2. Ceneri e Piume di Levyan (/viewuser.php?uid=673727)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Come Essere Nati E Risorti Insieme ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 3 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 1 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 2 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 4 - San Martino pt. 1 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 4 - San Martino pt. 2 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 1 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 2 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 1 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 2 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 3 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 1 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 2 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 7 - Malibu pt. 3 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 1 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 2 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 1 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 2 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 9 - Notturni pt. 3 ***
Capitolo 24: *** Epilogo - Perdersi In Un Mondo Esterno ***
Capitolo 1 *** Prologo - Come Essere Nati E Risorti Insieme ***
Ceneri
e Piume
Prologo: Come
Essere
Nati E Risorti Insieme
Petalipoli,
Hoenn
5
ottobre, stesso anno degli eventi dello special Omega Ruby e Alpha
Sapphire
Lino
stava
in piedi, immobile, sull’uscio della casa dei suoi genitori, con gli
occhi ricolmi di lacrime e le occhiaie scavate nei suoi pallidi zigomi.
In mano
teneva stretta una Ball al cui interno era celato un Flygon, quel Flygon
che
Norman gli aveva regalato anni prima, quando lo aveva incontrato ad
Orocea.
Grazie a quel Pokémon era riuscito a raggiungere la Torre dei Cieli e a
risvegliare Rayquaza assieme al padre del suo miglior amico. Il suo
mentore.
Per
molto
tempo aveva ricordato con malinconia quel giorno. Le emozioni che
tornavano a galla quando ripensava a tale impresa erano fortemente
contrastanti:
la sensazione dovuta al fatto che il suo maestro avrebbe sicuramente
preferito
Ruby al suo posto, la gratitudine nei confronti di quell’uomo per aver
riposto
la sua fiducia in lui e per averlo fortificato in quel modo, la
delusione che
gli rievocava il pensare a se stesso come ad un Dexholder, cosa che non
era mai
stato, ma che avrebbe desiderato con tutta la sua anima.
‒
Norman ‒ mormorò.
E
in quel momento, davanti a lui, quasi tutto il popolo della sua
cittadina era
sceso per strada nell’oscurità di quella tiepida notte. Tutti rivolti
verso la
Palestra che era appartenuta al leggendario Inseguitore
della
Forza. La persona migliore che lui avesse mai conosciuto.
Nelle
spire
del buio punteggiato da un cielo luminoso e senza nuvole, un secondo
firmamento ondeggiava lentamente per la strada. Migliaia di candele,
semplici
lumi stretti tra le mani di chi, durante il breve periodo della sua
permanenza,
aveva imparato a conoscere Norman.
Petalipoli
piangeva
la scomparsa del suo Capopalestra.
E
così Lino, che nell’intenzione di aggregarsi al gruppo aveva deciso di
non
versare lacrime e uscire anche lui per dare un ultimo saluto a Norman,
non era
riuscito ad oltrepassare il vialetto di casa senza commuoversi.
Il
ragazzo
si fece forza, raccolse gli ultimi frammenti di animo che aveva in
corpo e si portò avanti senza sentire il peso dei propri passi sul
selciato.
Si
mosse
in una galleria ipnotica di luci fioche e spiraleggianti. Vide volti di
persone che conosceva, le quali, consce del legame che univa Lino a
Norman, lo
guardavano con sincera pietà negli occhi. Udì i commenti pregni di
ammirazione
di numerosi Allenatori locali che avevano fatto tesoro degli
insegnamenti del
loro Capopalestra nel corso degli anni.
Tuttavia,
il
suo cervello non riuscì a trattenere nulla. Lino si ritrovò senza sapere
come in mezzo alla folla, davanti alla porta della Palestra, paralizzato
alla
vista della sua esile figura riflessa nella porta di vetro di
quest’ultima.
Proprio lì dove solitamente vedeva Norman immobile ad attenderlo per una
nuova
sessione di allenamento.
Accanto
a
lui, si materializzò una sagoma conosciuta, anche questa la vide dal
riflesso. E un brivido gli corse lungo la spina dorsale. Aveva le
braccia
incrociate sul petto, gli occhiali occultavano il suo sguardo e teneva
stretto
in mano il cappello che portava sempre con sé. Ruby tratteneva con
fatica le
emozioni. Forse si era anche lui ripromesso di non piangere se non in
solitudine.
Il
ragazzo
si trovava lontano da Hoenn quando lo avevano avvertito del fatto che
un incendio si era portato via le due persone che lo avevano messo al
mondo,
devastando casa sua ad Albanova.
‒
Lino ‒ lo chiamò con la voce piegata dalla forza dei singhiozzi che non
si era
concesso. ‒ devo parlarti… ‒ mormorò.
Iridopoli,
Hoenn
21
marzo, l’anno
seguente
Ai
Capipalestra
era concesso sfidare la Lega Pokémon in qualsiasi momento. Molte
altre volte era accaduto che un Capopalestra decidesse di mettersi alla
prova e
cercare la vittoria contro Superquattro e Campione. Lo stesso Adriano,
ben sei
anni prima aveva detronizzato Rocco conquistando il mantello di tessuto
bianco
che contraddistingueva il più forte Allenatore della regione di Hoenn.
Per poi
lasciare di nuovo il titolo al suo predecessore.
Qualcuno,
quel
giorno, aveva fatto lo stesso.
Anche
il
Metagross di Rocco tornò sconfitto nella sua sfera. Il suo sesto
Pokémon, il
suo ultimo Pokémon. Il Campione emise un sospiro colmo di comprensione.
Sentiva
dentro di sé la delusione che provava nei confronti della sua persona,
ma allo
stesso tempo sapeva che non c’era nessuna vergogna nell’ammettere la
propria
sconfitta.
E
una seconda volta vedeva il mantello del campione strappato dalla
propria
schiena. Una persona normale si sarebbe abbattuta psicologicamente già
dopo la
prima. Lui no, invece.
Lui
era
fatto d’acciaio.
Ma
come
tutti sanno, anche l’acciaio si piega dopo un po’. E a piegarlo era
stato
quel ragazzo che sorprendendo tutti aveva ottenuto il titolo di
Capopalestra
che era appartenuto a suo padre.
Ruby
riprese
fiato. Flygon, il Pokémon che gli era stato donato da Lino tempo prima
e che un tempo era stato proprio di Norman, rientrò nella sua Ball,
parecchio
affaticato per lo scontro.
‒
La vittoria è tua, Ruby, sei il Campione della Lega della regione di
Hoenn ‒
annunciò Rocco.
Il
ragazzo,
stranamente taciturno come si era mantenuto per tutta la lotta,
camminò fino al centro del campo facendo lo slalom tra i crateri, le
buche e le
crepe create dai loro Pokémon nella foga dello scontro.
Rocco
lo
imitò. I due si strinsero la mano e il perdente si privò del simbolo
della
sua carica, cedendolo a Ruby. Il ragazzo non indossò subito il mantello,
se lo
poggiò sulla spalla e guardò Rocco dritto negli occhi. Non portava gli
occhiali, quel giorno, lasciò che i loro sguardi si incrociassero
genuinamente,
senza alcuna barriera a dividerli.
Rocco
vide
uno strano bagliore nelle sue iridi del colore del rubino, ma non disse
nulla. Lo condusse nel silenzio generale alla sala d’onore e gli
illustrò tutte
le procedure necessarie per la registrazione della sua Scheda
Allenatore. Ruby
le eseguì con pazienza e precisione.
Infine,
Rocco
lo portò, sotto gli sguardi rispettosi nei confronti del loro nuovo
sovrapposto di Drake, Fosco, Frida e Ester all’ufficio del Campione
nella sede
della Lega di Iridopoli.
Ruby,
concluso
il tour introduttivo alla sua nuova vita, commentò soltanto: ‒ Come
prima cosa, al mio posto, intendo raccomandare Lino per la carica di
Capopalestra di Petalipoli.
Rocco
non
rimase stupito, lì per lì cacciò un sorriso inconsistente.
‒
Dovrà comunque superare l’esame e registrarsi all’Associazione Pokémon ‒
lo
informò.
‒
Lo ha già fatto ‒ ribatté Ruby con sicurezza. ‒ Mentre noi lottavamo, ho
ordinato che venissero testate le sue capacità per un eventuale
rimpiazzo ‒ quindi
assottigliò lo sguardo. ‒ Sono certo che abbia già superato l’esame.
E
così fu: Lino divenne il nuovo Capopalestra di Petalipoli, Ruby prese la
corona
del Campione e Rocco rifiutò per la seconda volta di essere declassato a
Superquattro, prese invece in mano il suo desiderio di migliorare e
partì per
Holon.
Ovviamente,
la
Lega di Hoenn non sarebbe mai più tornata quella di prima.
Albanova,
Hoenn
20
settembre, lo
stesso anno
Sapphire
si
chiuse la porta alle spalle. Il suo rientro a casa non era stato udito
da
nessuno.
Nessuno,
viveva
sola con suo padre, non che fossero poi tante le persone all’ascolto in
attesa del suo ritorno. Comunque, essendo entrata a casa alle tre di
notte era
felice di non aver svegliato il professor Birch.
Cacciò
uno
sbadiglio lunghissimo, avrebbe voluto fare una sorpresa al genitore che
non
la aspettava per quel giorno. Era di ritorno dalla regione di Unima,
nella
quale aveva passato due mesi alla conquista delle palestre assieme ad
Emerald e
Blue.
Sorrise
pensando
alla parola Dexholder. E
senza rendersene conto aveva già preso dal mobile che era in salotto la
foto
che aveva scattato il reporter che aveva seguito le vicende sue e dei
suoi
amici al Parco Lotta cinque anni prima. C’erano i Dexholder di Kanto,
Johto e
poi Ruby ed Emerald che con lei formavano il trio di quelli di Hoenn.
Tutta
gente tosta, gente con cui poi nel tempo aveva stretto un legame sempre
più
forte.
Quella
sera
si sentiva un poco malinconica, ma probabilmente era a causa del sonno.
Decise che era il momento di riposare. Si scolò quasi mezzo litro di
latte
freddo direttamente dal cartone preso dal frigo quindi, con passo
felpato, si
diresse verso camera sua. Posò sul comò la borsa su cui aveva fissato le
otto
medaglie di Unima e si svestì gettando i suoi abiti a terra. Serpeggiò
sotto le
coperte con addosso la biancheria intima e una maglietta di quattro o
cinque
taglie più grande di lei che le arrivava quasi fino alle ginocchia. Era
la
prima cosa che le sue dita avevano trovato dentro il cassetto dei panni.
Fu
avvolta dalle spire del sonno quasi istantaneamente.
Dormì
serena
per parecchie ore. Verso le sette del mattino, suo padre diede uno
sguardo alla sua camera, scoprendola appisolata nel suo letto, sorrise
sorseggiando il cappuccino che aveva in mano. Ormai sapeva come
comportarsi con
Sapphire, da due mesi a quella parte ogni mattina aveva l’abitudine di
controllare se la figlia fosse tornata a casa di nascosto durante la
notte. La
lasciò dormire in pace e si dedicò ad altro.
Sapphire
aprì
gli occhi stuzzicata dal sole verso le undici e mezza. Stiracchiò i
muscoli e si scoprì cercando di far assorbire al corpo un po’ di quel
piacevole
tepore di cui l’aria era pregna. Settembre si avvicinava al termine, ma
ad
Hoenn era ancora estate. La ragazza respirò a pieni polmoni, aria di
casa, aria
di compleanno. Scattò in piedi.
Il
lembo
inferiore della maglietta che aveva utilizzato come pigiama le
svolazzava
attorno alle cosce come un vestito. Uscì dalla camera, si appese
affacciandosi
al corrimano delle scale e sporgendosi con metà del busto verso il piano
inferiore.
‒
Pa’, sono tornata! ‒ esclamò felice.
Intravide
suo
padre in cucina intento a spruzzare riccioli di panna montata su una
torta
dal colorito marrone sicuramente promettente.
‒
Non sai quante ricette ci sono su internet sotto la voce “torte da
preparare in
meno di tre ore” ‒ commentò l’uomo facendosi spuntare un sorriso. ‒ Ben
tornata
e buon compleanno, pestifera ‒ la salutò.
Sapphire
si
ritirò su e decise che prima della torta forse era un’ottima idea quella
di
darsi una lavata. Era un abitudine che aveva preso dal momento in cui
aveva
ripreso a vivere nella villetta che lei e il padre condividevano ad
Albanova e
non più nella capanna sugli alberi del Bosco Petalo. Tutto sommato lo
trovava
rilassante. Una seccatura, ma comunque rilassante. Tolse la t-shirt e la
biancheria ed entrò nella cabina doccia del suo bagno. Terminata la
doccia, ne
uscì insieme ad una fitta nebbia di vapore acqueo che si diffuse in
tutta la
stanza, si avvolse in un asciugamano celeste e ne strinse un altro più
piccolo
attorno alla sua ribelle chioma castana. In attesa che il tessuto
assorbisse
l’acqua rimasta sul suo corpo, controllò la placca di gommapiuma
incorniciata e
appesa al muro su cui aveva applicato tutte le medaglie guadagnate
durante gli
anni. Un gran numero, per una della sua età.
Sorrise.
Si
alzò
e decise di indossare qualcosa di decente. Mise un paio di slip puliti e
di sopra la maglietta dentro la quale aveva dormito quella notte, rimase
senza
il reggiseno, non che ne avesse per forza bisogno, non era una ragazza
particolarmente prosperosa, ma avere il busto libero e comodo dentro una
maglietta gigante le dava un senso di libertà e freschezza incredibile.
Aveva
ancora i capelli bagnati quando tolse l’asciugamano che aveva messo in
testa,
ma diede ugualmente due passate di spazzola alla faccia delle doppie
punte. Pensò
di asciugarli col phon, ma iniziava a diventare impaziente nei confronti
della
torta che la stava aspettando al piano di sotto.
“Se
stamattina
devo proprio fare la femmina” pensò. “…almeno devo farla bene” e si
convinse ad asciugarsi i capelli con cura e pazienza. Quando spense
l’asciugacapelli aveva la faccia tutta rossa per il caldo e la chioma
impazzita
che esplodeva da tutte le parti. Uscì dal bagno e posò gli occhi su un
pezzo di
stoffa rosso che aveva lasciato appeso allo specchio. Lo prese. E la
dolce
curva del suo sorriso si appiattì un poco. La sua vecchia bandana.
Sono sicuro
che ti
staranno bene.
Aveva
detto
Ruby quando le aveva donato quella assieme al resto del completo la
prima
volta. Ricordò per quale motivo l’aveva messa lì, tastò il tessuto con
le mani
e rivolse verso di sé la parte interna. La portò fino al naso, ne
assaporò
l’odore. La strinse a sé.
Le
faceva
bene, ogni tanto, le ricordava che quel ragazzo era effettivamente
esistito
nella sua vita e non se lo era immaginato.
Non
parlavano
da parecchio tempo, lei e Ruby, da quasi un anno. Ricordò il giorno
in cui il Ruby tanto fissato con le Gare e l’eleganza dei propri Pokémon
aveva
deciso di prendere il posto di suo padre come Capopalestra di
Petalipoli, e ci
era riuscito con gran facilità. La parentesi era durata poco, il suo
allenamento doveva portarlo oltre.
E
mentre lei cercava di ristabilire un contatto con quello che sembrava
ormai un
bambino intento a sfogare la sua sofferenza nella lotta, lui diventava
sempre
più forte, tanto da sconfiggere i Superquattro della regione e anche
Rocco,
alla fine.
Una
volta
divenuto Campione, probabilmente aveva pure scordato che faccia avesse
Sapphire. Miglior Coordinatore e Allenatore di Hoenn allo stesso tempo,
era
come se fosse stato la fusione di due persone diverse… come se avesse in
sé lo
splendore la classe di Adriano e la potenza distruttiva di Rocco.
E
lei che si lamentava di non riuscire mai a vederlo… ora soltanto
entrando in
edicola almeno due o tre riviste patinate con sopra la faccia di Ruby le
saltavano subito all’occhio.
Suo
papà
aveva detto: “ognuno sfoga il
dolore
in maniera differente”. Ma era difficile credere che uno che
faceva da testimonial
per gli spot di vari brand di vestiti, che era il giudice delle
competizioni
nazionali alle quali non partecipava per rispetto degli altri
concorrenti, che
aveva persino messo il suo nome su una fragranza maschile di una firma
costosissima non dava proprio l’idea di star affrontando i suoi
fantasmi, ecco.
Sapphire
gettò
la bandana sul letto. Non la indossava da parecchio, la ripugnava. Così
come la ripugnava vedere ogni volta il faccino perfettamente rasato e
curato di
Ruby sul cartellone pubblicitario di un paio di jeans Levi’s, per un
intervista
esclusiva su SInnoh tv, per un commento personale ad un nuovo musical di
Sciroccopoli.
Si
accorse
di star bollendo. Un po’ per il phon e un po’ per la rabbia. Un po’ di
aria di Hoenn le avrebbe fatto bene. Spalancò la finestra ed uscì in
balcone.
Cercò di tornare a sorridere a quella luminosissima giornata stringendo
con
entrambe le mani la ringhiera e respirando profondamente a pieni
polmoni.
Ma
ovviamente
anche lì qualcosa andò storto.
‒
Ehi… ‒ mormorò qualcuno accanto a lei.
Non
si
voltò neanche. Normalmente avrebbe reagito con prontezza di riflessi ad
un
intruso che si presenta sul balcone del primo piano di casa sua senza
una buona
scusa da raccontarle. Tuttavia, conosceva troppo bene quella voce.
Rispose con
indifferenza, mentre il suo cervello andava a mille per cercare di
capire
quante possibilità ci fossero che proprio lui si presentasse senza
preavviso al
suo balcone proprio in quel momento.
Sì,
naturalmente,
si trattava di Ruby. Sapphire lo scrutò con la coda dell’occhio,
vide la sua figura longilinea appoggiata al muro, portava una maglietta
nera
dal colletto inquieto per via della brezza e dei pantaloni scuri con dei
dettagli rossi che morbidamente avvolgevano sulle sue gambe snelle. In
testa un
casco di capelli più lunghi di quanto mai li avesse lasciati crescere,
anche
loro in continuo movimento. Ai piedi delle semplici Converse rosse.
Lei
invece
era mezza nuda e da quella prospettiva offriva anche uno spettacolo
particolarmente sfacciato del suo lato b. Lentamente, per non dare
nell’occhio,
ritirò il bacino sulla stessa linea della spina dorsale e riprese una
postura,
per così dire, elegante. Ruby si fece avanti e si appoggiò anche lui, ma
con i
gomiti, alla ringhiera.
Ora
Sapphire
poteva vederlo meglio anche in faccia. Ovviamente non aveva un velo di
barba, una macchia sulla pelle o un brufolo, ma riusciva bene a
distinguere
l’immagine della cicatrice che aveva sulla fronte. Ovviamente dovette
impegnarsi per far tornare il respiro regolare dopo avervi posato gli
occhi
sopra.
‒
Che ci fai qui? ‒ domandò lei cercando di essere più distaccata
possibile.
‒
Pensavo di venire a farti gli auguri di compleanno ‒ mormorò lui.
Sembrava
sincero,
privo di secondi fini o altro. Certo, un ragazzo sincero che però per
mesi l’aveva completamente ignorata.
Mimò
una
smorfia lievemente indignata: ‒ E hai anche deciso di perdere tempo per
fare questa cosa? ‒ domandò velenosa.
‒
Pensavo solo che ne valesse la pena ‒ ribatté lui.
Sapphire
bofonchiò
e fece per rientrare in casa.
‒
Aspetta ‒ la fermò lui. ‒ Solo un secondo.
La
ragazza
dagli occhi blu, seccata, gli diede una chance e si fermò con la mano
ancora stretta sulla maniglia della finestra.
Ruby
scosse
la testa e fissò il terreno. ‒ Vorrei parlarti di tante cose ‒ disse. ‒
ma non posso proprio farlo… ‒ sussurrò con un filo di voce. Quindi si
infilò
una mano in tasca. ‒ Però ti ho portato un reg…
‒
Ma smettila ‒ sputò lei schifata rientrando in casa e chiudendo la
finestra.
Ruby
non
provò neanche a fermarla, gli era sfuggita dalle mani come una saponetta
bagnata. Rimase fuori dal balcone con la testa bassa e la mano immobile
sul
dono che avrebbe voluto darle.
Sapphire
scappò
dalla stanza facendo bene attenzione a sbattere la porta abbastanza
forte da far giungere a Ruby il rumore. Si appoggiò con la schiena sul
legno di
quest’ultima.
‒
Sapphire, che succede? ‒ domandò suo padre dal piano di sotto.
‒
Niente… niente pa’ ‒ rispose lei. Si morse la lingua, aveva tirato fuori
una
voce ben poco sicura di sé dalla sua gola gonfia di emozioni soffocate.
‒
Tutto a posto? ‒ domandò il genitore intuendo qualcosa.
‒
Sì, tutto a posto… ‒ ancora la voce tremolante. Strinse la maniglia, di
getto
riaprì la porta. Ruby era scomparso. Trasse un sospiro di sollievo. No,
il
sospiro si spezzò a metà del suo corso d’essere.
‒
Uh? ‒ Sapphire notò un qualcosa legato alla ringhiera del suo balcone,
proprio
nel punto in cui era appoggiata lei poco prima.
Uscì
fuori
e lo esaminò. Una bandana nuova, sicuramente cucita a mano da Ruby. Era
di
colore nero, anzi, più nero del nero. Al suo centro spiccava la classica
Poké
Ball stilizzata di una tinta blu scintillante. La ragazza ammise di
trovarla
carina, ma soltanto dopo aver superato il primo impulso di gettarla giù
e farla
volare via. Poi, si accorse finalmente che in mezzo ai due lembi del
nodo che
saldava la bandana alla ringhiera c’era intrecciato anche il filo di un
gioiello. Era dello stesso colore della bandana, perciò non l’aveva
notato.
Slegò
il
tessuto, separò i due oggetti ed esaminò il monile. Era una semplice
collana, dalla catenina in stoffa di colore neutro, il pendente era
costituito
da una sola pietra dalla forma romboidale. La ragazza rimase stupita.
Stranamente
quell’oggetto le ricordava qualcosa.
Poi
le
venne in mente che Ruby non le avesse mai regalato gioielli, quel
ragazzo
l’aveva sempre sorpresa: tutto ciò che faceva, anche la più stupida
delle
azioni, si rivelava poi rivolto verso uno scopo più profondo. Oppure no,
forse
aveva mollato anche lui, forse era cambiato e adesso invece di regalarle
vestiti che era sicuro le
sarebbero stati
bene le regalava gioielli. Stupidi gioielli.
Sapphire
stringeva
in mano quella collana insieme alla bandana che Ruby aveva utilizzato
per assicurarla al suo posto. Il regalo del nuovo Ruby, quello che non
le
piaceva, avvolto nel regalo del vecchio Ruby, quello che… beh.
Non
riusciva
a capire, non riusciva veramente a capire.
Poi
l’occhio
le cadde su qualcosa che prima non aveva notato: una sottile scritta
ricamata in filo blu proprio sopra la trapunta interna della bandana.
Chi è nato una
volta sa
già come risorgere
Una
freccia
di nostalgia la infilzò nel petto e una mazza di dubbi le colpì la
nuca. Rientrò in casa non senza dare un’ultima occhiata al cielo
circostante in
cerca della sagoma del ragazzo che pochi istanti prima si trovava sul
suo
balcone, senza trovarvi nulla. Gettò bandana nuova e collana sul letto
come
aveva fatto prima e si diresse in bagno per bagnarsi il viso con qualche
manata
di acqua fresca.
Senza
fare
menzione dell’incontro, scese al piano di sotto riappiccicandosi alla
ben
e meglio una fattispecie di sorriso in faccia, suo padre aveva
finalmente
terminato la sua torta di compleanno.
‒
Hai fame? ‒ domandò l’uomo affettando il dolce.
‒
Non immagini quanto ‒ rispose lei entusiasta.
‒
Beh, oggi puoi concederti tutto il cibo che vuoi, piccola ‒ le sorrise
dandole
un buffetto sulla guancia.
Lei
ricambiò
il sorriso e affondò la prima cucchiaiata nel morbido impasto di
colore brunito.
‒
Hai sentito la notizia? ‒ domandò il padre sedendosi di fronte a lei.
Sapphire
lo
guardò con aria interrogativa, aveva la bocca piena, non poteva
rispondere.
‒
Hanno organizzato il prossimo Campionato Pokémon Internazionale, si
svolgerà ad
Holon tra un anno… ‒ illustrò Birch. ‒ Perché tu e i tuoi amici non vi
iscrivete al torneo? ‒ propose con un sorriso gioviale.
Lei
annuì
titubante. Era più un incitamento a continuare il discorso che una
risposta affermativa. Poi notò che il prof, facendolo strisciare sul
tavolo con
la sua mano, le aveva avvicinato una busta delle lettere blu. La ragazza
la
prese e la aprì. Era un biglietto di andata, soggiorno e ritorno dalla
regione
di Holon per le due settimane in cui si sarebbe tenuto il torneo.
‒
Buon diciottesimo compleanno, Sapphire ‒ sorrise il padre.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 1 ***
Capitolo
1: Una
Scatola Di Cartone pt. 1
Porto
Alghepoli,
Hoenn
19
giugno, un
anno dopo
Due
giorni al
Campionato Internazionale
Sapphire
stringeva
tra le dita il ciondolo che le aveva regalato Ruby. Non sapeva quale
strana forza l’aveva spinta a portarlo con sé, soprattutto dal momento
che lei
non portava gioielli come principio assoluto. Tuttavia si trovava lì,
con una
mano sul trolley che conteneva tutti i suoi bagagli e l’altra stretta
sul
cristallo blu che aveva appeso al collo.
La
ragazza
era tutta immersa nei suoi pensieri, quando vide in lontananza la
sagoma di una persona che conosceva bene. Le andò incontro.
‒
Perché devo essere sempre io quella che aspetta?! ‒ domandò furente ad
un
assonnatissimo Emerald.
Il
ragazzo
eluse la sua frustrazione con indifferenza: ‒ Sbrighiamoci, o
partiranno senza di noi… ‒ e la oltrepassò lasciandola con un palmo di
naso.
I
due salirono sulla M/N Providence, gigantesca nave, ultimo progetto del
Capitano Remo. Quella era l’imbarcazione che li avrebbe condotti a
Holon. I due
Dexholder entrarono nelle loro cabine, o meglio, Sapphire entrò nella
propria
ed Emerald la seguì.
‒
Quanto lusso, sul ponte prima ho visto una tizia con un Furfrou dalla
pelliccia
più curata dei tuoi capelli ‒ la prese in giro il biondo.
‒
Non mi inquieta tanto quello ‒ fece lei guardando fuori dall’oblò verso
l’infinita distesa azzurra del mare. ‒ quanto i giornalisti che si
aggirano per
tutta la nave, lo sai come funziona a Holon, sì?
‒
Finché non mi infastidiscono mentre combatto, possono farmi tutte le
domande
che vogliono, per quanto mi riguarda… ‒ mormorò Emerald.
‒
Il primo che prova a puntarmi una telecamera contro invece torna a casa
dentro
un salvagente ‒ sibilò la dolcissima Sapphire.
‒
Non dovresti preoccuparti così tanto ‒ suggerì lui.
‒
Sì, invece. Non sopporto la televisione ‒ dichiarò categorica.
I
due cominciarono a scomporre le valige. Emerald tornò nella sua stanza.
Si
incontrarono poco dopo sul ponte, seduti al bancone del bar. Sapphire
aveva in
mano una granita celeste di un qualche gusto esotico e indefinibile,
Emerald
stava ancora aspettando il suo frappè al mango.
‒
Hai mica sentito Green, Gold e gli altri? ‒ domandò la ragazza.
‒
Green poco, Gold fin troppo… ‒ commentò ironico lui.
‒
Scemo. Intendo per sapere dove incontrarci e roba del genere ‒ chiarì
Sapphire.
‒
Dai, arriveremo domani a notte tarda, abbiamo tempo per preoccuparci di
certe
cose ‒ rispose Emerald. ‒ Certo, un viaggio su una nave del genere
dovrebbe
durare un mese o giù di lì, hai visto che ci sono tre piscine diverse
una delle
quali con l’idromassaggio? Grazie ‒ la barista gli aveva servito il
frappè.
‒
No, ero più interessata ai Campi Lotta in realtà ‒ rispose calma lei.
‒
Se fai sempre le stesse cose finirai per consumarti ‒ le puntò la
cannuccia
contro.
Sapphire
non
rispose. Emerald sospirò. Aveva intuito che qualche contorto pensiero si
attorcigliava su se stesso nel complesso cervello femminile con cui
stava
conversando, ma l’ultima delle cose che aveva voglia di fare in quel
momento
era chiederle cosa non andasse.
‒
Qualcosa non va? ‒ domandò coraggioso.
‒
Ho dimenticato le Ball in cabina ‒ lo liquidò lei.
Emerald
trattenne
le esultanze e si concentrò sulla bevanda mentre la ragazza accanto a
lei lasciava lo sgabello e il bicchierone di granita azzurra ancora
mezzo
pieno. Sapphire tornò bofonchiando nella sua stanza, la valigia era
aperta ma
ne erano stati estratti solo lo spazzolino, la cintura delle sfere e il
portafoglio.
Senza
guardare,
come cercando di autoconvincersi che non stesse veramente cercando
quell’oggetto, estrasse “casualmente” dalla valigia la bandana nera e
blu regalatale
da Ruby per il suo compleanno l’anno precedente. Rilesse la scritta
lasciata
dal ragazzo nella parte interna: “Chi
è
nato una volta sa già come risorgere”. Criptico, ermetico. Ci
rimuginava
sopra da una decina di mesi. Chissà cosa aveva voluto dirle, il
signorino? La
annusò come si annusa un tartufo pregiato e la ripose a posto scrollando
la
mano. Era tutto lì, tutta la sua vita: le sue vecchie bandane e quelle
nuove,
la sua Scheda Allenatore che citava le molteplici fatiche compiute nelle
tante
terre che aveva attraversato da quando aveva dieci anni, il suo Pokédex,
emblema del suo ruolo nel complesso ecosistema dell’Allenamento Pokémon,
simbolo
del suo legame con la famiglia e con gli amici. Tutto dentro di sé, in
un
involucro fragile come una scatola di cartone.
Bussarono
alla
porta. Sapphire aprì sperando si trattasse di gente gradevole.
‒
Aspetti a iscriverti ai banconi di sopra per non scoraggiare tutti gli
altri
aspiranti partecipanti al torneo? ‒ le chiese con un sorriso
luminosissimo
Crystal, la sua collega e amica di Johto.
‒
Chris! ‒ la abbracciò lei, felice di vederla.
‒
Emerald mi ha chiamato poco fa perché si annoiava, è da prima di salpare
che vi
cerco, lo stordito non aveva capito che anche io mi sarei imbarcata qui
‒ la
informò uscendo dall’abbraccio.
‒
Non lo sapevo neanch’io a dire il vero…
‒
Non fa niente, in mezzo a questo mare di gente ti ho trovata lo stesso.
Allora,
com’è andata a Sinnoh? ‒ le domandò tirandola fuori dalla sua cabina e
portandola a camminare sul ponte, alludeva al viaggio nella regione del
nord che
l’amica aveva compiuto nei mesi precedenti alla conquista delle medaglie
in
compagnia di Gold.
‒
Ah… esilarante e imbarazzante allo stesso tempo.
‒
Beh, è Gold, è il suo marchio di fabbrica ‒ sorrise quella con un velo
di
malinconia.
‒
Iscrivermi, hai detto? ‒ cambiò argomento Sapphire.
‒
Sì, ci sono i banchi d’iscrizione alle Internazionali dall’altra parte,
questa
rotta è stata allestita in occasione del torneo, quindi…
‒
Tu hai già fatto?
‒
Non so se ho davvero voglia di partecipare, sono specializzata
nell’indebolire
i miei avversari senza mai mandarli davvero al tappeto ‒ rise.
‒
Lo so, lo so, ma per un’occasione del genere… per poter almeno dire di
aver
partecipato.
‒
Ma sì infatti, non vorrei perdermi questa occasione ‒ sorrise
incrociando le
braccia all’altezza del grembo. Aveva un corpo leggero, particolarmente
snella,
fatta eccezione per i fianchi e le cosce ben torniti, alta quanto
Sapphire,
avvolta in un vestitino leggero, portava i capelli legati una coda
all’altezza
della nuca.
Erano
arrivate
fianco a fianco fino ad una zona del ponte occupata da una intricata e
rumoreggiante matassa intricata di popolo. Sia Sapphire che Crystal
ebbero un
moto di fastidio a quella vista. Aggirarono la folla. Dal poco che
riuscivano a
vedere sembrava che, al centro di quel maremoto di colli che si
allungavano per
vedere meglio, inviati di tutte le televisioni mondiali stessero
intervistando,
interrogando, infastidendo sia coloro che confermavano le proprie
iscrizioni al
Campionato sia gli inviati del comitato organizzativo.
‒
Tutta questa roba… ‒ fece Sapphire riferendosi al groviglio di persone.
‒ è la
fila?
‒
No, scherziamo? Quasi tutti fan di Allenatori famosi, gli iscritti sono
tanti
ma non è che ogni singolo essere umano su questa nave ora voglia
partecipare ‒
negò categorica Crystal.
‒
Meno male, e allora dov’è che comincia la fila?
Le
due
riuscirono a trovare, a malincuore dato che avrebbero preferito
iscriversi
in un altro momento, l’inizio della coda che contava davanti a loro
ancora una
dozzina di persone. Iscriversi non era un processo brevissimo,
soprattutto per
via degli invadenti e potenzialmente denunciabili reporter che ronzavano
attorno agli Allenatori. Dopo alcuni minuti si aggregò alle ragazze,
superando
coloro che si erano a loro volta accodati dietro con la scusa che le due
gli
stessero tenendo il posto, Emerald.
‒
Odio la televisione e vieni ad
iscriverti a quest’ora? ‒ domandò pungente all’amica.
‒
Dove sei stato? ‒ gli chiese Crystal.
‒
Mi ha fermato un tipo, ha riconosciuto il conquistatore del Parco Lotta
di sei
anni fa, all’edizione inaugurativa.
‒
Sei diventato vintage, Rald? ‒ lo punzecchiò.
Il
biondo
le lanciò un’occhiata omicida.
‒
Dite che si sono rialzati gli standard dall’ultimo Torneo
Internazionale? ‒ si
intromise Sapphire mutando la conversazione. La risposta cedette alcuni
secondi
alla riflessione dei due interlocutori.
‒
Considera che l’ultima edizione si è tenuta prima della vera e propria
formazione dell’Associazione Pokémon, la maggior parte degli Allenatori
sapeva
sì e no usare una MT… ‒ commentò Crystal. Lei era una maestra, ci teneva
a
certe cose.
‒
Ha ragione, se in questa edizione parteciperanno pure Capipalestra,
Superquattro e Campioni un livello generale abbastanza alto è d’obbligo
‒
continuò Emerald.
‒
Ho letto che ogni Allenatore in base al proprio livello potrà saltare un
determinato numero di gironi ‒ spiegò la castana. ‒ quelli che si
presentano
con otto o meno medaglie saranno i primi a sfidarsi, ai pochi che
vinceranno
tra loro si aggregheranno possessori di numero compreso tra nove e
ventiquattro
medaglie più i Capipalestra e gli Assi dei Parchi, nel terzo girone
entrano i
possessori di venticinque-quarantotto medaglie più i Superquattro e i
conquistatori di almeno un Parco Lotta e infine nel quarto girone coloro
che
hanno quarantanove o più medaglie e i Campioni.
‒
Insomma, tu entri al quarto girone, giusto Zafferano? ‒ chiese Emerald.
‒
Sì e, cavolo… non chiamarmi in quel modo!
‒
Parti avvantaggiata, eh…
‒
Non metterla così, con questa tipologia di torneo l’Allenatore più forte
del
mondo anche se non ha una singola medaglia con sé può arrivare in
finale, la
difficoltà è crescente, ma per uno che sarebbe comunque arrivato agli
ottavi di
finale il primo, il secondo girone e così via sono ostacoli da saltare a
piè
pari.
‒
Ma tu devi fare meno lotte, matematicamente è scorretto.
‒
In realtà è lo stesso concetto della Torre Lotta che ti piace tanto, non
conta
il numero di lotte che fai se i tuoi Pokémon vengono ricaricati di volta
in
volta, e inoltre la difficoltà crescente serve a bilanciare gli scontri
in base
agli Allenatori.
‒
E poi lei avrà meno tempo per abituarsi agli occhietti e alle grida di
quattrocentomila persone più spettatori da casa puntati su di lei, non è
tutto
oro quel che luccica… ‒ sussurrò Crystal in difesa dell’amica.
In
quel
momento l’ultimo Allenatore che separava Sapphire dal bancone iscrizioni
se ne andò via con fare derelitto per la il troppo poco tempo che le
telecamere
gli avevano concesso.
‒
Nominativo? ‒ chiese un operatore con gli occhi puntati su un monitor
mentre
cinque o sei suoi colleghi operavano con quaderni, cellulari, altri
computer e
persino calcolatrici. Il bancone era ordinato, ma lo staff sembrava una
brulicante famiglia di insetti.
‒
Sapphire Birch.
Beccata.
Quello
tolse gli occhi sottili dallo schermo e la fissò stupito abbassandosi
gli occhiali. Il branco di giornalisti, fotografi e cameraman piovve su
di lei
come attratto magneticamente. Per fortuna avevano la decenza di non fare
domande o commenti durante il processo di iscrizione e si limitavano a
riprendere, scrivere appunti e fare foto. La ragazza si limitò a
sembrare
allegra e a non guardarsi intorno spaesata, le tornò difficile quando
notò che
alcune scene venivano mandate in diretta su dei megaschermi sparsi in
punti
strategici della nave sintonizzati su canali che seguivano l’evento del
Campionato Pokémon Internazionale ventiquattro ore su ventiquattro, con
commenti, supposizioni, opinioni di esperti e interviste, dirette e
biografie
sui partecipanti.
‒
Provenienza?
‒
Albanova, Hoenn.
‒
Età?
‒
Diciotto anni.
‒
Giorno di nascita?
‒
Venti settembre anno…
Andarono
avanti
con dati da carta d’identità che avrebbero potuto facilmente estrarre
dalla sua Scheda Allenatore. La volevano tenere lì davanti per più tempo
possibile, l’operatore doveva sentirsi una specie di ragazza in bikini
pronta a
dare il via alle auto di una corsa clandestina nelle vie notturne di
Austropoli.
E in effetti i reporter facevano a spallate per l’inquadratura migliore
e la
pole position per piazzare il proprio microfono davanti alla bocca di
Sapphire.
Innocentemente parlando.
‒
La Scheda Allenatore ‒ chiese il tipo.
Calò
il
silenzio più assoluto, la massa di gente che accerchiava la scena
sembrava
essersi messa in pausa come fosse un film, il brusio proveniente dal
resto del
ponte della nave si chetò, persino i frenetici inviati del comitato
smisero di
annotare cose, registrare dati e sistemare conti dietro il loro bancone.
‒
Medaglie ‒ domandò l’addetto alla registrazione cercando evidentemente
di
estrarre materiale per le telecamere, dal momento che aveva il suo
completo ID
cartaceo nella mano.
‒
Sessantaquattro, conquistatrice delle regioni di Hoenn, Kanto, Johto,
Sinnoh,
Sidera, Unima, Kalos, e Adamanta…
Panico.
Urli,
strepiti, fischi di apprezzamento, applausi e persino esternazioni tipo
“Sapphire, sposami!” si
levarono dalla
folla in un clamore generale che fece perdere quasi tutti e due i
timpani alla
ragazza ma che allo stesso tempo le tinse gli zigomi tondeggianti della
ragazza
di un rosso intenso. Flash di macchine fotografiche a raffica mentre
avvicinava
la mano a quel faccino un poco timido e imbarazzato che fa strage di
cuori in
televisione.
Quando
il
caos si fu finalmente calmato, il tipo restituì alla ragazza la scheda
non
dopo averle rivolto altre due o tre domande che però non ottennero lo
stesso
successo della domanda sulle medaglie; tranne forse quella sulla classe
Allenatore, la cui risposta “Dexholder”
sapeva
però di esotico e non di eccezionale come la esorbitante cifra di
traguardi da
lei conseguiti. La verifica del documento, della foto tessera per i
connotati e
della firma erano andate a buon fine. Sapphire si ritrovò in mano un
pass
magnetizzato che la definiva nientemeno che “Allenatrice
Rango
S” e sotto citava “Girone
numero 4” con la coccarda del Campionato, il simbolo della regione
di
Holon, la sua foto e il suo nome.
Si
sentì
una giocatrice di basket professionista quando ebbe appena un doppio
passo per allontanarsi dalla fila prima che…
‒
Come si sente ad essere una delle più giovani Allenatrici che abbiano
raggiunto
questo livello mai nella storia?
‒
Reputa che il Pokédex possa diventare uno strumento di ampia diffusione
nel
caso in cui un Dexholder si distingua particolarmente in questo
Campionato?
‒
Cosa ne pensa degli Shedinja? Dovrebbero o no essere proibiti in un
torneo
ufficiale?
‒
A che gusti le piace il gelato?
A
questa domanda fece una smorfia stranissima, tipo quelle che escono la
mattina
appena svegli ripensando al folle sogno appena girato testa che
lentamente cade
nel dimenticatoio.
‒
Per quale motivo ha scelto di non assumere alcun agente che curi la sua
figura
pubblica o gestisca la sua presenza mediatica
A
quel punto ebbe quasi l’impulso di rispondere con un calcio fortissimo
nel
calcagno di quel giornalista, ma si trattenne. Muovendo la bocca come
per
tentare di rispondere qualcosa a quella tormenta di domande, si mosse
ondeggiando in malo modo verso la sua cabina e senza aspettare Emerald e
Crystal vi si serrò dentro tenendo fuori i simpaticoni grazie alle
spesse porte
d’acciaio della privacy. Non se ne pentì neanche quando vide coi suoi
occhi in
un servizio serale la faccia da ebete che aveva fatto mormorando
qualcosa come “scusate, ho da
fare” e chiudendo la
porta della sua stanza sul naso di un reporter. Aveva avuto la conferma
di ciò
che più temeva, quel giorno. Lei non si era mai interessata a roba come
pubblicità e immagine mediatica, ma con la fama che, volente o nolente,
aveva
ottenuto diventando una degli Allenatori più decorati al mondo, tutto
l’interesse e la fame di scoop della stampa si era riversata su di lei.
Non
poteva più evitare niente di tutto ciò, non nell’aria di Holon, la
regione dei
VIP. Era un povero agnellino davanti alle telecamere, non osava
rispondere più
in malo modo dopo un incidente avuto a Kalos con un fotografo
ossessionato da
lei, ma non aveva idea di come gestire il grande carico di gente
interessata a
lei che aveva dato prova della propria esistenza in tale occasione.
Ne
parlò
a Chris e Emerald durante un rinfresco verso sera. La ragazza non aveva
subito la stessa valanga dopo essersi iscritta, nel contesto del puro
duello
Pokémon non era tra i più temuti, ma dopo essersi fatta riconoscere e
aver dato
prova di avere un Pokédex qualche dozzina di giornalisti si era fiondato
pure
su di lei. Emerald invece, stella dei Parchi Lotta di tutto il mondo,
aveva
gestito l’eccesso di fama alla grande dimostrando esperienza e sangue
freddo in
quelle circostanze. Certo, non era stato assaltato da reporter rabbiosi
come
Sapphire, era comunque una star di secondo piano rispetto all’amica, ma
aveva
avuto lo stesso la sua fetta di attenzione.
‒
È perché hai anche il faccino dolce… ‒ tentò di sminuire Crystal
addentando un
muffin.
Sapphire
la
trafisse coi suoi occhi di ghiaccio della morte. Crystal guardò altrove.
‒
Dovresti godertela finché puoi, non duri più di tanto se sei solo brava
ma non
prendi nessun ruolo tipo… che ne so? Campione della Lega… ‒ mormorò
Emerald in
tono evidentemente cupo.
Sapphire
avvertì
la tonalità della sua espressione ed evitò di ribattere.
‒
Silver dovrebbe già trovarsi a Holon ‒ intervenne Crystal. ‒ Gold invece
non ho
idea di dove sia.
‒
Al posto giusto ‒ disse una voce dietro di loro. ‒ come sempre.
Gold
comparve
alle loro spalle con un sorriso a sessantaquattro denti stampato in
faccia e un bicchiere lungo e sottile di Taittinger Nocturne pieno di
bollicine. Crystal lo fissò sorpresa, Emerald e Sapphire accolsero
l’amico.
‒
Come diavolo hai fatto a salire sulla nave? Al molo non c’eri ‒ domandò
la catcher.
‒
Tartarughe marine ‒ rispose quello nascondendosi in tasca la Ball di
Togebo.
‒
È legale per un Allenatore salire su una nave a metà del viaggio? Adesso
non mi
dirai che esiste una specie di tariffazione per passeggeri raccolti in
mezzo
alla strada, giusto? ‒ commentò Emerald.
‒
In realtà… ‒ Gold mostrò il biglietto mezzo stropicciato di categoria “Allenatore vagante”. ‒ è
esattamente
così.
Gold,
coi
suoi capelli che sembravano dover esplodere, la sua camicia dai mille
colori molto poco discreta e la sua collana floreale, si aggregò al
gruppo. Per
prima cosa si recarono di nuovo al banco iscrizioni dove il ragazzo
dagli occhi
d’oro, investito come Sapphire dalla valanga di reporter, gestì il tutto
con la
massima freschezza, lasciando tutti gli inviati sazi di informazioni e
ritrovando mezz’ora dopo i suoi tre amici al buffet al quale erano
tornati
causa noia e fame. Il resto del tempo scorse leggero tra un drink e un
aneddoto
circa l’ultima annata di viaggi interregionali condotti da Gold o
Sapphire. Sul
tardi ognuno tornò alla propria cabina e si gettò in branda in attesa
dello
sbarco che sarebbe avvenuto il giorno seguente.
Sapphire
si
alzò prestissimo. Il sole sorgeva placido e la nave solcava acque tanto
calme da sembrare fatte di vetro. La ragazza uscì sul ponte, lo trovò
gradevolmente deserto, incrociò giusto un paio di inservienti che con in
mano
stracci fradici che la salutarono sorridendo. L’avevano riconosciuta, la
Conqueror, uno dei Dexholder.
Camminò
ascoltando
gli strilli dei Wingull a caccia della colazione, avvertì anche lei
un certo languorino. Si era stretta la cintura delle Ball attorno agli
shorts
di jeans che portava sotto ad una canotta color papavero. Aveva
intenzione di
portare la sua squadra a scaldarsi i muscoli in uno dei rettangoli di
Allenamento, ma pensò che avrebbe avuto tutto il tempo necessario anche
dopo un
buon cornetto e un cappuccino. Fece l’errore di rivolgersi al barista
maschio
tra i due che erano in servizio, il tipo la squadrò con fare seducente e
le
disegnò dei petali di rosa nella schiuma. Lei evitò il suo sguardo per
tutto il
tempo e, presa dalla fretta, fece pure esplodere una bustina di zucchero
nel
tentativo di aprirla.
Due
minuti
dopo aveva già sceso sul bordo di uno dei Campi Lotta. Lesse tutte le
normative che la sensibilizzavano al rispetto dell’ambiente circostante
e della
quiete degli altri passeggeri evitando mosse quali Terremoto o Ondaboato. Si
ritrovò
a far lottare Toro, il suo Blaziken e Kiruru, il suo Gallade, in un
silenzioso ma letale corpo a corpo in cui le sue indicazioni si
limitavano a
piccole correzioni della difensiva dell’uno o dell’altro. Si rallegrò
del fatto
che nessun fotografo fosse nei paraggi, quello sarebbe stato oro per
loro ma
l’avrebbe resa prevedibile agli occhi di eventuali futuri avversari.
Andò
avanti schierando Dono contro Aggron, ma li ritirò subito entrambi
rendendosi
conto che la più discreta delle loro mosse aveva fatto dondolare la
nave. Fece
tornare in campo Gallade e Blaziken, ma stavolta permise loro di
affrontarsi
nelle loro forme Megaevolute. Iniziava a permettersi l’utilizzo di mosse
un po’
più distruttive quando la sua solitudine fu di colpo spezzata.
‒
Vacci piano con Psicotaglio, ti
squalificano
al torneo se spezzi in due i Pokémon dell’avversario ‒ e Gold per
la seconda volta apparve all’improvviso alle sue spalle. Aveva un
bicchiere di
succo di pompelmo nella mano destra e nella sinistra un tovagliolo con
scritto
un numero telefonico, presumibilmente quello della barista.
‒
Era mica un complimento, quello? E che ci fai alzato prima di
mezzogiorno? ‒
rispose lei con un sorriso seccato.
‒
Non so… era mica un buongiorno, quello?
Per
un
momento cadde il silenzio tra i due.
‒
Allora, che sei venuto a fare qui? ‒ domandò lei.
‒
Avevo voglia di passeggiare assieme ai miei Pokémon ‒ rispose Gold
mettendo una
mano sulla cintura delle Ball.
‒
Intendi renderti utile oppure posso continuare da sola in santa pace? ‒
chiese
quindi Sapphire facendosi spuntare un velo di allegria sul volto.
‒
Fammi posto, dai.
E
cominciarono a far lottare i loro Pokémon cercando di non demolire tutto
ciò
che avevano attorno. Gold dopo un certo tempo propose di mettersi in
pratica in
uno delle modalità di Allenamento che aveva maturato con Red in cima al
Monte
Argento molti anni prima: i due avrebbero dovuto scontrarsi con un
Pokémon
ciascuno sferrando le mosse più deboli e meno efficaci nei confronti
dell’avversario. I due non tentavano questo esercizio per la prima
volta, lo
avevano già fatto a Johto e a Sinnoh, avendo viaggiato assieme in quelle
regioni.
‒
Pilo, Fogliamagica!
‒
Togebo, Forzasfera!
Tropius
fu
colpito da una bolla di energia pura che gli scalfì appena le squame
mentre
Togekiss riuscì ad evitare la tempesta di foglie scatenatagli contro con
un
paio di vertiginose virate.
‒
Lo sai che quando lotti mi spaventi? ‒ fece ad un certo punto Gold
cadendo in
malo modo in mezzo alla situazione.
Sapphire
prese
una tinta indefinibile. ‒ Come scusa?
‒
Sei minacciosa, sembra che tu voglia saltare addosso all’avversario e
addentarlo al collo furiosamente ‒ spiegò quello.
‒
Non capisco.
‒
A te piace lottare, giusto Sapphire?
‒
Certo che mi piace… ‒ rispose come fosse ovvio.
‒
Togebo, Ondashock!
‒
Verdebufera!
Stavolta
fu
la mossa di Gold ad andare a vuoto, Sapphire riuscì a sballottolare il
Pokémon avversario dall’altra parte del campo.
‒
Eppure sembra che tu faccia uno sforzo immane, lo sai? ‒ esordì una
seconda
volta il ragazzo.
‒
Scusami?
‒
Ti piace lottare, Sapphire?
La
ragazza
esitò. ‒ Gold, te l’ho già detto, la smetti di…
‒
Forzasfera!
Fu
colta
alla sprovvista, Tropius incassò un secondo attacco.
‒
Pilo, rispondi con Energipalla!
‒
Togebo, difenditi!
La
bolla
di energia verde impattò contro il petto del Pokémon di Gold che
resistette all’impatto senza cedere minimamente.
‒
Basta così, rientra ‒ e il ragazzo dagli occhi d’oro mise fine alla
battaglia.
‒
Gold non puoi lasciare le cose così su due…
‒
Ho voglia di un gelato, forse torno tra un po’ ‒ e si congedò in fretta
come
era arrivato.
Sapphire
rimase
lì come un’idiota, con gli occhi fissi sulla porta dietro cui era
sparito Gold.
Verso
le
nove e mezza, la ragazza di Hoenn si rese conto che il flusso di persone
cominciava ad aumentare. Al quinto spettatore occasionale che si fermava
lì nei
pressi e cominciava a fissarla a bocca aperta come fosse una
spogliarellista
smise di far lottare i propri Pokémon e tornò nella sua cabina dove si
rinchiuse in doccia.
Alle
dieci
era sul ponte e cercava le facce di Emerald e Crystal in mezzo alla
folla. Non impiegò molto a trovare la Dexholder di Johto, il suo
corregionale
invece era praticamente invisibile tra tutte quelle persone. Vide che si
trovavano davanti ad uno dei maxi schermi e lo fissavano parlottando tra
loro
con espressione atona. Trovandosi poco dietro di loro, istintivamente
Sapphire
portò lo sguardo alla trasmissione.
Al
centro
dello schermo c’erano una decina di personaggi che camminavano su un
tappeto rosso in mezzo ad una pioggia di flash di macchine fotografiche
e
schiacciati da entrambi i lati da folle ululanti: i Campioni delle Leghe
Pokémon. Davanti a tutti Red, che portava una casacca bianca e dei
bermuda
floreali, seguito da Ruby, con indosso una camicia bordeaux e dei
pantaloncini
neri, più dietro Camilla, Iris e tutti gli altri. C’era grande festa a
Vivalet,
la capitale di Holon, i massimi esponenti delle lotte Pokémon del mondo
erano
giunti nella regione. Subito dopo scorse una ripresa in cui tutti loro
lasciano
le impronte delle mani in un calco di cemento ancora fresco appena sotto
la
titanica statua di un allenatore che stringe in mano una trofeo che
ricorda una
Poké Ball e che dovrebbe essere proprio la coppa del vincitore del
Campionato
Internazionale. Stacco. Una anchor man cominciò a parlare del reale
inizio dei
festeggiamenti nella regione ospitante il torneo. L’interesse di
Sapphire si
disperse.
Stavano
per
sbarcare a Holon, mancava un solo giorno all’inizio di tutto. Era il
momento di iniziare a percepire la tensione.
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Capitolo 3 *** Capitolo 1 - Una Scatola Di Cartone pt. 2 ***
Capitolo
1: Una
Scatola DI Cartone pt. 2
La
M/N
Providence attraccò al porto di Vivalet a mezzogiorno in punto.
Sapphire,
Gold, Emerald e Crystal scesero sulla terraferma, si immersero nel caos.
C’era
grandissimo movimento per le vie della città, la capitale di Holon non
aveva
mai ospitato tanti turisti in una sola volta. Era una calda località
costiera,
come del resto l’intera regione, e quel ventesimo giorno di giugno era
popolata
principalmente da personaggi con grandi cappelli, ciabatte e costumi da
bagno.
‒
Andiamo a farci un bagno anche noi? ‒ propose Emerald.
‒
Non sarebbe una cattiva idea… ‒ approvò Gold.
Anelando
la
fresca acqua che li attendeva, raggiunsero l’hotel in cui avrebbero
alloggiato. Era un palazzo celeste che si affacciava sul lungomare dal
quale
spuntavano grossi balconi di vetro.
Dopo
poco
si erano già sistemati nelle loro stanze, raggiungerle non era stata la
cosa più facile del mondo, in mezzo a quel brulicante formicaio pieno di
bambini che supplicano i genitori di scendere in spiaggia e signori in
vestaglia che si lamentano per il clima torrido. Sapphire buttò la sua
valigia
sulla moquette e la aprì per sistemare al meglio le sue cose, quindi
scappò in
balcone e si poggiò sulla ringhiera ad osservare il mare. Aveva voglia
di
rilassarsi e smettere di pensare a tutto il casino che avrebbe
affrontato nei
giorni a seguire, ma la cosa non gli riusciva particolarmente semplice.
Si
trovava al sesto piano e da lì la spiaggia sembrava talmente tanto
affollata da
farla sudare pure a distanza. Per fortuna a quell’altezza soffiava una
piacevole brezzolina fresca.
Da
quello
che sapeva, in giornata sarebbero arrivati in hotel pure i suoi amici di
Kanto assieme a Silver. Era felice di poterli rivedere tutti,
soprattutto per
un’occasione del genere. Decise di scrivere a Blue per chiederle a che
ora sarebbe
arrivata, accese il PokéNav. Il destino le andò incontro e le fece
trovare una
decina di suoi messaggi non letti. Le aveva scritto che sarebbe arrivata
verso
nel pomeriggio assieme a Green e agli altri Capipalestra della sua
regione,
mentre Silver e Yellow avrebbero già dovuto trovarsi lì nel momento in
cui loro
sarebbero arrivati loro della M/N Providence. La ragazza si rallegrò ed
uscì
fuori dalla sua camera per raggiungere il resto del gruppo. Dietro la
porta si
imbatté in Crystal che presumibilmente era venuta a chiamarla.
‒
Abbiamo trovato Silver e Yellow di sotto, scendi per pranzo?
Lei
annuì
contenta e si precipitò in ascensore. Si unì al tavolo dei cinque
Dexholder proprio di fronte a Silver e accanto a Yellow che la accolsero
sorridendo. Si era accaparrata al self service un bel vassoio pieno di
cibo
all’apparenza squisito e tra un carpaccio di salmone, una birretta
gelida e un
po’ di risate tra amici tutti si ingozzarono in maniera spropositata.
‒
Stasera dobbiamo organizzare qualcosa con gli altri, d’accordo? ‒
propose Gold.
‒ Giusto per scaricare la tensione per domani.
‒
Secondo me faresti meglio a riposare invece, e poi tu domani neanche
combatti…
‒ lo contestò Crystal
‒
È una questione di rito, Chris ‒ intervenne Emerald.
‒
Io non ci vedo nulla di male ‒ buttò lì la timida Yellow.
‒
Direi di aspettare gli altri, poi si vedrà ‒ fece Silver.
‒
Quando dice così significa che è d’accordo ma non vuole darlo a vedere ‒
rise
il suo rivale dagli occhi dorati.
‒
Io vorrei riscaldarmi un po’, ma non penso che una serata fuori potrebbe
farmi
tanto male… ‒ mormorò Sapphire.
‒
Più calda di così, gioia? ‒ la provocò Gold prima di incassare un
violento
calcio sulla tibia da parte di Crystal.
‒
Vediamo, dai ‒ si arrese la Catcher.
‒
Magari neanche riuscite ad uscire che vi precipitano addosso elicotteri
di
giornalisti…
Nel
post
pranzo, quasi tutti si godettero il torpore. Gold si appisolò su un
divanetto, Emerald lo imitò, Crystal e Yellow si stesero in costume
sulle
sdraio accanto alla piscina dell’hotel immerse nella lettura, Silver e
Sapphire
decisero di facilitare la digestione passeggiando un po’. Il caldo era
micidiale, il fulvo portava una maglietta senza maniche grigia e un
costume da
bagno a pantaloncino di tipo hawaiano, Sapphire era in shorts e canotta.
Lei
portava la bandana a mo’ di cerchietto e lui si era legato i capelli in
un
codino. Scelsero di muoversi con i piedi a mollo nell’acqua della riva
del mare
per evitare di sciogliersi lentamente come scamorze su una padella. I
bagnanti
erano quasi tutti sotto gli ombrelloni o a casa a quell’ora, regnava una
calma
innaturale.
‒
Quindi pensavo… perché non provarci? Insomma, io Capopalestra, non è
malaccio…
‒ stava spiegando lui.
Sapphire,
ascoltandolo,
lo studiava attentamente. Era snello, longilineo quasi come Ruby,
ma i capelli lunghi e gli occhi chiarissimi gli davano un qualcosa di
elfico.
‒
Quindi intendi fare proposta per il posto?
‒
Non so, è tutto al completo e ora come ora è difficile fondare una
palestra da
zero, ci vogliono parecchi soldi e le conoscenze giuste…
Aveva
viaggiato
assieme a lui e Crystal per la regione di Kalos. Le aveva già
raccontato in quell’occasione di tale idea. Secondo Sapphire,
inconsciamente
cercava di imitare suo padre nell’unica cosa ammirevole che avesse fatto
in
vita; Silver non era il tipo da avere l’ambizione della fama e se lo
fosse
stato certamente non avrebbe cercato di ottenerla diventando
Capopalestra.
‒
Domanda scema: hai già deciso il tipo?
‒
Non so, pensavo di fare come Green quando poi lui stesso mi ha fatto
notare che
ho una innata predilezione per il tipo Buio.
‒
Certo se la metti così allora c’è un posto libero come Capopalestra di
quel
tipo, hai conosciuto Luna, a Costa Mirach, Sidera?
Entrambi
sorrisero.
Il soggetto in questione era chiaro a tutti e due.
‒
Tu piuttosto, potresti aspirare ad una carriera da Campione con la forza
che ti
ritrovi…
Sapphire
non
rispose.
‒
Ci hai mai pensato?
‒
Non lo so, in realtà, non è che sia proprio il mio sogno.
Silenzio.
Si
erano fermati. Silver si incupì per un istante. ‒ Vuoi tornare indietro?
‒
le domandò.
Sapphire
mosse
appena la testa su e giù.
‒
Andiamo, dai.
La
ragazza
raggiunse le amiche sulla riva della piscina dell’hotel. Crystal si era
appisolata, Yellow le sorrise chiudendo il libro che stava leggendo non
appena
la vide. Sdraiata con i piedi a mollo le sembrava quasi una sirena, la
bionda
ragazza del Bosco Smeraldo. Piccola e delicata, curvilinea e luminosa.
Sapphire
le si sedette accanto.
‒
Tra poco dovrebbero arrivare Green, Blue e Red ‒ le disse.
‒
Lo so, spero che riusciranno a staccarsi le telecamere di dosso il
signor
Campione e mister Capopalestra… qua a Holon sembrano star del PokéWood.
‒
Ma anche voi che non siamo membri dell’Associazione Pokémon non è che ve
la
passiate tanto bene, ho visto.
‒
Blue ha fatto la cosa migliore ad accodarsi a loro, nessuno la
infastidisce se
si nasconde dietro a quei due personaggi…
‒
No, sono io quella che sta meglio, mi conoscono in tre e nessuno mi
infastidisce.
‒
Sai che non pensavo ti saresti iscritta…
‒
Beh, è andata come quella volta alla Cupola Lotta con Emerald, c’erano
tutti i
Dexholder, non siamo noi se non siamo al completo ‒ sorrise.
‒
Già, spero che riusciranno ad aggregarsi pure quelli là…
‒
Sì.
E
Sapphire percepì la punta di malinconia nella voce di Yellow. ‒ Con Red?
‒
domandò senza troppe cerimonie.
Yellow
sospirò.
‒ Niente di niente, non ci vediamo spesso ma quando ci vediamo lui
sembra felice.
‒
E tu?
‒
Io sono al settimo cielo, ma non so se può funzionare, in realtà. Ci
conosciamo
troppo bene.
‒
Non dovrebbe essere un incentivo?
‒
Scherzi? Sembra che mi guardi come si guarda una sorella minore.
‒
Ma tu fai qualcosa che gli faccia capire come ti senti, siete tanto
uniti…
magari coinvolgilo in qualcosa che lo faccia distrarre dai suoi impegni
di
Campione.
‒
Non so, ora che ho l’allevamento a Kanto ho provato io a distrarmi un
po’, ma
mi sono resa conto che neanche più quello mi dà relax…
Sapphire
si
illuminò. Le tornarono in mente le parole di Gold: “Ti piace lottare?”
‒
Prova a… ‒ e si interruppe, mancando anche lei di una reale soluzione al
problema.
‒
Cosa?
‒
Non lo so, in realtà.
‒
Anche tu così, eh?
Sapphire
non
annuì, ma non negò neanche.
‒
Dev’essere più difficile per te, io ogni volta che perdo di vista Red
per un
po’ di tempo penso quasi di essere stanca di aspettarlo, ma poi una
giornata
con lui sembra far tornare tutto come ai primi giorni… ‒ Yellow si rese
conto
che Sapphire aveva preso una preoccupante aria accigliata. Abbassò lo
sguardo e
tornò al suo libro.
La
ragazza
di Hoenn invece si alzò in piedi e se ne andò senza guardarla né
congedarsi. Passando per la hall dell’hotel si imbatté in una matassa di
persone che portavano armate di cellulari, fotocamere, Poké Net e
qualsiasi
altra cosa permettesse loro di riprendere o immortalare la situazione.
Comprese
subito. Discreta e non distratta dalla voglia di fare video e foto,
cominciò a
fare lo slalom tra la gente fino a raggiungere un punto dal quale le
fosse
possibile osservare con facilità. Una limousine si era appena fermata
davanti
alla porta d’ingresso dell’hotel, la portiera si aprì, Red mise un piede
fuori
e ne uscì con un gran sorriso stampato in faccia, lo seguì Green e
infine Blue.
Erano riusciti a farsi piazzare in quell’hotel. Un’interminabile
ovazione si
levò dalla folla, i tre Dexholder si mossero attraverso un’isterica
capanna di
persone adoranti. Nessuno di loro si accorse di Sapphire, anche se le
passarono
accanto. Lei li vide sfilare davanti a sé uno alla volta. Red, con gli
stessi
vestiti che gli aveva visto indossare in tv quella mattina, portava i
capelli
nerissimi scompigliati come sempre, Green, con il suo ciuffo castano che
sfidava la forza di gravità era sensibilmente più sobrio
nell’abbigliamento,
guardava davanti a sé con senza quasi sbattere le palpebre e muovendosi
con le
mani in tasca. Quei due baldi giovani erano amatissimi dalle folle, non
solo
per la loro fama di grandissimi Allenatori, quanto anche per l’immagine
forte e
atletica che davano. Infine, dietro i due la ragazza scorse lo sguardo
di Blue
che ogni tanto si lasciava andare a qualche occhiolino rivolto alla
folla, non
ricordò di averla mai vista più bella. Un velo di eyeliner e un tocco di
mascara amplificavano la luce dei suoi occhi in maniera quasi
innaturale, il
suo corpo splendidamente scolpito in forme tondeggianti e morbide era
avvolto
in un vestitino leggero di color viola scuro che terminava in una breve
gonna
che raggiungeva le sue cosce toniche. I suoi fluenti capelli castani
ondeggiavano senza mai scomporsi dalla loro piega, accecando qualche
malcapitato con i loro riflessi chiarissimi. Blue non era Capopalestra
né
tantomeno Campione, ma con la scusa di farsi accompagnare in qualità di
amica si
era affilata ai due uomini per raggiungere Holon. La ragazza di Hoenn li
vide
scomparire in ascensore scortati da due inviati della Lega locale,
mentre un
terzo mostrava alla tipa della reception le tessere che confermavano che
la
loro organizzazione avrebbe saldato il conto della permanenza in hotel.
Ben
presto
la voce si diffuse, pure gli altri Dexholder, persino Gold ed Emerald
che erano ancora bellamente appisolati durante l’arrivo delle star,
vennero a
sapere che i loro amici erano arrivati.
‒
Dici che dovremmo andare noi da loro? ‒ domandò Crystal sorseggiando un
milk-shake al bar del pianterreno.
‒
Non penso… ‒ rispose Emerald.
‒
Ci sono i bodyguard davanti alle loro camere ‒ informò Silver.
Sapphire
semplicemente
non disse nulla e aprì il suo Poké Nav. Trovò un messaggio da
parte di Blue: “Sali” diceva.
Abbandonò
il
bancone mormorando solo: ‒ Io provò a dare un’occhiata…
Giunse
al
tredicesimo piano, si ritrovò in un fresco corridoio arieggiato dalle
pareti
color blu mezzanotte e illuminato solo da alcune barre luminose poste
all’angolo in basso dove le mura incontravano il pavimento. Percorse
tutta
quella galleria passando davanti a porte di suite estremamente
distanziate tra
loro finché non raggiunse un’uscita in vetro che dava su un balcone
ampio tre
volte la sua stanza. Uscì.
‒
Oh, ce ne hai messo di tempo… ‒ mormorò Blue che le comparse davanti
all’improvviso. Si stava spazzolando i capelli e non aveva più il
vestito di
prima ma indossava un pareo che lasciava intravedere il bikini
attraverso la
trasparenza.
Sapphire
la
guardò, poi dovette lottare per non tornare con gli occhi puntati sul
panorama che quella terrazza d’alta quota offriva.
‒
Blue, ti aspettavo da ieri! ‒ esclamò lasciandosi stringere in un
abbraccio
dalla sua amica.
‒
Hai visto che roba? Di sotto intendo? Qua a Holon sembrano pazzi.
‒
Assurdo, e io che pensavo di aver avuto il peggior impatto con la folla
di
tutta la storia…
Blue
sorrise
carezzandole la guancia con delicatezza. ‒ Immagino il motivo per cui
ti stiano tanto appresso.
‒
Non esagerare, non so se ti sei resa conto dell’espressioni che fanno
quando ti
guardano.
Sapphire
arrossì
lievemente. ‒ Perché mi hai fatta venire qui?
‒
Avevo voglia di parlare con te in privato.
Sapphire
sorrise.
Aveva viaggiato per Alola, Unima e Sidera in compagnia di Blue, in
tutto quel tempo aveva sviluppato con lei un rapporto particolare, la
percepiva
come una sorella maggiore, era come se ognuna di loro conoscesse tutto
dell’altra.
‒
Capisco, Green e Red sono ancora in stanza? ‒ domandò lei.
‒
Green e Red ora scenderanno e staranno col resto del gruppo, noi li
raggiungeremo in seguito ‒ spiegò quella appoggiandosi alla ringhiera.
‒
Sei stata con Red e Green per un po’ di giorni, che tipo di vita fanno
quelli
come loro in queste occasioni?
Blue
rise.
‒ Red prende la cosa come un gioco… Green ormai ci ha fatto l’abitudine…
è strano, sono tutti ricchi da far schifo quelli che gli ronzano
attorno. Una
foto qua con il ministro di non so cosa, una stretta di mano là
all’assessore
di non so che altro… accogliere le sfide degli Allenatori è l’unico
momento di
riposo per loro.
‒
Tutto un lavoro di immagine?
‒
Esatto, tutto un lavoro di immagine ‒ Blue la guardava con l’aria di chi
aveva
capito cosa ronzava per la testa al suo interlocutore. ‒ Non penserai
ancora a
lui, vero?
‒
No ‒ rispose Sapphire all’istante. ‒ Ma ogni tanto mi torna in testa,
sai
com’è…
Blue
sospirò
con fare di rimprovero. ‒ L’ultima volta quando vi siete parlati?
Sapphire
sentì
l’amarezza delle parole. ‒ Nove mesi fa, era il mio compleanno, mi ha
regalato questa ‒ e mostrò il ciondolo con la pietra celeste attaccato
al suo
collo.
‒
E tu?
‒
L’ho scaricato in malo modo…
‒
Ma porti la collana che ti ha regalato. E hai anche una nuova bandana a
quanto
vedo ‒ aggiunse ben sapendo chi fosse il sarto creatore delle bandane di
Sapphire.
Sapphire
arrossì
di nuovo.
‒
Stavo pensando… ‒ esordì Blue prendendo un altro tono. ‒ prima agivo
come se
dovessi in qualche modo dimostrare di essere all’altezza di Green, di
Red o di
qualsiasi altro maschio avessi contro… ho capito solo dopo che non c’era
bisogno di dimostrare nulla a nessuno.
Sapphire
rialzò
lo sguardo e lo puntò negli occhi celesti di quella, poco più chiari dei
suoi.
‒
Alla fine ci sei solo tu ‒ le diede un buffetto sul naso con la punta
delle
dita. ‒ Deve valere così tanto quel ragazzo per te...
‒
Doveva ‒ la corresse Sapphire.
‒
Perché? Mica è morto… ‒ le strizzò l’occhio.
Sapphire
volle
ribattere, ma fu preceduta dall’arrivo di tutto il resto del gruppo
guidato da Green e Red che avevano condotto anche gli altri sulla
terrazza
panoramica del piano d’élite. Sapphire corse incontro a Green e Gold e
li
salutò dando un bacio sulla guancia a entrambi. Avevano uno strano
sorriso,
tutti e due, come se si stessero godendo ogni momento da persona normale
assieme
agli amici di sempre assaporandone il gusto quasi nostalgico. E forse
era
proprio così.
Dopo
un
minuto scarso di convenevoli e saluti, Gold propose di sedersi e bere
qualcosa, ma Gold lo precedette.
‒
Non qui.
‒
Abbiamo pensato di farvi vedere l’unica cosa per cui valga la pena di
avere il
trattamento speciale riservato a Campioni e Capipalestra ‒ spiegò Green.
‒
Tutti in costume ‒ consigliò Red.
Tutti
e
nove indossarono indumenti adatti alla balneazione, si diressero fino al
pianterreno, abbandonarono l’hotel e furono condotti dai due verso un
sottile e
abbandonato braccio di costa. Camminarono su una sabbia bianchissima, a
est
erano schermati da una scogliera e a ovest la spiaggia era vuota per
qualche
altro centinaio di metri. C’erano solo loro, un largo baldacchino sotto
al
quale era stata piazzata un lungo tavolo, nel punto più lontano dalla
riva
invece stavano delle cabine e delle docce.
A
tutti loro si aprì un mondo. La tensione per il Campionato, lo stress
per la
pressione mediatica, la stanchezza per il viaggio sembrarono sparire.
Tutto
sembrò sparire in una nuotata, una partita a beach volley. Tutti
tirarono fuori
pure i loro Pokémon in modo da farli rilassare all’esterno delle loro
claustrofobiche Poké Ball. E il pomeriggio scorse rapidamente, ben
presto il cielo
cominciò a farsi più rossiccio e il sole lentamente si avvicinò alla
linea
dell’orizzonte verso occidente.
‒
Avete degli asciugamani? ‒ chiese Sapphire uscendo fradicia dall’acqua.
Red
gliene
passò uno prendendolo da dentro la cabina. Era in microfibra, si
impregnava parecchio ma asciugava a velocità impressionante. Sapphire se
lo
avvolse attorno dopo essersi fatta una doccia.
‒
Siete riusciti a farmi distrarre dal mio allenamento, comunque, è
un’impresa
difficile ‒ disse al Campione di Kanto intercettandolo.
Quello
si
voltò. ‒ Credimi, rendono molto di più dopo un pomeriggio di relax in
spiaggia… ‒ scherzò quello.
‒
Hai trovato questa cosa delle interviste e delle foto tanto più
sfibrante di
una giornata da Campione?
‒
Di una giornata da Campione con le interviste e le foto? ‒ ironizzò lui.
Sapphire
sorrise
alla battuta.
‒
Per fortuna dovrebbe ridursi l’ammontare dei miei compiti dopo il mio
distacco
dalla regione di Johto.
‒
Ah, ci siete riusciti alla fine?
‒
Sì, i Superquattro rimangono gli stessi per entrambe le regioni, ma il
ruolo di
Campione e il compito di svolgere tutte le mansioni di amministrazione
della
Lega nella regione di Johto adesso spettano a Lance.
Nella
voce
di Red c’era una punta sottile di stanchezza. Sapphire non mancò di
notarla.
‒
Siamo felici che tu possa essere il rappresentante di Kanto, stai
iniziando a
stancarti?
‒
No, non mi lamento del mio lavoro.
‒
Lavoro, lo chiami?
‒
Dipende… ‒ gli occhi di Red si posarono sul gruppo dei suoi amici che
usciva
dal mare ridendo, Green che prendeva Blue sulle spalle e Gold che
trovava ogni
istante buono per lanciare il pallone a Crystal. ‒ quando lo facevamo
per il
solo gusto di farlo era tutto diverso. Ma andare in giro a sfidare
Capipalestra
non ti paga le bollette… ‒ mormorò.
‒
Ti manca tutto questo?
‒
Mi manca, certo.
Sapphire
cercò
di seguire la linea del suo sguardo per capire se stesse guardando
Yellow
o no. Ovviamente la cosa non le riuscì.
‒
Ma penso di poter fare qualcosa d’ora in poi, non so… provare a vederci
più
spesso, cercare qualche giornata in cui siamo tutti liberi e inventarci
robe
tipo questa.
‒
Vorrei potervi portare in qualche luogo di Hoenn, una volta…
‒
Oh, sono sicuro che si potrebbe fare.
‒
Tu dici?
‒
Ovvio, serve solo un po’ di… organizzazione… ‒ concluse la frase con un
tono
malinconico. Red era sempre stato quello più felice alla vista di tutta
la
squadra dei primi Dexholder riunita. Era uno che faceva piani, proposte,
sogni.
Ma ultimamente il sistema andava contro di lui. Quante cene non
realizzate,
quanti compleanni a sorpresa mai festeggiati, quante vacanze insieme
andate a
monte. Per fortuna sembrava bastasse un pomeriggio per scordare tutti i
piani
fatti assieme mai portati a termine.
‒
Tirate fuori l’alcol che qua Silver comincia ad avere sete ‒ lo
canzonava Gold.
‒
Sì, certo, ma prima ti accompagniamo a letto ‒ gli rispondeva il rosso.
All’imbrunire,
quando
le nuvole cominciavano a tingersi di un rosa tenue, numerosi camerieri
vestiti di bianco cominciarono a scendere direttamente dall’hotel e a
portare
luminosi vassoi e secchi pieni di ghiaccio e bottiglie alla tavola. Come
falene
attratte dalla fiamma, tutti si precipitarono verso le vivande, alcuni
ancora
avvolti nell’asciugamano, altri con addosso un paio di pantaloncini o
una
canotta in più. Il più entusiasta era Emerald.
Si
erano
seduti tutti, i camerieri erano spariti ed era stato portato del cibo
pure per i Pokémon quando Red, seduto a capotavola, si alzò in piedi e
diresse
verso il cielo la mano che stringeva il calice pieno di vino bianco. Gli
occhi
di tutti i presenti erano su di lui.
‒
A tutti noi ‒ enunciò. ‒ domani sarà una giornata come un’altra, andrà
tutto
bene, finché saremo tutti uniti.
Gold
fece
finta di avere un conato, Blue ridacchiò e Green alzò gli occhi al
cielo.
‒
…e per quanto per alcuni possa sembrare smielato ‒ proseguì il Campione
in tono
di rimprovero. ‒ credo di parlare a nome di tutti dicendo che siete una
delle
cose migliori che mi sia mai capitata.
‒
Vi voglio bene, amici ‒ spuntò fuori Yellow alzando il bicchiere come
Red.
Silver
stupendo
tutti fu il terzo ad unirsi al brindisi. Lo seguirono Emerald e
Crystal.
‒
Chi ci ammazza, a noi? ‒ e pure Gold entrò in scena.
‒
Non siamo tanto male… ‒ lo imitò pure Green.
Blue
aveva
gli occhi lucidi, anche lei alzò il calice. Sapphire si accodò
immediatamente.
‒
Vi auguro il meglio, e non per il torneo o altro… ‒ proseguì Red. ‒ …il
meglio
per sempre. Grazie di tutto.
Tutti
bevvero.
La cena cominciò ufficialmente, il cibo era, ovviamente, dieci volte
migliore di quello mangiato a pranzo. I brindisi che Gold proponeva per
qualsiasi cosa gli passasse per la mente davano alla serata quel tocco
di trash
che non guastava mai, Emerald cominciò a cacciare fuori canti
tradizionali
totalmente a caso man mano che il suo bicchiere si svuotava e poi si
riempiva
sempre più frequentemente, Blue era quella che sapeva raccontare storie
migliori, soprattutto quando di mezzo c’erano personaggi incontrati per
strada
che avevano tentato con lei un approccio non propriamente parrocchiale.
Il cibo
cominciò a terminare, i vini e lo champagne erano alla seconda ripresa.
Ormai
il cielo si era scurito del tutto e l’unica cosa che illuminava la
situazione
erano le candele che Red aveva romanticamente acceso dopo il
sopraggiungere
dell’oscurità e le luci lontane della città di Vivalet che si preparava
ad
accogliere il più grande evento Pokémon degli ultimi dieci o venti anni.
Sulle
ultime
tutti cominciarono ad alzarsi dalla tavola, a Yellow venne la geniale
idea di accendere un falò sulla spiaggia e con un po’ di impegno e olio
di
gomito riuscirono ad avere la loro fiamma tribale in poco tempo. Tutti
vi si
sedettero attorno sorseggiando le ultime scorte di acqua di fuoco che
avevano e
alternando con balli improvvisati e totalmente scoordinati. Qualcuno
proponeva
di dormire sulla sabbia sopra agli asciugamani, segno che il sonno e le
due o
tre ore dopo la mezzanotte cominciavano a premere sulle loro palpebre.
Sapphire
aveva
la testa che girava, c’era Crystal accanto a lei che dormiva avvolta in
un telo da mare, Gold ed Emerald ridevano assieme ad un ben poco sobrio
Silver
mentre Blue e Green vagavano da una parte all’altra della spiaggia come
lei.
Sulla scogliera, poco lontano, stava Red con una Yellow distrutta che
teneva la
testa poggiata sulla sua spalla. Guardavano la luna.
Quando
Blue
scelse di tornare in camera per chiudere gli occhi decentemente e
svegliò
Crystal per suggerirle di permettersi lo stesso lusso, la ragazza di
Hoenn
rimase sola con Green che giocava con le braci di un fuoco ormai spento.
‒
Ti vede, eh ‒ esordì lei con il ragazzo dagli occhi color giada
sedendoglisi
accanto. ‒ …come la guardi ‒ con molta probabilità era lo champagne a
parlare
in buona fede per lei.
‒
Mh, cosa? ‒ le chiese quello. Neanche lui era troppo asciutto.
‒
Blue ‒ spiegò. ‒ non ti darà mai la soddisfazione di fare la prima
mossa.
‒
Ma quale prima mossa? Ci conosciamo da duemila anni, non è storia, la
nostra.
‒
Non mi sembra una motivazione valida ‒ fece Sapphire portando lo sguardò
a
Yellow e Red, che nel frattempo si erano avvolti l’una nelle braccia
dell’altro, e facendo sì che Green la seguisse.
‒
Blue è affascinante e intelligente ma non ha regole, non ho tempo di
stare
dietro ad una come lei…
‒
Eppure lo fai.
La
risposta
di Green si fece attendere. Le loro voci erano melliflue e rilassate,
ma la pausa fu troppo lunga perché ci potesse essere un’altra risposta
da parte
di Green.
‒
E lei te lo lascia pure fare… ‒ proseguì Sapphire.
‒
Bah, penso che meno ci mettiamo in mezzo, meno rischiamo di fare
stronzate…
La
ragazza
dondolò su se stessa. ‒ Lo pensavo anche io, ma mi pare che tu abbia
già passato quella fase, ora sei più morbido, no?
Green
si
imbronciò leggermente.
‒
Blue si è divertita e sa come divertirsi quando vuole. Ma ora cerca
serietà,
avete pure ventidue anni, non potete continuare a giocare ‒ la lasciva
saggezza
della brilla Sapphire metteva a disagio il Capopalestra di Smeraldopoli.
Green
gettò
qualcosa nel fuoco, forse un sasso, forse una conchiglia. ‒ Non so se mi
va, magari è il caso che io mi trovi qualcun altro… ‒ il ragazzo si alzò
e fece
per andarsene.
Sapphire
si
incupì. ‒ Che ti trovi qualcun altro per convincerti ad ignorare Blue? ‒
Sentì Green fermarsi e percepì la sua titubanza nel rispondere.
‒
Forse sì ‒ e si allontanò.
Sapphire
attese
qualche minuto da sola, poi salutò gli altri e si diresse verso l’hotel.
Si buttò sul suo letto felice, felice per la serata meravigliosa e per
aver
degli amici del genere. Era stanca, ma stanca dal divertimento. Si fece
una
doccia e, dopo essersi asciugata, chiuse gli occhi con indosso una
maglia
troppo grande per lei e gli slip. Strinse la bandana al suo petto.
Era
felice,
sì, ma nella sua scatola di cartone mancava qualcosa.
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Capitolo 4 *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 1 ***
Capitolo
2: ludi
circenses pt. 1
Sapphire
aveva
le palpebre pesanti. Tutti i Dexholder si erano svegliati tardi e
avevano
pranzato alla ben e meglio. Un poco più rinvigoriti, si erano portati
all’Holon
World Stadium, la gigantesca arena costruita per l’occasione proprio al
centro
della cittadina. Le strade erano intasatissime, il sole picchiava duro e
ovunque sembrava di avere attorno il triplo delle persone in preda alla
foga e
al delirio. Fortunatamente, la criniera di reporter infoiati si era
decimata,
evidentemente tutti si trovavano dentro per intervistare gente più
interessante
o per ottenere il posto ideale nella tribuna stampa. Green e Red avevano
lasciato il resto del gruppo, dovevano essere presenti fin dall’inizio
in veste
di professionisti.
‒
Ho bisogno di acqua, tanta acqua ‒ mormorò Blue accanto alla ragazza di
Hoenn.
‒
A chi lo dici, spero che questa cosa finisca subito…
Erano
in
fila, una fila che scorreva in maniera alquanto fluida, ma pur sempre
una
fila. Non sarebbero entrati in mezzo alle tribune, ovviamente, c’erano
delle
terrazze riservate ai partecipanti al torneo e su quelle loro si
sarebbero
adagiate durante il primo girone di lotte che si sarebbe tenuto in
quella
giornata. Da fuori, lo stadio era già abbastanza imponente, era una
costruzione
in cemento massiccia e dalla forma ellittica tutta decorata con
giganteschi
stendardi raffiguranti gli stemmi delle regioni. Sopra al cancello
principale,
invece, troneggiava il gigantesco sigillo della regione di Holon: una
Poké Ball
semi-romboidale che ricordava la forma dell’isola. Durante il viaggio
che li
aveva portati allo stadio, i ragazzi si erano resi conto di una cosa:
Holon
aveva pochissimi residenti e quei pochi abitavano tutti in periferia. La
città,
come presumibilmente tutto il resto della regione, viveva di turismo e i
suoi
abitanti lavoravano in ristoranti, bar, hotel e altre attrazioni. Faceva
strano
camminare per Vivalet, sembrava quasi di stare in una specie di parco
divertimenti a tema urbanistico.
‒
Vai, tocca a te ‒ sussurrò Sapphire a Blue.
La
ragazza
mostrò la tessera al tipo del banco di smistamento. Risultava essere un
Allenatrice di rango A, quindi di un livello più bassa di Sapphire.
Tutto a
livello teorico, ovviamente, la ragazza di Hoenn aveva semplicemente
vinto più
medaglie di lei nel mondo.
‒
Terzo piano, tribuna partecipanti ‒ disse l’uomo.
Sapphire
avanzò
e imitò Blue. Mostrò la tessera che la etichettava Allenatrice rango S,
quello verificò tramite un qualche dispositivo scanner, sorrise alla
ragazza e
la indirizzò: quarto piano, attico della tribuna partecipanti.
Pure
lei
entrò, udì alle sue spalle Crystal mostrare il badge da Allenatrice
rango
C, ossia con meno di otto medaglie. La ragazza di Johto non si era mai
impegnata nei duelli, ma aveva un Pokédex che contava più di settecento
specie
catturate e anche una discreta fama da non agonista del Pokéathlon.
Sapphire
avanzò lungo un corridoio scuro fino a raggiungere una biforcazione, a
destra
l’ascensore, a sinistra le scale. Quarto
piano aveva detto il tipo all’entrata. Forse era meglio prendere
l’ascensore. Vi entrò, premette il tasto e attese. L’ascensore si fermò.
Le si
aprì uno spiraglio su una stanza incredibile. Tutta bianca, una parete
era
costituita interamente da vetrate che davano sullo stadio. C’era l’aria
condizionata, una gradevole frescura invadeva ogni angolo di quel luogo.
Si
rese conto di essere in un edificio in qualche modo incastonato
all’interno
delle tribune dello stadio. Sotto di lei vedeva le folle deliranti
distribuite
su spalti con numerosissime gradinate, tutti raccolti attorno ad un
ampio
terreno rettangolare suddiviso in due aree con il simbolo di una Poké
Ball
piazzato al centro. Grossi monitor visibilissimi anche con la forte luce
del
sole e posizionati su tutti i quattro cardini dello stadio mostravano
scene
prese a caso da altri tornei o da eventi con protagonisti alcuni
Allenatori di
grande fama. La ragazza dagli occhi blu si guardò attorno. C’era un
tavolo
imbandito per un rinfresco, un corridoio che portava da qualche parte e
dei
divani, su cui trovò distesi dei personaggi di cui conosceva molto bene
il
nome.
‒
Sapphire! ‒ la salutò Red. ‒ Benvenuta.
La
ragazza
era ancora a bocca aperta. Intenta a versarsi un bicchiere di champagne
c’era Camilla, Campionessa di Sinnoh. Accanto a Red sedevano Iris e
Lance, che
stavano chiacchierando animatamente quando lei era entrata. Di fianco
intravide
Nardo, ex Campione di Unima comunque ammesso tra i rango S, che
conversava con
Zack e Antares, venuti rispettivamente da Adamanta e Sidera. Il suo
sguardo
scivolò leggermente su una pozzanghera d’olio quando vide pure Ruby, in
piedi
accanto a Diantha, con cui aveva evidentemente appena smesso di parlare
per
puntare gli occhi sull’ultima arrivata, Sapphire.
‒
Ah, ho atteso con ansia di potermi confrontare con te, ragazza ‒ le
venne
incontro Camilla. Era una donna splendida, vestita in maniera sobria con
dei
capelli biondi chiarissimi che le ricordavano una cascata di sottili
filamenti
d’oro ‒ Sei parecchio famosa anche tra i piani alti, lo sai? ‒ e le
porse un
bicchiere pieno di quel liquido tutto bollicine.
‒
Oh, grazie ‒ accettò timida.
‒
Non ringraziarla, secondo i giornalisti quassù ci stiamo barricando
dietro i
divani intenti a lanciarci occhiatacce ostili ‒ intervenne Nardo
strappandole
un sorriso.
‒
Sapphire ‒ le si presentò davanti con un gran sorriso Iris, dalla
carnagione
scura in netto contrasto col vestitino color crema che portava. ‒ si
dice molto
di te… pure tu sei una dei portatori del Pokédex, giusto?
Le
sembrava
strano che la sua fama si fosse propagata tanto. Le venne in mente che
forse era davvero così degna di ammirazione, dato che oltre a lei non
c’era
nessuno su quel piano che non fosse un Campione.
‒
Io, ehm, sì ‒ non era mai stata una gran parlatrice, tantomeno che con
sconosciuti
che sembravano sapere tutto di lei.
‒
Non vedo l’ora di conoscere la tua vera forza… ‒ concluse quella di
Unima.
‒
Conosco alcuni dei suoi compagni ‒ intervenne Lance salutando Sapphire
con un
cenno del capo. Lance era il Campione di Johto, condivideva la Lega
dell’Altopiano Blu con Red, ma incarnava il ruolo di Primo Allenatore
solo
nella sua regione. ‒ Gente tosta, i Dexholder…
‒
Non le mettete pressione ‒ disse qualcuno dalle retrovie. ‒ Fatela
sentire come
fosse a casa propria…
Era
Zero,
maschio alfa degli Allenatori di Pokémon di Holon stessa. Portava una
felpa nera senza maniche sopra ad una maglietta monocromatica bianca,
sotto
indossava dei pantaloni di cotone abbastanza semplici, anch’essi neri.
La
fissava serio coi suoi occhi grigi color nebbia, aveva una barba rada e
poco
curata scura quanto i suoi capelli. Giovane, nessuno l’avrebbe mai
giudicato
tanto più anziano di Red.
‒
Zero sta cercando di sembrare umano, la sua Lega non partecipa per pietà
della
nostra autostima in quanto suoi colleghi ‒ intervenne ilare Antares,
Campione
della piccola regione di Sidera, coi suoi capelli di un insolito blu
raccolti
in una coda di cavallo.
Il
movimento
causato dalla sua entrata sfumò in fretta. Tutti tornarono a
chiacchierare piacevolmente e a godersi il rinfresco. Zack, Campione di
Adamanta, avvicinò la ragazza di Hoenn. Lei lo scrutò dalla testa ai
piedi. Era
atletico, aveva pressoché lo stesso fisico di Red, ma i suoi occhi verdi
le
ricordavano il colore delle foglie intrise di rugiada la mattina presto.
‒
Sembra che siano tutti pieni di sé, ma in realtà sono pezzi di pane ‒
esordì. ‒
Zachary Recket, credo che non ci siamo mai parlati prima ‒ le porse la
mano.
Lei
la
strinse.
‒
Tra poco dovrebbe iniziare l’evento ‒ sorseggiò dal suo bicchiere. ‒ e
noi ci annoieremo
parecchio.
‒
Hai qualche amico che partecipa al torneo? ‒ domandò lei.
‒
Un paio, tu?
‒
Sì, quasi tutti… ‒ rise.
La
ragazza
si mosse appena verso le pareti in vetro. Gli spettatori più vicini la
notarono subito ed esultarono verso di lei, la foga si sparse a macchia
d’olio
contagiando sempre più persone, tutti si voltavano a guardarla e
gridavano il
suo nome o facevano foto. Lei salutò un tantino imbarazzata. Seriamente
erano
bastate quattro o cinque telecamere puntate contro per farle ottenere
tanta
fama tra le persone?
‒
Come fate a sopportare questo tutto il tempo? ‒ domandò a Zachary Recket
che
nel frattempo le si era avvicinato scatenando una seconda ondata di
grida.
‒
Non lo facciamo ‒ spiegò semplicemente alzando il bicchiere in direzione
degli
spettatori in modo da ricambiare il loro calore. ‒ Dopo un po’ ti ci
abitui, basta
rendersi conto che sono persone proprio come te… ‒ spiegò lui.
‒
È così strano.
‒
Certo, ti adorano, sei una specie di leggenda per tutti loro.
Sapphire
sorrise.
‒
Zack, ti dispiace? ‒ disse una voce da dietro le loro spalle. Sapphire
avvertì
una fortissima fitta allo stomaco.
‒
Oh, figurati ‒ e il Campione di Adamanta si spostò da lì.
Ruby
comparve
accanto alla sua ex rivale e migliore amica. Un boato fragoroso quanto
quello emesso dalla folla per Sapphire e Zack messi assieme si levò
dagli
spalti. Ormai si era diffusa la voce che in quella terrazza c’erano i pezzi grossi. Nove mesi erano
passati
dall’ultima volta che i due avevano parlato, e lei gli aveva chiuso la
finestra
in faccia. Certo, in quell’occasione ne erano passati dieci dalla volta
ancora
prima.
‒
Tanta gente, eh? ‒ fece lui.
‒
Tanta gente, sì ‒ ripeté atona lei.
‒
Quasi due anni per vincere tutte quelle medaglie? Non avresti potuto
fare di
meglio ‒ la elogiò quasi ironicamente.
Lei
non
ribatté.
‒
Perché non sei mai venuta alla Lega di Hoenn? ‒ chiese.
‒
Perché avrei dovuto? Non è mia intenzione diventare Campione.
‒
Capisco… ‒ Ruby girò i tacchi per andarsene.
‒
Non era neanche la tua ‒ mormorò Sapphire fermandolo.
Ruby
si
prese del tempo per ribattere. ‒ Hai ragione, non lo era…
‒
E di sicuro uno non cambia idea così radicalmente a causa della morte
dei
genitori ‒ la ragazza non sapeva da dove le venissero quelle parole. Non
era
mai stata delicata, ma neanche così cruda. Percepì il sussulto di Ruby,
per la
prima volta lo vedeva abbandonare quella sua innata sicurezza.
‒
Ci sono scelte che uno deve compiere, ad un certo punto – era più serio,
la sua
voce aveva perso quella tinta serena che lo contraddistingueva.
‒
Immagino ‒ rispose la ragazza cercando utilizzare la voce più distaccata
che le
riuscisse. ‒ Tanto chi è nato una volta, sa già come risorgere ‒ sibilò
con
ironia crudele.
Ruby
tacque.
Quindi fece una risatina. ‒ Bella collana… ‒ e se ne andò.
Sapphire
arrossì,
aveva completamente dimenticato di avere al collo il ciondolo blu
zaffiro
che le aveva regalato lui. Mostrare di portarlo era come dargliela
vinta. Lo
prese tra le mani, se lo strappò di dosso e lo ficcò in tasca.
Indignata, uscì
dalla stanza e scese le scale. Decise di andare a fare gli auguri a
Crystal e
Yellow che erano le uniche del loro gruppo che quel giorno avrebbero
combattuto. Le incontrò al primo piano, in una terrazza simile alla sua
ma
molto più grande, posta ad un’altitudine totalmente diversa e piena come
un
uovo di personaggi sconosciuti ai più. Sapphire si mosse in mezzo ad
Allenatori
la cui età media non superava i diciotto anni, quindi era più o meno in
mezzo a
dei coetanei. Tutti la guardavano e qualcuno un po’ più arrogante la
additava
pure, riconoscendola. Ovunque passasse lei, si creava il silenzio. Si
rese
conto che c’era veramente tanta gente là dentro, forse anche un
centinaio di
Allenatori. Ma giustamente, persino qualsiasi principiante che aspirasse
a
vedere il proprio nome nell’albo dei partecipanti e che non si curasse
di
perdere al primo incontro si era iscritto. La ragazza prestò realizzò
che nei
confronti di quei “novizi”, affatto paragonabili a Crystal e Yellow che
non si
erano mai gettate nelle lotte in palestra ma avevano esperienza e
talento coi
Pokémon, provava una strana sensazione. La guardavano come fosse ciò che
più
ammirassero al mondo e la cosa un po’ la rendeva orgogliosa e un po’ la
faceva
sentire a disagio.
‒
Sapphire! ‒ esclamò una voce conosciuta.
Crystal
e
Yellow le si presentarono uscendo dalla massa di ragazzi.
‒
Eccovi ‒ Sapphire le abbracciò.
‒
Ho sentito che dovrebbero già essere stati sorteggiati gli abbinamenti ‒
comunicò Yellow.
‒
Bene, in bocca al lupo, allora ‒ augurò quella.
‒
Sì, veglia su di noi da lassù… ‒ scherzò Crystal.
“A
breve
verrà mostrato il tabellone degli incontri, si consiglia a tutti gli
Allenatori di rango C di prepararsi a lottare” disse una voce robotica
proveniente dall’etere.
Sapphire
notò
che tutti cominciavano ad avviarsi verso il corridoio laterale che aveva
visto anche al suo piano. Realizzò che esso dovesse portare agli
spogliatoi, o
qualcosa di simile.
‒
Va bene, vi lascio, date una bella lezione a tutti, eh ‒ si congedò la
ragazza.
La
salutarono
entrambe prima di dirigersi pure loro dentro quel corridoio.
Sapphire rimase sola nella tromba delle scale. Riprese l’ascensore e
salì di
nuovo al quarto piano. La stanza
dei
pezzi grossi la aspettava mezza vuota come prima.
Nell’esatto
momento
in cui la porta dell’ascensore si aprì, tre forti spari uno dopo
l’altro risuonarono nello stadio. Giochi pirotecnici, serviva ad
allertare il
pubblico dell’inizio effettivo del torneo. Tutti i rango S si
avvicinarono alle
vetrate e guardarono giù verso l’arena. Un presentatore rinchiuso in una
qualche tribuna stampa cominciò a parlare al microfono.
“Benvenuti,
signore
e signori al dodicesimo Campionato Pokémon Internazionale, sotto il
sole di Vivalet, siamo quasi duecentomila dentro l’Holon World Stadium
più
tutti i quattro milioni di telespettatori che ci seguono da casa…” e
l’entusiasta introduzione dell’evento durò per fortuna poco limitandosi
allo
stretto necessario delle informazioni. “…ecco a voi, il tabellone degli
incontri del girone C, abbiamo ben duecentocinquantasei partecipanti,
esso è
suddiviso in cinque turni e vedrà otto vincitori alla sua conclusione, i
quali
avranno accesso al girone successivo. Ricordiamo che quest’oggi a
scontrarsi
saranno gli Allenatori che hanno vinto fino ad un massimo di otto
medaglie, quindi
dai novizi fino a quelli che potrebbero avere accesso ad una Lega
Pokémon…”
Sapphire
non
lo seguiva più, era occupata a fissare la proiezione del tabellone che
appena dopo essere essersi illuminata su uno dei maxi schermi dello
stadio era
comparsa in scala molto più piccola su una delle pareti della stanza.
Sembrava
che quei muri bianchissimi fossero anche dei display. La ragazza cercò
in mezzo
a quei cento o centocinquanta partecipanti i nomi di Crystal e Yellow.
Le trovò
entrambe, si trovavano contro due Allenatori il cui nome le suonava del
tutto
sconosciuto e dopo sì e no due minuti le fuggì anche di testa.
Una
troupe
composta da due cameraman ed due microfonisti comparve all’interno della
stanza dei pezzi grossi.
Ignorati da
tutti i presenti, cominciarono a sistemare le loro attrezzature.
“…quelli
che
si svolgeranno saranno incontri a tre Pokémon per Allenatore, non è
permesso l’utilizzo di alcuno strumento da parte dell’Allenatore né di
Pokémon
non registrati nella scheda Allenatore. Ad ogni partecipante sono
concessi fino
a tre cambi per ogni incontro…” proseguiva intanto il presentatore.
“…tutti
ovviamente si scontreranno nel Campo Lotta di terreno neutro, friabile
ma
compatto, asciutto ma permeabile…”
Sapphire
si
accorse della troupe appena penetrata nel loro piano.
“…saranno
anche
proiettati in diretta i commenti degli Allenatori di rango S che
entreranno solo nell’ultimo girone…”
Tutti
compresero
il motivo della presenza degli operatori televisivi.
Tra
un
boato del pubblico, una convocazione più che entusiasta da parte del
telecronista, un tema musicale mandato dagli altoparlanti, gli scontri
cominciarono. Sapphire rimase stupefatta quando si rese conto che,
accanto al
tabellone che nel frattempo era rimasto al suo posto proiettato sul
muro, comparvero
numerose altre schermate raggruppate in tre colonne, una per ogni
incontro.
Alcune davano viste prospettiche o a volo d’aquila dello scontro, altre
riportavano invece tutti i dati resi pubblici a proposito degli
Allenatori
occupati nelle lotte. Da quella stanza, oltre alla vista dal vivo i cui
suoni
arrivavano a loro un poco ovattati ma comunque chiari, avevano le
telecronache
di ogni incontro e le riprese in contemporanea da ogni angolazione
possibile.
La ragazza sperò vivamente che pure quelli dei piani di sotto avessero
tale
privilegio.
Pian
piano,
con lo scorrere degli incontri e l’incedere del pomeriggio, la troupe
cominciò a chiamare uno alla volta tutti i presenti per un commento
tecnico ed
esperto a proposito di un evento particolare o della comparsa di un
presunto
Allenatore-rivelazione. Per fortuna, Sapphire era la meno ricercata
dagli
inviati. Era l’idolo delle folle, certo, ma non imprimeva allo
spettatore il
senso di autorità di un Campione della Lega. Nardo era quello che più
faceva
ridere tutti, Antares pure ci riusciva, Camilla, Lance e Diantha erano
il più
possibile seri e tecnici, Iris, Red e Zack restavano neutri mentre Ruby
non
poteva fare a meno di esprimere una personale opinione pure a proposito
della
classe o dell’eleganza di alcuni Pokémon impegnati nello scontro. Zero
non
veniva mai chiamato.
La
sera
arrivo presto, quando fu il momento dello scontro di Yellow, Red si
avvicinò alla vetrata guardando con attenzione ogni singola mossa dei
due
sfidanti. Aveva chiesto che non le fosse chiesta alcuna opinione a
proposito
dello lotta. Yellow affrontò un ragazzo un po’ più alto di lei ma che
non
dimostrò di essere tanto più maturo. Vide cadere al tappeto solamente
uno dei
suoi Pokémon, poi vinse lo scontro con Omny, il suo Omastar. Red, che
aveva
seguito tutto lo scontro quasi senza mai sbattere le palpebre, esultò
con
contegno.
Poco
dopo
fu il turno di Crystal, ancora una volta Red si appostò accanto
all’amica
per seguire lo scontro con attenzione. Crystal vinse senza perdere
neanche un
Pokémon.
‒
Ok, bene così… ‒ mormorò Red.
E
in effetti stavano seguendo dall’inizio quel girone solo per le loro due
amiche, il resto era solo un susseguirsi di lotte tra principianti,
prevalentemente. Poco interessante e avvincente. Il torneo andò avanti.
Dopo
poco tempo le due Dexholder giunsero al secondo scontro, che vinsero
entrambe
naturalmente, e ancora più tardi al terzo, dal quale ancora una volta
uscirono
vincitrici. La sera stava per scendere ormai, era tardi. Per fortuna la
struttura dello stadio permetteva a tutti gli spettatori di muoversi
liberamente o di uscire per poi rientrare in seguito, le gallerie che
correvano
sotto gli spalti erano inoltre dotate di ogni comodità come bagni e
ristoranti.
Era un’arena costruita per seguire eventi della durata di minimo tre
ore,
costringere tutta quella gente in un solo posto tutto quel tempo sotto
il sole
di giugno avrebbe potuto essere denunciato in quanto crimine contro
l’umanità.
Si
era
fatto tardi, i partecipanti che col primo scontro si erano dimezzati,
erano
rimasti decimati ancora due volte. Rimanevano solo trentadue Allenatori
quando
sia Red che Sapphire si resero conto di una cosa: il prossimo scontro di
Yellow
e Crystal, vedeva proprio Yellow contro Crystal.
Le
ragazze
di Kanto e Johto si avvicinarono al Campo Lotta convocate dal
presentatore. Sapphire era certa che tutti i suoi amici stessero
fissando con
sguardi ansiosi quell’incontro che di lì a poco sarebbe iniziato.
Crystal e
Yellow si scambiarono un’occhiata fugace.
Vennero
giù
i loro primi Pokémon: Gravy, ossia Golem, per la bionda di Kanto e
Arckee,
ovvero Arcanine, per la mora di Johto. Tutto iniziò con un Devastomasso di Golem che lasciò al Pokémon Leggenda ben poca
voglia di continuare. Arcanine rispose con Turbofuoco,
mossa che inflisse danni minimi ma intrappolò l’avversario impedendogli
di
tornare dalla sua Allenatrice. Era una tattica, quella di Crystal, che
sostituì
Arckee con il suo Hitomonee. Pugnorapido
prevenne Pietrataglio
avversario e Centripugno
mandò Golem al tappeto. Il
secondo Pokémon di Yellow fu Kitty, il suo Butterfree. Cominciò con Raffica che fece
momentaneamente perdere
l’equilibrio a Hitmonchan, quindi un subdolo Aerasoio stroncò ogni sua reazione sul nascere. Ma Hitmonchan si
rialzò e riuscì a indirizzare un Gelopugno
contro il nemico che però resistette stoicamente, lo investì per
risposta con
la potenza di uno Psicoraggio scagliato
dalle
sue antenne e lo mandò KO. Tornò Arckee dal lato di Crystal. Prima
sostituzione per Yellow che cambiò Kitty con Omny. Surf di quest’ultimo investì Arcanine facendolo soffrire parecchio,
ma il Pokémon non si arrese e si slanciò in un violentissimo Extrarapido
che fece ruzzolare a terra
Omastar. A poco però servì la sua grinta quando un potente Idropulsar lo scaraventò dall’altra parte del campo mandandolo a
terra. Ultimo Pokémon per Crystal: Meganee, il suo Meganium. Omastar fu
vinto
all’istante da un micidiale Solarraggio
che sfruttò l’energia solare accumulata in tutta la giornata estiva.
Kitty
tornò in campo.
Yellow
era
in vantaggio di tipo, ma il suo Butterfree aveva già subito ingenti
danni.
‒
Chiudiamola qui, Chris, Ronzio!
Un
forte
suono simile al battito di un paio di ali si diffuse ovunque, raggiunse
le orecchie di Meganium danneggiandola.
‒
Radicalbero! ‒ Crystal aveva
reagito
d’istinto con la prima mossa che le era venuta in mente.
Tralci
e
radici della larghezza di un braccio umano cominciarono a fuoriuscire
dal
terreno, alcuni afferrarono Butterfree e altri la puntarono come armi
letali
pronte a far fuoco. Il rumore cessò. Sembrava che Kitty fosse prossima
ad
uscirne sconfitta quando un coloratissimo Segnoraggio
colpì Meganee in pieno petto. Ma non c’era niente da fare, il dislivello
era
troppo perché fosse colmato, con un letale Foglielama
Kitty andò finalmente al tappeto, Crystal era la vincitrice
dell’incontro.
Yellow non osò guardare in direzione di Red, ma apparentemente prese la
cosa
con un sorriso e una risata. Red pure, d’altra parte.
Sapphire
notò
la somiglianza delle reazioni e non poté fare a meno di sorridere anche
lei.
Ci
furono
un altro paio di incontri, tra cui il quinto di Crystal, prima della
fine del torneo che giunse con precisione svizzera ad esattamente sette
ore
dall’inizio: alle ventidue e diciassette. I vincitori del primo girone
erano
otto, tra di loro c’era la Catcher
di
Johto, e tutti avevano vinto ben cinque incontri. Ai vincitori fu
consegnata
una targa commemorativa, i loro nomi e le loro facce rimasero proiettate
sui
maxi schermi per tutto il tempo della chiusura.
Lo
stadio
cominciò a svuotarsi, le ultime parole strappate ai pezzi grossi dai giornalisti erano quelle più sostanziose ma anche
più assonnate. Alla fine verso le undici meno un quarto tutti i
Dexholder erano
di nuovo in hotel. Crystal e Yellow sembravano due stracci, dalla
stanchezza.
Qualcuno aveva provato ad essere delicato con Yellow, ma appena lei lo
notava
cercava di far capire come prendesse sul ridere la sconfitta e fosse
felice per
la sua amica che invece era passata al girone successivo.
Scese
la
notte fonda. Tutti loro si trovavano sulla terrazza dell’ultimo piano,
Yellow si era addormentata sulla spalla di Red, tutti gli altri si
godevano la
piacevole brezza serale. Nessuno parlava, si udiva solo in lontananza il
caos
delle strade sottostanti miniaturizzato rispetto alla loro situazione si
serenità. Avevano pure chiesto di spegnere le luci del balcone e del
corridoio
per potersi godere il cielo talmente stellato da non sembrare una
distesa nera
puntellata di bianco ma un tavolo bianco un po’ sporcato di nero.
‒
Dite che domani sarà più interessante? ‒ domandò ad un certo punto un
assonnatissimo Gold.
‒
Ci sottovaluti ‒ mormorò di risposta Green.
Andarono
a
dormire di lì a poco. Il giorno seguente si sarebbero affrontati i
vincitori
del primo girone, i Capipalestra, gli Assi del Parco e pure gli
Allenatori un
po’ più esperti che avevano vinto già un buon numero di medaglie.
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Capitolo 5 *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 2 ***
Capitolo
2: Ludi
circenses pt. 2
Sapphire
si
trovò di nuovo, alla stessa ora del giorno prima, infilata dentro quella
tribuna-terrazza assieme agli altri pezzi
grossi. La voce del presentatore tornò a propagarsi per tutto lo
stadio
sovrastando le ovazioni del pubblico. L’introduzione fu più breve di
quella del
giorno precedente, bisognava soltanto puntualizzare che quel giorno ai
vincitori del girone precedente si sarebbero aggiunti i Capipalestra
provenienti da tutte le regioni fuorché Holon, gli Assi dei Parchi Lotta
di
tutto il mondo e gli Allenatori con un numero di medaglie compreso tra
nove e
ventiquattro. La maggior parte dei Dexholder che non aveva ancora un
impiego
stabile, si era dilettato a sfidare le palestre in giro per il mondo:
Sapphire
ne aveva conquistato un numero spropositato; Gold e Blue sarebbero
entrati al
girone seguente dal momento che avevano superato la quota di
ventiquattro,
solamente Silver; che aveva sfidato Capipalestra a tempo perso, avrebbe
lottato
quel giorno. E ovviamente anche Green, in qualità di Capopalestra di
Smeraldopoli.
Avendo
già
augurato buona fortuna ai due amici, Sapphire si mise a scrutare il
tabellone appena proiettato sul muro. Si rese conto di conoscere quasi
tutti
quei nomi, settantadue di quelle persone lei le aveva già affrontate.
Poi
c’erano gli otto vincitori del giorno prima, i boss dei parchi lotta e
infine
una trentina di Allenatori per lo più ignoti alla gran parte ma che
evidentemente negli anni si erano impegnati abbastanza da conquistare
tutte
quelle medaglie. Il numero era drasticamente più basso rispetto a quello
degli
sfidanti sconosciuti del primo turno poiché pochi erano quegli stoici
che
abbandonavano la propria regione per andare a lottare in palestra anche
nelle
altre, se lo facevi eri o un rampollo di una qualche famiglia importante
o un
Dexholder.
Gli
incontri
cominciarono.
Il
pubblico
era estasiato: il livello si era rialzato parecchio rispetto al giorno
prima, le lotte erano spettacolari e devastanti e almeno questa volta i
commentatori, ossia gli Allenatori di Rango S, avevano osservazioni
interessanti da fare sulle tattiche o sulle trovate geniali di certi
lottatori.
Tra tutti si distinsero particolarmente Corrado, il Capopalestra più
forte si
Sinnoh, Sandra, la sorella di Lance e Adriano, che era stato Campione di
Hoenn.
Ovviamente anche Green fece il suo figurone. Crystal resistette per due
turni
prima di finire contro Alfredo e cedergli il turno. Lei accettò la
sconfitta
con una risata di rammarico, ma il pubblico le comunicò il suo sostegno
con uno
dei boati più forti che avesse mai emesso durante tutto l’evento. Aveva
realizzato comunque un risultato migliore di tutti quelli che avevano
passato
il girone assieme a lei e che avevano perso alla prima lotta. E anche di
tutti
i trenta Allenatori entrati con in mano più di otto medaglie che morsero
un
duro boccone di realtà comprendendo che i Capipalestra non utilizzano
tutto il
loro potere nelle lotte contro gli sfidanti, poiché devono soltanto
testare che
le loro abilità abbiano raggiunto un certo livello. Rimase di loro
solamente
Silver che si giostrava in mezzo a quelle bestie fameliche con il suo
marmoreo
broncio di serietà.
Sapphire
notò
che Ruby era interessato ad uno in particolare dei suoi Capipalestra:
Lino. Il ragazzo che era stato allievo di Norman aveva preso il suo
posto come
leader di Petalipoli non appena Ruby era riuscito a divenire Campione
sconfiggendo Rocco. Era incredibile, sembrava che le qualità di Norman
si
fossero come impiantate in lui ma anche che quest’ultimo avesse quasi
paura di
utilizzarle. Fece finta di ignorare o rispondeva solo con un leggero
cenno di
assenso alle occhiate che Lino gli lanciava attraverso il vetro dopo
ogni
vittoria.
‒
Papà non è mai stato particolarmente estroverso, ma si capiva che avesse
visto
la grandezza in lui ‒ lo sentì dire a Red.
Notò
anche
che era la prima volta dopo tanto tempo che vedeva i due
Campioni-Dexholder rivolgersi la parola. Le sembrava strano, ma non le
dava più
di tanto fastidio. Notò l’espressione di Red, troppo concentrata sulle
lotte
per dimostrare ben che minima attenzione a Ruby. E come poteva
biasimarlo, ciò
che avveniva sotto i loro nasi era uno dei più grandi spettacoli che mai
si
fosse visto. E sicuramente pure il pubblico lo aveva notato, già
dall’inizio
della giornata tra la folla spiccavano striscioni e bandiere di sostegno
alla
regione intera o ad un singolo Capopalestra.
In
quel
momento Sapphire lo notò: ogni combattente era vestito in maniera casual
o
caratteristica del personaggio che si era costruito, ma indossava una
fascia
attorno al braccio o al collo o a dove gli paresse più gradevole che
raffigurava lo stemma della sua regione. Tutte uguali, solo utilizzate
in
maniera diversa, di sicuro consegnate dall’organizzazione. La ragazza si
rese
conto all’improvviso di sentire un forte legame nei confronti di
Adriano, Alice
e Lino, gli unici Capipalestra di Hoenn rimasti in gara. Era forse
appartenenza?
Certo,
viaggiava
fuori Hoenn da parecchio, ma era la sua casa, la sua terra natia. Aveva
esplorato la regione in lungo e in largo dai suoi dodici ai suoi sedici
anni in
compagnia di Ruby, prima degli eventi legati al meteorite che senza il
loro
intervento avrebbe distrutto il pianeta. Ne conosceva ogni piega e ogni
anfratto. Ad Hoenn aveva pianto, ad Hoenn aveva gioito. Da Hoenn era
cominciata
la sua storia come Conqueror. Ad
Hoenn
aveva anche conosciuto i suoi migliori amici, in quella fantastica e
pericolosissima giornata al Parco Lotta.
Hoenn
era
una regione meravigliosa, la perfetta unione di terra e mare, e Sapphire
si
sentiva parte costituente di essa. All’improvviso desiderò di avere una
fascia
come quella, pensò che forse le sarebbe stata consegnata prima di
iniziare a
lottare.
‒
Forza ‒ mormorò quasi spontaneamente, appiccicata al vetro e
concentratissima
sullo scontro che stava svolgendosi in quel momento: Camelia da
Sciroccopoli
contro Adriano da Ceneride. Entrambi i loro Pokémon erano un manifesto
di
grazia e bellezza, ma Adriano la surclassò spaventosamente nonostante lo
svantaggio di tipi. La ragazza esultò e non poté non far vagare lo
sguardo
nella stanza desiderosa di incontrare la figura di Ruby in cerca di una
sua
reazione di qualche tipo. Lo trovò davanti all’obbiettivo della
telecamera
degli inviati della tv.
‒
Adriano è un Allenatore validissimo, e anche un maestro delle Gare
Pokémon, ha
tutto il mio sostegno di ex allievo in questo torneo anche perché spero
di
poterlo affrontare dopodomani nel mio girone… ‒ stava dicendo il
ragazzo. Era
più serio che mai, sembrava fiducioso nel suo vecchio maestro.
Sapphire
ripensò
del mantello che gravava sulle spalle del Campione di Hoenn. Quel
mantello era appartenuto per lungo tempo a Rocco, per poi passare ad
Adriano,
tornare al suo vecchio possessore e alla fine migrare fino a Ruby.
Rocco,
ricordò, aveva rifiutato di essere declassato a Superquattro e si era
ritirato
in Allenamento alle Cascate Meteora come la volta precedente. Ma dopo
quello
non aveva mai riprovato ad accaparrarsi il trono una terza volta, era
invece
volato fino a Holon dove aveva preso un appartamento per fare richiesta
di
essere assunto come Capopalestra. E lo era diventato: Rocco Petri,
Capopalestra
di tipo Acciaio nella città
di
Altelia e proprietario della Devon Spa dopo la morte del padre. Nessuno
di
Capipalestra di Holon però aveva partecipato a quel torneo, così come i
Superquattro e il Campione della regione.
Erano
ormai
arrivati al terzo turno, il penultimo, rimanevano sedici partecipanti
tra
i quali figuravano ovviamente Green e Silver.
“Per
il
primo incontro che decreterà uno dei vincitori del girone B…” tuonò ad
un
certo punto il presentatore. “Green, Capopalestra di Smeraldopoli contro
Palmer,
Boss Torre del Parco Lotta di Sinnoh e Johto!”
Il
Dexholder
uscì dal corridoio degli Allenatori stirando i muscoli, con gli occhi
fissi sul terreno di combattimento e la fascia con il sigillo della
regione di
Kanto stretta al braccio appena sotto la spalla. Batté due colpi con la
mano su
di essa per poi alzarla con due dita su in simbolo di vittoria verso la
tribuna
che alzava più striscioni col nome della regione scritto sopra,
un’ovazione
interminabile si levò da quei quartieri. Il biondo Palmer gli comparve
di
fronte, gli sorrise e pure lui si mise al suo posto all’altro estremo
del
campo, con la doppia fascia di Sinnoh e Johto a mo’ di sciarpa.
Fu
dato
il permesso di iniziare, un Milotic venne fuori per la fazione di Baldo
e
un Porygon-Z per quella di Green.
‒
Falcecannone! ‒ fu il primo
ordine di
Green.
‒
Dragopulsar! ‒ quello di
Palmer.
Fuochi
d’artificio,
le due mosse si scontrarono senza però raggiungere l’avversario.
Ci fu un secondo rapido scambio di attacchi andato a vuoto tra i due
finché
Green non riuscì a precedere l’avversario con un attacco Tripletta.
Milotic
non
subì troppi danni, ma rimase paralizzato. Palmer non si lasciò
intimidire,
con uno sforzo immane impresso sulla sua Idropompa
il Pokémon Tenerezza riuscì centrare il nemico.
‒
Scarica! ‒ intervenne però
Green.
E
il primo Pokémon nemico sembrava dover cedere.
‒
Surf! ‒ esclamò Palmer.
La
risposta
di Green fu rapida, con Conversione2
Porygon ne uscì quasi illeso trasformandosi in un tipo Erba.
‒
Solarraggio! ‒ aggiunse
prontamente
il Capopalestra.
Vittoria
assoluta.
Milotic cadde al tappeto con dignità dopo aver resistito a ben tre
potenti mosse avversarie. Palmer fece una smorfia e lo scambiò con
Dragonite.
Green imitò il cambiò, mandando in campo Charizard.
Tra
i
due rettili cominciò uno scontro ad alta quota composto per lo più da
artigliate feroci e violente codate. Gli Allenatori si limitavano a dare
alcune
sporadiche indicazioni ogni tanto, ma nel frattempo nessuno dei due
aveva
ancora utilizzato una mossa speciale.
La
zuffa
proseguì per un po’ finché Green non colse un attimo particolare in cui
Dragonite stava prendendo la carica contro il nemico con le ali nella
loro
massima apertura e ‒ Ondacalda! ‒
ordinò
a Charizard.
Il
forte
vento torrido non inflisse danni ingenti all’avversario ma gli fece
perdere l’equilibrio, cosa che permise al Capopalestra di sferrare un
secondo
colpo: Dragopulsar.
‒
Pietrataglio! ‒
Palmer era su tutte le furie.
Charizard
fu
colpito in pieno dalle aguzze rocce lanciate dal Pokémon Drago, ma non
cedette.
‒
Oltraggio! ‒ continuò quindi
il Boss
Torre.
Dragonite
si
scagliò contro l’avversario già tentennante raccogliendo ogni sua
singola
energia. Charizard rovinò sul terreno, ma non ebbe tempo di riprendere
fiato,
un secondo crudele affondo di Dragonite gli strappò un ruggito di
dolore.
Charizard era a terra, Dragonite stava tornando ad alta quota.
‒
Muro Di Fumo! ‒ fu l’ordine
di Green.
In
un
istante, una cortina di caligine nera e densissima coprì tutta l’area
del
combattimento. Dragonite, implacabile, tornò giù a gran velocità per
l’ultimo
affondo prima della confusione. Ma nessuno udì tonfi o ruggiti. In poco
tempo,
il fumo si diradò. La scena che tutto il pubblico si ritrovò a fissare
in presa
all’ansia strappò ad ognuno dei presenti un grido di esultanza data la
sua epicità.
Charizard era sparito, al suo posto era comparso uno Scizor
dall’armatura
scintillante che stringeva Dragonite per il collo con una delle sue
chele
micidiali. La mossa usata era Ghigliottina.
Lo suggerivano gli occhi di Dragonite che avevano perso la loro
tetra luce
di furore e si erano invece svuotati di tutta l’energia. Dragonite era
KO.
Il
Boss
Torre trasse un lungo sospiro e sembrava dover imprecare da un momento
all’altro. Ma si calmò. Tutti i suoi commenti furono riassunti da un
sorriso di
sfida rivolto al suo avversario. Cresselia sostituì Dragonite negli
avamposti
del suo esercito. Green era più carico che mai. Venne in campo avvolta
in
nastri di energia luminosa più splendida che mai.
‒
Forbice X!
‒ Psicotaglio!
Green
era
in vantaggio tecnico, con un Pokémon Coleottero-Acciaio, ma Cresselia
era
pur sempre un Pokémon leggendario. E con una certa predilezione per la
difesa,
anche.
Lo
scontro
si svolse lentamente, Scizor non riusciva ad evitare il grosso delle
mosse avversarie, finendo a terra spesso, ma rispondendo con violenza
incredibile attraverso gli ordini del suo Allenatore. Green era deciso a
vincere, ma Palmer sembrava particolarmente sicuro del proprio asso
nella
manica.
Quando
tutti
e due erano evidentemente affaticati, uno scontro tra un Metaltestata
e uno Psicoshock fece crollare il terzo Pokémon di Green. Non era stata
una mossa particolarmente potente, ma solo la goccia che fece traboccare
il
vaso, la fatica si sentiva da entrambi i lati. Il Capopalestra di
Smeraldopoli
era deluso, avrebbe voluto concludere la partita senza ricorrere di
nuovo a
Porygon-Z. Lo mandò di nuovo in campo.
‒
Raggiaurora! ‒ esclamò Palmer
ricordando la conversione del Pokémon avversario al tipo Erba.
‒
Segnoraggio!
Le
due
emanazioni di energia si sfiorarono, andando a segno entrambe. E mentre
il
pubblico tratteneva il fiato per sapere se uno dei due Pokémon avrebbe
riaperto
gli occhi per primo decretando il vincitore, Green ebbe l’intuizione.
Porygon-Z
tornò
nella sfera, esausto e al suo posto si mostrò Charizard, distrutto ma
ancora cosciente. Dal lato opposto del campo, Cresselia non dava cenni
di vita.
“Il
vincitore
è Green, Capopalestra di Smeraldopoli!”
Caos
dalle
tribune.
‒
Sì! ‒ si lasciarono sfuggire assieme Sapphire e Red.
Green,
senza
perdere il suo piglio di serietà, si rivolse verso le terrazze di
partecipanti e guardò Furio, suo ex maestro, uscito al turno precedente.
Fece
un cenno col capo, quello rispose annuendo fiero. Palmer strinse la mano
al suo
avversario e accettò la sconfitta di buon grado, per i suoi standard
almeno.
Gli
scontri
che si tennero subito dopo non furono meno emozionanti: Corrado da
Arenipoli vinse Cyprian da Grecalopoli, Adriano da Ceneride sconfisse
Blaine
dall’Isola Cannella. Alfredo da Mogania batté la sua vicina Sandra da
Ebanopoli. Cassandra da Idresia, Capitale di Sidera, abbatté Edel da
Fractalopoli e infine Aristide da Boreduopoli mandò a casa Alice da
Forestopoli. Fu uno spettacolo assistere allo scontro tra Baldo, Re
Piramide di
Hoenn, e Lt. Surge in cui il primo vinse in maniera esagerata grazie
alla sua
squadra composta dai tre Regi. Per l’ottavo e ultimo posto di vincitore,
si
sarebbero affrontati il Dexholder Silver e Lino, successore di Ruby e
Norman.
Lo
scontro
fu intenso, ma quando rimasero soltanto il Cacturne del Capopalestra
contro il Kingdra di Silver Ruby si strinse sempre più le braccia al
petto come
per sostenere con le sue forze la squadra di Lino. Sapphire non riusciva
a
comprenderlo, ogni volta avere a che fare con Ruby era per lei
un’esperienza
parallela alla realtà.
Quel
ragazzo
i cui modi eleganti e un po’ vanesi erano diventati il marchio di
fabbrica del suo personaggio, in certi momenti sembrava fare a cambio
come in
una staffetta col Ruby serio e determinato di qualche anno prima.
Qualche anno
prima. Quando ancora lui non era sulla copertina di tutte le riviste,
sulle
varie pagine di gossip, sulle pubblicità delle acque di colonia.
Lino
tentò
in tutti i modi di sconfiggere il fulvo dagli occhi d’argento, ma la
squadra di quest’ultimo ebbe la meglio. Kingdra ne uscì affaticato ma
vincitore. Ruby si precipitò fuori dalla terrazza.
Sapphire,
che
lo fissava con sospetto dall’inizio dell’incontro quasi perdendosi
l’intera
lotta, lo seguì. Era la prima volta che Ruby abbandonava la terrazza
dei pezzi grossi.
Si
trovava
su una rampa di scale a metà strada tra il terzo e il secondo piano
quando udì sotto di lei la voce di Lino che, spezzata da singhiozzi
asciutti,
balbettava qualcosa.
‒
M-mi dispiace, io… non… s-scusa…
‒
Calma ‒ tuonò Ruby deciso.
Lino
si
zittì, sembrava aver smesso di respirare.
‒
È tutto ok, posso risolvere la questione, non devi preoccuparti, ok?
Guardami.
‒
Ruby, ti prego, non permettere che…
‒
No. Andrà tutto bene.
Sapphire,
sempre
più confusa, udì i passi di Ruby che risalivano le scale. Allungò una
mano
alla sua destra e ringraziò qualsiasi divinità le venne in mente quando,
premendo il bottone dell’ascensore, si rese conto che quest’ultimo fosse
già al
suo piano. Vi entrò e premette il tasto con l’uno sopra. Scomparve prima
che
Ruby potesse accorgersi di lei.
Quella
sera
in hotel si svolse in maniera del tutto differente da quella prima. La
giornata era stata molto più movimentata di quella precedente, Crystal
aveva
subito una sconfitta gloriosa che era stata persino ricordata dai
commentatori
del post gara come uno degli scontri più emozionanti del girone, Green e
Silver
erano riusciti ad arrivare tra gli otto vincitori e a passare al girone
successivo. C’era allegria nell’aria. Tutti si concessero un brindisi
entusiasta anche se assonnato. Gold non mancò di elogiare la bravura di
Silver
nelle lotte per poi passare velocemente alla sua influenza sulle giovani
fan
perse di lui. Andarono a dormire tutti soddisfatti, con l’entusiasmo
ancora
nelle vene.
Una
terza
giornata di fila nella terrazza
dei
pezzi grossi per Sapphire. Quel giorno, oltre agli otto vincitori
del giorno
prima avrebbero combattuto i Superquattro di tutte le regioni, i
conquistatori
di almeno un Parco Lotta e gli Allenatori con un numero di medaglie
compreso
tra venticinque e quarantotto. Quindi, del suo gruppo di Dexholder,
Green,
Silver, Emerald, Gold e Blue. Scendendo a dare una pacca di
incoraggiamento a
tutti, la ragazza si rese conto che i vincitori salivano al piano
successivo
dopo aver passato il girone. Trovò la terrazza dei rango A molto più
libera di
quella del piano di sotto, seppe in seguito che essendo di trentasei il
totale
dei Superquattro e di otto il numero dei rango B promossi, con
l’aggiunta degli
Allenatori esterni che avevano conquistato quel posto grazie a medaglie
o
vittorie dei parchi, il numero arrivava appena a sessantaquattro. Quindi
si
sarebbero svolti tre turni prima di decretare gli otto selezionati che
sarebbero andati avanti.
Ricominciò
tutto
esattamente come il giorno prima, ma più caotico, più rumoroso, più
intenso. Tutti coloro che erano arrivati a quel punto godevano di una
discreta
fama. Persino gli Allenatori non dell’Associazione Pokémon che al turno
precedente Sapphire aveva etichettato come sconosciuti, erano parecchio
famosi
invece stavolta. Forse di più quelli che avevano vinto ai Parchi Lotta.
Si rese
pure conto, la ragazza, che l’età media si era rialzata parecchio e
c’erano
molti veterani dai capelli lievemente sbiancati in mezzo a quei
sessantaquattro
allenatori rango A. Poi l’occhio le cadde su una ragazza: era
giovanissima,
aveva i capelli scuri e gli occhi dal colore scintillante. Il suo volto
era
curato e dai tratti nobili.
Quella,
probabilmente
sentendosi osservata, si voltò verso di lei. Il suo sguardò si
riempì di luce più di quanto già non lo fosse già prima. Le venne
incontro.
‒
Tu devi essere Sapphire Birch ‒ fece quella. La sua voce era calma e
serafica,
con un accento distinto.
‒
Ehm… sì ‒ rispose lei.
‒
Il mio nome è Platinum Berlitz ‒ si presentò. ‒ e sono una dei Dexholder
di
Sinnoh.
Sapphire
non
poté trattenere un’espressione di gioia geneticamente modificata. Era
felice di sapere che ci fossero altri Dexholder ma aveva sempre creduto
che il
suo gruppo di amici detenesse fieramente quel titolo.
‒
Piacere, ecco ‒ ebbe l’illuminazione ‒ ho sentito parlare di te, hai
conquistato il Parco Lotta di Sinnoh l’anno precedente.
Quella
annuì.
‒
Sì, ti conosco, vieni, ti presento ai miei altri colleghi ‒ E la accompagnò da coloro che aveva appena salutato.
Il
volto
di Platinum si riempì di una sorta di controllato stupore quando questa
incontrò tutti quei Dexholder insieme. A livello fisiognomico dimostrò
di
conoscerli tutti. Ma i cinque ebbero purtroppo poco tempo per parlare,
il
presentatore cominciò con la solita introduzione del girone della
giornata,
Sapphire dovette risalire in fretta e gli altri furono costretti a
prepararsi.
‒
Buona fortuna, Platinum! ‒ esclamò la ragazza di Hoenn vedendola andare
via.
Era
una
ragazza impressionante, con un portamento elegante ed era stata
abbastanza
brava da entrare nello stesso girone di gente come Emerald o Blue
nonostante
avesse solo tredici anni. Sapphire pensò più a lei che ai suoi amici
tornando
di sopra.
‒
Ho incontrato una Dexholder di Sinnoh, si chiama Platinum ‒ disse a Red
trovandolo davanti alla vetrata.
‒
La conosco di fama ‒ annuì. ‒ Hai presente Palmer, quello contro cui
Green ha
rischiato quasi di perdere?
Sapphire
annuì.
‒
Lei lo ha battuto alla Torre Lotta, dopo quarantanove lotte consecutive.
Sapphire
ebbe
un sussulto di stupore.
Fu
mostrato
il tabellone degli incontri, proprio per primo venne chiamato Emerald
a scontrarsi con Mirton, dei Superquattro di Unima. Il biondo vinse
quasi senza
alcun problema. Passarono il primo turno pure Gold, che batté Malva da
Kalos,
Silver che ebbe la meglio su Frida da Hoenn, Blue e Green che
sconfissero
rispettivamente Cassandra e Karen. Anche Platinum riuscì a vincere
contro
Aristide e andò avanti. Al secondo turno, con rammarico di tutti i loro
amici,
dovettero affrontarsi Silver e Blue. Ogni singolo Dexholder di Kanto,
Johto o
Hoenn conosceva l’affetto che legava i due, ovviamente secondo tutti non
ci
sarebbe potuta essere eventualità peggiore. Tuttavia, si erano già tutti
preparati ala possibile sfida contro un proprio amico, quindi sia Blue
che
Silver inghiottirono l’amaro boccone e scesero in campo. Lo scontro vide
Feraligatr, Rhyperior e Honchkrow contro Clefable, Nidoqueen e Blastoise
e
sprigionò un’energia incredibile. Sotto gli occhi attoniti di tutti i
loro
compagni, Silver e Blue furono più che violenti e spietati.
Silver
ne
uscì vincitore per poco, con ancora il suo Honchkrow ancora in piedi.
Blue,
digerita immediatamente la sconfitta, si diresse verso l’amico al centro
del
campo e lo abbracciò.
‒
Sei stato bravo, Silver ‒ gli sussurrò all’orecchio.
Ovviamente
le
telecamere notarono il sottile movimento delle sue labbra e nelle ore
seguenti i più disparati opinionisti della televisione provarono ad
identificare le parole della ragazza che aveva concesso un simile gesto
di
tenerezza a colui che l’aveva sconfitto. Blue si riprese in parte
scoppiando a
ridere a crepapelle leggendo le varie teorie che circolavano sul web.
Negli
incontri
successivi si portarono al terzo turno con una vittoria pure Emerald,
Gold, Green e Platinum. Erano rimasti solo in sedici. Quando un paio di
scontri
alzarono l’entusiasmo della gente ancora di più, per quanto possibile:
Vulcano
e Corrado, amici da sempre, si affrontarono e fu proprio il Capopalestra
ad
uscirne vincitore. Nardo non si trattenne dallo scherzare dicendo “potrebbero
anche scambiarsi i ruoli” non
rendendosi conto di essere stato più che equivoco, data percepibile
differenza
di stipendio tra i due. Quindi Luciano abbatté Bruno per vantaggio di tipo, come suggerì qualcuno. Tuttavia dopo poco
Koga riuscì a vincere Catlina, sfatando tale voce. Green vinse il
Superquattro
di Sidera, Algol e Silver sconfisse quello di Kalos, Narciso. Gli altri
vincitori del girone furono Drake, Superquattro di Hoenn, Baldo, Re
Piramide
che non intendeva arrendersi e infine Adriano, che sconfisse Platinum.
Dopo che
l’ultimo suo Pokémon cadde a terra, ella rimase per qualche istante
ferma sul
posto. Sembrava scossa internamente dal desiderio di piangere senza però
mostrare alcun sentimento al di fuori. Adriano le corse incontro con
volto
serio. Le prese la mano e, inginocchiandosi la baciò dolcemente.
‒
È stato un onore, signorina, la
vostra
fama non mente ‒ le sussurrò.
Erano
pochi
a chiamarla così, a conoscerla per ciò che aveva fatto davvero e darle
del voi. Platinum comprese subito che qualcuno aveva parlato ad Adriano
delle
sue avventure e rimase piacevolmente sorpresa. Se ne andò con un sorriso
serafico stampato in volto. Ovviamente anche quella del baciamano fu una
delle
scene che fecero parlare di più i commentatori sia durante che dopo
l’evento.
Sapphire si rese conto che nei momenti vuoti, per quanti pochi fossero,
venivano mandati sui maxi schermi i replay delle scene più avvincenti e
commoventi del torneo. Se ne rese conto solo in quel momento perché
l’abbraccio
di Silver e Blue e il baciamano di Adriano e Platinum fu sparato con la
frequenza di uno spot pubblicitario su una tv satellitare.
“Siamo
qui
per l’ultimo incontro di oggi che ci darà l’ottavo, l’ultimo vincitore
del
girone A…”
Sapphire
si
rese conto che mancava effettivamente ancora una lotta. Cercò lo sguardo
di
Red e, incrociandolo, comprese che pure lui se ne era completamente
dimenticato. Gold contro Emerald. Era incredibile quanto fosse facile
distrarsi
dal tenere d’occhio il resto del tabellone in mezzo al tifo per i propri
corregionali, il sostegno per gli amici, gli scossoni emotivi di certe
scene
particolarmente emozionanti e il caos generale dell’evento.
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Capitolo 6 *** Capitolo 2 - Ludi Circenses pt. 3 ***
Capitolo
2: Ludi
circenses pt. 3
Scesero
in
campo il biondo di Hoenn e il moro di Johto. Si fissarono a lungo.
‒
Quando voglio so essere delicato… ‒ gli disse ironico Gold.
‒
Tieniti la delicatezza per le tue amichette, ora si gioca duro ‒ ribatté
Emerald.
‒
Abbiamo passato i lati della mappa?
‒
Proprio così, qui ci sono i mostri ‒ rispose Emerald cogliendo il
riferimento.
Dusknoir
contro
Ambipom, fu il primo testa a testa. I due sfidanti si guardarono prima
di poter chiamare una singola mossa e, come fosse tutta una commedia,
ritirarono il proprio Pokémon all’istante in perfetta sincronia. Normale-Spettro,
due tipi che non
possono praticamente toccarsi.
Togekiss
contro
Sudowoodo, e stavolta lo scontro partì in quarta.
‒
Togebo, Forzasfera!
‒
Sudowoodo, Frana!
Partì
un
incontro che lasciò entrambi i Pokémon senza forze, finché la vena
bastarda
di Gold non venne fuori davvero.
‒
Togebo, Ondashock, mancalo!
Emerald,
calcolatore
perfetto nelle lotte Pokémon, fu ingannato dalla succulenta mossa
di tipo Elettro che gli era
stata
appena servita, di riflesso usò Mimica
senza neanche pensarci. Poi si rese conto che il comando di Gold non
poteva
intendere davvero quello che sembrava.
Togekiss,
infatti,
anziché Ondashock utilizzò Cediregalo. Cedendo
all’avversario un
bel niente, che era quello che aveva addosso. Sudowoodo, invece,
copiando la
mossa ed eseguendola nell’immediato, consegnò molto generosamente la sua
Baccacedro al Pokémon di Gold. Togekiss ne fu parecchio felice, recuperò
un bel
po’ di salute e stese il nemico con una Forzasfera
rinvigorita sotto la mascella caduta a terra di Emerald e di tutto
il resto
dello stadio.
‒
Tattica, bro’ ‒ mormorò Gold riempiendo l’unico momento di silenzio a
cui tutto
il torneo avesse mai assistito.
‒
Quanto sei…
Emerald
non
concluse la frase e mandò in campo Dusknoir. Il Pokémon Pinza fu colpito
da
un Eterelama ma evitò di
smuoversi
dalla sua posizione. Mise invece KO l’avversario con un paio di
ignorantissimi Tuonopugno.
Gold
non
si abbatté minimamente e fece scendere in campo Explo, il suo
Typhlosion.
Con un potente Lanciafiamme
riuscì a
causare danni notevoli all’avversario.
‒
Furtivombra! ‒ ordinò Emerald
confidando nella rapidità della mossa.
‒
Ruotafuoco sul posto! ‒ e il
Pokémon
Eruzione di Gold riuscì a scamparla rendendo incandescente l’aria che lo
circondava.
Ad
Emerald
venne l’idea.
‒
Ancora Furtivombra poi Gelopugno
e Tuonopugno!
Ciecamente
fiducioso
nel suo Allenatore, Dusknoir comparve una seconda volta alle spalle
di un infuocato Explo. Sferrò a mo’ di tenaglia i due pugni
sull’avversario
che, assieme alle fiamme generate dal nemico formarono una fattispecie
di
attacco Tripletta fatto in
casa. Caso
volle che Typhlosion rimanesse paralizzato da quella strana reazione che
amplificò la possibilità dei pugni di Dusknoir di indurre effetti
speciali.
‒
Sciagura!
Typhlosion
sembrò
avvertire un dolore fortissimo lungo la spina dorsale e si contorse in
pose terrificanti, la mossa raddoppiava di potenza se l’avversario
soffriva di
condizioni collaterali.
‒
Explo, Incendio! ‒ l’ultima
carta di
Gold.
‒
Protezione! ‒ mossa banale ma
efficace. Il soldato di Emerald non cedeva il passo e approfittò del
momento
che il nemico si concesse per recuperare stendendolo definitivamente con
un
potente Pugnodombra.
Gold
si
morse le labbra, il suo team leader era KO. Togekiss tornò in grande
stile
tentando un Extrasenso che
mandò
quasi al tappeto l’avversario.
‒
Aeroattacco!
‒ Gelopugno!
Il
Pokémon
alato si diresse con tutta l’energia che in quel momento il suo corpo
era
capace di sprigionare in picchiata verso Dusnkoir. Dal canto suo, il
fantasma
prese il tempo per intercettarlo con le sue forti braccia. Lo scontro
risuonò
forte in tutta l’arena. Togekiss aveva colpito Dusnkoir che però, tenace
fino
all’ultimo, era riuscito pure a martellarlo con il suo pugno criogenico.
Tutti
e due andarono al tappeto. KO doppio.
Emerald
e
Gold trassero un sospiro in sincrono. Erano tanto simili quanto diversi,
quei
due. Da quando si erano conosciuti erano riusciti a litigare e ad andare
d’accordo praticamente ogni giorno. Certo era che Emerald fosse uno dei
pochi
che veramente si divertiva con Gold e anche che Gold fosse uno dei pochi
che lo
avevano trattato davvero come un amico senza il bisogno di grandi
dimostrazioni
melodrammatiche di quanto fosse importante il rapporto tra due persone.
Si
guardarono colmi di sfida. Agonismo e competizione ardevano nei loro
occhi.
‒
Aibo!
‒
Sceptile!
Il
Pokémon
di Gold affondò con un immediato Doppiosmash
che fu evitato prontamente da quello di Emerald. La lucertola rispose
con un
micidiale Foglielama che rasò
il pelo
del primate.
‒
Comete, distrailo! ‒ esclamò
Gold.
Il
ragazzo
ben conosceva l’abilità di Emerald di reagire quasi a comando o di
prevedere le mosse avversarie. Quindi fece ciò di cui lui solo era
capace: fece
fallire una mossa infallibile. Le comete si abbatterono sul terreno.
Colpì
quindi alle spalle con Sgomento
e
sfruttò il momento in cui Sceptile tentennò per affondare un violento Stordipugno. Il telecronista
che ormai
aveva rinunciato da tempo a descrivere le contorte strategie campate per
aria
del ragazzo dagli occhi d’oro, non era più ascoltato da nessuno. Persino
i
rango S avevano smesso di parlare, esterrefatti dal suo stile unico e
assurdo.
‒
Solarraggio!
Un
fascio
di luce concentratissima fu scagliato da Sceptile contro l’avversario.
Ambipom venne colto alla sprovvista. Cadde a terra. Ma non era finita.
Scattò
in
piedi appena in tempo per evitare un probabilmente fatale Energipalla.
Rimbalzo, fu la sua
risposta.
Sceptile
non
poté opporsi, Ambipom lo mise in ginocchio con un doppio colpo delle sue
code in caduta.
Entrambi
i
Pokémon ansimavano e si guardavano in attesa della prossima mossa.
‒
Che strategia hai ora, Emerald?
Emerald
fissò
Gold, quasi al tappeto proprio come lui. Aveva incontrato un degno
competitor, qualcuno che vincesse tutte le sue tattiche. Scosse la testa
affranto. Non aveva niente.
‒
Radicalbero ‒ mormorò
soltanto.
Gold
impiegò
un po’ per realizzare. Aibo era troppo stanco per schivare o
difendersi. Abbassò gli occhi. ‒ Comunque non mi piacciono i tuoi
capelli… ‒
gli fece.
Grosse
piante
evocate dal terreno cinsero il suo Pokémon mandandolo a terra esausto in
un batter d’occhio. Gold aveva appena perso.
Il
silenzio
più greve cadde nell’arena. Gold aveva zittito per due volte
duecentomila
persone in meno di pochi minuti. Gli spettatori non gridarono subito,
anzi, non
gridarono affatto. Partì invece un applauso che cominciò a scrosciare
sui due
lottatori come un copioso diluvio. Gold camminò incontro ad Emerald, i
due si
batterono il pugno e mettendosi a vicenda una mano sulla spalla,
salutarono
tutta l’ellissi di folla adorante che avevano attorno. A quel punto,
solo a
quel punto poté partire l’urlo. Non era un boato di sostegno nei
confronti del
vincitore né di pietà per lo sconfitto. Era vero e proprio caos. Per
Gold e per
Emerald allo stesso tempo.
‒
Avanti, Rald ‒ sussurrò Gold al suo amico. ‒ sforzati di piacergli.
Quella
sera,
tutti al mondo avevano già visto i replay delle scene che avevano
consacrato Gold come icona di quell’edizione del torneo. Il ragazzo se
ne
andava a testa alta e non solo, anche con due pugni alzati al cielo e
uno dei
più grandi sorrisi sloga-mascella che avesse mai fatto. Emerald, dal
canto suo,
non aveva perso smalto dopo aver battuto il nuovo beniamino di tutti.
Invece,
circolavano su tutti i tipi di social media la foto di loro due che,
stringendosi come due compagni d’armi, salutavano la folla. Persino
sotto forma
di meme.
Essendoci
state
meno lotte, erano riusciti a tornare in hotel per cena. Erano sulla
spiaggia offerta ai residenti d’élite dall’hotel, quella della festa del
primo
giorno, e ancora le vibrazioni erano fortissime.
‒
Questa sera ce lo meritiamo davvero! ‒ esclamò Emerald in preda alla
foga con
l’intera boccia di champagne in mano. Tutta la tavolata lo guardava.
‒
Non come gli ultimi tre giorni in cui abbiamo scroccato e basta… ‒
aggiunse
Gold sotto sotto.
‒
Non come gli ultimi tre giorni in cui abbiamo scroccato e basta ‒ ripeté
lui. ‒
a Blue e Gold che ci lasciano ma rimarranno sempre con noi…
La
pessima
scelta di parole portò le mani di tutti i maschietti presenti alle loro
parti basse.
‒
…a Green, Silver e pure a me, che domani prenderemo un sacco di botte! ‒
finì
la frase gridando a pieni polmoni.
Le
risate
di tutti e il cozzare di bicchieri, bottiglie e tutto ciò che venne in
mente ad ognuno si mischiarono in un casino generale che terminò un paio
di ore
dopo nel sonno più profondo in cui ogni singolo individuo era
sprofondato nel
proprio letto.
Furono
le
trombe, i clacson e le grida della folla a svegliarli il giorno dopo.
Sapphire, Emerald, Silver, Green e Red si presentarono nella terrazza
dei pezzi grossi dopo essersi
stretti in un abbraccio di incoraggiamento con il resto del gruppo.
All’interno
di quella stanza trovarono tutti i Campioni che Sapphire sentiva parlare
da tre
giorni più gli otto vincitori del girone precedente che, insieme a
Green,
Silver ed Emerald, erano Baldo, Corrado, Adriano, Drake e Koga. L’arena
sembrava tre volte più piena, non erano tribune quelle che le correvano
attorno
ma bolge dell’inferno. Gli striscioni avevano raggiunto i venti metri di
lunghezza e i cinque di altezza, i palloncini sembravano oscurare il
cielo e le
ragazze avevano cominciato a lanciare capi d’abbigliamento intimo. Era
quasi il
tramonto, essendo molti di meno gli incontri da disputare per quel
girone, si
era preferito spostare l’orario in un momento della giornata più fresco
e
piacevole.
Dopo
un
istante in cui tutti al mondo trattennero il respiro, fu estratto il
tabellone che contava la miseria di diciannove partecipanti al torneo
finale:
dieci Campioni, uno dei quali non più in carica, otto vincitori del
girone
precedente e Sapphire.
Emerald
era
finito contro Ruby, Green contro Camilla, Silver contro Iris, Red contro
Lance e Sapphire contro Adriano. I primi erano i due Dexholder di Hoenn,
che
senza rivolgersi la parola si avviarono lungo il corridoio che li
avrebbe
portati al Campo Lotta. Ruby, che non indossava cappelli da un anno
circa,
prese la fascia con il sigillo di Hoenn di colore diverso da tutte le
altre e
la legò attorno alla fronte. Aveva saputo che molte persone, vedendolo
diventare Campione con uno dei copricapo da lui cuciti, avevano pensato
all’inizio
che si trattasse di una fascia e che lui avesse i capelli tinti di
bianco.
Voleva giocare con i suoi fan.
Emerald
mise
piede sul campo e un boato scoppiò immediatamente, Ruby fece il suo
ingresso e fu lo stesso. I due si guardarono negli occhi per la prima
volta da
troppo tempo. Emerald non sapeva cosa provare nei confronti del suo...
ex
amico? Vecchio amico? Non sapeva neanche come chiamarlo.
“Benvenuti,
signore
e signori, al girone finale del Campionato Pokémon Internazionale, la
prima sfida…” cianciava il presentatore mentre nessuno dei due sfidanti
lo
ascoltava.
‒
Non ti lascio vincere, stavolta ‒ mormorò Ruby. Sorrideva, ma in modo
strano.
Non era un sorriso distaccato, ma neanche un ghigno crudele. Sembrava
sereno.
‒
Io non ti lascerò perdere, invece.
Ci
fu
uno sguardo reciproco. Uno sguardo di comprensione. Emerald sentiva che,
nonostante lui avesse abbandonato tutti i suoi amici e avesse preso le
sembianze di un’altra persona, nella sostanza poco o nulla era cambiato.
Forse.
I
Pokémon furono mandati in campo. Flygon, dal lato di Ruby, contro
Snorlax, dal
lato di Emerald. Quel Flygon era appartenuto a suo padre, che lo aveva
donato a
Lino, che lo aveva a sua volta restituito a lui.
‒
Dragartigli!
‒
Megapugno!
Il
dragone
fu estremamente veloce e graffiò il braccio di Snorlax all’altezza del
gomito, eludendo la randellata.
‒
Dragospiro!
Un
iridescente
soffio infuocato investì l’immobile Pokémon Sonno. I danni furono
minimi, in compenso però gli fu inflitta una scomoda paralisi. Ruby
voleva
evidentemente giocare sulla rapidità.
‒
Panciamburo! ‒ comandò
Emerald. Che
già volesse giocarsi il Pokémon?
Snorlax
cominciò
a battere con veemenza i pugni sul ventre. Emise un forte ruggito di
rabbia.
‒
Dragartigli!
Flygon
era
abbastanza vicino.
‒
Sdoppiatore!
Senza
muoversi,
Snorlax attutì l’impatto con Flygon con l’energia della sua mossa. Il
drago fu scaraventato indietro per diversi metri, ma ancora non cedette.
Emerald non nascose la sua parziale delusione, forse contava di mandarlo
al
tappeto con quella mossa, ma proseguì lo stesso con la sua tattica.
‒
Riposo e poi Russare! ‒ il
suo
guerriero aveva subito parecchi danni ed era pure paralizzato, ma il
sonno curò
tutti i suoi mali. E quando Flygon sembrava spacciato di fronte alla
mossa che
Snorlax poteva eseguire da addormentato, Ruby lo fece rientrare.
‒
Ruru, Mangiasogni! ‒ diede
l’ordine
al suo Pokémon prima ancora di mostrarlo all’avversario. Aveva previsto
la
tattica danno-ricarica.
Un’elegantissima
Gardevoir
fluttuò fuori dalla Poké Ball e precedette il nemico succhiando tutta
l’energia vitale che gli era rimasta con la sua infida mossa
succhia-energia.
Snorlax non si svegliò neanche, cadde a terra KO. Evidentemente i pochi
istanti
di dormita non gli erano bastati a recuperare tutti i suoi PS.
Emerald
ingoiò
il boccone.
‒
Dusknoir! Distortozona!
Tutt’a
un
tratto, Gardevoir cominciò a muoversi lentamente mentre Dusknoir divenne
estremamente rapido a dispetto della sua mole.
‒
Pugnodombra! ‒ fu un fulmine.
Un
potentissimo montante sferrato dallo spettro colpì la delicata Ruru.
‒
Psichico! ‒ mossa semplice ma
inarrestabile, una forte emicrania mandò in pappa il cervello di
Dusknoir.
‒
Palla Ombra!
‒
Esclusiva!
Zero
a
zero, dal corpo del fantasma non uscì alcuna emanazione di energia
negativa.
Si rese conto che non poteva competere con quella Gardevoir, nonostante
la
priorità delle proprie mosse.
‒
Destinobbligato! ‒ ordinò
Emerald.
Aveva
cambiato
tattica. Ma Ruby non volle dargli la soddisfazione.
‒
Cuorardore!
Ruru
si
spense in un istante, sacrificandosi a beneficio del prossimo Pokémon
del
suo Allenatore. Emerald si morse la lingua. Flygon tornò in campo più
carico di
prima e si scagliò in un violentissimo Dragofuria
verso il nemico. Distortozona era terminata, Flygon si era mosso più
rapidamente.
‒
Gelopugno!
Ruby
non
intervenne. Il cazzotto di Dusknoir gli aveva quasi abbattuto il Pokémon
dal momento che si trovava ancora nel raggio d’azione del nemico.
‒
Basta, Dragobolide! ‒ Ruby
pensò di
decretare la fine.
‒
Furtivombra e Legatutto!
Il
movimento
di Dusknoir fu simile a quello della mossa che aveva paralizzato
l’Explo di Gold. Lo spettro comparve subito alle spalle del nemico,
quindi lo
chiuse tra le sue braccia intrappolandolo. Le meteore evocate da Flygon
si
diressero per loro natura verso il bersaglio, la devastante pioggia
cadde
aprendo grossi crateri nel terreno. Colpiti entrambi, sia Flygon che
Dusknoir
cedettero.
Quando
il
polverone si diradò, dagli spalti si levò un grido atono.
I
serissimi sguardi di Emerald e Ruby si incrociarono ancora una volta e
gli
ultimi due Pokémon che scesero in campo furono Sceptile e Milotic.
‒
Mimi, Surf!
Mossa
praticamente
inutile. Affilato e simile allo scafo di una nave, il Pokémon
Foresta giunse in un solo salto al nemico e affondò nelle sue squame un
letale Fendifoglia che non
mandò al tappeto
Milotic solo grazie alla sua abilità Pelledura.
Sceptile
atterrò
dal suo lato del campo fradicio e con le zampe immerse in una
pozzanghera ampia quanto tutta l’arena ma soddisfatto per il colpo
sferrato.
‒
Ha perso… ‒ mormorò con rassegnazione Sapphire dalla terrazza. Lei si
ricordava
bene dello scontro tra i due Dexholder al Parco Lotta. Solo Red la
sentì, ma lì
per lì non comprese, pensava si riferisse a Ruby.
‒
Bora ‒ la voce del Campione
di Hoenn
fu un sussurro, ma il glaciale vento evocato dal suo Milotic cominciò a
sibilare forte, cupo e devastante.
Il
rettile
era coperto d’acqua. Emerald si trovò all’istante con uno Sceptile
completamente ibernato dal suo lato del campo. Il suo volto non lasciava
repliche.
Ruby
aveva
vinto.
Il
boato
del pubblico fece vibrare cielo e terra. Ruby aprì le braccia come per
spiccare il volo, Emerald cadde in ginocchio.
Pochi
minuti
dopo i due tornarono alla loro postazione. Un paio di Campioni si
complimentarono con Ruby, Diantha gli fece i complimenti per l’eleganza
dei
suoi Pokémon e Camilla elogiò quel Dragobolide.
Una cupola di Dexholder invece si strinse attorno ad Emerald che
cercò di
contrarre gli zigomi in un sorriso, ma senza riuscirci. Sapphire lanciò
un’occhiata allo sguardo distaccato di Ruby che non aveva neanche
rivolto gli
occhi verso i suoi ex compagni.
Ruby
vide
Zachary Recket, Campione di Adamanta, comparire accanto a lui.
‒
Il ragazzo che hai battuto ha un Pokédex, giusto?
‒
Sì ‒ rispose Ruby senza batter ciglio.
‒
Lo conoscevi bene?
Ruby
temporeggiò,
si incupì. ‒ A quanto pare ‒ mormorò alzando le sopracciglia.
Zack
scosse
la testa. ‒ Mi dispiace.
‒
Come lo so… ‒ e mandò giù un bicchiere di champagne.
Il
pubblico
era caldo, gli incontri proseguirono. A scontrarsi furono Antares,
Campione di Sidera, e Baldo, ad uscirne vincitore fu proprio il Re
Piramide che
sembrava una specie di leggenda venuta dal nulla a quel punto. Per terzi
si
scontrarono Lance e Red che in una lotta spettacolare e senza esclusione
di
colpi fecero quasi mettere a piangere il telecronista. Il Dexholder
riuscì a
surclassarlo, risollevando il morale generale del suo gruppo. Fu il
turno di
Drake e Corrado. Vinse Drake e la parentesi gloriosa di Corrado come
Capopalestra
giunto tra i Campioni conobbe la fine con un interminabile ovazione del
pubblico. Poi ci furono un paio di colpi inaspettati: Silver e Green
sconfissero
rispettivamente Iris e Camilla. Il loro rientro fu accolto con
l’entusiasmo più
alto che il gruppo avesse dimostrato dall’inizio di quella giornata.
Ormai
Sapphire
sarebbe stata la prossima a combattere. Contro Adriano, l’uomo di
Alice, la sua vecchia insegnante. Quello che aveva rinunciato per amore
di lei
al ruolo di Campione. Quando la ragazza fu chiamata, si alzò
meccanicamente e
camminò verso il corridoio da cui aveva visto uscire tutti. Aveva le sue
Poké
Ball strette alla cintura e sentiva i suoi Pokémon pulsare di energia
all’interno. Uscì dalla stanza lasciandosi il mondo alle spalle, accanto
a lei
solo il suo avversario e di fronte a lei una porta. Era un ascensore. Lo
prese
senza emettere parola. Nessun tragitto in ascensore le era mai sembrato
tanto
lungo. Poteva avvertire le vibrazioni del pubblico persino dall’interno
di
quella angusta cabina. Tutti avevano atteso, tutti erano ansiosi. Il
mondo
voleva vedere ciò che la Conqueror
era
capace di fare. L’unica Allenatrice di rango S a non essere un Campione.
Era
una grossa responsabilità, certo. La porta le si aprì sul Campo Lotta su
cui
avrebbe combattuto oltre il limite delle proprie possibilità. Fece un
passo
avanti e trasse un sospiro, un altro passo e fu finalmente fuori. Un
boato la
travolse. Il calore e le emozioni del pubblico erano tutt’un’altra cosa
da lì. Erano
più invadenti.
Si
guardò
attorno più spaesata che mai. Dispersa a guardare quelle duecentomila
anime che la fissavano e gridavano, urlavano, strillavano. Lei era
Sapphire
Birch.
Prese
posizione,
aveva la collana ancora in tasca. Si rese conto che era diventata
caldissima.
‒
Te lo meriti davvero, il titolo di Campione ‒ mormorò Emerald.
Ruby
stava
in piedi di fronte al vetro, fissava la ragazza dagli occhi del colore
dello zaffiro. L’altro Dexholder gli aveva rivolto la parola, cosa che
non si
era aspettato affatto. Notò che si era comunque ben guardato dal farlo
in
presenza di Sapphire.
‒
Grazie, Rald… ‒ rispose.
‒
Perché hai mollato tutto?
‒
Tutto, cosa?
‒
Noi, il Pokédex, insomma… i tuoi amici.
Ruby
rimase
zitto per un po’.
‒
Ruby, rispondimi.
‒
Non posso, Emerald.
‒
Che vuol dire non puoi?
‒
Vuol dire che non posso! ‒ senza volerlo aveva gridato.
Ruby
si
guardò attorno, tutti lo fissavano, era caduto il silenzio sulla
terrazza.
Il ragazzo contò uno ad uno tutte le facce rivolte verso di lui. Tutti.
Da
Camilla a Red, da Green a Diantha, da Silver a… mancava qualcuno.
Zero,
il
Campione di Holon, era scomparso. O meglio. Ruby fece mente locale. No,
non
lo aveva proprio visto quel giorno, nella foga della situazione. L’Allenatore
più forte del mondo non era
mai giunto all’arena, il giorno della finale del campionato. Si rese
conto che
tutta la messinscena era finita, che i giochi erano finiti, che il
torneo era
finito.
Corse
via.
Ed Emerald gli tenne dietro.
‒
Ruby, che cosa sta succedendo?
Il
ragazzo
stava scendendo le scale in fretta, non si curava di lui.
‒
Ruby!
Niente,
il
biondo faceva fatica a corrergli dietro.
‒
Rubin Harmonia!
I
passi del ragazzo si bloccarono.
‒
Smettila ‒ sussurrò.
‒
Di fare cosa? ‒ chiese Emerald.
‒
Di far finta di essere comprensivo.
Quello
scosse
la testa. ‒ …non sto fingendo.
‒
Emerald.
‒
Dimmi.
‒
Sono successe molte cose in questi due anni, molte cose di cui faccio
fatica a
parlare… molte cose di cui mi vergogno.
Il
biondo
seguiva le sue parole con attenzione.
‒
Ma adesso ho bisogno che tu torni di sopra e smetti di seguirmi. Spero
solo di
essere abbastanza forte da solo, vi ho già messi abbastanza nei guai.
Emerald
non
capiva.
‒
Per favore ‒ lo supplicò.
Quello
annuì
lentamente, salì con riluttanza un paio di gradini prima di scomparire
dietro la seconda rampa di scale. Ruby attese alcuni attimi.
‒
Andrà tutto bene ‒ mormorò con la voce meno sicura che gli fosse uscita
negli
ultimi dieci anni sperando che l’amico potesse ancora sentirlo. Emerald
si
fermò, quindi riprese la salita fino a scomparire dal suo raggio di
percezione.
Lo aveva sentito.
Ruby
tornò
a scendere le scale.
Sapphire,
nel
frattempo, si stava rendendo conto che il calore che quella pietra che
lei
aveva in tasca era reale. Bruciava, ardeva, sembrava quasi essere fatta
di
magma vivo. Non si trattenne e la tirò fuori. Pulsava ed emanava quella
strana
forza. La vedeva risplendere di un’antica luce proprio nella sua mano.
Ormai
non sentiva più niente.
Adriano
non
la stava guardando, tutte le duecentomila persone intorno non la stavano
guardando, lei non era al Campionato Pokémon Internazionale. Tutto il
caos era
sparito, tutta la tensione era sparita. Tutto era sparito.
E
poi un ruggito spezzò il mondo. Dal cielo scuro ma privo di nubi di una
sera
estiva, si proiettò un intenso lampo di luce verde. Un gigantesco
dragone
comparve sopra le loro teste, spalancò le fauci ed emise un secondo
grido
infernale. Si muoveva nell’etere come fosse parte di esso, latrava al
cielo sovrastando
le urla terrorizzate delle persone che avevano appena assistito alla sua
comparsa.
Rayquaza
strinse
la bocca, si voltò e la spalancò subito dopo rilasciando un raggio di
energia luminosissima dritto in direzione delle tribune appena dietro di
lei. Sapphire
chiuse gli occhi.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 1 ***
Capitolo
3: Il Grande
Gatsby pt. 1
Tra
le
grida, il panico e il baccano generale, sì udì un suono sordo, come
quello
di un impatto su una superficie morbida. Sapphire aprì gli occhi.
Accanto a lei
c’era Ruby, in una mano aveva una Poké Ball l’altra era stretta attorno
a un
piccolo oggetto che la ragazza non identificò immediatamente. Davanti al
ragazzo, un’immobile Gardevoir avvolta in una mistica aura celeste.
Stava
usando Psichico. Con quella
mossa
aveva bloccato il fascio di energia di Rayquaza che avrebbe travolto sia
Sapphire che tutte le tribune dietro di lei. L’energia si disperse. Ruru
poté distendere
i muscoli.
Sapphire
si
rese conto molto lentamente di non essere morta. Realizzò di essere
ancora
in quello stadio vibrante dal panico e dagli urli della gente. Giovani e
anziani, maschi e femmine, tutti erano nel raggio d’azione del dragone e
potenzialmente in pericolo di vita. Non trovò una spiegazione a il caos
in cui
tutto era piombato così all’improvviso. Ma si fece forza. Il suo
cervello mandò
due o tre impulsi ai muscoli delle gambe che smisero di tremare, le
braccia
raggiunsero la bocca e il diaframma tornò a svolgere il suo lavoro
permettendole di respirare. Si rese conto che Ruby le stava urlando
qualcosa.
Lo guardò facendo intendere che non avesse capito. Ricominciò a
percepire i
suoni.
‒
La pietra, dammela!
Non
capì.
‒
Sapphire, dammi la pietra!
L’impulso
agì
prima della ragione. Con un movimento scattoso e brusco la ragazza
lanciò a
Ruby il ciondolo che un anno prima proprio lui le aveva regalato.
Rayquaza
ebbe
come un sussulto quando Ruby strinse le dita attorno a quel piccolo
oggetto, si contorse e prese qualche decina di metri di quota. Caricò un
secondo attacco.
‒
Dragobolide, intercettalo! ‒
e Ruby
lanciò la sfera di Flygon il quale, ruggendo, evocò in un istante un
diluvio di
meteore di energia che mitragliarono Rayquaza non danneggiandolo quasi
per
nulla ma facendogli perdere la concentrazione e mandando a vuoto la sua
mossa.
‒
Ruby, che cosa sta… ‒ Sapphire si rese conto di aver riacquistato la
parola.
‒
Scappa! ‒ la interruppe lui. ‒ Vattene, scappa, posso fermarlo, vai!
‒
No, aspetta, io…
‒
Flygon, portala via!
Il
lucertolone
non esitò. Afferrò una disperata Sapphire alla vita e volò lontano
a gran velocità. La ragazza poté girare il collo un’ultima volta per
vedere
Ruby tornare con lo sguardo al Pokémon Stratosfera alto nel cielo.
Rayquaza
aveva identificato il suo nemico, scese in picchiata proprio verso il
ragazzo. Gardevoir
non avrebbe potuto fermarlo, stavolta. Ruby tirò fuori il resto della
sua
squadra: Mightyena, Milotic, Delcatty e Castform comparvero lontani da
lui,
dove aveva lanciato le loro Ball. Swampert gli si parò davanti come una
muraglia. Gelopugno fu il
suo ordine.
E un violentissimo montante colpiva Rayquaza appena sotto la mandibola
lasciandogli spesse lastre di ghiaccio attorno al collo. Il Pokémon non
prese
l’affronto particolarmente bene. Non indietreggiò e sputò una sfera di
energia
bluastra verso il primo obbiettivo che gli parve particolarmente
sensibile: le
terrazze dei partecipanti. A quel punto anche gli occhi di Ruby
divamparono di
terrore. Ma la fortuna aveva altri piani per loro. I Campioni e gli
altri
Allenatori della terrazza del quarto piano avevano sfondato il vetro ed
erano
usciti allo scoperto con l’evidente intenzione di unirsi alla battaglia.
Con un
numero indefinito di attacchi lanciati in contemporanea, avevano vinto
facilmente
l’offensiva del dragone.
Sapphire
comprese
di non poter restare con le mani in mano. Tirò Pilo, il suo Tropius,
fuori dalla Ball e si divincolò in modo spasmodico per venire fuori
dalla
stretta di Flygon. Ci riuscì e cadde in groppa al suo Pokémon Frutto, il
quale
virò vertiginosamente per invertire la propria direzione di volo. Flygon
tentò
di inseguirli.
Ruby
era
fiancheggiato da Lance, Camilla, Iris e da tutti gli altri Dexholder.
Lottavano insieme, bersagliavano Rayquaza con molteplici colpi
provenienti da
ogni direzione in modo tale che quest’ultimo non avesse tempo di
riprendere
fiato. Era contenimento, non lotta vera e propria.
‒
Toro! ‒ esclamò Sapphire facendo volare verso il campo la sfera della
sua
Blaziken. Si unì alla lotta sotto lo sguardo truce del ragazzo con la
cicatrice.
Fronteggiarono
il
dragone per una discreta mezz’ora, finché un suo latrato di sconfitta
sembrò
annunciare la loro vittoria. Lo stadio era stato evacuato, le persone si
trovavano al sicuro. La maggior parte della popolazione si era rifugiata
in
posti sicuri e stabili. Non c’erano morti o feriti. Tutti gli Allenatori
che
avevano contribuito a placare Rayquaza tirarono un sospiro di sollievo
quando
questo sembrò accasciarsi a terra senza più energie. Un breve sospiro di
sollievo. Il Pokémon si era spento troppo in fretta.
Gli
occhi
stanchi di tutti i presenti, Dexholder e Campioni, furono investiti da
un
secondo intenso bagliore verde, tutti rimasero accecati. Il mugolio di
resa di
pochi istanti prima si trasformò in un ruggito iracondo. E dalla luce
emerse un
nuovo Rayquaza trasformatosi nella sua forma Megaevoluta avvolto in un
velo di
energia pura. Le spire del dragone fendettero l’aria e questo, alzandosi
in
alta quota, reagì con violenza come se volesse uscire fuori da una
prigione. Il
suo attacco un ultimo raggio di energia spaccò il cielo in due. Sfondò
le
tribune vuote, vinse la resistenza del cemento, investì abitazioni e
palazzi
lasciandone poco più che deformi carcasse. Una profonda ferita che si
estendeva
lungo l’intero centro di Vivalet fu il marchio con cui Rayquaza
sottomise
l’essere umano quella sera. Gli Allenatori avvertirono un secondo
spostamento
d’aria.
I
loro occhi si riabituarono alla vista quando già i loro cervelli avevano
risolto l’equazione. Ritrovarono un gigantesco buco che aveva causato il
crollo
di un’intera tribuna e un orribile scorcio su un macabro panorama di
devastazione. Strade scorticate dal terreno, automobili in fiamme,
edifici
sradicati o ridotti in cumuli di lamiere. Un terribile silenzio imponeva
il suo
peso sullo stomaco dei presenti.
Blue,
Red,
Sapphire, Silver e tutti gli altri si guardarono prossimi all’isteria.
Dietro di loro, in lontananza, c’era una sorta di bozzolo alto nel cielo
scuro:
un rettile serpentino che fluttuava nell’aria tutto avvolto all’interno
di una
bolla di gas. Qualche grido si levava dalle macerie. Pianti, urli,
gemiti.
Tutti destinati a soffocare in quella nebulosa quiete nel giro di pochi
istanti.
Nessuno
parlò,
nessuno osò proferir parola. Tutti tornarono con i piedi per terra. Ruby
cadde in ginocchio. Solo Emerald lo avvicinò, di tutto il gruppo.
Era
in
piedi, poco dietro di lui. Rimase in silenzio per un interminabile
istante.
‒
È più forte… ‒ mormorò quello sentendolo prossimo a sé.
‒
Che cosa sta succedendo? ‒ domandò il biondo.
‒
Sapevo che sarebbe arrivato ‒ rivelò atono Ruby. ‒ ho le due gemme,
quelle che
oltre a controllare Groudon e Kyogre dovrebbero permettermi di renderlo
vulnerabile, ma non sono riuscito ad entrare in contatto con lui e a
vincerlo…
Emerald
trattenne
il respiro.
‒
È più forte… ‒ ripeté l’amico.
Un
ruggito
portò il gelo al sangue di tutti. Ma ancora niente, Rayquaza stava
recuperando energie nell’ozono che era capace di produrre, ma ancora non
era
pronto a tornare all’attacco.
‒
Dobbiamo fare qualcosa ‒ disse Red. ‒ Avanti, cerchiamo i superstiti ‒
cercò di
esortare gli altri.
Il
Campione
di Kanto corse in soccorso dei pochi individui ancora vivi dispersi
nelle macerie. Nella titubanza generale, lo seguirono prima due, poi
cinque,
quindi nove, infine tutti gli Allenatori che avevano lottato nello
stadio. Solo
Ruby e Sapphire rimasero al proprio posto davanti a quel cratere dalla
forma
affusolata rimasto sulla città. Passarono secondi interminabili dopo i
quali
pure la ragazza si mosse.
‒
Non potevi fermarlo… ‒ mormorò facendo attenzione che Ruby la sentisse.
Quindi
passò oltre senza attendere risposta e senza degnarlo di uno sguardo.
Il
ragazzo
strinse la terra che aveva tra le dita. Si rese conto di avere ancora
in mano il ciondolo con lo zaffiro la cui cordicella stava stritolando i
suoi
polpastrelli e la seconda gemma, il rubino, naturale e non tramutata in
un
gioiello. Entrambe le pietre reagirono, il suo corpo le aveva già
assorbite e
digerite una volta, quindi esse erano naturalmente attratte da lui.
Ruby
fece
un respiro profondo, calmò l’animo e distese i muscoli. E nella sua mano
era rimasta giusto la cordicella che aveva assicurato la gemma blu al
collo di
Sapphire per un anno intero. Il rubino e lo zaffiro erano entrambi
spariti.
Si
sentì
pervadere da quella sensazione una seconda volta nella sua vita. Il
calore del cratere più attivo e il gelo dell’abisso più profondo in
contrasto
sulla sua pelle e nella sua carne. Non era forte come la volta scorsa, i
due
Leggendari della terra e del mare erano sopiti e per fortuna sarebbero
rimasti
tali per molto tempo. Eppure, l’energia che empaticamente avvertiva
dalla
presenza di un destissimo Rayquaza fluiva nelle sue vene come provenisse
dal
suo stesso sangue. A confermare il mutamento, sottili ma luminose righe
simili
a tatuaggi solcavano le sue braccia. Un complesso disegno di linee blu e
rosse
si intrecciava sul suo petto. Lo sentiva, ma nessuno poteva rendersene
conto
finché portava i suoi vestiti.
Mise
una
maglia con le maniche lunghe per coprirsi, tanto non era più capace di
avvertire il caldo o il freddo, il suo corpo aveva appena assunto la
capacità
di termoregolarsi. Non tornò dagli altri, prese invece tutti i suoi
Pokémon e
si diresse alla macchina di cura più vicina, erano tutti stremati.
Nel
frattempo,
tutti si prodigavano per dare una mano. C’erano mura da assicurare
per evitare ulteriori crolli, persone da salvare e mandare in un luogo
più
sicuro, feriti da medicare e, purtroppo, cadaveri da raccogliere. Almeno
quelli
ancora integri.
Ambulanze,
Allenatori,
Capipalestra e persino volontari spuntati fuori dal nulla corsero
in aiuto delle vittime. Qualcuno riuscì a salvarsi in extremis,
recuperato per
il rotto della cuffia dagli audaci strumenti medici. Altri morirono
proprio
come erano morti tutti gli altri. Ma con la morte davanti al volto e non
nascosta infidamente dietro l’angolo. Tutto era immerso in un aria
torrida e
satura del calore dell’acciaio fuso, delle carni bruciate e del cemento
sgretolato. Polvere, vetro e sangue, era il terreno su cui si muovevano
tutti
coloro che tentavano di salvare la vita a qualcuno.
Il
numero
dei morti raggiungeva appena la tripla cifra. Era un centro cittadino
turistico, quelle travolte non erano abitazioni. Gli edifici inagibili
furono
rapidamente isolati con metri e metri di nastro di sicurezza. L’area fu
sgombrata. Ci furono le ultime grida, gli ultimi lamenti, gli ultimi
commenti
degli afflitti giornalisti piombati a pochi minuti dall’apparente
scomparsa di
Rayquaza.
‒
Bisogna evacuare la città, l’area non è sicura…
La
cantilena
cominciò a suonare nelle tv, negli altoparlanti, nelle radio. Tutto
era precipitato nel caos. Mentre mezzo mondo fissava lo schermo con gli
occhi
spalancati davanti alla gravità del disastro, le linee telefoniche erano
intasate dalle telefonate di migliaia di famiglie che cercavano un segno
di
vita, un sussurro del proprio parente che era in vacanza ad Holon
proprio in
occasione del torneo. Molti genitori poterono bearsi di sentire la voce
del
proprio figlio vivo e vegeto, alcuni non ebbero tale piacere.
Quando
ormai
un nuovo giorno si accingeva a sorgere, tanti avevano già abbandonato
Vivalet. Altri erano direttamente fuggiti da Holon. La paura era forte.
I
lamenti si sovrapponevano. I feriti venivano trasferiti in ospedali
lontani, la
matassa che nel cielo sembrava predire un’imminente seconda catastrofe
era
divenuta visibile solo con il ritorno della luce. La paura si
trasformava in
terrore e i lamenti in grida.
Sapphire
camminava
sull’asfalto sgretolato della strada percorribile più vicina
all’incidente. Poco lontano da lei, un gruppo di ragazzi cercava di
cambiare il
bendaggio di un loro amico il cui polpaccio era rimasto maciullato sotto
alcune
lamiere. Lo avrebbero condotto in un ospedale, se solo le ambulanze non
fossero
state tutte piene. Sapphire li raggiunse.
‒
Posso darvi una mano? ‒ chiese. Aveva girato il mondo in otto anni di
vita da
Allenatrice scalando monti, solcando mari e attraversando foreste.
Sapeva fare
una fasciatura decente.
I
ragazzi della comitiva la guardarono con i loro occhi incavati e
stanchi. Erano
più o meno suoi coetanei, venivano da Alola a giudicare dalla tinta
scura della
loro pelle macchiata qua e là da polvere e sudiciume. Erano sicuramente
alcuni
di quelli rimasti per dare una mano.
‒
Ecco fatto ‒ strinse il nodo nel punto in cui la tensione non avrebbe
premuto
sulla ferita. Non si aspettava un grazie, ma questo arrivò comunque.
Fisso i
volti di sopravvissuti. L’avevano riconosciuta, si capiva da come la
guardavano.
‒
Cercate di raggiungere un luogo sicuro ‒ disse loro facendo finta di
nulla.
Fece
per
andarsene, ma uno di quelli la trattenne: ‒ ce la farete a fermarlo?
A
parlare era stato il ragazzo ferito, quello a cui lei aveva applicato le
bende.
Sapphire
si
morse il labbro. Avrebbe voluto rispondere che non lo sapeva, che aveva
paura
e che anche lei probabilmente se ne sarebbe andata al più presto.
‒
Ce la metteremo tutta ‒ rispose però qualcuno al suo posto.
E
dietro di lei era improvvisamente comparso Red. Il ragazzo aveva i
vestiti
logori e stringeva in mano una strana borsa. I ragazzi riuscirono a
rialzarsi
per zoppicare in un altro luogo. Red aveva dato loro un sottile bagliore
di
speranza.
‒
Che cosa hai intenzione di fare? ‒ gli domandò Sapphire quando il gruppo
si era
allontanato abbastanza.
‒
Dobbiamo stancarlo.
‒
Prima che ci uccida?
‒
È un’idea di Crystal, vuole catturarlo, non so perché non ci abbiamo
pensato
prima ‒ e mostrò la borsa piena di tutte le Ball vuote che era riuscito
a
reperire.
Sapphire
comprese
immediatamente che quella non era una buona idea. In realtà quadrava
tutto, ma sapeva che c’era un ombra in quel piano. Ci arrivò.
‒
Dove sono gli altri?
In
poco
tempo raggiunsero il resto del gruppo dei Dexholder. A parte lei e Red,
erano
otto quando Sapphire finì di contarli e per un istante si illuse che si
fosse
aggregato pure Ruby. Poi comprese che in realtà si trattasse di
Platinum, la
Dexholder di Sinnoh che aveva conosciuto il giorno prima. Alcuni di loro
erano
seduti su alcune croste di cemento cadute a terra, poco lontano dallo
stadio. Tutti
erano ridotti male sia per lo scontro con Rayquaza sia per
l’improvvisata
operazione di soccorso a cui avevano partecipato. I suoi amici la
accolsero con
un amaro sorriso accennato.
‒
Red ti ha già informato del piano? ‒ domandò Crystal che sembrava la più
determinata.
‒
Non funzionerà ‒ tagliò corto lei.
Un
marmoreo
silenzio cadde violentemente sul gruppo.
‒
Platinum, tu sei troppo giovane, devi andartene ‒ cominciò poi a dire
rivolta
alla tredicenne.
Quella
non
sapeva come reagire.
‒
Sapphire ‒ intervenne Green. ‒ Perché di preciso non deve funzionare?
Silenzio.
‒
Rayquaza dovrebbe essere addormentato. Non si sveglia mai se non per
placare le
lotte tra Groudon e Kyogre e entrambi sono immersi nel sonno, ora ‒
spiegò
cercando lo sguardo di approvazione di Emerald.
‒
E come mai… tutto questo? ‒ domandò Silver.
‒
Qualcuno deve averlo già catturato ‒ dedusse Blue.
‒
Esatto ‒ confermò Sapphire. ‒ Deve appartenere già ad un altro
Allenatore.
Calma
cimiteriale.
Qualcuno provò a soffocare la propria respirazione ansiosa tirando
su col naso o deglutendo.
‒
Quindi l’unica strada è sconfiggerlo? ‒ domandò Crystal.
‒
O trovare il suo Allenatore ‒ realizzò Gold.
Tutti
lo
guardarono.
‒
Attaccava con coscienza, sapeva dove dirigere i propri colpi e chi e che
cosa
colpire, evidentemente chi lo controlla è nei paraggi… ‒ spiegò.
‒
Perché dovrebbe rimanere in un luogo tanto pericoloso? Non potrebbe aver
dato
l’ordine di distruggere e basta? ‒ obiettò Silver.
‒
Non è nella natura di Rayquaza la distruzione, il suo scopo è fermare i
cataclismi,
non provocarli ‒ contestò la Dexholder di Hoenn.
‒
Sapphire ‒ si fece avanti Red. ‒ Esiste un oggetto in grado di
controllare
Rayquaza simile alla Gemma Blu e alla Gemma Rossa?
‒
Io… non so…
‒
Sì, la Gemma Verde, lo smeraldo creato dal team finanziato da mio padre.
Servì
per assoggettare Rayquaza durante il periodo in cui fu sottoposto a dei
test ‒
esclamò Platinum.
Tutti
tacquero.
Sapphire ricordò. La famiglia Berlitz aveva finanziato il progetto di
studio sul Pokémon Stratosfera, fu vicino al loro laboratorio che il
Salamence
di Lyris tanto tempo prima attaccò lei e Ruby e liberò accidentalmente
il
leggendario. Da lì partì tutta la sua parabola, da lì partì la via
crucis di
Norman, Capopalestra di Petalipoli che per anni si era caricato di una
colpa non
sua ma appartenente a suo figlio.
‒
Ha ragione ‒ mormorò con un filo Emerald. ‒ L’avevo io, la persi molti
anni fa…
Tutti
i
presenti avvertirono una forte fitta allo stomaco.
‒
Quindi è fuori discussione ‒ concluse Platinum sconsolata.
‒
Al contrario ‒ si illuminò Sappihire. ‒ Ora sappiamo come fa il nostro
nemico a
manovrare Rayquaza.
Girando
la
frittata, alla fine qualcosa era venuto fuori.
‒
Ma quali benefici ci porta questa informazione?
‒
Se tanto mi dà tanto, la Gemma Verde reagisce a contatto con le altre
Gemme
come quella Rossa e quella Blu si attraggono tra loro ‒ aggiunse la
ragazza.
‒
Ma non abbiamo detto che si tratta di una gemma artificiale? ‒ domandò
Green
guardando Platinum, portatrice di tale informazione.
‒
Infatti ‒ si intromise qualcuno nella conversazione. ‒ le Gemme non sono
attratte dallo smeraldo che controlla Rayquaza.
Ruby
era
comparso dietro di loro, teneva ben in vista i tatuaggi, simbolo che le
due
Gemme erano state assorbite dal suo corpo.
‒
…ma la respingono.
Non
fu
accolto con calore da nessuno dei presenti, Gold lo trattò con
sufficienza
mentre Blue lo squadrò velenosa. Emerald non riuscì proprio a guardarlo
e
Sapphire non sapeva se provare disprezzo o odio.
‒
Ho le due Gemme con me, se volete che Rayquaza sia fermato, aiutatemi a
raggiungerlo…
Emerald
notò
come era cambiato il suo piano da quando aveva parlato con lui sulle
scale
qualche ora prima e il ragazzo gli aveva chiesto di andarsene e
lasciarlo
agire.
‒
Il ciondolo… ‒ sibilò Sapphire. ‒ Era la un frammento, il nucleo della
Sfera Blu,
vero?
Ruby
annuì.
Nessuno dei Dexholder capì di cosa stessero parlando.
‒
Perché lo hai dato a me?
‒
Perché se le due sfere sono insieme tendono a fondersi, come hai appena
detto,
e unirsi al primo essere vivente che interagisce con loro, se sono
insieme. Non
potevo custodirle entrambe. Un corpo viene lentamente ma
irreparabilmente
corroso quando tiene dentro di sé le sfere come sto facendo io in questo
momento. Ricordi Max e Ivan?
‒
E se non l’avessi portato?! ‒ questa volta gridò.
‒
Ero sicuro che l’avresti tenuto sempre con te… ‒ fu la risposta di Ruby.
Sapphire
si
sentì inondare dal rossore e in quel momento desiderò tanto di poter
prendere a sprangate il ragazzo con uno grosso pezzo di metallo
rimediato dalle
macerie.
‒
Ripeto, dovete aiutarmi, fermiamo Rayquaza assieme, sono l’unico che può
farlo,
ma non ci riesco da solo… ‒ ripetè Ruby.
‒
Un ultima cosa, come mai avevi la risposta già pronta? ‒ domandò Green
dubbioso. ‒ Rayquaza attacca senza motivo e senza preavviso e tu hai
casualmente con te le due Gemme capaci di fermarlo…
Ruby
si
fissò i piedi, trasse un sospiro.
‒
Non posso dirvi come, ma sapevo già dell’attacco.
Gelo.
E
un rancore profondo si accese negli animi dei presenti.
‒
Quindi lo sapevi, ma non hai detto niente a nessuno! ‒ lo aggredì Blue.
‒
Non potevo fare neanche questo…
Niente
spiegazioni,
solo informazioni criptiche. I Dexholder guardavano Ruby con odio.
Tutti sapevano della vicenda tra lui e Sapphire e tutti erano a
conoscenza del
fatto che lui avesse abbandonato la compagnia per affidarsi ai propri
interessi
personali e alla propria carriera nel mondo dello spettacolo. Solo
Platinum se
ne stava in disparte, senza chiedere chiarimenti per via della
percepibile aria
di tensione che aleggiava in quella discussione.
E
un altro ruggito fece tremare i loro cuori. Questa volta più forte, più
cattivo, più profondo. Rayquaza era quasi pronto per il secondo attacco.
‒
Sentite, so che cosa pensate di me e che cosa pensate io sia diventato
negli
ultimi due anni di assenza, ma ora tutto questo non c’entra un bel
niente! ‒
esclamò Ruby per la prima volta risentito e non indifferente di fronte
all’astio dei propri ex amici. ‒ Volete salvare Vivalet e poi tutta
Holon,
bene, allora agite con me! Altrimenti potete anche andarvene e restare a
fare
il broncio per tutto il tempo!
Ognuno
era
rimasto lievemente spiazzato da una reazione tanto violenta.
‒
Sono stato assente, è vero. Vi ho nascosto queste informazioni, è vero.
Ho
sbagliato i calcoli permettendo a Rayquaza di uccidere delle persone va
bene è
vero! ‒ riprese fiato. ‒ Ma ora tutto ciò che posso fare è riprovarci e
tentare
di fermarlo una seconda volta, ho i mezzi, voi siete quel passo che mi
manca
alla riuscita.
Red
annuì
in maniera quasi impercettibile. Lo seguirono i consensi di Yellow,
Gold,
Blue, Emerald e infine Crystal. Silver e Green mormorarono un ok.
Sapphire rispose di sì guardando
altrove.
Platinum
non
parlò. Sapphire le aveva detto di andarsene e stava aspettando una
seconda
opinione.
‒
Platinum, tu almeno mettiti in salvo ‒ fece tetra la ragazza
sottolineando la
propria mancanza di fiducia in Ruby.
‒
Fa’ come ti dice ‒ la sorprese proprio il ragazzo aggiungendosi.
‒
Io rimarrò ‒ ribatté ferrea lei. ‒ Voglio dare una mano.
Altro
intermezzo
silenzioso. Il vento sibilava tra le carcasse degli edifici e il
sole si levava lentamente dall’orizzonte con la calma placida di una
serena
alba estiva. Come non fosse successo niente, proprio come non fosse
successo
niente.
Nessun
veterano
si oppose, nessuno le diede contro. Loro erano tutti maggiorenni, lei
aveva compiuto da poco i tredici anni, ma nessuno di loro aveva atteso
di
crescere prima di sgominare team malvagi, fermare cataclismi e
meteoriti,
distruggere organizzazioni criminali. E pure la stessa Platinum aveva
già
passato parecchi guai nella sua regione.
‒
Rayquaza tornerà all’attacco, non sappiamo dove, ma presumo che
attaccherà di
nuovo luoghi a gran concentrazione di esseri umani. Dobbiamo trattenerlo
qui,
nella zona già evacuata. Voi dovrete distrarlo, a me dovrebbe bastare un
singolo contatto fisico ‒ cominciò a spiegare Ruby.
‒
Dovrebbe? ‒ chiese Green.
‒
Dipende dal tocco…
‒
In che senso?
‒
Se mi azzanna tecnicamente è contatto fisico, ma non credo di poter fare
più
tanto, a quel punto…
Organizzarono
alla
buona un attacco da tutti i fronti, una strategia per attirare Rayquaza
in
più punti distraendolo da Ruby che si sarebbe mosso in groppa a Latios,
in modo
tale che la sua capacità di curvare la luce li avrebbe resi invisibili
agli
occhi del nemico. Latias nel frattempo avrebbe fatto ricognizione nei
paraggi
in modo tale da cercare un eventuale presenza, così per identificare
colui che
stesse controllando Rayquaza.
Agire
presto
significava attaccare un nemico la cui energia non era al massimo, il
che si sarebbe dimostrato un vantaggio. Tutti si misero in posizione.
Emerald
carezzò i due draghi che Ruby aveva richiamato con il Flauto Eone e
chiese a
Latios in particolare di fare attenzione.
‒
Conto su di te ‒ sussurrò il biondo a Ruby mentre nessuno degli altri
Dexholder
poteva sentirlo.
Il
più
grande rimase stupito da tali parole, nessuno dei suoi ex compagni aveva
dimostrato tale fiducia, e tantomeno avrebbe dovuto dimostrarla Emerald
che
poco prima aveva avuto prova della sua fallibilità. Lo vide dare una
pacca di conforto
a Gold e poi tornare a concentrarsi sul suo compito alzando due dita nei
suoi
confronti. Ognuno partì in volo su un Pokémon, avrebbero colpito a
mezz’aria
eludendo i colpi facilmente.
Ruby
era
già scomparso agli occhi di tutti.
Volarono
a
gran velocità fino a posizionarsi in tre gruppi attorno alla bolla di
ozono
prodotta da Rayquaza, che nel frattempo aveva raggiunto la grandezza di
una
grossa mongolfiera.
‒
Ora! ‒ gridò Green.
E
dieci attacchi della tipologia di Raffica, Tifone e Bora cominciarono a
soffiare via con violenza tutto il gas nel quale il Pokémon si riposava.
La
figura serpentina e intrecciata di Rayquaza venne allo scoperto. E lì,
cominciò
l’assalto vero e proprio.
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Capitolo 8 *** Capitolo 3 - Il Grande Gatsby pt. 2 ***
Capitolo
3: il grande
gatsby pt. 2
Rayquaza
si
trovava nella sua forma tradizionale. Fu sorpreso dai primi attacchi che
il
gruppo di Dexholder volanti gli aveva rivolto, ma riuscì ad eluderne la
maggior
parte strisciando aerodinamicamente nella cortina di nuvole poco sotto
di lui.
Sembrava capace di nascondere tutta la sua enorme massa con immensa
semplicità.
Luce verde, di nuovo. Stavolta attenuata dalle fitte nuvole in cui
serpeggiava
il dragone.
‒
Si Megaevolve, state attenti! ‒ esclamò Sapphire.
‒
Ruby, sbrigati! ‒ fece Gold.
Il
ragazzo
volava su Latios che si era reso invisibile curvando la luce attorno a
sé e creandosi una sorta di barriera-specchio. Avrebbe dovuto
raggiungere
Rayquaza e stabilire con lui un contatto che gli permettesse di
controllarlo
con le Gemme.
‒
Latios è più veloce di Rayquaza, dovremmo essere in vantaggio ‒ mormorò
Crystal.
Un
flash
e a tutti sembrò di scorgere la silhouette del biscione verde in mezzo
alle nuvole. L’attacco Incendio del
Charizard
di Green sfondò quella sezione di cielo, aprendo un grosso foro negli
altocumuli.
‒
L’avete visto anche voi? ‒ chiese il Capopalestra dopo essersi reso
conto di
aver mandato un colpo a vuoto.
‒
Stava prendendo quota ‒ annuì Red. ‒ Ruby…
Un
esplosione
si dipanò per tutta l’area fin sopra le loro teste. La detonazione
aveva causato un movimento d’aria tanto forte da far rischiare ai
Dexholder di
cadere dai loro destrieri alati. Tutti loro si guardarono torvi e
spaventati.
Poi
una
sagoma nera spuntò dalle nuvole cadendo quasi senza attrito verso il
terreno lontano. Era Ruby i cui vestiti erano completamente carbonizzati
nella
parte superiore del corpo. Era svenuto, la sua pelle era rimasta
scottata qua e
là nell’esplosione. Latios non era con lui. Precipitava solo ed esanime.
Emerald
si
lanciò in picchiata per intercettare il corpo dell’amico ‒ In qualche
modo
Rayquaza lo ha individuato… ‒ esclamò.
‒
Fermati! ‒ gridò qualcuno.
Strano.
Era
la voce di Ruby, ma non proveniva dal suo corpo.
E
poi dalle nuvole alla destra di Emerald spuntò il dragone. Diretto con
le fauci
spalancate verso il corpo del Campione di Hoenn. Accadde tutto in un
lampo.
Rayquaza si inarcò tentando di azzannare Ruby, ma per uno strano scherzo
dello
spettro visivo questo scomparve, e le mascelle del leggendario si
chiusero attorno
al nulla. La coda del Pokémon però colpì violentemente Emerald nello
slancio
che perse la cavalcatura e cadde nel vuoto. Ruby tornò visibile appena
dietro il
nemico, era in groppa a Latios. Sotto gli occhi inermi di tutti i
Dexholder
scese al volo in groppa a Rayquaza e si aggrappò alle sue placche. Red e
Crystal si erano già lanciati verso il basso per acchiappare al volo
Emerald,
ma un brusco movimento del dragone che si era reso conto dell’inganno li
costrinse a effettuare un giro più lungo.
‒
Emerald, salvatelo! ‒ gridò Ruby.
La
sua
voce era roca, sembrava star tendendo tutti i suoi muscoli fino al
limite
della propria resistenza. E i risultati si mostrarono. Rayquaza si
bloccò a
mezz’aria. Era come paralizzato, anzi, sembrava tremare appena.
Ci
fu
un mormorio da parte di Sapphire, ma nel disordine generale nessuno la
udì.
Le toccò ripeterlo più forte, perché qualcuno le desse retta: ‒ Sta per
colpire…
‒
Cosa? ‒ domandò Green svegliandosi da quella catalessi in cui per la sua
testa
ronzava la convinzione di non poter fare nulla in quel momento.
‒
Rayquaza, sta per scaricare tutta la sua energia, dobbiamo
intercettarlo! ‒
gridò la ragazza.
Tutti
si
mobilitarono. E ovviamente, come parlando del diavolo, il corpo di
Rayquaza
si attorcigliò con un guizzo. Il dragone scese in picchiata verso terra.
‒
Vuole disarcionarlo! ‒ esclamò Blue.
‒
Non ci riuscirà, voi pensate solo a bloccare i suoi attacchi! ‒ ribatté
Sapphire.
Ruby
infatti
interruppe ancora una volta i movimenti di Rayquaza e per un secondo
lungo attimo il suo corpo si bloccò nell’aria come trattenuto da una
forza
esterna e invisibile. Un’intensa luce si dipanò dalle strisce sul corpo
del
Pokémon. Ruby ebbe un sussulto. Il suo corpo parve brillare e unirsi
all’organismo del rettile per un brevissimo attimo.
Un
boato
venne dal ventre del Pokémon leggendario, un ruggito più furioso, forte
e
violento di tutti i precedenti. Quindi tutto cadde. Dal cielo
cominciarono a
piovere meteore di energia violacea. Una seconda apocalisse sembrava
doversi rovesciare
su Vivalet quel giorno.
Emerald
riaprì
gli occhi. Si trovava sugli spalti dello stadio. Aveva brevemente perso
conoscenza mentre cadeva ed era stato preso al volo da Red e Crystal. Ma
subito
si rese conto che, potendo scegliere, avrebbe preferito rimanere
svenuto. Un
firmamento di luci che precipitavano verso di lui comparve al suo
risveglio.
Energia pura, proiettili di distruzione scagliati dalla furia di
Rayquaza.
Precipitavano implacabili.
In
mezzo
a queste, Ruby controllava il dragone e lo cavalcava verso il terreno.
Sembrava lui a controllarlo, forse quel gigantesco attacco Dragobolide era stato l’ultimo sforzo di Rayquaza prima di
arrendersi.
Uno
stormo
di Dexholder volanti comparve nel caos. A questi si unirono subito
Crystal e Red che non si fecero attendere per tornare in volo. Tutti i
ragazzi
stavano attaccando una per una le meteore di luce. Sfaldandole,
impedendo loro
di cadere a terra. I fasci di energia scomparivano uno dopo l’altro, ma
la
massa ancora ben nutrita si avvicinava sempre più alla città.
Ruby
scese
dal dragone, era atterrato poco lontano da Emerald: i due di Hoenn erano
nello stadio in cui fino a poche ore prima si stava svolgendo il torneo,
ma il
moro camminava sulla terra della zona di lotta, mentre Emerald era sulle
tribune. Rayquaza rimase immobile, ormai sottomesso al suo volere.
Emerald
vide
Ruby aprire le braccia e chiudere gli occhi. Rayquaza, in collegamento
con
lui, abbassò le palpebre a sua volta e cacciò un ruggito. E ad un tratto
le
meteore cambiarono direzione. Tutte stavano curvando la propria
traiettoria in
direzione di Ruby, verso il centro dello stadio, l’unico luogo che
poteva
essere bombardato senza che nessuno in città subisse conseguenze.
Emerald
comprese il piano dell’amico.
‒
Ruby, no!
Il
ragazzo
si rese conto di lui: ‒ Scappa! ‒ esclamò senza abbassare le mani.
‒
Non devi morire per questo! ‒ gridò Emerald.
Ruby
non
ribatté. Emerald era lontano, nella parte più alta degli spalti, non
sarebbe stato colpito né avrebbe potuto dargli fastidio.
Ormai
un
centinaio di metri separavano le meteore dal terreno. Tutti i Dexholder
che
erano ancora in volo, si resero conto della situazione. Quella pioggia
avrebbe
devastato lo stadio, ma i danni sarebbero stati limitati a quell’area.
Avevano
sfoltito al meglio quel diluvio, il loro lavoro era compiuto. Solo
all’ultimo
istante si resero conto che il bersaglio delle meteore altri non era che
Ruby
che si era piazzato come fulcro al centro perfetto dell’arena.
Yellow
cacciò
un urlo. Red ebbe l’impulso di gettarsi a capofitto per prenderlo.
Sapphire sentì il suo cuore fermo balzarle in gola.
E
poi la luce della distruzione. Il metallo si accartocciò, la terra si
aprì, il
cemento franò. Tutti i vetri dello stadio esplosero. Le prime file degli
spalti
si sradicarono. L’arena fu devastata da quel numero infinito di fasci di
luce
che si erano concentrati tutti in quell’unica zona. Quando il rombo
dell’esplosione
si dissolse, rimase solo fumo.
E
fu il silenzio.
Alcune
timide
gocce di pioggia cominciarono a picchiettare su Vivalet. Pioggia vera.
Acqua. Le gocce si moltiplicavano a velocità impressionante. Il fumo
cominciava
a diradarsi mentre nell’aria si diffondeva il lieve stridore del metallo
rovente. Tutti i ragazzi scesero sulla terraferma. Quando i loro piedi
toccarono il terreno che era stato massacrato dalle meteore i loro piedi
avvertirono il calore altissimo attraverso la suola delle scarpe. La
terra,
bollente, cominciava a rigettare la pioggia sotto forma di vapore
acqueo. Tutto
cominciò a schiarirsi, il fumo stava scomparendo.
I
Dexholder, a testa bassa, incontrarono il corpo immobile di Rayquaza.
Distrutto. Le squame strappate, le spire torte in maniera orribile, le
placche
spezzate, le fauci spalancate e immobili. Non si muoveva più, era patito
sotto
il suo stesso potere.
E
poi, nel grigiore, i loro occhi che avevano abbandonato il macabro
spettacolo
del rettile morto sul terreno videro una debole luce verde. Le gambe di
Sapphire si mossero automaticamente, così come quelle di tutti gli
altri.
Mezza
Poké
Ball a terra, l’emisfero rosso, tutta ammaccata e senza più il bottone
di
apertura. Poi la luce divenne sempre più vicina.
Un
cubo
di energia, una barriera dalla forma perfetta di un dado. Al suo interno
due sagome: un Mr. Mime e un essere umano tremante: Ruby. La barriera si
dissolse. Il Pokémon che aveva protetto il ragazzo cadde esanime sul
terreno,
non respirava più. Era il Mr. Mime di Emerald.
‒
Ruby! ‒ esclamò Sapphire gettandosi su di lui. Non lo toccò, non lo
abbracciò,
si accovacciò a terra e cercò di saggiare che il suo corpo fosse ancora
in
funzione.
Nessun
altro
Dexholder si mosse. Davanti alla triste morte di un Pokémon, nessuno si
muove
mai. Nessuna parola rivolta al sopravvissuto, nessuno dette segno di
essere
felice o infelice di vederlo ancora vivo.
Ruby
tornò
a respirare. E dalle sue labbra uscirono sette sole lettere che
defibrillarono
il cuore di tutti i presenti: ‒ Emerald…
Blue
si
guardò intorno, Green e Silver rialzarono Ruby perché anche lui facesse
da
vedetta, Sapphire e Gold fecero per andare a cercarlo. Platinum tentò di
scomparire. Solo Crystal e Red erano immobili. Loro avevano portato a
terra
l’amico. Guardavano impietriti il punto in cui sarebbe dovuto essere.
Tutti
seguirono
il loro sguardo. Il gruppo si mosse. Ruby tolse le braccia dalle
spalle dei due di Kanto e prese a zoppicare in solitudine, quindi le sue
gambe
tornarono a funzionare decentemente, anche se a fatica.
Giunsero
alla
tribuna su cui Emerald era stato portato dopo il salvataggio dalla
caduta.
Non trovarono la tribuna, ma un groviglio di metallo e lamiere. Almeno
per le
prime dieci file di posti. Poi il cemento aveva retto quasi decentemente
e,
salendo, gli spalti sembravano sempre più integri. Solamente i sedili
erano
tutti saltati via. Emerald era stato posato quasi alle ultime posizioni,
doveva
essere vivo. Magari un po’ scombussolato. O al limite ancora svenuto.
Poi
si
levò un lamento. Ruby era a capo del gruppo e cadde a terra sul
ginocchio
sinistro. Tutti lo videro digrignare i denti per trattenere le lacrime.
Red
abbracciò Yellow cercando di risparmiarle lo spettacolo. Sapphire rimase
immobile come una statua mentre perdeva colore. Tutti gli altri
cercarono di
socchiudere gli occhi e di guardare altrove.
Davanti
al
Campione di Hoenn che era sopravvissuto, ferro e cemento: la prima parte
degli spalti tutta sgretolata. E in mezzo alle macerie, il corpo esanime
di
Emerald.
Alcuni
si
permisero di lasciar scorrere alcune lacrime. Altri non si concessero
tale
privilegio. Nella quiete generale spezzata dai soli singhiozzi e dal
cadere
della pioggia che si faceva sempre più forte, si levò un sibilo. Rapidi
come
jet, i due Pokémon Eoni comparvero nel cielo. Scesero in mezzo ai
Dexholder e
vegliarono sull’amico caduto. Per la prima volta tutti videro i due
scendere a
terra e smettere di levitare. E per alcuni minuti, il mondo si fermò.
Green
si
fece coraggio. Cominciò a spostare i ferracci che circondavano l’amico.
Red
lo imitò, tutti lo imitarono. Ruby si trovò a cercare di sollevare un
pannello
di metallo assieme a Gold. Ebbe il tempo di vedere il suo volto
straziato
seppur non rigato da alcuna lacrima. Mormorava qualcosa.
Si
avvicinò
meglio per sentire: ‒ stupido… stupido… stupido…
Crystal
tentò
di dare una mano restando in disparte. Il suo sguardo intercettò quello
di Ruby per un istante e subito si curvò altrove. Poi tornò su Ruby. Era
imbronciata
e nonostante fosse bagnata dal pianto e dalla pioggia, la sua rabbia
sembrava
tanto ribollente da far evaporare l’acqua.
Fuori
dallo
stadio, una cortina di persone si era lentamente raccolta: quasi tutti i
partecipanti al torneo e alcuni degli spettatori che non erano fuggiti.
In
prima fila davanti all’uscita, c’erano Corrado e Baldo, seguiti da tutti
gli
altri Capipalestra e da molti giovani Allenatori. La pioggia scendeva
debole ma
sembrava non volersi fermare.
All’uscita
dei
Dexholder, dal gruppo si levò un lamento accorato, tutti tenevano gli
occhi
sulle dieci persone che varcavano il cancello dello stadio ormai
distrutto. Due
di queste, tenevano dei corpi tra le braccia. Il primo era Red, che
reggeva un
esanime Mr. Mime. Il secondo era Green, che invece portava lo stesso
Emerald.
La folla si aprì per lasciarli passare. Tutti.
Videro
la
barcollante andatura di Ruby, i passi avanzati con le gambe e lo sguardo
nel
vuoto da un’assente Sapphire, la figura rigida di Crystal che sembrava
doversi
spezzare da un momento all’altro. E tutti dietro di loro, con la testa
bassa e
le braccia rigide lungo il corpo.
Dalla
folla
non si levava alcun rumore. Si udiva solo lo scalpiccio delle scarpe dei
presenti sul terreno bagnato.
Lino
intercettò
Ruby e cominciò a camminargli accanto. Tentò di parlare: ‒ L’avete…?
‒
È morto ‒ lo interruppe il ragazzo. ‒ Rayquaza è morto.
E
anche tra i due cadde il silenzio, Lino si fermò rimanendo indietro e
tenendo
gli occhi sull’amico che si allontanava sempre più. In mezzo alla folla,
inizio
a diffondersi un brusio.
‒
È morto, ha detto che è morto…
‒
Lo hanno sconfitto.
‒
Un Pokémon leggendario è stato ucciso…
Così
come
erano comparsi sotto gli occhi dei presenti, tutti i Dexholder
scomparvero. Nessuno disse nulla, nessuno fece nulla.
L’ambiente
era
afoso e odorava di disinfettante. Fuori il sole dava il massimo che quel
venticinque
giugno gli permettesse di dare al fine di perforare il suo impermeabile
di
nubi. La pioggia pareva essersi calmata, ma il cielo non accennava a
prendere
un colore che fosse diverso dal bianco. Tutti i Dexholder erano
nell’ospedale
Centrale di Vivalet, reduci da un giro di rapide visite che avevano
saggiato la
loro condizione fisica.
Red
picchiettava
fissava intensamente il suo bicchiere di caffè, mentre Yellow
stava in silenzio con la testa sulla sua spalla, Green teneva le braccia
conserte e sembrava star facendo la guardia a qualcosa, Blue non
parlava,
continuava a spalmare una pomata biancastra sul braccio destro che era
stato
colpito a bruciapelo da uno dei colpi di Rayquaza. Gold lanciava una
pallina da
tennis contro il muro, questa sbatteva contro il terreno per poi tornare
a lui,
Silver teneva un braccio attorno alle spalle di Crystal che era l’unica
ancora
in lacrime. Sulla soglia di quella stanza colma di grandi Allenatori,
Sapphire
sostava impietrita davanti al display del suo Poké Nav. Platinum fece il
suo
ingresso con discrezione e si posò il più possibile vicina alla ragazza
di
Hoenn. Ruby non c’era.
“…dell’ultima
vittima
di questo tragico evento, uno degli Allenatori più amati del torneo. Ha
infatti perso la vita nello scontro che ha permesso agli undici
Allenatori
Dexholder di sconfiggere Rayquaza, Emerald…” Gold aveva smesso di
giocare con
la pallina e aveva acceso il televisore.
“…l’Holon
World
Stadium è stato completamente demolito nel corso del combattimento con
Rayquaza…” il ragazzo aveva cambiato canale.
“…si
sono
fatti accertamenti sulle condizioni del dragone che risulta essere
clinicamente deceduto. Il suo corpo è stato portato nel centro di
ricerca
Pokémon globale di Vivalet, dove sarò studiato e…” altro canale ancora.
“…sembra
che
intanto tutta Hoenn sia stata scossa da un debole sciame sismico. Non
sembrano esserci stati morti né danni ingenti, tralasciando il crollo di
alcuni
vecchi edifici disabitati di Forestopoli…”
‒
Fermo ‒ mormorò qualcuno intercettando Gold che era già pronto a
cambiare di
nuovo canale.
Tutti
si
voltarono verso colui che aveva alzato la propria voce. Era Ruby che
sembrava essere appena apparso sulla porta, proprio accanto ad
un’immobile
Sapphire.
“…pare
inoltre
che le scosse sismiche abbiano causato un forte movimento dei mari
sommergendo completamente Ciclamare e costringendo gli abitanti della
periferia
di Bluruvia ad evacuare dalle loro abitazioni. Intanto, in rete, già
circolano
voci a proposito di una presunta connessione di questo evento
inaspettato con
la morte di Rayquaza. Linea allo studio per il servizio in diretta sulle
macerie
di Vivalet” terminò la anchorwoman.
‒
Ruby, non succede niente a Hoenn, vero? ‒ chiese Green senza un filo di
emozione nella voce.
‒
No, sia Groudon che Kyogre sono addormentati ‒ rispose lui.
‒
Come lo sai?
‒
Lo so.
Gli
occhi
verdi del Capopalestra di Smeraldopoli fissavano quelli color brace del
Campione-Idol di Hoenn.
‒
Lo so e basta ‒ ribadì Ruby.
Il
ragazzo
girò i tacchi e fece per andarsene.
‒
Sapevi anche che saresti stato capace di fermare Rayquaza… ‒ mormorò
Sapphire
sentendolo passare accanto a lei. ‒ …e che non ti sarebbe servito il
nostro
aiuto… ‒ proseguì. ‒ …ma prima ancora sapevi che quel mostro avrebbe
attaccato.
Ora dimmi perché l’unica tua certezza fondata doveva proprio essere
quella
relativa a questa catastrofe! ‒ gridò.
E
tutti tacquero. Sapphire stringeva i pugni, Ruby era immobile e non
lasciava
trapelare alcuna sensazione dal suo sguardo.
‒
Ruby, che cosa ci stai nascondendo? ‒ Silver chiari in una domanda il
dubbio di
tutti.
L’interrogatorio
cadde,
la tensione non accennava a distendersi ma l’enfasi sì, man mano che i
secondi passavano senza un responso da parte del ragazzo.
‒
Rubin Harmonia? ‒ chiese un medico materializzandosi appena oltre la
porta.
Il
ragazzo
annuì dando ascolto all’uomo in camice.
‒
Prego, venga con me, abbiamo i risultati delle analisi ‒ e sfruttando
l’occasione, il Campione di Hoenn uscì di scena.
Una
nuova
quiete cadde tra i Dexholder. Quasi tutti si mordevano le labbra per
essersi fatti sfuggire in tal modo la loro preda.
‒
È colpa sua ‒ sbottò Gold lanciando il telecomando che aveva in mano. ‒
ci
nasconde qualcosa di vitale, non può continuare a farlo.
Gli
sguardi
di tutti andarono al terreno. Tranne quelli di Crystal.
‒
No, non può ‒ mormorò la Catcher rompendo il suo pianto e stupendo
tutti. ‒ E deve
pagare… ‒ i suoi occhi erano gonfi e le sue parole suonavano taglienti.
Sapphire
abbandonò
quella stanza. Riuscì con non poca difficoltà a trovare l’uscita
dell’ospedale e si fece forza per l’ultima volta. Il numero era già
stato digitato,
lei premette il tasto chiamata.
Dopo
due
squilli, la voce di Birch rispose dall’altro capo della linea.
‒
Sapphire, stai bene! Grazie a Dio, piccola…
‒
Sì, papà, per me è tutto ok. Scusa se non ho potuto rispondere alle
altre
chiamate…
‒
Non preoccuparti, sto vedendo tutto ora in tv.
Silenzio.
‒
È incredibile, vero? ‒ riprese il professore.
‒
Sì, lo è…
‒
Povero ragazzo, Emerald.
Sapphire
si
lasciò sfuggire un singhiozzo. ‒ Non meritava di finire così…
‒
Io… lo so, piccola… cos’è successo di preciso? Scusami, ma i servizi del
telegiornale non sono abbastanza…
‒
Ruby era l’unico in grado di fermare Rayquaza ‒ lo interruppe lei. ‒
Emerald si
è sacrificato per lui, perché Ruby ne uscisse vivo, è rimasto sotto le
macerie.
‒
Mio Dio…
‒
Ruby aveva le sfere, Ruby sapeva tutto.
‒
Che cosa dici? Davvero? ‒ domandò il prof.
‒
Sì, e continua a non dirci niente.
Birch
sospirò.
‒ Quel ragazzo è così cambiato…
Entrambi
lasciarono
la parola all’altro.
‒
Siamo riusciti a raccogliere il Pokédex di Emerald, il disco interno è
ancora
intatto, vuoi che te lo invii?
‒
Oh, ehm… sì, grazie…
‒
Lo mando subito, poi ho intenzione di rimanere qui a dare una mano.
‒
Va bene, sii forte, piccola.
‒
Sempre. Ciao papà.
E
la ragazza riagganciò. Atona, vuota, la sua voce. Sapphire riprese a
respirare
dopo aver prolungato la sua apnea per tutta la durata della chiamata. Si
rese
conto di non aver chiesto a suo padre come stesse dopo quella scossa
passata su
Hoenn, di non aver neanche domandato il suo parere circa la sua
permanenza a
Holon e di non avergli neanche dato altre parole di conforto. Quell’uomo
aveva
rischiato di perdere sua figlia e aveva perso uno dei suo dei suoi
Dexholder.
Si sentì una figlia modello, in quel momento.
All’interno
della
tasca posteriore aveva davvero la scheda di memoria del Pokédex di
Emerald. Una placchetta magnetizzata targata Devon, col blasone di Hoenn
e il
numero tre in cifre romane scritto sopra. Poi, lungo il fianco, una
sottile
scritta evidentemente aggiunta in seguito:
THE CALMER
Sapphire
tornò
dai suoi amici. Lungo il percorso gli sguardi la perquisivano da cima a
fondo, la studiavano, la esaminavano. I feriti, i medici, i visitatori.
Tutti
avevano gli occhi su di lei. Lei era una dei guerrieri che avevano
sconfitto il
dragone. La cosa non sembrava darle fastidio, anzi, probabilmente lei
neanche
se ne stava accorgendo. Il momento era particolare, l’ospedale era
frenetico,
ma i feriti più gravi erano stati già messi in sicurezza. Se le prime
fasi del
disastro erano ancora pregne di terrore e ansia, da quando Rayquaza era
stato
sconfitto la speranza era tornata ad illuminare gli animi. Le vittime
non
sarebbero mai tornate in vita, la città non si sarebbe ricostruita da
sola, ma
adesso tutti ricominciavano a guardare avanti.
‒
Hai parlato con il professore? ‒ domandò Gold non appena Sapphire si
rifece
viva.
‒
Sì, sto per spedirgli la scheda del Dex di Emerald ‒ rispose senza
entusiasmo.
‒
Vengo con te ‒ si invitò quello.
Tutti
lo
imitarono. Non un solo Dexholder rimase seduto al suo posto. Il gruppo
raggiunse compatto il Trasferitore della sala d’attesa dell’ospedale. Lì
fu
inserito nell’apposita porta la scheda di memoria e nella capsula vicina
le
cinque Poké Ball rimase che componevano il team di Emerald insieme al
defunto
Mr. Mime. Il computer elaborò mentre Sapphire inseriva le credenziali
per un
invio rapido al laboratorio del Professor Birch ad Albanova.
Un
debole
ronzio si diffuse nell’aria. Attorno alle Ball cominciò a calare un
lieve velo di luce celeste.
“Emerald,
nato
il trentuno maggio… residente a Porto Selcepoli…” mormorava la voce del
computer.
La
luce
aumentò di intensità, il ronzio cominciò a scomparire. Quando tutto si
concluse, le Poké Ball erano scomparse e la scheda di memoria era stata
svuotata. Nove Dexholder riuniti lì attorno, una nidiata di giornalisti
furtivi
dietro, Latios e Latias che, mascherati da esseri umani, assistevano in
lacrime, Ruby che osservava dalla distanza, nascosto dietro un angolo,
senza
comunque sfuggire agli obbiettivi di un paio di reporter più attenti. Un
Dexholder se n’era andato.
‒
Addio, Rald ‒ mormorò Sapphire.
Silenzio.
In
quel momento, c’era silenzio.
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Capitolo 9 *** Capitolo 4 - San Martino pt. 1 ***
Capitolo
4: San
martino pt. 1
Sapphire
uscì
fuori dall’ospedale. Aveva bisogno di una boccata d’aria. Aria pura.
Trovò
soltanto polvere. Aria pesante e satura, difficile da respirare,
difficile da
mandar giù.
Erano
le
prime ore della sera, il cielo cominciava a prendere una fievole tinta
rossastra, il sole a nascondersi dietro l’angolo dell’orizzonte. Il mare
era
calmo, i Wingull erano tornati a stridere. La zona transennata era stata
riaperta, almeno nei primi tratti. Operai a cavallo di macchine ed
escavatrici
avevano iniziato a lavorare sulle macerie. Appena fuori dal centro erano
state
allestite alcune piccole tendopoli per i pochi rimasti senza dimora.
Ormai non
vi era più bisogno di soccorso urgente, la situazione si stava
stabilizzando.
Gli aiuti arrivavano dalla buona volontà delle persone e dalla
solidarietà
delle altre regioni.
‒
Come stai? ‒ le domandò Blue comparendole alle spalle.
La
ragazza
sembrò quasi colta alla sprovvista.
‒
Momento di riflessione? ‒ provò ad indovinare la donna di Kanto.
‒
Figurati ‒ ribatté Sapphire infastidita.
‒
Non ricordavo fosse tanto brutto ‒ commentò Blue mentre guardava il
panorama di
distruzione.
‒
Cosa? Il disastro?
‒
No, il senso di impotenza.
Sapphire
prese
tempo.
‒
È qualcosa a cui devi abituarti, facciamo combattere i nostri Pokémon e
diventiamo famosi, ma non siamo niente in confronto a tutto questo…
basta tanto
così e neanche sappiamo reggerci in piedi sulle nostre gambe.
‒
Che filosofa… ‒ commentò Blue alzando le sopracciglia. ‒ Non avrei mai
sentito
dire certe cose alla vecchia Sapphire.
‒
Quale vecchia Sapphire?
‒
Quella che diceva quello che pensava senza tergiversare troppo attorno
al
nocciolo del discorso.
Sapphire
la
guardo storta.
‒
A cosa pensi? ‒ le chiese infine Blue.
‒
Penso dobbiamo capire cosa sta succedendo qui. Ruby si tiene i suoi
segreti per
sé e intanto la gente muore. Voglio arrivare al fondo di questa vicenda.
‒
Troppo facile, non siamo mica in un videogioco…
‒
Lo so ‒ Sapphire non riusciva a staccare gli occhi dalle macerie informi
che si
erano riversate sul terreno.
‒
Sembra di essere tornati indietro, vero?
‒
Sì, è tutto come prima.
‒
Qual è il tuo piano, allora?
Sapphire
si
morse il labbro. ‒ Non… non ne ho idea…
‒
Sapphire, ti prego, tu sei l’unica a conoscere abbastanza bene Ruby da
poterlo
convincere a spiegarci che cosa sta succedendo.
‒
No, io non lo conosco più.
Blue
sembrò
quasi intenzionata a schiaffeggiarla.
‒
Per favore, ragazza! Dacci una mano e smettila di comportarti come se
tutto il
male del mondo fosse stato riversato su di te! ‒ girò i tacchi e se ne
andò via
scalciando un qualche pezzo di metallo rimasto a terra.
Sapphire
non
ebbe la forza di reagire. Non si aspettava quella violenta reazione, non
certo da Blue.
Si
voltò
a guardarla mentre affondava furiosamente i passi lontano da lei. Era
sotto stress e parecchio stremata, la capiva. Decise di seguirla.
Red
uscì
fuori dall’ufficio del primario. Aveva gli occhi sbarrati e stringeva in
mano una cartella di colore giallastro. Si appoggiò con le spalle al
muro,
sentiva che le gambe avrebbero ceduto da un momento all’altro. Trasse un
lungo
respiro. Niente, i polmoni sembravano rifiutarsi di accumulare anche
solo lo
stretto necessario di ossigeno di cui il suo corpo aveva bisogno. Aveva
la gola
secca e i muscoli privi di ogni energia. Non aveva alcuno dei suoi
Pokémon con
sé, e ringraziò il cielo, altrimenti la loro ansia e il loro nervosismo
avrebbe
messo ancora più alla prova la sua psiche.
Solamente
quando
l’ultimo brivido fu passato lungo la sua spina dorsale il suo cervello
tornò a ragionare. Mise la cartella del responso nella borsa, la nascose
bene.
Cercò il bagno più vicino.
Quando
entrò
il pungente tanfo sovrastato da un ancor più acre odore di disinfettante
gli penetrò nelle narici. Il Campione di Kanto impiegò numerosi lunghi
istanti
per capire se dovesse svuotarsi o no la vescica. Optò per il no. Passò
le mani
sotto uno dei rubinetti e questo attivandosi le irrigò con un forte
getto
d’acqua. Si buttò qualche manata di gelo liquido sul volto.
Si
guardò
allo specchio con il volto ancora fradicio e gli occhi vuoti che non
riuscivano ad uscire da quell’oblio in cui erano caduti.
“Sii
forte”
disse una voce nella sua testa.
Senza
rendersene
conto un singhiozzo era fuggiascamente uscito dalla sua gola. Red si
spaventò, non avrebbe dovuto piangere. Tuttavia, quando la pressione
cominciò a
salirgli lungo le guance fino a giungere ai suoi occhi, non poté
trattenere una
smorfia di disgusto.
La
sua
bocca si aprì e le sue corde vocali cominciarono a vibrare. Sputò fuori
dai
polmoni tutta l’aria che essi contenevano.
Gridò.
Non
curandosi di chi avrebbe potuto sentirlo. Gridò.
Cinque
minuti
dopo era fuori dal bagno. La camicia era a posto, i pantaloni sistemati
e si era persino pettinato i capelli con le mani. Il suo volto era
quello del
Red del giorno prima. Sorridente, calmo, maturo. In fin dei conti era
pur
sempre il Campione di Kanto.
Tornò
nella
sala d’attesa dove tutto il suo gruppo lo stava aspettando. Vide una
Blue
imbronciata e a braccia conserte che era seduta con la schiena
appoggiata alla
spalla di Green. Silver dal canto suo sembrava essere la sua fotocopia,
stessa
posizione, stesso sguardo. Crystal poco lontano da lui sedeva con tutti
i
muscoli tesi mentre fissava con odio viscerale la copertina di una
rivista, i
suoi occhi sembravano doverla perforare da un momento all’altro. E no,
non vi
era nessun Ruby in prima pagina, ma probabilmente quel giornalino era la
prima
cosa che il suo sguardo aveva trovato oltre il vuoto. Gold era lontano
che
conversava con Platinum nella maniera più sobria che gli avesse mai
visto fare.
Sapphire non c’era.
‒
Amore ‒ Yellow aprì le braccia andandogli incontro. ‒ È tutto ok?
Red
la
guardò dritta negli occhi. Pensò a quanto fosse bella e a quanto fosse
bello
baciare le sue labbra. Desiderò di urlare ancora.
‒
Sì, tutto ok ‒ rispose.
La
gente
scorreva attorno a loro: pazienti, medici, infermieri, visitatori. Red
sentiva solo il sangue pulsargli sulle tempie e il cuore battergli
talmente
forte da dargli l’idea di star per colpire Yellow. I due si staccarono.
Appena
in tempo perché Red intravedesse tra la folla, appena oltre la sua
ragazza, una
faccia conosciuta.
‒
Guarda chi è venuta a trovarci ‒ sussurrò a Yellow.
Quella voltandosi individuò
subito la faccia
di Misty tra la folla. Fece una smorfia che il ragazzo non poté vedere.
‒
Red! ‒ esclamò la Capopalestra di Celestopoli individuandolo.
Corse
dal
ragazzo e gli saltò tra le braccia. Yellow prese vistosamente le
distanze.
‒
Stai bene, state tutti bene ‒ trasse un sospiro di sollievo mandando lo
sguardo
anche a Green e gli altri.
Yellow
non
intervenne perché capiva sia che Misty poteva non sapere ciò che era
sbocciato tra lei e Red negli ultimi tempi sia che la ragazza fosse
rimasta
troppo tempo in ansia per un ragazzo di cui era sempre stata cotta.
Tuttavia,
non poteva negare che la sua espansività nei confronti del moro le desse
non
poco fastidio.
‒
Sì, grazie per essere venuta, noi siamo a posto ‒ le rispose Red.
Il
volto
della giovane si illuminò di un sorriso radioso che affondò
nell’abbracciò dell’amico. Poi quella luce sparì per un’istante.
‒
Mi dispiace per Emerald…
‒
Lo so.
E
Misty fu soltanto la prima di un interminabile processione di
Capipalestra e
amici dei Dexholder che si presentarono dentro quell’ospedale per dar
loro un
abbraccio, salutarli, accertarsi che stessero bene o solamente dirgli
grazie.
Pian piano la zona cominciò a riempirsi di parole e di traffico di
visitatori.
Nel
frattempo,
Sapphire era ancora fuori dall’ospedale. Camminava, sentiva ogni
singolo pezzo di cemento che passava sotto le sue sneakers, cercava di
far
scendere l’aria nei polmoni. L’ultima volta che la sua psiche era stata
sottoposta ad un trauma tanto forte lei aveva perso il quasi totale
utilizzo
delle corde vocali. Ricordava bene quei giorni, la settimana in cui
avevano
avuto a che fare con la pioggia di meteoriti. Lei e Ruby avevano
superato anche
quello, insieme.
‒
Che coraggio hai avuto ‒ esclamò una voce alle sue spalle.
Era
Alice,
Capopalestra di Forestopoli e un tempo sua istruttrice.
‒
Ciao, maestra ‒ la salutò Sapphire con un barlume di sorriso in volto.
Quella
scosse
la testa.
‒
Niente maestra, mi hai superata ormai da anni.
‒
Grazie.
Le
due
si strinsero in un maturo abbraccio. Sapphire era sinceramente felice di
vederla.
‒
Ho saputo di Emerald…
Quella
fievole
serenità che era comparsa nell’animo della ragazza fu smorzata
all’istante.
‒
Scusa… io… ‒ Alice se ne rese conto.
‒
Niente, va tutto bene, mi dispiace solamente che il suo sacrificio sia
stato
vano.
Alice
fece
una smorfia di disappunto: ‒ Che cosa intendi dire?
‒
Ecco… Ruby…
‒
Ruby sta bene, l’ho visto uscire dall’ospedale proprio pochi minuti fa,
sembrava di fretta.
Sapphire
cambiò
espressione: ‒ Ruby se ne sta andando?
‒
Sì, lui…
‒
Perdonami, Alice, ma ho un impegno importante ‒ Sapphire le voltò le
spalle.
Alice
fece
appena in tempo ad abbozzare una sorta di sorriso.
‒
Va bene, dolcezza, volevo dirti che sono contenta che tu stia bene. Hai
avuto
un gran fegato lassù.
‒
Grazie, davvero ‒ la ringraziò toccata.
Sapphire
cominciò
a correre. Avrebbe dovuto intercettare Ruby, era la priorità che quel
ragazzo rimanesse rintracciabile. Allo stato attuale vi era per lui la
situazione più comoda per andarsene, con le telecamere ancora impegnate
con i
servizi sulla catastrofe e poco dirette verso le star come loro.
‒
Tropius!
Il
Pokémon
Frutto spalancò le ali permettendole di salire a cavalcioni sulla sua
schiena. In quel momento ricordò il motivo per cui era debitrice alla
sua
insegnante: le tecniche di volo che aveva imparato da lei. Il rettile
salì di
quota dando a Sapphire una panoramica sulla situazione circostante. Ai
suoi
occhi balzò per prima la vista del gigantesco squarcio lasciato dal
colpo di
Rayquaza. Sembrava proprio una cicatrice che spezzava l’armonia di una
città
come Vivalet. Poi però tornò a concentrarsi. Vivere in mezzo alla natura
le
aveva fatto sviluppare dei sensi acutissimi, infatti individuò il Flygon
di
Ruby con in groppa il proprio Allenatore quasi immediatamente nonostante
avesse
raggiunto la quota di settecento metri da terra.
Sussurrò
un
ordine all’orecchio di Pilo e quest’ultimo ritirò le ali per scendere in
picchiata. Ruby si trovava poco lontano dall’ospedale, volava verso il
quartiere d’élite, dove probabilmente era l’hotel nel quale aveva
alloggiato
durante i giorni del torneo. Decise a che punto intercettarlo: appena
sopra un
vicoletto che sembrava abbastanza isolato da permetterle di strillare
contro
quel ragazzo senza problemi. Comunicò il piano d’azione al suo Pokémon e
questo
aggiustò la rotta.
L’aria
le
scompigliava i capelli e la costringeva a tenere gli occhi socchiusi,
calcolò la distanza che intercorreva tra Ruby e il terreno, il sibilo
del vento
la stava quasi assordando. Precisione millimetrica. Sapphire scese dal
suo
Tropius senza alcuna paura, mise un piede su Flygon, afferrò Ruby per la
collottola e lo tirò giù con sé verso il terreno. Certamente non era
miss
Delicatezza di Hoenn, lei. Il ragazzo finì a terra, strappandosi i
pantaloni,
lacerandosi la maglia e spaccandosi entrambe le lenti degli occhiali.
Sapphire,
atterrando con equilibrio da manuale, credette di vederlo perdere
qualche
goccia di sangue.
‒
Che cazzo ti salta in… ‒ provò a dire Ruby.
‒
Stammi a sentire, stronzo! ‒ Sapphire lo tirò su solo per gettarlo
addosso al
muro del vicolo. ‒ Dove credi di andare?
‒
Sapphire, tu sei fuori di testa…
‒
Esattamente, sono fuori di testa e ti conviene non farmi arrabbiare!
‒
Mi hai rovinato tutti i…
‒
Non me ne frega un cazzo! ‒ e gli assestò un ceffone che probabilmente
era
stato udito da tutto il quartiere.
Ruby
tacque.
Aveva il lato destro del volto completamente rosso e guardava la sua ex
amica con odio.
‒
Mettiamola così, la colpa è tua per tutto, per la morte di tutti quegli
innocenti, per la morte di Emerald e per la morte di Rayquaza, mi
capisci? ‒ e
lo spinse una seconda volta contro il muro. ‒ Ma dato che sapevi tutto
questo
prima che accadesse allora io pretendo il tuo aiuto che è il minimo che
tu
possa darmi dopo quello che hai combinato, ok? ‒ e lo prese ancora per
la
maglia cercando di essere più minacciosa possibile.
Ruby
girò
di novanta gradi, e Sapphire con lui, giusto per non avere più le spalle
al muro.
‒
Dopo che avremo risolto questa faccenda per me puoi anche andare a farti
fottere.
Ruby
sembrò
accusare la cosa: ‒ Cerchiamo di darci una calmata… ‒ mormorò provando a
togliersi di dosso le mani della ragazza.
‒
Ah! ‒ esclamò quella scaraventandolo via da sé. Il suo tocco era stato
rovente.
Ruby
inciampò
su uno scatolone che era a terra e fini addosso ad una recinzione. La
sua schiena affondò in un groviglio di filo spinato arrugginito e,
cacciando un
urlo, il ragazzo si contorse e finì a terra in mezzo ad una pozza
formata dal
suo sangue misto al lerciume che c’era a terra.
‒
Oh cazzo! ‒ esclamò Sapphire rendendosi finalmente conto di aver a che
fare con
un essere umano fatto di carne.
‒
Sapphire, porca miseria ‒ Ruby sbatté un pugno a terra. Era ancora vivo
e
cosciente.
La
ragazza
provò ad andargli incontro per fare qualcosa, ma di nuovo, toccandolo,
ottenne solo di scottarsi la mano come se l’avesse posata su un vassoio
appena
uscito da un forno. Si ritirò emettendo un gemito.
E
quasi si rifiutò di credere a ciò che si manifestò davanti a lei. La
sofferenza
scomparve sostituita dallo stupore.
Dalla
schiena
di Ruby si levò un lieve odore di carne bruciata. La sua pelle emise lo
sfrigolio di un pezzo di metallo rovente immerso nell’acqua. Del vapore
avvolse
la sua figura dolorante e ansimante a terra.
Ruby
tremava
e sembrava star soffrendo parecchio.
Poi,
davanti
agli occhi esterrefatti di Sapphire, le sue ferite si cauterizzarono
all’istante e il suo sangue smise di uscire. Tutti i graffi e i tagli
che Ruby
aveva sul suo corpo si chiusero. Al loro posto, complessi disegni
formati da
linee rosse e blu si aprirono un solco nella sua schiena.
Quando
il
processo terminò, Ruby smise di respirare a fatica, e si rialzò davanti
ad
una quasi terrorizzata Sapphire.
‒
Che diavolo è appena successo? ‒ domandò lei.
Ruby
testò
alcuni movimenti per saggiare che tutto fosse a posto.
‒
Questo è Groudon ‒ rispose solo. ‒ le Gemme hanno diversi effetti sul
mio
corpo, tra cui la possibilità di sistemarmi le ferite con il fuoco.
‒
Stai scherzando? ‒ fece incredula Sapphire.
‒
Che cosa hai appena visto?
La
ragazza
non rispose.
Ruby
annuì:
‒ Ora che ti sei calmata… la risposta è no.
Sapphire
fece
un rewind mentale per tornare alla rabbia di istanti prima. Evitò
stavolta
di mettere le mani addosso al ragazzo, ma gli urlò comunque in faccia: ‒
Vuoi
prendermi in giro? Ruby, sono morte delle persone!
‒
E né io né tu possiamo resuscitarle! ‒ rispose lui.
Ruby
tolse
la maglia ridotta a brandelli. Sapphire ebbe appena il tempo di vedere
tutto il corpo snello di Ruby coperto centimetro per centimetro da linee
e
disegni rossi e blu prima che questo prendesse dalla borsa che era
rimasta sul suo
Pokémon una maglietta nuova. La ragazza fece finta di niente, doveva
fissarsi
in testa che Ruby non fosse una vittima della situazione.
‒
Senti, mi dispiace e sì, lo sento il bruciante senso di colpa se proprio
vuoi
saperlo ‒ proseguì il ragazzo. ‒ Ma ora non possiamo fare più niente e
peggioreremo solo la situazione se io non mi affretto ad andarmene ‒
fece per
tornare su Flygon.
Sapphire
tornò
definitivamente in sé. ‒ Non posso lasciartelo fare ‒ mormorò. ‒ Ruby,
ti
prego.
Il
ragazzo
mise il paio d’occhiali di riserva che teneva nello zaino. Questi
avevano una montatura meno alla moda e delle lenti più spesse. ‒ No.
E
Flygon spiccò il volo in una frazione di secondo, tanto veloce da dare
quasi
alla ragazza l’impressione averlo visto scomparire.
‒
Stronzo! ‒ esclamò lei stridula.
Il
suo
Tropius era apparso dietro di lei qualche istante prima. Pure lei fu
rapida
a tornare in volo. Non vide alcun Flygon nei dintorni. Guardò meglio.
‒
Eccoti… ‒ mormorò individuando un supersonico Latios che volava come una
freccia fendendo le nuvole al suo passaggio. La ragazza sapeva bene che
se era
presente Latios, nei dintorni avrebbe trovato pure sua sorella. ‒
Latias!
Latias, dove sei? ‒ esclamò a voce altissima.
Timidamente,
si
mostrò a lei una figura rossa e bianca. La dragonessa aveva gli occhi
lucidi.
‒
Riesci a stare dietro a tuo fratello? ‒ chiese saltandole in groppa e
facendo
rientrare Pilo.
Quella
fece
una smorfia. Era restia, non voleva muoversi.
‒
Ti è stato detto di non ascoltarmi… non è vero?
Quella
abbassò
il capo.
‒
Per favore, Ruby te lo ha detto per non farsi seguire, io invece voglio
solo
trovare colui che ha ucciso Rald ‒ alla pronuncia del suo nome, lo
sguardo di
Latias si rinvigorì. ‒ Per favore…
Il
Pokémon
Eone prese la sua decisione, si mise in posizione per dare il tempo a
Sapphire di assicurarsi al suo corpo. E in meno di un millesimo di
secondo
aveva raggiunto una velocità tale da far tornare Ruby visibile agli
occhi della
ragazza.
‒
Eccolo! ‒ esclamò Sapphire. ‒ Dobbiamo prenderlo!
Latias
spinse
di più. La sua forma aerodinamica passava attraverso l’aria con estrema
facilità, l’Allenatrice che la guidava si era posizionata più aderente
possibile a lei in modo tale da non opporre resistenza. “Trovare chi ha ucciso Rald”. Quello stava pensando, quel pensiero
la alimentava.
E
in un blitz temporale si ritrovò a pari merito con suo fratello Latios
che in
groppa stava portando Ruby.
‒
Ruby devi fermarti! ‒ esclamò Sapphire.
Il
ragazzo
si mostrò infastidito dalla sua veemenza.
‒
Te lo sto chiedendo come vecchia amica, per favore!
‒
Un po’ difficile chiamare vecchia amica una che fino a poco fa mi ha
gettato
giù dal mio Pokémon per picchiarmi! ‒ ribatté lui.
‒
Andiamo, da quando sono io quella che si è comportata di merda tra noi
due?!
Lui
non
rispose.
Allora
parlò
Latias, che emise il suo acuto verso nell’intento di comunicare con suo
fratello. Disse qualcosa. Sapphire comprese che gli stava comunicando le
sue
intenzioni, allora la esortò a continuare. La ragazza vide Latios aprire
gli
occhi, ragionare. La sua espressione era quasi confusa. Ma il buon senso
e la
fiducia ebbero la meglio, il dragone rallentò. Ruby si trovò immobile a
mezz’aria di fronte a Sapphire.
‒
Digli di scendere ‒ intimò lei a Latias.
Quella
provvide.
Pochi secondi e tutti e due gli Allenatori di Hoenn erano sul tetto
di una casa circondati dai mansueti fratelli Eone.
‒
Ruby, per favore, se non vuoi ascoltare me almeno ascolta tutti gli
altri:
Green, Yellow, Crystal… abbiamo tutti bisogno di sapere che cosa sta
succedendo.
‒
Sapphire, devo mantenere il silenzio per la sicurezza di tutti!
‒
Nessuno saprà che ci hai rivelato queste cose.
‒
Sì, sono sicuro che saranno proprio le persone sbagliate quelle che
verranno a
saperlo.
‒
Ruby, ti prego ‒ Sapphire parlava col vento sulla pelle e la luce del
tramonto
riflessa sui suoi capelli. ‒ Non posso chiedertelo da amica, voglio
chiedertelo
come pagamento per avermi fatto passare i due anni più brutti della mia
vita ‒
il suo sguardo era duro, i suoi occhi umidi.
Ruby
trasse
un lungo e profondo respiro. Si mise le mani tra i capelli e chiuse gli
occhi. ‒ Va bene… ‒ lo disse quasi senza voce.
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Capitolo 10 *** Capitolo 4 - San Martino pt. 2 ***
Capitolo
4: San
Martino pt. 2
Ruby
tacque
e si sedette sul bordo del tetto, i piedi nel vuoto e le mani sulle
tegole. Di fronte a lui solo la città tinta dall’arancione del tramonto
e
ancora più lontano la linea in cui il cielo si gettava nel mare.
Sapphire lo
imitò sedendosi accanto a lui.
‒
Ti sto per dare delle informazioni molto importanti ‒ puntualizzò il
ragazzo.
‒
Lo capisco ‒ assicurò Sapphire.
Ruby
prese
ancora fiato. ‒ È stato un uomo che tu conosci bene ad organizzare
questo
attacco: Zachary Edward Roland… ‒ il ragazzo scandì ogni singola parola.
‒
Zero, il Campione di Holon, avrebbe organizzato una strage nella sua
capitale?
‒
No, cioè… sì. Lui è fuori di testa, non so per quale motivo lo abbia
fatto ma
so che non ha scrupoli, ricordi quel Zero che hai incontrato alla
Terrazza?
Sapphire
annuì.
‒
Quello non è Zero, lui è senza pietà e non si fa problemi davanti a
nulla. Ho
saputo di Rayquaza perché ho avuto una soffiata da una persona molto
vicina a
Zero, diceva che uno dei suoi Superquattro, partito alla ricerca della
Gemma
Verde, era riuscito nella sua impresa. Nel momento immediatamente
successivo a
questo ritrovamento, Zero ha fatto richiesta alla Federazione per
organizzare
una prossima edizione del Torneo Internazionale qui ad Holon. Ha fatto
costruire l’Holon World Stadium per l’occasione, non ha badato a spese.
Non
poteva essere una coincidenza.
Sapphire
non
parlava, si limitava ad ascoltare con la bocca semiaperta e gli occhi
fissi
sul volto contrito di Ruby che invece preferiva guardare il tramonto.
‒
Quando l’ho saputo, ho deciso di ritrovare le altre due gemme per
contrastare
il potere di Rayquaza dandone a te una per tenermi al sicuro fino a quel
momento.
‒
Aspetta, Ruby, a proposito di questa
soffiata
venuta da una persona molto vicina
a Zero…
stai parlando di Rocco, vero?
Ruby
annuì
desolato.
‒
Siete ancora in buoni rapporti? Dopo quello che gli hai…
‒
Io non gli ho fatto niente! ‒ Ruby non poté trattenersi. ‒ Ha deciso lui
di
andarsene, io non l’ho mai cacciato via. È stato come la prima volta,
con
Adriano.
‒
Rocco credeva in quella Lega, e la Lega credeva in lui. Era sicuramente
il
miglior Campione che Hoenn avesse mai avuto.
‒
Credi che mi faccia piacere sentirti dire queste cose?
‒
Credi che mi faccia piacere vedere il ragazzo… il mio vecchio miglior
amico che
prende in mano la mia casa e la trasforma in una trasmissione
televisiva?
‒
Senti, sai che ti dico, lascia stare, ti ho detto quello che volevi
sapere e
adesso posso andarmene ‒ il ragazzo scattò in piedi.
‒
Sì, vattene, vattene ancora una volta!
Il
ragazzo
fingeva di non sentirla, prese la Poké Ball di Flygon e si preparò a
tornare in volo.
‒
Pensavo che sarebbe cambiato qualcosa se ti avessi spinto a parlare,
pensavo
che avresti finalmente chiarito il perché di questi due anni in cui per
me non
sei rimasto altro che un posto vuoto!
Ruby
ebbe
un sussulto. Le parole di Sapphire sembravano averlo colpito dritto
nello
stomaco trafiggendolo a morte. Per qualche istante gli mancò il respiro.
‒
Beh, forse ti sbagliavi…
‒
Certo che mi sbagliavo. Ma grazie, comunque, avevo proprio bisogno di
togliermi
questo dubbio, sai, mi impediva di dimenticarti… ‒ Sapphire fu truce.
Ruby
sembrò
avere un mancamento. I suoi muscoli si ammorbidirono e il suo respiro
affannoso si fece inesistente. Non riuscì a far uscire Flygon e per poco
non
fece cadere anche la Ball a terra.
‒
Non avevo altra scelta ‒ mormorò con un filo di voce.
‒
In che senso? ‒ domandò Sapphire.
‒
Dovevo farlo per forza ‒ continuò.
‒
Si ha sempre una scelta, chi ti ha obbligato?
Ruby
si
voltò. Il suo volto era contratto in una smorfia di dolore e dava l’idea
di
dover scoppiare a piangere da un momento all’altro. ‒ Io detesto quello
che sto
facendo, io odio la Hoenn che mi hanno costretto a creare, ma era
l’unica
speranza per tenere vivi tutti voi…
La
rabbia
di Sapphire sembrò sciogliersi appena.
‒
Qualcuno che non posso sconfiggere ‒ e, chiamato Flygon, gli saltò in
groppa e
volò via.
Sapphire
rimase
lì, immobile, per dei secondi interminabili. Nella sua testa molti fili
si ricollegarono, alcune vicende presero un'altra forma. Le venne in
mente il
temerario pensiero di inseguirlo in groppa ad un Pokémon Eone, ma la
ragione
ebbe la meglio e decise di lasciarlo da solo. Lo fissò sparire nel cielo
volando via alla massima velocità, chino sul proprio Pokémon.
‒
Buonanotte, ragazzi… ‒ salutò Platinum.
Quasi
tutto
il gruppo le rispose, lei se ne andò con la stessa espressione
sconsolata
di tutti sul volto.
Tutti
i
Dexholder erano ancora nella sala dell’ospedale. Stavano aspettando i
responsi delle analisi degli ultimi due di loro e avevano perso un po’
di tempo
per parlare con quei due giornalisti che si erano avvicinati attratti
dal
gruppetto di persone che si era formato con l’affluire dei visitatori.
‒
Penso che anche io e Yellow ce ne andremo ‒ mormorò Red.
‒
Io ho bisogno di bere ‒ fece poi Crystal alzandosi.
‒
Ti faccio compagnia ‒ si propose Blue.
I
quattro designati lasciarono la situazione.
Per
qualche
istante, esclusi i bip delle macchine e lo scalpiccio dei mocassini
degli infermieri sul pavimento lucido, regnò il silenzio.
Poi
dopo
poco giunsero in una busta pure i fogli destinati a Silver, questo
saggiò quello
che era sicuro essere un responso rassicurante, prese e se ne andò.
‒
Green, ho bisogno del tuo aiuto ‒ mormorò Gold dopo un po’.
‒
Ah, è per questo che sei rimasto.
‒
Ho una pista.
Il
Capopalestra
di Smeraldopoli fece capire con lo sguardo di essere interessato.
‒
Platinum Berlitz mi ha rivelato che in un laboratorio di Hoenn,
precisamente
quello in cui Rayquaza era contenuto tanti anni fa, un team di
scienziati
finanziati dalla sua famiglia ha creato la Gemma Verde, una pietra
capace di
controllare approssimativamente quel leggendario. Il terrorista potrebbe
avere
utilizzato quella per attaccare Vivalet. Se noi potessimo tornare lì e
riattivare quei macchinari c’è la possibilità che riusciamo ad ottenere
più
informazioni, o nel migliore dei casi a tracciarla ‒ spiegò il ragazzo.
Green
non
lo aveva mai visto così serio. Lo trovava inquietante, a dire il vero.
‒
Va bene, e perché ti servirebbe il mio aiuto?
Gold
indicò
la sua cintura. ‒ Porygon-Z, il laboratorio ora è un rudere, sia che
ritroviamo lì un computer che possa esserci utile, sia che dobbiamo
cercarlo
per conto nostro, allora avremo bisogno dei suoi poteri.
Green
diede
cenno di aver capito.
‒
Partiamo domani, all’alba, lasceremo un messaggio agli altri.
‒
Perché tutta questa fretta?
Gold
non
rispose e si limito ad assecondare il suo sguardo.
Green
in
un certo senso lo capiva. Tutti erano rimasti sconvolti, in particolar
modo
lui, Sapphire e Crystal. La ragazza di Hoenn era scomparsa da quel
pomeriggio,
Crystal si stava ubriacando con qualche alcolico di bassa lega da
qualche parte
lì attorno e Gold aveva deciso di condividere con lui uno dei suoi folli
piani
solitari. Non lo aveva mai visto così scosso e così poco… Gold.
‒
Va bene, vado a preparare i bagagli ‒ il Capopalestra si alzò in piedi e
si
avviò per la sua strada. Un medico lo intercettò in mezzo alla gente per
dargli
i risultati delle sue analisi. Per fortuna, lui se n’era dimenticato.
Evidentemente il piano di Gold aveva conquistato un piano di rilievo
nella sua
tabella dei pensieri. Chissà se era un bene o un male.
E,
alla
fine, pure Gold si decise ad andarsene.
Sapphire
trasse
un lungo sospiro di desolazione.
Dopo
esser
tornata all’ospedale, non riuscendo a trovare nessuno, si era messa a
cercare i suoi amici. Era venuto fuori, dalla testimonianza di Green che
era
stato l’unico che si fosse degnato di risponderle al PokéNav, che erano
già
andati tutti via da parecchio. E l’uomo le aveva detto che mentre
Yellow, Red,
lui, Silver e Gold erano tornati in stanza, Crystal e Blue si trovavano
sicuramente nel bar più vicino.
E
sì, le aveva trovate. In una bettola dal tanfo disumano ancora aperta
per
chissà quale grazia divina. Crystal era stravolta su un tavolino,
ubriaca
lercia, Blue sedeva accanto a lei con i capelli ridotti ad un disastro e
numerosi graffi sulle guance e sulle braccia.
Sapphire
entrò
nel locale.
‒
Ehi, è la serata delle star, questa ‒ commentò il barman vedendo entrare
la
terza celebrità nell’arco di poco meno di un’ora. ‒ Signorina Birch, si
lasci
offrire un brandy ‒ era un uomo di mezza età con un sorriso che si
apriva la
strada a colpi di zappa in mezzo alla sua faccia rugosa e ispida.
‒
Non sono qui per bere, ma per riprendere loro ‒ disse serissima
guardando quei
due cadaveri che sembravano le sue amiche.
‒
Mh, lei ha iniziato tracannando whiskey e non si è più fermata ‒
indicava
Crystal. ‒ poi quando un ragazzo ha cercato di portarla con sé in bagno,
la sua
amica che era ancora lucida ha fatto di tutto per impedirle di seguirlo.
Ed è stato
così che si è ridotta ad un cencio. La scena si è ripetuta un paio di
volte e
lei continuava a dirle di rimanere a bere finché tutte e due non hanno
iniziato
a fare talmente tanto schifo da risultare repellenti pure per Gregory ‒
e con
lo sguardo si rivolse ad un ometto dal pancione prominente che, seduto
al
bancone proprio lì accanto, scrutava il suo triplo rum vacuamente,
sembrava
dover vomitare da un momento all’altro.
‒
Che schifo… ‒ commentò Sapphire esterrefatta. ‒ Le porto via, quanto ti
devo? ‒
chiese mettendo mano al suo portafogli.
‒
Figurati, ragazza, se non fosse per voi tutta Vivalet non sarebbe qui ‒
rispose
quello lucidando un bicchiere.
Sapphire
annuì
e sorrise, grata.
A
sentire quelle parole, Gregory sembrò svegliarsi da quel coma profondo.
Il
beone le rivolse lo sguardo confuso e cercò di mettere a fuoco il suo
volto.
‒
Ma tu eri lì quando quel mostro è stato fermato ‒ singhiozzò con la sua
voce
gracchiante.
Sapphire
accennò
un sì.
Quello
cominciò
gradualmente a ridere. ‒ Ah, abbiamo un’eroina stasera a bere qui con
noi! ‒ esclamò facendo sussultare tutto il bar.
Sapphire
era
a disagio.
‒
Dai, ragazzi, guardatela, è proprio qui… cioè, è proprio lei!
Pian
piano,
tutti i bevitori che quella sera si erano rifugiati in quel locale
disgustoso, cominciarono ad alzare la testa dal tavolo e dai loro
bicchieri. E
Sapphire dedusse che all’entrata delle sue due amiche tutti dovevano
essere
molto distratti, perché qualcuno cominciò pure ad additare Blue e
Crystal come
se le vedesse per la prima volta. Tra la folla si levavano cose come “ma sono proprio loro”, “guardale,
da quanto
sono qui?”, o “dici che
quella con
gli occhi azzurri si lascia offrire da bere?”. E tutti i clienti
cominciarono a riconoscerle e ad alzare le voci nei loro confronti.
Poi,
accadde
l’inaspettato: da un angolo nascosto del bar partì un cadenzato battito
di mani. Risuonarono da soli i primi timidi clap,
ma ben presto tutti seguirono la corrente e un copioso applauso si
riversò
sulle tre Dexholder, due delle quali erano troppo sfatte per rendersene
conto.
Qualcuno alzò delle grida, alcuni fischiarono. Quando la loro identità
era
saltata all’occhio di tutti, subito la gratitudine del popolo era
esplosa dalla
folla.
‒
È per te? ‒ chiese Blue ad una Sapphire che si rese conto in quel
momento che
la sua amica era sveglia.
‒
No ‒ rispose Sapphire. ‒ è per noi.
La
vide
sorridere, anche se annebbiata dai fumi dell’alcool. ‒ Dobbiamo tornare?
‒
Se riesci a camminare…
‒
Certo che ci riesco, ma portare Crystal sarà compito tuo.
‒
Va bene ‒ rispose lei guardando quello straccio penoso che era la sua
amica. Da
quello che il barman aveva raccontato, quella non era stata una delle
sue
serate migliori.
‒
Oh, Sapphire ‒ proseguì Blue. ‒ Non ho permesso a nessuno di toccarla ‒
disse
indicando l’amica di Johto.
La
ragazza
cercò di dare una ricomposta a Crystal, nel farlo passò una mano sui
suoi leggins trovandoli tutti lacerati e strappati in corrispondenza
dell’inguine. Impiegò un po’ per decidere se essere crudele o delicata
con Blue
‒ Sei stata brava ‒ le rispose poi. Delicata.
E
le tre ragazze tornarono all’hotel, Sapphire si caricò per tutto il
percorso il
corpo annichilito di Crystal mentre Blue la seguiva barcollando e
inciampando
ad ogni marciapiede. In qualche modo, la Dexholder di Hoenn trovò la via
per
rimetterle entrambe a letto e, verso un orario che non si concedeva
neanche
durante il resto dell’anno, andò a dormire.
“Knock-knock”
‒ Silver!
“Knock-knock”
Il
fulvo
aprì gli occhi lentamente. Scosse la testa che gli sembrava essere
avvolta
in una fitta nebbia. In mano aveva ancora la bottiglia di Jack Daniel’s
vuotata
la sera prima. La sua stanza era meno ordinata del solito, lui aveva
addosso un
paio di boxer e una maglia bisunta. Si alzò dal letto, aveva dormito
veramente
poco.
‒
Silver! ‒ chiamò ancora la voce da fuori la porta.
E
subito il ragazzo ricordò come mai fosse sveglio. Gettò la bottiglia nel
cestino, nascose quei pochi panni sporchi che aveva lasciato sulla
poltrona,
mise un paio di bermuda decenti. Fuori dalla porta della sua stanza
trovò una
preoccupatissima Yellow.
‒
Che diavolo succede? ‒ domandò scazzato.
‒
Green e Gold sono spariti! ‒ espose quella frenetica.
Silver
guardò
l’orario: le otto e ventidue. ‒ E questa novità valeva la levataccia? ‒
chiese sarcastico tentando di chiuderle la porta in faccia.
‒
Ascoltami! ‒ lo bloccò lei. ‒ Sil, che diavolo avranno in mente quei
due?
Il
fulvo
la guardò. Era ancora scossa, probabilmente non riusciva a capirla
perché
per lui l’alcool aveva certamente contribuito a digerire la situazione.
Per lei
no, a quanto ne sapesse. Fece un esame di coscienza e chiese: ‒ Red?
‒
È in stanza, lo chiamo?
Silver
annuì:
‒ chiama tutti.
Cinque
minuti
dopo, Yellow aveva già riunito l’intera squadra dei Dexholder rimasti
attorno al tavolino nella terrazza dell’ultimo piano. In qualche modo
aveva
lanciato giù dal letto pure Crystal e Blue che all’inizio non volevano
saperne
nemmeno di aprire gli occhi.
‒
Come vi ho detto, Green e Gold sono spariti stamattina, dobbiamo cercare
di
capire che cosa potrebbero avere in mente ‒ esordì la bionda che sedeva
accanto
al suo ragazzo.
Blue
si
stropicciava gli occhi e Crystal aveva la faccia spiaccicata contro il
tavolo, Silver sgranocchiava del pane tostato e Sapphire controllava il
PokéNav. Attirò l’attenzione di tutti quando incontrò un messaggio che
reputò
importante.
‒
È di Green ‒ disse. ‒ “io e Gold
stiamo
cercando una roba, speriamo di riuscire a portare a termine qualcosa
di utile,
siamo a Hoenn” ‒ citò.
Tutti
tacquero.
‒
Tutto qui? ‒ domandò Yellow.
Ognuno
dei
presenti aprì il proprio terminale. Ovviamente ognuno dei presenti aveva
ricevuto lo stesso messaggio.
‒
Direi niente panico, quindi? ‒ propose Sapphire.
Ci
fu
un debole e viziato consenso generale. Qualcuno guardò male Yellow per
essersi preoccupata per un nonnulla.
‒
Io invece devo parlarvi di una cosa importante ‒ prese in mano il
discorso la
castana di Hoenn. ‒ Ieri ho parlato con Ruby.
Crystal
ebbe
un sussulto, Blue smise di dondolarsi sulla sedia e Silver rischiò di
strozzarsi.
‒
Sei seria? Ci sei riuscita? ‒ domandò Red con un filo di voce.
‒
Sì, e mi ha spiegato delle cose importanti.
Ci
fu
un parlottare diffuso.
‒
Non so se qui è il luogo adatto a parlarne… ma comunque. La causa
dell’incidente è Zero.
La
dichiarazione
evocò lo stupore e il parlottare generale.
Di
tutto
il marasma intervenne solo Silver: ‒ Sapphire, mi stai dicendo che quel
ragazzo avrebbe organizzato una specie di attentato terroristico nella
sua stessa
città. Oltretutto con un Pokémon leggendario?
‒
Ruby sapeva quando e come sarebbe arrivato Rayquaza, non ci piace ma è
sicuramente una fonte attendibile.
Morì
sul
nascere ogni possibile contestazione venuta in mente ai presenti.
‒
Ha mandato uno dei suoi Superquattro a cercare la Gemma Verde, il
gioiello che
dona un approssimativo controllo su Rayquaza, l’intuito mi dice che
questo
Superquattro sia Murdoch, essendo specializzato nel tipo Drago ‒ entrò
nella
precisazione la ragazza.
‒
E il motivo di questo folle gesto? ‒ volle domandare Red.
‒
Non lo sa nemmeno lui. Lo so che è poco su cui lavorare, ma…
‒
È niente su cui lavorare ‒ intervenne con voce frustrata Crystal. Le sue
occhiaie erano vistose e si capiva dal suo sguardo che i postumi della
sbronza
la tenevano ancora stretta tra le loro scomode braccia. ‒ cosa dovremmo
fare?
Entrare alla sede della Lega e gridare senza alcuna prova o sicurezza
che il
colpevole di una catastrofe di dimensioni epiche è il Campione in
carica,
peraltro l’Allenatore più forte vivente, e che ad agire per suo conto
sia stato
un suo sottoposto? ‒ chiese retorica e velenosa.
‒
Abbiamo la soffiata che Rocco ha mandato a Ruby.
‒
Non basterebbe comunque, è poco più che un’indiscrezione… ‒ Blue difese
la
teoria di Crystal.
‒
Andiamo a parlare con Rocco ‒ propose Yellow, logica.
Silenzio
generale,
ognuno valutò l’opzione.
‒
Non è una cattiva idea ‒ mormorò Sapphire per prima.
Crystal
annuì
vitrea, Blue la imitò, e Red acconsentì tacendo.
‒
Un attimo ‒ intervenne Silver. ‒ come facciamo con Gold e Green?
‒
Chiamiamoli, informiamo anche loro ‒ aggiunse diplomatica Yellow.
Silver
annuì
prendendo il suo PokéGear. Scelse il contatto di Gold. Attese alcuni
secondi. Nessuna risposta. Mormorò un “idiota”.
Ritentò con Green. Attese ancora. Niente. Stavolta tacque.
‒
Manda loro un messaggio, potrebbero aver preso l’aereo e non avere
segnale ‒
quel giorno Yellow si sentiva ponderata e riflessiva.
Silver
scrisse
per una ventina di secondi muovendo le dita velocemente sullo schermo
del piccolo dispositivo da polso.
‒
Fatto ‒ annunciò una volta finito.
‒
Bene, vogliamo partire subito verso… la città di cui Rocco è
Capopalestra? ‒
riprese l’unica bionda del gruppo.
‒
Altelia, e comunque proporrei di partire appena pranzo, qualcuno ha
bisogno di
dormire un altro po’ ‒ intervenne Sapphire mandando un’occhiata di
rimprovero a
Crystal e Blue.
Tutti
furono
d’accordo, anche perché magari in quel modo sarebbe arrivata in tempo
un’eventuale risposta da parte di Gold e Green. Conclusa la discussione,
Yellow, Red e Silver scesero al piano di sotto per mangiare, mentre
sopra
rimasero solo Blue, Crystal e Sapphire.
‒
Hai notato quanto è cupo Red? ‒ domandò la ragazza di Hoenn quella di
Kanto.
‒
Sì ‒ sussurrò quella.
‒
Non avrei mai detto che uno come lui potesse rimanere così male per un
evento
del genere, per quanto triste...
‒
E infatti, non è per Emerald, né per l’accaduto in generale.
‒
Che cosa intendi ‒ Sapphire la guardò strano.
‒
Intendo che il nostro Campione di Kanto nasconde qualcosa che lo turba.
Sapphire
titubò.
‒ Tu lo conosci da più tempo di tutti noi, in effetti, ha mai fatto
così altre volte?
‒
No ‒ rispose Blue. ‒ ed è per questo motivo che dev’essere qualcosa di
veramente orribile ‒ spiegò, tetra.
Sapphire
rimase
male, lì per lì. ‒ Senti, vai a riposare, ora… ‒ le consigliò. ‒ dopo
forse gli chiederemo qualcosa.
‒
Se ci fosse una qualche cosa che lo preoccupa, anche la più terribile
del
mondo, non vorrebbe darci pensieri.
‒
Come Ruby… ‒ pensò Sapphire lasciando uscire un filo di voce.
‒
Eh? ‒ chiese Blue.
‒
Niente.
Blue
la
guardò titubante. ‒ Mh… va bene, io vado a dormire, poi ho una vasca
idromassaggio al piano di sotto che mi aspetta ‒ si congedò Blue.
‒
A dopo.
A
ragazza ancheggiò verso la sua stanza, lasciando sola sulla terrazza
Sapphire
assieme ad un’invisibile Crystal.
‒
Come Ruby? ‒ domandò la Dexholder di Johto cogliendo quasi di sorpresa
l’amica.
Sapphire
non
rispose. Aveva percepito tutta l’ostilità nella voce di lei e,
guardandola
in faccia, altro non riusciva a vedere che disprezzo e odio per se
stessa e per
la situazione in cui era finita.
‒
Che cos’ha quel ragazzo che non va che lo ha portato ad ammazzare in
questo
modo barbaro Emerald e altre centinaia di persone?
‒
Lo so, Crystal, è terribile…
‒
No, Sapphire, tu l’hai lasciato andare via. Ti ostini a non capire
quanto noi
abbiamo perso per colpa sua.
Sapphire
non
poteva fare a meno di pensare alle ultime cosa che Ruby le aveva detto.
La
situazione non era delle più comode, né per lei, né, da come aveva
capito, per
il ragazzo.
‒
Non possiamo procurarci un altro nemico, ora come ora.
‒
Lui è già nostro nemico, non riesci a capirlo?
‒
No, lui ha combattuto dalla nostra parte.
‒
No, noi abbiamo combattuto dalla sua perché abbiamo avuto il buon senso
di non
lasciarlo morire da solo contro quel mostro! ‒ esclamò la Catcher. ‒
…che col
senno di poi, sarebbe stata la cosa giusta da fare ‒ sibilò lasciando
Sapphire
da sola sulla terrazza e rientrando nella sua stanza.
‒
Dice che Sapphire è riuscita a parlare con Ruby ed è uscito fuori da una
soffiata di Rocco che il colpevole dell’incidente è Murdoch,
Superquattro di
Holon, che agiva per conto del Campione, Zero. Intenti sconosciuti.
Inoltre
andranno a parlare con Rocco proprio oggi ‒ lesse Gold tenendo con una
mano il
PokéGear e con l’altra la valigia.
‒
Quindi, che facciamo? ‒ domandò Green.
I
due si erano imbarcati sul primo volo diretto a Hoenn rimasto con due
posti
vuoti, riuscendo ad evitare la epocale fila per il check-in. Stavano
facendo
scalo all’aeroporto di Fiordoropoli quando Gold aveva acceso il suo
PokéGear
per leggere i messaggi arrivati.
‒
Ormai stiamo per imbarcarci per Hoenn, no? ‒ fece il ragazzo di Johto
con
leggerezza.
‒
Sì, per cercare qualcosa che sappiamo già dove si trova…
‒
No, a questo punto le ricerche in quel laboratorio potrebbero aiutarci a
capire
come fermare quel folle.
‒
Rayquaza è morto, non c’è poi molto da fermare.
Gold
sbuffò.
‒ I culi delle ragazze di Hoenn sono un buon motivo per rimanere…
‒
Vaffanculo, Gold ‒ mormorò il Capopalestra.
‒
Ah già, tu sbavi ancora dietro a lei ‒ lo sfotté maligno.
‒
Senti, io torno a Holon, magari là troverò qualcosa di davvero utile da
fare ‒
girò i tacchi Green.
‒
Aspetta, credo di avere un’idea ‒ si illuminò Gold.
‒
Vai, spiegamela ‒ lo esortò Green.
Quello
sorrise,
malintenzionato.
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Capitolo 11 *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 1 ***
Capitolo
5:
Turntablism pt. 1
Sapphire
non
poté evitare di rendersi il pranzo tre volte più amaro. Crystal era
stata
cattivissima nei confronti di Ruby, e probabilmente la sua parte
razionale le
dava ragione. Tuttavia, il ragazzo che era la causa della situazione in
cui
Hoenn annaspava aveva fatto in tempo ad impiantare nella sua testa un
grosso
dubbio. Aveva detto di doverlo fare per forza, aveva detto che era
l’unico modo
per tenere vivi tutti loro. Quanto di ciò che le era stato riferito era
vero?
Non
poteva
saperlo, o comunque non lo avrebbe mai scoperto facilmente. Eppure,
aveva la fievole impressione che un colloquio con Rocco l’avrebbe
aiutata a
comprendere qualcosa in più anche a proposito di Ruby e di ciò che era
accaduto
a Hoenn negli ultimi due anni. Non parlava con Rocco da parecchi mesi,
vuoi per
il suo recente trasferimento a Holon e vuoi per il fatto che Sapphire,
negli
ultimi tempi, era stata in movimento perpetuo tra le regioni. Aveva
visto città
costruite nella roccia, grotte scintillanti, montagne giganti e
innevate,
foreste intricate e selvagge. Pochi avrebbero creduto al fatto che la
risposta
a ogni suo malessere potesse averla una persona che lei conosceva fin
dalla
tenera età.
Certo,
persino
il sole poteva essere un’incognita, a quel punto. Eppure Sapphire si
sentiva bene a sperare.
La
ragazza
infilò il vassoio del self service nel carrello delle stoviglie
sporche. Abbandonò in fretta la mensa e tornò nella sua camera
all’ultimo piano.
La sua valigia era stata ricomposta quella mattina stessa e vegliava su
quella
stanza dall’alto del letto sfatto su cui era stata lasciata. Sapphire
voleva
andarsene al più presto, lasciare quel luogo e rivedere qualche faccia
amica.
Tuttavia sapeva bene che non avrebbe trovato i vecchi sorrisi su quelle
facce,
non avrebbe trovato serenità o gioia. E la cosa la spaventava. Dentro.
Fuori
era invece decisa e determinata.
Cinque
minuti
dopo, era nell’atrio dell’hotel. Era una bella giornata, torrida come le
precedenti, anche se il fumo e la polvere offuscavano un po’ il sole.
Tutti i
membri della squadra di Dexholder si presentarono in orario. C’era
l’inseparabile coppia Red-Yellow, la delicata Platinum, Crystal che non
si fece
alcun problema a non salutarla e Silver, serio e ombratile come al
solito.
Tutti pagarono il conto dell’hotel e lasciarono le chiavi delle stanze
alla
reception.
‒
Ci siamo tutti? ‒ furono le prime parole del rosso.
‒
Possiamo andare ‒ gli rispose Sapphire.
La
comitiva
partì alla volta di Altelia, città poco lontana da Vivalet, anch’essa
affacciata sulla costa. Sarebbero giunti lì in pullman che era, in quel
momento, il mezzo di trasporto pubblico più sicuro e meno affollato.
Stazioni,
porti e aeroporti pullulavano infatti di turisti nervosi e viaggiatori
stralunati.
Avrebbero impiegato più o meno due ore.
Nel
silenzio
generale, il gruppo si raccolse in corrispondenza di una fermata,
attese alcuni minuti per poi salire sull’extraurbano indirizzato verso
la loro
meta. Stranamente nessuno aveva seguito i loro movimenti all’uscita
dall’hotel,
persino i reporter e i giornalisti avevano iniziato a demordere, spinti
dalla
voglia di fuggire o dal bisogno di raccogliere servizi a proposito di
altre
novità in giro per la metropoli. Invece, quasi tutto il bus sgranò gli
occhi al
loro cospetto. Non uno, non due ma ben sei Dexholder tutti insieme.
Gente famosa,
gente importante. Un ragazzino seduto dietro al sedile che Silver decise
di
occupare aveva una luce talmente intensa negli occhi da far spavento.
Chiese
timidamente un autografo all’Allenatore dai capelli rossi mentre il
fratello
adolescente bolliva dall’imbarazzo. Il Dexholder di Johto abbozzò
un’espressione felice e scrisse il suo nome sul cinturino del PokéNet,
proprio
come il suo fan aveva chiesto. Non era di certo il primo autografo che
Silver
avesse mai concesso. Ma sicuramente il più strano. Tutto sommato era
felice di
vedere che la gente aveva ancora voglia di sorridere per esser riuscita
a
parlare con i propri idoli, anche dopo tutto ciò che era successo, anche
dopo
tutto il dolore. Cercò comunque di non farsi vedere dai suoi amici
mentre
passava la mano tra i capelli del ragazzino. Per Yellow il viaggio
scorse
tranquillo, tutto all’infuori di lei sembrava essersi inclinato di
quarantacinque
gradi: come ogni ragazza, trovava che la spalla del suo uomo fosse il
posto più
comodo su cui poggiare la testa. Red fissava invece l’asfalto che
scompariva
metro dopo metro sotto il loro mezzo di trasporto. Era inerte,
silenzioso. Cosa
assolutamente insolita per un Red. Crystal tenne tutto il tempo le
pupille
puntate sull’orizzonte: il mare a est dell’isola di Holon. Chiaro,
illuminato
dal sole che da lui si allontanava progressivamente. I riflessi della
luce
sull’acqua danzavano con le onde: loro non avevano paura di Rayquaza,
loro non
sentivano alcuna molletta stretta alle coronarie che impedisse al flusso
sanguigno di portare via il ricordo di Emerald. Scoprì presto che
fissare il
mare era l’unico modo per non strangolare il sedile che aveva davanti.
Platinum
era invece seduta accanto a Sapphire. La signorina Berlitz stava
sommariamente
raccontando alla sua ultima amica la storia vissuta a Sinnoh con gli
altri due
Dexholder locali, suoi amici. Pearl e Diamond, si chiamavano.
‒
Ah, sì, ho letto qualcosa su di loro da uno degli schedari di mio padre…
‒
Sapphire sembrava alla ricerca di qualcosa all’interno della sua
memoria.
‒
Strano, da quello che mi ha detto il Professor Rowan, raramente
condivide i
suoi dati e le sue ricerche con gli altri esperti regionali ‒ commentò
Platinum.
Sapphire
aveva
sprazzi e immagini di quelle poche righe che aveva appena avuto il tempo
di leggere molti mesi prima. Forse aveva fatto scorrere gli occhi su un
file
rimasto aperto sul monitor del genitore, forse aveva inavvertitamente
preso una
di quelle schede al posto di un foglio di suo personale interesse.
Ricordava
qualcosa a proposito di un idea, qualcosa come un progetto: “Arbor
Vitae”, le
pareva si chiamasse.
‒
Nah, tabula rasa ‒ si arrese. ‒ Che dicevi su di loro?
E
Platinum proseguì la narrazione della sua epopea. Le parlò della sua
regione,
depositaria delle più antiche leggende riguardanti Pokémon che
controllano
tempo, spazio, caos e ordine, le parlò dei laghi e di come questi
fossero la
dimora di spiriti puri che si narra avessero dato all’uomo la volontà,
la
sapienza e le emozioni. Sapphire aveva già sentito tutte queste cose,
durante
il suo rapido soggiorno a Sinnoh. Aveva impiegato quasi due mesi per
rastrellare ogni medaglia di quella regione. Ma lo aveva fatto col cuore
appesantito e la mente dispersa e impegnata a pensare ad altro. Scoprire
queste
cose da Platinum fu per lei agrodolce.
“Volontà,
conoscenza,
emozioni…” stava pensando qualche momento dopo il termine di questa
sua conversazione. Accanto a lei c’era ancora Platinum che, accompagnata
dalla
sua solita grazia, si era addormentata rannicchiata sul suo sedile.
“Volontà:
parlare
con lui, ora, subito… conoscenza: ben poco, ma abbastanza da dargli una
sola possibilità per spiegarmi tutto... emozioni: meglio lasciar
perdere…”
ormai non lo negava neanche più a se stessa. Non ne aveva più voglia.
La
corriera
corse traballando fino alle porte di Altelia. L’insegna che portava il
nome della città spuntava a lato della strada principale e sembrava
fatta di legno
perfettamente imbiancato. Sapphire ebbe appena il tempo di studiarla,
prima di
rendersi conto di esser stata catapultata in un altro periodo storico.
Strabuzzò gli occhi. Veniva da Vivalet, coi suoi edifici di vetro e le
sue
forme geometriche ma irregolari, ma si ritrovò immersa in una sorta di
paese
portuale mediterraneo appena uscito dal diciannovesimo secolo. Le strade
di
Altelia erano in mattoncini grigiastri e squadrati, le case sembravano
sorgervi
spontaneamente: il complesso urbano sembrava esser stato costruito tutto
nello
stesso momento, da alcune facciate dei palazzi che mai oltrepassavano i
tre
piani spuntavano morbidi reticoli di rampicanti e le viottole, tutte
poste ad
un’altezza differente a causa della natura irregolare del borgo, erano
striate
dalle ombre degli edifici che lentamente diventavano sempre più lunghe,
avvicinandosi sempre più alla riva del mare.
‒
Holon, signori… ‒ commentò qualcuno tra i Dexholder.
La
regione
non finiva mai di stupirli, per attirare il turismo di ogni tipologia,
era stata costruita da zero e mediava elementi provenienti da ogni dove,
nel
mondo. Tutto artificiale, tutto finto: boutique, negozi e luoghi di
ristoro,
era ciò che si trovava in quegli edifici, mai abitazioni familiari. E
forse era
proprio questo il suo fascino.
‒
Capisco perché Rocco abbia scelto di trasferirsi in questa città ‒
commentò
Sapphire, ammirando la piattissima distesa del mare che ricordava tanto
l’oceano a est di Hoenn del quale si aveva una vista mozzafiato dalla
sede
della Lega. “O necessita di questa vista per ricordarsi ogni giorno
della
sconfitta, o vuole solamente rimanere legato alla sua regione natale,
come se
temesse di dimenticarla” pensava la ragazza.
‒
Ragazzi ‒ Silver aveva con se una cartina, gentilmente dotata dal
simpatico
conducente.
In
un
quartiere poco più a sud, sorgeva un edificio costruito in pietra. La
targa
sulla statua alla sinistra della porta recava l’incisione:
“Palestra
di
Altelia
Capopalestra:
Rocco
Petri
Medaglia:
Tempra”
Accanto,
il
romboidale emblema della regione di Holon, la Poké Ball dalla forma
dell’isola. Nell’edificio, specificatamente nella sua stanza, il suo
ufficio
personale, sedeva un uomo dai capelli celesti e la carnagione pallida.
Aveva
una sottile camicia bianca di lino che si insinuava negli stretti
pantaloni
viola, un tempo parte di un vestito più elegante. Alle dita molteplici
anelli,
quasi tutti semplici cerchi metallici e neutri, senza pietre o
iscrizioni.
Rocco era solito giocare con quello dell’indice destro, quando era
nervoso. E
da qualche giorno, l’anello non conosceva pace. L’uomo afferrò il
bicchierino
di liquore che era sulla scrivania e lo mandò giù tutto d’un sorso. Un
calore
gli pervase le viscere, a partire dalla gola e dallo stomaco. Sbloccò il
cellulare e inviò due messaggi ad un contatto il cui avatar era una
bella donna
bionda in bikini che si faceva il bagno nelle acque di Spiraria, a
Unima. Si
alzò in piedi, sistemò il colletto della camicia e si avviò verso
l’atrio
ancora prima che un campanello squillasse, acre e robotico, nell’aria
silenziosa della palestra.
Dietro
la
porta trovò sei ragazzi, tutti diversi, tutti uguali. Riconobbe quella
che
avrebbe dovuto salutare per prima, quella che ricordava meno peggio.
Aveva gli
occhi celesti come lo zaffiro orientale e i capelli castani raccolti in
una
coda. Fece i convenevoli nei confronti degli altri e chiese educatamente
qual
buon vento portasse quella schiera di ragazzi.
‒
Non proprio “buon” vento ‒ rettificò Sapphire, che sembrava quella più
indicata
per parlare con un ex Campione di Hoenn.
‒
Già, ho visto tutto il caos degli ultimi avvenimenti ‒ Rocco fece loro
cenno di
entrare e sistemarsi, li fece sedere tutti nell’ufficio. La stanza era
spaziosa
e le veneziane permettevano un’illuminazione fresca ma diffusa, di sedie
ce
n’erano già abbastanza. ‒ Abbiamo raccolto quasi mille anime in preda al
terrore, la città ha conosciuto tanta gente nuova.
‒
Siamo qui per farti alcune domande ‒ spiegò Sapphire.
‒
Tutte quelle che volete, e io che mi aspettavo che prima o poi qualcuno
sarebbe
entrato per la medaglia ‒ sorrise, ironico.
‒
Sì tratta di Ruby.
Rocco
era
stato avvertito da una sua collega che sei ragazzi particolarmente
telegenici erano diretti verso la sua città e che una di loro lo
conosceva
bene. L’uomo aveva ipotizzato cosa mai potesse chiedergli una ragazza
come
Sapphire, ma la soluzione non gli era piaciuta, per questo si mostrò
sorpreso
nel sentir nominare il nome del ragazzo, attuale Campione di Hoenn e suo
successore.
Tutti
aspettavano
con ansia una sua reazione che non fosse il silenzio. Lui valutava
se offrire da bere o no. Decise di sì.
E
mentre ognuno degli ospiti sorseggiava un liquame diverso dal proprio
bicchiere, Rocco pensava a cosa potessero cercare di tanto importante
oltre
quella piccola pallina che era nella sua testa e che rimbalzava da mesi
sulla
sua ghiandola del buon senso, causandogli un fastidio ossessivo e
costante.
‒
Ruby sapeva dell’attacco di Rayquaza, prima che questo si facesse vivo ‒
argomentò
Sapphire.
‒
E vi ha detto che la soffiata è arrivata da me ‒ continuò la frase
Rocco.
‒
L’ho dedotto.
Rocco
annuì,
comprendendo che Sapphire stava facendo riferimento a qualcosa di cui
avrebbe voluto parlare in privato. ‒ Insomma, mi è arrivata una voce e
ho
riferito a Ruby quello che avevo sentito…
‒
Rocco, per favore ‒ Sapphire lo guardò negli occhi. ‒ Ho bisogno di
informazioni precise, quello che è successo non può essere ignorato.
L’uomo
indugiò
per alcuni istanti. Dodici occhi puntati su di lui, ogni coppia
curiosamente colorata corrispondentemente al nome del suo possessore.
Sapeva
che di lì a poco avrebbe fatto la cosa giusta e avrebbe parlato. E si
stava
odiando per questo.
‒
Zero è folle, Campione responsabile e serio, grande genio del leading e
della
lotta Pokémon, ma ha una mente che sembra dover esplodere da un momento
all’altro. Sono stato allertato da una persona che è stata capace di
bloccare i
suoi progetti di distruzione fino ad un certo punto, ma non è stata in
grado di
fermarlo quando ha pensato di scatenare Rayquaza. A quel punto ha deciso
di dirlo
a me, perché io avvertissi Ruby ‒ spiegò sommariamente.
Ai
Dexholder
sembrava uno spiraglio di sipario aperto.
‒
Il nome di questa persona, Rocco ‒ non era una domanda, quella di
Sapphire.
‒
Kalut, una delle persone più vicine a Zero, forse una delle poche menti
che
riesca a comprendere la sua follia.
‒
Che strano nome ‒ osservò Platinum.
‒
Hai detto che ha impedito più volte a Zero di uccidere ‒ proseguì
Sapphire.
‒
Quella è la sua missione.
‒
Obbedisce agli ordini di qualcuno? ‒ Sapphire sembrava capire l’antifona
della
situazione.
Rocco
sorrise
nostalgicamente. ‒ Kalut non obbedisce agli ordini di nessuno, ma sta
prestando la sue capacità a servizio della giustizia.
Tutti
i
Dexholder si guardarono titubanti, avevano ricevuto parecchie
informazioni in
poco tempo, i loro cervelli continuavano a rielaborare. Solo Sapphire
teneva
gli occhi gelidamente puntati su Rocco: aspettava che il discorso
tornasse a
toccare Ruby. Ma Rocco lo aveva capito, e non voleva parlare davanti a
tutti.
‒
È tutto… ‒ scrollò le spalle il Capopalestra.
Centinaia
di
chilometri più a sud ovest, a Ciclamipoli batteva forte il sole. Sarebbe
stato possibile cuocere una bistecca sulla rovente pista di atterraggio
del
Boeing targato Hoenn Airways che aveva trasportato Green e Gold. I due
erano
stati sbalzati di un fuso orario, il che voleva dire che si trovavano
un’ora
indietro rispetto ai loro amici che ancora si trovavano a Holon. Due
volte
avevano letto sull’orologio “ora
di
pranzo” e due volte Gold aveva pranzato. La prima volta in aereo,
con uno
dei buonissimi e convenientissimi pasti di linea, la seconda
all’aeroporto, con
una focaccia gigante, altrettanto salata. Green si era chiesto quanti
dannati
stomaci avesse.
‒
Quindi direzione Torre dei Cieli?
‒
Esattamente.
I
due spiccarono il volo non appena furono fuori dall’aeroporto, Gold su
Togekiss
e Green su Charizard.
E
in poco tempo scorsero in lontananza un’ombra lunga e sottile che
sembrava
congiungere la terra con le nuvole. Di tutti i diversi popoli che
avevano
camminato sulle terre e navigato sulle acque di Hoenn, Braille, Alfa e
Draconidi, il monumento poteva esser stato eretto in qualsiasi momento
della
storia.
‒
Eccola là! ‒ esclamò Gold perché Green lo sentisse nonostante il
frastuono
causato dallo sferzare dell’aria sui loro corpi che volavano a velocità
elevatissime.
‒
Quanti piani sono?
Cinquanta,
sapeva
bene Gold, ma era anche informato circa il brutto avvenimento che ne
aveva mozzato la cima. Sta di fatto che non conosceva il numero preciso.
‒
Tanti ‒ rispose.
Il
Capopalestra
di Smeraldopoli e il Dexholder di Johto giunsero insieme
all’isolotto su cui la torre si erigeva. L’architettura era maestosa,
costruita
in una pietra calcarea di colore giallognolo, a pianta triangolare ed
elevata
oltre la linea visibile. Con i piedi sulla sabbia dell’isolotto, i due
Allenatori si sentivano estremamente piccoli.
‒
Era la dimora di Rayquaza, e il Pokémon è stato svegliato qui ben due
volte,
dal team di ricercatori finanziato dai Berlitz, undici anni fa, e dal
Lino che
era accompagnato dal padre di Ruby, sei anni fa. In corrispondenza
dell’evento
del meteorite che rischiava di distruggere la terra, due anni fa,
Rayquaza si è
invece destato da solo, pare che abbia distrutto lui i piani più alti.
Se è
tornato a riposare prima dell’attacco a Vivalet, sicuramente lo ha fatto
qui e
quindi colui che lo ha svegliato con la Gemma Verde, deve averlo fatto
all’ultimo piano di questa torre.
Green
rimase
sorpreso. ‒ Hai studiato, Gold ‒ ironizzò.
‒
Ultimo piano, ti si tapperanno le orecchie e sarà difficile respirare ‒
concluse lui tornando in groppa al suo Pokémon volante.
Green
lo
imitò e dopo una vertiginosa salita i due tornarono a poggiare i piedi
sulla
diroccata cima della torre. Avevano patito un gelo infernale e più di
una volta
avevano rischiato di cadere, comprendendo la ragione per cui tutti la
scalavano
a piedi, quella costruzione, o alla peggio la attraversavano in volo
passando
per l’interno. Green non mancò di far notare a Gold la stupidità della
loro
ultima azione. Ma si interruppe quasi subito. I due tremavano ancora per
la
temperatura artica e per le sferzanti correnti che si sfogavano a
quell’altitudine, quando una bruttissima immagine attirò i loro sguardi.
Una
capanna
formata da alcuni pennuti bianchi e neri si agitava caoticamente in un
angolo. Erano dei Mandibuzz, Pokémon saprofagi.
‒
Stanno mangiando ‒ affermò Green con sicurezza.
‒
Ora c’è da capire che cosa ‒ proseguì Gold.
E
presto la risposta apparve chiara quanto prevedibile. I Dexholder
mossero
alcuni passi verso il banchetto e in un istante gli uccellacci
svolazzarono
via, come dinnanzi alla presenza di un predatore. Comparve quello che
fino a
due secondi prima era oggetto del loro beccare e strappare: un cadavere
indubbiamente umano sdraiato sulla pancia spolpato per la maggior parte.
Parecchie ossa erano scoperte e in determinate zone la necrosi era già
avanzata. Gold si prese un attimo, mentre Green ebbe un sussulto. I due
si
avvicinarono per studiare il corpo, osservarono la nuca scorticata su
cui forse
una volta erano spuntati dei capelli, la schiena piena di buchi dalla
quale
puntavano scapole e spina dorsale, le cosce che avevano offerto la
maggior
quantità di carne agli spazzini.
‒
Che cosa orribile… ‒ commentò Green.
Ma
il
peggio doveva ancora venire agli occhi di entrambi. Solo dopo alcuni
minuti
di contemplazione notarono che, strette attorno alle caviglie e ai polsi
del
cadavere, c’erano dei fitti nastri di ragnatela che lo ancoravano al
terreno.
‒
Significa… ‒ Gold digrignava i denti. ‒ che lui era ancora vivo quando
gli
uccelli hanno iniziato a cibarsi…
‒
Cominciando dalla schiena, la sua agonia è stata prolungata
all’inverosimile.
‒
Giriamolo ‒ suggerì ad un certo punto il ragazzo di Johto.
‒
Cosa?
‒
Giriamolo, voglio vederlo in volto ‒ ripeté.
Green
non
poteva immaginare di doverlo fare davvero. Ma si convinse. Charizard,
facendo attenzione a non dare fuoco al corpo, bruciò le ragnatele che lo
tenevano prono. Gold lo ribaltò e, nel farlo, il braccio destro del
corpo
rimase a terra, troncandosi all’altezza della spalla. Ai due apparve
l’altro
lato della medaglia. Un torace intatto, un bacino privo di qualsiasi
graffio,
un volto pallido e su cui il dolore aveva scavato un’espressione
orribile, ma
ancora perfettamente integro.
‒
Oh Cristo… ‒ esclamò Green.
‒
L’hai riconosciuto?
Silenzio.
E
un cenno di assenso.
Si
trattava
di Murdoch, il Superquattro di Holon che, su ordine di Zero, avrebbe
scatenato Rayquaza contro Vivalet.
‒
Parla Red ‒ rispose con voce seria il Campione di Kanto.
‒
Abbiamo un qualcosa che dovreste assolutamente vedere ‒ disse Green.
‒
Lì a Hoenn?
‒
Qui a Hoenn.
Tutti
i
Dexholder e Rocco fissavano Red, che aveva ricevuto una chiamata nel bel
mezzo della loro conversazione. Lo videro alzare le sopracciglia,
aggrottarle,
impallidire, appoggiarsi allo schienale della sedia come se potesse
avere un
mancamento da un momento all’altro.
‒
Va bene, grazie, riferisco anche agli altri, ottimo lavoro ‒ riagganciò
balbettando.
Tenne
gli
occhi fissi nel vuoto, Red, mentre riferiva a tutti i presenti ciò che
Green e Gold avessero trovato sulla cima della Torre Dei Cieli.
‒
Morto… ‒ mormorò Rocco. ‒ Non può essere una coincidenza, sono sicuro
che è
stato lui a controllare Rayquaza… perché mai qualcuno avrebbe dovuto
ucciderlo
in modo tanto brutale?
‒
Non ne ho idea, siamo sicuri che sia stato un delitto efferato e non una
sorta
di suicidio o sacrificio rituale? ‒ suggerì Platinum, stupendo tutti.
‒
Magari lo sforzo cui è stato costretto per tenere Rayquaza sotto la
propria
volontà lo ha ucciso ‒ tentò Silver.
‒
Ragazzi ‒ intervenne Green, che era ancora in linea, in vivavoce
dall’apparecchio
di Red. ‒ era legato al terreno e sul volto aveva ancora l’espressione
del
dolore, questa non può essere altro che un esecuzione.
Ognuno
tacque.
‒
Rimane solo… il motivo per cui questo Murdoch avrebbe meritato una morte
tanto
atroce ‒ riprese Sapphire.
‒
Forse proprio perché è stato lui a causare quel disastro? Non diamo per
scontato di avere dalla nostra parte solo gente per bene… ‒ intervenne
Crystal,
attirando ogni sguardo su di sé. ‒ Magari qualcuno ha ben pensato di
amministrare la propria giustizia e vendicare le centinaia di morti ‒
proseguì.
La
sua
voce, che era diventata molto simile ad un sibilo dal momento della
morte
di Emerald, suonò tagliente e gelida.
‒
Dando per scontato che, su ordine di Zero, sia lui il vero colpevole del
risveglio
di Rayquaza ‒ ripartì Green. ‒ chi poteva essere a conoscenza di questo
fatto?
‒
Io, e vi posso assicurare che non farei mai una roba del genere ‒ disse
Rocco.
‒ E Zero stesso ‒ l’uomo riversò il peso del corpo all’indietro con
tutta
l’aria di volerli lasciar ragionare, senza intervenire per un po’.
‒
Aspetta, Kalut? ‒ tentò Sapphire. ‒ Hai detto di aver ricevuto da lui la
soffiata, è il tipo capace di perpetrare simili azioni? ‒ domandò.
‒
Non lo so, ma non penso…
‒
Inseriamolo in lista sospettati, per ora ‒ suggerì Red, cominciando poi
a
spiegare a Green chi fosse costui.
‒
Anche Ruby conosceva i piani di Murdoch ‒ sibilò Silver, tenendo gli
occhi
fissi su Crystal. ‒ E lui era l’unico ad essere già salito sulla Torre e
a
conoscerla a fondo.
Tutto
tacque,
il brusio che si era levato si dileguò nell’etere. Un brivido di
sospetto gelò la schiena di ognuno.
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Capitolo 12 *** Capitolo 5 - Turntablism pt. 2 ***
Capitolo
5:
Turntablism pt. 2
‒
Quindi è probabile che Ruby abbia ammazzato Murdoch in quel modo
orribile? ‒
fece Green.
‒
La Torre Dei Cieli è territorio suo e inoltre sappiamo che era a
conoscenza dei
piani di Murdoch ‒ elencò Silver.
‒
Green, da quanto tempo è lì il cadavere? ‒ chiese Sapphire volendo
portare
nuove informazioni al brainstorming che era in corso.
‒
A giudicare dallo stato di degradazione, meno di due giorni ‒ rispose
quello
attraverso il PokéGear.
‒
Ho parlato con Ruby ieri sera, dovrebbe essere partito nell’istante
appena
seguente con un volo privato per compiere l’omicidio in tempo ‒ suggerì
la
ragazza di Hoenn.
‒
Nei fatti, avrebbe potuto farlo... ha un jet privato ‒ chiarì Crystal,
velenosa.
‒
Mettiamo in conto che sia stato lui, allora ‒ parlò stavolta Rocco. ‒
perché
mai avrebbe deciso di togliere di mezzo Murdoch ora che il disastro è
ormai
stato causato?
La
sua
razionalità fece titubare tutti i presenti.
‒
Può non piacerci, ma Ruby non è uno stupido né un bambino, neanch’io
vedo un
motivo che lo avrebbe spinto a tanto ‒ disse Sapphire.
‒
Rocco, voglio sapere di più a proposito di Kalut ‒ proferì Red, facendo
scendere il silenzio.
Qualcuno
cominciò
ad annuire per mostrare consenso nei confronti del Campione di Kanto.
Ormai, quella di Kalut era l’unica pista seguibile nell’unanimità.
‒
Qualcuno qui ha bisogno di delucidazioni, a quanto pare… ‒ disse una
voce alle
loro spalle.
Camilla,
la
Campionessa di Sinnoh, comparve nella stanza. Platinum si illuminò,
conosceva quella donna fin troppo bene e la ammirava dal profondo del
suo
cuore. Le sorrise elegantemente e la Campionessa rispose.
‒
Ce ne hai messo di tempo ‒ la accolse Rocco alzandosi.
L’uomo
abbandonò
la sua posizione lasciando il posto a Camilla, che però preferì
poggiarsi alla scrivania più che alla sua poltrona. I presenti, passati
i
convenevoli, cominciarono a rivolgerle sguardi di riverenza e serietà.
Camilla
li squadrava tutti, da capo a piedi; conosceva abbastanza bene Red e
Sapphire,
il primo era un Campione come lei, la seconda era balzata sotto tutti i
riflettori del mondo con la sua presenza tra i rango S al torneo.
Eppure,
ognuno di loro aveva una faccia conosciuta. Loro avevano impedito a
Rayquaza di
radere al suolo Vivalet, e il background di ognuno era colmo di imprese
mitiche
compiute negli anni: erano degli eroi. Di fronte a quei sei ragazzi,
lei, fiera
Campionessa di Sinnoh che deteneva gloriosamente il titolo da anni, si
sentiva
piccola e debole. Ma di certo non lo lasciò intendere a nessuno dei
presenti.
‒
Vorrei congratularmi con ognuno di voi per quello che avete fatto a
Vivalet ‒
pronunciò con gli occhi fissi nel vuoto, la sua voce era matura e dolce
al
tempo stesso. ‒ Ci sono un paio di assenze, noto.
‒
Gold e Green a rapporto, siamo in diretta da Hoenn ‒ esclamò il ragazzo
di
Johto in vivavoce dal PokéGear mettendo ognuno in imbarazzo. Si avvertì
movimento, un brusio di fondo molto simile a quello creato da due
persone che
litigano a bassa voce. Qualcuno credette di sentire una roba contenente
le
parole “Camilla”, “bionda”
e “pezzo di”.
‒
Ruby è… impegnato ‒ spiegò
Rocco
capendo che l’allusione di Camilla superasse i due Allenatori che erano
in
collegamento PokéGear.
‒
Veramente, da più o meno due anni a questa parte, nessuno di noi è in
buoni
rapporti con Ruby ‒ puntualizzò Sapphire, paladina dell’onestà.
Camilla
intese,
accennò un sorriso, prese un respiro.
‒
Siete venuti qui per parlare con Rocco, state indagando a proposito
dell’attentato ‒ proferì la Campionessa di Sinnoh. ‒ E proprio Rocco mi
ha
chiesto di venire qui, quando ha saputo che eravate giunti ad Altelia.
Nessuno
dei
Dexholder riusciva a capire dove volesse andare a parare Camilla.
‒
Perché aveva intuito ‒ proseguì lei. ‒ che avreste fatto delle domande a
cui
avremmo avuto l’autorità di rispondere solo insieme.
‒
E così è stato ‒ concluse Rocco.
Gli
occhi
grigi della Campionessa oscillavano tra i loro volti. Li studiava,
cercava di carpire anche la minima caratteristica del loro animo. Era
sempre
stata ottima nel decifrare le persone che aveva davanti, non avrebbe
sicuramente fallito con loro.
‒
Kalut, di cui Rocco vi ha parlato con approssimazione, era una delle
persone
più vicine al Campione Zero. Lui per molto tempo ha svolto perfettamente
il suo
lavoro, trattenendo la follia di Zero dal compiere azioni come quella a
cui
tutti abbiamo assistito. Purtroppo, da pochi giorni i due si sono persi
di
vista, Zero ha tagliato ogni legame con Kalut e i risultati di ciò li
abbiamo
potuti riscontrare in quello che è avvenuto a Vivalet ‒ ripeté la donna.
‒
Rocco ci ha già spiegato tutte queste cose ‒ puntualizzò Sapphire.
‒
Bene, innanzitutto, Zero vuole togliere di mezzo tutti gli Allenatori
più
potenti, e con potenti intendo capaci di influenzare la massa,
politicamente e
socialmente ‒ lo sguardo di Camilla era fisso su Red, eroe moderno,
modello per
la maggior parte degli aspiranti Allenatori, Campione di Kanto, una
leggenda
vivente. Ovviamente, quest’ultimo non poté non sentirsi a disagio.
‒
Perché vuole farlo? ‒ domandò giustamente Sapphire.
‒
Non siamo a conoscenza delle motivazioni che lo spingono a tanto ‒
mormorò
Camilla.
‒
È assurdo, l’Allenatore più forte della terra aveva intenzione di
uccidere
tutte quelle persone e nessuno fa niente ‒ intervenne Gold.
‒
Ti sei risposto da solo, è l’Allenatore più forte della terra ‒ lo
contrastò la
Campionessa.
‒
Ma come si può lasciare che questo giri ancora a piede libero dopo tutto
ciò
che è successo?
‒
Ovviamente, tutti i suoi piani sono segreti, noi siamo solo stati capaci
di
anticiparlo grazie a Kalut. Altrimenti avremmo già avuto le prove per
fermarlo
‒ spiegò la donna.
Per
un
momento ci fu il silenzio nella stanza.
‒
Perché ha attaccato uno stadio pieno di civili, se voleva uccidere solo
determinate persone? ‒ domandò Blue, razionalmente.
‒
È qui la stranezza, la risposta potrebbe trovarsi proprio nel cadavere
che i
vostri amici che sono a Hoenn hanno trovato
‒ Zero è spregiudicato, ucciderebbe i suoi
avversari
e le persone che reputa debbano morire senza onore e pietà, ma morirebbe
anziché far del male a coloro che lui reputa innocenti ‒ la donna stava
dimostrando di avere una profonda conoscenza del soggetto, persino Rocco
pendeva dalle sue labbra.
‒ La reazione di Rayquaza… ‒ tentò Red.
‒ Rayquaza ha perso il controllo, stiamo
parlando di
un Pokémon che ha miliardi di anni, l’unica cosa capace di ucciderlo si
è
dimostrata essere la sua stessa forza, non avrebbe mai permesso ad un
uomo solo
di indirizzare le sue azioni ‒ lo contrastò Camilla, severa. ‒ E
soprattutto,
Zero non avrebbe mai permesso a Murdoch di commettere una strage…
Sapphire non respirava più, ormai,
ascoltava ciò che
quella conversazione le proponeva con espressione vuota.
‒ Zero ha spiegato con precisione i suoi
intenti a
Murdoch, ma quest’ultimo ha fallito, portando Rayquaza ad uccidere
civili e
innocenti, cosa che gli è costata la vita ‒ riassunse.
‒ Quindi sarebbe stato Zero stesso l’autore
di
questo scempio? ‒ domandò Gold, in collegamento dalla Torre Dei Cieli.
‒ Sì, intenzionato a punire il suo
sottoposto che
centinaia di innocenti hanno pagato con la vita.
‒ Questo è ciò che fa Zero, è senza pietà,
se reputa
che le sue vittime meritino di morire.
Tutti gli ascoltatori rimasero
esterrefatti, ma un
minimo rincuorati. La colpa non gravava più sulle loro spalle, anche se
una
tremenda realtà era venuta fuori da ciò che Camilla aveva spiegato loro.
‒
Che cosa significa di preciso che Kalut è una delle persone più vicine a
Zero?
‒ proferì Silver nel silenzio generale. ‒ E come può un folle come Zero
essere
divenuto Campione?
Tutti
i
presenti si scambiarono degli sguardi come a domandarsi l’un l’altro se
seriamente nessuno se lo fosse chiesto.
Camilla
fece
lo slalom con le pupille tra tutti loro, scannerizzandoli fin dentro i
vestiti. Guardò Rocco, si scambiò con lui uno sguardo vacuo, ma che
pareva di
intesa. Tornò ai Dexholder. Tutto taceva, stranamente pure Gold era
zitto.
‒
Accadono molte cose alle nostre spalle ‒ mormorò.
Rocco
si
gettò in gola un altro bicchierino. Ne offrì uno pure a Camilla, che
rifiutò.
‒
Tante cose che neanche a noi sono state pienamente rivelate, dai nostri
informatori.
Un
brivido
gelido attraverso gli scheletri dei presenti.
‒
I vostri informatori?
Rocco
annuì
sconsolato: ‒ Sappiamo solo ciò che ci è stato riferito come chiarimento
per far quadrare la storia di Rayquaza… e farla giungere a Ruby.
‒
Perché informatori al plurale? ‒ domandò Green dal PokéGear.
‒
La loro identità, esclusa quella di Kalut, fa parte del segreto ‒
sorrise
Camilla.
Silenzio
di
riflessione, alcuni istanti si sprecarono.
‒
Scusatemi ‒ Red si alzò improvvisamente e fece per uscire. Yellow,
stupita, gli
stette dietro.
Tutti
lo
osservarono scomparire dietro la porta, nessuno parlò.
‒
C’è altro che sentite il bisogno di chiedermi? ‒ proseguì Camilla.
‒
Sono veramente poche le informazioni su cui fare qualche domanda ‒ fece
notare
Silver.
‒
Vogliamo sapere tutto ‒ Blue fu più diretta.
Camilla
la
guardò aggrottando le sopracciglia sopra i suoi grandi occhi celesti.
‒
Insomma, abbiamo fatto l’impossibile per le nostre regioni contro ogni
genere
di minaccia e pericolo e adesso che possiamo finalmente agire con
cognizione di
causa, e non allo sbando come abbiamo sempre fatto, nessuno viene a
dirci
nulla? ‒ fu chiarissima.
‒
Appunto per questo, in questo caso potrebbero non essere richieste le
vostre doti
‒ Camilla era molto formale. ‒ Mi dispiace, ma forse credono che ciò che
stia
accadendo ora sia ben più grande di voi…
‒
È tutto? ‒ sibilò Crystal delusissima.
‒
Per ciò che ci è concesso dirvi, sì ‒ ammise la bionda.
Tornò
la
calma nell’atmosfera cupa generale, ognuno era rimasto male nel profondo
del
suo animo per aver imboccato tale vicolo cieco. Per primo si interruppe
il
collegamento con Green e Gold che si congedarono con uno svogliato
saluto. Poi
alcuni dei Dexholder cominciarono ad alzarsi per uscire fuori dalla
palestra,
dopo aver ringraziato sia Rocco che Camilla.
Rimase
soltanto
Sapphire. Rocco non le staccava gli occhi di dosso, se la ragazza
fosse stata appena più insicura a proposito della ferrea morale
dell’uomo,
avrebbe sicuramente pensato a tutte le cattive intenzioni che il suo
sguardo
sembrava celare. Camilla, invece, sembrava non vederla. I loro occhi si
incrociarono solo dopo vari istanti.
‒
Ruby ‒ mugolò lei. ‒ Ruby c’entra qualcosa con questa vicenda?
Camilla
non
rispose, si limitò a fissarla nel modo penetrante della madre che fissa
il
figlio quando ha appena combinato un disastro. Dalle sue labbra strisciò
fuori
un qualcosa che parve suonare come “non
so
dirtelo” e tanto bastò a farle alzare i tacchi da quella stanza
soffocante. E anche Sapphire se ne andò.
‒
Continueranno a cercare, lo sai questo? ‒ disse la donna rivolgendosi a
Rocco,
quando era ormai sicura che gli ospiti si fossero levati di torno.
‒
Certo che lo so, sono i Dexholder, sono una stirpe di ficcanaso.
‒
In un certo senso, spero riescano a scoprire qualcosa che anche a noi è
sfuggito, ho fiducia in loro.
‒
Camilla, stiamo parlando della Faces, è un’organizzazione di stato.
‒
Andiamo, loro sono tra gli Allenatori più conosciuti della terra, loro sono lo stato.
‒
E in un certo senso questo rappresenta una grossa falla del nostro
sistema…
insomma, se qualsiasi uomo è capace di costruirsi un impero basato sui
propri
Pokémon, la ragione è in mano al potere.
‒
Ti ricordo che, da sempre, gli Allenatori più forti sono quelli che
riescono a
stabilire un legame interno e perfetto con i loro Pokémon. Cosa
impossibile se
si sfruttano i loro poteri per prevalere sugli altri.
‒
Non lo so, speriamo bene.
‒
Altrimenti, che cosa ci resta? ‒ fece, sorridendo.
‒
Chiamiamo Green ‒ ordinò Sapphire raggiungendo gli altri fuori dalla
palestra.
‒
Perché? Ha appena riagganciato ‒ ribatté Silver.
‒
Chiamalo.
Convincendosi,
il
fulvo ricompose il numero e passò il dispositivo a Sapphire.
‒
Oh, che c’è ancora?
‒
Ragazzi, ho bisogno di voi.
‒
Sapphire, che cosa ti serve?
‒
Riuscite mica a rintracciare Ruby da quelle parti? Sono sicura che sia
tornato
ad Hoenn. Devo urgentemente parlare con lui.
‒
Ehm… suppongo di sì…
‒
Grazie, riferitevi per prima cosa a Iridopoli o comunque andate a
parlare con
un Capopalestra, contattatemi appena lo avete raggiunto.
‒
Va bene, ti faremo sapere.
La
chiamata
terminò.
‒
A che cosa ti serve? ‒ domandò prontamente Silver riprendendo il suo
PokéGear.
‒
Mi servono alcune informazioni particolari.
Il
rosso
la guardò storto. Poi scrollò le spalle.
‒
Piani? ‒ domandò Platinum sviando il discorso.
Nessuno
si
fece avanti con prontezza.
‒
Intendiamo continuare con l’indagine?
‒
Su che cosa? Sappiamo il motivo di tutto il casino, non ci resta che
trovare
Zero ‒ intervenne Crystal, decisa.
‒
Io pensavo di cercare Kalut, più che Zero ‒ propose Silver. ‒ Zero è
forte,
innegabilmente forte, e instabile, da come abbiamo appreso da Rocco.
Inoltre
non avrebbe senso andare a trattare con uno che aveva intenzione di
ucciderti.
Kalut potrebbe invece rivelarsi un alleato e magari condurci agli
“informatori”
di cui parlava Camilla.
‒
Ok ‒ Red intervenne dal consenso generale, con la solita voce vuota che
aveva
nell’ultimo periodo. ‒ che cosa abbiamo su Kalut?
‒
Sappiamo che è legato a Zero…
‒
Nient’altro?
‒
Credo che la sua vicinanza al Campione basti… ‒ fece Silver. ‒
Cerchiamolo su
internet, di sicuro è un personaggio famoso se è vicino a Zero.
Red
accese
il PokéNet che i suoi privilegi da Campione gli avevano permesso di
ricevere in anteprima qualche mese addietro, si connesse a Google e
digitò il
nome di Kalut, scritto in tutti i modi che la sua pronuncia lasciassero
intuire: Caloot, Khalot, Calut,
Qalout,
Kalut. In ognuno dei casi: nulla, scoprì il significato di diversi
termini
appartenenti a lingue che mai aveva sentito nominare e conobbe il nome
di
località lontane e sconosciute. Niente lo collegò ad una persona reale,
tantomeno ad una che avesse a che fare con Zero.
‒
Non esiste, se internet non lo conosce, non esiste ‒ commentò
ironicamente Blue.
‒
Dev’essere un consigliere che agisce nel backstage più totale, magari il
suo è
anche un soprannome ‒ provò Silver.
‒
Se andassimo direttamente alla sede della Lega di Holon? ‒ propose
Sapphire.
‒
Nella tana del lupo?
‒
No, sentite, siamo ragionevoli, cosa possono farci?
Qualcuno
la
guardò titubante.
‒
Abbiamo reporter che ci seguono ovunque andiamo, siamo delle star in
questa
regione, sui giornali c’era la nostra faccia dopo la prima pagina che
parlava
di Rayquaza.
‒
Non ha tutti i torti ‒ la appoggiò Silver.
‒
Che ne dite?
Due
minuti
dopo erano già in viaggio per tornare a Vivalet, riprendere le loro
cose. Si sarebbero indirizzati verso la sede della Lega il mattino
seguente. Il
viaggio sarebbe stato molto più lungo. Il rientro fu silente e privo di
avvenimenti interessanti, Platinum li lasciò non appena mise piede in
città, i
restanti sei ragazzi raggiunsero l’hotel in cui avevano alloggiato per
tutto il
periodo del Torneo. Il sole stava ormai per tramontare e una lieve
brezzolina
cominciava a sfiorare la pelle di tutti. La giornata era gradevolissima,
Vivalet si era ormai purificata dalle polveri alzate dal gigantesco
disastro e
il lutto cittadino si era ormai smorzato con la ripresa dei lavori che
avrebbero dovuto risollevare la città. Tutto sembrava tornare lentamente
in
vita e, mentre i vertici dell’informazione e della sicurezza nazionale
erano
intenti a giocare la più grande partita di scaricabarile della storia,
il
popolo tornava a respirare le madri e le vedove si asciugavano le
lacrime, gli
uomini attraversavano quel dolce periodo in cui si illudono di amarsi
gli uni
con gli altri. Sapphire ci pensava profondamente, quando si rese conto
che
avrebbe trovato una simpatica sorpresa ad attendere lei e i suoi amici
davanti
all’entrata del residence.
‒
Giornalisti ‒ evidenziò Silver notando la capanna di ometti distinti in
mezzo
alla folla che aspettavano pronti all’azione. ‒ Oggi non hanno ancora
avuto
tempo di portare a casa del materiale da noi.
Coraggiosi,
i
Dexholder affrontarono il problema di petto. E i cacciatori di scoop
targati
“press” non si lasciarono scappare l’opulento boccone: sguainarono
reflex,
microfoni e taccuini.
‒
Sapphire, è vero che Ruby è il suo ex? Come si è conclusa la vicenda?
‒
Dove si trovano Green e Gold, il gruppo ha avuto delle rotture?
‒
Red, perché non si trova a Kanto in questo momento critico?
‒
Platinum, che cosa pensa la sua famiglia di questa sua vocazione alla
vita
spericolata?
‒
Silver, che balsamo utilizza?
La
pioggia
di domande cadde su di loro copiosa e devastante, alcuni di loro fecero
di tutto per rispondere in maniera esaustiva, sincera ed educata (le tre
cose
non sempre coincidevano, anzi, quasi mai) e dopo un discreta mezz’ora
riuscirono a percorrere quei pochi passi di marciapiede che li avevano
separati
dall’entrata sicura del loro residence. Si resero conto che, nel
frattempo, una
piccola cortina di gente si era radunata attorno a loro, gridando,
esultando e
applaudendo ad ogni risposta involontariamente epica che uno di loro
tirava
fuori. Ovviamente, un coro di sostegno lì accompagnò mentre scomparivano
all’interno dell’hotel. Avrebbero potuto chiedere dei soldi al
proprietario di
quel posto per tutte le foto che ritraevano loro con l’albergo sullo
sfondo,
eppure, avevano la sottile sensazione che era stato proprio il direttore
a
convocare i giornalisti. In che altro modo avrebbero potuto scoprire il
luogo
in cui alloggiavano, altrimenti?
Ogni
Dexholder
tornò in camera sua, Sapphire si chiuse la porta alle spalle e cercò
di non pensare allo sguardo gelido di Crystal che l’aveva accompagnata
per
tutto il giorno, Blue scomparve stranamente silenziosa, Crystal si
vanificò
allo stesso modo di Silver, Red e Yellow si chiusero in camera e
sembravano i
più sereni della compagnia.
‒
Cosa ne pensi, amore?
Yellow
era
intenta a spazzolare la sua lunga chioma bionda mentre lo specchio
imitava
tutti i suoi movimenti. Red era sul letto, guardava il biancore
dell’intonaco
di fronte a sé e il suo guardo vacuo non pareva accennare ad emozione
alcuna.
‒
Red, che cosa succede? ‒ la ragazza si girò verso di lui. ‒ Sei strano
da un
bel po’.
Quello
agitò
una mano: ‒ non siamo proprio nel periodo più bello che io ricordi.
‒
Che cos’hai, Red? ‒ insistette.
Un
sospiro.
‒
Che succede?
Red
scattò
in piedi. Yellow non poté che seguirlo con gli occhi.
‒
Dovrei essere a Kanto, in questo momento, ho dei lavori da portare a
termine.
‒
Che cosa significa?
‒
Che devo ricostruire, voglio lasciare qualcosa alla Lega… cazzo… non
avevo mai
pensato a un’eventualità simile.
‒
Red, che vuoi dire?
‒
Dovrò pur avere qualche idea, voglio dare tutto a Kanto, voglio… voglio…
Red
tremò.
‒
Che ti succede…? ‒ chiese la ragazza, terrorizzata.
‒
Lasciami solo.
Yellow
raggelò.
‒
Lasciami solo, per favore… vattene.
E
in quel momento, nel terrore che quella situazione aveva infuso nel suo
animo,
Yellow credette di vedere una lacrima rigare la guancia del suo ragazzo.
‒
Red…
Il
Campione
di Kanto, con gli occhi fissi nel vuoto, inclinò la testa verso la sua
borsa, come ad indicargliela. Yellow comprese con qualche istante di
ritardo.
Raggiunse la tracolla, ispezionò il contenuto e notò una cartella di
colore
giallo acceso, di carta liscia e plastificata. La aprì. E un sospetto le
morse
lo stomaco con le sue fauci. Non guardò neanche la RM, passò
direttamente al
foglio scritto. Lesse ghiacciando sempre più ad ogni sillaba.
Red
aveva
un glioblastoma multiforme. Un tumore al cervello. Incurabile.
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Capitolo 13 *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 1 ***
Capitolo
6: Il mondo
dei grandi pt. 1
“…mentre tutti si
chiedono: dov’è
Zero in questo…”
“…la regione piange, ma
ogni
singolo civile che ha perso la vita in questa sventurata…”
“…la nomina di una nuova Capopalestra. Vivalet sarà rappresentata da
una nuova medaglia
che…”
“…Ruby è finalmente
tornato nella
sua terra natia, pare che ancora una volta il Campione di Hoenn abbia
in mente
il prossimo…”
Celia
vagava
tra un canale e l’altro, i TG notturni le davano la sterile sensazione
di non essere la sola persona sveglia a quell’ora. Non riusciva a
prendere
sonno, non riusciva a prendere sonno decentemente da più o meno un anno.
Le sue
occhiaie permanenti rendevano abbastanza l’idea. Il sesto giorno di
settembre
dell’anno precedente, quando lei aveva era ancora un’illusa sedicenne,
il suo
genitore adottivo era morto in ospedale per un’insufficienza polmonare.
Lei era
rimasta un’intera estate inguaiata in una vicenda molto più grande di
quanto si
sarebbe mai aspettata, era divenuta l’allieva di Antares e aveva perso i
contatti con il suo fratellastro. In poco più di una settimana, mezzo
mondo le
era crollato addosso. Per fortuna lei era sempre stata una donna molto
forte.
Una ragazza, sarebbe più corretto dire.
Affondò
la
sigaretta in quel nido di cicche che era il suo posacenere. Bevette due
sorsi d’acqua solo per far sfrigolare in gola il sapore del fumo, tossì
tre
volte.
Fissò
per
dieci minuti la sequenza degli spot pubblicitari in televisione prima di
alzarsi dal divano. Aveva indosso soltanto i suoi slip e si trovava
nella
camera dell’hotel più lussuosa che avesse mai visto. Succede così quando
diventi uno dei Capipalestra della regione di Holon e di punto in bianco
ti
trasformi da celebrità a divo. Le era permesso di fumare all’interno
della
camera, ma era più o meno certa che nessuno avrebbe avuto da ridire
nemmeno se
avesse voluto chiedere al servizio in camera un paio di strisce di coca.
Fissò
il
suo letto. Fissò l’essere umano che dormiva sopra il suo letto.
“Questo
ce
l’aveva più grosso di quello della volta scorsa” pensò. “Ma aveva un
corpo
meno muscoloso.” Non che per lei facesse poi molta differenza.
Afferrò
i
pantaloni che il tipo aveva lasciato sulla moquette e glieli gettò in
faccia
con la delicatezza di un carpentiere, svegliandolo. Quello cominciò
subito a
borbottare, stropicciandosi gli occhi.
‒
Fuori, va’ ‒ proferì solamente lei afferrandolo per un braccio e
spingendolo
giù dal letto.
Quello
faticava
a capire, mormorava qualcosa tipo “aspetta”, “oh, che fai?”,
“calmati”. Poi finalmente si convinse a non opporre resistenza.
‒
Levati dalle palle, dai ‒ proseguì Celia.
Quando
il
ragazzo, i suoi vestiti, gli involucri dei preservativi e una bottiglia
di
champagne di consolazione furono finalmente fuori dalla porta della
suite,
Celia decise di chiudere la porta.
‒
Aspetta, mi richiami? ‒ chiese quello ancora mezzo addormentato.
Celia
neanche
rispose e gli sbatté la porta in faccia. La TV era ancora accesa, era
andata in onda una fiction repellente su due famiglie rivali che si
contendono
il possedimento di un Magikarp dorato. Celia non la spense, ma si gettò
sul
letto. Le faceva ancora male il culo, per questo ficcò la testa sotto il
cuscino e fece finta di essere in una spa sotto le mani sapienti di un
massaggiatore
iberico.
Ovviamente
il
suo PokéNet cominciò a squillare. Lei lo artigliò malamente e rispose
maledicendo col tono di voce chiunque ci fosse dall’altra parte della
chiamata.
‒
Chi è? ‒ suonò tombale.
‒
Celia, è Antares ‒ rispose il Campione della Lega di Sidera.
‒
Vaffanculo, sono le tre e un quarto.
‒
So benissimo che non dormi.
‒
Che vuoi?
‒
Abbiamo trovato Latios.
Lei
si
bloccò. Erano in linea tramite PokéNet, il che significava che Antares
le
stesse parlando in codice. Abbiamo
trovato
Latios. Anche inteso come: abbiamo
trovato
tuo fratello, Xavier.
‒
È incredibile… ‒ commentò Silver.
‒
Spero vivamente che sia uno scherzo, tutto questo sta prendendo una
piega
comica ‒ proseguì Blue.
I
due, in compagnia di Platinum e Crystal, si trovavano nella mensa del
residence. Era mattina, attorno a loro i turisti circolavano nella
bolgia del
self service per accaparrarsi la fetta di bacon più croccante.
All’appello, oltre
a Green e Gold che si trovavano ancora a Hoenn, mancavano Red e Yellow.
Erano
scomparsi quella notte, dopo che ognuno dei Dexholder li aveva visti
andare a
dormire la sera prima nella stessa camera. E poi puff.
‒
Effettivamente Red era un po’ strano, ultimamente ‒ commentò Sapphire.
Gli
altri
la ammonirono con gli occhi. Erano tutti strani, dopo la morte di
Emerald
e la strage di Vivalet, nessuno di loro aveva potuto evitare di uscirne
destabilizzato.
Platinum
li
aveva raggiunti in mattinata e, in mezzo ai grandi, si faceva quasi
trasparente. Tratto non tipico del suo carattere che tendeva invece ad
adattarsi a qualsiasi contesto. Eppure, non riusciva ad amalgamarsi con
quel
gruppo. Aveva immaginato tante volte dei Dexholder provenienti dalle
altre
regioni. Gente forte, degna di fiducia, sicura. Aveva immaginato una
sorta di
armata perfetta, coesa e inarrestabile composta da guerrieri più che da
allenatori. Aveva immaginato degli uomini più che maturi abituati ad
affrontare
qualsiasi tipo di pericolo e temprati in ogni singolo aspetto della
propria
personalità. Aveva trovato un gruppo che ha mantenuto unità e sanità
mentale
per due giorni e non un secondo di più. Poi uno era morto, gli altri
avevano
litigato, uno sembrava aver tagliato tutti i ponti parecchio tempo
prima, e ora
cominciavano pure a sparire. Di questo passo, non sarebbe rimasto alcun
Dexholder sano di mente nel giro di pochissimo tempo.
‒
Dobbiamo cercarlo? ‒ domandò Platinum al gruppo.
Crystal
grugnì
lievemente seccata. Dovevano cercare tutto, tutto era nascosto: Kalut,
Zero, le informazioni di Rocco, Ruby e alla fine pure Red e Yellow.
‒
Non credo proprio… ‒ rispose Silver.
Tutti
notarono
che i suoi occhi erano fissi su uno degli schermi della hall.
Portarono lo sguardo alle immagini trasmesse. Come degli automi, tutti e
cinque
i Dexholder rimasti si appropinquarono meccanicamente al televisore.
Nessuno
notò qualcosa che avrebbe potuto stupire Silver a quel livello, fino a
quando,
tra i titoli in scorrimento delle notizie:
Il
Campione
di Kanto convoca una conferenza stampa all’Altopiano Blu per le 13:00
di oggi.
‒
Almeno sappiamo dov’è… ‒ mormorò Sapphire.
‒
Perché se n’è andato così di fretta e senza dirci niente? ‒ chiese
Silver.
‒
Ciò che tutti ci stavamo appunto chiedendo ‒ intervenne Blue.
In
poche
parole, decisero unanimemente di non intervenire e di attendere la
conferenza, che avrebbero seguito in diretta dal tg. Tutto ciò, senza
evitare
di risparmiare del tempo e quindi avviandosi verso la sede della Lega di
Holon.
Sapphire, controllando il PokéNav, si accertò che ci fosse un Centro
Pokémon in
cui si sarebbero potuti fermare per l’ora di pranzo e per seguire la
conferenza. Ovviamente, ne trovò uno, era ad Holon, la terra del
servizio
turistico.
Ognuno
tornò
in stanza a ricomporre la propria valigia, Platinum lo aveva già fatto
prima di raggiungerli quella mattina, nessuno pagò uscendo dall’hotel,
era
tutto pagato dalla Lega. Optarono per fare la strada a piedi, cosa che
sembrava
passata di moda tra le nuove generazioni di Allenatori ma che non faceva
mai
male per ricordare i vecchi tempi. La passeggiata partì nel silenzio
generale,
sarebbero giunti al Centro per mezzogiorno e mezza, mantenendo un buon
passo.
Tutti
loro
faticavano a guardarsi in faccia. Gli eventi dell’ultimo periodo erano
piombati addosso alla loro psiche con assurda violenza. Chiunque avrebbe
trovato difficoltà a gestirli allo stesso modo. Ancora insopportabile
era la
presenza dei giornalisti-stalker che sembravano pedinarli fin dalla loro
uscita
da Vivalet. Erano fastidiosi ma, secondo i piani, fondamentali per
rendere
intoccabile la loro presenza.
‒
Il dispositivo di localizzazione Pokédex elaborato da Oak dovrebbe
funzionare ‒
fece Green tappando di qua e di là sulla sua enciclopedia digitale.
‒
Solo io penso che questa cosa faccia molto “moglie sospettosa”? ‒
commentò
Gold.
‒
Tecnicamente è violazione della privacy, preferirei non utilizzarlo, ma
purtroppo non abbiamo altro su cui basarci per trovare Ruby.
Gold
lo
fissava sorridente e malizioso. ‒ Sai che un oggetto come questo
potrebbe
essere veramente utile in certe occasioni?
‒
Per questo lo sto usando.
‒
E Oak invece sa che in altre potrebbe essere estremamente pericoloso?
‒
Per questo non si sogna nemmeno di dartelo.
‒
Simpatico, il giorno che tu e tuo nonno comprenderete le mie doti sarò
già lon…
‒
Zitto, l’ho trovato.
‒
Hai trovato il suo Pokédex, non credo che lo porti più con se da tempo,
ormai.
‒
Per ora abbiamo questo su cui basarci: Ciclamipoli, è nel quartiere
ovest.
I
due Dexholder spiccarono il volo sui loro Pokémon, avevano dormito in un
piccolo ostello di Porto Selcepoli, passando inosservati alla maggior
parte dei
reporter della zona. Non avevano saputo nulla della sparizione di Red,
tantomeno della conferenza stampa indetta per quel pomeriggio; o meglio,
Green
lo avrebbe scoperto se avesse dato un’occhiata al suo PokéGear. Inoltre
non
conoscevano i piani dei loro compagni che avevano deciso di condurre
l’indagine
per conto loro direttamente alla Lega di Holon. Erano in cerca di Ruby,
Sapphire
aveva chiesto la loro collaborazione per entrare in contatto col ragazzo
che
una volta era la persona per cui lei aveva provato l’affetto più grande
della
sua vita.
Raggiunsero
Ciclamipoli
in men che non si dica, sorvolando la pista ciclabile che riluceva
sotto la luce del sole. Scesero nella capitale e cominciarono a
camminare
discretamente per la strada, Green dava ogni tanto un’occhiata alla
mappa del
suo Pokédex per controllare che la direzione fosse quella giusta. Erano
scesi a
Ciclamipoli Ovest, che secondo molti abitanti della città stessa non fa
parte
di Ciclamipoli. La periferia, organo vitale ma non indispensabile di
un’urbe:
un po’ come uno dei reni di ogni essere umano.
Gold
camminava
fissando la gente, Green osservando i muri. Entrambi notarono
stranezze e si invitarono reciprocamente a partecipare alla scoperta.
Green
fece un cenno e Gold si trovò davanti un murales gigantesco ed epico:
raffigurava la regione di Hoenn riprodotta con minuzia geografica
circondata
dal lungo corpo di Rayquaza rampante. Una sola scritta:
RICORDATE
‒
Hanno percepito molto la loro perdita?
‒
Più di quanto immaginassi, Hoenn era evidentemente molto legata a quel
Pokémon…
Rimasero
ad
ammirare l’opera per alcuni minuti, prima di tornare alla realtà. La
curiosità
che, pochi minuti dopo, Gold invitò Green a vedere era invece molto meno
spettacolare. Una scena patetica che sembrava essere uscita da una
bacheca di
Facebook, per quanto improbabile: un signore tarchiato, dall’altra parte
della
strada, camminava tenendo sopra la testa un grosso cartello rettangolare
e
scritto. La scritta:
Salvatevi
dalla
furia della natura. Lasciate Hoenn.
Questo
soggetto
passava e le reazioni dei passanti erano di tre tipologie: chi lo
ignorava, chi si complimentava con lui, chi scoppiava a ridere
rotolandosi a
terra. Insomma, ai due ragazzi bastò camminare per altri quattro isolati
per
rendersi conto di una certa realtà grazie a biglietti appesi alle porte
dei
negozi chiusi, televisioni sintonizzate su trasmissioni locali accese
nelle
vetrine, signore petulanti che chiacchieravano a voce alta. Una certa
fetta di
popolazione, a Hoenn, era rimasta tanto sconvolta dalla morte di
Rayquaza da essersi
convinta di attendere un’imminente collasso gigantesco capace di radere
al
suolo la regione. La valvola che aveva permesso la diffusione iniziale
di
questa credenza era stata quella debole scossa manifestatasi proprio
dopo il
decesso del dragone. Gli apocalittici erano emersi dalla folla, una
discreta
fetta della popolazione era fuggita, i più rassegnati predicavano per
smuovere
le folle dallo scetticismo nei confronti di tale credenza.
Con
Rayquaza
morto, Hoenn sarebbe caduta presto, diceva il popolo. I due Dexholder
non poterono far altro che scuotere la testa pensando a ciò. Entrambi
trovavano
interessante la capacità che avesse la massa di essere manipolata e
agitata. In
ogni caso, continuarono la propria ricerca, fermandosi ogni tanto per
sorridere
amaramente di fronte a preghiere pubbliche di massa e fughe dell’ultimo
minuto
effettuate dai cittadini meno scettici.
Presto
giunsero
alla posizione indicata dal software di Green sulla localizzazione
Pokédex. Sembrava assurdo, ma probabilmente Ruby lo aveva ancora con sé.
E se
il GPS non mentiva, si trovava proprio alla sede del canale HC One, il
network primario
della TV di Hoenn. Il palazzo si stagliava nella sua gigantesca figura
vitrea e
svettante tra gli scrostati edifici della Ciclamipoli Ovest. L’alta
recinzione
impediva ai writer che avevano operato su tutto il resto del quartiere
anche
solo di avvicinarsi al sontuoso grattacielo. Due grosse statue di ottone
raffiguranti figure forse molto importanti nella fondazione della
compagnia
imponevano un certo senso di inferiorità a chiunque volesse entrare lì.
‒
Green ‒ esordì Gold senza staccare gli occhi dall’entrata.
‒
Dimmi.
‒
È il momento di farti capire perché ho chiesto a te di seguirmi e non a
qualcun
altro.
‒
Spiegami.
‒
La tua discreta ma non eccelsa fama è un passe-partout che non attira
assalti
mediatici.
L’occhiata
con
cui Green rispose fu ciò che di più gelido Gold vide mai nella sua vita.
Tuttavia, l’amico non si sottrasse al suo ignobile compito.
I
faccini di Gold e Green erano ben accetti in un’azienda in cui
l’obiettivo
primario era attirare l’attenzione della massa. Con la scusa di parlare
con un
certo produttore che aveva contattato nei giorni precedenti i due
Allenatori
per un servizio sul Torneo che persino la segretaria comprese essere
un’invenzione, i due riuscirono ad intrufolarsi nella sezione
programmazione.
Rivelarono solo in seguito di essere alla ricerca di Ruby, ma la cosa
non si
rivelò necessaria, lì dentro loro potevano sentirsi come bambini alla
propria
festa di compleanno. Qualcuno dice che il prezzo della fama non è
ripagato
dall’amore dei fan, quanto dal servilismo dei signori.
‒
Tredicesimo piano, quarta sala a destra, montaggio ‒ li indirizzò la
donna con
occhiali e chewing-gum.
I
due Dexholder si resero conto che persino l’ascensore sapeva di femmina,
dentro
quel palazzo. Inoltre, la musichetta che risuonava all’interno era stata
composta da una pop star lanciata da quella stessa azienda, ne erano
sicuri. Le
porte automatiche si aprirono sul tredicesimo piano, notarono subito le
piastrelle di colore più scuro e le finestre più strette. La poca luce
si
adattava perfettamente al poco rumore che vi era su quel piano. Tutto
sembrava
notturno e quieto, lì nessun foglio volava e nessun pubblicitario
gridava
perché gli fosse servito il secondo Manhattan. Quello era il reparto
montaggio.
‒
Devi scegliere qualcosa di forte e sereno, il film deve infondere
sicurezza,
quindi come colonna sonora serve qualcosa che ricordi un evento
gradevole,
l’ultima Gara Speciale di Verdeazzupoli, ad esempio ‒ sentirono
mormorare da
una voce ben conosciuta che era dietro l’angolo.
Subito
davanti
a loro comparve il faccino dai lineamenti sottili di Ruby, Campione di
Hoenn e direttore della pubblicità a tempo perso, in base a ciò che
avevano
appena visto. Accanto a lui, un uomo che mai avrebbero scoperto essere
uno dei
compositori della compagnia. L’ex Dexholder sbiancò vedendoli. L’omino
con cui
stava discutendo scomparve dalla situazione.
‒
Green, Gold ‒ si stupì lui. ‒ Non mi sarei mai aspettato di trovarvi
qui.
‒
Ne eravamo sicuri, dobbiamo parlarti ‒ tagliò corto quello dagli occhi
verdi.
Ruby
si
guardò attorno. ‒ Datemi un minuto ‒ e passò oltre. Non tradì
insicurezza,
era nel proprio mondo.
Lo
seguirono
mentre raggiungeva una stanza della quale nessuno si era preoccupato
di chiudere la porta. Al suo interno trovarono due operatori che
lavoravano
davanti ad un computer con dei programmi che sicuramente costavano più
dei pc.
Ruby sussurrò qualcosa all’orecchio del primo e posò sul tavolo un
foglio con
delle scritte frettolose e caotiche.
‒
E sì, lo sharing di venerdì era soddisfacente, quindi lavoriamo su quel
progetto, programmalo allo stesso orario ‒ puntualizzò a quello,
abbandonando
lo studio.
Green
e
Gold cominciavano a capire. Ruby era uno dei Campioni più apprezzati e
famosi
di sempre, almeno tra il popolo, perché era un genio nel marketing. Era
sempre
stato bravo a “piacere”. E, come nelle gare Pokémon, aveva capito come
proporre
il proprio personaggio alle masse. La sua Lega era una delle più
fiorenti che
Hoenn avesse avuto da anni, ormai, il segreto era proprio nel suo
Campione che
aveva capito come farla amare dalla gente e farla piacere a tutti. Per
questo
gli Allenatori importanti di Hoenn erano anche star nazionali e divi
famosissimi.
‒
Sono vostro per un po’ di tempo ‒ disse quindi a loro, prendendoli in
disparte.
Erano
in
una delle sale ricreative, dove erano state piazzate delle piante
esotiche,
delle macchinette che erogavano snack e bevande e dei divanetti.
‒
Sapphire voleva entrare in contatto con te.
‒
Ah. E perché ha delegato voi?
‒
Ci trovavamo a Hoenn per altri motivi.
‒
Capisco, per voi è tutto a posto? intendo, dopo ciò che è successo a
Vivalet.
Green
e
Gold si guardarono strano. Entrambi si domandarono se Emerald fosse
effettivamente suo amico o no. Ruby sembrava incredibilmente calmo e
sereno e
aveva chiesto loro di quel disastro incredibile come se si fosse
trattato di
una barzelletta.
‒
No, non è per niente a posto ‒ lo fronteggiò Green. ‒ Ma non siamo qui
per
parlare di questo.
‒
Aspetta ‒ si intromise Gold, stranamente serissimo, con un’espressione
che
lasciava intuire che il suo pugno avrebbe piacevolmente voluto
raggiungere i
denti di Ruby. ‒ Ruby, ti rendi conto che tu hai la libertà di andare
dove ti
pare e piace senza delle telecamere di sicurezza puntate addosso
solamente
perché noi siamo gli unici a sapere che tu, per un certo qual motivo,
sapevi in
anticipo che Rayquaza avrebbe attaccato Vivalet?
Ruby
non
rispose, ma scambiò la faccia da ebete che aveva tenuto fino a quel
momento
con un’espressione più corrucciata e attenta.
‒
Ci sono stati dei morti, a noi non frega niente di te o di Sapphire, non
stiamo
parlando in veste di suoi amici o di tuoi ex compagni. Qui c’è molto di
più in
ballo.
Nel
pronunciare
tali gelide parole, Gold era balzato in piedi e aveva assunto una
posizione inarcata su Ruby. Voleva saltargli addosso. Green, se non
fosse
rimasto stupito dalla sua insolita reazione, si sarebbe preparato ad
intercettarlo.
‒
Sì, lo capisco, Gold ‒ mormorò il Campione di Hoenn a bassa voce.
‒
Allora non fare il finto tonto con noi e tantomeno con lei, se hai
ancora un
briciolo di umanità da qualche parte.
Nel
gelo
che si era creato, chiamarono Sapphire con il dispositivo di Ruby, il
quale lo mise subito all’orecchio. Green gli intimò di attivare la
videochiamata, ma lui rifiutò candidamente con una scusa che nessuno
ascoltò.
Il
sole
batteva forte, il silenzio era imperfetto, l’aria era innaturale. La
cadenzata orchestra di passi che il gruppo
Blue-Crystal-Silver-Platinum-Sapphire creava avanzava lentamente nella
artificiale vegetazione di Holon. La direzione era quella della Lega.
Tutti
loro si guardavano attorno dall’inizio del viaggio. Posavano gli occhi
sulle
cortecce perfette e lucide, sulle rocce coperte di morbidissimo muschio,
sulla
stomachevole serenità dei Pokémon selvatici che spuntavano dalla
vegetazione,
sui sentieri di erba pettinata lastricati ciottoli regolarmente
circolari.
Lo
squillo
di una chiamata suonò quasi rassicurante, in quella messinscena.
‒
È Ruby… ‒ mormorò Sapphire, intuendo. Il contatto era infatti diverso da
quello
che lei possedeva, ragion per cui aveva mandato Green e Gold a fare da
intermediari.
‒
Sapphire.
‒
Ruby, ti hanno convinto a farti sentire, vedo.
‒
Non è stato difficile per loro.
‒
Poche storie, piuttosto, parliamo di cose importanti.
La
ragazza
stava mantenendo la massima naturalezza. Sembrava addirittura
distaccata.
‒
Abbiamo parlato con Rocco, te lo ricordi? Quello che ti ha detto che
Vivalet
sarebbe stata rasa al suolo. Beh, dopo qualche indagine e un po’ di
discussione
siamo arrivati alla conclusione che nessuno a parte Zero può aver
lasciato il
cadavere di Murdoch, che si sarebbe occupato di inviare il dragone allo
stadio,
sulla cima della Torre Dei Cieli. Adesso…
‒
Non ho tempo ora, Sapphire, ti ho chiamato solo per dirti che non ho
tempo di
parlare con te ‒ la interruppe Ruby, trasudando il proprio disagio da
ogni
bugia.
Sapphire
si
sforzò di non spezzare il PokéGear nella propria mano.
‒
Tu sei veramente impressionante, come osi dirmi che non hai tempo per…
‒
Perdonami, ma adesso sono veramente occupato.
Ruby,
sotto
lo sguardo attonito e furente di Green e Gold, ebbe il fegato di
chiudere
la chiamata in faccia ad una Sapphire che imprecò acidità inaudite
contro di
lui e scagliando il dispositivo a terra. Il Campione si alzò, fece per
lasciare
la stanza e fu sbrigativo nel far intendere con un gesto ai due
Dexholder che
era il momento, per loro, di andarsene.
‒
Ruby, Cristo santo, io ti rompo quel faccino da rivista che hai! ‒
sbottò Gold
facendo voltare tutto il corridoio del piano tredici.
Il
ragazzo
gli teneva le spalle, camminava svelto, sembrava andare in una
direzione precisa. Alle calcagna, un duo di rabbiosi Allenatori che non
si
lanciavano contro il suo corpo solo per dignità personale.
‒
Stai fermo, non provare a…
Ruby
svoltò
un angolo. Il trio si trovò davanti ad una porta di vetro dal grosso
maniglione antipanico sulla quale brillava il simbolo dell’uscita di
sicurezza.
Dava su una scalinata di metallo, una semplice scala antincendio.
Stupendo ma
aumentando la rabbia dei due al suo seguito, la aprì premendo con forza
sulla
barra verde.
Un
fortissimo
allarme scattò in tutto il palazzo, il silenzio tombale del reparto
montaggio che era stato spezzato dalle invettive di Gold fu di nuovo
ucciso
brutalmente. In conclusione, tutti e tre i ragazzi si ritrovarono a
guardarsi
negli occhi sulla rampa di una scala antincendio con in sottofondo il
gracchiante, continuo e fortissimo suono dell’allarme del palazzo.
Ruby
si
fermò e si lasciò circondare. Non si concesse un attimo. Le sue parole
furono forti e scandite, tanto da giungere alle orecchie dei suoi amici
nonostante il baccano.
‒
Le linee sono intercettate, io non posso mettermi in contatto con
nessuno, la
FACES mi sorveglia, non parlate con me di Zero o di altri membri
dell’opposizione, ho le mani legate, dovete sbrigarvela da soli.
L’allarme
tacque,
qualche impiegato aveva persino imboccato le vie di sicurezza, ma si
intuì subito che c’era stato un errore. Ruby si scusò scherzando sulla
propria
disattenzione, fulminando con gli occhi chiunque avesse il coraggio di
guardarlo con un minimo bagliore di curiosità.
‒
Mi dispiace, grazie per avermi riferito, comunque ‒ salutò Ruby, falso e
formale, indirizzando i Dexholder verso l’ascensore. Sia Green che Gold
avevano
taciuto per interi minuti. Ciò che Ruby aveva fatto li aveva lasciati
interdetti e insoddisfatti, non sapevano come inquadrare un
comportamento del
genere. Uscirono dal palazzo nel silenzio più freddo. Solo quando i loro
piedi
toccarono di nuovo il marciapiede ebbero il coraggio di guardarsi per
cercare
nell’altro un’opinione riguardo agli eventi appena accaduti.
Green
non
parlò, Gold nemmeno.
Poi,
mentre
gli occhi di Green tornavano lentamente ad assottigliarsi e a perdere il
loro stupore, il cuore di Gold cominciava a pompare sangue sempre più
caldo ad
un ritmo in costante crescendo.
‒
Green, fai uscire Charizard e Pidgeot ‒ ordinò, deciso.
‒
Che cosa hai intenzione di fare? ‒ scosse la testa. ‒ In ogni caso, no.
‒
Fai come vuoi, se vuoi evitare i poliziotti, però, dai retta a me ‒ il
ragazzo
di Johto aveva già entrambe le mani sulle sue Poké Ball.
‒
Gold, non provarci neanche ‒ Green era quasi minaccioso.
Il
Dexholder
di Fiordoropoli sembrò calmare per qualche istante il suo spirito
indomito.
‒
Sai benissimo che possiamo cavarcela… ‒ cercò di spiegare.
Si
rese
conto che per la prima volta cercava di giustificare razionalmente e in
maniera pacata una delle sue bravate. Green gli aveva imposto il suo
rifiuto
troppo fermamente, comprese che niente lo avrebbe mosso.
‒
Tu non estrai quel Pokémon e non porti via Ruby con la forza in nessun
modo,
ok?
‒
Ok… ‒ acconsentì debolmente Gold.
I
due cercarono di mantenere un profilo basso, tornando a passeggiare per
le vie
di Ciclamipoli, con il peso della sconfitta gravoso sulle spalle e
indecisi sul
da farsi.
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Capitolo 14 *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 2 ***
Capitolo
6: Il Mondo
Dei Grandi pt. 2
Sapphire
fissava
la propria tazza di caffè. Era nervosa. Ruby aveva avuto il fegato di
riattaccarle il telefono in faccia con un evidentissimo pretesto e non
era
riuscita ad ottenere le informazioni che voleva né tantomeno a parlare
di nuovo
con lui. Il centro Pokémon del sentiero che collegava Vivalet con la
Lega
Pokémon era mezzo vuoto e lei, Platinum, Blue, Crystal e Silver si
trovavano
seduti all’angolo bar a sgranocchiare snack e sorseggiare bevande di cui
non
avevano voglia solo per tenere d’occhio la televisione, in attesa della
conferenza stampa che Red avrebbe tenuto quel pomeriggio.
Parecchi
chilometri
più a ovest, a Hoenn, Green e Gold avevano fatto lo stesso. Solo che
lo schermo che stavano osservando era una ventina di pollici più ampio.
Avevano
ricevuto quella notizia proprio dai loro amici che erano ancora a Holon.
Stentando
a credere al loro racconto, non avevano potuto far altro che aspettare
per
capire cosa ci fosse di tanto importante nella testa del ragazzo da
monopolizzare la sua persona e costringerlo ad fuggire di notte come un
ladro.
Gold, dalla sua parte, si era astenuto da commenti. I suoi rapporti con
Green
si erano congelati un pochino da quando lui aveva anticipato la sua
“buona
azione” quella mattina.
‒
Che diavolo sta succedendo… ‒ se ne uscì Blue con un sussurro.
Silver
si
mostrò pronto ad ascoltarla, Sapphire era nervosa, Crystal non
comunicava da
giorni e Platinum fissava il vuoto.
‒
È tutto così strano, Sil… ‒ disse rivolta al suo miglior amico.
‒
Sono successe tante cose, negli ultimi giorni.
‒
Tante cose orribili, bisogna arrivare sul fondo di questa faccenda.
‒
Tu sei una di quelle che metabolizza la negatività nel miglior modo, tra
noi.
Non oso immaginare neanche come possano stare tutti gli altri, Sapphire,
Crystal… Yellow ‒ disse, assicurandosi che nessuna delle nominate
potesse
sentirlo.
Blue
si
sentì fortemente responsabilizzata dalle parole del suo più vecchio
amico.
Si rese conto solo in quel momento di essere la più anziana nel gruppo dei Dexholder e comprese che, nella lunga lista
dei suoi doveri, rientrava anche quello di essere forte per gli altri.
Tacque
immediatamente, restando presa dai suoi pensieri, fortunatamente
l’annuncio
televisivo entrò in suo soccorso.
“…in
diretta
dalla sede della Lega di Kanto e Johto, all’Altopiano Blu, Red, attuale
Campione di Kanto” blaterava la presentatrice.
L’inquadratura
mostrò
il basso palcoscenico sovrastante un tappeto di reporter e giornalisti
frementi. Il microfono era ancora vuoto, ma nella parte posteriore
sedeva un
contrariatissimo Lance che non faceva altro che lanciare occhiate
maligne a
destra e sinistra.
Tutti
i
Dexholder, che si trovassero a Holon o a Hoenn, stavano assistendo in
live
all’avvenimento. Attendevano le parole di Red. Inoltre, senza che loro
potessero saperlo, pure il professor Oak, il professor Elm, e tutte le
altre
autorità mondiali sul tema Pokémon si erano interessati alla faccenda.
Una
stanca
Yellow comparve sul palco per sedersi accanto a Lance. La donna del
Campione. Poi, come un’anima penitente, Red arrancò sul palco per
posizionarsi
davanti ai primi spavaldi flash che lo aggredivano. I suoi amici
riconobbero
bene la sua espressione e condizione. Quello era il Red che aveva
dormito due
ore in cinque giorni. Il Red che aveva dimenticato di farsi la barba e
che si
era fatto annodare la cravatta dalla sua ragazza non essendo stato
capace di
farlo in autonomia. La miserabile condizione con cui si era spinto sotto
i
riflettori così all’improvviso, però, era ben nascosta da uno sguardo
che solo
alcuni avevano avuto la fortuna di vedergli bruciare negli occhi. Red
aveva
qualcosa di importante da dire.
‒
Buongiorno a tutti, vi ringrazio per la presenza ‒ salutò con brevità.
Lo
sguardo
del Campione si inclinò una volta verso quello di Yellow, in cerca di
sicurezza, forse. Si era intanto creato il silenzio perfetto, tutti
coloro che
si trovavano all’ascolto avevano smesso di respirare.
‒
Ho scelto di convocare questa conferenza stampa io stesso perché mi
rendo conto
che gli eventi a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni hanno… del
surreale.
Vivalet, la Capitale di Holon, è stata attaccata da Rayquaza, ha subito
duecentoottantanove perdite, di cui duecentosedici turisti, settantasei
provenienti da Kanto. Alla furia del Pokémon ci siamo opposti in molti,
fin
quando il suo stesso attacco è riuscito a fermarlo. Uccidendolo ‒ si
prese una
pausa retorica, i tempi dei suoi discorsi pubblici erano sempre stati
ben
calcolati, sapeva come rapportarsi con gli ascoltatori. ‒ Ma sapete già
tutto
questo, quello su cui dobbiamo soffermarci è innanzitutto la natura
dell’attacco. Perché sì, Rayquaza non ha colpito Vivalet per il gusto di
farlo,
ma è stato mandato a compiere quel lavoro ‒ chiarì, con forza nella
voce. ‒ Le
indagini scorrono, io stesso ho tentato di far luce sulla vicenda.
Tuttavia, mi
rendo conto di dover fare una scelta importante. Sono qui, oggi, per
annunciare
le mie dimissioni dalla carica di Campione della regione di Kanto, Lance
prenderà al mio posto le redini della Lega dell’Altopiano Blu ‒ Numerosi
cuori
si fermarono, tra gli ascoltatori. ‒ mi sono reso conto di non poter più
onorare questo incarico, non in questo momento. Kanto, ora, non ha
bisogno di
me.
Un
esplosione
di domande, mani, grida si riverso nella sala conferenze. I
giornalisti cominciarono a spillare al non più Campione ogni minima
informazione e ogni più stupido dettaglio. Lui non rivelò mai troppo,
presto
ognuno si rese conto che era come parlare del nulla. Due colpi grossi
erano
stati assestati da Red al mondo intero. La natura dolosa del disastro di
Vivalet e le sue dimissioni.
Ci
fu
qualche calo e qualche rialzo in borsa nel giro di pochi secondi,
qualche
azienda Cinese cominciò a produrre maglie sul non più Campione, qualche
giornale online pubblicò immediatamente il proprio articolo di opinione
sprezzante e, alla pagina seguente, l’elogio commemorativo del grande
Red di
Biancavilla.
Blue
stringeva
la maglia di Silver come fosse l’ultimo appiglio prima dell’abisso.
Sapphire non riusciva a credere alle proprie orecchie. Gold taceva
puntando lo
sguardo vuoto sul televisore e Green era a bocca aperta. La giornata
perse di
senso. Il rollercoaster emozionale cui i Dexholder erano stati
sottoposti li
aveva sfiancati. Tra gli eventi di Ciclamipoli e il fatto legato a Red,
ormai,
nessuno di loro sapeva come affrontare le cose.
‒
Sapphire ‒ Green aveva chiamato l’ultimo contatto della sua rubrica.
‒
Sì, abbiamo visto, mi ha chiamato papà e ha detto che né lui né Oak
sapevano
niente. Che diavolo è venuto in mente a Red, questa volta?
‒
Non ne ho idea, non ne ha parlato con nessuno di noi.
‒
Non sarà il caso di andare a parlare con lui?
Blue,
nel
frattempo, aveva accartocciato la lattina che teneva in mano. Non dava
altri segni di vita, pareva essersi tramutata in una statua sotto gli
occhi di
Sapphire.
‒
Non lo so, se ha abbandonato il gruppo senza avvisare nessuno,
evidentemente
avrà avuto i suoi motivi. Ad ogni modo, non sarò io a cercarlo.
‒
Capisco…
‒
Ah, inoltre, c’è qualcosa che non abbiamo fatto in tempo a dirti prima,
il
segnale è improvvisamente sparito.
Sapphire
pensò
immediatamente al suo PokéGear sbattuto a terra con violenza dopo la
rude
scaricatura di Ruby che aveva poi richiesto l’assistenza del tecnico del
Centro
Pokémon per potersi riaccendere.
‒
Ossia?
‒
Quello che Ruby ha combinato prima… non credo sia colpa sua.
Sapphire
cominciava
già a bollire.
‒
Insomma, ci ha preso in disparte e ci ha spiegato che è… sorvegliato ‒
pronunciò con difficoltà quella parola. ‒ dalla Faces. Per questo non
può
parlare di determinati argomenti o mettersi in contatto con noi.
‒
Che cosa? ‒ fece Sapphire, incredula.
‒
È stato molto generico, non ha avuto molto tempo, ma questo è quello che
ci ha
fatto intendere. Sembrava sincero…
Sapphire
aveva
iniziato a riassortire qualche collegamento all’interno della sua rete
neuronale. Era appena venuto alla luce che Ruby era, in un certo senso,
all’interno di una gabbia. Se era vero che qualcuno lo controllava e gli
impediva persino di parlare di determinati argomenti chissà quante altre
sue
azioni erano state veicolate fino a quel momento. Il ragazzo custodiva
dei
segreti, dei segreti importanti.
‒
Ho un’idea ‒ mormorò Sapphire con un filo di voce.
‒
Mh, ossia?
‒
Devo immediatamente venire a Hoenn.
‒
Per che cosa? Non possiamo farlo io e Gold?
‒
Devo parlare con una persona, ma preferirei farlo di persona…
‒
Ho capito, vado a prenotarti un biglietto? ‒ domando Green, conoscendo
bene i
privilegi dell’acquistarlo tramite la propria carta Allenatore.
‒
Sì, se puoi sì, grazie. Non so se gli altri abbiano intenzione di…
‒
Green ‒ Gold si introdusse nella conversazione. I due gli prestarono
attenzione. ‒ Chi sono quei due che ci seguono da prima? Quelli con due
spalle
che fanno provincia, il completo nero e gli occhiali da sole?
‒
Oh, merda… ‒ gemette Green individuando le due adoniche sagome fuori
dalla
porta di vetro del Centro Pokémon.
In
effetti,
due signori in smoking e dal volto inespressivo erano immobili di
fronte alla porta dell’edificio. Evidentemente Green non ci aveva fatto
caso,
ma Gold aveva percepito la loro presenza sin dal momento in cui avevano
lasciato il palazzo della HC One, dove si erano incontrati Ruby.
‒
Vi hanno seguiti? ‒ domandò Sapphire che era ancora estranea ai fatti.
‒
Forse Ruby non è riuscito a nascondere proprio tutto alla sua
sorveglianza. Non
posso aiutarti, Sapphire, credo che dovremo prima capire che cosa
vogliono
questi due…
‒
Va… bene.
‒
Vi contatteremo non appena avremo modo di non correre pericolo.
‒
Buona fortuna…
‒
Se Ruby dice il vero, ne avremo bisogno.
Sapphire
riagganciò.
‒
Allora? ‒ chiese Blue.
Sapphire
incrociò
il suo sguardo. Non sapeva da dove iniziare.
Il
caos
generale dell’aeroporto di Vivalet impregnava l’aria. L’atmosfera era
internazionale tanto quanto il McDonald, innumerevoli individui
camminavano
svelti trascinandosi dietro il cupo suono di un trolley, diretti al loro
gate.
Ogni tanto una voce robotica mormorava qualcosa che nessuno riusciva a
percepire. Pochi turisti spensierati entravano e uscivano dai negozi di
idee
regalo e dalle boutique firmate, il più delle persone era cupa e fissava
il
terreno con un’espressione vuota in volto. Dopo la prima bomba lanciata
sulla
folla: l’attacco di Rayquaza, la rivelazione di Red che aveva affermato
essere
tutto un piano di un qualche terrorista aveva creato il panico più
totale. I
turisti tornavano a casa, gli autoctoni fuggivano, i tossici
raddoppiavano le
dosi. Tutto il sistema di Holon sembrava lentamente crollare.
‒
Ho davvero bisogno che tu faccia questo per me, Platinum ‒ disse
Sapphire,
accompagnando la ragazza all’aereo privato che la sua famiglia aveva
fatto
venire a prenderla.
‒
Va bene, posso riuscirci ‒ affermò quella dando la valigia ad uno dei
suoi
accompagnatori.
‒
Grazie… davvero ‒ la ragazza di Hoenn sospirò.
Le
due
Dexholder, simultaneamente, si gettarono le braccia al collo. Una più
grande e matura, con diciotto anni di esperienza sulle spalle, l’altra
meno
preparata, con cinque anni in meno, ma con la stessa forza d’animo nel
cuore.
‒
Mi dispiace di averti fatto passare tutto questo ‒ Sapphire non poteva
non
sentirsi responsabile di quanto era avvenuto in sua presenza.
‒
Tutto si risolverà ‒ la signorina Berlitz cercò di essere forte.
‒
Lo spero, veramente.
Le
due
si salutarono, il jet di Platinum decollò rapidamente. Sapphire le aveva
chiesto di tornare a Sinnoh e radunare quanti più Capopalestra e persone
di
potere possibili che fossero a stretto contatto con Camilla
relativamente alla
vicenda di cui lei e Rocco avevano accennato. Avevano parlato di
informatori,
di personaggi nascosti e di segreti. Serviva qualche watt di luce in più
proiettato sulla vicenda.
Platinum,
dal
canto suo, sapeva benissimo che quello era anche un pretesto per
allontanarla dalla zona rossa, ma aveva accettato di buon grado. Sarebbe
stata
meno di ostacolo, forse riuscendo a raccogliere pure qualche
informazione
importante.
Sapphire
osservò
il piccolo e sottile velivolo sparire tra le nuvole di quel cielo
serale estivo. Poi tornò dagli altri.
Blue,
Silver
e Crystal sedevano sulle poltroncine di una sala d’attesa. I primi due
sembravano discutere di qualcosa, mentre la terza era inerte, stretta
alla sua
valigia. Sapphire si ripresentò a loro, Blue volle includere anche lei
nel
discorso.
‒
Com’è possibile che Ruby abbia paura della sorveglianza di
un’organizzazione
come la Faces? Lui è il Campione di una Lega ‒ si corresse. ‒ il
Campione di
una delle Leghe più solide.
‒
Potrebbe sempre essere un bluff, il suo ‒ ricordò Silver, diffidente.
‒
Quale sarebbe la ragione? Insomma, che motivo avrebbe di inventare una
scusa
per starci lontani? Alla fine non è mai ricorso a mezzi simili per
questi due
anni ‒ fece Sapphire.
‒
Infatti potrebbe non essere per quello ‒ riprese Blue. ‒ Ho il sospetto
che
Ruby non ci abbia detto proprio tutto.
“Sei
troppo
diffidente nei suoi confronti” avrebbe voluto dire Sapphire, ma evitò.
Per il semplice motivo che lei era stata abbandonata di punto in bianco
e
ignorata per due interi anni. Tutti i suoi amici erano a conoscenza di
cosa lei
provasse per Ruby e di quanto avesse sofferto al suo addio. Tuttavia,
nonostante dovesse essere la prima ad avere diritto a dubitare del
ragazzo,
aveva come la sensazione di doversi fidare. Forse con lui era stata
troppo
ingenua, forse aveva solo imparato a distinguere le sue bugie. ‒ Ok,
facciamo
una cosa, ripartiamo dall’inizio ‒ fece Sapphire.
L’aeroporto
che
si muoveva attorno a loro era avvolto da luci artificiali calde e
accoglienti. Le tante persone che passavano attorno a loro li
riconoscevano talmente
tanto in ritardo da non volersi fermare ad importunarli oppure erano
abbastanza
educate da non creare calca. Certi che nessuno fosse all’ascolto,
ricominciarono ad elencare tutti i dati in loro possesso e tutte le
tracce che
avrebbero potuto condurre ad una seconda potenziale pista da seguire.
‒
Colpevole dell’attentato: Zero, il quale intende uccidere gli Allenatori
più
“importanti”. È pericoloso. La sua Lega è praticamente un ostacolo,
finché non
riusciamo a capirci qualcosa, direi di non avvicinarci. Poi c’è la
Faces, che è
legata a Ruby e alla sua Lega in un qualche modo, il fatto che Ruby
abbia
evitato di parlare di certe cose sotto la sua sorveglianza, costituisce
l’unica
pista seguibile ‒ riassunse Blue.
‒
La vicenda di Zero e Murdoch è ancora un vicolo cieco. Incontrare Kalut
sarebbe
stato utile, ma rimane ancora impossibile, senza indizi ‒ fece Silver.
‒
Ok, abbiamo Platinum a Sinnoh e, anche se tu ‒ Blue era rivolta a
Sapphire ‒
dovessi
avere
torto, avremmo comunque un’alternativa.
Il
loro
aereo decollò un’ora dopo. Erano state avanzate ipotesi, proposti piani
d’azione, proposte strategie. La conclusione era comunque una sola:
prima di
agire, bisognava ottenere le informazioni che Sapphire avrebbe promesso
loro.
Avrebbero raggiunto Hoenn e parlato con Lino, successore di Ruby alla
carica di
Capopalestra di Petalipoli e ultima persona rimastagli vicina dopo il
suo
“cambiamento”. Il ragazzo, un tempo legato anche a Sapphire, avrebbe
sicuramente dato loro un grande aiuto. Non era mai stato un gran
combattente,
ma sicuramente un essere umano dal grande cuore e dall’infinita tenacia.
Il
volo
scorreva lentamente, l’ansia e l’attesa facevano da padroni. Le hostess
sembravano non curarsi del fremito che correva lungo i loro nervi e il
pilota
pareva non volersi sbrigare. Hoenn non era mai parsa tanto lontana.
Crystal tacque
dal momento del decollo. Era seduta accanto a Blue, resasi perfettamente
conto
del suo silenzio glaciale, cominciato al momento della morte di Emerald
e mai
conclusosi, salvo rare eccezioni. E come biasimarla? Aveva perso una
delle
persone a cui era più legata. Anzi, forse erano loro gli insensibili.
Loro non
avevano sofferto abbastanza, non avevano avuto abbastanza tempo per
piangere i
morti.
‒
Chris ‒ Blue cercò di interagire con lei.
‒
Dimmi.
‒
Come stai? ‒ cercò di farle percepire la propria empatia.
‒
Tutto ok.
Sembrava
non
voler comunicare.
‒
Mi dispiace per tutto questo… ‒ sussurrò Blue dopo un attesa dubbiosa.
‒
Lo so, anche a me.
‒
Cerchiamo di restare uniti, lo so che stai male per Emerald, ma abbiamo
bisogno
anche di te.
‒
Io ci sono.
‒
Fisicamente, sì.
‒
Non capisco cosa intendi.
‒
Che non hai quasi più parlato da… giorni.
‒
Non avevo molto da dire ‒ sembrò accennare ad un sospiro, il che
rincuorò Blue
circa la sua emozionalità.
‒
Lo capisco, ma voglio che tu sappia che tutti noi abbiamo sofferto come
te per
Emerald. Non vederci come delle persone insensibili e dei pessimi amici.
‒
Lo so, tutti voi eravate legati ad Emerald ‒ sussurrò Crystal mentre
nella sua
testa sorgevano vividi i ricordi del bambino biondo che aveva visto
crescere nell’orfanotrofio,
che aveva chiesto un PokéDex al professor Oak, che indossava scarpe
altissime
per non sembrare basso. Quel bambino che era parso interessante agli
occhi di
tutti gli altri Dexholder solo dopo il ruolo svolto nella disavventura
al Parco
Lotta. Quel bambino che aveva sofferto per tutta la sua vita, dormendo
su una
brandina e rubando biscotti scaduti, mentre le facce di quelli che
sarebbero
divenuti i suoi compagni erano già sulle copertine delle riviste.
‒
Non tenerci rancore.
‒
Non lo farò.
Crystal
sorrise.
E Blue sapeva quanto fosse falsa quella curva che le sue labbra
formarono sul suo volto. Il suo discorso non aveva minimamente scalfito
la
corazza della Dexholder di Johto, piuttosto le aveva dimostrato quanto
fosse ancora
ruvida e cattiva nei loro confronti.
‒
Che cosa vuoi che facciamo per te? Nessuno sopporta di vederti così ‒
tentò in
un ultimo disperato tentativo di recuperare la sua vecchia amica.
Crystal
non
rispose, ma il suo sorriso divenne sempre più grottesco e falso.
‒
Voglio che mi lasciate uccidere Ruby ‒ sussurrò, con un filo di
voce.
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Capitolo 15 *** Capitolo 6 - Il mondo dei grandi pt. 3 ***
Capitolo
6: il mondo
dei grandi pt. 3
Ritrovarsi
con
Gold e Green fu semplice. Tutti chiesero ai due come fossero sfuggiti ai
due figuri che li avevano seguiti fino al Centro Pokémon.
‒
Erano agenti Faces, abbiamo fatto finta di niente e ci hanno pedinato
per un
paio d’ore. Poi sono scomparsi ‒ stava raccontando Gold durante la cena.
‒
Potrebbe essere stata solo una tecnica intimidatoria, tipo strategia del
terrore ‒ ipotizzò Sapphire.
‒
Sicuramente, non tentavano nemmeno di tenere un basso profilo, era un
avvertimento, sgarra una seconda volta e ti facciamo fuori.
‒
Abbiamo una possibilità con Lino ‒ ripeté in presenza del Capopalestra
di
Smeraldopoli. ‒ Ma prima preferirei capire se quegli agenti Faces che vi
hanno
seguito sono ancora in ascolto o no.
‒
Quelli erano solo delle pedine, non servivano ad intercettare
informazioni
importanti, solo a dirci di rimanere fuori dalla vicenda.
‒
Ciò significa che hanno capito che Ruby vi ha informati.
‒
No, non credo lo abbiano compreso appieno. Solo che gli eventi avvenuti
all’HC
One erano molto sospetti.
‒
La Faces sorveglia Ruby… ‒ mormorò Sapphire tra sé e sé pensando a ciò
che il
ragazzo aveva detto l’ultima sera a Vivalet. Era stato costretto ad
allontanarsi da lei e da tutti gli altri… poiché costretto da qualcuno
che non
poteva essere sconfitto. Che si fosse trattato proprio della Faces? Ma a
quale
scopo? Perché questa avrebbe dovuto desiderare che Ruby si separasse dai
suoi
amici? Inutile continuare a bucherellarsi il cervello, servivano le
informazioni
che sicuramente Lino avrebbe potuto dare loro.
Nella
tavola
calda in cui si erano fermati, la televisione era sintonizzata su un
telegiornale. Nessuno di loro ci aveva fatto caso, quando ad un certo
punto una
notizia attirò l’attenzione dei Dexholder.
‒
State a sentire ‒ li esortò Silver.
“…ieri,
una
seconda terribile tragedia si è abbattuta sulla Lega di Holon, dopo gli
avvenimenti del ventiquattro giurno: ha perso la vita in un incidente
stradale
Fenix, anche lui Superquattro della regione…”
‒
Ancora non sanno di ciò che è accaduto a Murdoch ‒ mormorò Blue.
‒
Non potevamo attirare l’attenzione di tutto il mondo ritrovando
“accidentalmente” il cadavere ‒ ribatté Green.
“L’uomo
sembra
aver perso il controllo dell’automobile che è andata fuori strada,
cadendo
poi in una scarpata. Fenix sembra essere morto sul colpo, in ogni caso,
stanno
procedendo gli accertamenti della polizia” e intanto, sullo schermo,
passavano
le immagini dell’asfalto strisciato dalle gomme proprio in
corrispondenza di un
tratto di strada mancante di guard-rail. I cespugli e le fronde
sembravano
esser stati schiacciati violentemente e si intravedeva il catorcio che
una
volta forse era stato una bella BMW nera nuova di zecca.
“…nessuno
degli
altri Superquattro ha voluto lasciare dichiarazioni, tantomeno ci sono
stati interventi da parte del Campione, Zero…”
‒
Un altro morto tra i Superquattro di Holon ‒ sospirò Sapphire.
‒
Quante possibilità c’erano? ‒ disse, con voce cupa, Green.
Tempo
un
quarto d’ora e l’intera squadra era sulla rotta per Petalipoli. Avevano
dormito
nella capitale perché lì erano scesi dall’aereo. La cittadina che
ospitava la
palestra di cui Lino era leader distava poco se raggiunta in volo sulla
groppa
dei loro Pokémon. E scorse altro tempo vuoto, il fischio dell’aria e le
condizioni generali non permisero a nessuno di loro di spiccicare parola
durante tutta la traversata.
All’atterraggio,
apparve
a loro l’immagine di una pittoresca città dell’entroterra. Era composta
principalmente di prati costellati da migliaia di fiori di differenti
specie e
colore, qualità da cui prendeva il nome. Tempo addietro, era stata
firmato un
decreto che impedì la costruzione di strade all’interno del centro
vitale di
Petalipoli, lasciando l’asfalto alle vie di comunicazione esterne e alla
periferia.
Si resero immediatamente conto che per questa ragione la città vantava
una
morbidezza unica e un silenzio che era impossibile da trovare in un
qualsiasi
agglomerato urbano che fosse tagliato da una e una sola strada. Si
mossero tra
le casette di legno alle quali faceva da sfondo un piccolo stagno o il
fitto
bosco che circondava tutta la città. Sapphire sapeva bene come guidarli,
la
palestra era vicina. La raggiunsero dopo poco, l’edificio in vetro e
metallo si
accostava poco allo stile del resto dell’architettura urbana, ma era
stata
costruita in un periodo in cui si teneva più al rendere simili tutte le
palestre tra loro, invece che ad uniformarle allo stile della cittadina
in cui
sorgevano.
Sapphire
si
fermò a meditare prima di entrarvi. Molti anni prima, precisamente sei,
in
quella palestra aveva sconfitto il padre di Ruby. Purtroppo, un ricordo
carino
e nostalgico come quello le era stato rievocato nella mente dalla grossa
statua
di Norman realizzata in suo onore poco dopo la morte. Il bronzo che
ricalcava
perfettamente l’immagine dell’uomo era posto accanto nello spiazzo di
fronte
alla palestra, sopra un piedistallo. Brillava alla fioca luce della
sera, ma
sembrava allo stesso tempo impolverato e dimenticato. Due anni erano
passati
dalla morte di Norman, due anni dal giorno in cui Ruby aveva tagliato i
contatti con loro.
Insieme,
per
rispetto, si avvicinarono a leggere la targa memoriale.
“Quando
la
più grande eredità di un padre è l’esempio del vero coraggio”
Sapphire
sapeva
bene che a consigliare quella frase fosse stato Lino, diffondendo poi la
voce che era stata tutta un’idea di Ruby. La verità era che il ragazzo
che ora
portava il mantello del Campione della Lega non aveva desiderato neanche
piangere
la morte dei genitori. Forse aveva creduto di apparire debole, in ogni
caso per
un periodo rifiutò tutto e tutti, concentrandosi solo sull’Allenamento e
sull’auto-miglioramento. I suoi genitori non erano mai morti, erano solo
usciti
dalla sua vita per permettergli di fare un passo avanti.
‒
Che uomo era Norman? ‒ chiese Blue.
Sapphire
aveva
ben vividi in mente i ricordi del vecchio di Ruby. Ricordava il loro
rapporto complicato, il loro singolare modo di risolvere una questione
familiare, il loro legame più profondo di quanto chiunque potesse
immaginare.
‒
Era un uomo d’acciaio, non l’ho mai visto sorridere né gratificare
nessuno in
alcun modo. Eppure, ha scalato le montagne per e fatto l’impossibile per
le
persone che amava.
‒
Se n’è andato assieme alla moglie a causa di un incendio, giusto?
‒
Sì…
‒
Strana la vita, a volte.
‒
Già.
Il
gruppo
dei Dexholder entrò nell’edificio. Il look in stile dojo era rimasto,
nonostante quella palestra si fosse notoriamente spenta. La leggenda de
“l’inseguitore della forza” si era conclusa. Lino era un buon
Capopalestra e si
era meritato il titolo a pieni voti, ma non avrebbe mai raggiunto la
fama del
grande Norman. Fatto sta che, a quanto sembrasse, era stato proprio Ruby
a
raccomandare Lino per quel ruolo. Per questa ragione i Dexholder avevano
motivo
di credere che lui sapesse qualcosa che li avrebbe aiutati a portare
avanti le
indagini.
‒
Mi hanno detto che probabilmente sareste venuti qui ‒ li salutò il
ragazzo dai
capelli verdi vedendoli entrare dalla porta di vetro.
Sapphire
ammirò
l’interno della palestra che era rimasto invariato a com’era l’ultima
volta che lei vi aveva messo piede. Il dojo creato da Norman era rimasto
tale e
quale, gli stessi tatami, le stesse placche in legno di bambù. Il
Capopalestra
li aveva aspettati al centro della prima stanza, con indosso un kimono
leggero
da allenamento.
‒
Ciao, Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
Come stai? ‒ chiese dolcemente lui, che comunque aveva ancora un
rapporto
decente con la ragazza.
‒
Abbiamo bisogno di alcune informazioni ‒ esordì Green, cancellando il
tentato
approccio morbido dei due.
‒
Tu sei il Capopalestra di Smeraldopoli, giusto? ‒ chiese Lino,
conoscendo già
la risposta. ‒ Mi fa piacere di vedere che almeno voi abbiate deciso di
collaborare, da quello che ho visto i Dexholder non se la stanno
passando
proprio bene, negli ultimi tempi ‒ nella sua voce era percepibile una
lieve
ostilità.
‒
Non è un momento facile ‒ intervenne Sapphire, per impedire agli altri
di
rispondere a tono. ‒ per questo abbiamo davvero bisogno del tuo aiuto.
‒
Preferisco parlarne a quattr’occhi, se per te non è un problema ‒
ribatté Lino,
seccato.
‒
Va bene ‒ rispose lei, frenando l’impeto di rispondere dei suoi amici. ‒
Andiamo nel tuo ufficio?
La
stanza
del Capopalestra era un ibrido tra uno sgabuzzino e una sala d’onore.
Sui mobili erano accatastati centinaia di trofei e altri riconoscimenti
placcati, appese al muro c’erano i ritagli di giornale e le foto che
ricordavano i periodi di gloria di quella palestra. Eppure, non
mancavano
simpatiche scope appoggiate al muro, cartacce e scartoffie rovesciate a
terra e
su tutto il ripiano della scrivania e persino qualche attrezzo da
allenamento
rotto abbandonato in un angolo. Sapphire si sedette su una delle due
sedie
semplici, dall’altro lato della scrivania, Lino sprofondava nella grossa
poltrona girevole.
‒
Dimmi tutto, Sapphire ‒ fece Lino accennando ad un amaro sorriso.
‒
Mi spieghi cosa ti è preso di là? Perché sei stato tanto acido? ‒
domandò lei.
‒
Lo so, lo so, scusami…
Sapphire
non
capiva.
‒
Ti giuro che era tutto involontario.
La
ragazza
annuì debolmente ‒ Ok, non soffermiamoci su questo, perché preferisci
parlarne in privato?
Lino
non
accennò risposta. Ma i suoi occhi fissi su Sapphire parlavano al suo
posto.
‒
Ok, come facevi a sapere che saremmo venuti da te a chiedere
informazioni?
‒
Ruby è il Campione, ricordi?
‒
Sì, ma…
‒
Lui riesce a sapere tutto ciò che vuole, quando vuole.
Sapphire
era
stupita. Ma era lì per ottenere delle informazioni e Lino era suo amico,
quindi le avrebbe ottenute nel modo più indolore possibile.
‒
Puoi dirmi che cosa ti aspetti che io ti chieda?
‒
Più o meno, ma preferisco che tu mi faccia le tue domande…
‒
Va bene ‒ comprese la ragazza.
‒
Perché Ruby ti ha chiesto di prendere il posto di Capopalestra?
‒
Perché credeva che fossi quello che lo meritava di più, il migliore
allievo di
suo padre ‒ rispose non senza un velo di orgoglio.
Purtroppo
a
Sapphire non interessava ciò, quindi passò avanti.
‒
Hai avuto più contatti con Rocco?
‒
No, non dopo la sua partenza per Holon.
‒
Sai qualcosa di Kalut?
‒
Mai sentito questo nome…
Rocco,
Kalut.
Sapphire aveva terminato gli spunti con cui estrarre qualche
informazione importante da Lino. Sembrava dovesse rinunciare.
‒
Che cosa ti ha detto Ruby allo stadio, proprio dopo la tua sconfitta al
torneo?
‒ domandò ricordando la discussione che lei aveva udito tra i due per le
scale,
il giorno prima della venuta di Rayquaza. Lino si era scusato con Ruby
per
qualcosa, ma lui lo aveva rassicurato affermando di poter riparare al
suo
errore.
Il
volto
del ragazzo allora riprese vita. Quella era una domanda alla quale
poteva
rispondere. ‒ Ruby aveva ricevuto l’avviso circa l’attacco che sarebbe
avvenuto
‒ disse sapendo bene che Sapphire ne era già a conoscenza. ‒ Fatto sta
che Ruby
mi aveva comunque chiesto di arrivare molto in alto in classifica, non
avrei
dovuto perdere contro Silver.
Sapphire
aveva
aggiunto un nuovo tassello al suo puzzle. Ruby aveva chiesto a Lino di
arrivare in una posizione alta nella classifica del torneo, nonostante
sapesse che
tutto sarebbe stato interrotto.
‒
Sembravi distrutto, Lino…
‒
Lui l’aveva presa come una questione di vita o di morte…
‒
Dimmi di più.
Lino
prese
un profondo respiro. ‒ Non posso ‒ sussurrò poi.
Sapphire
tacque.
‒ Che cosa sai dirmi della Faces? ‒ riprese poi.
La
reazione
del Capopalestra fu esattamente quella che Sapphire si aspettava: Lino
aggrottò le sopracciglia e assunse un’espressione insicura.
‒
Non… non so. Si occupano di sicurezza e quella roba lì ‒ rispose Lino
con falsa
ignoranza.
‒
Ah ‒ Sapphire era sicura che stesse mentendo.
‒
Ok, procediamo ‒ ordinò quindi la ragazza.
Lino
vide
comparire dalla porta il Capopaletra di Smeraldopoli seguito dal suo
Porygon-Z. Sapphire fece un cenno per intimargli di tacere. Porygon si
alzò in
volo e osservò attentamente la stanza, individuò un bersaglio e si gettò
a
capofitto su di esso. Scomparve smaterializzandosi proprio in prossimità
della
scrivania di Lino.
‒
Ok, è il momento ‒ pronunciò Green dopo alcuni secondi.
‒
Perfetto ‒ Sapphire fece la propria parte. ‒ Lino, abbiamo trenta
secondi e poi
si accorgeranno che il sistema di cimici è stato hackerato, spiegami
tutto,
velocemente, la Faces non può sentirti.
Quello
sembrò
perdere il fiato. Arrancava, ma sembrava essere dentro alla situazione.
‒
Ti prego! Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
‒
Loro controllano le nostre azioni, Sapphire. La Faces sta sfruttando la
Lega di
Hoenn, indirizzano ogni movimento, danno indicazioni su quale azione
deve
essere compiuta e in che modo.
‒
Perché lo fanno?
‒
Non lo sappiamo, Ruby non ha mai potuto condividere certi segreti con
noi, lo
tengono per la gola.
‒
Lo hanno fatto diventare Campione?
‒
Sì, hanno bisogno di lui.
‒
Che cosa hanno cercato di fare?
‒
Tutto questo ‒ fece, agitando le braccia. ‒ Costruire un impero più
ricco e più
radicato, non so per quale motivo.
‒
Qualcuno che si è opposto dev’esserci.
‒
Sì, ma a fronteggiarli veramente è stato soltanto…
‒
Il tempo è finito ‒ proferì Green, interrompendoli.
‒
Lino ‒ mormorò Sapphire.
‒
…soltanto chi se n’è andato ‒ concluse quello, con un’innocente
allusione.
‒
Grazie ‒ scandì Sapphire un pochino delusa.
I
due Dexholder lasciarono frettolosamente la stanza del Capopalestra.
La
ragazza
di Hoenn salutò Lino in maniera sommaria e uscì prima di tutti dalla
palestra. Quello non capì il motivo di tale reazione. Green si limitò a
promettere agli altri una sintesi circa l’accaduto e a congedarsi
insieme al
resto del gruppo. In pochi secondi erano di nuovo in aperta città
intenti ad
inseguire Sapphire.
Lei
non
voleva altro che sparire di lì. Aveva fatto un altro buco nell’acqua.
Tutto
era tornato a dati che già conosceva o che avrebbe potuto dedurre e il
cerchio
si era chiuso con un indirizzamento verso Rocco. “Chi se n’è andato”,
Rocco era
l’unica persona che si era ribellata alla politica della Faces. E
casualmente
anche l’unica persona che avevano già interpellato e che aveva già
rivelato
essersi una fonte di informazioni praticamente nulla. Non possedevano
altre
piste, non possedevano altre idee. Quando ciò fu chiarito pure con i
suoi
compagni, Sapphire non poté sopportare di leggere ulteriore delusione
nei loro
occhi.
Era
ormai
ora di trovare un posto in cui dormire. Ormai la luna era alta nel cielo
e le stelle trasformavano il chiarore in una vera e propria luce.
Ciclamipoli aveva
acceso i bracieri che delimitavano le strade, le uniche luci che non
sfigurassero in mezzo a quell’ambiente floreale e fiabesco. Privi di
speranza e
di energia, i Dexholder decisero di raggiungere il letto. Green poté
prendere
una stanza per tutti in un hotel situato poco lontano. Si salutarono
tutti, si
dissero senza crederci che il giorno dopo sarebbe andata diversamente, e
già
avevano la coscienza abbastanza leggera.
Due
ore
dopo, Sapphire era in piena fase di dormiveglia. Non riusciva a trovare
il
sonno, non sapeva come dimenticare quell’ennesimo fallimento. Si sentiva
sola.
‒
Sei inquieta ‒ disse qualcuno dalla penombra.
Lei
si
prese uno spavento clamoroso.
‒
Che cosa ci fai nella mia stanza?! ‒ gridò nei confronti del Ruby che si
era
piazzato davanti alla porta della camera. Le aveva fatto prendere un
colpo.
‒
Ho qualcosa da dirti.
‒
E per farlo entri nella mia stanza di soppiatto a notte fonda come un
ladro?
‒
Veramente questo hotel è mio ‒ ribatté lui, arrogante.
‒
Sei ancora più odioso le poche volte che ti fai vivo.
‒
E tu sei ancora più stupida le poche volte che decidi di fare di testa
tua.
Sapphire
si
alzò dal letto. Aveva una maglia di tre taglie più grossa a mo’ di
vestito e
gli slip, ma tanto quel ragazzo aveva avuto modo di vederla in una mise
ben più
intima. Camminò verso di lui con fare minaccioso, puntò i piedi a pochi
centimetri dalla sua faccia.
‒
Tu non hai il diritto di giudicarmi, sei l’ultima persona che si merita
di
parlare di me così a questo mondo ‒ gli sibilò.
‒
Non sono qui per parlare di questo, comunque ‒ la evitò lui, spostandosi
da
quella posizione scomoda.
‒
E che cosa vuoi dirmi?
‒
Rimani fuori dalla vicenda ‒ le ordinò Ruby.
‒
Scordatelo ‒ rise Sapphire.
La
scena
era tragicomica. Lei aveva in volto i segni di giorni affrontati con
poche ore di sonno. Lui sembrava uscito ora dal set per le riprese di
uno spot
televisivo. E forse era così. Nella stanza buia filtrava la luce della
luna
tagliata a fettine dalle serrande a pannelli. Il silenzio era la quiete
urbana,
con suoni di clacson in lontananza, cantilene di ubriachi e guaiti di
cani
randagi che provenivano dall’esterno.
‒
Se fossi entrato qui dentro per ucciderti, come la prenderesti? ‒
domandò Ruby
senza paura alcuna.
‒
Ti farei uscire a calci nel culo ‒ rispose pronta lei.
‒
Invece sto cercando di aiutarti, Sapphire.
‒
Io sto cercando di aiutare gli altri.
‒
Non capisci.
‒
Allora fammi capire.
Ruby
aveva
notato il repentino cambio di tono nella voce della ragazza. La rabbia
era scomparsa, lasciando il posto all’esasperazione.
‒
Cerchi di salvare la situazione a Vivalet, sei criptico e non lasci
capire a
nessuno cosa ti succede, scompari all’improvviso e poi riappari due anni
dopo
nella mia stanza. Racconti che ti hanno costretto, che sai che avverrà
una
catastrofe, ma non riveli nient’altro.
‒
È complicato.
‒
Abbiamo mai affrontato insieme qualcosa di semplice?
Ruby
tacque.
‒
Dimmi soltanto una cosa ‒ riprese Sapphire ormai al limite della sua
sopportazione. ‒ se mai deciderai di svelarmi i tuoi segreti, di farmi
capire
che cosa è successo in questi due anni, riuscirei mai a perdonarti?
Era
buio,
per cui Ruby dubitò persino delle sue lenti a contatto, ma gli parve di
vedere una lacrima scendere lungo la guancia di Sapphire. Passarono
secondi
eterni. Lei credette quasi di vederlo sparire senza ricevere una
risposta. La
verità era che Ruby stava pensando a cosa rispondere. E mai una domanda
lo
aveva colto tanto alla sprovvista.
‒
Sei ancora la ragazza che conoscevo e di cui ero innamorato, quindi sì.
Saresti
capace di perdonarmi.
Sapphire
sospirò,
allungò le mani verso il ragazzo e si lasciò avvolgere dal suo tenero
abbraccio. Non percepiva il suo odore, la sua pelle e il suo corpo da
così
tanto tempo da temere di averlo ormai dimenticato.
‒
Mi manchi… ‒ mormorò lei.
Era
una
ragazza, aveva imparato a percepire certe cose: nella sua stretta, il
ritmo
delle pulsazioni di Ruby si era moltiplicato. Il suo cuore aveva preso a
battere più forte. Senza volerlo e senza rendersene conto, si
ritrovarono a
letto insieme. Fecero di nuovo l’amore dopo due lunghi anni, tornarono a
ad
assaporarsi reciprocamente come due ragazzini, godettero di ogni odore,
di ogni
bacio, di ogni punto di contatto dei loro corpi. Ruby sapeva come farla
impazzire, lei sapeva cosa concedergli. Entrambi erano consci che ciò
non
avrebbe rimesso a posto niente, tantomeno ricostruito qualcosa. Lei
sapeva bene
di dover tornare a detestarlo, lui di dover riprendere a nasconderle la
verità,
non appena entrambi avrebbero raggiunto l’orgasmo. Si stavano sfogando e
allo
stesso tempo stavano impedendo ai propri conflitti di generare altro
dolore. Si
unirono al di fuori di Hoenn, al di fuori di Zero e della Faces, al di
fuori di
Vivalet e al di fuori di tutto ciò che stava succedendo al mondo.
L’universo
sarebbe potuto esplodere, loro non se ne sarebbero accorti.
Erano
tornati
bambini, insieme. Fuori dal mondo, fuori dal mondo dei grandi.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 7 - Malibu pt. 1 ***
Capitolo
7: Malibu pt.
1
Il sole faceva
capolino dagli spiragli delle persiane. Sapphire lasciò che la sua luce
le
aprisse dolcemente gli occhi.
Si ritrovò in un
letto sfatto, all’interno di una camera d’hotel che non conosceva, senza
la
minima cognizione di che giorno o che ora fosse. Verificò allungando un
occhio
verso la sveglia digitale che era sul comodino. Erano le nove e mezza
del
ventinove giugno. Si sentiva incredibilmente riposata, come se avesse
recuperato energia dopo un incredibile sforzo. Effettivamente era
passato
parecchio tempo dall’ultima volta che qualcuno era riuscito a farla
stare
sveglia fino a così tardi per fare sesso.
Stirò ogni
muscolo facendo le fusa nel letto ovviamente vuoto e tentò di alzarsi.
Cercò
eventuali messaggi o tracce lasciati da Ruby ma tutto ciò che era
rimasto dopo
quella notte, lo aveva Sapphire addosso. Era la camicia nera del
ragazzo, di
seta, con le iniziali ricamate dentro:
R.H.
Ossia Rubin
Harmonia. Era stata sicuramente realizzata su misura da qualche sarta
esperta
che si era fatta pagare una fortuna. Ruby aveva giustamente rinunciato a
recuperarla, per non svegliare la ragazza. Sfilare le camicie di dosso
alle
persone era difficile persino per lui. E intanto, Sapphire rideva sempre
più
pensando all’immagine di Ruby che volava via in groppa ad un Flygon a
petto
nudo alle prime luci del mattino. Poi perse immediatamente il sorriso
quando
ripensò all’immagine del corpo del ragazzo. Il suo petto, aveva potuto
constatarlo quella notte, era solcata da migliaia di tatuaggi: linee
rosse e
blu che indicavano che l’organismo avesse assorbito le gemme dentro di
sé. Il
centro focale di queste linee era lo sterno, le ramificazioni andavano
poi a
scemare man mano che ci si allontanava da esso, le più lunghe
raggiungevano le
spalle o la vita. Il complesso disegno ricordava in qualche modo una
sorta di
insetto con un esorbitante numero di zampe sottili e lunghissime. Lui
stesso
aveva detto che, se i due cristalli avessero dovuto riunirsi, il suo
corpo
avrebbe iniziato un lento processo di corrosione e decadimento. Si
costrinse a
non pensarci. In qualche modo, quella mattina si era svegliata
serenamente, ma
a poco a poco si stava riavvicinando alla realtà piena di merda che
aveva
abbandonato la sera precedente.
Si fece una
doccia, giusto per togliersi di dosso l’odore di Ruby.
Mezz’ora dopo era
scesa al piano di sotto, per riunirsi con gli altri. Ovviamente trovò le
facce da
funerale del giorno prima che nemmeno una abbondante colazione poteva
trasformare in sorrisi.
‒ Non abbiamo più
una pista ‒ fece notare Blue, sconsolata.
‒ Dovremmo
prelevare Ruby con la forza e interrogarlo ‒ ripropose Gold.
‒ Sarebbe
inutile, adesso l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un ostaggio ‒ lo
criticò
Green.
‒ Cercare Kalut?
‒ ribatté.
‒ Abbiamo già
provato, non esiste nessuno al mondo che risponda a quel nome, da dove
inizieremmo? ‒ lo informò Blue.
‒ Che idea avete,
allora?
Nessuno parlò.
‒ Forse c’è una
minima possibilità ‒ mormorò Sapphire.
Tutti i presenti
finirono con gli occhi su di lei. A tutti pareva che la ragazza si fosse
svegliata dal lato giusto del letto, quella mattina.
‒ Murdoch viene
ucciso, poi Zero, colpevole dell’omicidio, sparisce… a distanza di due
giorni,
muore pure Fenix, altro Superquattro di Zero… potrebbe non essere stato
proprio
un incidente ‒ elencò. ‒ Rocco e Camilla non avevano detto che ora che
Kalut
non è più con Zero, non c’è più nessuno che riesca a domarlo?
Si poteva
percepire all’orecchio il rumore dei meccanismi dei cervelli di tutti i
presenti che cercavano di distillare una deduzione.
‒ Non hai torto,
cerchiamo gli altri Superquattro ‒ propose Blue, entusiasta dalla nuova
strada
da percorrere.
‒ Dopo gli ultimi
avvenimenti, è difficile che si trovino alla Lega ‒ ricordò Green. ‒
Sapphire,
chiama Rocco, vedi se lui sa dove potremmo trovarli.
‒ Avete avuto una
buona idea ‒ approvò l’ex Campione di Hoenn, dal suo ufficio di Altelia.
‒ Ma
non so se è effettivamente la cosa migliore, si tratta pur sempre dei
sottoposti dell’uomo che, a Vivalet, avrebbe voluto lasciare di voi solo
una
macchia sul terreno.
‒ Tu dicci quello
che sai ‒ rincarò Sapphire.
‒ È poco sicuro.
‒ E io sono
maggiorenne, mamma.
‒ Vi abbiamo dato
delle informazioni riservate per aiutarvi o per mandarvi a morire?
‒ Rocco, abbiamo
bisogno di trovare Tiana e Axel, per ora loro sono l’unica pista che
possiamo
seguire ‒ Sapphire era ferma e decisa e il suo interlocutore, sotto
sotto,
sapeva di star solo temporeggiando prima di cedere alle sue insistenze.
‒ Senti, facciamo
una cosa, io vi dico dove è possibile che riusciate a trovarli, tu mi
prometti
che non andrai a cercare nessuno ‒ trovò un compromesso per tenersi la
coscienza pulita.
‒ Se ti fa
sentire meglio, ok.
‒ So bene che non
manterrai la promessa ‒ chiarì l’uomo gettandosi in gola un bicchierino
di
cognac, dall’altra parte della linea.
‒ Non lo farò.
‒ Axel ha una
Villa a Olivinopoli, se è vero che si sono allontanati da Holon, lo
troverai
sicuramente lì. Altrimenti smettete di cercare e tenetevi alla larga da
tutti e
due.
‒ Grazie, Rocco ‒
asserì Sapphire, attaccata al PokéNav.
‒ Non
ringraziarmi, mi fa sentire in colpa.
‒ Ok.
‒ Fa’ attenzione…
Presero
ovviamente il primo volo per Johto che partisse da Ciclamipoli.
Sarebbero scesi
all’aeroporto di Fiordoropoli attorno alle tre del pomeriggio, era poi
previsto
anche un viaggetto in groppa ai loro Pokémon volanti che li avrebbe
lasciati a
Olivinopoli per le tre e mezzo circa.
Sapphire, in
aereo, si autoconvinse che prima o poi quei continui cambi di altitudine
le
avrebbero rotto i timpani e scombussolato la circolazione. E poi sentiva
ancora
addosso i postumi del cambio di fuso orario dell’ultimo viaggio.
Ma sapeva bene
che niente sarebbe cambiato per tutto il corso della sua vita da
Allenatrice.
Spostarsi tra regione e regione era la normalità, anzi, era quasi
divenuto
usuale. Purtroppo funzionava così: le mete che piacevano a lei, quelle
piene di
Allenatori, medaglie e sfide, erano tutte oltremodo isolate. Sinnoh
distava da
Kanto così come Hoenn distava da Unima. E così via, piccole e lontane
regioni
che lei e i suoi amici erano abituati a percorrere a piedi in un mese o
due,
realtà ristrette, rese comode e percorribili al fine di agevolare e
perpetrare
la tradizione più diffusa nella sua nazione: la sfida alle Palestre. E
poi le
grandi città, le industrie, il tessuto urbano: tutta roba opportunamente
nascosta e mimetizzata.
‒ Hai visto
Sapphire? Sembra più sorridente oggi ‒ sussurrò Blue a Green, i due
erano
seduti vicini, mentre la Dexholder di Hoenn stava nella fila di posti
adiacente.
‒ Non ci avevo
fatto caso ‒ rispose lui con fare distratto.
‒ E la sua camera
sapeva di sesso ‒ aggiunse, sapendo che il maschio che era suo
interlocutore
avrebbe drizzato di più le antenne.
‒ Quando ci sei
entrata? ‒ chiese allora Green, preso all’amo.
‒ Prima di
uscire, le ho dato una mano con la valigia.
‒ Avrà trovato
tempo per farsi rimorchiare, ieri sera, beata lei ‒ commentò Green,
malato come
tutti.
‒ Nella sua
regione? Difficile, lo avrebbero scritto sul giornale.
‒ E allora che
pensi?
‒ Escludo Lino ‒
mise le mani avanti, Blue.
‒ Come minimo.
‒ Non mi viene in
mente nulla.
‒ Potresti pure
aver sbagliato ‒ la stuzzicò Green.
Il loro parlare
a bassa voce non
riusciva ad attirare la distratta attenzione di Gold e Silver, il primo
dormiva
e il secondo giaceva nella sua solita calma turbolenta. Totalmente
distaccata
era invece Crystal, la quale non scambiava che qualche parola
abitudinaria coi
suoi amici da giorni, ormai. Tutti lo avevano notato, qualcuno aveva
provato a
parlarle, nessuno ne aveva tratto risultati. Era oltremodo nervosa e
furente
per la morte di Emerald. Bolliva in una silenziosa rabbia celata, come
una
pentola a pressione che, prima o poi, si sarebbe decisa ad esplodere.
‒ Lei è quella
che è rimasta più
sola ‒ commentò Green, parlando sempre di Sapphire. ‒ Insomma, noi,
Silver,
Red… ci conosciamo da così tanto. Lei chi ha?
‒ Non dovresti
essere così
negativo. Siamo una squadra, ma prima di tutto siamo amici ‒ lo riprese
la
ragazza.
‒ Sì, siamo
colleghi divenuti amici nel tempo. È abitudine, non affinità.
Condividiamo i
nostri impegni, non le nostre passioni.
‒ Secondo me è
proprio qui che ti sbagli ‒ ribatté allora la castana. ‒ Siamo tutti
diversi,
questo è vero, ma è un fatto positivo. Inoltre abbiamo vissuto insieme i
momenti più importanti delle nostre vite. E lo abbiamo fatto per nostra
scelta,
non per costrizione.
‒ Ah, sì. Ricordo
quando siamo rimasti pietrificati insieme, oppure tutte le volte che
abbiamo
rischiato di morire per fare la
cosa
giusta. Tutti si amano nel pericolo, è come in un film americano,
hai
presente?
‒ Sei uno
stupido, il lavoro ti ha reso noioso.
‒ Tu invece sei
diventata tenera, queste amicizie ti hanno ammorbidito ‒ ribatté
calcando sulla
parola “amicizie”.
Blue era stata
toccata nel vivo ‒ Credi che sia il tuo lato duro e distaccato che mi
abbia
spinto a letto con te ogni volta? Cos’è, una specie di gioco erotico per
te? ‒
disse, con tono normale.
‒ È solo la
verità, non puoi affidarti a nessuno. Prima o poi quel qualcuno o
sparisce o si
dimentica di te o muore.
‒ Pensi che tutti
siamo come Ruby? ‒ Blue alzò leggermente la voce, attirando l’attenzione
di
Sapphire che aveva udito fuggevolmente il nome del ragazzo che aveva
lasciato
entrare dentro di sé quella notte.
‒ Abbassa la
voce… e comunque no, penso soltanto che nessuno di loro possa salvarti
la vita:
siamo sempre soli, alla fine.
Blue sbuffò,
provando il sentore del disprezzo per quella persona con cui stava
parlando, ‒
Secondo me invece hai solo paura ‒ fu vicinissima a lui, sussurrò quelle
parole
al suo orecchio. ‒ Ora che vedi il pericolo, hai paura di perderli
perché ti
sei affezionato ad ognuno di loro.
Green non
ribatté. La ragazza decise di alzarsi per sparire in bagno per qualche
minuto.
Si voltò all’ultimo verso il ragazzo per ribadire il concetto.
‒ E comunque non
credevo tu fossi tanto insensibile, nessuno di loro potrà salvarmi la
vita, ma
sicuramente tutti me l’hanno cambiata. E in meglio ‒ e andò via.
Il resto del
viaggio scorse nel silenzio totale, persino tra i due di Kanto.
Furono tutti a
Olivinopoli per l’orario stabilito. Già dal primo momento risultò
evidente che
Gold e Silver si sentissero più a casa. Crystal invece accennò quasi ad
un’ombra di serenità. Esagerando, anche lei era felice di rivedere la
sua
terra, ogni tanto.
Seguendo le
indicazioni di Rocco e affidandosi a qualche elenco telefonico, articolo
di
internet e chiacchiera locale, scoprirono che la villa che risultava
appartenere al Superquattro Axel era quella in stile Tony Stark che
giaceva
sulla costa frastagliata e rocciosa dell’isola. Una roba poco economica,
sicuramente. Olivinopoli era un po’ come Spiraria a Unima: un resort per
i
ricconi. Il clima era molto simile, lì neanche l’inverno riusciva ad
abbassare
la temperatura drasticamente. L’oceano era uno spettacolo, il panorama
di più.
La villa dava inoltre verso sud est, per godere dell’alba senza
prendersi il
sole in faccia. La costa rocciosa non permetteva di uscire dal lato
mare, ma
permetteva di osservare i surfisti che si esibivano, un centinaio di
metri più
lontano.
‒ Che facciamo,
bussiamo piano o bussiamo forte? ‒ scherzò Gold che era già solleticato
dall’idea di demolire il patrimonio che sicuramente sarà costata quella
costruzione.
‒ Neanche per
sogno, idiota ‒ lo richiamò Silver.
‒ Io ho un’idea ‒
si intromise Sapphire, che quel giorno era fin troppo creativa. ‒ Ma
forse
sarebbe più il caso di spiare dentro di nascosto, prima. Giusto per
capire che
cosa abbiamo davanti.
‒ Ok, era ovvio,
ma qual è l’idea? ‒ la stimolò Gold.
‒ La massima
naturalezza e la limpidità, tanto che potrebbe farci Axel? Se facciamo
capire
alla stampa che ci troviamo qui, non può neanche toccarci.
‒ Non è male ‒
commentò
Green. ‒ Per il sopralluogo mi mobilito io, concedetemi mezz’ora,
ritroviamoci
di fronte al Centro Pokémon ‒ e sparì sul suo Charizard.
‒ Che facciamo
nel frattempo? ‒ domandò Gold, notoriamente impaziente.
Ognuno di loro
trovò impiego. Sapphire telefonò a suo padre per aggiornarlo, Blue fece
lo
stesso col professor Oak. Silver, Gold e Crystal, invece, sparirono
misteriosamente.
Quando Green
tornò, pronto a riferire tutti i dati che aveva ottenuto, trovò un
circolo di
persone annoiate.
‒ Allora ‒
esordì. ‒ la villa è messa in sicurezza da alcune guardie che girano
costantemente all’esterno. Sono tutte armate, ovviamente, ma non
dovrebbero
costituire un problema, se dovessimo entrare in veste di normali ospiti.
Ovviamente, se ci sono le guardie Axel dev’essere all’interno, ma c’è
un'altra
auto parcheggiata all’esterno, non è una delle sue, quelle le tiene nel
garage
sotterraneo. Comunque è una Jaguar rosa perlaceo, da maschio mi
vergognerei a
portare una macchina come quella. Deduco che sia quella di una probabile
moglie/fidanzata ‒ il resoconto di Green era abbastanza dettagliato.
Avevano
trovato il loro obbiettivo. Ed erano pure sicuri che qualche reporter
aveva
diretto la sua attenzione verso di loro. Per questa ragione, erano
intoccabili.
‒ Possiamo
procedere, siamo qua per indagare dopo la vicenda di Vivalet, la morte
di Fenix
e sulla sparizione di tutto il resto della Lega di Holon, non
sospettiamo di
lui o dei suoi colleghi fin quando la cosa non si fa evidente ‒ ricordò
a tutti
Sapphire. ‒ E non tiriamo in ballo Ruby e la Faces, se non ce n’è
bisogno ‒
aggiunse, con una frecciata.
Entrare in una
villa sorvegliata da una guarnigione di guardie vestite di nero fu una
delle
esperienze più strane che fosse mai capitata ad ognuno di loro.
Dovettero
perquisirli prima di farli anche solo avvicinare al citofono. Nessuno di
loro
comprese il motivo di tanta sicurezza, ma non si fecero domande. Erano
persone
importanti e Axel, o chi per lui, li invitò cordialmente ad entrare.
Si ritrovarono in
un salotto dal soffitto altissimo nel quale risuonava il cristallino
suono di
una fontana da interni.
Attesero alcuni
minuti con un cameriere che offrì loro qualsiasi tipo di bevanda. Solo
dopo
quell’accoglienza greca videro presentarsi davanti a loro un soggetto la
cui
età era poco deducibile ma aleggiava tra i venti e i trenta. I capelli
erano
castani chiari, quasi biondi, aveva un paio di Rayban da vista sul naso
e celava
il suo fisico né gracile né muscoloso sotto un abbigliamento casual: una
maglietta e dei bermuda. Axel li squadrò tutti con occhi attenti.
‒ Non aspettavo
visite, mi dico stupito ‒ esordì.
‒ Perdona il
nostro arrivo improvviso, Axel, non ci conosciamo ma siamo sicuri che tu
sappia
già chi siamo ‒ rispose Green, facendosi portavoce del gruppo.
‒ Ovvio, e ho
pure intuito il motivo per cui vi trovate qui ‒ era uno di quelli con la
risposta pronta, si annotò mentalmente ognuno di loro.
‒ Forse no ‒
ribatté allora Green.
Axel si
incuriosì. Si sedette su uno di quei divanetti di pelle bellissimi ma
scomodi
come poche cose al mondo. Era proprio di fronte a loro e sorseggiava una
tisana: Axel, Superquattro della Lega di Holon, collega di due morti e
sottoposto di un terrorista.
‒ Sai, stiamo
indagando su quello che è successo a Vivalet, non potevamo farne a meno.
‒ Ah, Vivalet,
che sciocco ‒ si picchiettò le tempie con le dita. ‒ Vi porgo i miei
ringraziamenti per aver fermato Rayquaza, io sono stato costretto dai
miei
agenti ad allontanarmi subito dopo l’attacco. È stata una terribile
tragedia,
ma senza di voi si sarebbe potuta trasformare in un disastro di
dimensioni ben
maggiori.
‒ È stato dovere
‒ borbottò Gold.
‒ Comunque,
stiamo seguendo una delle poche piste possibili e siamo rimasti colpiti
dalla
sparizione dell’intera Lega di Holon e poi, con quello che è successo
ieri... ‒
spiegò Green.
Axel sembrò
concedersi un attimo. Pensava a Fenix, ma il suo cervello lavorava più
di
quanto lasciasse intendere.
‒ Effettivamente,
capisco come un avvenimento simile possa aver insospettito molti.
‒ Holon ha
conosciuto l’inferno, la sua Lega è scomparsa ‒ lo accompagnò Green.
‒ Avete delle
idee su chi possa essere il responsabile?
Prima bugia, ogni
Dexholder individuò la finta ingenuità di Axel. Sapevano bene che lui
era a
conoscenza del piano di Zero, voleva solamente capire quanto fossero
vicini
alla verità. Era buon segno, poiché significava che non erano stati
seguiti nel
loro processo di investigazione. D’altra parte, però, ricordava loro
che,
seduto amabilmente su quel divanetto a sorseggiare una tisana da una
tazza
etnica in terracotta proveniente da Alola, c’era il complice di un
assassino.
Non sapevano ancora da che parte stesse il Superquattro, e lo avrebbero
scoperto soltanto rischiando la pelle, ma nessuno di loro quella mattina
si era
alzato dal letto con l’intenzione di entrare nella tana del lupo: ragion
per
cui avevano già deciso unanimemente di mantenersi generali con lui, in
modo
tale da non infastidire un eventuale complice di un pluriomicida.
‒ Abbiamo qualche
idea, ma stiamo cercando di fare luce sul quadro generale ‒ rispose
innocentemente Green.
‒ Ok, allora vi
aiuto: è stato Zero ‒ disse con massima naturalezza. Aveva bluffato,
voleva capire
quanto a fondo i suoi interlocutori fossero scesi.
I Dexholder
rimasero inverosimilmente spiazzati.
‒ È un criminale,
è il responsabile della morte di Fenix e sono certo che abbia ucciso
pure quel
poveraccio di Murdoch ‒ stava rincarando la dose senza alcuna paura
delle
conseguenze. ‒ Zero va fermato, la Lega di Holon ormai non esiste più.
‒ Aspetta,
aspetta… che significa tutto questo? ‒ lo interruppe Green, tenendogli
il
gioco.
‒ Zero sta
cercando tutti noi, ora ‒ chiarì, lasciando senza far luce su nulla.
Green assottigliò
lo sguardo.
‒ Va bene,
dobbiamo
intervenire immediatamente per fermare Zero ‒ si intromise Sapphire. ‒ E
da
quanto ho capito siamo anche sulla strada giusta. Axel, se è vero quello
che
hai detto su Zero, abbiamo bisogno che tu ci dia una mano e continui a
dirci
tutto ciò che sai ‒ esclamò con decisione.
‒ Sì, Zero aveva
intenzione, come immagino già saprete, di fare una strage di tutti i
maggiori
Allenatori presenti all’Holon World Stadium. Ha costretto Murdoch ad
agire per
suo conto, poi lo ha eliminato per cancellarne le prove. Per fortuna, da
quanto
ho capito, una soffiata a proposito del suo piano è arrivata a Rocco e
successivamente a Ruby, che ha potuto ostacolarlo insieme a voi,
purtroppo non
senza conseguenze…
‒ Stiamo cercando
di raggiungerlo e fermarlo, dobbiamo solo capire la motivazione che
spinge le
sue azioni ‒ continuò Sapphire.
‒ Forse occorre
che capiate come stanno realmente le cose, prima ‒ precisò Axel
convocando il maggiordomo.
‒ Bernard, chiama la nostra ospite ‒ ordinò.
Stupendo tutti,
comparve all’interno del quadretto un ultimo soggetto: una bellissima
donna
dalla carnagione color caffellatte. Vestiva anche lei casual, con un
pareo e
degli shorts, ma la sua bellezza colpì ognuno dei presenti. La
riconobbero, lei
era un po’ più conosciuta, visivamente, rispetto ad Axel: si trattava di
Tiana,
ultima Superquattro di Holon. Evidentemente, la proprietaria della
Jaguar rosa
parcheggiata fuori.
La bellezza
salutò tutti introducendosi elegantemente nella situazione.
‒ Zero è arrivato
al punto di rivolgersi persino contro di noi ‒ spiegò, gelido, Axel. ‒
Siamo
fuggitivi.
E un forte rumore
di vetri infranti colse tutti alla sprovvista. Bernard, il maggiordomo
di Axel,
cadde a terra, con il buco di una pallottola nel collo. Entrò in casa
attraverso la vetrata appena infranta una delle guardie vestite di nero
che
sorvegliavano l’esterno della villa. Era grosso e piazzato, brandiva una
calibro quarantacinque dotata di silenziatore che maneggiava con dei
guanti di
pelle. Puntò minacciosamente l’arma contro Axel e fece fuoco.
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Capitolo 17 *** Capitolo 7 - Malibu pt. 2 ***
Capitolo
7: Malibu pt.
2
Schermoluce.
O Barriera. O forse Protezione.
Probabilmente nessuno di
loro lo avrebbe mai scoperto, sta di fatto che la pallottola si
disintegrò a
mezz’aria, contro un invisibile muro di luce. Tuttavia l’uomo vestito di
nero
che aveva sparato ad Axel, presumibilmente un infiltrato nella scorta
della sua
villa a Olivinopoli, non era solo. Immediatamente tutte le guardie
cominciarono
a sfondare porte e finestre della proprietà per accerchiare gli
Allenatori che
erano all’interno.
‒ Cazzo, dobbiamo
andarcene! ‒ esclamò il Superquattro.
A
quel punto il loro salvatore si palesò. A generare quella barriera che
aveva
evitato al piombo di raggiungere il proprio Allenatore era stato un
minaccioso Magnezone
che si era nascosto tutto il tempo levitando al piano di sopra. Il
Pokémon
lanciò una scarica che lasciò l’agente infiltrato a terra svenuto.
‒ Che diavolo succede,
Axel? ‒ esclamò furente Tiana.
‒ Avete addosso roba
metallica? ‒ chiese quello.
Nessuno
lo
stette a sentire. Il caos che era scoppiato in meno di pochi secondi
avrebbe
colto di sorpresa anche l’uomo più calmo del mondo.
‒ Avete addosso roba
metallica? ‒ ripeté, rabbioso per la mancata
risposta.
Dalla
matassa
dei sei Dexholder che tiravano fuori alla ben e meglio i loro Pokémon
nella speranza di fronteggiare gli agenti vestiti di nero che iniziavano
a fare
capolino dalle vetrate rotte e dalle altre stanze, non si levò alcuna
risposta.
‒ Ah vaffanculo! ‒ Axel impartì un ordine
preciso al
proprio Magnezone.
Il
Pokémon
generò un fortissimo campo magnetico che attirò tutti i soprammobili e
i componenti metallici della casa, aprì ogni cassetto dal pomello
metallico,
rovesciò sedie e sgabelli e strappò ogni arma dalle mani delle guardie.
Il
salone era ora tutto a soqquadro, ma nessuno avrebbe sparato loro
contro. In
tutto questo, Crystal aveva perso due forcine per i capelli, Blue un
braccialetto e Gold la felpa a causa della cerniera lampo.
‒ Dobbiamo scappare! ‒ ordinò quindi Axel.
Le
guardie
avevano perso le loro armi da fuoco, Magnezone le aveva tutte scagliate
fuori dalla finestra, e non si fecero scrupoli a tirare fuori l’arma di
riserva: le loro Poké Ball. Così, grazie ai Pokémon da sfondamento di
tutti i
presenti, calciando un Arcanine di qua e un Manectric di là, gli otto
Allenatori cominciarono a farsi strada nella calca di nemici.
Axel
sfondò
una delle vetrate che dava sull’oceano ordinando a Magnezone di
scagliarvi contro due guardie. Probabilmente quei due poveracci
sarebbero morti
cadendo in acqua da quell’altezza. Ad ognuno fu comunque permesso di
uscire
fuori e saltare sul proprio Pokémon volante. E così i Dexholder più i
due
Superquattro di Holon che volavano uno su Zapdos, l’altra su Swanna,
presero
una debita distanza dalla villa. Qualche guardia sembrava in procinto di
salire
sulla propria cavalcatura alata per inseguirli, ma Axel prevenne ogni
possibilità. Fece un cenno con la mano e gridò qualcosa. E
immediatamente
divampò una inquietantissima luce gialla da casa sua. Decine di potenti
esplosioni detonarono attorno alle fondamenta della sua villa. Erano
degli
Electrode che utilizzavano Autodistruzione.
‒ Aspetta, che cazzo stai
facendo? ‒ lo richiamò Green.
Troppo
tardi,
ormai l’edificio sembrava un castello di carte sotto il soffio del
vento. Il cemento si sgretolò, i vetri esplosero, le fondamenta si
sradicarono.
La villa di Axel crollò nel mare in pochi secondi, polverizzandosi e
accartocciandosi su se stessa. Il mare accolse tonnellate e tonnellate
di resti
e macerie colorandosi di una fitta schiuma biancastra e agitandosi
paurosamente.
E tutti loro, guardando senza poter agire in nessun modo, sapevano che
decine
di uomini erano rimasti intrappolati all’interno di quella valanga che
si era
riversata nell’acqua.
‒ Porca puttana, Axel, che
diavolo
hai combinato? ‒
gridò Sapphire al Superquattro.
Tutti
gli
Allenatori erano atterrati sulle coste di una delle isole vorticose,
poco
lontano. Ancora scossi da ciò che era appena successo, avevano poggiato
i piedi
per terra, o meglio, sulla sabbia, prima possibile. Tanto era difficile
che ci
fosse anche solo uno di quegli agenti che avesse ancora voglia di
inseguirli.
‒ Mi aspettavo una
reazione, la
scorta mi era stata mandata da Zero. Sapevo che mi si sarebbero
rivoltati
contro, non li ho rifiutati per non destare sospetti, ma ho preso le mie
precauzioni ‒
si giustificò
quello.
‒ Ma stiamo scherzando?
Quante
persone hai ucciso senza neanche pensarci? ‒
intervenne Blue attaccando Axel a sua volta.
‒ Dodici, dodici guardie
con due
Pokémon ciascuna, se vuoi saperlo! ‒
ringhiò quello, severo, attirando
l’attenzione di tutti. ‒ E non pensare che l’abbia
fatto a
cuor leggero, stiamo per entrare in guerra con queste persone, loro non
si
fanno scrupoli a ucciderci, noi non possiamo mettere a repentaglio la
pelle per
dare loro clemenza. Inoltre, ora che ci penso, se li avessi lasciati
vivi, loro
avrebbero comunicato a Zero che sapete della sua responsabilità circa
Rayquaza,
Murdoch e Fenix e che siete sulle sue tracce. Dovreste pure
ringraziarmi.
Ognuno
tacque.
‒ Volete che vi spieghi che
cosa è
successo veramente? Bene, statemi a sentire ‒
la sua rabbia cominciava a sbollire. ‒
Zero ha macchinato tutto riguardo alle faccende di Vivalet: Murdoch,
costretto
da quel folle, ha fallito nel controllare Rayquaza. È scomparso, certamente
ucciso, per
punizione.
I
Dexholder si scambiarono degli sguardi di approvazione, la teoria di
Camilla era
stata confermata.
‒ A quel punto, Zero ha
iniziato ad
indagare su noi altri Superquattro, credendo che volessimo tutti
tradirlo come
crede abbia fatto Murdoch. È accecato dalla rabbia e ha intenzione di
eliminare
ogni possibile minaccia, adesso noi come voi. Io e Tiana siamo venuti
qui a
casa mia, lontana da Zero, sperando di temporeggiare e inventarci
qualcosa ‒ sospirò e riprese fiato. ‒ Come vedete non è servito a molto…
‒ Che cosa sta cercando
Zero,
esattamente? ‒
domandò allora Green.
‒ Il controllo, Zero sta
eliminando
tutti gli Allenatori più potenti e influenti, vuole che tutto ciò che
loro
rappresentavano confluisca in un solo punto focale: Holon.
In
un
istante, tutto il disegno fu più chiaro ai presenti.
‒ L’isola di Holon: una
piccola
regione, ma un grandissimo parco divertimenti ‒
proseguì Axel. ‒ Gli Allenatori si
sarebbero
rivolti contro la Lega che si era costruita la più grande immagine di sé, la catastrofe avrebbe attratto le
attenzioni di
tutto il mondo e dopo qualche tempo dei nuovi turisti. La Lega come
mondo dello
spettacolo: avrebbe attratto tutto il flusso mediatico e l’influenza
degli
altri Allenatori più grandi, una volta scomparsi quelli frammentati per
le
altre regioni. Pensate al più stupido degli esempi: se tutti quegli
Allenatori
avessero perso la vita all’Holon World Stadium, dove sarebbe stato
costruito il
loro monumento alla memoria? Dove sarà comunque costruito per quei
poveri
innocenti che sono morti?
Ogni
Dexholder
conosceva bene la risposta, in cuor suo.
‒ E in fondo, alla fine di
tutto,
quale sarebbe stata l’unica Lega ancora in piedi? ‒ Axel aveva aperto loro
gli occhi.
Possibile
che
nessuno di loro era riuscito a rendersene conto, fino a quel momento?
‒ Quindi questo è
l’obiettivo di
Zero, perché gli informatori di Rocco e Camilla non hanno subito
comunicato
loro tutto? ‒
si domandò
Green senza attendere una risposta.
‒ Un attimo, Axel ‒ si intromise Sapphire. ‒ Che ruolo ha, in tutto
questo, la
Faces?
Quello
alzò
un sopracciglio, non comprendendo. Tiana, che gli si era affiancata per
tutto il discorso, reagì con la stessa ignoranza.
‒ Non sapete proprio
niente?
‒ Non capisco cosa dovremmo
sapere…
Sapphire
sospirò
sconsolata. Si voltò verso gli altri Dexholder. Da come si guardavano,
comprendevano di star pensando tutti la stessa cosa. Forse la vicenda di
Hoenn
era soltanto un’altra storia per niente collegata a ciò che stava
accadendo con
Zero. Senza dirsi una sola parola, avevano già deciso, si sarebbero
concentrati
solo ed esclusivamente su Holon, per ora. Ruby, Lino e la Faces potevano
aspettare.
‒ Axel, vogliamo dare una
mano, Zero
va fermato e ti assicuro che ci sono molti Allenatori validi disposti ad
aiutarci ‒
disse Sapphire.
‒ Bene, la cosa migliore è
rimanere
uniti, ora. Purtroppo però sarà abbastanza complicato mettere i bastoni
tra le
ruote a Zero ‒
mormorò quello.
‒ Che cosa abbiamo su di
lui,
sappiamo dove trovarlo, quali sono i suoi punti deboli, qualcos’altro?
‒ Veramente poco, ma
possiamo dirvi
tutto ciò che sappiamo ‒
rispose Tiana.
Un’ora
dopo,
nel laboratorio di Borgo Foglianova, sei Dexholder e due Superquattro
sfuggiti alla morte più di una volta sedevano attorno ad una bibita
fresca. Il
Professor Elm era stato felice di rivedere i suoi ragazzi, affezionarsi
a uno
di quei bastardi, per una persona qualsiasi, significava ansia e paura
di non
rivederli più dopo l’ultima volta che si sono chiusi la porta di casa
alle
spalle.
‒ Zero ha un talento
naturale,
bisogna riconoscerlo. Lui è incredibilmente potente, chi non lo ha mai
visto combattere
non può saperlo ‒
puntualizzò
Tiana. ‒ Fatto sta che la sua
principale “arma” è
la sua instabilità
mentale. Non solo lo rende imprevedibile, ma anche incontrollabile e
privo di
giudizio. Le persone che lui reputa meritino la morte difficilmente si
salvano,
anche perché ricorre a qualsiasi metodo, Pokémon o no, per farle fuori.
Il
rassicurante
discorso della Superquattro aveva congelato il sangue a tutti.
‒ In poche parole siamo
fottuti? ‒ domandò Blue.
‒ No, ricordiamoci sempre
che Zero è
forte, ma anche solo ‒
aggiunse quella.
‒ Sì, dillo alle guardie
che per
poco non ci ammazzavano tutti… ‒
commentò Silver.
‒ Abbiamo per caso visto
Zero, con
loro? ‒ domandò Axel, sottile. ‒ Zero agisce da solo,
quando delega
altri al suo posto, non si immischia mai, ma quando entra in gioco in
prima
persona, lo fa in solitaria ‒
precisò il Superquattro.
‒ Ci state dicendo che la
cosa
migliore da fare sarebbe che noi attaccassimo Zero quando lui scenderà
in
campo? ‒ domandò Gold.
‒ Vi stiamo dando delle
direttive,
voi potete farne ciò che volete.
‒ Non so, attaccare
direttamente
Zero mi sembra stupido, posso dirlo? ‒
fece quello. ‒
Anche se gli farebbero bene due calci in culo.
‒ Io ho bisogno di pensare…
‒ Sapphire scattò in piedi.
‒ Vengo con te ‒ la seguì Blue.
Le
due
ragazze lasciarono il laboratorio strisciando fuori dalla porta. Nessuno
cercò di fermarle, non si fronteggia mai una donna esasperata. Crystal,
la
quale era rimasta zitta tutto il tempo, come ormai era consuetudine, si
alzò e
decise di relegarsi in una delle camere. Rimasero solo Gold, Green e
Silver
insieme ai due Superquattro di Holon, la temperatura era scesa di
qualche grado
e l’entusiasmo generale si era corroso.
‒ Che cosa è successo al
vostro
amico Red? ‒
chiese Axel, come se dovesse sembrare amichevole per approcciare.
‒ Non lo sappiamo ‒ fu la quasi indignata
risposta di
Green.
Notando
lo
stupore suo e di Tiana, Silver decise di precisare: ‒ Lui e la sua ragazza sono
scomparsi una mattina, così,
senza dire nulla. Quello stesso giorno, Red ha organizzato una
conferenza
stampa in cui ha dato le proprie dimissioni facendo una forte allusione
alle
ultime vicende avvenute.
‒ E voi come intendete
reagire? ‒ domandò Tiana con fare materno.
‒ Credo di parlare per
tutta la mia
squadra quando dico che ora come ora non abbiamo la testa per questa
faccenda.
Si vedrà, ma per adesso dobbiamo risolvere un’altra situazione
ingarbugliata ‒ tagliò corto Silver.
L’imbarazzo
in
cui cadde la situazione placò ogni rumore. Si udiva solo il suono che
emetteva Gold masticando il collo della sua maglietta.
‒
Voi conoscevate Zero personalmente? ‒ domandò Green ai due Superquattro,
come
per educazione.
‒
Sì ‒ annuì Tiana, che sembrava la più provata dei due. ‒ all’apparenza
sembra
un ragazzo normale, a tratti simpatico. Ma non permette a nessuno di
leggere
nella sua testa o di avvicinarsi troppo a lui. Credo abbia subito dei
forti
traumi, o altro, sarebbe l’unica spiegazione per la sua doppia personalità.
‒ Voi
non
avete mai fatto niente per fermarlo? ‒ domandò Silver. ‒ Da quanto tempo
Zero occupa il ruolo di Campione? Un anno? Possibile che non abbiate
avuto
voglia di opporvi a lui, magari denunciandolo o qualcosa del genere?
‒
Era la cosa più sicura ‒ rispose prontamente Axel.
I
tre Dexholder non capirono.
‒
Poco tempo dopo la sua salita al potere, Zero conobbe un ragazzo. Si
chiamava
Kalut ‒ cominciò Tiana.
Il
sentir
pronunciare quel nome, riaccese una lampadina nei loro cervelli.
‒
Sembrava, in un certo senso, essere riuscito a placare la follia e sete
di
distruzione di Zero. Non so in che circostanze i due si fossero
conosciuti, ma
Kalut era costantemente in compagnia del Campione. Sembravano molto
legati.
Durante la permanenza di Kalut alla Lega, Zero sembrava aver abbandonato
i
piani per Vivalet ‒ spiegò Axel.
Ciò
che
era stato raccontato loro era vero, allora: c’era un’unica persona
capace
di fermare la follia di Zero.
‒
Kalut quindi viveva alla Lega? ‒ domandò Green.
‒
Sì, Zero gli aveva concesso uno degli appartamenti.
‒
E poi che cos’è successo?
‒
Hanno litigato ‒ proferì Tiana. ‒ abbiamo assistito ad una delle più
violente
liti mai viste. Zero sputava fuoco, era il suo lato peggiore, quello che
stava
mostrando. Persino Kalut aveva perso la pazienza e lui aveva una
personalità
molto più tranquilla di quella di Zero.
‒
Quindi Zero se n’è andato?
‒
Non l’abbiamo mai più visto ‒ rispose Axel.
‒
Sapete per che cosa litigassero? ‒ indagò Green.
‒
No.
La
risposta
lo lasciò lievemente spiazzato.
‒
Non avete sentito niente? Nemmeno un’ombra di discussione?
‒
Oh, no. Hai frainteso. Loro non si urlarono contro ‒ precisò Axel. ‒
Lottarono
con i loro Pokémon, e finiti quelli si presero a botte ‒ spiegò, come se
fosse
la cosa più normale al mondo.
All’esterno,
Blue
e Sapphire camminavano lungo la riva del mare che bagnava le coste di
Johto da un lato e quelle di Kanto dall’altro.
‒ Che cosa ne pensi, Blue?
‒ domandò la Dexholder di Hoenn
senza
scollare gli occhi dall’orizzonte.
‒ A proposito di?
‒ Tutto questo, in
generale.
‒ Io… ‒
Blue temporeggiò.
‒ Ti prego, possiamo
parlare di
altro?
Sapphire
comprese
la situazione della sua amica e le venne incontro. ‒ Come… come va con Green?
Blue
fece
la faccia di chi si vede passare dalla padella alla brace.
‒
Sinceramente non lo so, lui è più complicato di una femmina. Lo sai
com’è,
Green…
Sapphire
annuì
debolmente.
‒
Fa il duro, ma non vuole davvero trattarti male e... non riesco a capire
che
cosa voglia davvero, possibile che dopo tutti questi anni non abbia
ancora
deciso cosa fare della sua vita?
‒
Tu che cosa vorresti? ‒ le chiese Sapphire.
‒
Non lo so, all’inizio era bello: avere qualcuno con cui sfogarsi senza
per
forza doversi impegnare. Anche i nostri fidanzamenti
settimanali, alla fine, erano delle sciocchezze, era tutto un
gioco. Poi
arriva il momento in cui inizi a pensare che in tutta una vita tu sei
riuscita
a divertirti qua e là, ma non hai portato a termine nulla…
‒
E ti senti uno schifo ‒ proseguì Sapphire.
‒
E ti senti uno schifo ‒ confermò Blue.
“Stanotte
ho
scopato con Ruby” avrebbe voluto dire Sapphire, che sentiva il bisogno
di
parlarne con qualcuno. Ma non lo fece, era certa che l’avrebbe presa
male.
Quindi entrambe lasciarono scorrere il silenzio di transizione tra una
conversazione e un’altra.
‒
Che cosa pensi sia accaduto a Hoenn? ‒ domandò allora Blue.
‒
In che senso?
‒
Nel senso… cosa pensi ci sia dietro a tutto quello schifo? La Faces,
Ruby,
Lino…
‒
Non so, non so cosa pensare. Io… ‒ Sapphire sapeva che aprirsi in quel
modo
l’avrebbe costretta a subire una lunga e pesante ramanzina. ‒ Io non
riesco a
pensare che Ruby abbia voluto fare tutto questo.
‒
Sei ancora così legata a lui?
‒
Sarò sempre così legata a lui.
‒
Non so, secondo me non… dovresti. Non è la cosa… giusta.
In
maniera
completamente inaspettata, Blue scoppiò a piangere. Sapphire assistette
ad una scena rara come quella senza sapere minimamente come reagire. Si
era
sentita così parecchie volte, negli ultimi tempi, impotente di fronte al
mondo
che si sgretolava davanti a lei. E Blue che lacrimava copiosamente,
cercando di
soffocare ogni gemito e coprendosi il volto con la mano, la faceva
sentire
ancora inutile, impotente, debole.
‒
Blue, che succede? ‒ chiese con un pallido filo di voce.
Forse
era
lo stress accumulato, forse le forti emozioni degli ultimi giorni, forse
qualcosa che Sapphire aveva detto senza preoccuparsi delle conseguenze.
‒
È tutto ok, davvero… ‒ provò a rispondere quella.
C’era
una
sorta di regola nel mondo che obbligava le persone affrante e distrutte
a
rispondere ciò a chiunque fosse interessato a loro.
‒
Blue, ti prego ‒ la supplicò per una risposta.
Gli
occhioni
celesti di quella, per quanto gonfi e umidi, le sorrisero. Amaramente,
ma le sorrisero. Allora Sapphire comprese. Blue non aveva mai avuto
fiducia
nelle persone, le poche volte che aveva deciso di affidarsi ai suoi
amici, il
mondo le era sempre caduto addosso. Silver era l’essere umano che lei
sentiva
più vicino, ma il suo affetto la distruggeva, riportandole alla mente
tutti i
momenti più brutti della sua vita. Sapphire, al contrario, aveva provato
un
sentimento troppo grande perché Blue potesse solo immaginarlo. E così,
il
vederli insieme rendeva Blue felice, generando un piccolo, empatico
calore
dentro di lei. Ma vedere il loro legame spezzato uccideva ogni sua
speranza.
Blue invidiava Sapphire, in un certo senso. Ma odiava ancor di più
vederla sola
e triste. Lei odiava quel mondo grigio che si era costruita attorno
negli anni,
quel mondo in cui non esistevano più i buoni, quel mondo in cui lei era
costretta a vivere.
‒
Non fa niente, mi deve pure tornare il ciclo, scusami… ‒ banalizzò
tutto.
‒
Vogliamo rientrare?
‒
Aspetta, aspetta un momento ‒ temporeggiò, asciugandosi le lacrime.
Quando
le
due ragazze rientrarono, Crystal era uscita dalla sua stanza e Silver
aveva
iniziato a preparare il thè. Nessuno aveva trovato una soluzione a
niente.
Tutto era ancora fermo in un limbo di angoscia e debolezza. La stessa
impotenza
che tutti loro avevano provato di fronte a Rayquaza, al corpo morto di
Emerald,
al ritiro di Red, alla morte di quei poveracci a Olivinopoli. Axel era
in piedi
e osservava le miriadi di cianfrusaglie che il laboratorio conteneva,
come
ognuno fa quando si sente a disagio in casa altrui, facendo finta di
osservare
attentamente l’angolino delle scope o il lettore DVD rotto.
Poi
qualcosa
ruppe quel silenzio tombale che si era creato nella stanza: la
suoneria del cellulare di Axel. Il trillo fu udito da tutti. Il
Superquattro
estrasse il telefonino dalla tasca e lesse. Tiana lo vide perdere colore
e
cominciare a respirare a fatica in un istante. Il ragazzo sembrava aver
appena
visto la foto del suo bambino di cui non sapeva nulla.
‒
Statemi tutti a sentire ‒ disse, con voce insicura. Attirò l’attenzione
di
quelle sei anime maledette che si trovavano lì con lui.
‒
Che succede? ‒ domandò Green, attento.
‒
Zero intende attaccare l’Altopiano
Blu ‒ lesse
a voce alta. ‒ È il numero di Kalut.
Fu
faticoso
metabolizzare il tutto.
‒
Tutto qui? ‒ domandò Green.
Puntuale
come
la morte, un secondo messaggio arrivò al cellulare di Axel.
‒
Tra venti minuti.
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 7 - Malibu pt. 3 ***
Capitolo
7: Malibu pt.
3
‒
Ripetimi perché ci stiamo fidando ciecamente? ‒ domandò Gold, in groppa
a
Togekiss, sulla via per le cascate Tohjo.
Axel
aveva
ricevuto un ben poco rassicurante messaggio circa un imminente attacco
di
Zero all’Altopiano Blu. Il mittente era Kalut e tutto lo squadrone aveva
deciso
di mobilitarsi sulla base di quelle poche righe di testo.
‒
Perché Kalut è una delle poche persone che potrebbe meritare la nostra
completa
fiducia, per il momento è l’unico che ha agito come avremmo agito noi ‒
spiegò
Green.
‒
Potrebbe?
‒
Sì, ci stiamo basando su un messaggio, ma non mi interessa. Se è l’unica
strada, è l’unica strada.
‒
Bah…
Otto
Allenatori
in groppa ad altrettanti Pokémon volanti raggiunsero la grotta delle
cascate Tohjo in pochi battiti di ali.
‒
Rapidi, scavalcare richiede troppo tempo ‒ li spronò Axel.
Le
due
pareti di acqua furono oltrepassate in modi profani e a dir poco
ingiuriosi
per la sacralità di quel luogo. Due minuti dopo, erano già dall’altra
parte.
Ripresero
le
cavalcature alate per eludere il varco di transizione e sorvolarono
nostalgicamente la Via Vittoria.
‒
Avvisiamo Lance e gli altri! ‒ ordinò Green. ‒ Quanto tempo abbiamo?
‒
Non ne avete ‒ rispose una voce.
E
tutte le finestre del palazzo della Lega esplosero. Una roboante
esplosione per
poco non sfondò i timpani ai presenti. L’onda d’urto fece crollare
parecchi
marmi, sbilanciò gli Allenatori che si trovavano ancora in volo, sfoltì
gli
alberi più vicini.
Ognuno
dei
presenti rimase col cuore in gola. Il loro cervello si spense per
qualche
attimo, tentando di accettare l’orribile visione. E così, mentre le
fiamme
cominciarono a rodere l’edificio dall’interno, tutti e otto gli
Allenatori
atterrarono sconsolati. Green era pallido, Sapphire sembrava dover
cedere sulle
proprie gambe, Crystal aveva ricominciato a tremare. Tornò finalmente il
silenzio, rotto solo dallo scoppiettare delle fiamme e dallo sgretolarsi
di
alcune mura. Blue percepì la mancanza del proprio battito cardiaco.
Altri
morti, altre vite innocenti. E soprattutto, a quel punto Zero non
avrebbe
potuto distruggere altri posti più importanti per lei. La casa dei suoi
genitori forse, a meno che non l’avesse già distrutta.
‒
Axel, Kalut diceva sul serio… ‒ mormorò Tiana, prima di essere perforata
da due
affilatissime ed invisibili lance.
Davanti
agli
occhi attoniti dei presenti, la bellissima Superquattro di Holon emise
un
grido soffocato e si accasciò a terra con due buchi nel torace da cui
fluivano
copiosi fiotti di sangue. Cadde in una pozza rossastra e non si mosse
più.
Dietro di lei, comparve un Deoxys. Si trovava nella sua forma offensiva
e le
due lance che avevano ucciso Tiana altro non erano che i due flagelli
che
costituivano il suo braccio destro.
‒
L’altro, ora ‒ ordinò la voce che comandava il Pokémon DNA.
E
mentre Axel rivedeva scorrere come un film la propria vita, una barriera
di
energia si interponeva tra lui e le appuntite estremità di Deoxys. Il
suo
braccio si fermò a pochi centimetri dai suoi occhi.
‒
Fermati, Zack.
Alle
spalle
dei Dexholder, era apparso un giovane dai capelli bianchi. Aveva un
fisico mediamente muscoloso, indossava una maglia nera senza alcun
disegno e
teneva le mani nelle tasche dei bermuda. Non aveva scarpe. Kalut si
mostrò ai
presenti. Attorno a lui: uno Xatu, che sembrava nella sua massima
concentrazione, intento a bloccare Deoxys, e un Arcanine. Non disse
nulla, né
fece alcun cenno e il suo secondo Pokémon partì per attaccare l’essere
che
aveva appena assassinato Tiana. La scena sembrava assurda, ma quel
grosso
canide sputafuoco cominciò a colpire severamente l’umanoide psichico
facendolo
indietreggiare di parecchio. Poi, il ragazzo guardò Xatu che alzò il
becco in
direzione di un punto indefinito.
‒
Ti ho trovato ‒ mormorò.
Dalla
coltre
di foglie, emerse Zero, il Campione di Holon. Ognuno dei presenti aveva
visto il suo volto un innumerevole numero di volte, ma mai nessuno aveva
potuto
riprenderlo con quelle guance scavate, quelle occhiaie e quella follia
negli
occhi. L’uomo più potente della terra scrutò Kalut da testa a piedi, i
due si
incamminarono l’uno contro l’altro, come dei duellanti del far west.
‒
Kalut, quelli non erano venti minuti… ‒ ringhiò Axel, quando il ragazzo
gli
passò accanto.
‒
Mi dispiace per Tiana, non sono arrivato in tempo ‒ ribatté
semplicemente il
giovane dalla chioma color neve.
Quello,
esasperato,
si accasciò sul cadavere dell’amica e gridò fuori la sua
frustrazione.
‒
Intendete darmi una mano? È per questo che vi ho chiamati ‒ chiese,
rivolto ai
Dexholder.
Quelli
impiegarono
un pochino per comprendere di avere davanti l’uomo che
rappresentava la chiave di tutto e contemporaneamente quello che invece
concretizzava il più grande pericolo della terra.
‒
Non posso affrontare Zero da solo ‒ ammise Kalut.
Nel
frattempo,
Arcanine e Deoxys si separavano, il primo era malconcio mentre il
secondo sembrava in perfetta forma. E così, con un paio di sguardi
gelidi,
sullo sfondo del palazzo della Lega in fiamme, Zero si preparava ad
affrontare
i suoi avversari. Axel riuscì a portare via il cadavere di Tiana in
tempo,
prima che il Pokémon DNA controllato da Zero cominciasse a fronteggiare
ben
sette nemici contemporaneamente.
Circa
venti
minuti dopo, la Ferrari bianca di Lance inchiodò sullo spiazzo di ghiaia
retrostante la sede della Lega. L’uomo scese nervosamente dall’auto, ma
non
mollò la presa sulla portiera per evitare di vacillare. Aveva
individuato il
fumo nero a chilometri di distanza, ma non aveva voluto credere
all’ovvio fino
a quel momento. Ebbene, di fronte ai suoi occhi, l’Altopiano Blu:
macerie e
resti di un palazzo divelto dall’esplosione che i pochi abitanti locali
avevano
potuto udire. Qualche grosso pezzo di materiale da costruzione era
ancora
avvolto nelle fiamme, mentre le mura di mattoni erano tutte state
frantumate e
trasformate in un polveroso puzzle di tessere tutte uguali. Ormai, la
carcassa
dell’edificio sembrava reggersi in piedi per miracolo, perdendo qualche
pezzo
qua e là, continuando a decadere progressivamente.
Il
cellulare
del Campione squillò nella sua tasca. Lui lo estrasse e rispose.
‒
Dovete venire qui, è peggio di quanto pensassi ‒ proferì, senza cercare
vie più
dolci.
Riagganciò
senza
salutare, prese a correre per aggirare l’edificio distrutto, verso il
viale di ingresso. Aveva percepito dei rumori e li aveva riconosciuti
immediatamente: qualcuno stava ancora lottando.
Più
o
meno un quarto d’ora prima, una telefonata che non si sarebbe mai
aspettato
aveva mandato in mille pezzi la sua giornata. Lance si trovava nella sua
villa
quando una delle guardie del transito tra la Lega e il Percorso 23 aveva
iniziato a strillare alla cornetta qualcosa a proposito di una
gigantesca
esplosione e una colonna di fumo che si era levata dalla zona
dell’Altopiano.
L’uomo si era immediatamente Allarmato, aveva spinto forte
sull’acceleratore
della sua auto per divorare il percorso tra la sua villa di campagna,
nella
zona limitrofa a quella del Bosco Smeraldo, e la Lega Pokémon delle
regioni di
Kanto e Johto. E così, come
se dopo gli
avvenimenti di Vivalet e le dimissioni di Red la sua vita non potesse
diventare
più complicata, si stava preparando ad affrontare il responsabile dei
uno dei
più inaspettati atti di terrorismo degli ultimi tempi.
‒
Traditore ‒ sibilò Zero mentre il suo Deoxys trafiggeva lo stomaco di
Axel con
uno dei suoi flagelli.
Per
un
attimo, per un solo attimo, Kalut aveva distolto l’attenzione dal
Pokémon
DNA, e quella minuscola frazione di tempo era costata la vita ad
un'altra
persona. Davanti a lui, con un grido esasperato, il corpo dell’ultimo
Superquattro di Holon rimasto si accasciava esanime.
‒
Figlio di puttana! ‒ esclamava Sapphire mandando il suo Blaziken verso
Zero nel
tentativo di colpirlo. Il ragazzo si mosse neanche, Suicune entrò
tempestivamente
in suo soccorso generando delle cristalline barriere di ghiaccio
luminescente e
bloccando sul nascere l’offensiva del Pokémon.
Zero
aveva
combattuto valorosamente utilizzando solo tre Pokémon dall’inizio della
lotta: Deoxys, Suicune e Darkrai. Tutti esemplari unici catturati in
circostanze misteriose. Nessuno ricordava ci fossero quei nomi nella sua
squadra, non aveva mai utilizzato Pokémon così particolari dall’inizio
della
sua carriera. Eppure, il Campione di Holon aveva tenuto testa a più
Allenatori
tutti insieme sfoggiando uno dei più efficaci arsenali mai visti sulla
terra.
Kalut sembrava l’unico in grado di anticipare le sue mosse, ma non era
riuscito
a sferrare neanche un colpo, trattenendosi per poter proteggere
efficacemente
gli altri compagni, Zero era un mostro e quei Pokémon erano troppo
potenti. E così,
nessuno dei Dexholder era riuscito a penetrare le sue difese, nonostante
nessun
Pokémon fosse andato KO, la lotta sembrava essere pari se combattuta in
sette
contro uno.
Poi,
un
istantaneo lampo di luce in direzione di Zero. Quello ebbe il tempo di
accorgersene per schivare la fiammata che era stata diretta contro di
lui, ma
l’improvvisa vampa non poté non sfiorargli il braccio destro. Accennò ad
un
minimo dolore digrignando i denti e si voltò, come ogni altro
combattente,
verso la fonte dell’attacco. Vide Lance con al seguito un minaccioso
Dragonite
pronto a unirsi alla mischia.
E
lo sguardo dell’Allenatore più forte del mondo cambiò improvvisamente.
Parve
più docile, più calmo. Sembrava che pure il dolore della scottatura
fosse
scomparso.
‒
Via, adesso ‒ esclamò.
E
Deoxys si trasferiva immediatamente alle sue spalle. Darkrai e Suicune
scomparvero per fatti loro, Zero sfruttò il potere di teletrasporto del
Pokémon
DNA per vanificarsi in meno di un istante. Due morti, una breve
scazzottata, un
edificio distrutto. E Zero era di nuovo irraggiungibile, scomparso nel
nulla
come polvere nel vento.
‒
Che diavolo è successo?! ‒ ringhiò Lance con la tensione che pompava nei
ventricoli al posto del sangue. ‒ Quello era Zero, che cosa ha fatto?!
Davanti
a
lui: i Dexholder, tutte facce più o meno conosciute, un individuo che
non
aveva mai visto prima e due cadaveri che ben riconosceva essere due dei
Superquattro di Holon. L’individuo sconosciuto fu il primo a farsi
avanti.
Aveva dei curiosi capelli bianco perlaceo, dei vestiti del tutto
inadatti alla
situazione drammatica e i piedi scalzi che poggiavano sull’erba morbida.
‒
Chi sei tu? ‒ gli domandò Lance prima che questo potesse aprire bocca.
Kalut
lo
squadrò e sospirò, voltandosi verso gli altri. ‒ Probabilmente l’arrivo
di Lance
vi ha salvato la vita… ‒ disse.
Pochi
minuti
dopo, la situazione era diventata ingestibile. L’arrivo dei Superquattro
dell’Altopiano Blu che erano stati convocati per emergenza da Lance
aveva solo
preceduto quello delle forze dell’ordine, dei giornalisti e dei vigili
del
fuoco. La zona era stata messa in sicurezza e, in mezzo alla calca, le
persone
che erano state trovate sul posto si erano ritrovate accerchiate dalle
guardie.
Lance aveva spiegato ciò che aveva visto, grazie anche alla
testimonianza
dell’uomo che lo aveva allertato, e dai Dexholder fu sollevato ogni
sospetto.
Furono gettati dei teli sopra ai cadaveri di Tiana e Axel, i giornalisti
cominciarono a immortalare ogni momento di quel formicaio che una volta
poteva
ricordare una scena del crimine.
Dentro
un
tendone improvvisato dalle forze di soccorso, vi erano sei sconsolati
Dexholder seduti su degli scatoloni che alternavano sguardi vacui verso
il
terreno e occhiate fuggevoli rivolte a Kalut. Green sembrava dover
saltare da
un momento all’altro come una molla, Crystal lo aveva iniziato a fissare
come
da qualche giorno fissava Sapphire. Nessuno sembrava capire
quell’enigmatico
individuo che camminava a piedi scalzi e si guardava attorno con i suoi
occhi
profondi.
‒
Volete chiedermi molte cose ‒ esordì il ragazzo dai capelli bianchi,
prendendoli in contropiede.
Silenzio,
solo
il brusio della folla di sottofondo.
‒
La vostra è una situazione spinosa, per la prima volta il mondo non
dipende da
voi ma stranamente state facendo di tutto perché questa responsabilità
torni a
gravare sulle vostre spalle… ‒ balbettò come se stesse pensando a voce
alta.
Nessuno lo comprese pienamente. ‒ Si tratta delle vostre forti
personalità
egocentriche oppure solo di un intensa forma di masochismo? O altruismo?
O
magari entrambe, che differenza fa? ‒ rise.
‒
Chi diavolo sei tu, Kalut? ‒ domandò Silver con aria stupefatta.
Il
ragazzo
dai capelli bianchi si calmò improvvisamente. Non gli era mai stata
posta quella domanda.
‒
Hanno detto di me molte cose, ma sei il primo che lo chiede direttamente
a me ‒
mormorò.
‒
Che cosa c’entri con Zero? ‒ chiese, più diretto, Green.
‒
Io lo sorveglio: gioco con lui, lo tengo buono, lo faccio divertire in
modo da
tenerlo calmo ‒ rispose.
‒
Giochi con lui? ‒ Gold notò subito la stranezza.
‒
Gioco, il gioco aiuta molto le persone: rilascia serotonina, aiuta molto
l’organismo, calma il cervello…
‒
Impedisce di distruggere le città ‒ Green lo affrontò sul suo terreno.
‒
Stiamo parlando di Zero, grande Capopalestra di Smeraldopoli, non di tua
sorella Margi.
Green
decise
che lancetta del barometro della sua pazienza era andata troppo oltre la
soglia consentita. Ancora poco e avrebbe mollato un manrovescio al
ragazzo.
‒
Che diavolo c’entri tu con lui? ‒ Blue volle balzare dritta al punto.
‒
Oh ancora siete lontani dalla soluzione, quanta fiducia mal riponiamo al
giorno
d’oggi ‒ li prese in giro Kalut.
Rimasero
tutti
attoniti.
‒
Zero vuole il controllo sulle regioni, intende sottometterle con la
paura e la
forza ‒ proferì, stufo, Silver. ‒ Non ci serve alcuna soluzione,
vogliamo solo
impedirglielo.
I
suoi compagni annuirono, Silver si era correttamente fatto portavoce
delle
intenzioni del gruppo.
‒
State sbagliando tutto ‒ lo stroncò Kalut. ‒ Zero ha solo bisogno di
aiuto per
ritrovare la calma e io posso riuscirci. Non vuole nulla di tutto ciò
che avete
detto.
Le
espressioni
esterrefatte che gli comparvero davanti spiegavano più o meno
quanto fosse alle loro orecchie assurda tale affermazione.
‒
Zero ha commesso un genocidio ‒ ringhiò Sapphire, furente.
‒
Zero ha commesso un errore ‒ ribatté Kalut.
‒
Kalut, ti preghiamo ‒ Green teneva gli occhi chiusi e si massaggiava la
fronte
nel debole tentativo di mantenere la calma. ‒ spiegaci che cosa sta
succedendo.
Tornò
la
quiete, il ragazzo sembrava riflettere sulla domanda che gli era stata
appena posta.
‒
Ho fatto giungere a Rocco e Camilla delle informazioni quasi
completamente
vere. Per loro, Zero aveva intenzione di uccidere gli Allenatori più
importanti
servendosi di Rayquaza. Tutto questo doveva essere funzionale
all’intervento di
Ruby, che era l’unico in grado di opporsi al Pokémon Leggendario…
‒
Non è vero ‒ si indispettì Sapphire.
‒
Sì, per questa cosa sì, ma non impelaghiamoci in altri discorsi. Ho
fatto in
modo che loro due si attivassero sulla base di questa informazione
poiché Zero
mi era sfuggito di mano, dopo l’ultima crisi non sono più stato capace
di
controllarlo. Lui è fuggito ‒ proseguì.
Tutti
pendevano
impazienti dalle sue labbra, Sapphire invece non poteva fare a meno
di pensare a ciò che Kalut le aveva detto.
‒
E Zero non hai mai avuto intenzione di uccidere quelle persone ‒
puntualizzò.
‒
Ma… l’ordine di risvegliare Rayquaza… ‒ tentò Blue.
‒
Zero voleva avere il potere di controllare Rayquaza, ma non sappiamo per
quali
scopi. Ha delegato Murdoch per questo. Il suo errore è stato fidarsi di
lui ‒
Kalut parlava lentamente, lasciando che la verità riempisse la stanza e
la
tensione accompagnasse le sue parole. ‒ Murdoch e gli altri Superquattro
hanno
tradito Kalut, utilizzando Rayquaza per attaccare quei civili. Zero, al
momento
opportuno sarebbe stato incastrato. Io ho allora colto la palla al
balzo,
giocando dalla loro parte, facendo credere che anche io pensassi che
Zero fosse
il responsabile. Per questo ho dato la colpa a lui, quando ho informato
Rocco e
Camilla. Solo così potevo continuare ad avere dalla mia parte i
Superquattro di
Holon. Poi, Zero ha deciso di iniziare a sterminarli. Mi era sfuggito,
l’unico
modo per ritrovarlo era seguire Tiana e Axel, prima o poi li avrebbe
ritrovati
per ucciderli.
Tutti
i
presenti ricordarono le parole di Camilla: Zero uccide solo coloro che
secondo lui meritano di morire, i traditori che avevano causato quello
sterminio erano degni obiettivi. Il Campione di Holon non li aveva mai
costretti a nulla, si era sempre fidato di loro. Axel aveva mentito, di
nuovo,
per una ragione ancora ignota.
‒
Facci capire, Axel e Tiana hanno tradito Zero e tu li hai utilizzati
come
esche? ‒ domandò Green.
‒
Io avrei lasciato che li trovasse soltanto per individuare lui, sarei
riuscito
a proteggerli entrambi. Ma Zero mi ha anticipato, ha voluto attrarre noi
da lui
facendo esplodere l’Altopiano Blu.
‒
Così non è stato.
‒
No, non ci sono riuscito… Zero sta diventando sempre più
incontrollabile, non
mi aspettavo che avesse quei Pokémon e che fosse diventato tanto forte,
di
solito riesco a fronteggiarlo. Ma lui era sicuro di riuscire a vincere.
‒
Quindi se prima non era ancora quel mostro spietato che avrebbe fatto a
pezzi
centinaia di persone senza batter ciglio, lo sta comunque diventando ‒
chiese
Gold.
‒
Praticamente sì, ma possiamo ancora calmarlo.
‒
Kalut, che cosa volevano i Superquattro che intendevano incastrare Zero?
‒
domandò Sapphire, arrivando al nodo principale.
Dall’entrata
del
tendone fece capolino Lance: ‒ Uscite, dobbiamo farvi alcune domande ‒
poi
indicò Kalut con lo sguardo. ‒ anche a te ‒ e sparì.
‒
Devo andarmene ‒ decise allora Kalut. ‒ Vi contatterò io se saprò altro
sui
movimenti di Zero. Dobbiamo riuscire a fermarlo, ma ora non so come
convincere tutti
del fatto che Zero non sia il diretto responsabile.
‒
Aspetta ‒ intervenne Gold. ‒ Può non aver causato lo sterminio di
Vivalet, ma
ha ammazzato quattro persone, per poco non uccideva pure noi e inoltre
ha
appena fatto esplodere la Lega Pokémon.
‒
Sì, il che doveva solo metterci in allerta per portarci da lui, non è
morto
nessuno nell’esplosione. Zero uccide solo chi merita di morire.
Kalut
sapeva
ciò che diceva, i Dexholder credevano alle sue parole. Purtroppo c’erano
ancora molti punti interrogativi: le cause che spingevano Kalut a fare
ciò che
stava facendo, l’obiettivo dietro il tradimento dei Superquattro, le
reali
intenzioni di Zero.
‒
Non posso spiegarvi ora ‒ Kalut decise di uscire dalla parte opposta
della
tenda e scomparire in mezzo alla vegetazione.
A
poco servirono le proteste dei Dexholder. Il ragazzo scomparve rapido e
silenzioso come un serpente. Videro uno Xatu seguirlo in volo da
lontano.
Dall’altra
parte,
la sera stava scendendo. Ormai l’area era stata messa in sicurezza, le
decine di reporter che erano confluite sul luogo non aspettavano altro
che
spiegazioni. E queste ultime dovevano pure essere particolarmente caute,
dopotutto i Dexholder erano stati ritrovati sulla scena di un attentato.
Era
notte fonda quando anche l’ultimo dei giornalisti decise di demordere. A
quel
punto, sulla scena, restavano solo Lance, i poliziotti e i Dexholder.
Il
Campione
di Kanto, con vari giorni privi di sonno che gli gravavano sotto gli
occhi,
prese i Dexholder da parte.
‒
Che diavolo è successo? Che cosa ci faceva Zero in questa situazione? ‒
domandò, più nervoso che arrabbiato.
Si
fece
avanti Green, per parlare con lui da pari a pari: ‒ Zero è fuori di
testa,
lo è sempre stato e ora sta peggiorando. Hai visto cosa è successo ai
suoi
Superquattro? È stato lui, dobbiamo riuscire a trovarlo per mettergli i
bastoni
tra le ruote.
Nessuno
capì
se Lance lo stesse ascoltando o no, aveva uno sguardo vacuo che
combatteva
contro la pesantezza delle sue palpebre.
‒
Il ragazzo di prima, chi era? Dov’è finito?
‒
Lui è l’unica persona capace di fronteggiare Zero, si chiama Kalut. Non
può…
apparire in pubblico.
Sentendo
quel
nome, una fievole luce si accese negli occhi del Campione, ma in pochi
ci
fecero caso. Sta di fatto che evitò di insistere.
‒
Io… non capisco, perché ha attaccato l’Altopiano Blu?
‒
Voleva attrarre qui delle persone.
‒
Chi?
‒
Quelli che i medici hanno portato via dentro un sacco nero, Lance.
Circa
un’ora
dopo, i Dexholder si erano già allocati nelle camere del gigantesco
laboratorio di Biancavilla, a casa Oak. Il Professore era fuori, ma
Margi li
aveva accolti con tanto entusiasmo. Aveva avuto modo di conoscere tutte
quelle
facce nel corso degli anni, era felice di averli a casa per un po’,
anche se la
situazione non era delle migliori. Lance, poco prima, si era
raccomandato di
fare il possibile per trovare Zero e non esitare a chiamarlo in caso di
bisogno. Aveva bisogno anche lui di qualche lume da seguire, dentro
questa
vicenda.
Sapphire
ci
rifletté parecchio. Lance si era ritrovato il doppio delle
responsabilità
addosso e la metà delle forze su cui contare, nel corso di pochissimo
tempo. Le
sarebbe piaciuto fare qualcosa, ma tutto sembrava distoglierla
dall’obbiettivo
principale. Ruby, la Faces, Red, dovevano essere tutti messi in secondo
piano.
Zero era ancora in libertà e loro lo avrebbero fermato.
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Capitolo 19 *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 1 ***
Capitolo
8: caramelle
e sconosciuti pt. 1
‒
Mi dispiace molto per Emerald ‒ commentò Margi. ‒ Dev’essere stato
difficile
per tutti voi...
La
donna
che sedeva al tavolo con Silver, Blue e Green era la sorella maggiore di
quest’ultimo, la prima nipote del professor Oak. Differentemente da
Green, lei
aveva scelto il percorso dello studio della fauna Pokémon, ereditando il
camice
del nonno. Così, dopo aver fondato un proprio laboratorio a Sidera,
aveva
avviato la sua personale attività di ricerca. Ogni tanto, però, in
assenza di
Samuel, si occupava lei della sede centrale e dell’allevamento di
Biancavilla.
Alla fine, era sempre e comunque casa sua.
‒
Ma sì, se n’è andato da eroe ‒ sorrise Blue, cercando di sdrammatizzare.
‒
È bello rivedere tutti qui, sono contenta che stiano bene ‒ disse Margi,
con
voce più bassa, a suo fratello.
‒
Non sarà per molto, abbiamo ancora un lavoro da compiere ‒ rispose
quello.
‒
Ma non sarebbe meglio che vi fermaste per un po’?
‒
Non adesso, non ad un passo dalla fine.
Margi
si
incupì e subito dopo tornò a sorridere, forse fingendo. Quello era suo
fratello e quelli erano i suoi amici, prima o poi avrebbe digerito di
vederlo
sempre invischiato in faccende più grandi di lui.
‒
Non avere paura, ce la caveremo ‒ la rassicurò, in uno dei suoi rari
momenti di
tenerezza, Green.
In
salotto,
sdraiato sul divano, si trovava un assonnatissimo Gold. La poltrona
era invece occupata da Sapphire. I due studiavano ciò che i telegiornali
avevano deciso di trasmettere circa gli avvenimenti del giorno prima, in
mezzo
a tutti i titoli catastrofisti e agli interventi di varie personalità di
spicco
dell’ambiente, non figurava mai il nome di Zero. I Dexholder conoscevano
bene
la storia e pure Lance lo aveva visto con i propri occhi, ma non avevano
prove,
dimostrazioni o moventi. Qualche trasmissione meno altolocata aveva
avuto
l’intuito di connettere in qualche modo l’assassinio di tutti e quattro
gli
Allenatori d’élite di Holon con il disastro di Vivalet, ma nessuno era
riuscito
a cucirvi pure la colpevolezza di Zero, che invece era più votato come
potenziale prossima vittima.
‒
Che palle, metti qualcosa di più interessante ‒ si lamentò Gold
agitandosi.
Sapphire,
di
tutta risposta, gli gettò il telecomando e uscì dalla sala.
‒
Oh ma che ho detto? ‒ gli sentì borbottare.
Erano
tutti
nervosi, tutti incazzati, tutti con la tensione alle stelle.
Sapphire
si
sedette sulle scale che portavano al piano superiore e, tappando sullo
schermo di uno dei tablet di casa Oak, digitò il nome di Ruby sulla
barra di
ricerca di Google. Si sentiva un idiota totale quando lo faceva, ma era
solo
curiosità, la sua. Trovò, tra le notizie più recenti, una breve
intervista che
il ragazzo aveva rilasciato a proposito dell’attacco all’Altopiano Blu.
Aveva
assicurato la sua piena solidarietà e vicinanza, il suo appoggio per la
ricostruzione, il suo impegno per l’indagine sul colpevole e poi aveva
sciorinato un discorso sulla resistenza a questi atti di terrorismo
psicologico
che, destabilizzando il sistema, ottengono esattamente l’effetto
desiderato.
Le
sembrava
assurdo, i ricordi che aveva di Ruby in testa erano tanto vari da
farlo sembrare quasi un’invenzione del suo cervello: prima erano rivali,
poi
innamorati, poi salvavano il mondo insieme, poi litigavano, poi lui
diventava
una pop-star, poi la cercava di nuovo, fermava Rayquaza rischiando la
vita,
diventava una sorta di creatura incandescente e invulnerabile, la
scopava
comparendo nella sua camera di notte e infine rilasciava interviste di
convenzione realizzate da un qualche addetto al suo posto. Doveva essere
bello
vivere una vita da Ruby, di sicuro ci si annoiava molto poco.
Sapphire
trovò
particolarmente difficili da mandar giù le gallerie di foto scattate a
tradimento al ragazzo in cui si
intravedeva il suo nuovo tatuaggio sul collo. E quelle poche
linee che
erano riuscite a generare dozzine di articoli di gossip, erano in realtà
molto
più di questo. Lei conosceva gli effetti che quelle sfere potessero
avere sugli
umani e intuiva quindi che Ruby, in quel preciso istante, stava
deteriorandosi
sempre più in profondità. Anzi, non capiva ancora come mai il suo
cervello non
avesse già ceduto, magari tutto dipendeva dallo stato in cui si
trovavano i
Pokémon Leggendari connessi ai gioielli: Groudon e Kyogre riposavano
entrambi,
assopiti sotto terra ad Hoenn.
Stava
sfogliando
gli articoli più beceri e stomachevoli che parlavano del ragazzo
dagli occhi brace quando Crystal le comparve accanto come uno spettro,
intenta
a scendere al piano di sotto dalla sua camera.
‒
Buongiorno ‒ le disse, svogliata.
‒
‘Giorno ‒ rispose quella.
‒
Hai dormito bene, Crys? ‒ chiese, tentando di scacciare quell’aura
gelida che
ultimamente si portava dietro.
La
Dexholder
di Johto non rispose e raggiunse la cucina. Sapphire lasciò correre,
cosciente della situazione che la ragazza stesse vivendo. La osservò
sedersi a
tavola e versarsi del caffè. Sola, taciturna, triste. Intanto, Silver
aveva
raggiunto Gold sul divano. I due cominciarono a parlare di qualcosa a
bassa
voce, e Sapphire non intendeva origliare. Posò invece il tablet e salì a
rivestirsi, le era venuta voglia di uscire.
Qualche
minuto
dopo, camminava già sulla soffice erba dell’allevamento di Oak. Il
professore aveva costruito quella sorta di safari molti anno prima,
prendendo
la decisione di cominciare a tenere le varie specie di Pokémon che
possedeva
libere in un posto simile al loro habitat. Certo, gestire quel giardino
era col
tempo divenuto anche l’hobby di un anziano signore, ma tra i ragazzini
di
Biancavilla ormai già c’era l’abitudine di giocare in mezzo ai Caterpie
e ai
Pidgey del professore. In quel momento però, ad entrare in
quell’ordinato
ecosistema, non era una bambina. Era una ragazza con qualche anno in
più, un
paio di pantaloncini di jeans e una maglietta nera, i capelli raccolti
in una
coda disordinata e i piedi scalzi a contatto con il terreno. Gli
Spinarak si
nascondevano sotto la propria roccia, mentre i Sentret la avvicinavano
con
cautela. Sapphire ne accarezzò un paio, poi cercò con lo sguardo la
propria
squadra di Pokémon, che aveva lasciato a riposare lì la sera prima.
Erano
tutti, nessuno gridava e attorno a lei nulla stava esplodendo. Quindi,
si
sentiva felice.
‒
No, non ho dormito bene ‒ mormorò Crystal comparendo dietro di lei.
Sapphire
si
voltò, senza sapere cosa ribattere.
‒
Non dormo bene da giorni, se vuoi saperlo ‒ continuò la Catcher.
La
Dexholder
di Hoenn prese una profonda boccata d’aria ‒ Mi dispiace, Crys. È per
Emerald?
‒
È per come lo abbiamo trattato ‒ precisò.
‒
Che vuoi dire?
‒
Emerald ha scelto di sacrificarsi per salvare una persona che neanche si
comporta più come un nostro amico ‒ nel suo tono c’era delusione e
rassegnazione.
‒
Lo avrebbe fatto per chiunque, sai bene com’era.
‒
Non con Ruby.
‒
Sì invece,
‒
No, quel ragazzo ha nascosto a tutti noi ciò che sapeva e ha preferito
agire da
solo, come al solito.
‒
Lui è fatto così.
‒
Sì, Sapphire, ce lo hai raccontato molte volte ‒ ormai le stava
praticamente
parlando ad un palmo di distanza. ‒ Ci hai già raccontato di come fosse
bravo a
caricarsi di tutte le responsabilità, testardo ma altruista. O forse
solo
egocentrico.
‒
Adesso si parla di come abbia voluto sfruttare quel momento per
gloriarsi di
essere di nuovo un eroe?
‒
No, Sapphire ‒ singhiozzò Crystal. ‒ Si parla di come tu stia difendendo
ancora
così strenuamente un falso amico, un impostore, un bugiardo ‒ ogni
parola era
come una pugnalata per la Dexholder di Hoenn.
‒
Io non…
‒
Perché lo fai?
Calò
il
silenzio. Si udì solo il battito d’ali di un Butterfree che, infastidito
dalla situazione, cercava un posto più tranquillo.
‒
Perché lo fai? Perché lo difendi? ‒ ripeté quella.
‒
Perché ho fiducia in lui… e così dovremmo averne tutti ‒ rispose, quasi
sincera, Sapphire.
‒
Ok ‒ Crystal annuì debolmente, con lo sguardo vacuo.
‒
Che cosa vorresti? Che non credessi più in lui? Non è una scelta.
‒
Lo è sempre, è sempre una scelta. Se per te fidarti di quel ragazzo
significa
ignorare i tuoi amici, persino quando questi muoiono davanti ai tuoi
occhi, io
decido di tirarmi fuori da questa faccenda ‒ annunciò, riprendendo con
sé i
Pokémon che anche lei aveva lasciato nel giardino.
‒
Aspetta, che cosa vuoi dire?
‒
Che me ne vado a Vivalet, là potrò dare una mano a chi ne ha bisogno
davvero ‒
spiegò, attaccando le Ball alla cintura.
‒
Crystal, non dire stronzate, dobbiamo rimanere uniti ‒ cercò di fermarla
Sapphire.
‒
Non avete bisogno di me, potete occuparvi di Zero da soli ‒ e le voltò
le
spalle.
‒
Crystal, Crystal. Aspetta ‒ la prese per un braccio.
‒
Lasciami.
‒
Ascolta, io so che cosa stai provando, ma non lasciarci per questo.
‒
Tu non hai idea di come mi senta! ‒ e così la Dexholder di Johto le
mollò un
ceffone sulla guancia destra.
Sapphire
si
trasse indietro, ferita.
‒
Addio.
Sapphire
la
lasciò andare via, era troppo decisa e imperterrita. Crystal prese le
sue
cose, le infilò nella valigia e lasciò la casa. Gli altri Dexholder
furono
immediatamente messi in allerta dai suoi atteggiamenti, ma entrarono nel
panico
quando la videro oltrepassare la soglia con il trolley che trottava al
suo
seguito. Blue non ebbe il coraggio di fermarla, non dopo ciò che le
aveva
sentito dire in aereo. Silver, invece, le corse dietro. Cosa che avrebbe
stupito una Crystal che non fosse stata accecata dalle lacrime di rabbia
che
quella vicenda le aveva scaturito.
‒
Aspetta ‒ le si pose davanti.
‒
Anche tu? Che cosa volete da me? ‒ mugolò lei.
‒
Non farlo ‒ disse soltanto Silver.
‒
Vuoi lasciarmi in pace?
‒
Spiegami perché vuoi andartene, calmati ‒ le intimò.
Crystal
singhiozzò
due o tre volte ‒ Non abbiamo fatto nulla per Emerald, noi…
Silver
la
lasciava parlare, apparentemente distaccato.
‒
L’abbiamo lasciato morire come un cane ‒ Crystal cercò di trattenersi,
ma le
parole le si strozzavano in gola.
‒
Non abbiamo potuto fare niente.
‒
È colpa nostra, Silver. Ruby sapeva tutto, lui… noi non siamo stati
abbastanza
attenti e così Rald…
E
Crystal scoppiò a piangere sul petto dell’amico. Piangeva nervosamente e
senza
alcuna paura di sembrare debole. Tutto il dolore e lo stress fluivano
fuori dal
suo corpo sotto forma di lacrime. Silver, dal canto suo, sostenne il
peso del
suo corpo stringendola a sé. Crystal balbettava qualcosa, pronunciava il
nome
di Emerald e chiedeva scusa. Chiedeva scusa come se qualcuno oltre a
Silver
potesse sentirla.
‒
Passerà ‒ balbettò Silver, senza riuscire a dire altro.
E
così rimasero per un tempo interminabile. Una valigia solitaria, con
accanto
due poveri ragazzi a cui la vita non aveva avuto paura di mostrare il
suo lato
peggiore. A pochi metri di distanza, il resto della compagnia che
osservava
impotente.
Qualche
manciata
di minuti più tardi, Silver aveva finito di comporre la propria
valigia. Crystal sarebbe partita e lui la avrebbe accompagnata.
Destinazione:
Vivalet, obbiettivo: aiutare. Era la scelta migliore per la ragazza, che
sapeva
di non poter rimanere lì senza tornare preda di una crisi. Sapphire li
salutò
in lontananza mentre si avviavano verso l’aeroporto di Zafferanopoli in
volo
sui propri Pokémon. Certo, nessuno aveva preso bene quella decisione:
perdere
altri due membri della squadra avrebbe condizionato definitivamente la
loro
coesione, ma tutti riconoscevano l’importanza di quel distacco, per
Crystal. E
poi, fino alla prossima notizia di Kalut, nessuno di loro avrebbe avuto
molto
da fare. Ciò che era meglio fare, a quel punto, era distrarsi per poi
tornare a
riflettere.
E
così, rimasti solo in quattro, i Dexholder si ritrovarono al tavolo
della
cucina insieme a Margi per riflettere sul da farsi. Convennero insieme
che, con
Zero scomparso e Kalut in avanscoperta sulle sue tracce, potevano
solamente
aspettare.
‒
Io voglio tornare, per il momento, a Smeraldopoli ‒ annunciò Green. ‒
Devo
sistemare delle cose alla palestra.
‒
Io ho bisogno di un momento di calma, voglio rivedere i miei ‒ si
aggregò Blue.
Gold
e
Sapphire si guardarono, desolati.
‒
A questo punto torno a Hoenn, troverò sicuramente qualcosa da fare… tu,
Gold?
Per
la
prima volta nella storia della sua vita, il ragazzo dagli occhi d’oro si
trovò senza una risposta pronta. Sapphire impiegò un po’ per dedurre la
sua
indecisione.
‒
Ho da fare anch’io ‒ mormorò, guardando altrove.
‒
Ok, allora è deciso ‒ riprese Green. ‒ Ci ritroveremo quando uno di noi
sarà di
nuovo contattato da Kalut.
Ogni
Dexholder
lasciò quel laboratorio. Sapphire in direzione dell’aeroporto, Blue
verso la casa dei suoi genitori e Green verso la sua palestra. Gold
rimase
solo, davanti a quel piccolo casolare dimenticato nella natura, portava
la sua
valigia nella mano destra e la Ball di Togekiss nella sinistra.
‒
Uno per fare le cose bene deve farsele da solo ‒ borbottò, salendo in
groppa al
suo Pokémon volante.
Poco
tempo
dopo, Gold stava bussando alla porta di casa di Lance. Il Campione
dell’Altopiano Blu la aprì nel giro di pochi secondi.
‒
Che ci fai qui? ‒ era diventato sospettoso dopo gli eventi della Lega.
Si
trovava con indosso una tuta fradicia di sudore, stava facendo
allenamento.
‒
Vorrei farti qualche domanda, Lance.
Quello
lo
squadrò con diffidenza.
‒
Riguarda Red.
Qualche
minuto
dopo, si trovavano nella sua palestra. Sorseggiava un qualche
integratore con l’asciugamano sulle spalle e Gold osservava i
bilancieri.
‒
Ti ha detto qualcosa prima di mollare tutto? Nel senso, ti ha fatto
capire che
questa sarebbe stata la sua scelta o lo hai visto agire di punto in
bianco?
‒
Red era con te fino al giorno precedente alle sue dimissioni.
‒
È sparito una mattina… così dal nulla.
‒
Senza dare nessuna impressione prima?
‒
Non so, era grigio, ma lo eravamo tutti, dopo Vivalet.
‒
No ‒ rispose alla fine Lance. ‒ Non mi ha fatto sapere nulla. Mi ha
chiamato
quella mattina stessa, stava per tornare con il suo jet. Ha detto “sono
costretto a prendere questa decisione, tutti lo capiranno al momento
opportuno”,
lo ricordo bene. Non ho fatto resistenza, era deciso come non lo avevo
mai
visto. E ora pure Yellow è sparita con lui…
‒
Dev’essere successo qualcosa, non è il tipo che si fa sconvolgere da un
evento
come Vivalet. Ha visto morire tanta gente e ha rischiato la vita in modi
più
pericolosi.
‒
Gold, perché stai indagando su questo?
Il
Dexholder
si prese il proprio tempo. Lance gli aveva offerto un bicchiere di
bourbon ma ancora la sua lingua non era abbastanza sciolta per poter
parlare
delle sue paure.
‒
Kalut, Red, Zero, la Faces… stanno succedendo troppe cose tutte insieme.
Ho
bisogno di qualche lume da seguire.
Lance
era
esterrefatto, non aveva mai visto Gold in quelle condizioni. Serio,
preoccupato, indeciso.
‒
Ascoltami, Gold ‒ riprese allora il Campione di Kanto e Johto. ‒ forse
ho
qualche informazione che potrebbe servirti.
Quello
gli
fece cenno di star prestando.
‒
Da Campione, le condizioni necessarie che mi obbligherebbero di
dimettermi
all’istante sono essenzialmente due: ricatto e senso di colpa. Non ci
sarebbero
altre motivazioni capaci di spingermi a tanto.
‒
Quindi intendi dire che Red potrebbe essere stato convinto da qualcuno
che lo
ha minacciato oppure che abbia qualche scheletro nell’armadio che sta
tornando
allo scoperto?
‒
Conosciamo entrambi Red, non ci sarebbe motivo per cui dovrebbe provare
un senso
di colpa tanto forte. È la persona più onesta che io conosca.
‒
Capisco… ‒ mormorò Gold. ‒ Qualcuno lo
sta
costringendo, allora.
Qualche
ora
dopo e qualche centinaio di chilometri più a sud est, dopo uno squallido
pranzo in aereo, Sapphire era ormai giunta a casa. Durante il check-in
aveva
avuto tempo di aggiornare Platinum su tutti gli ultimi eventi. La
ragazzina di
Sinnoh si era preoccupata tanto per loro. Purtroppo, non era ancora
riuscita a
trovare niente a Sinnoh, ma per gli altri Dexholder era meglio così:
quell’impiego la teneva lontana dal pericolo.
“Terrore
a
Kanto e Johto, ma questo ultimo e misterioso atto di terrorismo
perpetrato
nei confronti della Lega dell’Altopiano Blu per fortuna non ha mietuto
vittime…”
diceva la presentatrice del notiziario, sul televisore della cucina di
casa
Birch.
Il
professore
era intento ad addentare il panino che avrebbe dovuto essere il suo
parco e ritardatario pranzo, quando qualcuno suonò il campanello. L’uomo
si
alzò in piedi e raggiunse la porta, aprendola con sospetto.
‒
Ciao pa’ ‒ mormorò la sua bambina, sulla soglia di casa.
Padre
e
figlia si unirono in uno stretto abbraccio.
‒
Da quando entri dalla porta?
Sapphire
rise.
Dieci
minuti
dopo, il tempo necessario per ristabilirsi a casa, Sapphire sorseggiava
un infuso di erbe che il professor Birch le aveva preparato. L’arte
della
tisana era ormai una tradizione per loro.
‒
Allora, come sta la mia figlia spericolata? ‒ chiese teneramente l’uomo.
‒
So che siamo vicini alla soluzione… ‒ Sapphire sorseggiava dalla sua
tazza
sovrappensiero. ‒ Devo soltanto capire cosa sta succedendo realmente
dietro
tutto questo.
La
ragazza
spiegò a suo padre la intricata vicenda dei Superquattro che avevano
tradito Zero per incastrarlo. L’uomo seguiva con attenzione le sue
parole.
‒
Secondo me ‒ si intromise. ‒ Nessuno di loro stava agendo per proprio
conto,
insomma, che motivo avevano di mettere nei guai Zero?
‒
Dici che ci potrebbe essere qualcosa di più grande, dietro?
‒
Dico che quando si trama per spodestare un potente, c’è sempre un altro
pronto
a prendere il suo posto.
‒
Axel? No, lui non era adatto a quel ruolo.
‒
Chiunque fosse, non si sarebbe mai buttato nella mischia.
‒
Sì… solo… ‒ Sapphire ebbe un’illuminazione.
‒
Hai qualche idea? ‒ chiese il suo vecchio, vedendo la luce accendersi
nei suoi
occhi.
‒
Forse…
Sapphire
finì
la tisana in silenzio, poi salì al piano di sopra. Accese il pc, aprì
Google Chrome. Digitò “Vivalet 24 giugno” e selezionò la categoria
“notizie”.
Lesse
dell’incidente,
della morte di Emerald e della strage dei civili, del decesso
di Rayquaza e della distruzione dello stadio. Lesse vari articoli e in
ognuno
di questi era più volte sottolineato quanto l’intervento di Ruby fosse
stato
provvidenziale e salvifico. Il Campione di Hoenn era acclamato dalla
maggior
parte dei siti di informazione e dei quotidiani online come il
principale
salvatore di Vivalet. Non era errato, Ruby era stato il perno su cui si
era
svolta la situazione. Tuttavia, il sentore di intuizione che Sapphire
aveva
avuto, si stava trasformando in un forte campanello d’allarme.
|
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Capitolo 20 *** Capitolo 8 - Caramelle e sconosciuti pt. 2 ***
Capitolo
8: Caramelle
e sconosciuti pt. 2
Cassandra
cliccò
sull’icona a forma di cornetta del telefono accanto al contatto. Portò
il dispositivo all’orecchio. Attese per il tempo di due o tre suoni.
‒
Dimmi ‒ rispose una voce femminile dall’altra parte.
‒
Aurora, credo sia arrivato il momento di preoccuparci.
‒
Perché dici questo? ‒ c’era rassegnazione nella sua voce.
‒
Kalut è entrato in azione attivamente, sono certa che quelli che hanno
lavorato
con lui vorranno capire che cosa sta succedendo.
‒
Può eluderli come ha fatto sempre, è Kalut, per Dio…
‒
Sai bene che non può farlo, non con loro.
E
Aurora lo sapeva, sapeva bene che era difficile e poco conveniente
tenere dei
Dexholder all’oscuro dei fatti.
‒
Qual è il piano, allora?
‒
Attualmente si sono sfaldati e attendono l’allerta di Kalut, raggiungi
uno di
loro, ti guiderò io.
‒
Siamo sicuri di ciò che sto per fare? Parlo per tutta l’organizzazione.
‒
Certi, al cento per cento. Non c’è altra strada ormai. Ti mando i file
del
ragazzo che devi agganciare.
‒
Va bene.
‒
Richiamami, ciao.
E
la telefonata tra le due Capopalestra si interruppe. La prima:
Cassandra,
Capopalestra di Idresia, a Sidera. La seconda: Aurora, Capopalestra di
Porto
Stellaviola, a Holon. Complici da anni, amiche da molto di più. Aurora
aprì la
casella della posta, cliccò sulla prima mail.
“Luogo di origine: Borgo Foglianova
Abilità più sviluppate: combattimento,
cattura
Segni particolari: è solito sfruttare una
stecca da
biliardo in molteplici occasioni…”
Green
aveva
lasciato Biancavilla quella mattina. Sedeva alla sua scrivania
pensieroso, con un bicchiere di brandy in mano. Era in chat con Blue,
che
invece si trovava dai suoi.
“Riesci
a
rilassarti?” le chiese.
“Per
niente,
mi sono già pentita di essere venuta qui, avremmo potuto fare qualcosa
in questo momento morto” rispose lei.
“Prova
a
bere qualcosa.”
“Sì,
sicuramente.
Adesso è proprio il momento adatto.”
Il
ragazzo,
ignorando la sua disapprovazione, prese la bottiglia e versò altro
liquido ambrato nel suo bicchiere.
“Avremmo
potuto
cercare informazioni sulla sparizione di Red.”
Nessuno
di
loro sapeva che in realtà ci stesse già pensando Gold. Forse, se lo
avessero
saputo, si sarebbero sentiti degli amici ancora peggiori.
“Hai
ragione…”
“Secondo
te
che cosa gli è successo?”
“Non
possiamo
saperlo, ma ho qualche idea.”
“Spiegami.”
“In
realtà
credo che anche tu abbia avuto questa impressione…”
Ad
Albanova,
il pomeriggio era scorso in fretta, anche per via del jet-leg. Sul
far della sera, Sapphire stava spulciando tra i documenti di suo padre.
L’ufficio di quell’uomo era diverso da tutti gli altri: un caos generale
simile
solo a quello che sua figlia creava nella propria camera, un pavimento
perennemente sporco e spesso interrato, una quantità imponente di foto
sviluppate appese al muro. Questo era il professor Birch.
La
ragazza
aveva libero accesso a tutte quelle documentazioni. Nonostante non
avesse mai avuto una particolare affezione verso le cose da leggere, si
ritrovava spesso a controllare lì, ultimamente. Ritrovò la foto dei tre
Dexholder di Sinnoh: accanto alla sua amica Platinum c’erano due ragazzi
dallo
sguardo non particolarmente sveglio. Ricordò i nomi Pearl e Diamond.
Avrebbe
voluto conoscere i suoi colleghi lontani, ma in quel momento l’ultimo
dei suoi
obbiettivi era mettere nei guai anche dei ragazzini.
Spulciò
ancora
un po’, trovando i documenti riguardanti i Dexholder di Unima, Kalos e
Alola. La storia si faceva interessante, quelli di Unima avevano la sua
età,
forse erano pure al torneo senza che lei potesse riconoscerli.
Stranamente, in
quella regione erano stati arruolati quattro possessori del Pokédex. Si
avventurò tra i documenti che li riguardavano, rimase paralizzata a
fissare le
schede che parlavano di uno dei primi Dexholder di quella regione: un
certo
Black. Tra i dati, c’era una data di morte. Il ragazzo, stando a quei
documenti, si era sacrificato per aiutare la sua compagna.
Quindi
Emerald
non era stato il primo Dexholder a perdere la vita.
Sospirando,
passò
avanti. Trovò i dati riguardanti lei e i suoi amici. Lesse anche quelli,
fissando in mente i gruppi sanguigni di tutti, per ogni occasione. Poi,
al
termine della cartella, trovò una portaschede molto particolare. Il
primo
foglio, nel frontespizio, diceva:
Progetto
ARBOR
VITAE
Creato
dai
sottoscritti professori Pokémon: Samuel Oak, Joshua Elm, Nicholas
Birch…
‒
Quello è materiale riservato ‒ la distrasse suo padre, sulla porta della
stanza. ‒ Anche per mia figlia.
‒
Che cos’è? ‒ chiese lei, riponendo il foglio.
‒
Se te lo dicessi non sarebbe più riservato ‒ l’uomo prese la cartella e
quei
fogli e li portò via con sé.
‒
Dai, non mi hai mai nascosto niente!
Birch
rise:
‒ Lo so, sbagliando.
‒
Ti prego, papà ‒ piagnucolò lei.
Il
professore
rifletté per qualche attimo. ‒ Ma non devi dirlo a nessuno dei tuoi
amici.
Sapphire
esultò.
‒
Il progetto Arbor Vitae è un’idea ancora molto lontana dalla
realizzazione
nella quale dovremmo concentrarci tutti noi professori Pokémon delle
varie
regioni, come avrai già letto. Si prefigge come scopo quello di far
smettere alla
piccola Sapphire di farsi i fatti altrui ‒ la prese in giro, lasciando
la
stanza.
‒
Dai! ‒ si lamentò lei.
Distraendosi
immediatamente,
tornò a spulciare nei documenti. Dopo poco trovò le schede che
le interessavano: i dati raccolti su Ruby durante la sua vita da
Dexholder. In
base alle stime psicologiche realizzate dal professore, Ruby era
fondamentalmente una persona egocentrica, ma capace di operare per il
bene
degli altri. Probabilmente era spinto anche in quel campo dall’auto
gratificazione. Tuttavia, questa sua attenzione nei confronti della
propria
persona sembrava scomparire quando Ruby si trovava a dover agire per il
bene di
determinate persone specifiche. Poi Sapphire studiò bene ciò che era
stato
scritto circa la sua ascesa al potere come Campione della Lega. Il
ragazzo era
divenuto più attento alla propria carriera e maniacale nel controllo
dell’immagine mediatica. Questo suo comportamento era stato interpretato
come
una risposta dura al trauma della perdita dei suoi genitori. In altre
parole,
un atteggiamento puerile che tornava a galla dalla personalità matura e
analitica
del ragazzo.
E
poi la Faces, informazioni che suo padre non possedeva ma che Sapphire
sapeva
stessero condizionando la vita di Ruby. Quale mistero si celasse dietro
la sua
storia, ancora era uno dei più grandi dubbi della ragazza. Tuttavia,
voleva
avere fiducia nel ragazzo e sperare che un giorno o l’altro lui sarebbe
tornato
indietro e le avrebbe dato qualche spiegazione.
Si
rese
conto di aver quasi dimenticato ciò che era venuta a cercare: le schede
dei Pokémon posseduti.
Estrasse
quella
di Flygon, uno dei più potenti esemplari utilizzati dal ragazzo. Il
Pokémon era stato donato da Norman a Lino molto tempo prima, poi
quest’ultimo
lo aveva riconsegnato a Ruby, dopo la morte del genitore. Scelta
particolare,
sicuramente motivata, ma che costituiva uno dei pochi elementi su cui
Sapphire
avrebbe potuto indagare. Purtroppo, per farlo, avrebbe avuto bisogno
dell’aiuto
di Yellow o Lance, il che risultava abbastanza complicato, al momento.
Non vedeva
altre piste, eccetto la ricerca di Ruby in prima persona, che non era il
migliore dei piani.
Gold
aveva
raggiunto Secondisola. Il villaggio era piacevolmente affacciato sul
mare
e la brezza serale estiva creava il clima perfetto, un toccasana per le
malattie. Nella parte più isolata, vicino alle scogliere, Red aveva
fatto
costruire la propria villa, qualche anno prima. Questa era una proprietà
di
medie dimensioni posizionata su un altopiano boschivo, vi si accedeva
tramite
un viale alberato e il panorama a cui dava l’occhio era tra i migliori
di tutta
la regione. Era stato più volte all’interno e ricordava abbastanza bene
la
planimetria.
Ciò
lo
aiutò a muoversi senza essere visto da eventuali custodi o abitanti. Si
era
già accertato che Red non fosse all’interno tramite il programma di
localizzazione del Pokédex che aveva di nascosto scaricato dal
dispositivo di
Green, dopo la loro vicenda a Hoenn. Secondo il GPS, Red si trovava a
Unima, il
posto più lontano possibile da casa sua. Gold ignorava cosa ci stesse
facendo,
voleva solamente indagare all’interno della casa dell’amico. Era certo
che
prima di sparire, Red e Yellow fossero tornati in quella villa.
Non
trovò
guardie, ad occuparsi della sicurezza dei suoi membri era l’istituzione
della
Lega, ragion per cui l’abitazione di un Campione congedato non era più
sorvegliata. Il ragazzo dagli occhi d’oro salì agilmente al piano
superiore
aggrappandosi al balcone. Con l’aiuto di Ambipom spalancò le porte di
vetro
senza lasciare impronte o rompere serrature. L’allarme non era
installato, i
pochi che avrebbero potuto degnamente irrompere a casa di Red erano di
certo
forniti di strumenti o Pokémon capaci di eludere ogni sistema di
sicurezza. Gli
altri, anche non conoscendo questa particolarità, non osavano fare
irruzione
nella villa di uno degli Allenatori più forti del mondo. Si ritrovò
esattamente
nello studio di Red: lo dimostravano le vetrine piene di trofei, i
portamedaglie completati appesi al muro, le foto e i ritagli di giornale
con personaggi
famosi di ogni genere e sorta. Trovò carina la riproduzione in scala
della
statua in cui Red fu trasformato dal Darkrai di Sird anni prima. Il
marmo,
scolpito in poche copie da un famoso scultore di Johto secondo
l’immagine del
ragazzo, lo raffigurava a petto nudo con Yellow in braccio. Gold
ricordava bene
quella triste sorte che toccò, oltre che quei due, pure Blue, Green e
Silver.
Grazie all’aiuto suo e dei Dexholder di Hoenn, tutti loro furono
liberati da
quella trappola durante gli eventi che sconvolsero l’inaugurazione del
Parco
Lotta.
‒
Sentimentale… ‒ borbottò, ricordando la loro avventura.
E
così, il giovane fece per avvicinarsi alla scrivania di Red. Accese il
computer
e aprì i cassetti, assicurandosi di rimettere tutto al proprio posto,
una volta
conclusa l’indagine. Controllò, durante l’avvio del Mac, pure il cestino
dell’immondizia. Non riuscì a individuare nessun elemento di interesse.
Dopo
essersi
divertito per qualche minuto ad indovinare la password di accesso al
computer dell’amico, non essendoci riuscito, lo spense. A quel punto,
ormai
sconsolato, individuò una cartella giallo ocra depositata su uno degli
scaffali. Red non era caotico. O meglio, quella stanza era il suo tempio
quindi
si trovava in perfetto ordine nonostante fosse gestita da un uomo.
Proprio per
questo, quella cartella che si trovava lievemente dislocata rispetto
agli altri
elementi nella stanza sembrava parecchio sospetta.
Improvvisamente
ricordò
dove lo aveva già visto: quella era una delle cartelle cliniche
dell’ospedale di Vivalet, ognuno di loro ne aveva ricevuto una con i
responsi
della propria visita dopo gli eventi di Rayquaza.
Allungò la mano per afferrarla.
Poi
un
rumore.
Ambipom
era
già pronto al combattimento, piazzato sulle zampe, e Gold si guardava
attorno guardingo per individuare l’intruso.
‒
Non si ruba a casa degli amici ‒ disse una voce femminile.
‒
Non ci si introduce nelle case degli sconosciuti ‒ ribatté Gold a tono.
‒
Dai, davvero mi troveresti minacciosa?
Una
ragazza
apparve davanti a Gold, come uscendo da dietro un pannello trasparente.
Non dimostrava più di vent’anni, aveva dei lunghi capelli celesti e
vestiva un
top a righe bianche e nere e una minigonna. Era bellissima.
‒
Dolcezza, non puoi avere queste sembianze e comparire a casa delle
persone,
potresti essere fraintesa ‒ scherzò Gold.
‒
Oh, ma io voglio essere
fraintesa.
Gold
cercò
di distrarsi, scacciando i cattivi pensieri. ‒ Scusa, ma questa è casa
di
un mio amico, quindi devo fermarti e farti qualche domanda.
‒
Sì, ti stavo seguendo, se è questo ciò che ti interessa.
‒
E?
‒
E ho bisogno di parlarti, tanto sono sicura che tu abbia già capito chi
sono,
Sherlock ‒ insinuò lei, avvicinandosi alla luce.
Gold
effettuò
qualche rapido collegamento, poi la riconobbe: Aurora, una
Capopalestra di Holon.
‒
Arrivo subito, Gabriel ‒ e faceva due salti a destra, per sistemare la
fasciatura di un ragazzino. ‒ Attenta con quel coso, Colette ‒ e
compariva
provvidenzialmente per salvare una bambina che minacciava di estrarre
l’ago
della propria flebo. ‒ Sono subito da te, Martin ‒ e si avvicinava ad un
terzo
marmocchio, cui doveva essere somministrato un analgesico particolare.
Crystal
si
muoveva lesta come una gazzella tra quei pazienti in miniatura. Silver,
che
pure cercava di dare una mano a modo suo, la osservava incredulo. La
ragazza
non aveva parlato con i suoi amici per giorni, poi, di punto in bianco,
era
tornata ad essere pimpante ed energica.
Segretamente,
il
rosso la ammirava. Vedeva la speranza e la serenità nei bambini che lei
aiutava. Crystal non permetteva che questi avessero paura, conosceva
tutte le
loro abitudini e i loro gusti, manteneva la promessa di portare le
caramelle a
chi avesse mangiato tutti i broccoli. Silver si rivedeva in quei
bambini:
feriti, orfani, soli. Ma lui non aveva mai avuto la fortuna di conoscere
una
Crystal, al suo tempo. Lui era cresciuto con una maschera che non poteva
togliere, in gabbia nel suo freddo stanzino, abbandonato da tutti.
Per
questo
cercava di sorridere a quei ragazzini. Avrebbe gridato in faccia ad
ognuno di quei mocciosi che la vita sarebbe andata avanti, che le loro
cicatrici non sarebbero scomparse ma che loro avrebbero potuto vivere di
nuovo,
che i loro genitori non sarebbero resuscitati ma che ci sarebbero state
tante
altre persone pronte a dargli l’affetto di cui avevano bisogno. Ma era
Crystal
quella che brava in queste cose.
Lui,
purtroppo,
ci credeva poco. E così, si limitava a distribuire il cibo,
sistemare le loro cose, lavare i panni.
Nel
frattempo,
la sua amica prendeva in braccio Jimmy che piangeva perché sua madre
non era stata tirata fuori dalle macerie dell’hotel in cui alloggiavano
e
cercava di farlo sorridere, parlandogli di come sarebbe divenuto un
Allenatore
fortissimo, che avrebbe salvato tanti altri bambini come lui.
Tutto
questo,
mentendo spudoratamente: Jimmy era rimasto paralizzato dalla vita in
giù, e avrebbe passato la vita su una sedia a rotelle.
‒
Silver, puoi prendere altre garze? ‒ le chiese l’infermiera Crystal.
E
il fulvo la fissava con sguardo vacuo. Lei aveva i capelli raccolti e un
grambiule decorato da un motivo floreale. Sorrideva. Per la prima volta,
dopo
la morte di Emerald, sorrideva.
‒
Silver, le garze! ‒ e schioccava le dita.
‒
Subito ‒ si scusava lui, correndo al lavoro.
Ore
dopo,
si stavano rilassando in uno degli ostelli messi a disposizione dei
corpi
di soccorso. Tra i soccorritori volontari si respirava la responsabilità
e la
soddisfazione, ma anche l’opprimente senso di angoscia. Vedere quelle
scene,
quelle facce, quegli occhi avrebbe devastato la psiche di chiunque. Le
zone
turistiche di Vivalet erano diventate dei formicai di infermieri,
medici,
soccorritori. Chi poteva aiutare, lo faceva senza remore. Chi aveva
bisogno di
soccorso, veniva subito accolto. Era questo ciò che permetteva a Crystal
di rimuovere
ogni cattivo pensiero dalla sua mente, anche solo per una giornata.
Nel
frattempo,
gli operai avevano cominciato a lavorare con le macerie, nel
quartiere limitrofo. C’era da ripulire il gigantesco disastro di un
intero
stadio e varie decine di edifici ridotti in pezzi da Rayquaza. Per
fortuna, non
si udiva più alcun lamento provenire da quella landa sterile. Tacevano
gli
ultimi corpi che venivano ritrovati in mezzo alla polvere e alle
lamiere:
pallidi, grigi, spenti.
‒
Vado a farmi una doccia ‒ annunciava Crystal. ‒ Puoi ordinare la cena?
Vorrei
riattaccare subito.
‒
Sì… certo ‒ annuiva Silver, docile come non mai.
E
la guardava con la coda dell’occhio mentre si sfilava la canotta ed
entrava nel
bagno abbassandosi le bretelle del reggiseno. Si sentiva sciocco, si
sentiva
Gold. Ma era così strano ciò che provava in quel momento, che gli
rimaneva
difficile persino concepirlo. Si distrasse chiamando la pizzeria più
vicina e
ordinando una margherita e una capricciosa.
Crystal
uscì
dal bagno poco dopo, proprio mentre Silver chiudeva la porta con i
cartoni
delle pizze in mano.
‒
Capricciosa, come piace a te ‒ le disse lui, prima che potesse chiedere.
‒
Grazie, Sil.
Il
rosso
notò immediatamente una nota bassa nella sua voce, ma ci fece poco caso.
Crystal era uscita dal bagno con indosso solamente un asciugamano a mo’
di
vestito, il che aveva attratto la gran parte della sua attenzione. La
ragazza
prese dei vestiti leggeri e tornò in bagno per cambiarsi, aggiunse però
un secondo
asciugamano in testa, avvolto attorno ai capelli.
‒
Buon appetito ‒ augurò all’amico, sedendosi.
A
quel punto Silver se ne rese conto. Aveva la carnagione arrossata tipica
del
post doccia, ma quegli occhi gonfi erano inconfondibili. Crystal aveva
pianto.
E anche parecchio. lo aveva fatto da sola, in bagno, quando nessuno
poteva
vederla. Decise di non farle notare l’evidenza della cosa, la avrebbe
messa a
disagio.
‒
Sei fantastica ‒ le disse invece, pensando fosse la cosa più giusta.
Lei
lo
guardò titubante, era insolito ricevere un complimento da lui.
‒
Là fuori, con i ragazzini, sei eccezionale…
‒
Grazie ‒ rispose lei sorridendo teatralmente.
Silver
si
sentì scaricato.
‒
Crystal, non fingere, capisco quello che stai provando ora… voglio
cercare di starti
vicino.
‒
Perché mi parli come se dovessi rassicurarmi? ‒ domandò allora lei,
aprendosi
un pochino di più.
‒
Perché credo che non ci sia niente di male nell’accettare l’aiuto di
qualcuno ‒
spiegò il fulvo, andando contro ad ogni sua tipica abitudine.
Crystal
lo
guardava come si guarda la propria casa dopo esser stati via per anni.
Poggiò
la
testa sulla sua spalla. Silver si fermò. La guardò. Crystal sollevò il
capo
per incrociare i suoi occhi argentei. Lo baciò sulle labbra.
Non
scoprì
mai il motivo di quel gesto. Forse lo aveva fatto per sentirsi più
sicura, forse per ringraziarlo, forse perché ne aveva semplicemente
bisogno.
In
ogni
caso, quella sera non tornarono a lavoro, né finirono di cenare.
Kalut
spense
ogni pensiero negativo. Il suo Arcanine gli si era accoccolato attorno,
tenendolo al caldo. A poca distanza, c’era invece Xatu. Si trovavano
sulla cima
di una montagna. La temperatura era rigida e il silenzio profondo. Kalut meditava seduto a gambe
incrociate,
modellando i flussi di pensiero della propria mente come fluidi in
assenza di
gravità.
Cercava
di
inserirsi nella mente di Zachary, che aveva avuto modo di studiare e
ispezionare da cima a fondo per molti mesi.
“Rabbia,
tradimento,
vendetta…” pensava. “Dolore, amici, bugie.”
“Ci
sei
quasi” lo aiuto Xatu, Pokémon millenario, in collegamento mentale con
lui.
“Kanto…
Hoenn…
Unima…”
“Continua
così”
fece Xatu.
“Ultima.
Chance.
Distruzione, Nemici.” realizzò.
“Le
tue
sinapsi sono più potenti di quanto qualsiasi uomo possa immaginare,
Kalut…”
commentò Xatu.
“Non
c’è
bisogno di dirlo, ma di dimostrarlo” ribatté lui.
“Allora,
avviserai
i Dexholder?”
“Zero
vuole
colpire una delle sedi centrali FACES, ce ne sono tre: a Zafferanopoli,
a
Porto Alghepoli e ad Austropoli. Non posso essere in tre posti
contemporaneamente,
devo allertarli per forza.”
“Va
bene,
e quanto tempo hai?” il Pokémon eterno
sembrava quasi un professore che interrogava il proprio alunno. E in
un
certo senso era così.
“Poco
tempo:
agirà domani sera” rispose Kalut, alzandosi e preparandosi a tornare a
valle.
|
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Capitolo 21 *** Capitolo 9 - Notturni pt. 1 ***
Capitolo
9: Notturni
pt. 1
Noi non abbiamo paura di
niente.
Crystal
lo
aveva detto a Jimmy, dopo aver spiegato per quale motivo dovesse
assentarsi
da un momento all’altro. Era arrivata solo il giorno prima, ma i bambini
si
erano già affezionati a lei. E anche a quello coi capelli rossi che
sembrava
suo amico. I due, tenendosi per mano, presero il primo aereo per Porto
Alghepoli, non sapendo se quello sarebbe stato il loro ultimo viaggio.
Circa
due
ore prima, attorno alle sette di mattina, Green li aveva contattati con
urgenza. Crystal si era svegliata nuda, avvolta in una coperta e stretta
tra le
braccia di Silver. Il ragazzo aveva mugolato, tornando a dormire. Lei
aveva
risposto al telefono. Green aveva spiegato di come Kalut lo avesse
contattato.
Aveva riassunto la previsione del ragazzo dai capelli bianchi e così
aveva
formato dei gruppi.
Tre
sedi
da difendere, tutte e tre papabili obiettivi del prossimo attacco di
Zero,
sei Dexholder più Kalut e due alleati: Blue, Green e Gold, che erano
ancora a
Kanto, avrebbero difeso Zafferanopoli. Sapphire era a Hoenn ma non
poteva stare
da sola, quindi Silver e Crystal la avrebbero raggiunta in poco tempo,
essendo i
più vicini, il luogo da proteggere era a Porto Alghepoli. Rocco e
Camilla, in
ultimo, erano già in aereo in direzione Austropoli, allertati da Kalut
in
contemporanea con Green. Tutti e tre i luoghi sensibili erano sedi della
FACES.
Il che era ironico, trovavano tutti i Dexholder: Zero avrebbe attaccato
dei
civili stavolta. E per quale motivo? Perché andare contro ai propri
principi?
Non era l’uomo della giustizia sommaria, ma pur sempre giustizia? Kalut
però
non si era diluito in spiegazioni. Lui sarebbe stato il jolly,
nell’operazione.
Avrebbe raggiunto il luogo dell’attacco non appena Zero si fosse
mostrato. Per
lui era semplice percorrere chilometri in poco tempo, per gli altri un
po’ meno.
Fatto sta che, ovviamente, tutto il gruppo aveva in ogni caso il compito
di
convergere nel primo luogo attaccato.
‒
Crys ‒ Silver le stringeva la mano, mentre l’aereo decollava. ‒ Andrà
tutto
bene.
Nessuno
dei
due ci credeva. Erano terrorizzati.
Sapphire
aveva
invece lasciato casa in groppa a Tropius, per raggiungere Porto
Alghepoli
in volo.
Suo
padre,
una volta compresa la storia, aveva pensato di provare a fermarla. Ma
aveva visto il fuoco nei suoi occhi, niente le avrebbe impedito di farsi
avanti
e anche lui si era immediatamente morso la lingua per aver solo pensato
di far
agire sua figlia da vigliacca. L’aveva abbracciata più forte che
potesse, con
il battito cardiaco a ritmo disumano. Aveva pregato che facesse
attenzione e che
tutto andasse per il verso giusto, poi l’aveva lasciata andare,
guardandola
diventare un puntino nel cielo di quella mattina. Con l’angoscia a
fargli
compagnia.
Chilometri
più
a nord ovest, Green e Blue erano immediatamente accorsi a Zafferanopoli,
incontrandosi. Gold era risultato irraggiungibile fin da quella mattina
e
ancora doveva conoscere tutta la vicenda. Dal telefono di Green
partivano
telefonate ogni minuto verso il ragazzo dagli occhi d’oro.
Invece,
in
volo sopra le loro teste, c’erano Rocco e Camilla. I due potenti
Allenatori
erano nel volo di linea diretto ad Austropoli più mattiniero che
esistesse a
Holon. Rocco teneva le gambe accavallate e fissava il vuoto con occhi
vacui,
Camilla teneva il broncio, decisa, ferrea. Si scambiavano qualche parola
ogni
tanto. Si rassicuravano, poi si rendevano conto di sembrare due
adolescenti.
Il
primo
gruppo a riunirsi al completo fu quello di Porto Alghepoli, il che era
una fortuna, dato che Hoenn era la regione più orientale il cui fuso
orario era
quindi in anticipo rispetto alle altre. Era quasi ora di pranzo e Zero,
per le
previsioni di Kalut, avrebbe attaccato verso la discesa del buio.
Crystal fu
accolta freddamente dalla ragazza di Hoenn. Con Silver successe lo
stesso. I
due erano giunti lì mano nella mano, e Sapphire evitò ogni domanda. Era
stata
data loro la raccomandazione di mantenersi discreti. Per questo si erano
piazzati attorno al tavolino di un bar, evitando ogni sguardo ma
vigilando su
tutta la situazione circostante. L’edificio FACES di Porto Alghepoli era
un alto
grattacielo con finestre di vetro riflettente. Era protetto su due lati
da dei
costoloni di roccia naturali creati dalla formazione a gradoni della
città. Il
quartiere era leggermente dislocato rispetto al centro urbano, si
trovavano
invece sul versante est del massiccio, quello che dava sul mare. La
periferia
di Porto Alghepoli.
‒
Abbiamo un piano? ‒ domandò Silver.
‒
Aspettare, suppongo ‒ rispose Sapphire.
‒
Per fermare Zero, intendo.
Sapphire
scosse
debolmente la testa. Era sterile di qualsiasi buona idea, in quel
momento. Aveva persino rischiato di pronunciare le parole “contatto Ruby
per
farci aiutare” davanti a Crystal. Aveva avuto modo di assaporare tutta
l’ostilità di quella ragazza nei giorni precedenti, ma la capiva
perfettamente.
E anche Crystal si era resa conto di aver sbagliato a trattare in quel
modo la
sua amica. Ma nessuna di loro aveva intenzione di scusarsi, si
scambiarono
reciprocamente il messaggio tramite i loro sguardi. Gli occhi
chiarissimi di
Crystal guardavano Sapphire con un debole tono dispiaciuto, quelli
cerulei di
Sapphire cercavano di esprimere comprensione.
‒
Aspettiamo ‒ sussurrò Crystal, adagiandosi sulla spalla del fulvo.
Poche
ore
dopo, a Zafferanopoli era già pomeriggio inoltrato. Blue e Green
attendevano Gold da parecchio tempo, ormai. Loro pure si erano stabiliti
sul
tavolino di un bar e in più avevano ordinato un aperitivo. La sede FACES
che
avrebbero dovuto proteggere era proprio al centro del quartiere della
borsa, il
che poneva sulle spalle una responsabilità ben più grossa e metteva
nelle loro
mani tesoro più fragile da proteggere.
‒
Kalut? ‒ chiese Blue, senza sapere di cos’altro parlare.
‒
Non si è ancora fatto sentire, dopo stamattina.
‒
Credi che ci possiamo fidare di lui?
‒
Non abbiamo altra scelta e poi per ora si è meritato la nostra fiducia.
Blue
si
appoggiò al cornicione, osservando la strada dall’alto.
‒
Sei preoccupata per Red? ‒ domandò Green.
‒
Sì, sappiamo bene che non è da lui sparire così all’improvviso.
‒
Lo ha fatto più volte: anni fa quando rimase congelato, quando tutti
fummo
pietrificati da Sird…
‒
No, no. Non così.
Blue
era
sinceramente in ansia per la situazione e ciò permeava chiaramente dal
suo
tono di voce. Green cercava invece di mostrarsi più distaccato. Forse
era per
la sua indole poco vigliacca, forse era per ostentare coraggio davanti a
Blue.
‒
C’è qualcos’altro dietro, non può accadere tutto allo stesso tempo in
questo
modo… ‒ concluse Blue.
Poi
si
udì una suoneria. Era il cellulare di Green.
‒
Gold si è fatto vivo? ‒ chiese Kalut dall’altro capo del collegamento.
‒
No, non riesco a contattarlo.
‒
Ok, ormai non c’è più tempo, provvedo io. Attiva la modalità
collegamento.
‒
Scusa? ‒ domandò Green.
‒
Il PokéGear, entra in modalità collegamento.
Green,
titubante,
gli diede ascolto. Effettivamente trovò impostazioni particolari che
non aveva mai visto prima sul suo dispositivo, non capiva come ciò
potesse
essere accaduto. Kalut non smetteva mai di stupirlo.
Attivò
l’opzione
indicata dal ragazzo e improvvisamente cominciò a sentire la voce di
Silver e di Rocco. Il primo si trovava a Porto Alghepoli, il secondo era
appena
sceso dall’aereo ad Austropoli. Era in collegamento in diretta con gli
altri,
dislocati in vari posti lontani. Potevano aggiornarsi al momento su
qualsiasi
novità e Zero avrebbe potuto parlare con loro senza doversi ripetere
ogni
volta.
‒
Ci siamo tutti? ‒ chiese il ragazzo dai capelli bianchi.
Tre
responsi
positivi, uno da Unima, uno da Kanto e uno da Hoenn.
‒
Perfetto, trovo il modo di contattare Gold in modo da indirizzarlo a
Zafferanopoli ‒ proseguì Kalut. ‒ Manteniamo il collegamento tutto il
tempo, se
qualcuno di voi vede qualcosa di sospetto, lo faccia presente.
Altre
tre
risposte positive. E Kalut scomparve.
‒
Xatu, devo riuscire a trovare Gold ‒ fece il ragazzo dai capelli bianchi
rivolto al suo Pokémon Magico.
I
due erano sulla cima di una torre radio, ad Aranciopoli. Il pomeriggio
era
ormai inoltrato, l’aria marina era tiepida e frizzante.
“Vuoi
provare
la stessa tecnica che hai utilizzato per Zero?”
‒
No, non lo conosco abbastanza bene. Stavo pensando invece al programma
di
localizzazione del Pokédex. Green non può usarlo perché deve tenerlo
nascosto
agli altri, ma se riuscissi a sfruttarlo io…
“Ruberesti
il
Pokédex di Green?”
‒
Ho altra scelta?
Kalut
aveva
intanto indossato un auricolare bluetooth connesso al gruppo di
comunicazione, grazie a tale dispositivo egli sentiva in tempo reale
tutta la
conversazione degli altri senza che loro sentissero lui. Se avesse
desiderato
intervenire, gli sarebbe bastata la pressione di un tasto.
“Allora
andiamo”
lo esortò Xatu. “Dobbiamo spremere ogni secondo.”
Kalut
annuì
chiamando il suo Skarmory che svolazzava a qualche decina di piedi di
altezza sopra la tua testa. Il volatile dalle piume metalliche lo caricò
in
groppa e prese la direzione di Zafferanopoli.
Vi
giunse
poco dopo, scendendo sul tetto di un edificio. Individuò immediatamente
i due Dexholder di Kanto seduti al tavolino di un locale. Scese in
strada
appendendosi ai cornicioni e, sotto l’occhio vigile di Xatu che lo
allertava
telepaticamente quando lo sguardo dei due ragazzi era puntato su di lui,
si
avvicinò sfruttando la folla come nascondiglio naturale. Ormai distava
poche
decine di metri da loro.
“Tu
tratti
tutta questa vicenda come un gioco…” gli sussurrò Xatu mentalmente.
“Perché,
come
dovrei trattarla?”
“Non
so,
stai mettendo in atto un piano di spionaggio solo per velocizzare un po’
le
operazioni.”
“Quale
piano?
Sto improvvisando.”
“Non
cercare
di stupirmi, posso vedere il futuro, niente mi stupisce.”
“Posso
solo
immaginare la tristezza…”
“Ok,
non
puoi stupirmi, ma riesci ancora a spiazzarmi qualche volta.”
“Scommetto
che
questa non l’avevi vista.”
Kalut
entrò
nel bar, si infilò dentro la cloakroom dei dipendenti quando nessuno lo
stava guardando e indossò a velocità lampo la tenuta di un cameriere.
Uscì
afferrando il primo vassoio che gli capitò a tiro, vi erano stati
poggiati tre
bicchieri di prosecco e una vaschetta di olive, lasciò uno dei bicchieri
su un
tavolo a caso. Giunto al tavolo dei due Dexholder, servì il prosecco e
le
olive.
‒
Offre la casa ‒ mormorò. ‒ per due leggende come voi… ‒ aggiunse, a voce
più
alta.
Inevitabilmente,
mentre
Kalut voltava le spalle, un paio di ragazzini si resero conto di star
passando vicino al tavolo di Blue e Green, due dei più forti allenatori
del
Torneo di Vivalet. Fecero loro le feste e supplicarono una foto. Allora
il
cameriere-Kalut si offrì ben volentieri di scattarla con il telefono di
uno di
loro, per farlo lasciò il vassoio sul tavolo. Essendo nascosto dietro il
cellulare, nessuno fece caso al volto del fotografo. Scattò la foto e la
mostrò
subito, tanto per distrarli. Fece cadere il vassoio dal tavolo, si chinò
per raccoglierlo
e, approfittando della disattenzione generale, sottrasse il Pokédex
dalla borsa
di Green.
“Ardito,
ti
sei superato…” commentò Xatu.
Rientrò
nel
bar, riprese i suoi vestiti e, entrando in bagno, uscì dalla finestra.
Tornò immediatamente sul tetto del palazzo dove era rimasto il suo
Pokémon.
Aveva la refurtiva, era rimasto in incognito, aveva impiegato un tempo
minimo.
‒
Imparare
tutto
ciò che è possibile imparare ‒ formulò, parlando col volatile.
“Potresti
scriverci
un libro.”
‒
Non lo farò, vero? ‒
“No.”
‒
Meno male… ‒
“Ok,
controlla
la posizione di Gold, adesso.”
‒ Perché
sei
divertito? ‒ chiese il ragazzo aprendo l’enciclopedia Pokémon.
Inserire
la
password
‒
Vaffanculo ‒ imprecò il ragazzo. ‒ E ora?
“Ora
aspetti
che il fato faccia il suo dovere, Gold comparirà.”
‒
Maledizione, devo mantenermi più attento.
“Io
penso
che tu debba contattare Aurora, potrebbe avere qualcosa da dirti.”
Kalut
non
ci pensò due volte. Xatu poteva vedere il futuro, aveva imparato che i
suoi
suggerimenti erano sempre indizi verso la soluzione. Tecnicamente, un
Pokémon Eterno come lui non
dovrebbe dare
suggerimenti sul futuro ai mortali. Ma Kalut era, per sua stessa
ammissione,
l’essere umano più unico e intelligente che lui avesse mai seguito,
ragion per
cui era ammesso uno strappo alla regola ogni tanto. Solo sulle piccole
cose,
quelle alle quali prima o poi sarebbe comunque arrivato.
‒
Sì, era con me… ‒ rispose la ragazza alla domanda di Kalut.
‒
Potevi dirmelo ‒ ribatté lui.
‒
Non ho avuto tempo, stamattina ho dovuto fare tutto di fretta.
Dall’altro
capo
della telefonata, Aurora sembrava essere al volante: Kalut riusciva ad
udire in sottofondo il ronzio del motore e il sibilo dell’aria che
penetrava
dal finestrino.
‒
Capisco… allora, che cosa gli hai spiegato?
‒
Gli ho spiegato tutto, come hai detto di fare tu.
‒
Bene.
‒
Non darà problemi, stamattina. Gli ho pure anticipato cosa fare.
‒
Ho capito, hai fatto bene.
‒
Riuscirete a fermare Zero? ‒ chiese poi Aurora, cambiando completamente
tono di
voce.
‒
Sì, ne sono certo. Ma non potremo fare nulla per evitare che la legge lo
consideri un criminale. Almeno non ancora…
‒
Mi dispiace per lui, Kalut. So che gli volevi bene.
‒
Non preoccuparti, lo tireremo fuori dai guai.
Ci
fu
un istante di silenzio tra i due.
‒
Dove trovo Gold?
‒
Vi troverà lui, gli ho spiegato come inserirsi nelle comunicazioni del
vostro
gruppo.
E
proprio in quel momento, Kalut udì una voce nuova nell’auricolare.
‒
Intendevate fare una festa senza di me? ‒ chiese il ragazzo dagli occhi
d’oro
con aria sorniona.
‒
Gold, maledetto… dov’eri? ‒ lo attaccò Green.
‒
Avevo da fare… piuttosto, credo che stiamo tutti aspettando la stessa
persona.
‒
Ti hanno già spiegato la situazione? ‒ chiese Silver.
‒
Sì.
‒
Quindi ti hanno già detto che devi piazzarti alla postazione di
Zafferanopoli.
‒
Perché?
‒
Come perché? Per Zero, idiota.
‒
Ah, già… devo aspettare Zero alla sede FACES di Zafferanopoli, che
scemo…
‒
Gold non prendermi in giro ‒ lo minacciò il fulvo.
‒
Non ti prendo in giro, dolcezza… è solo che penso sia inutile andare ad
aspettare Zero alla sede FACES quando lo ho qui a pochi metri di
distanza da me
‒ e rise.
A
tutti gelò il sangue nelle vene.
‒
Che diavolo stai dicendo? ‒ intervenne Rocco.
‒
Gold, dove ti trovi ora? ‒ chiese Green.
‒
Zafferanopoli, September Avenue, numero civico 218B, aspetto il mio
Martini ad
un bar, Zero ha invece ordinato… un Latte Mumu… in quello adiacente. Lui
non sa
che sono qui e che lo osservo, porta una giacca di pelle nera e un paio
di
pantaloni cargo rossi.
‒
Arriviamo immediatamente ‒ allertò allora Green.
‒
No! ‒ esclamò Zero introducendosi nella conversazione.
‒
Come no?! Dobbiamo agire in anticipo! ‒ ribatté il Capopalestra di
Smeraldopoli.
‒
Zero ha intenzione di attaccare di notte, abbiamo ancora tempo, adesso
sappiamo
dove si trova. Gold continuerà a pedinarlo per non perderlo… intanto
tutti gli
altri prendano il primo volo e raggiungano Zafferanopoli. Insieme avremo
più
probabilità di sottometterlo senza danni collaterali. Ricordate che
dovremo combatterlo
in mezzo ad un centro abitato ‒ sciorinò Kalut.
‒
Porca miseria, ha ragione ‒ ammise Rocco.
‒
Sono d’accordo ‒ appoggiò Silver.
‒
Mh, va bene… ‒ acconsentì Green. ‒ Ma fate in fretta.
‒
Gold, tieni gli occhi fissi su Zero ‒ ribadì Kalut.
‒
Come se avesse una quinta ‒ rispose lui.
Gli
altri
membri della squadra, che avevano seguito la discussione dai propri
compagni, avevano già cominciato a preparare l’occorrente per l’ennesima
traversata in aereo. Passò il tempo di preparare un bagaglio con
l’essenziale e
raggiungere l’aeroporto a Ciclamipoli e già ad Hoenn si era fatta tarda
sera.
Sapphire, Silver e Crystal avevano acquistato i biglietti sul posto,
avrebbero
fatto la coda per il check-in, ma la situazione li aveva obbligati ad
acquistare dei titoli di viaggio esclusivi e costosissimi che
permettessero
loro di imbarcarsi in fretta e furia.
Stessa
situazione
a Unima, ma Rocco e Camilla si trovavano agevolati: avevano preso il
jet privato di lei, Rocco non ne disponeva più dopo aver perso la carica
di Campione,
e si erano messi in volo in poco tempo. Tuttavia, il percorso che
avrebbero
dovuto macinare era più lungo, quindi sarebbero arrivati bene o male
alla
stessa ora.
Era
passato
parecchio tempo. Gold era rimasto tutto il tempo seduto a quel bar, con
lo sguardo puntato su Zero che non muoveva un muscolo da ore. Blue e
Green si
erano invece spostati, salendo sul tetto del palazzo più vicino al loro
obbiettivo. Lo scrutavano dall’alto, pronti a ricorrere ad ogni loro
arma per
fermarlo. Kalut aveva fatto qualcosa di simile. Ma non si era piazzato
in una
posizione di vantaggio. Era invece seduto a gambe incrociate
sull’insegna
gigante che sovrastava una palazzina, all’inizio della via. Vedeva in
lontananza Green, Blue, Gold e Zero. Ma loro non vedevano lui.
Rifletteva,
cercava di capire cosa avesse in mente quel folle del Campione di Holon,
inserendosi nella sua testa.
Perché
mostrarsi?
Perché non preparare niente? Perché rimanere lì tutto il tempo?
Qualcosa
sembrava
sospetto in tutta quella situazione, qualcosa non andava. Aveva già
svolto ogni calcolo e analizzato ogni eventualità: sarebbe riuscito a
catturare
Zero al cento per cento da quella posizione, forse pure evitando quei
due o tre
morti tra la folla di civili.
‒
Siamo al gate ‒ allertò Silver.
‒
Noi in volo ‒ ribatté Rocco.
‒
Noi in posizione ‒ si aggiunse Green.
‒
A me fa male il culo ‒ chiarì Gold. ‒ Prossima volta voglio un bar con
le sedie
più comode.
‒
Aspettate… ‒ mormorò Zero.
Fece
appello
ad ogni sua capacità deduttiva.
‒
Gold, che cos’aveva ordinato Zero? ‒ chiese, rapidissimo.
‒
Un Latte Mumu ‒ ricordò lui.
‒
Toccalo ‒ ordinò. ‒ Anzi, colpiscilo.
‒
Cosa?
Nessuno
riusciva
a stare dietro al ragionamento del ragazzo.
‒
Blue, Green, preparatevi ad intervenire nel caso in cui dovessi
sbagliarmi.
‒
Che cosa sta succedendo? ‒ chiese Silver che nel frattempo non capiva
nulla. Si
era fermato sulla pista, in procinto di salire sul velivolo, insieme
alle altre
due Dexholder.
‒
Gold, colpiscilo! ‒ ringhiò Kalut.
‒
Porca puttana ‒ imprecò Gold, chiamando Ambipom e ordinandogli di
attaccare il
ragazzo seduto a quella sedia così poco distante da lui.
‒
Gold, non farlo ‒ esclamò Green.
Purtroppo,
l’autorità
di Kalut era superiore alla sua, e poi il primate dal pelo viola era
ormai a metà strada, con una coda pronta a colpire e l’altra come
contrappeso.
La
folla
si aprì, un ragazzo sulla ventina era stato scaraventato sul marciapiede
dalla forza di un Ambipom, rotolando goffamente con il clangore della
sedia
metallica in sottofondo. Ci fu il silenzio generale, un po’ di movimento
tra
chi si fece da parte e chi cercò di avvicinarsi alla vittima.
Poi,
sotto
gli occhi attoniti di tutti e gli sguardi vigili e allarmati di Blue,
Green, Kalut e Gold, Zero tornò in piedi all’improvviso. Rise. Emise
luce
propria.
La
sua
forma cambiò, rivelandone la vera identità.
‒
Era uno Zoroark. Silver, Crystal, Sapphire. Non Partite ‒ scandì Kalut
con il
tono della massima emergenza. ‒ Rocco, Camilla, cambiate direzione.
Silver
buttò
la valigia a terra, Crystal aveva già un piede nell’aereo e uno sulla
scaletta.
‒
Torniamo indietro! ‒ esclamò. ‒ Ora! ‒
Sapphire
e
Crystal non capirono immediatamente.
‒
Cazzo! ‒ esclamò Rocco, ancora sospeso in aria nel jet di Camilla.
‒
Rocco… ‒ mormorò lei, girando verso di lui il pc con cui stava
navigando.
Sul
monitor
era aperta la pagina del giornale online “HC One”. Vi erano delle foto
in allegato e un video che riportava la scena di quella che sembrava
l’esplosione di un edificio. Raggelò leggendo soltanto il titolo:
Attacco
terroristico
a Porto Alghepoli. Il salvataggio tempestivo del Campione. Lo
scontro ancora in corso.
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 9 - Notturni pt. 2 ***
Capitolo
9: Notturni
pt. 2
“Non attaccate mai per
primi. Se si
prende tempo, cambiate Pokémon o perderete. Non cercate di prenderlo
d’anticipo, ma evitate le azioni troppo banali” li
aveva
allertati Kalut. “Impeditegli di
comunicare con i suoi Pokémon, limitate la sua possibilità di
sfruttare il
terreno di scontro a proprio vantaggio” aveva invece consigliato.
I
Dexholder si erano preparati duemila schemi in mente, ognuno dei quali
sarebbe
teoricamente stato in grado di sovvertire le sorti della battaglia
contro Zero
a proprio favore. Purtroppo per lui, Ruby non aveva udito nessuno di
questi
preziosi avvertimenti.
Zero,
alle
venti e trentadue, aveva fatto terra bruciata attorno alla sede
dell’organizzazione FACES di Porto Alghepoli. Non aveva colpito il
palazzo, lo
aveva solo circondato. Era sceso dall’alto, in groppa ad un Braviary,
aveva
lanciato sul campo di battaglia un Lycanroc, uno Scizor e un Druddigon.
Intendeva utilizzarli come guarnigione per penetrare nel palazzo, ma si
era
trovato davanti tutti i membri della squadra di Ruby. E così, mentre i
due
Allenatori erano impegnati a fulminarsi a vicenda con lo sguardo, i loro
Pokémon avevano cominciato a scannarsi senza pietà alcuna. I loro colpi
avevano
messo in allarme la città intera: un Martelpugno di Swampert, eluso da
Lycanroc, aveva trasformato un auto parcheggiata in un cartoccio di
lamiere; un
Dragopulsar di Druddigon, deviato da Flygon, aveva fatto esplodere tutte
le
finestre del secondo piano del grattacielo; un Forbice X di Scizor,
evitato da
Mightyena, aveva scrostato cinque metri quadri di asfalto stradale.
−
Prendete le correnti tiepide,
passando
sul mare. A quest’ora dovrebbe essere la condizione più rapida per
volare.
Quando avrete raggiunto Porto Alghepoli probabilmente Ruby sarà già
stato
sconfitto, due di voi dovrebbero tenere Zero occupato mentre il terzo si
occuperà dei civili e dei feriti. Non so che cosa abbia in mente di
preciso, ma
sono quasi sicuro che il suo piano preveda l’eliminazione totale della
sede
FACES. In ogni caso, pensate ai civili, lasciatelo demolire il palazzo,
se
riuscite a impedire che ferisca le persone – spiegava Kalut nella
comunicazione
condivisa. Era rivolto a Silver, il quale riportava tutto a Crystal e
Sapphire.
I tre erano in volo: le due ragazze sul dorso di Tropius e il fulvo
sulle ali
di Honchcrow. Stavano letteralmente mangiando il percorso tra
Ciclamipoli e
Porto Alghepoli. Sapphire teneva la schiena inarcata e il corpo
perfettamente
aderente alle squame del suo Pokémon per guadagnare aerodinamicità.
Guardava il
puntino lontano che era il loro obbiettivo e pregava di non star di
nuovo
andando ad assistere ad un’apocalisse come quella di Vivalet. Ruby era
intervenuto alla svelta, anticipando Zero, il che faceva supporre che
qualcuno,
nella FACES, si era reso conto dell’imminente attacco all’ultimo
momento,
mandando a chiamare il loro guerriero migliore. Vincolato alla
Federazione per
chissà quale ragione. Eppure, nessuno di loro riusciva a comprendere. Da
che
cosa era stato tradito Zero? Quale indizio aveva permesso a Ruby, o a
chi per
lui, di prevedere l’attacco a Porto Alghepoli? Ciò che pesava sulla
coscienza
della ragazza era la loro disattenzione. Il fallimento della meticolosa
mente
di Kalut che non era arrivata a studiare ogni minima sfumatura della
situazione.
E
poi c’era il sibilo dell’aria, il quale sferzava gli zigomi della
Dexholder di
Hoenn come una lama affilatissima. Tutto attorno era silenzio, al centro
del
mondo solo lei, il suo Pokémon e il nemico.
In
città,
le persone fuggivano, i telefoni cominciavano a digitare il numero della
polizia. Intanto, Zero sembrava non riuscire ad avanzare. Ruby,
schierato come
un oplita davanti all’entrata del palazzo, non accennava a fare un passo
indietro. Il ragazzo sembrava volergli saltare addosso per malmenarlo,
come
fossero anche loro due Pokémon. La sede FACES era piena di lavoratori
che
avrebbero già dovuto timbrare il cartellino per la fine del loro turno
di
lavoro. Quella giornata era sembrata fin troppo noiosa e ripetitiva, si
era proprio
avvertito il bisogno di un minaccioso assassino pronto a far crollare un
palazzo sopra alle loro teste. I poveracci non riuscivano a fuggire,
nonostante
la resistenza del Campione di Hoenn stesse dando loro un gran
quantitativo di
tempo. Non vi era un’uscita sul retro o una scala antincendio e l’unica
porta
principale era già stata sfondata una volta, prima che il Milotic di
Ruby
intervenisse contro quel minaccioso Lycarnoc. Ad ogni modo, la fuga non
era
sicura.
Ruby
se
ne rese conto, ma provare a spingere il nemico all’angolo era molto più
facile a dirsi che a farsi. Impose alcune condizioni di complicazione ai
Pokémon avversari, ma ogni strategia era inaffidabile e facilmente
contrastata
dall’intelligenza strategica di Zero: il congelamento di Druddigon durò
pochi
istanti, poi Scizor attirò un Fuocobomba di Castform e lo evitò
all’ultimo
sciogliendo il blocco di ghiaccio dell’alleato; il vapore creato da
Milotic non
riuscì ad ostruire la vista dei nemici, poiché Braviary lo scacciò via
con le
sue forti ali; le rocce affilate evocate da Flygon non limitavano il
movimento,
Druddigon le afferrava e le lanciava come proiettili. Lo scontro
sembrava alla
pari e perdurava su un caotico equilibrio da quasi venti minuti.
Poi,
il
Campione di Hoenn commise un errore: tentando di spostare la lotta sul
lato
destro, senza quindi forzare la posizione di Zero ma cambiando solo
l’angolazione, mostrò il fianco per un istante, accorgendosi troppo
tardi dei
tre civili intrappolati all’interno della macchina al lato della strada.
Zero
era troppo vicino a loro, Druddigon era impegnato in un corpo a corpo
con Milotic
e se avesse vinto avrebbe potuto distruggere involontariamente l’auto,
ammazzando due signori e un ragazzino. Ruby si rese conto della
situazione con
un istante di ritardo: gridò un ordine a Milotic per farlo spostare, ma
non
poté evitare il colpo di Scizor che era comparso sulla sua destra.
Il
crostaceo
gli chiuse la chela attorno alla spalla, avvicinandosi
pericolosamente al collo. Ruby percepì il metallo acuminato lacerargli
la pelle
attraverso i vestiti e mordere tenacemente la sua carne. Zero aveva
mirato
direttamente a lui. Poi, la seconda chela del Pokémon, chiusa a pugno,
lo colpì
fortissimo sullo stomaco, scaraventandolo qualche metro indietro. Non
riuscì ad
alzarsi, perdeva molto sangue e gemeva di dolore.
Zero
ebbe
campo libero, i suoi avversari, preoccupati per il proprio Allenatore e
privati di una guida, andarono al tappeto in poco tempo.
Il
Campione
di Holon si avvicinò minaccioso al palazzo, lasciò i suoi Pokémon a
fare la guardia e vi entrò incedendo con terribile calma. Ruby era a
terra con
la sua squadra, per le strade c’era il caos, davanti a lui sostava una
tremolante massa di inutili impiegati che non sarebbero riusciti a
fermarlo
neanche se lo avessero attaccato tutti insieme, il palazzo FACES era in
suo
possesso.
Pochi
minuti
dopo, Silver, Crystal e Sapphire giunsero sulla scena. Scesero al volo
dai propri Pokémon atterrando sull’asfalto della strada martoriata dalla
lotta
di Ruby e Zero. Videro il palazzo FACES, il grattacielo di vetro le cui
finestre erano state tutte infrante fino al quarto piano circa.
L’ingresso era
divelto, così come le decine di macchine spazzate via dai loro parcheggi
che
occupavano la strada. Vi era il deserto, una scialba folla di persone
sembrava
osservare da lontano la situazione, priva del coraggio di farsi avanti e
della
paura sufficiente per darsela a gambe. Sapphire individuò subito il
corpo di
Ruby disteso sulla strada. Il ragazzo si muoveva appena, cercava di
alzare la
testa per guardarsi intorno. Cercava i suoi Pokémon. Questi ultimi,
similmente
al loro Allenatore, erano tutti a terra, privi di energie.
−Ruby!
–
esclamò lei, gettandosi sull’amico.
Esaminò
il
suo corpo: la maglia nera che portava era stata forata in più punti,
come se
qualcuno gli avesse inflitto diverse pugnalate. Sapphire, non senza
difficoltà,
gliela tolse. Inorridì di fronte alla visione del suo torace: i tatuaggi
lineari e perfetti generati dalle gemme erano spezzati in più punti, la
carne
era lacerata lungo una parabola precisa e i tagli arrivavano in
profondità.
Stava perdendo molto sangue.
−Cazzo−esclamò
la
ragazza. – Chiamiamo qualcuno, chiamiamo un’ambulanza! – gridò ai suoi
compagni.
−
No – gemette Ruby, digrignando i denti. – Bisogna fermare Zero.
Sapphire
non
capì. Il ragazzo aveva parlato, il che era un bene. Tuttavia non si
capacitava di come potesse avere tale priorità persino in una condizione
del
genere.
−
È là dentro – mugolò il ragazzo.
−
Ruby, cazzo, devo portarti… −improvvisamente la ragazza ricordò.
I
due si guardarono negli occhi. Ruby comprese di esser stato capito.
−
Riesci a rifarlo…? – chiese lei.
−
Adesso sì – rispose lui, con voce più ferma.
E
la ragazza udì ancora quel rumore sfrigolante di metallo rovente immerso
in
acqua. L’odore di bruciato era coperto dalla puzza di asfalto e polvere.
Davanti agli occhi di nuovo esterrefatti di Sapphire, ogni lacerazione
sul
corpo di Ruby si chiuse spontaneamente. Le sue ferite vennero
istantaneamente
cauterizzate e trasformate in linee colorate simili a quelle del suo
tatuaggio.
Ruby aveva il fiatone ed un colorito strano. Quel processo sembrava
parecchio
doloroso.
Sapphire
fece
due passi indietro, Silver e Crystal fissavano la scena muti ed
esterrefatti. Non avevano mai visto i tatuaggi di Ruby, e ciò li aveva
spiazzati un po’, ma dovettero convincersi di non star sognando tutto,
quando
videro il ragazzo rialzarsi dalla sua pozza di sangue, sano, seppur
barcollante.
−
Per quello che so ha con sé uno Scizor, un Lycanroc, un Druddigon e un
Braviary
– spiegò Ruby con tono affaticato. −Insieme dovremmo fermarlo.
−
Che diavolo è appena successo? – chiese Silver.
−
Le gemme… hanno degli effetti
collaterali
– spiegò Ruby sommariamente, rimettendosi la maglia. – Dobbiamo
muoverci.
I
quattro Dexholder, dopo aver somministrato qualche Revitalizzante alla
squadra
di Ruby, entrarono nel palazzo.
−
Aveva intenzione di distruggerlo, perché non lo ha ancora fatto? –
chiese
Sapphire.
−
Potrebbe essere sceso ai piani sotterranei per piazzare qualche ordigno?
–
tentò Crystal.
−
Non penso, di solito utilizza solo i propri Pokémon. Sinceramente non so
cosa
abbia in mente, ma dobbiamo trovarlo nel minor tempo possibile – fece il
ragazzo.
−
Kalut sarebbe utile in questo momento – commentò Silver.
−
Aspettate – Ruby chiamò all’appello Gardevoir. – Riesci a individuare
tutte le
persone che sono dentro questo palazzo? Dovresti individuare una mente
molto
somigliante a quella di Kalut – le chiese. Il Pokémon acconsentì e
chiuse gli
occhi, concentrandosi sull’obiettivo.
−
Ci sono altre persone? – chiese Sapphire, allarmata.
−
Sì, tutti i dipendenti che lavoravano qui, credo li stia tenendo in
ostaggio.
−
Merda… − commentò Crystal.
Gardevoir
emise
un verso. Ruby comprese e chiuse gli occhi, percependo le informazioni
inviate del Pokémon.
−
Ok – annuì. – Ci sono più di cento persone rinchiuse nei piani
sotterranei,
dovremmo farle uscire tutte. Zero si trova invece all’ultimo piano, è da
solo.
−
Io scenderò a liberare gli ostaggi – disse Crystal. – Siete voi i più
forti,
dovete affrontare Zero.
Aveva
ragione,
ma Ruby ebbe un dubbio.
−
Potrebbe aver messo alcuni Pokémon a guardia degli ostaggi, non sarebbe
tanto
stupido da lasciarli soli. Forse faremmo meglio a dividerci in un due
coppie –
spiegò.
−
Ok, non perdiamo altro tempo, io scendo con Crystal – annuì Silver.
−
Non appena avrete tirato fuori le guardie, raggiungeteci – li esortò
Sapphire.
−
Va bene.
−
Fate attenzione – aggiunse Crystal, rivolta a Ruby e Sapphire.
Li
aveva
guardati con occhi dolci, pur nel pericolo. Non aveva ancora perdonato
Ruby né tantomeno si era riappacificata con Sapphire, ma sapeva di
essere dalla
loro stessa parte e di tenere alla loro salute. Alla fine, anche loro
erano i
suoi migliori amici.
E
così, due Dexholder di Hoenn si avviavano verso l’esterno per
raggiungere il
piano più alto in volo, mentre i due di Johto imboccavano le scale di
corsa,
verso la posizione degli ostaggi.
−
Come sapevi che avrebbe attaccato qui? – domandò Sapphire, lanciando la
Ball di
Tropius. – Anzi, come sapevi che Zero avrebbe dovuto attaccare?
−
Kalut… lui ha scelto di allertare anche me. Poi un agente della
sicurezza
interna mi ha rivelato la posizione di un individuo molto somigliante a
Zero,
una manciata di minuti prima dell’attacco – spiegò lui.
−
È un mostro.
−
No, è un avversario come un altro. Dobbiamo solamente concentrarci.
−
Ruby, stavi morendo fino a due minuti fa!
−
Ma non sono morto. Senti… possiamo farcela, puoi farcela. Sei più brava
e più
forte di quanto tu creda, sei diventata molto più abile di quanto tu sia
mai
stata, non aver paura. Ho fiducia in te – le disse, prendendola per le
braccia.
Sapphire
rimase
stupefatta. Ruby l’aveva gettata giù dal suo stesso Tropius per non
farla lottare contro Max e Ivan, sette anni prima, e quando la Devon
aveva
scoperto la faccenda del meteorite, tempo dopo, aveva scelto di tenerla
all’oscuro di tutto. Quel ragazzo aveva sempre scelto di caricarsi delle
responsabilità al posto degli altri, per non mettere a rischio le
persone a cui
teneva. E ora, dopo così tanto tempo e dopo due anni di silenzio, le
stava
dando tutta quella fiducia. Sapphire si sentì piena di qualcosa che non
riuscì
a descrivere. Dalla sua bocca non uscirono parole. Si gettò al collo di
Ruby e
lo baciò sulle labbra, si strinse a lui più forte di quanto avesse mai
fatto.
−
Andiamo – la esortò lui, staccandosi dopo una manciata di secondi.
Sapphire
aveva
un sorriso assolutamente inadatto alla situazione stampato in faccia,
quando salì in groppa al suo Tropius. I due Allenatori si staccarono dal
terreno vincendo la forza di gravità. Ruby volava sul suo Flygon.
Cominciarono
a passare rasente alle vetrate, piano dopo piano, avvicinandosi sempre
di più
alla vetta.
Numerosi
metri
più in basso, Silver e Crystal stavano lottando contro un Darkrai la cui
forza spropositata minacciava di far tremare tutto l’edificio. Lei aveva
mandato in campo Hitmonchan mentre Silver stava utilizzando Feraligatr.
Il
Pokémon sembrava combattere come se avesse avuto un Allenatore a
guidarlo.
Teneva d’occhio tutto, riusciva a prevedere i movimenti dei nemici,
elaborava
tecniche complesse per abbattere le difese avversarie. Ma Crystal e
Silver non
si lasciavano intimorire. Avevano lottato insieme un numero esorbitante
di
volte, conoscevano i rispettivi punti di forza e punti deboli bene
quanto i
propri. Riuscivano a combinare le proprie forze.
Certo,
lottare
in un parcheggio non era comunque il massimo, il nemico riusciva a
mimetizzarsi ai loro occhi trasformandosi in un’ombra bidimensionale e
tentando
agguati alle loro spalle. In ogni caso, riuscivano a tener testa al
Pokémon
Leggendario e pure ad assestargli qualche affondo violento, quando
l’occasione
lo permetteva.
−
Gelodenti! – e Feraligatr attaccava.
Darkrai
diventava
un’ombra, allora Hitmonchan caricava un Centripugno con cui colpire
il primo oggetto che si fosse mosso attorno a lui.
Il
nemico
emergeva dall’oscurità e cercava di utilizzare Vuototetro su Feraligatr,
ma il potente maglio di Pokémon di Crystal lo scaraventava decine di
metri più
indietro.
−
Sembra funzionare, dobbiamo continuare con questo ritmo – esclamò
Silver.
−
Che schifo… siamo così inutili… − si lamentava Blue.
Lei,
Gold
e Green si trovavano in volo su un aereo di linea che avevano
praticamente
preso per un secondo di anticipo. Entro circa un’ora sarebbero arrivati
a
Hoenn, ma erano ben lontani dal potervi giungere in tempo per essere
d’aiuto
nella lotta. Per questa ragione Green si massaggiava le nocche che aveva
quasi
distrutto prendendo a pugni mura e saracinesche e Blue si martoriava
massacrandosi
le unghie con i denti, Gold aveva invece creato dei coriandoli con il
menu di
bordo. Tutti e tre sentivano il bisogno di gridare come bambini. Eppure,
non
potevano far altro che aspettare e immaginare cosa stesse succedendo in
quel
momento a Porto Alghepoli.
Rocco
e
Camilla erano nella stessa situazione, solo che loro cercavano di
annegarla
lentamente nel bourbon. Il pilota del jet della Campionessa di Sinnoh,
non
senza molteplici problemi, aveva dovuto effettuare una deviazione. Il
calcolo
del carburante, della condizione e delle capacità del motore, tuttavia,
lo
avevano obbligato a rinunciare. Non avevano possibilità di raggiungere
Hoenn.
Non sarebbero entrati in battaglia. E questo li faceva star male.
La
maggior
parte delle persone rifuggono il pericolo e la difficoltà. Al
contrario, gli Allenatori che hanno dovuto vivere in prima persona delle
battaglie
gigantesche come loro, non erano capaci di stare fermi. Non che
cercassero il
rischio e le battaglie, erano solamente degli spiriti ardenti e poco
portati al
relax e alla debolezza.
−
Ci siamo! – esclamò Ruby.
All’ultimo
piano
della sede centrale FACES di Porto Alghepoli, un Tropius e un Flygon
cavalcati da due Allenatori sfondarono le vetrate penetrando negli
uffici. Ruby
e Sapphire si ritrovarono in una stanza arredata in legno massello e
pavimentata da una moquette morbidissima. Non c’era anima viva.
Imboccarono
la
porta, attraversarono un corridoio finché, guardandosi intorno,
intravidero
l’unica luce accesa. Proveniva da una stanza rivolta nell’ala sud,
preceduta da
un lungo corridoio tappezzato di quadri, ritratti e foto.
−
Eccolo – mormorò Ruby correndo verso l’obiettivo.
Sapphire
gli
tenne dietro. Attraversarono il corridoio e svoltarono l’angolo,
irrompendo
nella stanza con le Poké Ball pronte ad essere lanciate.
Si
trovarono
davanti qualcosa che mai avrebbero potuto immaginare. L’ufficio
apparteneva sicuramente ad un pezzo grosso, forse all’uomo più
importante lì
dentro. Aveva mobili in mogano e una vista sul mare veramente
invidiabile. Era
arredata alla perfezione e pulitissima, tranne per un particolare: un
quadro
era stato malamente lanciato a terra, nascondeva una cassaforte il cui
sportello era stato lasciato aperto. In mezzo alla stanza, sotto la luce
del
lampadario, stava Zero. Solo, senza nessun Pokémon, disarmato.
Aveva
un
fascicolo di foglio nella mano e sembrava averlo appena letto.
Piangeva.
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Capitolo 23 *** Capitolo 9 - Notturni pt. 3 ***
Capitolo
9: Notturni
pt. 3
−
Riesci a vederli, Xatu? – chiese al suo Pokémon.
“Zero
è
all’ultimo piano, Ruby e Sapphire lo hanno raggiunto. Nei piani
sotterranei
ci sono invece Crystal e Silver che lottano contro un Dakrai. Credo
stiano
cercando le persone...
−
Che persone?
“Civili…
terrorizzati…
si trovano appena sotto di loro.”
−
Non posso aiutarli, non ora, devo occuparmi di Zero.
“Quindi
raggiungiamo
l’ultimo piano?”
−
Sì – rispose il ragazzo dai capelli bianchi.
Kalut
aveva
raggiunto Porto Alghepoli in tempi strettissimi, considerato che appena
quarantacinque
minuti prima si trovava a Zafferanopoli. Era sul tetto del centro
commerciale
e, un centinaio di metri più lontano, vedeva il palazzo FACES. Si
preparava ad
entrare in soccorso dei Dexholder per fermare Zero una volta per tutte.
“Kalut,
aspetta…”
mormorò ad un certo punto Xatu.
−
Che succede?
“Non
ti
ho ancora detto cosa sta succedendo…”
−
Andiamo, forza! – esclamò Silver. Il suo Feraligatr colpiva
violentemente il
Darkrai nemico, lo scontro stava volgendo leggermente a vantaggio suo e
di
Crystal. − Idropompa!
Il
Pokémon
Neropesto scomparve. L’oscurità a intervalli del parcheggio sotterraneo
in cui stavano lottando era un ottimo espediente per nascondersi per un
Pokémon
come lui. Tuttavia, i suoi agguati erano divenuti ormai prevedibili e
l’Hitmonchan di Crystal si era trasformato in una perfetta retroguardia
pronta
ad intercettare ogni singolo movimento sospetto. Stavolta però, Darkrai
non
tentò di prendere alla sprovvista Feraligatr o Hitmonchan.
Silver
udì
un urlo acutissimo, la eco di quel parcheggio amplificò la potenza di
quel
grido. Silver si voltò immediatamente.
−
Crystal – sussurrò.
La
ragazza
aveva commesso un errore: invece di mantenersi nelle zone illuminate
dalle luci al neon, aveva mezzo un piede in una zona d’ombra. Forse si
era solo
distratta, forse se ne era scordata, forse la violenza della lotta
l’aveva
costretta a fare un passo indietro involontariamente.
Aveva
una
grossa e affilata appendice nera conficcata nella coscia destra, un
tentacolo fatto di pura oscurità le aveva trafitto la carne. Quella era
l’unica
parte del suo corpo che era entrata nell’ombra, ma secondo lei faceva
già
abbastanza male.
−
Crystal! – gridò Silver, gettandosi verso di lei.
La
lama
d’ombra serpeggiò fuori dalla ferita, Crystal cadde a peso morto sul
terreno e Silver la soccorse. Il sangue cominciò a fuoriuscire copioso,
a terra
si formò in pochi istanti una grossa pozzanghera. La situazione era
preoccupante, ma tra il sangue, le grida di Crystal e la lotta che,
anche senza
le loro indicazioni, continuava ad imperversare, Silver mantenne la
lucidità.
Il fulvo prese gli elastici con cui Crystal si era legata i capelli e li
utilizzò come lacci emostatici stringendoli nella parte alta della
coscia. Prese
la sua maglietta e la avvolse attorno alla ferita, premendo forte sui
due fori
da cui sgorgava il liquido ematico.
−
Andrà tutto bene.
Tutto
questo,
non riusciva a calmare il dolore della ragazza. Chiamò allora Weavile e
ordinò di raffreddare la ferita, in modo da diminuire l’afflusso
sanguigno e
dare un minimo di sollievo alla ragazza.
−
Non è successo niente, ti porterò in ospedale.
Crystal
continuava
ad ansimare. Aveva le lacrime agli occhi e stringeva il braccio di
Silver come fosse stato l’ultimo appiglio prima del vuoto.
−Ti
prego,
farò di tutto per salvarti.
A
quel punto, Silver si rese conto di trovarsi davanti ad una scelta:
fuggire con
Crystal tra le braccia e avere un buon margine di possibilità di
salvarla oppure
pensare agli impiegati, salvando centinaia di persone, ma perdendo di
certo
Crystal.
Zero
sembrò
non curarsi della presenza di Ruby e Sapphire nella stanza. I due, dal
canto loro, non sapevano assolutamente come muoversi. Si erano preparati
a
dover affrontare l’Allenatore più forte del mondo, ma lo avevano trovato
lì, da
solo, al centro della stanza, con un foglio in mano e il volto rigato di
lacrime.
Con
lo
sguardo più umano che gli avessero mai visto fare, Zack alzò gli occhi
in
loro direzione. Si asciugò le lacrime con le dita. Guardò il pavimento
come un
bambino che ha appena combinato un disastro.
−
Teneva tutto in cassaforte, il bastardo… − commentò, alzando il mento in
segno
di disprezzo verso la scrivania.
Ruby
e
Sapphire erano ancora pietrificati.
−
Mi è toccato irrompere dentro un palazzo – ringhiò.
−
Zero… − tentò Ruby. – se hai ottenuto quello che volevi, puoi lasciar
andare i
civili.
−
No, mi dispiace, loro moriranno tutti – negò il Campione di Holon
accennando
una risata, come fosse la cosa più normale del mondo.
−
Aspetta, perché dovresti farlo? Qual è il tuo obiettivo? – Ruby cercava
di
mantenere la calma.
Zero
scrutò
il personaggio che aveva davanti. Fece qualche passo in sua direzione.
−
Io ti ho fatto uccidere dal mio Scizor, Ruby, e non hai neanche un
graffio…
−
Zero, ti chiedo di rispondermi, altrimenti sarò costretto ad utilizzare
le
maniere forti – lo minacciò Ruby.
Zero
tacque.
Aggrottò le sopracciglia e annuì.
−
Va bene – sussurrò.
Il
pavimento
tremò sotto i piedi dei presenti, il palazzo sembrò dondolare come
una torre di costruzioni. Ruby e Sapphire furono colti di sorpresa, ma
Zero non
fece la minima piega.
−
Lo senti? – domandò Zero. – Sono io che comando qui! – gridò loro il
ragazzo.
−
Che diavolo hai in mente?
−
Oh, niente di particolare, solo i miei Pokémon pronti ad abbattere
questo
gigantesco castello di carte dalle fondamenta – stavolta aveva lui il
coltello
dalla parte del manico.
−
Tu non puoi…
−
Sì io posso.
Zero
sospirò.
Ruby teneva fissa la posizione, coprendo Sapphire col suo corpo.
−
Non credere che sia io il cattivo, ragazza – disse lui, rivolto alla
Dexholder.
– Il tuo amichetto lì… ha pure lui qualcosa da raccontarti.
−
Che cosa stai dicendo? – chiese Sapphire, senza sapere come rivolgersi
ad un
genio omicida fuori di testa.
−
Dico che ci troviamo qui per una ragione ben precisa, no? Niente va mai
lasciato al caso. Ti sei chiesta perché ho colpito la multinazionale che
controlla la Lega di questo buffone qui davanti? Non hai mai pensato di
fare
qualche connessione?
Sapphire
era
ormai incuriosita. Ruby taceva, con espressione provata in volto.
−
Però effettivamente nemmeno lui ha colpa… è solo un disperato, proprio
come
tutti…
−
Zero, dicci che cosa vuoi e che scopi hai – riprovò Ruby.
−
Io voglio che questo posto diventi polvere, amico mio… − rispose Zero. –
Mi
hanno portato via tutto, mi hanno fatto sembrare un assassino, mi hanno
dipinto
come un mostro. E allora va bene, sarò il mostro che hanno creato.
−
Parli della bugia a proposito di Murdoch? – intervenne Sapphire.
Zero
si
mostrò stupito.
−
Cosa sapete?
−
Sappiamo che i tuoi Superquattro ti hanno tradito e incastrato, ci è
stato
detto da una persona.
−
Oh, il giovane Kalut… beh, voi gli avete creduto?
−
Ha dimostrato di meritare la nostra fiducia – rispose la ragazza.
−
Beh, effettivamente ha ragione. Murdoch ha ucciso tutte quelle persone a
Vivalet sapendo che poi la colpa sarebbe ricaduta su di me, Fenix, Axel,
Tiana…
erano tutti d’accordo per farmi arrestare.
−
Noi ti crediamo, Zero, possiamo fare qualcosa…
−
Beh, sì, alla fine ho soltanto ucciso quattro persone, demolito
l’Altopiano
Blu, abbattuto il palazzo della FACES e fatto una strage dei suoi
uomini… mi
rilasceranno sicuramente.
−
Perché hai deciso di diventare un criminale? Perché non hai scelto di
dimostrare la tua innocenza?
−
Perché è così che loro ti
maneggiano!
– esclamò lui con tanta forza nei polmoni da mettere quasi paura ai due
Dexholder.
−
Ti mettono nei guai, ti distruggono… poi ti tendono la mano al momento
giusto.
Se sono la tua unica speranza, possono sfruttarti a loro piacimento –
spiegò
Zero.
−
Di chi parli, quando dici loro? –
chiese
Sapphire.
Zero
non
rispose subito, lasciò parlare Ruby. Il Campione di Hoenn si era zittito
dopo l’accusa di Zero e, fino a quel momento, aveva taciuto.
−
Della FACES – rivelò il Dexholder.
−
Bravo, risposta esatta, figlio di Norman.
Tale
appellativo
causò un piccolo spasmo al ragazzo, come se fosse stato punto
all’improvviso.
−
Ruby, che cosa intende? – chiese Sapphire.
−
I miei Superquattro erano agenti FACES. Avevano l’ordine di boicottarmi
fin
dall’inizio. Io non lo sapevo, non l’ho capito subito… − spiegò Zero. –
Ero una
minaccia, per la FACES, perché ho scalato fino alla vetta del potere con
il
solo obiettivo di distruggerla, loro lo hanno scoperto in qualche modo,
mi sono
fidato delle persone sbagliate.
−
E perché volevi distruggerla?
−
Per questo – disse passando loro il fascicolo che stava leggendo fino a
poco
prima.
Ruby
lo
prese con cautela, lo alzò in modo che anche Sapphire potesse leggere
con
lui.
Silver
teneva
Crystal stretta a sé. La ragazza continuava a perdere sangue, nonostante
il suo intervento di soccorso. Stava per prendere una decisione quando
qualcuno
comparve alle sue spalle.
−
Portala via, qui ci penso io… − mormorò Kalut.
Silver
si
voltò, comprendendo di aver appena ricevuto una grazia dal cielo.
−
Sbrigati, o non durerà a lungo.
Il
ragazzo
corse sulla via del ritorno. Aveva Crystal in braccio che gemeva e
diventava sempre più pallida. Fece una, due, tre, quattro rampe di scale
senza
mai fermarsi. Poi avvenne qualcosa: il terreno tremò sotto i suoi piedi,
il
palazzo sembrò doversi sgretolare da un momento all’altro. Cadde
dell’intonaco
dal soffitto, qualcosa si mosse nell’ombra.
Il
ragazzo
ebbe appena il tempo di posare a terra la debole Crystal senza farle
del male e prendere una Ball dalla propria cintura. Una creatura si
avventò
contro di lui, famelica. Per fortuna, fu abbastanza rapido da chiamare
il suo Feraligatr
che lo difese dagli artigli di un ferale Lycanroc.
Se
fosse
stato un minimo meno attento, sarebbe sicuramente morto, e di
conseguenza
anche Crystal. Il Pokémon Lupo che aveva davanti sembrava eccitato
all’idea di
affondare le sue zanne in lui. Era uno dei Pokémon di Zero, quindi
temerlo era
giusto e saggio. Ma Silver aveva deciso che nulla gli avrebbe impedito
di
salvare la ragazza.
−
Cascata! – ordinò al suo Pokémon.
Professor Roland. Soggetto 01: Zackary
Edward Roland.
Unione
del
genoma Pokémon e del genoma umano in fase embrionale.
−
Bello, vero? – chiese Zero. − Un padre malato, amante solo di se stesso
e del
suo lavoro… un paio di calcoli. E così una persona talmente arrogante da
non
limitarsi a distruggere la tua vita, no… io sono stato creato per una
sperimentazione! – gridò, in preda all’ennesimo sbalzo di umore.
−
È la verità, questa? – domandò Ruby. – Sono andate così le cose?
−
Sì, Ruby, io sono l’esperimento di mio padre. La FACES spinse perché
fossi
creato, la FACES comandò quell’uomo perché mi costruisse.
−
E vuoi vendetta, per questo? – chiese Sapphire.
Zero
sorrise.
Lo fece in maniera quasi tenera.
−
Sembrerebbe la cosa più ovvia, già… ma non è così – scosse la testa. –
La
vendetta è precisa e prevedibile, è una reazione, è il karma che
colpisce al
contrario. Io sono più colui che intende impedire che tutto questo
avvenga.
Questa creazione di mostri, di uomini in provetta, la FACES non può
avere il
dominio pure sugli esseri umani. Non ne ha il diritto!
−
E per questo intendi uccidere dei civili? Degli uomini innocenti? –
chiese
Sapphire.
−
Sì, hanno provato a distruggermi, ci sono riusciti, tutto ciò che posso
fare è dimostrare
che avevano ragione… sono un criminale. Ma sono un criminale spinto dal
desiderio di annientarli per quello che hanno fatto. E quanto tutti
crederanno
che io abbia agito per vendetta, indagheranno sulla FACES, capiranno
cosa sta
succedendo…
−
Kalut, hai ragione, la FACES va fermata, ma non uccidendo dei civili… −
riprovò
Ruby.
−
Mi dispiace, io non ho nulla contro di voi… si, forse ti ucciderò, Ruby.
Ma non
qui, non ora, a meno che tu non decida di restare all’interno del
palazzo.
−
Darkrai è stato battuto, sto facendo uscire gli ostaggi dall’uscita del
parcheggio. Silver, tu e Crystal siete fuori? – domandò Kalut sul gruppo
di
comunicazione. Il ragazzo aveva spalancato l’uscita per le auto che era
stata
sigillata da Zero.
−
Ci siamo quasi.
−
Hai preso la strada più lunga, datti una mossa, Zero vuole distruggere
questo
posto per intero.
−
Non è così semplice, dannazione.
−
Mi dispiace, Zero, dobbiamo comunque impedirti di distruggere questo
posto –
disse Sapphire. Ruby chiamò all’appello Swampert, lei fece lo stesso con
Gallade.
Zero
si
coprì la faccia con la mano.
−
Sono lusingato, ma non potete fare niente, non sarò io a dare gli ordini
stavolta.
È già tutto programmato, i miei Pokémon sanno già cosa fare… − alzò le
spalle.
I
due Dexholder non parlarono. Ebbero seriamente paura, capirono di non
poter
fare niente e di aver solo perso tempo fino a quel momento.
Altra
scossa,
il palazzo tremò come una gelatina.
−
Tardi… troppo tardi – mormorò il ragazzo.
−
Ti fermeremo comunque, Zack – gli fece Sapphire, con la voce più
insicura mai
modulata.
“Kalut,
intervieni
all’ultimo piano” fece Xatu.
“Che
succede?”
chiese lui.
“Prova
ad
immaginare…”
“Merda.”
Il
ragazzo
dai capelli bianchi, fatti uscire tutti i civili, saltò in groppa a
Xatu che lo condusse fino all’ultimo piano in poco tempo. Vide
immediatamente
la scena che si era prefigurato: Ruby e Sapphire intenzionati a portare
via
Zero per consegnarlo alla legge.
−
Fermi! – esclamò Kalut, comparendo alle loro spalle. – Lasciatelo
andare.
In
quel
momento, tutto il palazzo cominciò a crollare. I civili erano fuori,
Silver era sicuramente già uscito.
−
Cazzo, Kalut, che ti salta in mente? – chiese Ruby.
−
Fidatevi di me, arrestarlo significa fare il loro gioco.
Il
palazzo
cominciava a dondolare pericolosamente, i vetri si rompevano, gli
oggetti cadevano da sopra le scrivanie, i muri iniziavano a sgretolarsi.
−
Vuoi scherzare? Tu per primo parlavi di fermarlo – fece Sapphire.
−
Non così, non arrestandolo.
−
Che significa?
−
Significa che Kalut ci serve libero, e che le forze dell’ordine sono la
FACES,
ormai. Non possiamo fidarci, spero vi abbia spiegato cosa sta
succedendo.
Dobbiamo averlo dalla nostra parte e non dalla loro.
Ruby
guardò
Kalut, poi fissò Zero, poi cercò risposte negli occhi di Sapphire. Non
sapeva come fare, non riusciva a capire quale fosse la cosa giusta da
fare.
L’ultima
Idropompa,
e anche Lycanroc andò al tappeto. Silver ordinò a Feraligatr di
caricarlo in spalla perché anche quel Pokémon fosse tratto in salvo.
Mancavano
ancora un po’ di piani all’uscita. Il ragazzo fece altre rampe di scale,
con
l’aria che nemmeno entrava o usciva più dai polmoni. Sentiva il sangue
pulsare
sulle tempie e le gambe bruciare come tizzoni ardenti. Si trovò davanti
all’uscita, quando tutto cadde.
L’intero
pavimento
del primo piano crollò davanti alle vetrate, quasi colpendo Silver e
Feraligatr in pieno. Il ragazzo non poteva muoversi bene, gli era
difficile
persino mantenere l’equilibrio, a causa della sorta di scossa sismica
che era
in corso. Vedeva i muri crollare, i pavimenti che si aprivano fino a
mostrare
il piano sottostante. Le colonne torcersi su loro stesse e il cemento
sgretolarsi.
−
Ti amo – le sussurrò, sperando che fosse ancora abbastanza sveglia da
sentirlo.
Con
le
sue ultime forze, correva verso l’uscita con Crystal in braccio quando
un
pezzo del soffitto di staccò di netto sopra di lui.
Il
ragazzo
fu colpito, rovinò a terra e lì rimase, svenuto, stretto sulla ragazza
come ultimo spasmo di coscienza.
Feraligatr
era
dietro di lui, lo aveva visto cadere e perdere i sensi.
−
Ah, vaffanculo! – esclamò Ruby.
−
Che cosa dobbiamo fare? – si domandò Sapphire.
−
Mi occupo io di lui, mettetevi in salvo – fece Kalut. – Non possiamo
consegnarlo alla legge, lo capite?
Il
Campione
di Holon, trattato come merce di scambio, taceva e seguiva la
conversazione con un’espressione divertita in volto, ma nessuno ci
faceva caso.
Di nuovo, Ruby e Sapphire si guardarono negli occhi. E così si
convinsero.
Riuscirono a trovare la forza nei loro rispettivi sguardi.
−
Faremo come dici tu – mormorarono, lasciando Zero nelle mani del ragazzo
dai
capelli bianchi.
−
È la scelta giusta – commentò lui, guardandoli negli occhi.
I
Dexholder cercavano avidamente una piccola ombra di sincerità nel suo
sguardo,
ma gli occhi di Kalut erano indecifrabili, lo erano stati dal loro primo
incontro: due perle vitree che sembrano sempre osservare ogni
particolare di
qualsiasi situazione. Avevano fatto l’impossibile per fermare Zero e
all’ultimo
momento il loro alleato più importante aveva rivelato di voler tenere in
libertà il loro nemico, si stavano sentendo terribilmente in colpa.
Eppure lo
guardavano mentre Kalut lo accompagnava verso una vetrata infranta per
farlo
fuggire con sé.
Poi
accadde
qualcosa: il ragazzo dai capelli bianchi sussurrò qualcosa all’orecchio
di Zero. Questo si voltò verso Ruby e Sapphire.
−
Avete perso qualcuno? – chiese, con uno sguardo di dolore puerile negli
occhi.
−
Un nostro amico è morto a causa di tutto questo – rispose Ruby. – Si
chiamava
Emerald ed è stato ucciso da Rayquaza. So che è stato Murdoch a causare
il
disastro a Vivalet, ma sei stato tu ad aver portato tutto questo.
Zero
sembrava
per la prima volta toccato dalle sue parole, lo stava ascoltando con
attenzione.
−
Non sei nostro nemico, ma voglio che tu sappia che molti innocenti sono
morti a
causa di tutto questo e uno di loro, in particolare, si è sacrificato
per me,
era una delle persone migliori al mondo – concluse.
Il
sorriso
sul volto di Zack era decaduto. Ciò che Ruby aveva detto lo stava
facendo rimuginare su qualcosa. Tuttavia, ebbe poco tempo per farlo,
quando
Kalut lo prese e lo gettò nel vuoto. Braviary intervenne tempestivo,
prendendolo
al volo, e Xatu lo affiancò. Kalut e Zero scomparvero nell’oscurità
della
notte.
Gli
abitanti
di Porto Alghepoli assistettero ad una scena epica e drammatica. Il
grattacielo FACES, il più alto della città, si sgretolò su se stesso.
Implose
scomparendo in una nuvola di polvere. Dalla sua sommità, comparvero due
puntini
verdi: un Flygon e un Tropius. Le loro cavalcature erano due Dexholder,
che
atterrarono tra la folla ammassata per le strade, in mezzo alle prime
linee. Si
era creato, attorno alla zona dell’incidente, un ampio cerchio di
ambulanze,
volanti, giornalisti. La notte di Porto Alghepoli era ormai colorata
dalle luci
blu della polizia e dai flash delle macchinette fotografiche, si
avvertiva il
caos tipico della folla: schiamazzi, chiacchiere, casino.
I
due, finalmente in salvo, cercarono Silver e Crystal. Si guardarono
attorno,
chiesero ai passanti, gridarono a voce alta il loro nome. Poi lo videro:
dalla
nuvola di polvere, uscì una sagoma di grosse dimensioni.
Sapphire
lo
riconobbe subito: era il Feraligatr di Silver.
Gli
corse
incontro e vide molto di più. Il rettile portava i corpi del suo
Allenatore e di un Lycanroc sulla spalla destra e nel braccio sinistro
stringeva Crystal in posizione fetale. Li aveva portati fino a lì
caricandosi
di tutto il loro peso, nonostante avesse addosso i segni e la fatica di
ben due
battaglie. Il Pokémon lasciò i corpi ai paramedici e si gettò a terra
per
riposarsi. Era coperto di una mistura di sangue e polvere. Sia Silver
che
Crystal grondavano: lui dalla testa e lei dalla gamba. Immediatamente
furono
caricati su un’ambulanza che partì a razzo verso l’ospedale più vicino.
Sapphire
e
Ruby, che avevano seguito la scena da qualche metro di distanza, si
accorsero
si starsi tenendo la mano. Rimasero stretti l’uno a l’altra in mezzo a
tutto
quel caos, quella polvere.
Rimasero
uniti
nella folla, immobili, silenziosi, notturni.
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Capitolo 24 *** Epilogo - Perdersi In Un Mondo Esterno ***
Epilogo:
Perdersi In
Un Mondo Esterno
L’aeroporto
di
Ciclamipoli era un inferno. Il traffico di valige e persone soffocava
come
una cappa di aria consumata.
−
Siamo arrivati troppo tardi… −commentò Blue, abbassando il PokéGear con
aria
sconsolata.
−
Che succede? – chiese Green.
−
Dobbiamo raggiungere l’Ospedale Civile di Porto Alghepoli, subito –
ordinò lei.
−
E la sede? – domandò Gold, stranamente serissimo.
−
È un cumulo di macerie… − spiegò la ragazza.
−
Sapphire! – esclamò la castana abbracciando l’amica, al centro del
corridoio
dell’ospedale.
−
Dov’è Gold? – chiese la Dexholder di Hoenn, rispondendo all’abbraccio
con
riluttanza.
−
Che succede? Dove sono gli altri? – chiese Blue, terrorizzata all’idea
di una
risposta.
Gold
e
Green comparvero al seguito della ragazza.
−
Stai bene? Abbiamo visto che cos’è successo… − fece Green.
Sapphire
non
rispose. Guardava Gold.
−
Sono entrambi in sala operatoria – disse. – Sono gravi.
−
Rispondi, cazzo! – esclamò Ruby gettando il cellulare a terra.
Si
trovava
fuori, sotto le stelle oscurate dalle numerose luci dell’ospedale, come
unica compagnia un infermiere. Il numero chiamato a vuoto era quello di
Kalut.
−
Latios, trovalo – ordinò.
L’infermiere
mutò
la propria immagine e al suo posto apparve il drago bianco e azzurro.
−
Segui la traccia psichica di Kalut, dovresti riuscirci.
Il
Pokémon
acconsentì, volando via a velocità supersonica.
La
corsia
era in fibrillazione. Alcuni ostaggi, feriti da Zero nel confuso
susseguirsi degli eventi, erano stati ricoverati. Tuttavia, nessuno di
loro
aveva riportato lesioni gravi o mortali. Non era la condizione dei
pazienti ad
allarmare i medici, ma gli avvenimenti da cui essi erano reduci. Pochi
minuti
prima, tremando nei loro camici, avevano seguito la diretta delle
riprese condotte
nella zona del grattacielo FACES. L’azione eroica di quattro Dexholder
aveva
preceduto il crollo dell’intero palazzo. Nessun morto, dicevano i
reporter, gli
ostaggi erano stati tutti salvati grazie al provvidenziale intervento
dei
ragazzi, tuttavia l’immagine della torre di vetro e cemento che
collassava su
se stessa aveva impressionato fortemente tutti gli spettatori. Inoltre,
Zero
era fuggito, il pericolo era ancora vivido.
−
Andrà tutto bene… − si ripeteva Sapphire.
Blue
fissava
il vuoto, Green taceva immobile, Gold non trovava pace e continuava ad
alzarsi per cercare una posizione più comoda. Ogni medico che passava
nei
pressi dei quattro Dexholder era bersagliato dalle loro occhiate che
attendevano avidamente il responso di uno dei chirurghi. Le ore
passavano,
ormai fuori era notte inoltrata, eppure vi era ancora silenzio.
Ruby
riapparve,
rientrando in cerca dei suoi amici. Questi lo videro giungere tra
loro e lo guardarono per un brevissimo istante solo per verificare che
fosse
veramente lui. Tutti tranne Sapphire, che lo invitò a sedersi accanto a
lei.
Prima che il ragazzo potesse risponderle, un chirurgo si avvicinò al
gruppetto.
Ognuno si rivolse verso di lui con la massima attenzione, come bambini
attorno
ad un vassoio di biscotti.
−
Chi è qui per Silver? – chiese ingenuamente l’uomo in camice.
I
Dexholder scattarono in piedi come delle molle, accerchiando l’uomo.
−
Ecco, ha subito un grave trauma cranico dovuto alla caduta di alcune
macerie –
balbettò quello. − e abbiamo fatto il possibile per limitare i danni, ma
il
paziente è entrato in stato di coma. Non possiamo prevedere se e quando
ci sarà
una riabilitazione…
Blue
rimase
paralizzata, Gold lo stesso. Sapphire si voltò e si mise le mani tra i
capelli, non riuscendo a credere alla situazione, Green non riusciva a
staccare
gli occhi dal pavimento. Ruby era rimasto immobile fin dalla comparsa
del
chirurgo.
−
Ci dispiace molto – mormorò questo, andandosene.
Blue
rimase
fissa in posizione per un tempo indeterminato, Gold si voltò e,
imprecando, calciò una delle poltroncine scaraventandola contro il muro.
Tutta
la corsia tacque, fissandolo. Lui non se ne curò e si sedette a terra
con la
schiena al muro. Blue cominciò a piangere silenziosamente.
In
quelle
condizioni disumane, attesero ancora. Il sonno e la stanchezza non erano
più fattori destabilizzanti per loro. Green non spiccicava una parola da
ore,
Blue aveva ancora il volto rigato dalle lacrime e Sapphire fissava il
vuoto
seduta accanto a Ruby. Gold, invece, giaceva ancora seduto a terra, con
la
testa china e le braccia poggiate sulle ginocchia.
Il
chirurgo
si ripresentò a loro, chiedendo se volessero vedere Silver.
Acconsentirono tutti, tranne Gold e Blue. I due rimasero nelle loro
posizioni
senza parlare o muoversi. Per rispetto, i loro amici non misero bocca,
lasciandoli lì senza insistere.
Green,
Sapphire
e Ruby entrarono invece nella stanza del Dexholder dagli occhi
d’argento. Coraggiosamente, sostennero la visione: non era tumefatto o
malridotto, aveva solo delle fasciature e dei fissatori che
stabilizzavano la
posizione del suo collo. Giaceva immobile nel letto, pallido e spento. I
suoi
capelli rossi erano disposti ordinatamente, ma erano stati rasati in
maniera
rude sulla nuca per favorire le incisioni dei chirurghi. Era collegato a
qualche macchinario che probabilmente lo teneva in vita, risuonava nella
stanza
il costante bip
dell’elettrocardiogramma. Poteva sembrare addormentato, ma soltanto ad
un
occhio ingenuo. Silver era quel tipo di persona che dorme con un occhio
aperto,
attento al minimo suono pure nelle fasi di sonno più profondo. Quando
dormiva
sembrava concentrato in un’azione complicatissima.
In
quel
pietoso stato di coma, invece, la sua espressione era serafica e
tranquilla. Vi era un candore mai visto nel suo viso caratterizzato da
una
costante espressione di diffidenza e preoccupazione.
I
ragazzi entrarono nella stanza e subito si resero conto di voler uscire.
Nessuno parlò, nessuno fece movimenti eccessivi, nessuno respirò durante
gli
istanti che passarono lì dentro con quello che tanto sembrava il
cadavere del
loro amico. A salvarli da quella situazione fu la figura di un secondo
medico
che si affacciò sulla porta.
−
Si tratta di Crystal – disse questo, più perspicace del collega di
prima.
Ormai
pronti
a tutto, i Dexholder lo seguirono. Si aggregarono al gruppo pure Blue e
Gold che, conservando l’espressione nera e il silenzio tombale, avevano
abbattuto la loro dimora di solitudine per sapere qualcosa in più della
loro
amica.
−
Ha subito una grave emorragia a causa della recisione dell’arteria
femorale –
disse il chirurgo. – siamo riusciti a impedire il dissanguamento, adesso
è in
condizioni stabili – un sottile velo di positività tornò nei ragazzi. –
…ma la
gamba destra era ormai andata in necrosi.
Simili
ad
angeli custodi apparvero a Crystal i suoi amici. Due sedevano, uno era
crollato con la testa appoggiata al bordo del letto, altri due erano in
piedi
fissi e immobili. La ragazza riaprì gli occhi lentamente. Non lo sapeva,
ma i
suoi amici avevano atteso per ore quel momento. Dopo la chiamata del
medico,
avevano ottenuto il permesso di rimanere con lei fino al risveglio.
−
Silver… − sussurrò la ragazza rientrando nel mondo reale.
−
Crys – si ridestò Gold. – Ci sei? Come ti senti?
Sapphire
e
Ruby sembravano accennare ad un sorriso patetico. Gli altri neanche si
lasciavano andare a tanto.
−
Che è successo? – chiese Crystal con un filo di voce.
−
Crys è… tutto finito, siamo vivi – cercò di rassicurarla Sapphire.
La
ragazza
riprendeva pian piano coscienza di ciò che aveva attorno. Un passo dopo
l’altro, la sua espressione si faceva sempre meno vacua. Accennò quasi
ad un
sorriso, quando un’orribile sensazione le gelò il sangue tutt’ad un
tratto.
I
ragazzi erano fuori dalla porta. Crystal, in preda ad un pianto
isterico, li
aveva cacciati via, supplicandoli e gridando di lasciarla sola.
Riuscivano a
sentire i suoi singhiozzi smorzati dalla morfina e il suo pianto
spezzato e
interminabile. Ognuno di loro aveva fissa in testa la sua espressione
talmente
incredula e scandalizzata da mettere paura. La ragazza aveva mosso la
mano e
alzato la testa quanto le era bastato. Sotto il lenzuolo del suo letto
d’ospedale, era riuscita a scorgere una singola forma, dove sarebbero
dovute
essere due le sagome visibili sotto il suo lenzuolo. Era scoppiata in
una
crisi, per quanto le sue scarse energie le permettessero e i medici
erano
dovuti intervenire con i sedativi, poi avevano rassicurato gli amici
affermando
di dover concedere a Crystal il tempo necessario.
Intanto,
i
ragazzi sostavano lì come degli stoccafissi. Non sapevano come agire,
non
sapevano cosa dire, non potevano non sentirsi in colpa per non essere
finiti al
loro posto.
Ad
un
certo punto, un infermiere passò davanti a Ruby, guardandolo
intensamente,
sparendo dietro l’angolo del corridoio. Il Campione di Hoenn si mosse,
avviandosi verso l’uscita. Sapphire, senza neanche pensarci, lo seguì.
Ruby
attraversò mezzo ospedale, seguendo il ragazzo, fino a giungere ad
un’uscita
nascosta posizionata sul retro, accanto ad uno sgabuzzino serrato. Il
ragazzo
mise piede fuori, Sapphire gli comparve alle spalle. Stava sorgendo il
sole, si
trovarono in un ombreggiato spiazzale abbandonato, circondati dal
complesso
ospedaliero. L’infermiere che avevano seguito era scomparso, ma un
Latios
volava via in lontananza. Ruby se lo aspettava, si guardò attorno e
intravide
Kalut seduto sul davanzale di una finestra, poco sopra le loro teste.
Il
ragazzo
dai capelli bianchi guardava con rammarico ai due Dexholder di Hoenn.
−
Ho saputo che cosa è successo ai vostri amici – disse loro, scendendo a
terra
con un salto. – Mi dispiace…
Sapphire
lo
fissava stupefatta, Ruby cercava di evitare il suo sguardo.
−
Dove lo hai portato? – chiese Ruby andando dritto al punto.
−
In un posto sicuro – rispose Kalut, stando al gioco.
−
Lo abbiamo inseguito, abbiamo rischiato la vita, perso degli amici e lo
abbiamo
fermato, meritiamo di sapere dove si trova – rivendicò il ragazzo.
−
A Sinnoh, con degli alleati – fece allora l’altro.
Sapphire
si
piazzò tra i due, entrando in gioco all’improvviso: − Parlate di Zero
come
se non si trattasse di un criminale! Che diavolo avete nel cervello?!
−
Sapphire… − tentò Ruby.
−
Sapphire un cazzo! Silver è in
coma e
Crystal ha perso una gamba, è stato lui a far crollare quel palazzo
sopra di
loro! Lo capisci che continuare a fidarci di questo qui – e indicò Kalut
– ci
porta solo guai?!
−
Calmati – le intimò Kalut con voce tranquillissima.
−
No! Mi avete parlato della FACES ma state trattando tutta questa vicenda
come
se non ci fossi dentro anche io ormai… e così tutti gli altri! –
esclamò,
furente. – Voglio sapere tutto, anche quello a cui ha accennato Zero su
di te,
Ruby! Avete la minima idea di quello che è successo… Emerald, Silver… −
il suo
tono di voce si abbassava progressivamente, spezzandosi ogni tanto a
causa dei
singhiozzi.
I
maschi rimasero in silenzio, lasciando che continuasse a sfogare lo
stress
accumulato.
−
Sapphire – ritentò Ruby, rimuginando su ciò che lei aveva richiesto
loro, si
accorse di non sapere cosa dire.
−
Va bene – acconsentì allora Kalut, stupendo entrambi.
Il
trio
si accampò sul tetto dell’ospedale che era illuminato dal sole nascente.
Era tradizione, ormai, sedersi sui tetti per raccontarsi le storie.
−
Zero vi ha già spiegato qualcosa sulla FACES – esordì Kalut. − lei si
innesta
all’interno del sistema, controlla le persone, giostra il mondo a
proprio
vantaggio. Lui ha voluto provare a distruggerla, prendendo il potere
massimo,
ma la FACES ha giocato d’anticipo, contrastandolo tramite i
Superquattro, che
si sono finti suoi alleati fin dall’inizio del suo mandato. Poi sapete
come si
sono svolti i fatti: Rayquaza e Vivalet, Zero scopre ciò che nascondono
i suoi
alleati, li fa fuori uno per uno, ma credo che non servano altri
dettagli,
conoscete molto bene i fatti.
Sapphire
sbuffò,
sprezzante, rievocando le immagini fisse nella sua testa della villa di
Olivinopoli che crollava sotto le esplosioni e della morte atroce di
Axel e
Tiana, ammazzati a sangue freddo dal Deoxys di Zero.
−
Zero si trovava in un periodo difficile. Lui ha un concetto molto
particolare
della giustizia, ma è anche perfettamente razionale. Ero sicuro che
fosse in
preda ad una crisi a causa di un litigio avuto con me – rivelò, stupendo
entrambi gli ascoltatori. – Non mi sbagliavo, ha agito in maniera audace
e
impulsiva. Poi vi ha spiegato su cosa ha iniziato a basare la propria
strategia:
l’attacco alla sede FACES avrebbe dovuto attrarre l’attenzione di tutto
il
mondo, qualcuno avrebbe indagato sul movente di tale gesto, portando
alla luce
tutti gli intricati segreti della Federazione – proseguì Kalut.
−
Avrebbe ucciso quelle persone? Gli impiegati, intendo – chiese Sapphire.
−
Era sicuro che avremmo tentato di fermarlo, tant’è che ci ha anche
anticipati
con quello Zoroark a Zafferanopoli, inoltre lo avete trovato privo di
armi, no?
– spiegò il ragazzo.
−
Aveva previsto anche che avremmo avuto due amici in condizioni gravi in
ospedale? – sibilò Sapphire, arrabbiata.
−
Si trovava all’apice della sua crisi, ripeto, vi ha permesso di fermarlo
ostacolandovi comunque con i suoi Pokémon, il suo cervello continuava a
litigare con se stesso… − chiarì Kalut.
−
Questa non è una scusante – ribadì lei.
−
Lo so, ma lasciatemi spiegare, Zack è un’arma potentissima da rivolgere
contro
la FACES, io e lui siamo… legati, diciamo, abbiamo bisogno di lui. Ha
gli
stessi nostri obiettivi, dovrà solamente capire dove si trova il limite
da non
superare.
−
Parli di un noi – notò Ruby.
– Di chi
si tratta?
Kalut
sospirò.
Tacque, lasciando qualche secondo di silenzio.
−
Dei tuoi avversari – esclamò Gold apparendo dietro di loro.
Kalut
accennò
un sorriso, si voltò seguendo l’esempio di Ruby e Sapphire. Si
trovarono faccia a faccia con Gold, Blue e Green. Avevano un’espressione
cupa
in volto. Tutti quanti.
−
Che succede? – chiese il Campione di Hoenn percependo l’aria di
ostilità.
−
Raccontaci tu che cosa succede, Ruby – gli chiese Gold.
Il
ragazzo
corresse i propri sensori. Non percepiva ostilità, ma rassegnazione. La
sua voce sembrava quella di una madre rivolta ad un figlio appena colto
con i
buchi sulle braccia.
−
Sei stato informato? – domandò Kalut.
−
Aurora, lo sai bene – annuì Gold.
−
Sì, lo ammetto, lo sapevo già.
−
Quindi cosa sapete? – domandò Ruby rivolto sia a Kalut che a Gold.
−
Loro erano certi che la FACES ti avesse reclutato… − spiegò Gold. – Ma
quando
noi siamo venuti a cercarti, abbiamo notato qualcos’altro… o no?
Ci
fu
il silenzio.
−
Ruby, di che parlano? – chiese Sapphire, sentendo un brivido salire
lentamente
lungo la sua spina dorsale.
−
La FACES mi ha obbligato – chiarì Ruby.
Il
mondo
si zittì, in ascolto del ragazzo. A Sapphire smise anche di battere il
cuore.
−
Mi hanno spianato la strada, mi hanno chiesto di diventare Capopalestra
e poi
Campione, di diventare il leader di Hoenn – la sua espressione era
indefinibile, sembrava star confessando i propri peccati ad una folla di
giudici. – Altrimenti, avrebbero fatto a voi… ciò che hanno fatto ai
miei
genitori.
Si
levò
un mugolio generale. Solo Kalut rimase impassibile.
−
Ti hanno ricattato? – precisò Gold. – E noi eravamo la merce?
Ruby
guardava
a terra, rivolgendo ogni tanto gli occhi al suo interrogatore. Non
aveva però il coraggio di alzare lo sguardo verso la sua destra,
incrociando
quello di Sapphire.
−
Cristo… − commentò Blue, scuotendo la testa.
−
Ho in mano il controllo di Hoenn, sono il Campione e il primo
Coordinatore, ero
il volto perfetto per apparire ovunque e gestire ogni canale di mercato,
propaganda e informazione della mia regione. Grazie a me, sono riusciti
a
diffondersi a Hoenn, prendendone il controllo – concluse. – Non ho avuto
la
forza di oppormi…
Ci
fu
un secondo momento di stallo.
−
Loro ti ordinano cosa fare? – chiese Gold.
−
Mi hanno chiesto di agire per loro conto più e più volte… sono costretto
a
farlo.
−
Sei un loro burattino… sei nostro nemico – concluse Gold.
−
Nessun componente della Resistenza pensava fosse andata così, nel tuo
caso –
precisò Kalut. – Di solito la FACES corrompe e compra le persone, non le
ricatta.
−
Ma era tutto credibile, ho sempre cercato la fama… − proseguì Ruby. –
Sarebbe
stata la solita storia del ragazzo che diventa famoso e abbandona gli
amici,
tutto poteva essere partito dal trauma subito alla morte dei miei
genitori.
Neanche voi avete indagato o sospettato… ero la persona perfetta per
quel ruolo
– chiarì.
−
La FACES ha messo su una gigantesca messinscena – mormorò Blue.
−
Mi dispiace… − commentò Ruby. – Sono stati due anni terribili.
−
Ruby… − sussurrò Sapphire.
I
due riuscirono a guardarsi negli occhi. Lei era a metà tra la paura e la
commozione. Si fissarono per un lasso di tempo interminabile. Nessuno
parlò,
nessuno si mosse.
−
La Resistenza è attualmente l’unico corpo con l’obiettivo di sovvertire
il
dominio della FACES, prima che sia troppo tardi. Aurora, un membro, come
me, ha
spiegato tutta la situazione a Gold, due giorni fa, perché lui la
spiegasse anche
a loro – aggiunse Kalut, riferendosi a Green e Blue.
−
Noi prenderemo parte a questa causa, ci hanno spiegato che cosa ha in
mente la
FACES, vogliamo aiutare – mise in chiaro Green, parlando per Gold, Blue
e sé. –
Tu saresti un aiutante fondamentale, avere dalla nostra parte uno dei
membri
fondamentali dei progetti della FACES… potrebbe garantire degli ottimi
vantaggi.
Ruby
rifletté
su tutta la situazione. Mettersi tanto a rischio con la FACES alle
costole poteva risultare pericoloso, quasi suicida, ma era sciocco
continuare a
eseguire i loro ordini. Ora che tra le fila nemiche si erano annoverati
anche i
suoi più cari amici, sarebbe stato inutile combattere sperando di non
dover mai
affrontare nessuno di loro.
−
Potete darmi del tempo da solo? – chiese il ragazzo.
Gold
e
Green annuirono, Blue non lo guardò. Vide una sorta di pentimento in
loro, la
coscienza di aver commesso degli errori di valutazione. Lo avevano
dimenticato,
dopo due anni. Ingannati, erano caduti nella trappola.
−
Ruby, aspetta – lo fermò Sapphire, mentre lui accingeva già ad
andarsene.
Quello
si
voltò, all’ascolto.
−
Perché te ne sei andato? Perché non hai continuato a fare quello che la
FACES
ti richiedeva mantenendo i contatti con noi? – gli domandò, con gli
occhi
lucidi.
Lui
era
mesto, in volto.
−
Ho trasformato la mia Lega in una schifezza, i Superquattro sono
personaggi da
copertina, vado a trasmissioni per idioti su una televisione che
diffonde merda
che serve da distrazione per le masse… − mormorò, con gli occhi fissi a
terra.
– Io non riesco ancora a guardarvi in faccia – rise, con espressione
distrutta.
Ruby
si
voltò e abbandonò il tetto, lasciando Kalut e i quattro Dexholder da
soli.
Sapphire
aveva
ripreso a respirare, lentamente, passo passo.
−
Devo lasciarvi – annunciò Kalut, chiamando Latios che si trovava in
lontananza.
I Dexholder si stupirono del fatto che avesse la capacità di comunicare
con
quei Pokémon senza Flauto Eone, solo Emerald ne era capace. − Se
entrerete
anche voi nella Resistenza, avrete un bel po’ di cose da imparare.
Dovrete
rivolgervi ad Aurora.
Quelli
annuirono,
vacui.
−
Mi dispiace per i vostri amici… Zack non riesce a dormire per questo.
I
Dexholder rimasero stupiti.
−
Non scherzo, è così.
−
Kalut – lo chiamò Blue. – Zack è tuo fratello?
Nessuno
seppe
mai da dove fosse uscita tale intuizione: forse era l’istinto femminile
di Blue che aveva notato quel forte legame, forse la sua mente aveva
collegato
l’abilità inumana di Zero alla mente superiore di Kalut, forse invece
lei stava
rivedendo in Kalut e Zero ciò che erano una volta lei e Silver.
−
Una specie – annuì Kalut. − È complicato – e fece il primo vero sorriso
che i
Dexholder gli videro fare dal giorno in cui si erano incontrati. – Ci
rivedremo
– disse, con sicurezza.
I
Dexholder lo guardarono volare via sul rapidissimo Latios.
Ormai
il
sole era sorto, un nuovo giorno era iniziato.
−
Mi dispiace, Sil… − mormorò Yellow.
La
ragazza
stringeva la mano al corpo in stato comatoso del Dexholder. Ai piedi
del letto, c’era invece un Red la cui immagine sembrava esser stata
stropicciata
come un foglio di carta. Era pallido e mesto, con gli occhi stanchi e le
occhiaie. Vestiva completamente in nero, non riusciva a guardare colui
che era
sdraiato sul lettino.
−
Dobbiamo andarcene – mormorò Red, parlando alla sua ragazza.
−
Vorrei passare da Crystal – si oppose lei.
−
Non possiamo, è sveglia, nessuno deve sapere che siamo stati qui.
−
Red, ti prego…
Quello
si
coprì il volto con la mano e girò le spalle.
−
Posso capire che cosa provi… − mormorò lei.
−
No, non puoi capirlo affatto – la accusò. – Io non ero lì. Sono stato un
amico
di merda.
−
Non puoi darti la colpa per tutto, lo sai com’è la situazione… − provò a
consolarlo lei.
−
Sì, e so che il mio lavoro non è ancora finito.
−
Mi dispiace tanto, Red.
Quello
tacque
per alcuni secondi. − Resta – le disse poi. − Torna da loro, non sei
obbligata a seguirmi.
Yellow
cominciò
a scuotere la testa.
−
Non posso farti questo, non posso trascinarti con me, fammi l’ultimo
favore e
torna con gli altri.
−
Non voglio abbandonarti…
−
Yellow – la fissò negli occhi. – te lo sto chiedendo io. Avranno bisogno
del
tuo aiuto.
La
ragazza
non poté trattenere le lacrime.
−
Quindi è un addio? – domandò. – Vogliamo lasciarci così?
−
Mi dispiace… − mormorò Red.
−
Andrà tutto bene? – chiese lei, ormai ridotta ad un cencio.
−
Sì, te lo prometto.
Non
aveva
il coraggio di abbracciarlo. Non le riusciva praticamente alcun
movimento. Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, gli unici
suoni
erano i bip dell’elettrocardiogramma.
Crystal
era
sotto sedativi, sdraiata nel suo letto. Blue, Green e Gold sapevano che
avrebbe impiegato tanto tempo a svegliarsi, ma ne avrebbe impiegato
molto di
più per accettare ciò che era accaduto a lei e a Silver. Entrarono nella
stanza, sincerandosi che la ragazza fosse addormentata, fissarono
sorpresi la
figura esile che stava accanto al letto della loro amica.
−
Yellow… − mormorò Blue.
−
Ehi – saluto quella, con gli occhi gonfi dal pianto.
Ruby
sedeva
su una panchina e percepiva la brezza del mare con la pelle. A dieci
metri di distanza da lui, c’era una ringhiera che precedeva il vuoto. La
salsedine impregnava l’aria e, dal fondo del promontorio, si udiva lo
scrosciante suono dell’acqua che sbatteva sugli scogli.
Poi
il
ragazzo udì uno sbattere di ali. Giunse accanto a lui un grosso Tropius
che
portava in groppa una ragazza. Questa ragazza si sedette accanto a lui
sulla
panchina e, arrossendo come un peperone, poggiò la testa sulla sua
spalla.
−
Buon compleanno – gli sussurrò la ragazza. Sapphire aveva seriamente
rischiato
di dimenticare che fosse arrivato il due luglio.
Lui
non
rispose, ma accennò un sorriso.
−
Mi dispiace per tutto… − mormorò lei.
−
No, sono stato un’idiota, non ho fatto nulla per oppormi a loro.
−
Che cosa potevi fare?
−
Avere fiducia in voi, farmi aiutare e combattere il problema al
principio. Ho
voluto agire da solo, come al solito. È per questo che gli altri mi
detestano
ora.
−
Non ti detestano…
−
Sapphire, ti prego…
La
ragazza
non ribatté.
−
Mi sei mancato, Ruby.
−
Anche tu.
−
Significa che sei tornato?
−
Non so cosa significa.
−
C’è ancora tanta strada da fare… non andartene, non più.
Per
qualche
istante si udì solo il mare sbattere sulla roccia.
−
Non me ne andrò – rispose Ruby.
Ceneri
e Piume
Fine
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