Complications

di Magica Emy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Accosto all’ingresso dell’asilo, aspettando pazientemente che Logan si decida a prendere il suo zainetto e scendere finalmente dall’auto, ma quando mi volto a guardarlo la sua espressione seria e accigliata mi fa chiaramente intendere che non ha nessuna intenzione di farlo. Sospiro, cercando il suo sguardo sfuggente e muovendomi cauta sul sedile, anche se il pancione è diventato talmente grosso ormai da impedirmi anche i movimenti più semplici. Sì, la bambina continua a crescere e quel che è peggio si muove in continuazione, soprattutto durante la notte, alimentando la mia insonnia ogni giorno che passa ma… bè, tengo duro. Non manca molto ormai e io non vedo l’ora di conoscere finalmente questo piccolo terremoto che mi porto dentro, e che promette già di essere un bel tipino tosto. Almeno quanto gli altri due.

- Che cosa c’è, piccolo?

Azzardo, chinandomi ad accarezzare dolcemente i capelli di mio figlio mentre lo vedo voltarsi verso di me, l’aria improvvisamente smarrita.

- Non mi va di andare a scuola oggi. E poi non mi piace questo posto perché è troppo lontano e ho paura che poi ti dimentichi di me e non vieni più a prendermi!

Dice imbronciato, facendomi scoppiare a ridere prima di attirarlo a me per stringerlo in un forte abbraccio, sperando così di rassicurarlo almeno un po’.

- Ma come ti viene in mente una cosa del genere, si può sapere? Lo sai che non potrei mai dimenticare di tornare a riprenderti tesoro mio, nemmeno se ti trovassi a un centinaio di chilometri di distanza. Su, smettila adesso e pensa a raggiungere i tuoi compagni, va bene? E poi lo sai che questa è solo una condizione temporanea, almeno finchè il tuo asilo non verrà dichiarato di nuovo agibile. Con il terremoto non si scherza, lo sai, e questa è solo una piccola precauzione per stare più sicuri, ma vedrai che fra qualche giorno tornerà tutto alla normalità.

Rispondo, posandogli un bacio leggero sulla fronte e lui mi rivolge uno sguardo scettico prima di esclamare: - E se poi quando ci torniamo crolla tutto con noi dentro?

Mi lascio andare contro lo schienale, sbuffando seccata. Accidenti, perché deve essere sempre così negativo? Già, dimenticavo che è tutto suo padre, cosa potevo sperare in fondo?

- Piantala di dire scemenze!

Esclamo dandogli una pacca sul sedere per costringerlo così a scendere dalla macchina, anche se lui è più cocciuto di quanto pensassi.

- Mamma, è vero che sono nato sotto un cavolo marcio e pieno di vermi secchi come il mio cervello?

Aggiunge recuperando lo zainetto e mettendoselo in spalla, lasciandomi completamente spiazzata.

- Ma certo che non è vero Logan, si può sapere chi ti ha messo in testa una cosa simile?

Esclamo guardandolo interrogativamente.

- Grace.

Risponde subito e io sospiro, affranta. Giusto, Grace. Come ho fatto a non pensarci prima? Quella piccola streghetta e le sue trovate assurde, quando la smetterà di divertirsi a inventare storie e turbare suo fratello in questo modo? L’anno scorso è persino riuscita a convincerlo di essere invisibile perché nato da una puzzetta di un cane randagio, e adesso questo. Quella ragazzina pestifera ne sa una più del diavolo, quando torno a casa mi sente. Gli sistemo la maglietta sulle spalle e dopo averlo rassicurato che in realtà il suo cervello sta benissimo e che in giro non c’è nessun cavolo marcio che lo insegue lo convinco finalmente a raggiungere i suoi amici, e proprio quando sto per ingranare la marcia il mio cellulare si mette a squillare, facendomi trasalire e costringendomi così a restare dove sono. Controllo il display e il mio cuore fa un balzo quando leggo il nome di chi mi sta chiamando. Se non abbandona l’abitudine di telefonarmi ogni mattina a quest’ora finirà che un giorno o l’altro mi farà arrivare tardi al lavoro.

- Ehi, buongiorno.

Rispondo con voce suadente, cercando di assumere un tono normale quando l’unica cosa che vorrei fare invece è sbattergli il telefono in faccia. Calma Johanna, resta calma e fai un bel respiro profondo, perché rendere le cose più difficili non gioverà né a te né a lui e lo sai bene.

- Perché ci hai messo tanto a rispondere?

Mi dice e io sbuffo, palesemente scocciata dalle sue solite, inutili domande.

- Stavo…dormendo.

Mento spudoratamente nell’assurda speranza che se la beva e non faccia commenti, anche se conoscendolo mi sembra altamente improbabile.

- Sei sicura? Non è che per caso sei uscita di nuovo e stai cercando di fregarmi?

Accidenti. A volte vorrei che non mi conoscesse così bene.

- Ma no, certo che no. Come puoi pensare che mi metta a raccontarti stupidaggini, amore mio?

Replico nell’esatto momento in cui un’auto vicino a me si mette a strombazzare come impazzita, costringendomi a chiudere i finestrini. Maledetto pirata della strada, proprio ora dovevi scegliere di suonare quel fottuto clacson, non potevi aspettare un altro po’? Premo di più il ricevitore all’orecchio e lo sento respirare con forza, come se stesse cercando di trattenersi prima di rispondere con tono insolitamente rassegnato: - Lo sapevo, sei in macchina.

- Amore…

- Si può sapere che diavolo ci fai in macchina a quest’ora del mattino? – esplode finalmente – Spero proprio che non sia tu a guidare in questo momento, perché in tal caso…

- Christian! Vuoi darti una calmata, per favore? – lo interrompo spazientita – Vuoi sapere se sono in macchina? Sì, lo sono e sì, sto guidando io, e sai perché? Perché ho appena accompagnato Logan a scuola e adesso per colpa tua sto anche facendo tardi al lavoro!

- Pensavo di averti detto che in mia assenza non dovevi muoverti da casa, ma naturalmente te ne freghi delle mie parole non è vero? E poi cos’è questa storia che accompagni Logan a scuola? Non poteva farlo Hèlene, oppure Josè?

Eccolo lì, di nuovo con la solita solfa. È convinto che sia contornata da schiavetti che non appena schiocco le dita fanno tutto ciò che voglio, non capisce che Hèlene ha la febbre e Josè è fuori per lavoro? Glielo avrò ripetuto almeno cento volte da quando è partito. Ma lui è così, si rifiuta di ascoltare e pretende di avere sempre ragione. Accidenti a quella testaccia dura che si ritrova e accidenti anche a me, che sto ancora qui a perdere tempo con lui invece di essere già in ufficio.

- Insomma che cosa credi, che qui nessuno abbia nient’altro da fare durante la giornata che starmi dietro? E poi che significa che in tua assenza non devo muovermi da casa, non sono mica un pezzo d’arredamento! Sono un essere umano, capito? Un essere umano e non una pupattola da comandare a tuo piacimento, non so se te ne sei accorto!

- Sei incinta!

Continua a strillare, facendomi venire voglia di lanciare il telefono in strada solo per non essere più costretta a sorbirmi le sue patetiche paternali senza senso.

- Lo so benissimo – ribatto piccata – c’ero anch’io quando abbiamo concepito questa bambina!

- Fai anche la spiritosa adesso? Sono contento che la cosa ti faccia ridere perché sappi che io invece non mi sto divertendo per niente, e scusami tanto se mi preoccupo della vostra salute visto che, se non ricordo male, quella che stai aspettando è anche mia figlia!

Respiro profondamente un paio di volte, guardandomi intorno e cercando di riprendere il controllo di me stessa. Non devo agitarmi.

- Stiamo litigando di nuovo.

Puntualizzo più calma, sobbalzando quando sento la bambina riprendere a muoversi. Sorrido, accarezzandomi la pancia e cercando così di placare i suoi insistenti calcetti.

- No, non è vero.

Lo sento dire, e noto con sollievo che anche il suo tono di voce si è notevolmente abbassato. Annuisco brevemente, anche se so che non può vedermi.

- Sì invece, e nel caso ti interessasse tua figlia ha appena ripreso a muoversi.

- Davvero? – mormora dopo un breve momento di silenzio – Mi dispiace così tanto di non essere lì in questo momento, e vorrei…

- No, è a me che dispiace – lo incalzo – davvero, non volevo farti arrabbiare ma voglio che tu capisca che so badare a me stessa, perciò promettimi che la smetterai di preoccuparti in questo modo perché non ce n’è motivo.

Sospira.

- Lo so, so che sai badare a te stessa, ma è che…vorrei essere con te per avere la situazione sotto controllo perché restarti lontano proprio in questo momento è una tortura e mi fa impazzire…e comincio a dare di matto, ecco.

Faccio un debole sorriso, presa in contropiede. Dio, mi manca così tanto.

- Tesoro, non è colpa tua.

Rispondo, e so che è la verità. Insomma, come avrebbe potuto prevedere che il suo socio in affari si sarebbe ammalato di meningite proprio in questo momento? È ovvio che sia stato costretto a volare a Parigi in fretta e furia per sostituirlo e curare gli affari, ma anche per stargli vicino visto che quel poveretto se l’è vista veramente brutta. Per fortuna adesso si sta riprendendo, così tra qualche giorno Christian potrà finalmente tornare a casa dalla sua famiglia in tempo per non perdersi la nascita della nostra bambina che, a quanto pare, non ha alcuna intenzione di smettere di scalciare oggi. Cavolo quanto è insistente, comincio a non sentirmi bene.

- Non vedo l’ora di tornare da te, perciò tieniti pronta perché ho intenzione di farti passare la notte più lunga e sconvolgente di tutta la tua vita.

Mi sta dicendo e la sua voce è quasi un sussurro adesso, ed è così dannatamente sexy da farmi tremare le ginocchia.

- Quella che mi hai appena fatto era una proposta indecente, mio Cri Cri adorato? Perché in tal caso ti avverto che dovrò coprire le orecchie della piccola!

Ride e mi unisco volentieri alla sua risata prima che aggiunga: - E perché mai? Lascia pure che senta quanto il suo papà ami quella sua pazza e insopportabile mammina che fa sempre di testa sua e che non ne vuole proprio sapere di restarsene tranquilla e a riposo, invece che correre qui e là come una trottola per tutto il giorno!

- Anch’io ti amo.

Mormoro, ridacchiando divertita a quella sua battuta.

- Allora mi prometti che adesso vai a casa a fare un bel pisolino, giusto per ricaricarti un po’?

- Per tua informazione sono già carica, e ora devo andare a lavorare perciò ti saluto.

- Ok, va bene, mi arrendo. Parlare con te è una battaglia persa in partenza. Fai un po’ come ti pare ma riguardati per favore, e cerca di non stancarti troppo.

- E tu cerca di tornare presto.

Mi affretto a chiudere la comunicazione prima che gli venga in mente di raccomandarmi qualcos’altro, poi ripongo il telefono nella borsa e riprendo il mio cammino, sentendomi tremendamente in colpa. La verità è che, anche se so che ha fatto bene a comportarsi così nei confronti del suo socio a Parigi, non posso fare a meno di avercela con lui per essersene andato così da un giorno all’altro, piantandomi qui come un salame e per di più nelle mie condizioni. Ma non posso parlargliene adesso perché finirei per causargli dolore e ha già abbastanza problemi, riversargli addosso tutte le mie ansie e il mio risentimento sarebbe stupido oltre che fuori luogo. Già, sarebbe troppo per lui e non se lo merita, so che non se lo merita. Ma allora…perché continuo a pensarci?

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 Riattacca prima ancora che possa salutarla o dirle qualunque altra cosa, lasciandomi perplesso a fissare il display del telefono per qualche secondo, quasi mi aspettassi di vederci comparire sopra il suo nome prima che il rumore improvviso della porta che si apre catturi la mia attenzione, costringendomi a voltarmi verso la figura alta e ossuta che mi compare davanti. Le sorrido, facendole cenno di avvicinarsi e lei prende posto sulla sedia di fronte a me, continuando ad accavallare le gambe e a giocare nervosamente con le maniche della sua camicetta a fiori senza riuscire a star ferma, e il suo curioso comportamento non sfugge certo alla mia attenzione. Insomma, è evidente che muore dalla voglia di dirmi qualcosa così decido di non tirarla troppo per le lunghe. Sa essere davvero fastidiosa quando ci si mette.

- Ok Sophie, sputa il rospo!

Dico infatti sperando così di farla parlare il più in fretta possibile, ho troppo da fare per mettermi a dar retta anche a lei. Da quando Max è in ospedale la casa discografica di Parigi è tutta sulle mie spalle e io ho a malapena il tempo per respirare, preso come sono da mille impegni e problemi da risolvere. Per fortuna domani dovrebbero dimetterlo, così mi tratterrò qui ancora per qualche giorno prima di tornare definitivamente a casa. Questa cosa non poteva capitare in un momento peggiore ma si sa, la vita è imprevedibile, e a noi toccano tutte le conseguenze del caso. Dio solo sa quanto mi sia costato lasciare Johanna proprio in questo periodo così delicato, e anche se so che non è certo rimasta da sola non sono comunque tranquillo. È più forte di me, non riesco proprio a rilassarmi. Lei invece sembra averla presa con filosofia senza mai farmi pesare questa lontananza forzata, ma continuando invece a rassicurarmi e incoraggiarmi in tutti i modi possibili, facendomi sentire ancora più in colpa per questo. Forse sono io a essere troppo apprensivo, dovrei darmi una calmata una volta per tutte. A volte mi chiedo come abbia fatto un idiota come me a meritare una donna tanto straordinaria, gliene ho fatte passare così tante eppure lei è sempre lì, pronta a sostenermi in ogni occasione, anche se questo significa dover rinunciare ad avermi vicino. Almeno per un po’.

- Indovina? – esclama la mia amica, scattando in piedi e saltellando da una parte all’altra della stanza fino a farmi girare la testa – Ho il permesso di portare mio figlio in vacanza con me, perciò…tra una settimana ti seguiamo a Love Island!

Mi si getta fra le braccia e io la stringo forte, sinceramente felice per questa splendida notizia. Da quando è tornata a Parigi ha fatto passi da gigante con la famiglia che ha adottato il suo bambino, riuscendo pian piano a riconquistare la loro fiducia fino a compiere questo piccolo miracolo. Tutti i suoi sogni si stanno finalmente avverando e io sono tanto orgoglioso di lei.

- Dovrò cominciare a preparare la sua valigia – riprende, e sembra un fiume in piena – ricordarmi di portare i suoi giocattoli preferiti, e poi…

- Dunque potrai finalmente rivedere Charles.

La interrompo guardandola sornione e lei fa una piccola smorfia, lanciandomi contro un cuscino e facendomi scoppiare a ridere divertito dall’espressione che assume ogni volta che si parla di lui.

- Piantala – sbotta – so dove vuoi arrivare ma sei completamente fuori strada perché non c’è niente tra me e Charles, e lo sai bene! Noi due siamo solo amici.

- Davvero? Eppure l’ultima volta che vi ho visti insieme non mi è sembrato affatto!

La punzecchio, facendola ridacchiare sotto i baffi.

- Sei proprio un idiota, lo sai? Quante volte dovrò ancora ripeterti che l’unico uomo della mia vita è mio figlio e che non sono ancora pronta per buttarmi in una relazione seria…

Le lancio uno sguardo scettico, incrociando le braccia al petto.

- E chi ha parlato di una relazione seria? Potresti semplicemente cogliere la palla al balzo e divertirti un po’.

Si avvicina, studiandomi perplessa per qualche secondo prima di scoppiare improvvisamente in una sonora risata.

- Ho davvero sentito bene? Sai, è una vera fortuna che tua moglie non sia qui ad ascoltare i consigli pessimi e diseducativi che mi stai dando, mio Cri Cri adorato!

Mi prende in giro, dandomi un buffetto sul braccio e contagiandomi ben presto con la sua allegria e solarità. Non so proprio come avrei fatto a cavarmela in questi giorni se lei non mi fosse stata vicino e comincio seriamente a pensare che questa piccola matta sia davvero il mio angelo custode…

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 Quando arrivo in ufficio, la prima cosa che sento è una gradevole fragranza che solleticando le mie narici mi fa quasi girare la testa e ci metto un po’ a capire che in realtà proviene dalla mia scrivania, dove con mia grande sorpresa scopro la più grande composizione di rose rosse che si sia mai vista, adornata da una sottile carta trasparente che ne mette in evidenza i delicati petali. Trattengo il respiro, avvicinandomi di più per osservare meglio quell’affascinante spettacolo ed è a quel punto che la voce di Laly mi distrae, costringendomi a voltarmi verso di lei che dalla sua postazione mi lancia strani sguardi enigmatici di cui non riesco a comprendere il senso.

- Sono arrivati questa mattina – dice – per te dal signor McDowell, o forse preferiresti chiamarlo Greg, visto il grado di confidenza che si è instaurato fra voi in questi giorni!

Scuoto la testa, sbuffando seccata. Eccola che ricomincia con la solita storia.

- Non c’è proprio alcun grado di confidenza fra noi Laly, smettila con questi discorsi. È solo un cliente come un altro.

Ribatto sedendomi al mio posto, o almeno provando a farlo viste le fastidiose dimensioni della mia pancia, che sono costretta a proteggere con entrambe le mani per paura che batta sulla scrivania.

- Un cliente schifosamente ricco e follemente innamorato di te che passa le sue giornate a sommergerti di fiori.

Continua imperterrita.

- Solo per ringraziarmi di averlo aiutato ad acquistare quella villa stupenda, che solo per poco non gli è stata soffiata via da sotto il naso.

Puntualizzo, sistemando il fascio di rose in un vaso capiente e annusandone il delicato profumo. Sono davvero belle, le adoro.

- Andiamo Johanna, sei seria? Quelle sono rose rosse! Quel genere di fiori si regala solo alla propria fidanzata, oppure alla donna che si vuole conquistare.

- E guarda caso dovrebbe buttarsi su una donna sposata e incinta del proprio marito, vero? Tieni a bada la fantasia Laly, ti servirà per evitare di spararle grosse!

La sento sospirare profondamente per poi accasciarsi sulla scrivania, prima di sussurrare con aria trasognata: - Accidenti, hai proprio tutte le fortune! Non sai quanto piacerebbe anche a me ricevere delle rose rosse in dono, sarebbe così romantico…se solo a Roy fosse venuto in mente, una volta tanto!

Sgrano gli occhi, guardandola incuriosita mentre mi metto davanti una pila di documenti che attendono di essere firmati.

- Mio fratello sa essere romantico quando vuole.

Considero con un’alzata di spalle e lei fa una smorfia infastidita, corrugando la fronte come se avessi detto la più grossa stupidaggine del mondo.

- Certo, come no – ribatte subito – del resto l’ultima frase romantica che è stato capace di dirmi era “che c’è per cena?” mentre stava spaparanzato sul divano a guardare le partite di calcio!

Rido immaginando quella buffa scena, ma mi fermo quasi subito per via di una fastidiosa fitta al basso ventre che mi fa piegare leggermente su me stessa, ma è solo un attimo, perché poco dopo tutto torna alla normalità e io vengo di nuovo investita dalla voce stridula della mia amica che continua imperterrita a snocciolare tutti gli esilaranti difetti del fidanzato.

- Inoltre - prosegue, gesticolando furiosamente – da quando Benedicte lo ha assunto al locale ha preso l’abitudine di ingozzarmi di frullati di mela perché pensa sia il modo migliore per favorire una nuova gravidanza, e non chiedermi come gli sia venuta in mente una cosa simile perché non ne ho la minima idea…

Continua a parlare ma io non l’ascolto quasi perché quella fitta dolorosa si è appena ripresentata e continua ad artigliarmi l’addome con forza crescente anche se imploro di smettere, mozzandomi il respiro. Ci vuole qualche secondo prima che Laly si accorga di quello che sta succedendo, e quando si precipita verso di me la mia vista è già annebbiata e il respiro si fa sempre più affannoso, impedendomi quasi di parlare.

- Johanna che cos’hai, va tutto bene?

Esclama con aria preoccupata, chinandosi su di me e accarezzandomi ritmicamente le braccia per provare a calmarmi.

- Io…io credo di avere le doglie – mormoro a fatica – ma è troppo presto, mancano ancora tre settimane. Mio Dio no, non può nascere adesso. Christian non è ancora tornato da Parigi, così si perderà tutto quanto…

- Non pensare a questo adesso – mi incalza, e sembra persino più agitata di me – se la bambina ha fretta di venire al mondo non puoi fermarla, nessuno di noi può farlo, perciò respira profondamente e cerca di mantenere la calma. Io intanto chiamo subito un’ambulanza e avverto anche gli altri.

Fa per allontanarsi ma io la trattengo per un braccio, stringendolo forte quando sento arrivare un’altra contrazione.

- Avverti Christian, per favore. Digli…digli di venire subito qui.

Sibilo a denti stretti, pur sapendo che anche se riuscisse a volare sul primo aereo in questo istante, sarebbe comunque troppo tardi…

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Percorro il lungo corridoio dell’ospedale con il cuore in gola e più velocemente che posso, sforzandomi di non guardare l’orologio perché se lo faccio la mia spaventosa mancanza mi si delineerà davanti a chiare lettere per la milionesima volta, cancellando così con un colpo di spugna l’assurda, se pur rassicurante illusione che in realtà sia tutto nella mia testa. Che io non sia tremendamente in ritardo in questo momento, e che non mi sia perso la nascita della mia bambina. Mi trascino faticosamente dietro la valigia, diventata all’improvviso fastidiosamente ingombrante tanto da riuscire a rallentarmi il passo, ma io non demordo e con le ultime forze rimastemi mi affretto ad aprire la porta bianca di fronte a me, cercando di fare meno rumore possibile quando entro nella stanza immersa nella penombra. Ed eccola lì, distesa sul letto e avvolta da candide lenzuola che odorano di alcool, l’aria stanca e spossata mentre riapre lentamente gli occhi per incontrare i miei, che in preda a una strana e crescente euforia saettano da lei alla piccola culla che ha vicino, scatenandomi dentro una ridda di emozioni tali da riuscire in breve tempo a sopraffarmi, facendomi capitolare.

- Oh Johanna, tesoro, mi dispiace così tanto…

Mormoro con voce rotta precipitandomi verso di lei che mi avvolge subito in un caldo abbraccio, affondando la testa nell’incavo della mia spalla mentre la stringo forte, respirando il profumo dei suoi capelli e sentendomi finalmente a casa. La scosto da me quanto basta per tornare a specchiarmi nei suoi occhi chiari che mi guardano penetranti, sfiorando il suo viso con dolcezza prima che le mie mani scendano ad accarezzarle ritmicamente le spalle, come a cercare di rassicurarla che sono tornato per restare e che non la lascerò mai più sola. È in quel momento che un improvviso, flebile vagito cattura la mia attenzione, costringendomi ad allontanarmi da mia moglie solo per chinarmi lentamente sulla culla, senza riuscire a contenere l’emozione.

- Qualcuno è ansioso di conoscerti.

Mi sussurra Johanna con un sorriso mentre mi guarda prendere delicatamente la bambina tra le braccia e, senza preavviso, i miei occhi si inumidiscono. Batto più volte le palpebre nel vano tentativo di scacciare via le lacrime che offuscano il visetto paffuto della mia piccola, che adesso si muove dolcemente contro il mio petto e mi chino a baciarla sulla fronte, sfiorando con un dito la pelle delicata delle sue manine strette a pugno prima di sedermi sul letto con cautela, senza riuscire a staccare gli occhi da lei.

- È…così perfetta, così meravigliosa.

È tutto ciò che riesco a dire sollevando finalmente lo sguardo per incontrare di nuovo quello di Johanna, che mi accorgo osservarci con un’adorabile euforia distante dipinta sul viso che per un attimo la fa sembrare ancora più bella.

- Lei aveva tanta fretta di venire al mondo – mormora accarezzandola con gesti gentili – e non ha voluto aspettare che il suo papà tornasse a casa, vero tesoro?

Noto una strana apprensione nella sua voce, come se improvvisamente si stesse sforzando di non piangere e mi sporgo verso di lei per sfiorarle le labbra con un bacio.

- Sono così dispiaciuto di non aver fatto in tempo, di non esserti stato vicino quando avevi più bisogno di me…

- Shh – mi interrompe posandomi un dito sulle labbra – sei qui adesso, e questa è l’unica cosa che conta.

Le sorrido e per un po’ ce ne stiamo in silenzio, intenti a osservare rapiti il respiro lento e regolare di nostra figlia che adesso si è pacificamente addormentata fra le mie braccia. C’è un nome che continua a ronzarmi in testa ogni volta che la guardo, quasi come se fosse lei stessa a suggerirmelo e non faccio in tempo a pensarci che mi ritrovo a pronunciarlo ad alta voce, e quasi senza rendermene conto.

- Megan…

Mormoro cullandola dolcemente e Johanna mi lancia uno sguardo strano, interrogandomi a lungo con gli occhi prima che mi decida a rispondere.

- Bè – comincio infatti con voce incerta – so che dici sempre che sono un disastro con i nomi ma non so per quale motivo questo mi sembra proprio adatto a lei, e considerando che non abbiamo ancora deciso come chiamarla, io…pensavo che…

Esito, palesemente a disagio mentre la sua espressione si fa via via più seria, come se si stesse sforzando di ascoltarmi con attenzione prima di rispondere: - È…è assolutamente…

Fa una breve pausa durante la quale comincio a pensare a parole come “inaccettabile” e “fuori luogo” per completare la sua frase, ma i suoi lineamenti si distendono ben presto in un piccolo sorriso rassicurante che finisce così per fugare ogni mio dubbio.

- …perfetto – prosegue, accarezzandomi una guancia e catturando le mie labbra in un bacio dolcissimo – Megan sembra proprio il nome giusto per lei. Ogni tanto mi sorprendi amore mio, non riesco proprio a immaginare come possa esserti venuta in mente così, di punto in bianco un’idea talmente carina.

- È stato facile – ribatto, ringalluzzito – in realtà mi è bastato pensare a Megan Sturm, l’eroina dei fumetti che mi divertivo a leggere da adolescente. Una strafiga pazzesca che se ne andava in giro mezza nuda e con un paio di stivali leopardati, saltellando sui tetti della città neanche fosse Cat Woman e…

Mi interrompo, notando la sua espressione accigliata.

- Che c’è?

Le domando poi, senza capire.

- Sei disgustoso.

Dice incrociando le braccia al petto e sollevando il mento con aria di sfida, assumendo d’un tratto quell’aria da bambina capricciosa che mi fa letteralmente impazzire e ancora una volta mi rendo conto di quanto mi sia mancata in questi giorni.

- Ma…credevo di aver capito che ti piacesse, che il nome era perfetto per lei…

- E secondo te dovrei chiamare mia figlia come una prostituta protagonista di un volgare manga per pervertiti?

Mi incalza, facendomi sussultare. Accidenti, avevo dimenticato quanto fosse volubile. E offensiva, aggiungerei.

- Mi stai forse dando del pervertito, per caso?

- Certo, è proprio quello che ho detto e se vuoi te lo ripeto di nuovo: pervertito senza un briciolo di decenza!

Cos’è che avevo detto poco fa, che mi è mancata? Ok ritiro tutto, in realtà volevo dire che è un’insopportabile rompiscatole e che non ho sentito per niente la sua mancanza…

Va bene, lo so, sono un pessimo bugiardo.

Abbasso lo sguardo sulla bambina ancora profondamente addormentata, accarezzando la sua pelle morbida come velluto e chinandomi a baciarla di nuovo. È così piccola, così dolce…è mia figlia, e sono già follemente innamorato di lei.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Megan è nata da appena tre settimane e dimostra già di essere una grande intrattenitrice notturna, tanto che gli altri due al suo confronto sono stati dei dilettanti. La sua ora preferita è l’una del mattino, quando comincia a strillare come la protagonista di un film horror a cui hanno appena mozzato una mano e tu sei costretta a trascinarti giù dal letto con la sensazione di esserti addormentata soltanto da pochi minuti. Ma le piacciono anche le due, le cinque e piuttosto di frequente le tre. Inutile dire che già di primo mattino mi sento completamente a pezzi, come se avessi i postumi di una sbornia. L’aspetto positivo è che Sophie è tornata da due settimane per passare da noi le vacanze estive portando con sé suo figlio, un bambino adorabile che ha subito stretto amicizia con Logan e che di tanto in tanto mi da una mano a placare l’ira funesta dell’ultima arrivata, visto che se dipendesse da mio marito starei fresca. No, non fraintendetemi, Christian adora sua figlia e passa con lei ogni momento libero ma in questo periodo sta lavorando davvero tanto, forse un po’ troppo per i miei gusti. Insomma, so che ha un sacco di lavoro arretrato per via di tutto quel tempo che  ha dovuto passare a Parigi in sostituzione del suo socio in affari e non voglio certo fargliene una colpa, ma comincio davvero a sentirmi…un po’ trascurata, ecco. Inoltre adesso non fa che lamentarsi da ore perché convinto che in sua assenza mi sia divertita a spostare dei documenti “di vitale importanza” come li definisce lui, e non gli passa nemmeno per l’anticamera del cervello che io invece abbia avuto tutt’altro per la testa che pensare a impicciarmi degli affari suoi, nei giorni in cui è stato via. Lo osservo continuare a camminare avanti e indietro per il soggiorno con aria infastidita mentre seduta sul divano cullo Megan, che dopo aver urlato fino a farsi scoppiare i polmoni e senza alcun motivo apparente ora si è finalmente addormentata. Almeno spero. Il fatto è che con i bambini piccoli non sai mai cosa aspettarti, e lei promette già di essere un bel tipino tosto e molto esigente. Ad esempio, la culla fatta a mano dove fino a qualche anno fa dormiva Logan non le piace affatto e così anche la culla a dondolo, dove non fa che dimenarsi irritata perché in realtà ciò che preferisce di più è starsene in braccio a qualcuno per tutto il giorno e gran parte della notte. Senza tregua.

- Dovresti imparare a tenere le mani lontane dalla mia roba!

Continua a sbraitarmi contro Christian ogni volta che mi passa accanto, facendomi sbuffare. Accidenti, comincia seriamente a stancarmi con questa storia.

- E tu dovresti imparare a essere più ordinato, una volta tanto!

Ribatto risentita, evitando di muovermi più del dovuto per non svegliare la bambina.

- Mamma, posso tenerla?

Mi chiede intanto Grace, che seduta vicino a me osserva la sorella come rapita.

- Certo, tesoro – rispondo – fai attenzione però. Ecco, prendila piano, così. E attenta alla testa.

La prende delicatamente dalle mie braccia e comincia a cullarla dolcemente, sfiorandole la guancia paffuta con un bacio.

- È così carina, è sicuramente meglio che avere un cane.

Dice facendomi sorridere divertita, ma proprio mentre sto per dire qualcosa Logan decide di precedermi, lamentandosi con aria imbronciata: - Io invece avrei preferito mille volte avere un cane piuttosto che questa rompiscatole frignosa! Non ho mai voluto una sorellina, si può sapere chi ve l’ha chiesta? Io no di certo!

Comincia a pestare i piedi furiosamente e a quel punto i miei tentativi di riprenderlo risultano vani, tanto che alla fine decido di desistere e lasciarlo andare da suo padre, che chino sullo scrittoio sta esaminando scrupolosamente l’interno di un cassetto e sembra non fare nemmeno caso a lui che intanto ha ripreso a piagnucolare, girandogli intorno come una farfalla impazzita e rischiando, se possibile, di irritarlo ancora di più.

- Papà, mi porti a giocare fuori? Ricky non c’è e io mi annoio.

Protesta, tirandolo per la maglietta un paio di volte prima che lui si decida finalmente a rispondergli.

- Non ora, Logan.

È tutto ciò che dice senza neanche alzare gli occhi da ciò che sta facendo, scatenando così le sue ire.

- Papà…

Comincia ad alzare la voce, richiamando fastidiosamente la sua attenzione finchè non decido di intervenire. Quando fa così è insostenibile.

- Adesso basta Logan, fa’ il bravo. Giocherai  più tardi con Grace.

Lo riprendo infatti, ma ho appena finito di pronunciare la frase che mia figlia se ne esce con una delle sue solite espressioni infelici, dimenandosi infastidita sul divano e rischiando più volte di svegliare Megan, che comincia a muoversi piano fra le sue braccia.

- Che cosa? – esclama – Non ci penso nemmeno, preferisco morire piuttosto che dovermi occupare di uno stupido nanerottolo con quoziente intellettivo pari a zero come lui!

- Io non sono un nanerottolo, e tu sei brutta e pazza come una vecchia strega bavosa!

- Che cosa hai detto? Vieni qui a ripeterlo, se ne hai il coraggio!

Ma per tutta risposta Logan le fa una linguaccia e corre via verso la spiaggia prima ancora che abbia il tempo di fermarlo.

- Logan torna qui…

Dico inutilemte mentre riprendo in braccio la bambina e torno a cullarla lentamente per conciliarle il sonno.

- Ecco, hai visto? – rimprovero spazientita la mia primogenita, che adesso mi fissa con aria ostile – Finisce sempre così tra voi due. Su, esci e vedi di non perderlo di vista nemmeno per un secondo!

- Ma mamma, non mi va!

- Grace, per favore, evita di discutere anche su questo.

Si rialza con uno scatto improvviso, sbuffando rumorosamente mentre si avvia verso la porta sibilando: - Uffa, perché tocca sempre a me stargli dietro? Che palle!

- Grace – urla d’un tratto Christian dalla sua postazione, facendoci trasalire entrambe – un’altra parola come quella e giuro che ti mollo un ceffone che te lo ricordi finchè campi! E adesso vai a recuperare tuo fratello, subito!

- Ma papà…

- Papà un corno! Vai, ho detto!

- Sei un tiranno!

Replica lei imbronciata, affrettandosi poi a richiudersi la porta alle spalle per paura che suo padre la raggiunga di corsa e finisca per adempiere a ciò che ha appena minacciato di fare, anche se so bene che non oserebbe mai torcerle nemmeno un capello. Ma gli piace spadroneggiare e rivendicare la sua autorità di tanto in tanto, tutto qui. Comunque sia sono così stanca e spossata che non ho proprio la forza di commentare tutto questo adesso, e come se non bastasse le urla continue di tutti hanno appena svegliato Megan, che si esibisce subito in uno dei suoi terribili pianti liberatori che mi fanno sempre venir voglia di fuggire per terre lontane.

- Ma bravo, complimenti! Hai visto cos’hai combinato?

Esclamo lanciando un’occhiataccia torva all’indirizzo di mio marito, che mi guarda basito.

- Guarda che non è colpa mia se non sei in grado di ristabilire l’ordine in questa casa! Ci vuole così tanto a imporre loro di fare un po’ di fottuto silenzio?

Ribatte, guardandomi come se volesse incenerirmi. Adesso sta davvero esagerando.

- Vedi? E poi ti meravigli che i tuoi figli usino le parolacce? Dovresti essere tu a dargli il buon esempio, e invece non fai che imprecare contro tutto e tutti.

- Se imprecassi davvero contro tutto e tutti, come dici tu, adesso sarei a casa di quell’idiota di tuo fratello a prenderlo a calci nel sedere!

- E si può sapere cosa vorresti dire con questo?

Si passa le mani tra i capelli, furioso, mentre Megan inizia a strillare più forte.

- Semplicemente che i bambini passano troppo tempo con lui per i miei gusti e non è affatto necessario, visti i risultati! È un pessimo esempio per loro ed è colpa sua se dicono le parolacce, perché le imparano da lui e…

Si interrompe di colpo non appena sente il suono del campanello e subito si precipita ad aprire la porta, imprecando sottovoce strani epiteti che non riesco a comprendere perché coperti dal pianto insistente di Megan, che intanto cerco disperatamente di placare.

- Potresti almeno degnarti di darmi una mano a calmare tua figlia!

Gli dico dietro ormai al limite della sopportazione, alzando la voce più di quanto intendessi fare e guardandolo mentre si volta verso di me con una strana espressione dipinta sul viso.

- Bè, scusa tanto se sono così impegnato a cercare un documento che mi serve immediatamente, e che TU hai pensato bene di far sparire Dio solo sa dove!

Finalmente apre la porta con uno scatto furioso, salutando a malapena Hèlene prima di uscire in tutta fretta e senza nemmeno darmi il tempo di replicare alla sua ennesima, ingiusta accusa.

- Johanna, va tutto bene? Vi si sente urlare da fuori, e…

- No – la interrompo, e sento le lacrime salire presto a bruciarmi le palpebre – non va bene per niente. Christian non fa che urlarmi contro senza nemmeno preoccuparsi di come mi senta, Megan continua a piangere senza sosta e io sono stanca, tanto stanca…

Non riesco a continuare la frase perché un improvviso nodo alla gola mi impedisce di parlare, facendomi esplodere in un singhiozzo convulso mentre in breve tempo do sfogo a tutte le mie lacrime.

- Ehi…tesoro calmati, ti prego. Su, dammi la bambina.

Si avvicina e prende Megan dalle mie braccia, cullandola a lungo e facendole un sacco di buffe smorfie per provare a calmarla anche se, conoscendo mia figlia, l’impresa si rivela davvero ardua.

 

 

- Sai cosa penso? Che tu abbia bisogno di staccare un po’. Sei rimasta chiusa in casa per tre settimane e tra gli ormoni e tutto il resto adesso stai cominciando a dare di matto, ed è comprensibile. Che ne diresti di portare questa piccolina a fare una bella passeggiata all’aria aperta?

Sentenzia la mia amica appena mezz’ora dopo e io lancio uno sguardo attento in direzione di Megan che adesso dorme pacificamente nel suo passeggino, permettendomi finalmente di ritrovare un po’ di lucidità. Ma sì, in fondo Hèlene ha ragione, una passeggiata sulla spiaggia non potrà certo farle male. Passiamo così il pomeriggio all’aria aperta e dopo qualche compera per la bambina raggiungiamo Laly in ufficio, trattenendoci a parlare con lei fin quasi al tramonto, ed è allora che mi rendo conto di cosa ho davvero bisogno per stare finalmente meglio. Ma sì, io voglio tornare al lavoro. E non mi interessa se Christian pensa che sia ancora troppo presto perchè solo io posso decidere davvero della mia vita, costi quel che costi…

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Apro il frigo alla ricerca di qualcosa di sfizioso per la prima colazione che stuzzichi il mio appetito, ma niente. Stamattina non ho proprio fame e a dire la verità tornerei volentieri sotto le coperte, visto che non ho praticamente chiuso occhio la notte scorsa. Arriccio il naso e lo richiudo facendo una smorfia e in quel momento in cucina compare Sophie, tutta scarmigliata e con un’aria così buffa e insonnolita da farmi quasi scappare da ridere, ma poi mi ricordo che il mio aspetto non deve essere poi tanto diverso dal suo, considerata la nottataccia insonne appena trascorsa. Non posso fare a meno di sentirmi un po’ in colpa verso di lei, probabilmente non si aspettava di incappare in tutto questo trambusto. E a dir la verità nemmeno io.

- Oh mio Dio – esordisce lasciandosi cadere sul divano, affranta – tu e tua moglie  avete messo al mondo la figlia del demonio! Mi chiedo che diavolo abbia quella ragazzina al posto delle tonsille visto che sembra una locomotiva a vapore, è una tortura!

Alzo le spalle con riluttanza, lanciandole un’occhiata solidale.  

- Nemmeno tu sei riuscita a dormire, vero?

Le chiedo, guardandola annuire energicamente prima di esibirsi in una smorfia infastidita e  rannicchiarsi con le ginocchia al petto, sbuffando.

- Già – risponde – e ogni volta che chiudevo gli occhi mi sembrava di sentire l’inno alla gioia di Beethoven direttamente dentro alle orecchie. Richard invece ha dormito come un sasso per tutta la notte. Beato lui, quanto l’ho invidiato.

- Mi dispiace.

È tutto ciò che riesco a dire, affranto, ma lei mi rassicura con un piccolo sorriso.

- E perché mai dovrebbe dispiacerti? Non è mica colpa tua.

Risponde infatti.

- Bè, cerca di rimetterti in piedi però o ti perderai l’ennesima, romantica gita in barca insieme a Charles!

Aggiungo, stuzzicandola giocosamente per distrarla e allentare la tensione e lei mi guarda con uno strano sorrisetto dipinto sul viso che vale più di qualunque parola. Già, come se riuscisse a darmela a bere.

- Ma senti un po’ che spiritoso!

Esclama, ridacchiando imbarazzata.

- Coraggio, ammetti una volta per tutte che ti piace! Credi forse che non abbia gli occhi?  Ho visto come lo guardi.

- Quando imparerai a farti gli affari tuoi, razza di impiccione?

Replica fingendosi infastidita, ma poi entrambi scoppiamo in una sonora risata. Sophie è sempre così allegra e solare da riuscire in un attimo a cambiarti completamente la giornata, è questo che mi piace di lei.

- Su, non c’è niente di male, sai?

Insisto continuando a ridere ed è proprio in quel momento che mia figlia fa il suo ingresso in cucina, e sembra così pallida e stanca da riuscire a impensierirmi all’istante.

- Grace, che cosa c’è tesoro, non ti senti bene per caso? Avanti, vieni a fare colazione.

Le metto davanti un piatto abbondante di uova e pancetta appena cucinati, ma lei sembra già rifiutarli con lo sguardo.

 - Non ho fame.

Dice scuotendo la testa e a quel punto mi avvicino in fretta, tastandole la fronte e le guance e lei si dimena con aria infastidita, sbuffando rumorosamente e allontanando la mia mano dal suo viso con un gesto frettoloso che mi lascia perplesso.

- Non è che hai la febbre, per caso?

Le chiedo, cercando di capirne di più ma la sua successiva risposta mi stordisce quasi, prendendomi in contropiede.

- Non ho niente papà, vuoi lasciarmi in pace adesso? Mi hai veramente stancato!

Esclama, poi corre verso il soggiorno senza voltarsi indietro mentre cerco lo sguardo di Sophie, che si limita a fare spallucce con aria contrita.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


- Dovevi svegliarmi Christian, si può sapere perché cavolo non lo hai fatto?

Continua a ripetermi mentre si veste frettolosamente, rischiando più volte di inciampare nei suoi stessi piedi quando cerca di infilarsi le scarpe sotto i miei occhi allibiti. Non posso credere che mi stia davvero chiedendo una cosa del genere dopo la tremenda notte insonne che ci siamo appena lasciati alle spalle. A volte mi domando se conosca i suoi limiti e se sia consapevole di trovarsi nel corpo di un semplice essere umano, e non in quello di una specie di supereroe in gonnella con tanto di poteri  soprannaturali al seguito.

- Eri stanca, Johanna – protesto, cominciando a innervosirmi non poco – Megan non ci ha lasciati dormire per niente e ti ho vista appisolare soltanto all’alba, quando anche lei si è finalmente addormentata. Cos’altro avrei dovuto fare se non lasciarti riposare un po’?

- Non so, magari evitare di staccare la sveglia che avevo puntato alle sette per alzarmi in tempo e riuscire finalmente ad andare al lavoro?

Ribatte piccata, afferrando la borsa e scendendo le scale di corsa mentre mi affretto a seguirla.

- Sai bene come la penso riguardo a questa storia – insisto – ne abbiamo già parlato, e…

- Bè, sai che c’è – mi interrompe – non mi importa un accidente di quello che pensi tu, perché i tuoi patetici tentativi di controllarmi a ogni costo mi hanno veramente stancata!

Arriviamo al piano di sotto, dove Megan sta beatamente dormendo nel passeggino avvolta dal suo morbido lenzuolino rosa, attorniata da teneri pelouches e giocattoli vari che forse è ancora troppo presto per usare.

- Non si tratta di questo – rispondo abbassando il tono di voce per evitare di svegliare mia figlia – non sto affatto cercando di controllarti, ma non riesco proprio a comprendere questa tua assurda fretta di tornare al lavoro. Insomma…c’è tempo per questo, no? La bambina è ancora piccola e mi piacerebbe che restasse a casa, tra le sue cose ancora per un po’, e che tu impiegassi questo tempo a disposizione per riposarti. Voglio dire, potresti ad esempio…

- Tutte stupidaggini – mi incalza di nuovo, il tono di chi non ammette repliche. Quando fa così avrei proprio voglia di prenderla a schiaffi – non ho bisogno di riposarmi e lo sai bene. Per te ogni scusa è buona per mettermi al guinzaglio senza neanche preoccuparti di quello che penso, o magari di come possa sentirmi. Il fatto che siamo sposati non ti autorizza di certo a comandarmi a bacchetta a tuo piacimento, perciò non azzardarti a dirmi quello che devo fare perché posso benissimo decidere da sola della mia vita e adesso, che ti piaccia oppure no, io andrò al lavoro!

Fa per aprire la porta d’ingresso ma io la blocco sul tempo, trattenendo apposta il passeggino con entrambe le mani e lanciandole un’occhiata di fuoco mentre le impedisco di uscire. Quando capirà che non può sempre averla vinta come una bambina capricciosa, e che il fatto che siamo sposati mi autorizza eccome ad aver voce in capitolo su tutte le decisioni che invece lei si diverte a prendere senza neppure consultarmi?

- Se vuoi andare al lavoro fai pure – sibilo a denti stretti, fremendo di rabbia – Megan però resta qui.

Per un attimo mi fissa come se non comprendesse le mie parole.

- Scusa, che cosa hai detto? Mi stai per caso impedendo di uscire di casa insieme a mia figlia?

- È proprio quello che hai sentito – dico con aria di sfida – non voglio che la bambina si muova da questa casa. Ha bisogno di calma e tranquillità, tutte cose che in ufficio da te non troverà di certo e vista questa tua stupida smania di tornare al lavoro a ogni costo allora sì, Megan resterà qui. Fine della storia.

- Quindi è questo che stai facendo, cercare di ricattarmi per costringermi a cedere? Benissimo, tieniti pure la bambina allora perché oggi, se non ti fosse ancora chiaro, ho intenzione di star via per tutto il giorno! Ammesso che tu riesca a resistere.

Mi grida dietro con odiosa aria di scherno, mollando di colpo il passeggino e richiudendosi la porta alle spalle con un sordo tonfo che mi fa trasalire. Farebbe di tutto per non darmela vinta, è sempre stato così con lei. Una continua guerra psicologica. Bene, vedremo chi la spunterà. Crede forse che abbia paura di restare da solo con una neonata per qualche ora? Se vuole la guerra, l’avrà. Si ricrederà sul mio conto, e quando accadrà la costringerò a scusarsi per come mi ha trattato oggi. Ok piccola spaccatimpani, adesso a noi due…

 

 

Oh Dio. Oh mio Dio, che il cielo prima mi stramaledica e poi mi fulmini all’istante se mi azzardo un’altra volta a fare il gradasso. Sono passate…quante ore, due o tre? Bè, sembrano cinquanta giorni. Cinquanta terribili giorni tra poppate, pannolini e strilli continui, senza un attimo di tregua. Johanna ha chiamato un paio di volte per sapere come andassero le cose ma io ho sempre risposto “Alla grande” con la sensazione che il cervello mi stesse per esplodere praticamente ogni quarto di secondo. Ma non le darò mai la soddisfazione di ammettere la sconfitta, preferisco morire che cedere così facilmente. Passo gran parte della giornata solo con Megan, perché Logan è a pranzo da Charles insieme a Sophie e al piccolo Richard, e Grace, che aveva deciso di passare la mattinata a casa di Hèlene a collaudare la nuova piscina rientra solo a ora di pranzo, senza dire una parola e con una tale aria da funerale che per un momento mi fa preoccupare che sia successo qualcosa di brutto. Quando le chiedo spiegazioni, facendole tra l’altro notare quanto poco mi sia piaciuto il suo strano comportamento nei miei confronti appena poche ore prima, però, lei risponde evasivamente, e dopo avermi liquidato con un’alzata di spalle si rifugia mestamente in camera sua e sembra quasi più pallida del solito. Quella ragazzina comincia seriamente a preoccuparmi da un po’ di tempo a questa parte, è sempre così scontrosa e taciturna e non solo con me, ma anche con sua madre a volte e questo non è proprio da lei. Dov’è finita tutta la sua allegria, quell’adorabile solarità che l’ha sempre contraddistinta?

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 Sono in ufficio ormai da un paio d’ore e Megan comincia già a mancarmi terribilmente. Il fatto è che da quando è venuta al mondo questa è la prima volta in assoluto che mi separo da lei per così tanto tempo e mi sento un po’ in colpa per non averla portata con me, lasciandola invece con suo padre. Ma era l’unico modo per far capire a quel testone che deve rispettare le mie decisioni e non cercare di andarmi contro praticamente ogni momento della mia vita, finendo così per farmi saltare i nervi. È tutto così strano tra noi da un po’ di tempo, ci sono momenti in cui ho la sensazione di non sentirlo più così vicino, come se il nostro speciale canale di comunicazione si fosse d’un tratto alterato. Come se fosse stato improvvisamente interrotto senza un motivo apparente, e noi non ci trovassimo più sulla stessa lunghezza d’onda. È stato via solo per poco tempo prima che la bambina nascesse ma a me è sembrata un’eternità e mi sono sentita tanto sola senza di lui, specialmente in ospedale. Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo e quasi senza volerlo la mia mente ha ripercorso il momento della nascita di Grace e…tutto il resto, abbracciando un periodo ormai lontano della mia esistenza ma ancora perfettamente scolpito nel mio cuore, come una dolorosa istantanea che non mi abbandona mai e per un attimo, un attimo soltanto, ho avuto paura che la storia si ripetesse anche stavolta. Che lui non sarebbe più tornato da me e che io mi sarei ritrovata ancora una volta sola, in balìa di un evento che stavolta non sarei stata in grado di gestire. Non senza di lui. Lo so che nessuno di noi poteva prevedere che Megan sarebbe venuta al mondo prima del tempo e quindi in sua assenza, e so che Christian non ha nessuna colpa per ciò che è successo ma, in fondo al mio cuore, io sento di non riuscire a perdonarlo. È un sentimento irrazionale e completamente privo di logica, ne sono perfettamente consapevole, ma questo non mi impedisce certo di continuare a provarlo. E poi lui è così distante, praticamente assente oserei dire, sembra dar sempre tutto per scontato ed è completamente preso dal suo lavoro e dalla bambina, tanto che quasi non mi guarda più in faccia. Come se mi fossi trasformata d’un tratto in un comune pezzo d’arredamento che non merita alcuna attenzione e questo mi fa stare male, ma…non riesco a dirglielo. Non ho la forza né la voglia di raccontargli di come mi sento né di cosa avrei bisogno in questo momento, e mi fa rabbia che non sia così perspicace da accorgersene da solo. Il rumore delle porte a vetri che si aprono mi riporta alla realtà, catturando la mia attenzione e risvegliando di colpo il mio appetito, tanto che dopo una rapida occhiata all’orologio da parete mi rendo conto che è quasi ora di pranzo e che dovrei pensare seriamente a fare una pausa, se non voglio svenire su questa scrivania.

- Greg, ciao!

Lo saluto allegra non appena lo vedo entrare, capelli biondi dolcemente spettinati dal vento e sorriso ammiccante mentre si avvicina lentamente, salutando Laly con un breve cenno del capo prima di raggiungere la mia postazione e stringere calorosamente le mie mani, accarezzandole a lungo senza decidersi a lasciarle. Intanto dietro di lui la mia amica comincia a esibirsi in una serie di buffi gesti che io però cerco di ignorare il più possibile, se non altro per non rischiare di scoppiare a ridere di fronte al nostro gradito ospite che non vedevo già da un po’. Sì, sono proprio contenta di essere finalmente tornata alla mia solita routine.

- Buongiorno splendore – esordisce, prendendo posto sulla poltrona senza staccarmi gli occhi di dosso. A dire il vero alla lunga questa cosa può risultare fastidiosa e un po’ imbarazzante, ma oggi non so perché mi piace che continui a guardarmi con interesse – noto con piacere che sei finalmente tornata alla carica, mi era mancato non poter più spiare il tuo fantastico sorriso ogni volta che passavo di qui. Sei sempre più bella!

- E tu sei il solito adulatore!

Rispondo ridendo e lui inchioda il mio sguado in una morsa invisibile da cui non riesco a fuggire, e che ben presto finisce per farmi arrossire come una stupida bambinetta al primo appuntamento. Mi ha sempre fatto questo effetto Greg, fin da quando l’ho conosciuto. Del resto è veramente difficile resistergli, e non nascondo certo che questa sua aria distinta e tremendamente affascinante non mi abbia intrigata un po’ in questi mesi. Inoltre mi fa una corte spietata anche se sa benissimo che sono sposata e che ho da poco partorito la mia terza figlia, ma a lui sembra proprio non importare e ogni giorno viene qui in ufficio a pregarmi di posare per lui per una serie di fotografie che vorrebbe presentare il prossimo inverno a una mostra internazionale. Greg lavora con le migliori modelle in circolazione ma non fa che ripetermi che io ho un viso particolare e per lui sarebbe un grande onore se gli permettessi di fotografarmi, e anche se io ho sempre rifiutato continua a insistere. Ma la cosa più strana è che invece di darmi fastidio mi diverte tanto. È un tipo simpatico in fondo e le attenzioni che dimostra di avere nei miei confronti mi lusingano non poco, e poi nessuno prima d’ora mi aveva mai detto che sono fotogenica. Bè, che dire? Dovrò farci un pensierino, prima o poi.

- Vedo che il pancione è sparito – continua – e che sei di nuovo in forma smagliante, quindi spero che non me ne vorrai se torno a riformulare la mia proposta: avresti qualcosa in contrario se oggi ti invitassi a pranzo e nel primo pomeriggio nel mio studio fotografico? Non ho intenzione di forzarti se non sei pronta a posare per me, ma potresti sempre dare un’occhiata in giro e chissà, magari cambiare idea. Allora, che ne dici?

Mi accorgo che Laly dalla sua scrivania mi lancia occhiate ammiccanti e strani sorrisini che di nuovo vorrei cercare di evitare, così prendo la palla al balzo: ma sì, in fondo la sua proposta sembra allettante e potrebbe anche essere divertente! Inoltre sto davvero morendo di fame e non vedo l’ora di mettere subito qualcosa sotto i denti.

- Dico che è una splendida idea.

Rispondo quindi con un largo sorriso prima di lasciare l’ufficio insieme a lui e sotto gli occhi allibiti di Laly, a cui è praticamente appena caduta la mascella.

 

Greg mi porta in un grazioso ristorantino a poche miglia dall’ufficio, e lì tra una parola e l’altra consumiamo un pranzo piuttosto leggero prima di raggiungere il suo studio, una piccola camera piena di bellissime foto artistiche appese alla pareti e così comoda e accogliente da farmi subito sentire a mio agio. Lo ascolto a lungo parlarmi della sua passione per la fotografia, passione che ha sempre cercato di assecondare fin da ragazzino e che ben presto lo ha spinto ad avvicinarsi al mondo della moda, lavorando fianco a fianco con giovani modelle fino ad affermarsi come fotografo e cominciare così la sua nuova vita trasferendosi qui a Love Island, dove, conclude, ha conosciuto la sua musa ispiratrice. Una donna di nome Amalia con la quale ha vissuto una breve ma intensa storia d’amore che gli ha però lasciato un grande vuoto dentro, rendendolo pian piano solitario e malinconico e spingendolo così a interessarsi dei paesaggi, che da quel momento non ha fatto che rincorrere con la sua fedele macchina fotografica… almeno fin quando non ha incontrato me.

- Da quando ti ho conosciuta mi è venuta voglia di occuparmi del tuo viso, così dolce e armonioso, delle tue labbra morbide e del tuo splendido sorriso. Sei una donna fuori dal comune Johanna, e voglio che tutto il mondo conosca la tua bellezza. La tua vera essenza.

Mentre pronuncia queste parole comincia ad accarezzarmi lentamente il viso, sfiorandolo con le dita e soffermandosi a lungo sui miei zigomi e io lo lascio fare, rapita dal suo tocco tenero e delicato e dalle sue labbra piene che presto prendono a stuzzicare le mie, riempiendole di attenzioni prima di catturarle in un bacio dolcissimo che mi coglie di sorpresa e che, dopo un attimo di iniziale smarrimento, inizio però ad assecondare. Affondo le dita tra i suoi capelli, attirandolo più vicino e gemendo sulla sua bocca quando le sue mani scendono ad accarezzarmi i fianchi mentre il bacio si fa via via più intenso e passionale. Mi gira la testa, non riesco quasi a pensare. Il suo profumo mi stordisce e le sue mani scivolano più in basso, stuzzicando i miei punti più sensibili e confondendomi sempre più le idee, e io…io…oh no che cosa sto facendo, sono impazzita per caso? Devo fermarmi. Subito. Lo spingo via con decisione mentre cerco a fatica di ricompormi e tornare in me con tutta la determinazione che mi riesce di trovare, incrociando per un attimo i suoi occhi ardenti e la sua espressione confusa. Come se d’un tratto cercasse di scavarmi dentro, di capire. Ma la verità è che non c’è proprio niente da capire e che quello che stavamo facendo è sbagliato, sì, del tutto sbagliato e completamente fuori luogo.

- Greg, io…non posso. Mi dispiace.

Balbetto con un filo di voce e le guance in fiamme mentre, senza nemmeno aspettare che mi risponda mi affretto a lasciare la stanza, improvvisamente ansiosa di tornare a casa dalla mia famiglia. La mia famiglia. Ma certo, cosa credevo di fare? La mia vita è qui, tra queste mura, insieme a mio marito e ai miei splendidi bambini ed è a questo che sto pensando quando apro lentamente la porta d’ingresso, accorgendomi con sgomento che si è veramente fatto tardi e che sul mio telefono cellulare ci sono tante, fin troppe chiamate perse. Accidenti, ho completamente perso la cognizione del tempo oggi. No, non deve più accadere. Mi avvicino piano al divano dove Christian si è profondamente addormentato, forse per aspettarmi e prendo delicatamente la bambina dalle sue braccia, avvolgendola nella sua coperta e portandola al piano di sopra per adagiarla nella piccola culla.

- Mi sei mancata tanto, piccolina mia.

Mormoro baciandola sulla guancia, poi socchiudo la porta e faccio un giro delle camere da letto per controllare che tutti stiano dormendo come dovrebbero. Rimbocco le coperte di Logan e passo poi da Grace che si agita nel sonno mormorando parole incomprensibili, infine scendo di nuovo al piano di sotto, sedendomi a contemplare a lungo il viso di mio marito mentre gli accarezzo dolcemente i capelli.

- Mi dispiace amore mio, mi dispiace davvero tanto.

Gli sussurro accoccolandomi vicino a lui e abbracciandolo da dietro, affondando il viso nell’incavo della sua spalla e respirando piano il suo profumo, lasciando che il suo respiro lento e regolare mi concili il sonno e sperando così di cancellare in fretta il senso di colpa, che adesso sento bruciare nelle vene come lava bollente…

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 - Dove hai intenzione di andare conciata in quel modo? Fila subito a cambiarti, signorina!

Esclamo squadrando mia figlia da capo a piedi con aria contrariata mentre scende lentamente le scale per raggiungere il piano di sotto indossando il suo vestito nuovo, acquistato insieme a Johanna appena qualche giorno fa e che sfoggerà in occasione della festa di compleanno di una delle sue amiche e compagne di scuola. Festa a cui non vorrei assolutamente che prendesse parte e che solo a pensarci mi fa venire i crampi allo stomaco dall’ansia, ma non voglio certo mostrarmi retrogrado, perciò ho accettato di accompagnarcela.

- Smettila e lasciala stare, sta benissimo.

Ribatte mia moglie con un sorriso e strizzandole l’occhio mentre ci passa accanto con Megan fra le braccia, che sembra fissarmi attentamente coi suoi adorabili occhietti scuri, così seri e attenti. Sembra somigliarmi sempre di più ogni giorno che passa, rendendomi ancora più orgoglioso di lei.   

- Ricordati che deve essere al locale alle sette – aggiunge rivolta a me e io scuoto la testa, come se non volessi neppure ascoltarla – perciò accompagnala in tempo, va bene?

- Non la accompagno da nessuna parte con quella gonna così corta – replico – è fuori questione!

 Grace sbuffa seccata incrociando le braccia al petto, ma non mi interessa se si arrabbia stavolta. Non posso permetterle di uscire in quelle condizioni, no e poi no!

- Ma papà…

Comincia con voce piagnucolosa, ma non le do nemmeno il tempo di finire la frase. È meglio che mi ascolti attentamente invece di lamentarsi come al suo solito.

- Il mondo è pieno di maniaci sessuali che non vedono l’ora di approfittarsi di ragazzine pure e innocenti dallo sguardo ingenuo – dico, assumendo un’aria molto seria -   e tu sei esattamente una di queste, perciò…

- Perciò non azzardarti a mettere il naso fuori di casa in quelle condizioni, o sarò costretto a murarti viva nella tua stanza e, credimi, farà più male a me che a te!

Conclude la mia frase con l’indice alzato mentre si diverte a scimmiottare la mia voce e sento che dall’altra parte della stanza Johanna scoppia in una sonora risata. Le fisso, allibito, come se fossero improvvisamente impazzite. Come accidenti fa a…? Ah, giusto, devo aver ripetuto queste cose almeno un milione di volte. E comunque non è colpa mia, sono costretto a farlo se si rifiuta sempre di starmi a sentire.   

- E così vi prendete gioco di me, eh? Ma brave, continuate così, credete forse che non abbia capito che voi due vi siete messe d’accordo per farmi diventare matto?

Esclamo imbronciato, ritraendomi infastidito quando Johanna mi si avvicina per scoccarmi un bacio sulla guancia, senza tuttavia riuscire a smettere di ridacchiare.

- Oh, il mio adorabile brontolone -  mi canzona intanto – quando la smetterai di preoccuparti sempre per tutto? Rilassati, in fondo è solo una semplice festicciola tra ragazzini e non hai proprio niente da temere. Ok, devo andare al lavoro adesso.

E senza aspettare che le risponda molla Megan fra le mie braccia e ci bacia tutti frettolosamente prima di infilare la porta a tutta velocità, neanche stesse per perdere il treno.

 

 

- Una semplice festicciola tra ragazzini, eh? Allora si può sapere perché diavolo è stata organizzata in un locale buio e dal nome equivoco come New Paradise? Come se non lo sapessi cosa intendono per paradiso…glielo darei io il paradiso a quelli, a suon di calci nel sedere! Ai miei tempi le feste di compleanno si facevano a casa, mangiando pop corn e bevendo del semplice succo d’arancia, mica come quella roba rivoltante e colorata che servono oggi e che non si capisce se sia commestibile o meno…

 Continuo a brontolare per tutto il tragitto fino al locale e più di una volta mia figlia e Danièle mi guardano come se volessero incenerirmi sul posto, ma non mi interessa. Del resto, si chiamano paternali mica per niente. Le vedo comunque tirare un sospiro di sollievo quando, dopo aver osservato a lungo l’insegna luminosa con occhio critico mi decido finalmente a salutarle, promettendo loro di venire a riprenderle all’ora stabilita.

- Mezzanotte piccole cenerentole, non un minuto di più, altrimenti questa macchina si trasforma in zucca! E…Grace?

La sento sospirare con forza, come se si stesse sforzando di mantenere la calma.

- Sì, papà?

- Quella gonna…se potessi tirarla giù un altro po’…

- Papà ti prego, hai finito adesso?

- Va bene, va bene, me ne vado. Certo che avete una fretta di liquidarmi…New Paradise…puah!!

Bofonchio irritato mentre rimetto lentamente in moto. Lo so, devo cercare di stare tranquillo e ripetermi che andrà tutto bene. Gia, solo che per me non è affatto facile smettere di preoccuparmi per lei e credo proprio che non ci riuscirò mai, neppure tra un milione di anni…

In fondo, è sempre la mia bambina. La mia bambina che sta crescendo…

 

 

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Quella sera i miei timori si rivelano fondati. Sono quasi le undici quando ricevo la chiamata della piccola Danièle e a quel punto, allarmato e terribilmente in ansia scatto dal divano sul quale mi ero appena appisolato un po’, e dopo aver lasciato i bambini alle cure di Sophie mi fiondo verso la porta d’ingresso, aprendola con uno scatto nervoso mentre mi affretto a raggiungere la casa di Hèlene e Nicolas. Intanto cerco un paio di volte di mettermi in contatto con Johanna, ma senza risultato: il telefono risulta spento. Accidenti si può sapere dove diavolo si è cacciata, possibile che non si renda conto di che ore siano? Ad ogni modo non posso preoccuparmi anche di lei in questo momento, ho già abbastanza problemi da affrontare. Danièle sembrava spaventata al telefono e per questo si è espressa in modo molto confuso e stentato, ma il tono che ha usato non lasciava dubbi: dev’essere successo qualcosa di molto serio, e mentre continuo ad arrovellarmi su questa storia assurda sento che l’ansia sale sempre di più, mozzandomi il respiro. No, così non va bene. Devo assolutamente cercare di mantenere la calma, è l’unico modo per arrivare in fondo alla questione. Raggiungo il mio amico in pochi minuti e dopo avergli spiegato in fretta la situazione decidiamo di prendere la sua macchina, pronti a raggiungere insieme le nostre rispettive figlie. Durante il tragitto verso il locale la mia mente lavora febbrile alla ricerca di una possibile soluzione, ma alla fine mi sembrano tutte così terribili che finisco per scartarle velocemente, decidendo quindi di affidarmi al caso. Anche se non ho la minima idea di cosa aspettarmi. Mi precipito fuori dalla macchina prima ancora che Nicolas riesca a parcheggiare e all’ingresso del locale scorgo la madre di Maggie, la festeggiata intenta a trattenere Grace, che intanto tutta scarmigliata e con gli occhi spiritati si dimena come impazzita contro di lei mentre vicino a loro Danièle, in lacrime, osserva la scena come inebetita.

- Che cosa è successo? Grace, che cos’hai?

Esclamo, correndole incontro e chinandomi su di lei per tastarle la fronte e le guance alla disperata ricerca di un segno, o di qualunque altra cosa che possa condurmi alla verità. Ma lei continua a piangere e a urlarmi contro frasi sconnesse e incomprensibili, finchè incrociando i suoi occhi lucidi e inquieti finalmente capisco…e all’improvviso, mi sento morire. Le sue pupille sono dilatate in maniera inequivocabile. No, non posso sbagliarmi.

- Grace, tesoro…che cosa hai fatto? Che cosa hai fatto?

Balbetto con un filo di voce mentre provo inutilmente a calmarla prima di trascinarla verso la macchina con l’aiuto di Nicolas, e riesco a malapena a seguire le parole della madre di Maggie, che continua a ripetermi di averla cercata per ore insieme agli altri quando si è accorta che era scomparsa per poi ritrovarla a un passo dalla discoteca di fianco, l’aria confusa e smarrita di chi ha ha probabilmente ingerito quantità esagerate di alcool. Scuoto lentamente la testa, ringraziandola mestamente per averla ritrovata. No, quello che ha ingerito non era di certo alcool, ma qualcosa di molto peggio.

- Lasciatemi, lasciatemi stare!

Continua a gridare in preda alla disperazione, spaventando a morte Danièle che non riesce a smettere di piangere e rendendo vani tutti i miei tentativi di trattenerla per provare a calmarla almeno un po’.

- Grace, tranquillizzati adesso, va tutto bene. Il tuo papà è qui piccola mia, non c’è niente da temere. Sei al sicuro adesso, capito? Tesoro guardami, dimmi che riesci a sentirmi…

Mormoro con voce rotta per catturare la sua attenzione, liberandole la fronte dai capelli umidi e specchiandomi nei suoi occhi chiari che adesso mi sembra di non riconoscere più, mentre nella mia mente si affollano tante, troppe domande senza risposta.

- Papà – sussurra d’un tratto proprio come se mi vedesse per la prima volta, smettendo improvvisamente di lottare e arrendendosi ben presto tra le mie braccia – non riesco a vederti bene, è tutto così confuso…perché non ci vedo più?

Poi scoppia in un pianto dirotto, accoccolandosi contro il mio petto come un cucciolo ferito e per tutto il tragitto fino a casa la stringo forte a me, cercando di consolarla da quella pena sconosciuta che sa farmi più male di qualunque parola.

- Sei sicuro di non volerla portare in ospedale?

Mi chiede Nicolas in tono preoccupato non appena ci fermiamo davanti al vialetto di casa.

- Fidati, so cosa fare.

Lo rassicuro con un cenno del capo mentre prendo in braccio Grace, ormai addormentata e giro con fatica la chiave nella serratura. Potrei suonare il campanello ma è tardi e non voglio rischiare di svegliare i bambini. Anzi, spero proprio che Megan faccia la brava stasera.

- Oh Dio, che cosa è successo?

Esclama Sophie non appena ci vede entrare, impallidendo di colpo. Le lancio uno sguardo grave, sospirando con forza.

- Io credo che abbia…ingerito qualcosa. Ho bisogno del tuo aiuto.

È tutto ciò che riesco a dire e lei annuisce con convinzione, afferrando al volo le mie parole e correndo in cucina per preparare una tisana calda. Raggiungo intanto il piano di sopra, depositando dolcemente mia figlia nel suo letto e avvolgendola bene nella sua copertina colorata, ed è allora che una piccola busta bianca scivola da una delle sue tasche catturando subito la mia attenzione. Mi chino a prenderla per rigirarla a lungo tra le dita, e per la seconda volta quella sera mi sento come se il mondo mi sia appena crollato addosso.

- Accidenti, lo immaginavo. Perché…perché lo hai fatto?

Sussurro, parlando più a me stesso e la vedo muoversi piano prima di riaprire lentamente gli occhi, incontrando ancora una volta i miei.

- Mi dispiace papà – dice impercettibilmente, l’aria esausta ma finalmente un po’ più padrona di se stessa – io…io non volevo…

La sua voce si incrina e so che sta per piangere di nuovo così la stringo forte, cullandola dolcemente e baciandola più volte sui capelli, come a cercare di rassicurarla.

- Grace, non sono arrabbiato e non ti punirò per questo, ma devi dirmi perché lo hai fatto. Chi ti ha dato questa roba, si può sapere? Non si scherza con queste cose, saresti potuta…finire molto male e nessuno lo sa meglio di me. Io ci sono passato e tu questo lo sai bene, sai a cosa si va incontro. Scivoli in un oblìo sempre più profondo, un oblìo che non ti lascia scampo e a quel punto è troppo tardi per smettere. Troppo tardi per tirartene fuori da solo. Ascolta, lo so che per queste cose è meglio la mamma ma lei non è qui in questo momento e voglio che tu sappia che…anche se non sembra io sono bravo ad ascoltare, e…

Mi interrompo chiaramente sulle spine, ma quando la vedo ridacchiare divertita dal mio buffo imbarazzo non posso fare a meno di unirmi alla sua allegra risata, sentendomi finalmente più sollevato. Accidenti, sono un vero disastro.

- Insomma – continuo poi, più serio – quello che sto cercando di dirti è che se lo desideri puoi confidarti con me e che io sono qui per aiutarti ad affrontare ciò che ti fa stare così male, perché qualunque brutta cosa tu stia vivendo in questo momento non può assolutamente giustificare l’uso di quella robaccia. Non commettere il mio stesso errore piccola, ma aiutami ad aiutarti. Non sei sola, ricordalo sempre.

Le copro una mano con la mia e il suo sguardo si fa d’un tratto sfuggente, segno evidente che non è ancora pronta a confidarsi con me. Ma non importa, saprò aspettare.

- Promettimi solo…promettimi che per niente al mondo toccherai più queste.

Dico agitandole la bustina sotto il naso e lei annuisce timidamente, facendomi un debole sorriso.

- Te lo prometto, papà.

Dice. L’abbraccio e lei si rifugia contro il mio petto, abbandonandosi a lungo fra le mie braccia prima di sussurrarmi, la voce ancora impastata: - Vorrei che fossi stato tu a crescermi, papà. Ho sentito tanto la tua mancanza da piccola, ma…non è stata certo  colpa tua, lo so bene.  

Quelle parole mi fanno sussultare e la scosto da me quel tanto che basta per poter incrociare i suoi occhi tristi e malinconici, che di nuovo mi provocano una violenta stretta al cuore, mentre cerco ancora una volta le parole giuste da usare ogni volta che tentiamo di affrontare questo argomento. Ma non esistono parole in grado di cancellare la nostra pena. La sua pena. Non credevo che a distanza di anni soffrisse ancora così tanto per questa situazione.

- Mi dispiace amore mio, io…

- Perché la mamma non ti ha detto di me? – mi incalza all’improvviso, tornando a guardarmi – Perché ti ha tenuta nascosta una cosa così importante per tutto quel tempo, come ha potuto?

C’è una nuova, strana rabbia nella sua voce e questo mi coglie in contropiede, turbandomi molto più di quanto mi aspettassi, ma proprio quando sto per replicare la porta della camera si riapre lentamente rivelando la figura esile di Sophie, che con espressione preoccupata e una tazza fumante fra le mani ci osserva perplessa.

- Ecco qui – dice dopo qualche secondo, facendo un gran sorriso per nascondere l’apprensione – una bella tisana calda e ti sentirai subito meglio, tesoro.

 

 

 

 

- Faresti meglio a gettarla subito via se non vuoi che tua moglie la veda.

Mi dice Sophie, alludendo chiaramente alla piccola busta che ho deposto sul tavolo della cucina e che entrambi osserviamo ormai da un po’, senza riuscire a sbarazzarcene. No, non ne sono tentato. Questa roba fa parte del passato ormai, un passato a cui ho chiuso la porta per sempre. Ma il fatto che mia figlia, che la mia bambina ne sia venuta a contatto Dio solo sa come…mi fa letteralmente impazzire.

- Sono…

- Allucinogeni.

Concludo la frase per lei, che in piedi davanti a me mi osserva con aria contrita.

- Dovrò parlare con Johanna, solo che non so come farlo senza spaventarla o, peggio, agitarla in qualche modo.

Sophie alza le spalle, arricciando le labbra in un’espressione indecifrabile.

- Devi semplicemente dirle la verità – conclude – senza mezzi termini.

Annuisco e per l’ennesima volta lancio un’occhiata distratta all’orologio da parete.

- Dannazione, mi piacerebbe tanto sapere dove diavolo è finita!

Esclamo senza pensare e sono così stanco e indignato da non prestare nemmeno attenzione alla porta d’ingresso, cosicchè quando mi ritrovo Johanna improvvisamente davanti è troppo tardi, e io non sono abbastanza veloce per nascondere ciò di cui non sono riuscito a liberarmi. Ha l’aria stanca e vagamente distratta, ma quando i suoi occhi saettano rapidamente da me alla busta il suo viso si contrae in un’espressione di orrore che mi fa sussultare e prima che possa dire o fare qualunque cosa mi è già addosso, bloccandomi sul tempo ancora una volta.

- Oh mio Dio, dimmi che non è quello che penso – esclama raggelandomi con un’occhiata sinistra – dimmi che non è quello che mi aspetto che sia, perché questo vorrebbe dire che…

- Johanna, per favore calmati, non è come sembra. Non giungere a conclusioni affrettate, lasciami spiegare…

- Che cosa diavolo vorresti spiegarmi – grida, fuori di sé – che hai ricominciato a farti di quella robaccia e che adesso, non contento te la porti anche a casa? Sei un essere orribile, ecco cosa sei! Non pensi ai bambini? Come hai potuto ricaderci così dopo tutto quello che abbiamo passato appena poco tempo fa! Te lo ricordi quello che è successo non è vero, oppure ti sei già bruciato il cervello con quello schifo?

Me lo strappa di mano, agitandolo furiosa sotto i miei occhi increduli mentre cerco di spiegarle che stavolta ha preso un granchio, che si sta sbagliando sul mio conto. Possibile che non capisca, perché non vuole ascoltarmi?

- Johanna…

- Sta’ zitto! Non voglio nemmeno ascoltare la tua voce!

- Insomma, vuoi lasciarmi parlare sì o no? Questa roba non è mia, l’ho trovata addosso a Grace!

Esplodo, gridandole in faccia la nuda verità e facendola ammutolire di colpo.

- Co…Cosa? Di che stai parlando?

Risponde stordita, abbassando notevolmente il tono di voce e fissandomi come inebetita. Non avrei voluto affrontarla così, ma non mi ha lasciato altra scelta.

- So che è difficile da credere, lo è stato anche per me, ma ti sto dicendo la verità. Te lo giuro.

Comincio poi a spiegarle tutto ciò che è successo e lentamente i suoi occhi si riempiono di lacrime cocenti che mi spezzano il cuore.

- Non è possibile – continua a ripetere scuotendo la testa – non può aver fatto una cosa del genere. La mia bambina…sta bene adesso, non è vero?

- Si riprenderà – la rassicuro – ha solo bisogno di riposare.

- La colpa è solo tua – dice dopo un lungo momento di silenzio, riprendendo ostile – tua e del tuo pessimo esempio!

- Io…vi lascio soli. Meglio che vada ora.

Sussurra intanto Sophie e cerca subito di dileguarsi da quella scomoda situazione, ma la voce di Johanna la blocca prima che possa fare un solo passo fuori dalla stanza.

- No, resta pure – dice infatti, senza però staccare gli occhi dai miei – non ho niente da nascondere.

- Che cosa? Così la colpa sarebbe mia adesso?

Ribatto, completamente spiazzato.

- Già, proprio così. Hai sentito benissimo – riprende, e la sua voce è come una mitragliatrice – sei stato tu a trascinarla in questa storia! Ti vede come un eroe e cerca di emularti in ogni modo possibile, come fai a non rendertene conto? Sai cosa penso, che sarebbe stato meglio che non fossi mai tornato a rovinare le nostre vite!

E con queste parole raggiunge di corsa il piano di sopra, lasciandomi dentro un’amara sensazione di gelo che mi ferisce inevitabilmente, e che mi accorgo di non riuscire a sopportare. No, non questo. Ma chi si crede di essere per parlarmi in questo modo?

- Ehi, accidenti… mi dispiace Christian.

Dice piano la mia amica e io l’ascolto a malapena mentre la voce di Johanna mi risuona nella mente per un lungo momento ancora, insinuandosi dolorosamente tra le pieghe del mio cuore…

Dunque è davvero questo ciò che pensa?

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Spengo la sveglia con gesti nervosi, ravviandomi distrattamente i capelli e catapultandomi giù dal letto per indossare la vestaglia a scendere al piano di sotto, anche se non ho proprio voglia di fare colazione. La notte scorsa non ho chiuso occhio e per una volta Megan non c’entra, perché è stata l’assenza di Christian a tenermi sveglia. Già, proprio così, non è neppure venuto a dormire, preferendo invece sistemarsi nella camera degli ospiti ed evitando accuratamente di rivolgermi la parola per tutto il resto della serata. Lo so non posso certo dargli torto dopo il modo in cui l’ho trattato, non avrei dovuto dirgli quelle cose, ma…ero arrabbiata e terribilmente in ansia per Grace, tanto che non ho fatto che andare e venire dalla sua camera per assicurarmi che stesse bene. Dovrei parlarle, affrontare con lei questo delicato argomento e metterla in guardia sui vari pericoli che ancora non conosce…ma non ce la faccio, non ancora. La verità è che sono sotto choc e non riesco proprio a capacitarmi di questa situazione. Voglio dire, perché ha fatto una cosa del genere? Chi l’ha spinta a questo? Ieri sera ho accusato Christian ingiustamente, so che lui non c’entra niente in tutto questo e che è un padre meraviglioso per i suoi figli. Accidenti, come ho potuto? Devo assolutamente cercare di spiegargli, e devo farlo adesso. Spinta così da quella nuova determinazione mi affretto a raggiungere la cucina, ma quando lo trovo già in piedi a trafficare tra i fornelli il suo sguardo ostile mi gela il sangue nelle vene ma con uno sforzo evidente decido di ignorarlo, fingendo di non cogliere il messaggio e camminando a passo spedito verso il divano, dove mi accomodo in attesa che si decida a mettere fine a questo suo stupido giochetto che mi da sui nervi. Detesto quando mi fissa in quel modo perché so che così facendo sta cercando di farmi sentire in colpa, e la verità è che ci sta riuscendo benissimo. Accidenti a lui, e accidenti anche a me. Devo darmi una mossa.

- Sono stata a controllare Grace poco fa – esordisco così con voce incerta, cercando di fare un po’ di conversazione – sembra che stia molto meglio, le sue guance hanno ripreso colore, ma credo sia meglio lasciarla riposare ancora un po’.

Non risponde ma annuisce lentamente, tenendo stavolta gli occhi bassi mentre deposita le uova che ha cucinato su un piatto da portata e prende posto a tavola, senza tuttavia decidersi a mangiare. Ha lo sguardo scuro e un’espressione dipinta sul viso che mi lascia chiaramente intendere che in questo momento vorrebbe probabilmente trovarsi altrove, e il più possibile lontano da me. Sospiro profondamente, chiamando a raccolta tutto il mio coraggio per rialzarmi in piedi e andargli lentamente incontro, improvvisamente stanca di quella situazione e del suo assordante silenzio.

- Ehi – gli sussurro, chinandomi su di lui per cingergli il collo con le braccia, sfiorando la sua guancia con un bacio lieve solo per sentirlo irrigidirsi di colpo – mi sei mancato la notte scorsa, non sono più abituata a dormire senza di te. Ti prego amore mio, non fare così…senti, so che sono stata odiosa ieri sera e che ce l’hai con me, ma di’ qualcosa per favore. Qualunque cosa. Mi dispiace tanto per come mi sono comportata, ma voglio che tu sappia che non pensavo una parola di ciò che ho detto, ed ero soltanto…

- Arrabbiata? Già, è proprio questo il punto Johanna, perché quando si è arrabbiati si dice sempre ciò che si pensa. Sto sbagliando, forse?

Mi interrompe di colpo, allontanandosi da me con uno scatto deciso che mi fa sussultare, lasciandomi spiazzata.

- Christian, io…

- È così e lo sai meglio di me, perciò piantala con le stronzate! Sono anni che ogni volta che succede qualcosa ti diverti sempre a rinfacciarmi questa storia, come se il mio recente percorso non fosse mai servito a niente e io ai tuoi occhi fossi sempre lo stesso ignobile tossico senza cervello di un tempo! Non importa quanto abbia cercato di mettercela tutta per diventare un uomo migliore, non è vero? No, perché per te sono e resterò per sempre un perdente, e qualunque cosa faccia o dica non riuscirò mai a togliermi questo orribile marchio di dosso!

Esclama, senza nemmeno pensare che così facendo potrebbe svegliare Sophie e i bambini che probabilmente stanno ancora dormendo. Scuoto la testa, incredula, cercando coraggiosamente di incassare quella assurda sfuriata che come una lama sottile scende lentamente a trafiggermi il petto, ferendomi molto più di quanto immaginassi.

- Ma…di cosa stai parlando? Come puoi accusarmi di una cosa del genere quando sai benissimo che non l’ho mai pensata e che per tutto il tempo ho continuato a lottare per te, per noi, anche quando tu non avevi più la forza di farlo!

Balbetto confusamente, chiedendomi se le parole che ho appena usato abbiano davvero un senso compiuto. Ma lo vedo annuire con decisione prima che le sue labbra si curvino in un sorriso sprezzante che non mi lascia alcun dubbio sul suo reale stato d’animo.

- Bene – dice a voce bassa, come se non mi avesse neppure sentito – visto che siamo in vena di discussioni anch’io adesso ti dirò esattamente quello che penso, e cioè che sei la donna più superficiale e menefreghista che conosca, perché se così non fosse ti saresti subito accorta che in Grace c’è qualcosa che non va! Sta soffrendo e non ho la minima idea di cosa le passi per la testa in questo periodo, ma una cosa la so di sicuro: quella ragazzina sta crescendo a vista d’occhio ed è inevitabile che cominci a farsi delle domande, domande alle quali vorrebbe che tu dessi una risposta. Ora più che mai ha bisogno di avere sua madre vicino, e tu invece che fai? Vai via nel primo pomeriggio e fai tardi la sera, proprio come se a casa non ci fosse una famiglia ad aspettarti e verso la quale hai dei doveri precisi!

- Mi stai accusando di non essere abbastanza presente per mia figlia?

Esplodo senza più riuscire a trattenermi. So che è turbato e ferito, ma ora sta davvero esagerando. Mi incenerisce con lo sguardo, avvicinandosi con aria minacciosa fino a trovarsi a pochi centimetri da me.

- Dove sei stata ieri sera?

Mi chiede a bruciapelo e io sussulto, guardandolo con gli occhi sgranati.

- Al lavoro, come tutti i giorni! Si può sapere che razza di domande fai?

- Al lavoro…ma davvero? Allora perché diavolo avevi il telefono staccato? Ti ho chiamata per ore, cazzo!

Grida senza perdere un colpo, e io mi sento assalire dall’angoscia.

- Avevo un sacco di cose da sbrigare e non mi sono accorta del tempo che passava, e poi il mio cellulare era scarico. Che cosa stai cercando di dimostrare con tutte queste domande senza senso?

- Sono tuo marito e ho il diritto di farti tutte le domande che mi pare, e tu hai il dovere di rispondermi!

- L’ho appena fatto, smettila! Si può sapere che ti prende? Non mi hai mai parlato in questo modo, lo sai?

Scuote la testa come a voler scacciare le mie parole, e quando torna a incrociare il mio sguardo i suoi occhi sono così freddi e pungenti che per un attimo ne ho quasi paura. Chi è l’uomo che mi sta davanti in questo momento? Io…io credo di non conoscerlo più.

- L’unica cosa che so è che qui c’è un evidente problema di fondo – continua, riprendendo ad alzare la voce – e tu sei così presa da te stessa e dal tuo stupido mondo fuori da questa casa da non riuscire nemmeno a rendertene conto! Si può sapere che razza di madre sei?

Lo fisso a bocca aperta per un lungo momento, incapace di dire una sola parola. L’ultima volta che ha messo in discussione le mie capacità di madre non era in sé ma adesso il suo sguardo sembra sincero, e quello che parla è solo il suo cuore. Lui lo pensa davvero. Lo pensa davvero…e io non posso sopportare tutto questo, non riesco nemmeno più a guardarlo in faccia. Devo andarmene da qui. Mi allontano in fretta da lui facendo il possibile per nascondere le lacrime che mi bruciano le palpebre, ansiosa di voltargli le spalle e lasciare quella casa il prima possibile, perché all’improvviso so esattamente dove voglio andare. So quello di cui ho bisogno.

Quando Greg apre la porta sembra molto sorpreso di vedermi e forse sta per dire qualcosa, ma io non glielo permetto. Non voglio che parli, non voglio ascoltare perché l’unica cosa che desidero in questo momento è spegnere i sentimenti che mi bruciano dentro, minacciando di devastarmi. E non posso permetterlo. Così gli butto le braccia al collo, catturando le sue labbra in un bacio disperato che gli toglie il respiro e lo sento rilassarsi pian piano contro di me prima di trascinarmi nel suo letto per liberarmi in fretta dei vestiti, e mentre riprende a baciarmi con trasporto chiudo gli occhi e mi concentro sulle sue mani che intanto scivolano dolci lungo il mio corpo, regalandomi un meraviglioso senso di benessere e riaccendendo in poco tempo i miei sensi…

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


- Sei così dolce. Non sai cosa darei per tornare ad avere la tua età piccolina, almeno tu non hai nessun problema di cui doverti preoccupare. Mangi, dormi, strilli peggio di una cornacchia spelacchiata e stai tutto il giorno in braccio a qualcuno. Bella vita, no? Potessi farla io… non crescere mai Megan, è solo una gran fregatura. Fidati di tua sorella maggiore, so quel che dico!

Sussurra Grace accarezzando piano le guance paffute della sua sorellina, che chissà per quale strano miracolo divino oggi sembra finalmente serena e tranquilla nella sua culla, e riposa beata come un angioletto. Le osservo in silenzio per un po’, appoggiata allo stipite della porta e timorosa persino di respirare per paura che mia figlia possa accorgersi della mia presenza, ma forse questo non è l’atteggiamento giusto da adottare per risolvere la questione una volta per tutte. Mi schiarisco così la voce, cercando di farmi coraggio mentre provo a parlarle, anche se la mia voce trema penosamente.   

- Grace – comincio, incerta – eccoti finalmente. Ti prego, non costringermi a continuare a inseguirti in questo modo, voglio solo…poterti parlare. Sei così fredda e distante con me da un po’ di tempo, e questo mi fa star male perché non ti sei mai comportata così prima d’ora. Non evitarmi ancora tesoro, lo sai che non ho intenzione di rimproverarti. Tutto ciò che desidero sapere è cosa ti ha spinto ad assumere quelle sostanze pericolose, perché se c’è qualcosa che ti preoccupa e che ti fa soffrire io sono qui per ascoltarti. Hai avuto qualche problema a scuola, oppure con le tue amiche? La vita non è mai semplice per nessuno piccola, ma sai che puoi confidarti con me, che puoi parlarmi di qualunque cosa se lo desideri…

- Lasciami in pace mamma, smettila di starmi addosso!

 La sua voce aspra mi fa sussultare, ferendomi per l’ennesima volta. Non voglio farle la predica, non è mia intenzione, desidero solo cercare di capire cosa le passi per la testa. Lei però sembra intenzionata a continuare a ignorarmi, e l’atteggiamento che assume ogni volta che cerco un dialogo non mi rende certo le cose facili. La vedo scappare via di corsa e di nuovo cerco di attirare la sua attenzione, ma lei, che mi ha già voltato le spalle solo per non incrociare il mio sguardo inquisitore, è già lontana. Troppo lontana. Da me, da tutto il resto…

Mi prendo la testa fra le mani, cercando di riordinare i pensieri dolorosi che agitano la mia mente, ormai fin troppo stanca e confusa. Perché, perché tutto sembra essere diventato così maledettamente difficile? 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 - Logan, quando ti ho dato il permesso di giocare con la batteria non intendevo certo dire “picchia forte su quei piatti fino a romperli!”

Esclamo irritato, alzando gli occhi da ciò che sto facendo e respirando rumorosamente. Dannazione, cos’è che avevo in testa stamattina quando ho deciso di portarmi questo piccolo demonio al lavoro? Con tutto il fracasso che sta facendo non riesco proprio a concentrarmi.

- Sto suonando, papà!

Protesta lui, sbuffando seccato e lasciando improvvisamente la batteria per venire a raggiungermi nell’altra stanza, l’aria imbronciata mentre tira insistentemente una manica della mia maglietta.

- Posso andare a giocare in spiaggia?

Mi chiede con voce lamentosa e io scuoto la testa con decisione, lanciandogli un’occhiata di ammonimento che però sembra non avere i risultati sperati. Già, in fondo non avevo dubbi.

- Non se ne parla neanche, non ti lascerò mai andare là fuori da solo.

- Ma papà, perché no?

Insiste cercando di tenermi testa. Adesso comincia seriamente a stancarmi con tutti questi capricci.

- Perché è troppo pericoloso per un bambino ancora così piccolo come te andarsene in giro senza un adulto vicino.

Spiego cercando di essere paziente, ma lui non molla.

- Allora vieni con me.

Dice infatti.

- Ora sto lavorando.

A quella risposta sbuffa per l’ennesima volta, esclamando contrariato: - Uffa, ha ragione zio Roy quando dice che sei uno stronzo!

Quelle parole mi lasciano per un attimo a bocca aperta. A dire il vero non so nemmeno se ridere o piangere in questo momento. Io a quello prima o poi gli metto le mani addosso, poco ma sicuro.

- Che cosa hai detto? Quella è una brutta parola Logan, e se te la sento ripetere un’altra volta saranno guai, sono stato chiaro?

- Ma lo zio lo dice continuamente!

Risponde piccato, e io mi accorgo di faticare veramente a non perdere la pazienza.

- Tuo zio è un perfetto imbecille, e se da grande non vuoi diventare come lui faresti meglio a non seguire il suo pessimo esempio!

- Uffa, vado a guardare la tv che è meglio!

Si lamenta prima di sparire nella camera di fianco e poco dopo sento il fracasso dei cartoni animati giapponesi che gli piacciono tanto, ma proprio quando provo nuovamente a concentrarmi su ciò che stavo facendo prima di essere brutalmente interrotto la voce di Benedicte cattura la mia attenzione, costringendomi a posare la penna sul tavolo con un gesto deciso. E va bene, mi arrendo. Oggi non è proprio giornata.

- Ecco qui la limonata che mi hai chiesto.

Esordisce allegra porgendomi un grosso bicchiere di vetro colorato, pieno di quel liquido denso e rinfrescante.

- Ti ringrazio – rispondo grato, ingollandone una bella sorsata – come mai oggi fai tu le consegne? Credevo che mi avresti mandato quella stupida faccia da schiaffi che ti ostini a tenere nel tuo bar, anziché licenziarlo in tronco come invece avresti dovuto fare già da un pezzo! Anzi, non dovevi nemmeno assumerlo, come ti è saltata in mente una cosa del genere?

La vedo alzare gli occhi al cielo, scuotendo la testa in un chiaro segno di disapprovazione.

- Ecco, lo vedi? Questo è uno dei motivi per cui non l’ho fatto venire qui. Sembra che voi due non sappiate far altro che beccarvi a vicenda ogni volta che vi incrociate anche solo per sbaglio. Sai che ti dico? Che dovreste vergognarvi, siete ridicoli! Due bambini dell’asilo al confronto sarebbero cento volte più maturi.

- Smettila – replico lanciandole un’occhiataccia – ho il sacrosanto diritto di avercela con lui perché, tra le altre cose, si diverte a insegnare le parolacce ai miei figli!

- Come?

Esclama, seriamente sconcertata.

- Lo sai come mi ha appena chiamato Logan per colpa sua? Stronzo. Mi ha detto che sono uno stronzo. Gli parla male di suo padre…te ne rendi conto? Cosa dovrei fare, andare dritto da lui e spaccargli la faccia?

Ma quando mi volto verso la mia amica alla ricerca di un po’ di comprensione mi accorgo che lei invece non mi sta neppure ascoltando, perché troppo impegnata a contorcersi dalle risate per prestarmi la dovuta attenzione. Ma guarda un po’, ci mancava solo lei!

- Mi fa piacere sapere che lo trovi così divertente!

Esclamo offeso mentre lei cerca goffamente di darsi un contegno, provando senza successo a trattenere l’ennesima risata che ha l’effetto di farmi infuriare ancora di più.

- No, scusami. Mi dispiace, è solo che…accidenti, è così buffa questa cosa!

Dice, e giù di nuovo a ridere come una matta. Ok. Sono ufficialmente circondato da un branco di pazzi furiosi.

Chiacchieriamo poi del lavoro e della famiglia, e il discorso scivola inevitabilmente su Johanna e sullo strano periodo che stiamo vivendo.

- Credo di aver esagerato  con lei – confesso, non senza una punta di imbarazzo – è da un po’ che ci penso, non dovevo dirle che non è in grado di occuparsi dei suoi figli perché so benissimo che non è così. Lei è meravigliosa, e in gamba, e ho sempre pensato che sia stata molto coraggiosa a decidere di crescere nostra figlia da sola. È solo che…quello che è successo a Grace mi ha mandato fuori di testa, ecco tutto. Vorrei solo non averle mai detto quelle cose.

Benedicte sospira, poi incrocia il mio sguardo affranto.

- Per fortuna Grace sta bene e non devi più preoccuparti per lei. Quello che invece dovresti fare adesso è prestare maggiore attenzione a tua moglie e ai suoi sentimenti, non certo darle addosso inutilmente e finire così per litigarci. Johanna ha appena messo al mondo un figlio e noi donne siamo particolarmente fragili e sensibili nel periodo successivo alla gravidanza. Diventare madre è una gioia immensa, un uragano di emozioni che a volte però può anche sconvolgerci la vita, per questo abbiamo bisogno di sapere di non essere sole. Restale vicino e sii sempre presente per lei, credimi, ora più che mai ha bisogno di sapere che la ami e che può contare su di te. Qualunque cosa accada.

Mentre lascio sedimentare dentro quelle parole mi accorgo improvvisamente che è tutta colpa mia se io e Johanna ci stiamo lentamente allontanando l’uno dall’altra, e che tra noi due non è certo lei quella superficiale e menefreghista. Sono stato assente e con la testa persa altrove in questo periodo per lei così delicato, e non ho capito quanto invece avesse bisogno di sentirmi vicino. Non ho nemmeno assistito alla nascita di Megan e sapevo quanto questo fosse importante, ne avevamo parlato tante volte prima. È vero, solo ora mi accorgo di essere stato stupido e crudele con lei, che invece non lo meritava di certo. Ma non è troppo tardi per rimediare, per scusarmi. Sì, perché adesso so esattamente cosa fare…

 

 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


- Avanti, sii buono, lasciami andare.

Gli ripeto per l’ennesima volta, spingendolo via da me quando prova a trattenermi a letto e devo chiamare a raccolta ogni singola goccia di autocontrollo rimastomi per distogliere lo sguardo dal suo corpo statuario parzialmente avvolto dal lenzuolo che di nuovo stuzzica la mia fantasia, facendomi desiderare di trattenermi lì ancora un po’ per ricominciare a… no. Santo cielo no, non posso. Devo correre in ufficio, la mia pausa pranzo è già abbondantemente conclusa e Laly mi sta aspettando e ho un sacco di lavoro da sbrigare prima che faccia sera. Già, solo che questo Greg sembra proprio non capirlo quando con un’unica mossa mi attira di nuovo a sé, stuzzicandomi con le sue labbra morbide come solo lui sa fare e rischiando così di farmi completamente perdere il controllo della situazione. Dio, è talmente sexy, come faccio a dirgli di no quando comincia a baciarmi in quel modo? Quando le sue mani sono su di me, reclamando ogni centimetro del mio corpo prima di… va bene, adesso basta.

- Greg, ti prego, devo andare. Sul serio.

Sussurro contro le sue labbra, sciogliendomi lentamente dal suo abbraccio. Sospira, sollevando le mani in segno di resa e un’ombra scura incupisce il suo bel viso, ma è solo un attimo. Poi torna a sorridermi.

- E va bene, come vuoi tu. Però, lascia almeno che ti accompagni.

Dice e io scuoto la testa con decisione, balzando giù dal letto per vestirmi in tutta fretta.

- Non è necessario, non voglio che qualcuno ci veda insieme.

Rispondo e quando volto la testa verso di lui mi accorgo che mi sta guardando in modo strano.

- Non vuoi che tuo marito ci veda insieme, Johanna.

Puntualizza, facendomi sbuffare seccata.

- Possiamo lasciar perdere questa conversazione?

Esclamo irritata incenerendolo con lo sguardo, ma a giudicare da come prova a tenermi testa ho la sensazione che non voglia arrendersi così facilmente.

- Se con lui stai così male perché non la fai finita una volta per tutte? Deciditi a lasciarlo, almeno non dovrai più essere costretta a…

- Smettila di parlare in questo modo, tu non sai proprio niente!

Lo incalzo, facendolo ammutolire di colpo. Sa bene quanto continui a irritarmi ogni volta che viene meno al nostro accordo. Io non gli chiedo niente, lui non mi chiede niente. La questione è molto semplice, e continua a dimenticarsene. Oppure finge di farlo. Detesto quando si mette a parlare di Christian, non voglio che lo faccia. Non lo conosce nemmeno, e prendersi la libertà di dire certe cose mi fa letteralmente saltare i nervi.

- Non saprò niente, ma non sono cieco e vedo benissimo come diventi triste tutte le volte che lo nomino anche solo per sbaglio.

- Allora non farlo mai più.

- Su, non arrabbiarti. Fammi un sorriso, ora.

Mi bacia e io affondo le dita tra i suoi capelli, scompigliandoli liberamente prima di staccarmi da lui e provare a regalargli qualcosa di vagamente somigliante a un sorriso, proprio come mi ha chiesto. Non mi va di litigare, né adesso né mai.  

 

Torno a casa nel tardo pomeriggio e faccio appena in tempo a girare la chiave nella serratura che un enorme mazzo di rose profumate mi si para subito davanti, lasciandomi stordita quando mi accorgo che la mano che lo regge è quella di mio marito.

- Christian, sono…meravigliose, e le adoro, ma…a cosa devo tutto questo?

Domando confusa e lui mi sorride, come per togliersi dall’imbarazzo.

- Ecco, io – esita, sulle spine – volevo scusarmi per come mi sono comportato in questi giorni. Sono stato davvero imperdonabile nei tuoi confronti e tu non lo meriti di certo, perciò ti prometto che d’ora in avanti non accadrà più, e che…insomma, sai che non sono bravo con le parole, perciò… perdonami. Solo questo.

Mi abbraccia e lo stringo forte a me, pensando che non è certo lui che deve farsi perdonare per il suo comportamento ignobile e sconsiderato, ma di nuovo con uno sforzo deciso metto a tacere la mia coscienza che invece, da un po’ di tempo, non fa che urlare incessantemente. Ma io no, non voglio ascoltarla.

- Ti amo.

È tutto ciò che riesco a dire, e anche se so di non esser degna di pronunciare queste parole ne conosco ancora bene il significato, e so, so di essere sincera. Ma non posso impedire alla mia testa di girare vorticosamente, mettendomi di fronte a una realtà che qui, in questa casa non esiste.

- Avanti, vai a metterti qualcosa di carino addosso. Stasera ce ne andiamo tutti a cena fuori!

No, non può esistere, non in questo luogo che desidero incontaminato. Perché fingere che sia tutto irreale è l’unica cosa che mi rimane per andare avanti, per continuare a guardarlo negli occhi. Anche se, tutte le volte che provo a farlo, vorrei solo morire…

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


- Eccola qui la mia principessina, pulita e profumata e finalmente pronta a fare colazione!

Esclamo rivolto all’ultima delle mie figlie, riempiendola di baci mentre la sistemo sul seggiolone. È un piacere guardarla crescere, diventa sempre più bella ogni giorno che passa. No, non lo dico certo perché sono di parte. È meravigliosa, punto e basta. Persino i suoi pianti insistenti sembrano essersi placati, almeno adesso permette a me e sua madre (e sì, anche al resto della famiglia) di dormire un paio d’ore di fila prima del suono dell’odiata sveglia mattutina. Purtroppo però il dovere chiama e così alle otto in punto mi sono già fiondato in cucina e dopo essermi occupato di Megan sono pronto a preparare la colazione per tutti. Ormai è diventato una specie di rito per me, non riesco più a uscire di casa se non sono estremamante sicuro che tutti abbiano mangiato a dovere. Soprattutto Grace, che intanto dall’altro lato della stanza non fa che rimestare i cereali, ormai probabilmente simili a una disgustosa poltiglia nella sua tazza di latte, senza decidersi a mangiarli. Colazione alternativa stamane, non c’è che dire, anche se io preferivo mettesse nello stomaco qualcosa di più sostanzioso come uova e pancetta, che di solito ha sempre divorato prima ancora che me ne rendessi conto, ma tant’è. Se solo si decidesse a tornare quella di sempre forse riuscirei a essere un po’ più tranquillo anch’io. Intanto per ora mi accontento di sapere che non ingurgiterà mai più quella robaccia. Come faccio a esserne tanto sicuro? Semplice, me lo ha promesso, e ho deciso di fidarmi di lei. Ne ho bisogno. E poi ho l’occhio lungo per certe cose. Il passato, anche se a volte non vorresti, insegna sempre molto più di quanto tu creda e passando attraverso certe cose impari inevitabilmente a riconoscerne i segnali. Orribili, inequivocabili segnali. Grace per ora è solo molto triste, e io da padre un po’ apprensivo (ok, terribilmente apprensivo) posso solo sperare che sia una cosa passeggera. L’arrivo improvviso di Johanna mi distrae dai miei pensieri, catapultandomi nuovamente alla realtà mentre la osservo raggiungerci velocemente con Logan, che praticamente avvinghiato al suo collo emette strani mugolii di protesta che mi fanno sorridere. Ci risiamo, un’altra delle sue capricciose trovate per trattenere sua madre a casa più del dovuto. Lo capisco, anche a me piacerebbe vederla più a casa a occuparsi dei nostri figli, ma se lo dico ad alta voce mi accusa di essere un troglodita con una concezione della donna ferma al medioevo e via dicendo, ragion per cui evito accuratamente di aprire bocca su questo punto. Se non altro per non rischiare di ricominciare a litigare, non ora che le cose sembrano essersi finalmente appianate tra noi. Anche se…non so, a volte ho una strana sensazione, come se fosse lontana anni luce da me, come se a volte non riuscisse quasi a incrociare il mio sguardo. Già, è colpa mia, probabilmente anche lei come Grace ha bisogno di un po’ di tempo. Tempo per incassare il dolore che le ho causato con la mia continua assenza, con le mie parole tutt’altro che rassicuranti. Lo so, a volte sono proprio uno stronzo.

- Che cosa ti succede oggi, mascalzoncello! Ti senti male per caso?

Esclama allegra Sophie quando li vede arrivare e vedo mia moglie annuire un paio di volte prima di rispondere con aria grave: - Altrochè, non ne hai idea. E si tratta proprio di una bruttissima malattia, stavolta.

- Come? Una malattia? Ma…di cosa…di cosa stai parlando, si può sapere?

Mi intrometto col cuore in gola e lei annuisce di nuovo, distogliendo in fretta lo sguardo.

- Mi dispiace, ma credo che siamo di fronte a un improvviso, gravissimo attacco di mammite acuta. Niente paura però, perché per nostra fortuna conosco bene la cura per sconfiggerla definitivamente. Un po’ di latte caldo e qualche coccola e tornerà come nuovo, vero mio piccolo furfante?

Spiega strizzandomi impercettibilmente l’occhio e io tiro un sospiro di sollievo. Accidenti, per un attimo mi ero seriamente spaventato. Questa donna mi farà avere un infarto prima o poi, me lo sento.

- Non voglio il latte caldo!

Protesta Logan e Johanna alza gli occhi al cielo cercando di convincerlo a staccarsi da lei, senza però ottenere grossi risultati.

- Piantala di fare lo scemo, sei patetico!

Si lamenta intanto Grace lanciando uno sguardo infastidito all’indirizzo di suo fratello, che senza perdere un colpo risponde con una linguaccia che la fa andare su tutte le furie.

- Ecco, vedete cosa ottenete a forza di viziarlo? È solo un bamboccio stupido!

- Basta così, Grace, non mi piace quando offendi tuo fratello. Non dovresti parlargli in questo modo, del resto anche tu qualche volta ti comportavi esattamente come lui  quando avevi la sua età. È una cosa normale.

La riprende sua madre ma Grace scuote la testa, evitando accuratamente il suo sguardo.

- Davvero? Beh, è un peccato che papà si sia perso i miei capricci, come del resto qualsiasi altra cosa della mia infanzia. Non credi?

Risponde sarcastica facendo trasalire Johanna e anche me, che dall’altra parte della stanza le osservo senza sapere cosa dire. Anche se immagino che a questo punto mi tocchi intervenire in qualche modo.

- Grace, non…

Comincio così, ma i miei buoni propositi di riprenderla finiscono completamente in fumo quando noto la sua espressione improvvisamente afflitta, così, non riuscendo a terminare la frase spero almeno che mia moglie decida di venirmi in aiuto. E in effetti, dopo qualche secondo la vedo avvicinarsi lentamente a lei. Non sembra arrabbiata dopotutto ma il suo sguardo è cupo, e d’un tratto so che quelle parole l’hanno ferita molto più di quanto sia disposta a mostrare.

- Ascolta tesoro, che ne dici se usciamo oggi. Io e te da sole, ti va? Potremmo andare a mangiare qualcosa in quel ristorantino che ti piace tanto e…parlare un po’, magari. Raggiungimi in ufficio all’ora di pranzo e ci mettiamo d’accordo, che ne dici?

Propone speranzosa ma Grace le lancia un’occhiata gelida prima di rispondere con fermezza: - Non so mamma, sei sicura di non avere niente di meglio da fare a quell’ora? Sai, non vorrei abusare del tuo prezioso tempo…

- Di che stai parlando? Sai benissimo che per te ho sempre tutto il tempo del mondo, e al diavolo qualunque altra cosa mi trattenga dal passare un pomeriggio in compagnia di mia figlia.

Replica Johanna ma Grace ormai non la sta neppure a sentire quando, alzandosi da tavola con uno scatto improvviso, si affretta a voltarle le spalle per sparire al piano di sopra bofonchiando parole incomprensibili che mi lasciano alquanto perplesso. Credo che stia davvero cominciando a esagerare adesso.

- Non riesco proprio a capire cosa le prenda, questo suo atteggiamento mi preoccupa.

- Stai tranquilla, Johanna, non hai nulla da temere – si intromette Sophie, cercando anche me con lo sguardo – e nemmeno tu, Christian. Vostra figlia non ha nulla di grave, è solo malata d’amore.

- Malata d’amore? Cosa diavolo vorresti dire con questo?

Chiedo sconcertato e lei scoppia a ridere, lasciandosi cadere sul divanetto.

- Ma sì, la questione è molto semplice: Grace è innamorata. Me lo ha confidato appena qualche giorno fa. A quanto pare si è innamorata di un ragazzino che frequenta la sua stessa scuola, solo che lui non la degna di uno sguardo perché più propenso verso la sua amica Danièle. Lei li ha visti passare un sacco di tempo insieme, per questo è così giù, ma sono cose passeggere alla sua età. È solo una cotta, presto le sarà passata e tornerà quella di prima.

Spiega e io continuo a fissarla, stralunato. Grace è innamorata? La mia bambina innamorata? No, nossignore, non facciamo scherzi. È ancora troppo piccola per queste cose. E poi non ha ancora compiuto trent’anni. O quaranta. Cavolo, ci mancava solo questa.

- Oh, la mia povera bambina…e io non me ne sono neppure accorta. Non ne faccio una giusta con lei da un po’ di tempo, inoltre sembra sempre che ce l’abbia con me. Però sono contenta che si sia confidata con te, Sophie, almeno non si tiene tutto dentro.

Risponde Johanna e d’un tratto ha un’aria così afflitta che non posso fare a meno di andarle vicino per abbracciarla.

- Non pensarle neanche certe cose, Grace non ce l’ha con te. Sentito? Sta solo…crescendo.

Le sussurro sfiorandole le labbra con un bacio e lei annuisce, sgusciando via in fretta dalle mie braccia perché si è appena resa conto di quanto si sia fatto tardi.

- Devo andare.

Dice infatti e corre a dare un bacio a Megan e a Logan, che nel frattempo in tutto questo trambusto ha deciso di finire il latte di Grace e ora sta già beatamente rannicchiato sul divano a guardare i cartoni in trepida attesa che Richard, suo ormai inseparabile compagno di giochi, si decida finalmente a svegliarsi per raggiungerlo.

- Mi raccomando, però – aggiunge Sophie, preoccupata – non ditele che ve ne ho parlato, altrimenti mi fa a fettine! Mi ha fatto promettere di non dirlo a nessuno.

- Certo, non preoccuparti.

La rassicuro, quando sono io che in questo momento avrei davvero bisogno di rassicurazioni. L’ho appena ritrovata, e lei si è già innamorata. Avrei voluto avere più tempo per affrontare questa situazione, e ora mi accorgo che le cose mi sgusciano via di mano prima ancora che…ok, sarà meglio che me ne faccia una ragione. Le parlerò, ma indirettamente, senza farle capire che so. La raggiungo così nella sua stanza, dove la sorprendo raggomitolata sul letto e intenta a giocherellare col cellulare, che appena mi vede si affretta a riporre sul comodino per mostrarmi tutta la sua attenzione.

- Ehi, cosa fai quassù tutta sola? È una giornata troppo bella per restarsene chiusi in casa. Ho un’idea, perché non vieni con me al lavoro, così mi aiuti anche a tenere a bada quella peste di tua sorella?

Le propongo cercando di fare conversazione e la vedo sospirare lentamente, facendo spallucce.

- Non hai certo bisogno di me per occuparti di lei, te la cavi benissimo anche da solo. Sei così bravo con Megan che ogni volta che ti osservo mentre la coccoli e te ne prendi cura non posso fare a meno di pensare a quanto avrei voluto averti vicino anch’io, quando avevo la sua età. Sai, quando penso a questo mi rendo conto che c’è un grande vuoto dentro di me, e anche se tu adesso sei qui e so che non mi lascerai più io non riesco a…dimenticare, non riesco a non pensare a ciò che avremmo potuto vivere insieme, e che invece per colpa della mamma abbiamo perso.

Mormora con le lacrime agli occhi, spiazzandomi completamente mentre mi chino su di lei per stringerla fra le mie braccia e provare a rassicurarla in qualche maniera, anche se credo di conoscere fin troppo bene il suo stato d’animo. Quel vuoto di cui parla, quel vuoto che la fa tanto soffrire in realtà è anche il mio, e anche se so che nessuno potrà mai colmarlo o restituirci tutti gli anni che abbiamo perso, l’amore che proviamo l’uno per l’altra è la cosa più importante del mondo e vorrei tanto che lei lo capisse. Continuare ad accusare sua madre servirà solo a far soffrire entrambe inutilmente.

- Amore mio, ti prego, non piangere…lo sai che mi spezzi il cuore, e lo fai anche quando parli così della mamma. Sai che lei ha fatto tutto questo solo spinta dall’amore che aveva e ha per te, perché è così tesoro, lei ti ama più della sua vita e ha preso la decisione di crescerti lontana da me per proteggerti da quello che stavo vivendo, e che aveva paura potesse…

- Lei ha rovinato le nostre vite – mi interrompe, rabbiosa – e continua a farlo anche adesso, perché…no. No, niente.

La scosto da me, asciugando le sue lacrime.

- Avanti, cos’è che stavi per dire?

La esorto, cercando di non perdere la pazienza ma lei scuote la testa, accoccolandosi di nuovo contro di me ed è chiaro che ormai non parlerà più. Detesto doverlo ammettere, ma Johanna ha ragione. Grace ha un problema con lei, e questo, tra le altre cose, la rende irascibile e nervosa come mai prima d’ora.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


- Non credevo che soffrisse ancora così tanto per quella situazione.

Dico abbassando gli occhi sulla mia scrivania, dove un mucchio di scartoffie troneggiano indisturbate ormai da qualche giorno e in trepida attesa che mi decida finalmente a firmarle. E lo farei, lo farei davvero se solo riuscissi a concentrarmi sul mio lavoro, ma la verità è che la mia testa è totalmente persa altrove, e adesso…adesso, la rivelazione che mio marito mi ha appena fatto è solo servita a peggiorare il mio sistema nervoso già praticamente a pezzi. I problemi di Grace sono molti  più di quanto realmente pensassimo, e sapere che non è ancora riuscita a perdonarmi per ciò che è accaduto in passato mi fa davvero molto male, soprattutto perché ero proprio convinta che avesse già superato tutto quanto.

- Non lo credevo neanch’io, ma evidentemente il fatto che stia crescendo le fa vedere le cose sotto una prospettiva diversa. Le domande che si pone non sono più le stesse a cui abbiamo risposto quando aveva dieci anni, e…

Si interrompe di colpo quando nota la mia espressione afflitta, poi sospira.

- Ecco, è proprio per questo che non volevo parlartene, sapevo bene che una cosa del genere ti avrebbe resa così triste. Tuttavia ho pensato che dovessi saperlo. Non preoccuparti, sono sicuro che si tratta di una cosa passeggera, proprio come la sua cotta estiva, ragion per cui questa sera le parleremo e insieme chiariremo la situazione una volta per tutte.

Continua provando a tirarmi su di morale e io gli rivolgo uno sguardo grato che in realtà nasconde molto più di quanto sia disposta a mostrargli. Sembra così attento adesso, così amorevole nei miei confronti da farmi sentire un verme. La bufera è passata, ammesso che sia mai realmente esistita se non nella mia mente, e lui non merita quello che gli sto facendo. Come io non merito lui, a questo punto. È come un circolo vizioso dal quale ogni giorno che passa è sempre più difficile uscire, ma non posso continuare su questa strada. Non posso.

- Le parlerò io – rispondo baciando le sue mani e stringendole forte tra le mie – se Grace ha un problema con me è giusto che sia io e soltanto io a farlo. Affronterò qualunque fantasma del passato agiti ancora la mente di nostra figlia, dovesse essere l’ultima cosa che faccio in vita mia. Tu, però, resta nei paraggi. Mi sentirei più sicura se lo facessi.

Gli sorrido strizzandogli l’occhio e Christian si sporge dall’altro lato della scrivania, quanto basta per sfiorarmi le labbra con un bacio che in un attimo ha il potere di farmi sentire più tranquilla. Almeno finchè le porte del mio studio non si riaprono all’improvviso, rivelando la figura alta e slanciata di Greg che con un sorriso tirato fa il suo ingresso in mezzo a noi, schiarendosi la voce un paio di volte prima che mio marito si volti verso di lui salutandolo con un breve cenno del capo.

- Vedo che è arrivato un cliente, perciò adesso me ne vado e ti lascio lavorare tranquilla. A stasera.

Dice e io annuisco, seria e con il cuore in tumulto, assolutamente incapace di proferire parola mentre lo guardo, ignaro di tutto, lasciare lentamente la stanza. A quel punto mi lascio cadere di nuovo sulla scrivania, prendendomi la testa tra le mani e cercando faticosamente di nascondere la frustrazione.

- Che cosa ci fai qui? Ti avevo detto di…

- Sì, so bene quello che hai detto ma rilassati, questo è soltanto un luogo di lavoro e non stiamo facendo nulla di sconveniente. Anche se muoio dalla voglia di strapparti quei vestiti di dosso e trascinare il tuo splendido corpo nello sgabuzzino di fronte, proprio come l’ultima volta. È stato stuzzicante, ricordi? Pensi che potremmo rifarlo  tipo… adesso? Vedo che quella matta della tua amica non è ancora arrivata.

- Greg, smettila! Io e te non faremo proprio niente qui dentro. 

Replico incenerendolo con lo sguardo e lui scoppia a ridere, facendomi desiderare ancora una volta di sprofondare sotto uno dei mattoni su cui tengo il piede per un tempo abbastanza vicino a…per sempre.

- Hai ragione, meglio a casa mia. Saremo più rilassati in un letto, che è decisamente più comodo. Senza contare che mi piace da matti sentirti urlare quando ti faccio una certa cosa con…

- Adesso basta Greg, ti ho detto di piantarla! Io e te non faremo nulla, né qui né tantomeno da un’altra parte.

Esclamo stavolta al limite della sopportazione, dimenticando completamente di controllare il mio tono di voce.

Mi fissa a lungo, quasi sorpreso dalla mia reazione prima di decidersi a parlare di nuovo.

- E va bene, ho capito, sei di cattivo umore oggi. Deduco che la cosa sia riconducibile alla presenza dell’uomo che era qui poco fa, e che dalle sue parole immagino sia tuo marito. Beh, almeno adesso l’ho conosciuto ma permettimi di essere un po’ sorpreso, non mi aspettavo certo di trovarlo qui.

- E io non mi aspettavo che tu saresti venuto, quando ti avevo chiesto espressamente di non farlo più!

- Desolato piccola, ma perdonami, perché morivo dalla voglia di vederti.

E fa per abbracciarmi ma io mi scosto velocemente, indietreggiando di qualche passo fino a trovarmi proprio di fronte a lui. Scuoto lentamente la testa cercando di rimettere in ordine i pensieri che mi affollano la mente, facendola tanto assomigliare a un orribile ammasso infeltrito che ormai faccio sempre più fatica a sopportare.

- Non possiamo continuare così – dico lenta e staccata, raccogliendo le forze per provare a spiegarmi nel miglior modo possibile – e sappiamo entrambi che questa cosa non ci porterà da nessuna parte.

- Questa…cosa? Perché non la chiami con il suo nome una volta tanto? La nostra relazione, è questo ciò che volevi dire.

Incrocia il mio sguardo e la sua espressione si fa più cupa quando intuisce che sono perfettamente seria stavolta, e che non ho alcuna voglia di scherzare.

- Io amo la mia famiglia – proseguo, tesa –  amo mio marito, lo amo davvero tantissimo e non voglio più fargli questo. Non fraintendermi, ti prego, sono stata bene con te e la tua presenza mi ha aiutata a superare un momento difficile della mia vita, ma ora deve finire tra noi. E deve finire adesso, perché ogni volta che provo a guardarlo negli occhi o anche solo a osservare la mia immagine riflessa nello specchio, non posso fare a meno di odiare me stessa.

Deglutisco, nervosa, poi lancio una breve occhiata attraverso le porte a vetri, ma di Laly non c’è ancora traccia. Vedo Greg sollevare le sopracciglia, scettico.

- Aspetta un momento, mi stai dicendo che per tutto questo tempo mi hai solamente usato?

Domanda con una strana apprensione nella voce e io abbasso gli occhi, affranta.

- Io non…mi dispiace.

È tutto ciò che riesco a dire e stavolta lascio che lui si avvicini di più, sfiorandomi una ciocca di capelli e sollevandomi il mento con un dito per costringermi a guardarlo negli occhi.

- No, non devi scusarti Johanna. Conosco pochissime persone che si battono con coraggio e lealtà per preservare ciò in cui credono di più al mondo, e tu sei una di queste. Vuoi proteggere la tua famiglia, tenerla al sicuro in ogni modo e io ti capisco, credimi. Immagino che sia giusto così, e immagino anche che non potrò mai più essere libero di baciare queste tue meravigliose labbra ogni volta che ne avrò voglia, ma permettimi di dirti che con molta probabilità sarà difficile per me riuscire a dimenticarti in fretta. Sei straordinaria, e tuo marito è davvero molto fortunato ad avere accanto una donna come te. Se però le cose tra te e lui dovessero cambiare, se dovessi renderti conto che ti manco troppo non esitare a venirmi a cercare!

Mi strizza l’occhio giocosamente e io lo colpisco sul braccio, ma non posso fare a meno di ridacchiare. Lui e le sue battutacce stupide e fuori luogo.

- Greg!

Protesto e lui fa spallucce, regalandomi uno dei suoi sorrisi.

- Va bene, d’accordo. La smetto.

 

Sono appena le cinque del pomeriggio quando decido di tornare a casa, al diavolo ufficio e scartoffie varie, non voglio mai più fare tardi per colpa del lavoro. Ho accusato Christian di non essere stato abbastanza presente per me, ma in realtà mi sono resa conto che è tutto il contrario. Sono io che l’ho trascurato, e ho fatto la stessa cosa con i bambini. Mi mancano immensamente, e mi manca passare del tempo con loro. Ma ora sarà tutto diverso, io stessa farò in modo che lo sia. Oggi era il primo giorno di scuola dopo le vacanze estive per Grace e non so neppure se sia già tornata a casa, ma mi basta aprire la porta per fugare ogni mio dubbio. Ed eccola lì, rannicchiata sul divano e intenta a guardare la televisione, a cui preferisce alzare il volume al massimo livello quando mi vede arrivare e, ci scommetto, solo per il gusto di evitarmi. Beh, da adesso dovrà smettere di farlo.

- Grace, abbassa subito il volume!

Mi lamento e lei, seppur con riluttanza, decide di obbedirmi, anche se si rifiuta di incontrare il mio sguardo.

- Come è andata oggi, che cosa hai fatto di bello?

Dico provando ad attirare la sua attenzione e la vedo arricciare le labbra con aria infastidita prima di rispondermi: - Niente che ti riguardi.

Sbuffa e comincia a fare zapping tra i canali ma io, pronta, le tolgo il telecomando di mano sospirando rumorosamente.

- Perché lo hai fatto, si può sapere?

Protesta.

- Perché non mi hai lasciato altra scelta, e perché noi due adesso dobbiamo parlare.

- Solo perché lo hai deciso tu?

Le accarezzo i capelli cercando di mantenere la calma e lei si scosta da me bruscamente, quasi come se l’avessi in qualche modo contaminata solo con un semplice tocco.  

- Non continuare a respingermi, Grace, ma dammi la possibilità di farti sentire meglio. So che ci sono ancora molte cose che ti turbano, e io sono qui apposta per ascoltarti. Parliamone, chiariamo questa brutta situazione una volta per tutte e torniamo a essere quelle che eravamo. Mi manchi così tanto tesoro, mi manca la nostra complicità e le nostre lunghe chiacchierate, lo sai che ti voglio un bene dell’anima.

- E a papà? Vuoi bene anche a lui?

Mi chiede a bruciapelo, lasciandomi spiazzata.

- Ma certo, si può sapere che domande fai?

Rispondo dopo un attimo di esitazione, chiedendomi dove diavolo voglia andare a parare, anche se non ci metto molto per scoprirlo. E l’esito di quella conversazione mi lascia senza fiato.

- Allora perché ti vedi con un altro? E non provare a dire che non è così perché io vi ho visti mamma! La settimana scorsa sono passata dal tuo ufficio e vi ho visti insieme, e vi stavate baciando! Perché baciavi un altro mamma, perché? Perché fai questo a papà, e a noi! Non pensi a noi, non ti sei già divertita abbastanza a rovinare le nostre vite in passato? Papà ha sofferto molto a causa tua perché tu non gli hai detto la verità su di me, e ora non merita di farlo ancora!

La fisso, inorridita, incapace di pronunciare una sola parola mentre il mio cuore va a fondo come una pietra.

- Sii sincera per una volta – continua, inesorabile – basta, basta bugie. Devi dirglielo, devi dirgli tutta la verità, perché se non glielo dirai tu lo farò io!

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Accompagno Sophie e il piccolo Richard all’aeroporto e mi rendo conto di non riuscire quasi a lasciarla andare via, poiché so che mi mancherà moltissimo.

- Mi raccomando, fai il bravo – scherza, strizzandomi giocosamente l’occhio prima di abbracciarmi forte – e scrivimi ogni tanto. Mi mancherete tutti, ma tornerò presto a trovarvi. Vedrai.

- Lo spero – rispondo, scostandola da me per cercare ancora una volta il suo sguardo commosso – altrimenti tornerò a Parigi solo per fartela pagare, se ti azzardi a non mantenere la promessa!

La guardo allontanarsi finchè non scompare dalla mia vista, poi faccio un lungo respiro profondo e mi rimetto in cammino. A quest’ora di sera le strade sono libere e questo mi permette di tornare a casa prima del previsto, anche se quando arrivo mi rendo conto che i bambini sono già andati a dormire da un pezzo, a giudicare dal pacifico silenzio che avvolge le stanze. La cosa però non mi stupisce per niente, visto che ormai la scuola è ricominciata e Johanna insiste sempre perché siano freschi e riposati per affrontare lo studio nel migliore dei modi. A proposito, non la vedo in giro. Chissà se è già andata a dormire anche lei, e se ha già parlato a Grace. Sono un po’ preoccupato per questa spiacevole situazione a dire il vero, così decido di scoprirlo subito, ma sto quasi per raggiungere il piano di sopra che me la vedo comparire davanti all’improvviso, l’espressione tesa, lo sguardo scuro.  

- Christian, devo parlarti.

Dice risoluta e io annuisco, credendo di sapere già cosa aspettarmi.

- Si tratta di Grace, vero? Hai…

- No – mi interrompe ansiosa – si tratta di…noi due.

Apro le mani, confuso, frugandole in volto alla ricerca di risposte. La vedo muoversi  verso di me, quasi timorosa e a quel punto sono io a fare il primo passo, andandole vicino per prenderla fra le braccia. Le scosto i capelli dal viso, un viso che d’un tratto sembra solo rivelare una strana, struggente fragilità. Le sue mani mi accarezzano a lungo le guance, i suoi occhi incrociano i miei e vi indugiano a lungo, anche se con fatica. È come se cercasse dentro di sé il coraggio necessario per parlarmi ma io continuo a tenerla stretta, provando così a comunicarle che qualunque cosa abbia da dirmi può farlo senza alcun timore.

- Ci siamo scambiati delle promesse – continua, la voce incerta e a tratti spezzata da un singulto che cerca a tutti i costi di reprimere – quando ci siamo sposati. Promesse che adesso uno di noi ha inevitabilmente infranto.

Scuoto lentamente la testa e d’un tratto so a cosa si sta riferendo. La mia assenza, la mia assoluta incapacità di comprenderla fino in fondo. Ma è una storia che ci siamo già lasciati alle spalle, e continuare a rivangarla inutilmente non ha più senso a questo punto.

- Amore, so benissimo di essere stato…

- No, non sto parlando di te, Christian – mi interrompe di colpo, prendendomi in contropiede -  Sto parlando di me. Subito dopo la nascita di Megan credo di essere quasi andata fuori di testa, ecco. Chiamala ansia, depressione post parto o come altro  ti pare, il risultato non cambia comunque le cose. Mi sentivo…trascurata e terribilmente sola e so bene che in realtà era tutto nella mia testa, che era un problema mio e tu non ne hai mai avuto alcuna colpa, ma questo non mi ha impedito di fare qualcosa di cui mi vergogno tantissimo, e di cui probabilmente mi pentirò per il resto della mia esistenza.

A quel punto si scioglie lentamente dal mio abbraccio, abbassando lo sguardo e stringendosi nelle spalle.

- Insomma, che cosa avrai mai fatto di così terribile? Voglio dire, qualunque iniziativa tu abbia deciso di prendere non credo sia il caso di farsi tanti problemi. A meno che non abbia ucciso qualcuno e ora stia cercando il mio aiuto per seppellire il cadavere.  

Scherzo per alleviare la sua pena, ma a giudicare dall’espressione che assume il suo viso la cosa non sembra aver funzionato come mi aspettavo. La guardo mentre si passa stancamente le mani tra i capelli, mordendosi a lungo le labbra prima di decidersi a svelarmi di cosa diavolo stia parlando.

- Io…io ti ho tradito.

Dice con un filo di voce e, mentre pronuncia quelle parole, i suoi occhi si riempiono di lacrime. Le seguo scivolare silenziosamente lungo le sue guance pallide e colare  giù fino al mento, in un doloroso percorso molto simile a quello intrapreso dal mio cuore che, adesso, dopo quelle parole dure e pesanti come macigni sento spezzarsi irrimediabilmente, per poi precipitare in qualche cavità vuota e oscura di cui non conosco il nome.

- Mamma, papà, c’è un fantasma nella mia cameretta…

La voce piagnucolosa di Logan mi strappa bruscamente al mio stato catatonico, riportandomi immediatamente alla realtà e così mi precipito da lui, prendendolo in braccio per consolarlo e riportarlo velocemente nel suo letto, che ha lasciato, scalzo, solo per venire a raggiungerci.

- Visto? Non c’è proprio nessun fantasma qui dentro.

Dico per tranquillizzarlo non appena gli rimbocco le coperte e lui annuisce, finalmente più sereno, ma mi prega di rimanere con lui ancora un po’ per leggergli una favola, richiesta alla quale non posso assolutamente sottrarmi, ma quella sera la mia voce trema talmente tanto che più volte durante la lettura sono costretto a interrompermi  per ricompormi e riprendere fiato mentre mio figlio, totalmente ignaro del mio tormento interiore, scivola pacificamente nel sonno. Lo bacio sulla fronte, poi lascio la stanza, rendendomi a malapena conto che Johanna mi sta seguendo giù per le scale, pronunciando parole che al mio orecchio risultano ormai quasi incomprensibili, poiché l’unica cosa che riesco a sentire adesso è il rumore sotile di una lama affilata che lentamente, inesorabilmente mi trapassa da parte a parte, divertendosi a torturarmi fino a mozzarmi il respiro.  

- Ti prego, guardami Christian, lasciami spiegare.

Continua a ripetere e la sua voce è come un’eco indistinta che faccio fatica a seguire. Mi raggiunge appena prima della porta d’ingresso di cui come un automa sto stringendo la maniglia, sfiorandomi un braccio nel penoso tentativo di ottenere la mia attenzione ma io l’allontano con uno strattone, facendola sussultare.

- Stai lontana da me.

Sibilo a denti stretti ma lei torna alla carica, implorante e singhiozzante, pregandomi di non lasciarla sola.

- Non andartene, dammi solo la possibilità di…

- Ti ho detto di restare lontana!

Esclamo a quel punto, ormai incapace di dominarmi mentre esco in fretta,  richiudendomi violentemente la porta alle spalle.

 

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


- Glielo hai detto, vero? E adesso è andato via!

Mi aggredisce mia figlia non appena mette piede in cucina, facendomi sussultare vistosamente. Ma certo, era esattamente di questo che avevo bisogno dopo aver passato la notte in bianco con un feroce mal di testa e la fastidiosa sensazione di avere una pietra incastrata nello stomaco! E anche nel cuore. È così, non c’è altra spiegazione purtroppo, perchè se non avessi un macigno al posto del cuore non avrei mai potuto fare questo a mio marito. Non avrei mai potuto tradirlo, mettendo il mio benessere e i miei ridicoli disagi psicologici prima di tutto il resto, anche prima dei miei figli. La verità è che col mio comportamento sconsiderato non ho solo ferito Christian, ma anche mia figlia. Mi basta guardarla negli occhi, infatti, per capire come sta. E la colpa è soltanto mia. Sono io che l’ho ridotta così, e sono sempre io ad aver rovinato tutto.

- Grace, tuo padre non è andato via, non lo farebbe mai. Noi stiamo solo attraversando…un periodo particolarmente difficile, ma vedrai che le cose si sistemeranno presto, perciò non hai alcun motivo di preoccuparti.

Rispondo cercando di tranquillizzarla, ma la mia voce trema talmente tanto mentre pronuncio quelle improbabili parole, che quasi non ci credo neanch’io.

- Se non se ne è andato, allora dov’è?

Insiste, fulminandomi con lo sguardo fino a farmi perdere la pazienza.

- Adesso basta, pensa a far colazione e andare subito a scuola anziché impicciarti degli affari miei e di tuo padre! Mi hai sentito? Non sono cose che ti riguardano, sei ancora una bambina e…

- Non è vero – mi incalza, rabbiosa – è qui che sbagli, mamma! Io non sono più una bambina e dovresti smetterla di trattarmi come tale e di sfogare su di me tutte le tue stupide frustrazioni, perchè non è certo colpa mia se gli hai messo le corna!

La colpisco con uno schiaffo prima ancora di rendermene conto e lei ammutolisce di colpo, abbassando lentamente lo sguardo.

- Non provare mai più a parlarmi in questo modo, ricordati che sono tua madre e non tollero certi comportamenti irrispettosi da parte tua! Adesso fila subito a scuola e senza discutere!

Grido al limite della sopportazione e la vedo scoccarmi un’occhiata di fuoco mentre lascia di corsa la stanza, trattenendo a stento le lacrime. Mi lascio cadere sul divano, prendendomi la testa fra le mani e singhiozzando senza controllo per un tempo che mi sembra interminabile finchè non sento girare la chiave nella serratura. A quel punto, con il cuore in gola mi precipito verso la porta d’ingresso, tirando un profondo sospiro di sollievo non appena lo vedo.

- Sei tornato a casa, finalmente – sussurro, torcendomi le dita per la disperazione – ero così preoccupata. Dove hai passato la notte, si può sapere? Non ho fatto che chiamarti e lasciarti messaggi in segreteria, avevo paura…

Mi interrompo bruscamente, incapace di finire la frase che la mia testa continua a suggerirmi con prepotenza.

- Coraggio – mi incita a denti stretti – di cos’è che avevi paura, Johanna? Che me ne sarei andato via, è questo che stavi cercando di dire? Oh, non sai quanto avrei voluto farlo. Non hai idea di come abbia desiderato fuggire in capo al mondo e lontano da te per sempre. Davvero, niente mi avrebbe reso più felice di questo. Ma poi ho pensato ai bambini. I miei figli hanno bisogno di me e io ho delle responsabilità verso di loro, non posso e non voglio allontanarmene, perché tutto questo non avrebbe alcun senso. Non voglio assolutamente che soffrano per i nostri problemi, ragion per cui non farò più un solo passo fuori da questa casa, se non per andare al lavoro. Ma questo non cambierà certo le cose tra noi.

- So di averti deluso, Christian, e so anche che dirti che mi dispiace non servirà a farti sentire meglio. Non ho scusanti per quello che ti ho fatto e ne sono consapevole, ma avrei potuto benissimo tenertelo nascosto e continuare a fingere per il resto dei miei giorni. Invece non l’ho fatto, ho preferito dirti tutta la verità in nome dell’antica promessa che ci siamo scambiati. Ricordi? Niente più segreti, niente più bugie.

- Già, giusto. Quindi dovrei anche ringraziarti adesso?

Replica sarcastico.

- E questo perché ti amo – continuo cercando di ignorarlo, consapevole di non riuscire a frenare le mie lacrime – ti amo davvero con tutto il cuore.

Sorride con disprezzo.

- Se questo è il tuo modo di amare sono proprio un uomo fortunato, non c’è che dire.

- Christian, ti prego…

- Non sai neppure cosa significa amare, ne sei totalmente incapace e io non voglio stare ancora qui ad ascoltare le tue stronzate!

Grida all’improvviso e fa per voltarmi le spalle e raggiungere il piano di sopra ma io lo blocco sul tempo, parandomi davanti a lui per impedirgli di fare un altro passo.

- Per favore, smetti di fare così e lasciami parlare!

- Va bene – dice, ostile, dopo un lungo momento di silenzio – come vuoi tu, ma sarò io a condurre le domande. Allora, ne è valsa la pena almeno?

Lo fisso, confusa.

- Di cosa stai parlando?

- Com’è a letto? Se la cava meglio di me, non è così? E dimmi, dov’è che ti sei fatta scopare per tutto questo tempo? Te lo portavi qui a casa, magari nel nostro letto, oppure in ufficio tra una pausa e l’altra…

- Smettila – esclamo, disperata – non risponderò alle tue provocazioni!

- Non farlo allora, anzi non dirmi proprio niente. Non voglio saperlo. Non voglio neppure sapere chi è, perciò per la sua incolumità faresti meglio a non rivelarmelo, perché se dovessi scoprire dove si nasconde lo ammazzo, giuro su Dio che lo ammazzo come un cane!

Mi spinge via senza riguardo e cerco ancora di trattenerlo afferrandolo per un braccio, ma la violenza del suo strattone rischia quasi di farmi cadere mentre provo ancora una volta a spiegarmi, a esprimere le ragioni del mio imperdonabile gesto, anche se so che è tutto inutile.

- Lasciami andare – tuona, raggelandomi con un’occhiata sinistra – non sei altro che una sgualdrina!

- Non c’è più nulla tra me e lui – insisto, sforzandomi di ignorare il terribile appellativo che ha appena usato nei miei confronti – è finita, te lo giuro, e tutto perché ho scelto te. Ho scelto noi Christian, la nostra vita, la nostra famiglia. Non buttiamo all’aria ciò che abbiamo costruito insieme, non rinunciamo al nostro amore.

Si blocca all’improvviso, scuotendo la testa con forza.

- Per quel che mi riguarda puoi anche tornare tra le sue braccia – dice e la sua voce trema ancora per la rabbia che in tutti i modi sta cercando di trattenere – perché è tra noi che è finita, Johanna. È finita per sempre.  

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Il rumore del vetro che va in frantumi mi colpisce come uno schiaffo in pieno viso, anche se so che dovrebbe lasciarmi del tutto indifferente. In fondo sono stato io a rompere quella fotografia, la stessa che ora si diverte a fissarmi da un angolo del pavimento ai miei piedi, sorridendo come se fosse una giornata qualunque, come se niente fosse cambiato da quando l’ho scattata. E invece no, è cambiato tutto. Anni di matrimonio e di felicità gettati al vento da un uragano che all’improvviso ha spazzato via ciò in cui credevo, ciò che fino a qualche settimana fa era la mia vita. Ma cos’è la mia vita, adesso? Solo un baratro vuoto e oscuro dal quale non riesco a emergere perché a ogni boccata d’aria mi ritira giù. Sempre più giù. Un’inesorabile spirale senza fine dove ormai credo di essermi perso. È finita. Completamente finita, è questo che continuo a ripetermi, ed è questo che ho continuato a ripetere anche a lei prima che si arrendesse definitivamente con me, smettendo finalmente di parlare. Anch’io ho smesso di parlare adesso e questa nuovo, tacito accordo mi fa sentire costantemente sull’orlo di un precipizio, come fossi sul punto di perdere la testa da un momento all’altro. Mi rannicchio sul pavimento, proprio vicino alla sua foto, prendendola lentamente tra le mani e d’un tratto il suo sorriso è sbiadito e tremolante, ma è solo colpa delle lacrime che mi annebbiano la vista. No, non posso continuare così o rischio di impazzire sul serio. Non riesco ancora a crederci, non riesco a rendermene conto. Ogni volta che ci penso sembra tutto irreale, come un sogno. Come un incubo. Un terribile incubo che ogni giorno si materializza davanti a me, prendendo il sopravvento sulla ragione, e a quel punto mi riesce difficile persino rivolgere un sorriso ai miei bambini, che tutte le sere aspettano con trepidazione che entri nella loro cameretta e rimbocchi loro le coperte, subito prima del bacio della buonanotte. Fingere con loro che le cose vadano bene sta diventando sempre più difficile per me, che a malapena tengo il controllo di me stesso e della situazione. Ma so che è la cosa più giusta da fare, almeno finchè non sarò pronto a dir loro la verità. Solo…non voglio vederli soffrire, non desidero procurargli alcun dolore. Anche se sarà inevitabile.

Ahi!

Il dolore mi risveglia di colpo dal mio torpore e solo a malapena mi accorgo di essermi appena tagliato la mano con un frammento di vetro, e che ora il sangue zampilla indisturbato dalla ferita senza che riesca a far niente per fermarlo. Mi chiedo se voglia farlo davvero. La spirale torna ad avvolgermi, il buio mi assale. Di nuovo.  No, non mi importa.

- Christian! Christian, mi stai ascoltando? Hai delle bende da qualche parte? Dobbiamo fermare il sangue.

Rialzo lo sguardo e solo allora mi accorgo di Nicolas, che chino su di me sta cercando di attirare la mia attenzione.

- Sì, sono in quel cassetto.

Rispondo, confuso. Non so neppure quando è entrato. Lo guardo prendere tutto il necessario e chinarsi di nuovo su di me, premendo forte sulla ferita e strappandomi un gemito di dolore.

- Cavolo, ma dove hai la testa? Si può sapere cosa è successo?

Domanda, scrutandomi in viso in cerca di risposte.

- Io…io non lo so. Voglio dire, la cornice mi è scivolata di mano e…

Mi interrompo, evitando il suo sguardo inquisitore.

- Dovresti fare più attenzione a quello che fai, sei così strano da un po’ di tempo. Stai bene, è successo qualcosa che ti disturba e che dovrei sapere? Di nuovo problemi con Grace?

Scuoto la testa, rialzandomi in piedi all’improvviso senza neppure dargli il tempo di medicarmi la mano.

- Il sangue si è fermato – dico, ignorando completamente la sua domanda e cercando faticosamente di ritrovare il contatto con la realtà. Un contatto che mi sembra di aver irrimediabilmente perso - da adesso in poi me la cavo da solo, grazie.

Il mio amico annuisce, facendo spallucce.

- Come vuoi, ma dovresti occuparti di tutto quel vetro sparso a terra. Magari dopo che ti sarai asciugato quelle lacrime.

Aggiunge sottovoce ed è allora che mi accorgo di non aver mai smesso di piangere. Vedo Nicolas avvicinarsi lentamente, posandomi una mano sulla spalla.

- Sul serio Christian, sembri proprio a pezzi. Te lo chiedo di nuovo, che cosa c’è che non va?

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


- Indovinate un po’, ragazze? Aspetto un bambino!

Esclama Laly una mattina, saltando su dalla sua scrivania per mostrare con aria fiera a me e a Hèléne l’ultimo test di gravidanza fatto, e che l’ha finalmente resa, a giudicare dalla sua faccia, la donna più felice della terra. E pensare che la prima volta che è rimasta incinta non voleva assolutamente tenere il bambino, e l’unica strada possibile secondo lei era l’aborto. Mentre guardo Hèléne andarle incontro per abbracciarla mi rendo conto di non riuscire a trattenere le lacrime, così scoppio in un dirotto e inconsolabile pianto che per un po’ non ho la forza di frenare. E non so nemmeno perché. No, è una bugia. So esattamente il perché.

- Caspita, è una notizia così terribile? Pensavo fossi contenta di diventare zia!

Mormora la mia amica, presa in contropiede dalla mia catartica reazione che la fa precipitare da me per porgermi un fazzoletto e provare a consolarmi.

- Ma no, è meraviglioso, e io sono solo un po’…sopraffatta. È che Roy non mi ha detto niente di tutto questo.

Rispondo con voce strozzata, tanto per provare a spostare l’attenzione su qualunque altra cosa che non siano i miei inspiegabili e stupidi pianti. Intanto, vicino a noi noto che Hèléne mi fissa con insistenza, costringendomi così ad abbassare lo sguardo. Laly sorride, stringendosi nelle spalle con aria trasognata.

- Solo perché non lo sa ancora, infatti ho intenzione di fargli una bella sorpresa a pranzo. Voi due siete le prime a saperlo, volevo condividere questa immensa gioia con le mie migliori amiche.

Dice e io la invito a prendersi il resto del pomeriggio libero per prepararsi all’evento. So quanto ci tenga a fare le cose per bene quando si tratta di organizzare un pranzo, una cena o semplicemente prepararsi per andare al ristorante, perciò voglio venirle incontro nel migliore dei modi. Del resto oggi è lunedì e in ufficio posso benissimo cavarmela da sola, vista la scarsa affluenza di clienti.  Ma non ho nemmeno finito la frase che lei mi scocca un sonoro bacio sulla guancia e si affretta a prendere la borsa, per poi sparire attraverso le porte a vetri prima ancora che riesca a rendermene conto. È sempre la solita. Rimaste sole, vedo Hèléne fissarmi di nuovo con aria assorta prima di sussurrare, quasi tra sé: - Sopraffatta, eh? Mi chiedo se dalla vergogna o dal senso di colpa. Oppure da entrambe le cose.

Decido stavolta di incrociare il suo sguardo, chiedendole spiegazioni.

- Come, scusa?

Esclamo infatti, incapace di trattenermi dopo quella strana, tacita accusa che in un secondo mi gela il sangue nelle vene.

- Non è necessario che tu finga anche con me, Johanna, io conosco la verità. So tutto. Nicolas mi ha riferito ogni cosa, Christian si è confidato con lui appena qualche giorno fa. Mi chiedo come tu possa aver fatto una cosa tanto spregevole, mandando completamente in pezzi la tua famiglia.

Il suo tono accusatorio mi colpisce, spingendomi a mettermi sulla difensiva anche se so che non dovrei. Lei ha ragione.

- Ciò che succede all’interno della mia famiglia fa parte della mia privacy, perciò ti pregherei di non immischiarti. Non sono affari che ti riguardano.

Replico amara e lei scuote la testa, basita, lanciandomi un’occhiata inorridita che ha il potere di turbarmi ancora di più. Tuttavia sospira a lungo e con forza, proprio come se volesse, nonostante tutto, mantenere un contegno in tutta questa spiacevole  situazione. Non mi ha mai parlato così, e non l’ho mai fatto neppure io. È bastato un attimo, un attimo soltanto per trasformarci in due perfette estranee.

- Sai una cosa? Hai ragione, non sono affari che mi riguardano, ma lasciami solo dire una cosa: Christian non si meritava affatto un trattamento del genere.

Risponde dopo un lungo momento di silenzio, mordendosi le labbra come se volesse aggiungere dell’altro prima di voltarmi le spalle, ansiosa di lasciare in fretta il mio ufficio. Mi prendo la testa fra le mani mentre l’ennesima ondata di gelo mi serpeggia lungo la schiena, stringendomi in una lacerante, dolorosa morsa che mi blocca il respiro.

Sono le sei del pomeriggio quando decido di chiudere l’ufficio per tornare a casa e sulla via del ritorno incrocio Christian, che senza nepure degnarmi di uno sguardo si china subito sul passeggino per salutare Megan, che intanto, vedendolo, inizia a gorgogliare di gioia.

- La mia bambina adorata! Mi sei mancata tanto oggi, lo sai?

Esclama stringendosela al petto e intanto spinge la carrozzina fino alla porta di casa, girando poi la chiave nella serratura. Sono un fantasma per lui, si comporta come se non esistessi. Non riesce neppure a guardarmi in faccia, e non ha la minima idea di quanto questo riesca a ferirmi. O forse ce l’ha eccome, ed è proprio per questo che si comporta così. Non so per quanto tempo ancora continuerà su questa strada, non so neppure quali siano le sue intenzioni, l’unica cosa che so è che non riesco mai a replicare a questo suo atteggiamento. Perché in fondo me lo merito, e se fossi in lui farei sicuramente di peggio. E poi, cosa ci sarebbe ancora da dire? Si rifiuta di starmi a sentire, chiudendosi sempre in un ostinato silenzio. È per questo che ho smesso di parlare. Non avrebbe alcun senso cercare un punto di incontro, arrivati a questo punto. Ogni singola fibra del suo corpo mi rifiuta come se fossi indegna anche solo di esistere, riesco chiaramente a percepirlo. E fa male. Fa male come non avrei mai immaginato.

- Ehi bella addormentata, è ora di svegliarsi.

Sussurra chinandosi sul divano a baciare sulla fronte Grace, che riaprendo lentamente gli occhi e accorgendosi della sua presenza gli sorride, tendendosi verso di lui per permettere a suo padre di abbracciarla.

- Devo essermi addormentata senza neanche accorgermene.

Dice stropicciandosi gli occhi e guardandosi intorno, ancora un pò intontita.

- E Logan?

Chiedo cercandolo con lo sguardo, ma senza successo.

- Non so, era qui fino a poco fa, stavamo guardando la tv insieme.

- Sarà andato nella sua stanza, vado a controllare.

Si intromette Christian, raggiungendo in fretta il piano di sopra per poi tornare giù appena pochi istanti dopo, scuro in volto.

- Non c’è, non è da nessuna parte.

- Cosa?

Replico, cominciando ad agitarmi.

- Avete controllato in cucina?

Vedo Christian girare ogni angolo della casa, senza tuttavia riuscire a trovarlo. A questo punto entrambi siamo già più che preoccupati.

- Grace, dov’è tuo fratello? Ti avevo detto di tenerlo d’occhio fino al nostro ritorno!

Esclamo, prendendola per le braccia e scrollandola spazientita mentre lei abbassa gli occhi, afflitta.

- L’ho fatto mamma, e ti ho detto che era qui con me fino a poco fa!

- A quanto tempo risale esattamente “poco fa”, per te?

- Non lo so! Ricordo solo che ero stanca e mi sono appisolata sul divano…

- Va bene – la interrompe Christian, ormai visibilmente in ansia, forse anche più di me – cerchiamo di non perdere la testa. Io corro subito a cercarlo in spiaggia, voi continuate a controllare ogni angolo di questa casa. Non vorrei che si fosse nascosto per farci uno scherzo!

- Era sul divano con me, ti giuro che è così!

 Continua a piagnucolare Grace seguendomi mogia per le stanze, ma io riesco solo a pensare che il mare è piuttosto agitato oggi, e se fosse davvero sgattaiolato via verso la spiaggia…no, non devo farmi prendere dall’ansia. Sarà sicuramente qui intorno quel bricconcello, e non appena lo trovo gliele suono di santa ragione, poco ma sicuro, così impara a farci prendere certi spaventi.  Ma, mentre controllo dietro i divani e le tende per l’ennesima volta un urlo improvviso mi ferisce le orecchie, facendomi trasalire mentre mi precipito fuori, seguita a ruota da Grace per assistere allo spettacolo più terribile e sconcertante di tutta la mia vita. A qualche metro più in là e a pochi passi dal mare si è già formato un piccolo capannello di gente, e tutti sembrano aver l’aria a dir poco terrorizzata. Tra loro riconosco Nicolas, Josè e Benedicte che si sbracciano correndo da una parte all’altra, lo sguardo allarmato. Ci metto qualche secondo a capire cosa sta succedendo, ma quando vedo Christian liberarsi in fretta delle scarpe e della camicia, strappandosela quasi di dosso nel disperato tentativo di fare più in fretta possibile, non ho più dubbi. E mi sento morire.

- Logan, noo!

Grido precipitandomi verso di loro, seguendo con lo sguardo mio marito che incurante di ogni pericolo sta coraggiosamente sfidando il mare pur di riportare in salvo il minuscolo puntino in continuo movimento che appare e scompare tra le onde e che sembra ora così lontano da noi. Troppo lontano perché possa raggiungerlo in tempo.

- No, no! Ti prego, no!

Continuo a gridare disperata e nel mio stato di totale agitazione perdo totalmente il controllo di me e provo anch’io a gettarmi in mare, pronta a riprendermi mio figlio in ogni modo possibile e senza neppure riflettere su cosa stia facendo, prima che due mani mi trattengano con forza verso la riva, tenendomi stretta nonostante provi a dibattermi furiosamente per tutto il tempo.

- Johanna, calmati per favore, devi calmarti adesso! Nicolas e Josè hanno preso la barca, vedrai che tra poco riusciranno a raggiungerli entrambi. Lo porteranno in salvo, vedrai che lo faranno.

Cerca di tranquillizzarmi Benedicte, senza però riuscire a nascondere la sua apprensione, ma io non l’ascolto quasi. I miei pensieri sono tutti per il mio bambino e per mio marito ed entrambi ormai sono scomparsi dalla mia vista, facendomi temere il peggio. Come gli è saltato in mente di buttarsi anche lui in acqua a quel modo, e senza nemmeno  pensare alle conseguenze? Crollo in ginocchio sulla sabbia, in lacrime e completamente svuotata, ed è allora che lo vedo. Ansante e barcollante torna lentamente verso la riva, stringendo tra le braccia il corpicino di Logan, che con la testa abbandonata sul suo petto sembra non respirare più.

- Logan, tesoro. Apri gli occhi amore mio, ti scongiuro.

Balbetto angosciata mentre osservo Christian depositarlo delicatamente sulla sabbia e provare faticosamente a rianimarlo tra lo sconcerto generale.

- Coraggio, so che ce la puoi fare. Resta con noi, piccolo.

Sussurra col respiro corto, continuando a soffiare aria nella sua bocca finchè non lo sentiamo tossire di colpo.

- Sì, così tesoro. Sei bravissimo, butta fuori tutto.

Lo esorta suo padre accarezzandogli a lungo la schiena mentre io, pazza di gioia lo abbraccio stretto, baciando più volte il suo viso pallidissimo e cullandolo dolcemente, strofinando a lungo le sue manine tra le mie per provare a scaldarlo.

Qualche ora più tardi, dopo un lungo bagno e una tazza di latte bollente lo metto finalmente a letto, rimboccandogli le coperte fin sopra agli occhi per tenerlo al caldo il più possibile, mentre cerco di distogliere la mia primogenita dall’idea di trattenersi al suo fianco per il resto della serata. So che si sente in colpa per quello che è successo, ma le spiego con molta cautela che non deve assolutamente farlo, poiché l’unica responsabile di tutto non è certo lei. Ma Grace continua a singhiozzare e io continuo ad asciugare le sue lacrime finchè non riesco a convincerla ad andare a riposare, e anche se lo fa con riluttanza so che ne ha veramente bisogno. Scendo poi al piano di sotto e preparo due tisane, anche se le mie mani tremano talmente tanto che più volte rischio di bruciarmi versandomi addosso il liquido caldo, ancora sotto choc per quello che sarebbe potuto accadere se fossimo arrivati troppo tardi, e che per fortuna si è risolto solo con un grande spavento. Prendo le tazze e raggiungo lentamente il salotto dove Christian, seduto accanto al camino e con una coperta sulle spalle, pare accorgersi della mia presenza solo quando comincio a parlare.

- Logan si è addormentato non appena l’ho messo a letto – mormoro avvicinandomi a lui, che ora continua a tenere lo sguardo basso – sembra che stia bene, adesso. E tu invece, come ti senti? Devi essere esausto, faresti meglio ad andare a riposare. Ecco, ti ho preparato una tisana, ti aiuterà a conciliare il sonno.

E faccio per porgergli la tazza fumante ma lui si volta all’improvviso, colpendomi la mano che la regge per scaraventarla violentemente a terra, lasciandomi spiazzata e spaventata a fissare la macchia che si espande lentamente sul tappeto bianco, dove il liquido si è irrimediabilmente rovesciato dopo aver rimbalzato sulle mie dita, che ora sento brucianti e doloranti.

- Come diavolo ti è saltato in mente di lasciare Grace da sola a occuparsi di Logan per tutto questo tempo?

Esplode, facendomi trasalire.

- Non è la prima volta che le chiedo di andare a prenderlo a scuola!

Ribatto cercando di giustificarmi, ma lui sembra una furia e continua ad attaccarmi senza neppure essersi reso conto di ciò che ha appena fatto.

- Di andarlo a prendere a scuola, non di essere costretta a badare a lui per ore! È ancora una bambina, santo cielo, e non è certo colpa sua se si è appisolata sul divano per la stanchezza! Logan ha rischiato di morire oggi e la responsabile di tutto questo sei soltanto tu, che invece di rimanere a casa e tenere al sicuro i bambini preferisci passare il tuo tempo dentro chissà quale schifoso letto in compagnia di chissà chi, proprio come una puttana della peggior specie. Perché è questo che sei, una puttana senza più un briciolo di decenza! Mi domando dove cazzo avevo la testa quando ho deciso di sposarti!

Rimango lì, in piedi davanti a lui come impietrita per qualche secondo, lasciando sedimentare dentro di me quelle orribili parole finchè mi rendo conto di non riuscire più a sopportare il suo sguardo duro e ostile. Decido così di voltargli le spalle, trattenendo a stento le lacrime che, una volta rifugiatami in cucina esplodono senza controllo in singhiozzi disperati, mentre tremando da capo a piedi sposto il mio peso sul tavolo, stringendone forte i bordi per paura che le ginocchia mi cedano. Ha ragione, la colpa è tutta mia. Sono un vero disastro, su tutti i fronti. Non oso muovermi, non oso parlare e per chissà quanto tempo riesco solo a singhiozzare senza freni, aspettando che la mia disperazione si plachi. Anche se so che non accadrà. È allora che li sento. I suoi passi, sempre più vicini. Chiudo gli occhi e serro le labbra, senza voltarmi. Le sue mani mi sfiorano le spalle, scivolando lentamente lungo le braccia fino a raggiungere e accarezzare le mie dita ustionate dalla violenza del suo gesto, facendomi sussultare. Si avvicina di più, stringendomi i fianchi e il suo respiro è caldo sulla mia pelle mentre mi scosta i capelli di lato per far spazio alle sue labbra, che morbide e invitanti scendono a stuzzicarmi il collo, percorrendolo in tutta la sua lunghezza fino a farmi fremere contro il suo corpo che adesso, riesco chiaramente a percepirlo, reclama con forza il mio.

- Christian…

- Shhh.

 Senza dire una parola mi costringe a voltarmi verso di lui, prendendomi la testa fra le mani e catturando le mie labbra in un bacio appassionato che in un attimo mi strappa bruscamente alla realtà che mi circonda, facendomi dimenticare di tutto il resto. A quel punto, ormai completamente in suo potere e conscia soltanto delle sue mani che tremanti e impazienti si muovono su di me, mi lascio condurre in camera da letto, dove ci liberiamo in fretta dei vestiti per perderci l’una nelle braccia dell’altro. Facciamo l’amore per tutta la notte e come in preda a una frenesia selvaggia i nostri baci si fanno più appassionati, le nostre mani diventano più ansiose, i nostri movimenti sempre più bramosi mentre la sua bocca, per tutto il tempo incollata alla mia raccoglie i miei gemiti, sempre più forti e disperati a ogni sua spinta decisa prima che, ansante e sudato crolli su di me, nascondendo la testa nell’incavo della mia spalla e lasciando che il suo respiro affannoso si plachi lentamente, diventando tutt’uno col mio. Pronuncio il suo nome più volte ma lui non risponde, si limita a stringermi più forte e io ricambio il suo abbraccio, accarezzando a lungo i suoi capelli arruffati prima che il sonno ci sorprenda pian piano...

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


- Perché devo per forza bere il latte tutte le mattine?

Piagnucola Logan, che seduto sul tavolo della cucina mi osserva con curiosità mentre gli preparo la colazione, dondolando le gambe avanti e indietro e sbuffando seccato  quando tiro fuori i cereali dalla dispensa. Da quando si è svegliato avrà starnutito almeno sette volte, e la brutta tosse che si ritrova non accenna a diminuire. Se continua così dovrò portarlo dal medico e intanto tenerlo a casa almeno per un paio di giorni, non voglio rischiare che questa influenza peggiori. Perché potrebbe farlo, dopo l’incidente di ieri. Se solo penso a quello che sarebbe potuto accadere se non fossi riuscito a salvarlo, io…no, non devo più torturarmi così. Mio figlio è qui con me adesso, e con qualche accorgimento in più e tanta buona volontà sono sicuro che guarirà presto senza problemi. A proposito, credo proprio che mi procurerò delle cinghie efficaci per legarlo al letto, poco ma sicuro, così gli faccio passare la voglia di sgattaiolare fuori di casa a ogni ora del giorno.

- Perché hai bisogno di mettere nello stomaco qualcosa di caldo, così questa antipatica tose se ne andrà via una volta per tutte e ti lascerà finalmente in pace.

Rispondo, dandogli un buffetto sulla guancia mentre gli metto davanti la sua tazza preferita nella speranza che smetta di fare i capricci praticamente per ogni cosa.

- Uffa, uffa e uffa!

Continua invece a lamentarsi ogni volta che gli passo accanto, rischiando seriamente di farmi perdere la pazienza.

- Di chi è questa vocetta impertinente?

Esclama allegra Johanna che intanto ci ha appena raggiunti, precipitandosi subito da Logan per abbracciarlo e riempirlo di baci prima che lui provi a spingerla via, infastidito da tante attenzioni. A quel punto mi affretto a voltarle le spalle, stando bene attento a evitare anche un suo fugace sguardo. Ogni volta che la guardo negli occhi, infatti, l’unica cosa a cui riesco a pensare è che mi ha preso in giro per tutto questo tempo, divertendosi alle mie spalle tra le braccia di un altro, e questo mi mette addosso una tale rabbia che faccio veramente fatica a controllare.

- Mamma, così mi soffochi!

Grida mio figlio e l’ennesimo colpo di tosse lo coglie di sorpresa, arrossando le sue guance pallide e rendendolo paonazzo in poco tempo.

- Accidenti, che brutta tosse tesoro. Su, fila subito a letto, niente scuola oggi. Vengo da te tra due minuti e, mi raccomando, non provare a scappare o saranno guai! Mi hai sentito, vero?

Lo avverte Johanna e lui si esibisce in una serie di smorfie e sospiri vari, come tutte le volte che cerca di impietosirla, anche se sa benissimo che non funzionerà neppure stavolta. Rimasti soli, mi viene vicino abbracciandomi da dietro e depositandomi un piccolo bacio sulla nuca che però mi affretto a evitare, irrigidendomi di colpo e scostandomi da lei quanto basta per riprendere a respirare, cercando in qualche modo di sbollire la collera che sento montarmi dentro tutte le volte che si avvicina. È inutile, è più forte di me, non riesco nemmeno a tollerare la sua presenza. Non più, ormai.

- Siamo di cattivo umore, oggi?

Chiede in tono giocoso e fa per sfiorarmi di nuovo ma io stringo forte il suo polso, bloccandolo a mezz’aria per impedirle di muoversi.

- Non provare mai più a toccarmi.

Sibilo e la vedo aggrottare le sopracciglia, come se non capisse.

- Non mi sembrava fossi dello stesso parere, la notte scorsa.

Replica, guardandomi storto e io scoppio a ridere, ma è una risata di scherno.

- Credi sul serio che la notte scorsa abbia significato qualcosa per me?

Rispondo, sforzandomi di sostenere il suo sguardo incredulo.

- Di cosa stai parlando, si può sapere?

- È molto semplice, mia cara, ti ho dimostrato di che pasta sei fatta, mettendoti di fronte alla tua vera natura. Mi è bastato solo sfiorarti, infatti, per farti perdere completamente il controllo. Del resto è solo questo ciò che sai fare, concederti a qualunque idiota ti faccia due moine senza alcun pudore, proprio come fanno le cagne in calore, perché non sei altro che una poco di buono.

La vedo impallidire di colpo, scuotendo la testa come se non credesse alle proprie orecchie.

- Che c’è, ci sei rimasta male? Credevi davvero che fossi sincero, che una inutile e squallida scopata sarebbe servita a risolvere le cose fra noi? La verità è che mi fai  schifo, il solo toccarti mi ha dato il voltastomaco per tutto il tempo!

Mi colpisce con un violento schiaffo senza neppure permettermi di finire la frase, fulminandomi con un’occhiata di fuoco mentre i suoi occhi si riempiono di lacrime. Ma, ancora una volta, il mio cuore non registra nessuna emozione.

- Com’è che l’hai chiamata? Una scopata? Accidenti, che stupida che sono ad aver pensato che fosse molto più di questo, ad averti donato il mio cuore oltre che il mio corpo, mentre tu invece mi stavi solo usando, mi stavi solo…umiliando.  Sei un bastardo, come hai potuto farmi una cosa simile?

- Come hai potuto TU farmi una cosa simile? Come hai potuto tradirmi con un altro uomo, farti toccare da un altro uomo dopo esserti legata a me, dopo avermi fatto tutte quelle belle promesse sull’altare, sapendo bene che non ne avresti mai mantenuta neppure una?  

Esclamo senza riuscire a trattenermi, in quella che ormai sembra essersi trasformata in una specie di gara a chi urla di più.

- Dunque è di questo che si tratta, vendetta! Vuoi schiacciarmi come un insetto, farmi pagare questo errore per il resto della mia vita? Ti ho raccontato tutta la verità, preferendo essere totalmente sincera con te. Ti ho supplicato di starmi a sentire, implorando il tuo perdono in ogni modo possibile. Cos’altro devo fare per farti capire che mi dispiace e che mi sento un verme per quello che ti ho fatto, strapparmi il cuore dal petto e gettarlo ai tuoi piedi, permettendoti di calpestarlo senza pietà? Perché, sai, lo hai appena fatto. Sei soltanto un mostro.

Dice, pronunciando con disprezzo quelle ultime parole prima di lasciare la stanza, e anche se è appena scomparsa dalla mia vista riesco ugualmente a sentire i singhiozzi che sta faticosamente cercando di reprimere, mentre corre via da me…

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Sistemo l’ultima pallina colorata sul ramo più alto e Logan strilla per la gioia, battendo le mani e correndo da una parte all’altra della casa senza riuscire a contenersi. È davvero meraviglioso vederlo felice con così poco, a volte vorrei tornare ad avere la sua età per riuscire a scacciare la malinconia che ho dentro, al doloroso pensiero che questo non sarà di certo un Natale come gli altri. Ma mio figlio questo non lo immagina nemmeno, e per ora va bene così. Mi sto battendo affinchè né lui né Grace debbano soffrire per quello che sta succedendo tra me e Christian. Ma se con uno per adesso le cose sembrano andare più che bene, non posso purtroppo  dire lo stesso con l’altra. È così apatica da qualche giorno, forse ancor più di prima e ogni volta che mi guarda ha un’aria così seccata e infastidita che mi si stringe lo stomaco. Anche lei come suo padre cerca in tutti i modi di tenermi a debita distanza, e non posso certo darle torto. Li ho delusi entrambi. Li ho delusi profondamente e non passa un solo giorno in cui non mi penta amaramente di quello che ho fatto.

- Questo è l’albero di Natale più bello del mondo!

Continua a gridare Logan, saltellando e ridendo di gusto.

-  No, non può esserlo se manca la stella di cristallo da usare come punta!

Interviene Grace, che sprofondata in una delle poltrone del salotto si limita a guardarci senza troppo interesse. Vorrei ribattere che non ha mosso un solo dito per aiutarci nelle decorazioni e che quindi potrebbe cominciare a farlo adesso, ma la sua espressione assente mi invita ben presto a desistere.

- È vero, tua sorella ha ragione. Ho dimenticato di prenderla.

- Voglio anche l’angioletto dorato che mi ha regalato Hèléne!

Ribatte mio figlio, e il solo sentirla nominare è come una pugnalata dritta al cuore per me. Non vedo Hèléne da quel giorno nel mio ufficio, quando le ho detto di non intromettersi nella mia vita. Ho lasciato che se ne andasse senza neppure provare a fermarla per scusarmi, e adesso mi manca tanto. Mi mancano le nostre meravigliose giornate passare insieme a parlare di tutto e di niente, le nostre risate, i nostri piccoli momenti. Quelli in cui ci confidavamo tutto. Lei è la mia migliore amica e non averla più nella mia vita mi fa stare veramente malissimo, ma ho paura di andare a bussare alla sua porta. Ho paura di peggiorare le cose, e in questo momento non troverei neppure le parole adatte per rimettere le cose a posto tra noi. La verità è che dovrei passare il resto della mia vita a scusarmi praticamente col mondo intero per aver ferito tutte le persone a cui tengo di più, e non so se ne sono capace visti i risultati con Christian. Adesso è passato alla vendetta, quel farabutto. Non gli bastava più aver smesso di parlarmi e di considerarmi, ora si diverte anche a umiliarmi alla prima occasione. Nonostante sia passato quasi un mese da allora non riesco a dimenticare quello che è successo, il suo ignobile comportamento mi ha fatta sentire indegna e sporca come… sì, come una poco di buono. Forse ha ragione lui, forse lo sono davvero e merito tutto il suo rancore e il suo disprezzo.

- Ok, vado a prendere il resto delle decorazioni rimaste in solaio. Torno subito.

Dico a quel punto e rialzandomi in piedi con fatica mi dirigo al piano di sopra, con la testa che continua fastidiosamente a ronzare. Oggi non mi sento molto bene, ma immagino sia più che normale. Ritorno dopo qualche minuto con le mani ingombre di scatole e scatoloni, alcuni di questi piuttosto pesanti a dir la verità, ma resto in cima alle scale come impietrita non appena sento Logan e Grace, che sembra essersi improvvisamente rianimata, gridare all’unisono: - Evviva, papà ci porta a Parigi per le feste di Natale!

È solo allora che mi rendo conto che Christian è appena comparso in mezzo a loro, ma il suo sorriso si spegne gradualmente non appena si accorge di me.

- Cosa? – dico, allarmata - cos’è questa storia?

- Ragazzi, che ne dite se per festeggiare vi porto a prendere un bel gelato gigante? Aspettatemi fuori, per favore. Vi raggiungo tra pochissimo.

E aspetta pazientemente che si allontanino prima di darmi il colpo di grazia.

- Hai sentito, no? Li porto a Parigi per un mese.

Dice asciutto, come se per lui fosse la cosa più naturale del mondo prendere certe decisioni senza neppure consultarmi. 

- Non puoi portarmeli via così all’improvviso, un mese è un sacco di tempo.

- Non è all’improvviso, Johanna, è una cosa che abbiamo deciso già da un sacco di tempo. Mancava solo che informassi i bambini. Sai benissimo quanto abbia voglia di riabbracciare i miei e di passare qualche giorno insieme a loro, e poi non vedono Grace e Logan da troppo ormai.

- Quel viaggio avremmo dovuto farlo insieme!

Ribatto, sempre più confusa e agitata. È vero, ne avevamo parlato, ma visto tutto ciò che è successo negli ultimi tempi pensavo non volesse più prenderlo in considerazione. È la nuova, ennesima pugnalata per me.

- Già – dice dopo un lungo momento di silenzio, e il suo sguardo si incupisce – ma non è certo colpa mia se adesso le cose sono cambiate.

- Non posso passare tutto questo tempo lontana da loro, non puoi farmi questo Christian, te ne rendi conto?

Sono così sconvolta che le scatole mi cadono di mano, precipitando ai miei piedi con un sordo tonfo a cui non faccio neppure caso, intenta come sono a cercare di raggiungerlo il più in fretta possibile e prima che esca da quella porta, facendo come al solito di testa sua. Un altro, violento capogiro mi coglie però di sorpresa, facendomi di colpo perdere l’equilibrio e, prima ancora di rendermene conto, sto già ruzzolando giù per le scale…

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


La guardo dormire già da un po’, il viso pallido e segnato da qualche livido ormai violaceo, la testa sprofondata sul cuscino, senza che riesca a togliermi dalla testa la breve conversazione avuta col medico appena poche ore fa. “Per il bambino, purtroppo, non c’è stato niente da fare.” D’un tratto si riscuote, sbattendo le palpebre un paio di volte con aria assente prima di incrociare il mio sguardo. Quando lo fa un’ombra scura sembra incupirla, rendendola, se possibile, ancor più fragile e sofferente di quanto non appaia già ai miei occhi.

- Come ti senti?

Le sussurro, sedendole vicino. Si tocca la testa più volte, gemendo di dolore mentre le intimo di muoversi il meno possibile.

- Cosa è successo?

Chiede con un filo di voce, rivolgendomi uno sguardo interrogativo che mi lascia perplesso.

- Non te lo ricordi? Sei caduta dalle scale, facendo un volo terribile – spiego, non senza una punta di apprensione – mi hai spaventato a morte. Per fortuna non hai riportato gravi danni, solo qualche piccola frattura. Per questo devi restare a riposo per un po’. Solo che…

Esito, senza riuscire a continuare. Non so proprio come dirglielo, io stesso faccio ancora fatica a crederci. Mi sembra impossibile, completamente inverosimile che per tutto questo tempo mi abbia tenuta nascosta una cosa del genere.

- Non sono riusciti a salvare il bambino.

Dico infine, affranto, osservando le sue palpebre richiudersi con forza per poi riaprirsi subito dopo, come se stesse cercando di tenere a freno le emozioni.

- Perché non me lo hai detto, Johanna – continuo, coprendole una mano con la mia – perché non mi hai detto che stavi aspettando un bambino?

Sospira, rialzando lo sguardo per tornare a specchiarsi nei miei occhi.

- Perché non era tuo.

Mormora con voce spezzata dopo un lungo momento di silenzio e per un attimo, solo per un attimo, mi sento come se all’improvviso mi mancasse la terra sotto i piedi. Cerca debolmente di trattenermi ma la mia mano sguscia via velocemente dalla sua mentre mi rialzo in piedi, voltandole le spalle.

- Mi dispiace, io…

- Cosa volevi fare - la interrompo a voce bassa, ma vibrante di rabbia – farlo passare per mio? Prenderti gioco di me anche in questo, forse?

- No – esclama – non avrei mai potuto farti una cosa simile! Quando ho scoperto di essere incinta ero più che decisa a sbarazzarmene a tutti i costi, ma più passavano i giorni più mi rendevo conto di non avere il coraggio di farlo. Così ho cominciato a fare più sforzi possibili, in casa, in ufficio, nella speranza di procurarmi un aborto spontaneo. Ma non ha più importanza ormai, evidentemente qualcuno lassù ha voluto punirmi per tutto questo e io devo chiederti scusa per averti dato del mostro, quando è evidente che tra noi due il mostro non sei certo tu. Ti prego, non restartene lì senza dire niente!

- Io…ho bisogno di prendere un po’ d’aria.

Balbetto sconcertato e faccio per andarmene, ma la sento ancora provare a trattenermi e adesso non so se desideri davvero allontanarmi oppure tornare a inveire su di lei per avermi ancora una volta strappato il cuore dal petto, facendolo in mille pezzi.

- No, per favore, non andartene. Non puoi sempre fare così, dobbiamo parlarne…

Si interrompe bruscamente provando a sporgersi faticosamente dal letto, ma senza riuscirci. Mi fissa, spaventata.

- Le gambe. Non sento le gambe, non riesco più a sentirle! Non riesco a muovermi!

 

 

- Si è trattato senza dubbio di una brutta caduta – mi spiega il medico quando più tardi mi ritrovo nel suo ufficio, visibilmente agitato, per saperne di più sulle reali condizioni di Johanna – ma le ripeto che sua moglie è stata fortunata, perché se l’è cavata solo con qualche frattura sparsa che con un po’ di riposo, vedrà, tornerà a posto nel giro di qualche giorno.

Lo fisso, scettico.

- Ma le sue gambe…

- Le sue gambe non hanno nulla che non vada – mi incalza, deciso – nessun danno, nessun problema, e le assicuro che l’abbiamo sottoposta ad esami specifici e accurati.

- Non metto certo in dubbio la vostra professionalità, ma cosa sta cercando di dirmi con questo? Che finge di non poter camminare?

- Non ho detto questo – risponde, rigirandosi gli occhiali tra le mani prima di inforcarli di nuovo – vede, signor Roquier, è di fondamentale importanza che lei si sforzi di seguirmi e comprendermi fino in fondo. L’impossibilità di camminare,  come di fare qualunque altra cosa può dipendere, anche se in rari casi, da particolari  fattori che nulla hanno a che vedere con il fisico. La mente è il nostro punto fermo, la nostra ragione di esistere, poiché senza di essa saremmo solo un involucro vuoto e inutile. Sono le emozioni a guidarci, a controllare ogni nostra mossa e a volte capita che le emozioni ci frenino un po’, rendendoci schiavi della paura, dell’ansia oppure del dolore. In altre parole, è possibile che un doloroso stato d’animo o un trauma piuttosto importante, nel caso specifico la perdita del bambino, magari, abbiano influito negativamente sulle capacità cognitive di sua moglie, alterandole inevitabilmente. Se lei non è in grado di camminare, infatti, è soltanto perché la sua mente si rifiuta di farlo.

Mi prendo la testa fra le mani, sospirando rumorosamente. Quello di Johanna è un grido di aiuto, un grido che fino a ora mi sono sempre rifiutato di ascoltare e comprendere…

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


- Logan smettila di fare lo scemo e scendi subito dalla sedia a rotelle, non è una macchina e serve alla mamma per spostarsi!

Lo rimprovera Grace e lui le fa una linguaccia e corre a rifugiarsi tra le mie braccia, facendomi scoppiare a ridere. È bello essere a casa, quei pochi giorni trascorsi in ospedale mi sono sembrati un’eternità e avevo già tanta nostalgia dei bambini e della mia stanza, anche se a forza di trascorrere le mie giornate a letto sono sicura che finirò per odiarne presto persino le pareti.

- Sicuramente non avrò bisogno di usarla a lungo.

Rispondo, anche se faccio fatica a crederci anch’io. Ma se le mie gambe stanno benissimo e il problema sembra essere tutto nella mia testa dovrò costringermi a sfidare me stessa per tutto il tempo che sarà necessario, per poter tornare finalmente a camminare. Il punto è che non ne ho la forza, e anche volendo non saprei neppure da che parte cominciare. Mi sento a pezzi, completamente svuotata. Ma non ho alcuna intenzione di darlo a vedere ai miei figli, non voglio spaventarli inutilmente. Il primo impatto con la sedia a rotelle è già stato disastroso per me, figuriamoci per loro, che sono scoppiati a piangere all’improvviso credendo che mi fossi gravemente ammalata e che presto li avrei lasciati per sempre. Non so proprio chi gli metta in testa certe idee così catastrofiche, dovrebbero smetterla di continuare a guardare quelle stupide, tragiche commedie americane insieme a Roy ogni volta che vanno a trovarlo. Io e Christian abbiamo passato ore intere a spiegare loro che non c’è alcun motivo di preoccuparsi e che si tratta solo di una situazione temporanea, il che non è del tutto vero visto che non so neppure quanto tempo ci vorrà prima di poter tornare a riprendere in mano la mia vita, ma tant’è.

- Di sicuro non la userai adesso, visto che devi riposare il più possibile – interviene Christian – perciò adesso fai il bravo e vieni con me Logan, lasciamo che la mamma si faccia una bella dormita. Anche tu Grace, per favore.

Il suo viso è scuro, lo sguardo è sfuggente, e io non riesco a capire quanto ci sia di vero nelle sue parole. È veramente sincero oppure sta solo facendo la commedia davanti ai bambini? Non lo so, non so più distinguerlo. Abbiamo passato così tanto tempo a farci la guerra che ora mi sembra impossibile che abbia deciso di mettere da parte tutte le nostre divergenze per restarmi vicino.

- Non voglio venire con te, voglio stare con mamma!

Protesta Logan e lo vedo alzare gli occhi al cielo, arrendendosi all’istante quando gli dico che mi farebbe piacere se i bambini si trattenessero ancora un po’ a farmi compagnia. Non ho voglia di restare da sola né tantomeno di dormire, ogni volta che chiudo gli occhi mi sembra di essere risucchiata in un orribile vortice di dolore popolato da incubi di cui anche da sveglia riesco solo parzialmente a liberarmi, ma sapere che posso parlare con loro e stringerli a me allevia in un certo senso la mia pena.

- Come vuoi tu. Se hai bisogno di qualcosa sono di là.

Dice, poi lascia lentamente la stanza e mi rendo conto di desiderare disperatamente che rimanga al mio fianco anche solo per un minuto ancora, ma non ho il coraggio di chiederglielo, né di replicare. È già tanto che si occupi di tutto ciò che mi serve senza lamentarsi o dire una parola, ma non capisce che è proprio questo il problema. Vorrei che mi parlasse, che mi parlasse sul serio, come so che avrebbe davvero bisogno di fare. Forse però è troppo tardi per le spiegazioni. Vedo Logan accoccolarsi al mio fianco sotto le coperte, sbadigliando un paio di volte e la cosa non mi stupisce affatto visto che questa è l’ora del suo pisolino pomeridiano e che se lo conosco bene tra meno di cinque minuti crollerà come un sasso. Gli accarezzo i capelli, chinandomi su di lui per sfiorargli la fronte con un bacio leggero prima di incrociare lo sguardo affranto della mia primogenita, che muove qualche passo in più per sedermi vicino.

- Guarirai, vero mamma? Papà dice che non è grave e che tornerai presto a camminare.

Mi chiede con apprensione e io le sorrido, attirandola a me per stringerla in un abbraccio che di colpo la fa scoppiare a piangere, cogliendomi spiacevolmente di sorpresa.  

- Mi dispiace di essere stata cattiva con te, ero solo tanto arrabbiata.

Mi sussurra tra le lacrime e la stringo di più, baciandola sulla testa e consolandola a lungo prima che il suo pianto disperato si plachi lentamente e che lei torni a guardarmi negli occhi.

- Ti va di parlarne, tesoro?

Le chiedo con tatto e grazie a Dio la vedo annuire, facendomi un debole sorriso. Parliamo a lungo quel pomeriggio, affrontando l’argomento che le sta più a cuore e di cui abbiamo già discusso più volte in passato, scoprendo che è più facile rispondere alle sue mille domande aprendole completamente il mio cuore come ha sempre meritato che facessi, anche se con qualche anno di più dimostra adesso di sapermi comprendere molto meglio, lasciandomi piacevolmente colpita e molto più serena poiché, aiutandola a sciogliere i suoi dubbi ho reso più serena anche lei.

- E dimmi – la esorto a quel punto – sei davvero sicura che non ci sia qualcos’altro di cui vorresti parlarmi?

Solleva la testa di scatto, arrossendo.

- Beh, sì – dice dopo un breve momento di silenzio – qualcosa c’è. Riguarda un ragazzo della mia scuola, credevo di essermi presa una cotta per lui e ci stavo malissimo perché non mi considerava nemmeno, ma quando è ricominciata la scuola è successa una cosa strana. Mi sono resa conto che non pensavo più a lui come prima e credo di averlo finalmente visto per quello che è realmente, uno sbruffone  egocentrico con la testa vuota. Anche Danièle ha sofferto per lui, perché l’ha lasciata subito dopo le vacanze estive per mettersi con un’altra. Un tipo così è meglio perderlo che trovarlo, non credi?

- Sono d’accordo.

Rispondo, felice che abbia finalmente voluto confidarmi quello spaccato di vita che le apparteneva già da un pò e che ancora non conoscevo.

- Sai – proseguo – non sarà né la prima né l’ultima volta che perderai la testa per un ragazzo, è una cosa normale e fa parte del corso della vita. Ti fermerai solo quando incontrerai la persona giusta, e allora tutto ti sembrerà di colpo più magico, più bello. L’amore è una cosa strana tesoro, a volte ci rende felici e a volte ci fa soffrire, ma vale davvero la pena scoprire fino a che punto possono spingersi i sentimenti, quando decidi che chi hai incontrato sarà l’uomo della tua vita.

- E come si fa a capire davvero che si tratta della persona più giusta per te, quando la incontri?

- Lo sai, dentro di te lo riconosci subito. Funziona come una specie di incastro magico, guardi negli occhi quella persona ed è fatta, scatta subito qualcosa. A quel punto non puoi proprio sbagliarti.

Poggia la testa sul mio petto, sorridendo con aria sorniona.

- Io penso proprio che ci siano ancora speranze, allora.

- Di che parli?

Chiedo curiosa.

- Di te e papà, credo che non dovresti arrenderti con lui. Ho visto come ti guarda.

- E tu che ne sai di queste cose, ragazzina?   

Esclamo stupita, avventandomi su di lei per farle il solletico e facendola ridacchiare divertita.  

No Grace, ti sbagli, negli occhi di tuo padre c’è soltanto un grande vuoto ormai e tutte le volte che incrocia il mio sguardo non riesco a leggervi nient’altro, se non un profondo disprezzo…

 

I giorni che seguono sono confusi e caotici e la mia testa continua fastidiosamente a ronzare senza tregua, ragion per cui Christian decide di limitare le visite degli amici  riducendole al minimo, anche se nulla può contro l’inarrestabile Laly che viene a trovarmi almeno tre volte al giorno, e che adesso mi sta mettendo tra le mani un bigliettino colorato di dubbia provenienza mentre la fisso, scettica.

- È il numero del mio psicologo, ci sono andata subito dopo la perdita del bambino, ricordi? Spero che possa aiutarti, nel caso in cui decidessi di andarci.

Dice premurosa e vorrei tanto spiegarle che non ho affatto bisogno di uno psicologo e che il mio problema è solo momentaneo e via dicendo, ma poi mi ritrovo a chiudere la bocca, affranta, pensando che probabilmente abbia ragione. Se io non sono in grado di scavarmi dentro, sicuramente dovrà farlo qualcun altro. È solo verso sera che, esausta e innervosita dall’ennesima giornata trascorsa a vuoto ricevo la visita inaspettata di Hèléne, che esitando sulla soglia con aria imbarazzata mi fissa a lungo in silenzio prima di avvicinarsi timidamente al mio letto. Vederla dopo tutto questo tempo mi provoca un’emozione talmente intensa che non posso fare a meno di scoppiare a piangere mentre si precipita a stringermi in un forte abbraccio che ricambio subito con slancio e all’improvviso tutto è di nuovo come sempre, perchè ancora una volta tra noi non c’è bisogno di parole.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


- Hai fatto bene a spostarla al piano di sotto, quella stanza lassù cominciava a farla sentire claustrofobica, oltre che prigioniera. Almeno la camera degli ospiti è più grande.

Considera Hèléne, trattenendosi sulla porta insieme a me per qualche minuto in più dopo essere passata a tenere un po’ di compagnia a Johanna, che dopo tutti questi giorni trascorsi in totale immobilità ora pare aver perso completamente la pazienza, trasformandosi in poco tempo in una specie di leone in gabbia.

- Sì, volevo farla sentire meglio, ma a quanto pare non è servito a molto.

Rispondo e la mia amica mi viene vicino, mettendomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

- Stai davvero facendo tutto il possibile per gestire questa situazione nel migliore dei modi, perciò non colpevolizzarti. E ricorda che non sei solo, perché di qualunque cosa abbiate bisogno sai bene che io e Nicolas siamo a vostra completa disposizione. Siamo tutti una famiglia, no?

Dice strizzandomi l’occhio impercettibilmente, facendomi sorridere prima di congedarsi definitivamente con la promessa di tornare a trovarci nel primo pomeriggio. A dire il vero in questo periodo mi piacerebbe proprio che si trasferisse a casa nostra in maniera definitiva, visto che Johanna sembra essere un po’ più collaborativa quando Hèléne si trova nei paraggi. È allora che un tonfo improvviso alle mie spalle mi fa trasalire, mettendomi subito in allarme poiché non ci metto molto a capire che quel rumore inquietante proviene sicuramente dalla camera di Johanna. Mi precipito immediatamente da lei, trovandola riversa a terra ai piedi del letto e capisco che probabilmente ha provato ad alzarsi da sola, rischiando come una stupida non solo di peggiorare la sua situazione, ma anche di rompersi l’osso del collo. Accidenti a lei e alla sua insopportabile testardaggine.

- Johanna, che hai fatto? Stai bene?

Esclamo, chinandomi su di lei per accertarmi che sia ancora tutta intera e la vedo mordersi le labbra con aria sofferente mentre mi affretto a prenderla in braccio, depositandola gentilmente sul letto, esattamente dove sarebbe dovuta rimanere invece di giocare come al solito a sfidare il pericolo. 

- Sto bene.

Dice, massaggiandosi un braccio dolorante che esamino con attenzione dopo averle tirato su la manica del pigiama, tanto per essere sicuro che non si aggiunga un altro livido alla sua già più che consistente collezione.

- Come ti viene in mente di metterti a fare Indiana Jones nelle tue condizioni?

Sbuffo e lei libera il braccio con un improvviso strattone che mi coglie di sorpresa, voltando la testa dall’altra parte per evitare di incrociare il mio sguardo.

- Volevo provare a mettermi in piedi, ma queste stupide gambe continuano a rifiutarsi di collaborare! E tu comunque  non sei costretto ad accorrere in mio aiuto tutte le volte.

Ribatte infastidita. Alzo le spalle, scuotendo lentamente la testa.

- In salute e in malattia, ricordi?

Le faccio notare, costringendola così a voltarsi di scatto verso di me, l’aria, se possibile, ancor più sconcertata.

- Perché non la pianti con le stronzate? Siamo soli adesso e nessuno ti sta ascoltando, perciò puoi finalmente essere sincero e cominciare a esultare visto che le cose sono andate esattamente come volevi tu. Del resto era questo ciò che volevi, vedermi schiacciata, distrutta. Annientata. Bene, guardami! Adesso lo sono. Contento?

La fisso, completamente spiazzato da quella sfuriata senza senso.

- Credi veramente che sia felice di vederti in questo stato?

- Oh, eccome se lo sei. Scommetto che ci godi un sacco, anche. Avanti, che cosa stai aspettando? Continua pure a ferirmi, a umiliarmi senza pietà come ti piace tanto fare. Quale sarà la tua prossima mossa? Ah no, aspetta, la so. Vuoi portarmi via i bambini, certo! Ma sì, fai pure, portateli a Parigi per un mese intero e lasciami qui a marcire!   Continua a odiarmi come sempre, perché tanto non merito altro che questo!

Grida scoppiando in lacrime, e finalmente capisco. È il suo senso di colpa a tenerla inchiodata a quel letto, l’unico modo che conosce per esprimere tutto il dolore che sente, visto che non ha mai potuto farlo in altro modo. Già, perché io non gliel’ho permesso. Fino a ora le ho sempre impedito di parlare, di spiegarsi, rifiutandomi di ascoltarla in ogni modo possibile e preferendo invece attaccarla alle spalle, finendo inevitabilmente per distruggerla. Anche se non sono stato io a spingerla giù per quelle scale, sono comunque responsabile di ciò che le è accaduto.

- Non sai quanto avrei voluto farlo – sussurro, sedendole vicino e asciugando lentamente le sue lacrime – non hai idea di quanto abbia desiderato davvero odiarti  con tutte le mie forze per quello che mi hai fatto, ma l’unica cosa che sono riuscito a fare è continuare ad amarti. Nonostante tutto.

Chiude gli occhi per un attimo e poi, sopraffata dall’emozione, mi accarezza con gentilezza una guancia mentre io prendo la sua mano, premendola di più contro il mio viso prima di sfiorarla con un bacio lieve. È soprattutto il contatto con la sua pelle calda a essermi mancato.

- Anch’io ti amo. Ma è troppo tardi, non è vero?

Dice con un filo di voce. Le scosto i capelli dalla fronte, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio.

-  A volte l’amore da solo non basta, specialmente se la fiducia viene a mancare. Abbiamo raccolto i cocci così tante volte che ormai è praticamente impossibile riattaccarli tutti.

Annuisce debolmente, sforzandosi di sorridermi. Non c’è bisogno di altre parole, sappiamo entrambi cosa questo significhi.

- Credo che ti amerò per sempre.

Mormora dopo un lungo momento di silenzio, senza lasciare le mie mani.

- Anch’io ti amerò per sempre e qualunque cosa accada sai che potrai sempre contare su di me perché, non preoccuparti, io e i bambini non andiamo proprio da nessuna parte.

Mi sporgo di più per stringerla in un lungo abbraccio, affondando la testa sulla sua spalla e respirando forte il suo profumo proprio come se volessi imprimerlo nella memoria, poco prima di riprendere a parlare.

- Mi dispiace di averti fatta soffrire tanto.

La sento abbracciarmi più forte e all’improvviso sobbalza dal dolore, scostandosi da me quanto basta per poter riprendere a respirare.

- Tutto bene?

Le chiedo e lei annuisce, facendo un lungo sospiro rassegnato.

- Devi avere pazienza, presto passerà. Ora però cerca di riposare e, mi raccomando, non provare mai più ad alzarti da sola se sai di non esserne in grado. Me lo prometti?

Annuisce di nuovo e le sue labbra si increspano in un piccolo sorriso.

- Tanto lo so che non appena me ne sarò andato tornerai subito a riprovarci, vista la tua cocciutaggine!

La riprendo bonariamente e lei scoppia a ridere, colpendomi giocosamente sul braccio e contagiando anche me di lì a poco.

- Smettila di prendermi in giro!

Protesta.

- Guarda che non è certo colpa mia se hai la testa più dura del marmo!

- E tu sei il solito scemo.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Sono trascorsi due mesi dall’incidente e, nonostante i miei sforzi, non sono ancora riuscita a recuperare l’uso delle gambe. La buona notizia è che adesso me la cavo più che bene anche da sola, la sedia a rotelle mi permette di spostarmi ogni volta che lo desidero e sono persino tornata a lavorare, anche se solo per mezza giornata, ma è sufficiente a permettermi di tenere la mente occupata per qualche ora.

- Sei sicura di potercela fare?

Mi chiede Christian per l’ennesima volta mentre si prepara per andare a fare la spesa insieme a Grace, che intanto non smette un attimo di aggiungere merendine e cioccolata di ogni tipo alla già consistente lista che abbiamo preparato.

- Per l’amor del cielo, Grace – protesta, guardandola storto – ti sto portando con me perchè tu mi dia una mano a comprare solo ciò che ci è necessario, non l’intero supermercato. Perciò, per cortesia, non farmene pentire.

- Ma uffa, che gran rottura di pal…ehm, voglio dire, che noia mortale!

Si corregge immediatamente non appena si accorge dello sguardo assassino che le sta lanciando suo padre, così si affretta a uscire per aspettarlo in macchina prima ancora che lui possa dire qualunque cosa.

- Torniamo a noi, è meglio. Credi che te la caverai a passare qualche ora da sola con Logan e Megan, oppure preferisci che porti con me anche loro?

- Christian, smettila di preoccuparti e vai, non stai mica partendo per la guerra. Ce la caveremo benissimo, vedrai.

Rispondo, senza riuscire a nascondere il mio disappunto. Non fa che ripetermi le stesse cose almeno dieci volte al giorno, credo che se continua così tra poco finirò per impazzire. Apprezzo il suo interessamento ma, cavolo, farmi passare per l’incapace della situazione praticamente in ogni momento della mia vita mi mette l’angoscia addosso. Crede davvero che non sia capace di badare ai bambini per un paio d’ore? Eppure ha visto i progressi che ho fatto in tutto questo tempo, dovrebbe piantarla di agitarsi sempre per qualunque cosa. Già, ma che parlo a fare? È fatto così, so bene che non cambierà mai.

- Va bene. Faremo presto, non ti accorgerai neppure della nostra assenza!

Dice e io sbuffo, incrociando le braccia al petto.

- Vattene, prima che ti lanci contro qualcosa!

Esclamo e lo vedo affrettarsi a uscire, ridacchiando divertito e finendo per far sorridere anche me. È proprio uno stupido senza speranza. Sospiro, poi spingo la carrozzina e facendo leva sulle ruote mi porto velocemente al centro della stanza dove i bambini stanno giocando, cercando con fatica di scansare i vari giocattoli che Logan ha appena sparso sul pavimento e che Megan, comodamente adagiata sul divano non fa che osservare con occhietti curiosi, battendo le manine e ridendo di tanto in tanto.

- Logan, tesoro, fai il bravo e raccogli tutti i tuoi giochi da terra.

- Ma mamma, non mi va!

Si lamenta.

- Su, smetti di fare storie e fai come ti dico, ora porto tua sorella in cucina e le preparo da mangiare e al mio ritorno voglio vedere tutto in ordine. Intesi?

Lo riprendo e faccio per avvicinarmi al divano per prendere la bambina, ma è allora che una delle ruote si incaglia su una minuscola macchinina, rendendomi così praticamente impossibile proseguire il cammino. Cerco di sporgermi per tirarla via ma la ruota è bloccata e più provo a spingerla più la carrozzina comincia pericolosamente a barcollare, rischiando di farmi cadere da un momento all’altro.

Va bene, Johanna, mantieni la calma. Puoi farcela.

Mi ripeto mentalmente e sono sul punto di chiedere a Logan di darmi una mano a togliere definitivamente di mezzo il suo giocattolo, ma nel frattempo lui ha già raggiunto Megan prima di me, e afferrandola con entrambe le braccia la solleva faticosamente dal divano per portarla a spasso per tutta la stanza. So che non riuscirà a trattenerla a lungo e che presto mollerà la presa, rischiando di farle seriamente male. Per questo devo agire in fretta.

- Logan, che stai facendo? Mettila immediatamente giù! Riportala sul divano!

Esclamo, facendomi prendere dall’agitazione.

- Voglio aiutarti mammina, la porto io in cucina.

- No – mi costringo a non alzare troppo la voce, non ho alcuna intenzione di spaventarlo e rischiare così di peggiorare la situazione – non è necessario tesoro, davvero. Adesso fai come ti dico, per favore. Rimettila piano piano sul divano.

Ma lui sembra non starmi neppure a sentire e inizia anzi a piagnucolare, lamentandosi su come sia pesante da tenere in braccio mentre lascia che Megan scivoli lentamente via dalle sue dita, esplodendo d’un tratto in un pianto disperato che ha il potere di gettarmi ancor di più nel panico. Anche se decidesse di obbedirmi in questo istante, ormai si trova comunque troppo lontano da qualsiasi superficie morbida e sicura che possa attutire la caduta, divano compreso. È proprio in quell’attimo che le mie gambe riprendono miracolosamente a muoversi e prima ancora di rendermene conto li ho già raggiunti, riuscendo finalmente a mettere in salvo la mia bambina per poi lasciarmi cadere sul divano, di colpo completamente sopraffatta dalla stanchezza. Continuo a cullare Megan tra le mie braccia cercando di placare il suo pianto e vedo Logan venire lentamente verso di me, fissandomi a lungo con espressione perplessa prima di sedermi accanto.

- Non provare a farlo mai più, mi hai sentito?

Lo rimprovero, ma il suo disarmante sorriso riesce ancora una volta a intenerirmi mentre dice:” Mamma, sai camminare” e lo stringo a me, rendendomi conto solo allora di ciò che sono appena stata capace di fare.   

- È vero piccolo, so camminare. Io so di nuovo camminare.

Continuo a ripetere con le lacrime agli occhi, sussultando quando sento girare la chiave nella serratura. Pochi secondi dopo Christian e Grace fanno capolino dalla porta d’ingresso e io li accolgo provando faticosamente a rimettermi in piedi, ma le mie gambe adesso tremano talmente tanto da rischiare di farmi cadere, cosa che con molta probabilità avrei di certo fatto se mio marito non si fosse precipitato subito da me, sostenendomi e tenendomi a lungo stretta a sè, senza riuscire a credere ai propri occhi.

- Johanna, le tue gambe…

Balbetta in preda all’emozione e io annuisco più volte, cercando il suo sguardo mentre anche Grace corre ad abbracciarmi, strillando di gioia.

- Ma come è successo?

Chiedono entrambi all’unisono e io mi chino verso Logan, prendendolo in braccio e scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

- È tutto merito suo, vero tesoro?

Dico e Christian gli fa una carezza sulla testa, rivolgendo a entrambi uno sguardo interrogativo.

- Perché, che cosa hai fatto Logan?

Nostro figlio apre le braccia, facendo spallucce.

- L’ho fatta arrabbiare! Come al solito.

Risponde candidamente, facendoci scoppiare a ridere tutti.

 

Non riesco ancora a credere di potermi reggere in piedi da sola già da due settimane, e soprattutto senza l’aiuto di quell’odioso pezzo di ferraglia che alla prima occasione mi affretterò di certo a buttare via, e per la prima volta dopo tanto tempo sono così felice da non riuscire quasi a star ferma. La mia felicità e il mio senso di benessere sono però destinati a non durare a lungo e quando vedo Christian passarmi accanto, già vestito di tutto punto e pronto per andare al lavoro sento di non poter più reggere a lungo questa situazione. Non possiamo continuare a vivere nella stessa casa fingendo che vada ancora tutto bene e giocando a fare la famgliola felice, quando sappiamo benissimo entrambi che le cose sono completamente cambiate tra noi. Essere costretta a vederlo tutti i giorni senza poterlo più abbracciare o baciare tutte le volte che voglio è diventato insostenibile per me. È ora di prendere una decisione.

- Christian – dico così, risoluta – credo che dovresti andartene.

Si volta a guardarmi, annuendo lentamente.

- Sì, certo, infatti stavo andando.

Risponde e io faccio qualche passo verso di lui, sospirando un paio di volte prima di riprendere a parlare.  

- No, non intendevo andare al lavoro, ma…andartene e basta. Insomma, non c’è più alcun motivo per rimandare, no? Come puoi vedere io sto bene adesso e non sei più costretto a doverti occupare di me, perciò…

- Hai ragione – mi interrompe, serio – abbiamo rimandato fin troppo e questa è sicuramente la decisione migliore per tutti quanti. Questa sera parleremo con i bambini, poi comincerò a cercare un appartamento.

- Ci penso io a trovare qualcosa di più adatto a te. Preferirei che non fosse molto lontano da qui perché, sai, altrimenti sarebbe difficile per te raggiungere i bambini tutte le volte che vuoi stare con loro, e poi non voglio certo traumatizzarli mandandoti a stare all’altro capo del mondo!

Abbasso gli occhi, imbarazzata, non molto sicura di aver dato un senso compiuto a quello che ho appena detto.

- Va bene, allora più tardi passo in ufficio da te per risolvere questa questione, e poi comincerò ad avviare le pratiche del…divorzio.

Sentirgli pronunciare quella parola mi fa improvvisamente venir voglia di scoppiare a piangere come una stupida, così per evitare di mostrargli il mio stato d’animo mi affretto a voltargli le spalle e a lui non resta che andarsene, richiudendo lentamente la porta dietro di sé e lasciandomi lì, in balìa di me stessa e di tutti i sentimenti contrastanti che si agitano dentro di me, minacciando di mandarmi in pezzi da un momento all’altro. Ma no, non posso permettere loro di prendere di nuovo il sopravvento. Devo reagire. Devo provare ad affrontare la cosa una volta per tutte, e forse c’è qualcuno che può davvero aiutarmi a farlo nel modo più giusto. È questo che continuo a ripetermi mentre mi rigiro tra le mani quel minuscolo biglietto da visita colorato, donatomi da Laly in un giorno neanche troppo lontano…

 

 

 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 28 ***


- Piano! Lasciami il braccio, mi stai facendo male!

Protesto cercando di liberarmi della sua morsa che sembra d’acciaio mentre mi lancia uno sguardo di fuoco, trascinandomi dentro casa senza neppure preoccuparsi di chiudere la porta come si deve.

- Noi due dobbiamo parlare. Che cosa diavolo stai combinando, si può sapere?

Esordisce, lasciandomi perplessa.

- Cosa stai combinando tu, piuttosto! Come ti viene in mente di costringermi ad abbandonare il campo in un momento simile, ci eravamo appena aggiudicati il primo set e, nel caso non te ne fossi accorto, la partita non è ancora finita. Ce l’hai almeno un’idea di cosa significhi “gioco di squadra?” Stavo proprio per…

- Non me ne frega un figo secco di quella stupida partita – esplode a quel punto, interrompendomi di colpo e facendomi trasalire – la domanda qui è un’altra. Che cosa c’è che non va Johanna, per quale motivo ti comporti in questo modo?

Sospira profondamente, cercando di riacquistare il controllo di sé e abbassando notevolmente il suo tono di voce prima di riprendere a parlare.

- E, per favore, togliti immediatamente di dosso quella ridicola camicia.

Sorrido sorniona, muovendo qualche passo verso di lui. Ma certo, ora è tutto più  chiaro.

- Ah, ho capito finalmente! Volevi rimanere un po’ da solo con me, non è così? Ma amore mio, potevi dirmelo subito che il motivo era questo, non avrei nemmeno perso tempo a obiettare. Il mio piccolo, dolce timidone! Vieni qui.

Con un’unica mossa annullo la distanza che ancora ci separa, spingendolo poi sul divano e sedendomi a cavalcioni su di lui mentre, cercando le sue labbra, comincio ad armeggiare freneticamente con la cintura dei pantaloni prima di sentirlo irrigidirsi, frenando le mie mani.

- No, Johanna… fermati immediatamente, cosa hai intenzione di fare?

- Davvero non ci arrivi da solo, Cri Cri? Cos’è, vuoi che ti faccia un disegnino per caso?

Rispondo con accento mellifluo, prendendo a sbottonarmi lentamente la camicia e avventandomi sul suo collo, stuzzicando la sua pelle morbida fino a strappargli un sottile gemito che però si sforza subito di mettere a tacere, tornando nuovamente a irrigidirsi fra le mie braccia.

- Ok, cerca di darti una calmata adesso. Noi non possiamo…insomma…è  evidente che non stai affatto bene, e credo anche di sapere il motivo. Ascoltami, so che questa storia della separazione ci ha un po’, come dire, destabilizzati entrambi e comprendo perfettamente come ti senti, ma di qui a…

- Oh andiamo, non è carino che mi parli in questo modo – lo incalzo, senza smettere di tormentarlo – separazione! Che parola orribile, non dirla mai più per favore. Si può sapere come ti è venuto in mente di metterti a discutere di una cosa del genere proprio adesso? Su, cerca di rilassarti un po’. Ora penserò a marchiarti a dovere, così tutti sapranno che sei il mio ragazzo e nessuna di quelle stupide oche là fuori proverà più a flirtare con te.

- Non riesco proprio a capire di cosa tu stia parlando ma te lo ripeto, tu non stai affatto bene!

Insiste e io scuoto la testa, scoppiando a ridere.

- Ma cosa dici, se non mi sono mai sentita meglio in tutta la mia vita! Dài, smetti di preoccuparti inutilmente e permettimi piuttosto di dimostrartelo.

Replico con voce suadente tornando a chinarmi su di lui ed è allora che la porta si riapre di scatto, rivelando la presenza dei nostri figli mentre Christian mi spinge via con decisione, facendosi di colpo paonazzo e vorrebbe tanto rompere per primo quell’imbarazzante silenzio venutosi a creare ma Grace sembra batterlo sul tempo, esclamando con una smorfia di disgusto: - Oh mio Dio, vi prego! Non si usa chiudere la porta a chiave? Voi due mi avete appena bloccato la crescita!

- Addirittura…è solo un succhiotto!

Protesto ma lei continua a fissarmi con aria inorridita prima di prendere le scale, trascinandosi dietro suo fratello e bofonchiando seccata: - Bene, dopo questo credo  che ora me ne andrò dritta a vomitare!

- Cos’è un succhiotto?

Domanda intanto Logan e a quel punto Christian scatta in piedi, rabbioso, intimando a entrambi di smettere con le domande e correre subito a lavarsi le mani visto che tra poco sarà ora di cena.

- Ma sono solo le cinque!

- Non mi interessa, su, filate. Subito!

Dice e non appena scompaiono dalle nostre viste mi è subito addosso, passandosi a lungo le mani fra i capelli come a nascondere la frustrazione.

- Tu…sei…cavolo, perché ho la spiacevole sensazione che ti abbia completamente dato di volta il cervello? E, santo cielo, riabbottonati quella camicia per cortesia, non riesco neppure a parlarti in quelle condizioni!

- Ma insomma, vuoi deciderti una buona volta? Prima mi dici di togliermela di dosso, poi non appena sto per farlo mi chiedi di rimettermela. Sei veramente strano oggi, lo sai?

Replico incrociando le braccia al petto e lui solleva le sopracciglia, sconcertato, tornando a incrociare il mio sguardo.

- Ah, sarei io quello strano, adesso? Senti, lasciamo perdere! Ho lasciato la bambina da Hèléne, vado a riprenderla, è meglio. Gradirei che al mio ritorno la smettessi di comportarti come una ventenne fuori di testa!

Apro le mani, scoppiando improvvisamente a ridere.

- E come altro dovrei comportarmi, scusa? Io SONO una ventenne, oppure te ne sei scordato?

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Trascorro gran parte della mattinata nell’ufficio di Johanna e alla fine viene fuori che il mio primo appartamento, quello in cui ho vissuto per qualche tempo la prima volta che sono arrivato su quest’isola sta per liberarsi, e fra meno di un mese sarà finalmente disponibile per essere occupato di nuovo. Naturalmente non ho dubbi, lo scelgo immediatamente e anche se è una decisione di cui alla lunga potrei pentirmi non mi importa, quel posto rappresenta pur sempre casa per me. Anche se è pieno di ricordi, e alcuni di questi potrebbero risultare molto spiacevoli, specie per il periodo più o meno difficile che mi ritrovo ad affrontare e vivere. Già, quelle mura sono talmente intrise di ricordi che ho quasi la sensazione possano parlare da sole. È lì che io e Johanna ci siamo ritrovati dopo dieci anni di lontananza, è lì che ci siamo detti di non aver mai smesso di amarci ed è sempre lì che abbiamo fatto l’amore per la prima volta, dopo essere stati così lontani l’uno dall’altra. Cos’è cambiato da allora? Niente, o forse tutto, non so, ma la cosa importante è non soffermarsi troppo a pensare perché, se continuo a farlo, rischio seriamente di impazzire. So benissimo che la nostra relazione è arrivata al capolinea, che pur amandola da morire non posso e non potrò mai più stare con lei. Ci siamo fatti troppo male e il ricordo di ciò che è stato ci tormenterebbe ogni minuto delle nostre vite, è per questo che riprovarci non funzionerebbe, né servirebbe a nulla. Tranne che a farci soffrire ancora di più. Per il momento però è meglio andare per gradi, e la cosa più importante da fare adesso è parlare con i bambini e spiegare loro tutta la situazione, sperando che riescano a comprenderci per il meglio. Inutile nascondere che ho una gran paura della reazione che potrebbero avere e che visti i precedenti con Grace le cose potrebbero sfuggirmi di mano molto facilmente, è per questo che devo fare attenzione, soppesare ogni parola e ciò che deriverà da essa, perché se anche loro dovessero soffrire per la nostra imminente separazione non potrei mai perdonarmelo. Purtroppo so che sarà inevitabile, ma non sarei un buon padre se non cercassi con tutte le mie forze di limitarne i danni. Passo così il resto del tempo nel mio studio e solo a pomeriggio inoltrato ricevo la visita di Nicolas, che ancora una volta prova a convincermi del fatto che questa sia una decisione del tutto affrettata e che se la portassi avanti potrei pentirmene per il resto dei miei giorni, perché Johanna è la donna della mia vita e non devo assolutamente lasciarmela sfuggire, che i problemi si affrontano e altre sciocchezze simili di cui sono sicuro che non abbia assolutamente idea, poiché lui ed Hèléne non sembrano mai aver vissuto una crisi in tutti questi anni di matrimonio. Ma la nostra non è una crisi, è una bufera. Anzi, un uragano. E poi cosa ne sa lui di quello che ho dentro? Dio solo sa quanto stia provando a prendere di petto i problemi per cercare di risolverli nel modo migliore, un tempo non lo avrei mai fatto. Un tempo sarebbe bastato nascondere la testa sotto la sabbia e tutto quanto sarebbe scomparso come per magia, o almeno così mi piaceva credere. Invece ciò da cui mi impegnavo a scappare, ciò che mi faceva più soffrire era ancora lì, pronto ad aspettarmi per infliggermi il colpo finale. Solo che questo l’ho capito dopo aver toccato il fondo, e ora, devo ammetterlo, una parte di me ha un po’ di nostalgia del  ragazzo insicuro e disperato che ero, e non so cosa darei per potermi di nuovo permettere di scivolare nell’oblìo. Stavolta, però, per non risalirne mai più. Sono questi gli spiacevoli pensieri che agitano la mia mente stanca quando rientro a casa, o meglio, a quella che presto, molto presto non sarà più casa mia, ma è una cosa di cui devo convincermi, una cosa che presto diventerà una specie di abitudine per me. Quella sera sono talmente immerso in queste spiacevoli considerazioni da non accorgermi della presenza di Johanna finchè non la sento parlare, o meglio, finchè non si mette a urlare, fiondandosi letteralmente tra le mie braccia con un balzo deciso che mi lascia completamente senza parole: - Eccoti qui finalmente, mio Cri Cri adorato!

 

 

 

- Che diavolo hai fatto a mia sorella razza di idiota, si può sapere?

Esclama Roy con espressione minacciosa, brandendo per aria un coltello preso in prestito dal bancone più vicino per puntarmelo subito contro prima che Benedicte accorra in mio aiuto, costringendolo ad abbassare l’ arma prima che qualcuno si faccia male e cercando nel frattempo di placare gli animi, cosa assolutamente non facile vista l’agitazione di quella specie di somaro. Accidenti a lui, come al solito non perde occasione per offendermi in ogni modo possibile. Stavolta però ha ben ragione di essere sconvolto, quello che sta succedendo è assolutamente inspiegabile.

- Piantala di darmi addosso, ti ho già detto che non è certo colpa mia se da ieri sera si comporta come una matta!

Ribatto piccato mentre Hèléne, seduta vicino a me si lascia andare all’ennesimo sospiro sconsolato.

- Come può essere successo così, di punto in bianco? Voglio dire, una persona non può cambiare totalmente atteggiamento dall’oggi al domani, no?

Mi chiede con apprensione e tutto ciò che so fare è scuotere lentamente la testa  limitandomi ad aprire le braccia, assolutamente incapace di venirne a capo. Dal primo pomeriggio, quando ci siamo ritrovati qui riuniti al bar da Benedicte a osservarla da lontano con aria perplessa, questa è la domanda che ci stiamo facendo un pò tutti. Fino a eri mattina, quando sono passato dal suo ufficio per discutere la questione del mio trasferimento, non ho notato nulla in lei che mi portasse a credere che nel giro di qualche ora si sarebbe trasformata in una specie di teen-ager fuori controllo che passa tutto il suo tempo sulla spiaggia a organizzare partite di pallavolo con i ragazzi del vicinato, esultando e rotolandosi sulla sabbia a ogni punto segnato, tra l’altro con addosso quella vecchia camicia a quadri colorati che avrà riesumato da chissà quale cassetto nascosto dell’amadio e che non mette più da almeno quindici anni. Ieri, dopo esser riuscito con fatica a staccarmela di dosso ho passato l’intera serata a spiegarle quanto fosse normale che due persone che come noi hanno deciso di separarsi non dividano più lo stesso letto, ma sembrava talmente sconvolta dalla cosa che più di una volta mi sono ritrovato a pensare che avesse in qualche modo rimosso l’intera situazione. Proprio come se avesse perso la memoria o roba del genere. L’ho osservata con attenzione per tutto il tempo e non credo che ci stia prendendo tutti in giro come invece ho subito pensato quando l’ho vista comportarsi in modo così strano. Insomma, c’è una ragione valida per cui dovrebbe farlo? C’è una ragione valida per la quale continui a cantare a squarciagola  e saltare come in preda a una strana, incontenibile allegria senza senso?

- Forse sta solo cercando un modo per essere forte, per reagire alla vostra separazione. Non c’è nulla di male in questo.

Osserva Benedicte e Josè la fissa, serio, per un lungo momento.

- Ma che stai dicendo? Non vedi che sembra fuori di testa? A guardarla così pare sia tornata…

- Ad avere vent’anni.

Hèléne finisce di colpo la frase lasciata in sospeso dal nostro amico e tutti ci guardiamo, per un attimo incapaci di parlare.

- Sì, esatto. È proprio quello che volevo dire.

Mormora lui, infine, sorseggiando del succo d’arancia e rompendo il silenzio per primo mentre l’improvvisa voce di Laly, che intanto sta venendo verso di noi ci costringe tutti a voltarci verso di lei.   

- Ah, ecco dov’era finita! Non posso credere che abbia davvero deciso di non presentarsi al lavoro per mettersi a fare la cheerleader nel bel mezzo della spiaggia. Santo cielo ma che le prende, si è bevuta il cervello per caso? Se aveva bisogno di prendersi la giornata libera poteva almeno avvisare! Ehi Christian, si può sapere che cavolo le è successo?

Torno a guardare in direzione di mia moglie che, ansante e scarmigliata, all’ennesimo punto segnato dalla sua squadra lancia nell’aria una delle sue incontenibili risate cristalline prima di voltarsi verso di me per strizzarmi giocosamente l’occhio, mandandomi un bacio da lontano.

- Non ne ho la minima idea.

Rispondo, affranto.

 

 

 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


- Pistaaaaaaaaaaaa!

Grida mentre su un’enorme tavola da surf che non credo di aver mai visto prima si catapulta giù per le scale come se si trovasse nel bel mezzo dell’oceano, ma questa non è nemmeno la cosa peggiore. Già, perché da brava scalmanata qual è ha anche pensato bene di trascinarsi dietro Logan, e mentre entrambi atterrano direttamente in salotto esplodendo in una fragorosa risata mi chiedo come mai, dopo tutto ciò a cui sto assistendo in questi giorni, non mi sia ancora venuto un infarto. Ci mancava solo questa, adesso. Come fa a non rendersi conto di quanto sia pericoloso per un bambino lanciarsi giù a rotta di collo senza neppure pensare alle conseguenze? Sono così sconvolto e allibito da non riuscire quasi a parlare, e come me lo è Grace che venendomi vicino scuote lentamente la testa incrociando le braccia al petto, ma almeno a lei le parole sembrano non mancare.

- La mamma è impazzita, non è vero papà? Devi fare qualcosa, non si può più andare avanti così. E se chiamassimo un dottore?

Dice infatti, osservandola da lontano con aria preoccupata prima di affrettarsi a  correre da lei, quando sente Johanna pronunciare il suo nome.

- Ho paura che ci abbia già pensato da sola.

Mormoro a quel punto anche se so che non può più sentirmi, rigirandomi tra le mani un bigliettino colorato che mi capita di trovare sul pavimento, e che immediatamente cattura la mia attenzione. Dev’esserle senz’altro caduto dalle tasche mentre si divertiva a fare la matta, come ormai succede praticamente a tutte le ore del giorno.

- Allora, che ne dite di fare una bella gara di corsa sulla spiaggia, ora?

La sento proporre ai bambini ed entrambi cominciano ad agitarsi sul posto, strillando di gioia. Fisso la mia primogenita e, preso in contropiede, mi scappa da ridere. Le piace tanto atteggiarsi a donna vissuta, parlando e preoccupandosi sempre di qualunque cosa attiri la sua attenzione, ma basta una semplice parola detta al momento giusto per farle dimenticare di tutto in un momento. In fondo è ancora una bambina.

- Siete pronti? – continua intanto Johanna, sedendosi sugli scalini dell’ingresso e osservandoli prepararsi allo scontro – si parteeeeeeeeee! L’ultimo che arriva è un salame!

A quelle parole li vedo schizzare via sulla sabbia come proiettili, il fiatone e le guance rosse per lo sforzo, impegnandosi come non mai a seminare l’altro in ogni modo possibile pur di aggiudicarsi la vittoria.

- Mangiati la polvere, nanerottolo!

- Questo lo vedremo!

Mentre continuo a seguirli con lo sguardo per me è naturale lasciarmi rapire via via dall’apprensione. E se uno dei due, oppure entrambi dovessero farsi male cadendo accidentalmente? Sì, lo so che siamo su una spiaggia e comunque il tragitto da percorrere per loro è piuttosto breve, ma dopo che Logan ha quasi rischiato di affogare sotto i nostri occhi non riesco più a stare tranquillo. Comunque sia mi impegno a non perderli di vista neppure per un secondo, non si sa mai, finchè Johanna non si volta lentamente verso di me, facendomi un sorriso.

- Sono meravigliosi, vero che lo sono?

Dice e io annuisco, prendendo posto accanto a lei sugli scalini. Mi prende la mano, intrecciando le sue dita alle mie e guardandomi di colpo così intensamente da farmi quasi arrossire. Non sono mai riuscito a resistere ai suoi meravigliosi occhi chiari.

- Johanna, ascoltami – comincio, schiarendomi la voce – tu sai di aver già passato i  vent’anni da un pezzo, non è così?

Abbassa lo sguardo, corrucciata.

- Vuoi farmi deprimere? È per questo che hai ricominciato con le domande senza senso?

- Sono solo…

- Preoccupato per me? Beh, ti ho detto di non esserlo. Sul serio Christian, io sto benissimo, non mi sono mai sentita meglio.

Allenta la presa sulle mie dita e la sua mano sguscia via dalla mia mentre si scosta piano da me, lasciandomi dentro una strana, se non ridicola sensazione di…vuoto. Sospiro, cercando di tenere a freno le emozioni.

- Ho… trovato questo sul pavimento. Deve esserti caduto senza che te ne accorgessi.

Mormoro mostrandole il biglietto e lei fa spallucce, prendendolo dalle mie mani senza smettere di sorridere.

- È l’indirizzo del mio psicologo.

Risponde tranquilla.

- Capisco. Non mi avevi detto che saresti andata da uno psicologo. Quando è successo?

- Appena qualche giorno fa.

- E…?

La incito, sperando che si decida a rivelarmi di più.

- Abbiamo fatto una chiacchierata.

Dice prima di chiudersi in uno strano, ostinato silenzio che decide di rompere solo quando i bambini tornano verso di noi, ansanti per la corsa ma felici e sorridenti.

- Mi hai visto mammina? Ho vinto io!

Esclama Logan e Grace gli lancia un’occhiataccia.

- Non è vero, sei un bugiardo! Il primo premio spetta a me!

Protesta.

- Ok, che ne direste di un doppio cheesburger con patatine per tutti?

Prova a placare gli animi, ottenendo in risposta l’ennesimo urlo di gioia che la fa scoppiare a ridere. Magari sarò totalmente fuori strada, ma ho la netta sensazione che l’indirizzo su quel biglietto c’entri qualcosa con questo suo strano e inspiegabile comportamento…

 

 

- Che cosa? Lei ha usato l’ipnosi su mia moglie?

Esplodo senza riuscire a trattenermi, fissando, livido di rabbia l’insignificante omino in giacca e cravatta che mi sta proprio di fronte e che sembra uscito da un cartone animato. Persino il suo studio assomiglia al paese delle meraviglie, un’orribile accozzaglia di roba inutile e polverosa che poco sembra avere a che fare con uno psicologo. Ammesso davvero che lo sia, perché dopo ciò che ho appena sentito comincio a nutrire seri dubbi a riguardo.

- Ho avuto l’autorizzazione della signora – risponde con aria fiera – e tutto si è svolto nel migliore dei modi.

- Nel migliore dei modi? Davvero? Ma di che diavolo sta parlando, se tutto ciò che è stato in grado di fare è trasformarla in una specie di pazza fuori controllo!

- Quella non è certo colpa mia, ma del suo carattere d’origine. Probabilmente sua moglie era esattamente così quando aveva vent’anni, perciò glielo ripeto, tutto è andato a buon fine.

Mi accorgo di faticare davvero a trattenermi dal mettergli le mani addosso.

- Razza di ignobile impostore succhiasoldi, quanto le ha spillato per farle una cosa del genere? Lei doveva aiutarla ad affrontare il suo senso di colpa, non a cancellarlo completamente attraverso una maledetta menzogna! Ora capisco perché sembrava non ricordare nulla della nostra imminente separazione!

- La sua signora vive come in una bolla di sapone al momento – prosegue – è stata lei stessa durante la seduta ipnotica a scegliere la sua personale isola felice, rifugiandosi, pur rimanendo ancora perfettamente ancorata alla realtà, in un’età dove si sarebbe finalmente sentita protetta e al sicuro da ogni spiacevole situazione. La mia è pura scienza signor Roquier, mi creda, sono un professionista!  

- Lei è un ciarlatano! Deve immediatamente annullare l’ipnosi, mi ha sentito?

Mi rialzo di scatto, battendo un violento pugno sul tavolo prima di scagliarmi su di lui, rabbioso, afferrandolo per il bavero della giacca e fissandolo con aria minacciosa fino a spingerlo a supplicarmi di non fargli alcun male.

 

- La riporti subito indietro! Io rivoglio indietro mia moglie!

- S…Sì…sss…sì, certo, lo farò, ma si calmi per favore!

Ma io non lo ascolto quasi, perchè solo allora mi rendo conto di ciò che ho appena detto e che adesso mi colpisce dentro con la stessa forza di un uragano, facendo crollare di colpo ogni mia certezza. Rivoglio indietro mia moglie. È così, io la rivoglio indietro, nient’altro ha più importanza…

 

 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


- Così va molto meglio.

Considera con un breve sorriso quando lo raggiungo in cucina, alludendo chiaramente al mio abbigliamento ora decisamente più sobrio. Non so neppure come mi sia venuto in mente di indossare di nuovo quella vecchia camicia sdrucita, comunque sia adesso è di nuovo andata, sepolta sotto strati di maglioni più o meno pesanti che non ho proprio il coraggio di buttare via, ma che comunque non metterò più. Ho pochi e confusi ricordi di quello che è successo in questi ultimi giorni, l’unica cosa che so è che mi sentivo felice. Sì, per la prima volta dopo tanto tempo ero finalmente, completamente felice, e ora tutto ciò che rimane di quel folle esperimento che tanto assomigliava a un bellissimo sogno è solo un gran senso di vuoto nell’anima, poiché tutto, compreso il mio senso di colpa è tornato a schiacciarmi sotto il suo peso enorme, rendendomi difficile persino respirare. Forse però è meglio così, sono stata una stupida a fidarmi di quel ciarlatano, come lo chiama Christian, una stupida a pensare, anche se solo per un breve istante, di potermi lasciare tutto alle spalle. Come se non fosse mai esistito. Ma il male che ho fatto all’uomo meraviglioso che mi sta di fronte, e che nonostante tutto ha continuato a prendersi cura di me invece esiste eccome, e non è mai sparito. È sempre stato lì ad anelare la giustizia che merita e che adesso, attraverso i documenti che attendono solo una mia firma, finalmente riuscirà a ottenere. Anche se so che neppure questo basterà a farmi sentire meglio, ma è pur sempre un inizio. Un nuovo, devastante inizio dal quale vorrei solo fuggire per sempre. Sospiro profondamente prima di sedermi, poi, imponendomi di non pensare lascio che la penna scorra con decisione su ogni foglio che mi sta davanti, senza neppure prendermi la briga di leggere cosa c’è scritto. Non mi serve saperlo. È finita.

- Bene. Sembra che adesso siamo ufficialmente divorziati.

Dico, fingendo una calma che di certo non mi appartiene e Christian annuisce un paio di volte, ritirando i documenti e facendoli sparire in fretta dentro una cartelletta scura che sembra rappresentare alla perfezione il mio stato d’animo.

- Già. Questa è sicuramente la soluzione migliore.

Risponde, ma visto che continua a ripeterlo come un mantra comincio a nutrire il forte sospetto che in realtà non creda neppure lui a ciò che sta dicendo. Mi rialzo in piedi e sento che le mie gambe tremano penosamente. Sono un fascio di nervi ma mi impongo comunque di continuare a nasconderglielo, sforzandomi anzi di mantenere un certo contegno che giudico più che adatto alla situazione. Anche se l’unica cosa che vorrei fare in questo momento è mettermi a urlare fino a farmi scoppiare i polmoni.

- Ok. Credo che…sia meglio che vada.

Aggiunge, ma invece di avviarsi verso la porta d’ingresso comincia lentamente a camminare nella mia direzione, cercando il mio sguardo.

- La porta è di là.

E la indico alle sue spalle, la voce improvvisamente strozzata e tremante.

- Certo, lo so benissimo. Allora…vado.

Ripete, avanzando ancora di qualche passo.

- Bene.

Dico, e adesso è così vicino che il suo profumo mi stordisce.

- Bene.

Mi fa eco lui, sfiorandomi dolcemente il viso senza mai smettere di guardarmi negli occhi, e poi, prima ancora di rendermene conto ci ritroviamo avvinghiati l’uno all’altra e in un attimo le sue labbra si incollano alle mie, consumandole a lungo in un bacio disperato che ricambio con tutte le mie forze, strappandogli quasi la camicia di dosso tanto è il desiderio improvviso di lui e delle sue mani, che adesso, impazienti quanto le mie si insinuano sotto i miei vestiti, chiedendomi di più…

- Non dovevamo.

Mormoro quando qualche ora dopo ci ritroviamo a letto insieme, ancora ansanti per la focosa mattinata trascorsa tra quelle lenzuola che ora coprono a malapena i nostri corpi nudi, guardandoci come se avessimo commesso il più grande peccato del mondo. Come può una cosa che desideri con tutta te stessa essere sbagliata?

- Sono d’accordo – risponde, affondando nei cuscini – continuando su questa strada rischiamo solo di farci del male. È stato solo uno stupido errore. Un errore che non dovrà mai più ripetersi.

 

 

 

Alcuni mesi dopo

 

- Avanti, guarda che non c’è nulla di male a desiderare di rifarsi una vita. In fondo, perché non dovresti? Sei di nuovo libera e in più sei ancora giovane, perciò…dài, dimmi chi è!

Continua a tormentarmi Laly, facendomi desiderare di fuggire il più lontano possibile dal suo estenuante interrogatorio. Se sapevo che finiva così non mi sarei neppure presentata al lavoro, oggi. Sbuffo, lanciandole un’occhiataccia mentre mi sistemo sulla mia scrivania.

- Cosa ti fa pensare che che ci sia davvero qualcuno nella mia vita?

Esclamo, e mi guarda come se di colpo mi fossi trasformata in una specie di mostro alieno.

- Oh, andiamo Johanna, dici sul serio? Non credo di averti mai visto più radiosa di così, inoltre ogni volta che faccio riferimento a un ipotetico qualcuno ti brillano gli occhi. Cos’è, pensi forse che sia stupida? Ma è ovvio che c’è qualcuno nella tua vita e mi fa piacere, davvero, sono felice per te, ma potresti almeno dirmi di chi si tratta a questo punto! Insomma, sono o no una delle tue migliori amiche?

Già, la più pettegola tra le mie amiche. Come fa a pensare che abbia voglia di darle in pasto la mia vita privata senza pensare alle conseguenze? E poi non c’è proprio niente da dire in proposito, perciò la questione è chiusa. Ufficialmente chiusa.

- Perché non la smetti di arrovellarti inutilmente e cominci piuttosto a concentrarti su quella bellissima pancia che ti porti dietro? Ormai non manca molto, no?

Cerco di distrarla alludendo alla sua gravidanza ormai agli sgoccioli, ma ormai dovrei saperlo che con lei non attacca.

- Ecco, lo vedi? Stai di nuovo cambiando argomento – dice infatti – sei proprio cocciuta, eh? Va bene, ti lascio in pace solo perché mi è venuta voglia di andare a mangiare qualcosa al bar, ma non pensare di cavartela così a buon mercato perchè al mio ritorno io e te facciamo i conti. Vedrai se non riesco a farti sputare il rospo!

- Ah, ma allora sei fissata!

Ribatto ma ora finge di non ascoltarmi e tutto ciò che fa è rivolgermi un’occhiata enigmatica prima di prendere la borsa e lasciare l’ufficio in tutta fretta. Accidenti, a volte sa essere davvero insopportabile. Rimasta sola decido di andare a prepararmi un caffè, ma proprio nel momento in cui comincio ad armeggiare con una delle cialde, aprendola con uno scatto sento due mani afferrarmi con decisione e mi volto di scatto, trasalendo vistosamente.

- Cavolo, sei impazzito? Mi hai spaventata! Non dovresti venire, te l’ho detto un mucchio di volte. Laly sta per tornare e non voglio assolutamente che ti trovi qui!  

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


- Oh insomma, avevo voglia di vederti. Al diavolo anche Laly.

E la spingo contro la parete, baciandola con passione prima che possa venirle in mente di replicare in qualche maniera. Ma lei ride e prendendomi la testa tra le mani torna a guardarmi intensamente, facendomi di colpo venir voglia di strapparle i vestiti di dosso e finire così quello che abbiamo già iniziato attraverso i nostri soliti giochi di sguardi.

- Così però è troppo facile – protesta debolmente, e il suo splendido sorriso resta immutato – nessun legame…

- Nessun dolore.

La interrompo, posandole un dito sulle labbra e completando la frase al suo posto.

Nessun legame, nessun dolore.

Già, ma allora perché tutte le volte che la stringo fra le braccia ho la sensazione che il cuore possa esplodermi nel petto da un momento all’altro? Mi chiedo davvero se questo strano, tacito accordo non sia da rivedere del tutto, invece. C’è  qualcosa di sbagliato nel desiderare di starle accanto praticamente a tutte le ore del giorno e della notte? Nella mia testa continuo a ripetermi come sia possibile tutto questo, vista la decisione di separarci che abbiamo comunque preso di comune accordo, ma so che il mio cuore conosce già la risposta. Il fatto è che dalla faccenda dell’ipnosi e tutto il resto, mi sono lentamente reso conto di aver ricominciato a guardarla con occhi diversi. La sua allegria ritrovata anche se solo per poco tempo, la meravigliosa gioia di vivere che ha dimostrato in quei giorni sono stati capaci di annullare completamente ciò che è stato, riportandomi indietro nel tempo fino a desiderare di lasciarmi tutto alle spalle. Di ricominciare da capo una nuova vita insieme a lei, senza più pensare al passato. L’unico problema è che non ho il coraggio di dirglielo, e questo sembra farmi ancora più male. È come una specie di limbo dal quale non ho la forza di fuggire per cambiare le cose, visto che non sono neppure sicuro di volerlo davvero. C’è tanta confusione nella mia testa e non sono più sicuro di niente, l’unica cosa che so di desiderare è continuare a stringerla fra le braccia il più a lungo possibile. Senza promesse, senza pensieri.

Nessun legame, nessun dolore.

Fino a quanto?

- Vorrei che venissi a dare un’occhiata a come ho provato a sistemare la camera dei bambini.

Le sussurro tra un bacio e l’altro, facendola ridacchiare divertita.

- Ah sì, ma davvero? E come mai l’ultima volta che sono venuta nel tuo appartamento tutto ciò che ho visto è stato il tuo letto?

- Solo perché ti sei distratta, ma in effetti l’intento era quello.

Replico tornando a catturare le sue labbra ma la sento irrigidirsi di colpo contro di me, fino a spingermi via con dolce fermezza. La fisso, senza capire.

- Non possiamo continuare così, Christian – dice all’improvviso, rabbuiandosi in volto – sono mesi che questa storia va avanti e…cavolo, non ha alcun senso, te ne rendi conto?

Sospiro, allentando la presa sulla sua vita sottile e solo allora mi rendo conto che non sono certo l’unico a provare un certo disagio in questa nostra nuova vicinanza, in questo nostro ritrovarsi senza stare realmente insieme.

- Io non…

- Che cosa siamo noi due?

Mi chiede, incalzandomi a bruciapelo.

- Come?

È tutto quello che riesco a dire, anche se mi rendo conto di quanto possa suonare ridicolo.   

- Che cosa siamo? – ripete, liberandosi di colpo di ciò che resta del mio ormai debole abbraccio per allontanarsi di qualche passo -  non stiamo più insieme, ma andiamo a letto insieme. È questo che sono diventata per te, un semplice, squallido passatempo?

- Non ho mai detto una cosa del genere.

Ribatto, offeso dal fatto che abbia anche solo potuto pensarlo. Mi fissa in silenzio per un lungo momento, sfidandomi quasi con lo sguardo prima di decidersi a proseguire.

- Cerca di capire quello che vuoi, Christian. Oppure lasciami andare.

Poi si affretta a voltarmi le spalle, lasciandomi senza parole…

 

 

 

 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Mi massaggio le tempie pulsanti, cercando di riprendere il controllo di me stessa e della…situazione. No, l’unica situazione di cui devo assolutamente riprendere il controllo e su cui ora dovrei concentrarmi è solo questo mucchio di scartoffie che mi stanno davanti e che si chiamano “lavoro”. Giusto, il lavoro deve essere la mia sola ed esclusiva priorità. Ma allora perché da quando abbiamo avuto quella breve discussione non faccio altro che pensare a lui e al modo in cui mi guardava, come se non sapesse bene cosa rispondermi? Accidenti a lui e accidenti anche a me, che continuo a stargli dietro senza neppure preoccuparmi del fatto che il mio povero cuore sia ridotto praticamente a uno straccio vecchio e strappato. Ah, ma adesso ha finito di prendersi gioco di me in questo modo, ha finito di calpestare i miei sentimenti giocando a fare l’eterno indeciso, quanto è vero che mi chiamo Johanna McCormick. Proprio così, questo è il mio solo e unico cognome adesso e continuare a tormentarmi con i suoi riplorevoli giochetti non gli servirà più a niente. Cosa credeva, che mi sarei trasformata per sempre nella sua schiava del sesso? Non sono certo una stupida, nossignore, e se ha bisogno che glielo dimostri non ha che da chiederlo.

- Johanna, ti senti bene?

La voce di Laly mi riporta alla realtà e all’improvviso mi accorgo che è appena tornata dalla sua piccola pausa pranzo e che ora, in piedi davanti a me, mi sta guardando in modo strano.

- Sì, certo, perché non dovrei?

Rispondo sentendomi avvampare mentre sospira profondamente, scuotendo la testa un paio di volte senza smettere di fissarmi con aria contrita.

- Perché stai parlando da sola da almeno mezz’ora ormai e, quel che è peggio, non ho capito assolutamente nulla di ciò che hai bofonchiato. Perciò te lo chiedo di nuovo, sei sicura di star bene?

È in quel momento che le porte a vetri dell’ufficio si spalancano di colpo e Christian viene verso di me, le labbra serrate in un’espressione molto seria e i pugni così stretti da farsi sbiancare le nocche mentre si ferma a pochi centimetri dalla mia scrivania, catturando il mio sguardo senza alcuna possibilità di fuga.

- Ti amo – dice tutto d’un fiato – per tutto questo tempo non ho mai smesso di farlo neppure per un secondo, e no che non sei uno squallido passatempo per me, chiaro? Tu sei tutto ciò che di più bello mi abbia regalato la vita, l’unico motivo per cui valga la pena continuare a respirare ed è per questo che non voglio mai più passare un solo secondo lontano da te, perché tu mi hai reso un uomo migliore, e io non sono niente senza di te. Voglio provare a lasciarmi tutto alle spalle, ricominciare una nuova vita al tuo fianco senza più pensare al passato. Senza più pensare a un dolore che ci ha solo allontanati l’uno dall’altra, perciò ti prego amore mio, aiutami. Aiutami a dimenticare, aiutami a darti un’altra possibilità. A darci un’altra possibilità, perché è la sola cosa che desidero di più al mondo.

Costeggia la scrivania e si guarda intorno velocemente, strappando la linguetta di una vecchia lattina ormai vuota e abbandonata sullo scaffale vicino per mettermela al dito come un improbabile anello, inginocchiandosi di fronte a me e cercando la mia mano, che io, completamente ammutolita dalle strampalate e dolcissime parole che mi ha appena dedicato non posso che concedergli, commuovendomi fino alle lacrime mentre mi sussurra, gli occhi lucidi per l’emozione: - Johanna, vuoi sposarmi…di nuovo?

- Sì, sì e ancora sì, amore mio! Ti sposerei altre mille volte!

Grido, stringendolo in un forte abbraccio e incollando le mie labbra alle sue mentre le nostre lacrime si fondono insieme in un incastro magico che il tempo ha finalmente rimesso al proprio posto, così come doveva essere. Così come è sempre stato, ora e per tutti i giorni a venire.

- Cioè, fatemi capire…avete divorziato da appena qualche mese e adesso volete sposarvi un’altra volta? Voi due siete completamente matti, non potevate pensarci prima?

Considera Laly, continuando a guardarci perplessa quasi non credesse alla scena surreale che si sta consumando sotto i suoi stessi occhi, ma è solo un attimo perché poi corre ad abbracciare entrambi, congratulandosi con noi per aver preso la decisione più giusta. Sarà un nuovo cammino, un’avventura sicuramente ricca di alti e bassi ma pur sempre una nuova, meravigliosa avventura che aspetta solo noi in un’emozione tutta da vivere…

 

Mi sveglio di soprassalto e con la spiacevole sensazione di essere appena stata brutalmente strappata a un bellissimo sogno, perché purtroppo, penso con rammarico, non era nient’altro che questo. Il bellissimo, meraviglioso sogno della nostra vita insieme. Mi sfioro la pancia, facendo un debole sorriso. Tu però, piccolo mio non sei un sogno, tu sei qui con me, sei reale, e forse per noi non è ancora tutto perduto. Ma sì, in fondo possiamo ancora avere il nostro lieto fine, possiamo ancora essere la famiglia felice che viveva su quell’isola da sogno circondata dall’affetto degli amici e dall’amore dei propri figli, tre splendidi bambini con gli occhi grandi e profondi, ma soprattutto con tanta voglia di vivere. No, non posso arrendermi così facilmente e ti prometto che non lo farò. Per prima cosa, però, devo assolutamente scendere da questo aereo. Ed è proprio ciò che mi affretto a fare poco dopo, incurante di tutto quello che succede intorno a me, compresi i continui richiami delle hostess che con aria ora tutt’altro che amichevole mi intimano a riprendere il mio posto a sedere  perché il momento del decollo è vicino, ma me ne frego. Ho già perso troppo tempo lontana dal ragazzo che amo più della mia vita e ora lui aspetta solo me, lo so. Non posso deluderlo, non posso farlo soffrire ancora. Sta passando il momento forse più difficile della sua intera esistenza e non merita di sentirsi abbandonato a se stesso. Ha bisogno di me, ha bisogno di sapere la verità. Come ho potuto anche solo pensare di partire senza rivelargli nulla? Continuo a correre a perdifiato, stando bene attenta a non incespicare nei miei stessi piedi tanta è la fretta di raggiungerlo, consultando l’orologio di tanto in tanto e pregando con tutta me stessa di riuscire a rientrare nell’orario delle visite. Ma se anche non dovessi riuscirci, che importa in fondo? Sono pronta a scavalcare il cancello, a sfidare il mondo intero se necessario pur di tornare al suo fianco e poco dopo, stremata e senza fiato mi presento alla comunità di recupero per tossicodipendenti, finalmente pronta a saltargli al collo per riempirlo di baci e per promettergli che mai, per nulla al mondo proverò più a lasciarlo. Non appena lo raggiungo nella sua camera, però mi blocco all’improvviso, senza riuscire a fare un solo passo verso di lui che, col viso scuro, mi scruta ora come se non credesse ai propri occhi.

- Johanna, sei qui? Mi avevano detto che eri partita, che…

- Volevo farlo – lo interrompo, ancora ansante per la folle corsa – ma non ho potuto, non ho potuto prendere quell’aereo, perché mi sono resa conto che se ti avessi abbandonato non avrei mai potuto perdonarmelo, nemmeno fra un milione di anni. Ho sbagliato a credere che non ci fosse più alcuna possibilità per noi, ma mentre ero sull’aereo aspettando di tornare in Texas mi sono appisolata per qualche momento, e ho sognato. Ho sognato di noi e della nostra vita insieme su una splendida isola chiamata Love Island, un’isola dove avevamo formato una famiglia e dove eravamo tanto felici insieme e questo mi ha ridato la speranza di un futuro migliore perché, ne sono sicura, possiamo ancora essere quella famiglia così speciale. E poi perché non potrei mai negare a questo bambino la gioia di crescere circondato dall’affetto di entrambi i suoi genitori. Vedi, non so ancora se sarà un lui oppure una lei, ma qualcosa mi dice che non potrebbe mai perdonarmi se decidessi di negargli l’affetto di suo padre.

Mi fissa, incredulo e confuso da tante informazioni apprese in così poco tempo, ma alla fine mi sorride e i suoi occhi si riempiono di lacrime mentre mi viene lentamente incontro, sfiorando a lungo la mia pancia con entrambe le mani prima di sussurrare, totalmente sopraffatto dall’emozione: - Tu mi stai dicendo che… sei in attesa di un bambino? Il nostro bambino?

- Sì!

Esclamo e lui mi prende tra le braccia, ridendo e facendomi volteggiare per tutta la stanza fin quasi a farmi girare la testa.

- Ti prometto che mi impegnerò al massimo per riuscire a disintossicarmi completamente, voglio essere un buon padre e prendermi cura di entrambi come meritate! Ti amo, ti amo tanto!

Mi ripete tra un bacio e l’altro e io lo stringo forte a me, ricambiando i suoi baci e accarezzandogli piano i capelli per provare a placare la sua agitazione.

- Ti amo anch’io, ti amo con tutto il mio cuore e ti prego di perdonarmi per aver pensato di fuggire da te, non so proprio cosa avevo in testa quando ho creduto di poter crescere nostro figlio da sola!

- Ora sei qui con me, nient’altro ha più importanza. Ma parlami ancora di quell’isola meravigliosa. 

Sorrido, asciugando piano le sue lacrime.

- Era solo un bel sogno, niente di più.

Rispondo e lui mi posa un dito sulle labbra, ricambiando il mio sorriso.

- Ma eravamo insieme, vivevamo felici, e questo basta a renderla reale. Reale come il nostro amore.

 

Fine.

 

 

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