Favole del Regno di Mame

di HellWill
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Costellazione dello Sparviero o della Freccia Incoccata ***
Capitolo 2: *** Costellazione della Lira o dello Scudo ***
Capitolo 3: *** Costellazione della Rosa e delle Tre Donne ***
Capitolo 4: *** Joèk-Nobui e la corona d'oro ***



Capitolo 1
*** Costellazione dello Sparviero o della Freccia Incoccata ***


Immagine della Costellazione dello Sparviero o della Freccia Incoccata
























































Vola via,
Sparviero Curioso

Dicono che, un giorno, un giovane di onesta famiglia contadina, volesse partire a tutti i costi per cercar fortuna altrove.
“Qui non mi sentirò mai a mio agio!” diceva, sbuffando, e il padre vedovo sospirava: come poteva mai dire addio al suo unico figlio rimasto, il più giovane? Gli altri si erano già sistemati, sposando buone figliole e costruendosi da sé la propria fattoria… Ma nonostante ciò, il padre preparò un fagotto al giovanetto e gli disse, duramente:
«Vedi di trovar fortuna, ragazzo mio, o farai bene a non tornare affatto».
Il giovane si impettì, capendo benissimo cosa il genitore intendesse dire, prese con sé il fagotto e partì alla ventura.
Durante il viaggio, scelse di dirigersi a Nord, lì dove le stelle brillavano di una luce diversa: il giovane voleva capire perché lo facessero, e non studiando ad una scrivania, ma andando lì a vederle da vicino.
La curiosità lo spinse avanti, sempre più a nord, finché non ebbe da confezionarsi delle pellicce per proseguire, perché il freddo era sempre più pungente e le sue mani sempre più gelide. Ad un certo punto, un drago bianco gli si parò davanti, e a lui sembrò spuntato dal nulla: solo ad una più attenta osservazione il giovane capì che la creatura si era erta dalla neve, risultando perciò quasi invisibile.
«Cosa vai cercando, viandante?» rombò la voce del drago e il giovane, che nel viaggio aveva acquisito una certa dimestichezza con i fatti strani, rispose con calma:
«Volevo sapere perché le stelle qui brillano di mille colori e non sono bianche come le altre».
Il drago alzò la testa, valutò il colore delle stelle e inclinò il capo di lato, tornando poi a guardare il giovanotto.
«Non ho mai visto stelle bianche, viandante. Qui, ogni cosa è bianca tranne le stelle» confessò, dopodiché offrì la groppa al ragazzo perché lo cavalcasse: insieme volarono oltre l’orizzonte, a Nord-di-tutto, e lì il drago atterrò nel tempio che nelle montagne a nord di tutto era inciso nella roccia viva. Ad attenderli vi era un altro drago, ma era più piccolo e le sue scaglie erano di un azzurro così intenso che al giovane ricordarono le estati passate in mezzo ai campi con suo padre: questo drago si inchinò e poi chiese, con voce di donna:
«Cosa desiderate sapere, mortali viandanti?».
«Perché le stelle sono bianche dove tutto ha colore, e ricolme di colore lì dove tutto è bianco?» chiese il drago immediatamente, impaziente di sapere la soluzione del mistero. Il drago azzurro sembrò sorridere, e le brillarono gli occhi mentre rispondeva:
«Non tutto è dato a tutti di sapere. E tu, umano? Cosa desideri?».
«Desidero sapere tutto quel che posso sapere, di poter tornare a casa veloce come una freccia appena scoccata, e di poter incontrare la donna che cambierà la mia vita in meglio».
«Non posso darti tutte queste cose» rise la dragonessa, ma ammiccò e annuì.
«Però posso farti un altro dono: non solo ti farò tornare a casa veloce come una freccia appena scoccata, ma potrai trasformarti in uno sparviero in qualunque momento tu voglia, così che la donna della tua vita possa notare le tue strabilianti capacità e chiedere assolutamente di sposarti».
Il giovane, eccitato per quell’offerta, accettò subito e salutò il drago bianco, con il quale aveva condiviso tanta strada.
«Non posso sapere perché le stelle al nord sono colorate?».
«Non capiresti. L’atmosfera al nord contiene gas in diversa concentrazione, che fanno sembrare le stelle colorate invece che bianche come al sud. Hai capito qualcosa?».
«No» ammise il giovane, e scrollò le spalle: si trasformò in uno sparviero con quel gesto e, sorpreso, prese a svolazzare per la grande stanza del tempio, prima che la dragonessa soffiasse su di lui, spedendolo a casa.
Nel momento stesso in cui stava per atterrare, lo sparviero scrollò le ali e il giovane ruzzolò per terra, ridendo di gioia per quella nuova capacità acquisita con un viaggio iniziato con la sola curiosità.
«Figlio! Cos’era quella magia straordinaria!?» chiese il padre, mettendosi le mani fra i capelli, stupitissimo di veder tornare il suo unico figlio in quella maniera spettacolare, e solo allora il giovane diventato un uomo si accorse che dietro il padre c’era una giovane contadina, di qualche anno più giovane del giovane stesso: aveva gli occhi che le brillavano di gioia nel vederlo tornare e, quando lui si tolse la polvere dalle pellicce, gli cadde ai piedi implorandolo di sposarla, poiché un uomo così straordinario non poteva rimanere a lungo senza moglie e lei moriva dal desiderio di esser sua.
Il giovane la aiutò gentilmente ad alzarsi e le baciò una mano, come aveva visto fare ai nobili signori durante i suoi viaggi, e nemmeno una settimana dopo convolarono a nozze.
Dicono che, un giorno, loro ebbero tanti figli e mai problemi di cibo.

 

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Capitolo 2
*** Costellazione della Lira o dello Scudo ***


Costellazione della Lira o dello Scudo
Canta ancora, madre mia

Dicono che, un giorno, una donna di nome Marie, che non poteva aver figli, stava piangendo sulle sponde di un torrente; la ninfa di quel torrente, udendo i suoi lamenti, le si palesò e la consolò, dicendole che anche lei non poteva aver figli. Avendo un’idea, propose alla donna un patto: avrebbe reso Marie in grado di avere dei figli, ma il primo di essi sarebbe dovuto essere della ninfa, se la donna non riusciva ad indovinare il suo nome.
Marie, disperata, accettò: subito si mise a provare ad indovinare il nome della ninfa, ma la creatura rise e la esortò a tornare a casa dal marito, così che il bambino potesse essere concepito, e così fu.
Passarono nove mesi in cui ogni giorno la donna tentava di indovinare il nome della ninfa, e infine il bambino venne alla luce: piangendo, Marie spiegò la situazione al marito e lui la consolò, spiegandole che potevano far altri figli per sopperire al primo; così, la donna tenendo fede alla promessa, si recò un’ultima volta allo stesso torrente dove la ninfa già la aspettava divertita, e non appena questa mise le sue mani trasparenti e sottili sul neonato, questi scoppiò a piangere, tendendo le braccia verso la madre. La donna si mise a piangere mentre la ninfa scompariva nel torrente con il bambino, e dopo quel giorno tornò al torrente ogni giorno, cantando con una lira del suo bimbo perduto.
Ebbe, certo, altri figli (così dicono), ma ogni giorno si dedicava un’ora a cantare e suonare per il suo primogenito perduto.
Gli anni passarono in fretta e Marie invecchiò, ma non per questo smise di andare al torrente per cantare e suonare, nonostante le dita le dolessero e gli occhi le si fossero incavati nelle rughe. Un bel giorno, tuttavia, in cui il sole splendeva e i fiori profumavano come non mai, un baldo giovanotto passava di lì, correndo fuori dalla vicina foresta come se seguisse la voce della donna: «Madre! Siete voi!» scoppiò a ridere, e abbracciò d’impulso Marie, che troppo sorpresa non rispose. «Ci ho messo tredici anni per trovarvi! Cantavate ogni giorno per me, e quel canto mi ha protetto dalle grinfie delle altre ninfe che, gelose, volevano annegarmi perché loro non possono aver figli! Hanno ucciso la mia ninfa, madre, e io sono rimasto nel torrente ad ascoltarvi tutti i giorni, senza sapere mai dove eravate!» spiegò il ragazzo, e la madre lo strinse a sé piangendo, accarezzandogli i capelli, mentre lui rideva contento.
«Il vostro canto, madre, mi ha fatto da scudo contro l’invidia e il male che mi volevano le ninfe cattive» sussurrò il primogenito, e carezzando i capelli della madre sorrise: «Grazie per aver creduto che un giorno sarei tornato!».
Ed insieme tornarono a casa, contenti, con il giovinetto che aiutava la madre e il padre nella loro casa di campagna.
Dicono che poi, un giorno, il giovinetto ebbe a sua volta dei figli e che nessuno della loro famiglia ebbe più problemi di cibo.

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Capitolo 3
*** Costellazione della Rosa e delle Tre Donne ***


Costellazione delle Tre DonneCostellazione della Rosa
Cercala, per gli déi, trovala!

Dicono che, un giorno, un giovane di nome Aldhil, cavaliere errante dall’età di sedici anni, udì notizia di una principessa rapita dai goblin; precipitosa fu la decisione di andare a salvarla, perché quando il Re udì la notizia lo convocò a corte e gli disse, clemente ma duro: «Se riuscirai a portarmi viva e vegeta mia figlia entro sette giorni, potrai sposarla o scegliere la tua ricompensa! Ma se non ci riuscirai, e non tornerai qui a corte, e non sarai già morto per mano della magia dei goblin, giuro che ovunque tu sia sarai cacciato e perseguitato, perché dovrò tagliarti la testa!» e lo cacciò via, perché gli riportasse la figlia.
Con il cuore in gola per la minaccia del fallimento, il cavaliere si recò lì dove si sapeva vivessero i goblin, e fallì. Tentò più volte di salvare la principessa, ma la magia dei goblin a sua insaputa ne aveva create tre, e ogni volta Aldhil si ritrovava con un goblin in sella al cavallo.
Vergognandosi di tornare a corte, dopo sette giorni il cavaliere fuggì in un regno vicino, così che gli emissari del suo Re, ormai infuriato e deluso, non potessero tagliargli la testa.
Dicono che, un giorno, mentre Aldhil il Cavaliere raccontava la sua storia ad una taverna, brillo per l’idromele, un giovane di nome Ashir, senza né arte né parte la sentì e lo interrogò a fondo, per sapere dove i goblin si trovassero e come sconfiggerli: così scoprì che c’erano tre principesse, di cui una sola vera. Il giovane architettò un piano e partì con il cavallo del cavaliere errante, ormai addormentato.
I goblin erano esseri malvagi e ingannevoli, e quando il giovane si recò sul posto lo accolse una bella fanciulla, gettandoglisi fra le braccia.
«Oh, finalmente! Qualcuno è arrivato per salvarmi!» pianse la giovinetta, ma Ashir la scostò e sorrise furbo.
«Ferma là! So che ci sono tre di voi, e non so se tu sia quella vera, dunque devo sottoporvi a tre prove» sorrise, e la principessa pianse calde lacrime che sembravano d’argento.
«E così non mi credi! Come tutti! Ma sono io, ti dico!».
«Bene, allora raduna le altre e mettetevi tutte davanti a me!».
La fanciulla fuggì piangendo, ma poco dopo ecco presentarsi tutte e tre con gli occhi rossi di lacrime. Il giovane, confuso, decise di non lasciarsi ingannare e gettò in aria una manciata di riso: nulla accadde, e uno dei goblin che stavano a guardare rise:
«Questo si fa con i succhia-sangue, non con i goblin! Stupido umano!».
Ashir, scoraggiato, buttò in aria una manciata di monete e un altro goblin rise:
«Questo si fa con gli esserini alati, stupido umano!».
Ancor più scoraggiato, quando stava per rinunciare, Ashir buttò in terra una rosa rossa e sorrise quando una delle principesse si chinò a raccoglierla: era lei quella vera.
«È lei! È lei quella vera!» e corse a prenderla, ma i goblin eressero un muro di magia fra lui e la bellissima fanciulla, mentre le altre due si trasformarono in orribili mostri. «È lei! Avevamo un patto!».
«Siamo goblin, noi non facciamo patti con gli umani!» rise uno, e fuggirono con la principessa in spalla, che urlava e teneva al petto la sua rosa.
Il giovane a quel punto non si scoraggiò: l’inganno dei goblin era stato rotto, dunque non era più suscettibile alle loro magie di illusione… doveva solo pazientare, e congegnare un piano per portar loro via la principessa.
Si recò da un fabbro, e gli commissionò una spada con un lato della lama di ferro e l’altra metà di argento: entrambi i metalli servivano per le creature magiche e fatate, e i goblin lo erano.
Poi si recò da uno studioso: si fece dire come sconfiggere i goblin e lo studioso disse che era impossibile per un uomo solo… così gli svelò un’alternativa.
Ashir tornò nel territorio dei goblin e lì trovò una torre diroccata, da cui sentiva un canto che lo ammaliava; ma gli inganni dei goblin non lo ammansivano più, e prima di passare oltre, agitò un po’ di campanule in direzione della torre: i fiori suonarono come campane d’argento e il canto si fermò, trasformandosi in un brutto lamento.
Passò avanti, e si ritrovò davanti un leopardo: Ashir agitò le campanule e questo si trasformò in un gatto randagio, che fuggì soffiando.
Man mano che gli incontri aumentavano, la notte avanzava e Ashir diventava sempre più stanco e meno presente a se stesso: ad un certo punto gli comparve davanti un letto, e fu il cavallo a tirarlo indietro dallo stendercisi sopra! Il giovane agitò le campanule, e il letto divenne un cespuglio di rovi.
Così andando, fino all’alba.
Stanchissimo, sporco di foglie e graffi di rametti e spine, il giovane arrivò all’ultima prova: c’era un muro altissimo a separarlo dall’ignoto: agitò le campanule e il loro suono d’argento trasformò il muro in un muretto di sabbia alto a malapena una mano… oltre, c’era una fanciulla che carezzava una rosa seccata come fra le pagine di un libro.
«I goblin non possono avvicinarsi ai fiori» disse il giovane, stanco, sorridendo, e la ragazza alzò lo sguardo sorridendo come innamorata, grata… e Ashir agitò le campanule.
La ragazza si trasformò nel goblin quale era, la rosa secca scomparve e il giovane lo infilzò con la spada, urlando la sua frustrazione; proprio in quel momento, la vera principessa si palesò, urlando a sua volta per il terrore: era inseguita dai goblin. Ashir agitò le campanule, e nulla accadde, così scese dal cavallo e affrontò i goblin, uccidendoli tutti e ricavandone anche qualche bella ferita da sfoggiare un giorno con i nipotini.
La principessa pianse ringraziandolo, ma mantenendo il suo contegno e rango gli ordinò di riportarla immediatamente a casa, perché suo desiderio era rivedere i genitori.
Il viaggio fu lungo e durante questo fra i due giovani nacque un’intesa particolare, di quella complicità che favorisce l’amore; ma lui non osava neanche toccarla, data la sua importanza, e lei non osava sperare nemmeno che suo padre acconsentisse il suo matrimonio con un ragazzo qualunque, per di più di un altro regno.
Così giunsero a corte, già gonfi di tristezza per l’imminente addio… ma il Re aveva esteso le condizioni che aveva offerto al cavaliere a chiunque nel reame e nei reami vicini! Così i ragazzi si sposarono e dicono che, un giorno, ebbero tanti figli e vissero felici.

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Capitolo 4
*** Joèk-Nobui e la corona d'oro ***


 
Joèk-Nobui e la corona d'oro

Dicono che, un giorno, un giovane di nome Joèk-Nobui, figlio di un carpentiere, trovò una corona d'oro sotto un mucchio di fieno. Non brillando in intelligenza, il ragazzo disse al padre della sua scoperta, e l'uomo subito gli disse di nascondere la moneta e tenerla per tempi più duri, quando il lavoro avesse scarseggiato.
Il giovane eseguì, e la corona non fu più tenuta da conto per molti mesi; un giorno, in pieno inverno, il padre di Joèk-Nobui si ruppe una mano e un piede, e quindi non poté più usare i suoi attrezzi del mestiere. Il ragazzo, che aveva visto il padre usarli più di una volta, non era tuttavia capace di imitarlo: li impugnava al contrario, truciolava e bucava i pezzi di legno sbagliati, inchiodava i chiodi tutti storti, e il padre disperato vide tutti i suoi clienti abbandonarlo pian piano. I due non avevano animali da vendere, ma il padre si ricordò della corona d'oro che Joèk-Nobui aveva trovato sotto la paglia: «Va' dal macellaio, che è mio caro amico, e fattela cambiare: una corona d'oro vale dieci corone comuni».
Il ragazzo corse al villaggio, distante pochi minuti da casa loro, ma la bottega del macellaio era chiusa a quell'ora del giorno: forse il macellaio era occupato a squartare animali invece che a vendere carne! Così Joèk-Nobui chiese ad un passante dove fosse il macellaio, che doveva cambiargli una moneta d'oro in dieci normali; il passante subito penso di approfittarsene, poiché Joèk-Nobui non era intelligente, e gli disse: «Sai, se vieni da un mio amico ti darà ben 20 monete per quella corona d'oro!», intendendo 20 beret, che equivalevano a sole 4 corone comuni. Joèk-Nobui, felicissimo per quel conveniente affare, seguì l'uomo, che lo condusse da un amico: spiegatagli la situazione, alzò le braccia al cielo e sorrise a Joèk-Nobui, confessandogli: «Posso dartene anche trenta di monete, per quella corona d'oro! Che imbroglione, il macellaio, che voleva darti sole dieci monete!».
Joèk-Nobui si fece dare i suoi trenta beret, contentissimo, e tornò di gran carriera da suo padre. Ovviamente, vedendo le monetine di basso valore, il vecchio scoppiò a piangere.
«Cosa hai fatto! Ora come vivremo l'inverno?» gridò al figlio, che senza capire cosa avesse fatto di male scoppiò a piangere anche lui.
Tuttavia di lì passava una carovana di mercanti, noti per esser furbi come volpi, e sentendo il gran baccano provocato dal pianto dei due uomini, deviarono e bussarono alla loro porta.
«Non abbiamo nulla da spendere, per colpa di due imbroglioni» confessò loro il padre di Joèk-Nobui.
I mercanti si guardarono e ammiccarono: «Cosa avete perso?».
«Una corona d'oro» rispose subito Joèk-Nobui, e il padre si coprì gli occhi con le mani per la vergogna di un figlio così poco scaltro.
«Se ve la recuperassimo, quanto spendereste da noi?».
«Abbiamo bisogno di cibo per l'inverno, chiodi per quando potrò lavorare di nuovo, e magari anche medicamenti» offrì di comprare il vecchio, e i mercanti annuirono.
«Voi aspettateci qui, non servite con quel piede e quella mano rotte. Vostro figlio, invece, verrà con noi per indicarci chi l'ha imbrogliato».
«Non è molto furbo» li avvisò il padre, ma Joèk-Nobui si fece avanti lo stesso e seguì i mercanti in quell'impresa. Subito indicò il passante che l'aveva derubato, e i mercanti lo interrogarono a lungo senza riuscire a cavargli dove avesse nascosto o cambiato la moneta d'oro.
Dopo aver trovato anche l'altro complice, ed interrogato a vuoto anche lui, i mercanti si volsero verso Joèk-Nobui e gli chiesero:
«Sei sicuro di aver dato la moneta a quegli uomini?».
Joèk-Nobui annuì dispiaciuto, e i mercanti rimasero al villaggio per scoprire come si muovessero le cose, mentre Joèk-Nobui dormiva con loro.
Nottetempo, un rumore svegliò lui solo: dei banditi di strada stavano tastando il terreno per attaccare i mercanti troppo curiosi, addormentati, e quindi Joèk-Nobui si alzò e silenziosamente tese una corda per farli inciampare: fu a corda tesa che fece un gran fracasso gridando: «All'assassino! Ai banditi! Non fateveli scappare!». I mercanti balzarono in piedi e i banditi inciamparono nella corda, venendo quindi massacrati di botte dai venditori nomadi. Nella tasca degli assassini i mercanti trovarono la moneta d'oro di Joèk-Nobui, ma il mattino dopo, tornando alla casa del vecchio, non vollero pagamento: Joèk-Nobui aveva salvato loro la vita, e dicono che, un giorno, non dovettero spendere un solo beret per sopravvivere l'inverno.

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