Le nove vite di Chloe King - traduzione italiana

di luna_storta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Non si sarebbe fermato mai, altrimenti avrebbe perso le sue tracce.
Non da quando lei l’aveva visto un’ora prima nel bar, nel momento in cui il suo fodero era caduto per terra rivelando un’ornata spada nera. Pergamene e ghirigori di inchiostro e tessuto cicatriziale enunciavano le ben note parole: Sodalitas Gladii Decimi.
E così lei corse.                
Fece un respiro profondo e guardò avanti, saltando mucchi di spazzatura e pozzanghere con la precisione di un acrobata, spinta dal terrore. Quale strada aveva percorso per arrivare fin lì? C’era un luogo pubblico lì vicino –anche una stazione a gas aperta 24 ore su 24- in cui sarebbe stata salva?
Infine l’odore d’aperto, l’aria umida le comunicò un’uscita davanti a lei: un cancello con il filo spinato bloccava lo sbocco finale del vicolo.
Si preparò a saltare, con vittoria e libertà che le cantavano nelle orecchie. Poi qualcosa sulla sua gamba sinistra iniziò a bruciare, lacerandole il muscolo.
Si aggrappò al cancello, la sua gamba danzava penzolando sotto di lei. Cercò di tirarsi su, una mano dopo l’altra, ma un pressoché silenzioso ronzio annunciò un secondo attacco. In un istante, cadde.
“In trappola, temo” disse una voce irritantemente calma.
Cercò disperatamente di protrarsi lungo il terreno, lontana da lui, ma non c’era nessun posto dove andare.
“Per favore…no…” piagnucolò, spingendosi verso il muro. “Io non sono chi tu pensi. Non sono cattiva…”
“Sono sicuro che non credi di esserlo”
Sentì una lama, fina e piccola come un pugnale, che viene tolta dal suo fodero.
“Io non ho mai voluto fare del male a nessuno! Per favore!”
Le tagliò la gola.
“Id tibi facio, Deus” sussurrò, mettendo una parte della sua mano sinistra sul suo cuore, il pollice al centro del petto, rivolto verso l’alto. Un sospiro delicato sfuggì alla ragazza morente, una sottile striscia di sangue le volava lungo il collo. Piccoli segni di un assassino esperto. Chinò il capo. “In fedeltà all’Ordine della Decima Lama. Pater noster, rex gentius”.
Girò la testa nel modo che trovava più comodo e chiuse gli occhi. Poi asciugò la piccola lama d’argento su un fazzoletto, si sedette sui talloni e attese.
Quando si sarebbe alzata, l’avrebbe uccisa di nuovo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Non appena aprì gli occhi quella mattina, Chloe decise che sarebbe andata a Coit Tower, invece che alla Parker S. Shannon High, la solita meta del mercoledì. 
In meno di ventiquattro ore avrebbe compiuto sedici anni, ed era senza una vera e propria festa in programma: Paul avrebbe passato il mercoledì a casa suo padre a Ouknland, e molto peggio, sua mamma aveva parlato di “possibilità di andare in un ristorante carino”. Cos’era un ristorante “carino”, comunque? Un luogo in cui ci avrebbero servito pesce palla e foie gras? Dove la lista dei vini è più lunga del libro di civiltà americana? No, grazie. 
Se sua mamma avesse scoperto della missione a Coit Tower, sarebbe stata messa in punizione, eliminando completamente ogni possibilità di cenare fuori. Dopotutto Chloe aveva il diritto di sentirsi miserabile il giorno del suo sedicesimo compleanno, a casa, da sola, punita. L’idea era stranamente affascinante. 
Chiamò Amy.
“Ehy, vuoi andare alla torre oggi invece che fare fisica?”
“Assolutamente.” Non c’era nessuna esitazione, nessuna pausa di riflessione. Per quanto lo stile punk di Amy fosse passato, la migliore amica di Chloe era una persona mattiniera. Cosa faceva alzata alle due di mattina ad una lettura di poesie? “Ci vediamo lì alle 10. Porterò dei bagel se tu poterai il crack”. Per “crack” Amy intendeva le tipiche 20 once del Cafè Eland’s che era caffè preparato con acqua caffeinata.
“Ci sto.”
“Vuoi che chiami io Paul?”
Questo era strano. Amy non si rendeva mai volontaria per qualcosa, soprattutto aiutare con i piani del gruppo.
“Nah, lascia a me farlo sentire in colpa.”
“Sarà il tuo funerale. Ci vediamo dopo.”
Si trascinò fuori dal letto, spostando il piumino che la circondava. Come quasi ogni cosa nella stanza, veniva dall’Ikea. I gusti di sua mamma avevano portato all’arancione, al turchese, alle statuette astratte di kokopelli e a blocchi di arenaria –niente che si adattasse ad uno schifoso ranch borghese di San Francisco. E poiché il Patenaa Vintage Clothing pagava 5.50 dollari l’ora, il budget per l’arredamento di Chloe era limitato. Avrebbe dovuto montare blocchi e forniture scandinave con nomi impronunciabili. Niente batteva New Southwest.
Si trovava di fronte al guardaroba, indossando un corto paio di pantaloncini e una canottiera. Anche se lei non aveva ancora quel periodo, stava finalmente sviluppando un giro vita, un po’ come se il suo ventre fosse stato spremuto fino ai suoi seni e giù per il suo sedere. Sexy o meno, era come se niente di tutto ciò fosse importante: sua madre l’avrebbe messa in castigo se avesse sentito menzionare un altro ragazzo al di fuori di Paul. 
Si gettò davanti al computer con un ampio sbadiglio spostando il mouse. A meno che Paul non fosse morto o non stesse dormendo, sarebbe stato carino se fosse stato collegato al computer. Bingo –il suo nome comparve in cima alla lista dei suoi compagni.
Chloe: Ame e io vorremmo andare a Coit Tower oggi. Vuoi venire?
Paul: [lunga pausa]
Chloe: ?
Paul: non mi stai invitando per darmi la colpa perché io sono via per il tuo compleanno, giusto?
Chloe: :)
Paul: *groan* ok dirò ai Wiggint che sto andando alla National Honor Society in gita o qualcosa del genere.
Chloe: TI AMO, PAUL!!!
Paul: Sisi. Sono il più figo
Chloe ghignò. Forse il suo compleanno non era così male, dopo tutto.
Guardò fuori falla finestra-yup, nebbia. 
Amy la amava perché era tutto spettrale e misterioso e questo le ricordava l'Inghilterra (sebbene non ci fosse mai stata). Ma Chloe era depressa dalle umide e tristi mattine, sere, pomeriggi e amava fuggire in alto –come su Coit Tower- in ogni occasione.
Decise di andare sul sicuro e vestirsi come per andare a scuola, con i jeans, una maglietta e una giacca jeans di Pateena che era autentica degli anni Ottanta che aveva sempre avuto un verso degli Styx scritto accuratamente attorno ad una delle maniche. Svuotò lo zaino dai suoi libri di testo e li nascose sotto il letto. Dopo scese di sotto, provando ad emulare una sua stanca-scontrosa Chloe di routine.
“Sei scesa presto”, disse sua madre con sospetto. Desiderando non litigare quella mattina, ingoiò un sospiro. Ogni cosa che lei faceva fuori dall’ordinario da quando aveva compiuto dodici anni veniva visto con sospetto. La prima volta in cui si fece un taglio di capelli corto –pagato con i suoi soldi, grazie tante- sua madre le chiese se fosse lesbica.
“Per prima cosa sto ansando ad incontrare Ame alla Beanery.” rispose il più educatamente possibile, prendendo un’arancia dal frigo.
“Non voglio suonare antiquata ma-“
“Stai cercando di bloccarmi la crescita?”                           
“È l’ingresso per la droga.” La signora King mise le mani sulle sue labbra. Con un capris nero di Donna Karan, un girocollo di lana e seta e il suo taglio di capelli da folletto, la mamma di Chloe non assomigliava ad una mamma. Assomigliava a qualcuno uscito da un annuncio di Chardonnary.
“Devi starmi prendendo in giro.” disse Chloe non riuscendo a trattenersi.
“C’è un articolo nel Week.”  Sua madre socchiuse gli occhi e increspò le labbra prima sapientemente allineate. “Il caffè conduce alle sigarette che conducono alla cocaina e a metanfetamine di cristallo.”
Cristalli di metamfetamina, mamma. È cristalli di metamfetamina.”  Baciò sua madre sulla guancia e poi andò fino alla porta.
“Ti sto dicendo di non fumare, proprio come dicono gli annunci!”
“Messaggio ricevuto!” Rispose senza tornare indietro.
Camminò lungo Irving Street, poi continuò dal lato nord al sud del Golden Gate Park, fermandosi al Cafè Eland per i due caffè promessi. Dal momento che Paul non ne voleva uno, gli prese una Coca dietetica. Amy era già alla fermata del bus, giochicchiando con un sacchetto di bagel, il suo zaino militare e il telefono.
“Tu lo sai, i veri punk non-“ Chloe portò una mano al suo orecchio e la scosse, imitando un telefono.
“Vai a quel paese” Amy mise già il suo zaino e gettò il suo telefono dentro, cercando di ignorarlo. Indossava un paio di kiltlike corto, un dolcevita nero, autoreggenti, occhiali a forma di occhio di gatto e l’effetto complessivo era un mix tra bibliotecaria ribelle e una punk imbranata.
Erano comodamente in silenzio sul bus, bevendo solo caffè e contente di avere un posto a sedere. Amy forse era una persona mattiniera, ma Chloe aveva bisogno almeno di qualche altra ora prima di poter essere davvero socievole. La sua migliore amica aveva imparato ciò anni prima e la sosteneva educatamente.
Non c’era molto da guardare dal finestrino, solo un'altra bianca-e-bianca-e-grigia mattina a San Francisco, piena di facce scontrose che vanno al lavoro e barboni che stavano agli angoli delle strade. Il riflesso di Chloe nel finestrino polveroso era quasi monocromatico eccetto per gli occhi nocciola chiaro. Brillavano quasi di arancione alla luce quando il bus si infilò in Kearny Street e il sole scomparve.
Chloe sentì il suo umore migliorare: questa era la San Francisco delle cartoline e dei sogni, una città con l’oceano, il sole e il sole. Era magnifico.
Paul era già lì, seduto su una panchina davanti alla torre, leggendo un libro comico.
“Buon pre-compleanno, Chlo,” disse, alzandosi e baciandola leggermente sulle guance, sorprendentemente maturo, e intimo. Tese un sacchetto marrone.
Chloe sorrise curiosa e lo aprì –vi era immersa una bottiglia in plastica di vodka Popov.
“Hey, ho pensato che se stiamo andando a marinare, perché non andare fino in fondo?” Sorrise, i suoi occhi si compressero in fessure con zip le sue ciglia chiuse.
“Grazie Paul” Si rivolse verso l’alta “dovremmo?”
“Se tu avessi da scegliere tra queste visuali da guardare per il resto della tua vita” disse Chloe “quale sceglieresti?”
Amy e Paul si guardarono, quasi incuriositi. I tre passarono l’ora seguente stando seduti, senza fare granché, con i migliori amici di Chloe che di tanto in tanto si lanciavano occhiate allegre. Il tempo passò molto velocemente.   
La metà delle finestre di Coit Tower mostravano una San Francisco soleggiata, mentre nove delle venti mostravano un abisso informe, grigio-bianco.
“Vorrei aspettare fino a quando il sole tramonterà per fare la mia scelta.” disse Amy, pragmatica come sempre. Roteò la sua tazza di caffè per dare enfasi, mescolando il contenuto. Chloe sospirò; si sarebbe dovuta aspettare quella risposta.
Paul camminò da finestra a finestra, giocando.
“Bene, il ponte è bello, con tutta la nebbia e le nuvole e il tramonto e l’alba-“
“No-io-so,” lo interruppe Amy.
“La Piramide di Transamerica è troppo forte e misteriosa-“
“E fallica.”
“Credo di aver scelto il porto.” si decise Paul. Guardando oltre la sua spalla, Chloe vedeva delle piccole barche a vela colorate che si muovevano assieme al vento, sognante, isole sfumate in lontananza. Sorrise. Era una vera scelta da Paul.
“Sicuramente non Russian Hill.” aggiunse Amy, tentando di riprendere il controllo della conversazione.
“Fugliandia con capitale Fug.”
“Fai la tua decisione in tempo, Paul…”
Mentre si guardavano, nuvole basse provenivano dalle colline, sostituendo ciascuna delle nove finestre, che racchiudono il punto di vista in un bianco, il buio totale. Quella che sarebbe dovuta essere una bella giornata blu con nuvole bianche paffute, adesso che erano fuori di Inner Sunset, aveva rapidamente lasciato posto allo stesso vecchio e stupido tempo.
Questo non era esattamente quello che Chloe si aspettava per il giorno del suo sedicesimo compleanno, saltando scuola.
Per essere onesti, lei si aspettava più della vita rispetto a quello che le dava: in questo caso, uno stand pieno di sole dorato da Ferris Bueller in stile questi-sono-i-migliori-giorni-della-nostra-vita.
“Allora tizia,” disse Amy, cambiando argomento. “Cosa c’è tra te e Ilychovich?" Chloe sospirò e si lasciò cadere contro il muro, prendendo un ultimo sorso dalla sua tazza. Come a quello di Amy, era stato invitato al compleanno di Paul per esserle presentato. Paul aveva già finito la sua Coca dietetica e stava sorseggiando direttamente dal recipiente di plastica una vodka incredibilmente scadente.
Chloe guardò sognante le cupole a forma di cipolla bianche e rosse.
"Lui…è...così...bello."                 
“E decisamente fuori dalla portata-” sottolineò Amy.
“Alyec ha gli occhi d’acciaio e con la faccia da scalpello da giovane russo.” disse Paul con un forte accento da guerra fredda.
“Forse ha un contratto come modello. Fonti dicono che l’agente Keira Hendelson si stia avvicinando alla sua…smascheratura.”
“Scoparla.” Chloe gettò la tazza vuota contro il muro, immaginando di distruggere il piccolo e biondo presidente del consiglio studentesco.
“Potresti esserci imparentata, lo sai,” sottolineò Amy “questo potrebbe essere un problema. Potrebbe essere un cugino, un nipote o qualcosa dei tuoi genitori biologici.”
“La vecchia Unione Sovietica è un posto grande. Geneticamente siamo a posto, credo. È arrivare a lui che è il problema.”
“Dovresti solo, non lo so, andare da lui e parlargli o qualcosa del genere.” Suggerì Paul.
“È sempre circondato dalla Bionda Uno e dalla Banda dei Quattro.” gli ricordò Chloe.
“Niente di guadagnato, niente di perduto.”
Sì, giusto. Come se avesse mai chiesto a qualcuno di uscire.
Amy tracannò l’ultima parte del suo caffe e ruttò. “Merda, devo fare pipì.”
Paul arrossì. Era sempre stato irrequieto quando sia Amy che Chloe parlavano delle loro funzioni corporee davanti a lui, per cui di solito Chloe non parlava di quella roba quando lui era nei paraggi.
Ma oggi si sentiva…beh, strana, eccitata, impaziente. Per non parlare del suo essere lievemente seccata con Amy e Paul. Finora sprecato.
“Peccato che non la si possa fare da in piedi, come Paul,” disse lei, guardandolo arrossire con la coda dell’occhio “si potrebbe andare oltre il bordo.”
Ora, cosa le aveva fatto dire ciò?
Chloe si alzò in piedi. Appoggiandosi al muro di pietra, guardò giù.
Tutto quello che poteva vedere era vorticoso candore e, alla sua sinistra, dell’acqua sporca nel pilone rosso del Golden Gate Bridge.
Che cosa potrebbe succedere se lasciassi cadere un centesimo da quassù? Si chiese. Farebbe un tunnel nella nebbia? Sarebbe bello, un tunnel lungo duecento piedi con mezzo pollice di diametro.
Salì su una finestra e scavò nella tasca dei jeans, alla ricerca di spiccioli, senza preoccuparsi di mettere l'altra mano sul muro per tenersi in equilibrio.
La torre sembrò improvvisamente a inclinarsi in avanti.
"Cosa-," cominciò a dire.
Cercò di rimettersi in equilibrio appoggiandosi indietro al telaio della finestra, afferrando il muro, ma la nebbia lo aveva lasciato viscido e scivoloso. Lei cadde in avanti, con il piede sinistro che scivolava sotto di lei.
"Chloe!"
Gettò le braccia indietro, cercando disperatamente di riequilibrarsi. Per un breve secondo sentì le dita calde di Paul contro le sue. Lo guardò in faccia, un sorriso di sollievo fece breccia nel suo viso, che vedeva arrossato attraverso i suoi zigomi alti. Ma poi il momento finì: Amy urlava e Chloe non sentiva nulla che la catturasse mentre scivolava dalla presa di Paul.
Era in caduta fuori dalla finestra e giù dalla torre.
Questo non sta accadendo, pensò Chloe. Questo non è il modo in cui io morirò.
Sentì le urla già soffocate dei suoi amici sempre più deboli, sempre più lontane.
Qualcosa l'avrebbe salvata, giusto? La sua testa colpì per terra.
Il dolore era insopportabile, spaccaossa e nauseante, era come se i cocci aguzzi di un centinaio di aghi attraversassero il suo corpo compatto.
Tutto divenne nero, e Chloe aspettò di morire. 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Era circondata dall’oscurità.
Strani rumori, passi ovattati, e un occasionale urlo rimbombava e sentì di star morendo in modo strano, come se si trovasse in una vasta caverna crivellata con gallerie e caverne. Da qualche parte avanti e ben al di sotto di lei, come se stesse in piedi sul bordo di una scogliera, ci fu un alone indistinto di luce nebbiosa. Si increspò spiacevolmente. Iniziò a indietreggiare. Cadde in avanti verso la luce e nello spazio vuoto.
Quindi era così. Quella era la morte.
"Chloe? Chloe? "
Era stato strano. Dio sembrava un po' fastidioso. Tipo di lamentoso.
"Oh mio Dio, lei è-"
"Chiama il 911!"             
"Non c'è possibilità che lei sia sopravvissuta a quella caduta-"
"FUORI DAI PIEDI!"
Sentì come se qualcuno stesse girando, come se il suo peso fosse costretto a tornare sulla sua pelle.
"Stupida testa di cazzo!"
Quella era Amy. Quella era stata sicuramente Amy.
"Dovremmo chiamare sua mamma. ... "
"Cosa diciamo? Che Chloe è... che Chloe è morta? "
"Non dirlo! Non è vero!"
Chloe aprì gli occhi.
"Oh mio Dio-Chloe ...?"
Paul e Amy erano appoggiati su di lei. Lacrime e fulmini striati di trucco nero scorrevano sulle guance di Amy, e i suoi occhi azzurri erano spalancati e cerchiati di rosso.
"Sei v-viva?” Chiese Paul, con la faccia bianca e il timore evidente. "Non c'è modo in cui tu potresti essere-" Mise una mano dietro la testa, sentendo il suo collo e il suo cranio. Quando lo tirò indietro, c'era solo un po’ di sangue sul suo dito.
"Lei-lei non si oh mio Dio, è...un...miracolo ..." disse Amy lentamente.
"Puoi muoverti?” chiese piano Paul.
Chloe si mise a sedere. Fu la cosa più difficile che potesse ricordare di aver fatto, come se stesse spingendo se stessa attraverso un milione di sterline di sporcizia. La testa nuotava, e per un momento ci fu due di tutto, quattro amici di pan di zenzero piatti di fronte a lei. Lei tossì, poi cominciò a vomitare. Cercò di appoggiarsi al lato, ma non riusciva a controllare il suo corpo.
Dopo aver finito, Chloe notò che Paul e Amy la stavano toccando, tenendole le spalle. Riusciva a malapena sentire le loro mani; la sensazione si stava lentamente insinuando dentro la sua pelle.
"Dovresti essere morta" disse Paul. "Non c'è alcuna possibilità che tu sia sopravvissuta alla caduta."
Era stata colpita da quello che Paul le aveva detto; sembrava vero. Eppure eccola lì, viva. Proprio così. Perché era così sorpresa?
"Aiutami su." disse Chloe, cercando di non prestare attenzione agli sguardi confusi e spaventati sui volti dei suoi amici. La aiutarono a piegarsi in avanti, poi lentamente a stare in piedi sulle gambe traballanti. Indicò le dita dei piedi e piegò le ginocchia.
Avevano collaborato. A mala pena.
"Merda," disse Paul, incapace di pensare a qualcos'altro da dire.
"Dobbiamo andare in ospedale," suggerì Amy.
“No” rispose Chloe, più velocemente di quanto volesse.
"Sei impazzita?” Domandò Paul. "Solo perché non sei morta non significa che tu non abbia una commozione cerebrale o qualcosa del genere. ... Non si può semplicemente cadere da duecento piedi e andare via come se non fosse successo qualcosa "
A Chloe non piaceva il modo in cui i suoi amici la stavano guardando. Non dovrebbero essere stati felicissimi? Entusiasti del fatto che lei non era morta? Invece la stavano guardando come se fosse un fantasma. "Già. Andiamo. Nessuna discussione" disse Amy proponendosi caparbiamente con il mento a punta.
Aiutarono Chloe, uno per ogni spalla. Il mio diavolo e il mio angelo, pensò ironicamente. Beh, il mio nerd e la mia aspirante forestiera. La testa era pestate, e lei non voleva altro che qualche aspirina.
E il tempo di pensare in pace.
Riuscì a ottenerlo al pronto soccorso, anche se non era esattamente da sola.
Dopo una scenata isterica di Amy sulla sua amica e l'incidente che aveva avuto, l'infermiera della reception aveva guardato la ragazza apparentemente in buona salute e aveva dato loro un posto nella sala d'attesa, dietro una fila di persone senza casa con danni visibili: braccia rotte, visi scorticati, che trasudavano piaghe.
Paul compilò le informazioni di personali e documenti, ma dopo un'ora di Indovina il Sintomo, Chloe aveva finalmente perso.
"Senti, perché non possiamo semplicemente uscire di qui?" sibilò. "Sto bene."
"Come se", disse Paul, leggendo una rivista di Vogue vecchia di tre mesi.
"Non toccare,” disse Amy, schioccando la mano verso il basso. "i germi.” Poi si rivolse a Chloe. "È come se un milione di piedi fossero caduti sul tuo capo, Chlo."
Passò un'altra mezz'ora. Avevano guardato il notiziario che raccontava storie dell’Iraq e di Wall Street e di corpi di qualche ragazza trovati in dei vicoli.
Infine, alle quattro, il personale era pronto a far entrare la ragazza, che era senza ferite visibili. L'infermiera della reception mise una mano in mezzo quando Amy e Paul cercarono di seguirle.
"Solo la famiglia." disse.
Amy si rivolse a Chloe, arricciando il naso lentigginoso e sorridente. Era uno sguardo "carino" che Chloe sapeva che lei aveva provato davanti allo specchio per ore, ma semplicemente non funzionava con il naso regale della sua amica. "Tu starai bene, te lo prometto."
Lo so. Sto bene.
"Grazie. Per tutto." Chloe le rivolse un sorriso sbilenco, poi attraversò la grande porta di metallo a doppia oscillazione.
"Se tu ei tuoi amici stanno mentendo sul tuo “incidente” '", sentì l'infermiera dire a Amy e Paul, "i suoi genitori dovranno chiamare la loro compagnia di assicurazione per una bufala... "
Non appena la porta si chiuse dietro di lei, Chloe scrutò la sala d'uscita.
Avrebbe voluto avere i soldi per un taxi, ma ha dovette invece prendere l'autobus.
Appena fu dentro casa, Chloe corse in bagno, si strappò i vestiti di dosso, e aprì l'acqua. Dopo un lungo ammollo finalmente cominciò a sentirsi di nuovo normale, come se qualche minuto di inattività da sola fosse tutto quello di cui aveva veramente bisogno per ristabilirsi da una caduta di duecento piedi. Si avvolse l'asciugamano intorno al corpo e quando le scese si guardò allo specchio. C'era un piccolo livido sulla tempia e un po' di sangue essiccato sul suo cuoio capelluto. Questo era tutto.
Chloe vagò nella sua stanza e si sedette davanti al suo computer, dove la sua giornata era iniziata solo poche ore prima in modo strano. Andò su Google e poi si fermò, le dita normalmente superveloci erano esitanti sulla tastiera. Come si ricerca "probabilità di sopravvivere ad una lunga e folle caduta sul marciapiede"? Pochi minuti di navigazione portato alla luce il fatto interessante ma inutile che defenestrazione significava "l'atto di spingere qualcuno da una finestra" e che quasi nessun altro oltre a Jackie Chan era facilmente sopravvissuto una caduta di più di cinquanta piedi. Chloe si mise a letto e contemplò il soffitto. Non c'era niente da fare: non sarebbe dovuta sopravvivere alla caduta da Coit Tower. Forse era nell'aldilà, e le veniva facilitato con persone e luoghi familiari?
Bocciò immediatamente quella possibilità, prendendo un po’ di sangue dai suoi capelli. Il paradiso sarebbe più pulito, lei pensò decisivamente. Ma era accaduto sicuramente qualcosa di strano. Non avrebbe dovuto essere viva.
Era stato davvero un miracolo.
Pensando con la luce autunnale del pomeriggio, Chloe si addormentò.
Sognò:
Giaceva in una comoda e morbida cava, ma il materasso non si muoveva nel modo in cui un materasso dovrebbe quando ci si sposta di posizione. C’era caldo ma non era sgradevole; i raggi del sole erano tangibili sulla sua pelle, accarezzandole la schiena nel sonno. Qualcosa le leccò un lato del viso, ruvidamente e velocemente: Alzati.
Chloe si alzò dalla sabbia, scrollandosela via.
Sgranò gli occhi e guardò verso l'orizzonte. Quella non era una spiaggia: era un deserto, vuoto e vasto, ma familiare e non spaventoso. Le dune erano d'oro e il cielo di un blu scuro, che annunciava una notte fredda, tra una mezza giornata da quel momento.
Si diresse a nord, lungo il fiume.
Vicino c’era la mano del leone che l'aveva svegliata; si strofinò sulle sue dita. Erano tutti leoni intorno a lei, femmine di maneless, il vero potere dell'orgoglio animale. Erano quattro. Lei era in posizione verticale e scomoda; quando finalmente cominciarono a muoversi, i grandi felini dovettero rallentare il loro ritmo normale in modo che lei potesse tenere il loro passo. Le loro spalle belle si alzavano e si abbassavano in un languido ritmo potente.
Un avvoltoio cerchiò il cielo, nella speranza di banchettare con quello che lasciavano.
Quando Chloe si svegliò, era famelica.
Nel primo momento di veglia dopo aver aperto gli occhi, prima di ricordare la sua caduta o di essere a casa, Chloe pensò a quello che sarebbe potuto esserci in frigo. Il resto venne verso di lei mentre si alzava. Era rigida, ma il livido sulla fronte stava già svanendo.
Fu sorpresa di vedere l'orologio del forno a microonde leggendo sei; aveva dormito per oltre quattro ore. Aprì il frigo e ne osservò il contenuto, la maggior parte dei quali erano degli ingredienti per qualsiasi complicato miscuglio di cena che sua madre stava progettando.
Il prossimo. Tirò fuori un paio di yogurt, una pinta di insalata di maccheroni, e una vecchia scatola di mein. Se cadere da duecento piedi non l'aveva uccisa, questo probabilmente non l’avrebbe fatto.
Si sedette al tavolo e mangiò, non ancora completamente sveglia, ancora non del tutto pensante, semplicemente godersi la sensazione del cibo che colpisce lo stomaco e lo riempie.
La porta si spalancò e signora King si precipitò lì. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi notò il cibo sul tavolo.
"Sono caduta da Coit Tower oggi." disse Chloe senza pensare.
Non aveva programmato di raccontarlo subito alla madre. Aveva voluto pensarci su prima, pianificare il giusto approccio, ma non le era venuto.
A quanto pare al suo subconscio sì.
"Lo so. " disse la madre in un tono basso e rabbioso.
"Sono appena tornata dall'ospedale, dove avresti dovuto essere ad aspettarmi. Ma no, hai deciso di non stare lì, proprio come a quanto pare hai deciso di non andare a scuola oggi."
Figlia e madre si guardarono negli occhi, senza dire nulla per un momento.
"Cosa ti è preso?" la madre di Chloe finalmente urlò "È questa la settimana in cui voi adolescenti avete deciso di ribellarvi in una sola volta?"
"Mamma!" Gridò Chloe. "Sono caduta da Coit Tower. Non significa niente per te? "
"Oltre al fatto che ti stavi comportando come un’idiota irresponsabile?”
Ma gli occhi della signora King si soffermarono sulle macchie sul viso di sua figlia, il modo in era seduta a disagio, il sangue nero sul suo cuoio capelluto. "Stai bene?” Chiese infine.
Chloe si strinse nelle spalle.
"Ecco perché me ne sono andata," mormorò. "Non c'era niente di anomalo ma non hanno voluto ascoltarmi. "
"Sono contenta che Amy e Paul abbiano avuto il buon senso di ignorarti e andarci." Sospirò la signora King.
"Oltretutto li potrei uccidere per aver incoraggiato il vostro “giorno di riposo”."
"Paul non aveva intenzione di essere in giro per il mio compleanno." disse Chloe, sentendosi come un idiota, che si autocommiserava come un marmocchio mentre lo diceva. "Volevo festeggiare con i miei amici."
La madre aprì la bocca per dire qualcosa al riguardo, ma la richiuse.
"Potevi morire", disse. Rimase in silenzio per un attimo. "È un miracolo che tu non lo sia."
"Lo so."
Ci fu un altro momento di silenzio. Chloe fissò piatto vuoto, e sua madre la fissò.
La signora King sistemò gli occhiali con la montatura nera. Chloe poté quasi vedere i pensieri di sua madre: dovrebbe essere morta. Non lo è. Dovrei esserne grata. Sono arrabbiata con lei. Non è morta. Quindi deve essere punita.
"Parliamo di questo. A proposito del tuo comportamento e della tua punizione."
"Ovviamente", Chloe disse con pesante ironia, improvvisamente irritata. "Mamma, dovrei essere morta."
"E allora? Non lo sei. Sii grata. Ho alcune bistecche, le farò in un'ora, dopo di che farò alcune pratiche burocratiche."
"Mi hai sentito? Potrei-sarei morta!!!"
La madre aprì la bocca per dire qualcosa, ma non lo fece. Si passò le dita tra la frangia vaporosa che le incorniciava il viso, lasciando intravedere i suoi occhi. I suoi capelli erano folti e biondi, più lontano possibile dal colore e dalla consistenza dei capelli di Chloe.
Si voltò e andò nella sua stanza.
Forse era drogata.
Era l'unica spiegazione che poteva pensare di spiegare una reazione così blasé. Forse era scossa? Magari non le importava davvero. Considerò amaramente la facilità con cui sua mamma avrebbe potuto liberarsi di lei. Sarebbe stata libera di organizzare cene, andare alle inaugurazioni delle gallerie, e magari rimorchiare un fidanzato davvero figo.
Il tipo che rimase lontano da situazioni complicate come le figlie. Soprattutto quelle adottate.
Pensò al padre riusciva a malapena a ricordare, andato via quando lei aveva quattro anni. A lui sarebbe importato. Avrebbe portato il suo culo in ospedale, non importa quanto lei avesse provato a protestare.
Si sedette sul letto e con attenzione aprì il cassetto centrale del suo ufficio di presidenza. Era l'unico vecchio pezzo di mobili nella stanza, antica, solida, e la quercia. Perfetto per nascondere l'unico vero segreto di sua madre. Un topolino grigio si sedette sulle zampe posteriori e guardò speranzoso.
Squeak!
Chloe sorrise e mise la mano verso il basso accanto a lui, lasciando che il topo vi corresse. Sua madre aveva assolutamente proibito ogni animale domestico peloso, presumibilmente a causa delle sue allergie. Ma quando sua madre era andata in una fase di sterminio dilagante, convinta che la casa fosse stata invasa dai parassiti dei loro vicini meno puliti della porta accanto, Chloe era tornata a casa da scuola un giorno e aveva trovato il grigio topo in una trappola dal vivo. Con l’aiuto di Amy e Paul che avevano installato una luce nel suo ufficio. Ora Mus-mus aveva un contagocce di acqua, un alimentatore e una rotella di esercitazione. Questo era un piccolo mondo di cui la madre non sapeva nulla.
Prese un Cheerio dal sacchetto con il panino che teneva sotto il letto e le lo porse con attenzione; il topolino lo afferrò con le zampe anteriori e si sedette, mordicchiandolo come se fosse un bagel gigante.
"Che cosa devo fare?” Sussurrò. Il topolino non smise di mangiare, ignorandola. "Mia madre è una tale stronza."
Chiamare Amy era l'unica cosa da fare, davvero-Chloe avrebbe potuto chiedere scusa per aver reagito in modo così strano dopo che lei e Paul l'avevano portata in ospedale, l’avrebbe ringraziata per questo, poi sarebbe entrata nel nocciolo di quanto fosse bizzarro l’essere viva e avrebbero discusso sul perché lei era sopravvissuta.
Amy avrebbe probabilmente avuto una qualche spiegazione che coinvolgesse il soprannaturale o angeli, inutile ma divertente.
Chloe sorrise e prese il telefono, lasciando cadere Mus-mus accuratamente di nuovo nella sua gabbia.
Sette lunghi squilli... il cellulare di Amy era acceso, ma lei non stava rispondendo. La cercò tre volte ancora nel caso in cui il telefono fosse stato sepolto in fondo alla sua borsa mentre lei non riusciva a sentirlo. Al quarto tentativo lasciò un messaggio.
"Ehi, Ame, chiamami. Io-uh-mi sento meglio. Mi dispiace per il mio comportamento maleducato di oggi. Credo di essere stata in stato di shock o qualcosa del genere. "
Provò a casa sua.
"Oh, ciao, Chlo-ee!», Rispose la signora Scotkin.
Ci fu una pausa; doveva aver guardato l'orologio.
"Felice sedicesimo compleanno felice da qui a sei ore!"
Chloe sorrise suo malgrado. Amy doveva non averle detto niente. "Grazie, signora Scotkin. Amy è in giro? "
"No-Penso che stia lavorando al progetto civico sull’Am con il suo gruppo stasera. Prova sul cellulare."
L'ho fatto, grazie. "Va bene, lo farò. Grazie, signora Scotkin. "
Aggrottò la fronte. Andò al computer e controllare tutti gli account di Amy, ma nessuno era collegato.
Forse stava davvero facendo i compiti per casa? Nah. Paul era su AFK ma Chloe non aveva veramente voglia di parlare con lui in ogni caso. Aveva bisogno di Amy. Era quasi morta. Quello sarebbe stato il suo compleanno tra quattro ore. Sua madre era pazza. E lei era tutta sola.
Si aggirava per la sua stanza, raccogliendo piccole cose, come pezzi di bric-à-brac, animali imbalsamati-e metterli giù di nuovo. La sua oscurità lasciò il posto a irrequietezza; la sala improvvisamente sembrava molto piccola. Troppo piccolo per i suoi gusti. Si mosse su e giù sulle punte come una ballerina.
Si fermò per un attimo, indecisa, poi afferrò la giacca e scivolò giù per le scale.
“Dove vai?” Chiese la madre, come qualcuno in uno show televisivo.
"Fuori," rispose, altrettanto prevedibilmente.
Sbatté anche la porta alle spalle, per buona misura.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


La notte era più fredda di quanto avesse previsto.
Rimase per un momento solo con la maglietta, lasciando che l’aria umida le pennellasse contro la pelle e le sollevasse i peli sulle braccia. Profumava sorprendentemente di buono; pulito e bagnato come una nuvola. Poi il vento cambiò direzione e lei potè sentire e odorare il traffico allo stesso tempo: odore di scarico, acre e asciutto anche in umidità.
Sospirò e indossò la giacca.
Va bene, un po’ a caso. Adesso dove?
Si era preparata per una punizione davvero spettacolare dopo (anche se sperava la sua esperienza di pre-morte avrebbe contribuito a tagliare il suo po’ di respiro), quindi la notte non era lì per essere sprecata. Poi le venne in mente: La Banca.
Normalmente non avrebbe mai e poi mai preso in considerazione di entrare nel club senza spendere prima diverse ore a vestirsi e ad abbellirsi con Amy, passando in entrambi i loro armadi e talvolta anche con Paul. Jeans e un t-shirt erano semplicemente imbarazzanti.
Non le importava che stesse per farlo. Stava per entrare nel club, da sola, vestita come il Mostro della Laguna di Gap. Aveva solo bisogno di ballare in quel momento.
Era martedì, quindi non c'era molta gente, se non una linea esterna al club; le sue luci di natalizie arancioni e nere facevano a malapena luce alla strada, altrimenti buia. C’era un buttafuori annoiato seduto sul suo sgabello, che indossava occhiali da sole neri, piccoli e tondi che non riflettevano nulla.
Chloe si sporse spavaldamente dal cordone di velluto, sicura di quello che stava per fare. Tutti gli altri in fila erano vestiti con qualcosa di frizzante, rivelando di essere più vecchi di almeno un decennio.
Prima che potesse pensarci, passò davanti a loro e chiese direttamente al buttafuori: "Hey, posso entrare?" Proprio così.
L'uomo gigante guardò e giù, fermandosi alle sue Converse nere consumate. Accennò un sorriso. "Mi piacciono le tue scarpe. Quelli sono in stile vecchia scuola, ragazzina." disse, e sganciò la corda per Chloe.
“Grazie, amico.” disse in quello che sperava fosse una voce altrettanto fresca. Era proprio come se avesse superato un livello di uno dei videogiochi di Paul.  Il Caronte di Inner Sunset l’aveva appena lasciata nell’oltre tomba della danza.
La stanza non era grande, ma era circondata da specchi neri che la rendevano due volte più grande e affollato. Aggrappato alla parete di fondo c’era l'enorme bar per il quale il posto era famoso: la sua superficie era coperta di migliaia e migliaia di monetine di rame lucido, laccate in flussi che scorrevano e che correvano per tutta la strada da una volta nella parete verso il pavimento.
La musica era tipicamente House con un tocco di elettronica. Nessun Moby o Goa qui. Paul avrebbe minacciato di uscire, con le orecchie coperte, prima scivolando fino al DJ controllando il suo equipaggiamento. Avrebbero dovuto essere lì loro tre e non solo lei sola. Ma la musica pulsava forte, e Chloe si sentiva come se potesse uscire e ballare da sola, era quasi morta quel giorno; poteva fare qualsiasi cosa.
Andò al bar, pendente verso di lei e osservò la scena. Alcune persone stavano ballando e erano vestite male, ma per il resto era una folla piuttosto hot. Quello che sembrava tutta una confraternita discuteva bonariamente di sport, sventolando le loro birre, facendo sentire un uomo d'affari fuori posto e il suo outfit molto scomodo. C'era un ragazzo particolarmente bello, intento a bere in silenzio e osservare la gente, proprio come lei. Aveva i capelli neri, la pelle scura, e gli occhi chiari. Esotico. Lei chinò la testa per seguire i suoi movimenti mentre lui ordinava una birra, parlava con un amico, vagava tra la folla, ma presto lo perse.
Attese con pazienza, ma non tornò. Nessuno prese il suo posto, sia; c'erano pochi secondi classificati, ma il ragazzo più bello del club era scomparso.
"Prendi qualcosa da bere?"
Era apparso al suo fianco, sorridendo alla sua sorpresa e al suo imbarazzo. Da vicino era ancora più bello, con labbra carnose e un schizzi di luce più scure e lentiggini marroni in tutto il suo naso.
Chloe stava per dire No, grazie, come aveva fatto ogni volta che qualche ventenne aveva cercato di offrirle da bere. Ma "Assolutamente!" fu quello che invece le venne fuori.
“Che cosa vuoi prendere?"
"Red Bull e vodka."
Lui annuì in approvazione e fece tintinnare il suo drink con il suo bicchiere di birra, quando il barista glielo porse.
"È il mio compleanno tra due ore!” Gli gridò in un orecchio.
"Davvero? Evviva!” Sembrava britannico. Brindarono di nuovo l'un l'altro e bevvero. "Buon compleanno!"
Le baciò delicatamente la guancia. Sentì il suo stomaco fare un capogiro. Un enorme sorriso si diffuse sul suo volto, distruggendo completamente la calma. Era entrata nel club senza problemi, uno splendido ragazzo bello da morire e solo le aveva comprato una bevanda e si stava rivelando di essere un gran bel compleanno, dopo tutto.
Dopo un altro drink iniziarono a ballare. Iniziò ad ondeggiare in piccoli cerchi perfetti per evitare altri ballerini nello spazio stretto. Per una canzone le mise le mani intorno alla vita e lasciò che i suoi movimenti fossero al centro della sua attenzione. Quando camminavano tra la folla per un drink o una pausa, metteva molto leggermente la mano sulla schiena o alla spalla, in un modo che Chloe trovava protettivo, ma non possessivo.
"Sono Chloe!” Gridò a un certo punto.
"Sono Xavier!” Gridò di nuovo.
Al mezzanotte e mezza Chloe capì che la zucca si stava trasformando. Vicina alla morte, esperienza o no, sua madre la avrebbe uccisa se fosse rimasta fuori tutta la notte. Xavier uscì con lei.
"Voglio essere il primo a augurarti un felice compleanno", disse, baciandola delicatamente sulle labbra nel parcheggio buio. La sua bocca era calda e umida ma non bagnata, ed molto più delicato rispetto ai pochi ragazzi della sua età che Chloe aveva baciato. Tirò una carta fuori dal suo portafoglio. In realtà c’era scritto:
Xavier Akouri, 453 Mason St., # 5A, 011-30-210-567-3981.
Le ci volle un momento per capire che si trattava di un numero di cellulare internazionale quello che stava guardando.
"Non hai intenzione di chiedermi il mio?" chiese Chloe.
Lui sorrise e abbassò la testa così i loro nasi quasi si toccavano, guardandola direttamente negli occhi.
"E mi avresti dato il tuo vero numero? Chiamami, se vuoi."
Lo stomaco fece un altro flip-flop. Prima che si rendesse conto di ciò che stava facendo, lo afferrò intorno alla parte posteriore del collo e lo baciò. Lui in realtà si lasciò sfuggire un piccolo gemito. Era diventato selvaggio. Le sue mani si sollevarono intorno ai suoi fianchi. Chloe andò sotto la camicia per sentire la pelle sulla schiena, impastata di muscoli che graffiò con le unghie. Gemette di nuovo, dal piacere o dolore, era difficile da capire. Ma ha preso una delle sue gambe lo avvolse intorno alla vita. Chloe si sentì scivolare in una più stretta e chiusa-
Che diavolo sto facendo?
Aprì gli occhi e vide un bel ragazzo baciarla, che avrebbe potuto essere bello, meraviglioso, anche, ma era anche a un passo dal fare sesso con lui in mezzo al parcheggio.
“Mi dispiace.” Si liberò da lui e indietreggiò, respirando affannosamente. Lei faceva male e pulsava di desiderio.
Xavier sembrava confuso. I suoi occhi erano pesanti, e piccole gocce di sudore erano come argento intorno alla suo fronte. Aveva i capelli arruffati.
“Non posso farlo in questo momento." disse.
 Xavier annuì, anche se a malincuore.
"Ti-vuoi venire a casa mia?"
Chloe aprì la bocca per dire qualcosa.
Si rese conto che era molto vicina al dire Sì, lo faccio, ma è riuscì a soffocare un "Mi dispiace," ancora una volta, in modo rapido e girando sui tacchi. Corse fino a casa e poi una volta intorno al caseggiato per buona misura, nella speranza di lavorare il desiderio dal suo corpo. Sua madre sarebbe stata in grado di notare uno sguardo nei suoi occhi, un rossore sulla guancia?
Poteva dire che era l'esecuzione.
Quando entrò, sua madre stava leggendo sul divano, con un bicchiere di vino rosso sul tavolo vicino a lei. Non era stato toccato. Stava cercando di far sembrare di essere stata solamente alzata fino a tardi, invece che per aspettare Chloe. I loro occhi si incontrarono.
"Starò qui un altro po’." disse la signora King infine. "Voglio solo finire questo capitolo."
Chloe non poteva crederci. E dal suo tono, era come se la tarda serata non fosse nemmeno avvenuta, come se poi non sarebbe mai stata portata di nuovo a galla.
"Okay. Buonanotte." disse con la massima gratitudine che le riuscì.
Barcollò al piano di sopra stancamente, togliersi i vestiti mentre camminava. Sentiva l'odore di Xavier, la sua camicia, le sue mani pericolosamente vicino al suo seno quando si erano posate sulla sua vita, le sue labbra mentre lui le stava baciando il collo.
Indossò il pigiama dei pugili e del suo Invader Zim sovradimensionato.
Cadde sul letto, tenendo il suo maiale farcito fra le braccia, chiedendosi ancora cosa fosse successo. Ormoni adolescenziali, come le avevano sempre detto, o era stata una reazione vitale alla sua esperienza di pre-morte? Pensava di aver sentito parlare di una cosa del genere...afferrò Wilbur più strettamente e si addormentò.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Fu diverse ore dopo nel giorno successivo, durante la prima metà dell’ora di civiltà americana, che improvvisamente Chloe si ricordò: quello che aveva fatto, o quasi fatto, la sera prima, senza contare la parte di non-morte. Aveva dimenticato tutto per un breve, felice istante.
Ciò non era sorprendente; il suo cervello a malapena iniziava a lavorare prima delle nove. Le ore tra l’essere svegliati dalla sua scadente vecchia radio sveglia e la seconda campana di solito passavano indolori, sfocate ed insensate. Sua madre, c’era una volta la felice madre single, le aveva fatto i pankakes con delle faccine sorridenti di sciroppo e le aveva chiesto cosa avrebbe fatto quel giorno. Alla fine aveva rinunciato a cercare di comunicare con la sua appena alzata e borbottante figlia e le aveva riempiendo la caffettiera e aveva impostato il timer, invece che farlo la sera prima. Chloe cercava sempre di ricordarsi di borbottare un "ciao" durante il suo cammino come la signora King faceva con lei nella sua mattinata di yoga davanti alla TV.
Merda Santa. Ho quasi fatto sesso con uno sconosciuto in un parcheggio la notte scorsa.
Chloe sentiva brividi quando pensava a Xavier; poteva ricordare di volerlo così tanto da star male ma non il sentimento stesso. Aveva pigramente cercato di delineare le sue labbra sul bordo del suo quaderno. Dove aveva messo il suo foglietto?
"...lo stesso di scarpone, per ciascun piede. Io non credo che nessuno di voi ragazzi oggi con le vostre Florsheims o le vostre scarpe da tennis possa immaginare la sofferenza di quei i soldati che hanno marciato sul…"
Né Paul né Amy erano in classe, quindi era triplamente noioso. Che diavolo è un Florsheim? Chloe cercò di coprire uno sbadiglio, ma era così enorme che sembrava che la sua mascella si fosse aperta più ampiamente di come avrebbe dovuto, come in Alien. I suoi denti scricchiolarono insieme quando finì, troppo rumorosamente. Si guardò intorno per vedere se qualcuno lo avesse notato- nessuno tranne Alyec, che stava guardando con le sopracciglia alzate. Lei arrossì ma sorrise di rimando, in realtà guardandolo nei suoi bellissimi occhi blu ghiaccio. Lui sorrise e fece un gesto "assonnato" con le mani ai lati del suo volto. Chloe annuì, e ognuno tornò a prendere appunti o scarabocchiare prima che la signora Barker ne prendesse nota.
Quando suonò la campanella, Chloe raccolse la sua roba e si preparò per andare in biblioteca -era una tale stronza: aveva il secondo periodo gratuito. Lo scorso anno Amy aveva avuto il primo periodo gratuito e spesso aveva dormito fino alle otto prima di preoccuparsi di entrare a scuola. Mentre Chloe passava affianco agli armadietti popolari, vide Alyec e si agitò. Era, ovviamente, circondato da persone popolari.
Chloe pensò alla loro piccola interazione in classe e al suo successo con il buttafuori la sera prima e si avvicinò a lui, ignorando gli altri.
"Non faceva schifo civiltà americana oggi?" Ancora una volta lei era lì, a fare qualcosa a cui non poteva credere. Prima c'era il cadere da una torre, poi si dava da fare con uno sconosciuto, e ora andava dritta fino al ragazzo più ricercato della classe giovanile per parlare con lui. Poteva sentire i riflessi viziosi della sua cricca impalare il suo didietro, ma in qualche modo non era minimamente nervosa. Neppure un battito cardiaco.
È fantastico. Dovrei quasi morire ogni giorno.
“Oh, donna" disse Alyec con un accento che si stava spegnendo, ma che aveva ancora sfumature straniere "Guardare te-come si dice, gemere? Sì? Quella è stata la parte più eccitante dell’ora."
"Non stavo gemendo, stavo sbadigliando.” disse Chloe con un sorriso timido. “Ma se trovi un modo per farmi gemere, te lo lascerò vedere per tutto il giorno." L’ho appena detto? Poteva vedere un sacco di bocche aperte dalla sua posizione.
"Sei esilarante, King, lo sai?" disse con una vera e propria risata.
Squillò la seconda campanella. "Devo andare in biblioteca-ma dovremmo bighellonare ogni tanto."
Keira sembrava che stesse per ringhiare; le sue labbra erano tirate indietro lungo i denti.
"Assolutamente." concordò Alyec "Ci vediamo dopo, King."
"Ci vediamo." Camminò oltre le altre ragazze, cercando di non sembrare troppo compiaciuta ma incapace di non sorridere un po’.
 
Pensò Xavier per la maggior parte del suo tempo in biblioteca, guardando fuori dalle finestre e sognando un po'. Fece lo stesso a matematica e durante il pranzo. Pensò a lui più che la sua caduta. Era un po’ come sua madre aveva detto-era caduta, era sopravvissuta, ed era lì. Stava fissando il vuoto, con la pizza a metà strada verso la bocca, quando un fastidioso colpo familiare sulla sua spalla la fece ritornare alla realtà. Grumi di olio di arancio brillante volarono dall'altra parte del tavolo.
"Oh mio Dio, è vero?" Amy si gettò nel posto accanto a lei. "Voglio dire, buon compleanno, ma OhMioDio, è proprio vero, hai davvero flirtato con Alyec proprio davanti a Halley, a Keira e-e tutti?"
“Sì, immagino di averlo fatto." Disse con un sorriso.
"Come ti senti?"
Chloe si strinse nelle spalle. "Bene, credo. Un po' strana. La notte scorsa-"
"Guarda, dobbiamo parlare." la interruppe Amy, poggiandosi sul bordo e guardandola dritto negli occhi. "Qualcosa di grande sta affondando con me. Ne voglio parlare. Cena? "
Più grande di una quasi-morte e di un’esperienza di quasi-sesso? Ma trattenne una risposta sarcastica; Amy sembrava davvero preoccupata. E più intensamente del solito.
"Okay-"                                                            
"Bene! Ci vediamo a inglese! "
Chloe guardò l’amica saltare e correre fuori, con le spille da balia e le catene che tintinnavano mentre andava, i capelli castani spettinati che rimbalzavano. Si voltò verso la sua pizza e si chiese quando la vita sarebbe tornata alla normalità. Il grasso si era rappreso in piccole pozze solide di un qualcosa di simile a plastica arancione. Sospirò e spinse via.
 
La normalità sembrava essersi riaffermata a Pateena. Per quanto odiasse l'ordine degli abiti quando tornavano dalla tintoria, c'era qualcosa di familiarmente rilassante nella piega e nello stiro, le tirate a caso dei manager, i clienti alla moda. Niente di sexy o di soprannaturale. Solo un sacco di jeans e di costosissime vecchie scarpe da basket.
Non poté fare a meno di notare un cliente che era entrato, comunque-proprio quando pensava di aver finalmente abbattuto i suoi ormoni. Indossava dei pantaloni neri, una maglietta nera a coste, e una giacca di pelle nera, con il taglio dritto, come in una giacca normale. Ma non c'erano accenni di gotico su di lui: nessun tatuaggio o gioiello o zanne o nulla. L’outfit, che avrebbe dato a chiunque altro l'aspetto di un voglio-essere-Johnny-Cash, calzava perfettamente su di lui; aveva i capelli molto scuri, era leggermente abbronzato, la pelle era pulita, e aveva dei profondi occhi marroni con delle belle ciglia lunghe.
Il tocco finale, era un berretto di maglia fatto a mano con le orecchie da gattino.
Lì c’era un fantastico ragazzo con senso dell’umorismo. Scorreva le polo, aggrottando le sopracciglia.
“Stai cercando un costume per Halloween?” gli chiese Lania con cattiveria. Chloe sbadigliò, ancora non riuscendo a credere che alla piccola stronza fosse stato permesso di stare alla cassa e a lei no. Solo perché l’altra era più vecchia di due anni. Se avesse avuto un dollaro per ogni cliente insultato da Lania, avrebbe finalmente comprarsi una nuova bici. Una bici bella.
Ma lui ridacchiò e basta. “No, ho paura che si tratti di un vero e proprio incontro con dei pezzi grossi.” Sembrava troppo giovane per essere nel mondo degli affari, ma quella era San Francisco, dopo tutto. Probabilmente era un programmatore o un graphics designer o qualcosa del genere.
Chloe tornò al suo lavoro, chiedendosi come Xavier sembrasse alla luce del sole. Quanti drink aveva bevuto? Circa uno o due. Avrebbe potuto avere gli occhi stralunati dalla birra. Magari quelle lentiggini sexy erano in realtà una brutta acne…
“Scusa.” Il ragazzo con le orecchiette da gatto fece un passo verso di lei, stringendosi al petto gli acquisti. Apparentemente Lania aveva deciso di lasciarlo pagare.
“Mi piace il tuo berretto.” disse Chloe.
“Davvero? Grazie!” se lo tolse e lo guardò, come se fosse sorpreso che lei l’avesse notato.
“Te l’ha fatto la tua ragazza?”
Sogghignò. “No, l’ho fatto io.”
Chloe non poté fare a meno di essere impressionata. Oltre ad Amy, nessun’altro che lei conosceva-non contando le amiche di sua madre-cuciva, e non aveva mai finito nulla. A parte per qualche cucitura, sembrava fatto da un professionista.
“Ho trovato il modello su internet.” continuò “Se ti interessa posso darti l’URL.”
“No grazie, non so farlo. La mia amica Amy ci riesce, ma io sono un completo disastro con le mani.”
“Oh, dovresti assolutamente provarci. È una specie di divertimento.” disse, giusto un po’ imbarazzato.
Chloe si preparò al solito discorso tipo ragazzo-scabroso e sensibile che era sicura di seguire, su come i movimenti fossero calmanti, su come si fosse sentito in contatto con le persone tempo prima su come alcune culture native o altre facessero qualcosa di spirituale con i ferri a maglia, di come lui volesse aprire un negozio un giorno, di come fosse giusto insegnarlo ai bambini carenti di autostima…
Ma si era già girato per andarsene.
“Bene, ci si vede.” disse con un adorabile mezzo sorriso mentre raggiungeva la porta. I suoi occhi increpavano la parte superiore della guancia, la pelle era tesa e tirata da una cicatrice sexy che correva dalla parte esterna dell’occhio fino appena sotto lo zigomo.
Chloe gli fece un cenno e lo guardò andarsene. Una parte di lei si sentiva offesa; era o non era una bella ragazza che aveva attratto l’attenzione di due splendidi ragazzi nelle ultime ventiquattr’ore? E a Mr. Cappello Con Le Orecchie Da Gatto non interessava. Era il suo compleanno, per l’amor di Dio. Prima del suo imminente castigo, il destino non aveva in serbo qualcosa per lei?
Poi il suo culo vibrò.
Doveva estrarre con attenzione il suo telefono fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans vintage, che erano appartenuti ad un uomo e avevano una toppa bianca e rettangolare dietro dove una volta qualcuno gli aveva preso il suo portafoglio. Una volta dentro, il suo telefono era salvo. Tirarlo fuori mentre era in piedi era praticamente impossibile.
Testo del messaggio: da carlucci alle 7-a.
Carlucci era il lungo in cui lei e Amy si erano incontrate per la prima volta quando gli Scotkins si erano spostati nel quartiere. Forse dopotutto quel giorno si sarebbe riuscita a prendere una pizza decente. La parte migliore del suo lavoro era che Pateena pagava in contanti sotto il bancone alla fine di ogni giorno. Avrebbe voluto gridare a tutti i venti “Make Me One with Everything pie”.
Il resto del pomeriggio passò senza incidenti, tranne quando tentò di nascondere un paio di pantaloni viola sbiadito che era sicura sarebbero piaciuti a Amy. Di solito la proprietaria non aveva problemi con la voce “risparmio” dei dipendenti per sé stessi. Marisol era il capo più eccezionale che Chloe avesse mai avuto. L’aveva anche lasciata usare la macchina del negozio per fare l’orlo dei suoi jeans e cose del genere. Ma se Lania avesse visto i pantaloni –o se le fossero piaciuti- avrebbe creato dei pasticci. Chloe li nascose sotto una pila di camicie da bowling in poliestere quando Lania se ne fu andata.
Mente si avviava verso il ristorante nell’umida nebbia, le finestre di Carlucci brillavano come se fossero illuminate da lanterne a gas, un ristorante senza tempo. Davvero, era solo un locale italiano in cui veniva servita pasta con candele in vecchie bottiglie di Chianti come ogni altro locale italiano nel mondo, ma era suo e di Amy, ed era accogliente, e ogni tanto il vecchio e vecchio proprietario si ricordava di loro.
Quando aprì la porta, le parve che ci fossero più candele del solito.
 “Buon compleanno…” cantò Amy, rinunciando saggiamente dopo una frase incerta. Il suo volto ansioso era illuminato in maniera maniacale dal bagliore di diciassette candele intorno ad una fetta di un Make Me One with Everything pie. “Soffia velocemente,” aggiunse “Carlucci pensa che io stia per bruciare il posto.”
Chloe rise di gusto, qualcosa che non ricordava da giorni. Inspirò profondamente.
Desidero…
Desidero…
Sarebbe dovuto essere facile: la pace nel mondo, la fine di tutti i disastri di inquinamento nel mondo, la capacità di volare, un cane. I desideri sembravano sempre più complicati man mano che lei cresceva: che suo padre tornasse a casa. Per conoscere chi fossero i suoi veri genitori biologici. Per sapere se avesse un fratello o una sorella. Pensandoci bene, forse il suo recente forte desiderio era una sorta di sostituzione dell’amore paterno o qualcosa del genere. Ewww… 
“Chloe?”
Uscì dalla sua fantasia.
Voglio una nuova bici.
No, un attimo, voglio la pace nel mondo.
Soffiò, cercando di non sputare sulla loro pizza. Vide con divertimento che Amy aveva pre-ordinato le tre lattine necessarie per ognuno di Nehi all’uva.
“Sei la migliore, Amy.”
“Hey, nessun problema.” Non si abbracciarono, Amy odiava cose come quella. Subito si sedettero a tavola e iniziarono la seria miscela di fette di salsiccia-cipolla-pepe-pomodoro-peperoni-capperi-olive nere dentro la loro bocca il più velocemente e umanamente possibile. Chloe gemette di piacere.
“Questa pizza è la cosa migliore che mi sia capitata in tutta la settimana. Beh, fatta eccezione per la scorsa notte.” Deglutì e guardò Amy, ma la sua amica non sembrava sarcastica.
“Sì? Intendi la caduta? Questo è davvero assurdo.”
“No, dopo. Ieri notte. Dopo la sclerata di mia madre.” Ma l’amica non stava davvero ascoltando. Chloe sospirò, infine posò il suo sguardo disperato su quello distratto di Amy. “Okay, cos’è più importante della mia vita durante il mio compleanno?”
“Paul e io l’abbiamo fatto la scorsa notte!” Sbottò, coprendosi immediatamente la bocca con le mani, come se non avesse voluto che le parole le uscissero.
Chloe si sentì soffocare. Ci volle metà di un Nehi per rimettere in sesto la sua normale respirazione e deglutizione. Di tutte le cose che Amy avrebbe potuto dire, questa era decisamente l’ultima che si sarebbe aspettata. Certo, Amy e Paul si stavano guardando il giorno prima, ma merda santa, tutti si conoscevano dalla quarta elementare. Era come uscire con un fratello. Un fratello davvero eccentrico.
“Tu hai fatto cosa?”
“Dopo che ti abbiamo portata a casa, abbiamo bazzicato a casa sua.”
Facile da immaginare: Amy e Paul nella sua piccola stanza, circondati da scaffali sommersi di trofei e dalla sua piattaforma girevole. Sdraiati sul pavimento. “Intendo, ci eravamo veramente spaventati, sai?” Amy la guardò negli occhi. “Saresti davvero potuta essere morta. Intendo, il fatto che tu sia viva è semplicemente-fantastico. Come se ti fosse stata data una seconda chance.” Chloe decise silenziosamente che Amy non sarebbe entrata nella sua merda da angelo; improvvisamente non era il momento. “Una sorta di, suona stupido, un totale cliché, ma era solo come se noi avessimo appena realizzato che la morte ci aveva toccati. Di’ le cose mentre puoi, hai presente? Nel caso che tu non abbia mai la possibilità di farlo.” Prese un profondo respiro. “Così stavamo parlando di, lo sai, cose profonde e di vita e eh, poi…beh, e poi…”
“L’hai baciato?”
“Praticamente, sì.” Amy stava arrossendo? “Ma non è tutto. Ci tengo davvero a lui, lo sai? Siamo cresciuti insieme, lui è come un familiare, così c’è questa specie di amore, ma non l’avevo mai trovato sexy prima…”
“Oh mio Dio,” disse Chloe “Mi stai dicendo che lo trovi sexy adesso? Ancora? Ventiquattro ore dopo?”
“Non lo so. Intendo, forse.”
Masticarono in silenzio per un po’. Subito l’ossessione di Chloe del ragazzo sexy al club e del flirt con Alyec sbiadirono. Con Xavier era stato solo un bacio, sebbene lungo e intimo, e se lei non l’avesse più visto, sarebbe stato solamente quello. E Alyec era solo un flirt. Quello era serio. Avrebbe diviso il trio.
Se loro non fossero stati seri, o se lo fossero stati e non fossero durati, o se quella fosse stata solo una stranezza dell’ultima notte e se uno dei due non si fosse sentito sicuro come l’altro, la splendida amicizia dei tre sarebbe stata distrutta. Chloe non sopportava l’idea di essere l’amico in comune dopo il “divorzio”. Terribilmente imbarazzante. Era sicura che sarebbe stato un completo disastro.
Dopo cena Amy acchiappò il conto quando Carlucci lo lasciò sul tavolo.
“Le soprese cesseranno mai? Prima sono sopravvissuta alla cauta e adesso questo…” disse Chloe, preventivamente pessimista.
Ma Amy sollevò semplicemente un po’ le sopracciglia e camminò verso casa sua, parlando di Paul tutto il tempo. Solo quando erano vicine alla casa dei King sembrò ricordarsi di Chloe.
“C’era qualcosa che volevi dirmi prima?”
“Oh, uh, nulla di importante. Intendo, non importante come questo.” Sbloccò la porta e la lasciò aperta. “Vuoi salire?  Potremmo-“
C’era una moltitudine di persone, ben vestite, che parlavano e girovagavano in sala da pranzo e in salotto. Venivano serviti antipasti; lo champagne veniva versato nei bicchieri. Paul era lì con i suoi genitori, e il signore e la signora Scotkin, e le altre persone che erano vicini o facce familiari.
“Oh, merda.” disse sua madre, voltandosi e vedendola. “Sorpresa!” 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Due bicchieri di champagne dopo, Chloe iniziò a divertirsi. Nonostante sospettasse che la festa fosse una specie di stratagemma psicologico di sua madre per far sentire sua figlia amata, voluta e apprezzata, e aveva fatto un fantastico lavoro, e Chloe si sentiva tutte e tre. Si era chiesta se la sua punizione per aver saltato scuola e lasciato l'ospedale stesse per essere sfoderata o se, anche questo, fosse andato dimenticato come in un'amnesia.

La signora King non poteva, comunque, arrendersi ai tradizionali elementi di una festa di compleanno, vale a dire, un dolce vecchio stile e condivisione di foto imbarazzanti di una più giovane, e a volte nuda, Chloe.

E ovviamente, toast.

Appena sua madre prese in mano un bicchiere, Chloe se ne andò via velocemente per non essere al centro dell'attenzione. Nessuno si mosse, era in trappola.

"Come molti di voi qui sanno già," iniziò la signora King tirando su col naso "non sappiamo con precisione quando sia il compleanno di Chloe."

Chloe chiuse gli occhi. Lo stava per fare. Le stava per dire tutta la storia.

La folla aspettava ansiosa.

"Nacque da qualche parte in una campagna della vecchia USSR. Dal momento in cui l'abbiamo trovata, l'unica cosa che gli ufficiali sovietici ci potettero dare, fu un documento con alcuni scarabocchi e un timbro con falce e stelle."

Indicò i brandelli di carta, arruffati e incorniciati sul tavolo da pranzo.

"Io e David volevamo così tanto un bambino...e siamo stati così fortunati. Chloe era la bambina piccola più bella che potessimo mai avere. E lei è cresciuta in grazia e bellezza e intelligenza in ogni modo possibile." Chloe quasi si lamentò ad alta voce. Amy le lanciò un'occhiata, approvando il suo orrore. "E sebbene abbiamo i nostri piccoli...litigi, non potrei essere più fiera. E se tuo padre" -si interruppe- "fosse qui, si sentirebbe allo stesso modo. Chloe, ti voglio bene. Sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. Buon sedicesimo compleanno!"

Tutti brindarono e l'abbracciarono. Chloe borbottò ringraziamenti, grata che la parte peggiore fosse passata così velocemente. Non appena il nodo di persone attorno a lei si sciolse, si tuffò sul tavolo degli antipasti e si riempì il piatto e stette nell'angolo dietro ad una pianta alta così da potersi godere quella speciale portata in pace.

Un paio di persone le passarono affianco, pericolosamente vicine. Si congelò-non sembravano averla notata.

"Ricordi quanto male stessero combattendo verso la fine?" sussurrò la signora Lowe.

"Sì, il brindisi di Anne era così delicato" rispose il padre di Paul "Considerando come lui si se n'era appena andato"

"Lei ha mai finito per ottenere un divorzio?"

"No...è come se lui sia scomparso dalla faccia della terra. Non ha mai inviato nemmeno un soldo per Chloe. Chiaramente," considerò, riflettendo "non penso che Anne o Chloe stiano soffrendo"

Entrambi tacquero.

"Ancora champagne?" suggerì infine la signora Lowe.

Chloe masticava con aria pensierosa un gambo di sedano.

Prima, quando suo padre era ancora in circolazione, quando era piccola, festeggiavano l'anniversario della sua adozione, che sarebbe stato solamente qualche settimana dopo. Non l'avevano più fatto da quando suo padre se n'era andato, rifletté.

Lasciò la sicurezza della sua pianta per provare a confondersi; le persone erano lì per lei, dopo tutto.

"Allora, dov'è l'illusionista che hai assunto?" sussurrò Paul, avvicinandosi e guardandosi attorno sospettosamente. "Pensavo che ci sarebbero stati clown e corse di cavalli e roba"

"Lei non è così male" rispose Chloe, stupendosi di star difendendo sua madre. Era una festa carina e piccola; uno degli amici di sua madre stava suonando il violoncello nell'angolo, che era un po' strano ma dava un'aria sofisticata all'intera cosa. Come se loro fossero ricchi e lei fosse una debuttante o qualcosa del genere. C'era sempre un piccolo caviale di storione americano –non a rischio di estinzione, aveva detto sua madre fieramente. E cosa più importante, una mountain bike Merida bianco cromato con la pedalata assistita per le montagne di San Francisco più faticose.

Come lo sapevi? Ho ottenuto il mio desiderio. Si sentiva un po' in colpa per tutta la questione della pace nel mondo. L'anno prossimo, forse.

Paul stava tamburellando nervosamente sul fondo del suo bicchiere di champagne.

"Um, Amy mi ha detto," iniziò Chloe sommesssamente.

Lui parve immediatamente sollevato ed emise un profondo sospiro.

"Quindi ti va bene?"

"Andarmi bene cosa?"

"Noi...che facciamo...lo sai..."

"Diamine, no," disse Chloe, leccandosi via il caviale dalle dita. "voglio dire, vedendo che come io ho avuto questa cotta per te da quando avevano nove anni e-"

"O-kay." Paul alzò la mano. "È abbastanza. Messaggio ricevuto"

Amy stava girovagando.

"Hey, ragazzi," disse un po' nervosamente. Lei e Paul si scambiarono dei sorrisi imbarazzati –imbarazzati! Chole guardò le loro mani "accidentalmente" che accidentalmente si sfioravano. Amy sorrise, arrossendo appena. Chloe fremette un po'. Oh Dio. Va bene. Sarò la migliore amica figa.

• • •

Sarò la migliore amica indifferente.

Chloe si ripeté il suo piccolo mantra durante la lezione di inglese del giorno seguente mentre osservava Amy e Paul che provavano molto intensamente a non guardarsi a vicenda. A chi importava? Perché stavano cercando di tenerlo segreto? Era come se qualcuno della scuola avesse effettivamente fatto la spia su questo particolare trio di amici o su quello che succedeva tra di loro. Il signor Mingrone tornò indietro per scarabocchiare un'enorme A sulla lavagna. Quando Amy sfruttò l'occasione di lanciare degli appunti a Paul, Chloe appoggiò la testa sul banco. Il tavolo odorava di vecchia colla, lo spigolo sapeva di matita al piombo e altri odori meno identificabili ma ugualmente spiacevoli, ma qualsiasi cosa era meglio che guardare Paul e Amy.

Sarò indifferente.

Paul faceva parte del giornalino scolastico, il che gli permetteva (anche a Amy e a Chloe) di accedere ai migliori computer e al migliore equipaggiamento, così come anche al vecchio divano sgangherato e alla stanza semi privata. Quasi nessuno la usava dopo la fine della scuola, il che permise ai tre di rimanere lì durante la giornata se Paul fosse stato nei paraggi. Chloe decise di utilizzare la sesta ora per recuperare un po' di sonno.

Chloe bussò con esitazione all'antica, alla solida porta in legno di quercia, sperando di non trovare i suoi due migliori amici insieme.

"Entra" rispose Paul, usando la sua voce da capitano Picard. Amy non era decisamente in giro.

Di fatto, quando Chloe entrò, Paul sembrava star lavorando sulla carta, sedendosi al limite della sua scrivania ed esaminando il suo articolo.

"Il croccante merluzzo con il formaggio cotto al forno ogni mercoledì per il prossimo mese" sospirò Paul, lanciando il programma del pranzo. La personale opinione di Paul, Amy e Chloe sull'unica motivazione per cui qualcuno leggeva La Lanterna era per il menu della caffetteria e la colonna spesso proibita di Sabrina Anne.

"Perché non chiedi tua mamma di prepararti un pranzo? Burro di arachidi e kimchi. Il pasto dei campioni." Chloe gettò lo zaino, e poi se stessa, sul divano.

"Sì, giusto." Paul allungò le gambe sotto la scrivania.

Era strano averlo che guardava in basso su di lei in quel modo. O forse era solo un cambiamento globale nel suo comportamento dall'intera faccenda con Amy. Sembrava tranquillo e sicuro di sé, come se si stesse rilassando su un trono invece che starsene appollaiato su una scrivania. In realtà quel giorno sembrava stare abbastanza bene. Indossava una semplice maglietta e dei pantaloni cadenti che combaciavano con il suo corpo squadrato e massiccio meglio di quanto facessero la camicia del bowling o la divisa da Dj che a volte indossava.

Eh, cosa? Chloe realizzò immediatamente che stava ammirando l'abbigliamento di Paul. Il buon vecchio Paul, con la cicatrice del labbro leporino che si tendeva quando sorrideva. Qualcosa di davvero tenero...

Chloe si scosse da sola.

"Quindi cosa sta succedendo?" domandò rapidamente.

"Oltre alla tua quasi morte e ad Amy? Non molto altro." La guardò con vago divertimento nei suoi occhi marrone scuro. Chloe sentì i suoi palmi sudare. Era una stanza piccola, isolata dal resto della scuola, la loro solitudine era come una specie di terza presenza lì con loro.

È solo perché lui piace ad Amy, si disse. Una cosa competitiva. Nell'aria immobile della stanza poteva sentire l'odore del deodorante e del sapone che lui aveva usato e al di sotto una salinità che lei pensò che fosse probabilmente la sua pelle. Dal modo in cui lui era seduto, sarebbe stato così facile camminare e schiacciarsi addosso a lui; sarebbero stati alla stessa altezza. Poteva avvolgere le sue braccia attorno al suo collo come aveva fatto con Xavier e tirarlo verso-

"Blah blah blah, ehy King, stai ascoltando?"

"Sì!" balzò in piedi, tentando di scacciare via il suo desiderio. "No. Voglio dire, devo andare. Io ho, ehm, mi sono dimenticata di dare il mio saggio a Mingrone-merda, spero che non se ne sia già andatp."

Afferrò il suo zaino e si mosse verso la porta.

"Pensavo che avesse detto che avessimo tempo fino a domani" la richiamò Paul. La porta si chiuse sbattendo fra di loro.

Sarò indifferente.

Sì, certo.

Al lavoro Chloe si sforzò di esaminare attentamente ogni ragazzo che arrivava. Inclusi alcuni che erano gay. Le cose andavano davvero male proprio quando si ritrovò quasi a baciare il suo migliore amico. Che sembrava anche essere il fidanzato della sua migliore amica.

Marisol non aveva aiutato per niente mettendo "Ho bisogno di un uomo" degli Eurythmics negli altoparlanti del negozio.

"È così ovvio?"

"Dolcezza, stai sgocciolando ormoni su tutto il mio bel pavimento pulito." Le sorrise la donna più anziana. Chloe desiderò che sua madre fosse più come il suo datore di lavoro. Sembrava sempre capire il suo umore e, a meno che non ci fosse una vendita, era spesso pronta a parlare e ad ascoltare.

"Chi è che ha messo su questa merda?" urlò Lania dalla sezione delle scarpe, con le mani sulle orecchie in segno di orrore.

Chloe e Marisol si scambiarono uno sguardo da "cosa possiamo farci". "Vai a prenderti un ragazzo, ragazza. Non ti stai concentrando; è ovvio che la tua attenzione sia rivolta altrove" le disse Marisol con voce spensierata.

Dopo che Chloe ebbe pazientemente strappato le cuciture di alcuni jeans, rifletté su quello che il suo capo le aveva appena detto. Forse avrebbe potuto farlo "fuori dai suoi schemi". Forse aveva bisogno di un bel fidanzato.

O di fare visita a Xavier.

Una volta che Chloe ebbe trovato la strada giusta, tirò fuori il foglietto sgualcito dalla tasca posteriore. Sto andando per trarne il meglio. Si immaginava in un vestito di affari, da qualche parte in un futuro immaginario, scuotendo la mano di qualcuno e tirando fuori il proprio biglietto da visita, tutto sgualcito e sporco. Controllò l'indirizzo della struttura. Xavier doveva avere un po' di soldi oppure passava la notte da un amico che li aveva: era una vecchia casa carina, con tre piani, un bosco tetro e le finestre che davano su una strada con delicati alberi verdi e senza traffico. Certo, entrambi i lati della strada erano pieni di macchine parcheggiate –vicini ricchi o meno, quella era ancora San Francisco.

La porta d'ingresso era aperta e c'era una nota scandagliata a FedEx posta sul cicalino. L'atrio puzzava di un detergente di legno di limone. C'era solo un appartamento per piano; Xavier aveva la soffitta. Con il tetto spiovente. Aveva sempre sognato di vivere in una vecchia casa come quella al posto del microscopico, brutto ranch con le pareti in vinile.

Ma nella penombre delle scale Chloe cominciò a mettere in discussione quello che stava facendo: andare nell'appartamento di un tipo più vecchio di lei al crepuscolo, senza che nessuno sapesse dove si trovava. Si sarebbe potuto rivelare qualsiasi cosa: uno stupratore o un assassino. Un vampiro, anche.

Si fermò brevemente, ma un'immagine di se stessa che baciava Paul la spinse ad andare avanti. Non entrerò. Starò nell'ingresso e gli chiederò se vuole uscire. Forse per prendere un caffè.

La porta era di legno scuro con una cornice e un piccolo spioncino in ottone e in vetro all'altezza dell'occhio. Alzò la mano per bussare...

E realizzò che la porta era appena appena aperta.

"Ehm, ciao?" fece, tornando indietro.

"Aiuto..." una voce strozzata e affannosa chiamò dall'interno. "Aiutatemi!"

Chloe esitò sulla soglia. Poteva essere una trappola. Poteva rapire le ragazze e stuprarle e venderle nel mercato delle schiave...

"Per favore...qualcuno..."

Aprì la porta ed entrò.

L'appartamento sapeva da malattia e da decadimento, il che strideva con gli arredi puliti, antichi e costosi e il sistema moderno di illuminazione. Davanti ad ognuna delle finestre c'era un angolo attentamente progettato per leggere e sedersi –proprio come avrei fatto io. Chloe seguì il suono del respiro affannoso.

Sdraiato sotto l'architrave del bagno c'era uno Xavier molto diverso.

Indossava gli stessi vestiti dal locale di due notti prima, ma erano strappati e tirati come se avesse cercato di strapparseli via dal corpo. La sua faccia era piena di bolle come la scorza di un pompelmo malato. Le sue guance e la fronte erano gonfie e rosse, con liquidi, linfa o pus, che fuoriuscivano da piaghe giganti.

"Aiuto –" provava a urlare, ma la sua gola era così tanto infiammata che poteva a mala pena respirare. Gemette e si contorse, cercando di strisciare fuori la sua pelle. Cadde di peso sul suo stomaco e gli guardò la schiena. Lunghe, ulcere fangose e segni sulla pelle come segni di artigli. Esattamente dove lo aveva graffiato e toccato fuori dal locale.

Chloe fece retromarcia lentamente.

Devo chiamare.

Senza pensarci, come se stesse camminando attraverso la melassa, trovò il portatile di un telefono cordless nel salotto, che era in cima a uno di quei costosi filtri HEPA giganti di Sharper Image, come quello che sua madre aveva. Compose il 911.

Recitò l'indirizzo quando una brusca e indifferente voce venne fuori. "C'è qualcuno qui. Coperto di piaghe. Può a mala pena respirare. Sembra che stia per morire."

Sembra che stia per morire.

"Stiamo arrivano lì, signorina. Qual è il tuo numero di telefono?"

"Io non –" guardò il foglietto e gli diede il suo numero. Dopo aver attaccato, tornò da Xavier. Stava sussurrando e tossendo e i suoi occhi erano incrostati e quasi chiusi. Si chiese se potesse vederla, se potesse riconoscerla.

Esattamente dove lo aveva graffiato.

Aspettò finché non sentì le sirene avvicinarsi e poi corse via.

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