Amare Male

di Kaworu Nagisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tepore ***
Capitolo 2: *** Un Paio di Ombre Lievi ***
Capitolo 3: *** Fiumana ***
Capitolo 4: *** Terapia Mancata ***
Capitolo 5: *** Fede ***



Capitolo 1
*** Tepore ***


È comunque certo che nulla al mondo rende l'uomo tanto necessario quanto l'amore.
Goethe

Era già molto tardi, forse le otto, c'erano solo le luci dei lampioni a guidarlo, ed era appena uscito dal parcheggio.
Si ricordò di girare a sinistra, anche se non faceva spesso quella strada. Mosse un poco le dita, e le sentì congelare. Se le portò vicino alla bocca, chiuse per raccogliere meglio il caldo, e alitò.
Ma tanto a che serviva? Non ci si poteva scaldare da soli, così con l'alito. Glielo aveva detto un prete che aveva conosciuto ad un campo in montagna, di quelli che ti fanno estraniare, dove metti il muso o ti diverti, come un cane. Questo se lo ricordava bene.
Però... che era successo nelle ultime ore? Aveva un vuoto, ma diavolo! odiava quando gli accadeva, e succedeva spesso. Stava crepando dal freddo, e neppure il cervello scalda, se lo fai girare in continuazione, da farti male alla testa.
Aveva però visto la fine della via, e la propria casa, quella sì che era calda. Cinque corpi in tre stanze, come facevano a non scaldarsi?
Mancavano duecento metri, sempre peggio quelle sue dita. Prese a correre, ma non per salvare le dita, per qualche motivo non gliene importava granché. Erano le otto e lui doveva ancora mettersi a studiare, e poi fra qualche giorno sarebbe scaduto il termine per consegnare quel racconto a cui stava lavorando.
Lì aveva copiato qualche parte da degli autori famosi, ma solamente perché sognava di vincere, alzare,  baciare, il piccolo trofeo argentato del concorso, avere la propria foto sul sito, e poi ci sarebbe stata la serata...
 
Vicino, vedeva la panchina, quella che scorgeva, dall'altro lato della strada quando tornava da scuola. Questa volta però era diverso; c'era stato con una ragazza. E proprio lì, la sua testa sulla spalla, aveva sentito i capelli che gli si spargevano addosso, fino alle ginocchia. Pioveva, quando stavano sulla panchina, e non avrebbero potuto neppure ripararsi, perciò decisero tacitamente di rimanere lì, una specie di monito: osservate l'idillio.
Era accaduto quello stesso pomeriggio, ma già gli sembrava qualcosa di vecchio e puzzolente, da buttare via, e forse pure a lei sarebbe parso lo stesso.

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Capitolo 2
*** Un Paio di Ombre Lievi ***


Quel giorno l'aveva ospitata in casa, le aveva fatto conoscere i genitori, i fratelli. Pensava sarebbe andato peggio, invece nessuno aveva fatto storie, né causato problemi. Un po' gli dispiaceva, tanto avrebbe fatto la voce grossa contro di loro, cosa che gli riusciva solo in famiglia, e si sarebbe dimostrato un uomo cresciuto. E invece niente.
L'aveva poi portata nello studio, e si era messo a leggerle il racconto, lei gli si era seduta di fianco, su di una sedia di legno scadente. Smise subito; era troppo noioso e lei, che aveva preso a disegnare oscenità sui suoi quaderni, iniziò a parlare:
Sai, quando lo fai per la prima volta, fa anche male. Te lo infilano e senti questa cosa...
Le lanciò un'occhiata imbarazzata, e lei smise subito, improvvisando una rumorosa risata. Non lesse oltre, era tutto così caldo. Il cuore invece, gli era stato appena accartocciato. Non poteva sopportare che qualcuno l'avesse sverginata, gli sembrava troppo. Sapeva che lei aveva avuto un ragazzo più grande, lo nominava spesso, ma non voleva pensare che lo volesse ancora con sé, s'erano lasciati così male, a sentire lei.
 
Si mise a cercare gli errori nel suo racconto, correggerne qualcuno. Ma ormai era andata, ci sono cose per cui non si può tornare indietro. Ci mise un po' a ricomporsi, e si accorse di stare sudando. Si limitava a trascinare la matita sul foglio, dei caratteri in successione, per lei si muovevano, saltavano, e lui doveva calmarli, dar loro una regolata.
Nonostante tutto, un tarlo aveva in particolare, lui. Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue cosce, e pure lei se n'era accorta, ne era sicuro. Certo, in due avevano tante di quelle fantasie da riempirci la stanza, ma lui s'era già immaginato tutta la scena: le mani sulle sue gambe, le più belle che avesse mai visto, il resto era tutto confuso, con i corpi che s'incontravano, si volevano bene, le articolazioni invece sparivano, senza scontrarsi, ma fluide.
Erano appena scesi dal condominio, quel pomeriggio, lui doveva accompagnarla alla fermata del bus, come faceva di solito. Subito gli disse: — Non era vero, quello che ti ho detto prima, non l'ho mai fatto...
— Cosa?
Rispondeva spesso così, non capiva le sue parole, tutte allusioni e frecciatine, e lei lo chiamava idiota.
Era divertente, pensava, per tutti e due. O almeno lei sembrava divertita. In verità ogni tanto lui coglieva il senso, ma rispondeva comunque così, per provare a scatenare in lei una reazione. Pensava poi che queste cose unissero, e tutto sommato ne aveva pure bisogno.
 
Aveva appena finito di piovere, e di certo l'autunno non li aiutava ad asciugarsi. Delle pozzanghere attanagliavano i loro piedi mentre attraversavano la strada.
Erano infine in stazione, sotto un tettuccio, seduti su di un'altra panca. Quasi non parlarono, solo qualche selfie in quell'aria sporca.
Alla fine iniziò lui: — Certe volte vorrei solo morire, ho pensato ancora al suicidio...
Diceva così a tutte le persone che conosceva un po', quanto bastava da intuirne le reazioni, di fronte ad una frase del genere. E allora voleva solo un qualche avanzo di compassione, e di solito la otteneva. In effetti avrebbe detto qualsiasi cosa pur di averne un po' per sé. Era il suo modo di mandare avanti queste relazioni, di aggrapparsi a quell'altra persona, e cercare che questa facesse lo stesso.
— Smettila di dire così. Non lo faresti mai.
Questa volta si sentì tradito, tradito da quella domanda, la propria, dalla sua risposta. Da lei, anche. Si aspettava che almeno una ragazza tanto cristiana potessa fornigli ciò di cui necessitava, e invece non fu così.
C'era tensione, non sapeva cosa ribattere, gli occhi lucidi, li nascose un po' girando la testa.
— Questo è il mio bus, ciao!
— Sì, ciao!
La seguì con lo sguardo, fino a che non salì sul bus. Lei non si voltò. A quel punto, sì, doveva per forza lasciarsi andare. E gli sembrava di sentire il suo sangue misto a veleno; le emozioni s'accavallavano, si schiantavano; un cancro, quella relazione. E lo stava portando con sé.
Poteva pure andarsene di lì.

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Capitolo 3
*** Fiumana ***


 
Continuava a camminare, almeno la casa si faceva più vicina.
S'era ricordato, aveva riempito il vuoto, ma questo non faceva altro che gonfiarlo di lacrime. Pensava a cosa li obbligasse a stare in silenzio, tutto quello non era normale. Ma iniziò a ritenere che quando ci fosse di mezzo lui nulla fosse mai normale.
Al contrario, adesso voleva solo rinchiudere tutto, nasconderlo in un angolo, sotto il tappeto; riuscirci richiedeva degli sforzi, dei sacrifici. Non voleva rischiare, doveva solo eliminare tutto.
Incominciò a strisciare il pugno chiuso contro le pietre del muretto di fianco, e continuò a camminare.
La mano sinistra si stava spellando, iniziava pure a sanguinare. Ma almeno gli dava una ragione per piangere. Si faceva schifo per questo.
Vide una bici mezza rotta, sul ciglio della strada. Colpì il muro, sempre con quella mano devastata. L'odore del lubrificante per bici, e quella stessa bici, avevano sventrato la diga che si era appena costruito. Involontari, i ricordi, lo rapirono. Si accovacciò vicino al veicolo, e si prese la manica della felpa per coprirsi la mano.
Tenendosi per il reggisella unto, non poteva più fare a meno di scoprire il motivo di quei silenzi.

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Capitolo 4
*** Terapia Mancata ***


Nei primi tempi di quella relazione, gli pareva che la passione avrebbe potuto prendere subito il sopravvento su entrambi.
D'altra parte era stata lei ad avvicinarsi per prima, facendogli visita, arrivando con quella bici. Lo portò a mangiare dal kebabbaro nella strada di fianco. Di per sé era stato uno dei momenti migliori, quelli di cui conservava un ricordo degno, che non lo scorticasse ogni volta. Dopo però dei teppisti le rubarono la bici, e lui, sicuro di poterne raggiugnere almeno uno, si mise a rincorrerli lungo tutta la via. Dovette tornare indietro, con la testa bassa. Non gli importò granché, perché quella volta parlarono molto, sebbene delle cose usuali, di cui si parla tra amici che sanno di non potersi vedere spesso.
Ma appena vide una macchina solitaria in fondo al viale, prese ad agitarsi. Infatti lei riconobbe la madre, e si alzò. Nel farlo, aizzò i suoi miraggi dicendo: — Guarda che sei il mio Gesù, come anche lui lo era.
Lui rimase trasognato, fino a che l'auto non gli fu ormai di fronte, e lei face per salire. Si scosse un attimo, e rispose, cercando di fare una battuta ad effetto, come nei film: — Bello essere paragonati ad un uomo a cui non bastavano due metri di tomba!, ma lei non lo salutò nemmeno. Sperava che non avesse sentito quella sua ultima frase; sapeva che era piuttosto religiosa, e venne preso dal terrore di averla offesa. Scacciò questi pensieri, che sempre più spesso lo annebbiavano, e si fece volentieri investire da un'onda di banale nostalgia. Voleva pure la conferma che lei sentisse lo stesso, e così le scrisse:
 — Mi manchi.
 — Anche tu.
Mancò poco che non esultasse, siccome questo gli dava speranza. Lui infatti era solito innamorarsi di qualsiasi ragazza gli desse anche un solo spiraglio di possibilità di entrare più in confidenza di quello a cui era abituato. Gli riusciva quindi molto semplice infiammarsi per una qualche persona.
 
Non molti giorni dopo si ritrovarono, casualmente, e lui stava parlando con un professore poco anziano, di quelli che prendono bene le battute. Lei, vedendolo, si intromise nella conversazione:
 — Guardi che il suo studente ha stile!
L'insegnante non rimase troppo stupito, e nascose sotto i baffi un certo sorriso malizioso.
Lui invece reagì guardandola come per ammonirla, ma in verità era entusiasta di un suo intervento così indiscreto. Alla fine la invitò a mangiare una pizza il sabato seguente.
 
Quel giorno sentiva che qualcosa era cambiato. Ultimamente non si erano nemmeno parlati, solo visti di sfuggita, non poteva aver rovinato tutto. Ma era proprio per la paura di incrinare quel legame, dicendo una parola sbagliata, che non aveva più aperto bocca fino ad allora.
Si chiedeva, torturandosi nel petto, se non le avesse dedicato abbastanza attenzioni, e di come fosse tutta colpa del suo tacere in quei quattro giorni.
 — Lo sai che per i maschi è tutto un gioco, mettersi assieme?
Voleva consolarla per essersi lasciata così male con il suo ragazzo precedente.
In fondo pensava solamente che facendo così, lei si sarebbe rivelata ancora di più, e senza la necessità, per lui, di smascherarsi. Credeva che tutti avessero bisogno di essere consolati, e che l'amore servisse proprio a questo. Almeno, lui si innamorava per quello.
Lei gli sfiorò la mano sinistra, sul tavolo, ma appena la sentì gelida, ritrasse la propria. Anche lui ritrasse la propria, ma non d'istinto; voleva incolpare l'altra per quel freddo. Egli non pensava fosse possibile che lui, così ardente dentro, potesse avere delle mani tanto fredde.
E subito gli si formò nella testa l'immagine di loro due che si incontravano, il giorno prima della pizza.
 
Era uscito da scuola, e la trovò con alcune amiche che si dirigeva verso un ristorante. Deviò il percorso per salutarla, farsi vedere. Appena le arrivò davanti, inciampò e per poco non cadde, proprio mentre le faceva un cenno. Le sue amiche, nel vederlo, si guardarono e si misero a ridere, e lei le seguì.
Fece alcuni passi, giusto per sottrarsi alla loro vista, e lì si fermò per qualche secondo. Poteva però  percepire di essere ancora osservato dalle tre ragazze. Pensava di essere fuori di sé, visto che il corpo non reagiva più, nemmeno sforzandosi, gli sembrava che si stesse solamente dimenando. Si vergognava di essere ancora in piedi, voleva che il terreno gli si aprisse sotto i piedi, e non lo risputasse più fuori, lo tenesse celato.
All'improvviso si fermò tutto, ed ebbe solo il terrore di aver affossato la loro relazione.
Ora invece ne era certo, tutto faceva capo a quel momento in cui era parso semplicemente un pazzo, nel quale i pensieri gli si erano avvitati in mente, mentre lui era ingabbiato.
 

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Capitolo 5
*** Fede ***


Reclinò la testa all'indietro, a vedere un cielo bluastro, sporco. Stava quasi per confidare qualcosa al vento, ma ci ripensò.  E tornò in piedi, svegliato da una frustata nelle orecchie; un motorino era passato lì vicino.
 
Di solito, dopo averla incontrata, tornava a casa infervorato, e quasi si metteva ad esultare per le strade e tra i vicoli. L'amore era vivo, lo pervadeva. E poi gli pareva gonfiasse le sue forze. Nulla gli sembrava più vero di quel famoso momento di smodata felicità che colma una vita di malinconia.
Ora, senza, si sentiva nulla, più infimo di un qualunque insetto, pure più facile da schiacciare. Strisciò fino a casa. Frantumato da quell'inciampo ingiusto, non stava nemmeno guardando dove andava, accecato da qualche ossessione. Il cuore, lo sentiva svuotato  di tutto. Non era di certo bravo a soffrire, né tantomeno a lasciarsi dietro alcunché alle spalle, tanto gli piaceva esser commiserato. Era un appagamento morboso, ma mai si era sentito in colpa per questo, visto che nessuno lo aveva indagato, si era chiesto il significato di quando non riusciva a parlare, quelle smorfie occasionali. Non valevano niente, alla fine. Ma adesso gli sarebbe bastata una frazione di tutta quella foga che gli scorreva nelle vene quando era innamorato, e si sforzò di riconciliarsi con lei, con sé stesso. Perlomeno gli sarebbe stato utile per finire il racconto, poi avrebbe potuto lasciarsi andare. Pregustava quel momento, strusciava la lingua sui denti al solo pensiero. Un po' si rendeva conto di essere ridicolo, ma non gli interessava, come faceva sempre, e come facevano sempre pure gli altri sul suo conto. Si aspettava un qualche sussulto, che però tardava ad arrivare. Aveva tanti propositi per quella sera; magari poteva guardare un film, cercare qualche fonte d'ispirazione per il racconto. Davanti allo specchio dell'ascensore verso il quinto piano, sospirò  un poco. Le coincidenze erano un po' il suo tormento; aveva preso ad incolpare il caso, sentiva che si stava davvero prendendo gioco della sua anima. Magari così si sarebbe potuto riconciliare con lei.
E proprio in quel momento si sentì di nuovo rinvigorito, e l'amava ancora più di quando pareva un matto dall'euforia, e lo vedevano tutti, e di quando si lambiccava il cervello per riuscire a trovare una risposta per riempire tutti i silenzi che consumavano le speranze di felicità. Era quasi arrivato, e non poteva permettersi di essere sincero con sé stesso, ora che doveva cenare. Di certo non avrebbe mostrato segni di una qualche crisi.
 
Rabbrividì sul pianerottolo, al pensiero di tutte quelle cose che aveva fatto per lei, e che giacevano sulla sua scrivania: doveva diventare cristiano — chissà quanto di più le sarebbe piaciuto — e aveva preso a leggere dei libri che gli erano stati consigliati da un prete, lo stesso dei campi in montagna. Aveva pure iniziato un diarietto in cui teneva annotati i pensieri, nel quale si confessava. Con questo aveva scoperto di essere cattolico, dentro. O almeno ogni tanto le diceva così.
Immaginava di scaraventare tutto per terra, in un attimo d'ira, giusto per allontanarle, salvarsi
da una vita di inquietudine. Si ricompose un attimo, mentre apriva la porta dell'appartamento, e realizzò che non loavrebbe nemmeno mai fatto, per paura. Paura di deluderla mollando tutto, di un incubo feroce, di essere abbandonato.

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