L'Ordine delle Ombre

di Botu
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ombre nella Notte ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Ombre nella Notte ***


Era notte, la pioggia cadeva fitta e placida a bagnare i rossi edifici di mattoni che costituivano la città di Irkfas. Le piazze, le vie e i palazzi giacevano immobili, assopiti come i loro abitanti che, dopo avervi brulicato come scarafaggi per l'intera giornata, se ne stavano ora rintanati nelle proprie abitazioni, in attesa che il sole sorgesse per riprendere le loro monotone vite.
Non una singola anima si aggirava per le sudice strade della città, facendola apparire come un deserto di mattoni cremisi.
Silas Jenkins odiava quella città.
Vi aveva trascorso tre anni del proprio addestramento e non era mai riuscito ad abituarsi al senso di oppressione che la pioggia e la penombra costanti di Irkfas gli trasmettevano. Era una città fondata sull'ingiustizia e la corruzione, dove una manciata di uomini ricchi e potenti si dava alla bella vita mentre gli abitanti più poveri lavoravano fino a rompersi le ossa per un tozzo di pane o erano costretti ad arruolarsi per mantenere le proprie famiglie.

"Non è il momento di pensare a queste faccende..."

Silas scosse il capo per scacciare i pensieri che lo distraevano e tornò a concentrarsi sui dieci metri che lo separavano dal suolo.
Si trovava sul tetto di una lussuosa villa al centro della città. Lo splendido edificio era circondato da un praticello pieno di piccoli fiori  viola delimitato da un muro di mattoni che correva lungo tutto il perimetro della proprietà separandola dal mondo esterno.

Un fulmine squarciò il cielo e per un secondo la sua luce illuminò la sagoma sul tetto della villa. In quel pallido chiarore si presentò la figura di un ragazzo di vent'anni interamente vestito di nero. I suoi occhi due pozzi di pura oscurità incastonati in un volto d'ebano, la bocca un taglio orizzontale circondato da una corta barba. I capelli lunghi e neri ricadevano sulle sue spalle raccolti in una quindicina di spesse trecce. Indossava un paio di pantaloni scuri e stivali di pelle alti fino al ginocchio. Sotto una camicia nera si intuiva un fisico asciutto e muscoloso avvolto in un lungo e corvino soprabito di cuoio il cui cappuccio nascondeva il volto del ragazzo ricoprendolo di inquietanti ombre.
Alle due spesse cinture di cuoio che si incrociavano sul petto era fissata una moltitudine di coltelli da lancio dall'aria estremamente affilata e da dietro la spalla destra sporgeva l'elsa di una lunga spada.

"Facciamola finita."

Silas chiuse gli occhi e una leggera folata di vento proveniente dal basso gli scompigliò i capelli. Allargò le braccia e fece un passo in avanti, lasciandosi così trascinare verso il basso dalla gravità.
A mezz'aria fece una capriola e atterrò mezzo secondo dopo sullo stretto marciapiede che divideva il muro dell'edificio dal prato. Malgrado l'altezza da cui era caduto, il ragazzo non riportò la benché minima ferita e il suo atterraggio fu agile e silenzioso come quello di un gatto.
Dalle ombre adiacenti il muro alle sue spalle giunse un sussurro.

«Finalmente! Credevo ti fossi perso.»

Silas si voltò e dalle ombre emerse una figura snella e sinuosa, la figura di una giovane ragazza. Era magra e vestita esattamente come il ragazzo. Aveva occhi azzurri come il più limpido dei cieli ed erano incastonati in un volto dai lineamenti delicati e circondato da un mare uniforme di capelli color del grano. La bocca, piccola e morbida, era atteggiata in un sorriso spavaldo.

«Zitta, Jessie.»
Silas diede alla ragazza un buffetto affettuoso sulla spalla.
«Ho controllato sul tetto ma non sembra esserci modo di entrare direttamente all'ultimo piano.»
Il ragazzo si riparò sotto ad un piccolo balcone e continuò.
«Con questa pioggia tutte le finestre sono sbarrate. Tu hai avuto più fortuna? E dov'è Marco?»

Marco era il fratello gemello di Jessie nonché il migliore amico di Silas.

«E' dentro: abbiamo trovato una porta che la servitù usa per trasportare il cibo nella dispensa nel seminterrato. Vieni.»
Senza aspettare una risposta, la ragazza si avviò verso il retro della casa costeggiando il muro per ripararsi il più possibile dalla pioggia.
Insieme i due svoltarono l'angolo e si diressero verso una piccola porta di legno che si trovava in fondo ad una breve serie di larghi gradini in pietra. Jessie aprì con cautela la porta con una mano e fece cenno a Silas di fare piano.

Non appena la porta si chiuse dietro ai due ragazzi, un inquietante silenzio calò nella stanza, rotto solo dal sommesso mormorio della pioggia. L'oscurità era totale.
Silas si tolse il cappuccio, frugò in una delle tasche interne del soprabito e ne estrasse una piccola sfera argentata delle dimensioni di una biglia; il giovane lanciò l'oggetto in aria davanti a sé e questo, invece di cadere a terra, si accese di un'intensa luce bianca e si mise a fluttuare a una trentina di centimetri dal suo volto.
Sotto la pallida luce della sfera emerse una stanza di una decina di metri quadri con i muri interamente coperti di scaffali pieni di ogni genere di cibarie. Sul fondo della dispensa, a destra di una porta gemella di quella da cui Jessie e Silas erano entrati, un giovane dalla corta capigliatura sedeva su una botte.
Era vestito di nero e armato di tutto punto come la sorella e l'amico.

«Diamine, Silas, mi stai accecando!»
Con un balzo scese dalla botte e allungò una mano verso la piccola sfera luminosa e la strinse nel pugno, diminuendo l'intensità della luce.
«Allora, ragazzi, da qui in poi massima prudenza.»
Il ragazzo estrasse da una tasca una foglio di pergamena e lo distese a terra, rivelando una mappa della casa in cui si trovavano.
«Ho fatto un breve giro di ricognizione e direi che ci troviamo qui.»
indicò un piccolo quadrato nell'ala ovest del pianterreno.
«Il nostro bersaglio, invece, si trova al piano di sopra, nell'ala est.»

Marco era sempre stato il capo del loro piccolo gruppo: aveva diciotto anni, uno in meno di Silas, ma sin da piccolo aveva dato prova della propria attitudine al comando e l'amico era stato felice di cedergli un ruolo che non riteneva adatto a sé.
Con gli occhi color cenere che saettavano da un lato all'altro della mappa, Marco continuò ad esporre il piano:

«Silas, tu ed io andremo avanti e ci occuperemo delle guardie. Sorellina»
sorrise alla gemella e i loro occhi, unica vera differenza tra i due, si piantarono gli uni negli altri, due specchi grigi opposti a due specchi cerulei.
«tu dovrai bloccare tutte le porte dietro di noi, così le le guardie dovranno faticare un po', se vorranno raggiungerci.»
Si alzò in piedi, ripose la mappa e guardò i due compagni.
«Semplice, no?»
Jessie si avviò verso la porta che dava sull'interno della casa e, nel superare il fratello, gli diede una gomitata molto poco affettuosa.
«Una passeggiata.».
Silas si avvicinò all'amico e gli mise una mano sulla spalla.
«Non credo abbia preso bene la storia del "tu chiudi le porte"...».
Jessie aveva sempre vissuto all'ombra del fratello che, cercando di proteggerla dal mondo intero, finiva ogni volta per relegarla a semplici ruoli di supporto che la ragazza non sopportava.
«Dai, seguiamola, prima che si metta nei guai.».

Silas chiuse la mano attorno alla sfera di luce, che si spense, e la ripose nel taschino da cui l'aveva presa, per poi uscire dalla stanza assieme a Marco. La casa era immensa: appena usciti dal ripostiglio, i due ragazzi dovettero attraversare un'infinita serie di corridoi per giungere finalmente all'atrio della villa, un'enorme sala larga sei o sette braccia e adornata da costosi dipinti, mobili e sculture; le scale che conducevano al piano superiore erano coperte da un lungo tappeto di velluto rosso che si snodava dalla gigantesca porta d'ingresso.
Lì trovarono Jessie che, con gesti secchi e irritati, stava sbarrando l'ingresso.
Silas le si avvicinò facendo cenno a Marco di restare indietro e disse:

«Hey, tutto a posto?» 
«Sì, voi perché non siete a completare la missione?»
La ragazza rispose senza voltarsi.
«Perché ci servi.»
Silas le mise una mano sulla spalla e la fece girare.
«Mio fratello sembra del parere opposto, visto il ruolo che mi ha dato in missione.»
«Dai, smettila, ignoralo e chiudiamo questa faccenda»
l ragazzo si voltò senza attendere una risposta e si avviò verso il piano superiore.
«Smettila di fare lo stronzo.»
Disse piano a Marco mentre lo superava.

I tre ragazzi salirono la scalinata due gradini alla volta con passo perfettamente silenzioso e si catapultarono verso l'ala est.
Anche i corridoi della villa erano un trionfo del lusso più sfrenato immerso nella povertà più profonda, come un diamante in mezzo a delle schegge di vetro.

In lontananza si udì un rumore ritmico, una serie tonfi sordi sul pavimento.
Passi.
I giovani agirono all'unisono sguainando ognuno un pugnale da una guaina appesa alla cintura e nascondendosi tra le ombre.
Un uomo grasso e barbuto, coperto da una leggera armatura, si trascinava annoiato per i corridoi; era la guardia che faceva la ronda ai piani superiori, evidentemente ignara di stare fallendo nello svolgere il proprio compito.
Non appena l'uomo gli fu davanti, Silas, il più vicino dei tre ragazzi, agì: sbucò fuori dalle ombre alle spalle della guardia, gli chiuse la bocca con la mano libera e affondò il pugnale fino all'elsa nella gola della sua vittima. Dopo un breve spasmo, il corpo dell'uomo si rilassò e il ragazzo ne accompagnò la caduta per evitare di fare rumore. Jessie e Marco si avvicinarono al cadavere e aiutarono il compagno a nasconderlo in una zona buia del corridoio lasciando la guardia in una pozza del suo stesso sangue.

Dopo una decina di minuti di cammino attraverso un dedalo di corridoi sempre più immersi nello sfarzo più totale, i tre ragazzi giunsero in prossimità della loro meta.
Marco si fece avanti, si appiattì contro il muro del corridoio e si sporse oltre l'angolo per guardare verso la stanza del bersaglio.
Davanti ad una grossa porta di metallo a due battenti, sedute scompostamente su una coppia sedie, due guardie chiacchieravano sommessamente tra di loro. Marco estrasse due pugnali da lancio dalle cinture sul petto, fece un respiro profondo e sbucò nel corridoio davanti alle guardie.
Con un unico movimento scagliò i due pugnali che si conficcarono con estrema violenza nella fronte dei due uomini ancora prima che questi si accorgessero del tutto dell'intruso.

«Sistemati.»
Marco avanzò spavaldo verso le sue vittime e divelse i pugnali dai loro crani.
Erano due ragazzi, probabilmente poco più grandi del loro assassino. Mentre riponeva le proprie armi, il ragazzo esaminò attentamente la porta che li divideva dal bersaglio.
«Sembra che il nostro uomo fosse un tantino paranoico...»
La porta era in acciaio, probabilmente spessa una decina di centimetri e le sue cinque serrature avrebbero richiesto almeno un'ora, per essere scassinate.
«Sarà impossibile aprirla senza farci beccare.»
«Allora dobbiamo trovare un altro modo...Idee?»
disse Silas guardando i compagni.
«Ragazzi, silenzio. Ascoltate.»
Jessie appoggiò l'orecchio alla porta e fece cenno ai due ragazzi di imitarla.
«Sentite? Si sente il temporale. La finestra della stanza è aperta!»

I tre si catapultarono in una stanza alla loro sinistra che, secondo la mappa, doveva essere la sala della musica.
L'ambiente in cui si trovarono era una larga stanza alle cui pareti erano appesi i più svariati strumenti musicali; sul fondo, vicino ad una finestra, si trovava un pianoforte a coda sul quale erano sparsi numerosi spartiti. Jessie corse ad aprire la finestra, si sporse e dentro di lei si levò un grido di gioia: la stanza a fianco, quella che dovevano raggiungere, dava su una larga balconata la cui porta era spalancata come le orbite vuote di un teschio.

«Signori, ecco la nostra entrata.»
con un gesto plateale, la ragazza si scostò e fece cenno al fratello di procedere.
«Dopo di te, capo.»
«Brava, sorellina.»
Marco scompigliò i capelli della sorella, si issò sul davanzale e, con un balzo felino, saltò verso la stanza adiacente, atterrando in perfetto equilibrio sul parapetto del balcone.
«Venite!».
Silas e Jessie imitarono il compagno e lo raggiunsero sulla balconata altrettanto agilmente.

I tre sguainarono ognuno la propria spada. Erano tre armi identiche, bellissime e letali: lunghe poco più di mezzo metro, erano completamente nere; l'impugnatura era liscia e decorata con piccole incisioni, l'elsa era costituita da un disco di metallo grande come un pugno al cui centro era inciso un albero con rami che si intrecciavano verso l'alto in un'infinità di linee sottili fino a raggiungere le pareti del cerchio in cui era inscritto e, seguendone l'andamento, si congiungevano con le radici in un intricato disegno di linee curve; la lama era lunga poco meno di un braccio e decorata con un intricato motivo geometrico.

Erano chiamate Anime e ne veniva conferita una ad ogni Ombra come loro il giorno della propria iniziazione; era fatta di pahad, il rarissimo materiale creato dall'ormai scomparso popolo delle ninfe come ringraziamento alla prima generazione di Ombre settecento anni prima in seguito alla guerra che le aveva costrette a fuggire nei meandri della Grande Foresta.
Creato unendo la lavorazione dell'acciaio con la manipolazione del Flusso, la forza vitale che permea il mondo in ogni sua parte, il pahad era il materiale più resistente e leggero mai esistito e solo poche persone in tutti i Cinque Regni erano in grado di lavorarlo. 

Spada in pugno, Silas superò i compagni entrò lentamente nella stanza.
Su un vasto letto a baldacchino dormiva un uomo sulla quarantina, pelato e grasso.
Klema Ifor era un ricco mercante famoso per la sua fulminea ascesa al potere come vice reggente di Irkfas in seguito all'inizio, dieci anni prima, della guerra contro Kezef il Distruttore grazie al suo commercio di armi.
Pochi, tuttavia, sapevano che l'uomo non era altro che un criminale: vendeva armi scadenti a prezzi esorbitanti all'Esercito dei Cinque Regni e si era guadagnato la sua carica comprando o minacciando i membri del Consiglio della città. Ora manipolava come un burattino il suo superiore, gettando Irkfas nella povertà e arricchendosi sulle vite dei soldati che cadevano in battaglia a causa di un equipaggiamento inadatto.
Ma ora avrebbe avuto ciò che meritava.

«Svegliati Klema, la morte è qui per te.»
Il pugno di Silas si abbatté con violenza sulla pancia del mercante. L'uomo, più per la sorpresa che per il dolore spalancò la bocca per urlare ma la mano del giovane fu più veloce e gliela chiuse prima che un qualsiasi suono potesse uscirne.
«Fa silenzio.»
gli intimò Silas puntandogli la spada alla gola.
«Intesi?»
Klema annuì terrorizzato e il ragazzo mollò la presa sulla sua bocca. Appena libero, l'uomo indietreggiò appiattendosi contro la testiera del letto.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?»
La sua voce pareva il guaito di un cane bastonato.
«Davvero non lo sai?»
chiese Silas con rabbia.
«L'Ordine delle Ombre mi ha mandato a prendere la tua vita»
«No, ti prego!»
piagnucolò il mercante
«Ti darò qualsiasi cosa. Denaro, donne, potere, ciò che vorrai!»
«Credi davvero di poter comprare un membro dell'Ordine?»
La rabbia di Silas cresceva ad ogni istante.
«Hai sacrificato la vita di centinaia di soldati solo per i tuoi interessi personali. Solo il tuo sangue ripagherà i tuoi crimini.»
Si avvicino alla sua vittima.
«Sta lontano da me, Ombra!»
L'uomo estrasse un pugnale da sotto il cuscino e lo lanciò contro il suo aguzzino. Al ragazzo bastò muovere appena il braccio per frapporre la spada al pugnale e tornare a concentrarsi sul suo bersaglio.
«Guardie! Guardie!»
Klema si fiondò verso la porta per aprirla ma la sua corsa si arrestò ad un metro da essa. Una mano lo agguantò per i capelli.
«Ti ho detto di fare silenzio!»
la bocca dell'Ombra si avvicinò all'orecchio della sua vittima.
«Che l'Albero della Vita accolga il tuo Flusso.»
La punta della lunga spada nera sorse fulminea dal petto del mercante che, con un rantolo, si abbandonò alla morte.
Silas estrasse dal cadavere di Klema la spada mentre questa assorbiva il sangue che la macchiava e si accendeva di un'intensa luce bianca lungo le incisioni sulla lama.

"Giustizia è stata fatta"

D'improvviso un assordante tonfo riempì la stanza.

«Signore! Cosa succede?»
un altro tonfo. Le guardie stavano cercando di sfondare la porta.
«Ragazzi»
un altro tonfo.
«sarà meglio che ce la squagliamo.»
Jessie e Marco fecero capolino dalla balconata. 
«Silas hai incasinato tutto!» lo apostrofò Marco.
«Che c'è? Hai paura di qualche guardia?»
Jessie fece ruotare la spada e si sistemò una ciocca di capelli cadutale davanti agli occhi.
«E va bene, allora divertiamoci.»
Marco si sedette sul bordo del letto e attese mentre i colpi d'ariete sulla porta si facevano sempre più violenti. Con una pioggia di schegge metalliche, alla fine, i cardini cedettero e dieci guardie invasero stanza.

«Ce ne avete messo di tempo! Qui iniziavamo ad annoiarci...»
un sorriso pieno di ironia si dipinse sul volto di Marco.
«Nel frattempo il mio amico qui»
indicò con il pollice Silas.
«si è liberato di quell'idiota del vostro capo, quindi ho idea che dobbiate ringraziarlo.»
Le guardie si avvicinarono ai ragazzi con le spade in pugno.
«Bastardi, avete ucciso il vice reggente Ifor! La pagher...»

Prima che la guardia finisse di parlare, il pugnale lanciato da Silas gli si conficcò con violenza nella fronte, frantumandogli il cranio e uccidendolo all'istante. Mentre il corpo dell'uomo crollava al suolo e i suoi compagni realizzavano cosa fosse successo, Jessie scattò in avanti fulminea, ruotò su se stessa e con un fendente mozzò la testa ad una delle guardie. I tre soldati a destra della ragazza le si fecero contro decise a vendicare i propri compagni.
Marco fu più svelto dei tre uomini, inspirò profondamente e soffiò su di loro una fiammata che li uccise all'istante, lasciando al loro posto solo dei cadaveri carbonizzati.

«Grazie fratellino.»
Jessie scattò di nuovo e si avvicinò ad altre due guardie e le afferrò per il collo.
Malgrado il suo corpo minuto, la ragazza ebbe la forza di sollevare da terra i corpi dei due uomini che si dimenavano terrorizzati.
«Fate un respiro profondo...»

Dalle mani della giovane sgorgarono dei rivoli di acqua purissima che si addensarono in due grossi globi attorno alla testa dei soldati.
Jessie strinse le mani attorno alla gola delle sue vittime e l'acqua iniziò a vorticare annegando i due uomini in pochi secondi.
Gli ultimi tre soldati non ebbero nemmeno il tempo di inorridire davanti alla morte dei propri compagni perché Silas allungò davanti a sé la mano destra chiusa a pugno e la aprì di scatto, scatenando un vento tanto impetuoso da scaraventare i tre uomini contro il muro dietro di loro.

Il silenzio e la calma si riversarono all'improvviso nella stanza congelando per un attimo il tempo sul macabro spettacolo dei dieci cadaveri a terra. Jessie lasciò cadere a terra i cadaveri delle due guardie che aveva annegato.
«Fatto!»
si tolse un'altra ciocca da davanti agli occhi.
«Andiamo?»
Le tre Ombre riposero le loro armi e uno alla volta si lanciarono giù dalla balconata atterrando silenziosi come gatti e corsero via nella notte.

Il temporale imperversava ancora su Irkfas la scarlatta mentre Klema Ifor e le sue guardie giacevano in mezzo al proprio sangue. Nessuno, se non un un fulmine che squarciò il cielo, vide Silas Jenkins, Jessie e Marco Einsof, tre promettenti membri dell'Ordine delle Ombre, allontanarsi protetti dal mantello della notte. Ora un parassita in meno dissanguava i Cinque Regni.

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


«Mamma! Papà! Dove siete?»
Per quanto 
Silas urlasse a squarciagola, non giungeva alcuna risposta.

Era di nuovo bambino e si trovava in mezzo ad un bosco, un indistinguibile ammasso di vegetazione identico a se stesso in ogni direzione.
Correva in quella selva da ore ormai e non sapeva come ci fosse arrivato e, tanto meno, come uscirne.
Ricordava solo che un attimo prima era a tavola coi suoi genitori e 
Hani, suo fratello, e che un attimo dopo tutto era stato inghiottito dalla vegetazione.
Silas chiuse gli occhi e ricacciò indietro le lacrime.
«Voglio tornare a casa...»
il bambino si rannicchiò a terra e calde lacrime gli 
rigarono le guance bagnando il terreno sotto di lui.
Improvvisamente una folata di vento investì 
Silas, che aprì gli occhi, sorpreso.
Non era più in mezzo al bosco ma sopra di esso e stava volando ad una decina di metri dalle alte fronde.
In lontananza, una calda luce ambrata rischiarava l'orizzonte.
Il bambino si ritrovò a volare verso quella luce e la gioia gli colmò il cuore: probabilmente quella luce proveniva da una città e lì avrebbe potuto chiedere aiuto! 

Quando, però, giunse in prossimità di quel bagliore, la gioia lasciò il posto ad un cieco e sconfinato terrore: quella luce proveniva dal suo villaggio divorato dalle fiamme.
Alla luce del fuoco facevano da sottofondo le urla delle vittime; uomini, donne e bambini, nessuno riusciva a salvarsi dalla furia delle fiamme.
Dal fumo che si sollevava dal rogo emersero tre volti.
Erano indistinti e mutavano ad ogni secondo ma 
Silas seppe subito che quei volti erano quelli dei suoi cari, le facce deformate dal dolore e dall'odio.
«Perché? Perché ci hai lasciati morire?»
A queste parole i tre visi iniziarono ad avvizzire come se le ossa del cranio 
assorbissero la pelle. In una manciata di secondi nel fumo si poterono distinguere solo tre teschi che, però, non avevano smesso di trasudare un dolore sconfinato.
«Ci hai uccisi tu! 
Silaaas!».

Il giovane si svegliò di scatto, le urla dei suoi cari che ancora gli rimbombavano nelle orecchie.
Erano passate quattro ore dell'assassinio di Klema Ifor e Silas, Jessie e Marco si erano accampati poco fuori Irkfas dentro all'insenatura tra due enormi massi nella palude fuori città. La pioggia aveva smesso di cadere da da una ventina di minuti, appena prima dell'alba. Silas fu il primo dei tre a svegliarsi, come sempre.

"Mamma...Papà...Hani..."

Il piccolo fuoco che Marco aveva acceso per scaldarli durante la notte si era ridotto ad un cumulo indistinto di cenere e ora non produceva alcun calore.
I gemelli dormivano come al solito vicini, schiena contro schiena come da bambini e coperti dai loro soprabiti.

Conosceva i suoi compagni sin da che erano bambini, sin dal giorno in cui si erano conosciuti all'orfanotrofio dodici anni prima.
Erano tutti e tre appena dei bambini, Silas di otto e i gemelli di sette anni, lasciati al loro destino da una sfortunata serie di eventi.
Silas era sempre rimasto in disparte, chiuso nel suo dolore e desideroso solo di escludere il resto del mondo dal suo universo personale; tuttavia, aveva sempre avuto uno spiccato senso della giustizia e non aveva saputo trattenersi quando aveva visto Gonar, uno dei ragazzi più grandi, prendere a pugni Marco mentre sua sorella lo guardava piangendo.
Il ragazzo era saltato addosso a Gonar e aveva colpito, morso e graffiato fino a far scappare a gambe levate il ragazzo più grande.
Per lui la faccenda sarebbe finita così, se i gemelli non gli si fossero appiccicati addosso desiderosi di ricambiare il favore. Subito Silas li aveva semplicemente ignorati ma, col tempo, iniziò a provare simpatia e infine affetto per quei due e da allora furono inseparabili. Almeno fino all'arrivo dei divoratori.

«Come sempre perso nei tuoi pensieri»
Marco prese un pezzo di legno umido e lo lanciò tra le ceneri, allungò una mano e il ceppo si accese malgrado fosse bagnato.
«Pensavo a quando da bambini Gonar ti stava spaccando la faccia e io ti ho salvato»
«Già...»
Il ragazzo si passò una mano tra la folta chioma bionda
«Tutte le donne dei Cinque Regni ti ringraziano per aver salvato questo capolavoro»
fece un gesto ad indicare il proprio volto.
«Ah sì?»
Silas rise di gusto e si alzò in piedi, recuperò da terra il soprabito e la spada e si avviò verso la vegetazione all'esterno.
Appena fu all'aperto, si voltò verso l'amico.
«Hey, bel faccino, sveglia Jessie, sarà il caso di metterci in cammino.»
disse prima di addentrarsi nella palude.

Camminò per un paio di minuti, abbastanza da nascondersi alla vista dei due compagni.
Appena fu solo sguainò la propria spada, chiuse gli occhi e iniziò a menare fendenti.
Roteava su se stesso muovendo la lama con gesti precisi e misurati in una danza elegante quanto potenzialmente letale.

Silas faceva questo rituale ogni mattina: appena sveglio si isolava dal mondo e allenava le proprie capacità di guerriero simulando combattimenti contro i nemici più svariati per almeno mezz'ora.
Aveva preso questa abitudine dal proprio maestro, Beri Hammongs, quando una mattina si era svegliato prima e lo aveva sorpreso a combattere da solo nel giardino sul retro della casa in cui vivevano; quando gli aveva chiesto spiegazioni, Beri lo aveva liquidato con un semplice «Impicciati degli affari tuoi, ragazzino.» Silas, però, iniziò a svegliarsi prima ogni mattina per imitare il proprio maestro.

L'Ombra menò un ultimo fendente con cui abbatté un piccolo albero, roteò la spada e la rimise nel fodero fissato sulla schiena.
Il ragazzo chiuse gli occhi per un istante e respirò profondamente; era così che si manipolava il Flusso: bisognava concentrarsi sul mondo attorno a sé, sulla vita che scorre anche nel più piccolo filo d'erba. Si doveva annullare se stessi ed entrare a far parte di ciò che di solito percepiamo come estraneo.
Subito è una delle cose più difficili che ci siano ma, appena si riesce a comprendere davvero il fulcro di ciò che è il Flusso, si è in grado di utilizzarlo per diventare più forti, più veloci, più agili, si possono persino manipolare gli elementi naturali.
Era un'arte risalente a prima della guerra tra uomini e ninfe e che solo pochi erano in grado di esercitare.
Le Ombre erano tra questi.

Silas aprì lentamente gli occhi, si mise in guardia e, d'improvviso, scagliò un pugno davanti a sé; tutta l'aria attorno al ragazzo si mosse improvvisamente in un vento terribilmente impetuoso che colpì un robusto albero a qualche metro di distanza e lo sradicò. Il tronco si abbatté al suolo con violenza in una pioggia di schegge. L'Ombra sorrise, fiero della propria forza e tornò verso il rifugio.

Quando arrivò alla piccola grotta, Silas trovò Jessie e Marco seduti vicino al fuoco a mangiare un po' di carne secca appena arrostita.

«Colazione?»
Jessie porse all'amico una striscia di carne fumante e dall'aria deliziosa.
«Volentieri»
Silas prese la carne ed iniziò a mangiarla in piedi.
«Siete pronti?»
chiese con la bocca piena.
I gemelli si alzarono compiendo movimenti identici, come accadeva molto spesso.
«Certo, torniamo a casa.»
disse Marco.

I tre membri dell'Ordine si addentrarono nella palude silenziosi come sempre e diretti a nord, verso Asyia.
Diretti verso casa.

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