Chefs

di Crilu_98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uova ***
Capitolo 2: *** Acqua e farina ***
Capitolo 3: *** Tartufo bianco ***
Capitolo 4: *** Sangria ***
Capitolo 5: *** Cioccolato bianco e nero ***
Capitolo 6: *** Melograno ***
Capitolo 7: *** Caramello ***
Capitolo 8: *** Menta ***
Capitolo 9: *** Birra ***
Capitolo 10: *** Pompelmo ***
Capitolo 11: *** Spigola al sale ***
Capitolo 12: *** Fagioli ***
Capitolo 13: *** Pollo in crosta ***
Capitolo 14: *** Il banchetto ***
Capitolo 15: *** Pane e formaggio ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Uova ***


P.O.V. Jake
 
Apro gli occhi, infastidito dalla luce che filtra dalle persiane socchiuse, e subito avverto un pesante e doloroso cerchio alla testa. Devo aver bevuto troppo ieri sera... Di nuovo. Muovo il capo lentamente, cercando di far diminuire il dolore e al contempo di sciogliere i muscoli contratti, e solo adesso mi accorgo che accanto a me è distesa Elizaveta. O meglio, è abbarbicata al mio torace come una cozza allo scoglio. Me la scrollo di dosso bruscamente mentre mi alzo e la sveglio.
-Jake...- mugola, assonnata. Io la ignoro e, appoggiate le mani sul ripiano del bagno, fisso il mio riflesso allo specchio: l'immagine mi rimanda la stessa aria truce e incazzata.
-Jake!- la voce di Elizaveta, ora perfettamente lucida, è già squillante e fastidiosamente alta di primo mattino. Dio, quanto odio svegliarmi con quella donna nel mio letto! A volte mi chiedo perché finiamo a fare sesso così spesso, noi due. Siamo entrambi due maestri in cucina e giudici di quel dannato concorso televisivo, ma a parte questo non c'è nulla che ci unisca: apparteniamo a due mondi differenti, sebbene lei sembri dimenticarselo sempre. La sua figura appare allo specchio, appena dietro alla mia: i lunghi capelli rosso fuoco le ricadono scomposti sulla fronte e il trucco colato le macchia di nero gli occhi e le guance. E' totalmente diversa dall'immagine composta, perfetta e impeccabile che ama rifilare agli altri: nessun trucco, nessuna battuta, nessun sorriso smagliante. Elizaveta Hobbes è capace di cambiare sé stessa con maggior abilità di un trasformista. Si avvicina titubante e leggo nelle sue iridi verdi che muore dal desiderio di toccarmi, ma è abbastanza saggia da trattenersi: sa che detesto il contatto fisico, l'ha imparato durante le nostre numerose notti insieme.
-Si è fatto tardi!- borbotta contrariata, soffocando uno sbadiglio e iniziando a raccogliere i suoi vestiti, sparsi per la stanza. L'ho davvero spogliata in bagno? Non ricordo nulla di ieri sera, solo un locale buio e soffocante, le labbra piene ed invitanti di Elizaveta e il suo corpo contro il mio, nel letto. O forse era il divano?
Apro l'acqua con uno scatto improvviso, facendola sobbalzare, e mi sciacquo il viso. I rivoli ghiacciati che mi corrono sul collo e lungo la schiena mi svegliano del tutto ed attenuano il mal di testa quel poco che basta per girarmi e sbatterla finalmente fuori da casa mia.
-Jake, stasera ci sono le selezioni, ti ricordi vero?-
-Sì- rispondo sommessamente, lanciandole svogliato le chiavi della sua macchina -Me ne ricordo, di quelle dannate selezioni...-
Elizaveta si lascia scappare una risata nervosa:
-Non la fare tragica come al tuo solito, Jake, vedrai, sarà interessante!-
Cosa? Osservare come degli incompetenti martoriano del povero cibo spacciandolo per alta cucina? Questo dovrebbe essere interessante?
Ma non glielo dico e aspetto che il portone del mio appartamento si chiuda alle sue spalle, prima di buttarmi nuovamente sul letto: mancano ancora tre ore prima del mio ingresso in cucina.
 
Molti nel mio ambiente si chiedono perché, nonostante io abbia tutte le carte in regola per aprire un ristorante degno delle mie capacità, mi ostini a lavorare in un albergo, seppur lussuoso come The Mark. E, nel chiederselo, tirano un sospiro di sollievo. Mi chino sulla moto e accelero, dribblando le auto in coda nel traffico di Manhattan: sono in ritardo e il maitre si infurierà, ma non mi importa. Hanno un bisogno disperato della mia presenza in quella cucina, e per questo sono disposti a chiudere un occhio sul mio carattere. Sento la rabbia appostarsi alla bocca dello stomaco nel pensare ai dipendenti che mi stanno aspettando: sarà un'altra lunga giornata di urla, rimproveri, incazzature e piatti da buttare.
Come molti chef, riconosco il mio sfrenato ed ossessivo desiderio di perfezione; ma a questo si aggiunge un corpo di cuochi terrorizzati dalla mia presenza e per questi insicuri ed incapaci. Sospiro, togliendomi il casco e raccogliendo i capelli un una coda: li porto più lunghi di quanto la mia posizione mi imporrebbe ma sono anche l'unico sgarro che mi permetto in cucina.
Non vorrei essere qui: per me cucinare è un lavoro sfiancante, continuo e... Privato. Comporre piatti per un branco di ricchi megalomani mi urta i nervi. Ma se è il prezzo da pagare per continuare a fare l'unica cosa di cui mi importa nella vita lo pago senza fiatare.
Entro in cucina senza salutare nessuno e subito tutti scattano sull'attenti, impietriti: sollevo un sopracciglio, tentando inutilmente di ricordarmi i loro nomi.
"Cazzo Jake, lavorano con te da due anni!"
Sbuffo, frustrato per lo sforzo e per il mal di testa che ancora non mi ha abbandonato.
-Tu!- abbaio ad un ragazzo allampanato e pallido -Quanti sono i tavoli prenotati oggi?-
E così la lunga giornata comincia.
 
Arrivo agli studios quando le luci artificiali di New York hanno appena iniziato a rischiarare il cielo, nascondendo le stelle. Odio le luci di questa città, feriscono gli occhi.
"Perché sono qui?" mi chiedo per l'ennesima volta. Ma chi me l'ha fatto fare, ad accettare il ruolo di giudice in una gara culinaria in tv. Ah già, Elizaveta. E quell'altro coglione di Juan Martinez, che mi sta venendo incontro sorridendo. Non ho mai visto quest'uomo senza un sorriso: spande bontà e gentilezza ovunque si giri e sembra che non ne possa fare a meno.
Juan è vecchio ed ha un'esperienza che invidio ed ammiro; d'altro canto, però, è convinto che la sua età lo ponga in una condizione privilegiata, rendendolo una sorta di grillo parlante. Non si contano le volte in cui mi ha trascinato nel suo ristorante col pretesto di farmi provare un nuovo piatto, quando in realtà voleva solo abbattere il mio muro di reticenza. E perciò mi ero trovato mio malgrado invischiato in quella grande rete impicciona che era la sua numerosa famiglia. Juan è uno spagnolo corpulento, dai capelli brizzolati e dalla pelle abbronzata e la pacca che mi rifila sulle spalle mi fa quasi barcollare.
-Il grande Jake Moore si è finalmente degnato di onorarci della sua presenza!- ghigna, con il suo accento che rende fluida e languida ogni parola. Poi il suo sguardo si posa sulle mie vistose occhiaie e il sorriso si spegne un poco:
-Hai bevuto ancora, ieri sera, ragazzo?-
-Se anche fosse?-
Juan scuote la testa, conscio di non poter aggirare il mio fermo proposito di non parlare. Sembra preoccupato per me, quando aggiunge:
-Elizaveta questa mattina mi ha telefonato più vivace del solito... Sei per caso tu la causa?-
-Potrebbe darsi...- rispondo, passandomi nervosamente una mano sui capelli.
Il volto di Juan si fa molto più serio:
-Questa storia non porterà niente di buono a nessuno dei due: vi aspettate cose troppo diverse dalla vita. Lei sembra non volermi ascoltare, ma ho pensato che almeno tu...-
-Non l'ho mai ingannata Juan: sa benissimo che se andassi a letto con lei o con un'altra per me non farebbe differenza. Elizaveta può continuare a sperare ciò che vuole, finché non inizia a rompere i coglioni a me!-
Juan sbuffa, ma non replica. Siamo arrivati nell'ampia cucina di "Chefs", il programma che malauguratamente mi ritrovo a presiedere come giudice: ho tre stelle Michelin e questo posto era stato designato per me fin dalla prima stagione. Ora siamo alla quarta e ne ho fin sopra i capelli di aspiranti cuochi, pasticcieri dilettanti e novelli geni della cucina che mi sottopongono i loro piatti in un clima di tensione e timore. E' lo stesso che respiro nella mia cucina, l'aria che mi stressa e mi impedisce di concentrarmi su qualcosa che non sia ciò che sto cucinando.
-Vediamo questi impiastri!- borbotto, buttandomi sulla poltrona posta dietro il tavolo dei giudici. Queste selezioni servono ad effettuare una prima scrematura, a capire chi far entrare nel programma e chi no, e per questo sono ancora più noiose: non ho neanche il gusto di vederli imprecare per l'agitazione di essere davanti ad una telecamera.
Elizaveta e Juan si scoccano un'occhiata divertita: sarò anche un grandissimo stronzo, ma sanno che le mie plateali sfuriate vengono rivolte solo a chi se lo merita. Perché il problema non è che non ci sono brave teste, in quel mucchio di imbranati: ci sono, è solo che non sono abbastanza abili, o veloci, o intelligenti, o razionali. Tutte cose che in un ristorante di alto livello sono indispensabili. Sono convinto che i vincitori di "Chefs" non siano i migliori, ma i meno peggio: ecco, sì, ho sempre premiato i meno peggio. Per questo tutti tremano quando un loro piatto è sottoposto a me; sono leggermente sulle spine se si tratta di Elizaveta, conoscendo i suoi gusti bizzarri e l'inventiva moderna; essere giudicati da Juan è invece un balsamo per il loro orgoglio ferito.
Le selezioni sono appena iniziate e quest'edizione mi piace sempre meno: devo riconoscere che quasi tutti hanno un'abilità tecnica invidiabile e che i veri dilettanti sono pochi, ma manca comunque qualcuno capace di risvegliare la mia curiosità. Cosa veramente difficile, del resto, ed effimera: quand'anche mi sembrasse di vedere un guizzo di estro tra lo sfrigolio dell'olio e il profumo delle spezie, questo scompare veloce come era apparso.
Dobbiamo scegliere ventiquattro concorrenti, e si sono presentati in sessanta: impreco tra i denti, chiedendomi come si possa stabilire la bravura di sessanta aspiranti chef in poco più di tre ore. La prova è semplice e allo stesso tempo decisiva: cucinare una frittata. Non un'omelette, per la quale ci vuole perizia ed esperienza, basta una semplice frittata: a patto però che questa riveli abbastanza sulle competenze del cuoco.
Per il momento Elizaveta conduce il gioco: è lei che prende appunti e parla con i candidati, io ho a malapena assaggiato i venti piatti che mi sono stati presentati e Juan si è limitato a sorridere bonariamente. Osservo con fare distratto la ragazza di fronte a me: ha la carnagione scura e tratti mediorientali. Ha presentato una frittata speziata con zafferano, semi di coriandolo e zenzero. La ragazza mi sta fissando insistentemente, quasi a volermi chiedere un parere, e solo adesso mi rendo conto di ciò che Elizaveta mi ha appena chiesto.
-Jake, ci sei? Ti ho chiesto cosa ne pensi.-
Mi riscuoto all'improvviso e mi raddrizzo sulla poltrona:
-L'ultimo ingrediente è totalmente fuori luogo, rovina l'insieme delicato delle altre spezie. Lo zenzero è forte, prepotente e piccante: ferisce il palato e nasconde gli altri sapori!-
La vedo corrucciare la fronte ed annuire, concentrata: non sembra arrabbiata o sconfortata. Sta piuttosto scrivendo un promemoria mentale per migliorarsi... La apprezzo in silenzio per questo.
Vedo che Elizaveta sta per esprimere un giudizio negativo e la precedo:
-Però, senza lo zenzero, sarebbe stato un buon piatto. Sei dentro. Puoi andare.-
Le due donne mi fissano confuse e sbalordite, mentre Juan si limita ad alzare un sopracciglio: si fida del mio giudizio, e sa che se ho scelto la ragazza significa che ho visto del potenziale.
Sulla porta la giovane si ferma e parla con qualcuno al di fuori: un'altra ragazza, più bassa e minuta, si affaccia sulla porta. La prima cosa che noto è che cammina in modo strano: tiene le braccia larghe attorno a sé e procede lentamente, titubante. Le sue mani incontrano lo spigolo di uno dei banconi e mi chiedo perplesso perché abbia dovuto toccarlo, prima di aggirarlo. Poi, quando mi soffermo sui suoi occhi, spalancati e fissi su di noi, comprendo.
-Ma è cieca!- urlo, balzando in piedi. La ragazzina si ferma e fa una smorfia sorpresa, voltando il capo proprio verso di me. Elizaveta sbotta infastidita:
-Sì, Jake, lo sappiamo. E l'avresti saputo anche tu, se mi avessi ascoltato, prima, quando te ne ho parlato! Signorina... Sorrentino, giusto? Ha bisogno di aiuto per arrivare qui davanti?-
-Ma questo è assurdo!- replico, senza curarmi di abbassare il tono di voce. -Non può partecipare al concorso!-
-Perché? C'è forse un articolo del regolamento che lo vieta?-
La sua voce mi sorprende: è sicura ed orgogliosa, ma non si è alzata di un solo tono nel rispondermi. Si avvicina al bancone di prova senza apparenti difficoltà, ma sempre molto lentamente: si rende perfettamente conto di cosa la circonda.
-No, ma...- borbotto, indeciso.
-Allora, se non le dispiace, signor Moore, mi lasci cucinare il mio piatto, così che potrete giudicare se posso o meno entrare a far parte della squadra di Chefs.-
Ricado a sedere, stupito ed offeso: quella ragazzina non ha tenuto in nessun conto la mia posizione e le mie parole. Elizaveta si china verso di me:
-Sii più rispettoso, Jake: questa ragazza ha compiuto un grande sforzo per arrivare fino a qui!-
-Poteva anche risparmiarselo, non gliel'ho mica chiesto io!- replico a denti stretti.
Sorrentino afferra con destrezza utensili ed ingredienti e io non posso fare a meno di riconoscere la sua bravura: pur non essendo mai entrata in quella cucina, le sue esitazioni sono minime e non lascia cadere nulla, come invece avevo immaginato. Riconosco pomodorini, pepe, basilico ed erba cipollina, ma non capisco cosa sta combinando finché non vedo sotto il mio naso un piccolo tronchetto di frittata arrotolata e farcita.
-Sushi di frittata con caciocavallo e pomodorini.- La sua voce pacata non tradisce alcuna emozione.
-Interessante.- commenta Juan -Come ti è venuta l'idea?-
-Sono di origini italiane e mi è bastato rinnovare una ricetta semplice e tradizionale con un modo di impiattare diverso.-
Nonostante sia contrario alla sua presenza qui, non appena assaggio quel... Come l'ha chiamato? Ah sì, sushi di frittata - Dio, la ragazzina deve prendere lezioni sui nomi da dare ai piatti! - mi rendo conto che la sua descrizione calza alla perfezione: è semplice, tradizionale e insieme invitante come solo le ricette innovative sanno essere. La osservo, concentrandomi sui suoi occhi scuri, che ricordano il colore del caffè amaro: mi chiedano come possano non vedere, con quella luce animata e viva all'interno. E' brava. Dannatamente brava. Lo ripeto a me stesso da quando ho provato il primo boccone. Eppure c'è una parte di me che non la vuole qui: è diversa, è difficile, porterà solo complicazioni.
Elizaveta e Juan le fanno dei complimenti entusiasti, ma lei non se ne cura:
-Allora, signor Moore?- chiede, sfacciata. Si sta rivolgendo a me, e a me solo. E' sicura delle sue capacità, anzi, è presuntuosa... Ma la cosa, invece di mandarmi in bestia, mi fa sorridere. E' così che dovrebbe essere un vero chef.
-Dovrebbe confidare un po' meno in sé stessa, signorina Sorrentino: la semplicità a volte si rivela una carta vincente e a volte, invece, denota semplicemente mancanza di abilità ed estro.-
La ragazza non perde il suo sorriso, ma si tormenta nervosamente una ciocca dei corti capelli biondi: sono di una tonalità scura, che non ho mai visto. Mi ricordano il miele.
-E qual è il mio caso?-
Esito un attimo, voltandomi verso i miei compagni: loro mi fissano di rimando, curiosi e perplessi per la mia insolita vitalità.
-Il primo.- mormoro senza guardarla.
-Il primo...- ripeto, mentre la guardo uscire, dopo aver ricevuto da Elizaveta la conferma che parteciperà a Chefs.
"Perché l'ho fatta entrare?"
Non so rispondermi con esattezza, ma so per certo una cosa: questa edizione non sarà come le altre.
 
P.O.V. Alexandra
Appena fuori dalla porta della cucina, mi appoggio al muro, tentando di riprendermi ed orientarmi.
E' stata una prova molto più dura di quanto non abbia dato a vedere a Jake Moore. E' proprio come alcuni me l'avevano descritto: stronzo, impietoso ed esperto. E, se devo fidarmi del tutto di ciò che le altre aspiranti concorrenti bisbigliavano, dev'essere bello da impazzire. Sospiro profondamente, cercando di regolarizzare il respiro. Ho bisogno di Abigail, la mia labrador, che mi aspetta in fondo al corridoio.
"Forza, Alex, ce la puoi fare!"
Inizio a mettere un piede davanti all'altro, titubante, appoggiandomi al muro: ho sempre detestato il bastone da non vedenti, ma la mia determinazione nel farne  a meno a volte mi crea non piccoli disagi.
-Ehi, serve una mano?-
E' la voce della ragazza che mi ha indicato l'entrata della cucina: calda e sommessa, quasi timorosa. Sembrerebbe una persona molto timida. Annuisco, e sento la sua mano delicata prendermi per un braccio e accompagnarmi all'uscita.
-Io sono Robin, Robin Ben Jelloun.-
-Alexandra Jane Sorrentino, molto piacere. Origini africane?-
-Marocchine. E le tue, se il cognome non mi trae in inganno, sono italiane.-
-Indovinato.- rispondo, con un sorriso appena accennato. So che anche Robin è entrata a far parte del cast, e che quindi ci troveremo a contenderci il primo posto, ma mi sta simpatica e da troppo tempo ho contatti solo con i membri della mia famiglia: a lungo andare diventa una situazione soffocante.
-Che bello... Sei mai stata in Italia? Dicono sia un paese meraviglioso, ma non ho mai avuto modo di visitarlo. Sono stata molte volte in Marocco, ed è lì che ho imparato a cucinare. Tu come hai fatto?-
Mi sbagliavo: una volta che ha preso confidenza, Robin diventa un fiume in piena.
-E' stato dopo l'incidente che mi ha privato della vista.- racconto tranquillamente. Sento la presa sul mio braccio farsi rigida.
-Io... Oddio, scusa... Mi.. Dispiace, non volevo...-
-Tranquilla, non mi da' fastidio. Avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse da ciò che non potevo più fare e la cucina, dopo diversi incidenti iniziali, si è rivelata la mia ancora di salvezza. Ho imparato a destreggiarmi in ogni ambiente, anche sconosciuto, purché potessi avere a che fare con ingredienti e sapori. Per questo, quando mi sono sentita abbastanza sicura, sono venuta qui.-
Avverto l'abbaiare festoso di Abigail e le sue moine affettuose contro la mia gamba.
-Lei è Abigail, il mio cane guida. Abigail, ti presento Robin!-
La ragazza ride, divertita, e mi aiuta a raggiungere il manico di sicurezza agganciato al dorso di Abigail. Nonostante adesso io sia quasi del tutto autonoma, Robin mi accompagna fino all'uscita dell'edificio, dove mi aspetta mia madre per riportarmi a casa: uno degli aspetti più ingombranti e pesanti della cecità è il continuo dover dipendere dagli altri in ogni minimo spostamento, anche scendere le scale.
-Ti ammiro molto, sai- dice la ragazza ad un certo punto. Io mi fermo di botto, stupita:
-Come scusa?-
-Sì, beh, non ti conosco, e non so la tua storia, ma credo che tu abbia dimostrato un grande coraggio nel venire qui oggi, e se esiste almeno un poco di giustizia il tuo coraggio verrà premiato, in un modo o nell'altro.-
-Ti ringrazio...- balbetto, confusa da quella dichiarazione schietta e sincera. La giovane marocchina mi piace di più ogni momento che passa, perciò mi azzardo a chiederle una cosa che normalmente tengo per me:
-Aspetta, Robin: posso... Posso vedere come sei fatta?-
Mi mordo la lingua, in attesa: so che a molte persone da' fastidio che io le tocchi per poterle vedere. Ma Robin non sembra una di quelle:
-Certo, fa pure!-
Allungo le mani ed incontro il suo viso: ha un profilo lineare, la fronte piccola, le sopracciglia arcuate e ben definite e delle labbra sottili ma carnose. I suoi capelli sono ricci e lisci al tocco.
-Hai dei capelli bellissimi!- esclamo estasiata. Robin ride con me:
-Se può servire a completare il tuo ritratto, ho la carnagione scura, gli occhi castani, i capelli neri e sono alta, anzi, bassa, un metro e cinquantacinque centimetri!-
Potrei continuare a chiacchierare per ore, ma sento mia madre avvicinarsi, chiamandomi.
-Allora... Ci vediamo lunedì.- dico, a mo' di saluto.
-A lunedì... Sperando che Moore non sia fino in fondo il bastardo che dicono!-
 
 
Angolo Autrice:
Ecco cosa esce fuori durante le ore di noia a scuola dalla mia fantasia galoppante! E' un esperimento su molteplici fronti: trattare di una disabilità così grande come la cecità, descrivere uno show culinario, mettersi nei panni di due personaggi così diversi... Perché il racconto sarà strutturato come questo capitolo, ovvero vissuto un po' dalla parte di Jake e un po' da quella di Alexandra.
Non so se come storia può andare, ditemi voi! Ringrazio già da ora gli eventuali recensori e anche chi semplicemente passa a dare un'occhiata. Gli aggiornamenti saranno piuttosto irregolari, visto che sono sommersa dallo studio e dagli impegni, ma cercherò comunque di non farvi aspettare troppo!
 
Crilu 

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Capitolo 2
*** Acqua e farina ***


P.O.V. Alexandra
 
Se c'è un vantaggio dell'essere una ragazza cieca che partecipa ad un contest di cucina, beh quello è sicuramente non sentirsi in ansia davanti alle telecamere che riprendono ogni più piccola sbavatura del tuo piatto. Sento l'agitazione degli altri concorrenti accanto a me, pronti per iniziare; io, invece, sto davanti al mio bancone, concentrata su ciò che andrò a creare. La prima prova è un rito di ogni stagione di "Chefs": in un unico piatto dovremo essere capaci di infondere la nostra vita, le nostre esperienze, la nostra bravura in cucina... In breve, qualcosa che racconti tutto, ma proprio tutto, su di noi.
E' la prima registrazione, preceduta da un'estenuante sessione di interviste, con annessa preparazione: avrei fatto volentieri a meno del trucco e della pettinatura, visto che sebbene io sia cieca esco sempre di casa in modo più che presentabile, ma i tecnici e la produzione hanno insistito. Ho parlato di come io abbia imparato a cucinare dopo aver perso la vista, della mia nonna italiana e delle mie esperienze, stando bene attenta a non incappare in un campo minato: la mia cecità, per esempio, o come fossi prima di essa.
Qualcuno mi urta alle spalle e mi fa quasi perdere l'equilibrio. Robin, che è accanto a me, mi afferra prontamente prima che io cada, mentre una voce maschile si rivolge alla persona che mi ha sbilanciato:
-Ehi, stai più attento!-
-Non è colpa mia se sta in mezzo alla strada!- grugnisce un altro ragazzo, sprezzante.
-Oliver Smith..- borbotta Robin tra i denti -Arrogante e presuntuoso oltre ogni limite consentito!-
-Non te la prendere, non mi sono fatta nulla!- minimizzo con un sorriso. In realtà, sebbene io abbia in parte superato l'umiliazione di essere incapace di badare a me stessa, ciò che mi colpisce senza preavviso mi agita e sconvolge. Cerco di ricompormi, manca poco all'inizio della prova e sento la troupe gridarsi gli ultimi accorgimenti. Poi avverto la voce di Elizaveta Hobbes dall'altro lato della sala, che presenta i suoi compagni e la prova che dovremo affrontare; mentre cerco a tentoni gli ingredienti che mi hanno detto essere a lato del bancone, sento la voce paterna ed allegra di Juan Martinez augurarci buona fortuna. Jake Moore non ha ancora aperto bocca e, conoscendolo, non lo farà fino a quando non gli saranno portati davanti i primi piatti e anche allora sarà lapidario. Urto la superficie di un piatto e mi concentro su ciò che andrò a cucinare: l'incidente mi ha letteralmente offuscato gli occhi, ma a volte vedo ancora pallide ombre. E' necessario un grandissimo sforzo di concentrazione, da parte mia, per riuscire ad individuare anche solo i contorni confusi e sfocati degli oggetti: dovrò dare fondo a tutta l'esperienza di sei anni di buio totale per superare le sfide di Chefs.
La campana suona e le mie mani scattano, quasi dotate di una volontà propria, ad impastare farina, acqua e lievito. Chiacchierando con Robin, prima di entrare, ci siamo scambiate idee ed opinioni su cosa andremo a cucinare: io ho optato per la pizza, lei per couscous con pesce. E' molto legata alle sue tradizioni, e la cosa stupisce e affascina persino me, che della cucina italiana ho fatto uno stile di vita, riprendendolo da mia nonna e dai membri più anziani della mia famiglia.
Impasto con forza e metodo, e quei movimenti meccanici e familiari mi ridonano la calma che l'incidente di prima ha in parte dissolto: stendo la pizza sul piano e passo a preparare la salsa di pomodoro. Non resisto a portarne uno al naso: ha un odore appena percepibile, eppure così buono!
D'improvviso un altro profumo giunge alle mie narici allenate e il pomodoro mi cade dalle mani. Sento dei passi fermarsi accanto a me e una figura chinarsi a raccoglierlo.
-Dovresti stare più attenta- commenta con voce atona Moore -Si è ammaccato.-
-Non fa niente- borbotto a denti stretti, voltandomi verso la cassetta -Ne prendo un altro.-
La sua mano afferra il mio braccio senza alcun preavviso, facendomi sobbalzare: la mia serafica tranquillità è spazzata via in un batter d'occhio. Con studiata lentezza, Jake Moore appoggia il pomodoro sul palmo aperto della mia mano, richiudendo le mie dita attorno al frutto.
-Sembri agitata, signorina Sorrentino!- esclama il giudice, con una nota di ironia. Si diverte, il bastardo!
-E lei sembra contento di potermi mettere in difficoltà!- ribatto, liberandomi dalla sua stretta. Con mia sorpresa, mi lascia andare subito: ne sono sollevata, ma la pelle del mio polso sembra bruciare ancora del suo tocco.
-Cosa sono?- chiede, e sento il suo indice sfiorare le cicatrici che spuntano dai bordi dei guanti bianchi. Non rispondo, riprendendo a cucinare: non ho più molto tempo, se voglio presentare quella pizza in uno stato decente. Moore resta ancora un attimo accanto a me, indeciso, poi se ne va. E io mi rendo conto, con frustrazione, di non essere immune alla pressione delle telecamere: spero proprio non abbiano ripreso questo imbarazzante incontro.
 
Manca poco al mio turno di presentare il piatto. Spero di averlo posizionato bene, ho sforzato così tanto i miei poveri occhi che sento la testa pulsare e girare come impazzita.
Il couscous di Robin ha ricevuto lodi sperticate da parte dei primi due giudici e la fredda accoglienza di Moore. Più che del piatto della mia amica, sono stata incuriosita da quello del ragazzo che ha rimproverato Oliver Smith quando mi ha urtata: si chiama Richard Hampton e, almeno stando ai sussurri eccitati di Robin, è un bel ragazzo.
Ha preparato un hamburger vegano e già solo il nome mi fa venire l'acquolina in bocca: non sono mai stata una grande amante della carne e l'idea di un panino riempito di verdure mi stuzzica.
Il giudizio è discendente: approvazione piena di Elizaveta, estasiata da una creazione così vicina ai suoi gusti, cortese perplessità di Juan e reazione esasperata di Moore.
-Un hamburger o è vegano o è hamburger!- lo sento esclamare sprezzante, prima di assaggiare. Borbotta qualcosa di non distinguibile, deplorando poi la cottura dei vari componenti del panino e qualcosa sulla mescolanza dei sapori.
-Alexandra J. Sorrentino!-
Afferro il piatto, pronta ad affrontare il pericolosissimo tratto tra il bancone e la cattedra dei giudici, ma non faccio in tempo: sento due sedie alzarsi e dopo poco Elizaveta e Juan sono accanto a me.
-Allora!- esordisce lei con voce accondiscendente -Cosa hai preparato?-
-Pizza.- rispondo semplicemente, ritenendo che quel piatto non avesse bisogno di altre presentazioni.
-Molto bene!- replica lei, assaggiando uno spicchio, soddisfatta. Li sento lodarmi sulla cottura e sugli ingredienti che "riportano l'autentico gusto della pizza italiana" - come se l'avessero mai veramente assaggiata, bah. Poi Elizaveta inizia ad innervosirsi, accanto a me.
-Jake?- chiama, titubante -Vieni ad assaggiare, per favore?-
Nessuna risposta.
-Jake senza il tuo voto non possiamo andare avanti!- esclama Juan preoccupato.
-Non vedo perché dovrei venire lì.- la voce, glaciale ed incolore, sembra provenire da un'altra galassia -E' una concorrente come tutti gli altri, giusto? Allora che venga qui a presentarmi il suo piatto!-
Gli altri due giudici si irrigidiscono, Robin impreca qualcosa in arabo e gli altri concorrenti alzano un vocio confuso. Scommetto che i produttori si stanno mettendo le mani tra i capelli, in questo momento. Sento montarmi dentro una rabbia orgogliosa e ferita e prima che fermino il programma, costringendo quello stronzo insensibile ad alzarsi e a venire da me, afferro il piatto con sicurezza: ho fatto per anni la cameriera in un pub e la destrezza e l'equilibrio non mi sono mai mancati. Mi posiziono lungo il corridoio nel silenzio totale e, mentre con una mano mi reggo ai banconi, procedo lentamente verso Jake Moore.
"Forza Alex: è semplice, è solo un passo dopo l'altro. Esattamente davanti all'altro. Ecco, così, brava. Uno, due, tre..."
Ad un tratto percepisco il suo odore e so che sono arrivata. Con un leggero tremito delle mani poso il piatto sul bancone.
 
P.O.V. Jake
 
La vedo avvicinarsi incerta, lenta, spaesata e capisco quanto io sia meschino. Un parte di me, però, è intimamente soddisfatta: sapevo che avrebbe reagito così. Questa ragazzina è orgogliosa, fiera e testarda, non avrebbe mai permesso alla mia strafottenza di fermarla. Osservo con attenzione i lineamenti leggermente selvatici, i capelli disordinati tenuti indietro da una fascia bianca, la mascella contratta e lo sguardo vuoto e concentrato: mi vorrebbe fare a pezzi e cucinare al forno, ne sono sicuro. Un sorriso mi sorge spontaneo: se uno qualunque dei nostri spettatori si trovasse a tu per tu con Alexandra Jane Sorrentino, capirebbe che la ragazza non ha bisogno di valorosi paladini. Juan, ad esempio, l'ha capito, e ha prontamente afferrato per un braccio i due ragazzi che si erano slanciati a soccorso dell'italiana. Una era la ragazza scura, marocchina, l'altro era il tizio dell'hamburger.
Mentre Sorrentino appoggia con garbo il piatto sul tavolo, posso di nuovo vedere le sottili cicatrici scuri che macchiano la pelle candida dei suoi avambracci: spariscono sotto i guanti, ma sono sicuro che continuano anche oltre, fino alla punta delle dita. Ci ho pensato per tutta la durata della prova, dal nostro vivace scambio di battute, e alla fine ho capito di che si tratta: bruciature. Mi chiedo quanto abbia sofferto questa ragazza per arrivare fin qui: mi domando quante volte si sia scottata per il forno, quante volte abbia urlato per la fiamma pungente dei fornelli, quante volte si è incisa la carne con un coltello. Considerata la sua testardaggine e lo strambo desiderio di indipendenza, deve ritenersi fortunata se ha ancora tutte e dieci le dita.
Si riporta le ciocche ribelli dei capelli dietro l'orecchio, nervosa. Posso vedere il petto che si alza e si abbassa velocemente, e il labbro inferiore stretto tra i denti, torturato senza pietà.
-Hai delle belle labbra...- mi ritrovo a mormorare, senza alcuna cognizione del luogo in cui mi trovo e di chi ho davanti. Sorrentino sobbalza ed arrossisce, ma non risponde. Si limita a dirmi:
-Assaggi..-
Obbedisco, tornando in me e calandomi di nuovo nei panni di giudice. Mordo la pizza e subito noto il contrasto tra la base croccante e la morbidezza del condimento: è una tra le migliori che io abbia mai mangiato. Sono tentato di dirglielo, ma questo farebbe sgretolare la mia maschera di stronzo patentato e non posso permetterlo. Sento gli apprezzamenti bloccarsi in gola e soffoco la mia incertezza addentando nuovamente la pizza, con una voracità inaspettata. Sembra che non abbia toccato cibo da giorni, e invece ho già assaggiato più di quindici piatti!
-Buona.- borbotto alla fine, sentendo il peso delle telecamere e delle occhiate molto preoccupate di Juan ed Elizaveta su di me. Le sopracciglia color bronzo dell'italiana schizzano all'insù:
-Tutto qui?- esclama, sorpresa.
Sogghigno:
-Sì, signorina Sorrentino, tutto qui. Non le basta? Posso sempre rimediare, sono un maestro nel trovare errori nelle ricette altrui!-
La ragazza fa una smorfia incomprensibile, poi afferra il piatto con un'abilità che mi lascia a bocca aperta - come cazzo faceva a sapere con esattezza dov'era? - e torna al suo posto. La troupe finisce di girare e tutti tirano un sospiro di sollievo. Tutti tranne me, che guardo Alexandra Sorrentino lasciare la stanza e mi passo una mano tra i capelli, confuso.
 
All'uscita incontro uno dei concorrenti. Qual è il suo nome? Dio, per fortuna oggi ne abbiamo eliminati già quattro, altrimenti ricordarseli tutti sarebbe stato impossibile. Il ragazzo sembra comprendere i miei dubbi perché abbozza un sorriso, spegne la sigaretta che stava fumando e si presenta:
-Oliver Smith.. Signor Moore, è un grande onore per me conoscerla.-
Grugnisco, infastidito, cercando le chiavi della moto nelle tasche della giacca. Lui non sembra toccato dal mio atteggiamento e la cosa mi esaspera: è già la seconda persona oggi che mi fa sentire a disagio.
-Sa, ho apprezzato molto come ha costretto la cieca ad alzare il culo, oggi!- esclama Smith tutto soddisfatto. Mi blocco, incapace di interiorizzare ciò che le mie orecchie hanno appena sentito.
-Come, scusa?- ringhio.
-Beh sì, dopotutto aveva ragione lei. Tante storie sul fatto che può partecipare perché non è diversa dagli altri, e poi bisogna riservarle trattamenti di favore! O è uguale a noi e si dimostra capace di poter fare ciò che facciamo noi vedenti, oppure se ne torna a casa!-
Lo fisso con aria truce, assottigliando lo sguardo. Il ragazzo continua imperterrito:
-Secondo me non avrebbero dovuto ammetterla fin dalle selezioni a porte chiuse. Con questo non sto giudicando il vostro lavoro, sia chiaro, però...-
-Basta!-
-Come?-
Afferro Oliver Smith per il colletto della camicia e lo spingo contro il muro del corridoio:
-Non ti azzardare a ripetere ciò che hai appena detto a qualcun altro!- sbotto, osservandolo infuriato -E se cerchi di far cadere quella ragazza come hai fatto oggi, mi assicurerò di farti espellere dal programma!-
Gli volto le spalle, il mio umore è drasticamente peggiorato: è davvero quello ciò che gli altri hanno visto oggi? Lo sfregio ad una ragazza non vedente, costretta a dimostrare più degli altri di meritare il suo posto in quella cucina?
Preso dal mio egocentrismo e da quella stupida sfida che sembrava sorgere spontanea ogni volta che entravamo in contatto non mi ero reso conto di quanto era stato difficile per lei arrivare davanti a me. Forse è per colpa della sicurezza con cui fa ogni cosa, che la fa apparire perfettamente a suo agio anche senza l'uso della vista...
"Ma non è così, idiota, non può essere così!"
La vedo camminare in lontananza con l'aiuto di un cane: si dirige verso una macchina all'angolo della strada e un ragazzo le sta già andando incontro. Inizio a correre, arrivando prima di lui e afferrando la ragazza per un braccio. Il cane abbaia e Sorrentino perde la presa sulla maniglia: senza neanche capire come, me la ritrovo tra le braccia.
-Signor Moore...- balbetta, tentando di rimettersi in piedi -Ho perso l'equilibrio, mi scusi!-
-Come hai fatto a capire che ero io!?- esclamo, sorpreso, ma vengo interrotto da una voce imperiosa.
-Alex, che succede? Ti sei fatta male? La lasci subito!-
-No, Ty, va tutto bene.-
Si rimette in piedi da sola e accarezza affettuosamente il cane che le si è posizionato a fianco, fedele e sollecito. Il ragazzo è alto, bruno e con due penetranti e diffidenti occhi verdi che mi squadrano da capo a piedi.
-Lui è Jake Moore, uno dei giudici.-
-Ah, sì. Lo stronzo!-
Alexandra sobbalza e cerca di rifilargli uno schiaffo ma il ragazzo la anticipa e si scansa.
-Tyler!-
-Non ti preoccupare, ragazzina, me lo merito tutto.- borbotto. Vorrei scusarmi con lei, ma Tyler mi fissa con sospetto e malcelata antipatia, perciò non mi sembra il momento adatto per confermare le sue teorie su di me. Sono convinto che dopo aver visto le riprese di oggi mi chiamerà con epiteti molto peggiori...
-Vieni, andiamo a casa. Arrivederci, Moore.-
Lei sembra indecisa e si volta verso di me, quasi per chiedermi di parlare. So che vorrebbe chiedermi perché l'ho rincorsa a quel modo, ma io non gliene do il tempo.
-Vada dal suo ragazzo, Sorrentino. Ci vediamo tra due giorni.-
Mi allontano in fretta, cercando di capire cosa, tra tutti gli avvenimenti di questa giornata, mi ha lasciato questo fastidioso blocco al petto.
 
 
Angolo Autrice:
Ciao!
In questo capitolo ho cercato di delineare meglio alcuni dei personaggi che si muoveranno attorno a Jake e ad Alexandra, primo tra tutti Oliver Smith: che ne pensate delle sue uscite infelici? E del comportamento di Jake?
Ringrazio tantissimo Ciniza per aver recensito il primo capitolo!!! Fatemi sapere le vostre impressioni sulla storia, mi raccomando!
Crilu

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Capitolo 3
*** Tartufo bianco ***


P.O.V. Jake
 
Arrivo agli studios con umore temporalesco e penso che i miei cuochi siano molto fortunati: se il direttore dell'albergo non mi avesse concesso un mese e mezzo di ferie, a causa di "Chefs", oggi sarei stato un capo più difficile del solito.
Il problema è solo uno, e mi appare davanti non appena metto piede nella cucina: Alexandra Jane Sorrentino, seduta a gambe incrociate sul bancone, sta chiacchierando e scherzando con i due ragazzi di ieri. Quella dannata ragazzina mi è venuta a cercare anche nel sonno: ho rivissuto attimo per attimo la sua lenta sfilata verso di me, solo che nel mio sogno lei cadeva e tutto andava in pezzi. E poi ho sognato le sue mani, le cicatrici che le deturpavano... Insomma, mi sono svegliato un'infinità di volte.
-Oggi, finger food!- trilla Elizaveta piombando come un uragano nella stanza, mollando un affettuoso scappellotto a Juan e scoccandomi un bacio sulla guancia, troppo vicino alle labbra. Rimango impassibile, limitandomi a gelarla con un'occhiata; lei osserva la mia reazione, delusa, poi scrolla le spalle e si dirige verso i concorrenti.
-Cos'era quello?-
-Juan, per favore, non è giornata!-
Lo spagnolo mi fissa attento.
-Hai una brutta cera...-
-Dormito male.- borbotto, cercando con gli occhi qualsiasi cosa che mi potesse salvare dall'interrogatorio che sentivo addensarsi su di me. Il mio sguardo si incaglia però proprio sulla ragazzina, che in questo momento ha deciso di scendere dal bancone con un salto azzardato: barcolla e per un attimo sembra cadere a terra, ma il ragazzo-dell'-hamburger la afferra prontamente per la vita, ridendo. Serro istintivamente i pugni e rivolgo nuovamente gli occhi a Juan, che ora mi scruta con aria strana.
-Stasera, alle otto. Non fare storie e non azzardarti a non presentarti! Lo sai che ti vengo a prendere nel tuo attico lussuoso in capo al mondo!-
-E' solo in cima ad un grattacielo...- mormoro sconsolato: ho rimediato l'ennesima cena dai Martinez e so che se Juan mi ha invitato è per pressarmi con l'aiuto di sua moglie e di sua figlia...
 
Come ha detto Elizaveta, oggi è la giornata del finger food: pratico, sfizioso, veloce. Sembra una cazzata, e invece è qui che ho sempre visto i peggiori disastri: alcuni scambiano pratico con piccolo, sfizioso con banale e veloce con frettoloso. Mi stiro sulla sedia con un ghigno sornione: almeno potrò sfogarmi contro degli incapaci.
La prova inizia e mi impongo di non guardare i concorrenti, sicuro che finirei per fossilizzarmi sulla Sorrentino: il pensiero di essere stato un vero bastardo con lei ieri non mi da' tregua.
L'unica cosa che i vari piatti avranno in comune è un ingrediente imposto dalla giuria: il tartufo bianco. E' costato un occhio della testa, viste le quantità, e tutta la produzione spera ne sia valsa la pena. Personalmente, passeggiando tra i banconi, ho sudato freddo nel vedere come alcuni stavano riducendo il povero tubero; mi annoto alcune facce in modo da umiliarle per bene in un secondo momento. Mi avvicino al ragazzo-dell'-hamurger - non mi ricorderò mai il suo nome - seguito da una telecamera:
-Cosa cucini oggi, un altro hamburger non hamburger?- chiedo sarcastico. Il ragazzo mi squadra con diffidenza, ma non smette di sorridere:
-No, cestini di pan brioche con mini porzione di risotto al tartufo!-
-Mh!- borbotto, osservando scettico, qualche metro più in là, la marocchina in difficoltà con il tartufo. Mi volto verso la Sorrentino, ma lei sembra non accorgersi della mia vicinanza, presa com'è dal cucinare: mi rendo conto in questo momento che non le ho ancora chiesto scusa per ieri. Ma non posso farlo ora, con sei telecamere pronte a registrare ogni mia parola, perciò mi siedo nervosamente al mio posto, pregando più insistentemente del solito affinché questa prova finisca.
La prima a presentare il piatto è la marocchina, Robin, e già dalla prima occhiata capisco che non ci siamo proprio: porzioni troppo grandi, abbinamento sbagliato con il tipo di riso.
Non mi pronuncio sul verdetto finale - inviata alla sfida eliminatoria - mi limito a criticare i punti salienti del pasto: ho capito fin dalla prima occhiata che questa ragazza se ne frega delle mie umiliazioni, a lei interessa soltanto migliorare. Però la vedo nervosa, incerta, sicuramente spaventata a morte dalla prova imminente, contro un altro concorrente dai tratti asiatici - uno di quelli che aveva sparso buona parte del tartufo sul tavolo, ridotto in rimasugli inservibili.
I cestini del ragazzo-dell'-hamburger sono buoni, ma niente di eclatante: non c'è il gusto di una storia nascosta, di qualcosa che viene da dentro. So che come espressione è piuttosto vaga, ma è esattamente questo che si deve cercare nel cibo: i nostri piatti raccontano la nostra storia né più né meno che un libro o un film.
Assaggio a malapena il piatto di Oliver Smith, concentrandomi piuttosto sul nome successivo: Alexandra J. Sorrentino. La vedo saggiare il bancone con le mani, ma prima che possa fare un solo passo scatto in piedi e precedo i miei colleghi fino a trovarmi di fronte a lei.
Sorrentino piega la testa da un lato e sorride: di nuovo, non so come, ha capito chi ha davanti.
-Poi mi spiegherai come hai fatto...- sussurro, nel chinarmi a prendere in mano uno dei suoi involtini di pasta sfoglia con... Vellutata di patate e tartufo, deliziosa.
-A fare cosa?- chiede lei con lo stesso timbro di voce.
-A capire chi sono!-
Il sorriso si allarga, evidenziando due piccole fossette al lato della bocca e assumendo un'aria enigmatica, quasi sinistra se appaiata allo sguardo fisso in un punto indefinito alle mie spalle.
-Allora, Jake?-
La voce di Elizaveta, leggermente seccata per i miei continui sbalzi d'umore, mi risveglia dalla bolla in cui ero caduto.
-Non male.- balbetto lapidario: di nuovo, i complimenti per quel piatto mi si sono fermati chissà dove tra il cervello e le corde vocali.
 
P.O.V. Alexandra
 
Cammino rasente al muro, tentando di andare il più velocemente possibile: Robin sta per affrontare la prima prova eliminatoria ed era talmente agitata che un po' di tifoseria non può farle che bene. Richard, il ragazzo dell'hamburger vegano che era intervenuto in mio favore contro Oliver Smith, mi ha già preceduto: voleva accompagnarmi, ma io dovevo andare in bagno e l'ho mandato via. Maledico quel contrattempo e la mia lentezza: con un accompagnatore trovare la sala prove sarebbe molto più facile. Di nuovo, mi chiedo perché non permetto a nessuno della mia famiglia di mettere piede qui. Di nuovo, trovo la risposta: sono stanca di sentire sempre le stesse voci attorno a me, di captare gli stessi profumi, di avvertire le solite mani che mi guidano... Ho partecipato a questo concorso perché volevo dimostrare a loro (e, forse, anche a me stessa) che potevo farcela senza qualcuno che mi stesse vicino, a controllare ogni mia mossa.
Come in risposta ai miei pensieri, i miei sensi colgono un nuovo profumo e la mia pelle viene stretta da una morsa che ben conosco:
-Signor Moore! Deve smetterla di afferrarmi così all'improvviso, mi ha spaventata!-
-Mi scuso...- afferma ironico -Del resto, tu spaventi me quando mi riconosci così prontamente!-
-Il profumo.- dico, senza pensare. Un attimo dopo vorrei ingoiarmi la lingua!
-Come, scusa?- Sembra sinceramente divertito.
-Il suo profumo, è da quello che la riconosco. E' molto... Penetrante.-
-Ah sì?- La nota di divertimento si fa sempre più accentuata.
-Sì... Ed ora può cortesemente lasciarmi andare?-
Per tutta risposta, Jake Moore mi attira a sé, facendomi perdere il contatto con il muro. Sbalordita ed impreparata, mi ritrovo a stringere la sua camicia come unico, disperato appiglio.
-Stavi andando alla sala prove, tanto, no? Ti accompagno, così potrai vedere come se la cava la tua amica...-
Ma lo fa apposta?
-Diciamo che vedere non è esattamente il verbo adatto...- commento con tono sarcastico.
Lui trattiene il fiato, e quando mi risponde è mortalmente serio:
-Mi dispiace, io... Non volevo offendere. E non volevo farlo neanche ieri, è solo che a volte mi lascio trasportare da desideri infantili... Era tutto uno stupido scherzo, ecco.-
-Uno scherzo?- replico, tagliente. -Ho rischiato di cadere e, con me, anche il piatto che avrebbe dovuto esaminare! E non pago, ha anche cercato di farmi prendere un infarto, sbucando all'improvviso e afferrandomi a quel modo!-
-Ho già detto che mi dispiace!-
Il tono della sua voce ora è basso e minaccioso, un vero e proprio ringhio. Quest'uomo non deve essere abituato a chiedere scusa alle persone, realizzo. E allora decido di lasciar perdere.
-Comunque...- inizio titubante -Non è stata poi un'esperienza così negativa!-
-Che significa?-
-Intendo dire... Lei è la prima persona a trattarmi in modo normale da non so più quanto tempo!-
"Alexandra Jane Sorrentino!" urla la mia mente, indignata "Cosa vai farneticando!?"
Inciampo in una fessura tra le mattonelle del pavimento e rischio di perdere la presa sul suo braccio, ma Moore si affretta a stringermi per la vita e rimettermi in equilibrio.
-Perché sei venuta qui? Perché senza un accompagnatore, un aiuto, qualcuno?- chiede a bruciapelo, riprendendo a camminare. Noto che la sua mano è rimasta saldamente poggiata sul mio fianco, per impedirmi di cadere ancora e la cosa mi mette a disagio: sento un brusio attorno a noi e mi chiedo quanti stiano vedendo lo straordinario spettacolo di Jake Moore che aiuta la povera ragazzina cieca. Vorrei scansarmi, ma l'oscurità che mi circonda me lo impedisce: distinguo a malapena i contorni dei muri e nient'altro.
-Sorrentino, mi hai sentito?-
-Sì....-
-E allora?-
-E allora non ho voglia di risponderle!-
-Non hai...?-
Sembra stupefatto, incredulo. Come se fosse facile spiegare la mia vita ad uno sconosciuto che tra l'altro non ha fatto altro che complicarmi le cose dal primo momento in cui mi ha vista. Ma chi si crede di essere?
-Sei strana, ragazzina.- borbotta, con tono neutro. Sembra essersi calmato e, cosa ancora più importante, non sembra essere intenzionato a fare altre domande imbarazzanti. Però mi sento in dovere di puntualizzare una cosa:
-Ho venticinque anni. Non sono più una ragazzina da un bel po', ormai.-
Lo sento soffocare una risata. Jake Moore che ride? No, non è possibile. Non si accorda con le numerose descrizioni che mi hanno fatto di lui, e con l'atteggiamento che ho sperimentato sulla mia pelle.
Sento Richard che mi chiama, e Moore mi lascia andare velocemente, neanche la mia pelle avesse preso fuoco. Avverto il mio amico che si avvicina e sorrido timida. Penso che il giudice se ne sia già andato, quando sento un soffio bollente vicino all'orecchio.
-Sei bassa, testarda e con troppa voglia d'indipendenza. E quindi per me resterai ragazzina!- bisbiglia Moore, a voce così bassa da farmi rabbrividire. Poi si allontana, e con lui scompare anche il suo caratteristico odore.
 
-Che ti ha detto Moore?- chiede Richard dopo un po'. La prova è iniziata da un quarto d'ora circa e il ragazzo mi ha fatto la paziente telecronaca di tutto ciò che è successo. Robin e Bill, l'altro concorrente, devono confrontarsi su un piatto estraneo ad entrambi: carne alla griglia.
Robin non si è persa d'animo e sta lavorando alacremente per riuscire a rimanere in questa cucina.
Mi muovo sulla sedia, a disagio:
-Niente di che, si è scusato per il comportamento di ieri...-
-Cosa ha fatto?- strilla Richard, attirando l'attenzione di qualche altro concorrente.
-Abbassa la voce, idiota! Perché, è così strano che mi abbia chiesto scusa?-
-Alex, ascolta: nel ristorante dove lavoravo c'era un cameriere, piuttosto bravo, che aveva avuto la sfortuna di lavorare per Moore... Dio, al poveretto tremavano ancora le gambe al pensiero delle sue sfuriate! Sono sicuro che qui si contenga perché dobbiamo andare in  onda sulla tv nazionale, ma credimi, è pazzo! Un pazzo dal talento incredibile e con un ego smisurato. Jake Moore non chiede mai, ripeto, mai scusa!-
-Con me lo ha fatto...- mormoro, assorta. Mi è tornato alla mente un altro particolare, le parole che mi ha sussurrato ieri, quelle che credevo di essermi immaginata:
"Hai delle belle labbra..."
Così, dal nulla. Prima mi insulta e poi mi fa un complimento, una volta mi fa perdere l'equilibrio e un'altra mi scorta gentilmente fino alla mia destinazione... Forse ha ragione Richard, forse è semplicemente instabile.
Avverto delle risate sguaiate poco lontane da noi. E' Oliver, insieme ad un altro paio di concorrenti: riconosco le voci di Priscilla, una trentenne nervosa, e Wade, un cuoco di cinquant'anni dai modi bruschi e dalla voce arrochita dal fumo.
-Ci credete che il bastardo mi ha anche spinto contro il muro? Aveva le mani che sembravano di ferro, per la forza con cui mi ha stretto la maglietta! E tutto quanto per quella ritardata...-
-Ma perché secondo te, Smith?-
-Mah, non so, non lo capisco. Prima la umilia davanti a tutti e poi momenti mi ammazza di botte per averle dato contro! Secondo me se la scopa...-
-No, dai!- la voce di Priscilla è un misto di eccitazione ed incredulità. Sento che sto per vomitare. In più non ci capisco nulla neanche io: Moore mi ha difeso con Smith? Quando? E soprattutto, perché?
-Secondo me sì- prosegue Oliver con fare cospiratorio, abbassando la voce -Altrimenti come sarebbe entrata, secondo voi?-
La nausea è sempre più forte, preme contro il mio stomaco e mi soffoca il respiro. Serro gli occhi, ma non posso impedire ad un'unica lacrima di scendere lungo la mia guancia.
-Alex, che succede? Ehi!-
Sono così arrabbiata, offesa e piena di vergogna che non trovo di meglio che affondare il mio viso nella maglia di Richard. Inspiro a fondo il profumo di pulito che emana, mentre lui mi accarezza dolcemente i capelli, tentando di calmarmi.
Ho un tale tumulto che posso sentire il sangue scorrere furioso nelle mie vene: il pensiero che più mi intristisce è che per loro non sarei entrata grazie a ciò che so fare, ma solo per una mia fantomatica relazione con Moore. Con Jake Moore, per Dio, chi crederebbe mai ad una cosa del genere? Come farebbe un qualsiasi ragazzo normale - a maggior ragione uno come lui, che ragazzo non lo è più neanche tanto - ad innamorarsi di me?
Ma forse il pensiero di Smith era ancora più degradante e sporco: forse lui intendeva solo...
-Alex, è ora! Robin e Bill stanno presentando i piatti!-
Alzo la testa e mi asciugo le lacrime con il dorso della mano. Sento le cicatrici ruvide graffiarmi la pelle delicata intorno agli occhi e le mie labbra si piegano all'ingiù: possibile che ogni cosa adesso mi debba ricordare Moore?
Poi rifletto, e riconosco che effettivamente da sei anni a questa parte Jake Moore è l'unica variante degna di nota della mia vita: per sei, lunghissimi anni ho lasciato che la mia esistenza scivolasse via in una monotonia grigia, ogni giorno uguale al precedente.
Ho deciso di stravolgere tutto, e lui purtroppo è compreso nel cambiamento: la mia unica possibilità è stargli lontano il più possibile, per quanto me lo consenta il dover stare accanto a lui in un programma televisivo.
Bill viene bocciato alla grande da Moore ed io mi chino in avanti, pur non potendo vedere, per non perdermi nulla di ciò che diranno ora i giudici: è il turno di Robin.
 
 
Angolo Autrice:
Ciao!
Avreste mai creduto che Jake Moore potesse chiedere scusa? E che addirittura scortasse Alexandra da Richard?
Non è un capitolo particolarmente movimentato, ma significativo per delineare meglio i personaggi di questa storia, anche quelli pessimi: la triade di Smith è piuttosto crudele e brava nel diffondere le malelingue, non trovate?
Sono stata molto felice dell'accoglienza riservata ai primi due capitoli e spero che questo non sia da meno! xD Fatemi sapere cosa ne pensate :) nel frattempo ringrazio Ciniza e ParoleDiGhiaccio per aver recensito e tutti coloro che hanno inserito la storia nelle seguite/preferite.
Alla prossima
 
Crilu

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Capitolo 4
*** Sangria ***


P.O.V. Alexandra
 
Robin presenta il suo piatto alla giuria: stando alla descrizione di Richard, è una piramide di bocconcini di carne di forma rotonda, speziati in diverse maniere. Il mio naso riesce a cogliere solo una vaga zaffata del profumo che la carne ancora calda emana, ma i mugugni di approvazione dei giudici parlano da soli. Anche Moore, con mia estrema sorpresa, è positivo nei confronti della mia amica... Ma per positivo intendo dire che si limita ad una battutina sul fatto che sia finita nella prima prova eliminatoria. Le riprese vengono stoppate, il verdetto è definitivo: Bill ha perso, Robin rimane con noi. Nel giro di pochi istanti mi sento soffocare in un abbraccio rumoroso: sono stretta tra la marocchina e Richard, che ride come un pazzo.
"E' naturale che tra degli avversari ci sia così tanta confidenza?" mi chiedo. Ma evito di darmi una risposta: Robin e Richard sono una ventata d'aria fresca, rispetto alla pesantezza dei miei fratelli. Mi accompagnano fuori e rimaniamo lì a chiacchierare per un po'. Ad un tratto sento il mio telefono squillare, e dall'altra parte c'è Tyler:
-Alex, scusa ma sono bloccato qui in ufficio!- esclama affannato -Non so quando riesco a passare a prenderti!-
Sento un brivido scendermi lungo la spina dorsale: e ora come faccio?
-Non fa nulla, fratellino, ti aspetto...-
Mi sono allontanata dai miei amici e mi appoggio al muro con la fronte, facendo una smorfia: Tyler è l'unico della mia famiglia che abbia accettato il mio desiderio di partecipare a "Chefs", non troverei mai un altro passaggio per tornare. Il cellulare mi viene sfilato dalle mani; sobbalzo, impaurita, ma poi capisco che accanto a me c'è Moore.
-Tyler? Bene. Sono lo stronzo dell'altro giorno, ricordi? Alexandra ha appena rimediato un passaggio, non ti scomodare a venire fino a qui!-
Non è ciò che ha appena detto ad avermi sconvolto, né il fatto che abbia appena chiuso il telefono in faccia a mio fratello: Jake Moore mi ha appena chiamato per nome. Ha pronunciato "Alexandra" indugiando sulla x e arrotondando la r... Non avevo mai sentito nessuno chiamarmi in questo modo. Il mio nome, in bocca a lui, sembra avere lo stesso sapore di un dolce prelibato.
-Allora, non dici nulla?-
La sua voce divertita e sprezzante mi risveglia dalle mie riflessioni e mi fa arrabbiare in modo inconsulto. Inizio a tirare pugni alla cieca, colpendolo di striscio sul petto e sul braccio:
-MA COME- risata divertita di Moore -TI SEI- grugnito di dolore -PERMESSO?-
In un lampo di lucidità la mia mente registra di essere appena passata dal "lei" al "tu", ma il pensiero viene nuovamente sopraffatto dall'indignazione e dalla rabbia.
La sua mano blocca la mia con fare annoiato e attira il mio braccio verso di sé, iniziando a camminare - verso la sua macchina, presumo. Abigail abbaia furiosa, irritata dall'irruenza di questo sconosciuto. Non posso far altro che seguirlo, continuando a masticare insulti.
-Ora capisci perché ti chiamo ragazzina, ragazzina?-
-Qualcuno è di buonumore oggi!- ironizzo. -Vuole spiegarmi cosa sta succedendo qui?-
-Ti sto riaccompagnando a casa...-
-Perché?-
La domanda sembra coglierlo di sorpresa:
"Richard, le tue congetture vengono confermate ogni minuto che passa..."
-Perché non hai ancora risposto alla mia domanda!- replica poi, deciso. Con una gentilezza che non credevo possedesse, fa salire me ed Abigail in una macchina grande e spaziosa. Quell'ambiente è saturo del suo odore e la cosa mi fa quasi perdere il contatto con la realtà: il naso fino in cucina è un grande vantaggio, ma in altri casi si rivela solo una gran seccatura!
Jake Moore sale al posto di guida ed ingrana la marcia.
-Dove abiti?-
-E se non volessi dirglielo?-
-Oh, faresti il mio gioco! Mettiamo subito le cose in chiaro: tu non uscirai da questa macchina finché non mi avrai detto perché sei voluta entrare a tutti i costi nella cucina di "Chefs"-
"Perché gli interessa tanto?" mi chiesi, ma non avevo il coraggio di ripetere ad alta voce quella domanda.
-E' strano che Tyler non abbia ancora richiamato...-
-Ho spento il tuo telefono...-
-Questo è un rapimento!-
-Non la fare tragica, avresti aspettato chissà quanto che il tuo ragazzo ti venisse a prendere!-
-Il mio... ragazzo?- ripeto, incredula. Scoppio a ridere istericamente, passandomi una mano tra i capelli: sento alcune lacrime sfuggirmi dalle ciglia e mi piego in due per le risate.
-Cosa c'è di tanto divertente?-
Ecco, è tornato di nuovo scontroso.
-Davvero crede che Tyler sia il mio ragazzo?-
-Non è così?-
-Certo che no! E' mio fratello!- esclamo -Come le è venuta in mente una cosa del genere? Lo sa che sono cieca!-
Moore soppesa la mia risposta.
-Ciò non toglie che tu sia una bella ragazza, Sorrentino. Ora, l'indirizzo per favore.-
Il mio cuore manca un colpo per la sorpresa e la contentezza: è il primo uomo a fare un commento positivo sul mio aspetto, dopo anni.
"E' il primo estraneo con cui ti trovi a stretto contatto, dopo anni!" rettifica una petulante vocina nella mia testa. Gli riferisco malvolentieri l'indirizzo di casa mia, mentre Abigail annusa incuriosita l'odore nuovo della macchina. Passano alcuni minuti di pesante silenzio, che alla fine mi vedo costretta a spezzare con un sospiro:
-Cosa vuole sapere?-
Non lo posso vedere, ma potrei scommettere che sta sorridendo.
-La motivazione, ragazzina. Perché sei qui.-
-Per dimostrare alla mia famiglia che posso cucinare anche se sono cieca, che posso vivere una vita quasi normale, senza dover essere costantemente controllata in maniera soffocante. Secondo loro dovrei rimanere chiusa in casa fino alla fine dei miei giorni, o uscire tenuta al guinzaglio corto da uno dei miei fratelli.-
Per qualche strano motivo, Jake Moore non sembra affatto soddisfatto dalla risposta.
-Tutto qui?- chiede ancora.
-Che le devo dire? Mi è sempre piaciuta la cultura e la cucina italiana dei miei nonni, ma fino all'... Fino a quando non sono diventata cieca non mi era mai saltato in mente di fare del cucinare uno scopo di vita!-
-E' per quello che hai così tante cicatrici?-
-Non sono affari suoi, questi!- borbotto, mordendomi il labbro e stringendo i pugni, sui quali spiccano i numerosi tagli e le diverse bruciature che mi sono procurata in sei anni di cecità.
-Come hai perso la vista?-
La domanda, prevedibile, mi lascia di sasso: non credevo potesse essere così diretto. La cosa mi spiazza, mi ferisce e, in minima parte, mi fa sorridere: dopo l'incidente tutti mi hanno trattato come una bomba ad orologeria, una mina pronta ad esplodere se non viene maneggiata con la cura dovuta. Per la mia famiglia sono diventata una specie di bambolina di porcellana, che può essere incrinata anche dal più piccolo soffio di vento. Ma Moore non è un soffio di vento, è un ciclone brutale e non gira mai intorno a ciò che vuole dire: è una qualità da apprezzare, anche se in lui si manifesta in una maniera alquanto discutibile.
-Non ho intenzione di risponderle...- mormoro, sovrappensiero.
-Sei uno strazio, ragazzina: hai risposto ad una domanda su tre e nel contempo hai aumentato la mia curiosità! Così non arriveremo da nessuna parte!-
-Perché, dove vuole arrivare?- chiedo preoccupata, serrando le dita attorno alla maniglia del corpetto di Abigail. Lo sento grugnire, non so se infastidito o divertito.
-Sorrentino, non farti esagerati film mentali. Sei l'unica concorrente degna di nota in quattro anni di concorso. Quattro fottuti anni passati in mezzo a quegli imbecilli, capisci? Oh, non sei la prima a colpirmi, sia chiaro: sei solo quella più strana e assurda, l'unica che spicca in quella marea di facce!-
-Lei ha qualche problema.-
La frase rotola fuori dalla mia bocca prima che io possa fermarla: sembra succedere spesso, quando Moore è nei paraggi. E' che la sua risposta ha avuto lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelida, anche se non lo ammetterei mai ad alta voce.
-Ne ho parecchi, ragazzina!- esclama lui con amarezza.
-Ne vuole parlare?-
"Vai così, Alex, manda a benedire quel poco di dignità che ancora ti è rimasta! Secondo quale logica dovrebbe confidarsi con una ragazza che conosce a malapena e che sopporta solo a giorni alterni?"
-Siamo arrivati.-
La voce non tradisce alcuna emozione: all'improvviso appare freddo nella stessa misura in cui prima era interessato a me. Vorrei continuare a parlare, perché so che non avrò più una possibilità del genere per comprendere almeno in parte quest'uomo così geniale e scontroso, ma sento una sgommata dietro di noi, una portiera che sbatte e pochi istanti dopo la mia che si apre. Abigail guaisce felice, ma il tono di Tyler è tutto meno che contento.
-Alexandra- dice gelido -Vai in casa.-
-Tyler...-
-Ho detto vai!-
Tyler è buono come il pane e dotato di una pazienza infinita; per questo le sue incazzature sono temibili. Non volendo ritrovarmi nel fuoco incrociato dei due ragazzi, obbedisco senza fiatare: solo quando sono entrata mi rendo conto che non ho neanche salutato Moore.  
 
P.O.V. Jake
 
Tyler Sorrentino aspetta pazientemente che io sia uscito dalla macchina per poi prendermi per il collo della camicia e sbattermi contro il muro di casa sua. E' un edificio come tanti, curato ma ammantato di quella malinconia propria dei vecchi condomini; sembra lontano anni luce dal mio loft a Manhattan.
Il ragazzo sembra particolarmente arrabbiato e nei suoi occhi verdi brilla la stessa luce di Alexandra: digrigna i denti, e un ciuffo castano gli scivola sulla fronte.
-A che gioco sta giocando?- ringhia. Io non mi scompongo, ma appoggio una mano sulla sua e con un movimento secco lo costringo a lasciarmi.
-Volevo solo...- tento di dire, ma lui mi anticipa:
-Umiliarla ancora? La cosa sembra divertirla parecchio, no? Alexandra mi ha raccontato di cosa ha fatto l'altro giorno: come si permette di venire qui?-
Lo fisso in silenzio, non sapendo come giustificarmi. Perché effettivamente non c'è una spiegazione convincente per il mio atteggiamento.
"Idiota." mi dico mentalmente.
-Volevo scusarmi!- esclamo tutto d'un fiato, prima che il giovane Sorrentino dia sfogo al suo desiderio di picchiarmi. Lui mi soppesa:
-E' un gioco, per lei, vero? Un modo per alzare gli ascolti, forse? Beh, le racconto cos'è per Alexandra questa sfida: l'unica possibilità di tornare a vivere. Negli ultimi sei anni non è mai uscita di casa: ha una vaga idea di quanto sia deprimente muoversi sempre nelle solite quattro mura, respirare gli stessi odori, sentire le stesse voci ogni giorno? I nostri genitori e mio fratello Dan non sembravano accorgersene, ma lei si stava spegnendo pian piano... Volevano addirittura imporle di smettere di cucinare! La stavano soffocando, perciò un giorno le ho fatto ascoltare una puntata di "Chefs".-
Tyler si ferma un attimo, col respiro affannato. Sono stato attraversato da un brivido nell'ascoltare le sue parole, soprattutto al pensiero che alla ragazzina potesse venir negata la possibilità di cucinare: vorrei davvero sapere cosa è accaduto, sei anni fa, ma so per certo che il ragazzo di fronte a me è l'ultima persona a cui chiederlo.
-E' rinata.- riprende, a voce più bassa, assorto -Ha iniziato ad impegnarsi più duramente, affinando il palato, il tatto, l'olfatto... Ha anche sforzato al massimo la sua vista offuscata, pur di imparare ad impiattare in maniera decente! Non si è lamentata delle ferite che riportava, ha rifiutato ogni tipo di aiuto, chiuso le orecchie ad ogni divieto dei miei. E tutto per partecipare al vostro concorso. Sinceramente, non credevo che sarebbe entrata; so che se fosse stato per lei non sarebbe successo, e in verità penso sia stata solo una mossa strategica da parte della produzione. Ma tutto questo non mi importa, fino a quando Alexandra è felice: e in quella cucina lei lo è. Se non fosse per la sua presenza lo sarebbe anche di più, perciò mi faccia un favore e stia lontano da lei: le fa male, signor Moore. Non mi frega un cazzo delle sue ragioni, non so se ci sia una spiegazione per il suo modo di fare o se è semplicemente crudele come la dipingono: rischia di spezzare la grinta appena ricomparsa di mia sorella, e questo non posso permetterlo.-
Si allontana da me, e prima di entrare anche lui nel palazzo aggiunge:
-Alexandra ha talento, e sono sicura che lei se ne è accorto: sia equo nel suo giudizio... La prego.-
 
Sono le due di notte, il ristorante sta per chiudere e gli inservienti attorno a noi stanno già ripulendo i tavoli e sistemando per il giorno dopo. Ho superato indenne l'affettuoso interrogatorio di Maria, la moglie di Juan, e il neanche tanto velato tentativo di seduzione di sua figlia Angelique. Questa è l'unica attività di livello condotta ancora a gestione semi-familiare e la ragazza coordina il personale della sala: questa sera era ancora più su di giri per il fatto che io, troppo immerso nei miei rimuginii, non l'ho respinta con la solita rudezza.
Non sono mai stato un uomo incline a confidarsi con gli altri: per questo le cene da Juan si sono sempre risolte con la sua sconfitta. Per quanto si sia impegnato, non è mai riuscito a sapere nulla su di me, o sul mio passato... Almeno, nulla di più rispetto a quello che ogni tanto si legge sulle riviste specializzate.
Questa sera l'ho spiazzato, raccontandogli per filo e per segno tutto ciò che riguarda Alexandra Jane Sorrentino, compreso l'arrabbiato monologo del fratello.
Lo osservo riflettere, sorseggiando la mia sangria di fine pasto: normalmente Juan non la serve ai clienti del ristorante - non è ritenuta una bevanda abbastanza chic da questi boriosi e facoltosi borghesi - ma per me mette sempre in campo le sue riserve personali. Pensa che controllando ciò che bevo possa in qualche modo attenuare la mia dipendenza... Povero illuso.
-Che dire, la giovane Sorrentino non ha avuto una vita facile... Come molti dei nostri concorrenti. La cucina comporta sacrificio e dedizione, lo sai anche tu, e sebbene lo sforzo di quella ragazza sia ammirevole e singolare, niente di simile ha mai attirato la tua attenzione. Tu non ti sei mai curato della persona che si celava dietro un piatto, hai giudicato sempre e solo ciò che assaggiavi. Perché con lei è diverso?-
-Speravo potessi dirmelo tu...- mormoro, massaggiandomi le tempie.
Sono stanco. Stanco della mia vita, stanco di "Chefs", stanco delle mani scattanti che mi si parano davanti non appena chiudo gli occhi.
-Le cicatrici...-
-Come?- Juan socchiude gli occhi, perplesso.
-Le ho notate durante la prima prova, e da quel momento mi ossessionano. Sono orrende, scure e ruvide, eppure... Hanno un loro fascino. La ragazzina ha letteralmente versato sangue per arrivare dov'è ora, e quei segni sulla sua pelle ne sono il sigillo eterno. Non riesco a togliermele dalla testa e quando l'ho riaccompagnata a casa le ho osservate per metà del viaggio, visto che non portava i guanti. Ho bisogno di distrarmi, o questa cosa mi farà impazzire!-
Lo spagnolo sorride comprensivo:
-Da quanto non cucini, Jake?-
-Che significa?- domando, brusco -Lo sai, il direttore del The Mark mi ha concesso...-
-No, no!- esclama scuotendo la testa -Intendo: da quanto non ti metti dietro ad un bancone a cercare qualcosa di nuovo? Ultimamente ti limiti a riproporre sempre le stesse cose e i giornalisti mormorano, dicono che hai perso il tocco...-
Sbatto un pugno sul tavolo, irritato.
-Non ho perso nulla, dannazione!- ringhio, a voce troppo alta: Maria si affaccia dalla cucina e Angelique si volta a guardarmi sconvolta. Juan non dice nulla, si limita a fissarmi con dolcezza.
Lo detesto. Detesto la sua bontà e il suo atteggiamento paterno. Detesto questa sangria che mi sta bruciando la gola. Detesto i ricordi che non mi lasciano in pace. Detesto Tyler Sorrentino, che mi ha fatto vergognare di ciò che sono e ha posto nella mia mente un tarlo incessante.
E poi detesto lei: detesto i suoi occhi spenti, le mani martoriate, l'abilità sorprendente, la lingua affilata e l'orgoglio incrollabile.
Il mio primo istinto sarebbe quello di distruggerla, di umiliarla e di vederla sconfitta: è quello che sono abituato a fare. Ma nessuna delle mie esperienze mi aveva preparato al senso di colpa che mi attanaglia.
Una volta rientrato a casa vado in cucina, accendo le luci e apro il frigo. Dispongo i miei strumenti ordinatamente di fronte a me e li fisso per un tempo indefinito, mentre fuori dalla finestra le luci di New York lampeggiano fredde ed ironiche.
Juan, senza saperlo, ha colto il nocciolo della questione: non riesco più a creare un piatto. Non ho la materia prima per farlo, l'ispirazione: se n'è andata, qualche mese fa, lasciandomi solo e instupidito. Senza la cucina, non ho altre vie per scappare dalla realtà e la mia mente sta lentamente degenerando in pensieri folli. Mi sono reso conto che per intere ore, durante il giorno, non vivo più nel presente: siedo tra i miei ricordi e li ripercorro all'infinito, chiedendomi dove ho sbagliato, immaginando come sarebbe stato se le cose fossero andate per il verso giusto.
Sento qualcosa di bagnato scorrermi sul viso e capisco di star piangendo.
 
 
Angolo Autrice:
Buongiorno e Buona Pasqua, anche se in ritardo! xD
Pubblico oggi perché per ovvie ragioni domenica non ne ho avuto il tempo... Temo anche di dovervi informare che, causa studio ed altri impegni, la pubblicazione di Chefs procederà un po' a rilento (da settimanale a bisettimanale).
Comunque, tornando alla storia: Jake è abbastanza scombussolato e non si spiega cosa gli sta succedendo, poverino! E grazie a Juan e alla sua sangria si scopre anche cosa lo turba da un po' di tempo: cosa succede quando uno chef stellato non è più in grado di cucinare? Lo scoprirete nei prossimi capitoli!
Alla prossima
 
Crilu 

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Capitolo 5
*** Cioccolato bianco e nero ***


P.O.V. Jake
 
Mi sono addormentato in cucina e stamattina ogni muscolo del mio corpo protestava per la posizione innaturale a cui l'avevo costretto, abbandonato sull'isola di marmo lucido. Sbatto le palpebre e riconosco di fronte a me la sagoma familiare di una bottiglia di birra vuota: ecco spiegato il cerchio alla testa.
Sotto la doccia rifletto su ciò che è accaduto ieri sera e mentre l'acqua scorre sui tatuaggi di cui il mio torace è ricoperto capisco che la ragazzina che mi ossessiona è paradossalmente l'unica via di salvezza per i miei nervi. Sì, perché lei è una ventata di novità, è imprevedibile e tenace: potrebbe essere davvero l'ultima possibilità per superare la crisi di creatività che mi ha colto da qualche mese a questa parte.
Con ancora questi pensieri in testa e armato di buoni propositi, arrivo agli studios con una nuova luce negli occhi e senza il mal di testa, relegato in un angolo della mente da una massiccia dose di analgesici.
La mia parvenza di buonumore viene subito incrinata da Elizaveta, che sorridendo mi annuncia che la sfida di oggi è a coppie, già estratte e preparate: scorro l'elenco con lo sguardo e noto con una smorfia che Alexandra è finita con il-ragazzo-dell'-hamburger... Richard Hamilton.
I due stanno chiacchierando fitto, allegri, mentre la marocchina sta cordialmente salutando il suo compagno di squadra.
-Allora, ragazzi!- esclama Juan, che per una volta prende il posto di Elizaveta -La prova di oggi non è facile: si tratta di unire le forze e combinare il vostro modo di cucinare con quello di uno sconosciuto per preparare un dolce. Dovrete usare due ingredienti principali, uno per ciascun concorrente: scegliete con cura sapori che si abbinino bene tra di loro, mi raccomando! Avete tre ore di tempo, a partire da ora!-
Le telecamere si muovono veloci ad inseguire i cuochi che corrono da una parte all'altra della cucina, bisticciando e discutendo su ingredienti, dosi, tipi di dolci, pasticceria...
Sorrentino bisbiglia qualcosa al ragazzo, che si illumina e le schiocca un bacio sulla guancia.
-Ma tu sei un genio!- esclama ridendo. Stringo i pugni fino a farmi sbiancare le nocche, senza neanche sapere il perché:
-Cosa c'è, Jake?- chiede Elizaveta preoccupata, osservando la mia faccia contratta.
-Nulla, nulla. Sono solo... Un po' nervoso.- borbotto imponendomi di rilassarmi. Abbiamo appena finito il nostro solito giro tra i tavoli, più a beneficio del programma che dei concorrenti, ed ora tutti e tre stiamo aspettando pigramente che scadano le tre ore di tempo. Elizaveta si china verso di me sorridendo, sfiorandomi il collo con i lunghi capelli mentre mi sussurra all'orecchio:
-Ormai è passata più di una settimana dall'ultima volta che io e te abbiamo fatto l'amore, Jake... Sono sicura che saprei trovare un buon modo per farti rilassare!-
-Sesso!- esclamo, a voce troppo alta, tanto che i concorrenti delle prime file alzano lo sguardo, sbalorditi. Scrollo la testa: ero troppo impegnato a cercare di capire cosa stavano combinando Sorrentino ed Hamilton per curarmi di ciò che stavo realmente dicendo... Quando ero passato di lì avevo visto cioccolato bianco e nero in due ciotole...
-Come, scusa?-
La voce di Elizaveta è di un'ottava più alta rispetto al normale e vibra di indignazione, collera e delusione.
-Sesso, Elizaveta- mormoro, senza staccare gli occhi dai concorrenti -Io e te abbiamo fatto solo sesso, perché non riesci mai a ricordartelo?-
Il sorriso scompare dal suo volto, rimpiazzato da uno sguardo amaro:
-Stronzo!- sibila a mezza voce, prima di andarsene impettita. Juan mi squadra con aria di rimprovero ed io alzo le spalle: tutto ciò mi è indifferente.
 
Oliver Smith mi sta studiando con apparente indifferenza, ma dal movimento incessante dei suoi occhi intuisco il suo nervosismo. Sembro l'unico a nutrire una certa antipatia per il ragazzo: per i miei colleghi si tratta di un giovane cuoco molto dotato. Ovviamente, dato il mio carattere, nessuno dei due si stupisce più di tanto del mio giudizio tagliente; io e Smith ci guardiamo negli occhi, sfidandoci. Vorrei poterlo espellere, ma non ho la possibilità né una plausibile motivazione: se raccontassi la verità sarei tacciato di favoritismo nei confronti della ragazzina.
Elizaveta è una furia e i concorrenti sono sconcertati: dura, cattiva, quasi crudele nel denigrarli, sembra stia facendo a gara con me per il titolo di giudice più stronzo.
Abbiamo già individuato la prima coppia da inviare alla prova eliminatoria, quando mi viene presentato il piatto della ragazzina e del ragazzo-dell'-hamburger: un tortino dal cuore morbido, un dolce la cui unica difficoltà sta appunto nel mantenere caldo e fondente l'interno senza bruciare la parte esterna. La sua particolarità è che si tratta di un piatto diviso in due: metà bianca e metà nera, meticolosamente unite al centro.
Elizaveta assaggia con una smorfia e commenta:
-Cottura non proprio perfetta, l'esterno è troppo croccante, mentre nel cuore le due tipologie di cioccolato si mischiano e creano una disarmonia sgradevole. E poi le vedete tutte queste sbavature? Posso capire te, Alexandra, ma Richard, almeno tu! Buttaci un occhio!-
Hamilton sembra mortificato, mentre Sorrentino si morde a sangue le labbra: sono sicuro che lo stia facendo per non risponderle a tono.
Juan affonda il cucchiaino nel dolce con aria benevola, e il suo giudizio è come al solito rassicurante:
-Non è poi così male! Certo, non è perfetto nella presentazione, ma il cioccolato fondente, così amaro, contrasta in maniera efficace la dolcezza di quello bianco, altrimenti un po' stucchevole. E poi siete stati originali, questo va premiato!-
E' evidente che l'ago della bilancia sono io: la mia impressione su quel piatto ne decreterà il successo o la rovina. D'un tratto mi sento a disagio, sotto tutti quei riflettori: vorrei avere più tempo per pensare, per giudicare...
Al primo morso l'odore di cacao nero mi invade le narici, mentre rischio quasi di ustionarmi la lingua con il cuore bollente. Non trovo la mescolanza di sapori sgradevole, come ha affermato Elizaveta, anche se riconosco che è particolare e potrebbe non piacere a tutti. Piuttosto, la consistenza mi fa aggrottare la fronte, stranito: l'interno è quasi liquefatto e ustionante, mentre la crosta è tiepida e davvero troppo dura.
Alzo gli occhi su Hamilton, che mi fissa trepidante; Alexandra Sorrentino, accanto a lui, fissa invece la parete con la solita aria imperturbabile. Noto che il ragazzo la sorregge per un braccio e mi tornano alla mente spezzoni del discorso avuto ieri con Tyler:
"Stia lontano da lei: rischia di spezzare la grinta appena ritrovata di mia sorella... Alexandra ha talento: sia equo nel suo giudizio..."
Emetto un verso a metà tra un sospiro e un ringhio, frustrato: purtroppo so cosa sta per accadere. Devo essere equo e le altre coppie se la sono cavata tutte abbastanza bene...
-Elizaveta ha ragione: la consistenza proprio non va.- borbotto, omettendo il fatto che il sapore era buono.
Elizaveta solleva la testa, resa più sicura dalle mie parole, e decreta:
-Richard, Alexandra: andrete alle prove eliminatorie!-
 
Chefs funziona così: una volta ottenuti una ventina di concorrenti dopo la prima prova, si procede a fasi alterne. Una prova è generale, l'altra eliminatoria, fino a quando a sfidarsi non rimangono in due. I migliori, afferma l'entusiastica voce narrante; i meno peggio, penso io.
La prova eliminatoria non è a squadre, perciò Hamilton e Sorrentino concorreranno l'uno contro l'altro: la cosa, per qualche motivo, mi reca un'intima soddisfazione.
Dall'altro lato, però, mi dispiace di aver dovuto mettere a rischio la sua presenza qui, proprio ora che mi serviva più che mai la sua compagnia.
La trovo nel suo camerino mentre si prepara prima di andare in scena. Appoggiato alla porta, mi soffermo sulla meticolosità con cui si spazzola i capelli biondi.
-Cosa vuole?- chiede tagliente, senza staccare gli occhi dallo specchio. Tyler aveva detto che ha la vista offuscata: chissà che non riesca a cogliere la sua figura riflessa. Mi ritraggo sulla soglia, indeciso: perché di fronte a lei la mia parlantina viene a mancare?
-Io non la capisco!- sbotta ad un tratto, buttando la spazzola sul ripiano. Si alza in piedi lentamente, mentre io non ho il coraggio di muovere un muscolo.
-Non può comportarsi così!- continua, furiosa -Un giorno mostra una faccia e il giorno dopo un'altra. Cambia umore più velocemente di una donna incinta e noi tutti dobbiamo sottostare alla sua prepotenza: le pare un comportamento normale!?-
Faccio un passo avanti, infastidito:
-Se hai qualcosa da rimproverarmi, ragazzina, dillo chiaramente!-
-Il nostro dolce era buono, e lei lo sapeva! Ma è troppo preso da questa stupida sfida, dal dover per forza ostacolarmi e...-
D'improvviso perdo il controllo: è come se Alexandra avesse appena scoperchiato il mio personale vaso di Pandora e in un attimo tutto lo stress e la rabbia che covo dentro da giorni esplodono senza freni.
Con un grido di rabbia l'afferro per i polsi e la spingo contro il muro: i nostri visi sono così vicini che quasi si toccano e sebbene sia cieca posso vedere la paura nel suo sguardo.
-Tu non sai nulla di me!- ringhio, adirato. -Arrivi qui dal nulla e forte del tuo passato ti permetti di giudicare cose che non sai, cose di cui non hai esperienza! Sono un pessimo giudice, severo, stronzo, quello che vuoi... Ma non ho mai dato un giudizio che non rispecchiasse i miei pensieri!-
Abbasso la voce, vedendo le lacrime che iniziano a spuntare agli angoli dei suoi occhi, e contemporaneamente allento la presa sulle sue braccia.
-Credi davvero che ti abbia mandato alle eliminatorie per una sorta di gioco perverso? O perché ti voglio fuori da qui?-
Alexandra riprende a mordersi il labbro inferiore: lo fa quando è nervosa, ed è un tic che mi ossessiona.
-So riconoscere un bravo cuoco quando ne vedo uno e tu hai la stoffa per diventarlo, ma il dolce di oggi non andava bene: sei qui anche per migliorare, non lo avevi capito? "Chefs" è per tutti l'occasione di diventare una star, sì, ma anche la possibilità di crescere. Chi ti credi di essere, eh? Il mondo non gira attorno a te, Alexandra Jane Sorrentino... E smetti di morderti il labbro, dannazione!-
La ragazza sobbalza e rimane a bocca aperta:
-Scusi, io... Non pensavo le desse fastidio.- pigola. Mi passo una mano sulla fronte, allontanandomi da lei e vergognandomi di me stesso: non è da me scattare a questo modo. Non da sobrio, per lo meno. Ero venuto per parlarle, per migliorare almeno un poco il rapporto burrascoso che abbiamo, ma capisco che ormai è inutile: ogni volta che tento di rimediare ai casini che combino ne creo altri più grandi.
-Signor Moore?- domanda, timida. Io non rispondo, limitandomi a darle le spalle.
-Mi dispiace.- mormora -Non avrei dovuto dirle quelle cose, soprattutto perché ha ragione lei. E' solo che... Boh, forse sono così abituata ad essere trattata differentemente da tutti da non riuscire più ad accettare le critiche. Ho peccato di arroganza, temo.-
La sua sincerità mi fa sorridere, perciò mi riavvicino alla ragazzina e le do un buffetto sulla guancia: incredibile come poche parole abbiano sortito il magico effetto di risollevare il mio umore.
-Imparerai presto, ragazzina, che in questo campo l'arroganza non è un peccato.-
 
P.O.V. Alexandra
 
Quando entro in cucina sono ancora in uno stato di trance. Le parole di Jake Moore mi hanno colpita e anche fatto provare un po' di vergogna:
"Sei voluta scappare dall'attenzione che i tuoi ti davano... E adesso ti lamenti se Moore ti rimette in riga come tutti gli altri? Hai qualche serio problema, Alex, qualcosa nel tuo piccolo encefalo non funziona a dovere!"
Più che ciò che ha detto, mi ha destabilizzato il suo comportamento: quando si vive completamente al buio, essere presi di sorpresa e sbattuti contro il muro non è affatto piacevole.
Ma se a farlo è un uomo dotato di un odore inebriante e di una voce terribilmente calda anche quando è furioso, e se poi quello stesso uomo vi accarezza la guancia, beh...
Freno i miei pensieri, a disagio, e cerco di concentrarmi su altro: Moore sembrava molto arrabbiato per la mia mancata fiducia nella sua obiettività. Però a mia discolpa posso dire che fino ad ora con me si è comportato in maniera alquanto bizzarra e non sempre giusta. Sento Robin raggiungermi col fiatone e poggiarmi una mano sul braccio.
-Fagliela vedere a tutti quanti!- mi mormora all'orecchio. -Ma per favore, cerca di risparmiare Richard!-
Ridacchio, divertita dalla cotta evidente della mia amica: mi dispiace solo che non sembra essere ricambiata.
-Non sta a me questo, Robin!-
-Già!- borbotta lei -Il compito spetta a Jake Moore e compagni!-
Il mio sorriso si spegne di botto:
-Non ti sta proprio simpatico, eh?-
-Perché, a te sì?-
Il richiamo dei cameraman mi solleva dal dover rispondere a quella spinosa domanda. 
 
Ogni qualvolta ho pensato alle prove eliminatorie mi sono chiesta con un brivido quali complicatissime richieste avremmo dovuto soddisfare per rimanere in gara. Invece la sfida di oggi è relativamente semplice: rivisitare una cotoletta.
So già che Richard punterà sui suoi amati hamburger: anche se è vegetariano, ama ideare panini sfiziosi. Posso quasi sentire le battute di Moore sull'argomento...
"E ci risiamo!" penso con una punta di fastidio. Quell'uomo deve uscire dai miei pensieri, ora!
Rifletto un attimo sul mio piatto e un'idea inizia a prendere forma: spero solo non sia troppo banale per i giudici. Mi muovo lungo il bancone, fino a raggiungere la minidispensa fornita degli ingredienti più vari: so come muovermi, la regia mi ha concesso del tempo per abituarmi agli spazi ristretti della cucina di "Chefs". Trovo a tentoni il cassetto della frutta secca e dei semi e inizio ad analizzare gli ingredienti, toccandoli ed portandomeli al naso; separo ordinatamente nocciole, semi di sesamo, mandorle e noci in vari mucchietti sul tavolo.
Ho già sbattuto l'uovo e preparato la farina quando sento vicino a me un profumo ormai familiare.
Non ci rivolgiamo la parola, ma so che sta studiando me e il mio lavoro: anche se non si ferma mai accanto al mio bancone, limitandosi a passeggiare in su e in giù, non si allontana mai troppo, e avverto la sua attenzione catalizzata dalle mie mani che sgusciano le noci. Trito finemente quest'ultime, le nocciole e le mandorle e poi passo ad impanare le tre fettine. Un filo d'olio, poi in forno... Non appena imposto il timer mi sento più leggera, e più vicina alla vittoria.
Ed è allora che Jake Moore si avvicina a me.
-Già finito?- chiede. Nella sua voce non c'è traccia dell'usuale scherno o della rabbia di prima. Sembra solo sinceramente curioso.
-Sì.- mormoro a testa bassa. Lo sento accucciarsi ad osservare le fettine e rimango in piedi accanto a lui, impacciata.
-Non c'è bisogno di essere così remissivi, Sorrentino...- mormora a voce bassa, in modo che possa sentirlo solo io.
-Non sarò mai remissiva, signor Moore!- rispondo con un sorriso astuto -Sto solo cercando di capire come mi devo comportare con lei!-
-Siamo in due allora.-
Questa frase mi lascia senza parole: sotto l'indifferenza si percepisce un disperato bisogno di vicinanza. Quello che non capisco è perché, tra tutte le persone che conosce, Jake Moore si sia intestardito ad instaurare un rapporto con me, che dovrei evitarlo come la peste: le insinuazioni di Oliver mi bruciano ancora nella testa.
Non poteva, che so, decidere di passare del tempo con Elizaveta Hobbes? Da quanto i miei occhi - cioè Robin e Richard - raccontano, lei vorrebbe mangiarselo come uno di quei minuscoli antipasti che prepara nel suo ristorante.
-Lei è libero di fare ciò che vuole... Io un po' meno!- affermo coraggiosamente. Dovrei interrompere al più presto questo contatto, ma il timore delle telecamere non è abbastanza per chetare la mia voglia di prolungare la conversazione con Moore.
Lo sento sospirare:
-Sorrentino, puoi anche insultarmi, se ti va, puoi vomitarmi addosso tutto ciò che pensi di me: la tua posizione in questa cucina non ne risentirebbe!-
-E perché?-
-Perché sono abbastanza intelligente da separare il lavoro dalle mie impressioni personali: giudicherò sempre e solo i tuoi piatti, non la tua persona.-
-Forse è l'immagine che vorrebbe dare di sé, perché la prima volta che ci siamo incontrati non sembrava così imparziale...-
-Riconosco il mio atteggiamento... Poco sensibile nei confronti di tutti voi, ma ho mai dato un giudizio veramente ingiusto, secondo te?-
Mi mordo il labbro, ma smetto subito, ricordando il tono quasi sofferente con cui mi aveva imposto di smetterla, un'ora fa. Purtroppo sono costretta ad ammettere che sotto l'arroganza e l'insensibilità si nasconde un giudice obiettivo, ma non per questo smetto di provocarlo:
-Peccato poi che rovini la sua rettitudine con un così pessimo carattere... E per la cronaca, la smetta di chiamarmi Sorrentino, mi fa sentire vecchia!-
Moore accenna una risata:
-Ti offendi se ti apostrofo ragazzina, ma il tuo cognome ti fa sentire vecchia... Come vuoi che ti chiami?-
-Ho un nome, sa? I suoi colleghi lo conoscono...-
-Ma io non sono i miei colleghi!-
-Me ne sono accorta!- ribadisco, per metà esasperata e per metà sinceramente divertita.
Il timer suona e l'incanto si interrompe.
-Allora... Buona fortuna, Alexandra Jane- replica beffardo, calcando l'accento su ogni sillaba del mio nome.
Poi se ne va, richiamato da Martinez, e io mi sbrigo a preparare il piatto: ogni traccia della mia precedente insicurezza sembra svanita, sostituita da un'impagabile sensazione di leggerezza che non provavo da troppo tempo.
 
Sono passata. Ho superato la prova e ancora non ci credo. Presa da un improvviso slancio di felicità e colma di una sorta di senso di rivalsa, chiamo mia madre. Questa mattina aveva accolto quasi con gioia il mio rischio di essere eliminata, sicura che una volta uscita di lì sarei tornata al sicuro tra le quattro pareti di casa mia... A scivolare piano piano nell'oblio.
-Mi dispiace, mamma: sono passata!- esclamo trionfante. La sento sospirare:
-Beh, non avevo dubbi. Sei brava, Alex, lo sappiamo tutti... Ciò non toglie che non vorrei saperti lì!-
Mi mordo il labbro, confusa: non era questa la reazione che mi aspettavo.
 
 
Angolo Autrice:
Ciao a tutti!
So che normalmente posto di domenica, ma visto che il capitolo era pronto e io non avevo la pazienza di aspettare, eccolo qua!
Sono felicissima delle persone che seguono/preferiscono/recensiscono questa storia e che mi spronano così a continuarla!
Per quanto le intenzioni di Jake sono buone, non trovano un riscontro sul piano pratico e i due non fanno altro che litigare... Cosa ne pensate di ciò che si sono detti?
 
Crilu 

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Capitolo 6
*** Melograno ***


P.O.V. Alexandra
 
E' passata una settimana dalla prova eliminatoria ed ho compreso cosa mi voleva dire Moore: abbiamo passato questi giorni a perfezionarci insieme a lui, a Martinez e a Hobbes ed è una grande opportunità per tutti quanti. Ed eccezione di Moore, i giudici sono maestri pazienti ed attenti e Richard mi ha spiegato anche perché: comunque vada a finire quest'edizione di "Chefs", questi cuochi cercano tra di noi anche dei potenziali aiuti in cucina. Ho accarezzato l'idea di poter essere tra quelli, un paio di volte, ma poi ho scacciato bruscamente il pensiero: per quanto io possa essere brava, rimango comunque cieca e quindi inutile in una cucina di alto livello, dove si ricerca la perfezione.
Moore non mi ha rivolto la parola per tutto lo stage e gli sono grata per questo: le nostre ultime discussioni mi hanno destabilizzata e desidero mantenere il nostro rapporto il più formale possibile.
Al contrario io e Robin abbiamo legato molto: io le ho parlato di quanto mi senta chiusa in una scatola a causa della cecità, lei mi ha raccontato di quanto è difficile crescere senza una madre (la sua ha abbandonato lei, suo padre e sua sorella quando Robin aveva appena nove anni). Non ho ancora avuto il coraggio di dirle dell'incidente e lei non chiede, rispettando i miei tempi; nel frattempo però mi rintrona con la sua cotta per Richard, insistendo su quanto sia carino, dolce, gentile, bravo ai fornelli... Un uomo da sposare, come dice lei. E in effetti inizio a chiedermi come mai un ragazzo come lui non abbia neanche uno straccio di fidanzata!
Ma la cosa più importante di cui io e la mia nuova amica discutiamo, quando la sera lei viene a cena a casa mia o viceversa, è un progetto futuro in cui non abbiamo ancora il coraggio di sperare: un ristorante, un locale tutto nostro.
Io sono scettica, Robin entusiasta: ha pensato a tutto, anche a come sistemare la cucina per poter farmi cucinare. E' una bella idea, soprattutto quando ci perdiamo dietro ai dettagli e ai piatti... Ma rimarrà appunto solo un'idea, fino a quando non avremo i soldi per realizzarla. E in questo "Chefs" ci potrebbe dare una mano: il padre di Robin deve mantenere la sorella all'università, così come i miei genitori devono mantenere Daniel... E comunque non credo che apprezzerebbero mai la proposta, prima di vederla messa in pratica, proprio come è successo con il programma.
Oggi mi devo impegnare duramente e soprattutto non andare nel pallone: sarà una sfida nel vero senso della parola perché i giudici esamineranno una coppia di candidati alla volta, confrontando i loro piatti e decidendo poi chi sarà penalizzato nella prova successiva. Siamo rimasti in sedici e ormai ho imparato a riconoscere le voci e gli odori dei miei compagni: oltre a me, Robin e Richard sono rimasti in gara anche Oliver Smith, Priscilla Young, Wade Baker e una decina di variopinti personaggi, con i loro caratteristici difetti e le loro peculiari virtù. C'è Milla Roberts, corpulenta matrona di origini irlandesi, il timido Dave Morris, Evan Parker (talmente competitivo e snob da rifiutare anche la compagnia di Smith&Co.), Sean Walker che profuma sempre di pane appena sfornato ed Emma Rivera che invece spande costantemente attorno a sé un penetrante odore di violette; poi Samantha Foster, che ripete a tutti di chiamarla solo Sam, Ruby Fisher e suo cugino Ed Price, Monica Green, impacciata ed insicura, ed infine Adam Brooks, così taciturno che spesso e volentieri ci dimentichiamo della sua presenza.
Uno di loro oggi sarà il mio avversario; uno di loro competerà con me per avere un vantaggio nella sfida a sorpresa che si svolgerà tra un paio di giorni. Ho valutato attentamente i punti deboli e i jolly di ognuno e penso di poter gareggiare onestamente e serenamente con tutti, tranne che con lui: posso sempre avvertire lo sguardo di Smith che mi segue pesante e sarcastico in ogni mia mossa e più volte ho colto le sue battute di scherno.
Lo detesto e so che non sarei mai lucida se dovessi battermi con lui.
 
Com'è che si dice in Italia? Me la sono tirata. Ancora non posso credere della mia sfortuna, forse qualche nemica italiana di mia nonna mi ha lanciato il malocchio... Ebbene sì, il mio avversario è proprio Oliver Smith e mentre lui sembra gongolare all'idea, io vorrei solo togliermi il grembiule e finirla qui. Non so il piatto che ci verrà chiesto di cucinare né in base a cosa sarà valutato e sento l'ansia montare sempre di più, nonostante Robin le provi tutte per calmarmi.
Siamo i quinti della lista, quindi dobbiamo aspettare un po' prima di entrare in cucina: i giudici potrebbero chiedere di tutto e da quanto dicono gli altri concorrenti si tratta di richieste piuttosto bizzarre.
Oliver si avvicina e mi prende per un braccio:
-Se fossi stato io a decidere tu qui non avresti mai messo piede: non sei all'altezza di noi altri e soprattutto non alla mia, perciò vedi di comportarti bene durante questa sfida, Sorrentino, e non far leva sulla pietà di quei tre... Specialmente di Moore!-
Spalanco la bocca, troppo sbalordita per rispondere in maniera efficace; Smith sembra essere soddisfatto dell'effetto che ha raggiunto, perché se ne va prima che qualcun altro si accorga della mia aria scossa.
Entro nella cucina verso le due del pomeriggio: ho due ore davanti a me per cercare di soddisfare la richiesta che, come avevo previsto, è molto particolare.
-Dovrete cucinare un primo piatto a vostra scelta, ma...- la voce di Elizaveta Hobbes ha un tono veramente alto e squillante, che ferisce le orecchie. Mi chiedo come facciano nella sua cucina a non essere diventati sordi, nel lavorare con lei -... Dovrete inserirci della frutta!-
Annuisco, concentrata: un paio di idee prendono confusamente forma nella mia mente, spero solo di trovare gli ingredienti adatti!
Con mia grande fortuna, ci sono: limone, riso venere, formaggio morbido e, soprattutto, melograno. Sorrido, concentrata e più fiduciosa: sarà un risotto con i fiocchi.
 
Il tempo è appena scaduto ed io sono soddisfatta di ciò che ho creato, soprattutto perché credo di averlo presentato anche molto bene: il riso venere, dal caratteristico colore scuro, è sormontato da una piccola quiche di formaggio aromatizzata al limone e qua e là spiccano i grani rossi del melograno. O, almeno, è così che io immagino che io sia: spero che il prodotto finale non si discosti troppo dal mio pensiero.
Oliver ha cucinato un'insalata di pasta di melone e rucola e la presenta per primo:
-E' scotta!- afferma acido Moore.
-Non sono d'accordo.- la voce di Elizaveta è carica di astio. Deve essere accaduto qualcosa tra questi due, perché ultimamente Hobbes fa di tutto per contraddirlo. -Non può essere al dente, visto che è un piatto freddo: rischierebbe di risultare immangiabile.-
-La pasta dev'essere sempre al dente!- replica lui, infastidito. A buon diritto, penso tra me e me, quasi divertita dalla situazione.
Elizaveta Hobbes sbuffa e con voce fredda mi invita a presentare il mio piatto. Sembra apprezzarlo, anche se tentenna vistosamente nel darmi un giudizio positivo: apprezza la leggerezza nei piatti, questa donna, ed ha una filosofia più in linea con il pensiero di Smith che con il mio. Io tendo a reinventare piatti già esistenti, invece che creare dal nulla nuove ricette: sono convinta che la tradizione culinaria del mondo abbia ancora molto da offrire anche ai palati più esigenti.
-E' un buon piatto, Alexandra, molto... Carino.- balbetta infine, incerta. Sollevo un sopracciglio: non mi sbagliavo, la frattura tra lei e Moore dev'essere davvero grave per mettere in crisi la sua solita corazza da donna in carriera. In questo momento ha la testa da tutt'altra parte.
-Grazie!- replico, asciutta.
-E' molto lontano dai sapori che assaggio di solito!- commenta invece Martinez -E il tocco del limone sul formaggio gli da' un'acidità particolare, nuova. Complimenti, è una delle tue creazioni migliori!-
Sorrido, sinceramente soddisfatta e felice: adesso lo stronzo può anche umiliarmi, non intaccherebbe per nulla la mia autostima.
Invece Moore sembra risvegliarsi da uno stato di quiete:
-Allora, Alexandra Jane!- esclama beffardo -Come mai non ho ancora sentito nessuna delle tue risposte mordaci, oggi?-
Arrossisco, sbalordita ed indignata: quest'uomo sembra aver sviluppato una strana dipendenza per i miei insulti. Non so come rispondere e deglutisco a fondo, prima di balbettare:
-Non lo so... Ecco, io... Non ce n'è stato bisogno!-
-Finora!- commenta lui, quasi ridendo. Subito un'idea perfida si fa strada nella mia mente, ma mi impedisco di sorridere. Quasi con noncuranza, anzi, fingendo un'aria nervosa, inizio a mordicchiarmi il labbro inferiore... Quando sento che la forchetta ha raschiato a vuoto il fondo del piatto gioisco intimamente, sapendo di aver colto nel segno. Moore tossisce e si schiarisce la voce: posso quasi vederlo mentre si aggiusta il colletto della camicia... E subito mi chiedo, con una punta di tristezza, come sia fatto Moore: me l'hanno descritto, certo, ma una descrizione non eguaglia mai l'impressione di vedere un viso per la prima volta. Dicono sia molto bello, con folti capelli neri perennemente spettinati, occhi azzurri e dal taglio leggermente obliquo, lineamenti marcati e un fisico asciutto... Vengo colta, con mia sorpresa, da un desiderio di poter vedere tutto ciò così intenso e destabilizzante da ricordarmi i primi tempi dopo l'incidente; sento le lacrime premere ai bordi degli occhi e non posso fare nulla per fermarle.
-Alexandra!- esclama Martinez preoccupato -Stai bene?-
-Sì- balbetto, portandomi le mani al viso e asciugando quel pianto che non ha ragione di essere -Sì, solo un po' di stress.-
Sento Smith, dietro di me, soffocare una risata e solo la pronta risposta di Moore mi impedisce di affrontarlo e dirgliene quattro:
-Sorprendente.- afferma -Forse i sapori non sono perfettamente bilanciati, rivedrei le dosi ma... Sorprendente, davvero.-
I respiri di tutti quanti sono sospesi. Devo ammettere che con me Jake Moore non è mai stato veramente cattivo, nei suoi giudizi: voglio dire, gli ho sentito dire di peggio, certe volte ha anche dato spettacolo con sfuriate plateali... Non so se sono davvero molto brava, per riuscire a strappargli quel 'buono' a malapena udibile, o se la sua sia solo pietà.
La cosa straordinaria, però, è che nessun piatto per Moore è 'sorprendente': in base a quanto dicono su di lui, la noia è uno dei suoi peggiori nemici anche in cucina, è molto critico anche sui suoi stessi piatti. Sembra che abbia già assaggiato tutto e che niente riesca più a fargli provare un'emozione genuina... Tranne, a quanto pare, il mio risotto.
Elizaveta è la prima a riprendersi e commenta con tono acido:
-Beh, visto che hai conquistato anche Jake, non possiamo fare a meno di consegnarti la vittoria, Alexandra!-
Sento un pugno sbattuto violentemente sul tavolo, un'imprecazione e dei passi furiosi che si allontanano: Oliver Smith ha appena lasciato la stanza.
 
Sono stanchissima, ma oggi è stata una giornata splendida, non mi sono mai sentita così fiera e sicura di me in venticinque anni di vita! Sto per uscire insieme a Robin, ma mi accorgo che ho dimenticato il mio anello nel camerino: potrei recuperarlo lunedì, ma è un ricordo di mia nonna e non sopporto l'idea di separarmene.
-Rob, arrivo un attimo in camerino che ho dimenticato una cosa, tu vai pure!-
-Sicura che non vuoi che ti dia una mano?-
-Ma figurati, ormai la strada la conosco, non ci sono neanche le scale da fare! Vai a casa, sarai molto stanca anche tu! Ci vediamo lunedì!-
-Va bene.-
Percorro a ritroso la via che porta ai camerini.
"Seconda porta a destra!" penso, appoggiandomi al muro. Finalmente trovo la mia stanza e recupero l'anello; sto per andarmene, ma sulla soglia sbatto contro una figura che mi impedisce di uscire.
-Smith!- esclamo indispettita, riconoscendo la sua risata sprezzante. -Cosa ci fai qui?-
-Potrei farti la stessa domanda, Sorrentino! Cosa ci fa una ragazza cieca come te in una struttura deserta, il venerdì sera? Stai forse aspettando qualcuno?-
-Smith, hai rotto con le tue insinuazioni, vedi di piantarla! Avevo solo dimenticato una cosa e sono tornata indietro a prenderla... Ora mi lasci passare?-
-Mmm... Credo di no!-
Oliver mi prende per le spalle e mi spinge indietro, facendomi cadere sul pavimento. Quando mi blocca a terra urlo, cercando di spostarlo, ma è troppo pesante e io sono svantaggiata dal fatto che non vedo dove si posano le mie mani.
-Puoi urlare quanto vuoi, dubito che ci sia rimasto ancora qualcuno, qui!- afferma soddisfatto, sfiorandomi un fianco. Ho compreso quello che vuole fare e mi dimeno con più forza e disperazione, terrorizzata.
"Ha ragione lui, non ti salverà nessuno!"
Gli rifilo un pugno sul mento e lui grugnisce arrabbiato.
-Stai esagerando: prima mi soffi la vittoria grazie a qualche lacrimuccia fatta uscire ad arte, e adesso ti permetti anche di colpirmi!?-
-Ho vinto perché sono più abile di te!- strillo, continuando a colpirlo alla cieca e cercando di impedirgli di abbassarmi i jeans. -Puoi anche far finta di non vedere, Smith, ma io sono più brava di te! Hai capito? Io sono migliore...-
Una voce mi zittisce e gela Oliver nella posizione in cui si trova, con le mani sotto la mia maglietta.
-Cosa cazzo le stai facendo?-
 
P.O.V. Jake
 
Ho dovuto sostenere fino a tardi un'accesa discussione con Elizaveta, che si è conclusa con lei che mi dava del bastardo mentre scappava in lacrime. Non è da Elizaveta Hobbes uscire di scena così poco dignitosamente, mi sa che ci vorrà del tempo prima che si riprenda del tutto.
Stavo per uscire (ero l'ultimo a lasciare gli studios e dovevo accertarmi che tutto fosse chiuso) quando ho sentito una voce - la sua voce, dannazione - che gridava aiuto.
E la scena che mi si è presentata davanti quando ho aperto la porta del camerino è stata agghiacciante: Alexandra è distesa sul pavimento e Oliver Smith la blocca con il suo peso. Quando poi vedo le mani di lui che la stanno spogliando sento il cuore accelerare e il sangue scorrere furioso nelle vene. Non so con quale forza di volontà non lo picchio a sangue; forse il disgusto e la paura sul volto della ragazza sono tali che non posso fare a meno di pensare a lei soltanto.
Smith si allontana di scatto da Alexandra e apre la bocca per parlare, ma la mia occhiata gli intima di andarsene il più veloce possibile, prima che la mia parte irrazionale prenda il sopravvento e gli spacchi la faccia.
La ragazzina è rannicchiata su sé stessa e scossa da tremiti incontrollabili: tendendo l'orecchio posso anche sentire i suoi singhiozzi sommessi e soffocati.
Mi avvicino lentamente e provo a sfiorarla, ma lei si inarca e trema come una foglia in una giornata d'autunno. Decido di non demordere e la afferro per le spalle, stringendola a me.
-Va tutto bene, adesso. Sono io, Alexandra...-
-Moore?- pigola, spaesata.
-Non mi hai riconosciuto, questa volta?-
-Sì ma... N-non ci volevo cre... Credere.- balbetta piangendo.
Le accarezzo il capo dolcemente, aspettando che si calmi un po'. I minuti passano, ma lei non sembra riprendere lucidità, è ancora terrorizzata.
-Vieni, dai, ti riporto a casa...-
-No!- urla, facendomi sobbalzare -A casa no, la prego. Non... Non posso farmi vedere in queste condizioni, loro... Loro...-
-Va bene, va bene, calmati!- dico brusco, prendendola in braccio.
-Dove andiamo?-
-Non a casa tua, stai tranquilla!-
-Dove andiamo?- ripete a voce più alta, aggrappandosi con forza alle mie spalle. Ignoro il dolore delle sue unghie quasi conficcate nella pelle e assaporo la sensazione del suo corpo contro il mio: ha il viso premuto contro il mio petto e i capelli biondi mi solleticano il collo.
Sto per risponderle, ma appena la appoggio in macchina scopro che si è addormentata. Forse è svenuta, ma vabbè il risultato è lo stesso: Alexandra Jane Sorrentino riposa con gli occhi chiusi e il capo reclinato sullo schienale della mia macchina, mentre un'ultima lacrima rimane sospesa tra le sue ciglia.
Sembra ancora più piccola di quanto non sia e questa visione mi strappa un sorriso. Facendo il meno rumore possibile, salgo in macchina e mi dirigo a casa.
 
 
Angolo Autrice:
Per farmi perdonare del ritardo, ecco un capitolo bello carico!!!
Non vedo l'ora si sapere cosa ne pensate, soprattutto (ovviamente xD) della parte finale, e di come Jake sia arrivato appena in tempo a salvare la nostra Alexandra...
Grazie di cuore a tutti i lettori/lettrici che seguono e preferiscono la storia, sono super-felice :D e in particolare voglio ringraziare MusicHeart, marika_3 e Batteriascarica che hanno recensito l'ultimo capitolo!
 
Crilu
   
 
P.S. Il piatto "ideato" da Alexandra esiste davvero e fidatevi, è squisito :P

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Capitolo 7
*** Caramello ***


P.O.V. Jake
 
Rannicchiata su sé stessa con la maglietta trasandata e gli occhi chiusi, Alexandra Jane Sorrentino sembra una ragazza normale. Non una persona disabile, non un'aspirante cuoca, non una donna reduce da un tentato stupro: è semplicemente una ragazza che dorme serenamente sul mio letto come se fosse la cosa più naturale del mondo.
E in un certo senso lo è: non riesco ad immaginare un posto più sicuro e tranquillo per lei, in questo momento. Vorrei solo che non si svegliasse mai, che non mi costringesse di nuovo a fissare quegli occhi che non vedono e ad affrontare quasi sicuramente una Sorrentino inviperita e sotto shock.
Sono seduto accanto a lei da non so quanto tempo, eppure non mi stanco di osservarla: è una cosa che non ho mai fatto con nessuna delle altre ragazze che mi attiravano.
Perché sì, Alexandra mi attira e in un modo nuovo e spiazzante, per di più: non so se a prevalere in me sia la curiosità per i suoi piatti o il desiderio di accarezzarla ed averla.
Ed è contro questo desiderio che sto lottando adesso, contro l'istinto che mi spinge a volerla in questo letto ogni notte e non certo per lasciarla dormire. I suoi capelli ricadono scomposti sul cuscino e mi rendo conto solo ora che hanno le stesse sfumature calde del caramello appena fatto.
Mi ricordano quando mia madre, da piccolo, univa acqua e zucchero e poi li versava sul ripiano della cucina e il liquido correva lungo la pietra, solidificandosi, mentre la mamma canticchiava... Pensare a lei mi fa male, meglio concentrarsi sulle sensazioni che Alexandra mi provoca.
Ma l'incanto si rompe non appena la ragazzina riprende conoscenza:
-Dove... Dove sono?- balbetta allarmata, stirandosi ed iniziando a muovere convulsamente le mani attorno a sé, tentando di analizzare l'ambiente circostante.
-Sul mio letto, ragazzina.-
-Cosa!? Come le è saltato in mente?-
Cosa stavo dicendo? Acida e prossima ad una crisi di nervi. Da sveglia mi fa innervosire tanto quanto mi piaceva mentre riposava.
-Stavi farneticando sul fatto che a casa ti avrebbero interrogato e poi messo sotto chiave, non è che tu mi abbia lasciato tante altre alternative!-
-Sono sicura di non aver usato queste parole, e comunque poteva chiamare Tyler!-
-E' quello che ho fatto subito dopo averti portata qui di peso, Bella Addormenta- ironizzo -Ho provato a spiegargli a grandi linee quello che è successo e dopo avergli giurato che non ero stato io a tentare di violentarti gli ho dato il mio indirizzo!-
-Cosa ha detto?- mormora a bassa voce.
-Su cosa?-
-Su... Su Smith.- Fa fatica a parlare e si vede; il nome di quel bastardo mi riempie di rabbia che controllo a fatica. Come si può pensare di approfittare di una ragazza così? Ha osato sfiorarla, toccarla...
-Non so cosa tuo fratello abbia detto, non capisco le imprecazioni italiane!-
Alexandra abbassa gli occhi, nervosa, e si morde il labbro con violenza: entro pochi minuti potrei veder scorrere il sangue.
-Come stai?-
La domanda, più diretta e spontanea di quanto volessi, esce in automatico dalla mia bocca ed io resto confuso ad aspettare la sua reazione. Come ha detto Juan qualche sera fa, io non mi interesso mai della persona dietro un piatto, ma con lei sento di dover fare un'eccezione: mi è impossibile lasciarla stare.
-Sinceramente?- borbotta sarcastica -Uno schifo! Mi sento ancora addosso le sue mani e il suo odore e tutta la paura che ho provato! Vorrei solo potermi riaddormentare di nuovo e non dover pensare... Sto male, io... Sono terrorizzata!-
-Ehi!- esclamo, sporgendomi verso di lei -Nessuno ti farà del male qui, hai capito? Non ti sfiorerei neanche con un dito, ragazzina!-
-Lo so.- risponde lei, con un misto di sollievo e... Delusione?
-Prenderò provvedimenti contro Smith!- continuo -Lo cacceremo dal programma e non dovrai più preoccuparti di lui!-
-No!-
Il suo urlo è qualcosa di disperato e quasi disumano, che mi scuote nel profondo.
-Che significa no? Ha tentato di stuprarti!- ringhio, aggrottando le sopracciglia.
Lei scuote la testa, affannata:
-Lei non capisce: Oliver è un genio nel rigirare i fatti a suo vantaggio. Direbbe che non è vero, che mi sono inventata tutto: del resto, chi crederebbe mai ad una ragazza che non può vedere in faccia il suo aggressore?-
-Ma io c'ero, io l'ho visto!- esclamo, innervosito.
Alexandra abbassa il capo, ma non abbastanza velocemente per nascondere le lacrime al bordo degli occhi.
-E' proprio questo il problema!- sussurra con voce roca -Oliver ha messo in giro la voce che io e lei... Che noi abbiamo... Che noi andiamo a letto insieme, ecco. Ed è stato molto meno carino di così: se venisse fuori che è stato lei a proteggermi, signor Moore, può star certo che ci getterà addosso tante di quelle accuse e diffamazioni da costringere me ad uscire da "Chefs" e forse anche lei a ritirarsi dal suo ruolo di giudice!-
Adesso tutto acquista un senso. Con un ringhio furioso sbatto un pugno contro il muro, facendola sobbalzare. Ignoro il formicolio delle dita e mi avvicino ad un'Alexandra terrorizzata: il mio tentativo di rassicurarla è stato appena spazzato via.
Le afferro le spalle e la stringo a me, godendo appieno del senso di calore e di pace che riesce a donarmi anche in un momento come questo: più approfondisco la sua conoscenza e più sono convinto che sia capitata nella mia vita per un motivo. Per questo non le deve succedere nulla.
-Va bene. Non caccerò Smith, ma vedrò comunque di fare in modo che non ti si avvicini mai più, hai capito? Alexandra, non dovrai mai girare da sola per gli studios, fatti sempre accompagnare dalla Ben Jelloun o dal ragazzo-dell'-hamburger, ok?-
La ragazza si lascia scappare una risatina nervosa:
-Come ha appena chiamato Richard?-
-Sii seria, ragazzina!- sbuffo -Non voglio assolutamente vedere più una scena come quella di oggi, devi stare attenta!-
-Perché, le ha fatto così schifo?- ringhia, alterata. La costringo a rivolgere il viso verso di me: tra di noi non ci sono che pochi centimetri e la voglia di baciare e mordere quelle labbra ad un soffio da me è immensa.
-No- ribatto con calma, trattenendomi -E' solo che se vedo di nuovo un uomo metterti le mani addosso a quel modo non sono certo di riuscire a trattenermi dal picchiarlo a sangue.-
-Perché?-
Lo stupore della sua voce contagia anche me: che cazzo ho detto? Dov'è finito l'abituale Jake Moore, che non si cura di nulla se non di sé stesso e della sua cucina?
Il suono fastidioso e prolungato del campanello d'ingresso mi riscuote:
-Andiamo!- dico, dandole una mano ad alzarsi e sistemandole i vestiti, non senza un velo d'imbarazzo -Tuo fratello è arrivato.-
 
P.O.V. Alexandra
 
I primi minuti di viaggio vengono consumati in totale silenzio. Non so dove abiti Moore e quanto ci voglia per arrivare a casa mia, ma questa nube temporalesca che si è addensata tra me e mio fratello è troppo pesante da sopportare.
-Tyler...- mormoro incerta. Sento la mano di lui lasciare il volante e stringere la mia.
-Sono qui, Alex: come sempre.-
-Non hai detto nulla a mamma e papà, vero?-
-No, anche se sono preoccupati a morte- sospira mio fratello e subito capisco che vuole dirmi altro, con quelle parole.
-E' perché non sono rientrata con te?-
-E' perché non sei rientrata affatto, Alex!- sbotta Tyler innervosito -Cosa gli diciamo adesso, eh? Che eri a casa di uno dei giudici del concorso a cui partecipi? Tra l'altro credo sia una cosa illegale!-
-Ma chi se ne frega se è legale o meno!- strillo, alterata e con i nervi a pezzi -Moore si è comportato egregiamente, mi ha salvata e difesa e mi ha ospitata a casa sua perché io l'ho pregato di non portarmi a casa...-
-Cosa c'è tra te e quell'uomo?- chiede mio fratello a bruciapelo ed io sospiro. Anche prima dell'incidente, vivere con un padre e due fratelli molto gelosi della bambina di casa era difficile, soprattutto quando si parlava di ragazzi...
-Nulla, Tyler, cosa mai ci dovrebbe essere?-
-Non sono uno stupido, sorellina: prima ti insulta, poi ti riporta a casa, poi ti salva da quel bastardo... Come hai detto che si chiama?-
-Non te lo dirò mai, Ty. Non intendo sporgere denuncia.-
-Cosa!? Ma sei impazzita?-
-Ragiona: i nostri genitori verranno a saperlo, dovrei abbandonare lo show e credimi, questo ragazzo è il mio peggior nemico, ha già messo in circolo voci su di me e...-
-Moore, giusto? Oh, adesso sì che torna tutto!-
-Tyler, non ti azzardare neanche a pensare che...-
-...Che voi due abbiate una storia? No, improbabile. Ma ho visto come ti guarda, Alex, e non mi piace per niente!-
-Perché, come mi guarda?- chiedo. Non lo ammetterei mai, ma sto bruciando dalla curiosità: il tono di Tyler era parecchio infastidito e io sento una strana agitazione addensarsi nel basso ventre.
-Per restare in tema, direi che ti guarda come un cuoco guarderebbe il piatto perfetto. Quello che ha sempre sognato di cucinare, quello che gli varrà le cinque stelle Michelin...-
-Tre!-
-E' uguale! Quello che gli varrà le tre stelle Michelin, allora. Quel mix ben dosato di ingredienti che cucinerebbe fino allo sfinimento, traendo piacere dal farlo... Ecco come ti guarda Jake Moore, come un bocconcino prelibato.-
Sono sbigottita: non credevo che Tyler potesse dare voce ad una metafora così precisa e pregnante. E sopra ogni altra cosa, non credevo che Moore potesse provare tutto questo interesse per me: la sua curiosità sembrava tutta professionale...
"E forse è così, sciocca! Forse è Tyler che si sta montando la testa..."
-Lo sai, Ty, credo che lo stare appiccicato a me e alla mia cucina ti abbia fatto male, se paragoni uno sguardo alla creazione di una leccornia commestibile!-
Mio fratello sbuffa:
-Prendimi pure in giro, Alexandra, ma vedi di stare lontana da lui.-
-Ma se ti ho appena detto che il nostro rapporto è puramente formale!-
-Quell'uomo non mi piace. Quegli occhi... Non sono quelli di una persona equilibrata!-
-Se dovessimo giudicare una persona dai suoi occhi, io sarei una bambola di pezza!-
Questa volta Tyler rimane in silenzio, ed io non ho il fegato di chiedergli cosa abbia visto, di così sconvolgente, negli occhi di Jake Moore.
 
Pensavo fosse più difficile tornare alla normalità, invece in capo ad una settimana mi sento di nuovo pronta alle sfide: l'unica accortezza in più sono Richard e Robin, che non mi lasciano mai sola. A dirla tutta, Robin voleva che denunciassi Smith, ma ha desistito una volta che le ho raccontato l'intera storia. Forse è stato l'intervento di Moore ad addolcire il tentato stupro: il ricordo della morbidezza delle sue lenzuola, pregne del suo profumo pungente, smussa ogni timore e dolore.
Stando così a stretto contatto con Richard, poi, ho fatto una scoperta sconvolgente. Mi stava aspettando fuori dal camerino ed io stavo per uscire, quando l'ho sentito rispondere ad una chiamata:
-No, adesso non posso... No, non è perché non voglio parlarti, ma sono impegnato, sono in un posto in cui non posso parlare... Dio Chad smettila di essere così paranoico, non c'è nessun altro ragazzo, lo vuoi capire!?-
Ho reso nota la mia presenza sbattendo forte la porta e ho sentito Richard irrigidirsi. Passeggiammo per un po' in silenzio, poi il mio amico ha sbottato:
-Quanto della telefonata hai sentito?-
-Abbastanza per capire... Sei gay?-
-Sì...- sospira -Ti crea problemi?-
Ho alzato le spalle con indifferenza:
-Non cambia la persona che sei. Più che altro, forse faresti meglio a dirlo a Robin, prima che alimenti una cotta senza senso.-
-Forse hai ragione...-
-Problemi con il tuo ragazzo?-
-Non mi va di parlarne.-
La cosa mi ha ferito, ma comprendendo che non volesse sbottonarsi troppo dopo un inatteso coming out non ho insistito oltre.  
Moore, invece, mi evita come la peste e per quanto un po' la cosa mi rattristi - mi ero abituata al suo odore e alla sua voce calda e sarcastica - so che è la cosa migliore per entrambi.
Non posso fare a meno di chiedermi perché sia così, cosa gli sia successo per renderlo così cinico e arrabbiato con il mondo: non credo sia tutta colpa del suo carattere, nessuno può umanamente essere talmente lunatico!
Mi riprometto di fare ricerche su di lui, sebbene una fastidiosa vocina nella mia testa (che ha lo stesso tono e timbro di quella di Robin) mi ricorda acidamente che non dovrebbe fregarmene nulla.
"E' solo per capire meglio chi ho di fronte!" mi giustifico.
Ora però devo mettere da parte tutti i miei dubbi su Moore e i pensieri angoscianti di cosa potrebbe succedere con Smith: devo concentrarmi sulla prova.
Avendo vinto contro Oliver, ho diritto ad un vantaggio in questa prova: sono in un gruppo composto da otto persone, con le quali dovrò preparare una cena di beneficenza che si terrà nel locale di Elizaveta Hobbes. Mentre salgo sull'autobus che ci porterà lì mi sento nervosa, perché nonostante io non sia tra coloro che rischiano l'eliminazione questa è comunque una prova impegnativa per una non-vedente. Sono sicura che il tempo, l'agitazione e la compagnia forzata con altri concorrenti mi manderanno in tilt!
Per fortuna con me ci sono Richard e Robin: nonostante li abbia pregati di non trattarmi in modo diverso durante la prova perché non sarebbe giusto, la loro presenza basta a tranquillizzarmi un poco. Purtroppo con noi c'è anche Priscilla Young che ha la peculiare caratteristica di contagiare tutti con il suo acido nervosismo:
-Qualcuno le somministri un calmante!- sbuffa Sean, poco lontano da me. Sento Emma ridacchiare divertita e poi subire l'ennesima sfuriata di un'offesissima Priscilla.
Gli altri due passeggeri del pullman sono Adam Brooks, che come al solito non ha proferito parola, e Ruby, che considero una ragazza simpatica ma che fa di tutto per non farsi notare. Senza il cugino sembra persa e si limita a rispondere a monosillabi alle domande che le vengono rivolte.
-Peccato che Dave abbia perso contro Priscilla: sarebbe stato più facile collaborare con lui e così di là avrebbero potuto creare il circolo degli invidiosi!- sussurra Robin al mio orecchio, seccata.
-E snob.- aggiunge Richard, sempre sottovoce.
-Già, pensa che bel gruppetto che avrebbero formato insieme ad Evan Parker!-
I miei amici scoppiano a ridere, ma proprio in quel momento sale sul pullman Juan Martinez, per illustrarci i piatti che dovremo cucinare.
Sembrano difficilissimi e non riesco a reprimere un brivido al pensiero di dover soddisfare aspettative così alte.
 
Una volta nella cucina la squadra fa una breve riunione per dividerci i compiti: io sto saggiando con le mani il bancone, alla ricerca di tutti gli strumenti necessari mentre ascolto gli altri discutere sul menù da proporre alla cena.
-Dobbiamo dividerci i compiti!- esclama Richard risoluto e subito Priscilla si prenota per l'antipasto a base di pesce, trascinando con sé anche Ruby, che a quanto dicono sa creare composizioni straordinarie. Robin e Richard si trovano d'accordo nel cucinare il primo, sebbene sia io l'esperta di pasta, mentre Emma e Sean decidono di occuparsi del secondo: sono entrambi testardi ed impulsivi, spero non combinino troppi casini. Se superiamo questa prova indenni non dovremo sfidarci tra di noi alle prove eliminatorie.
Sento accanto a me il profumo leggero di Adam Brooks e sorrido impacciata: da quando sono entrata nella cucina di "Chefs" non gli ho mai rivolto la parola e ho sentito la sua voce solo quando presentava i piatti ai giudici.
-Cheesecake alla menta con base di biscotto al cacao...- mormora assorto.
-Già: interessante, no?-
-Molto!-
Avverto un sorriso nella sua voce pacata e tiro un sospiro di sollievo: forse questa sfida non sarà poi così tremenda...

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Capitolo 8
*** Menta ***


P.O.V. Alexandra
 
Adam è un cuoco dalla tecnica perfetta: non so dove abbia imparato così tante cose in modo così preciso, ma mi ritrovo ad ammirarlo.
Forse non ha né il carisma né il coraggio necessario a diventare un grande chef, ma di sicuro ha talento e perizia: nel preparare la cheesecake è un alleato insostituibile.
-Non appena si sarà raffreddata provvederò a tagliarla!- commenta infilando l'ultima torta nel freezer: mancano poco più di tre ore alla cena e spero che si solidifichino al meglio, visto che abbiamo dovuto preparare sul momento anche le basi. E' quella la parte che mi preoccupa di più: potrebbe risultare granulosa e sfaldarsi...
-Alexandra, mi hai sentito? Ti ho chiesto se posso darti una mano nel preparare la salsa d'accompagnamento!-
-Oh scusami! Certo, anzi, mi fa piacere!-
Iniziamo a mescolare gli stessi ingredienti ma in due grandi ciotole diverse: per coprire tutti e cento gli invitati abbiamo dovuto preparare ben cinque cheesecake alla menta!
Sento Robin lanciare un grido strozzato, ma non posso verificare quello che succede perché proprio in quel momento Adam inizia a parlare e ciò che dice catalizza tutta la mia attenzione.
-Ma guarda, è arrivato Moore!-
Volto la testa di scatto verso di lui, nella speranza di captare una zaffata del suo profumo, ma niente: Moore sembra tenersi a distanza come al solito.
-Quell'uomo mi mette a disagio...- mormora il mio compagno. Io mi esibisco in un sorriso stiracchiato e spero di essere credibile quando dico:
-Oh, ti capisco!-
-No, non parlo del suo comportamento in generale: è arrogante e superbo, ma non intimidisce le persone... Beh, per lo meno non così tanto come sta facendo in questo momento con me: sembra voglia incenerirmi sul posto!-
Ho capito cosa intende e una parte di me non può fare a meno di pensare che sia una sorta di gelosia nei miei confronti. Metto subito a tacere questo pensiero, che per qualche motivo mi causa una fastidiosa tachicardia.
"Alexandra Jane Sorrentino!" tuona la mia coscienza "Non ti starai innamorando di lui?"
Faccio velocemente un bilancio di tutto ciò che caratterizza la mia relazione con Jake Moore: la sua burbera gentilezza che mi fa arrossire, il senso di sicurezza che ho provato quando mi ha stretto tra le braccia, il disperato bisogno di sentire la sua voce accanto, anche solo per ricevere un giudizio sprezzante.... Oh, merda! 
"No. No, no, no, no!" penso, mescolando con più foga la crema alla liquirizia.
-Ehi, attenta, così la verserai per terra!- esclama Adam ridendo - meglio, accennando una risata - e strappandomi la ciotola dalle mani.
-Scusa, sono un po' nervosa!-
-E' per quello che Oliver Smith dice su di te?-
-Come?- balbetto, confusa.
-Quando Robin è finita alla prova eliminatoria e tu sei arrivata scortata da Moore: c'ero anch'io quando hanno fatto quelle insinuazioni. Ho visto... Quanto ti abbia fatto male.-
Sento le lacrime pizzicarmi gli occhi, non so se più per l'ansia o lo stress causatomi dal ripensare a Smith: avverto l'impulso di confessare tutto ad Adam, ma non sarebbe una mossa saggia e mi trattengo.
La sua mano mi accarezza la guancia, raccogliendo quelle lacrime che sono sfuggite dalle mie ciglia.
-Tranquilla, nessuno crede ad una parola di quello che dicono: abbiamo avuto abbastanza tempo per capire di che pasta sono fatti. Ora, questa salsa non si preparerà da sola, perciò... Pronta per tornare a concentrarti sulla gara?-
Annuisco e sorrido: chi l'avrebbe mai detto che quel ragazzo così silenzioso potesse essere un osservatore così rassicurante e comprensivo?
 
Robin mi afferra per un braccio mentre i camerieri portano fuori gli antipasti. Adam sta tagliando le torte in pezzi uguali, prima di rimetterle in frigo: le prepareremo subito prima di doverle portare in sala, in modo che si mantengano fresche e frizzanti fino ai tavoli.
-Alex!- sussurra piagnucolando.
-Che succede?-
-Richard! Lui è... E' gay!-
Tiro un sospiro di sollievo: per un momento mi ero seriamente preoccupata.
-Lo so.-
-Cosa? E perché non mi hai detto nulla?-
-Perché l'ho scoperto anche io da poco e Richard mi ha chiesto di non dirtelo, che te l'avrebbe detto lui... Come ha fatto, a quanto pare.-
Robin emette uno sbuffo infastidito.
-Non è possibile!- si lamenta -Lo dicevo io che un ragazzo così carino, simpatico e gentile non potesse essere disponibile!-
Sorrido:
-L'hai presa bene!-
-Beh, bene bene proprio no... Diciamo che ho dovuto arrendermi per cause di forza maggiore, ed è inutile fantasticarci sopra!-
-Alexandra, invece di chiacchierare perché non aiuti Brooks?- ci interrompe Martinez con voce pacata ma ferma -Fra poco sarà il turno dei dolci!-
Aiuto Adam a versare la salsa alla liquirizia sopra ai piatti: per me è difficile distinguere gli oggetti, nell'informe massa grigiastra che mi si pone davanti agli occhi e che è di fatto una cucina estranea, ma mi impegno al massimo, spalleggiata anche dalle brevi e concise frasi d'incoraggiamento del mio compagno.
Aspetto con ansia il verdetto che dovrà arrivare dalla sala.
-Hanno apprezzato di più l'antipasto dell'altra squadra, mentre hanno fatto un pasticcio con il primo!- annuncia Emma entusiasta -I secondi piatti hanno ricevuto un'accoglienza tiepida!-
-Tutta la fatica che ci sono costati!- brontola Richard, punto sul vivo.
-E il dolce?- chiede Adam. Trattengo il fiato: non siamo solo noi due a dipendere dall'esito del nostro lavoro, ma anche tutta la nostra squadra. Se il dolce non è piaciuto, rischiamo tutti l'eliminazione...
-La maggioranza dei tavoli è in visibilio per la vostra cheesecake alla menta!- trilla Elizaveta, ed immagino il suo sorriso a trentadue denti mentre ci comunica la vittoria.
D'improvviso mi sento stringere da una marea di corpi: Robin, Richard, Adam, ma anche Sean ed Emma. Le uniche che si tengono a distanza sono Ruby, in ansia per la sorte di suo cugino, e Priscilla.
-Abbiamo fatto un buon lavoro!- commenta Adam tendendomi la mano: io ricambio il gesto e sorrido.
-E' stato un piacere lavorare con te, Brooks!-
-Piacere mio, Sorrentino... Sai, quando questa sfida sarà finita non mi dispiacerebbe rincontrarti!-
La frase, pronunciata con leggerezza ed allegria, mi fa uno strano effetto: negli scorsi anni nessuno ha mai nutrito interesse per me, ad eccezione della mia famiglia e dei medici. Ho perso i contatti con tutti i miei vecchi amici e non avevo né il modo né la voglia di crearmene di nuovi; invece ora sembro attirare la curiosità come i fiori attirano le api...
"Ti sei auto-paragonata ad un fiore, che modestia!"
"Zitta tu, acida voce petulante! Come dice Moore, senza presunzione in questo campo non si va avanti!"
E come se l'avessi chiamato, sento la sua voce tagliente alle mie spalle:
-Sorrentino, posso parlarti un attimo... In privato?-
 
P.O.V. Jake
 
Sono un idiota, lo so. Un cretino che si è fumato il cervello, un cerebroleso, un... Un uomo sul punto di scoppiare. Alexandra - ormai ho preso confidenza con il suo nome, e lo ripeto nella mia testa come un mantra - ha seguito alla lettera le mie istruzioni: non gira mai da sola e si tiene alla larga da Smith... E da me.
Era per la sua sicurezza, ma non ce la facevo più a vederla attorniata da altri ragazzi, primo tra tutti Brooks: quando durante la prova li ho visti lavorare con le braccia che si sfioravano, le teste vicine, le labbra piegate in sorrisi orgogliosi... Avrei voluto spostare il ragazzo di peso e prendere il suo posto. E l'intensità di quel desiderio mi ha spaventato, perché non ho mai provato nulla di simile in tutta la mia vita.
Quindi ora sono qui con lei, nell'ampio parco del ristorante di Elizaveta, a fissarla senza trovare nulla di intelligente da dire. Non sono mai stato uno di quegli uomini che necessitano di aprire bocca per ottenere la donna che vogliono: generalmente il mio aspetto e il mio status passavano sopra al mio carattere. Ma con Alexandra è diverso, la mia figura non mi è d'aiuto e di certo ha assaggiato ampiamente la mia capricciosità per poterla ignorare... Ammesso che voglia farlo: non sono ancora riuscito a carpirle un giudizio equo su di me.
Alla fine rompe il silenzio con un colpo di tosse imbarazzato:
-Cosa... Cosa voleva dirmi?-
Rifletto per una manciata di secondi, prima di puntare sulla verità.
-Nulla.-
-Nulla? Ma se poco fa ha detto che...-
-Lo so cosa ho detto, ragazzina.-
-Ha mentito!-
-Non la metterei proprio in questo modo...-
-Non ci giri intorno, lei ha mentito e mi ha trascinato qui senza una valida ragione: perché?-
Inizio a deglutire a vuoto, in imbarazzo.
"Ecco la parte più difficile."
-Perché non volevo vederti parlare con Brooks.-
-Lei non voleva...?-
Vedo i suoi lineamenti distorcersi per la sorpresa, poi indurirsi di colpo: è arrabbiata.
-Come si permette!? Con che diritto lei decide con chi posso parlare?-
Freme dalla voglia di darmi uno schiaffo, lo noto dai suoi pugni contratti, ma si trattiene perché sa di essere in svantaggio. Non so come ho iniziato, ma sento le mie labbra muoversi e confessare:
-Prima di arrabbiarti di nuovo con me, Alexandra, vorrei provare a... A spiegarmi, a spiegare il perché di questo mio strano comportamento. Forse sono impazzito, e di sicuro è questo che starai pensando, che sono un matto incapace di fare un discorso più lungo di tre frasi senza urlare o insultare qualcuno. Non ti biasimo, lo credo anche io a volte. Devi sapere una cosa: io non so più cucinare.-
La vedo trattenere il fiato, stupita e confusa: gli occhi, fino a quel momento tenuti bassi, si alzano di scatto verso di me e mi fissano... Sembra che mi stiano scrutando l'anima.
"Cosa diavolo ti prende, Jake?" mi chiedo, sgomento, ma non interrompo il mio flusso di parole:
-Non l'ho detto a nessuno, finora, ma è da quasi sette mesi che la mia inventiva è svanita e stavo a tanto così dal mollare tutto e scappare... Quando sei arrivata tu. E non so perché né come, ma la tua presenza sta risvegliando qualcosa in me, qualcosa di molto simile al desiderio di creare un nuovo piatto. Capisci? In meno di un mese mi hai fatto questo effetto e io non so cosa devo fare! Anche alla luce di quanto accaduto con Smith io avrei voluto allontanarmi ma... Non ci riesco...-
Mi passo una mano tra i capelli, imponendomi di fermarmi. Se continuo di questo passo chissà cos'altro potrei biascicare... No, no, mi sono reso abbastanza ridicolo così. Aspetto una risposta salace che però non arriva: Alexandra sbatte le palpebre, incredula, poi con uno scatto barcolla all'indietro.
-Io... Devo andare...-
Oh no, dolcezza, tu non vai proprio da nessuna parte! Nello stesso istante in cui io mi sono posto davanti a lei per fermarla, Alexandra inciampa nell'erba e mi finisce praticamente tra le braccia. La afferro per la vita, aderendo il più possibile al suo corpo piccolo e morbido; la ragazzina alza il viso verso di me e questa volta non riesco a resistere alla tentazione.
La bacio d'istinto e quando finalmente mi consente di entrare nella sua bocca e di giocare con la sua lingua, scopro un gusto sconvolgente. E' caldo e delizioso, come il suo odore. La stringo contro di me e in questo momento non mi frega un cazzo delle telecamere, degli ospiti, di Elizaveta, dello show... Mi interessano solo le labbra di Alexandra, e le sue mani sulle mie spalle.
Si stacca titubante e si morde il labbro arrossato in una maniera che fa defluire il mio sangue verso il basso.
"Merda!" impreco mentalmente, cercando di allontanarmi da lei senza apparire troppo brusco: nessuna delle donne con cui sono stato a letto mi aveva fatto questo effetto con un semplice bacio. La voglio così tanto da star male fisicamente!
-Sai di menta!- esclama, sorpresa, ed io sorrido.
-Merito di una certa cheesecake...-
Le brillano gli occhi e vorrebbe aggiungere qualcosa, ma Robin ci chiama dal ristorante:
-Alex! E' arrivato tuo fratello!-
Il sorriso di Alexandra si attenua e si appoggia al mio braccio per tornare indietro.
-Arrivederci, signor Moore.-
Mi blocco di colpo e la fisso severo, anche se so che non può vedermi.
-Non chiamarmi più Moore!-
-E' il suo nome, sarebbe strano se la chiamassi Jake!- ribatte lei prima di affrettarsi, con qualche incertezza, verso la Ben Jelloun.
-Io trovo che sarebbe fantastico, invece.- mormoro, malinconico.
 
Tornato a casa, invece di stappare una bottiglia di birra come al solito e buttarmi davanti alla tv per ubriacarmi davanti a programmi che non seguo veramente, mi dirigo in cucina quasi con allegria. Ho ancora il sapore di Alexandra tra le labbra e al pensiero le serro automaticamente, come se avessi paura di sentir scomparire anche quelle ultimi flebili tracce.
Mi lavo le mani e afferro, con un gesto spontaneo, la vecchia bandana verde logorata dall'uso che sta appesa tristemente accanto alla finestra; me la rigiro tra le mani, pensieroso, prima di infilarmela per tenere indietro i capelli.
"Non la usavi più da anni, questa." esclama una voce nella mia testa e mentre butto la pasta e preparo gli ingredienti per il piatto che ho in mente davanti ai miei occhi compare un'immagine a tradimento: un ragazzino allampanato e taciturno, che osserva il più rinomato chef di New York con un misto di sfida e rabbia negli occhi... E una bandana verde sulla fronte.
-Qualche volta mi manchi, vecchio.- mormoro, pensando con affetto e amarezza al mio mentore, Simon Eckhart.
Quaranta minuti dopo, sono seduto al tavolo della mia cucina davanti ad un delizioso piatto di spaghetti e pesto di prezzemolo fresco. Apro l'agenda su cui annoto le mie ricette e che è gelosamente conservata su un ripiano della cucina: questo libro non è mai uscito dalle quattro pareti di casa mia.
Inizio velocemente a segnare per sommi capi il procedimento e a riflettere su cosa ancora non va.
"Buona e fresca, ma fin troppo semplice. Qualche altro ingrediente... Formaggio. Uno particolare, delicato, non troppo forte così da non coprire il pesto... Come ci starebbe un po' di peperoncino?"
Vorrei davvero poter chiamare Alexandra, in questo momento, per dirle cosa sto facendo, cosa è riuscita a smuovere con un semplice bacio. Non voglio dare un nome all'imperiosa spinta che mi da' vederla, toccarla e, Dio, assaggiarla come ho fatto oggi. Forse non ne sono nemmeno capace.
Ma so che, qualsiasi cosa mi stia scorrendo nelle vene, è tutta opera sua. 
 
 
Angolo Autrice:
Sono tornata!
Scusate se gli aggiornamenti sono incostanti, ma la scuola ultimamente risucchia tutte le mie energie e scrivere Chefs mi richiede più tempo rispetto alle altre storie :(
Ma penso che mi perdonerete facilmente, visto che questi due si sono finalmente BACIATI :D e Jake ha superato il suo blocco, o per lo meno ha iniziato, quindi che ne dite?
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, quindi recensite, recensite, recensite! :)
Alla prossima
 
Crilu 

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Capitolo 9
*** Birra ***


P.O.V. Jake
Quando arrivo agli studios mi aspetta un'amara sorpresa: Alexandra non c'è. Elizaveta sta giusto annunciando ai partecipanti che è dovuta tornare a casa "per un'emergenza improvvisa" e che Robin Ben Jelloun l'ha accompagnata.
Il mio buonumore evapora all'istante, sostituito dall'irritazione e da un velo di preoccupazione: forse questa sua uscita così brusca preannuncia qualcosa di grave?
"Dio non voglia, potrebbe esserle capitato qualcosa agli occhi."
Mentre mi dirigo verso la sala prove vengo intercettato dal ragazzo dell'hamburger e subito lo scruto con un cipiglio severo per indurlo a starmi alla larga: dopo Smith, è una delle ultime persone con cui voglio parlare questa mattina.
-So che è nervoso - come al solito, del resto - ma credo proprio che abbia voglia di sentire ciò che ho da dirle.-
Le sue parole trasudano sarcasmo ed ironia: giusto quello che mi serve per fermarmi ad ascoltarlo.
"Furbo, il ragazzo!"
-Hai trenta secondi.- sbotto, programmando il timer sul mio orologio. La puntualità e l'essere preciso nel seguire i tempi alla lettera sono caratteristiche risapute e di cui vado particolarmente fiero. Ho detto trenta secondi, e trenta secondi saranno: né uno in più  né uno in meno, come per un buon piatto.
-Questa mattina Evan Parker si è avvicinato ad Alexandra e hanno confabulato per un po': l'incontro l'ha scossa parecchio ed è per questo che è dovuta andare a casa.-
-E a me interessa perché...?- chiedo, incrociando le braccia. In realtà sto già pensando a come sondare il terreno con Parker, chiedendomi come mai le abbai rivolto la parola: è estremamente competitivo e solitario.
-Perché Robin ha detto che parlavano di lei.-
Il timer che trilla è l'unico suono che spezza il silenzio carico di tensione che è sceso nel corridoio.
Gli do le spalle senza troppi complimenti ed inizio a correre, rovistando nelle tasche per cercare le chiavi della moto: per fortuna che sono venuto con quella così farò molto più velocemen...
-Non puoi farlo!- la voce pacata di Martinez mi ferma a pochi passi dalla porta principale e io sbuffo.
-Juan...-
-No, questa è una di quelle volte in cui mi devi ascoltare e basta, Jake: cosa penserebbero se anche tu te la svignassi in questo modo? Qui dentro nessuno è così stupido da non riuscire a fare due più due!-
-Come sai che sto andando da lei?-
-Hamilton. E' venuto da me a raccontarmi tutto ed io l'ho spedito da te immediatamente. Avevo previsto qualche tua mossa avventata e ti ho preceduto: ora facciamo le cose con ordine. Prima presiedi a questo concorso e poi vai da Alexandra. E mi raccomando: non farti scoprire!-
Lo seguo di malavoglia, perché so che ha ragione. Ma per tutto il giorno non faccio altro che pensare alla fuga di Alexandra e alle parole di Hamilton.
 
Sono ormai le cinque del pomeriggio quando esco dagli studios e il cielo inizia ad imbrunire; salgo sulla moto e senza badare troppo alla velocità mi dirigo verso la casa della Sorrentino.
Arrivato lì mi fermo a due passi dalla porta, indeciso e confuso:
"Cosa faccio adesso? Suono come se nulla fosse? E se ad aprirmi venisse Tyler Sorrentino? O, peggio, se non fosse lui la persona che mi ritrovo davanti?"
Sto per andarmene quando la porta si apre di scatto e una signora di mezz'età mi si para davanti, scrutandomi dubbiosa. La somiglianza con Alexandra è evidente: stessi capelli color caramello, stessa corporatura da bambina, stesso taglio degli occhi. Solo che questi sono vivi e mobilissimi.
-Buonasera, signora.- mormoro, cercando di apparire impassibile e gentile, cosa che di solito non sono affatto. La donna si sofferma a guardare la mia giacca di pelle, i capelli lunghi ed arruffati e la moto parcheggiata alle mie spalle.
-Tyler l'ha vista dalla finestra della camera di Alexandra. Ha detto che è uno dei giudici del contest a cui partecipa.-
-Sì, sono venuto per...-
-Non mi interessa!- taglia corto lei con tono freddo -Mia figlia non vuole vederla. Se ne vada e, anzi, faccia un favore alla mia famiglia: la elimini dal concorso.-
Sbarro gli occhi, incredulo: non so cosa mi abbia colpito di più della sua frase, ma mi sento come se fossi reduce da un grave incidente in moto.
-Ma sua figlia è una delle migliori!-
-Per questo le ho chiesto di farmi un favore!- conclude la signora Sorrentino rientrando in casa e richiudendosi la porta alle spalle.
Rimango un paio di secondi immobile, poi la rabbia prende il sopravvento su tutto: Alexandra mi ha appena chiuso la porta in faccia, letteralmente. Ed è chiaro che dopo quel bacio - mi basta pensarci e il mio corpo si tende per il piacere, dannazione! - lei non ha intenzione di incrociare di nuovo le nostre strade. Non più di quanto siamo costretti a fare, per lo meno.
Do un calcio violento ad un sasso, sbalzandolo lontano e soltanto la presenza dei passanti mi impedisce di urlare per sfogare la mia ira.
Ma appena arrivo a casa do libero sfogo al tumulto che sento nelle vene: distruggere ogni cosa mi trovi davanti mi sembra l'unico modo per impedire al mio cuore di battere così violentemente, l'unica maniera per non essere costretto ad ascoltare i miei pensieri. Apro il frigo e ciò che mi trovo davanti è deludente, soprattutto per la casa di uno chef stellato: lo stretto indispensabile per qualche pasto saltuario e tante, tante lattine di birra. Ne afferro un paio e non mi affatico neanche a raggiungere il divano, come tutte le sere: mi arrampico sull'isola in marmo bianco che spicca per candore nella cucina e inizio a sorseggiare il liquido scadente che mi brucia la gola e mi fa pizzicare gli occhi. No, ma chi voglio prendere in giro? Sto piangendo, sento le lacrime traditrici scivolarmi lungo le guance e mescolarsi alla birra sulle mie labbra. E più piango, più mi arrabbio, più il bisogno di ubriacarmi e dimenticare ogni cosa si fa acuto. Vorrei solo che tutto questo sparisse. La violenza di Lee, la lenta agonia di Simon, e ora l'unica donna che è riuscita a penetrare nel mio animo che mi volta le spalle... No, non voglio essere presente. Voglio svanire, dissolvermi, disintegrarmi, salire nell'aria come un palloncino colorato in un giorno di festa... E non sentire più nulla.
 
P.O.V. Alexandra
Pago il taxi senza neanche fermarmi a controllare con il tatto che i soldi che ho allungato all'autista siano la giusta somma. Gli lascerei anche l'intero portafoglio, se mi consentisse di arrivare prima da Jake. Jake.
Martinez l'ha chiamato così, poco più di un'ora fa, quando mi ha telefonato e con tono grave mi ha annunciato che Moore non risponde al telefono e si rifiuta di aprirgli.
-L'ultima volta che l'ho visto è stato stamattina, e stava correndo come un indemoniato per venire da te.- ha commentato infine. E io mentre lo ringraziavo già covavo un'amara rabbia contro mia madre, che ha spacciato Moore per un venditore porta a porta. Tremo al solo pensiero di cosa può aver fatto in preda all'ira; perché sono certa che è incazzato nero con il mondo, e più di tutti con me.
"Mi starà odiando, in questo momento." penso con tristezza mentre suono il campanello dell'appartamento. Sono uscita di casa come una furia - grazie a Dio c'era solo Tyler al quale ho gridato una sequela di improperi anche se il poveretto non c'entrava nulla - e ora mi sono dovuta far aiutare, con una punta di vergogna, dal portiere, il quale mi ha gentilmente scortata fino all'uscio di Moore. Sento un rumore di cocci dall'interno, seguito dalla voce profonda del giudice che maledice qualcosa o qualcuno mentre viene ad aprire.
-Juan, hai rotto i cogli... Sei tu.- 
Mi sta per chiudere la porta in faccia ma io mi sporgo in avanti e lui si blocca per paura di farmi male: anche una porta che si chiude è pericolosa se non la vedi arrivare.
-Cosa vuoi?-
Il suo tono è gelido, ferito e strascicato.
-Sei ubriaco!- esclamo corrugando la fronte e annusando il forte odore di birra che emana.
-E anche se fosse?- mi canzona con arroganza. -Passo ubriaco la maggior parte delle mie ore da sveglio, Sorrentino, e non è certo un tuo problema!-
-Lo è invece!- replico azzardando un passo in quell'ambiente sconosciuto -Sono venuta per spiegarmi. Non sapevo che fossi venuto a casa mia e non voglio neanche immaginare cosa ti abbia detto mia madre... Sa essere molto convincente quando vuole...-
-Cosa ti fa credere che io stia così per te?- borbotta contrariato, ma è evidente dalla sua voce che ho colto nel segno. Mi fa tenerezza nella sua rabbia infantile, tanto che dimentico tutto: i nostri rispettivi ruoli, la mia cecità, il bacio che mi ha dato (e che ancora mi fa arrossire)... Tendo una mano in avanti e sfioro con la punta delle dita la barba corta ed incolta che gli copre le guance. Ecco un particolare che nessuno mi aveva detto! Ma quegli istanti di beatitudine hanno vita breve, perché non appena la mia mano si avvicina alle sue labbra Moore mi afferra il braccio e mi strattona verso di sé. Mi avvolge in un abbraccio che sembra più una morsa e soffia al mio orecchio:
-Dammi la tua patetica spiegazione, Sorrentino, e poi vattene da qui!-
-Stamattina Evan Parker mi ha avvicinato.- inizio titubante, innervosita dalla sua vicinanza -Ha detto che personalmente a lui importa poco quali voci girassero su di noi, ma che quando queste voci rischiano di rovinare il mio buon lavoro non poteva rimanere a guardare...-
-Che gesto altruista, da buon samaritano!- ringhia Jake con astio.
-Fammi finire. Parker ha sentito Oliver Smith raccontare ad Elizaveta una versione... Modificata, ecco, del suo tentato stupro.- Le braccia di Moore si flettono, nervose, come se il pensare a quell'episodio gli desse un male fisico.
-Cosa ha detto?-
-Forse è meglio che tu sia sobrio per ascoltare...-
-Cosa ha detto, ragazzina!?-
-Ha detto... Ha raccontato che io e lei... Cioè, te... Cristo santo, ha detto che ci ha scoperto mentre facevamo sesso negli studios deserti e che tu l'hai minacciato di espellerlo dal programma se avesse parlato. Elizaveta sembrava una furia, ringhiava qualcosa a proposito di voi due - a proposito, perché l'hai mollata?-
Jake Moore deve essere sconvolto, ma il suo atteggiamento è insolitamente tranquillo:
-Non l'ho mollata, non siamo mai stati insieme, nonostante fosse quello che le piaceva pensare. Era solo una buona compagnia a letto, tutto qua. Ma se quello che dici è vero allora siamo in un mare di guai: Elizaveta ce l'ha a morte con me, e non possiamo provare nulla perché tu non hai denunciato quel bastardo... Cazzo!-
Mi sembrava troppo strana, tutta quella calma: stava solo digerendo la notizia.
-Stai calmo, troveremo un modo di sistemare le cose!- dico cercando di avvicinarmi, ma lui con uno scatto improvviso mi fa cadere a terra. Atterro di schiena, ferendomi la mano su qualcosa di rotto e dovrei essere terrorizzata, ma non lo sono: riesco solo a pensare all'angoscia che ho percepito nella sua voce.
-Alexandra!- esclama, spaventato, inginocchiandosi accanto a me. Un attimo dopo mi ritrovo stretta in un abbraccio soffocante mentre Jake mi bacia la fronte ed i capelli, piangendo.
-Scusa, ti prego, scusa...- balbetta. Non ho mai sentito una persona così vulnerabile. Mai. "L'ubriachezza sembra essergli passata di colpo" rifletto.
Poi le sue labbra sono sulle mie ed io smetto di pensare. E' un bacio senza dolcezza, c'è solo tanta disperazione e tanto dolore, ma sento ugualmente lo stomaco attorcigliarsi e le guance accaldate.
-Sono uno stronzo, perdonami.- mormora ancora, allontanandosi un poco da me. -Sono senza speranza...-
-Nessuno è senza speranza!- ribatto, cercando a tentoni il suo corpo per accarezzarlo. Ho chiuso in un angolo della mia mente tutti i motivi per cui quello che stiamo facendo è sbagliato, e mi limito a godermi il momento... Non mi ero resa conto di quanto desiderassi essere baciata di nuovo da lui.
-Tu non mi conosci... Io non sono capace di prendermi cura di qualcuno, così come è impossibile che qualcuno possa prendersi cura di me. E alla fin fine, non me lo merito: chi potrebbe mai volermi stare accanto? Io non ti merito, Alexandra, e soprattutto non ti posso avere... Guarda cosa ho fatto, ti ho ferita!-
-Non è nulla.- lo tranquillizzo -E tu stai dicendo un mucchio di sciocchezze: ognuno ha diritto alla possibilità di essere felice e di avere qualcuno da amare. Io, per esempio, voglio e posso prendermi cura di te!-
-Tu?- ridacchia con amara ironia -Sei cieca, ragazzina. Inciamperesti dappertutto se non avessi Abigail a guidarti!-
"Si è ricordato il suo nome!" penso stupefatta. Infastidita per la sua mancanza di fiducia, con una mossa ardita e sicura che stupisce me per prima, trovo con le mani i bottoni della sua camicia e senza esitazione glieli slaccio, accarezzando estasiata la pelle liscia del suo petto. Moore è paralizzato ed incapace di parlare o reagire in qualche modo, perciò io continuo, sporgendomi verso di lui e disseminando piccoli baci dalla clavicola fino al mento. Mi stringo contro di lui, desiderosa di inalare il profumo che emana fino ad intossicarmi.
-Dio, Alexandra...!- mormora con voce strozzata Jake, prima di afferrarmi le gambe e prendermi in braccio, alzandosi dal pavimento coperto da pericolosi cocci con cui mi sono già ferita.
-Non puoi fare così!- mi rimprovera, affannato, ma non riesce a resistere alla tentazione e un attimo dopo mi sta di nuovo baciando, come se la mia bocca fosse la sua unica fonte di nutrimento. Mi trascina di peso per buona parte della casa, prima di adagiarmi con una delicatezza inaspettata sul letto; il profumo e la consistenza delle lenzuola sono deliziosi come ricordavo. Lui si stende accanto a me, ma evita di toccarmi e per un po' nessuno dei due apre bocca.
-Hai un effetto devastante su di me, ragazzina.- afferma pensieroso ad un certo punto.
-Anche tu non mi sei indifferente... Ma credo che tu l'abbia già capito.- mormoro imbarazzata e lo sento ridere: non una risata sprezzante o di scherno, solo un suono divertito... Meraviglioso.
-Cosa facciamo con Smith ed Elizaveta?- chiedo preoccupata, ma lui mi posa un dito sulle labbra, disegnandone il contorno:
-Non voglio pensare a loro in questo momento, ok? Ci sono cose più importanti di cui parlare. Parti della mia vita che nessuno conosce e che mi sono tenuto dentro per tanti anni. Non avevo mai sentito il bisogno di parlarne con nessuno, ma quello che sto vivendo con te adesso... Non so, credo che tu abbia il diritto di sapere, se sei così disposta ad aiutarmi.-
-Certo che lo sono! Riguarda forse i tuoi problemi in cucina?-
-In parte sì, ma quelli li ho superati, grazie a te... Poi ti spiego. No, voglio raccontarti di come sono diventato quello che sono e soprattutto perché sono così. Perché sono convinto che tu non possa salvarmi, che nessuno possa farlo.
Non ho mai conosciuto mio padre, se n'è andato quando ero ancora molto piccolo. I primi ricordi di mia madre invece sono molto dolci e belli: è da lei che ho imparato l'amore per la cucina. Ricordo che canticchiava mentre girava per la casa e trovava sempre il tempo di stare con me anche se doveva lavorare tanto perché non avevamo soldi. Poi, quando avevo circa otto, nove anni, è arrivato Lee: tanto premuroso con mia madre quanto freddo e scostante con me. Io desideravo con tutto me stesso avere un padre e non capivo come mai tutti i miei sforzi non riuscissero nell'intento di piacergli.-
Mi raggomitolo contro di lui per addossarmi un po' dell'infelicità che colgo nelle sue parole: mi si stringe il cuore al pensiero di un piccolo Jake che tenta di farsi accettare da quell'uomo ingiusto. Lui posa una mano sulla mia schiena, possessivo, e mi rendo conto che nonostante la sua mente sia persa nei ricordi, il suo corpo manifesta chiaramente il suo desiderio per me. La cosa, invece di imbarazzarmi, mi lusinga enormemente e riconosco anche le vampate di un'eccitazione che non provavo ormai da troppo tempo.
-Poi, man mano che gli anni passavano, Lee diventava sempre più insofferente nei miei confronti e si lamentava con mamma di quanto fossi svogliato e che non avrei mai combinato nulla nella vita... Parlava lui, che di mestiere faceva il camionista e passava le sue serate davanti alla tv con una lattina di birra in mano. Ecco, questa è stata probabilmente l'unica cosa che ho imparato da lui!
Mia madre era sempre d'accordo con lui, perché lo amava e temeva di perderlo e così sono diventato un adolescente inquieto, arrabbiato, sempre pronto a fare casini: vedevo la donna della mia vita spegnersi giorno dopo giorno ed ero costretto a condividerla con un uomo che non la meritava, che spesso alzava le mani su di lei quando non la potevo difendere. Ci sono state notti in cui sono rimasto a dormire davanti alla porta di casa mia, come un cane, mentre il freddo mi penetrava nelle ossa, perché Lee aveva cambiato la serratura.
Un giorno mia madre stava tornando a casa dal lavoro, quando una macchina sbandò e la prese in pieno: morì dopo pochi giorni in ospedale e quella sera stessa lui mi fece trovare le mie cose fuori dalla porta. Non sono neanche andato al suo funerale.- 
-Mi dispiace...- mormoro basita dopo qualche attimo di silenzio. Non mi stupisce che Jake sia diventato così freddo e solitario, perennemente arrabbiato con tutti, e capisco anche perché si crede indegno di una relazione vera.
-Ma non è stata colpa tua, Jake. Nulla di tutto ciò che quell'uomo ti ha fatto è stata colpa tua!-
-Lo so!- sbuffa lui -Razionalmente... Lo so. Ma le uniche persone che sono state capaci di far uscire il meglio di me, non solo in cucina, ma anche come uomo... Beh siete stati tu e Eckhart.-
-Eckhart? Simon Eckhart?- esclamo stupita. E' stato uno dei nomi più importanti della cucina newyorkese, prima che un tumore lo allontanasse dal suo ristorante.
-Simon mi ha raccolto dalla strada come un gattino bagnato e astioso e mi ha accolto nella sua cucina. Mi ha pressato e sfiancato per anni, costringendomi ad un tirocinio massacrante per affinare le mie capacità... Ed ha fatto un ottimo lavoro. Era molto amico di Juan ed è per questo che lui si sente in dovere di starmi dietro e arginare i casini che combino... Credo sia un modo per onorare la sua morte.-
-Io invece credo che Martinez tenga davvero a te. Vuoi dire che dopo la morte di Eckhart tu non hai più avuto nessun amico!?-
-Mai. La sua lunga agonia mi aveva tenuto lontano dal suo ristorante abbastanza a lungo perché i figli se ne impadronissero e lo mandassero in malora e dopo il funerale mi sono ritrovato in un ambiente ostile. Poi mi sono presentato al The Mark e mi hanno assunto subito: credo di essere l'unico chef stellato a non possedere neanche un locale tutto suo... Posso farti una domanda, ragazzina?-
-Dimmi.-
-Cosa pensi di me, adesso che conosci la mia storia?-
Sorrido e lo bacio con dolcezza.
"Ti pentirai di tutto questo!" sibila una voce maligna dentro di me, ma la ignoro alla grande e continuo:
-Esattamente ciò che pensavo prima.- sussurro -Che sei molto di più di quello che dai a vedere. E da quanto ho visto io, c'è un uomo fantastico sotto quest'armatura.-
Sento qualcosa di bagnato sui polpastrelli e so che sta piangendo, ma faccio finta di non essermene accorta. Anche perché poco dopo Jake mugugna:
-E' la sbornia più bella di tutta la mia vita... Spero di ricordarmela, domani mattina.-
E sprofonda in un sonno pesante con la testa appoggiata al mio petto, mentre gli accarezzo i capelli.  
 
 
Angolo Autrice:
Questo capitolo non ha avuto una gestazione facile, ma sono tutto sommato soddisfatta: Alexandra e soprattutto Jake stanno acquistando sempre più consistenza e il loro rapporto fa passi da gigante! Adesso rimane un ultimo grande interrogativo prima di affrontare Elizaveta e Smith: come ha perso la vista Alexandra?
Spero che con la fine della scuola gli aggiornamenti riprendano ad essere più regolari, ma non prometto nulla!
A presto
 
Crilu

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Capitolo 10
*** Pompelmo ***


P.O.V. Alexandra
 
Al mio risveglio mi stiracchio come un gatto e frammenti della conversazione di ieri riaffiorano nella mia mente, permettendomi di localizzare dove mi trovo: sono nel letto di Jake Moore, e qualcuno mi ha anche avvolto con la leggera trapunta satura del suo odore. Non ci vuole un genio per capire che quel qualcuno è la stessa persona che invece di essere stesa accanto a me sta trafficando in cucina, imprecando qualche volta sotto voce. Sorrido mestamente, ripensando a ciò che mi ha rivelato ieri sera, e riflettendo sul grande dubbio che mi attanaglia: che facciamo ora? E' evidente che tra noi c'è qualcosa di più della semplice attrazione, un sentimento a cui né io né Jake vogliamo dare un nome, forse per paura. Vorrei averlo per me, poterlo accarezzare, stringere, baciare... Ma so che finché resterò nella cucina di Chefs non potrò farlo. Problema ancora più grande, un'ex-amante inferocita e un agguerrito quanto stronzo concorrente stanno cercando di rovinarci: eppure sono felice e leggera come non mi sentivo da tempo. Solitamente, aprendo gli occhi la mattina e vedendo il buio, venivo assalita dall'angoscia e dai ricordi dell'incidente. Quella notte maledetta, e tutto l'alcool che avevo in corpo... Scuoto la testa con vigore, aggrappandomi al profumo di Jake che è apparso accanto a me.
-Ti ho preparato la colazione!- esclama, con un'allegria nella voce che non gli ho mai sentito e che mi scalda il cuore.
-Il profumo è delizioso! Cos'è?- chiedo, con già l'acquolina in bocca.
-Vediamo se indovini!- mi provoca lui, sedendosi accanto a me sul letto e trafficando con il vassoio che si è portato dietro.
-Apri la bocca.- ordina, per poi avvicinarmi un boccone di un meraviglioso croissant farcito con una crema sconosciuta. Non so se sono estasiata più per il sapore che mi esplode nella bocca o per il fatto che Jake Moore mi stia imboccando con una dolcezza ed una dedizione che superano anche quelle di mia madre... Mia madre!
-Jake!- esclamo terrorizzata -La mia famiglia non sa dove sono! Saranno preoccupati a morte, Dio...!-
-Stai calma, ragazzina!- mi rassicura lui senza perdere il buonumore -Tyler ha chiamato stamattina e di comune accordo abbiamo deciso di fargli dire ai tuoi genitori che sei rimasta a dormire da Robin Ben Jelloum... Ci pensava tuo fratello ad avvisarla. Ora, con cosa ho farcito questo croissant?-
-Tu e Tyler in accordo su qualcosa? Che peccato essermi persa la scena! Mmm... Arance?-
-Mi deludi profondamente! Ritenta!-
-Oddio, mi stai mettendo pressione!- mi lagno -Come in cucina! Vediamo... Forse mandarini? E' troppo dolce per essere una crema al limone!-
-Accidenti, Alexandra, ci stai girando intorno! Chissà che così tu non capisca...-
Non ho il tempo di chiedergli cosa stia farneticando che le sue labbra sono già sulle mie e di nuovo sento quel sapore dolce e aspro al tempo stesso e sorrido, trovando a tentoni la sua testa e giocando con i suoi capelli.
-Allora?- ansima lui staccandosi.
-Pompelmo...- mormoro stordita. Un nuovo bacio, ancora più appassionato e vorace, mi conferma che ho ragione.
-Come ti è venuto in mente di usare il pompelmo per farcire un croissant!?- esclamo, nonostante quella crema insolita sia buona. Lo sento ridacchiare imbarazzato:
-Triste da dire, ma avevo a disposizione solo quello!-
 
Poco dopo siamo seduti entrambi al tavolo di marmo della sua cucina: c'è un buon odore di pane appena sfornato qui, mischiato al profumo di Jake. Jake... Mi ha tirato su dal letto con una sola mano e prendendomi agilmente in braccio mi ha portata fin qui, e ora aspetta in silenzio che mi decida a parlare.
-Cosa siamo?- chiedo, dandomi mentalmente della stupida per essere stata troppo diretta. Ma Jake non sembra essere colpito più di tanto dalla domanda: evidentemente ci ha riflettuto sopra anche lui.
-Nulla, per il momento. Sei una ragazza bellissima, Alexandra, e ti desidero dalla prima volta che ti ho vista dormire nel mio letto, ma sono consapevole che una relazione con me non farebbe altro che metterti in difficoltà: ora dobbiamo solo concentrarci ad arrivare alla fine di Chefs evitando di cadere nelle trappole di Elizaveta e Smith.-
-Come se fosse semplice, Jake!- esclamo sarcastica.
-Mi piace quando mi chiami per nome...- mormora lui -Di solito le donne mi chiamano così solo durante l'amplesso...-
-Questa me la sarei anche risparmiata!- borbotto a denti stretti. Gelosa? Ebbene sì, forse un pochino lo sono! Lo sento ridere e rilassarsi contro lo schienale della sedia.
-Tranquilla, ragazzina, ho già un piano.-
-Wow, e quale sarebbe?-
-Riprenderò ad andare a letto con Elizaveta.-
Tra di noi cala il gelo e mi rifiuto di credere a quello che ho sentito: dopo tutto ciò che ci siamo scambiati lui mi ripaga così? Mi rialzo in piedi pur sapendo di essere incapace di raggiungere la porta, stringendo forte tra le dita la sedia su cui ero seduta.
-Sei sempre il solito stronzo cinico e...-
La sua mano mi artiglia il polso e con un movimento secco mi ritrovo seduta sulle sue ginocchia, il suo respiro che mi solletica il viso.
-Non mi hai capito: non mi va di fare sesso con lei, ragazzina. Non me ne va neanche un po' e la cosa mi sorprende non poco, qualche mese fa non mi sarei fatto problemi. Ma conosco Elizaveta e so che è una donna impaziente: se noi ci comportiamo bene lei non otterrà le prove che le servono per rovinarti. Perciò io tornerò nelle sue grazie, almeno fino a quando Chefs non avrà un vincitore: a quel punto potrò chiudere davvero questa storia e...-
-E...?- balbetto con voce strozzata. Il pensiero che il piano contorto che ha ideato possa essere l'unica chance di salvare il mio sogno mi sta logorando.
-E a quel punto avrò la possibilità, se tu me lo concedi, di provare ad avere una relazione con te. Una relazione vera, quella che non ho mai avuto con nessuna.-
Aspetta trepidante la mia reazione: quando si tratta di me il Moore arrogante e sicuro di sé sembra sparire nei meandri del suo animo.
-E come faccio io ad aspettare per stare con te?- sussurro con un tono più lamentoso di quanto volessi -Sapendoti tra le braccia di un'altra, poi!-
Jake sghignazza sprezzante e sfiora con il naso l'incavo del mio collo:
-Sono stato a letto con molte donne, Sorrentino. Ma voglio andarci piano, con te.-
Sento un peso opprimente chiudermi la bocca dello stomaco e mozzarmi il respiro.
-Jake, io... Io non sono vergine, se è questo che intendi.-
La presa sui miei fianchi si fa più rigida ed avverto il suo corpo tendersi contro il mio.
-Ah no?- ringhia, irritato.
-Solo perché sono cieca non significa che io non abbia avuto certe esperienze... Prima.- mormoro, a disagio.
-Prima di cosa?- indaga lui, ostinato.
"Sei davvero pronta a dirglielo?" sussurra una vocina cattiva nella mia testa. Inizio seriamente ad odiare il mio subconscio.
-Prima dell'incidente che mi ha privato della vista.-
 
P.O.V. Jake
 
Alexandra Jane Sorrentino non è vergine. E per quanto sia illogico, la cosa mi fa incazzare da morire, perché significa che qualcuno ha già avuto il privilegio di spogliarla, accarezzarla  e farla sua. Qualcuno ha catturato i suoi sospiri, qualcuno ha già sentito il proprio nome sospirato da quelle labbra seducenti durante l'orgasmo... E quel qualcuno non sono io, accidenti!
E poi leggo qualcos'altro nel tono sommesso con cui pronuncia le ultime frasi: un non detto estremamente pesante, che sembra soffocarla. Osservo con attenzione gli occhi tenuti cautamente bassi e le ciocche bionde che catturano la luce del sole mattutino, brillando ad ogni minimo movimento della sua testa. Non riesco ad immaginarla in nessun altro posto se non dietro ad un bancone di cucina e forse è qui che sbaglio: le ho raccontato tutto quello che c'è da sapere sul mio passato, conosce sicuramente ogni dettaglio della mia vita presente grazie ad Internet, le ho appena affidato quanto di più fragile e prezioso ho al mondo... Ma io non so nulla di lei, eccetto il fatto che abbia un difficile rapporto con la famiglia e il fantasma di questo incidente alle spalle. Per la prima volta provo a rendermi conto di quanto debba essere doloroso e difficile non poter vedere più nulla, dopo aver assaporato la bellezza della luce.
"Chi eri, prima?" mi chiedo, spaesato e leggermente in imbarazzo: non ho mai seriamente pensato a lei come una persona normale, in queste settimane. E' cieca, e questo fatto è così castrante nella vita di tutti i giorni che anche sapendo grazie a Tyler che c'è stato un tempo in cui Alexandra vedeva, io non l'ho mai immaginata senza la sua andatura incerta. Senza il suo equilibrio precario. Senza Abigail al suo fianco. Senza l'udito acuto e senza l'olfatto finissimo.
-Jake?- chiede, mordendosi il labbro: deve essere preoccupata per il mio prolungato silenzio, ma mi perdo nell'osservare quel semplice gesto che mi chiude lo stomaco e mette duramente alla prova i miei istinti.
-Jake!- sbotta a questo punto, arrabbiata. La bacio di nuovo, sorridendo incantato:
-Scusami, ma è colpa tua: lo sai che mi fai questo effetto se ti torturi le labbra a quel modo...- sussurro malizioso e mi compiaccio nel sentirla rabbrividire. Dio, quanto vorrei trascinarla in camera di peso e dare sfogo a tutta la mia eccitazione; anzi, perché aspettare di arrivare fino al letto? Anche il divano o il tavolo vanno benissimo! Ma non voglio lasciar cadere quel discorso delicato, perciò torno serio.
-Alexandra, ti va di parlarmi di come... Di come hai perso la vista?-
La ragazzina fa un respiro profondo e le sue labbra si contraggono in una smorfia ironica:
-Tento di dimenticarlo, in verità. Ma so che è impossibile e so anche che tu meriti di sapere, soprattutto dopo ciò che mi hai raccontato stanotte.
Non sono sempre stata così interessata alla cucina. Voglio dire, da piccola sì, moltissimo: aiutavo mia nonna a cucinare ed è da lei che ho imparato molte ricette italiane. Poi, crescendo, ho iniziato a cercare qualcosa di diverso: amavo la mia famiglia, ma tu non puoi capire che cosa significhi vivere con due fratelli e un padre iperprotettivo! Perciò diventai un'adolescente irrequieta, forse un po' ribelle, annoiata dalla scuola e perennemente fuori casa: avevo un giro di amici molto grande, anche se avrei imparato a mie spese quanto questi legami fossero effimeri, e molti di loro erano più grandi di me. Mi vergogno della diciottenne che sono stata: feste quasi ogni sera, voti disastrosi, sbornie da perdere il senno e litigate all'ordine del giorno.-
Mi sento ribollire il sangue nelle vene: ecco quali sono state le sue "esperienze"! Non voglio neanche immaginare con quanti ragazzi abbia scopato, sotto l'effetto dell'alcool.
"Tu non puoi certo biasimarla!" esclama la mia coscienza, beffarda. Ha ragione, ma mi fa male lo stesso.
-Poi cosa è successo?- chiedo, con il tono da giudice inflessibile: non voglio che il mio malanimo interiore la raggiunga e la ferisca.
-Avevo diciannove anni e in quel momento uscivo con un ragazzo di ventisei. Non lo conoscevo bene, ci ero giusto andata a letto un paio di volte e di certo non immaginavo che oltre a bere come una spugna sniffasse anche. Perciò, quando salimmo sulla sua moto entrambi ubriachi fradici, non era difficile immaginare che sarebbe andata a finire male.-
Non sono sicuro di voler sapere il seguito, ma non mi azzardo ad interromperla: si nota che non ne ha mai parlato con nessuno - probabilmente non aveva nessuno con cui parlarne - e so che le farà bene. Io, al contrario, mi sento come se mi stessero prendendo a pugni: uno per ogni dettaglio svelato su quel bastardo che le ha rovinato la vita. Perché ha ragione, non è difficile capire come sia andata, quella notte. Alexandra sospira, prima di concludere con voce appena udibile:
-Potrei dirti che era buio, che aveva piovuto da poco e la strada era bagnata, che quel camion pieno di taniche di petrolio non poteva sostare in quel punto... Ed è tutto vero, ma la colpa rimane comunque nostra. Mia. Kevin non fece in tempo ad evitare l'ostacolo, probabilmente non l'aveva neanche visto: mi ritrovai a terra, bagnata di quel liquido infiammabile che mi era arrivato anche sugli occhi. Mi hanno detto che ho ancora le cicatrici sulla schiena di quando sono rotolata sull'asfalto, ma io non ricordo nulla se non il bruciore e l'oscurità assoluta. Urlai, cercando si sovrastare i rumori attorno a me - il ronzio della moto fracassata, la voce del camionista che chiamava i soccorsi, i gemiti di Kevin - ma l'unica cosa che riuscivo a pensare era che sarei morta.-
Alza lo sguardo su di me e rimango inebetito a fissare quegli occhi così belli eppure così vuoti: adesso che sono ad un palmo da me vedo come una patina sopra di loro, un velo sfocato che le impedisce di vedere.
-Quando mi sono svegliata, in ospedale, credevo di essere in coma: sentivo i miei genitori e i miei fratelli attorno a me e le voci dei medici, ma ero immersa nel buio. Ci ho messo giorni a capire che in realtà avevo gli occhi aperti e quando me ne resi conto scivolai lentamente nella depressione. Ero sola con i miei rimorsi, una famiglia a cui avevo dato solo dispiaceri e degli occhi ormai inutilizzabili. E poi nulla, mi sono buttata sulla cucina: a casa ero un peso morto, perciò diedi una mano a quel modo. Certo, i primi tempi mi facevo male, mi tagliavo, mi bruciavo, non riconoscevo odori né oggetti... Ma con il tempo ho imparato a destreggiarmi anche in cucine sconosciute, ed è stato allora che Tyler mi ha proposto di partecipare a Chefs.-
Sorride, buttando indietro la testa e stringendo le braccia attorno al mio collo.
-La prima cosa che ho sentito è stata la tua voce, sai? Burbero ed insopportabile, come al solito! Ho fatto ricerche su di te, su Martinez e su Elizaveta e pian piano mi sono lasciata convincere da mio fratello in questa follia, a cui, come avrai capito dal comportamento di mia madre, i miei sono decisamente contrari!-
Le sue mani iniziano a percorrermi il collo, titubanti, accarezzandomi la pelle lasciata scoperta dalla t-shirt nera che indosso; sta aspettando che io dica qualcosa, ma ho paura che se solo muovo un muscolo io non sia capace di trattenermi...
-Ci sei?- mormora, confusa. La stringo a me, costringendola a rannicchiarsi contro il mio torace in modo che i suoi capelli mi solletichino il mento.
-Mi dispiace.- sussurro e mi accorgo che la mia voce trema.
-Di cosa? Non è certo colpa tua!-
-Mi dispiace per tutto quello che hai dovuto passare, è una cosa orribile.-
-Forse me la meritavo...- mormora Alexandra sovrappensiero.
-Ehi, non scherzare! Eri una ragazza che amava divertirsi e allora? Non è un crimine, credimi, parlo per esperienza! Probabilmente non eri irreprensibile e sei stata sconsiderata, ma la colpa, se proprio la devi trovare, è di quel coglione che ti ha fatto salire su una moto di cui si è messo alla guida in quelle condizioni! Ti giuro che se me lo ritrovo davanti...-
-Impossibile. E' morto dopo poche ore.- commenta, laconica ed impassibile.
-Posso chiederti una cosa, Jake?-
-Se continui a pronunciare il mio nome in modo così melodioso, dopo tutti quei fastidiosi "signor Moore", non posso dirti di no a nulla!-
-Ho ascoltato la tua voce e riconosco all'istante il tuo profumo, ma... Posso provare a vederti?-
Resto un attimo in silenzio, cercando di capire cosa intenda dire, ma quando vedo le sue mani torcersi e fremere per potermi toccare, comprendo.
-Certo.-
La sua è una carezza delicata, che sfiora appena la mia pelle e mi trasmette un brivido elettrico estremamente piacevole: scorre leggera le dita sui tratti del mio viso, attardandosi sulle guance rese ispide dalla ricrescita della barba, sulle labbra... Si diverte a saggiarne il contorno in lungo e in largo, e un ringhio affannato mi sorge spontaneo dalla gola.
-Ragazzina, tu mi farai impazzire!-
Alexandra si lascia andare ad una breve risata, lasciandomi un casto bacio sulla fronte e sospirando con malinconia.
-Non oggi: hai un'altra donna da soddisfare.-
 
Sono stato a casa di Elizaveta Hobbes solo una volta, per un party angosciante il cui unico risvolto positivo fu che me la portai a letto per la prima volta. Capisco da cosa derivi la sua presunzione di esercitare una continua e costante attrazione su di me, che potrebbe trasformarsi in qualcosa di più: il suo corpo mi ha fatto cedere fin troppe volte, nonostante io cerchi di tenere a distanza le mie amanti dopo due o tre rapporti.
E' alta, longilinea, con i suoi provocanti capelli rossi naturali, le curve al posto giusto e un paio di gambe da brivido... Tutto il contrario della figura minuta della ragazzina, insomma.
"Toglitela dalla testa per un paio d'ore, Jake!" Mi ammonisco mentre suono il campanello: ci mancherebbe solo di sussurrare il suo nome mentre sono con Elizaveta.
Quando apre la porta la fisso cercando di nascondere la mia sorpresa: questa donna si metterà mai una tuta? O un pigiama, come tutte le persone normali? No, lei è impeccabile come al solito, stretta in un vestito firmato e con i capelli racchiusi in una treccia morbida; l'unico dettaglio che rivela un certo rilassamento sono delle eleganti pantofole in stoffa al posto dei quotidiani tacchi.
-Jake!- esclama sbarrando gli occhi, e anche se cerca di mostrare una certa freddezza mi tranquillizzo nel capire che con lei avrò un gioco facile.
-Elizaveta!- replico beffardo, prima di afferrarla per le spalle e baciarla. Lei sembra cedere, ma poi si dimena e mi allontana come se le mie labbra scottassero. Mi guarda sospettosa poggiando le mani sui fianchi.
-Che significa questo?- ringhia.
-Significa che ho voglia di te, Eliza...-
-Non mentire, stronzo! Mi hai congedato senza troppi complimenti nella nostra ultima conversazione!-
Sospiro, valutando bene come muovermi e fin dove posso spingermi in questa farsa: non ho intenzione di rimanere impigliato in qualcosa che sarà difficile da rompere, una volta che potrò finalmente stare con Alexandra.
-Senti, Elizaveta, sappiamo entrambi come sono fatto: ultimamente ti eri messa in testa cose impossibili, lo sai che tra noi non c'era nulla di più di un buon sesso, l'hai sempre saputo! Ti sembro il tipo da relazione stabile?-
-No.- sussurra lei abbassando lo sguardo sul parquet tirato a lucido. Anche la sua casa è perfetta e sempre pulita, spenderà un patrimonio per mantenere l'esercito di cameriere che servono per mantenerla così in ordine!
-Brava. Quindi, cosa dici? Ricominciamo da dove ci eravamo interrotti?-
-E Alexandra Sorrentino?- sbotta d'un tratto, sollevando il mento con aria di sfida. Le luccicano gli occhi, sembra convinta di potermi trarre in inganno.
"Quanto sei ingenua, Elizaveta Hobbes!"
-Sorrentino? Cosa c'entra la ragazza cieca adesso?-
-Le stai sempre intorno e poi ho sentito dire che siete stati sorpresi in atteggiamenti poco... Adatti ai vostri ruoli...-
Mi sento la gola secca e le mani mi prudono dal desiderio di spaccare la faccia di Smith: ha esagerato, cazzo!
-E come mai io non so nulla di queste voci? Dovresti controllare meglio i tuoi informatori, Hobbes, io ronzo intorno a quella ragazzina solo perché mi interessa la sua cucina...-
-Non starai pensando di assumerla, vero?- esclama scandalizzata e divertita. Il mio sguardo si incendia di rabbia.
-E anche se fosse?-
Le sopracciglia di Elizaveta si inarcano, scettiche.
-Ma Jake... E' cieca.-
Vorrei sbatterle in faccia la verità, di come Alexandra sia migliore di lei non solo come persona, ma anche come cuoca, però so di non poter mandare a monte la sua unica occasione di non essere buttata fuori da Chefs con disonore. Devo ignorare questo commento assurdo, lo devo fare per lei.
Perciò sorrido:
-Hai ragione, stavo solo scherzando. Cosa hai deciso per noi due?-
Elizaveta mi guarda provocante e si lascia andare ad un risolino malizioso. Poi, con mia enorme sorpresa, si slaccia il vestito e mi da' le spalle, incamminandosi verso il corridoio.
-Ricordi la strada, vero?-
 
 
Angolo Autrice:
Eccomi qua, e dire che con la fine della scuola avrei dovuto avere più tempo per scrivere! Uff!
Che ve ne pare di questo capitolo? Molto più riflessivo degli altri, è una sorta di "pausa" dal mondo esterno... Almeno fino a quando Jake non va da Elizaveta: so che può sembrare una trovata strana, ma così lui placherà i suoi dubbi e se la rigirerà come vuole. Stronzo, eh?
Aspetto le vostre recensioni!
Alla prossima

Crilu 

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Capitolo 11
*** Spigola al sale ***


P.O.V. Jake
 
Osservo con occhio critico i cinque concorrenti che rischiano di essere eliminati: in base alla classifica dei punteggi da loro ottenuti nelle prove precedenti i candidati peggiori della squadra che aveva perso la prova della cena si sono sfidati per rimanere tra noi. Li fisso negli occhi, spostando lentamente lo sguardo dall'uno all'altro, divertendomi nel notare la loro crescente attenzione.
Dave Morris, impacciato, maldestro, insicuro: per preparare un piatto riduce il piano di lavoro in condizioni pietose e non osa mai qualcosa di esageratamente innovativo.
Ed Price, il cugino di Ruby Fisher: un ragazzo corpulento ed allegro, con tanta voglia di fare ma, al solito, poca inventiva.
Monica Green, invece, ha fantasia da vendere ma commette errori di tecnica imperdonabili.
Milla Roberts sembra prendere quella sfida come un gioco e mi hanno detto che ha partecipato per una scommessa fatta al proprietario del bar in cui lavora: è la più tranquilla e posata dei cinque.
E infine c'è Wade Baker, l'amico si Smith, che ricambia il mio sguardo con strafottenza. Oh sì, lui lo elimino con grande soddisfazione!
-Solo uno di voi si salverà oggi: gli altri stanno per consegnare il grembiule e tornare a casa.-
La voce di Elizaveta, al mio fianco, è composta e seria, ma posso percepire nel suo volto il rilassamento dovuto alla nostra "relazione". Per quanto mi disgusti raggirarla a quel modo, il mio piano sta funzionando: le dicerie su Alexandra e me sono sparite e Smith la osserva spesso di sottecchi, infuriato. Gli unici a sapere la verità sono suo fratello Tyler e Robin, ed entrambi mi squadrano con sufficienza e preoccupazione, non riuscendo ancora a credere che proprio io voglia (possa?) prendermi cura di lei. Quello che mi da' più fastidio, però, è vederla continuamente scortata da Hamilton e Brooks: se Alex si è affrettata a chiarire l'omosessualità del primo, ogni volta che si parla di Adam le sue guance si imporporano e mi intima di chiudere il becco. Tutto questo negli incontri più o meno fortuiti nei corridoi e in pochi sussurri rubati durante le registrazioni: è una situazione stressante, che non vedo l'ora di risolvere.
-Jake, a te l'onore di annunciare chi rimarrà nella cucina di 'Chefs'!-
"E ti pareva?"
Mi volto verso Juan per accertarmi che non abbia ripensamenti dell'ultimo minuto, ma lui sfugge ostinatamente al mio sguardo: è ferito perché non gli ho accennato nulla di ciò che è successo dopo che l'avevo cacciato di casa e non comprende il repentino cambio di rotta che il mio rapporto con Elizaveta ha subito. Mi sento quasi in colpa ad averlo trattato così e in fondo - molto in fondo - i suoi consigli paterni ed assillanti mi mancano...
"Al diavolo, Jake! E' la tua vita e tu sai cosa stai facendo: quando sarà tutto finito gli spiegherai ogni cosa...."
Prendo un grande respiro e annuncio il nome della vincitrice:
-Milla, è un grande piacere per noi poterti annunciare che la tua avventura nella cucina di Chefs continua!-
Milla è felice, ma mi lancia un'occhiata divertita: è una donna con molta esperienza e sa che quella frase me l'hanno cucita addosso come un vestito troppo stretto. Gli altri quattro salutano i compagni quasi in lacrime; sono sicuro che Dave avrà una crisi nervosa appena le telecamere verranno spente, ma ora come ora non mi importa. Non faccio in tempo ad allontanarmi dalla scena, infatti, che Elizaveta mi sfiora il fianco in modo provocante ed io sbuffo: questa donna è insaziabile. Inoltre questa mattina mi sono salvato per miracolo dal linciaggio ad opera di Robin Ben Jelloun e di Tylier Sorrentino, che a quanto pare non si sopportano, ma visto che c'era di mezzo una ragazza dal cuore infranto (Alexandra) e uno stronzo responsabile (cioè io) hanno pensato di unire le forze... Per fortuna la ragazzina li ha fermati in tempo prima che qualcuno potesse assistere alla scenata, e gli ha spiegato tutto. L'unico della sua cerchia a non esserne al corrente è Hamilton, che ultimamente ha un umore instabile: spero per lui che oggi sia in vena, perché la sfida va avanti e non può permettere alle sue emozioni di interferire, se spera di vincere.
Elizaveta finisce di parlare con un operatore e nel passarmi al fianco si china verso il mio orecchio e ridacchia:
-Dopo, nel mio camerino.-
Sorrido, anche se l'occhiata che Robin mi sta lanciando potrebbe polverizzarmi.
-Non vedo l'ora!- esclamo, non riuscendo a nascondere un pizzico di ironia, ma Hobbes non se ne accorge e si allontana soddisfatta.
 
Quando esco dal camerino di Elizaveta sistemandomi la camicia, le riprese stanno per iniziare. E' perciò con grande sorpresa che vedo Richard Hamilton seduto sul pavimento di un corridoio laterale, con la divisa stropicciata e la testa fra le mani.
-Hamilton?- lo chiamo, ma lui sembra non sentirmi. Mi avvicino e lo scuoto per la spalla: ultimamente i miei gesti mi stupiscono sempre di più, in un altro momento avrei fatto finta di non averlo visto. Ma Alexandra ha smosso qualcosa di veramente grande in me, ha risvegliato istinti che credevo perduti per sempre. E poi Hamilton è suo amico e so che si preoccupa per lui, di conseguenza la sua apatia è per me un problema.
-Hamilton, è tardi, stanno per iniziare!-
Il ragazzo alza lo sguardo su di me e stupito vedo la scia delle lacrime che hanno solcato il suo viso; gli occhi chiari sono cupi e spenti.
-Che importanza ha? Come posso sperare di vincere se il mio ragazzo mi ha appena mollato?-
Sbuffo, alzando gli occhi al cielo:
-Dio, Hamilton, non fare l'adolescente in crisi esistenziale per una storia finita male!-
-Era una storia che durava da due anni!- sbotta e vedo che sta praticamente tremando -Lei non ha idea di cosa significhi essere gay in questo ambiente così chiuso e competitivo! Ho perso dei lavori per questo, e Chad, nonostante la gelosia e tutti i suoi difetti, è stato l'unico conforto quando il mondo mi chiudeva la porte in faccia. Per questo ho nascosto la mia omosessualità, per questo nessuno, qui, sa chi sono! E dopo due anni - due anni, cazzo!- mi viene a dire che non può stare con un uomo con i miei orari, che passa più tempo in cucina o in questo stupido show che a casa con lui... Come se non si fosse mai accorto del lavoro che faccio!-
Respira affannosamente e io non so che fare: non sono un esperto di relazioni di qualsiasi genere, e non posso neanche immaginare il suo tormento. Ma Richard non sembra rendersi pienamente conto della mia presenza lì, perché continua con le sue riflessioni:
-Ma lo dovevo capire, che c'era qualcun altro. Perché sì, oh sì!, ci deve essere sicuramente un altro... Ed era con lui quando mi diceva di essere impegnato, anche quando io avevo fatto i salti mortali per ritagliarmi del tempo da passare insieme!-
E' arrabbiato, ferito, abbattuto. Sembra l'ombra del ragazzo solare e gentile che tutti apprezzano. E quando riesco a cogliere l'affinità tra la sua rabbia e quella che mi ha perseguitato per tanto tempo arriva il colpo di genio. Davvero, un sorriso a malapena contenuto increspa le mie labbra, mentre lo costringo a guardarmi negli occhi:
-Ti è andata bene, Hamilton: se qui ci fosse stata Alexandra, o la Ben Jelloum, o qualsiasi altra persona, ti avrebbe coccolato e consolato, quasi mettendosi a piangere con te. Beh, io non ne sono capace e per questo ti sarò molto più utile. L'unico consiglio che posso darti, infatti, è di muovere il culo e filare dritto in cucina. Non riesci a passare oltre a questa storia? Non farlo, allora. La rabbia, la delusione, l'umiliazione... Riversale nei tuoi piatti. Saranno più vivi, più veri, e per un poco ti sentirai meglio.-
Vedo una debole scintilla di fiducia accendersi nelle iridi del ragazzo e sono oltremodo fiero di me.
"Se Alexandra fosse qui in questo momento..." penso soddisfatto. Hamilton si alza, mi indirizza un mezzo sorriso nervoso e si incammina verso la cucina.
-Ah, Hamilton?- Si gira e mi osserva con le sopracciglia alzate. -Non commettere un errore stupido: quando ne avrai abbastanza dell'ira, abbi il coraggio di lasciarla andare.-
 
P.O.V. Alexandra
 
Con l'eliminazione di questa mattina siamo rimasti in dieci in cucina, e la competizione si sta facendo serrata. In particolar modo, il duo Priscilla-Oliver sembra ancora più inviperito dopo che Wade è stato eliminato e non perde occasione per prendersela con gli altri concorrenti.
Poche ore fa, per esempio, Priscilla ha intavolato un'accesa ed aspra discussione con Samantha "Sam" Foster su un dolce che entrambe conoscevano, ma che preparavano in modo diverso. Visto che andavano per le lunghe - Sam è una che non si fa pregare quando si tratta di attaccare briga - Sean Walker è intervenuto prima che lo facesse la sicurezza.
-Lasciala perdere!- aveva esclamato per calmare la ragazza -Non capisci che senza Baker si sentono più deboli?-
Questo è stato solo il primo dei tre eventi strani di questa mattinata: il secondo è stato quando Evan Parker, il ragazzo snob che mi aveva dato la dritta su Elizaveta e Smith, mi si è avvicinato per chiedermi se avessi risolto il "problema" dell'altro giorno.
-Sì, ti ringrazio!- avevo risposto, circospetta, aspirando il suo odore: molti cuochi, tra cui io, sono avversi ai profumi artificiali, perché potrebbero compromettere la riuscita di un piatto, ma Evan non rinuncia mai alla sua costosa colonia. E nonostante ciò, è uno dei concorrenti più validi e competitivi; per questo non riuscivo a spiegarmi il suo comportamento altruista e preoccupato. Mi sarei aspettata un aiuto da Adam, o forse da Emma Rivera, che è sempre dolcissima con tutti, ma da lui no.
Lo avevo afferrato per un braccio prima che si allontanasse e lui aveva emesso un mezzo sbuffo infastidito.
-Nonostante quello che hai sentito, volevo dirti che ciò che Smith ha detto su di me non è vero.-
-Non mi interessa, Sorrentino, ma l'avevo già immaginato.-
-Se non ti interessa perché mi hai aiutato?-
Avevo avvertito il peso dei suoi occhi su di me e poi la sua risposta, poco più di un sussurro prima che si defilasse:
-Non l'ho fatto per te.-
L'incontro mi ha lasciato basita e perplessa, ma ciò che mi preoccupa più di tutto è il rapporto disastroso tra Robin e Tyler: si detestano e non fanno nulla per nasconderlo, ed essendo entrambi molto testardi averli vicino nello stesso momento non è mai una buona idea. Come quando, appena arrivati negli studios, hanno visto Jake baciare Elizaveta; senza neanche consultarmi, dopo avermi avvisata con tono mesto si sono diretti verso di lui con non so quali precise intenzioni... E sarebbe finita male se non li avesse ripresi in tempo. Mio fratello era sollevato per il fatto che per un po' sarei stata lontana da Moore, Robin decisamente meno:
-Sei sicura di poterti fidare di lui, Alex?-
-Sì, ne sono sicura, anche se non so spiegarti bene il perché... Cioè potrei, ma mi vergogno.-
-Ok, non voglio ascoltare!- aveva esclamato Tyler con tono esasperato.
-Zitto tu! Alexandra, tesoro, a me questa cosa sembra destinata a finire male...-
-Che fine hanno fatto le dolci e romantiche ragazze di una volta? Possibile che siano tutte come te, acide e pessimiste?-
-Si dice realista.-
-No, tu sei un vero e proprio uccello del malaugurio! Magari questa volta non andrà a finire in maniera catastrofica!-
-Lo dici solo perché così la tua adorata sorellina non avrà altri uomini che le ronzano intorno! Sotto sotto ci speri, che Moore si confermi il bastardo che tutti credono che sia!-
Avrebbero continuato per ore, se noi non avessimo avuto le riprese e Tyler il suo lavoro.
 
Insomma, è stata una mattina movimentata, e la prova di oggi pomeriggio sembra essere impegnativa; come è giusto che sia, visto che la finale è sempre più vicina. Comunque vada, sono orgogliosa di essere giunta fino a questo punto.
Elizaveta - la sua voce e il suo atteggiamento sono più rilassati e composti, adesso che va a letto con il mio Jake - ci annuncia la sfida: è una prova tecnica, in cui l'ispirazione e la creatività servono a poco. Dobbiamo infatti cucinare una spigola al sale: il pesce è già di per sé ostico per una come me, che non lo ha mai amato, ma mi sento in estrema difficoltà perché per questa ricetta bisogna riuscire a riconoscere il momento giusto della cottura.
"Bene, Alex, hai a disposizione una spigola, un kilo di sale e due ore di tempo: fatti venire qualche idea per recuperare il tuo svantaggio!"
Inizio subito a darmi da fare, pulendo il pesce (lo tengo in acqua a lungo, in modo da eliminare tutto il sangue) e cospargendolo di sale. Aggiungo poi un po' di succo di limone per rendere la crosta più saporita ed inforno; incrocio le dita, sperando che il tempo stimato non mi tradisca. Non posso valutare con la vista lo stato di cottura del pesce, ma sono in grado di farlo con l'olfatto e presa dalla paranoia avvicino più volte il naso all'imboccatura del forno per controllare.
-Così ti scotterai il naso!- commenta Jake alle mie spalle. Il tono è lo stesso di sempre, ironico ed affilato, ma so che stava bruciando da ore per potermi parlare, lo capto nella sua voce. Ed intimamente tiro un sospiro di sollievo perché, al contrario di quanto avevo detto a Robin, ho paura della malia di Elizaveta Hobbes: ho paura che Jake Moore non torni più da me. Non gli rispondo, ma con un sorriso felice inizio a preparare la salsa di acciughe ed olive da accompagnare alla spigola.
Allo scadere dei trenta minuti la tiro fuori e con un sospiro di sollievo mi accorgo che la consistenza è morbida e non rinsecchita o bruciata. Manca ormai solo un quarto d'ora ed io impiatto in fretta, sperando di non sporcare troppo il piatto da portata con l'olio e la salsa, che ho messo a parte in quanto i giudici dovranno giudicare soprattutto il sapore del pesce.
Quando lo presento alla giuria ho il cuore in gola, e batte più forte di quando sono entrata nella cucina di Chefs per la prima volta: vorrei poter dire che è solo per il giudizio della sfida, ma so che non è così. Oggi è la prima volta che io e Jake siamo calati nei nostri ruoli consueti, dopo le dichiarazioni di domenica: il nostro rapporto è cambiato per sempre, eppure agli occhi degli altri è rimasto sempre uguale e perciò siamo costretti ad andare avanti con questa mascherata. E' già stato difficile fingere indifferenza al suo "ritorno di fiamma" con Elizaveta, ora sta a lui comportarsi in modo professionale per non farci scoprire. Neanche a farlo apposta, è il primo ad assaggiare la spigola:
-Considerati i tuoi problemi, la cottura è accettabile, anche se non perfetta. Hai pulito il pesce in maniera eccellente e l'hai salato in maniera corretta, perciò ha un buon sapore.-
Martinez è d'accordo con lui:
-La cottura è passabile, ma il sapore è squisito e la salsa che hai preparato per accompagnarlo dimostra che la tua inventiva trova spazio in tutti i piatti... Ne terremo conto nel giudizio finale!-
-Mi accodo ai miei colleghi.- esclama Elizaveta, mentre sento le posate tintinnare sul piatto -Sappi però che la cottura era un passaggio fondamentale nella buona riuscita di questa sfida e che tu ti sei piazzata al di sotto dei tuoi standard!-
Le loro parole mi intristiscono: non tanto per il continuo accenno alla mia cecità - è e sarà sempre un problema, punto - piuttosto per l'accondiscendenza con cui tutti e tre mi trattano. E' come se dicessero "beh, certo non poteva fare di meglio perché è cieca, quindi riempiamola di complimenti e paroline dolci."
Mi da fastidio, ma sorrido e non lo do a vedere; il mio umore peggiora nel captare i soliti commenti maligni di Oliver:
-Quel pesce era crudo, si vedeva da lontano, ma ovviamente l'hanno nascosto per non sembrare insensibili davanti alle telecamere! Dai, che questa è la volta buona che ce la leviamo dalle palle!- esclama tutto contento nei confronti di Priscilla.
Mi rincuoro un po' solo nell'ascoltare i complimenti per i piatti di Robin e Richard. Per quest'ultimo, in particolare, Jake utilizza uno strano tono di voce: sembra soddisfatto e... Orgoglioso?
-C'è qualcosa che devi dirmi?- scherzo con il mio amico.
-Su cosa?-
-Dai, Jake Moore ti ha appena lodato davanti a tutti e tu sembri un pupazzo con la batteria scarica!-
-Chad mi ha lasciato...-
-Oh!- Il mio entusiasmo si smorza.
"Che giornata..."
-Ma Moore è stato gentile con me.- prosegue il ragazzo e ciò che dice mi stupisce. Mi racconta del suo incontro con Jake e non posso fare a meno di sentirmi felice per lui: si vede che sta cercando la mia approvazione a distanza, tentando di allontanare il suo passato. So che quello che ha detto a Richard l'ha vissuto in prima persona  e avverto con urgenza ancora maggiore il bisogno di poter stare con lui, per aiutarlo a dimenticare ed andare avanti.
La prova va bene e nonostante la mia posizione in classifica sia scesa di molto, posso tirare un sospiro di sollievo: ad essere eliminati saranno Ruby Fisher, che senza il cugino non è durata neanche un giorno, ed Emma Riviera, perché ha quasi completamente bruciato la sua spigola.
-Sean e Samantha si stanno facendo a vicenda le congratulazioni per aver passato la prova... Con molto calore!- commenta Richard mentre ci dirigiamo verso l'uscita.
-Che modo assurdo per provarci con una ragazza!-
-Perché?-
-Perché passeranno secoli prima che si mettano insieme, se continuano con "oh, complimenti per lo sbuffo di panna sul cupcake!" e "grazie, anche il tuo arrosto sembrava delizioso!"-
E' a questo punto che ci avvicina Evan Peters - lo riconosco dalla colonia.
-Salve, Peters!- lo saluta Richard, sorpreso e confuso.
-Complimenti, Hamilton, ho visto da vicino il tuo piatto e la tua idea per la spigola è stata davvero... Originale.-
-Grazie.-
Poi Evan sembra accorgersi di me ed aggiunge, mascherando con la solita alterigia l'imbarazzo:
-Sorrentino, ho visto che anche questa volta te la sei cavata!-
-Faccio quello che posso, Peters.- 
E mentre salgo nella macchina di Tyler, riflettendo sul comportamento di quel cuoco stravagante, mi si accende una lampadina al neon nel cervello e inizio a ridere come una matta.
-Hai bevuto qualcosa, in cucina?- ironizza mio fratello.
-No, ho appena scoperto come funzionano le schermaglie amorose tra chefs.-
-Te l'ha spiegato Moore?-
-Certo che no! Noi due siamo semplici conoscenti qui, ricordatelo!-
-E chi allora?-
-Un amico.- ridacchio. Tyler pare riflettere sulle mie parole:
-Uno di questi giorni potresti spiegarmele.-
-Cosa? Le schermaglie amorose? E perché mai?-
-Non si sa mai, potrebbero sempre risultare utili!-
-Ti sei innamorato di qualche mia collega, fratellone!?- esclamo, estasiata, ma nonostante le mie domande e le mie minacce, non è possibile cavargli nulla di bocca e alla fine devo rinunciare.
 
 
Angolo Autrice:
Capitolo che offre una panoramica più ampia su tutti i cuochi di Chefs, senza soffermarsi troppo su Jake e Alexandra, visto che la loro relazione è "in pausa"! Sono molto contenta di essere riuscita a dare spazio anche agli altri personaggi più marginali e soprattutto di aver fatto interagire Richard e Jake... A questo proposito, avete capito le intenzioni di Evan? ;)
Alla prossima
 
Crilu 

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Capitolo 12
*** Fagioli ***




P.O.V. Alexandra
 
Mentre passeggio tranquillamente per i corridoi degli studios mi sento afferrare per un braccio e trascinare in una stanza deserta. Per un attimo ripenso a Smith e alla sua tentata violenza, ma riconoscerei ovunque il profumo di Jake e le labbra che si posano sul mio collo e sulle mie guance.
-Dio, mi sei mancata...!- mugola, strofinandosi contro di me come un gatto. Sorrido e lo stringo a me, saggiando con le dita i muscoli tesi della sua schiena. Jake si distacca da me e so che mi sta osservando con il respiro affannato.
-Io non ce la faccio più!- sbotta.
-Lo so, ma siamo rimasti in dieci e fra poche settimane sarà tutto finito...-
-No, non hai capito: non ce la faccio più ad aspettare per averti. Voglio fare l'amore con te, Alexandra Jane.-
Io ammutolisco sotto il peso e il desiderio delle sue parole.
-Questo bisogno mi sta logorando e vederti ogni giorno senza poterti sfiorare neanche per sbaglio è qualcosa che va al di sopra delle mie capacità. Perdonami, dovevo pensarci prima di dare inizio a questo piano strampalato!-
Poggio la mano sulla sua bocca, fermandolo.
-Va bene.- mormoro e avverto il suo corpo irrigidirsi per lo stupore -Ma non qui.-
Jake mi bacia con foga, ridendo e stringendomi a sé:
-No, certo che no. Voglio che sia indimenticabile e lo sarà, dolcezza, non ti preoccupare... Questa sera a casa mia?-
-Ed Elizaveta?-
-Ha un catering importante, non si libererà prima delle due di domattina..-
Sorrido anche io ed annuisco. Poi gli regalo un altro bacio fugace e faccio per uscire, ma Jake mi trattiene per le spalle: non è più rilassato e scherzoso, ma molto serio.
-C'è qualcuno!- bisbiglia, affacciandosi alla porta.
-Chi?-
-Hamilton... Ed Evan Parker!-
Ridacchio nel percepire la sua perplessità.
-Forse è meglio che ti avverta: credo che Parker ci stia provando con Richard!-
-Stai scherzando?- esclama, forse a voce un po' troppo alta. Ma le voci che provengono dal corridoio mi confermano che quei due sono troppo concentrati su loro stessi per far caso a noi.
-Cosa volevi dirmi?- chiede Evan, con una traccia di curiosità nella voce.
-Nei giorni scorsi non ho avuto modo di avvicinarti, ma volevo ringraziarti per ciò che hai fatto per Alexandra... E chiedertene il motivo.-
Parker sbuffa e ringhia:
-Il motivo! Il dannato motivo, eh? Avessi saputo che questa buona azione avrebbe stupito così tanto te e la tua amichetta, sarei stato zitto!-
-Non scaldarti, non volevo offenderti, ero solo curioso!-
-Già, lo immagino! Evan Parker che aiuta il prossimo attira molta curiosità!-
-Va bene, ho capito, me ne vado!-
-No, aspetta!-
Sussulto, perché il tono animoso e sprezzante di Evan è diventato all'improvviso insicuro, quasi spaventato.
-Lo sta trattenendo per un polso..- mi informa Jake.
-Vuoi sapere davvero il motivo per cui ho aiutato Sorrentino?- mormora Evan, più conciliante.
-Sì.- L'aria che si respira è tesa, siamo tutti e quattro in attesa di qualcosa e sento la pelle d'oca per l'eccitazione.
-Perché è tua amica.- bisbiglia Parker, a voce così bassa che se non avessi l'udito affinato da sei anni di cecità probabilmente non l'avrei sentito. E poi i rumori che seguono mi suggeriscono ciò che Jake mi narra:
-Hamilton ha appena preso Parker per il colletto della camicia, l'ha sbattuto contro il muro e lo sta baciando... Per Dio, non ho mai visto due uomini lavorare di lingua in questo modo!-
Ridacchio, divertita e insieme dispiaciuta di non potermi gustare la scena.
-Era ora!- mormoro. Jake sbuffa stralunato, ma non replica e, una volta che Richard ed Evan si sono allontanati, usciamo circospetti dalla stanza.
 
Tiro indietro i capelli passandoci attraverso le dita e fermandoli con la mia solita fascia.
"Hai superato la prova della spigola, Alex, che sarà mai questo?" cerco di convincermi. In realtà non è tanto la prova in sé ad infastidirmi, ma la valenza che assume per me: dovremo infatti scegliere tra tre scatole chiuse e, ad occhi bendati, riconoscere l'ingrediente che farà da base al nostro piatto. Perché, come sta dicendo Martinez adesso:
-Uno chef eccellente dev'essere capace di riconoscere ogni cibo anche ad occhi chiusi!-
Sento che l'attenzione di tutti è rivolta a me, che mi stiano guardando o meno e sospiro: io lo faccio ogni giorno, eppure, senza falsa modestia, non mi ritengo uno chef "eccellente" ma una cuoca desiderosa di imparare.
E' una prova temutissima, questa, perché ad andarsene saranno in quattro e poi si passerà alle semi-finali... E poi all'ultima sfida... E' da qualche tempo a questa parte che rifletto su una mia possibile candidatura alla finale: da un lato ne sarei orgogliosa ed inizio a pensare che potrei farcela, dall'altro eliminare Richard, Robin o Adam mi spezzerebbe il cuore.
E' proprio Adam che, ignaro di tutti i miei travagli interiori, appena arrivato mi lascia un bacio sulla guancia. Io sobbalzo e so per certo che se Jake è nei paraggi mi toccherà discutere con lui, ma non lascio trasparire nulla:
-Come siamo allegri questa mattina!-
-Abbastanza!- ride lui.
-Si può sapere il perché o è un segreto?-
-In realtà sarebbe un segreto... Ma per una chef così affascinante farò un'eccezione!-
Io arrossisco e mi avvicino a lui per ascoltare.
-Sai qual è l'impresa di famiglia? Creare profumi!-
-Davvero?-
-Sì, ho ascendenze francesi e da generazioni la mia famiglia dirige una piccola azienda di essenze... E si sono disperati quando ho scelto di diventare uno chef, perché io sono un Naso.-
-Un Naso non è una di quelle persone dall'olfatto particolarmente sviluppato?-
-Esattamente! Ora capisci perché sono allegro e rilassato in mezzo a tante corde di violino?-
Rido con lui, almeno finché non viene dato il segnale d'inizio della prova.
Sono la terza ad essere chiamata: mi avvicino al banco dei giudici e avere vicino l'odore di Jake mi tranquillizza. Certo, accompagnato a quello raffinato e ricercato di Elizaveta perde un po' della sua carica positiva...
"Alex! Concentrati!"
Con una presa molto gentile Juan Martinez accompagna le mie mani e le serra attorno ad una piccola scatola quadrata. Per par condicio anche i miei occhi sono bendati e mi sento ridicola mentre, davanti alle telecamere, porto l'ingrediente al naso e odoro. E' un profumo evanescente, sa di terra smossa.
-Fagioli!- esclamo, sicura e un po' sorpresa da un ingrediente così povero: per creare un piatto d'alta cucina con questi dovrò impegnarmi molto.
-Brava, Alexandra! Hai tra le mani dei fagioli borlotti, e ci aspettiamo di vederli accompagnati da qualche altra verdura in un appetizer degno di questo nome in un'ora e mezza!- trilla Elizaveta, estasiata. Da quando Jake ha dato inizio alla sua copertura, la Hobbes sembra aver riacquistato di colpo ogni energia...
Mi dirigo al banco con passo svelto - ormai sono abituata agli spazi di questa cucina - con la scatola di fagioli stretta tra le mani. Controllo velocemente ciò che mi è stato messo in dispensa: peperoni, cipolla, un filone di pane ancora caldo... E l'idea inizia a prendere forma nella mia mente. Attendo il gong d'inizio, poi abbrustolisco il pane e preparo tre piccoli crostini, accompagnati da un filo d'olio. Frullo i fagioli con un'abbondante quantità di pepe nero e quando hanno raggiunto la consistenza che voglio io li adagio sui crostini. La cipolla caramellata sulla cima e la salsa di peperoni in cui intingerli mi portano via gran parte del tempo, ma alla fine faccio in tempo ad impiattare. Mi dirigo verso il banco dei giudici con una smorfia, perché so che l'estetica non rende molta giustizia al piatto: purtroppo, essendo cieca, non avevo alcun modo di rimediare.
-Beh, mi sembra un po' pasticciato!- commenta Elizaveta, perplessa. Ma quando assaggia il suo crostino la sua voce si alza di un tono:
-Molto buono ed originale, mi piace! E la salsa di peperoni si accompagna bene!-
-E' molto disordinato...- inizia Jake, con voce piatta -Considerati i tuoi primi successi, mi aspettavo un po' più di precisione, ma ci passerò sopra, perché il piatto ha del grande potenziale e il mio giudizio, in definitiva, è positivo.-
Sorrido impercettibilmente, e quasi non ascolto le lodi di Martinez. So che Jake mi sta guardando, pregustando come me quello che accadrà stasera: al pensiero il mio ventre ha un fremito e dei piacevoli brividi scivolano lungo la mia spina dorsale. Fare l'amore con Jake...
"Chissà come sarà il suo corpo..." fantastico tra me e me, mentre si prosegue con i piatti dei miei compagni. Con mio grande dispiacere, a scendere in classifica è Richard, mentre ad essere eliminati saranno Milla, Priscilla, Sean e Samantha. La donna irlandese mi stritola in un abbraccio commosso e sorride:
-Se avrai bisogno d'aiuto, ragazzina, sai dove trovarmi!-
Sean e Sam, invece, non sembrano poi così delusi dalla sconfitta.
-Sean mi ha chiesto di andare a lavorare nella trattoria di famiglia!- rivela Samantha eccitata, mentre saluta me e Robin.  -Dovete assolutamente venire a trovarci: abbiamo intenzione di modernizzare un po'!- ride. Sono felice per loro, e in segreto anche per il fatto che Smith adesso rimarrà solo. Anche se a lui non sembra importare più di tanto, visto che saluta Priscilla con una semplice pacca sulla spalla e una frase di circostanza: ma del resto, Oliver Smith gioca per vincere e quindi era solo fin dall'inizio.
-Attento a non farti eliminare!- esclamo bonaria quando Richard si avvicina. Ma quando capto un penetrante odore di colonia, capisco che deve dirci qualcosa di importante.
-Ciao, Parker.- mormoro, imbarazzata: non sanno che io e Jake abbiamo assistito alla loro dichiarazione, stamattina.
-Alex, Robin, dobbiamo annunciarvi una cosa.-
-Tu ed Evan Parker? Insieme?- chiede la mia amica, confusa, ed io soffoco una risatina.
-Precisamente, noi stiamo insieme.- replica Evan con tono divertito.
-Voi due!?- esclama la marocchina allibita. E a quel punto io scoppio a ridere, incapace di frenarmi; un'altra risata si accoda alla mia e quando due mani gentili mi sfiorano i fianchi comprendo di avere vicino Adam.
-Complimenti, Alex: hai scalato nuovamente la classifica!- esclama, di buon'umore.
-Anche tu non ti sei piazzato male, Adam... Proprio sotto di me!- rispondo sorridendo.
-Già, che giornata! Mi dispiace per Milla, Sean e Samantha, ma se si spera di vincere è inevitabile salutare qualche amico... Ma qui vedo tutti i motivi per festeggiare! Siamo ancora nella cucina di Chefs, io e Alexandra vi batteremo tutti nel giro di qualche prova, Parker e Hamilton hanno finalmente fatto coppia e Priscilla Young non è più un nostro problema... Che ne dite di andare tutti insieme a bere qualcosa?-
Gli altri accettano entusiasti (con l'eccezione di Evan che si limita a grugnire un 'va bene' forzato) ma io sorrido falsamente e declino l'invito:
-Mi dispiace, ma stasera ho una cena di famiglia a cui non posso davvero rinunciare!-
Adam sbuffa contrariato:
-Ma dai, Alex, che sarà mai! Chiamali e digli che non puoi, saranno felici di sapere che stai tornando a vivere!-
-Felici di sapermi in mezzo a degli amici presto ubriachi? Non credo proprio! E poi stasera torna mio fratello dall'università, non lo vedo da mesi!-
E' una bugia colossale, ma l'unica che l'ha capito è Robin: sa benissimo che Dan è tornato la settimana scorsa, perché è venuto lui a riprendermi invece di Tyler e lei ha evitato l'ennesimo battibecco.
-Ah, allora ok...- Brooks è deluso ed insiste per accompagnarmi fuori.
-Dov'è tuo fratello?-
-Oh, stasera non poteva venire, torno in taxi.-
-Non posso permetterlo! Aspetta un attimo, vado a prendere la macchina e ti accompagno!-
-Adam, per favore, lascia stare, davvero: ho già chiamato il taxi e ci metterò un attimo a farmi lasciare davanti casa! Tu vai con gli altri e divertitevi anche per me.-
Lui non sembra molto convinto ma vengo salvata dall'intervento di Robin che viene a salutarmi, sussurrandomi all'orecchio:
-Moore, eh? Poi mi devi raccontare tutto!-
E aggiunge, a voce più alta:
-Dai, Adam, che altrimenti facciamo tardi!-
Adam allora si avvicina e mi bacia sulla guancia, indugiando forse più del dovuto: sento il suo respiro caldo alleggiare sulla pelle e so di essere arrossita.
-Ci vediamo, Alex!- mormora con voce roca, prima di allontanarsi.
 
P.O.V. Jake
 
Ho promesso ad Alexandra una serata memorabile e la sarà, nonostante il pensiero di Brooks che la bacia sulla guancia per salutarla persista fastidioso nella mia mente. Ma non voglio litigare con lei, stasera, perciò chiuderò questo ricordo in un angolo della mia mente e mi concentrerò solo su di lei, su di noi. Ho fatto una cosa che non ho mai fatto per nessuno e mentre le vado ad aprire la porta spero che lo apprezzi.
Appena la vedo, con quell'abito corto ed etereo che si è messa, avverto un'ondata di calore che mi blocca sul posto, paralizzato. E' bella, anzi, di più... E' sexy. Ed è mia, solo mia.
La attiro contro di me, facendole quasi perdere l'equilibrio, e senza neanche salutarla la bacio con passione: non sono passate neanche ventiquattr'ore dall'ultima volta che l'ho fatto, eppure mi sembrano passati anni.
-Non indossavi questo vestito oggi!- brontolo accarezzandole il viso. -Ti sei forse cambiata in taxi?-
-Ho fatto un salto a casa!- risponde sempre sorridendo -Per questo ci ho messo un po' più del previsto.-
Poi allarga le narici ed aggrotta la fronte:
-Ma... Cos'è questo profumo delizioso.-
-La cena. Ho cucinato per te, amore mio.-
Alexandra spalanca gli occhi e la bocca e la sua espressione è così buffa e tenera che non posso fare a meno di sorridere e riempirla di piccoli baci sul viso e sul collo.
-Tu... Tu hai cucinato... Per me?- balbetta, esterrefatta.
-Sono uno chef stellato, dolcezza. Credevi che avrei ordinato un take away dal cinese?- ridacchio -Sono giorni che programmo questa serata, nella speranza che tu dicessi di sì. E' per questo che ho fatto così in fretta, sebbene sia arrivato a casa solo tre quarti d'ora fa... Anzi, c'è ancora un po' da aspettare!-
Ma Alexandra non sembra scontenta dell'attesa, anzi, si accomoda su uno degli alti sgabelli dell'isola e mi ascolta cucinare, chiacchierando con me.
"Ecco cosa voglio dalla vita" penso, mentre le porgo il primo piatto della serata "Questo, tutte le sere, finché avrò respiro."
La cena prosegue bene ed Alexandra gusta ogni piatto con allegria, lasciandosi andare a gemiti ed esclamazioni di apprezzamento che minano seriamente il mio autocontrollo.
-Devo dedurre che questi piatti sono di tuo gradimento?- sogghigno.
-Assolutamente divini!- esclama lei.
-Bene, perché hai appena assaggiato il prossimo menù del The Mark!- commento soddisfatto.
-Vuoi dire che...-
-Voglio dire che questo cibo è il frutto del mio lavoro dei giorni scorsi, non l'avevo mai cucinato prima... Ed è tutto dedicato a te.-
La ragazzina sembra incapace di parlare ed io aggrotto la fronte: forse ho esagerato, forse non se la sente di condividere con me qualcosa di così grande... Quando poi la sento singhiozzare vorrei morire.
-Alexandra, perdonami, forse ho corso troppo...-
Alexandra si alza in piedi di scatto, facendo cadere a terra lo sgabello e procede freneticamente verso di me, incurante di sbattere contro gli oggetti. Si fionda tra le mia braccia aperte e mi stringe forte, seppellendo il viso nella mia camicia. Riempie il mio petto e il mio collo di baci, ridendo e piangendo insieme:
-E' bellissimo, tutto bellissimo. Tu, la cena, noi due... In questi ultimi giorni pensavo di non farcela, ma mi sbagliavo... Perché il mio posto è qui con te, adesso ne sono certa.-
Continuando a baciarla la prendo in braccio e la porto in camera, dove l'aspetta la seconda sorpresa della serata. Anche qui arriccia il naso:
-Niente petali di rosa e boxer firmati per te!- scherzo, anche se sono un po' nervoso -Ho pensato che avresti apprezzato altre cose...-
-Come le candele con cui hai disseminato la stanza?- ride, buttando indietro la testa.
-Non ti piace il profumo?-
-E' buono!- sghignazza lei -Ma rischia di diventare soffocante, apri un po' la finestra!-
-Eh no, dolcezza!- sussurro adagiandola sulle lenzuola -Non voglio che i vicini sentano i tuoi gemiti, stasera!-
-Jake!-
-Anche se forse una finestra chiusa non sarà sufficiente...-
Rido apertamente ormai, di fronte alla sua faccia scandalizzata.
Le accarezzo il corpo dolcemente, sfilandole in poche, abili mosse il vestito che ora è solo d'intralcio e scoprendo una pelle ambrata e un completo intimo che fa perdere un battito al mio cuore già esagitato.
-Pizzo!- mugolo togliendoglielo -Tu mi vuoi vedere morto!-
Alexandra ridacchia, ma si rannicchia su sé stessa.
-No, no!- esclamo serio, prendendole le braccia e portandole ai lati del suo volto -Niente imbarazzo tra di noi. Hai un corpo bellissimo, Alexandra, e io lo voglio ammirare.-
-Facile parlare, tu che sei ancora vestito!-
-Spogliami, allora!-
E con un luccichio beffardo negli occhi le porto le mani sul mio petto; Alexandra mi sbottona velocemente la camicia e scivola più in basso, ad aprirmi i pantaloni.
-Ok, adesso basta!- ansimo. Ma lei non si ferma, continuando a giocherellare con l'elastico dei boxer senza accennare a toglierli. Un ringhio frustrato esce dalla mia gola e decido che il gioco è durato anche troppo. Provo a portarla sotto di me ma Alexandra è veloce e sfuggente come un anguilla e in un attimo, senza capire come abbia fatto, è a cavalcioni su di me ed esplora il mio corpo, accarezzando ogni centimetro della mia pelle fino a farla fremere. Poi inizia a lasciare un'umida scia di baci sul mio petto... Sto per perdere il controllo e non voglio, perciò le prendo il viso tra le mani.
-Alexandra, no.- mormoro affannato -Te l'ho detto, voglio andarci piano con te. Non voglio perdere il controllo... Voglio che sia amore, non sesso.-
Mi sembra di vedere una lacrima brillare tra le sue ciglia, ma non potrei giurarci. Si distende docile sul letto e lascia che io la sovrasti.
-Sono pulita.- dice tranquilla, quando mi sente rovistare in uno dei cassetti.
-Sì, ma sono veramente al limite, dolcezza, potrei non fare in tempo a... Hai capito.- rispondo lasciandole un bacio sul naso ed infilandomi un preservativo. Poi la faccio mia veramente, completamente, scivolando dentro di lei con una dolcezza che non avrei mai creduto di possedere.
E i respiri strozzati che Alexandra esala sono il mio premio, il mio piacere, il mio tutto.
La accompagno all'orgasmo alternando spinte più leggere ad altre meno controllate e solo quando sono sicuro che lei è appagata e felice mi lascio andare, sussurrando estasiato il suo nome e crollando sfiancato accanto a lei.
-Non hai più l'età per queste cose!- esclama la mia ragazzina dopo un po', quando entrambi ci siamo ripresi da quest'incredibile esperienza.
-Ah sì!?- esclamo, offeso, attirandola sul mio bacino e costringendola ad avvertire il desiderio che provo per lei. -Mi credi così vecchio e decrepito? Ho solo sei anni più di te!-
Lei inclina il capo di lato e sorridendo si china a baciarmi. Sarà una lunga notte.
 
Al mio risveglio sento un corpo morbido e caldo premere contro di me e sorrido: finalmente sono stato a letto con la donna che amo e non con un surrogato. Solo Dio sa quanto mi sia costato, ogni volta che scopavo con Elizaveta ed immaginavo lei, non lasciarmi sfuggire il nome 'Alexandra' dalle labbra!
"Manca poco, Jake, veramente poco e poi sarà tua per sempre..." penso, accarezzandole i capelli color caramello. Il telefono di casa squilla e Alexandra apre gli occhi: anche se assonnata e provata dalla notte appena trascorsa ha comunque un suo fascino.
-Buongiorno!- mormora stirandosi come un gatto -Non vai a rispondere?-
-E lasciarti anche solo per un attimo? Mai!-
Ed è così che scatta la segreteria. Ed è così che il mio cuore accelera e poi si ferma di botto. Perché la voce tremante di Elizaveta, che risuona dal soggiorno e per tutta la casa, ha appena frantumato i miei sogni:
-Jake, sei in casa? Ti prego, chiamami. Sono incinta.-
 
 
Angolo Autrice:
Questo capitolo ce l'avevo già tutto in testa ma trovare il tempo per scriverlo - visto che è anche bello lungo - non è stato facile. Specialmente perché ho avuto alcuni tentennamenti sulla serata di Jake e Alexandra... Spero sia uscita bene e che il rating sia adatto, perché non sono molto pratica di queste cose! xD
Spero anche che non mi odierete per la conclusione, ma credo sia una speranza vana perché anche io ho odiato me stessa mentre la scrivevo! Come reagirà Alexandra? Questa è senza dubbio una bella gatta da pelare!
Per quanto riguarda il banner, che spero sia di vostro gradimento, da sinistra verso destra abbiamo:
Maya Dyab come Robin Ben Jellum
Kyle Harris come Tyler Sorrentino
Emilie de Ravin come Alexandra Sorrentino
Javier Bardem come Juan Martinez
Christina Hendricks come Elizaveta Hobbes
E sotto:
Alexander Skasgård come Evan Parker
Alex Pettyfer come Richard Hamilton
Garrett Hedlund come Jake Moore
Ryan Gosling come Adam Brooks
Jesse Eisenberg come Oliver Smith
 
Alla prossima (che non ho veramente idea di quando sarà, visto che mi trasferisco al mare senza wi-fi)
 
Crilu 

 

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Capitolo 13
*** Pollo in crosta ***


P.O.V. Jake
 
Chiudo gli occhi, convinto che sia solo un brutto sogno. Ma la voce insistente e crudele di Elizaveta è ancora lì.
-Jake? Ti prego, Jake, so che sei a casa, dannazione!-
E' in lacrime e io mi sento un bastardo. Sì, perché anche la donna al mio fianco d'improvviso si rianima, lasciandosi sfuggire un gemito strozzato. Muovendosi a scatti nervosi, Alexandra si sposta verso il bordo del letto e a tentoni cerca i suoi vestiti. Solo allora ho il coraggio di alzare lo sguardo verso di lei: il sole che entra dalla finestra rende i contorni del suo corpo luminosi e liquidi, come luce pura, accarezzando le sue forme. La sua pelle, per contrasto, sembra ancora più scura, passando da una chiara colorazione miele al tono cioccolato.
E' stupenda, e per una notte, una folle, magica notte, ho pensato che fosse mia. Ho creduto di meritarmi questa creatura fragile ed incerta che si aggira per la mia camera rivestendosi, senza emettere un suono. Il silenzio finalmente alleggia tra di noi, ed io non ho il coraggio di romperlo. Non saprei cosa dire. Scusa? Per cosa poi? Per essere stato così stupido da non riuscire a tenermela stretta?
Sfiorando la parete con il palmo della mano, Alexandra si dirige verso l'uscita.
-Alexandra. Fermati.-
Con un brivido, lei obbedisce, ma non si volta verso di me.
-Alexandra, ti prego, di' qualcosa!- balbetto e so che le lacrime che stanno rigando le mie guance si avvertono perfettamente nello spezzato tono di voce, ma non mi interessa. Non mi interessa di apparire debole, in questo momento, sia perché sono con lei, la donna con cui mi sono messo a nudo l'animo, e non solo il corpo, e sia perché effettivamente lo sono: la mia vita è stata sconvolta nel giro di pochi istanti e io la rivoglio come prima, sono troppo stanco e scombussolato per trovare una soluzione a quel disastro.
-Cosa dovrei dire?-
La voce della ragazza non è arrabbiata, né ferita, forse neanche triste. E' amarezza, quello che percepisco, amarezza, sconforto e una sorta di relativa tranquillità, che identifico immediatamente come rassegnazione. Ma certo, ha tentato una relazione con Jake Moore, non c'è nessuna sorpresa se tutto va a puttane!
-Dovrei farti una scenata? Darti del bastardo sfruttatore? Puoi non credermi, ma non penso niente di tutto ciò. O forse dovrei farti le congratulazioni? Stai per diventare padre, Jake, wow!-
-Io non ho idea...-
-Di come sia potuto accadere? Guarda, io ce l'ho bene in mente, purtroppo: riesco ad immaginarla in tutte le sfumature, e mi dispiace, ma la tua volontà rientra poco in questo contesto. Quel che è fatto è fatto. Dovevo ascoltare Robin, quando mi diceva di starti lontano...-
Ecco, appunto. Sento la rabbia montare in me: non certo contro di lei, ma contro me stesso semmai, per la mia idiozia.
-Tu non devi starmi lontano!- ruggisco, balzando in piedi e afferrandola per un braccio. -L'hai detto tu, il tuo posto è qui, con me!-
-Questo era prima!- ribatté lei, alzando il tono di voce. Sta respingendo le lacrime con tutte le sue forze, ma i suoi occhi sono comunque lucidi.
"La mia piccola ragazzina orgogliosa..."
-Non posso togliere il padre ad un bambino, Jake.-
-Non ho intenzione di abbandonare mio figlio per te! Possiamo trovare una soluzione, posso comunque essere presente nella sua vita e allo stesso tempo stare con te!-
-Ed Elizaveta?- sbotta, liberandosi dalla mia stretta -Non capisci? Quel bambino vi legherà per sempre, sarai unito a lei che tu lo voglia o no. E poi, come puoi pensare di non voler dare a tuo figlio una famiglia in grazia di Dio?-
-Tu sei la mia famiglia...- pigolo, avvicinando la mia fronte alla sua. -E' con te che voglio avere un bambino, un cane, una station-wagon. E' con te che voglio litigare, tutti i giorni della mia vita e... E dannazione non avrei mai creduto di poter dire una cosa del genere ma... Alexandra tu per me vieni prima di tutto, anche della cucina. Farei qualsiasi cosa per te.-
-Allora lasciami andare!- mormora lei con dolcezza, salendo a scompigliarmi i capelli un'ultima volta prima di dirigersi verso la porta di casa. Si gira un poco verso di me, prima di salire nell'ascensore. Sono ancora lì, nel mezzo del corridoio, con la porta aperta e solo i boxer a coprirmi; Alexandra non può vedermi, ma sa, come sa tutto ciò che le accade intorno, che io non mi sono mosso.
-Ti amo, Jake, e probabilmente non amerò mai più nessuno con la stessa intensità e la stessa passione con cui ho amato te. Ma forse non eravamo proprio destinati a poterlo vivere, questo amore. Ci vediamo agli studios...-
Scivola dentro, trattenendo il pianto; quando le porte di metallo si chiudono dietro di lei, mi piego in due e crollo sul pavimento. Vuoto, finito, esausto: ho il cuore a pezzi e, all'improvviso, anche un figlio e una donna che non amo di cui prendermi cura.
 
Appena vedo Elizaveta, invece di rispondere al suo timido sorriso, la strattono per un braccio fino in bagno.
-Come hai fatto a rimanere incinta?-
Lei strabuzza gli occhi e balbetta:
-Io.. Io...-
-Cazzo, Elizaveta, è una domanda molto semplice: abbiamo sempre usato precauzioni, come hai fatto a rimanere incinta?-
Lei scuote la testa:
-Non lo so!- esclama -E' stato all'incirca tre settimane fa, secondo il test...-
Tre settimane, tre settimane... No, merda, è vero, veniva già a letto con me!
"E' tuo, Jake: hai rovinato la tua vita con le tue stesse mani!"
No, mi correggo, è tutta colpa di un preservativo difettoso.
Elizaveta sospira:
-So che la notizia ti stupisce e che molto probabilmente sarai spaventato, ma ti chiedo di non lasciarmi sola adesso. Per favore, ho... Abbiamo bisogno di te.-
Sospiro, passandomi una mano tra i capelli. E' mia la responsabilità di tutto questo, dopo tutto.
-Non posso prometterti che diventeremo una famigliola felice...- borbotto -Perché io...-
"Amo un'altra. E' qui, in questi studios, ed è la donna più bella e creativa che abbia mai avuto la fortuna di incontrare."
-Io non ti amo, Eliza.- ammetto alla fine con franchezza -Non ti ho mai amato, ma ti stimo e ti rispetto. Io... Posso provarci.-
Elizaveta sorride e si sporge verso di me, impegnando le mie labbra in un lungo bacio.
-Per come sei fatto, basta e avanza. Avrò il tempo per farti innamorare di me.-
Sospiro nel vederla allontanare, cercando di tenere a bada l'irrefrenabile impulso di mettermi ad urlare, fino a confessare ogni cosa: il mio doppiogioco, il mio amore per Alexandra, la violenza di Smith... Tutto. Non faccio in tempo a calmarmi che Tyler Sorrentino mi travolge come una furia e mi colpisce con un pugno in pieno viso. L'impatto è talmente violento che barcollo, appoggiandomi al muro; quando ritorno in me vedo che la mano che ho portato alla faccia è rossa di sangue e un'alta voce di donna sta litigando con Sorrentino.
-Fermati, bestia che non sei altro!- sbraita Robin Ben Jelloum, che con la sua statura minuta si frappone tra me e il mio assalitore. I ricci, solitamente decentemente pettinati, ora le esplodono elettrici attorno al viso e i suoi occhi scuri sembrano poter mandare a fuoco qualsiasi cosa su cui si posino.
-Quell'uomo ha appena spezzato il cuore di mia sorella!- ruggisce il ragazzo con ira, ma non si azzarda a toccare la marocchina: si limita a muoversi nervosamente davanti a lei, come un leone separato dalla sua preda preferita da solide sbarre di ferro.
-Robin- chiamo, con tranquillità, facendola sussultare e girare di scatto. Non l'ho mai chiamata per nome.
-Robin, lascialo passare. Ha tutto il diritto di pestarmi a sangue. Nei suoi panni farei lo stesso.-
-Ma è completamente impazzito?-
Tyler solleva un sopracciglio, con un atteggiamento lievemente più calmo.
-Hai sentito il bastardo, tesoro? Lasciami finire quello che ho iniziato!-
-Zitto, e non ti azzardare mai più a chiamarmi tesoro!- ringhia la ragazza, puntando poi un dito verso di me.
-E lei non si lasci sopraffare dal rimorso, per la miseria! Se conosco un poco Alexandra, non accetterà nessuna soluzione se non quella che si è già prefissata: separare definitivamente le vostre vite! Ma lei ancora può, anzi, deve fare qualcosa per lei.-
-E sarebbe?- chiedo, con tono atono, mentre mi asciugo il sangue dal naso.
-Alex si è messa in testa di lasciare Chefs.-
Mi paralizzo, incredulo:
-Cosa!? Ma dopo tutto quello che ha passato... Ciò per cui ha lottato...-
-Esatto, Mr Mettiamo-incinta-la-ragazza-sbagliata, ed è tutta colpa tua!- ringhia Tyler con astio. Robin alza gli occhi al cielo quando il ragazzo prova a superarla per lanciarsi di nuovo contro di me. Il messaggio contenuto nello sguardo che mi lancia è chiaro: va' da lei, a questo ci penso io.
Mi giro solo una volta, nella mia corsa verso la cucina: nel mezzo del corridoio i due ragazzi sono avvinghiati in quella che sembrerebbe una lotta all'ultimo sangue. Ma le loro bocche sono unite e le lingue duellano con la stessa passione con cui le mani di entrambi graffiano la pelle dell'altro.
Intercetto Alexandra proprio mentre si sta dirigendo, con passo malfermo, verso Juan ed Elizaveta: per una sorta di miracolo riesco a trascinarla in un angolo nascosto senza farmi notare da nessuno.
-Cosa vuoi ancora, Jake?-
-Capire come possa esserti saltato in mente di abbandonare la sfida, Sorrentino.-
 
P.O.V. Alexandra
 
Lo sa. Jake lo sa, ed io ho in mente di strozzare Robin, non appena avrò finito qui. Arriccio improvvisamente il naso:
-C'è odore di sangue...-
-Tu fratello mi ha dato un pugno in faccia, niente di cui preoccuparsi. Non pensare di riuscire a cambiare discorso, stavamo parlando di tu che lasci il concorso!-
-Non c'è nulla di cui parlare, ho preso la mia decisione.-
-Non c'è problema, te la farò cambiare!-
-Ah sì?- sibilò, arrabbiata -Hai già infierito troppo su di me, Jake, non ti basta?-
-Lascia stare noi!- mormora. -Lascia stare tutto ciò che è successo.-
Di colpo la sua voce si è fatta bassa, roca, sensuale ed ipnotica. Potrei rimanere ad ascoltarlo parlare per ore.
-Tra noi due, sei tu quella che ha più diritto a stare qui. Io ti ho portato solo problemi, sono io che dovrei andarmene, per tutti i casini che ho combinato, io... Non posso tornare indietro, e dovrò convivere per tutta la vita con la certezza di aver perso una cosa così bella come il tuo amore. Ma tu non hai perso, Alexandra: tu hai tutte le carte in regola per vincere e hai la mia parola che il mio giudizio sarà più che imparziale. Sarò implacabile come prima, come sempre... Il tuo posto, più che al mio fianco, è in una cucina. In questa cucina, ragazzina.-
Ha il fiatone ed è evidente che quelle parole gli siano uscite a fatica:
-Mi stai dicendo che dovremmo far finta che non sia successo nulla? Cancellare tutto con un colpo di spugna?-
Lo sento sospirare pesantemente:
-Sì. Tra noi due, da questo momento in poi, non sarà successo nulla. Tu sei una concorrente, io il giudice. Sorrentino e Moore. Nulla di più.-
Quelle parole mi fanno rabbrividire: giudice e concorrente, nulla di più. Vorrei piangere, ma non mi abbasserò a tanto.
-Va bene, signor Moore. Non me ne andrò: concorrerò per il titolo e il premio.-
-Brava ragazzina...- La sua voce vibra di orgoglio e di felicità, ma quando provo ad andarmene mi trattiene. Ignora l'imbarazzo che è sceso su di me e d'improvviso mi attrae contro il suo petto.
-Jake, non puoi fare così...- ringhio, il viso premuto contro la sua camicia leggera. Posso sentire ogni muscolo del suo torace tendersi e tremare nell'abbraccio.
-Sshhh! Solo un'ultima cosa...- sussurra, con voce spezzata. Prende il mio volto tra le mani affusolate, lo alza e mi poggia un delicato e casto bacio sulla fronte. Poi, come se mi fossi sognata tutto, Jake è sparito, lasciando dietro di sé solo la scia del suo profumo.
 
Mancano pochi minuti all'inizio delle riprese e attorno a me tutti si muovono come formiche impazzite in questi attimi concitati. L'unico che nota la mia calma, avvicinandosi con discrezione, è Adam.
-Siamo pensierosi, stamattina.-
-Ciao, Adam. Sì, beh... Sai com'è, la vita non è sempre rose e fiori!-
-Temo che la tua vita, però, abbia appena subito un duro colpo!- commenta pacato, appoggiandosi al ripiano accanto a me. Sento le sue dita tamburellare nervose sugli avambracci.
-Senti, Alexandra, non ci girerò intorno: tu hai appena rotto con qualcuno, vero? Qualcuno che fino all'altra sera era molto importante per te, tanto da rinunciare ad un'uscita in compagnia per stare con lui!-
-Ma come...? Cosa..?- balbetto, confusa ed allarmata: sapevo che Adam Brooks era un ragazzo perspicace, che nascondeva sotto la timidezza una personalità frizzante ed un attento osservatore... Che abbia capito di me e Jake? Sarebbe un disastro. La risatina che si lascia sfuggire ha un che di amaro:
-Pensavi davvero che mi fossi bevuto la storiella della cena in famiglia? Andiamo, Alex, pensavo che la tua considerazione di me fosse un po' più alta! Non ho insistito perché ho capito che c'era qualcosa di strano, che volevi tenere nascosta a tutti questa relazione: le motivazioni sono tue, non mi devono interessare e sinceramente non voglio saperle... Quando sei arrivata qui, stamattina, ho subito intuito che le cose non erano andate come avevi sperato tu e Alexandra, credimi, mi dispiace: desidero solo vederti felice, davvero. Però una parte di me è anche molto contenta che con il tuo misterioso ragazzo sia finita.-
Le parole di Adam mi pungono come spilli: so dove vuole andare a parare, ma mi aggrappo ad una speranza sottile e mentre intorno a noi i cameraman gridano le ultime indicazioni trovo il coraggio di chiedere, con un filo di voce:
-Perché?-
-Ovvio, perché sono innamorato di te, Alexandra Jane. E anche se il tuo cuore adesso è in frantumi, ti aiuterò a raccattare i pezzi, uno ad uno; e quando sarà di nuovo integro, troverò anche il modo di farlo tornare a battere.-
Si allontana di botto, lasciandomi sola con la prova che devo affrontare: replicare il piatto di uno dei tre giudici, che poi lo giudicherà singolarmente. Il giudizio sarà decisivo ed insindacabile.
Finalmente, qualcuno lassù sembra ascoltare le mie preghiere: non mi tocca né Jake né Elizaveta, ma Juan Martinez. Per un lato, però, è imbarazzante: ho il fondato sospetto che lui sappia tutto e che, come Robin e Tyler, provi compassione per me.
Ma io mi sono stancata di essere compatita e di suscitare pietà: ne ho avuto abbastanza negli ultimi cinque anni. Credevo di poter essere amata, ma a quanto pare non era destino; adesso spero solo di poter essere giudicata per come cucino.
Juan è molto gentile, come al solito, e non trova nessun difetto nella realizzazione del suo pollo in crosta.
-Però...- mormora, quasi sovrappensiero -Manca qualcosa in questo piatto, Alexandra. Manca la tua solita creatività.-
Sollevo un sopracciglio, beffarda: non provo nulla, le sue velate allusioni non mi toccano.
-Mi dispiace, chef. Temevo di travisare quello che mi veniva richiesto, se avessi modificato la sua ricetta.-
Martinez sospira stancamente e in quello sbuffo è racchiuso tutto.
Alla fine, il verdetto è l'unica cosa che riesce a toccarmi nella mia immobilità emotiva: Richard è stato eliminato, insieme ad Evan. Entrambi sono caduti vittima del perfezionismo di Elizaveta.
"Un motivo in più per odiarla." penso, allontanandomi dagli studios.
 
 
Angolo Autrice:
In super ritardo e in super fretta, vi lascio con questo capitolo privo di revisione. Scusate xD
 
Crilu

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Capitolo 14
*** Il banchetto ***




P.O.V. Alexandra

Eccoci, ultimi concorrenti di questa stagione di Chefs: un percorso durato dieci settimane che mi sono sembrate lunghe una vita, e che mi hanno lasciato diverse cicatrici in più.
Oliver Smith, nelle ultime interviste, è sempre più spavaldo e sicuro di sé: so che mi considera la sua nemica personale, ma ha affermato con arroganza che adesso che Evan Parker è stato eliminato, lui non ha più nulla da temere.
Robin si lascia spesso andare all'isterismo, e solo litigare con Tyler sembra rilassarla: ecco, loro sì che riescono a farmi sorridere. Sono così buffi e insieme così dolci quando stanno insieme, perennemente indecisi se saltarsi addosso per strangolarsi o per fare l'amore. La loro vitalità è stato ciò a cui mi sono aggrappata per non pensare a lui. Evito di nominare il suo nome, quel nome che alla mia bocca era parso dolce come un frutto proibito mentre mi accompagnava in paradiso, anche nei miei pensieri: deve scomparire dalla mia vita e per fortuna, ben presto non sarò costretta a reprimere smorfie addolorate nel sentire la sua voce roca e fredda, o a respirare per sbaglio il suo profumo.
Adam. Più che un corteggiatore, lo definirei un predatore, sinuoso e pericoloso come una pantera. Sa bene come muoversi e la cosa mi lascia ogni giorno più stupita: sa quando risollevarmi il morale, quando può sfiorare la mia pelle e ricevere una risposta dal mio corpo intorpidito, sa anche quando deve allontanarsi da me. Ma nonostante i suoi sforzi, nonostante i miei, ciò che provo per lui è amicizia, unita ad una sottile carica di attrazione fisica che però non eguaglia neanche lontanamente ciò che provo per lui.
Ieri sera Robin mi ha chiamato e mi ha rivelato una cosa che mi ha lasciato perplessa e scombussolata: Adam vorrebbe partecipare al progetto per aprire un locale tutto nostro. Ben tre concorrenti di Chefs farebbero un bel rumore nell'ambiente, e la sua abilità è innegabile, però...
-Sta tranquilla!- ha esclamato la mia amica, e potevo percepire un timido sorriso nella sua voce -Si avvicinerà davvero a te solo quando tu lo vorrai, se lo vorrai. Fino ad allora, sarà un validissimo collaboratore e socio in affari, nonché amico... Non credi?-
E alla fine, come una stupida, avevo accettato. Certo, rimane il non indifferente problema dei fondi: ma forse con l'aiuto della vincita del concorso che secondo la probabilità finirà nelle mani di uno di noi tre, il nostro sogno non è poi così irraggiungibile.
 
E' la penultima sfida ed io sono insolitamente apatica, priva di qualsiasi emozione: devo ringraziare Jake per questo. Nonostante sia solo il preludio alla finale, in ogni stagione di Chefs la penultima sfida ha sempre creato agitazione e aspettativa: non è facile, infatti, sottoporre al giudizio di tre giudici un pasto completo.
"Tre antipasti, un primo, un secondo, un dolce. Facile, no?" penso beffarda. Abbiamo ben cinque ore di tempo, un'eternità che nella fase di montaggio sarà stata tagliata e modificata per mostrare solo le parti salienti.
Per prima cosa mi dedico al secondo, un arrosto di maiale con salsa d'arancia che mia nonna preparava sempre quando ero bambina: è uno dei miei assi nella manica, perché conosco alla perfezione i tempi di cottura della carne e ho inventato io stessa un modo infallibile per ottenere una crosta croccante e saporita.
Contemporaneamente inizio a preparare il primo. E' una tradizione consolidata che i giudici passeggino tra i banchi per controllare l'operato dei concorrenti, soprattutto in queste fasi finali del contest. Ero consapevole di questa cosa, ma il mio autocontrollo subisce un duro scossone quando davanti a me si ferma proprio Jake.
"Questo non me lo dovevi fare!" penso rabbiosa.
-Cos'è che stai cucinando, Sorrentino?-
La sua voce è vibrante e sofferta, oltre che incerta: sta recitando controvoglia le parti di un copione, è chiaro. Leggo tra le righe che ciò che vorrebbe dirmi è altro, ma evito di pensarci.
-Spaghetti alla carbonara.-
-Punti sulle tue origini- commenta, ora più interessato. Sono sicura che si sia sporto verso il guanciale che sfrigola nella padella che sto saltando -Come mai proprio questa ricetta in particolare?-
Mi fermo un attimo e trattengo il respiro, indecisa se dirglielo o meno. Alla fine butto fuori l'aria:
-E' il primo piatto che sono riuscita a cucinare dopo l'incidente agli occhi. Il primo tentativo in cui non ho rotto niente, né mi sono bruciata, né tagliata.-
Mi mordo le labbra, conscia di aver esagerato: non volevo rivelare al mondo intero le mie debolezze passate e né tantomeno volevo ricordarle a Jake. Lui sembra quasi pietrificato, non lo sento respirare né muoversi, almeno fino a quando il cameraman lo richiama con un colpo di tosse: allora mugugna qualcosa di incomprensibile e si allontana.
"Che casino" penso, nervosa ed agitata. Così agitata che lascio cadere per terra la ciotola con la crema di parmigiano che stavo preparando per uno degli antipasti. Sento Oliver, qualche banco dietro di me, trattenere una risata e stringo i denti, decisa ad arrivare fino in fondo.
-La cosa ti diverte, Smith?- ringhio, ricominciando subito da capo ciò che stavo facendo.
-Abbastanza, Sorrentino: mi dimostra che finalmente stai commettendo qualche passo falso e che questa è la volta buona in cui ti sbatteranno fuori!-
-Oppure sarà il tuo turno, chissà? Io ho tutto sotto controllo!-
La risata di Oliver esplode, cattiva e arrogante:
-Sì, credici! Sei cieca, hai presente? Non hai sotto controllo un bel niente!-
Lo sentii farsi più vicino, fino a quando sussurrò a pochi centimetri da me:
-Adesso che Moore si è disinteressato al suo giocattolino, come pensi di rimanere in gara?-
I rumori del contest si sono attutiti: riesco solo a sentire la sua voce bassa e il ritmo furioso con cui il mio cuore suggerisce di picchiarlo. E lo farei, gli spaccherei volentieri la faccia se la mano calda e ferma di Adam non mi fermasse:
-State dando spettacolo davanti alle telecamere, Alex.- sussurra, più o meno in contemporanea ad Elizaveta. Ma nella voce della donna mi sembra di cogliere una vena di soddisfazione e qualcosa mi dice che questa scena non verrà tagliata.
 
P.O.V. Jake
 
Sono di pessimo, pessimo umore. Stamattina Elizaveta mi ha chiamato alle quattro perché, a  suo dire, le nausee la stavano uccidendo e dovevo correre da lei e da nostro figlio. La cosa mi sembrava anche giusta, almeno fino a quando non ero arrivato a casa sua e l'avevo trovata con addosso una vestaglia semi trasparente e le nausee misteriosamente svanite. Mi ero sbattuto la porta di casa sua alle spalle, ma la giornata era appena cominciata.
Sono ore che le parole di Alexandra mi risuonano da una parte all'altra del cervello, rosicchiandolo e rendendolo un'inutile massa grigia ed informe. Questa prova è dura, sottopone a livelli di stress di un vero ristorante stellato e nonostante la sua caparbietà, non sono sicuro che la giovane italiana possa farcela.
-Il tempo è scaduto!- tuona Juan, ed io sento ogni muscolo del mio corpo irrigidirsi, pronto al martirio di questo giudizio. Sarò imparziale, devo esserlo: l'ho promesso a lei e a me stesso. Ma mai come in questo momento ho avvertito il desiderio di scappare da questi studios e dalla mia vita disastrata, neanche quando ero un ragazzino solo ed arrabbiato con il mondo.
Contro ogni mia previsione, il verdetto scorre abbastanza veloce: depenniamo subito Robin Ben Jelloum dalla finale, perché la fretta l'ha fatta confondere e ha combinato un mezzo disastro con la cottura dei piatti. Mi ero già reso conto di questo suo problema quando aveva rischiato l'eliminatoria, ma sono contento di sapere che è maturata a tal punto da arrivare alle semifinali.
Il banchetto di Alexandra ci lascia tutti a bocca aperta: è un tripudio di colori e profumi, un omaggio alla terra italiana e anche alla sua bravura di cuoca non vedente. Sento che il mio cuore di pietra si commuove davanti alla perizia e alla cura con cui ci illustra ogni piatto, spiegando dalla tradizione da cui è partita e cosa ha aggiunto con il suo estro: davanti a me ci sono una caprese frullata in un bicchiere, un canovaccio di saltimbocca aromatizzati al tartufo, involtini di prosciutto crudo e melanzane con crema di parmigiano, i sofferti spaghetti alla carbonara, un arrosto di maiale da cui si leva un profumo invitante e un pezzo di crostata.
-Mi sembra un dolce un po' povero per questa cucina, Alexandra.- commenta Elizaveta, squadrandola. Per il resto nessuno ha avuto da ridire, era tutto squisito; Sorrentino si limita ad alzare un angolo della bocca in una sorta di sorriso beffardo.
-Assaggiatelo!- ci sfida, compiaciuta. Al primo morso mi paralizzo e avverto l'impulso di sputare immediatamente la crostata nel piatto:
"Marmellata di pompelmo!" penso, mentre un conato di amarezza e bile mi blocca il respiro.
"Brava ragazzina, mi hai fregato!"
Ma non sono arrabbiato con lei. Piuttosto, sono compiaciuto: quella che sembrava una banale crostata alle arance si è rivelata un accostamento aspro e malinconico, perfetto per chiudere quella raccolta di ricordi.
-Quando ero piccola mia madre aveva un albero di pompelmi ed io li odiavo, perché in famiglia li mangiavano tutti e costringevano anche me, anche se quel frutto dal sapore aspro e pungente non mi piaceva. Fui contenta quando un fulmine spaccò in due quell'albero e costrinse mia madre a diminuire drasticamente il nostro consumo annuale di pompelmo. Perché allora ho deciso di fare una marmellata di pompelmo per una delle occasioni più importanti della vita? Semplice. Perché ho conosciuto una persona che mi ha fatto assaggiare la sua dolcezza nascosta e anche se viene poi stemperata dall'asprezza è... Un sapore indimenticabile.-
Le sue ultime parole sono dei sussurri e so, Dio se lo so, che non sta più parlando di quel maledetto frutto.
La scelta tra Brooks e Smith è più ardua, perché sono più o meno di pari livello: quando Elizaveta preme affinché Smith passi alle finali, capisco cosa c'è dietro.
-Te l'ha detto la regia, vero?- mormoro, apparentemente calmo. Hobbes si muove sulla sedia, a disagio:
-Beh, l'attrito tra quei due fa audience, lo sai anche tu, mentre da quello che ho capito Brooks è infatuato di Sorrentino, sarebbe una sfida insipida, capisci? La gente vuole scintille, vuole battaglie a colpi di pentole, vuole competizione!-
-La gente, già...- chiudo gli occhi, disgustato. "La gente."
La gente condanna la mia piccola, preziosa ragazzina a sfidare Oliver Smith, che la farebbe volentieri a pezzi, psicologicamente parlando.
-Jake...- La voce di Juan è un avvertimento, mi ammonisce di fermarmi finché sono in tempo... Ma io non ci riesco e con uno scatto rabbioso che fa cadere la sedia imbocco l'uscita.
-Jake! Torna qui!- squittisce Elizaveta spaesata e in imbarazzo, ma io mi voltò sulla porta giusto per ghiacciarla con un'occhiataccia.
-Fai quello che la gente ti dice di fare, Hobbes. Li hai lasciati sfidarsi senza accennare a rimproverare quello stronzo arrogante che ha dimostrato un'insensibilità indegna per un cuoco del suo livello! Ma se è la sfida che vuoi, sono sicuro che Smith e Sorrentino te ne daranno una devastante... Avrai quella ragazza sulla coscienza.-
In realtà, penso mentre torno a casa sfiorando il limite di velocità consentito, so perfettamente che sarà la mia coscienza a portare il peso della sofferenza di Alexandra.
 
Apro sconsolato lo sportello del frigorifero e un fortissimo senso di deja-vu mi attanaglia lo stomaco: davanti a me le bottiglie di birra mi chiamano suadenti e io non ho nessun motivo per ignorarle.
"E' stato un bel sogno, finché è durato." penso, sdraiandomi sul divano e cercando di farmi andare bene quella routine che fino a pochi mesi prima era tutta la mia vita.
Dopo la quarta bottiglia mi passo una mano sulla fronte a scompigliarmi i capelli, frustrato ed insoddisfatto: mi sento gli arti pesanti e la testa leggera, ma l'amarezza non accenna ad andarsene ed io avverto uno scoppio d'ira in arrivo.
Scaglio la bottiglia che ho in mano contro il muro, ma quasi non me ne accorgo: la stanza mi vortica freneticamente attorno e sento le pareti chiudersi sopra di me. Mi sento così piccolo e solo su questo divano... Così disperatamente bisognoso di aiuto e di una mano amica, come quando fui sbattuto fuori da casa mia. Vorrei poter sentire ancora la voce di mia madre che mi augura la buonanotte, o le sue mani che mi accarezzano i capelli; invece tutto ciò che risponde al mio rantolo di ubriaco è un silenzio triste.
A distogliermi dal mio delirio è il campanello di casa. In un momentaneo guizzo di speranza credo sia Alexandra, ma scuoto la testa con un sorriso amaro: la ragazzina non vuole più avere nulla a che fare con me.
Barcollando mi alzo in piedi, mentre quel suono acuto ed insistente mi martella la testa già di per sé confusa.
-Arrivo!- sbotto, al limite della pazienza. Chiunque sia, se non è questione di vita o di morte dovrà fare i conti con un Jake Moore infuriato.
"E se fosse Juan che viene a rendermi conto del mio comportamento di oggi? Peggio, se fosse Elizaveta con un'altra scusa per saltarmi addosso?"
Quelle ipotesi mi bloccano sul posto, fermo in mezzo al corridoio, indeciso. Non ho voglia di affrontare nessuno dei due e non sono nelle condizioni adatte per accettare una ramanzina; forse dovrei semplicemente lasciar suonare il campanello fino a quando non se ne andranno...
Come se mi avesse letto nel pensiero, la persona al di là della porta sostituì al campanello delle potenti manate sulla porta e una voce maschile sconosciuta tuonò:
-Signor Moore? Signor Moore, è in casa? La prego, mi apra, devo dirle una cosa importante.-
La sbornia sembra darmi tregua per qualche istante e con qualche briciolo di lucidità in più, ma sempre con scarso equilibrio mi trascino ad aprire la porta.
Davanti a me c'è un uomo di qualche anno più di me: il viso accuratamente rasato gli da un'aria da ragazzino, ma gli occhi sono seri e attorno ad essi si iniziano a notare delle leggere rughe.
Mi prendo del tempo per osservarlo bene: è di stazza robusta, con due spalle larghe che coprono per interno l'apertura del mio portone di casa e sembrerebbe molto magro, sebbene il suo abbigliamento, totalmente nero, lascia intuire poco della sua corporatura; i capelli ramati sono lasciati più lunghi di quanto un uomo rispettabile che va per i quaranta potrebbe portare. I bracciali in pelle borchiata, i tatuaggi sulle braccia e i numerosi anelli che porta alle dita mi confermano che si tratta di un personaggio fuori dal comune. Mi appoggio allo stipite della porta:
-Mi dispiace, non mi sembra di conoscerti. Ma sono ubriaco, quindi è possibile che ci siamo già incontrati. Sei forse un aiutante cuoco?-
Lo sconosciuto sorrise, facendo brillare gli occhi verdi:
-Direi proprio di no, amico. Il mio nome è Micheal Collins e sono un chitarrista.-
-Ah. E cosa ci fai qui, Micheal Collins?-
Micheal sposta il peso da una gamba all'altra, evidentemente a disagio:
-Devo dirti una cosa, amico, e temo che non ti piacerà.-
 
 
Angolo Autrice:
Sì, lo so, è una vita che non aggiorno. Sì, lo so, è un capitolo cortissimo e forse anche bruttarello, ma è il meglio che sono riuscita a tirare fuori. Comunque siamo in dirittura d'arrivo e la comparsa di Micheal comporterà una svolta decisiva alla storia... Cosa avrà da dire a Jake di tanto importante?
Se ci siete ancora dopo un mese di silenzio, recensite... Anche solo per strigliarmi per la prolungata assenza xD
 
Crilu  

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Capitolo 15
*** Pane e formaggio ***




P.O.V. Jake
 
Faccio accomodare Micheal sul divano dove fino a qualche minuto fa ero abbandonato io e gli offro una bottiglia di birra che accetta volentieri. Ne stappo un'altra anche per me, ho come l'impressione che la lucidità mi potrebbe essere d'impiccio stavolta. Fuori dalla finestra il sole mattutino regala a New York la sua prima vera giornata di primavera.
"Cazzo, devo aver dormito per tutta la notte sul divano senza neanche rendermene conto. Mi devo sbrigare o farò tardi per la finale."
-Allora, Micheal, qual è la questione di vita o di morte che potrebbe non piacermi ma che devi assolutamente rivelarmi?-
L'uomo sospira e si rigira gli anelli che ha sulle dita:
-Chiamami Mike, amico, il mio nome mi fa sentire vecchio.-
-Va bene, Mike, ti ascolto.-
-Come ti ho già detto, sono un chitarrista e all'incirca due mesi fa ho suonato col mio gruppo ad una cena di beneficenza... Era il ristorante di una tua conoscenza stretta, Elizaveta Hobbes.-
Al suono di quel nome mi riscuoto e mi raddrizzo sulla poltrona.
-Vai avanti!- lo sprono, ma Mike sembra improvvisamente reticente. E' pallido quando alla fine sbotta:
-Senti, amico, io non avevo idea che fosse impegnata con te, ok? Non me l'aveva detto, altrimenti ti giuro che mai, mai ci sarei andato a letto.-
Balzo in piedi, improvvisamente eccitato, ed inizio a passeggiare per la stanza:
-Due mesi...- mormoro -Due mesi... I conti tornano.-
-Ecco, appunto.- borbotta Collins afflitto -Dopo due giorni di... Ehm... Intensa frequentazione io sono ripartito per una tournée e non l'ho più sentita. Non sono il tipo da legarmi a qualcuna in pianta stabile, non so se mi spiego...-
-Fin troppo bene!- ridacchio e il mio buonumore rende il mio ospite perplesso, ma continua col suo racconto:
-Qualche giorno fa ho letto su un tabloid la notizia della gravidanza di Elizaveta. Nessuno sembrava mettere in dubbio che il bambino fosse tuo, amico, ma sai, ho fatto anch'io i miei conti e ho pensato che... Forse...-
-Tu non sai quanto mi hai reso felice!- esclamo, interrompendolo e stringendogli la mano con fin troppa forza. Adesso Mike è sbigottito e mi sento in dovere di spiegargli per sommi capi la situazione:
-Io non amo Elizaveta, anzi, negli ultimi tempi sono arrivato a detestarla. Non fraintendermi, è una grande donna e una grandissima professionista, ma... La donna per me è un'altra e la storia del bambino potrebbe aver mandato tutto all'aria!-
-Quindi.. Non sei arrabbiato?- balbetta ancora il chitarrista, con un mezzo sorriso sul volto. Evidentemente si aspettava una sfuriata epocale e probabilmente anche una bella scazzottata.
-Certo che no! Mi hai appena semplificato la vita! Senti, io devo scappare e fare delle telefonate!-
Lo trascino con me fuori di casa, mentre afferro al volo le chiavi della moto. Il casco dev'essere rimasto in cucina, ma non me ne preoccupo, sono già fuori dal palazzo.
-Non vuoi fare il test del Dna, per essere sicuro?- chiede ancora Mike. Io gli poggio fraternamente una mano sulla spalla.
-Amico, quella creatura è tutta tua, le possibilità che sia mia sono molto, molto lontane. Ci vediamo al battesimo! E' stato bello conoscerti!-
Lo lascio lì fermo in mezzo alla strada come un idiota, ma mentre parto posso leggere l'esultanza nei suoi occhi. Sembra un bravo ragazzo, oltre l'apparenza, Elizaveta starà bene con lui.
"Elizaveta, già".
La chiamo e risponde subito, infuriata:
-Dove sei, Jake? Qui stiamo tutti aspettando te!-
-Annulla tutto. Devo parlarti. Tra poco, al parco, vedi di non farmi aspettare.-
-Cosa? Tu sei pazzo! Vieni immediatamente qui!-
-So tutto, Eliza. So di Mike e so che il bambino non è mio.-
Dall'altra parte mi risponde solo il silenzio, poi la linea telefonica interrotta.
Non me la prendo più di tanto, so che farà come le ho detto. Infatti, una volta arrivato al parco, non devo aspettare molto per vedere accostare la sua elegante macchina grigia. Elizaveta scende, rabbrividendo per il freddo e stringendosi addosso il piumino leggero; quando si avvicina, mi accorgo che ha pianto.
In questo momento più che mai mi rendo conto che Alexandra mi ha reso una persona diversa: il vecchio Jake si sarebbe incazzato da morire e l'avrebbe rovinata davanti al mondo intero, ma adesso non provo altro che un immenso sollievo e un po' di tenerezza per una donna tanto disperata.
"Tanto innamorata." mi corregge una voce nella mia mente. Hobbes si avvicina titubante, forse ha paura della mia reazione, ma io mi costringo anche ad aprire le labbra in un sorriso forzato.
-Non ti mangio mica, Hobbes.-
Lei sussulta e so perché. Sono le stesse parole che le ho detto la sera in cui siamo andati a letto insieme per la prima volta: solo che allora erano le parole maliziose di un dongiovanni, adesso, invece, solo il saluto di un vecchio amico.
 -Non ti chiederò perché l'hai fatto, Elizaveta, mi è abbastanza chiaro il motivo. Solo, vorrei che riflettessi sul fatto che stavi per costringere un bambino a crescere senza un padre...-
-L'avrebbe avuto, un padre.- pigola lei, tirando su col naso -Saresti stato tu, e sarebbe stato tutto perfetto... Come hai fatto a scoprirlo?-
-Micheal Collins ed io abbiamo avuto un'interessante chiacchierata stamattina.-
Elizaveta scoppia a ridere, ma è una risata vuota, che sa di sconfitta. Le accarezzo la guancia con due dita:
-Mi sta simpatico quel musicista, sai? Era pronto a supplicarmi di non riconoscere il bambino e a prendersi a botte con me pur di avere anche solo una piccola chance con te. Dovresti dargliela, Eliza.-
-Sai perché ci sono andata a letto?- chiede, fissando un punto imprecisato alle mie spalle -Perché la mattina avevo visto te rincorrere Sorrentino. So che sei a conoscenza di ciò che mi ha detto Smith. Beh, credo che nelle sue parole ci fosse un fondo di verità, anche se non credo che tu ci sia andato a letto... No, non sei stronzo fino a quel punto.-
-Già..- bisbiglio, a disagio.
-Mike era così gentile, e mi faceva ridere. Poi è sparito, come volevasi dimostrare... Come fanno tutti, come hai fatto anche tu tante volte. E quando ho scoperto di essere incinta, io... Ho perso la testa.-
Scoppia a piangere ed io, istintivamente, l'abbraccio. E' una cosa dolce che sorprende me per primo, che tanto detesto il contatto fisico non necessario. Elizaveta alza il viso verso di me proprio mentre io mi abbasso a guardarla e le nostre labbra si sfiorano qualche istante in più del dovuto. Mi allontano di scatto, appoggiandomi alla moto:
-Sai che era un bacio d'addio, vero?-
Le lacrime sul viso di Elizaveta non accennano a fermarsi:
-Volevo tanto che fossi tu...- singhiozza, poi, senza aggiungere altro, corre verso la macchina. Io sospiro: finalmente la parte più difficile è superata.
"O forse no."
Già, mi rimane Alexandra e non so se riuscirà a perdonarmi, anche se in fondo, alla fine, non ho fatto niente di male. Beh, più o meno. Comunque decido di non perdermi in altri rimuginii ed ingrano, diretto agli Studios, sperando che Juan abbia letto il mio messaggio e l'abbia trattenuta lì.
 
P.O.V. Alexandra
 
Emetto un sospiro esasperato e avverto la mole di Juan Martinez agitarsi sulla sedia, a disagio. C'è qualcosa di strano nell'aria e anche se il corpulento giudice non mi ha voluto rivelare nulla, limitandosi a trattenermi negli studios quasi contro la mia volontà, so che c'entra Jake. Dopotutto, Elizaveta è scoppiata in lacrime all'improvviso e ha sospeso le riprese, adducendo le nausee dell'ormai nota gravidanza. Stringo di riflesso i pugni, mentre una nuova ondata di gelosia, rabbia e dolore pervade il mio corpo: quell'attesa snervante, senza le chiacchiere dei miei amici a distrarmi, si sta facendo insopportabile. All'improvviso lo squillo del cellulare di Martinez rompe il silenzio impacciato che si è creato tra noi dopo le mie ultime proteste.
Lo sento irrigidirsi:
-Alexandra!- balbetta, affannato.
-Cosa c'è ancora?- sbuffo, incrociando le braccia al petto.
-Jake. Incidente in moto. Ospedale.-
La notizia in stile telegramma mi inchioda sul posto: non sono capace di muovere un muscolo, troppo impegnata a tentare di afferrare il terribile concetto espresso da quelle parole.
-Incidente?- ripeto, inebetita, mentre il trauma che ho subito cinque anni fa si fa strada nella mia mente, fino a chiudermi la gola in una morsa d'angoscia. Sento Juan tirarmi per un braccio fuori dall'edificio.
-Forza, muoviti, non c'è tempo da perdere!-
Lascio che sia lui a caricarmi in macchina e ad avvertire tutti gli altri: io mi limito ad accasciarmi sul sedile, col cuore che batte all'impazzata al pensiero che forse non potrò mai sapere cosa Jake aveva da dirmi.
 
Freddo, odore di plastica sterile e di medicinali: entrare di nuovo in ospedale porta a galla ricordi e sensazioni che speravo di non sperimentare mai più. Ma è tutto ovattato e distorto: mi faccio trascinare da Juan che urla e sbraita contro i medici, mi importa solo di giungere da lui.
Jake è in rianimazione, mi dicono, non posso avvicinarmi: non posso stringerlo, fargli capire che nonostante tutto ci sono, sono con lui... Perché lontana da lui non vivo.
"Senza di te, non vivo!" penso, assaporando di nuovo il gusto amaro delle lacrime. Attorno a me sento voci conosciute: Robin, Richard, Adam e anche Tyler che sono arrivati non appena li ho chiamati, la famiglia di Martinez, alcuni membri dello staff di Chefs ed infine, quando ormai non credevo sarebbe più arrivata, anche Elizaveta fa il suo ingresso nella sala d'aspetto. Ma non è sola. Ed apprendo così, dalla bocca della mia rivale che parla con i giornalisti accorsi come avvoltoi sulla carcassa, che Jake non è il padre del bambino. La creatura che Hobbes porta in grembo è il frutto di una breve relazione col musicista che l'ha seguita fin qui.
"Ecco cosa volevi dirmi!" penso, ma continuo a non rispondere ai richiami dei miei amici e di mio fratello. Sono qui, ma allo stesso tempo non ci sono. Conosco bene questa sensazione: è lo stesso senso di estraniamento totale che ho provato quando ho capito che ero diventata cieca, senza possibilità di guarigione. Ho urlato fino a perdere la voce, ho pianto, mi sono graffiata la faccia e il collo fino a sanguinare, fino a spezzarmi le unghie... E poi niente, poi è subentrato l'oblio. Non parlai per settimane, poi la vicinanza della mia famiglia, che non si era mai arresa, mi aveva tirato fuori dalla prigione che mi ero costruita da sola.
Chiudermi fuori dal mondo per me è facile, adesso è anche una tentazione fin troppo vicina: cosa mi è rimasto? Il concorso? Non ho più motivazioni per cercare di vincere. Ero arrivata ad un passo dalla mia felicità senza neanche saperlo, e adesso mi è stata strappata via senza che potessi fare niente: mi sento una marionetta nelle mani di un burattinaio sconosciuto e crudele, che ha giocato con la mia vita e con quella di Jake fino a farci arrivare qui, separati da un semplice vetro eppure così distanti...
Non rimpiango niente di ciò che ho fatto per lui, non mi sono rimangiata neanche una parola di ciò che gli ho detto, ma mi pento di non avergli dato ascolto: se mi fossi fidata delle sue parole, se l'avessi convinto a richiedere un test di paternità, invece di prendere per vera la versione di Elizaveta...
Ecco, dovrei essere arrabbiata con lei, ma la mia apatia spegne anche la rabbia: c'è solo Jake, nella mia mente, e i ricordi che abbiamo condiviso. So già che, se non uscisse da quella sala operatoria in cui l'hanno portato non so quante ore fa - ma da quanto sono qui?- io mi perderò nella mia testa e nessuno, questa volta, riuscirà a portarmi indietro.
 
Chiusa nel mio bozzolo non sento il tempo che passa: quando una mano gentile mi tocca sulla spalla per riscuotermi potrebbero essere passate ore o una manciata di respiri.
-Alex?- sussurra balbettando Robin –Alex, si è svegliato…-
Sbarro gli occhi ciechi in una reazione istintiva: scatto in piedi, barcollo, serro i pugni contro il muro per non cadere a terra. Mi sento improvvisamente attiva e leggera come se il sangue avesse ripreso a scorrere nelle mie vene a velocità aumentata.
A tentoni, rifiutando rabbiosamente l’aiuto di chiunque mi si avvicini, mi dirigo verso la stanza di Jake: i rumori sono flebili sotto il rombo del mio cuore, ma so che ho urtato qualcosa fermo nel corridoio e mi sono ferita, sento il sangue scorrere caldo lungo le dita. Non mi fermo, ovviamente, e riesco finalmente ad arrivare davanti al letto di Jake.
-Cosa hai combinato, Alexandra?- chiede. La voce è flebile, ma anche così riesco a percepire la sua preoccupazione. E con mia somma frustrazione scoppio a piangere in modo incontrollabile: io, che detesto mostrare ciò che provo al mondo esterno, che mi ero convinta di poter superare tutto senza cedimenti… La mano di Jake si muove lentamente sulle lenzuola fino ad aggrapparsi al mio braccio.
-Ti sei ferita tutte le mani, sbandando come un elefante infuriato nel corridoio!- ridacchia, poi il suo tono si fa più serio:
-Non piangere, Alexandra, davvero: sto bene. Anzi, devo dirti una cosa…-
-Lo so.- sbotto tra i singhiozzi -So tutto, del bambino, di Elizaveta… Oddio, Jake avrei dovuto crederti e tutto questo non sarebbe successo! E’ colpa mia se sei in queste condizioni…-
Lo sento sbuffare, segno che il vecchio Jake Moore sta tornando in superficie:
-Ragazzina, a volte sei veramente stupida! Come fai a pensare che sia colpa tua? Non potevi certo sapere che Hobbes aveva deciso di incastrarmi, la tua reazione è stata del tutto normale! Dovremmo ringraziare Micheal Collins per la sua improvvisa smania di paternità, piuttosto! E per quanto riguarda le mie condizioni… Non sono poi così gravi come sembrano. Certo, starò fermo per un po’…-
I miei tremiti si calmano e sapendo che non c’è nessuno oltre a noi in quella stanza (ma anche se così non fosse stato, l’avrei fatto lo stesso) scivolai su di lui, assaporando a fondo la sensazione del suo corpo stretto contro il mio e beandomi delle sue mani che mi accarezzavano le guance, pulendole dalle lacrime.
-Che ne sarà di noi? E del concorso?- pigolo, rannicchiandomi di più contro il calore che emana, nonostante sia riemerso da poco dal coma. Jake grugnisce di dolore mentre si sistema meglio sul letto:
-Non ne ho idea. So solo che ho intenzione di ritirarmi dal mio ruolo di giudice prima che la nostra storia diventi di dominio pubblico…-
-Ma non è giusto! Sono io che dovrei andarmene, non tu!-
-Alex, non iniziare: questa è l’occasione della tua vita, non sarò certo io a rovinartela!-
-Quando tutti sapranno di noi, la tua presenza lì sarà ininfluente, mio caro, lo sai… Ma non me ne frega.-
Lo sento inspirare bruscamente:
-Cosa?-
-Non mi importa di vincere. Non più. Volevo dimostrare a tutti di essere capace, forte ed indipendente… E l’ho fatto, fino ad un certo punto. Ma poi ho capito che seppur indipendente non voglio essere sola: voglio stare con te, Jake, anche se fossimo solo noi due contro il mondo. Come se io fossi il pane e tu il formaggio-
Non so come mi sia uscita questa frase, legata al ricordo di mia nonna, ma a Jake sembra piacere.
Le labbra dell’uomo si posano dolcemente sulla mia fronte:
-E sia, allora, formaggino.-
Gli mollo un leggero schiaffo sul mento non rasato:
-Non ti azzardare mai più a chiamarmi in quel modo idiota! Non ti ho dato il permesso di prendermi…-
Jake ride ed interrompe la mia frase con un bacio: oh sì, signori, nessun contest televisivo varrà mai tutto questo.
 
 
Angolo Autrice:
Sì, lo so che non è la finale del contest che vi sareste aspettati, ma tranquilli che non finisce certo così! Ho in programma di scrivere un bell’epilogo… Mi scuso se il capitolo è più corto degli altri, purtroppo mi manca l’ispirazione per scrivere questa storia e non sono riuscita a fare di meglio :(
 
Crilu 
 

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Capitolo 16
*** Epilogo ***




P.O.V. Alexandra
 
Tamburello con le dita sul ripiano in lucido acciaio del lavello della mia cucina, lasciandomi cullare dai familiari rumori che la invadono prima che le porte del ristorante si aprano. Abbiamo aperto il Sunshine da pochi mesi, ma mi sembra che la mia vita sia sempre stata qui dentro: è come un rifugio caldo e protettivo, il mio posto nel mondo. Jake ha pensato a tutto per facilitarmi il lavoro, dal forno dotato di sensori per evitare bruciature ai pavimenti antiscivolo: l’unica cosa che mi ha tassativamente proibito di fare è affettare gli ingredienti ed io ho acconsentito (sbuffando).
Mi passa accanto, dandomi un buffetto sulla guancia:
-Allora, ragazzina, battiamo la fiacca? Se continui di questo passo ti licenzio!-
-Prima o poi sarò io a licenziare te, caro socio!- ridacchio, mettendomi all’opera.
Il Sunshine è diventato uno dei ristoranti più rinomati di New York in pochissimo tempo, grazie anche alla presenza di Jake, ed io qualche volta fatico ad abituarmi ai severi ritmi che questa vita mi impone.
Robin chiude al volo la telefonata con Tyler: stavano litigando, ma la sento ridacchiare mentre si lava le mani. La loro relazione è fatta così, tra alti e bassi sembrano più uniti che mai. Richard ed Evan, invece, sono molto più discreti, nessuno sospetterebbe di loro: Jake si lamenta in continuazione di Peters e della sua arroganza e i due finiscono spesso per litigare, ma sotto sotto so che il mio ragazzo apprezza Evan e la sua perizia in cucina.
L’unico a mancare è Adam, ma preferisco non pensare  a lui, altrimenti un nodo alla gola mi rende difficile respirare: ha incassato la sconfitta, ma ne è stato profondamente deluso, tanto da cambiare Stato. Non penso che lo rivedrò, le sue ultime parole nei miei confronti sono state piuttosto dure:
-Ti credevo una persona diversa e Jake Moore…- mormorò, prima di voltarmi le spalle e uscire dal Sunshine ancora in allestimento -Non è la persona adatta a te.-
 
P.O.V. Jake
 
A volte mi viene in mente che Brooks potesse aver ragione sul fatto che io non sono l’uomo più giusto per Alexandra. Ho passato talmente tanto tempo concentrato esclusivamente su me stesso e sui miei piatti che adesso collaborare alla pari con altre persone mi risulta difficile, anche se è per la sua felicità; per non parlare poi di quanto sia inesperto per aiutarla nel suo handicap.
Quando ho incontrato il padre e l’altro fratello della ragazzina, Daniel, questi mi hanno squadrato dall’alto in basso e poi il signor Sorrentino ha commentato, pacatamente:
-Non ce la farà mai. Non mi sembra il tipo.-
E se Dan si è sciolto con un paio di birre, il mio futuro suocero è più gelido che mai. La madre di Alexandra, invece, si è dimostrata più socievole e mi ha istruito su quali medicine deve prendere contro l’emicrania, come infilare il guinzaglio speciale di Abigail, come aiutarla negli spazi che non conosce… Incredibile ma vero, questa nuova e complicata realtà mi piace da matti!
Non pensavo che avrei mai avuto un mio ristorante: un locale del genere significa solidità, sicurezza, stabilità. Tutte cose che non hanno mai fatto parte della mia vita, almeno fino a quando non è arrivata Alexandra a scuotermi e a risvegliarmi dal mio torpore: adesso il Sunshine è la base e insieme il frutto del nostro legame e grazie anche alla mia fama sta avendo un ottimo successo. Ma so che per questo risultato devo ringraziare anche la preparatissima squadra che la ragazzina sa mantenere insieme: garantiamo un servizio efficiente non solo perché siamo tutti degli Chefs con la c maiuscola, ma anche e soprattutto perché sappiamo lavorare in armonia, facendo fronte ai disguidi più disparati senza perdere un colpo.
Non ho una grande esperienza in questo campo, ma mi sembra quasi… Una famiglia.
 
P.O.V. Alexandra
 
L’incidente di Jake, che gli ha lasciato una brutta cicatrice alla base del collo, ha fatto inevitabilmente scalpore; quando poi la nostra relazione è venuta alla luce, contemporaneamente al mio ritiro dal concorso e all’annuncio shock di Elizaveta Hobbes, i tabloid si sono sbizzarriti su di noi per settimane.
Quest’ultima edizione di Chefs è stata annullata e a giudicare dalle reazioni negative del pubblico, non credo che ce ne saranno altre. Impasto con forza uova e farina per preparare una focaccia alla base di uno dei nostri antipasti: è da questa morbida massa che è iniziato tutto e ancora fatico a credere che la ragazzina fragile e desiderosa di mostrare al mondo quanto valeva sia arrivata così lontano.
Quando mi sono iscritta al contest, vincerlo era il mio unico obiettivo, era diventata quasi un’ossessione: avevo studiato per mesi non solo numerosi ricettari, ma anche le puntate delle passate stagioni, fino a convincermi di potercela fare, nonostante tutto e tutti. Mi sembrava la mia rivincita nei confronti della vita che mi aveva privato della vista: non aspiravo a nient’altro, convinta che non avrei mai potuto avere una vita normale fuori dalle pareti di casa mia.
Invece…
Sento la mano calda di Jake accarezzarmi la guancia e spazzolare via una striscia di farina con una risata sommessa:
-Non hai niente di meglio da fare che bighellonare per la cucina e molestare le povere cuoche?- lo rimprovero bonariamente.
-A mia discolpa, posso dire che la vittima delle mie molestie sei solo tu e che per il momento la cucina funziona benissimo!- ridacchia. Mi piace moltissimo questo nuovo Jake, più spensierato, aperto e deciso a godersi la vita; contemporaneamente, però, è anche maturato tanto, ha imparato (come me) a smussare quei lati del suo carattere che gli rendevano difficile convivere serenamente con gli altri.
-Stavo riflettendo…- continua poi, con fare più serio e pensoso, allacciandomi le braccia attorno alla vita e poggiando la testa nell’incavo della mia spalla: il suo profumo mi da’ alla testa ancora adesso che lo sento attorno a me ventiquattr’ore su ventiquattro.
-Su cosa?- chiedo, interrompendo il mio lavoro. Dal tono della sua voce, infatti, ho capito che Jake ha in mente qualcosa di importante e questo basta a fargli ottenere tutta la mia attenzione.
 
P.O.V. Jake
 
Faccio un respiro profondo, improvvisamente a corto di parole. Tutto il discorso che mi ero preparato va in fumo ed io mi ritrovo a boccheggiare, mentre Alexandra aggrotta la fronte perplessa:
 -Jake… Tutto bene? C’è qualcosa che non va?-
-No, niente, è solo che…-
-Mmm?-
-Io… Tu… Noi…-
“Fai pena, Moore!”
-Jake, mi fai preoccupare così!- sbotta la ragazzina, voltandosi verso di me e poggiandosi a braccia incrociate contro il ripiano su cui è adagiato l’impasto della focaccia. E’ così bella e naturale in quello spazio che sembra essere stato creato apposta per lei, che esclamo d’istinto:
-Sposami.-
Non volevo dirlo così, lo giuro. Volevo parlarle di quanto mi abbia cambiato la vita, di quanto sia diventata importante per me, di come abbia ridato un senso alla mia esistenza. Ma ormai è andata e a pensarci bene Alexandra Jane Sorrentino non ha bisogno di tante parole: spesso avverte ciò che gli altri le vogliono comunicare prima ancora che aprano bocca.
La ragazzina mi fissa scioccata, gli occhioni ciechi spalancati e la bocca socchiusa:
-Sei serio?- chiede poi, con voce tremolante. Inizio a parlare velocemente, nervoso e sopraffatto dall’emozione:
-Mai stato più serio in vita mia. Ascoltami, Alexandra, io voglio costruire il mio futuro con te e so che lo stiamo già facendo con questo ristorante; so che non è neanche il momento e il luogo più romantico per chiedertelo ma questa è la nostra vita, siamo nati per essere qui! Voglio sposarti, ragazzina, e avere dei bambini pestiferi che ci tengono svegli la notte e litigare perché a volte affetti il cibo di nascosto – so che lo fai! Voglio svegliarmi con te ogni mattina e crollare al tuo fianco ogni notte, dopo una serata faticosa. Voglio…-
-Sì!-
-Ah bene!- sospiro, sollevato -Sappi però che nonostante l’agitazione avevo ancora due minuti buoni di discorso!-
-Apprezzo lo sforzo!- ride Alexandra, trattenendo le lacrime di gioia. E d’improvviso mi rendo conto delle congratulazioni e degli applausi che sono scoppiati attorno a noi: tutta la cucina, camerieri compresi, si è fermata per assistere alla mia dichiarazione.
Stringo al petto Alexandra che non riesce a smettere di ridere (o di piangere?) ed osservo quei ripiani di lucido acciaio pieni di cibo e di piatti, i nostri amici e colleghi con le divise già sporche di salse ed inspiro quell’odore delizioso che da qualche tempo a questa parte ho imparato ad associare ad un gusto preciso: la felicità.
 
 
 
Angolo Autrice:
Ci siamo, finalmente! Anche questa storia è finita, anche se non nel modo in cui avevo immaginato quando avevo iniziato a scriverla: proprio quando dovevo narrare della durissima (e banalissima) sfida tra Oliver ed Alexandra mi sono resa conto che inserirla non avrebbe avuto senso. La ragazzina ha ottenuto molto di più di un semplice premio, e anche Moore se l’è cavata bene… Ringrazio moltissimo tutti coloro che hanno inserito ‘Chefs’ tra le seguite/preferite, chi l’ha letta silenziosamente e soprattutto chi ha recensito! Perciò un grazie speciale va a MusicHeart, a Minelli, a Batteriascarica, a MissF, a marika_3, a Ciniza e a ParoleDiGhiaccio: le vostre opinioni mi hanno fatto davvero piacere! <3
Non l’ho pubblicata nel genere Romantico perché è di ambientazione storica, ma se vi va passate a dare un’occhiata a Julie e Richard di ‘The lost Paradise’ ;)
Alla prossima
 
Crilu  

 

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