4 a.m.

di Lunatica_ro_564
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** sconosciuti ***
Capitolo 2: *** Vodka alla pesca ***
Capitolo 3: *** drug ***
Capitolo 4: *** body ***



Capitolo 1
*** sconosciuti ***


1/08/2015 h 1:28 a.m. 
you can't be fixed 
by the same person who broke you



 

Era seduta sul davanzale della finestra, a vedere le rare macchine spezzare il silenzio che regnava sovrano in quel quartiere di periferia.
Era lì da un tempo indeterminato. Si girò verso l'interno della stanza e guardò la sveglia: erano le quattro di mattina.
Il cielo era chiaro, non ancora limpido come in pieno giorno, ma nemmeno scuro come di notte. Era semplicemente neutro. E piatto. Come lei.
Si portò la sigaretta alla bocca e prese un altro tiro. Cacciò via il fumo quasi con rabbia. Come se fosse infastidita dal fatto di non poter buttare fuori anche tutti i suoi problemi.
Era quasi finita, la sigaretta. E presto lo sarebbe stata anche lei.
Sotto la sua finestra passò un ragazzo. Da quell'altezza non si riusciva ben a capire se fosse alto o meno, ma la sua determinazione la si vedeva persino nel modo di camminare. Era sicuro di sé. Sapeva cosa voleva, sapeva dove andare e sapeva cosa fare. L'opposto di lei.
E si ritrovò a pensare a qualche giorno prima, in quel piccolo appartamentino che di li a poco sarebbe stato affittato a dei nuovi inquilini. Quando tutti avrebbero dimenticato la tragedia.
Si ricordò della felicità che l'aveva investita quando lui l'aveva portata in un'antica libreria, con il profumo di carta stampata nell'aria. Un profumo che ancora nessuno aveva mai pensato di imbottigliare.
Lei era stata felice come una bambina, persa tra i tanti scaffali polverosi che nascondevano mille misteri.
E avevano passato ore in silenzio a sfogliare quelle pagine. E avevano incrociato gli sguardi più di una volta, sorridendo per quello. 
Poi erano usciti e, mano nella mano, si erano incamminati verso il parco senza mai smettere di parlare. Avevano molto da dirsi. Avevano riso come non mai per battute stupide e infantili, ma che facevano di loro una coppia perfetta. Se qualcuno avesse chiesto ad uno sconosciuto se quei due ragazzi si amassero veramente la risposta sarebbe stata affermativa. Era inevitabile. Per come lui la guardava. Per come lei non si accorgeva di essere guardata. Per come si sfioravano senza poterne fare a meno.
Seduta su quel davanzale, con il venticello fresco che le accarezzava il viso e le asciugava le lacrime, sentì ancora una volta il calore che aveva provato quando erano andati nell'appartamento di lui.

Baci rubati. Vestiti strappati e una voglia irrefrenabile di appartenersi.
Appena la porta era stata aperta le labbra si incontrarono e le lingue si rincorsero fameliche. 
Il momento perfetto era arrivato e loro non avevano paura. E anche se l'avessero avuta non avrebbero avuto il tempo di fermarsi a pensare.
Fu tutto così travolgente che colse entrambi di sorpresa, togliendo loro il fiato anche solo per formulare una frase di senso compiuto. Raggiunsero la camera sbattendo contro il muro, ma non se ne preoccuparono. Anzi, i loro corpi si fecero ancora più vicini e bramavano quel momento in cui sarebbero diventati un'unica cosa. Un'unico cure che batte forte per uscire dal petto.
Entrarono nella stanza con la luce spenta, tanto che non fecero in tempo ad accenderla. Con la penombra che custodiva i loro segreti scivolarono sotto le lenzuola e finalmente si guardarono.
Uno scontro tra il celeste cristallino di lui con il nero profondo di lei. Una collisione che creò fiamme incapaci di essere spente. Un urto che sprigionò scintille inarrestabili. E si amarono. E come si amarono!
Senza pensieri, erano solo loro due. Non esisteva nient'altro al mondo se non quella stanza male illuminata nella quale si stava consumando il loro peccato.

Un rumore di freni la riportò alla realtà. Tutto ciò era passato. E non sarebbe più tornato.
Tutto per colpa di un ubriaco che gli tagliò la strada quella stessa sera.
Il giorno prima, all'alba, ricevetta una telefonata. Lei non voleva rispondere, in fondo chi chiamava alle 5 di mattina?!
Ma quando gli squilli si fecero insistenti si decise ad alzarsi e a prendere la cornetta in mano. Dall'altro capo del telefono una voce spezzata dai singhiozzi la informò della tragedia.

Erano stremati. Si erano amati talmente tanto che non avevano più la forza nemmeno di alzarsi dal letto. Si guardarono a lungo negli occhi, senza dire una parola che avrebbe rovinato il momento.
Quando si addormentarono si abbracciarono. Lui la teneva stretta per paura che scappasse, senza sapere che sarebbe stato lui quello che se ne sarebbe andato per primo.
La sveglia suonò come sempre alle 4 di mattina, per avvisarlo di un'altra dura giornata di lavoro.
Quando lui si svegliò, lei ancora dormiva beata. Era in pace con sé stessa e con il mondo: una cosa che accadeva raramente quando era sveglia. Così lui decise di non destarla dai suoi sogni. Quindi si alzò, si preparò, ed uscì di casa, non prima però di aver lasciato un bigliettino sul tavolo con il suo amore scritto in corsivo.

Lei non ci credeva. Poco prima era con lei nel letto e un momento dopo lui era in un'altra dimensione da cui non sarebbe riuscito a sentire le urla di disperazione della ragazza. 
Il destino, crudele come non mai, gli aveveva separati prima che si fossero veramente uniti.

Ma loro lo erano stati sempre. Erano stati sempre uniti da un filo invisibile che collega due anime così uguali.
Quindi anche la durata della vita nel mondo mortale sarebbe dovuta essere uguale.
E quella ragazza con gli occhi del nero più opprimente, a distanza di un giorno dalla morte dell'uomo che aveva sempre amato, aveva deciso di raggiungerlo.

Gettò la sigaretta fuori dal davanzale e sporse entrambe le gambe fuori. Chiuse gli occhi e inspirò. L'aria le entrò nei polmoni e la dissetò. Si stava godendo gli ultimi attimi di una vita giunta al capolinea.
Era arrivato il momento.

Qualcuno suonò alla sua porta e lei aprì gli occhi di scatto. Chi mai poteva essere alle quattro di mattina?! 
Si fece forza e scese dal davanzale rimandando la sua fuga dal mondo a qualche minuto più tardi.
Arrivò alla porta e si fermò, indecisa se guardare dallo spioncino o meno. Poi aprì la porta senza pensarci oltre. Un ragazzo sulla ventina era girato di spalle e si girò verso di lei quando sentí il rumore dello scatto della serratura.
Gli occhi verde smeraldo fecero sentire subito la ragazza protetta. Era una sesazione strana che non sapeva spiegare, ma le piaceva.
Il ragazzo si grattò il collo imbarazzato e sorride timidamente.
"Ciao, mi dispiace tanto che io sia venuto a bussare qui a quest'ora, ma non ho potuto farne a meno. Ti ho vista prima... Là" e indicò la finestra ancora aperta "e...beh, ho avuto paura. Quindi mi non dispiace che abbia interrotto il tuo tentato suicidio, ma non posso permettertelo." 
Il suo sguardo aveva acquistato sicurezza. E determinazione. Era il ragazzo che aveva visto poco prima dal davanzale. 
"Cosa ne sai tu?! Cosa vuoi da me?!" iniziò quasi a gridare la ragazza.
"Non so niente, ma non penso esistano motivazioni valide per compiere quel gesto. E io te lo impedirò" 
La ragazza lasciò la porta aperta come un invito implicito e iniziò a camminare verso il salotto con le lacrime agli occhi e la voce tremante di dolore e collera.
"Non sai che cosa provo io in questo momento! Lo vuoi sapere?! Non provo assolutamente niente perché proprio ieri mattina alle quattro un ubriaco pirata della strada ha ucciso l'unica persona che mi teneva ancorata a questo posto. Ieri sera un perfetto sconosciuto é entrato nella mia vita con la forza e se ne é andato portandosi con sé la metà del mio cuore. Si può vivere con metà cuore?!"
A quel punto le lacrime scendevano copiose, ma lei non faceva niente nemmeno per asciugarsele. Non le importava più di niente. Perché avrebbe dovuto?! La sua ragione di vita era lontana ormai anni luce da lei. E lei non poteva fare niente. Inutile.
"Lo so come ti senti. L'anno scorso é morta mia madre. Non sapevo più come andare avanti. Ero tornato alla concezione della realtà di un bambino. Non sapevo cosa fare. 
Queste sono ferite che passeranno con il tempo. E tu ne hai bisogno di tanto."
Mentre parlava il ragazzo si era avvicinato e le aveva posato una mano sulla spalla. Forse aveva ragione. Forse, in un ipotetico futuro lei ce l'avrebbe potuta fare.
"A proposito, io sono Andrea" disse con un sorrise amichevole il ragazzo.
"Brenda" disse lei senza neanche privare a fare un sorriso: sapeva che era un tentativo fallimentare.
Forse con il tempo... Le cose si sarebbero messe a posto.
Forse con l'aiuto di qualcuno come Andrea, o proprio Andrea, sarebbe ritornata a sorridere.
Forse, un giorno. Ma ora il desiderio ardente delle sue labbra sul suo corpo era un ricordo ancora troppo vivido nella sua mente.
Poi i suoi occhi si posarono su un foglio di carta piegato sul tavolo. Lei si avvicinò e lo prese tra le mani. Lo spiegò e quando lo lesse, una lacrima solitaria sfuggì e si posò, come goccia di rugiada, sul prezioso foglio che recitava:

Ben svegliata dirmigliona,
Se torno presto sta sera ti porto a cena fuoriSo già che sarai splendida.
A dopo,
Il tuo amante

P.sti amo e non voglio smettere di farlo

Forse, un giorno, ci sarebbe riuscita ancora, a sorridere.

 

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Capitolo 2
*** Vodka alla pesca ***


5/06/2015 h 03:54

 






Una sconosciuta nel letto e un amore tra le braccia di un altro

Era sveglio già da un bel po. Aveva cercato di dormire, ma i sensi di colpa e i ricordi della sera precedente lo assalivano ogni volta che chiudeva gli occhi. Si sentiva sporco. E l'istinto gli disse che quella sensazione lo avrebbe accompagnato per tutta la settimana che seguiva. Una presenza costante di cui si voleva sbarazzare al più presto.
Le lenzuola bianche gli coprivano il corpo muscoloso e si allungavano verso la figura che aveva nel letto accanto a lui. I raggi del sole che filtravano tra le tende appena scostate le illuminavano il viso lineare. Era bella, ma non era leiE non sarebbe mai stato lo stesso.
La ragazza che dormiva profondamente nel suo letto matrimoniale era una che aveva incontrato in quella maledetta discoteca nella quale si era rifugiato la sera prima per sfogarsi. Era stato uno sbaglio stupido che avrebbe di sicuro potuto evitare, ma era successo. E non poteva più tornare indietro, per quanto lo volesse.
Girò il capo e guardò la sveglia sul comodino: segnava le 3:45 a.m.
Non si erano persi in formalità ed erano subito caduti preda delle tentazioni della carne.
Per quanto cercasse di ricordare, molto era confuso. Si ricordava soltanto della Vodka alla pesca che aveva buttato giù come se niente fosse. Vodka alla pesca. Non particolarmente maschile, ma a lui piaceva così.
La musica che trascinava in pista mille anime focose e che riuscì a catturare anche lui. Delle mani che lo stringevano da dietro e subito dopo labbra carnose che si gettavano sulle sue. Questo era ciò che era riuscito a ricordare senza che l'emicrania lo facesse urlare dal dolore.
Era stato un bacio umidiccio, passionale e troppo poco casto. Riuscì a riportare alla mente anche altri piccoli frammenti come le mani della ragazza sul cavallo dei suoi pantaloni, o l'odore pungente di sudore di tutti i corpi che si dimenavano sulla pista. In un impeto di sicurezza, o sopraffatto dall'eccitazione accentuata dall'alcool, aveva infilato le mani sotto la leggera maglietta della sconosciuta, causandole gemiti di piacere.
Come fossero finiti nel suo appartamento proprio non lo ricordava, ma ormai non aveva più importanza.
Sapendo bene che il sonno si sarebbe rifiutato ancora di accoglierlo tra le sue braccia, si alzò e si diresse verso il bagno, deciso a togliersi di dosso quella fastidiosa sensazione.
Impiegò soltanto pichi minuti a farsi la doccia. Forse perché era ben conscio del fatto che la sporcizia sarebbe rimasta sulla sua anima, o perché voleva uscire il prima possibile da quell'appartamento. Non ci pensò molto e uscì di casa prendendo solo un giubbotto, il telefono, le cuffie e le chiavi.
Scese le scale con calma e aprì il portone. L'aria fresca del mattino lo colpì in pieno facendo vacillare quelle poche sicurezze che aveva acquistato scendendo le scale. Gli causò un brivido che gli percorse tutta la schiena. Si strinse di più nel giubotto, alzò il cappuccio sui capelli bagnati e si incamminò verso una meta imprecisa.
E in quel preciso istante la lancetta dell'orologio segno le 4:00 a.m.
Camminava con le mani nelle tasche e lo sguardo fisso per terra, come se avesse perso qualcosa.

Ed era la verità. Aveva perso la donna che più amava al mondo e che più avrebbe amato nel corso di tutta la sua esistenza.

LeiLilyLa sua Lily.

Era stato così arrogante e superbo che l'aveva persa.
Era accaduto tutto così in fretta. Lei che lo amava e un attimo dopo niente. Il niente più assoluto.

I genitori di Lily non avevano mai visto di buon grado le loro scappatelle e i loro incontri nascosti. Lo ritenevano un ragazzo non degno della compagnia della loro dolce e ingenua figlioletta.

Non così ingenuaperòquando eravamo soli nel mio appartamento...

Si ritrovò a pensare con malizia James.

Quindi, come si poteva facilmente presagire, ciò che é proibito rende le cose perversamente eccitanti. I due ragazzi avevano continuato a vedersi di nascosto, consumando segretamente i loro peccati in quei pochi metri quadri che pagava come se fosse una reggia.
Tutto ciò era continuato per un bel po' di tempo, fino a quando un bel giorno i genitori di Lily si spinsero fino in periferia e li videro insieme.
Un duro colpo per l'immagine della Lily angelica che loro avevano costruito per celare la vera Lily.
Le reazioni furono tragiche, come ci si aspettava da una situazione così imbatazzante, e le conseguenze furono drastiche.
Lily era stata confinata ai domiciliari dai genitori, che lo avevano persino minacciato di denunciarlo se avesse cercato in qualche modo di mettersi in contatto con la ragazza.
Inizialmente i due innamorati continuarono a infrangere bellamente le regole.
Poi arrivò il fatidico giorno, circa 12 ore prima.
Era stata proprio Lily a informarlo della notizia. Quando James aveva alzato la cornetta del telefono non avrebbe mai pensato a ciò che sarebbe accaduto di li a poco.
Gli rispose dall'altro capo del telefono una Lily in lacrime che gli raccontò di come i suoi l'avessero costretta a fidanzarsi con il figlio di amici di famiglia.
Un duro colpo per James. Nonostante il suo cuore fosse ormai pieno di lividi e graffi, incallito da tutta la violenza che aveva subíto, quello non era un colpo da incassare in silenzio.
Infatti scoppiò il caos.
Si diresse subito verso la casa della ragazza. Scese dalla macchina e iniziò a chiedere spiegazioni e a urlare il suo amore per Lily.
Nessuno gli rispondeva e questa frustrazione si trudusse presto in violenza.
Stava giusto per spaccare il parabrezza della macchina quando il padre della sua amata uscì di casa con il telefono in mano.

"Se cerchi di avvicinarti ancora a questa casa ti giuro che chiamo i carabinieri. Quindi ora torna dalla tua amata periferia perché questo non é il posto per uno come te.
Mia figlia merita di meglio e se tu veramente l'ammassi, capiresti che la scelta migliore da fare e lasciarla vivere la sua vita."

Lo guardava dritto negli occhi. Celesti. Determinati e profondi come quelli di sua figlia, ma non c'era amore in quegli occhi. Non c'era niente.
E così James pensò di aver perso tutto. Aveva perso tutto.
Cosa aveva ancora da perdere? Si chiese prima di abbassare lo sguardo.

Niente.

Sentì il rumore delle ossa del naso di quell'uomo spezzarsi a contatto con le sue nocche.
Aveva dato un pugno al padre della sua ragazza. Non c'è storia!

Uscì di corsa quella che James suppose che fosse la madre di Lily. Si affrettò verso il marito e lo prese dalle spalle per accompagnarlo in casa, trucidando con lo sguardo il ragazzo.
Quest'ultimo alzò lo sguardo e sorprese un piccolo corpicino appoggiato allo stipite della porta che lo guardava corrucciato.
Era Lily.
I loro sguardi si incastrarono alla perfezione in quel mondo di imperfetti. E si giurarono mille cose solo con quello sguardo. E si toccarono solo con quello sguardo.

E fu in quell'istante che James capì. Capì che non avrebbe mai amato nessuna come la ragazza che aveva di fronte. Capì che quegli occhi color del mare lo avrebbero cullato nei sogni più dolci. E capì anche che non sarebbero mai potuti stare insieme.
Una consapevolezza che lo annientò e gli annebbiò la vista.

E quel mattino, alle 4:00, quando ancora il mondo era assopito, quando l'aria profumava di anarchia, gli ritornò alla mente un paio di occhi celesti.
Si fermò e alzò la testa. Un sorriso sghembo gli comparve sul viso. Poi riprese a camminare.

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Capitolo 3
*** drug ***


18/06/2015 h 03:56
 

we are the new Americana


Era seduta su quella panchina ormai da tanto. O da poco. Non sapeva più dirlo con certezza, anzi di certezze non ne aveva più.
Tutto accaduto in un colpo, un batter di ciglia e la vita buttata al vento.
Però, lei in fondo lo sapeva, ma lo negava sempre e con un non piccolo senso di colpa. Ora, alle 4:00 di mattina ,seduta su una panchina logorata dal tempo, in un parco silenzioso, i ricordi stavano tornando a galla.

Dal giorno in cui sua madre morì suo fratello cambiò radicalmente. Dal ragazzo simpatico e gioviale quale era, diventò un arrogante copia del suo passato.
Le erano giunte delle voci, che suo fratello fosse un ladro professionista e brutale, che era entrato in un giro dal quale non si può uscire e che compieva sforzi sovrumani. Grazie alla droga.
Lo stesso ragazzino che qualche mese prima non riusciva a distinguere il detersivo dei piatti dall'ammorbidente per la lavatrice.
Eppure lei lo sapeva, ma non perché qualcuno glielo aveva detto,no... Semplicemente perché era suo fratello e certe cose lei le capiva con un solo sguardo.
Ecco un'altra cosa che era cambiata. Diego, il fratello, non alzava più gli occhi, non permetteva a nessuno di incrociare il suo sguardo, nemmeno alla sorella. Soprattutto alla sorella. Perché lui si vergognava di chi era diventato, ma molto più della sua debolezza nel non riuscire a starne fuori.
A lei mancavano quegli occhi celesti, così profondi che non si stancava mai di guardare, così trasparenti che leggeva l'anima del fratello in essi.
In pochi mesi erano diventati due sconosciuti che abitavano sotto lo stesso tetto.
E lei lo sapeva, e cercava di andare avanti come meglio poteva. I debiti, le bollette, i pagamenti in ritardo, la spesa e le faccende domestiche: tutto era stato messo sulle sue spalle, ma lei non ce la faceva più.

In un impeto di rabbia urlò tenendo una mano all'altezza del cuore, aggrappandosi all'unica cosa che la costringeva a vivere ancora.
Non si mosse nulla in quel quadro perfetto scattato alle 4:00 di mattina nella periferia mal ridotta di una città troppo grande per accorgersene. Nulla si spostò nemmeno di un centimetro da quella foto dipinta a mano di un paesaggio devastato alle 4:00 di mattina.
Solo un dettaglio stonava. Era lei. Con le lacrime che le rigavano il volto, l'espressione frustrata, come se il dolore fosse fisico, e la mano ancorata al cuore. L'unico organo che sarebbe dovuto essere spezzato, rotto, ma ancora funzionava.

Era successo la sera primaO meglio dire la mattina prima
Diego era rientrato alle 4:00, tardi come suo solitoma aveva una brutta ceraEra pallido e gli occhi iniettati di sangue non miglioravano il suo aspettoAveva comprato la roba da uno sconosciuto nello stesso parco dovea distanza di ventiquattro ore lei era seduta a piangereNon era quella che prendeva di solitose ne accorse dall'odoreMa non aveva importanza per luiNon più ormai...
Infilò l'ago nella vena e permette sullo stantuffo.
Entrò subito in casa, voleva vedere il viso della sorella per l'ultima volta prima di raggiungere la madre.
Lei corse da lui e lo trascinò in bagnodove con una pezza bagnata cercò di assorbire i suoi doloriinvano.
Lei iniziò a piangere mentre chiamava l'ambulanza che arrivò troppo tardi.
Metre parlava al fratello per non fargli chiudere gli occhi lui sorrideva beatocome non l'aveva visto da mesi.
Poi Diego alzò la testa poggiata sulle ginocchia della sorellaseduta sul freddo pavimentoLa guardò a lungoE non abbassò lo sguardo.
Per la prima volta dopo un tempo troppo lungo i loro occhi s'incorciarono ancora e quel legame di sangue che gli univa dalla nascita avvicinò le loro animema quella del ragazzo stava lentamente scivolando via.
"Mayahai gli occhi della mammadisse Diego con un sorriso prima di chiudere gli occhi e raggiungere il luogo dal quale nessuno sarebbe mai potuto fuggire.

In quella fresca mattinata di agosto, alle 4:00 di mattina Maya alzò gli occhi al cielo. La luce stava iniziando a rischiarare il verde del parco, ma era ancora scuro abbastanza da poter individuare due stelle vicine e luminose che catturarono la sua attenzione. Erano suo fratello e sua madre. La stavano aspettando, ma non c'era fretta. Avevano tutta l'eternità davanti.
E in quel momento Maya seppe di dover lottare. Doveva continuare per loro.
Quindi si alzò dalla panchina di legno ormai marcio, alzò ancora una volta gli occhi al cielo e mandò un bacio alle due persone più importanti che non aveva.
Poi si girò e si incamminò con le mani nelle tasche verso casa.

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Capitolo 4
*** body ***


30/08/2016 h 01:38

waiting for the destiny



Era lì, seduto su quel muretto ormai da tanto. Stava aspettando che qualcosa desse una svolta alla sua vita, perché lui proprio non ci riusciva. Forse non ci aveva provato abbastanza, forse non lo voleva abbastanza, ma proprio non riusciva a capire. Tutto ciò era accaduto in poche settimane e lui non aveva nemmeno avuto il tempo di assaporarlo fino in fondo, di gustarlo o di realizzarlo nella sua mente. Quindi, quel fresco pomeriggio di fine settembre si ritrovò sul muretto della stazione a veder quegli sconosciuti sfrecciarli davanti senza curarsi delle sue pene.

Stava aspettando qualcuno, lo sapeva. Era come se lo sentisse.

Si riscosse dai suoi pensieri quando, qualche metro più in là, sentì un botto. Si girò e vide dei fogli sparsi sul marciapiede, delle penne che ancora rotolavano e una ragazza a terra. Era caduta e stava imprecando in maniera colorita contro un passante che non si fermò nemmeno per aiutarla.

Lui sbuffò e si diede la spinta per scendere dal muretto con un salto. Se c'era una cosa che sua madre gli aveva insegnato, era l'essere un gentiluomo. E, anche se era in quello stato proprio per una donna, si decise ad avvicinarsi a quella 'povera' e 'indifesa' ragazzina che richiedeva il suo aiuto.

Iniziò a raccogliere i fogli da terra e le penne che cercavano di scappare. Era un po' difficile dal momento che era appena arrivato un treno e c'era un gran caos. Ragazzi che correvano per non perderlo, uomini in giacca e cravatta che camminavano svelti, donne al cellulare che con i loro tacchi rossi marchiavano i fogli sparsi sul freddo cemento.

Aveva appena salvato un altro foglio dalla furia omicida di un tacco dodici, quando qualcuno gli toccò la spalla. Lui si voltò e si trovò a pochi centimetri da un paio di occhi verdi. Non erano lucenti come il verde dei prati, o intenso come un albero appena fiorito. No, quel verde era una strana sfumatura. Pesante, freddo. Un verde che dà le vertigini. Un verde così profondo che ti rapisce e ti catapulta in un altro universo. Un verde prigioniero, capace di tirarti con sé negli abissi di quella cella. Un baratro di cui non si può vedere il fondo. E lui ci era caduto dentro senza aver avuto il tempo di fermarsi. Dopotutto, le cose belle accadono all'improvviso.

"Ridammi le storie" era un tono severo e distaccato, abituato a dare ordini. Ma si poteva ancora sentire quella dolce nota di una dolce femminile.

"Cos...?" stava iniziando la domanda il ragazzo, ma lei lo fermò. "I fogli, le carte, quelle pagine o come le vuoi chiamare che le chiami! Dammele, sono già in ritardo". Così dicendo gli strappo dalle mani le 'storie' e si alzò. Solo così la poté vedere meglio.

Aveva i capelli rossi. Le scendevano morbidi sulla schiena, e creavano un netto contrasto con il cappotto nero. La maglia nera. I pantaloni neri. E gli anfibi neri. Sì, era abbastanza vivace il suo modo di vestire. Inoltre portava una sacca su una spalla da cui fuoriuscivano libri e fogli senza un ordine apparente. Questo gli fece uno strano effetto. Era come se la sua voglia di scoprire il mondo potesse uscire come quei fogli.

Si alzò anche lui con gli ultimi fogli in mano e glieli porse chiedendo "Come ti chiami?".

La ragazza alzò lo sguardo e ancora una volta il pozzo nero lo avvolse e ci ricadde. E ci ricadde altre mille volte. "Non sono affari tuoi" rispose acida e allungò la mano per prendere ciò che restava delle ultime pagine. Però il ragazzo fu più veloce e alzò il braccio, impedendole così di prendere le ultime cose che la trattenevano ancora inchiodata in quella stazione.

L'espressione che comparve sul volto della ragazza fu di pura indignazione. "Come osi..." ma anche lei fu interrotta. "Dimmi il tuo nome. Voglio solo sapere il tuo nome." Un sorrisetto furbo comparve sul volto del ragazzo, al che la rossa incrociò le braccia iniziando a perdere la pazienza. "Prima tu".

Era una sfida e lui la colse al volo.

"Sono Lazharus, ma puoi chiamarmi Zharus". "Non ti chiamerò in nessun modo. Io sono Saorise, ma tu non puoi chiamarmi Rise". L'acidità usciva da tutti i pori e si poteva percepire nell'aria quella strana sensazione che stesse per succedere qualcosa.

"Okay, ora puoi riprenderti le tue storie" rispose Lazharus, porgendole un solo foglio di tutti quelli che aveva in mano. Questo gesto non fu molto gradito dalla ragazza. "Dovresti darmi anche gli altri, sai?"

"No, penso che non lo farò."

Rise ci pensò un po' su, poi disse "Okay" e si girò come per andarsene.

Lazharus rimase pietrificato al suo posto. Non sapeva cosa fare. Girò appena la testa per accertarsi che la ragazza se ne fosse andata per davvero. I capelli rossi erano mossi dal vento e quegli anfibi neri calpestavano il cemento decisi e senza rimorsi.

Non avendo altra scelta s'incamminò dalla direzione opposta presa dalla rossa. Saorise pensò. Era un nome strano, ma gli piaceva. Si mise le cuffie nelle orecchie, ma non fece nemmeno in tempo a scegliere quale canzone ascoltare che si bloccò di colpo per non urtare qualcuno che gli si era parato dinnanzi: era Rise.

Si tolse le cuffie e subito la ragazza iniziò a sommergerlo di parole. Lui ormai aveva perso il filo e fece l'unica cosa che gli passò per la mente per zittirla.

L'attirò a sé e in un lampo le loro labbra si unirono. Un contatto lieve, semplice, ma scatenò nel ragazzo milioni di emozioni.

Era la prima ragazza che baciava dopo esser stato sentimentalmente distrutto da colei che credeva di amare. E gli piaceva. Anche se fu per pochi istanti, quel bacio rubato fu il bacio più bello che lui avesse mai potuto dare in tutta la sua intera esistenza.

Saorise dischiuse le labbra e Lazharus sarebbe stato più che felice di approfondire il bacio, ma un dolore lancinante lo costrinse ad allontanarsi dalla ragazza. Gli aveva tirato così forte il labbro che gli stava uscendo sangue.

Passò la lingua sulla ferita e sentì il sapore metallico del sangue in bocca. "Mi hai morso!" affermò sorpreso Lazharus. "Si, l'ho fatto" rispose tranquilla Saorise, poi continuò "Ora mi daresti le mie storie?".

Il ragazzo piegò la testa di lato e la osservò meglio "Ti va di prendere un gelato?" propose.

Saorise parve visibilmente stupita da quell'invito. E da quell'atto di gentilezza nacque tutto. I due ragazzi non potevano saperlo, ma in quell'istante scattò qualcosa in entrambi. E mai avrebbero potuto avere indietro la loro vecchia vita.

Scelsero di andare in una gelateria poco distante dalla stazione. Durante il breve tragitto non smisero un attimo di parlare. Oltre le apparenze di un ragazzo con mille pensieri nella testa e di una ragazza con mille demoni nel cuore si celavano due adolescenti pieni di sogni e desideri.

Arrivarono alla gelateria troppo presto e anche con i gelati in mano continuavano a discutere e a litigare, per poi rappacificarsi e passare ad un altro discorso sul quale si trovavano in disaccordo.

Il tramonto li trovò sulla spiaggia a camminare con i piedi nella sabbia e con il gelato ormai sciolto nell'altra. Avevano riso molto e si erano avvicinati. Molto.

Si sederono sulla sabbia fredda e umida e contemplarono il riflesso spettrale della luna sul mare, increspata dalle onde che s'infrangevano sulla battigia. Il suono che provocavano era dolce e rilassante. Era come una ninna nanna che cullava i due giovani spiriti e li trasportava in mondi nuovi e ancora sconosciuti.

"Sono stata bene oggi. Grazie della compagnia" disse ad un tratto Saorise.

"Ora potrei leggere le tue storie?" chiese divertito il ragazzo che per tutto quel tempo aveva tenuto i fogli al sicuro nel suo zaino.

"Assolutamente no! Ridammele!" scherzò Rise, allungando una mano verso lo zaino blu. Il ragazzo le prese il braccio e la fece cadere su di sé. Ormai i loro visi erano a pochi centimetri di distanza. Solo un altro pochino e per la seconda volta le loro labbra si sarebbero congiunte in una danza che seguiva la musica dettata dai loro battiti accelerati. Solo un altro istante e... Rise si fermò di colpo spalancando gli occhi: era terrorizzata.

"Rise tutto...?" ma non finì la frase che la ragazza lo fermò con uno sguardo d'ammonimento.

Lentamente si alzò dal corpo del ragazzo e quest'ultimo fece lo stesso. Si guardarono e la giovane volse il suo sguardo su un punto indistinto nella sabbia dove poco prima c'era stata la sua mano. La fioca luce della luna non permetteva una buona visuale, ma quando Lazharus strinse un po' di più gli occhi, capì la cause del terrore sui lineamenti di Rise.

Per terra, sotto la sabbia, sporche di rosso si intravedevano due dita di una mano. Umana. Non si muovevano e Lazharus non seppe ben dire se questo era un segno positivo o negativo.

Rise si riscosse e fece per avvicinarsi al punto nella sabbia, ma il ragazzo, come per istinto le bloccò il braccio. Con lo sguardo la pregò di non andare, ma lei si liberò delicatamente dalla stretta e si avvicinò ancora di più. Prima di abbassarsi accanto alle dita dedicò un ultimo sguardo al ragazzo.

Scostò un poco la sabbia e vide che la mano non era mozzata, ma aveva un braccio che proseguiva fino ad un busto e poi una testa, ancora sotto la sabbia. A quel punto Lazharus si fece forza e si avviò verso il punto in cui supponeva ci dovesse essere una testa.

Soffiò sulla sabbia e quella si mosse appena. Già si poteva intravedere la pelle pallida del cadavere. Quindi prese un bel respiro e tolse la sabbia da quel punto. Lo spettacolo che si presentò loro fu la cosa più orripilante e riprovevole che loro avessero mai avuto la sfortuna di vedere.

La testa si staccava dal busto di pochi centimetri. Era stata tagliata di netto, recisa da un assassino che non aveva avuto pietà. Il volto era tumefatto, pieno di lividi e graffi, e dallo zigomo destro mancava un pezzo di carne. Ma c'era un dettaglio che inorridì i giovani e si sarebbe sempre presentato in tutti i loro incubi nel futuro.

L'occhio destro era vitreo, come se fosse stato di ghiaccio ed emanava uno stato di angoscia diventato palpabile nell'aria. Dove ci sarebbe dovuto essere l'occhio sinistro c'era una cavità vuota, sporca di sangue e sabbia.

I due ragazzi erano paralizzati, impietriti dalla scena che avevano difronte. Solo dopo parecchi minuti di silenzio Lazharus prese parola "Dobbiamo andarcene". Presero le borse e corsero fino ad arrivare nella piazza principale. Era gremita di gente allegra che suonava o cantava. E loro, con i vestiti sporchi di sabbia mista al sangue di uno sconosciuto erano dei dettagli che rovinavano un bellissimo quadro di felicità.

Nessuno si curava delle loro facce sconvolte, così presi dalla frenesia di una festa e dall'egoistica speranza di non dover mai fare i conti con la realtà.

I due erano disorientati da tutto quel baccano, dal trovarsi in un luogo così affollato e non aver qualcuno a cui chiedere aiuto.

Lazharus prese la mano di Saorise e la trascinò fuori da quella bolla di allegria. La prima cosa che gli venne in mente fu chiamare la polizia. Lo fece e aspetto che qualcuno gli rispondesse. Cercò di fornire più dettagli possibili, ma la sua bocca si fermava a metà delle frasi, non sapendo come descrivere quell'orrore.

Furono subito raggiunti da due agenti che li portarono al confine della spiaggia. Volevano informazioni più attendibili.

Seguendo le indicazioni di Saorise trovarono il corpo senza vita dell'uomo. Si, non si erano inventati niente. Non era solo un brutto sogno. Era la realtà. E Lazharus preferì non essere mai andato in quella stazione. La prospettiva che aveva quella mattina di stare sul letto a deprimersi non sembrò più così pessima.

I suoi problemi sembrarono così piccoli rispetto a ciò che aveva davanti.

Quella spiaggia fu subito riempita da divise blu che isolarono la scena del crimine e fecero allontanare tutti nel raggio di chilometri. Volevano trattenerli ancora un po' e così fu. Offrirono loro bevande calde e cibo, ma nessuno dei due riuscì a mandar giù qualcosa. L'immagine della testa recisa di netto era ancora vivida nella loro mente.

Mentre un uomo di mezza età con la divisa blu chiedeva ai due come fossero arrivati in quel luogo e cosa ci facessero, altri due poliziotti trasportavano su una barella un corpo avvolto da un lenzuolo candido. Passarono proprio davanti ai loro occhi e Saorise si girò di spalle e vomitò anche l'anima sulle scarpe lucide del poliziotto, mentre Lazharus le sussurrava parole incoraggianti e le manteneva i capelli su.

Poco dopo chiesero loro dove dovessero accompagnarli e Lazharus comunicò il suo indirizzo, poiché la ragazza ancora non riusciva a parlare.

La macchina della polizia si fermò sotto un condominio di circa cinque piani e scesero lentamente. Durante tutto il tragitto nessuno aveva osato aprire la bocca. I poliziotti gli raccomandarono di restare disponibili per qualsiasi evenienza e ripartirono, non prima di aver lanciato un'occhiata preoccupata alla ragazza che si manteneva al braccio del ragazzo.

Salirono le scale a fatica e quando Lazharus dovette staccarsi dal dolce calore di Rise, questa si sedette sui gradini: le sue gambe non riuscivano a mantenere il suo peso.

Il ragazzo la prese mettendo un braccio sotto le ginocchia e uno intorno alla schiena. Entrarono nell'appartamento e chiuse la porta con un piede.

Adagiò la ragazza sul letto e le portò un bicchiere d'acqua.

Saorise si alzò e si fece indicare il bagno, non prima che Lazharus avesse preso da un cassetto una sua maglia e degli asciugamani puliti.

Lazharus si girò verso il suo appartamento e, nonostante la situazione non fosse la migliore per portare una ragazza in casa, si mise le mani nei capelli dal disordine che c'era. Saorise aveva gli occhi chiusi quando era entrata, ma quando sarebbe uscita dal bagno sarebbe stata più sveglia. Così iniziò a prendere le cose sparse sulla scrivania e buttarle nell'armadio. Afferrò i vestiti non piegati sulla sedia e li poggiò senza ripensamenti in un'altra stanza che non aveva mai usato.

E fece tutto prima che Saorise uscisse dal bagno. Sentì l'acqua della doccia aprirsi e capì di avere altro tempo. Si tolse i vestiti e li gettò nel cestino. Non aveva voglia di rimettersi quelle cose.

Poi prese il pantalone del pigiama dal cassetto del comodino e una maglia bianca da un altro. Infine s'infilò nel letto per aspettare Saorise.

Questa uscì dopo poco.

I capelli rossi erano bagnati, ma conservavano pur sempre la loro bellezza, come i suoi occhi, che scrutarono la stanza in cerca di un posto dove dormire.

Quando vide Lazharus nel letto scelse che sarebbe stato anche suo, il letto. Si avvicinò e solo allora il ragazzo si accorse che non indossava pantaloni, ma solo la maglietta che le aveva prestato lui e, sperava lui, dell'intimo da sotto.

Scostò la coperta e vi s'infilò sotto, stringendosi di più verso Lazharus, che in tutto quel tempo era rimasto fermo non capendo bene la sua funzione in quel letto. Intanto la ragazza afferrò il suo braccio e lo strinse a sé.

Sarebbe stato un gesto molto apprezzato dal ragazzo, in quanto dolce e carino, ma il destino volle che la ragazza non indossasse il reggiseno e che la maglietta fosse molto sottile. Lazharus avrebbe voluto staccarsi perché altrimenti la sua eccitazione sarebbe parsa evidente anche a Saorise, ma ciò non fu possibile dal gemito di protesta uscito proprio dalla bocca di quest'ultima.

Saorise si avvicinò ancora un poco e incrociò le sue gambe con quelle del ragazzo. Girò piano la testa e i loro sguardi s'incatenarono l'uno all'altro. Un turbine di emozioni li travolse e nulla poté impedire alla ragazza di sporgersi un pochino e incastrare sulle labbra del ragazzo, completamente in balia di lei.

Fu un bacio dolce che stava per trasformarsi in qualcosa di più, ma Saorise si staccò e posò la testa sul petto del ragazzo. Sentiva i battiti accelerati che andavano calmandosi. Era rilassante.

E Lazharus sentì il dolce profumo di vaniglia che emanavano i capelli rossi di quella fragile ragazza che aveva nel letto. Alzò il braccio e lo avvolse intorno al piccolo corpicino su di lui. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal profumo che gli inebriava la mente. Mentre ripercorreva con la mente ciò che gli era accaduto quel giorno si ritrovò a pensare al suo vecchio amore e a quante cose gli aveva insegnato.

Quanti incontri che si possono fare quando pensi che tutto sia perduto...

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