Seicento Chilometri

di Mardy Paranoica
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Seicento Chilometri ***
Capitolo 2: *** Coming home ***



Capitolo 1
*** Seicento Chilometri ***


Storia scritta per il contest "Una Sfida, diversi autori" indetta dal gruppo Facebook "EFP Famiglia: recensioni, consigli e discussioni"! Prompt del gruppo 9,11,15: "Storia di qualcuno che ha preso una decisione importante sapendo che farà del male a qualcuno". Spero sia di vostro gradimento! Ci tengo molto a sapere cosa ne pensate... Se volete poi votarla potete farlo direttamente nel gruppo! Enjoy :) Emilia P.

 


 

“Seicento Chilometri”

 

Mario e Marco sono amici da quando hanno memoria.
Mario e Marco hanno un legame speciale, qualcosa di più di un'amicizia normale e qualcosa di diverso dall'essere fratelli.
Mario e Marco sono tanto uguali quanto diversi: Mario è scuro, non tanto alto, ha un sorriso perfetto e brillante mentre la Marco è il più grande tra i due, è pallido, magro al limite dell'anoressia e ha il naso storto; entrambi sono biondi ed entrambi condividono una passione che li ha legati indissolubilmente: giocano a calcio.
Lo sport più praticato in Europa, la più profana e banale religione sulla terra. Il calcio: inseguire un pallone, correre per buttarlo in rete contro ogni fenomeno atmosferico, nel fango dei campi di provincia e col rischio di prendersi i peggiori calci negli stinchi e i più creativi insulti alla propria madre.
Eppure entrambi vivevano per quello e lo vivevano insieme. Quando capitava di raccontare la storia della loro carriera sportiva sembrava una bugia, uno di quei racconti costruiti ad arte per un romanzo calcistico di bassa categoria: partiti da un campetto polveroso a sei anni, passati per leghe inferiori, ingiustizie, spogliatoi freddi e allenatori poco comprensivi erano, lo stesso, riusciti a far brillare il loro talento come un diamante nel fango del campo quando piove, lavorato per diventare da diamante grezzo a diamante perfetto e ritrovarsi lí, nella categoria più alta.
La Serie A: il sogno di ogni ragazzino; in Serie A con la stessa squadra di quando si è iniziato, la squadra della propria città e i colori che si hanno ormai stampati sul petto: l'utopia.
Il giallo e il nero che strisciavano le loro divise li avevano accompagnati forse, per quanto? Quindici? Sedici anni? E avevano avuto la possibilità di far risplendere anche quei colori con i loro gol, le loro giocate eccezionali.
"La coppia d'attacco migliore degli ultimi 10 anni" titolava un giornale, un giorno in cui faceva troppo freddo persino per pensare e nonostante questo loro erano a correre per allenarsi, uno di fianco all'altro presi a chiacchierare e ridere sull'ultima partita vinta, quella del sabato prima, e su quanto aveva cantato la curva i loro nomi.
Da ragazzini avevano fantasticato su queste giornate troppo tempo per lasciarle scorrere ora come se niente fosse e da sempre da ragazzini avevano realizzato una cosa.
Marco l'aveva realizzata in realtà, prima ancora di Mario;
Aveva realizzato che l'affetto che provava per Mario era estremamente morboso per essere solo bene fraterno, che era quel fastidio che provava nei confronti delle sue tante fidanzate forse era quasi gelosia e che bastava solamente che il più piccolo lo guardasse per mandargli a fuoco le guance e fargli tremare le gambe.
Ogni tanto si chiedeva anche se le farfalle nello stomaco fossero solo una trasposizione letteraria dell'innamoramento o se si provassero davvero perché quando Mario gli sorrideva un po' gli si contorceva la pancia.
Pensava di essere sbagliato, di avere qualcosa che non andava se ogni tanto gli cadeva l'occhio sul fondoschiena di Mario piuttosto che su quello delle ragazze che gli camminavano affianco, pensava anche di dover assolutamente dimenticare quelle condizioni perché Mario era etero (e anche lui pensava di esserlo) e soprattutto Mario era il suo migliore amico e non poteva certo mandare a monte tutto per un giro di ormoni un po' sballati... Fino a che non fu lo stesso Mario, il super eterosessuale, a prenderlo e baciarlo all'improvviso, senza motivo e senza preavviso durante una seduta di corsa (punitiva) nella quale in campo erano rimasti solo loro e le grida felici dei loro compagni che risuonavano dallo spogliatoio chiuso.
"Perché l'hai fatto?"
Era l'unica cosa che era venuta in mente a Marco dopo che il cuore aveva smesso di battergli così tanto forte da non farlo riuscire nemmeno a respirare.
"Per provare una cosa."
Mario sorrideva, correva quasi saltellando dalla gioia di non essere stato respinto e preso a calci e Marco gli correva dietro, letteralmente, cercando di capire cosa avesse in mente.
"Che cosa?"
"Provavo che se l'avessi fatto non mi avresti respinto.
Sai Marco, è un po' che ci penso."
Dall'alto dei suoi sedici anni Mario aveva capito che forse quel costante pensare al sorriso sghembo e un po' storto di Marco, ai suoi occhi verdi o alle sopracciglia che lasciavano che il viso assumesse una di quelle sue divertenti espressioni non era solo per amicizia o per simpatia. Pensare più a Marco che a Caterina, la sua ragazza del momento, gli aveva fatto realizzare che c'era un motivo se loro si trovavano anche a occhi chiusi, erano talmente compatibili da dire le stesse cose nello stesso momento o talmente simili da ritrovarsi a provare le stesse emozioni, gli stessi respiri e quel motivo era che non erano solamente una fantastica coppia d'attacco  ma erano anche una fantastica coppia di umani.
"Anch'io Mario."
E da allora tutto quello che era passato era passato addosso a loro, insieme, che lo avevano affrontato coprendosi le spalle a vicenda. I baci rubati erano cominciati ad essere più frequenti, nascondersi, prendersi, cercarsi, esultare insieme, abbracciarsi e dirsi cose sconce nelle orecchie, durante le foto di rito, così da rovinarle e farsi due risate sul fatto.
Una coppia segreta ma non abbastanza da sfuggire agli occhi di qualche compagno, anche se nel mondo nel calcio non ci si poteva esporre troppo.
Una parola, un gesto e si sarebbero auto-emarginati dalla possibilità di diventare qualcuno.
Ma alla fine a loro andava bene così, con gli anni erano cambiate tante cose: erano cresciuti, migliorati, cambiati positivamente rafforzando sempre di più quel legame che ormai era amore, il più strano e intenso dei sentimenti, ed erano arrivati insieme a grandi traguardi.
A vent'anni, ventuno, giocare in un grande stadio, davanti ad un grande pubblico, essere pagati con un grande stipendio e dividere lo spogliatoio con grandi campioni era stato qualcosa da non sottovalutare, per entrambi.
Quel mondo che sembrava così lontano e allo stesso tempo, ormai, così quotidiano, li aveva portati sulla vetta più alta della loro carriera troppo presto, o perlomeno così pensavano entrambi.
Giocare in serie A era stato un orgasmo ma giocare in Champions League? Una scossa elettrica, adrenalina, la droga più eccitante e dopante che esistesse: quella musichetta che riscaldava lo stadio, il patch stellato sul braccio, la gente che cantava il proprio nome e poi vincerle, per merito proprio, quelle partite... Qualcosa che non poteva essere descritto né a parole, né a disegni, nemmeno formulando un pensiero riusciva a sembrare qualcosa di concreto. Era questo che li aveva messi in una luccicante vetrina di cristallo: in esposizione.
Tutto il mondo li aveva visti quei due piccoli ma enormi gioielli del calcio, quelle due macchine perfette da gol e loro nemmeno se ne erano accorti, troppo presi ad amarsi e a godere di quei momenti.
E tutto il mondo li voleva, nonostante loro dichiarassero fortemente di voler restare a difendere il club che li aveva portati fin li.
Tutto girava attorno all'asse Marco-Mario. Il club, i goal, le risate dei loro compagni di squadra, il loro allenatore che li adorava come dei figli, le vittorie e i successi.
La promessa che tutto quello non sarebbe mai finito.
Marco se la ricorda una volta in cui, post-partita, una troup lo aveva ripreso mentre una giornalista smaliziata gli chiedeva se avesse sposato Mario se solo fosse stato donna e lui era arrossito violentemente, ridendo senza rispondere.
Avrebbe risposto di sì! Si, l'avrebbe fatto anche adesso, soprattutto adesso ma aveva preferito il tacito silenzio mentre sapeva che Mario lo stava aspettando in macchina pronto ad iniziare il weekend.
O quando semplicemente li avevano fotografati in vacanza insieme, ad Ibiza, qualche estate prima e a loro non era importato. Come non importava ogni volta che Mario lo stringeva forte dopo un gol o ogni volta che lo stringeva forte a letto, dopo aver fatto l'amore.
Marco non era nemmeno più geloso delle ragazze di Mario perché sapeva di essere il solo che amasse eppure non riusciva a trovare una copertura anche per se, accecato da Mario.
Mario, Mario ad allenamento, io e Mario usciamo insieme oggi, Mario vieni a cena da me?, Mario resta a dormire a casa mia, Mario, Mario, Mario, Mario passa che ce l'ho a tiro, Mario sei un vero campione.
E ogni giorno, fino dalla squadra dei principianti si promettevano che sarebbero rimasti insieme, nello stesso club, fino a che le gambe di entrambi avrebbero retto come una sorta di patto sulla fiducia, sull'onore e l'amore che provavano per loro e per quella città.
Qualsiasi cosa facesse Marco girava inesorabilmente attorno a Mario finché l'equilibrio perfetto che regolava le loro vite si spezzò dietro ad una notizia al telegiornale, che Marco sentì appena sveglio.
"Mario Gizze da luglio militerà nel Bayern Monaco per 37 milioni di euro, la notizia è stata ufficializzata dal Club e dal giocatore stesso nella rassegna stampa di questa mattina che ha firmato il contratto dichiarandosi entusiasta di questa nuova sfida.
Il suo club non ha potuto fare molto per trattenerlo in quanto la squadra di Monaco di Baviera sarebbe disposta a pagare tutta la clausola rescissoria."
Pensò di star ancora dormendo, pensò che fosse un orrendo incubo, cercò di farsi del male per svegliarsi da quella situazione  ma faceva già troppo male per essere solo un sogno che gli stava facendo perdere i battiti al cuore e i respiri dai polmoni.
Le parole del commentatore gli risuonavano in testa come un eco di morte mentre tremava immobilizzato. Mario l'aveva lasciato, avrebbe lasciato la sua casa, i suoi amici, la sua squadra e lui per un altro club, lontano forse 600 km o forse anche di più e soprattutto l'aveva lasciato senza dirgli niente. Si erano visti fino alla sera prima, avevano giocato per la coppa e si erano salutati a notte inoltrata con un bacio e tante carezze e non aveva avuto il coraggio di dirgli una cosa del genere, sicuramente ultimata tanto tempo prima.
Si erano visti anche le settimane prima, si erano visti e sentiti tutti i giorni e lui non aveva avuto il fiato di dirglielo, nemmeno per sbaglio.
Era questo che gli bruciava il fegato, lo stomaco, la gola.
Prese il telefono per confermare tutte le sue paure e non riuscì a fare altro che a buttarsi sul divano e a scoppiare in lacrime, senza riuscire a fermarsi.
Lacrimoni caldi e pieni di rimorsi e rancore scendevano sulle sue guance arrossate dal continuo strofinarle mentre cercava di controllare tutti i telegiornali sportivi che la TV satellitare offrisse nella speranza di sentirsi dire che quella era un'enorme cazzata e che Mario non li aveva traditi tutti, che lui non l'aveva lasciato e non aveva spezzato il suo giuramento e il suo cuore.
Era deluso, incazzato, incredulo e a pezzi. Come un vaso di porcellana caduto da un balcone al terzo piano: rotto irreparabilmente in mille pezzettini minuscoli.
Provò a chiamare Mario almeno per sentire con che coraggio gli avesse risposto ma Mario non era una persona coraggiosa e aveva staccato il telefono e Marco demorse dal chiamarlo, mettendosi addosso la prima cosa che aveva trovato in giro per casa ed uscendo a cercarlo. Davanti casa Mario aveva uno stormo di giornalisti appostati con le loro macchine fotografiche e i loro microfoni pronti a cogliere qualsiasi cosa fosse uscita ed entrata da lì e sicuramente lui era lì, troppo codardo anche per uscire e a Marco non importò della stampa, non gliene fregava niente per davvero questa volta, e se le foto che lui entrava di prepotenza a casa del suo compagno di squadra domani erano su tutti i giornali: anche meglio!
Fece quasi per suonare al campanello ma sapeva che probabilmente non gli avrebbe aperto nessuno allora non ci provò nemmeno, tirando fuori dalla tasca il mazzo di chiavi di riserva che Mario gli aveva dato qualche tempo prima ed entrò, immerso nel silenzio di quell'enorme casa.
Sentiva i suoi pensieri rimbombare nel bianco del corridoio vuoto: non sentiva nulla, nemmeno un sospiro, si trovò solamente il fedifrago amante davanti, sbucato fuori dal nulla come un fantasma, senza fare nessun rumore.
"Mario"
Fu l'unico suono che uscì dalla sua bocca impastata delle lacrime che risalivano i condotti lacrimali mentre l'altro stava zitto di fronte a lui, fermo a guardarlo con la faccia di chi aveva appena ucciso qualcuno. E in un certo modo qualcuno l'aveva ucciso per davvero.
"Mi dispiace..."
Questa fu l'unica cosa che si sentì dire il più grande e gli sembrò una grande presa per il culo: rise istericamente, si passò una mano tra i capelli e tornò a scrutarlo con gli occhi pieni di tristezza e la bocca curvata in una smorfia di dolore.
Di cosa gli dispiaceva? Di andare via? Di aver tradito la sua città e la sua squadra? Di lasciare i suoi compagni di una vita? Di lasciare lui? Di non avergli detto praticamente nulla?
"Di cosa?"
Mario era stato uno sciocco bambino e l'aveva capito adesso, era scritto a caratteri cubitali negli occhi verdi di Marco, arrossati forse dalle lacrime.
Era stato terribilmente egoista e nonostante avesse già pensato a quale sarebbe stata la reazione dell'unica persona che davvero contava per lui l'aveva fatto lo stesso. Vedersi offrire, a ventun'anni, un contratto plurimilionario in una squadra plurititolata era troppo per rifiutare e accettare senza pensare alle conseguenze era stato fin troppo semplice e naturale per una persona frivola come lui.
Non sapeva che dire, sul serio. Non aveva parole per spiegarsi, non aveva parole per difendersi, non aveva nemmeno parole per mentire perché Marco aveva davvero l'aria di una persona a cui anche mentire sarebbe stato inutile.
"Perché lo hai fatto! Anzi, no... Perché hai fatto questo a me! Perché non me l'hai nemmeno detto..."
Delirava, Marco, mangiandosi le parole e accentuando la sua solita erre moscia, roteando gli occhi e muovendosi nervosamente. Perché? Perché? Perché? Tanti perché nella sua testa roteavano vorticosamente senza una fine e un principio.
"Marco... Io... Sono stato uno stupido.."
"Lo so!"
Non era bastata la confessione balbettante di Mario, in totale confusione, a placare l'altro. Niente sarebbe bastato, nemmeno un impossibile ritorno al passato avrebbe potuto cambiare il corso di quella che era stata una tragedia di portata mondiale.
Nessuno l'aveva mai trafitto con una spranga uncinata ma se qualcuno l'avesse mai fatto probabilmente non avrebbe fatto così male quanto gliene stava facendo Mario.
"Avevi promesso che saresti rimasto."
Silenzio.
Imbarazzante e vuoto come lo spazio tra di loro, come nebbia.
Da lì a luglio come sarebbero stati gli allenamenti? Come sarebbe stato guardarlo in faccia tutti i maledetti giorni e pensare a quello che aveva fatto senza lasciarsi distrarre dai ridenti occhi color cioccolata, dal viso simpatico da ragazzino o dai suoi modi così... Da Mario. Quel Mario che conosceva da una vita e che l'aveva fatto innamorare.
"Lo so."
Ancora parole insignificanti che caddero nel vuoto.
"So anche che ho fatto una scelta e questa scelta mi avrebbe portato lontano da te. Non ci dormo la notte e non è una stronzata come sicuramente penserai. Resto sveglio a guardare il soffitto mentre già penso di essere lontano non so quanti chilometri a pensare a com'era bello stare qui al tuo fianco."
"Seicento."
"Seicento cosa?"
"Chilometri, Mario. Seicento chilometri, forse anche di più. Ci rivedremo una volta l'anno, se vorrò ancora farlo. Ma ti troverai alla grande a Monaco, la tua ragazza verrà con te, abiterete insieme e dormirai al suo fianco. Quando giocheremo contro faremo finta di abbracciarci e rispettarci come due grandi amici mentre io non vedrò l'ora di romperti una gamba perché tu hai rotto tutte le mie ossa, stamattina."
Il più giovane degludì rumorosamente. Marco non era capace di dire cattiverie nemmeno per scherzo ma quello era tutt'altro che uno scherzo e ora si sentì morire lui; si sentì uno sporco traditore del cazzo, una persona che davvero non merita nulla. Cercò di avvicinarsi a Marco ma lui si ritrasse, lasciando cadere dalle mani la sua copia delle chiavi di casa Gizze.
"Ciao Mario."
Il proprietario di casa non provò nemmeno a seguirlo, abbassando lo sguardo.
Era un codardo, piccolo e insignificante e aveva appena perso la persona più importante della sua vita per un pugno di fama e qualche milione di euro e ora si chiedeva se davvero, dopo tutto, ne fosse valsa realmente la pena.

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Capitolo 2
*** Coming home ***


 

In principio questa os, appunto, non aveva previsto un continuo ma da qualche mese avevo questo "barlume di lietofine" sul mio drive e oggi ho deciso di postarlo perché in fondo a tutti piace pensare che il destino esista e che ogni tanto ci dia delle seconde opportunità. 
Sulle note di "Coming Home". 
Mardy  

 

 

 


C'era una cosa che aveva realizzato da quando era partito.
Anzi, da prima. 
Tutto era cominciato quando aveva visto la faccia di Marco, il momento dopo l'annuncio: una maschera di delusione, sconforto, rabbia, tristezza e dolore. 
Da allora niente era stato più lo stesso, nemmeno i progetti che aveva una volta arrivato a Monaco, nemmeno più realizzare i suoi sogni – visto che i suoi sogni non erano più gli stessi. 
Sognava di diventare un campione, sognava una squadra di titani, sognava anche di essere allenato dal rinomatissimo catalano - a dirla tutta - e sognava come un normale ventunenne qualsiasi di andare via dalla città in cui era cresciuto per vedere nuovi posti e nuove persone. 
Aveva sognato tanto, Mario, senza fare caso alle cose reali, senza rendersi conto di aver ferito una città, una squadra e la persona più speciale che aveva nella sua vita. 
Era stato troppo giovane e troppo stupido per realizzare che oltre i soldi e la fama ci poteva essere dell'altro. 
C'era l'amore, l'affetto, la sua casa. 

Marco.

Da quando aveva messo piede per la prima volta a Monaco aveva desiderato poter tornare indietro al momento della firma e dire "No, resto a casa". Dallo stesso istante in cui l'aereo su cui volava era atterrato e lui doveva dirigersi verso la sede del Bayern. 
L'aveva quasi presa sul personale senza sapere con chi essere arrabbiato e aveva presenziato la sua presentazione con una maglia della diretta concorrenza degli sponsor ed era partito tutto col piede sbagliato.
Voleva, inconsciamente, rovinare tutto e farsi rimandare a casa come quando si finge di star male per tornare da scuola ma quella non era la scuola e ne, tantomeno, sarebbe riuscito in qualche modo a tornare a casa. 
E poi pensava a Marco, a come si erano lasciati e che gli aveva giurato di non volerlo vedere mai più ma ogni volta che chiudeva gli occhi, steso sul suo letto del lussuoso appartamento bavarese, sentiva le lacrime salirgli fino alle palpebre e gli costava un'immensa fatica tirargli indietro sentendo ancora il profumo dell'altro sulla pelle. 
Poi alcune cose sono cambiate, il tempo ha sanato delle ferite e ne ha aperte altre e più giorni scorrevano a Monaco più quello non era il posto dove voleva essere. 
Era una grande squadra ma non era la sua squadra. 
Era una bella città ma non era la sua città.
C'era tantissima gente ma non era la sua gente. 
Amici, compagni di squadra, conoscenti eppure nessuno che volesse davvero vicino.
Tanti infortuni, tantissime esclusioni, delusioni, perdita della forma fisica, perdita di valore, un'unica gioia in quel goal nel mondiale e poi altre stagioni di sconforto e la voglia di mollare tutto e chiedere la cessione. 
Cambiare nazione, squadra, persone, intollerante di tutto quello che lo circondava. Anche la sua povera fidanzata era diventata una parte ingombrante del fardello che lo circondava finché dopo tre anni e oltre mille giorni lontano da casa il destino ha voluto concedergli una seconda possibilità. 
Nella vita tutti sbagliano, non esiste persona che non si penta di qualcosa o di una scelta: tutti gli esseri in grado di pensare commettono degli errori e gli errori possono essere di due tipi ovvero imperdonabili o perdonabili. 
Il suo errore era abbastanza imperdonabile avendo tradito una curva e una tifoseria che lo aveva cresciuto e trattato come un gioiello e aveva tradito una persona che l'aveva messo prima di se stesso e che lo amava di più di chiunque avesse mai amato davvero ma credeva nel destino, Mario, e il destino gli aveva dato una seconda possibilità. 
Gli aveva concesso la chance di cambiare le carte in tavola e questa volta non l'avrebbe sprecata, avrebbe fatto di tutto per cambiare la scelta che ogni notte aveva sognato di non fare. 
E stava davvero tornando a casa, avrebbe voluto urlare al mondo che sì, lui stava tornando a casa!
Che la pioggia estiva avrebbe portato via le lacrime di tutti i giorni che aveva passato lontano e avrebbe lasciato uscire il sole ad asciugare la rugiada. 
E stava tornando, qualcuno lo aspettava e forse non era cambiato niente e forse era cambiato tutto ma stava tornando a casa. 
Non si era mai sentito così forte e invincibile, mai nel posto che lo aveva ospitato durante quei tre anni e tutti quei sogni e le sue speranze avevano di nuovo qualcosa di realistico. 
Niente più bugie, niente più menzogne: stava tornando nel luogo a cui apparteneva.
Ma una casa è una casa vera solamente quando c'é qualcuno ad aspettarti e forse qualcuno c'era ancora. Marco era impulsivo ma non stupido. 
Aveva pianto anche lui la sua mancanza, non si era riuscito a togliere dalla mente l'immagine di Mario nel suo letto e l'aria fresca di casa che entrava dalla finestra, non l'aveva voluta togliere e adesso Mario stava tornando a casa come se tutto quello fosse stato un brutto sogno. 
L'unica cosa che l'aveva fatto resistere a Monaco era stato l'inconsapevole pensiero che, nonostante fosse impensabile, un giorno sarebbe tornato a casa e sarebbe tornato da lui contro tutto e tutti. C'era qualcosa di più grande che dei semplici baci, delle carezze. L'amore fa quel che vuole e forse ci aveva messo lo zampino, anche questa volta. 
In tutte le volte che aveva visto la sua città natale in visita non era mai stata bella come se l'immaginava ora: troppe battaglie, troppe ferite, troppe stronzate, talmente tante da sembrare ora stupide e lontane. 
Magari era davvero nel posto giusto ora, aveva riavvolto il nastro della sua vita, era tornato indietro. 
Una seconda chance per essere una persona diversa, per essere migliore. 
E forse, in quell'istante, era davvero a casa. 

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