F l a r e s ▬ the fire's out but still it burns.

di shutupseaweedbrain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo. ***
Capitolo 2: *** I - Cerchi di rabbia. ***
Capitolo 3: *** II - incubus. ***



Capitolo 1
*** prologo. ***


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Flares
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The fire’s out but still it burns

- Prologo.
 
 
 
La penna scorreva veloce sulla carta perlacea, con le parole in inchiostro nero che, mano a mano, diventavano sempre più fitte e confuse.
Il bagliore fioco della lampadina appesa al soffitto impediva al buio di riempire del tutto la stanza. Ma all'uomo seduto alla scrivania, con il viso quasi appiccicato al foglio tanto era immerso nella scrittura, non pareva importare: graffiava con forza le pagine del quadernino rilegato in pelle nera, come se trasformare la sua furia in parole fosse l'unica cosa in grado di placarla.

 
È davvero stupefacente il modo in cui la stirpe magica sia sopravvissuta fino ai giorni nostri, insediandosi nella nostra società ed avvelenandola poco a poco, ingannandoci con quei loro incantesimi da quattro soldi e nascondendo la loro identità, talvolta facendosi addirittura passare per uno di noi, facendosi passare per umani e non per i mostri, scherzi della natura quali sono.
I maghi stanno inquinando il nostro mondo, ne distruggono l’essenza alla pari delle peggiori malattie; la loro esistenza è innaturale, ed è per questo che doppiamo estirparli alla radice in quanto erba cattiva.
È inammissibile che in pochi, pochissimi, sospettino di loro, e che nessuno faccia nulla per eliminarli dalla faccia della Terra.
Mi ripugna che esistano luoghi di incontro per loro, che addirittura frequentino scuole in cui si dilettano nelle loro ripugnanti arti: è straordinario il modo in cui sono riusciti a creare una società nella società, e per quanto io sia restio ad ammirare qualsiasi cosa creata da costoro, ribadisco, è strabiliante.
Ma per quanto “meraviglioso” possa essere ciò, rimane un male, e in quanto male va eliminato al più presto; anzi, dovremmo sentirci minacciati dalla loro capacità di adattamento, in ogni luogo e situazione: adesso sono nascosti, ma poi? Chi dice che non rovesceranno il nostro governo, prendendo il comando una volta per tutte?
Serve qualcosa di mirato, qualcosa che renda la magia nient’altro che una semplice illusione fanciullesca: proprio come successe durante il Medioevo, quando i maghi e le streghe erano visti per i mostri che erano, e giustamente decapitati, bruciati vivi, torturati in ogni modo possibile e immaginabile.
Di certo, una volta che questo diario verrà letto dai posteri, ci sarà chi mi giudicherà barbaro, crudele, disumano, così come ci saranno coloro che mi comprenderanno, che comprenderanno il problema e che mi aiuteranno ad eliminarlo.
Ed è a loro che mi rivolgo, nella speranza di non combattere da solo contro quell'abominio che è la stregoneria: sarò lieto di essere ricordato come un eroe dopo averli sterminati tutti, dopo aver eliminato ogni singola goccia di sangue magico che scorre nelle vene di quegli individui, e la medesima sorte avranno coloro che mi seguiranno.
Che la caccia alle streghe abbia inizio.
L’inquisitore. 
 
E, una volta posata la penna, non si udì più nulla, se non il respiro affannato dell’uomo.
Era finalmente arrivata l’ora di agire.
____
 
 
Un urlo disperato lacera il silenzio, mentre sempre con più foga il boia affonda la lama nelle carni della ragazza.
Uno, due, tre colpi d'ascia, e il capo rotola a terra, ai piedi dell'uomo seduto sul trono: egli, una volta allacciatosi il mantello purpureo, osserva pieno di ribrezzo il corpo privo di vita, per poi voltare gli occhi verso il cranio sporco di sangue.
Macchie color cremisi insudiciano il pavimento, e gli occhi vitrei della ragazzina, rimasti spalancati, sembrano quasi seguire i suoi movimenti, accusandolo in silenzio. Athelstan si gira, ignorando quelle iridi scure che fino a poche settimane fa era certo di amare, e si rivolge al boia, l'ascia ancora in mano come se fosse speranzoso di spargere altro sangue, la tunica una volta nera adesso sporca di rosso.
«Se lo merita.» sentenzia, e l'omaccione non può far altro che annuire convinto. «Adesso andiamo. Staneremo Godric e tutti gli altri entro domattina.»



 



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[ ..... fate finta che ci sia un saluto figo e originale dai, che io non so mai come iniziarli gli angoli autrice.... ]
Allora, credo che questa sia la terza volta che pubblico questa storia. Forse la quarta. Probabilmente è la quinta, ma finalmente ho trovato l'ispirazione e il prologo non mi fa schifo come le altre volte (!!!).
Dunque, so che il prologo è cortissimo, ma i prossimi capitoli saranno moooolto più lunghi, così lunghi che vorrete sul serio prendermi a bastonate, anche se gli aggiornamenti saranno piuttosto lenti, tipo ogni due/tre settimane, visto che trovo a malapena il tempo di respirare, sigh.
So che per adesso la situazione è piuttosto confusa, soprattutto l'ultima parte, ma ha tutto un perché ed una sua importanza, e man mano verrà tutto svelato --- e dei, non vedo l'ora di continuare perché sono tre anni che lavoro su questa storia e spero davvero di fare un buon lavoro.
Per il titolo ho preso spunto da "Flares" dei The Script, che è una delle mie canzoni preferite, se non l'avete ascoltata fatelo subito perché merita!!
E nulla, spero che vi sia piaciuta e per ogni cosa (critiche e bla bla bla) io sono qui! *emoji carina*
A presto, 
Francesca.



 
 

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Capitolo 2
*** I - Cerchi di rabbia. ***


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Flares
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The fire’s out but still it burns
 

-Capitolo Uno
cerchi di rabbia. 


»Amber Chelsea Martin

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La pioggia scorreva leggera sui finestrini sporchi della carrozza, e il profilo imponente di Hogwarts si stagliava deciso contro le nubi scure.
Amber gettò un'occhiata nervosa verso il castello, tamburellando le dita sottili sui sedili logori. Sophie, di fronte a lei, era immersa nella lettura di un libro, e le due ragazzine del terzo anno sedute insieme a loro parlottavano concitate di una qualche boy-band babbana: per un momento, desiderò avere la loro stessa spensieratezza.
Sapeva che lei era lì, da qualche parte nella carrozza, e ciò non faceva che renderla spaventosamente inquieta. Evitava anche solo di girarsi: continuava ad avvertire gli occhi vitrei della donna scrutarla attenti.
Sospirò, osservando le torri del castello farsi sempre più vicine: le luci, seppur fioche, risaltavano nel buio della sera, e nonostante tutto proprio non riuscì a trattenere un sorrisetto nel pensare che, da lì a pochi minuti, sarebbe tornata ad Hogwarts.
Annoiata e desiderosa di distrarsi, Amber mollò un calcio a Sophie: gli occhi cerulei dell'amica adesso la fissavano confusi e vagamente irritati, ed Amber rispose con un sorrisetto sardonico.
«Perché mi hai mollato un calcio?» domandò Sophie con il suo solito tono basso, adesso colorato dall’indignazione.
Lei fece spallucce. «Così. Mi annoiavo.» fece tranquilla, osservando l'espressione scettica dell'amica.
«Le persone normali non tirano calci quando sono annoiate, parlando, disegnano, leggono, Amber, proprio come stavo facendo io, e gradirei riprendere senza interruzioni.»
«Pff, che noiosa che sei,» commentò Amber, accavallando le gambe, «come se poi stessi leggendo chissà che cosa. Mica è "Uno splendido disastro”?» Si sporse per guardare la copertina. «Bleah, sì, è proprio quella robaccia.»
Ignorando l'espressione scocciata di Sophie, le prese il libro di mano e iniziò a sfogliarlo a caso. «Assurdo. Boh. Ma non ha senso!» esclamava, leggendo alcune frasi.
«Vabbè, riprenditelo, non lo voglio più,» disse infine, lanciandolo a Sophie per poi sdraiarsi con nonchalance sul sedile.
Le ragazzine del terzo anno, adesso, la fissavano lievemente scioccate; Sophie, che la guardava esasperata, sospirò pesantemente.
La carrozza si fermò di colpo, tanto che Amber rischiò di cadere a terra; riuscì però ad aggrapparsi al sedile e, sorridendo, si rimise in piedi.
«Siamo arrivati!» gridò entusiasta, scendendo di corsa dalla carrozza, mentre Sophie la seguiva sbuffando.
Centinaia di ragazzi e ragazze si dirigevano di gran carriera verso la Sala d’Ingresso per sfuggire alla pioggia, che nel frattempo si era fatta torrenziale.
«Amber, aspetta!» le urlò dietro Sophie, quando finalmente si ritrovarono all’asciutto. «Non correre così!»
Amber roteò gli occhi, asciugandosi i capelli bagnati con un colpo di bacchetta e legandoli in una coda alta; il viso lentigginoso dell'amica adesso era rosso quanto la sua chioma, mentre respirava affannosa. «Mica è colpa mia se non riesci a tenermi il passo» ribatté tranquilla.
Sophie scosse —— per l’ennesima volta —— la testa esasperata, e Amber pensò che, dopotutto, i tre mesi senza le crisi isteriche della sua migliore amica non erano stati per nulla divertenti: averla lì vicino a sé era uno dei pochi barlumi di normalità che le erano rimasti, e, sebbene non l'avrebbe mai detto ad alta voce, era contenta che fosse con lei.
«Dai, muoviamoci, io ho fame!» protestò, prendendo la ragazza per un braccio e facendosi spazio tra la calca di studenti che affollavano il corridoio.
Quasi non si accorse della sensazione di gelo che l’avvolse simile ad una stretta mortale per pochi momenti, fradicia com'era. Quasi non si accorse del fievole bagliore perlaceo che rischiarò il buio in cui era immersa la Sala d’Ingresso, una piccola luce che attirò la sua attenzione.
E quando alzò la testa, la vide, statuaria come al solito, che fluttuava leggera in aria, gli occhi vitrei velati di disprezzo.
Con le budella che le si contorcevano in modo spiacevole, ricambiò lo sguardo: quella, semplicemente, sparì, unendosi all'aria.
 
***
 
«Amber, secondo te chi è quel tizio?»
«Quale tizio?»
Sophie puntò il dito verso un uomo seduto al tavolo dei professori, che parlava con Vitious gesticolando animatamente.
«Quello lì, vedi?»
«Io non vedo nessuno, Sophie, avrai le allucinazioni.»
«Ma come le allucinazioni, che stai dicendo?» protestò Sophie.
«Sì, le allucinazioni. Non vedi che ci sono solo Vitious e la McGranitt?» domandò Amber, improvvisamente seria. «Secondo me hai la febbre e stai delirando.»
«Io non sto delirando, guarda bene!» continuò Sophie, picchiettandole un braccio. «Lo vedi? Quello con gli occhiali e il mantello nero.»
«Non c’è nessuno con gli occhiali e il mantello nero, smettila, Sophie.» ribatté Amber, trattenendo un sorrisino divertito nel vedere l’espressione corrucciata dell'amica. «Non puoi convincermi dell'esistenza di qualcosa che non esiste, perché è impossibile che qualcosa che non esiste esista, capisci?»
Sophie sbuffo, allargando le braccia. «È impossibile parlare con te.» borbottò stizzita.
«Forse perché non esisto? Forse perché sono anche io frutto della tua immaginazione? In effetti è difficile parlare con una proiezione mentale, no? In realtà questo posto è vuoto, così come quello del tavolo docenti, e tu vedi me e il tizio con gli occhiali e il mantello perché… perché sei internata al San Mungo e…»
«Ciao, ragazze… Che è successo a Sophie? Come mai ha quella faccia?»
«Oh, ciao Simon. Nulla, le stavo chiedendo cosa si prova a parlare con un ologramma,» rispose con nonchalance notando la confusione negli occhi verdi dell'amico. «Credo che tua sorella abbia la febbre, dice di vedere cose che non esistono.»
«Renditi conto che ha iniziato tutto questo discorso solo perché le ho chiesto chi era il professore nuovo.» fece Sophie, passandosi esasperata una mano tra i capelli rossi.
«Ah, intendi quello di Difesa?» domandò lui, scrutando il tavolo dei docenti. «Sostituisce Fray. È andato in pensione, mi pare, ed hanno chiamato lui.»
«Come Fray è andato in pensione?!» esclamò Amber, scioccata. «Era giovane… cioè, più o meno, ma non può essere più vecchio di Lumacorno, dai!»
«Eh, ci sono rimasto male pure io,» commentò Simon, sedendosi accanto a loro. «Credo si sia trasferito in Tanzania.»
«Per fare cosa?» domandò Sophie, aggrottando la fronte.
Simon alzò le spalle. «Non ne ho la più pallida idea. È sempre stato un po' strano, quello, no? Non mi stupisce che se ne sia andato lì.»
Amber fece per ribattere, ma la preside McGranitt si alzò e non ce ne fu modo: quella donna era tanto autorevole da zittire un'intera sala piena di ragazzi solo mettendosi in piedi.
«Buonasera a tutti, e bentornati —— o benvenuti, per i nuovi arrivati, ad Hogwarts. Prima di procedere con lo Smistamento,» Amber si voltò d’istinto verso l'entrata della Sala Grande, dove una lunga fila di primini attendevano ansiosi di essere assegnati ad una Casata, «vorrei presentarvi il professor Robert Fitzgerald, nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, che prenderà il posto del professor Fray, adesso in pensione dopo lunghi e intensi anni di servizio.»
L’uomo con gli occhiali e il mantello nero fece un grande sorriso mentre un educato battere di mani riempiva l'ambiente.
«Adesso vallo a dire alla McGranitt che quello lì non esiste,» fece Sophie, sporgendosi verso di lei mentre sorrideva compiaciuta.
Amber si limitò ad incurvare le labbra in un sorriso ironico, mentre la preside ricominciava a parlare.
«…ed ora direi di iniziare con lo Smistamento!»
Un altro applauso si levò dai quattro tavoli, mentre i bambini si avvicinavano al Cappello Parlante.
«…Bower, Abigail!»
«Tassorosso!»
«…Bryce, Jason!»
«Grifondoro!»
«Secondo voi quanti Corvonero ci saranno?» domandò Sophie, osservando curiosa i ragazzini ancora in fila.
«Spero più dell'anno scorso,» borbottò Amber. «Insomma, cinque. Cinque Corvonero! Io non le capirò mai queste nuove generazioni. Tutti stupidi nascono.»
«E dai, non dire così!» fece Simon, applaudendo ogni volta. «Meglio pochi ma buoni, no?»
«Finnigan, Susan!»
«Corvonero!»
Un coro euforico si alzò dal tavolo di Amber, mentre lei si alzava ed applaudiva contenta alla ragazzina minuta che si dirigeva verso di loro.
«Ciao, Susan! Piacere, io sono Simon» si presentò il ragazzo. Amber ebbe quasi l’impressione che gonfiasse il petto per mettere in mostra la sua spilla da prefetto.
«Adesso ci provi anche con le primine? Che pedofilo che sei,» si finse scioccata mentre la bambina la fissava.
«Amber!» protestò Simon, ma lei lo interruppe prima che potesse aggiungere qualcosa.
«Guarda, Sally, giusto?, adesso che sei nei Corvonero dovrai superare delle prove per farne effettivamente parte. Voglio dire, prove toste, se capisci cosa intendo. Come combattere contro un'Acromantula... O contro gli Schiopodi Sparacoda, capisci? Per mettere alla prova il tuo intelletto e...»
La ragazzina la guardò spaesata, ma Simon la tirò via prima che potesse aprir bocca.
«Guarda, ignorala, sta scherzando, tranquilla,» ripeteva lui in modo meccanico, rivolgendo ad Amber uno sguardo di rimprovero. «È mezza matta, non siamo tutti così…»
«Già, Amber. Non sono tutti pazzi, eh?»
La ragazza si sentì gelare sul posto, il respiro che le si mozzava come dopo una caduta particolarmente violenta: rieccola, pensò con una punta di panico.
Si voltò di scatto, non riuscendo a distinguere il punto esatto da dove proveniva la voce ovattata; nessun altro sembrò aver udito qualcosa, ma anzi, erano tutti concentrati sullo Smistamento.
«Dai, Amber. Non dirmi che hai paura di me!»
Strinse le mani a pugno.
«Amber?»
«Dai, Amber. Dopotutto è colpa vostra.»
«Amber, tutto bene?»
La voce cessò di colpo: Simon e Sophie la scrutavano straniti. Lei si finse tranquilla, mordendosi un labbro e tamburellando le dita sul tavolo. Li guardò di rimando.
«Sì. Perché non dovrei sentirmi bene?» rispose, roteando gli occhi.
«Ti sei messa a fissare il vuoto…» ribatté Sophie.
«Beh, pensavo di aver trovato qualcosa che consideravo perso per sempre.»
«E cioè?» domandò Sophie.
«La tua simpatia.»
L'amica la fissò confusa. «Dovrei ridere?»
«Sì, Sophie, sì! Si chiama ironia.» disse roteando gli occhi. Non sembrava esserci traccia del fantasma, ma si sentì rabbrividire comunque, la sensazione di essere osservata che si faceva sempre più forte.
«Sarà, ma io continuo a vederti un po' troppo pallida,» insistette l'amica.
«E va bene, se lo dici tu» commentò Amber, la voce colorata dal sarcasmo. Non metteva in dubbio che fosse diventata improvvisamente pallida ––– poteva essere considerato normale, giusto? ––– ma non avrebbe mai dato ragione alla ragazza: avrebbe poi dovuto ammettere a sé stessa che quella situazione la rendeva nervosa e che non sapeva come reagire.
«Comunque,» riprese Simon, «smettila di terrorizzare i primini. Ogni anno è la stessa storia! Mettiti nei loro panni, tu come ti saresti sentita?»
«Beh, considerato che sono finita in punizione la sera stessa del mio Smistamento credo ci sia un po’ di differenza tra me e i primini spaventati.»
«Giusto. Tu non puoi essere presa come metro di misura, ovvio» borbottò Simon.
Dopo pochi minuti, lo Smistamento finì, e nei piatti d'oro apparve ogni ben di dio: Amber, felice, prese d'assalto un’abbondante porzione di arrosto.
«Come mai non sei da quelli del tuo anno, Simon?» chiese Sophie, bevendo a piccoli sorsi il succo di zucca.
Suo fratello alzò le spalle. «Così, volevo stare con voi. È vietato, adesso?»
«Sefondo me haffo iniffiato a farlare fella fifale di Fuiffid e ha prefefito sfignarfela» commentò Amber con la bocca strapiena, mentre un ghigno le incurvava le labbra.
«Cosa?»
Lei inghiottì, e, con un tono vagamente soddisfatto, ripetè: «Secondo me hanno iniziato a parlare della finale di Quidditch dell'anno scorso e hai preferito svignartela.»
Sophie ridacchiò, mentre il ragazzo diventava rosso. «Non è vero!»
«È inutile negare, più lo fai più diventerà imbarazzante, Simon.»
«Ma… che dici!» protestò lui. «Mica parlavamo di Quidditch, figurat–»
«Davvero, Simon. Non negare! Capisco che farti rompere il naso da Logan Matthews non sia il massimo, ma...»
«Non mi ha rotto il naso!» ribatté stizzito, puntandole gli occhi verdi addosso. «E poi gli ho restituito bene il colpo, non diciamo cavolate.»
«Certo, prima che tu cadessi dalla scopa.»
«…è stato un incidente.»
«No, è che fai schifo, rassegnati.»
Intanto le portate aumentavano, e dopo un po’ di tempo la cena finì: Amber si stiracchiò soddisfatta, e Simon salutò lei e Sophie ––– doveva accompagnare i primini al dormitorio insieme a Jenny Portman, anche lei del sesto anno.
«Sono stanchissima,» borbottava Sophie sbadigliando, «non vedo l’ora di andare a dormire.»
«Ma è presto!» protestò Amber, mentre le due si dirigevano verso la Torre Ovest insieme agli altri Corvonero. «Io volevo farmi un giro, non vieni con me?»
«E il coprifuoco?»
«C’è qualcuno che ha mai rispettato il coprifuoco? Eccetto te, ovviamente, ma…»
«Ma abbiamo i G.U.F.O. quest’anno. Non possiamo mica rischiare solo perché ti annoi
La ragazza sbuffò, fissando accigliata l’amica. «E d’accordo, se vuoi rintanarti in dormitorio a fare l’asociale fai pure, io non farò la tua stessa fine.»
Ignorò Sophie che le faceva il verso, e dopo qualche minuto arrivarono in Sala Comune, già gremita di gente.
«Giochiamo a scacchi, dai!» propose Amber, ma Sophie rifiutò; lei, non perdendosi d’animo, riuscì a convincere Jeremy Irwin, del settimo anno, a giocare con lei, e non sarebbe potuta essere più felice: le era sempre piaciuto giocare a scacchi, il ragionamento che c'era dietro ogni singola mossa per riuscire ad arrivare alla vittoria e l'essere padrona di quelle pedine, mettendo in atto, di volta in volta, nuove strategie sempre più complicate e senza dubbio più divertenti. Era rilassante immergersi nella pura e semplice logica di cui era fatto quel gioco, e fu ancora più bello battere Irwin dopo un'estenuante partita di tre quarti d'ora.
La sala comune, intanto, si era quasi svuotata del tutto. Sophie, mezza addormentata su una sedia lì vicino, borbottava qualcosa di indistinto: Amber la scosse, e quella sussultò.
«Dai Soph, vai a dormire, io resto ancora un po’ qui» disse.
L’altra si limitò ad annuire, troppo stanca anche solo per parlare; Amber si sedette su una poltroncina vicino al caminetto, guardandola mentre risaliva la scalinata in marmo bianco.
Ci vollero pochi minuti per far sì che fosse l’unica ancora in Sala Comune. Del fuoco che prima brillava acceso erano rimaste nient’altro che fievoli braci, una piccola fonte di luce nell’ambiente ormai scuro insieme al lampeggiare alterno dei lampi.
Per quanto accadesse di rado, ad Amber, quella notte, sarebbe piaciuto rimanere da sola, con il solo rumore del temporale a farle compagnia. Avrebbe voluto riflettere, una volta tanto, e venire a capo di quella situazione ormai insostenibile che andava avanti da quasi due settimane.
Ma non ci riuscì.
Avvertì la sua presenza ancor prima che quel freddo innaturale calasse nella stanza, seguito da un lieve fruscio che la fece sobbalzare.
Si alzò in piedi di scatto, scrutando la Sala Comune immersa nel buio, la bacchetta stretta nella mano.
Tutte le volte era iniziato in quel modo, e tutte le volte, specialmente le prime, Amber aveva rischiato di avere un infarto nel vedere la sagoma perlacea della donna ––– o meglio, della ragazzina ––– che le si avvicinava, il viso giovane e bello e il vestito lungo sporcato da scure chiazze argentee.
Amber la guardò con odio, puntandole addosso la bacchetta. «Sparisci,» sibilò sprezzante mentre cercava di controllare il tremolio che le scuoteva il corpo, «Adesso
La ragazza incurvò le labbra in un sorrisino beffardo. «Non posso, Amber. È colpa tua se sono qui. Tocca a te vendicare la mia morte, è tuo dovere.»
«Sì, come no» ribatté in tono sarcastico. «Adesso mi metto anche ad ascoltare gli scleri di un fantasma psicopatico, ovvio!»
Il sorrisino beffardo sparì.
Amber non ebbe neanche il tempo di gridare, che lo spirito le afferrò il polso: e al posto del gelo che di solito provava quando un fantasma la sfiorava, sentì la pelle andare a fuoco, il dolore che si propagava nel corpo man mano che passavano gli istanti.
«Tu non capisci!» urlò con rabbia, «Dovete chiudere il cerchio. Dovete vendicarci tutti, impedire che si ripeta di nuovo! È compito vostro e soltanto vostro!»
Le lasciò il polso proprio quando la certezza che sarebbe svenuta dal dolore si faceva più concreta: lo spirito si allontanò leggero, e quando guardò il polso in cerca di ferite vide solo un piccolo semicerchio rosso che spiccava sulla pelle.
Tremante per la rabbia e per la paura, alzò il capo verso il fantasma, ma non c’era più.
Era sparito nel nulla.


 
______
 
Ci metto la bellezza di sei mesi e undici giorni per scrivere un capitolo ed esce comunque una schifezza, caspita, sono proprio un mito.
Ora, vorrei davvero scusarmi e tutto per il ritardo, per questo schifo che vi propino (anche se lo leggeranno pochi ma vabbè who cares) e per gli innumerevoli errori che ci sono, ma la verità è che a momenti mi addormento sul pc e non sono lucida (anche se in effetti non lo sono quasi mai ma dettagli), perciò mi limito a dirvi che mi dispiace.
Passando al capitolo, so che non si capisce nulla e che è tutto confusissimo al massimo, ma tutto ha un suo perché, fidatevi, a cominciare dallo spirito psicopatico (non è adorabile?).
In questo primo capitolo abbiamo Amber, personaggio che, personalmente, adoro, e spero che la abbiate apprezzata anche voi! In ogni caso, mi farebbe piacere conoscere le vostre opinioni.
Il secondo capitolo è già in fase di scrittura, e spero di finirlo presto (e anche che non faccia schifo come questo, ecco). 
Ho anche creato un blog tumblr per la ff, nel caso vogliate darci un'occhiata, il link è questo: 
https://flaresthefiresoutbutstillitburns.tumblr.com/
Pubblicherò aesthetic/anticipazioni/eccetera e niente, non so più che dire (?)
Spero che non vi faccia schifo come lo fa a me e ci vediamo alla prossima!
A presto, 
Francesca.

 

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Capitolo 3
*** II - incubus. ***




Flares
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The fire’s out but still it burns
 


 
-Capitolo Due
incubus.

 
»Alexis Mitchell
 
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Tutto svanisce nel nulla.
Non c’è più traccia del soffitto magico della Sala Grande, né delle nuvole plumbee sopra di esso: lei chiude gli occhi, il cuore che le martella violentemente il petto.
Un’altra visione.
Non riesce davvero ad evitare di immobilizzarsi, per quanto abbia tutti i sensi all’erta: le orecchie sono tese per ascoltare anche il minimo rumore, che sia un fruscio, un sospiro, qualsiasi cosa. Non sopporta il dover rimanere bloccata in quel limbo: è imprigionata lì, senza nessuna possibilità di fuga, e vorrebbe tanto liberare l’urlo di frustrazione bloccato nella gola. Ma non può: è muta, adesso, incapace di emettere suoni.
Poi apre piano gli occhi, lentamente – cos’è quel peso nel petto? Paura? Non vuole saperlo, non vuole provare nulla – e osserva guardinga il vuoto attorno a lei prendere forma, fino a tramutarsi in una biblioteca che, in qualche modo, le è dolorosamente familiare.
Sente soltanto il battito incontrollabile del suo cuore – per il resto, solo silenzio. Un silenzio innaturale, riflette, ma dopotutto anche quelle visioni lo sono. È tutto così inquietante e strano e vorrebbe solo sparire, ma adesso un rumore di passi veloci ha rotto quella quiete assurda e subito solleva il capo, rapita da essi.
Muove incerta qualche passo, cercando di raggiungerne la fonte – almeno fino a quando i due non le si parano davanti.
Li scruta attenta, sia l’uomo che la donna avvolti in abiti eleganti: saranno nobili, pensa mentre osserva il mantello in velluto dell’uomo, chiuso da un fermaglio d’argento con uno smeraldo incastonato simile a un occhio inquisitore, e la veste blu screziata di bronzo della donna; sulla testa è posto un diadema che brilla alla fievole luce dei raggi del sole.
«Non puoi essere serio, Salazar.»
La voce della donna è bassa, calma, anche con quel velo d’incredulità che gliela incrina.
All’uomo, però, non sembra importare. «Sì, invece. Sono serissimo, Rowena. Ed è ora che anche tu e gli altri apriate gli occhi.»
È difficile capire cosa veli gli occhi di Rowena. È difficile capire se si tratti di disprezzo e basta, con quel volto che sembra cesellato nel marmo per quanto è impassibile.
«Vuoi davvero negare? Quelle fecce ci porteranno alla rovina. Lo stanno già facendo, e lo stai vedendo con i tuoi stessi occhi! Se solo foste meno ciechi…»
«Noi saremmo anche ciechi, Salazar, ma tu hai completamente perso il senno! Ti rendi conto di cosa stai dicendo?»
Lei li osserva paralizzata, senza sapere cosa fare: li ha già visti entrambi – sarebbe impossibile il contrario, considerando chi sono, ma non è possibile che siano proprio loro.
«… e sei pregato di non utilizzare termini del genere in mia presenza.»
Ha alzato la voce, Rowena, e Salazar si limita a fissarla con quegli occhi verde smeraldo tanto belli quanto indecifrabili.
«A quanto pare non sei così acuta, Rowena. Mi sarei aspettato di meglio dalla strega ritenuta come la più intelligente… Ma se preferisci allearti con quegli invasati di Godric e Helga, fai pure. Io non ti fermerò.»
E va via, con le parole dure di Rowena che si perdono nell’aria mentre il buio risucchia tutto.
 
***
 
«…e allora io ho detto che… Alexis, attenta!»
Prima che potesse anche solo abituarsi alle luci della Sala Grande, Alexis si ritrovò a sbattere contro la schiena di Logan.
Con la testa che le scoppiava e una grandissima voglia di urlare, si sforzò di sottostare allo sguardo nocciola del suo miglior amico, cercando di mostrarsi normale.
«Ehm, sì, stavo inciampando» bofonchiò, meravigliandosi nell’udire la propria voce –roca e bassa, ma la sentì. Era la sensazione più strana del mondo, se messa a paragone con il silenzio a cui era costretta quando aveva una visione.
«Me ne sono accorto» rispose Logan gesticolando, il solito tono allegro che gli colorava la voce. «Dai, andiamo da Michael, mi sembra di averlo visto da queste parti.»
Così disse, e la trascinò per la Sala Grande gremita di gente prendendola per il braccio; lei, ancora intontita, non riuscì a dire nulla. Era semplicemente priva di forze, forze che con tutte le probabilità erano state risucchiate da quella coltre scura che ormai dominava i suoi pensieri e le sue giornate.
«Comunque, ci credi che Alice è riuscita a dire che i Cannoni di Chudley sono meglio dei Tornados? Roba da matti!» continuò lui concitato mentre si dirigevano al tavolo di Grifondoro. «È praticamente una bestemmia… Oh, ecco Michael!»
Alexis riusciva a malapena a stare dietro ai discorsi dell’amico – tantomeno sembrava in grado di spiaccicare parola, come se le sillabe fossero state pezzi di vetro incastrati in gola e cominciassero a squarciargliela ogni volta che provava ad aprire bocca. Anche solo il pensiero di articolare un discorso che avesse un vago senso compiuto era un’agonia: così rimase zitta, lasciando che Logan sproloquiasse sul Quidditch come suo solito mentre raggiungevano Michael.
La testa bionda del ragazzo era china sulla Gazzetta del Profeta, il viso contratto in un’espressione incredula: beveva a piccoli sorsi dalla tazza di caffè che aveva in mano – caffè che finì per rovesciarsi sul giornale quando Michael sobbalzò per il saluto urlato di Logan.
«Ops,» fece lui. Alexis ridacchiò all’espressione contrariata di Michael, ma prima che il ragazzo potesse protestare, Logan disse «Politio» e ripulì tutto.
«Ciao, Mickey Mouse!» esclamò allegro lui, sedendosi accanto al ragazzo. «Come va?»
Michael roteò gli occhi, riprendendo il giornale. «Prima che arrivassi tu, meravigliosamente
«Che acido.»
«Non rompere.»
Per quanto il mal di testa atroce le desse fastidio e i battibecchi di quei due non aiutassero affatto ad alleviare il dolore, un piccolo sorriso le incurvò le labbra. Quei due non avrebbero mai smesso di beccarsi per ogni singola cosa. «Che si dice di nuovo?» li interruppe, scrutando il giornale.
«Mah, niente di che» rispose l’amico, continuando a tenere gli occhi chiari fissi sulla carta. «Però ci sono stati omicidi. A Diagon Alley. Roba da matti…»
«Omicidi?»
Alexis inarcò un sopracciglio, il senso d’inquietudine che andava a posarsi nel petto come un grosso, pesante masso.
Non altri, pensò disperata, non altri omicidi.
Michael annuì. «Tieni, leggi qui.»
Alexis prese La Gazzetta del Profeta, cercando di ignorare le proprie mani che tremavano.
 
CONTINUA LA SERIE DI OMICIDI A DIAGON ALLEY –
GLI AUROR BRANCOLANO NEL BUIO
 
Ancora non si sa nulla dell’autore (o degli autori) che ha dato il via alla scia di omicidi che sta macchiando di sangue la Londra magica.
L’ultima vittima è stata ritrovata nella mattina di martedì 10 settembre proprio al centro di Diagon Alley: il cadavere è stato appeso alle porte del Paiolo Magico, il celebre pub, scatenando il terrore nella comunità magica.
Tuttavia, è stato impossibile scoprire l’identità della vittima a causa delle molteplici mutilazioni e bruciature che hanno reso irriconoscibile il corpo.
La paura dilaga senza sosta nella comunità magica, paura che gli stessi Auror faticano ad arginare: le varie indagini svolte non sembrano aver avuto risvolti positivi, per quanto Damien Finch, vice-capo del Dipartimento Auror, insista nel negarlo. Lo stesso Harry Potter, capo del Dipartimento Auror, non riesce a dare spiegazioni valide.
Le indagini sono in corso e…
 
Alexis non riuscì a leggere oltre. Fissò la pagina di giornale, desiderando di scagliarlo dall’altra parte della Sala, di strapparlo in minuscoli pezzettini fino a renderlo un mucchietto di carta e inchiostro stampato senza alcun significato.
E quella confusione che da giorni la torchiava si fece ancora più forte, trascinandola in un vortice di domande a cui forse non sarebbe mai riuscita a dare risposta: perché quegli omicidi – quei dannatissimi omicidi – sembravano essere stati commessi dalle stesse mani crudeli che aveva visto nelle sue visioni. Lo stesso modus operandi, la stessa violenza assurda che aveva posto fine a tante vite innocenti, con l’unica differenza che quelli a cui aveva assistito erano accaduti forse un migliaio di anni prima.
«Tutto bene?»
La voce calma di Michael la riscosse dai suoi pensieri. Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi verdi del ragazzo che la trafiggevano: era sempre stato così con Michael, che sembrava avere la strana capacità di leggerle nel pensiero soltanto degnandola di uno sguardo.
«Ahm… sì, certo» disse, provando in tutti i modi a mantenere la voce ferma. «È che… beh, è assurdo. Tanto assurdo.»
«Fai leggere!»
Logan si sporse verso di lei, prendendole il giornale. Non si era nemmeno resa conto di averlo ancora fra le mani.
«Sicura? Hai una faccia strana.»
Adesso anche Logan la guardava, e ciò non contribuì a diminuire il nervosismo che sembrava aver preso a scorrere nelle vene al posto del sangue.
«Sì, sto bene» sbuffò, stizzita. «Rilassati.»
Ignorando lo sguardo ancora più confuso dei due, prese un cornetto e,
per quanto lo stomaco fosse chiuso in una stretta d’acciaio, lo morse solo per avere qualcosa da fare.
Ogni battito del cuore era come una pugnalata al petto: tutta quella situazione era strana, inquietante, qualcosa che molto probabilmente non sarebbe riuscita a sopportare a lungo.
Passerà, si convinse, non durerà molto. Deve finire, prima o poi.
«Quella nervosa mi sembri tu, a dir la verità.»
Alexis roteò gli occhi. «Allora lasciami in pace e basta» borbottò dopo aver finito il cornetto. «Non è nulla, davvero» continuò, dopo essersi resa conto di essere stata fin troppo brusca. Ma evitò lo stesso di incrociare i loro sguardi mentre si fingeva impegnata nel versarsi del succo di zucca. «Ho dormito male, tutto qui.»
Lo bevve a piccoli sorsi, osservando la reazione dei due. Logan si limitò ad alzare le spalle e a riprendere il giornale, borbottando un “vabbè, come dici tu.”, mentre Michael annuiva, pur non sembrando troppo convinto.
«Okay, d’accordo. Calmati, però.»
Lei annuì, percorrendo con lo sguardo la Sala Grande: intravide sua sorella Bonnie al tavolo dei Corvonero, intenta a leggera una lettera: sperò soltanto che non fosse di loro padre.
Il tavolo dei professori, poi, aveva un posto vuoto. Fece mente locale, ricollegando la sedia accanto a quella di Paciock al nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure, che sembrava non avere intenzione di presentarsi a colazione.
«Avete visto? Manca il prof di Difesa.» disse, provando a distrarsi.
«Beh, nulla di nuovo» commentò Michael. «Non viene mai a colazione.»
«Davvero?» chiese curiosa. Non ci aveva mai fatto caso, sebbene fosse arrivato a Hogwarts soltanto da una settimana.
«Mh-mh» rispose l’altro, annuendo. «A proposito, abbiamo lui alla prima ora. E siamo già in ritardo, muoviamoci!»
 
***
 
Dovettero salire di corsa gli scalini fino al terzo piano per arrivare finalmente nella polverosa aula di Difesa contro le Arti Oscure, ma una volta entrati la trovarono semideserta. Togliendo Daphne Lewis e Alice Smith, compagne di dormitorio di Alexis, e Christopher Stark di Tassorosso, non c’era praticamente nessuno.
«Michael, io ti ammazzo.» borbottò Logan. «Ci hai fatto correre per nulla!»
Michael si limitò a guardarlo. «Ops,» fece, un sorrisino che gli incurvava le labbra. «E vabbè, vuol dire che prenderemo i posti migliori, no?»
«Specifica cosa intendi per posti migliori, Mickey Mouse, perché se sono i posti in prima fila io…»
«Sì, sì, tranquillo Logan.» commentò Michael, il tono divertito. Poi spostò lo sguardo su Alexis. «Tu ti siedi lì?»
La ragazza, beatamente seduta nella penultima fila, inarcò un sopracciglio e annuì. «Voi sedetevi dove volete, io sto qua.» bofonchiò. L’emicrania era diventata ancora più forte, e di conseguenza la testa le doleva come all’interno di essa ci fosse stata una bomba pronta a esplodere – e quella bomba erano proprio la miriade di pensieri che si affollavano nella mente.
Per fortuna, o forse per sfortuna, Michael si rese conto del suo malessere. Le lanciò uno sguardo inquisitorio, una muta richiesta di spiegazioni, ma picchiettò la spalla di Logan con un dito e disse qualcosa riguardo al sedersi insieme a Daphne e Alice.
Alexis lo ringraziò con un lieve sorriso, ma quella che ne uscì fuori assomigliava con tutte le probabilità ad una smorfia.
Li seguì con lo sguardo, un vago senso di colpa che contribuiva a rendere quel macigno nel petto ancora più pesante. Ma non poteva fare diversamente, si disse, non poteva dire a nessuno di quelle maledette visioni – e se fosse impazzita di colpo? E se l’avessero internata al San Mungo? Non voleva neanche pensarci. Doveva venirne a capo da sola, solo e soltanto grazie alle sue forze, in ogni modo possibile.
Decise di provare, perlomeno, ad andare in biblioteca: magari lì avrebbe trovato qualcosa, si disse mentre iniziava a rovistare nella borsa alla ricerca di un bloc-notes.
Ma non fece in tempo a tirarlo fuori che la campanella suonò: in poco tempo l’aula si riempì degli altri Grifondoro e Tassorosso, e fu costretta a rinunciare.
Fortunatamente, nessuno si sedette accanto a lei e sperò che, almeno per quella mattina, il posto accanto a lei rimanesse vuoto: non aveva voglia di spiaccicare neanche mezza parola, ma anzi, decise che avrebbe provato a vederci chiaro.
Peccato che il professore Fitzgerald le fu d’intralcio.
Arrivò pochi minuti dopo la campanella, entrando in aula con aria trafelata. I capelli scuri erano scompigliati, gli occhiali erano in bilico sulla punta del naso e borbottava qualcosa d’incomprensibile tra sé e sé.
Si chiuse rumorosamente la porta alle spalle, e mezza classe si voltò, accorgendosi di lui.
Fitzgerald imbastì un sorriso. «Buongiorno ragazzi!»
Si mosse veloce verso la cattedra, l’intera classe percorsa da mormorii. L’uomo posò la cartella sulla sedia e rivolse gli occhi scuri agli studenti.
«Scusate il ritardo, c’è stato qualche problema… Nulla di grave, fortunatamente».
Alexis alzò le sopracciglia: non le interessava conoscere le disavventure del professore, perciò tirò fuori dalla borsa un taccuino, la boccetta d’inchiostro e una piuma e prese a scrivere, tagliandosi del tutto fuori dall’aula, quasi non ascoltando la voce di Fitzgerald che diceva qualcosa a proposito di alcuni fogli di pergamena.
Man mano che le parole prendevano forma sulla carta, il peso nel petto si fece meno opprimente. Continuava ad esserci, una pianta velenosa che ormai aveva messo le radici e non poteva essere estirpata, ma che perlomeno rallentava la sua azione distruttiva, come se trasformare le sue emozioni in lettere agisse da medicina.
Le visioni, modellate a suo piacimento sulle pagine, non sembravano più così spaventose: le rendeva sue, le controllava – o almeno, si illuse di poterlo fare. Come se avesse avuto la situazione in mano. Come se non fossero state loro ad avere il potere su di lei.
«…e gradirei moltissimo se la signorina Mitchell smettesse di fare qualunque cosa stia facendo e prestasse attenzione alla lezione, grazie.»
Alexis si bloccò per un momento, poi alzò incerta gli occhi. Il professor Fitzgerald la fissava spazientito – lei, in risposta, si limitò a mettere a posto senza dire nulla, ma quando prese il bloc-notes,qu il prof la fermò.
«Quello puoi darlo a me.»
Alexis fu certa che mai come in quel momento, nella sua breve vita da sedicenne, il suo sopracciglio sinistro si fosse alzato tanto. «Non è niente, prof, non c’è bisogno» ribatté, il tono fermo di quando cercava di trattenere le rispostacce. «Adesso lo metto a posto.»
«Se non è nulla non vedo perché tu non possa darmelo.» disse l’altro, la voce fastidiosamente allegra.
Alexis sbuffò, cercando di reprimere il forte desiderio di togliergli quel sorrisetto idiota dalla faccia a calci: avvertiva tutti gli sguardi della classe alternarsi da lei a Fitzgerald, da Fitzgerald a lei, e ciò la rese ancora più nervosa. Possibile che avesse tutta quella sfiga?
«Le ho detto che lo metto a posto, non lo tocco più, non c’è bisogno che lo prenda lei.»
Questa volta non riuscì a nascondere la stizza; e Fitzgerald, come se si divertisse a vederla infastidita, continuò a tenere le labbra sollevate.
«Suvvia, uhm, Alexis, giusto? Prometto che non tocco nulla. Poi te lo ridò a fine lezione, giuro.»
Il tono confidenziale con cui le si rivolse la irritò ancora di più. Si morse il labbro inferiore, chiedendosi per quanto tempo ancora sarebbe stata capace di mantenere la calma, e ripeté ancora: «Ma lo rimetto in bor…»
«Accio taccuino» la interruppe lui, e quello gli volò in mano. «E che non si ripeta più, Mitchell. Intesi?»
Lei non disse nulla: le aveva preso il bloc-notes, avrebbe letto delle visioni…
«Intesi?»
«Sì, sì» fece lei in tono altezzoso, roteando gli occhi. Fissò il taccuino, la preoccupazione che le scorreva nelle vene come un veleno.
Fitzgerald la fissò per un momento, l’espressione indecifrabile. Il sorriso era quasi del tutto sparito. «Ah, e lì da sola non ci puoi stare.» aggiunse il prof, squadrandola. «Vai a metterti vicino a, uhm… quel ragazzo lì. Stark, giusto?»
«E perché non posso stare da sola?» ribatté ancora, stizzita.
«Perché lo decido io» fece «e perché non mi piace vedere i ragazzi in disparte.»
«Mi ci sono messa di mia spontanea volon-» tentò di dire, ma quello la interruppe di nuovo.
«Mettiti lì e non fare la bambina, suvvia Mitchell.» disse scocciato. «Ah, e meno dieci punti a Grifondoro. Se continui ti metto in punizione.»
Stizzita e con il sangue che le ribolliva nelle vene, Alexis raccolse le sue cose e andò a mettersi vicino a Christopher, ignorando gli sguardi e le risatine della classe.
Era sicura che anche Michael e Logan la stessero fissando dall’altro lato dell’aula, ma semplicemente poggiò il mento su una mano e mantenne l’espressione più altezzosa del suo repertorio, non guardando niente in particolare.
Il groppo alla gola si fece ancora più grosso. Lei ignorò quell’ammasso di rabbia, timore e confusione che sembrava aver presto il posto del cuore nel petto, e volse un’occhiata al taccuino, sperando che Fitzgerald non leggesse nulla.
Christopher Stark, accanto a lei, non spiaccicò parola per tutta la durata delle due ore, e Alexis non poté chiedere di meglio.
 
***
 
«…e mi spieghi cosa ti è saltato in mente, di preciso? Bastava dargli quel benedetto bloc-notes senza fare storie! Sai quanto gliene frega di quello che scrivi, dai!»
Alexis aveva smesso di ascoltare Michael più o meno dopo i primi cinque secondi della sua ramanzina. Per tutta la strada dal terzo piano alla Sala Comune, si era limitata ad annuire di tanto in tanto, mormorando “sì, sì, hai ragione” ogni volta che l’amico si interrompeva.
Logan era rimasto giù a parlare di qualcosa che riguardava la squadra di Quidditch, e sperò che li raggiungesse il prima possibile. Almeno avrebbe sollevato un po’ l’umore generale con le sue battute stupide, decisamente meglio rispetto alle ramanzine di Michael.
Era stanca come non lo era mai stata in vita sua: non era neanche riuscita a riprendersi il taccuino, visto che Fitzgerald se n’era andato senza dire nulla, e per quanto lei avesse provato a raggiungerlo per chiedergli di ridarglielo, l’aveva perso nella calca di alunni nel corridoio.
Molto probabilmente sarebbe dovuta andare nel suo ufficio, rifletté, e si disse che, dopotutto non era nulla di male.
Mica devo andare al patibolo, pensò, sebbene qualcosa le dicesse che era infinitamente peggio. Mise a tacere quella sensazione, e una volta arrivati di fronte al ritratto della Signora Grassa, borbottò «Burrobirra» e il ritratto li lasciò entrare.
«…E mi stai ascoltando, Alexis?»
La voce di Michael le arrivò distante, come se fosse tutto un sogno. Prese un respiro profondo e si voltò verso l’amico, guardandolo in viso. «Mh? Certo che ti sto ascoltando.»
Il ragazzo sbuffò, rimproverandola con lo sguardo. «Ma perché non mi dici che ti succede, eh? È da giorni che sei stranissima!»
Alexis lo fissò per qualche istante, aggrottando le sopracciglia. Quasi le venne da ridere. «Io? Stranissima?» chiese cercando di mostrarsi tranquilla, sebbene il tono della voce fosse pericolosamente salito di un’ottava. «Mah, te le sogni le cose!»
Lui fece per ribattere, ma fortunatamente Logan entrò in quel preciso momento e Alexis ne approfittò per sgattaiolare via.
L’ufficio di Fitzgerald era probabilmente al primo piano, e non senza rischiare di cadere per le scale, Alexis andò di corsa giù.
Molte persone erano dirette verso la Sala Grande, e la ragazza sperò che tra di loro non ci fosse anche il prof. Doveva riavere il quadernino.
Quando arrivò di fronte all’aula, sudata e con il fiatone per la corsa, trovò lì davanti soltanto Simon McNeil di Corvonero con in mano alcuni fogli.
«Oh, ciao Alexis!» lo salutò allegro.
Lei si limitò ad un cenno della testa – ne aveva abbastanza di persone felici, per quella giornata.
«Hai visto Fitzgerald?» domandò invece, senza perdersi in giri di parole.
Simon annuì. «Sì, è là dentro.» rispose, indicandole la porta chiusa. «Se devi dirgli qualcosa mi sa che ti tocca aspettare un po’… ma tra poco dovrebbe uscire.»
«Va bene.» disse soltanto. Poi, notando lo sguardo insistente del ragazzo, si voltò verso di lui. «Sì?»
Simon la osservò per un momento. «Ma è vero che hai litigato con lui?»
E ti pareva, pensò. Inarcò un sopracciglio, esasperata. «Più o meno. Perché?»
«…No, nulla. È che ne stanno parlando più o meno tutti e mi sembrava strano, sei sempre calma tu!»
«Mh.» Guardò la porta mentre il ragazzo continuava a parlare, e fortunatamente si aprì.
«Oh, ciao Simon!» esclamò Fitzgerald. Poi si accorse di Alexis. «Mitchell. Come mai qui?» chiese in tono gentile, squadrandola.
Alexis inarcò un sopracciglio. «Il bloc-notes» si limitò a dire.
«Ah, sì, giusto!» rispose il prof, grattandosi la testa. «Me ne ero proprio dimenticato.»
Me ne sono accorta, pensò Alexis, ma non disse nulla.
«Su, entrate. Hai portato i fogli, Simon? Sì? Bravissimo!»
L’ufficio di Fitzgerald era piccolo, pieno di strani aggeggi che Alexis non aveva mai visto, sottili e argentei. Al muro erano attaccati ritagli di giornale, mappe varie e foglietti pieni di scritte indecifrabili, tutto disposto nel modo più caotico possibile.
«Ecco qui,» disse, tirando fuori il taccuino dal cassetto della scrivania. «Tutto tuo.»
Alexis lo osservò titubante per qualche minuto, come se temesse che potesse riprenderglielo di scatto. Ma il prof ridacchiò. «Non ti esploderà in mano, lo sai?»
Lei lo afferrò, rimettendolo in borsa. Adesso era un po’ più calma.
«E sul serio,» aggiunse Fitzgerald, «se devi scrivere, ci sono posti e momenti decisamente più appropriati della lezione di Difesa contro le Arti Oscure. Non voglio vederti più così distratta, d’accordo?»
Alexis annuì, continuando a non dire nulla.
«Adesso puoi andare. Fammi vedere, Simon…»
Lei si voltò, borbottò un “Arrivederci” e, con il cuore decisamente più leggero riaprì la porta.
Accadde proprio in quel momento.
I contorni delle statue si fecero più sfocati. Le pareti sparivano e riapparivano, e il bloc-notes cadde a terra con un tonfo.
«Alexis? Tutto bene?»
L’odore del fumo riempie tutto. Non riesce a respirare – è così forte e acre e le viene da vomitare mentre il calore avvolge tutto.
«Muoviti, Simon, vai a chiamare Madama Chips!»
Tossisce, tossisce e non riesce a fare altro: è come se l’inferno l’avesse inghiottita di colpo, e intorno a lei si erge un muro nero e maleodorante, ma riesce a vederlo.
Non è possibile distinguerlo bene, ma i capelli biondi, l’armatura e l'espressione dura sono inconfondibili: ormai ha imparato a ricollegarli a quel mostro, a quell’essere abominevole che si è macchiato di chissà quanti omicidi.
E lo capisce: è un’altra delle sue vittime. E proverebbe paura, se solo non fosse troppo impegnata a cercare di respirare, invano.
Perché le fiamme avvolgono tutto, e non può far nulla per evitarlo.
Udì soltanto Fitzgerald che la chiamava, i passi di qualcuno che correva: poi, solo silenzio.

 



___
HO IMPIEGATO SOLO DUE MESI PER AGGIORNARE WOOOO
No, okay, cavolate a parte, sono davvero felicissima di essere riuscita a finire finalmente questo capitolo. Temevo di non riuscirsci più ahahahah

So che tutto risulta confuso al massimo e slegato - ma tutto ha un motivo, anche la scena che può sembrare più inutile. E non vedo l'ora di svelare tutto, ma soprattutto per i primissimi capitoli seguirò questo filone. Spero di non aver combinato guai, in ogni caso fatemi sapere cosa ne pensate che non può che farmi piacere!
Ora, Alexis è un palo nel fondoschiena, i know, però spero che vi sia piaciuta. è un personaggio a cui tengo un sacco, così come a tutti gli altri, e ripeto, mi piacerebbe un sacco ricevere i vostri pareri a riguardo!
Non so quando arriverà il prossimo capitolo - ho già tutto pianificato, ma ho anche altre storie da scrivere e portare avanti, però cercherò di postarlo il prima possibile, promesso!
E nada, io vi lascio. Mi scuso per eventuali errori, che comunque correggerò il prima possibile, e spero che il capitolo sia di vostro gradimento!
Alla prossima,
Francesca.


 
 

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