Nel Mondo dello Specchio

di Made of Snow and Dreams
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Into the wild ***
Capitolo 2: *** Woods of freedom ***
Capitolo 3: *** Dark glade ***



Capitolo 1
*** Prologo - Into the wild ***


Nel Mondo dello Specchio




Prologo

Into the wild




Azzannò il labbro inferiore fino a farlo sbiancare, tanta era la pressione esercitata dalla sua mascella. L’impulso di scaricare l’adrenalina e la tensione era impellente; voleva ridere, saltare, correre fino a perdere l’orientamento. Attraversare distese di abeti senza un meta ben precisa, per perdersi in un quel groviglio di radici e fronde dondolate dal vento. Arrancare su quel tappeto di foglie ramate, dorate e color ebano per marchiare, per lasciare un segno della sua venuta. Per sentire il cuore palpitare nell’affacciarsi, affannato e con le guance imporporate, alla radura più vicina, possibilmente baciata dal sole. Tutto per quel brivido di vittoria nel considerarsi, per la prima volta nella sua vita, finalmente libero.

Libero da ogni costrizione sociale, morale, politica e individuale. Libero da ogni futile bisogno che la tecnologia impone, che una vita programmata impone. Libero da ogni veleno che l’essere uomo assume quotidianamente, accettando senza obiezioni la condanna giornaliera che la convivenza con i propri simili esige. Un esilio che lui aveva scelto di auto-imporsi, adottando una vita da vagabondo errante in realtà intricate e talmente innovative da risultare meravigliose.

E non c’era niente di più innovativo, terrificante e divino nell’'osservare i massi macchiettati dal morbido muschio profumato, nell’esporre al sole più cocente e alla pioggia più battente la schiena nuda, nell’addormentarsi immerso nel freddo umido dei monti della Germania. Nel vivere dentro le mille sfaccettature che la Natura, dimenticata ma sempre presente, gli proponeva.

Mondi diversi e sempre sovversivi, dentro il quale suo padre aveva deciso di vivere e morire, aborrendo ogni contatto con l’umanità. Il pensiero dell’uomo con cui condivideva il sangue e lo spirito, un uomo dai brillanti occhi azzurri e dai capelli spruzzati d’argento alle tempie, gli causò un brivido che gli percorse tutta la schiena. Era così che Albrecht Hofmann si era sentito, abbracciando l’idea di un viaggiatore la cui casa è la strada? L’emozione gli aveva ammutolito la gola come aveva fatto con suo figlio, Ludwig Hofmann?

Davanti ai suoi occhi, lande desolate e pregne di odori sconosciuti, di colori tonanti e cicli di selvaticità agreste, primitiva. Tante semplicità da ripassare, tanti mondi da ispezionare con gli occhi curiosi di un bambino che si affaccia a una finestra per la prima volta. Tanti soli da conoscere, tanti brezze da odorare e da riconoscere, tante carni di cui nutrirsi, tante fonti da cui abbeverarsi, tante creature da incontrare.

Sì. Ludwig Hofmann, figlio di un giramondo idealista e giramondo anch’egli, non poteva essere più contento in quel giorno di conquista.
 
 



Note dell’Autrice:
Questa storia rinasce da un mio primo, elementare tentativo di dipingere uno tra i tanti mondi da cui è composta la mia mente e in cui io sopravvivo. La precedente versione s’intitola ‘Nel mondo dello specchio’, che ho voluto riprendere in una versione migliorata, in cui diluire le mie idee da adolescente in una realtà creata dalla me-bambina (bah, anche adesso lo sono). Ogni capitolo porterà il titolo di un film a cui tengo particolarmente o a cui mi sono ispirata (in questo caso ‘Into the wild’, che mi ha fatto maledettamente commuovere), e qualche personaggio farà riferimento a personaggi che mi hanno lasciato il segno. Detto questo, benvenuti nel mio mondo personale e buona lettura!
 

Made of Snow and Dreams.
 
 

 

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Capitolo 2
*** Woods of freedom ***


Nel Mondo dello Specchio




Capitolo 1

Woods of freedom
 





Il mulinello di foglie ramate, tese a solleticargli parte della schiena e del collo, era la danza più armoniosa che i suoi occhi avessero mai visto. Le brezze frizzanti parevano invitarle ad abbandonarsi a quella pace, staccandole con dolcezza dai rami degli alberi, per poi sollevare in un tenue frullare di colori dorati.

A Ludwig era sempre piaciuto immaginare quel naturale incanto come uno stormo di farfalle ambrate: appena l’aria si tingeva di quell’aroma inconfondibile, si adagiava sul prato che ornava la sua casa per chiudere gli occhi e lasciarsi inebriare da quel dinamismo mai troppo esagerato. Era languido come l’abbraccio di sua madre e tenace come quello di suo padre, caloroso ma mai soffocante. Presente e affidabile. Discreto.

Mentre camminava tranquillo in quel brulicante rossore, immaginò di avere suo padre al suo fianco. Un uomo nel fiore degli anni, dotato di due occhi azzurri tanto limpidi da risultare malinconici. Un animo da poeta destinato a decantare lo splendore universale senza curarsi di tutte le piccole diavolerie tecnologiche che il progresso sfornava a intervalli più o meno regolari. Uno spirito sensibile, nato sotto un cielo macchiato dal piombo dei proiettili e disprezzato nella Luftwaffe e nella Panzergrenadier per la sua sensibilità da ‘donnetta isterica’, che trovava ristoro solo nell’oscurità del Wald in cui, spesso, il bisogno di solitudine lo spingeva.

Lo aveva allevato senza particolari restrizioni, senza punirlo quando combinava una bravata. Gli sguardi mille volte più iracondi di sua madre e i suoi rimproveri biascicati tra i denti costituivano una punizione più che sufficiente per i suoi occhi e per il suo udito. Alle volte, la donna che Albrecht Hoffman aveva sposato sembrava assumere le sembianze di una vipera velenosa pronta ad attaccare la sua preda, e non quello angelico e dolce di una donna materna e soave.
Pur tuttavia, quando il paragone gli cingeva la mente, subito Ludwig si affrettava a scacciarlo via, morso dai sensi di colpa. Suo padre si limitava a scuotere la testa in segno di arrendevolezza; qualche rara volta azzardava ad carezzare la spalla di sua moglie Anne, ma erano solo fugaci gesti di affetto. E se da bambino non aveva compreso quanto la loro relazione si stesse prosciugando, in quel momento, a ripercorrere quei momenti di intimità familiare con gli occhi di un ragazzo cresciuto, il puzzle si componeva in tutti i suoi pezzi.
 


‘Papà è andato via, non è così? ‘ mormorò Ludwig cercando di trattenere le lacrime. Si sforzava di non battere le ciglia per non spianare il percorso alle stille che gli pungevano gli occhi, ma fissare il paesaggio dalla finestra per concentrarsi nel suo intento non lo aiutava. Non quando sua madre lo guardava con tenerezza e compassione, modulando il tono di voce per non ferirgli le orecchie; non quando la sua presenza corpulenta gli ombreggiava la nuca, sperando di consolarlo senza esprimere quei sentimenti che suo figlio aveva già identificato.

‘Sì. ‘ rispose lei, sfiorandogli un ciuffo di capelli biondi. ‘Tuo padre è andato via. ‘

‘E… ‘ ribatté Ludwig, accostando il viso al vetro della finestra fino a toccarlo con la guancia. Il refrigerio lo fece rabbrividire, ma ebbe il potere di calmare il dolore che minacciava di lasciar trasparire. Chiuse gli occhi, incassandosi nelle spalle. ‘Quando torna? ‘

Un sospiro paziente a nascondere la preoccupazione di una moglie per il marito scomparso. La tensione abilmente nascosta da nuvole di polvere marcenti nello studio di Albrecht Hofmann e da scaffali pieni di libri di poesia, letteratura classica, filosofia. Fichte, Schelling ed Hegel a impreziosire le mensole, il pessimismo di Kant a renderle ancor più appetibili. Le tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide a donare drammaticità e serietà in quell’angolo di cultura, saggi su Omero ad aggiungere qualche tocco di mistero. I profumi delle arance e l’afa della Sicilia a invadere lo studio, evadendo dai versi estasiati di Goethe. Enciclopedie scientifiche e morali a gravare su ogni angolo della scrivania, testi storici spalancati come infiniti portali di conoscenza. Come aveva potuto, suo padre, abbandonare tutto quello?

Di nuovo quella voce sgraziata a interrompere quella visione così appagante e così impregnata di lui. ‘Non lo so, ‘ sembrava aver detto sua madre, ma ormai le sue certezze miseramente crollate non avevano più rilievo in quelle che sarebbero state le sue decisioni. ‘Non lo so proprio. Forse tornerà presto, ‘ continuava a mormorare sommessamente, ma a Ludwig i suoni giungevano attutiti, come se nuvole di ovatta gli stessero avvolgendo il viso intero. ‘O forse no. Non ci resta che pregare il suo ritorno, ovunque tuo padre si trovi. ‘

Pregare sarà l’ultimo dei miei pensieri, madre. pensò Ludwig, mentre un breve barlume di odio – odio per l’arrendevolezza con cui ella si piegava - gli illuminava gli occhi. Tuttavia, si limitò a sorridere amaramente.
 
14 Febbraio 1984
 




Forse era stata quella la sua vera, prima missione. Mentire a se stesso. Aveva passato tutta la sua infanzia e l’adolescenza a rimuginare su quanto problematico potesse essere suo padre, e allo stesso tempo così meravigliosamente semplice. Mentre la sua stazza diveniva sempre più prorompente, abbandonando i tratti androgini di un tenero fanciullo, i suoi capelli si scurivano fino ad assumere quella sfumatura biondo scuro che lo accumunava a sua madre e crocevia di strade si offrivano come futuro ai piedi di Ludwig, il foglietto di carta lacero che sua madre si era ostinata a conservare, con su scritto poche righe vaghe d’addio, era una presenza tangibile nella sua vita di studente universitario.

Aveva scelto quella strada non perché lo studio gli piacesse – specialmente per lui, che aveva parecchie difficoltà a concentrarsi durante le lezioni -, ma per non addolorare sua madre ulteriormente. Inoltre, una doppia vita passata tra le pagine dei libri e incastrato nei corpi morbidi delle ragazze gli permetteva di non pensare a suo padre più di quanto non fosse necessario. Più di quanto non facesse da bambino.
 

Cresceva. Il suo dovere era divenuto solo quello. Crescere, sfondare ogni barriera che lo separava dalla libertà più estrema, solo senza ulteriori aiuti che non fossero l’abilità si nascondere i suoi progetti sotto la maschera di uno studente modello e una mente fantasiosa.

Sfogliare le pagine di Dostoevskij e Tolstoj in stato febbrile, assaporando ogni frase per il puro gusto di captare tra le righe la frase filosofica che avrebbe ridato un senso alla sua vita, mentre sua madre Anne si affacciava dallo stipite della porta per lanciargli un’occhiata fugace. Scuoteva la testa silente, chinando il capo mentre si affaccendava a stendere il bucato o a rammendare le biancheria stracciata, senza capire quanto fosse profonda la brama di esaudire la curiosità che suo figlio Ludwig necessitava di soddisfare fin da piccolo. Senza capire quanto fosse impellente il suo bisogno di avere un’occupazione degna del suo tempo, ispirandosi alle parole dello stesso Lev Tolstoj: ‘La calma è la vigliaccheria dell’anima. ‘

Come tutti i bambini sognano di poter essere ciò che vogliono nel loro futuro imprecisato, dopo la partenza di suo padre lui aveva scelto di essere un esploratore. Aveva imparato ad amare le foreste più intricate, le case più buie, i boschi più desolati. Ad apprezzare le temperature miti dell’estate e l’oscurarsi delle foglie dei salici piangenti, il gelo della Germania innevata con i suoi pioppi immersi nel candore, l’umidità dell’autunno con il suo tornado di odori e i suoi cieli d’argento, l’invisibile risveglio della primavera, annunciata dal risveglio dei crocchi e dal timido sbocciare dei fiori di lillà.

Aveva imparato ad osservare con occhi diversi e riflessivi per cogliere gli aspetti più beceri delle cose più comunemente ritenute gradevoli, anche a costo di assaporarne l’amarezza in bocca. I cellulari Nokia che avevano iniziato a spopolare in tutto il mondo non erano degni di attenzione. Libri che non trattassero di delicate questioni morali non potevano essere neppure carezzati. Ragazzi e ragazze immobili nei loro sogni futuristici erano solo da evitare.

 Ricordava molto bene il giorno del suo nono compleanno: era fuggito di casa per regalarsi il dono di un sogno che si avvera, con la promessa di tornare il giorno dopo all’alba, puntuale come un orologio svizzero. Giusto per concedersi il tempo necessario per esplorare tutti gli isolati limitrofi.
Sua madre, al piano di sotto, canticchiava qualche canzoncina natalizia come accompagnamento musicale mentre stendeva orgogliosamente l’ultimo strato di crema al cioccolato – Dio, quanto amava il Natale! Le prelibatezze che ne conseguivano e il tono melodioso delle canzoni allegre lo rendevano euforico– sul pan di spagna finemente decorato, e lui aveva accostato delicatamente la porta della sua cameretta per godere di quel semplice ma ben intonato motivetto, intanto che frugava nel cassetto della scrivania per cercare la sua torcia. Nello zainetto semi-aperto, che regnava come un trofeo sul materasso, aveva aggiunto anche un pacchetto di pretzel e una bottiglietta d’acqua per evenienza, e, nella tasca interna, un pennarello inserito dentro un foglio di carta arrotolato e scarabocchiato da un lato. Vi avrebbe segnato le strade da percorrere e quelle già percorse in un tracciato – a suo parere – precisissimo, costituito da tremolanti linee curve prive di indicazioni.

Suo padre sarebbe stato fiero di lui.

Rammentava bene anche i pianti di sua madre e gli sguardi inferociti che lo avevano bloccato sulla soglia di casa, quando era tornato con le guance rosee per la sua avventura conclusasi in una sola notte, fischiettando serenamente. Si era stupito non poco quando aveva ritrovato il viale che lo separava dall’uscio bloccato da tre macchine della polizia, e aveva inghiottito un fastidiosissimo groppo alla gola quando aveva scorto la sagoma della mamma accartocciata su se stessa, come un foglio di carta che brucia nel camino. Accanto a lei c’erano cinque agenti, con i quali stava discutendo animatamente.

Alla fine si era risolto tutto per il meglio: un sonoro ceffone sotto gli sguardi sbalorditi dei poliziotti, miliardi di raccomandazioni che avevano come succo la medesima frase: ‘Mi raccomando, non fare spaventare così la tua mamma. Era molto preoccupata, sai? L’hai fatta anche stare male. ’, una punizione - durata tre settimane e da lui patita - che lui aveva scontato diligentemente, sospirando da dietro le mura della sua casa. Ad attendere l’imprecisato.
 


25 Ottobre 1986



 
Gli angoli della bocca si inarcarono in un sorriso vittorioso mentre concedeva al suo corpo il privilegio di lasciarsi cullare dall’abbraccio più piacevole e languido che la natura assonnata gli poteva offrire. Godeva dello scricchiolio delle foglie secche che i suoi piedi calpestavano e dei raggi del sole morente a sfiorargli il viso, e godette ancor di più quando si accorse, con stupore e con delizia, di essersi allontanato troppo dal centro abitato.
La Foresta Nera lo aveva circondato in una morsa da cui non voleva più liberarsi, e nessun pensiero colmo di tristezza gli percosse l’animo.

Quando la sua mano destra toccò il metallo freddo dell’orologio che cingeva il suo polso, si accorse che le lancette si erano bloccate improvvisamente. Segnavano le 12, un’ora che era già trascorsa da tempo. In circostanze normali avrebbe sbuffato con indifferenza e avrebbe sostituito le batterie, ma in quel momento si limitò con sollievo a lasciar ricadere il braccio dondolante contro il suo fianco. Imperterrito, camminò fino a notte fonda.

Nella notte del 30 Dicembre 1999






Made of Snow and Dreams.
 

 
 

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Capitolo 3
*** Dark glade ***


Nel Mondo dello Specchio




Capitolo 2

Dark glade






Accadde che la vide. Così, semplicemente. Non un accenno al suo aspetto così innaturale ed elementale, elfico. Non un singulto per quella pelle talmente diafana da risultare trasparente, così sottile da lasciar intravedere le vene azzurrine. Il viso di Ludwig Hofmann mantenne la sua rigida compostezza mentre le sue gambe si muovevano senza che il cervello avesse impartito l’ordine, come se una forza irrefrenabile le stesse spingendo senza tante cerimonie verso di lei.

Il tappeto di foglie prosciugate della loro freschezza aveva ceduto il posto a ciuffi d’erba immobili nella loro rigidità, cristallizzati in timide sculture floreali con cui avrebbe gradito giocare da bambino. Le minuscole gocce di rugiada, splendenti come lucciole in quella notte senza stelle e senza luna, erano diamanti con cui la creatura amava ornarsi i capelli. Fili dorati su cui adagiare quella linfa vitale; i fiori versavano quelle lacrime appositamente per lei, un servigio alla sua superiorità. L’intero drappo che fasciava il suo corpo regale era intrecciato da catenine di perle scintillanti che illuminavano ciuffi sporadici di candida pelliccia, ma quel bagliore agli occhi di Ludwig era di ben poca importanza se paragonato alla stranezza di quelle orecchie allungate e a punta che sporgevano dalla chioma bionda.

Era splendida, seppure a modo suo. E orripilante. La pelle bianca e levigata come il marmo più puro, quell’incrinarsi delle sopracciglia in un’espressione corrucciata, la bocca semichiusa. Le iride azzurrissime risplendenti di una crudele freddezza, i capelli a creare un cappuccio di onde dorate, l’abito un continuo intrecciarsi di catenine di perle e diamanti. Era pregna di una bellezza eterea, ma ad ogni secondo che passava Ludwig la vedeva più simile a una di quelle ombre mostruose che popolavano i film horror di scarsa qualità. Non riuscì a reprimere un brivido di terrore, e sperò con tutto il cuore che la creatura non fosse riuscita a notarlo.

‘Hai freddo o hai paura? ‘ disse lei. La sua voce era gentile eppure severa, derisoria e inflessibile. La creatura gli sorrise mentre ruotava il busto per studiare i tratti del ragazzo terrorizzato davanti a lei. ‘Sono davvero così spaventosa? ‘

Ludwig costrinse il suo corpo a riscuotersi dal torpore generato dallo sbigottimento iniziale. Sbatté le palpebre confuso e rilassò le spalle, nonostante la sensibilità alle gambe fosse diminuita drasticamente. ‘No… ‘ sussurrò lentamente, fissando il viso della creatura poco distante da lei, non riuscendo a distaccare gli occhi da quel profilo esanime. ‘No. Certo che no. Ma devo ammettere che… insomma… ‘

‘Che non ti aspettavi di trovare qualcuno come me qua ed ora. Mettiamola così. ‘ suggerì la creatura. Il suo sorriso si allargò, rivelando due minuscole zanne come premolari. Molleggiò su entrambe le ginocchia, come se fosse indecisa sul da farsi, e avanzò di un passo. Pareva non toccasse il suolo con i piedi, tanto il suo passo era leggero. Doveva per forza essere così, pensò Ludwig.

‘Già… giusto. Mettiamola così. ‘

‘Faresti meglio a rilassarti. ‘ continuò lei, imprimendo le sue iridi in quelle del ragazzo. ‘Non hai motivo per essere nervoso. Solo uno sciocco scambierebbe gli attimi di pace con quelli di guerra. ‘ avanzò di un altro passo ancora, e posò serafica entrambe le mani sul grembo. Il fruscio che produsse la stoffa lucente fu così morbido e dolce che la tensione che attagliava Ludwig si sciolse parzialmente, il tanto necessario per tranquillizzare i battiti del suo cuore impazzito.

‘Sì, signora. ‘ farfugliò lui. ‘ Il fatto è, come le ho già detto prima, che non sono molto abituato a parlare con… creature come lei. Capisce, vero? ‘

‘Ampiamente. ‘ annuì lei, decisa. ‘Ma, come dite voi in questo mondo: c’è sempre una prima volta. Posso solo rassicurarti dicendo che mi servi per una notte sola. Questa, per la precisione. ‘

‘Io servo a lei? ‘ chiese interrogativo Ludwig, ancora più confuso di prima. Schiuse le labbra come se dovesse aggiungere qualcosa, ma desistette dal tentativo. Lasciò che i suoi lineamenti si indurissero nel sospetto, mentre ricambiava lo sguardo gelido della sua interlocutrice. ‘A cosa, se posso sapere? ‘

Con suo grande sgomento, la creatura rise. Il suono basso e graffiante che produsse era molto lontano dal poter essere definito una risata, ma fu comunque piacevole osservare quella massa compatta sciogliersi in tratti più umani e dolci. ‘A comprendere. Dovrai solo ascoltare me. Udire la mia storia. ‘ Si interruppe, umettandosi le labbra. Le sue pupille riflessero il viso attonito di Ludwig, e, sprezzante, si affrettò a ribadire: ‘Ti sembra poco, non è così? La veridicità delle mie intenzioni non ti giunge limpida. ‘

‘No, non è mica questo! ‘ esclamò il ragazzo. Strabuzzò gli occhi come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco, e agitò le braccia per aggiungere enfasi alle sue parole. ‘Mi sembra solo così innaturale un incontro di tal genere. Io e lei. Un semplice umano e una creatura chiaramente non umana. Certo. ‘ Ridacchiò istericamente, e assottigliò la distanza tra le palpebre fino a che ciascun occhio non parve una sottile fessura di cielo. ‘Che scherzo divertente. Avanti, giù il travestimento! ‘

‘Travestimento? ‘ chiese lei con calma. Osservò Ludwig agitare il capo a destra e a sinistra mentre controllava la radura infinita che li circondava, e tacque per qualche secondo, riflessiva. ‘Quindi non credi a ciò che vedi. Interessante. ‘

Il ragazzo rise più forte. ‘Ovvio che non credo. Nessuno sano di mente crederebbe a lei in qualità di elfa, fata, vampira, licantropa o chissà che altra cazzata. Nessuna di quelle storielle che si raccontano ai bambini per farli appisolare è vera. ‘

Lo sguardo della creatura si fece più intenso, più blu. La vena malinconica che attraversava quel viso pastoso riaffiorò in superficie, e la bocca tremolò. ‘Ammetto che tante storie che voi avete creato su mondi di fantasia sono assolutamente inverosimili, ma qualcosa da salvare è rimasto. Qualcosa rimane sempre. ‘

‘Ah! Certo, come no… ‘ sbuffò il ragazzo, ghignando. ‘Se lei è un’elfa io sono un lupo mannaro. L’assurdità fatta persona. ‘

I muscoli delle braccia della creatura guizzarono mentre lei si chinava per mettersi seduta sull’erba. Tastò i fili bagnati per controllare che il terreno fosse pulito, e poi piegò le ginocchia. Mentre la osservava muoversi, come una statua d’avorio che prende improvvisamente vita, Ludwig ammise che, umana o no, le sue movenze rimanevamo parecchio aggraziate e il suo fascino indiscutibile. ‘Ma io non ho mai detto di essere un’elfa. ‘ disse lei. ‘Intendiamoci: non sono umana come te, e lo puoi constatare da solo. Ma non appartengo a un libro di favole e fiabe per neonati. E non sono frutto della tua immaginazione, nel caso l’ipotesi si fosse fatta strada nella tua testa. ‘

‘Ah, no? ‘ cantilenò Ludwig, sorridendo debolmente alla luce di una luna oscurata dal cielo nero. ‘E allora chi sei tu? ‘

‘Voi ci chiamate fate. Noi preferiamo denominarci Protettrici. ‘

Ludwig sussultò a quell’affermazione fin troppo azzardata, e la radura sembrò inghiottire ogni parola della creatura come se un velo invisibile fosse stato steso attorno a loro. Ispirò profondamente per quelli che gli parvero minuti, chiudendo gli occhi nella realizzazione di quanto inconcepibile fosse la sua situazione. Forse quella era davvero una pazza, e magari pericolosa. O magari era tutto uno scherzo complottato ai suoi danni. Oppure - ed era l’opzione più inverosimile in assoluto, ma paradossalmente molto più probabile di quanto quella vicinanza potesse essere – era semplicemente finito in un cast di recitazione, dove la creatura era, in realtà, un’attrice truccata con una bravura e una destrezza veramente eccezionali.

Devo ricordarmi di congratularmi con il regista per questa bella pensata. E di stringergli la mano. Forte.

‘Se sei una fata, allora hai di certo un elemento a cui la tua esistenza è legata. ‘

‘Certo. ‘ gli occhi della creatura sfavillarono di eccitazione. ‘Ma non è l’elemento in sé a legarci. E’ una stagione. ‘

‘E la tua sarebbe…? ‘

‘L’inverno. ‘

‘Oh. ‘ bisbigliò Ludwig con falso interesse. Batté i palmi delle mani sui fianchi con disinvoltura, come se si annoiasse, e annuì. ‘Certo. L’inverno. Giusto. Molto realistico, aggiungo. ‘

La creatura sospirò, infastidita da quella reticenza. Abbandonò il capo sulla sua spalla destra, lasciando che le ciocche di capelli travolgessero il petto e ciondolassero attorno all’orecchio affilato. ‘Ci risiamo. ‘ soffiò, e la mandibola si indurì minacciosamente. La sua voce divenne improvvisamente metallica, e Ludwig istintivamente indietreggiò. ‘Cosa debbo fare per convincerti, quindi? ‘

Si costrinse ad inghiottire un fastidioso nodo alla gola, e fu quando la sua mano sinistra sfiorò il braccio destro che capì di provare qualcosa di molto vicino alla paura. Sentiva freddo, aveva la pelle d’oca. L’aria attorno a lui si era rarefatta, divenendo gelida e micidiale come una gabbia da cui non poteva più scappare. Era un fenomeno curioso, che avrebbe studiato con gioia se si fosse verificato in tutti i luoghi possibili meno che in quello, ma quella morsa di timore che gli spremeva le interiora lo convinse che era il momento giusto per andarsene via. Uno scatto al momento opportuno, un paio di minuti passati a correre velocemente e avrebbe scampato il pericolo, seminando la donna. I suoi occhi guizzarono da una parte all’altra mentre esplorava il dislivello del terreno in cerca del punto perfetto da dove potersi dileguare, pronto alla fuga più rovinosa della sua vita.

Sfortunatamente per lui, la creatura non aveva accennato minimamente ad abbassare la guardia. Era rimasta seduta, immobile mentre i suoi occhi da gatta lo fissavano con rabbia. Il sorrisino che le aveva gonfiato le guance aveva perso ogni traccia di affidabilità, semmai l’aveva avuta. ‘Inutile che chiedi aiuto ai tuoi Dei personali. Non ti aiuteranno. ‘ sussurrò innocente.

Ludwig le scoccò un’occhiata di avvertimento. ‘Ti avverto, ‘ ringhiò. ‘se provi a farmi del male…’

‘Cosa mi faresti? Sentiamo! ‘ esclamò la creatura, torcendo la labbra per sguainare ancora le zanne. La sua voce divenne così acuta da apparire infantile, e pericolosa. ‘Siamo completamente soli, io e te. Nessuno può accorrere per salvarti da ciò che io ti potrei fare, se tu mi provocassi ulteriormente. Ti assicuro che dalle mie parti non sono rinomata per la mia infinita pazienza. ‘

‘Ah, ma questo è troppo! ‘ sbottò Ludwig. Lampi d’orgoglio e rabbia deformarono le forme non eccessivamente severe del suo corpo, facendo gonfiare i muscoli come farebbe un rospo in situazioni di pericolo. Serrò le mani in due pugni stretti, pronto a difendersi per qualunque evenienza. ‘Piantiamola con questi giochetti, mi hai capito? ‘ disse, alzando la voce, rendendola tonante ed autoritaria.

‘Ben detto. ‘ mormorò la creatura. ‘Basta con i giochetti. ‘ disse, e non passò neanche un secondo che Ludwig si ritrovò schiacciato e inerme da una gigantesca lupa dalla folta pelliccia grigia e un paio di enormi zanne a un centimetro dalla sua gola.

Gli occhi della bestia erano inconfondibilmente azzurri.

Allora, ora sei pronto per ascoltare la mia storia? Su, non dirmi di no. Non gradisco che le mie proposte vengano declinate senza argomentazioni valide. E poi, a dispetto di ogni motivazione…

Il muso ringhiante della lupa si avvicinò così tanto che il suo fiato caldo si infranse contro la giugulare pulsante di Ludwig, terrorizzato e impossibilitato a proferire parola. Il peso dell’animale era troppo anche per lui. Sembrava che volesse sfondargli la cassa toracica con quegli artigli a scavargli nella pelle, graffiandola, facendola sanguinare.

… una ragione la possiedi. Dimmi di sì, Ludwig. Altrimenti ti ucciderò.
 
 


Made of Snow and Dreams.

 

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