando aveva preso l’uomo con l’intenzione di trasformarlo in un Cacciatore e metterlo sulle tracce della sua precedente squadra non aveva immaginato altro che si allontanasse da quel piano, una cosa semplice e diretta, nessun ricordo se non quelli importanti per la missione, una forza bruta che l’uomo già possedeva e che, una volta addestrato a dovere, sarebbe stata ancora più letale, una corazza e qualche arma. Nulla più di quello, un Cacciatore come ne avevano altri, solo più indirizzato ad ucciderli, avrebbe acceso quella scintilla di vendetta nei loro confronti e avrebbe lasciato che bruciasse ogni cosa sul suo cammino. Vederlo in quel momento, dimenarsi sul lettino, mentre briciole di ogni cosa conosciuta trovavano residenza in una mente a cui non aveva davvero creduto, mentre il Tempo dispiegava i suoi filamenti e si ancorava unendo insieme ognuna di quelle conoscenze in qualcosa di più grande e unico, Declan non poteva che ritenersi soddisfatto di aver lasciato tutta quella libertà alla sua Assassina.
«Credo tu abbia un nuovo incarico.» Le urla erano finite, il macchinario si era spento in automatico, eppure la Pellegrina non si era mossa dal suo posto contro al muro, non finché Declan non si era presentato davanti a lei con un sorriso mellifluo e uno schermo olografico in mano. La donna lo prese senza parlare, osservò la fotografia e le poche informazioni che le servivano impassibile, poi scivolò accanto al Signore del Tempo e l’unico suono che riempì il corridoio fu quello dei tacchi mentre si allontanava.
Declan rimase in un angolo della stanza, visibile quanto bastava da Mick non appena questi si svegliò stordito. Si avvicinò lentamente, forse per tranquillizzarlo, forse al contrario per innervosirlo con quella calma, in tutto quello una cosa era certa, il Signore del Tempo era indubbiamente, e piacevolmente, non che l’avrebbe mai ammesso apertamente, colpito dalla resistenza che l’uomo sembrava avere, per quanto il concetto di morte fosse differente mentre si trovavano al Punto di non Ritorno in pochi erano apparsi così lucidi dal lanciarsi contro chiunque fosse nella stanza in quel momento.
«Cosa. Mi. Avete. Fatto?» Scandì con rabbia bloccandolo al muro, Declan non si scompose nemmeno in quel frangente, sorrise conciliante e allargò le braccia.
«Ti abbiamo dato tutta la conoscenza di cui hai bisogno per sopravvivere.» Rispose come se fosse la cosa più logica al mondo, come se tutte quelle informazioni che ora vagavano impazzite nella mente dell’uomo fossero davvero fondamentali. «Ti stupiresti di sapere quanto ne hai bisogno qui.» Lo guidò fuori dalla stanza lungo altri corridoi all’apparenza tutti uguali fino ad un luogo piccolo, la stanza più piccola che fino ad allora Mick aveva visto all’interno di quel luogo che pareva sconfinato.
Al centro della stanza, su una piattaforma metallica, fluttuava una sfera azzurra luminescente.
«Stanze come questa, sfere come questa sono ovunque in questo luogo. Gli danno l’energia che serve per non crollare su sé stesso, forniscono tutta la potenza per mandarlo avanti e anche di più, controllano ogni singola cosa.» Mick si avvicinò, aggrottò la fronte, curioso, attratto da quella sfera che galleggiava nel nulla in mezzo alla stanza buia, come se lo chiamasse. Quando allungò la mano per toccarla il Signore del Tempo non lo fermò, al contrario sembrava che non aspettasse altro che quella reazione. Mick spalancò gli occhi indietreggiando di un passo ma senza potersi veramente allontanare da quella sfera una volta che la mano la attraversò. Qualcosa in lui ripeteva costante quanto fosse una trappola e quanto lui, povero stolto, vi fosse caduto a piè pari dentro, ma mentre i fili dorati si districavano dalla sfera davanti ai suoi occhi e lo avvolgevano, mentre le sue orecchie vennero riempite esclusivamente dal lontano crepitio del fuoco, nulla suonava più falso di quell’avvertimento. Aveva domandato alla Pellegrina se quel casco e quella macchina gli avrebbero mostrato il suo scopo, la risposta era lì davanti ai suoi occhi in quel momento.
«Non avere fretta, Cacciatore, la rinascita è appena cominciata.»
 



Angolino dell'Autrice: Lo so, lo so. L'ultimo aggiornamento è stato a giugno, sono infinitamente dispiaciuta per chi lo stesse aspettando. Ma sono qui ora! Sono tornata per la vostra felicità!! *grilli che cantano in lontananza* Oh beh... se c'è qualcuno, buonasera! Sono qui e non intendo abbandonare questa storia, ancora adesso so dove voglio portarla ma non ho idea del come, è una continua improvvisazione, per questo è così difficile. 
So che sembra che Chronos sia solo un Cacciatore come quegli altri tre che sono stati mandati prima di lui, ma sarebbe stato troppo semplice così, no? Quindi ho deciso di infilargli un po' troppe cose nella testa, roba che in questo preciso momento sarebbe in grado di intavolare un bel dibattito col professor Stein senza il rischio di perdere il filo se solo lo volesse e non continuasse a fingersi tonto. E no, la sfera alla fine non è l'Oculus, è solo un micro frammento di Tempo. è una connessione necessaria per qualcosa che sto architettando per il dopo dopo, ma stiamo andando OFF.
E la Pellegrina è uno degli avversari che più ho amato nonostante sia durata un misero episodio e non si sia visto granchè quindi ho deciso di sfruttarla e di crearla praticamente, non si sa niente di lei, ho carta bianca, e sotto sotto non è completamente priva di emozioni, è solo molto molto brava a non mostrarle. (Una buona vulcaniana, non c'è che dire.) E poi, sì, volevo vedere lavorare insieme quel cosino di 1.60 m con uno di circa 1.90. 
Spero il prossimo aggiornamento di non caricarlo per Natale ma prima...

Bye Bye~
Aki

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Capitolo 7
*** Chapter 07 ***


Chapter 07

 

«Sei sicuro di esserne in grado?» Se Mick non l’avesse conosciuta meglio, e ancora non era sicuro di conoscerla in ogni caso, avrebbe osato dire che c’era una nota spaventata nella voce seria della Pellegrina.
«Lo scopriremo presto.» A quelle parole la donna lo bloccò con un gesto rapido della mano posandola sul pannello di controllo della navetta.
«Quindi equivale ad un no.» Affermò puntando gli occhi su di lui, Mick scosse le spalle come a voler dismettere la sua preoccupazione.
«Ho visto come si fa.» «Ma non l’hai mai fatto.» «Memoria fotografica.» «Presunzione.» «Senti chi parla di presunzione ora. Puoi farmi il favore di sederti e allacciare la cintura?» La fortuna, di entrambi, era che erano soli a bordo della navetta temporale, nessun estraneo ad assistere allo scambio di battute di due delle persone più pericolose del Punto di Non Ritorno. Mick si era offerto, spontaneamente e in modo anche troppo entusiastico, di accompagnare la Pellegrina nella nuova missione nonostante lei avesse ripetuto, più e più volte, che non aveva bisogno né di una scorta e nemmeno di un pilota. Quello non era servito a fare desistere l’uomo che, dopo aver indossato abiti diversi da quelli bianco sterile che aveva normalmente durante l’addestramento la aveva aspettata a braccia conserte davanti alla navetta che era solita usare.
Sentì uno sbuffo dietro di lui e il clack della cintura che veniva chiusa, Mick sorrise mentre sfiorava i controlli della navetta, il pannello si illuminò di un tenue azzurro. Era vero, non aveva mai pilotato prima di allora, era vero anche che non aveva idea di cosa facessero più della metà di quei pulsanti, e anche che Declan era all’oscuro della sua presenza su quella navetta. Ma dopo un mese di addestramenti intensivi, un mese, o almeno era quel che sembrava, di apprendimento rapido, come lo aveva chiamato la donna, era discretamente sicuro si sapere come fare. Quantomeno lo sperava.
«Non così veloce! Rischi di non imboccare la giusta uscita!» La voce della Pellegrina sembrava arrivare da molto più lontano del normale quando fece ruotare lentamente la sfera della velocità e si ritrovò a far sfrecciare l’anonima navetta per il flusso temporale.
La prima volta non fu semplice, prima andò troppo avanti, poi troppo indietro, sbagliò di mesi, a volte di minuti, aveva perso il conto di quante volte la Pellegrina gli aveva ripetuto «Non è il tempo giusto.» con voce sempre più stizzita.
La seconda volta andò un po’ meglio, non troppo, solo un poco, impiegò meno a raggiungere la destinazione; la terza volta era sempre meglio, aveva imparato in fretta a regolare la velocità e al tempo stesso controllare il flusso temporale. La quinta volta la navetta schizzava nel tempo indubbiamente sbagliato evitando le fauci di un gruppo di dinosauri che li avevano scambiati per delle prede, eppure non poteva fare a meno di ridere mentre cambiava direzione all’ultimo momento prima di rientrare nel flusso temporale.
«Qualcosa mi dice che non è stato un errore.» Mick non si voltò, non aveva bisogno di voltarsi per sapere che nonostante tutto si era divertita di quella piccola deviazione, che in fin dei conti era solo il suo modo di mettere in mostra le sue innate abilità di pilota. Non che lei lo avrebbe mai ammesso.
In tutto quello gli addestramenti continuavano, aveva abbandonato la sala con le pecorelle smarrite per passare a qualcosa di più efficace e raffinato. La prima volta che il maestro Declan lo aveva condotto nell’armeria e gli aveva detto di scegliere un’arma con cui iniziare lo sguardo di Mick era caduto su un pesante fucile e aveva passato le ore successive, o erano stati giorni? a smontarlo e rimontarlo memorizzando ogni singolo meccanismo. Sparare era venuto naturale come se il fucile fosse un’estensione del suo braccio, senza difficoltà e con precisione letale.
 
«Volevi un cacciatore per fermare Rip Hunter e abbiamo qualcosa di meglio.» Commentò Zaman Druce mentre osservava i progressi dell’uomo che aveva raccolto dal nulla, Declan sorrise.
«Questo l’Oculus non lo aveva mostrato, eppure non vedo come possa giocare a nostro sfavore.»
«È imprevedibile.» Asserì Druce guardando l’uomo sparare ai bersagli della simulazione. «Inizia il condizionamento, dobbiamo avere la sua completa lealtà se vogliamo che funzioni. Non mostrargli gli obbiettivi finali, non ancora almeno.»
«E i Nuclei Temporali, Signore?» Zaman si voltò a guardarlo prima di uscire dalla stanza, l’ombra di un sorriso sul suo volto.
«Il suo corpo è sopravvissuto la prima volta senza il nostro intervento, l’energia temporale lo renderà più forte quando sarà il tempo. Prosegui.»
 
Le simulazioni dovevano essere, almeno in teoria, più complicate volta dopo volta, Mick si ritrovò a pensare che doveva esserci qualche problema nella programmazione, ogni volta che entrava in una simulazione quella durava sempre meno, gli obbiettivi erano lenti e spesso non reagivano agli attacchi come sarebbe dovuto accadere. Il suo corpo fremeva per qualcosa di più, sempre di più, le simulazioni non erano abbastanza, mai abbastanza.
Se avesse saputo che la conseguenza di quella semplice richiesta sarebbe stato un ciclo di puro dolore che gli penetrava in ogni cellula del corpo fino a distruggerla per poi essere rigenerato ogni volta avrebbe pensato due volte prima di farla, ma era tardi per tirarsi indietro.
Condizionamento, così lo aveva chiamato Declan, completamente diverso dall’apprendimento a cui era stato sottoposto, il condizionamento era qualcosa che non sapeva come descrivere, lo lasciava sospeso nel nulla, fuori dal tempo e dallo spazio, ogni cosa nella sua mente veniva creata solo per poi essere distrutta e ricreata nuovamente, ogni volta simile ma con una sfumatura impercettibilmente diversa. Era come morire e rinascere nel giro di pochi istanti, per centinaia di migliaia di volte. E ogni volta rinasceva più forte.
A volte Declan si azzardava a far penetrare la sua voce nel flusso di morte e rinascita, una domanda semplice che interrompeva il silenzio del Tempo.
«Qual è il tuo nome?» Mick non rispondeva mai, il suo vero nome, perché certamente ne doveva avere uno, non lo ricordava, il nome che aveva scelto per sé stesso stava aspettando il momento giusto per rivelarsi, si era insinuato sinuoso nella sua mente la prima volta che aveva toccato un Nucleo Temporale e si era ancorato lì, gli diceva di aspettare, gli diceva che il tempo non era ancora giunto, c’era una strana ironia nel parlare di Tempo in un luogo in cui il tempo era quasi immobile. Un’ironia ancora più profonda se considerava il nome che aveva scelto.
«Quelli come te non sono semplici Cacciatori.» Mick aveva alzato un sopracciglio mentre seguiva Declan nell’hangar, più volte il Signore del Tempo si era rivolto a lui con quell’appellativo. «Quello era il nostro scopo iniziale, quello che dovevi essere.» Spiegò notando il dubbio che si era dipinto sul suo volto solitamente impassibile. Gli stivali rinforzati risuonavano sul pavimento, l’armatura era pesante sulle sue spalle, l’elmo assicurato sotto un braccio e il mantello scivolava alle sue spalle. «Ma sei più di un semplice Cacciatore, li hai visti. Eseguono gli ordini senza alcuna inventiva o conoscenza, conoscono solo la missione di quel momento. Tu al contrario…» Mick si lasciò sfuggire uno sbuffo orgoglioso, si era accorto della differenza tra lui e i quattro Cacciatori Temporali che erano presenti al Punto di Non Ritorno. Tre uomini e una donna che non aveva nulla da invidiare a loro in fatto di brutalità, tutti provenienti dal gruppo di pecorelle, quattro sopravvissuti, i più forti. Ma non per quello i migliori.
«Gli Agenti Temporali sono una classe d’Élite, se così vogliamo dire. A metà tra i Cacciatori e i Signori del Tempo.» Mick conosceva la differenza, la Pellegrina faceva parte di quella classe, la Pellegrina era stata la sua insegnante molto più che Declan ed era l’unica veramente degna della sua fiducia. Declan gli passò lo schermo olografico che aveva avuto in mano fino a quel momento, Mick spostò la maschera da un braccio all’altro per avere una presa più solida sullo strumento e prese a scorrere i file leggendo solo le indicazioni iniziali. «Queste sono le tue prime missioni.» Spiegò il Signore del Tempo. «Al termine di ognuna voglio che tu rientra a fare rapporto prima di proseguire.» Riprese a camminare fino a giungere davanti ad una nave scura. «D’ora in avanti userai questa nave per viaggiare, posso sperare che tu sia in grado di pilotarla.» Mick non rispose, sapeva dal tono di voce che era una domanda retorica, Declan sapeva delle sue scappatelle a bordo della navetta temporale, ma in quel momento non importava, forse non era mai importato, forse tutto era voluto per giungere a quel momento.
«Non voglio errori.» Decretò infine mentre Mick si faceva scivolare la maschera sul volto e saliva a bordo della nave temporale.
«Sapete che non commetto errori.» Ribatté con voce meccanica prima di chiudere lo sportello e avviarsi verso il ponte; le luci che illuminavano i corridoi stretti e scuri tendevano ad un leggero verde, il ponte era ampio, una poltrona singola e un pannello di controllo più grande di quello a cui era abituato, ma a differenza di quando aveva iniziato ora sapeva come operare. Lasciò che la mano guantata scorresse sul pannello attivando i controlli manuali quando prese posto. L’ingresso nel Flusso Temporale lo schiacciò contro lo schienale mentre lo spettacolo a cui non si sarebbe mai abituato si apriva sullo schermo davanti a lui, un turbinare di vortici di colori brillanti, fulmini bianco accecante e filamenti dorati che si estendevano e intrecciavano tra loro in una danza antica e immortale.
Lasciò vagare lo sguardo nuovamente sul riepilogo della prima missione.
2348, Pirati Spaziali, Attentato all’Imperatore delle Tre Galassie.
“E pirati spaziali siano.” Pensò mentre spostava di qualche grado i comandi e la nave virava senza diminuire la velocità.
«Posso ricordarle la cintura, Capitano Chronos?» In un attimo, mentre Mick sobbalzava cercando di capire chi avesse parlato, da dove e soprattutto come faceva a conoscere quel nome, la nave uscì dal flusso temporale nel 1348.
«Chi diavolo sei?!»

 


Angolino dell'Autrice: Eccomi di nuovo qui, con un capitolo scritto completamente in una sera, perchè come lo avevo iniziato non mi soddisfava più e, a quanto pare, oggi ero discretamente ispirata (Dopo essermi sparata una playlist di soundtrack discretamente rapide mentre scrivevo per un'ora).
Non ci sono grandi eventi ma si apre effettivamente la "storia" di Chronos, non descriverò completamente le missioni, non tutte (e dipende da quanta ispirazione c'è, sempre lì siamo!)
So che Chronos è tecnicamente un Cacciatore, ma ho iniziato questa fanfic per dare ppiù spazio a Mick e a quella mente che tiene bella nascosta, volevo che fosse qualcosa in più di un semplice Cacciatore, quindi ho creato la via di mezzo, gli Agenti Temporali. La differenza è che i Signori del Tempo, come Zaman Druce e Declan per capirci, controllano il tempo dalla loro postazione, raramente vanno in missioni effettive per sistemare qualcosa. A quello ci pensano gli Agenti. Loro sono fuori, nel Tempo a sistemare le anomalie, o almeno quello dovrebbe essere il loro compito principale, ogni Agente poi ha delle particolari specializzazioni, la Pellegrina per esempio si occupa per eliminare le minacce prima che diventino minacce.
Spero che la storia continui ad interessarvi, se trovate errori mi scuso da subito, l'ho riletta tre volte ma gli errori scappano sempre. E spero che continuerete a seguirmi!

Bye Bye~
Aki

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