Scontro col destino

di BooBoo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

POV Samantha

«Un mocaccino, per favore.»
«Certo, il suo nome? »
«Samantha»
Un buon caffè era proprio quello che ci voleva per cominciare la giornata, che oggi sarebbe stata proprio lunga. Non era nemmeno iniziata bene: erano le 8, io ero in ritardo e da Starbucks il locale era pieno.
Finalmente, dopo 10 minuti d’attesa, era arrivato il mio turno.
Appena il mio caffè fu pronto uscii nell’aria fresca autunnale di New York e cercai di chiudermi il cappotto comprato specificatamente per l’occasione, rimpiangendo di aver legato i capelli così che non  mi coprissero il viso, lasciando la parte più lunga libera; erano lunghi fin quasi al seno, castani e con dei ricci boccolosi che assomigliavano a quelli della principessa Sissi.
Perché non avevo messo una sciapa?
Beh dovevo ammettere che non ne avevo una adatta all’appuntamento e che probabilmente Mrs. Blanchett non l’avrebbe apprezzata.
Devo intervistarla per poi scrivere un articolo riguardo la sua casa di moda di vestiti eleganti e molto costosi.
Mrs. Blanchett non ama le interviste e, soprattutto, non quelle in cui è una piccola stagista in jeans e t-shirt  a fare le domande. In effetti io non ero effettivamente una giornalista, stavo facendo un piccolo stage, sottopagato, per diventarlo, durante il periodo scolastico. Era un casino.
In ogni caso, il mio “capo” mi aveva costretta a comprare questo vestito di Armani, bianco, lungo fino al ginocchio e con le maniche a tre quarti, per niente svasato o sfiancato come piaceva a me, e questo cappotto rosa pallido di Prada. Il tutto completato da un paio di décolleté di Choo. 
Tutto questo semplicemente per sostituire la vera giornalista, che io avrei dovuto seguire come un cagnolino, perché si era ammalata. Posticipare l’appuntamento non era neanche lontanamente un’ipotesi da prendere in considerazione, ovviamente.
Comunque, tutto il pacchetto mi era costato una fortuna e non ero nemmeno andata nei negozi centrali! Avevo trovato un piccolo spaccio che vendeva i capi a minor prezzo e non avevo perso l’occasione.
La Grande Mela si stava svegliando e i marciapiedi stavano cominciando a popolarsi: gli uomini d’affari con la loro immancabile valigetta ventiquattrore e la cravatta al collo fermavano taxi e guardavano furiosamente gli orologi, le madri portavano i bambini a scuola cercando di non perderli in mezzo alla folla di NY e gli studenti, quelli che non avevano una stanza al college, correvano come pazzi, ancora mezzi addormentati, per riuscire ad arrivare puntuali alla prima ora.
Oggi avrei avuto lezione ma avevo deciso che due ore di filosofia non avrebbero mai potuto competere con l’esperienza di intervistare un gran personaggio della moda attuale e scrivere un articolo. Un articolo tutto mio. Probabilmente non sarebbe mai stato pubblicato, ma ci speravo: ero abbastanza brava a scrivere, lo sapevo e i professori spesso me lo facevano presente, ma soprattutto mi piaceva, mi piaceva tantissimo. Per questo motivo stavo lavorando –schiavizzata-  al Cool Magazine, un giornale non molto influente, ma con i suoi clienti affezionati. Era comunque un’esperienza diversa dal bar in cui lavoravo di solito, vicino al college. Mi ero presa due mesi di stop per poter frequentare questo stage e ce la stavo mettendo tutta.
Svoltai nel piccolo viottolo che portava ad un’altra via principale, pieno di negozietti etnici dai colori sgargianti. Il caffè era ancora bollente nonostante l’aria fresca e i minuti passati, quindi mi voltai ad ammirare le vetrine.
Questi colori mi avevano sempre attratto, ma non avrei mai avuto il coraggio per indossarli: mi sembrava sempre che la gente mi giudicasse per quello che indossavo, che facevo, che dicevo. New York era una grande città in cui nessuno faceva caso a te, ma dopo aver passato 15 anni della mia vita in un piccolo paesino italiano dovevo ancora farci l’abitudine.
D’un tratto non ero più nella Grande Mela, ma in una città africana, indiana, sudamericana, piena di colori, di rumore, di musica, canti e balli. Tipo Dirty Dancing 2. Dovevo smetterla di guardare così tanti film.
Ero ancora persa nei miei pensieri e stavo camminando a passo svelto per arrivare alla macchina che avevo parcheggiato qualche via più in là, per evitare il traffico.
Girai l’angolo per la seconda volta, nel vicolo in cui vi erano le discoteche e i pub più strani della città e mi ritrovai addossata ad un ragazzo.


 

POV Logan 

Se il buongiorno si vede dal mattino, allora questa giornata andrà proprio di merda.
Non erano nemmeno le 8 e già ero incazzato e avevo litigato col mio capo dopo 9 ore di lavoro e 2 di riunione, concluse in bellezza. Solitamente non lavoravo così tanto, ma questa settimana Josie si era ammalata e io e Nick avevamo dovuto coprire anche il suo turno. Josie era l’unica ragazza che lavorava al Darkness ed io e Nick la proteggevamo come una piccola sorellina, cosa che, per altro, lei odiava; diceva che le facevamo scappare tutti i ragazzi. Era vero. Sorrisi al pensiero.
Comunque stamattina mi ero preso proprio una bella strigliata, ma dovevo ammettere che me la meritavo e che Jack, il mio capo da ormai tre o quattro anni, aveva ragione. Conoscevo bene le regole e le avevo infrante, però essendo un bravo barista e soprattutto dopo essere diventato amico di Jack, me l’ero cavata “solo” con una sgridata, che però mi aveva rovinato comunque il venerdì.
Due sere fa, nella discoteca dove lavoravo, il Darkness,  avevo fatto scoppiare una rissa, cosa che Jack non aveva particolarmente apprezzato.  Anzi, a dir la verità, era la regola numero uno: niente risse con i clienti.
Era successo tutto molto velocemente: ero arrivato già incazzato per colpa di mio padre, avevo cominciato il mio turno al bar ed era andato tutto abbastanza bene fino al momento in cui quella bionda si era avvicinata al bancone chiedendomi di prepararle un drink speciale, solo per lei. Stava flirtando, era chiaro come il sole e poi, succedeva molto spesso ormai; un drink, qualche battuta e avevo il suo numero di telefono, oppure mi aspettavano alla chiusura del locale. Ero un bel ragazzo, e lo sapevo. I miei occhi azzurri erano quelli che facevano capitolare le ragazze, poi ovviamente mi tenevo in forma: facevo boxe e partecipavo anche ad alcuni incontri, quindi ero ben piazzato. In realtà non mi allenavo molto spesso visto che dovevo incastrare gli orari assurdi della discoteca e lo studio per gli esami dell’università che frequentavo.
Comunque quella sera stava andando tutto bene, ero quasi certo di riuscire a sollevarmi il morale alla chiusura, poi però è arrivato il fidanzato della bionda che ha minacciato di prendermi a botte se ci avessi riprovato con lei. Ha minacciato ME! Comico. In una serata normale avrei anche lasciato perdere, non era una gran perdita, aveva gli occhi troppo truccati di nero, sembrava avesse preso dei pugni guardandola bene, ma non era una serata come le altre. Ero incazzato e così ho risposto a quello stronzo che mi sarei potuto fare la sua tipa quando mi pareva e che anzi, probabilmente me l’ero già scopata. Nemmeno a dirlo quello tentò di prendermi per il colletto della maglia e tirarmi dall’altra parte del bancone e io lo lasciai fare, sapevo che una volta passato sarebbe stato molto più facile riempirlo di pugni.
Ovviamente la serata finì in un gran casino, il tipo se ne uscì col naso mezzo rotto e la fidanzata in lacrime. Avrei veramente voluto dirgli che avrebbe dovuto mollare lei, non prendere a pugni me, ma sembrava già troppo umiliato. Almeno però io avevo sfogato la mia rabbia, anche se non era diretta a quel poveraccio, che anzi, mi faceva pena ora.
Jack per fortuna era in vacanza quella sera – chi è che va in vacanza a metà ottobre?! – ma sarebbe tornato il giorno dopo, infatti eccomi qui, appena uscito dalla “convocazione mattutina” di tutti i dipendenti, anche se il bersaglio ero io.
Lo sentivo ancora che ripeteva «Logan te l’ho già detto, cazzo! Devi piantarla con queste risse dentro il mio locale, ok?! E’ l’ultima volta che ti copro il culo, dopo sei fuori. Ora vai a farti una dormita che sembri averne bisogno. » Ma questa volta non era colpa mia… Non del tutto almeno.
«Senti Jack, io.. »
«Ho detto vai a casa, Logan. Ci vediamo domani sera. » Quando non mi lasciava parlare mi faceva imbestialire ancora di più.
Così, con questi pensieri incasinati e più incazzato e stanco che mai, svoltai l’angolo e mi ritrovai addosso ad una tipa. Porca puttana.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


POV Samantha

«Ma che cazzo..?! » sentii esclamare ad un tratto. Per fortuna il mio caffè era ancora tutto intero dentro il bicchiere. Grazie a Dio, non avrei potuto cominciare la mattinata senza.
«Vedi di guardare dove vai! » sentii ancora. Ero stata così presa dal mocaccino che neanche avevo fatto caso al ragazzo con cui mi ero scontrata. Però non era un buon motivo per rivolgersi così: alla fine non era tutta colpa mia! Se lui fosse stato attento mi avrebbe vista!
«Senti, intanto calmati. Scusa se ti sono venuta contro, ma neanche tu eri poi così attento a quanto pare! » e quando alzai lo sguardo mi scontrai con due pozze azzurre.
«Come no. Non ho tempo per la paternale comunque. » disse e scansandomi fece per andarsene.
Si poteva essere così insopportabili?!
«Ma vaffanculo» lo dissi quasi tra me e me, ma a quanto pare lo sconosciuto mi sentì, perché si girò verso di me con uno sguardo che mi ammutolì all’istante. Si avvicinò fino ad arrivare a un metro da me  puntò un dito verso il mio viso. Poi, d’un tratto, come era arrivato, girò sui tacchi e se ne andò dicendo che “non ne valeva la pena”.
Solitamente nei film la protagonista si scontra con un bellissimo ragazzo, che le rovescia il caffè e poi molto gentilmente si scusa e la invita a cena, tutto va per il meglio e questo diventa l’uomo della sua vita.
Peccato che la mia vita fosse tutt’altro che un film, perché quel tipo era sì, un bel – a dirla tutta proprio bellissimo- ragazzo, ma era tutto tranne che gentile e amichevole e soprattutto dispiaciuto! Poi il caffè non si era rovesciato, quindi probabilmente non avrebbe funzionato comunque, anche se fosse stato il Principe Azzurro delle favole.
Per stamattina ne avevo abbastanza delle Avenue di NY. Avrei bevuto il caffè in macchina, tanto ero quasi arrivata. Cercai le chiavi nella borsa che era comunque troppo grande. Non riuscivo mai a trovare quello che stavo cercando. Di nuovo, indaffaratissima, svoltai l’angolo. Di nuovo, per la seconda volta, mi scontrai con qualcuno. Sarei mai arrivata all’appuntamento?! Iniziavo a dubitarne. Questa volta caddi a terra, il caffè si rovesciò - maledettissimo caffè – e la persona di fronte a me cercò di trattenermi, ma così facendo non solo cadde con me, ma si sporcò anche tutti i vestiti. Grandioso. Avrei anche dovuto pagare la lavanderia. Mi auguravo solo che non fosse antipatico come il tizio di prima.
Il ragazzo – o uomo? – vicino a me si rialzò tendendo una mano per aiutarmi «Oddio mi dispiace tanto giuro, io non so proprio dove ho messo la testa stamattina»
«Ehi non preoccuparti, non è così grave, poi neanche io ero molto concentrato a dire il vero» e mi sorrise. Il film stava prendendo forma! Non potevo crederci! Questo ragazzo era completamente diverso da quello di prima, aveva i capelli scuri pettinati col gel, sparati verso l’alto ed erano molto corti, in confronto a quelli del tipo di prima che aveva riccioli mori che gli ricadevano sulla fronte, spettinati e fermati solo dal cappuccio nero della felpa. Gli occhi non erano profondi e inceneritori come quelli di quell’antipatico, ma comunque di un bel marrone nocciola. Però lui portava la camicia e una giacca piuttosto elegante... Il prezzo della lavanderia sarebbe stato esorbitante, lo sapevo già.
«Grazie per l’aiuto, mi dispiace per i tuoi vestiti, veramente. Anche per i miei a dir la verità, però vorrei davvero pagarti la lavanderia, è il minimo che posso fare» speravo tanto che dicesse che non c’era bisogno che pagassi.
«Ma non devi preoccuparti, davvero! Guarda, questo in angolo è proprio il mio negozio. Posso cambiarmi i vestiti, ne ho alcuni sul retro. Tu piuttosto, stavi andando da qualche parte così ben vestita? Mi dispiace per i tuoi abiti, ti saranno costati una fortuna.. Lo dico perché anche io vendo alcune di queste marche e so i prezzi che possono avere» fece un sorrisetto e in quel momento non potei non pensare che fosse veramente bello.
«Effettivamente erano costosi. E avrei un appuntamento importante quindi al momento sono un po’ disperata» Un’ombra passò sul suo volto, ma forse era solo la mia immaginazione perché dopo mi sorrise e facendomi strada verso la porta di quello che doveva essere il suo negozio mi disse che poteva risolvere il mio problema.
Quando fummo dentro e lui accese la luce riconobbi subito la vetrina: passavo spesso lì davanti, ma non ero mai entrata per, appunto, i carissimi prezzi di quei vestiti.
«Ecco, scegli un vestito, così potrai andare all’appuntamento con il tuo ragazzo di nuovo pulita»
«Oh no, è un appuntamento di lavoro. » Era davvero l’unica cosa che avevo colto della frase?! Ero patetica. Ma lui sembrò non accorgersene e, anzi, fece un sorriso ancora più radioso.
«Ah si? Beh, allora ancora meglio. Non puoi presentarti così. Forza, scegli qualcosa»
«Non posso.. Questi vestiti sono troppo costosi per le mie tasche»
«Non dire stupidaggini, ti ho sporcato io l’abito quindi non te lo farò assolutamente pagare! » Non poteva averlo detto sul serio.
«Come?! Nono, non posso accettarlo, davvero»
«Secondo me stai facendo tardi. Dai scegli un vestito, troveremo il modo per farti sdebitare ok? » disse facendomi l’occhiolino. Non aveva tutti i torti, ero effettivamente in ritardo. Ritardissimo. E sicuramente non potevo presentarmi vestita così.
«Ok. Ok, hai ragione, sono in ritardo e mi serve assolutamente un vestito, ma voglio pagartelo. »
«Non se ne parla. Senti, facciamo così.. Hai impegni domani sera? Ti prego non prenderlo come un ricatto, mi farebbe solo piacere uscire con te. Tu potrai pagare la cena se proprio vuoi» Mi stava davvero chiedendo di uscire in cambio di un vestito… non pagato !? Era troppo bello per essere vero. Dovevo sbrigarmi.
«E va bene. Affare fatto, pagherò io. » In caso non avessi più voluto, avrei annullato l’appuntamento e pagato il vestito, semplice. Ma era un bel ragazzo e gentile, per altro. Perché avrei dovuto annullare?
Dieci minuti dopo stavo salendo in macchina con il mio bel vestito nuovo e il numero di telefono di Kevin, era quello il nome del ragazzo, nella borsa.





Spazio Autore
Ciao a tutti!
Spero che questa storia vi piaccia e sia interessante. Se volete farmi sapere cosa ne pensate leggerò le vostre recensioni molto volentieri! 
È la prima volta che provo a scrivere qualcosa seriamente e a farlo leggere ad altre persone ed è anche la prima volta che uso l'html, quindi scusate per gli errori ed abbiate pietà!
Grazie in anticipo, bacioni,
T.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


POV Logan


Quando mi svegliai quel pomeriggio erano ormai le quattro e il mio umore non era migliorato granché.
Questa mattina sono arrivato a casa e non ho trovato nessuno, segno che Jason, il mio coinquilino e migliore amico, era già uscito per andare all’università. Faceva tanto il duro, ma alla fine era un secchione. A quel pensiero sorrisi tra me e me. Mi alzai dal letto per controllare se fosse tornato e farmi una doccia.
Dopo quella che mi sembrò un’infinità di tempo passato sotto il getto dell’acqua riuscii a calmarmi e a pensare razionalmente. Jack aveva ragione. Ero stato un coglione e dovevo chiedergli scusa, di nuovo. Per quanto riguardava la lite con mio padre, invece, non ci avevo pensato neanche per un secondo, per evitare di rovinarmi il buonumore ritrovato. Forse. Infine c’era quella tipa che mi era venuta contro. Mi aveva mandato affanculo! Lei! Ma come si permetteva?! Se non fossi stato così stanco e incazzato gliene avrei dette quattro. Ma avevo paura di perdere la pazienza, quindi me n’ero andato.
Solo perché portava abiti firmati e quindi sarà stata piena di soldi non poteva pensare di avere ragione. Odiavo le persone così, come lei. Come mio padre. Merda. Dovevo smetterla o sarei arrivato al bar ancora più incazzato di quando me n’ero andato.
Uscii dalla doccia avvolgendomi l’asciugamano intorno alla vita e proprio mentre stavo per asciugarmi i capelli con il phon sentii scattare la serratura della porta dell’appartamento, segno che Jason era rientrato.
Il nostro appartamento era molto piccolo, quindi ci misi poco a raggiugerlo in cucina, ancora tutto gocciolante.
«Oh buongiorno bella addormentata. Hai fatto le ore veramente piccole stanotte eh» disse Jason rivolgendomi uno sguardo ammiccante.
«Sì, ma non per quello che pensi tu. Sfortunatamente. »
«Beh allora spiega. La mia giornata invece è stata… produttiva direi» Di nuovo sguardo ammiccante. C’era qualcosa sotto e non vedevo l’ora di scoprirlo.
«Lascia perdere, mi incazzo solo se ci ripenso. Tu piuttosto, di solito al venerdì hai i corsi solo fino alle due, considerando che sono le quattro passate e che la tua giornata è stata “produttiva” direi che ci sono novità. Spara.»
«Numero uno: dopo mi spieghi cos’è successo al Darkness. Numero due: non pensavo fossi diventato uno stalker… o mia madre.» fece per rabbrividire all’immagine di me in versione “mamma”, cosa che gli fece meritare un pugno sulla spalla e rise. «Comunque, numero tre: la mia giornata produttiva è causa del ritardo. Ho conosciuto una tipa.»
«Sai che novità. Ne conosci una ogni giorno, anzi, dovrei dire ogni notte e non ci fai mai una questione di Stato, anzi.»
«È diversa.»
Mentre Jason parlava mi stavo preparando un caffè per svegliarmi completamente, ma quando sentii quelle parole mi voltai di scatto rovesciandone un po’ sul bancone.
«Sei serio? Cazzo, la cosa si fa interessante. Mi stai dicendo che sto per perdere il mio compagno rubacuori?!» Ero incredulo, ma Jason scoppiò in una risata e pensai che mi avesse solo preso per il culo.
«Ehi ehi ehi, frena amico! Non corriamo! Nessuno ha detto che voglio già mettermi le catene. Ho solo detto che lei è diversa, non è da una botta e via. È una da cosa seria, ma non so ancora se sono pronto per imbarcarmi in ‘sta cosa. Per ora l’ho invitata al Dark stasera e ha detto che verrà con una sua amica, quindi non dire che non faccio mai niente per te.» A quel punto non potei fare altro che scoppiare a ridere. Sapevo rimorchiare benissimo anche da solo, ma io e Jason eravamo una squadra da anni ormai e se mi facilitava la serata non potevo fare altro che ringraziarlo e restituirgli il favore più avanti.
«E sia. Vedremo com’è questa tua ragazza “diversa”» dissi facendogli l’occhiolino. «Non mi hai detto però cosa c’entra il ritardo in tutta questa storia.»
«Beh, durante tutto questo tempo ho cercato di convincerla a venire al bar stasera.»
«Cristo. Si prevede una dura serata.» E così dicendo lo lasciai lì in cucina a pulire tutto il casino che avevo fatto sul pavimento, essendo ancora bagnato. Qualche secondo dopo, infatti, lo sentii urlare ed imprecare dal bagno.
Dieci minuti dopo decisi che avrei dovuto mettermi sotto a studiare se avessi voluto passare l’anno all’università, anche se la voglia era poca, considerando che poi avrei dovuto fare un altro turno al Dark quella sera, l’ultimo della settimana per fortuna.
Entrai in camera e notai che era un disastro: nonostante non fosse molto grande, come il resto dell’appartamento poi, era un casino. Non riuscivo a capire come avevo fatto stare tutte quelle cose in un’unica stanza. Il letto matrimoniale era coperto di vestiti e la scrivania di fogli e libri di scuola. Sapevo che avrei dovuto sistemare, ma proprio non potevo farcela, gli orari del bar mi sballavano tutta la giornata e stavo frequentando sempre meno i corsi dell’università. Cazzo. Ero un casino. Un casino che però avrei risolto domani, avevo bisogno di fare una corsa, così mi cambiai e uscii a fare jogging. ‘Fanculo.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


POV Samantha


Dopo due ore – di cui solo venti minuti di intervista, dato che Mrs Blanchett “aveva da fare”- stavo scendendo dall’immenso palazzo a 30 piani, dentro un ascensore di vetro. Fantastico per una che come me soffre di vertigini.
Solo quando arrivai in macchina riuscii a fare un grosso respiro di sollievo: ce l’avevo fatta. Ne ero uscita viva e con uno straccio di intervista, almeno. Ora dovevo solo arrivare al Cool Magazine e creare un pezzo unico e che riuscisse ad impressionare il mio capo. Impossibile, ma ci avrei provato lo stesso.
L’ufficio dove lavoravo si trovava a pochi isolati da lì, ma nel traffico mattutino sarebbe stata una sfida arrivarci. Fortunatamente ci misi poco tempo e quando arrivai alla sede del giornale tutti mi guardarono incuriositi, ed alcuni un po’ invidiosi del fatto che io, una semplice stagista, fossi andata ad intervistare una persona così importante e di alta classe come Mrs Blanchett. In realtà era stata solo puro caso e poi, quasi sicuramente, l’articolo sarebbe stato firmato dalla giornalista a cui ero affidata, Mary Sullivan.
Era una donna sulla quarantina, che sapeva il fatto suo e lavorava al Cool Magazine da più di dieci anni e si era guadagnata il suo posto con la fatica. Scriveva articoli molto belli seppur parlassero della moda del momento o di scandali tra VIP. Le avevo chiesto se avesse mai aspirato a qualcosa di più, ma mi aveva risposto che quel lavoro era perfetto per lei: poteva scrivere e portarsi il lavoro dove voleva, al bar, a casa o restare in ufficio, non era troppo impegnativo e le rimaneva anche tempo per la famiglia, quindi era a posto. Il mio sogno era lavorare nell’editoria un giorno, però con questo stage mi stavo appassionando anche al giornalismo quindi cercavo di sfruttare al massimo il tempo in cui rimanevo lì.
Mi chiusi nell’ufficio di Mary, dove mi avevano riservato una piccola scrivania perché potessi lavorare e iniziai a scrivere.
Mi accorsi del tempo che scorreva solo quando un mio collega, un certo Mark, mi chiese se avevo fame e volessi andare a pranzo, ma ero troppo presa dall’articolo che stavo scrivendo, quindi rifiutai gentilmente. Era l’unica persona nell’ufficio, insieme a Mary, che mi trattasse come una ragazza normale e non una schiavetta personale portacaffè: solo perché andavo ancora all’università non significava essere una sprovveduta. Presi appunti mentalmente di ringraziarlo per la sua gentilezza una volta finito il tirocinio.
Mangiai una merendina veloce presa dalle macchinette e mi rimisi al lavoro: l’articolo doveva venire perfetto. Avrei dovuto consegnarlo domattina, ma preferivo farlo entro sera.
Alle cinque era pronto. Lo ricontrollai tre volte prima di inviarlo per e-mail a Mary, poi mi decisi ad andare a casa, finalmente.
In realtà non era esattamente una casa, ma semplicemente una stanza del dormitorio universitario che condividevo con la mia migliore amica Ellie da tre anni ormai, però non mi lamentavo: era abbastanza spaziosa e aveva un piccolo salotto con zona cucina una sola stanza da letto e un bagno. Il minimo indispensabile.
Salii in macchina e prima di partire controllai il cellulare: un messaggio da Ellie:
Stasera sei impegnata.
Molto criptico. Decisi di chiamarla subito per capire cosa aveva in mente e lei doveva essere attaccata al telefono perché rispose dopo il primo squillo: «Alla buon’ora!»
«Una di noi lavora, Ellie.»
«Sì sì, come ti pare. Immagino tu abbia letto il mio messaggio»
«Esatto, spiegati per favore. Cosa significa che sono impegnata stasera?»
«Esattamente quello. Stasera si esce, andiamo in un bar chiamato Darkness.»
«Darkness?! Ma che cavolo di nome è?! Anzi, come l’hai trovato?»
«È una storia un po’ lunga, te la racconto quando torni. Sbrigati, ciao ciao» e chiuse la conversazione. Fantastico.
Quando arrivai a casa la trovai intenta a farsi le unghie sul piccolo divano del salotto, in tuta e con ancora l’asciugamano messo a mo’ di turbante in testa.
«’Sera»
«Ehilà! Allora, com’è andata dall’arpia stamattina?» risi per quel soprannome che solo lei poteva dare a Mrs Blanchett e mi  buttai sul divano perché ero stanca morta.
«Sono viva, quindi immagino sia andata bene. Poi ho già finito l’articolo, così domattina non dovrò alzarmi per scriverlo.»
«Perfetto! Questo ci riporta a stasera e al fatto che possiamo fare le ore piccole visto che non dovrai lavorare » disse strizzandomi l’occhio.
«Partiamo dall’inizio. Cos’è e come hai trovato quel bar?»
«Beh, per farla breve oggi ho conosciuto un ragazzo all’università, che ha appena iniziato a seguire il mio stesso corso e mi ha chiesto se mi andava di trovarci stasera al Darkness. Dice che è carino.»
«E tu gli hai detto sì? E poi com’è questo ragazzo? Non puoi svignartela così!»
«No. Gli ho detto no per un’ora buona, ma ha insistito così tanto che alla fine ho accettato. Subito non  volevo perché… Beh, sai per David… Ma poi ho pensato che non posso evitare di stare a contatto con tutta la popolazione maschile solo per colpa di uno stronzo. »
«Ben detto! Finalmente l’hai capito» David era il fidanzato storico di Ellie, sono stati insieme per un anno prima che lei scoprisse qualche mese fa che lui la tradiva con un’amica di famiglia. Era stato un duro colpo per la mia migliore amica e si era decisa a non uscire mai più con nessun altro dopo di lui. Fortunatamente aveva capito che questa non era una soluzione accettabile.
«Allora, com’è lui? E come si chiama?»
«Si chiama Jason e lo vedrai stasera. È una sorpresa. Oh, quasi dimenticavo: al bar ci sarà anche un suo amico.»
«Ellie! Non ho bisogno che mi trovi un ragazzo! E poi… oggi in realtà anche io ho conosciuto una persona.. »
«Cooooosa?! E cosa aspettavi a dirmelo!? Racconta forza!» così fui costretta a raccontarle della mia mattinata incasinata e di come avevo conosciuto Kevin, senza tralasciare lo stronzo dagli occhi azzurri.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


POV Logan

«Ma quindi la tua famosa ragazza pensa di farsi vedere oppure ti ha già dato buca?!»
«Arriverà, stai tranquillo.» Jason stava scrutando la sala seduto sullo sgabello di fronte a me che, mio malgrado, stavo lavorando, di nuovo: il turno di questa sera era più breve degli altri giorni, visto gli straordinari che avevo fatto, ma avevo comunque qualche ora da fare. Il mio migliore amico era arrivato da qualche minuto, ma ancora la tipa non si era fatta viva.
«Ah Jason Jason! Ma proprio non ti ho insegnato nulla con le ragazze?! Non avresti dovuto implorarla di venire qui: dovevi farti desiderare.» dissi con un ghigno.
«Desiderare dici? Come fai tu, che dopo che gli offri un drink te le porti direttamente a letto? Questo intendi?!» si voltò a guardarmi e capii che mi prendeva in giro, solito. Stavo per rispondergli a tono, visto che era esattamente quello che faceva anche lui, ma qualcosa – o qualcuno – parve attirare la sua attenzione, così guardai nella direzione in cui lui si stava sbracciando come un forsennato. Vedendo la sua reazione alzai gli occhi al cielo: era esattamente il modo per farsi desiderare, quello.
Un ragazzo sulla trentina lì vicino mi chiamò per ordinare da bere, così non riuscii a vedere chi stava arrivando, anche se in fondo non me ne fregava più di tanto: ero ancora stanco per le giornate sfiancanti che avevo passato e il mio umore era ancora nero, quindi non volevo cose complicate e, da come ne aveva parlato Jason, quelle tipe lo erano.
«Ehi Log!» sentii chiamarmi dal mio amico, ma stavo ancora preparando il drink per quel tizio, quindi mi voltai appena senza smettere di shakerare.
«Dai vieni qui un secondo che ti presento le ragazze!» aveva chiaramente bisogno di una spalla, ma ero al lavoro, per dio!
«Jas, sto lavorando, un attimo.» gli urlai di rimando per farmi sentire sopra la musica.
Mentre gli stavo rispondendo ebbi il tempo di dare un’occhiata alle sue “amiche”: lo sgabello di fianco al suo era occupato da una ragazza con un caschetto biondo e un vestito molto succinto - riuscivo a vederle completamente le cosce dalla mia posizione dietro al bancone – che immaginai fosse quella più interessata a lui, perché l’altra ragazza era tra loro due ma voltata di spalle. Stava guardando un punto indefinito sulla pista da ballo e riuscii solo a vedere i lunghi capelli ricci.
Ignorai le lamentele del mio amico e finii di servire il ragazzo che se ne andò lasciandomi anche una discreta mancia: dopo aver servito altre persone così da smaltire un po’ la folla accalcata al bar riuscii a raggiungere Jason che ora rideva e scherzava con entrambe le ragazze.
«Eccomi.» in quel momento riuscii finalmente a guardare attentamente le tipe e per poco non mi prese un colpo.
«Cosa ci fai tu qui!?»
«Tu?!»
«Logan, lei è El…» Jason fu l’unico a non riuscire a finire la sua frase, perché sia io che la ragazza con i capelli ricci parlammo nello stesso istante. Com’era possibile?! La sbadata di stamattina era in piedi di fronte a me e mi stava fulminando con gli occhi, che coraggio! Addio alla bella serata facile e tranquilla.
«Mi pare che sia un posto pubblico.» mi rispose proprio la diretta interessata, piccata.
«Puoi sempre andartene in un altro posto pubblico. Questo non fa per te.» dissi calcando sulla parola “altro”.
«Cosa vorresti dire scusa?! Io vado dove mi pare!»
«Ehi ehi ragazzi! Calmatevi un attimo! Qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo e come vi conoscete.» ci interruppe Jason.
«Sono d’accordo, piacerebbe anche a me saperlo.» ci mancava solo l’amica bionda.
«Ti ricordi lo stronzo che mi è venuto addosso stamattina? Eccolo, è lui.» la smorfiosa parlava di me?!
«Ah sarei io lo stronzo?! Devi guardare a dove metti i piedi e scendere dalle nuvole!»
«Log! Smettila e spiegami!»
«Nulla, quando sono uscito dal bar stamattina la bella addormentata qui davanti mi è piombata addosso e per poco non mi bruciava completamente con il suo caffè.»
«Senti tu!» stava già ricominciando, ma Jason fu più veloce di lei e alzò una mano per interromperla, probabilmente per non mandare a puttane la serata con l’amica.
«Okay, okay. Calmiamoci tutti. Non è un gran problema direi, basta che entrambi vi scusiate come persone civili.» e mentre lo disse mi scoccò un’occhiata di rimprovero e, penso, anche avvertimento.
«Stavo per farlo stamattina, ma questo maleducato non me ne ha lasciato il tempo.» e così dicendo incrociò le braccia al petto e mi squadrò dall’alto al basso, convinta di aver la vittoria in mano. Odiavo le persone così! Era già la seconda volta che lo pensavo oggi ed erano solo poche ore che la “conoscevo”. Purtroppo per lei non sono uno che molla, così la presi in contropiede.
«Bene, puoi scusarti adesso allora, dato che è stata tutta colpa tua. Sono tutt’orecchi.» sorrisi sornione e vidi le sue guance arrossarsi per la rabbia e l’indignazione mentre i suoi occhi verdi fiammeggiavano.
«Ma vaffanculo.»
«Che cazzo, ancora?! Già stamattina ho lasciato perdere, ma ora stai esagerando ragazzina!» in quel momento Jason scoppiò a ridere e mi voltai verso di lui fulminandolo «Che hai da ridere?!»
«È l’unica persona, oltre a me, che ha avuto il coraggio di mandarti a quel paese senza troppi giri di parole.»
«E anche l’unica che l’ha fatta franca.» risposi stringendo i pugni per la frustrazione.
«Quanto c’è da aspettare per un drink!?» gridò qualcuno dal fondo del bancone.
«Arrivo.» dissi seccamente girandomi appena. Un’altra serata di merda.
«Comunque Log, queste sono Ellie – disse Jason rivolgendosi verso la bionda – e Samantha. Ragazze, questo è, sfortunatamente, il mio miglior amico, nonché coinquilino, Logan.» feci un cenno verso la bionda che fino a quel momento era rimasta in silenzio guardandoci divertita ed ora mi stava sorridendo cordiale e poi andai a lavorare senza degnare la smorfiosa di uno sguardo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5. ***


POV Samantha


La serata stava passando troppo lentamente per i miei gusti, probabilmente anche perché quello che doveva essere il mio accompagnatore segreto non solo stava lavorando, ma era anche uno stronzo, quindi alla fine della storia ero felice che mi lasciasse da sola, o a fare il terzo incomodo tra Ellie e Jason.
Mi dispiaceva un po’ per la mia migliore amica, perché era costretta a subirsi il mio malumore proprio stasera che sembrava essere più spensierata del solito ed era la prima volta dopo David che la vedevo interessata ad un ragazzo. Jason da parte sua era davvero carino e ce la metteva tutta per non farmi sentire a disagio, anche se con scarsi risultati: era esattamente il contrario dell’amico, per il poco che stavo scoprendo stasera, però almeno lui era gentile e simpatico, sicuramente anche più educato di questo Logan che tra l’altro non aveva degnato né me né Ellie di uno sguardo nonostante spesso si fermasse a scambiare quattro chiacchiere con Jason.
«Torniamo al bancone?» mi urlò Ellie nell’orecchio. Infatti eravamo in pista da una buona mezz’oretta a scatenarci come pazze, lasciando solo il povero Jason che invece non si era staccato un attimo dal suo amato sgabello al bancone.
«Sì, volentieri!» stavo letteralmente morendo di caldo: non avevo idea che il Darkness fosse così affollato e così piccolo! Ci saranno state almeno trecento persone tutte stipate sulla pista da ballo o intorno al bar e io non mi ero preparata né psicologicamente né fisicamente a sopportarle: avevo messo una blusa azzurra molto carina e dei jeans lunghi neri che, seppur con alcuni strappi sulle ginocchia, non lasciavano passare nemmeno un filo d’aria. Mi sembrava di essere finita in una sauna con i vestiti addosso e come se non bastasse i miei amati ricci mi si appiccicavano ovunque, quindi decisi di legarli in una coda alta: operazione che si rivelò molto complicata dato che ogni persona presente nella discoteca aveva deciso di passare di lì dandomi delle spallate per farsi largo tra la folla.
«Ehi state un po’ attenti!» sentii dire da dietro di me e quando mi voltai vidi Jason che cercava di farmi un po’ di spazio.
«Grazie.» gli sorrisi cordiale: alla fine lui mi piaceva e da quanto potevo vedere, piaceva anche ad Ellie.
Ci sistemammo vicino a lui davanti al bar prendemmo qualcosa per rinfrescarci.
«Senti Sam, io e Jason pensavamo di andare in un altro locale, magari più tranquillo, per finire la serata… Vieni con noi?» Ellie mi guardava speranzosa, ma proprio non ci sarebbe stato modo di convincermi.
«Passo, grazie.»
«Sei sicura? Potrei chiedere anche a Logan, ha staccato adesso.»
«Jason, non penso che questo sia il modo più giusto per convincerla.» Saggia Ellie.
«Si parlava di me?» il diretto interessato apparve proprio in quel momento dietro di me, spaventandomi non poco e, per mia sfortuna, lui se ne accorse. «Scusa principessina, non volevo spaventarti.» ghignò.
«Non sono una principessina e non darti tutta questa importanza, non mi hai spaventato.»
«Perfetto. Comunque, dicevate?»
«Io ed Ellie volevamo andare in un posto più tranquillo… Se volete venire anche voi due sareste i benvenuti.» qualcosa nel tono di Jason lasciava intendere esattamente il contrario: era chiaro che volesse rimanere un po’ da solo con la mia amica.
«Io vado a casa, ma grazie per l’invito.»
«Passo anche io, non voglio fare il terzo incomodo.» rispose lo stronzo. Almeno capiva quando era il momento di farsi da parte.
«Sam, ti dispiace se però prendiamo la nostra macchina? Jas è venuto a piedi…» Jas?! Era già Jas?! Mio Dio.
«Tranquilla Ellie, prenderò un taxi.» e così dicendo ci avviammo tutti e quattro verso l’uscita.
L’aria fuori era piuttosto fresca, ma per me fu solo un sollievo: finalmente ero tornata a respirare!
Ellie e Jason ci salutarono e si avviarono verso la nostra macchina, non prima però che potessi raccomandare alla mia migliore amica di fare attenzione e chiamarmi se avesse avuto bisogno.
Decisi di avviarmi verso casa a piedi, almeno per qualche isolato, giusto per prendere un po’ d’aria poi avrei chiamato un taxi.
«Dove stai andando?» Mi ritrovai a fianco un Logan molto scocciato che mi guardava come se mi fosse spuntato in testa un terzo occhio.
«Non sono affari tuoi.»
«Gentile e cordiale come sempre.»
«”Tratta come ti trattano.” No? »
«Ti sto trattando molto bene direi. Mi hai mandato affanculo per ben DUE volte e ci sono passato sopra. Ora ti sto chiedendo dove diavolo pensi di andare a mezzanotte da sola in un quartiere come questo. Rispondimi.» ora sembrava davvero arrabbiato, quasi come si stesse trattenendo. Alla fine non aveva tutti i torti.
«Faccio quattro passi per andare a casa, poi chiamo un taxi. Voglio solo prendere una boccata d’aria.»
«Mi prendi per il culo o proprio non mi ascolti?!» vidi con la coda dell’occhio che si fermò improvvisamente, così mi voltai e notai che era seriamente intenzionato a sapere la risposta.
«Nessuna delle due. Ma io faccio da sola le mie scelte.»
«Non si tratta di libero arbitrio, principessina: si tratta di pericolo. Questa zona è pericolosa, – scandì le lettere – entiendes?!» Lo odiavo.
«Ti ho già detto di smetterla di chiamarmi così. » dissi tentando di riprendere il mio cammino, ma lui scattò rapidamente e mi prese il braccio. In quel preciso momento sentii come una scossa elettrica per tutto il corpo che mi diede i brividi, ma non riuscii a capire cosa fosse.
«Non mi stai ascoltando. Non ci vai a piedi da sola. Ora ti chiamo un taxi e aspetto con te finché non arriva. Guardati, stai anche gelando.» probabilmente si stava riferendo ai brividi appena provati, ma non ero sicura che fossero per il freddo.
Senza dire una parola liberai il braccio dalla sua presa e mi abbracciai da sola per togliermi di dosso quella sensazione strana. Lui parve capire che avrei rinunciato alla mia passeggiata – rassegnata – e si sporse verso la strada per fermare un taxi, così io ebbi il tempo per guardarlo, non solo vederlo, ma guardarlo per bene, cosa che non avevo ancora fatto da quando l’avevo incontrato – o per meglio dire, scontrato – quella mattina: era alto almeno una spanna più alto di me ed era ben piazzato, riuscivo ad intravedere i muscoli che si contraevano sotto la giacca di pelle quando allungava il braccio per attirare l’attenzione dei taxi.
Lo sentii imprecare e questo mi distolse dai miei pensieri, probabilmente era stata solo fortuna se finora non aveva notato che lo stavo squadrando dalla testa ai piedi.
«Che c’è?»
«Non si ferma nessuno! Ti accompagno a casa. Andiamo a prendere la mia moto.»
«Cosa?! Moto? Assolutamente no. Non so neanche chi sei e, anzi, a dirla tutta non mi ispiri nemmeno molta fiducia.» dissi guardandolo dall’alto in basso. Non sapevo nemmeno perché l’avessi detto, però non volevo andare con lui, non capivo perché e di certo non era per la fiducia, alla fine era lui che non voleva lasciarmi da sola per paura che mi succedesse qualcosa, però non volevo andare con lui. Stop.
La mia spiegazione però parve farlo andare letteralmente su tutte le furie, perché alzò lo sguardo e puntò i suoi begli occhi azzurri nei miei, ma nonostante fossero chiari stavano fiammeggiando per la rabbia. Questa volta l’avevo combinata grossa, glielo leggevo in faccia.
«E da cosa lo deduci?! Da come sono vestito?! Tu sei veramente una gran… No. Lasciamo perdere. Fai un po’ come cazzo ti pare. Cercati da sola un passaggio, io me ne vado.» e così dicendo voltò sui tacchi e si diresse verso l’entrata del locale, ma in quel momento una ragazza appostata lì vicino gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sul braccio con fare sensuale.
«A me piacciono le moto. Perché non porti me a fare un giro?» sorrise ammiccante. Logan si voltò appena verso di me e in quel momento pensai che non mi avrebbe lasciata lì da sola, in mezzo alla strada.
«Certo. Andiamo.» gli mise un braccio intorno alla vita e senza voltarsi più indietro si allontanò da me. Semplicemente mi lasciò lì.



Spazio Autore.
Ehilà!
La storia sta iniziando a prendere forma pian piano e i personaggi cominciano a definirsi!
Spero che vi piaccia, fatemi sapere!
Bacioni, T.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


POV Logan


La luce del sole che filtrava dalla finestra mi svegliò decisamente troppo presto per i miei gusti dunque decisi di alzarmi per chiudere le tende e tornare a poltrire per un altro po’. Purtroppo non avevo fatto i conti con la ragazza seminuda che mi dormiva a fianco, anzi, proprio non mi ricordavo come fosse arrivata lì, anche se potevo immaginarlo: ghignai al pensiero di quello che era successo la notte passata.
Feci per alzarmi, ma appena mi mossi la ragazza si spostò e mi si accoccolò sul petto: no no no. Certo, sembrava proprio una bella moretta, però questa storia era durata anche troppo, era ora che se ne andasse.
Mi alzai, ignorando i suoi lamenti e andai a spalancare le finestre, un piccolo cambio di programma per farla sloggiare velocemente; la mia dormita poteva aspettare questo pomeriggio. Guardai l’orologio: ero ancora in tempo per le ultime lezioni della mattinata all’università, una scusa plausibile.
«Ehi ma cosa fai?! Si congela!» sentii una voce squillante provenire dal letto e mi stavo già irritando.
«Devo andare a lezione.» non mi finsi nemmeno dispiaciuto, lei sapeva perché era lì e il motivo non era sicuramente una relazione con me.
«Per forza? Non possiamo restare a letto?» disse con una voce maliziosa.
«No. » Perentorio.
«Non sei molto carino, sai?!»
«Ieri sera non ti interessava granché.» Lei non rispose e capii che avevo fatto centro. Iniziò a rivestirsi senza più rivolgermi la parola: almeno aveva un po’ di dignità.
Mi diressi verso il bagno per farmi una doccia e la salutai: «Ci si vede in giro.»
«Ti lascio il numero sul comodino. Chiamami.» A quanto pare mi sbagliavo, non aveva orgoglio femminile.
Quando arrivai in cucina per prepararmi una colazione veloce sentii Jason incespicare verso la cucina e non potei fare almeno di ridere.
«Cosa ridi, coglione?! Mi stavo ammazzando sulle tue scarpe!»
«Chiedo umilmente perdono.» dissi scoccandogli un’occhiata divertita: aveva i capelli scompigliati e le occhiaie ben visibili. «Hai fatto serata?!»
Come risposta ottenni solo un grugnito, così scoppiai di nuovo a ridere: a quanto pare no.
«Tu a quanto vedo l’hai fatta.» disse incenerendomi con lo sguardo.
«Il solito.»
«Senti Log, tu puoi fare quello che ti pare, però per favore non farla star male, altrimenti tutti i miei sforzi per avvicinare Ellie saranno stati inutili.»
«Che cosa diavolo stai dicendo?!»
«Lo sai. Certo, non pensavo che ci sarebbe stata così presto, soprattutto non con te dato che ti odia, però ora che è successo almeno non ignorarla o trattarla come una delle tue tante “amiche”.» Ora ero seriamente shockato.
«Fermo, fermo, fermo. Non stai parlando di quella tipa, Samantha, vero!? Non penserai mica che sia stato con lei!?» Ma davvero?
«Ah non ci sei stato? Oh, per fortuna! Non voglio che per la tua stronzaggine finisca tutto male con Ellie.» disse con uno sguardo quasi… sollevato.
«È già così importante per te?»
«È diversa, te l’avevo detto. Non è solo bellissima, è anche intelligente e tu sai meglio di me quanto sia difficile trovare entrambe le cose. – fece una pausa guardandomi e poi continuò – Ma scusa un secondo… Ieri sera ti ho visto accompagnare Samantha a casa… come sei passato da quello al tuo letto con un’altra?!»
Quando sentii quelle parole la mia memoria si risvegliò e mi tornò in mente la serata completa e con essa, anche la mia incazzatura.
«Semplice: non l’ho accompagnata.»
«Cosa vuoi dire con “non l’ho accompagnata”?!»
«Esattamente quello che ho detto. L’ho lasciata lì da sola. » A quelle parole vidi Jason sbiancare e afflosciarsi su se stesso avvilito.
«Questo è anche peggio che esserci andato a letto. Non ho chances con Ellie.»
«Non essere tragico Jason. Lei è stata una stronza e io ho solo acconsentito ai suoi desideri: ha detto di cavarsela da sola e che non c’era da fidarsi di me. Fine della storia. Tu non c’entri niente.»
«Davvero ha detto così? Strano… pensavo fosse più intelligente. Mi dispiace Logan, so quanto odi queste cose.»
«Non preoccuparti, non ho bisogno di una balia, sono diventato abbastanza grande per difendermi da solo. Vado all’università.» dissi facendogli l’occhiolino prima di uscire, mentre lo sentii urlare «Mmmh, sei proprio un bravo ragazzo Logan Willis!» al che non potei fare altro che tirargli uno dei cuscini del divano, mancandolo per un pelo.

Salii in sella alla moto e ripercorsi mentalmente la serata prima di arrivare a casa mia con la moretta: quella Samantha era esattamente come avevo previsto la scorsa mattina, sapeva solo giudicare dall’aspetto esteriore, probabilmente perché era piena di soldi e pensava che questi rendessero migliore una persona. Esattamente come l’uomo che sfortunatamente era mio padre: davvero pensava di potermi comprare con i suoi stramaledettissimi soldi?! Pensava di poter recuperare tutto il tempo perduto e sprecato pagandomi una casa più grande? Trovandomi un lavoro più redditizio? Chi si credeva di essere? Chi si credevano di essere tutti quanti per potermi giudicare o comprare? Loro non sapevano un cazzo di me e non l’avrebbero mai saputo: non volevo avere a che fare con lui, né con quella Samantha. E pensare che stavo anche cercando di farle un favore a non lasciarla gironzolare per quel quartiere da sola! Che stupido!
Senza che me ne accorgessi arrivai davanti all’università e quando me ne resi conto mi stupii del fatto che non avevo fatto letteralmente caso alla strada: potevo farmi ammazzare!
Spensi il motore, al diavolo Samantha, mi tolsi il casco, al diavolo mio padre, e scesi dalla moto incamminandomi a tutta velocità verso l’aula, al diavolo tutti!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7. ***


POV Samantha


La mattinata all’università era passata troppo lentamente e ad ogni ora avevo rischiato di addormentarmi sul banco per quanto ero stanca, probabilmente un bel regalo lasciato dalla notte passata praticamente insonne, ma dovevo ammettere che me l’ero cercata. Ieri era già stata una giornata pesante per l’intervista e l’articolo, ma io non contenta ero uscita con Ellie per andare in quello stupido buco di discoteca ad incontrare un ancor più stupido ragazzo che col suo fare da strafottente mi ha fatto stare in guardia tutta la serata. Infine, avevo irragionevolmente rinunciato ad un comodo – e VELOCE – passaggio a casa: perché non aspettare un taxi per una buona mezz’ora in un quartiere che mette i brividi?! Complimenti, Sam.
Beh, almeno ero sopravvissuta ai corsi di oggi e potevo rilassarmi per l’intero pomeriggio aspettando una serata completamente diversa dalla precedente.
Il pensiero di cenare con Kevin mi elettrizzò e mi diede una nuova energia, così mi decisi ad alzarmi dal divano per farmi una bella doccia e coccolarmi un po’. Avrei preferito sicuramente farlo in compagnia di Ellie, anche perché lei era molto più brava di me nel mettere lo smalto e fare strane maschere di bellezza, ma purtroppo lavorava questo pomeriggio, dunque mi sarei arrangiata.
Decisi di cominciare con una maschera rilassante per il viso, che mi serviva proprio, poi mi depilai le gambe per poter indossare quel bel tubino corto che tenevo da tanto nell’armadio, feci una doccia lavando e asciugando accuratamente i capelli e conclusi con uno smalto grigio opaco, molto elegante. Abbastanza soddisfatta guardai l’orologio e per poco non mi venne un colpo: ci avevo impiegato due ore! Addio rilassamento sul divano. Divano poi… l’unica cosa che rientrava nel nostro salottino era un piccolo divano a due posti, che però per me ed Ellie era perfetto. Proprio in quel momento mi squillò il telefono e appena vidi il numero risposi nervosamente.
«Pronto?»
«Samantha? Sono Mary.»
«Ciao Mary, dimmi tutto. Ti è arrivato l’articolo?»
«Sì l’ho letto qualche minuto fa e devo dire che è venuto abbastanza bene, solo qualche correzione qua e là, ma per il resto ci siamo.» disse lei con voce nasale, a quanto pare non si era ancora rimessa del tutto.
Io, dal canto mio, tentavo di non mettermi a saltare: l’articolo, il MIO articolo, andava bene!
Non sentendo una risposta da parte mia Mary continuò: «Immagino che parlare con Mrs Blanchett non dev’essere stato facile, soprattutto per una ragazza con poca esperienza come te e mi dispiace averti data in pasto ai lupi proprio durante la tua prima intervista, ma sono soddisfatta del lavoro che hai fatto.» concluse. Stavo per mettermi a piangere.
«Gr.. Grazie Mary. Sono molto contenta che ti piaccia e non preoccuparti, non l’hai fatto apposta ad ammalarti, capita a tutti.» In quel momento la porta di casa si aprì e Ellie entrò imprecando contro il traffico della città, ma si zittì non appena vide che ero al telefono. Intanto però Mary mi stava salutando e chiudendo la chiamata; ci saremmo viste dopo il fine settimana in ufficio.
«Oddio Ellie! Le è piaciuto l’articolo!» urlai correndo ad abbracciare la mia migliore amica.
«Ma è fantastico, Sam! Stasera si esce per festeggiare, niente scuse!»
«Stasera esco con Kevin, ricordi? Il ragazzo di ieri mattina…» dissi un po’ in imbarazzo, non volevo ferirla rifiutando di festeggiare con lei, ma l’avevo già promesso a Kevin.
«Hai ragioneeee! Non mi ricordavo, scusa tesoro ma oggi in caffetteria è stato un inferno. Senti, facciamo così: tu vai a cena col bel cavaliere, poi mi raggiungi in un pub più tardi, ci stai? A meno che tu non voglia concludere la serata con lui, s’intende.» disse facendomi l’occhiolino, maliziosa.
«ELEONOR COOPER! Ma secondo te?! Neanche lo conosco!» dissi tirandole un cuscino che lei schivò e rise.
«Come vuoi. Ti mando un messaggio poi per farti sapere dove incontrarci.»
«Va bene, vado a vestirmi.»
Dopo aver indossato il mio tubino ed essermi fatta truccare da Ellie, che aveva insistito per farmi uno smokey eyes nonostante il mio “voler apparire naturale”, mi guardai allo specchio: alla fine stavo abbastanza bene. Non ero solita pensare granché di me, però quella sera ero carina. Ovviamente Ellie che era molto più esagerata ed espansiva di me sostenne che fossi uno schianto, ma proprio non mi ci sentivo.
Per completare il look indossai una giacca grigia più sobria del tubino e un paio di tacchi non troppo alti: li odiavo e non ero nemmeno molto stabile. Programmavo di non togliermi la giacca durante la serata, perché quel vestito lasciava intravedere troppe forme e non volevo dare un’impressione sbagliata.
Guardai l’orario sul telefono e mi decisi a scendere: io e Kevin avevamo concordato di trovarci davanti al ristorante, anche se lui aveva insistito per venirmi a prendere a casa io non avevo accettato. Certo, sembrava una brava persona, ma in fondo non lo conoscevo ancora: sempre meglio essere prudenti e non dirgli dove abitassi e prendere la macchina in caso di fuga fuori programma.
Feci un respiro profondo mentre mettevo in moto: mi stavo facendo paranoie per niente e ciò fu confermato non appena arrivai al ristorante. Kevin era davanti all’ingresso che mi aspettava con una rosa rossa in mano: non potei fare a meno di notare quanto fosse affascinante stretto in quel completo blu.
Mi avvicinai ed appena mi vide sorrise tranquillamente, apparendo ancora più bello.
«Buonasera, Samantha.» disse porgendomi la rosa.
«Ciao» risposi imbarazzatissima. Mi sembravo una scolaretta ad arrossire così solo per un gesto gentile, poi quel misero “ciao” mi faceva sembrare mille volte più piccola. Sapevo che lui non era un mio coetaneo, ma non credo ci fossero tutti questi anni di differenza. Lui, comunque, parve non far caso al mio imbarazzo – oppure lo nascose molto bene – e mi invitò ad entrare tenendomi aperta la porta e guidandomi appoggiando una mano sulla mia schiena, poi, una volta dentro, riferì al cameriere la nostra prenotazione.
In quel momento fui stupita di notare che il punto sulla mia schiena in cui mi stava toccando non stava bruciando, seppur fossi molto emozionata per quella serata. Non essere stupida.
Lasciai perdere quei pensieri strani e mi sedetti al tavolo dove ci accompagnò il cameriere. Kevin si accomodò nel posto a fianco al mio, così che non fossimo faccia a faccia, ma gomito a gomito. Che strana usanza: io preferivo avere di fronte la persona con cui ero per poter parlare più facilmente e per guardarlo negli occhi.
«Allora, Samantha, com’è andato l’appuntamento di ieri?» Se lo ricordava?! Che carino!
«Molto bene, grazie. Ho scritto un articolo tutto mio e il mio capo l’ha approvato proprio oggi. » dissi contenendo a stento l’entusiasmo.
«Davvero? È grandioso! Complimenti! Qui ci vuole un brindisi!» e prima che potessi fermarlo ordinò al cameriere una bottiglia di champagne. Champagne! Avrei dovuto pagare io la cena, secondo quanto ci eravamo detti al negozio ieri, ma si stava rivelando più costoso del previsto, poi non ero tipo da champagne, lo bevevo solo a Capodanno, quando si faceva il brindisi dopo il conto alla rovescia e solitamente bevevo un sorso e lasciavo il resto del bicchiere.
Mi guardai intorno e capii che probabilmente ordinare champagne in un posto come quello era una cosa ordinaria: il locale era molto elegante, come tutte le persone che lo frequentavano. Improvvisamente fui contenta di aver scelto una giacca sobria per la serata.
Kevin ordinò un’aragosta per due, dicendomi che avrei assolutamente provare una delizia del genere, dato che non l’avevo mai fatto e mi fidai di lui.
La cena passò piacevolmente e scoprii molte cose su di lui, come per esempio che aveva 27 anni, il negozio dove lavorava era stato di sua madre fino a qualche anno prima, quando aveva deciso di ritirarsi per far subentrare il figlio. Il padre era un importante imprenditore della City e lui era figlio unico, nato e cresciuto a New York aveva frequentato la Columbia University, nientemeno.
Io gli raccontai del lavoro al giornale e del corso che frequentavo all’università: mi vergognavo un po’ a raccontare la mia storia, perché in confronto alla sua sembrava banale e comune, ma lui non disse mai nulla per mettermi in soggezione, anzi. Fu un vero gentiluomo tutta la sera, versandomi da bere quando ne avevo bisogno e ascoltandomi sempre attentamente e dopo i primi momenti di imbarazzo mi rilassai e ridemmo molto insieme.
Erano circa le undici quando sentii il telefono squillare e notai un messaggio dalla mia migliore amica che mi indicava il nome del pub.
«Problemi?»
«Come? – dissi alzando lo sguardo, poi mi accorsi che si riferiva al messaggio – Oh no no, è la mia migliore amica. Chiede se la raggiungo per festeggiare la notizia dell’articolo, le avevo promesso che avrei passato un po’ di tempo con lei.» dissi scusandomi.
«Certamente. Non ti preoccupare, è stata una serata fantastica, è giusto che festeggi anche con lei. Noi potremo recuperare la prossima volta.» azzardò guardandomi… in attesa. Mi stava chiedendo di rivederci?!
«Sicuro! Non vedo l’ora!» dissi sorridendogli come una bambina. Kevin ricambiò il mio sorriso rilassandosi e si scusò per andare al bagno. Colsi il momento per rispondere ad Ellie e mi preparai ad uscire.
Lui tornò qualche momento dopo e mi fece strada verso l’uscita: quando sorpassammo il banco della cassa mi fermai guardandolo interrogativamente. «Non paghiamo?»
«Non stasera.»
«Cosa significa?» Dovevo avere un grosso punto interrogativo stampato in fronte perché lui ridacchiò e mi trascinò fuori.
«Significa che ho già pagato io.» Rimasi interdetta per un momento.
«Ma tu… Ma io avrei dovuto..»
«Lo so cosa avevamo deciso ed è per questo che ho pagato prima che tu potessi farlo. La prossima volta ti lascio pagare, giuro.» disse interrompendomi e sorridendomi allegro. Mi imbronciai e il suo sguardo si fece ancora più divertito. «Ho detto che te lo prometto, pagherai tu la prossima volta.»
«E va bene. – mi arresi – Grazie per a bella serata, Kevin. Sono stata molto bene con te.»
«Anche io. Sei una ragazza fantastica, mi piacerebbe uscire di nuovo con te.» Ora non stava più alludendo ad una possibile prossima volta: me lo stava proprio chiedendo esplicitamente.
«Molto volentieri.» sorrisi e Kevin mi appoggiò le mani sulla vita attirandomi più vicina a lui.
«Buon fine serata, Samantha.» e così dicendo mi lasciò un delicato bacio sulle labbra.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


POV Logan


«Dove stiamo andando?»
«Andiamo nel pub dell’altra settimana, te lo ricordi?»
«Il Kristal? Ma non avevi detto che era tremendo?» In quel momento Jason tolse un attimo gli occhi dalla strada e mi guardò imbarazzato. «Cosa mi stai nascondendo?!» dissi già furente.
«Non te l’ho detto prima altrimenti non saresti venuto e non volevo che restassi a casa da solo, ma l’ha scelto Ellie il bar…»
«Ellie? Quindi mi stai dicendo che o farò il terzo incomodo tra voi o, peggio, dovrò vedere quella simpaticona della sua amica?! E poi Cristo, Jason! Non ho più dodici anni! So badare a me stesso, senza che lo faccia tu.» Io e Jason eravamo amici da quando eravamo ragazzini e conosceva sia la mia storia che la mia famiglia. Spesso ci aveva aiutato con il ranch e poi mi aveva salvato il culo diverse volte quando sono diventato una testa calda, dopo che mio padre ci ha lasciato. È solo grazie a lui se ora ero su una macchina diretto al Kristal e non in prigione per rissa o all’ospedale. Mia madre non sapeva come prendere un adolescente ferito e abbandonato da quello che riteneva il suo eroe, il suo esempio da seguire, mentre Jason era il fratello che non avevo mai avuto che mi stava a fianco in ogni situazione e gliene ero veramente grato, però ora non siamo più ragazzini.
«Ah si?! Se vuoi allora ti scarico qua.» Non volevo davvero offenderlo e sapevo che non lo era veramente, ma mi fece comunque sentire un po’ in colpa.
«No. Vengo con te…»
«Bravo.» mi sorrise di sbieco.
«…Dato che, a quanto pare, non puoi stare senza di me e non riesci a rimorchiare da solo.» e così dicendo mi appoggiai rilassato contro il sedile, con un’espressione soddisfatta stampata in volto.
Improvvisamente la macchina inchiodò e fui sbalzato in avanti, ma per fortuna avevo la cintura di sicurezza allacciata. Non vedendo nessun ostacolo davanti a noi e nemmeno un semaforo mi voltai verso Jason.
«Ma che cazz..?!»
«Così impari a fare il coglione.» Fu la sua unica risposta.

Il Kristal era completamente diverso dal posto in cui lavoravo, innanzitutto perché non era una discoteca, quindi non vi era la pista da ballo, ma comunque c’era sempre qualcuno che si trovava un posticino per fare due mosse, dato che la musica era altissima. Poi era sicuramente molto meno affollato del Darkness ed infine era pieno di divanetti e tavoli alti.
Individuammo subito Ellie ed il suo caschetto biondo, dato che risplendeva in mezzo al locale, e appena ci vide fece un cenno con la mano. Era seduta ad uno dei tavoli alti e controllava spesso il telefono: della sua amica, neanche l’ombra.
«Ehi ben arrivati ragazzi! » Esclamò raggiante non appena le fummo vicino.
«Eccoci! Ci aspettavi da tanto?» Quand’è che Jason era diventato così patetico?
«No, sono appena arrivata. Come va Logan? Tutto bene?»
«Sì, grazie. Tu?»
«Certo. Mi sembri un po’ imbronciato...» probabilmente dovevo avercelo scritto in fronte che avrei voluto essere dovunque ma non lì.
«No tranquilla, sta bene. Una birra e torna normale.» rispose Jason al posto mio. Effettivamente non aveva tutti i torti.
Dieci minuti dopo ero seduto a fianco ad Ellie con di fronte Jason e mi stavo scolando la mia Duff: stava andando quasi meglio, anche se ero costretto a vedere il mio migliore amico perso per questa ragazza appena conosciuta. Nonostante tutto lei mi stava simpatica, anzi, la vedevo proprio bene con Jason, però effettivamente la conosceva solo da due giorni! Come poteva già essere così perso per lei?! Proprio non lo capivo.
Bevvi un altro sorso della mia birra per distogliermi da quei pensieri e la vidi: stava scrutando la sala intenta a trovare, probabilmente, il nostro tavolo. Lei non poteva vedermi, dato che avevo davanti altre persone che parlavano tra loro, ma io la vedevo, eccome se la vedevo. Portava un vestito aderente nero, decisamente troppo corto per quelli che ritenevo fossero i suoi standard, e una giacca grigia da ufficio che rovinava tutto l’insieme. Era un vero peccato che Samantha fosse quella che era, perché non era per niente male. Che spreco, pensai mentre le guardavo le lunghe gambe che si avvicinavano sempre di più, poi alzai lo sguardo e quello che vidi mi divertì non poco: si era accorta che la stavo fissando e ora le sue guance erano ben oltre il lieve rossore. Feci un ghigno divertito, per nulla imbarazzato per quel siparietto.
«Ehi Sam! Finalmente sei arrivata!»
«Ehm… Sì. Non sapevo ci fossero anche loro.» rispose lei ad Ellie, spostando il peso da un piede all’altro. A quanto pareva non ero l’unico scontento della compagnia.
«Lo so, ma festeggiare in tanti è più divertente!» disse la bionda strizzandole l’occhio.
«Cosa si festeggia?» chiese Jason.
«Sam ha scritto un articolo e, seppur sia solo una stagista, verrà pubblicato sul giornale!!» Ellie era più euforica dell’amica, che intanto si era seduta nell’ultimo posto libero, tra me e Jason, dato che i tavoli erano rotondi.
«Verrà pubblicato insieme al nome del mio capo…» minimizzò lei.
«Beh non importa! Dobbiamo anche festeggiare il tuo primo appuntamento dopo secoli!» continuò imperterrita l’amica, mentre Samantha arrossì ancor più violentemente e io, che fino a quel momento ero rimasto zitto, non potei fare a meno di ridere. Per forza non aveva avuto appuntamenti, era intrattabile!
«Cosa vuoi tu?!» Ed ecco che ricominciava.
«Nulla, non capisco proprio come mai una ragazza simpatica e gentile come te non abbia avuto appuntamenti da mesi a questa parte.» sorrisi angelico mentre dalla mia frase traspariva tutto il sarcasmo di cui ero capace.
«Potrai anche non crederci, ma io sono EFFETTIVAMENTE simpatica e gentile e se lo chiedessi al ragazzo con cui sono uscita stasera te lo confermerebbe!» sbottò lei.
«Oh quindi è andato bene?! Sono contentissima! Me lo devi presentare!» si intromise Ellie, ma io la ignorai e le risposi tranquillamente: «Oh lo vedo. E l’appuntamento di lavoro è stato produttivo?» dissi con un ghigno alludendo alla giacca da ufficio che portava.
«Logan!» ringhiò Jason. «Sam non starlo a sentire, stai molto bene vestita così.» Leccaculo e traditore.
Lei decise di ignorarmi e rispose prima a Jason, ringraziandolo, e poi alla sua amica, dicendo che l’appuntamento era stato fantastico, in un ristorante esclusivo e chic e che un certo Kevin, che immaginavo fosse il tizio dell’appuntamento, era stato un cavaliere tutta la sera. Così dicendo mi guardò soddisfatta ed orgogliosa come a dire “Non come te”. Scossi la testa e mi passai una mano fra i riccioli che non volevano saperne di stare al loro posto: era ora di tagliare i capelli, mi ripromisi mentalmente.
«Dev’essere stata proprio una serata fantastica, talmente divertente che l’hai lasciato per venire qui.» Non le lasciai neanche il tempo di rispondere che mi alzai e andai a prendermi da bere. Ne avevo abbastanza di quella conversazione e sapevo di aver completamente ragione: gliel’avevo letto negli occhi mentre lo dicevo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


POV Samantha


Non so quanto alcool stavo ingerendo, ma non sembrava mai abbastanza. Era partito tutto con un brindisi al mio articolo, poi un altro brindisi al mio appuntamento, poi un brindisi ad Ellie, poi a Jason e penso anche uno a Logan, ma non mi ricordavo assolutamente il motivo, probabilmente non esisteva ed era solo una scusa per bere quei buonissimi cocktail. Continuai poi bevendo uno shot di tequila per rilassarmi, dato che l’incontro con Logan mi aveva fatto passare il buonumore e volevo ritrovarlo, poi ne bevvi uno di vodka perché non ero riuscita a rispondere a Logan, poi ne bevvi un altro – avevo perso il conto degli alcolici ormai – perché ad un certo punto Logan era sparito per pomiciare con una tipa lasciandomi da sola con la coppietta felice, poi un altro, perché dovevo smettere di dar così tanta importanza a Logan ed infine una birra mentre mi interrogavo sul perché quel bacio con Kevin non mi avesse fatto provare qualcosa come farfalle nello stomaco o scariche di adrenalina. Probabilmente è solo perché è stato un leggero bacio di saluto, niente di troppo sentimentale, cercai di convincermi mentalmente, anche se ormai stavo delirando, più che ragionando. Di colpo ripensai allo sguardo che aveva Logan mentre mi fissava e sentii un caldo pazzesco… o era l’alcool? Bah, in ogni caso mi tolsi la giacca barcollando sullo sgabello e proprio in quel momento partì una delle mie canzoni preferite, Single Ladies di Beyoncé, così scattai in piedi e iniziai a muovermi a ritmo e a cantare a squarciagola la canzone, usando la bottiglia di birra – ormai vuota – a mo’ di microfono. Certo, in camera mia la cantavo fin da quando ero una bambina, cercando di imitare la cantante, ma dal vivo non mi era mai successo e se fossi stata sobria non avrei potuto farlo neanche sotto tortura. Oltretutto ero anche nuda, per i miei standard, visto che mi ero tolta la mia amatissima giacca e avevo legato i capelli in una coda alta. Vidi Ellie che si scompisciava dalle risate guardandomi e mi incitava a continuare, mentre Jason mi guardava shockato. Intanto altre persone del locale si erano riunite intorno a me e applaudivano a ritmo: la persona ubriaca ed instabile che era in me si caricò ancora di più per tutto quell’audience, facendomi continuare imperterrita il balletto.  Ad un certo punto vidi che Logan si stava facendo spazio sgomitando tra gli spettatori del mio ridicolo spettacolo per poter vedere meglio, ma in quel momento me ne infischiai completamente: sapevo che me ne sarei pentita perché mi avrebbe preso in giro per sempre, ma non ero abbastanza lucida per mettere fine al mio show.
Lui si appoggiò ad una colonna del locale, con le braccia incrociate sul petto ed un’espressione divertita e in quel momento non potei che pensare a quanto fosse bello: sembrava quasi un modello così appoggiato al muro. Era disinvolto e tranquillo, con quella sua aria tenebrosa che si portava dietro, perennemente incazzato. Oddio, quanto avevo bevuto per pensare certe cose?!
La canzone finì e la gente accerchiata intorno a me scoppiò in un grosso applauso, così, come fanno i veri artisti, mi prodigai in un goffo inchino e per poco non caddi lunga distesa sul pavimento. Ero decisamente troppo sbronza per movimenti improvvisi come quello, quindi tornai a sedermi al mio sgabello.
«Oddio Sam non ci credo che l’hai fatto davvero!» Ellie si stava asciugando le lacrime.
«Perché piangi?» dissi quasi scoppiando a piangere seduta stante.
«Sei completamente sbronza.» rispose lei continuando a ridere come una pazza.
«Non è vero… forse un po’» biascicai gesticolando e mostrando con le mani quanto poco lo fossi, unendo quasi il pollice con l’indice. Poi, sentii qualcuno applaudire lentamente.
«Complimenti, questa volta mi hai sorpreso.» Un Logan vagamente divertito mi apparì di fianco.
«Te l’avevo detto che sono simpatica.» e detto questo crollai sul tavolo di fronte a me. Stavo morendo di sonno.
«Merda! È andata. Devi portarla a casa, Ellie.» Era Jason che parlava?
«Decisamente.» rispose la mia migliore amica ridendo, poi continuò: «Mi aiutate a portarla alla macchina?»
«Certo, ma tu puoi guidare? Non è meglio chiamare un taxi?»
«Non ti preoccupare, Jas. Sono lucida.» poi sentii uno schiocco di un bacio e qualcuno che diceva loro di prendersi una stanza. Improvvisamente mi sembrò di volare: stavo letteralmente fluttuando in mezzo al Kristal! Mi svegliai appena per l’eccitazione e mi guardai intorno: girai di colpo la testa ed andai a sbattere contro qualcosa di duro. Ma cosa..?!
«Stai ferma, altrimenti alla macchina ci arriviamo domattina.» grugnì il mio… aiutante di volo?! Non stavo volando?! Questa sì che era una delusione!
«Logan? Non sto volando?» Sempre meglio chiedere, per sicurezza. Lo sentii ridere e tutto il suo petto si mosse sotto di me: oddio. Questo era ancora meglio di volare!
«No, direi di no. Per questa volta hai un mezzo di trasporto più banale: le mie gambe. Spiacente di deluderti, principessina.» disse abbassando lo sguardo e puntando i suoi splendidi occhi azzurri nei miei.
«Sai Logan, tu sei proprio un gran stronzo. Non lo dico per offenderti, lo sei davvero. Sei proprio, proprio, proprio stronzo…MA – dissi quasi urlando con l’indice puntato verso l’alto, come se mi fosse appena venuta un’illuminazione – hai degli occhi bellissimi.» conclusi fissandolo imbambolata. Lui si fermò per un secondo, guardandomi e poi riprese senza rispondermi.
Arrivammo brevemente alla macchina e sentii Ellie e Jason salutarsi, poi fui appoggiata sui sedili posteriori della macchina e prima che la portiera si richiudesse qualcuno disse: «Anche tu, Samantha. Anche tu.».
La mattina dopo mi svegliai con un terribile cerchio alla testa ricordando poco o niente della serata. Come cavolo mi ero ridotta in quello stato pietoso?!
Tentai di alzarmi, ma il collo e la schiena protestarono subito e solo quando riuscii ad aprire gli occhi capii perché: non avevo dormito nel mio letto, ma sul divano. Il mio corpo si era letteralmente raggomitolato per entrare completamente in quel minuscolo divano a due posti e il bracciolo dove avevo appoggiato la testa era durissimo.
Mi alzai barcollando e, con non poche difficoltà, arrivai in bagno, trovando Ellie sotto la doccia.
«Ciao ubriacona!» mi salutò pimpante.
«Non urlare! Ti prego, non urlare. Sono uno straccio.» risposi appoggiandomi con le braccia al lavandino e dandomi un’occhiata allo specchio. Ero ancora peggio di quanto pensassi: i capelli arruffati mi incorniciavano perfettamente gli occhi cerchiati di nero, probabilmente un po’ per le occhiaie ed un po’ perché non mi ero struccata la notte scorsa.
Comunque, la mia amica mise la testa fuori dalla doccia sentendo quelle parole e mi squadrò da capo a piedi.
«Effettivamente sì, lo sei.» concluse rientrando completamente sotto il getto d’acqua.
«Grazie genio.»
«Forse è anche un po’ colpa mia, scusami.»
«Cosa?! Mi hai fatto bere tu?» sbottai girandomi verso la doccia.
«Nono! Ehi per chi mi hai preso?! Hai fatto tutto da sola, anche quando ti ho detto di smetterla di bere e di non fare quello spettacolino non mi hai voluto ascoltare. Dicevo solo che è colpa mia il tuo…» ma prima che potesse finire la frase la bloccai.
«Aspetta, aspetta. Di che spettacolino parli?!» chiesi sentendo il panico salire.
«Oddio, non te lo ricordi?!» disse scoppiando a ridere fragorosamente.
Facendo appello alle poche forze che mi erano rimaste cercai di ripescare nella mia memoria quello di cui stava parlando e un flash di me con la bottiglia di birra in mano a mo’ di microfono si insinuò nella mia mente.
«Devo dire che però ci assomigli a Beyoncé! Hai talento!» continuò Ellie sfottendomi.
Un altro sprazzo di serata mi tornò in mente: stavo cantando “Single Ladies” e Logan mi fissava divertito. Oh  nononono! Perché a me?!
«Comunque stavo dicendo, - riprese lei senza rendersi conto del mio dramma interiore – è colpa mia se hai dormito sul divano: ti ho dovuto trascinare dalla macchina fino in camera, siamo arrivate in camera sane e salve ma io non avevo più forze, quindi ho dovuto lasciarti in salotto. Scusa.» concluse un po’ dispiaciuta uscendo dalla doccia avvolta in un asciugamano.
«Questo è il mio problema minore. – minimizzai con la mano e continuai sbraitando in preda al panico – Mi sono resa ridicola davanti a tutti!»
«Oh no, ti hanno applaudito tutti. Anche Logan ha apprezzato!» esclamò facendomi l’occhiolino.
Cosa?! Ed improvvisamente una frase si impossessò della mia memoria: “Hai dei bellissimi occhi”.
Non potevo averlo detto davvero! Che idiota! E lui cos’avrà risposto? C’era un ricordo che mi balenava in testa, ma era talmente confuso che non riuscivo a capire se fosse solo un sogno o se fosse successo davvero: mi pareva di sentirgli dire “Anche tu, Samantha.”, ma sicuramente mi sbagliavo.
In ogni caso avrei dovuto evitarlo il più possibile dato che sicuramente mi avrebbe preso in giro o fatto domande su quello che gli avevo detto. E così feci: la settimana seguente mi concentrai sullo studio, sullo stage e su Kevin, che avevo sentito quasi ogni giorno. Purtroppo non avevamo potuto vederci perché lui era dovuto partire per un evento modaiolo in Europa, quindi avevo avuto tutto il tempo per studiare, riposare e dimenticarmi di quel disastroso fine settimana.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


POV Logan


Finalmente era arrivato il fine settimana! Non ne potevo più di lavorare tutte le sere e, fortunatamente questo weekend non dovevo lavorare, visti gli straordinari che avevo fatto la settimana prima. Fu con questi pensieri che mi svegliai quel sabato mattina.
Mi alzai svogliatamente, come al solito, e mi avvicinai alla finestra da cui si vedevano solo file di immensi palazzi. Mi sarebbe proprio piaciuto avere una bella vista sullo skyline, da dove al tramonto avrei potuto fare foto fantastiche o impressionare ragazze dalla lacrima facile, però purtroppo non ero così fortunato, ma comunque il mio appartamento senza vista mozzafiato mi andava più che bene. Ero indipendente e questa era l’unica cosa importante.
Constatai che pioveva a dirotto e già solo questo fatto mi fece incupire. Ho un giorno libero nella mia vita e piove. Un classico, brontolai tra me e me.
Andai in cucina e vi trovai Jason intento a prepararsi un toast.
«Jas, ma com’è che ogni volta che ti vedo a casa sei in cucina?!» dissi prima di strappargli la fetta di pane che stava imburrando e ficcandomela in bocca.
«Che cazzo, Logan!» sbuffò.
«Buono, ti era venuto molto bene.» risi ingoiando quel poco che rimaneva del toast e facendolo infuriare ancora di più.
«Questa cucina non è un ristorante e io non sono il tuo chef personale!» sbraitò.
«Sembri mia madre.»
«Se così fosse forse mi daresti ascolto. Sono le 11, non potevi alzarti prima? Non hai niente da fare oggi?»
«Seriamente Jason, dacci un taglio. Com’è che sei così incazzato stamattina? Di solito questa è la mia parte. E non dirmi perché ti ho rubato la colazione.» Lo vidi sospirare e poi passarmi una tazza di caffè mentre mi si sedeva di fronte.
«A parte che non è praticamente più mattina ormai, ma comunque perché dovrei essere incazzato?! Mi hanno solo chiamato dal lavoro perché c’è una “cosa urgente” che devo sistemare per stasera, la ragazza con cui sto cercando di uscire è praticamente una sconosciuta dato che non troviamo mai un momento per vederci, tranne che tra una lezione e l’altra all’università e tu non ci sei mai quindi non so quand’è stata l’ultima volta che mi sono fatto quattro risate. Non ho motivi per essere giù di corda.» e così dicendo si afflosciò sul tavolo prendendosi la testa tra le mani.
Effettivamente non aveva tutti i torti: quella settimana avevo lavorato spesso e avevo seguito spesso i corsi pomeridiani dell’università, mentre al mattino dormivo fino a tardi perché ero stanco morto.
«Mi dispiace Jason, hai ragione. Non sono quasi mai a casa e quando ci sono dormo.» Mi guardai intorno per un momento ed esclamai come colpito da un’illuminazione: «Questa casa fa schifo.»
C’erano cartoni della pizza e del take away del ristorante qui all’angolo sparsi ovunque, le lattine di birra erano impilate sul tavolino del salotto e il lavello era pieno di piatti da lavare. Per non parlare dei muri, erano ancora sporchi di colore dopo la festa del mese scorso: io e Jason avevamo infatti la brillante idea di dare una festa fluo direttamente a casa nostra. Pensavamo di aver dato il party del secolo, avevamo coperto quasi tutte le superfici con teli trasparenti di plastica e avevamo tolto i soprammobili; l’unico problema era stato che la gente non si era accontentata di versarsi addosso i colori, ma li spargeva per le stanze, imbrattando i muri, quindi tutte le stanze tranne la mia e quella di Jason (dato che le avevamo chiuse a chiave) erano state ridipinte.
«Oh, sembri caduto dalle nuvole. Certo che fa schifo, mi hanno triplicato il lavoro in officina, sono arrivate un sacco di macchine da sistemare visto che il primo freddo ha già fatto vittime di motori e non riesco a pulire nulla. Tu idem e quando sei a casa dormi.»
«Beh, sai cosa ti dico? Ho intenzione di far tornare questa casa perlomeno decente. Voglio ripitturare i muri.» Non so come diavolo mi venne in mente, ma non appena mi resi conto di quello che avevo detto capii che l’idea non mi dispiaceva affatto. Amavo disegnare e anche se non ero solito dipingere sui muri volevo provarci.
«Sei impazzito?» Jason alzò la testa e mi guardò con gli occhi spalancati.
«No, ho solo tempo libero. Non lavoro questo weekend e non ho nemmeno corsi da seguire.»
«E non vai a rimorchiare?»
«Naah, per questa settimana ho già fatto il pieno.» dissi facendogli l’occhiolino divertito. Lui scoppiò a ridere e poi alzandosi disse: «E va bene. Torniamo agli antichi splendori. Finisco la macchina per stasera e torno a casa. Per le due dovrei tornare, così ti do una mano. Dici che finiremo entro stasera? Domani devo vedere Ellie, finalmente!»
«Non saprei… C’è un po’ da fare e ho un progettino carino per il salotto.» alle mie parole Jason si rabbuiò e borbottò qualcosa a proposito che avrebbe disdetto con la ragazza. In quel momento mi sentii in colpa. Non volevo che sacrificasse l’unico giorno in cui poteva vedere Ellie per una malsana idea che mi era venuta in quel momento.
«Jason, non ti preoccupare. Esci con lei domani, se per caso non riuscissimo a finire oggi domani faccio da solo.» Lui parve riflettere poi d’un tratto esclamò: «Potrei chiederle di venire qui ad aiutarci! Si divertirebbe in mezzo ai colori e poi potremmo uscire per cena io e lei. Ti dispiace?»
Fantastico. «Okok, Romeo. Basta che non roviniate il mio piano per avere un salotto strafigo. No lamentele, no distrazioni, non mi dovrete stare tra i piedi con i vostri sbaciucchiamenti. Ci stai?»
«Ci sto, cinico stronzo.» sorrisi di sbieco e poi mentre stava uscendo dalla porta gli urlai dietro: «Appenderò un cartellone di benvenuto per Ellie! Vado a comprare anche i palloncini!»
Come risposta ottenni solo un “vaffanculo” smorzato dal tonfo della porta che sbatteva.
Portava la ragazza a casa e non solo per farsela. C’era dentro fino al collo, pensai scuotendo la testa. E bravo il mio ragazzone.

Qualche ora dopo mi ero sbarazzato della sporcizia che c’era in casa e avevo lavato tutti i piatti e ripulito la cucina. Mi sentivo davvero soddisfatto di me, anche se già stanco morto. Pensai al mio progetto per il muro del salotto e subito mi tornò l’eccitazione di stamattina: mi misi la giacca di pelle, presi il casco e le chiavi della moto e mi fiondai giù dalle scale.
Mentre percorrevo la strada che mi separava dal grande magazzino in cui stavo andando feci la lista delle cose che mi servivano, tra cui teli di plastica per coprire tutti i mobili e vari colori. Mi maledissi subito perché preso dalla foga non avevo minimamente pensato a come trasportare tutto a casa, visto che non potevo portare tutto sulla moto. Maledizione. Prenderò solo le cose che riesco a portare e chiamerò Jason perché passi a prendere il resto, pensai mentre parcheggiavo la moto.
Entrai nel grande magazzino e una ventata d’aria calda mi piombò addosso. Dovevano già aver acceso il riscaldamento nei locali e per me era veramente troppo presto.
Ancor più incazzato di quando ero entrato mi diressi a passo svelto verso il reparto “vernici” così da scegliere i colori , ma appena superai una corsia che esponeva articoli di bricolage mi sentii chiamare.
Mi girai e mi trovai di fronte a dei folti riccioli neri. Jessica.
«E così sei proprio tu eh, Logan?» disse scrutandomi dall’alto al basso maliziosamente.
«Ciao Jessica. Non mi aspettavo proprio di trovarti dentro un negozio di ferramenta.»
«Neanche io, eppure eccoti qua. Non ci vediamo da aaaanni.» disse strascicando la parola “anni”.
«Non sono anni, Jessica. È solo qualche mese, sfortunatamente.»
«Oh Logan, sei ancora arrabbiato con me?» disse tentando di apparire dispiaciuta dalla mia affermazione.
«No, non me ne frega più un cazzo di te.» sputai tra i denti. Mi faceva ancora imbestialire come un tempo.
«Ah, ah, ah, Logan. Non dire le bugie. – esclamò avvicinandosi e picchiettandomi sul petto con l’unghia laccata di rosso – Se non ti importasse di me ora non saresti così… Turbato?» concluse con un sorrisino sbilenco.
«Il mio umore non è un tuo problema.» ribattei scostandomi.
Stava per rispondere quando un uomo spuntò alle sue spalle attirando la sua attenzione.
«Ho trovato tutto, tesoro. Possiamo andare.» disse quest’ultimo a Jessica, poi si accorse di me e mi fece un sorriso di circostanza, che non ricambiai. Era questa la sua ultima conquista?! Non avrei dovuto stupirmi, rispecchiava perfettamente lo stereotipo di Jessica: tutto infiocchettato e tirato a lucido. Sprizzava ricchezza da tutti le parti.
«Richard, lui è Logan, un vecchio amico. Logan, lui è il mio fidanzato, Richard. Siamo qui perché lui deve comprare alcuni pezzi di ricambio per la nostra barca.» e così dicendo, Jessica non mancò di scoccarmi un’occhiata d’intesa.
«Ma non mi dire. È una vera fortuna che tu abbia trovato un uomo così facoltoso, Jessica.» calcai sulla parola “fortuna” sarcasticamente. Infatti lei li cercava tutti così, gli uomini. Io probabilmente ero stato solo un’eccezione di poco conto.
Richard non parve capire la mia frecciatina e si voltò sorridente verso la sua fidanzata che però aveva gli occhi puntati su di me. Povero illuso. Mi dispiaceva per lui, sembrava davvero innamorato di lei da come la guardava, ma sapevo che non era ricambiato. Lei non amava nessuno se non sé stessa.
«Ora devo andare, ci si vede in giro.» dissi voltandogli le spalle ancor prima che potessero rispondermi.
Mi allontanai da loro e andai a comprare le cose di cui avevo bisogno, come se l’incontro non fosse mai accaduto. Mi comportai come se non mi avesse sconvolto trovarla di fronte a me e come se non fossi incazzato col mondo. Decisi che non poteva rovinarmi la giornata e che non potevo più lasciarle controllare il mio umore, quindi ignorai del tutto l’accaduto e tornai a casa rivedendo nella mente quello che avevo intenzione di dipingere in salotto.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


POV Logan


Arrivai a casa e scrissi velocemente un messaggio a Jason, dicendogli di passare dal negozio prima di tornare a casa per prendere le cose che servivano dato che io non ero riuscito a portarle tutte.
Mentre lo aspettavo coprii tutti i mobili e misi dello scotch sugli interruttori della luce e sulle porte per evitare di sporcarle di colore, poi mi buttai sul divano e disegnai uno schizzo di quello che avevo intenzione di dipingere sul muro di fronte a me.
Qualche minuto dopo guardai lo schizzo finito e mi gasai ancora di più: era venuto proprio bene. Ora avrei dovuto solo trasportarlo sul muro… Più facile a dirsi che a farsi.
«Vieni ad aiutarmi!» Alzai di scatto la testa e vidi Jason sulla porta con in mano un sacco di roba per pitturare e le chiavi ancora appese alla toppa della porta.
«Scusa Jas, non ti ho sentito aprire.» dissi andando ad aiutarlo.
«Me ne sono accorto! Cosa stavi facendo?»
«Facevo lo schizzo per il salotto.» risposi trascinando dentro i vari colori e i secchi dove avremmo fatto i vari mix.
«Prima che tu me lo chieda, Jason, no. Non ho intenzione di dirti o farti vedere cos’ho intenzione di disegnare.» e così dicendo sbattei la porta dietro di me. Avevo portato dentro tutto: secchi, colori e rulli per verniciare.
«Devo ricordarti che è anche casa mia, Log?! Non voglio ritrovarmi con una donna nuda dipinta sul muro, oppure un disegno di uno strano alieno, visto le cose che ti piacciono.»
Sentii Jason ma lo ignorai:  continuavo a guardarmi intorno per capire cosa mancasse. Ero SICURO di aver comprato più cose, poi all’improvviso mi illuminai.
«Dove sono i pennelli di varie grandezze? Sono sicuro di averne comprati almeno cinque diversi… Li hai dimenticati in macchina?» gli chiesi a macchinetta. Quando però lo guardai in faccia capii che la risposta non mi sarebbe piaciuta per niente.
«Allora… So che li avevi presi ma…»
«Jason, dillo e basta.» vidi che continuava a tergiversare, poi come colpito dall’illuminazione divina esclamò: «Li porta Ellie!» Rimasi un momento interdetto. Tutto qui?
«Okay Jas. È stato facile, hai visto? Mi basta averli, chi li porta o chi li compra non mi interessa.» e così dicendo mi avviai verso camera mia per mettermi dei vestiti vecchi perché già sapevo che mi sarei sporcato.
«Logan senti, c’è una cosa che però volevo dirti…» continuò Jason mentre ero già in corridoio.
«Sì sì, torno subito. Vado a cambiarmi, poi mi dici.» e così dicendo chiusi la porta di camera mia e mi spogliai per trovare qualcosa da mettermi.
Cercai in fondo all’armadio, dato che non usavo quei jeans da anni: ormai erano sbiaditi e abbastanza larghi, quindi ne avevo comprati di nuovi. I miei sospetti erano fondati: li trovai in un angolo dell’armadio, tutti stropicciati per la poca attenzione con cui li avevo messi via tempo fa. Li infilai e presi una t-shirt bianca con uno strappo sul bordo inferiore e uno nel collo, come se l’avessero strattonata: chissà come avevo fatto a ridurla così.
Ancora contemplando la maglietta e a dorso nudo uscii nel corridoio e iniziai a dire : « Jason, ma come ho ridotto questa t-shirt in questo stato?»
«Ciao anche a te, Logan.» Alzai gli occhi di scatto: Ellie e la sua amica erano proprio davanti a me che mi fissavano sorprese.
«Ma cosa ca…» Jason non mi diede il tempo di finire la domanda e mi interruppe dicendo «Stavo per dirtelo, ma non mi hai lasciato finire. Samantha ha detto che poteva prestarci i pennelli che le ha lasciato suo padre, quindi l’ho invitata ad unirsi a noi.»
«Tu cosa?!» sbottai io.
«Logan senti…» cominciò Jason, ma questa volta fui più veloce di lui e non lo lasciai finire.
«No senti tu. Ho chiesto no lamentele, distrazioni, sbaciucchiamenti. Erano le mie uniche condizioni e in due secondi si sono materializzate tutte davanti a me.»
«Stai tranquillo, non ho nessuna intenzione di  sbaciucchiarti. Né oggi, né mai.» prese la parola Samantha sentendosi tirata in causa. Mi voltai verso di lei e vidi che, nonostante le braccia incrociate sul petto per darsi un tono, in realtà non riusciva a smettere di fissarmi con uno sguardo interdetto. Sogghignai tra me e me.
«Da come mi stai fissando ora non si direbbe. – dissi spavaldo facendole l’occhiolino – Ma comunque quella condizione era per Jason ed Ellie. Tu, invece, ricopri perfettamente le altre due, soprattutto la questione “lamentele”.» conclusi con un ghigno. Lei sbuffò e distolse lo sguardo, probabilmente perché avevo ragione.
«Logan, devi sempre essere così stronzo?» sospirò Ellie. In quel momento tutti ci girammo a guardarla: io troppo shockato che qualcuno avesse il coraggio di parlarmi così, mentre Jason e Samantha la guardavano con un misto di sorpresa e orgoglio. Cos’era, una coalizione contro di me?!
«Giuro che ti aiuteremo, saremo bravi e non ti daremo fastidio.» continuò poi lei guardandomi con un finto broncio. Non potevo credere a me stesso, quella ragazza mi stava veramente simpatica e non del tipo “voglio farmela”, ma del tipo “diventeremo grandi amici”.
«Sappi che se non rispetterete quello che hai detto me la prenderò con te, Ellie.» dissi fintamente serio con le braccia incrociate sul petto.
«Evvai!» esclamò lei agitando un pugno in aria e facendo un piccolo saltello.
«Incredibile.» Jason alternava lo sguardo tra me e lei e scuoteva la testa incredulo. Penso che in quel momento lui capii che lei era la ragazza perfetta per lui, o almeno, io lo credetti.
«Okay, quindi che si fa?» Ed ecco la mia rottura di palle personale. Mi infilai la maglietta e mi diressi verso i secchi dei colori. «Si pittura.»
«Ellie ed io facciamo il corridoio.» disse Jason scoccando un’occhiata d’intesa ad Ellie. Sbuffai. Mi sarebbe toccato istruire la piccola smorfiosa, addio pace.
«Va bene.» accordai.
«Di che colore lo facciamo, Log?»
«Perché lo chiedi a lui? La casa non è anche tua?» chiese Samantha. Vedete? Faceva di tutto per farsi odiare da me. Perché doveva essere sempre così impertinente e ficcanaso?! Non poteva semplicemente ascoltare  e fare quello che le si diceva, per una volta?! Stavo per sbottare e dirglielo senza troppi giri di parole, ma Jason mi precedette.
«Logan è l’artista, tra i due. Io non sono un granché ad accostare i colori o a fare opere, lui invece è bravissimo.» Grazie tante per l’ulteriore carico di domande che mi farà Samantha, Jason.
Infatti, non appena lui finì di parlare mi sentii gli occhi verdi di Samantha addosso.
«Non cominciare neanche, bambolina. Non ho tempo per rispondere alle tue domande, adesso. Cominciamo a darci da fare; il corridoio lo facciamo grigio.» E così dicendo iniziai a mischiare la vernice bianca e quella nera in un secchio. Sarebbe stata una lunghissima giornata.


Spazio Autore
Ciao a tutti!
Allora, innanzitutto vorrei scusarmi perché inizialmente pubblicavo ogni capitolo puntualmente, mentre adesso, spesso, posticipo l'aggiornamento...
Vorrei anche dire che, dato che ho trovato lavoro (Finalmente!) avrò molto meno tempo per scrivere, quindi il mio piano è di pubblicare un capitoletto ogni due settimane... Spero vivamente di riuscirci!
Poi vorrei ringraziare tutti voi lettori silenziosi che leggete la mia storia e anche tutti coloro che hanno messo Scontro col Destino tra le storie seguite, veramente, GRAZIE!
Un ringraziamento speciale va Diction: senza di te non esisterebbe nessuna storia. Grazie per avermi spronato a continuarla e per leggere e rileggere i miei capitoli prima della pubblicazione. I tuoi consigli sono preziosi, ti voglio bene, C.
Infine vi dico che la storia è scritta in un modo che non mi piace, per colpa dell'html, che sto cercando di imparare ad usare. Appena avrò un po' di tempo modificherò i capitoli, facendoli diventare più "leggibili" esteticamente parlando. ;)
Detto questo penso di aver finito! Ancora grazie.
Bacioni,
T.

PS: Se volete seguire la storia sappiate che sto iniziando a pubblicarla anche su Wattpad. ;)

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


POV Samantha


Rimasi lì impalata a fissare Logan mischiare i colori, con un sacco domande nella testa: Era un artista? Cioè un pittore? O faceva altro? Da quanto tempo? Di certo non me l’aspettavo e lui non lo sembrava. O forse ero solo io che avevo stereotipi troppo banali legati alla categoria “artisti”, tipo vestiti coloratissimi e appariscenti, esattamente il contrario di Logan che vestita solo di nero o jeans. Dovevo proprio smetterla di farmi influenzare dai libri che leggevo o dai film non impegnativi che guardavo ultimamente.
«Ehi, sento gli ingranaggi del tuo cervello girare. Questo vale come “distrazione”.» Logan interruppe malamente il corso dei miei pensieri, che effettivamente stavano degenerando.
«Mi dispiace interrompere la sua creazione, maestro.» dissi sarcasticamente. Magari a forza di mandare frecciatine mi avrebbe svelato alcune risposte alle mie domande: era un piano astuto. Mi diedi mentalmente il cinque da sola. Sì, stavo degenerando.
«Divertente. Facciamo così, - e così dicendo si voltò un poco per guardarmi in faccia, sempre però stando accucciato vicino ai secchi – puoi farmi una sola domanda e ti risponderò sinceramente. Poi però la smetti di fare  Sherlock Holmes in gonnella tentando di estorcermi informazioni in modi banali e cominciamo a lavorare. Affare fatto?» Okay, forse il mio piano non era poi così brillante.
«Affare fatto. E comunque non stavo cercando di estorcerti nulla.» Negare sempre era diventato il mio motto.
«Come vuoi, allora la domanda? Il tempo sta scadendo.» Dovevo giocarmela bene dato che ne avevo a disposizione solo una. Ci pensai un momento e poi dissi: «Come hai iniziato a dipingere?»
Con questa domanda sperai di ricevere più informazioni, dato che lui non aveva parlato di pittura, fotografie, disegni o altro.
La domanda sembrò colpirlo perché in quel momento si alzò e fece qualche passo verso di me incrociando le braccia al petto e scrutandomi per qualche attimo.
«Perché lo vuoi sapere?» mi domandò continuando a scrutarmi.
«Hai detto che avresti risposto sinceramente, ma non lo stai facendo.» Sviai volutamente la domanda, perché non sapevo neanche io il motivo di quello che avevo detto. Forse volevo solo conoscerlo meglio, capire perché fosse così stronzo, se fosse davvero così o se quella fosse solo una maschera. Ma poi maschera per cosa? E avrei potuto scoprire tutte quelle cose da una semplice domanda sul suo passato? Probabilmente no, allora perché mi stavo facendo così tanti prob…
«Ehi! Okay ti rispondo! Basta che smetti di fare così.» esclamò Logan indicandomi con la mano.
Dovevo avere un grosso punto interrogativo dipinto sulla fronte perché lui continuò dicendo: «Ti estranei completamente dalla realtà quando pensi. Non sei più qua davanti a me, sembri in un mondo tutto tuo. E non ascolti nemmeno quello che ti si dice: io avrei potuto benissimo averti già risposto che tu nemmeno te ne saresti accorta.»
Ero impressionata: aveva ragione su tutta la linea e aveva capito tutto questo solo guardandomi qualche momento. Cercai di non farglielo capire minimizzando con una mano: «Non è vero, ero solo sovrappensiero. Sto ancora aspettando.»
«Come ti pare. Ho iniziato a disegnare alle elementari. Ad un certo punto ho perso interesse per tutte le cose che mi spiegavano e l’unico modo per non pensare era disegnare. Da quel momento non ho mai smesso. So che disegnare su un muro non è la stessa cosa, ma tentar non nuoce. Contenta?» concluse sospirando. Ero veramente colpita e sicuramente ancora più curiosa di prima.
«Quando e perché hai perso interesse alle cose che ti succedevano intorno?» chiesi senza neanche pensare.
«Nono. Non erano i patti. Ti ho già detto anche troppo e poi io non sono uno dei tuoi palloni gonfiati da intervistare, spiacente.» e così dicendo prese i secchi della vernice e si avvicinò al muro senza nemmeno degnarmi di uno sguardo. Era davvero arrabbiato: gli avevo fatto una domanda personale e lui aveva mantenuto la promessa aprendosi, ma poi la mia curiosità ha dovuto rovinare tutto come al solito. La giornalista che è in me non ha saputo trattenersi e l’ho trattato come se neanche avessi ascoltato quello che mi aveva detto, come se non avessi capito quanto gli fosse costato parlarmene. Complimenti, Sam. Acuto intuito.
Mi avvicinai a lui che ormai aveva già iniziato ad imbiancare la parete dietro la televisione con uno dei miei pennelli.
«Logan, senti…» spostai il peso da un piede all’altro non sapendo bene continuare, ma lui sembrò non sentirmi nemmeno.
«Mi dispiace. Scusa.» sputai fuori tutto d’un fiato. Solo in quel momento vidi che abbassava il braccio con cui stava dipingendo e rilassava le spalle.
«Ti stai scusando con me? Wow. Sono di nuovo sorpreso.» disse voltandosi completamente verso di me e guardandomi negli occhi.
«Sì. Faccio sempre un passo indietro quando mi rendo conto di aver sbagliato e con te l’ho fatto, quindi scusa. La giornalista che è in me non è riuscita a trattenersi, ma non devo scrivere un articolo su di te. Ero semplicemente curiosa. Ma un patto è un patto. Dimmi cosa devo fare per pitturare.» dissi con un sorriso, abbandonando per un po’ la mia parte acida che in questi giorni era piuttosto frequente.
anche Logan sembrò seppellire l’ascia di guerra, perché mi fece un mezzo sorriso sbilenco che mi fece perdere qualche battito. Perché questa reazione? Non ebbi il tempo di rifletterci perché lui mi indicò con un braccio i pennelli sul tavolo e disse: «Prendi quello più grande: dobbiamo imbiancare la parete prima di poterla ripitturare.»
«Agli ordini» dissi imitando un gesto militare. Mi voltai  e feci quello che mi aveva detto, dopodiché mi avvicinai a lui e intinsi il pennello nella pittura bianca: adoravo l’odore della vernice, mi faceva ripensare a quando io e i miei genitori avevamo comprato una nuova casa. Avevo all’incirca sei anni e volevo a tutti i costi aiutarli a pitturare le nuove pareti, ma a quell’età ci si annoia facilmente ed infatti dopo qualche pennellata avevo deciso che era molto più divertente arrampicarmi sull’impalcatura che mio padre aveva costruito per arrivare al soffitto e immedesimarmi in una scimmia. Riuscivo ancora a sentire mia madre che mi implorava di scendere e mio padre che mi sorrideva scuotendo la testa.  Ah, papà.
«Comunque accetto le tue scuse.» fu la voce di Logan che mi riportò con i piedi per terra.
«Pensavo fosse sottinteso.» dissi facendogli l’occhiolino. Facendogli l’occhiolino?! Seriamente, Sam?!
Sentii la sua risata profonda e non potei far altro che girarmi a fissarlo imbambolata con il pennello a mezz’aria.
«Beh, sappi che la prossima  volta che mi farai arrabbiare non sarà così facile farti perdonare.» Stava per caso flirtando con me?
«Lo terrò a mente.» dissi riprendendo a dipingere.

Mezz’ora dopo la parete era bianca e splendente: Abbiamo fatto proprio un buon lavoro, constatai mentre la guardavo a braccia conserte.
All’improvviso sentii la voce squillante della mia migliore amica alle mie spalle: «Ed ecco un nuovo record!»
Mi voltai divertita e trovai lei e Jason che guardavano me e Logan con un’espressione soddisfatta: davvero non capivo, ma per fortuna il mio “partner per la giornata” chiese al mio posto di che diavolo stavano parlando (testuali parole!).
«Beh non abbiamo sentito urla e siete ancora entrambi tutti interi, ciò vuol dire che siete stati per quasi un’ora senza litigare!» Ormai Ellie aveva gli occhi a cuoricino guardandoci.
«Non esattamente, - ammise Logan scoccandomi un’occhiata – ma abbiamo risolto senza troppa fatica. Stiamo trovando un equilibrio, penso.»
«Era anche ora! Non se ne poteva più di voi due in guerra come gli USA e la Russia!» sbottò Jason facendo ridere tutti.
«Io ero sicuramente l’America.» dissi soddisfatta.
«Ah no eh! Io sono nato qui, quindi ero io l’America. Poi tu sei fredda come la Russia, quindi era perfetta per te!» concluse un Logan sbruffone.
«Come osi?!» dissi puntandogli un dito contro.
«No dai ragazzi! Non volevo farvi ricominciare!»
«Okay okay, sentite riporto Jason in corridoio, a questo punto il bianco si sarà asciugato.» Ellie tentò di recuperare la pace tra me e Logan, poi disse rivolta a Jason: «Certo che tu proprio non riesci a stare zitto, vero?!»
Logan ed io scoppiammo a ridere non appena i due furono spariti dalla nostra visuale: in quel momento riuscii a notare cose di lui a cui non avevo mai fatto caso, per esempio che quando rideva di gusto gli spuntavano le fossette ai lati delle labbra o che gettava la testa all’indietro, lasciandosi andare come un ragazzino.
«Mi stai fissando, di nuovo.» A quelle parole mi ricomposi immediatamente, ma era troppo tardi: un sorriso beffardo aveva preso il posto delle fossette e Logan mi guardava impertinente.
«Assolutamente no. Ero sovrappensiero, di nuovo.»
«Guarda che non mi da fastidio, però dovresti ammetterlo.» disse strizzandomi l’occhio e avviandosi verso un’altra parete da imbiancare. Stronzo presuntuoso.
Lasciai cadere la questione senza rispondergli, perché sapevo che sarebbe andato avanti fino a quando l’avrebbe avuta vinta e io non intendevo accontentarlo o ingigantire ancora di più il suo ego già smisurato.
Cominciammo a dipingere e dopo qualche minuto di religioso silenzio iniziai a sentirmi a disagio e anche un po’ annoiata. Non perché volessi parlare con lui personalmente, ma dato che era l’unica persona presente nella stanza mi sarei accontentata… giusto? Era per questo motivo che mi stavo facendo un sacco di domande su di lui e che stavo cercando qualcosa da dire, qualsiasi cosa. Penso. Spero.
«Ci vorrebbe un po’ di musica.» sbottai senza pensare.
«Mh, hai ragione. Ho dovuto staccare la televisione per spostarla al centro della stanza e non abbiamo una radio.» rispose lui pensieroso. Poi improvvisamente riprese con una strana luce negli occhi: «Però... pensandoci bene abbiamo qui con noi una cantante internazionale, di fama mondiale, giusto Beyoncé?!»
Non appena finì di pronunciare la frase diventai paonazza per l’imbarazzo: si ricordava della mia performance musicale di una settimana fa. Mi sentii male.
«Adesso arrossisci?! Non ce n’è motivo! Abbiamo visto tutti la tua bravura, non sei neanche male come ballerina!» continuò lui ammiccando.
Dopo il momento di imbarazzo il mio cervello sembrò finalmente riprendersi e scattare sulla difensiva: «Smettila! Ho solo bevuto qualche bicchiere di troppo, succede a tutti.»
«Oh certo certo! – Continuò lui sghignazzando – Com’è che facevi? I’m a single lady, I’m a single lady!» esclamò intonando qualche parola della canzone e cercando di imitare malamente la mia voce. Non potevo crederci!
«Vaffanculo Logan! Non facevo così!» Cercai di difendermi, ma questo servì solo a peggiorare la situazione perché Logan iniziò anche ad imitare quello che secondo lui era stato il mio balletto, al che non resistetti più e lanciai il pennello nel secchio di pittura, infuriata. Feci centro, ma nel farlo schizzai completamente Logan che era a pochi passi dal secchio. Questo sembrò spiazzarlo per qualche secondo: aprì un po’ le braccia e si studiò attentamente i vestiti, cercando di calcolare il danno. Io rimasi immobile con le mani sulla bocca che avevo spalancato non appena avevo realizzato il disastro, aspettavo solo la reazione di Logan, che, lo sapevo già, non mi sarebbe piaciuta.
Lui si riprese dallo shock iniziale e puntò i suoi occhi azzurri su di me: «TU. QUESTA È LA TUA FINE.»
«Logan, oddio, mi dispiace, davvero! Non è stato intenzionale, te lo giuro!» Ma lui ormai non mi ascoltava più: lo vidi intingere il pennello completamente nella vernice e fissarmi come un leone guarda la sua preda. Capii al volo le sue intenzioni e iniziai ad implorarlo: «Nono, ti prego, Logan, non farlo. Per favore.» Ma lui si avvicinava sempre di più e in un secondo mi ritrovai completamente ricoperta da macchie bianche, come un dalmata al contrario.
«Così va molto meglio.» lo sentii dire soddisfatto.
«L’hai fatto apposta! Io no!» Senza pensarci due volte corsi verso il secchio di pittura a recuperare il mio pennello e lui scattò per precedermi, ma era troppo tardi: entrambi armati cominciammo una guerra di schizzi e spennellate sui vestiti tra grida e minacce.
Sentendo tutta quella confusione Jason ed Ellie si precipitarono in salotto e trovarono me e Logan sporchi  fino alla punta dei capelli.
«Ma che diavolo succede?!»
«Oh. Mio. Dio.» Ellie ci guardava allibita dalla porta del corridoio, stando ben attenta a non avvicinarsi.
«Logan, Samantha, avreste dovuto dipingere il muro, non voi stessi.» Jason in versione “papà arrabbiato” era molto credibile, probabilmente perché era abituato ai comportamenti di Logan, il quale non perse tempo a rispondergli: «Hai ragione, papà, ma ha cominciato lei.» E così dicendo finse un broncio infantile.
Jason sospirò rassegnato, ma in quel momento Ellie scoppiò a ridere e tutti ci voltammo a guardarla.
«Sapete, siete proprio una bella coppia voi due.»

 

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