Merciless

di Ziseos
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blood ***
Capitolo 2: *** Found ***



Capitolo 1
*** Blood ***


MERCILESS

1-Blood
 
Le urla infuriavano ovunque, le grida di agonia si stagliavano alte verso il cielo, come una richiesta di aiuto dall’alto mentre altre si diffondevano per le vie del distretto.
Il soldato continuava a camminare rasente alle mura semi-distrutte di quella che, fino a poco tempo prima, era stata l’abitazione di qualcuno; si intravedevano macchie rosse sulle pareti esposte alla luce, segno che qualcuno, all’interno della casa, aveva perso la vita.
Una, due , tre vite..dov’era oramai la differenza?
L’uomo e la bestia condividevano lo stesso destino beffardo in quel mondo, non esisteva la pietà per nessuno.
Ed il soldato lo sapeva.
Continuava a premere la mano aperta sul braccio sinistro, dove la camicia era stata strappata e i brandelli  di stoffa rimasti erano bagnati da rivoli di liquido rosso e vischioso.

Sangue.

Era quello il colore che tingeva ogni cosa attorno, quel colore che oramai era diventato così maledettamente familiare e vicino a tutti.
Ma chi meglio di lei, poteva conoscere cosa significasse quel liquido così prezioso e maledetto?

Un forte colpo alle sue spalle, la costrinse ad aumentare il passo, quando sentì crollare nuovamente un edificio che ospitava una locanda nel distretto; cadendo, travi di legno e mattoni si sparsero con violenza a terra, provocando uno spostamento d’aria che trasportava polvere e pezzi di terra secca.
Qualche scheggia la colpì di striscio, senza provocarle un estremo dolore.
L’adrenalina le scorreva veloce in tutto il corpo, mentre lottava per reagire all’emorragia che continuava a riversare ingenti quantità di sangue sulla pelle e sul terreno.
Si girò per guardare l’edificio caduto, rendendosi poi conto che le sue tracce di sangue, lasciavano come una pista lunga ormai metri e metri.
“Maledizione..”-sibilò fra le labbra, quando una fitta le percorse il corpo. Stava perdendo troppo sangue, doveva trovare subito un posto sicuro in cui rifugiarsi, e dove cercare aiuto.
Ma non aveva più forza per continuare.
Le gambe si erano fatte pesanti, il respiro cominciava ad accorciarsi e la vista si oscurava a momenti, come se fosse sul punto di perdere i sensi.
Quando le caviglie cedettero sotto il suo peso, si ritrovò a ginocchioni con le gambe sul pietrisco, ed il sangue che continuava ad imbrattarle i pantaloni sporchi di sangue vecchio già rappreso.
Non riusciva nemmeno più a dire da quanto tempo fosse lì ormai.

Minuti?
Ore?
Giorni?

Cos’era il tempo ormai, e che valore poteva mai avere?
Tutto si viveva in istanti.
ISTANTI. Era quella la parola chiave.
Quanti istanti erano passati..quanti ne restavano da vivere.
Aveva smesso di farsi domande da tempo, eppure ora che si trovava nuovamente faccia a faccia con la morte non poteva fare a meno di chiedersi se tutto sarebbe finito presto.
Aveva visto morire compagni ed amici in poco tempo,che in pochi istanti avevano esalato un’ultimo sospiro il quale si era perso in mezzo ai respiri pesanti dei soldati che, a terra, correvano senza meta per mettere in salvo la propria vita.
E fu allora che le tornarono alla mente quelle scene.
Scene di un passato vivido e reale, quando ancora lei non poteva capire la parola “spietato”.
Lo aveva capito tempo dopo, quando le persone che più amava le erano state portate via con violenza, strappate dal suo mondo.
E poi aveva capito..aveva compreso il significato di quella parola.
Spietato.
Una parola che descriveva il mondo, in tutto e per tutto.
Ma un tempo aveva anche trovato occasioni di sorridere, di tornare a capire quell’altra parola che descriveva l’altro lato del mondo.
Meraviglioso.
Una smorfia le si disegnò impercettibilmente in viso, un ghigno beffardo che mai aveva solcato il suo viso prima d’ora.
Sarebbe morta lì?
No.
Non era ancora finita.
Radunò quella poca forza che le era rimasta, facendo leva sulle gambe intorpidite ed alzandosi in piedi; la testa le girava a causa del sangue che aveva perso dal bracci che, poco alla volta , perdeva sensibilità.
Raccolse da terra la lama rovinata, reinserendola nell’elsa.
La battaglia non era ancora finita.

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Non lo avrebbero visto facilmente, nascosto com’era sotto le decine di tegole rosse che gli bloccavano il corpo.
Cercò di rimuoverle di dosso velocemente, mentre i pesanti passi del gigante si facevano sempre più vicini alla sua posizione.
Quando l’ultima tegola fu rimossa, capì che non aveva tempo da perdere, se non voleva fare la stessa fine dei suoi compagni.
Rivedeva ancora quelle scene nella sua testa, un pulsante avvertimento , un’esortazione a correre via e salvare la propria vita.
Raccolse il sistema 3DMG da terra, muovendosi rapidamente lungo le mura delle case.
In base ai suoi calcoli, la torre dei rifornimenti doveva essere vicina , forse a pochi minuti da li.
Ogni minuto era prezioso, non doveva perdere nessun istante.
Si passò una mano fra i capelli parzialmente rasati, sfiorando un taglio fresco sulla nuca; per fortuna il sangue si era già rappreso sulla cute e sui capelli fornendo una debole, ma provvidenziale, barriera protettiva.
Era un inezia, niente di importante.
Il cuore gli batteva forte mentre si avvicinava alla stazione, ansioso di cosa avrebbe trovato.
Ma era ciò che NON avrebbe trovato, che lo preoccupava maggiormente.
Chissà se lei era già li..se lo aveva preceduto.
“Lei..sarà già li. Senza dubbio.”
In un altro momento si sarebbe messo a ridere di fronte a questo suo tentativo di autoconvincimento e consolazione, ma in quel momento, era l’unica forza che lo spingeva ad andare avanti nonostante il terrore che teneva represso nella viscere.
Chiuse gli occhi arrancando rasente al muro, cercando di immaginare, di ricordare i suoi capelli corvini, il suo profumo,le sue labbra che tanto aveva bramato..
Se solo..
“Non è tempo per i rimorsi, idiota.”
Si, era un idiota.
Avrebbe dovuto dirle tutto, invece che correre via come un codardo.
Che importa se lei gli avesse detto di no? Oramai non aveva più nulla da perdere.
Si accorse troppo tardi del cadavere davanti a sè.
Cadde, si ferì ma non sentì nulla.
Il rumore dei suoi singhiozzi copriva persino il rumore del suo corpo che rovinava a terra.
Si fermò, si sedette e proruppe in lacrime.
“Un uomo non dovrebbe piangere..”
Ma cosa importava ormai.
E le lacrime caddero ,perdendosi nel sangue cremisi che colorava il pietrisco tutt’intorno.
“C’è ancora speranza?”
 

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Capitolo 2
*** Found ***


FOUND


Si sedette a riprendere fiato nuovamente, mentre finiva di controllarsi le ferite sul braccio.
Dove diamine erano gli altri?
Sapeva che molti dei suoi compagni non ce l’avevano fatta, ma era passato troppo tempo dall’ultima volta che ne aveva intravisto uno, o ne aveva udito le urla strazianti.
Era quasi più angosciante quel silenzio, che la consapevolezza di essere costantemente in pericolo.
Con uno scatto superò due vie, dritta verso una casa non distrutta vista poco prima.
Sperava di riuscire a riposare un po, prima di riprendere il cammino verso la torre centrale.
Purtroppo nessun posto era davvero sicuro, ma era sicuramente meglio che rimanere esposti alla mercè dei giganti, che via via aumentavano di numero.
Li sentiva urlare come bestie affamate, disperate per la mancanza di prede nelle vicinanze.
Quante volte con suo padre ne aveva viste di bestie del genere? Centinaia, forse.
Erano tutte uguali. La fame le rendeva cieche.
Ma i giganti non avevano fame, come si potrebbe pensare.
Uccidevano per un istinto arcano, ancora sconosciuto.
Ma doveva concentrarsi.
Pochi passi dopo era già dentro la casa.
La porta era socchiusa, e la aprì senza il minimo sforzo; appena entrata scorse subito una tavola con qualche piatto sopra..un pezzo di pane, una brocca d’acqua semirovesciata e una zuppa ormai fredda lasciata li.
Erano ore che non toccava cibo, e si precipitò con fare vorace sulle pietanze povere che erano disposte sulla tavola, ingoiando il cibo boccone dopo boccone.
Mentre era intenta a finire la pagnotta che teneva fra le mani, indietreggiò di un passo e sotto un suo stivale sentì un “crack” sonoro di vetri rotti.
Guardò sotto la sua scarpa, accorgendosi di avere pestato una cornice ed un ritratto.
Si chinò a raccogliere l’oggetto, ripulendolo con la manica della giacca dalla polvere e dai vetri rotti, per poi notare cosa conteneva: era il ritratto di una famiglia; madre, padre e due figli.
I due bambini avevano un aspetto familiare, eppure non in quel momento non riusciva a ricordare chi fossero.
Il bambino, con capelli corti e ricci, e il viso punteggiato da piccole lentiggini stringeva a sè la sorellina più piccola, che aveva capelli corti e scuri, lo sguardo  sereno di chi è ancora beato nella sua pura innocenza.
Eppure...
Poi ricordò..erano come lui. Lui lo sapeva, si era rivisto in loro quel giorno.
Eren era scoppiato in lacrime quel giorno, al ritorno della spedizione nella quale erano morti i compagni del Capitano Levi.
Poi aveva visto quei bambini, che erano venuti ad accoglierli come eroi, con lo stesso entusiasmo che avevano avuto loro 5 anni prima nel giorno in cui l’incubo per l’umanità era cominciato.
Rimase in silenzio, non riuscendo a smettere di guardare il ritratto.
Erano giovani..non si meritavano di vedere tutto quell’orrore, non come era già successo a loro.
Chissà come si chiamavano, quanti anni avevano, quali erano i loro sogni...se erano ancora vivi.
Strinse a sè la foto, mentre gli occhi cominciarono a gonfiarsi piano di lacrime salate, che presero poi a rigarle il viso pulendo via alcune tracce di sangue dal volto.
Si raggomitolò sotto al tavolo, sempre la foto stretta a sè, con la fronte appoggiata sulle ginocchia.
Quanto sarebbe durato ancora quell’incubo?
 

Jean si faceva strada velocemente fra le macerie e fra i cadaveri rimasti nelle strade, coprendosi la bocca e il naso con un fazzoletto che teneva sempre sempre nella tasca destra.
Aveva finito di scappare da un gigante di classe tre metri qualche minuto prima, riuscendo a nascondersi dietro ad un tetto caduto, che gli aveva permesso di salvarsi da morte certa.
Il sistema di movimento tridimensionale aveva ripreso a fare capricci come al solito, quindi avrebbe dovuto continuare a spostarsi a piedi.
Anche nella prima battaglia di Trost lo aveva fatto..ed ora, nello stesso luogo, mesi dopo era nella stessa situazione.
L’unica differenza era che adesso era solo.
Doveva fermarsi un attimo per riflettere, per respirare.
Poi le vide a terra, mescolate con la terra ed il fango.
Tracce di sangue. Fresche.
E se fosse...
Forse qualcuno era riuscito a scappare dalla carneficina, a trovare scampo in qualche casa vicina.
Prese a seguire le tracce febbrilmente, come se seguisse il percorso di una mappa del tesoro, ma quello che era incerto era ciò che avrebbe trovato.
Anche se ormai, nulla riusciva più a scalfire la sua corazza di dolore e insensibilità.
Infine raggiunse la meta: una casa meno distrutta delle altre, che a lui sembrò come un messaggio..non tutto poteva essere distrutto ,quindi..
Tenendo in mano la lama graffiata e sporca di sangue, si introdusse silenziosamente nella casa.
“La porta aperta..vuoi vedere che..?”
Un ombra lo sbattè con violenza a terra, stringendo la sua gola con una presa d’acciaio rendendogli difficile anche solo il deglutire le gocce di saliva che gli erano rimaste in bocca.
Cercò di divincolarsi, e scaraventò via lo sconosciuto cercando di rimettersi in piedi mentre si massaggiava il collo dolorante.
“CHI DIAVOLO SEI, MALED...!”- gridò con tono furioso e spaventato.- “ FATTI VEDERE!”
La figura scivolò fuori nella luce che penetrava da una finestra rotta, rivelando le sue fattezze asiatiche, un corpo asciutto e dei capelli corvini lucenti.
Lei era viva. Ed era lì davanti a lui.
Sembrava la solita, eppure lui si accorse che il suo corpo era debole, quasi non si reggeva più in piedi.
“Mìkasa..”- disse con voce flebile, avvicinandosi piano a lei con gli occhi sgranati dallo stupore.
Lei mosse le labbra secche, ma  non uscì nessun suono o parola, e poi si accasciò a pochi passi da lui, sollevando una nuvola di pulviscolo nell’aria.
Con un grido, lui si precipitò a tirarla su verso di sè, prendendo il suo corpo fra le sue braccia.
In altre occasioni quella per lui sarebbe stata una scena da sogno, ma ora, era diventato il suo incubo.
Il corpo della ragazza tremava e la sua fronte bruciava terribilmente al tocco.
Febbre. Senza alcun dubbio.
Gli occhi si ostinavano a rimanere chiusi, mentre il viso si contorceva in smorfie di dolore.
Nel vederla così provò un intensa fitta al cuore, una sensazione di dolore nelle viscere.
Così forte e così fragile..
Ma non avrebbe lasciato che lei morisse in quel posto, non in quel momento e NON fra le SUE braccia.
Non lo avrebbe permesso. Mai.
“Io..ti porterò in salvo, te lo prometto.”

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