Jidai - Il Tempo di ElenaNJ (/viewuser.php?uid=78355)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché? ***
Capitolo 2: *** Un brindisi solitario ***
Capitolo 3: *** La musica tra le lapidi ***
Capitolo 4: *** Missione: catturare Harlock - parte I ***
Capitolo 5: *** Missione: catturare Harlock - parte II ***
Capitolo 6: *** L'ombra nella notte ***
Capitolo 7: *** Destinazione: Heavy Meldar ***
Capitolo 8: *** Libere uscite e libere entrate ***
Capitolo 9: *** I tre tesori di Mayu ***
Capitolo 10: *** Il Signor Ishikura e le donne ***
Capitolo 11: *** Heavy Red Barbour ***
Capitolo 12: *** Mantelli neri, risse e altri misteri ***
Capitolo 13: *** Scintille in punta di spada ***
Capitolo 14: *** Arriva la cavalleria! ***
Capitolo 15: *** Catturatori e catturati ***
Capitolo 16: *** Nèmesis ***
Capitolo 17: *** Il progetto Herakles - parte I ***
Capitolo 18: *** Il progetto Herakles - parte II ***
Capitolo 19: *** Le riflessioni di un imbecille, i consigli di un ubriacone e le strategie di un'ex pirata ***
Capitolo 20: *** La lunga giornata di una spia imbranata ***
Capitolo 21: *** Riflessi ***
Capitolo 22: *** Il Guerriero, la Verità e l'Eroe Silenzioso ***
Capitolo 23: *** Ifiklìs ***
Capitolo 24: *** Latte, caffé, miele e tabasco ***
Capitolo 25: *** Abbordaggio ***
Capitolo 26: *** La trappola di Lia ***
Capitolo 27: *** Pugnalate alle spalle, pugnalate al cuore ***
Capitolo 28: *** Irruzione ***
Capitolo 29: *** Il futuro che ci aspetta ***
Capitolo 30: *** Fuga ***
Capitolo 31: *** Kenzo Kurai ***
Capitolo 32: *** La mano tesa e la mano tremante ***
Capitolo 33: *** L'arte del doppio gioco ***
Capitolo 34: *** Oneiros ***
Capitolo 35: *** La sbronza del secolo... o no? ***
Capitolo 36: *** La mia stella per sempre ***
Capitolo 37: *** La rosa di carta fra le stelle - parte I ***
Capitolo 38: *** La rosa di carta fra le stelle - parte II ***
Capitolo 39: *** La rosa di carta fra le stelle - parte III ***
Capitolo 40: *** Per te, per me, io voglio vivere! ***
Capitolo 41: *** Ogni goccia della nostra vita ***
Capitolo 42: *** Qualcuno da cui tornare - parte I ***
Capitolo 43: *** Qualcuno da cui tornare - parte II ***
Capitolo 44: *** Qualcuno da cui tornare - parte III ***
Capitolo 45: *** Svegliarsi in un incubo ***
Capitolo 46: *** Cicatrici ***
Capitolo 47: *** Eroi e caduti ***
Capitolo 48: *** I pugni del mio miglior nemico - parte I ***
Capitolo 49: *** I pugni del mio miglior nemico - parte II ***
Capitolo 50: *** Tutto come ai vecchi tempi, niente come allora ***
Capitolo 51: *** La battaglia senza speranza - parte I ***
Capitolo 52: *** La battaglia senza speranza - parte II ***
Capitolo 53: *** Addio, amico mio! ***
Capitolo 54: *** Nel vuoto ***
Capitolo 55: *** Bianco - parte I ***
Capitolo 56: *** Bianco - parte II ***
Capitolo 57: *** Bianco - parte III ***
Capitolo 58: *** Il cuore delle donne e la banalità del male ***
Capitolo 59: *** I semi del futuro che abbiamo sparso ***
Capitolo 1 *** Perché? ***
cap 8
Separazioni e
incontri si susseguono.
Oggi, i viaggiatori che
sono caduti
Si rialzeranno e
ricominceranno a camminare!
(Yumi Matzusawa
– Jidai)
– Chi ti manda? Chi sei?
Tadashi Daiba indietreggiò.
Sotto i suoi piedi, i frammenti del lampadario emisero uno scricchiolio
sinistro.
Una goccia di sudore freddo gli scese lungo la guancia. Si
strinse al petto la mano sanguinante.
La sagoma scura, immobile nel vano della porta, non rispose.
La luce d'un lampo illuminò per un istante la stanza e lui
sgranò gli occhi incredulo, sconvolto.
– No... non è possibile...
L'uomo fece un passo in avanti, uscì dal cono d'ombra e fu
investito dal bagliore lattiginoso dei neon che filtrava dalla vetrata.
Una luce fredda brillava nel suo unico occhio, la stessa che accendeva
di riflessi metallici la canna ancora fumante della Cosmo Dragoon
stretta fra le sue dita.
Nonostante il dolore alla mano testimoniasse che era tutto vero,
Tadashi si chiese se per caso non si fosse addormentato e se quello non
fosse altro che un incubo dovuto alla stanchezza e alle preoccupazioni.
– Perché?
L'uomo rimase in silenzio. Il suo indice si posò sul
grilletto.
Le strofe d'una canzone salirono alle labbra di Tadashi: era la stessa
che colui che adesso lo fronteggiava aveva intonato un giorno di sette
anni prima, nel bel mezzo d'una giungla selvaggia, con nemici che li
circondavano da ogni parte e lui in preda a un terrore che aveva
rischiato di farlo impazzire.
Poche strofe e il tepore della sua schiena.
Era bastato questo perché ogni paura svanisse dal suo cuore.
Era bastato questo per salvargli la vita.
Da quel giorno, Tadashi aveva sempre canticchiato quel motivo
ogni volta che s'era trovato di fronte a un problema a prima vista
insormontabile, ogni volta che la paura o lo sconforto avevano
rischiato di sopraffarlo.
Il ricordo di quella voce e di quel calore erano sempre riusciti a
rasserenarlo.
L'uomo non fece una piega. Mosse un altro passo in avanti e
puntò l'arma al suo petto.
Tadashi sapeva di non avere vie di scampo: quella che fino a pochi
istanti prima era stata la sua Cosmo Gun era ormai un mosaico di
frammenti sparsi sul pavimento e conficcati nella sua mano, la Dragoon
era rimasta nella giacca, fuori dalla sua portata... e il suo
avversario era un tiratore infallibile.
Il dito dell'uomo premette il grilletto e un dolore acuto lo dilaniò, nel corpo e nell'anima.
Smise di cantare e crollò sul pavimento. Gli occhi gli si
riempirono di lacrime.
– Perché, Capitano?
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 2 *** Un brindisi solitario ***
cap 8
Come sua abitudine prima di sbarcare, Warius Zero si
sistemò il cappello e il colletto della divisa.
La luce del sole lo colse di sorpresa, tanto che per un attimo ne
rimase abbagliato.
Una pacca violentissima sulla schiena rischiò di farlo
ruzzolare dalla passerella della Karyu e gli fece andare di traverso la
saliva.
– È bello tornare a casa, vero, Capitano?
– Sì, Signor Kaibara... – Zero
tossicchiò nel tentativo di guadagnar tempo e ricomporsi, ma qualcuno gli passò un braccio attorno
al collo e lo sbilanciò di nuovo.
– Avanti, Capitano! Una volta sbarcati che bisogno
c'è di continuare a essere così formali? .
– Non siamo ancora usciti dalla base,
Signor
Ishikura – Zero sollevò un sopracciglio
– Anzi, a esser precisi non siamo ancora nemmeno usciti
dalla nave.
– Suvvia, Zero, sciogliti un po'! Dopo sei anni di missione
negli angoli più sperduti dell'universo ci meritiamo un po' di svago, no?
– Sono d'accordo con loro, Capitano.
–
Signori
Grenadier ed Eluder, vi ricordo che il regolamento
e le gerarchie vanno rispettate sino al momento in cui...
– Basta così, Capitano Zero! Questo
è un ammutinamento! – Marina gli baciò
una guancia e gli abbassò il cappello sugli occhi
tra le risate generali.
Zero decise di capitolare e rivolse un sorriso tra il divertito e
l'imbarazzato ai suoi sottoposti. Passò un braccio attorno
alle spalle di Marina e uno attorno al collo di Ishikura.
– Va bene, truppa: cedo alla violenza e offro un giro di
Heavy Red Barbour e olio Hyper a tutti quanti!
– Così si parla, Capitano! Cosa stiamo aspettando?
Andiamo a festeggiare il nostro ritorno sulla Terra! Se è
ancora in piedi, c'è un posticino niente male poco lontano
da qui! – Rai s'avviò con entusiasmo, seguito a
ruota da Breaker, Nohara e il Dottor Machine.
Nei pochi anni in cui erano stati lontani la capitale era come rinata:
nuovi edifici erano sorti al posto di quelli distrutti dalla guerra
contro le Mazoniane e nell'aria si respirava l'atmosfera allegra e
colma di speranza che sempre accompagnava i momenti di ricostruzione.
In un locale piccolo ma arredato con gusto e ben fornito, Zero si
concesse per la prima volta dopo sei anni un brindisi con i suoi
uomini... anzi, con i suoi amici.
– Alla Terra, alla vita che continua e a chi col suo
coraggio ci ha consentito di ricominciare.
– Prosit!
– Prosit.
Abbassò lo sguardo sul bicchiere pieno davanti a lui
e lo colpì appena con quello che aveva in mano, un brindisi
solitario dal sapore agrodolce, carico di nostalgia.
– Prosit, Harlock. Ovunque tu sia.
Proprio mentre portava il bicchiere alle labbra, un ragazzino di forse
quattordici o quindici anni oltrepassò il loro tavolo di
corsa e andò a fermarsi davanti al bancone.
– È terribile! – ansimò
– Il Primo Ministro Daiba è morto!
Un brusio stupito si sollevò dagli altri tavoli.
– Cosa?!
– Com'è successo?
– Gli hanno sparato nel suo studio... ieri sera... Lo hanno
appena detto sul canale delle notizie della Federazione!
Alcune donne e anche un paio di uomini scoppiarono in lacrime. Tutti
gli altri s'assieparono attorno al ragazzo con visi che non avrebbero
potuto essere più afflitti se la disgrazia fosse accaduta al
loro migliore amico.
Il giovane capo della Nuova Federazione Terrestre era molto amato da
tutti ed era ammirato persino dai suoi avversari politici, che ne
riconoscevano la lealtà, il coraggio e gli alti valori
morali.
Anche se Zero e il suo equipaggio erano stati lontani per diversi
anni, i racconti del suo instancabile impegno nella ricostruzione della
civiltà terrestre come scienziato e statista avevano
raggiunto la Karyu fin nei più sperduti angoli dell'universo.
Ad appena ventun anni, Tadashi Daiba era diventato un simbolo di
speranza e un modello per tutti gli uomini volonterosi,
per tutti coloro che volevano vivere liberi e lasciare la loro impronta
nella storia: era l'orgoglio di ogni essere umano, di ogni terrestre.
– Ma chi è stato? Si sa qualcosa?
– Già, chi è quel bastardo che l'ha
ammazzato?
Il viso del ragazzo era terreo.
– Vi sembrerà incredibile, ma pare che il
colpevole sia Harlock, il suo amato ex Capitano!
– Harlock il pirata? Ma non era scomparso?
– E perché l'avrebbe fatto? Daiba era un suo
amico, l'aveva riabilitato!
Un rumore di vetri rotti fece voltare il gruppo.
Il bicchiere era scivolato via dalla mano tremante di Zero.
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fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
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i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 3 *** La musica tra le lapidi ***
Il nero non donava a Yuki Kei: la faceva sembrare ancor
più esile e pallida di quanto già non fosse.
Aveva l'aria stanca di chi non dormiva da giorni: i suoi begli occhi
azzurri erano erano gonfi e cerchiati di blu.
Zero la capiva fin troppo bene: dopo la morte di sua moglie e suo
figlio, nemmeno lui era riuscito a prendere sonno per settimane.
Le poche volte che il senso di colpa gli aveva dato tregua quel tanto
da consentirgli di chiudere gli occhi, era stato assalito da incubi
orribili e s'era risvegliato in lacrime, tremante e sudato.
Ci erano voluti anni perché il dolore, il rimorso e il
senso di vuoto lasciassero il posto a una calma, malinconica
rassegnazione e lui si sentisse pronto a ricominciare a vivere.
Il comandante del picchetto d'onore s'avvicinò alla bara e
la spogliò del drappo che la ricopriva, la bandiera azzurra
e argento della Nuova Federazione. La ripiegò con pochi,
rapidi gesti.
Zero scattò sull'attenti e Yuki avanzò fra le due
ali di soldati, una rosa bianca fra le dita affusolate.
Il cuore di Zero ebbe un moto di pietà quando gli
passò davanti.
Era stata lei a ritrovare il corpo ormai senza vita di Daiba, e poteva
solo immaginare come si fosse sentita: della sua famiglia non era
rimasto nulla dopo il bombardamento della capitale e forse,
pensò con una punta di rimorso per il suo egoismo, per lui
era stato meglio così... per un po' aveva potuto rifiutare
la realtà, illudersi che da qualche parte sua moglie e suo
figlio lo stessero aspettando.
Yuki Kei non aveva nemmeno quella misera scappatoia.
Il ricordo del suo compagno più caro ridotto a un freddo
cadavere fra le sue braccia l'avrebbe forse perseguitata tutta la vita,
e Zero capiva benissimo la sua richiesta di non allestire alcuna camera ardente e mantenere
chiusa la bara per tutta la funzione.
Yuki si fermò accanto alla cassa, posò il fiore
sul coperchio e lo sfiorò con una lieve carezza.
Un uomo piccolo, occhialuto e dai radi baffetti a spazzola
prese la bandiera dalle mani del capo picchetto e
gliela consegnò.
A Zero non sfuggì lo sguardo freddo che l'ex pirata
spaziale, eroina e scienziata gli lanciò quando le strinse
la mano.
Tra lei e l'ex Primo Ministro Chīsanahito* non correva buon sangue, e
non c'era da stupirsi: anche se adesso cantava le loro lodi a ogni
occasione, quell'uomo era stato colui che aveva classificato lei, Daiba
e tutto l'equipaggio dell'Arcadia come individui di serie
“Z”, indesiderabili, e che aveva tentato di
esiliarli nello spazio anche dopo che da soli avevano salvato l'imbelle
razza umana dall'invasione delle Mazoniane.
Yuki rivolse un cenno all'uomo che manovrava l'argano e la bara
cominciò a scendere con esasperante lentezza nella fossa.
Zero imbracciò il fucile, lo rivolse al cielo e
sparò tre salve in perfetta sincronia con gli altri
quarantanove ufficiali del picchetto d'onore.
Il silenzio assoluto era rotto solo dai singhiozzi di chi piangeva.
Yuki Kei s'allontanò. Passò fra i
soldati a testa alta, senza vacillare o guardarsi indietro, e la
cerimonia finì.
Anche Zero decise d'andarsene. Odiava quelle che suo padre aveva
sempre definito con disprezzo “chiacchiere da
funerale”, un misto di pettegolezzi, giudizi sul dolore
ostentato dai parenti del defunto o sui loro abiti e vuote frasi di
circostanza.
In attesa che la folla defluisse, decise di recarsi sulla tomba della
sua famiglia.
Non lo faceva spesso: sotto quella lapide c'era solo una
cassa vuota e lui non aveva mai creduto che un mazzo di fiori
su una pietra potesse cambiare qualcosa per chi aveva
perduto per sempre.
Faticò a trovare il posto. Il cimitero della capitale era
diventato molto più grande dall'ultima volta che ci era
stato. Molte tombe erano nuove, le immagini che
campeggiavano su di esse tanto di vecchi quanto di giovani o
addirittura bambini.
La guerra... Quanto
siamo stupidi, tutti quanti.
Si chinò a spazzar via dalla lapide le foglie secche e i
sassolini bianchi che la ricoprivano. Una musica dolce e triste gli
arrivò all'orecchio. Alzò il capo.
Il suonatore era a pochi passi da lui, appoggiato al tronco sottile di
un cipresso.
Indossava un lungo spolverino nero sopra un completo attillato dello
stesso colore e poteva avere al massimo quattordici anni. Era una
ragazzina longilinea, con folti capelli scuri che le scendevano fin sulle spalle e il viso ancora tondo di una bambina.
Gli occhi marroni, invece, erano grandi e tristi, da adulta, e il loro
sguardo lo turbò nel profondo. Gli ricordava qualcuno, ma al momento non avrebbe saputo dire
chi.
La ragazzina smise di suonare e lasciò andare il suo strumento, un'ocarina di terracotta a
dodici chiavi intagliata a mano che teneva legata al collo con un laccio di cuoio.
Si staccò dall'albero e gli si avvicinò.
– Lei è il Capitano Warius Zero?
– Ci conosciamo?
– Non di persona – la sconosciuta scosse il capo
– Mi chiamo Mayu Oyama.
– Oyama?
Che sia...
– Molti anni fa, lei ha combattuto con i miei
genitori: Tochiro ed Emeraldas.
La figlia di Tochiro ed
Emeraldas!
Zero era stupefatto. Cosa
ci fa qui? Perché mi cerca?
Un pensiero improvviso lo fece sudare freddo. Si guardò
intorno e le afferrò la mano.
Ad appena una settimana dall'omicidio di Tadashi Daiba, gruppi di
fanatici inferociti avevano fatto del male a diverse persone a loro
avviso legate ad Harlock e sue complici.
Si trattava per lo più di gente comune, innocenti che dopo
la guerra avevano manifestato in vari modi la loro ammirazione per
l'improbabile eroe che li aveva salvati.
E quella era la figlia
dei suoi migliori amici!
Scostò la falda del cappotto e con la mano libera
slacciò l'elemento di blocco che assicurava la sua pistola
d'ordinanza alla fondina.
– Potrebbe essere pericoloso, qui, per te. Dove abiti?
– Non corro rischi, mi creda, Capitano – Mayu si
liberò dalla sua stretta con un sorriso – Anche se
ho ritenuto fosse meglio non farmi vedere al funerale. In fondo,
Harlock è pur sempre il mio tutore.
– Tutore?
Mayu annuì.
– Pensavo lo sapesse – il suo bel viso
s'incupì – I miei genitori sono morti.
Tredici anni fa.
Zero si sentì mancare il fiato.
Tochiro... e anche
Emeraldas... morti!
Ripensò
al piccolo, buffo ingegnere che gli aveva fornito un nuovo rivestimento
per la Karyu e suggerito come sistemare il sistema di raffreddamento
del cannone nonostante combattessero su fronti opposti e alla
bellissima, impassibile donna pirata che una volta gli aveva salvato la vita: si sentì tristissimo.
–
Non lo sapevo. Dopo la battaglia contro l'Hell Castle ho fatto in modo
che le nostre strade non s'incrociassero più.
– È comprensibile. Alla fin fine, i miei genitori
erano pirati spaziali e lei un soldato della Federazione. So che ha
avuto persino dei guai per questo.
Come fa a saperlo?
Zero aggrottò la fronte.
– Cosa vuoi da me?
– Non qui – Mayu scosse il capo e
accennò all'uscita posteriore del cimitero – Mi
segua, per favore, Capitano.
Zero esitò. Poteva davvero fidarsi di quella ragazzina
sconosciuta?
Per quel che ne sapeva, poteva essere chiunque, anche una disperata
ingaggiata da qualcuno per attirarlo in un tranello: d'altronde anche
il suo nome era legato a quello di Harlock, ben più di
quello dei poveri disgraziati che ci erano andati di mezzo in quei
giorni... senza contare che aveva ancora molti nemici a cui non sarebbe
dispiaciuto andarlo a trovare sotto una lapide come quella ai suoi
piedi.
Una folata di vento gelido li investì. Sotto lo spolverino
di Mayu, Zero intravide un luccichio.
Alla ragazza non sfuggì. Con movimenti lenti e misurati, da
persona che conosceva le reazioni di un pistolero ai gesti bruschi,
tirò fuori l'arma dalla fondina e gliela mostrò: una Cosmo Dragoon.
– Mio padre creò solo altre quattro pistole come
questa, oltre a quella che lo seguì nel suo ultimo viaggio:
una la regalò al Professor Daiba e passò a suo
figlio Tadashi; un'altra, mia nonna la donò a Tetsuro
Hoshino; un'altra ancora appartiene ad Harlock, mentre questa... mia
madre me la lasciò in eredità prima di scomparire
per sempre. Non ho intenzione di usarla contro di lei, Capitano, mi
creda.
I suoi grandi occhi lo fissarono, determinati e sinceri.
Zero si calcò sulla testa il berretto e
s'incamminò verso l'uscita posteriore del cimitero.
* Chīsanahito dovrebbe tradursi
letteralmente "piccolo uomo", cosa che, a mio avviso, il Primo Ministro
(qui ex) è appieno: accetto eventuali correzioni dai
nippofoni! ^_^
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Capitolo 4 *** Missione: catturare Harlock - parte I ***
La casa era grande, solida e dotata di tutte le
comodità ma non lussuosa: dalla linea semplice dei pochi
mobili e dalla mancanza assoluta di fronzoli, Zero dedusse che il
proprietario doveva essere una persona che badava innanzitutto alla
sostanza delle cose.
Mayu camminava davanti a lui, il passo sicuro di chi si trova in un
ambiente del tutto familiare.
Bussò a una porta e l'aprì prima ancora di
ricevere risposta.
Zero la seguì all'interno e represse un moto di stupore.
Da dietro una larga scrivania, Yuki Kei lo guardò decisa, si alzò e gli tese la mano.
– Benvenuto, Capitano Zero. S'accomodi.
Zero le strinse la mano, sedette nella poltroncina di fronte a lei e la
osservò.
Aveva ancora l'aria stanca, ma era del tutto diversa dalla fragile, dignitosa donna in lutto che aveva visto al funerale: avvolta in
una tuta aderente che evidenziava il suo corpo snello e atletico,
pareva la stessa indomita guerriera dello spazio che era stata fino a
cinque anni prima e che lui aveva visto solo in qualche immagine
commemorativa prima di quel giorno.
– Signora Kei. A cosa devo l'onore?
– Ai suoi trascorsi.
Yuki premette un pulsante, digitò un comando e sullo schermo
olografico davanti a lui apparve la sua scheda personale.
– Warius Zero, nato il
21 febbraio 2948, diplomato a pieni voti all'Accademia Militare nel
Corso Ufficiali del 2966. Nominato Capitano dell'incrociatore spaziale
Karyu per meriti sul campo dopo la morte in battaglia del suo
predecessore, è stato Comandante di Flotta durante la guerra
contro i Meccanoidi del 2968. Integrato nello Squadrone Indipendente
della Flotta Unita Terrestre dopo un anno a bordo della nave pattuglia
Kagero, nel 2970 ha contribuito alla distruzione dell'Hell Castle che
minacciava il pianeta Teknologhìa, ponendo fine al
Governatorato della Galassia Extra-Solare sulla Terra. Decorato come
eroe di guerra, è in seguito partito per diverse missioni ai
confini dell'universo conosciuto, l'ultima delle quali l'ha tenuto
impegnato per ben sei anni, dal gennaio 2977 a oggi.
– Con tutto il rispetto, signora Kei, so
già chi sono e cosa ho fatto.
– Ne sono certa, Capitano – Yuki sorrise
– E con un curriculum come il suo sono certa che sa anche che
dovrebbe essere Ammiraglio, ormai. Mi sa dire perché non
è così, invece?
– Perché la guerra contro i meccanoidi
l'abbiamo persa – ghignò Zero – E perché distruggere l'Hell Castle non era la
missione che m'era stata assegnata.
– Vedo che ci capiamo – Yuki
digitò un comando e altri documenti comparvero sullo
schermo – La sua missione era quella d'arrestare il pirata
spaziale Harlock, cosa che non fece mai. Dai suoi rapporti
risulta, anzi, che fu proprio lei a impedire ai suoi uomini di
catturarlo sul Pianeta Heavy Meldar, che in seguito vi scambiaste informazioni in più di un'occasione e che arrivò addirittura ad allearsi con lui
per distruggere l'Hell Castle. Perché?
– Non avevo altra scelta – Zero s'appoggiò allo schienale e allungò le gambe
– Nessuna astronave della flotta federale poteva
venire a dar man forte alla Karyu e, anche in caso contrario, non
sarebbe servito a nulla. Per quel che riguarda Heavy Meldar, non potevo
sopportare di catturare Harlock con un espediente sleale come quello
escogitato dai miei uomini: era un un fuorilegge, ma non meritava di
essere preso con l'inganno. Non è nel mio stile
ricorrere a quel genere di sotterfugi.
– Per questo, nonostante i suoi meriti, lei fu
sospettato di favoreggiamento e finì davanti alla Corte
Marziale – un altro documento apparve sullo schermo: una
sentenza del Tribunale Militare – Data la
popolarità acquisita con le sue gesta, non poterono
congedarla o degradarla, ma fecero in modo che la sua carriera non
proseguisse oltre... e lei li aiutò offrendosi volontario
per missioni di scarso prestigio in sistemi stellari lontanissimi.
Perché?
– Vedo che sa proprio tutto di me – Zero incrociò le braccia
– Scommetto che sa anche la ragione per cui lo feci, signora Kei.
– In effetti, credo di intuirlo – Yuki Kei
si ravviò una ciocca bionda con un gesto elegante della mano
– Conosco altre due persone che ragionano come lei.
Ha voluto evitare d'incontrare di nuovo Harlock perché in
quel caso sarebbe stato costretto a battersi all'ultimo sangue con lui,
un uomo che considerava degno di rispetto e, oserei dire, suo amico.
– Proprio così. Ed è per
questo che non capisco: cosa vuole da me?
Yuki si alzò e gli voltò le spalle. Rimase in
silenzio, affacciata all'ampia vetrata che donava luce alla
stanza.
– Cosa ne pensa, di tutta questa storia?
– Non so – Zero si rigirò il
cappello fra le mani – Non riesco a credere che Harlock possa
aver fatto una cosa simile.
– Nemmeno io. Eppure, le prove sono schiaccianti
– Yuki si girò di nuovo verso di lui –
Non ci sono solo le riprese video, ma anche il DNA e il tracciato della retina raccolti dal sistema di sicurezza e
identificazione del Palazzo del Governo a inchiodarlo. Il Ministro
Chīsanahito ha fatto ripristinare il codice “Z” e
la taglia sulla sua testa con effetto immediato. Harlock è
di nuovo un ricercato e, se catturato, sarà condannato alla
pena capitale.
Zero cambiò posizione, a disagio.
– Continuo a non capire il mio ruolo in tutto
questo. Sono considerato e mi considero io stesso amico di Harlock, al
punto che ho preferito rinunciare alla carriera e affrontare un sacco
di problemi pur di non essere costretto a scontrarmi di nuovo con lui:
a cosa le servo?
– Vorrei che accettasse di nuovo l'incarico di
catturarlo.
– Non se ne parla nemmeno – Zero fece per
alzarsi – Mi dispiace davvero per la morte del signor Daiba,
ma...
– Aspetti a rifiutare, Capitano Zero –
Yuki tornò a sedersi alla scrivania –
C'è dell'altro. A quanto pare, Tadashi non è
stato il solo a esser preso di mira. Era da qualche tempo che
né io né lui avevamo notizie di molti dei nostri
ex compagni d'equipaggio e oggi ho avuto la conferma dei miei peggiori
sospetti: al funerale non c'era nessuno di loro.
Zero trasalì.
– Vuol dire che...?
– Non ne ho la certezza – Yuki si
passò una mano sugli occhi – Ma se fossero stati
in grado di farlo, sono sicura che sarebbero venuti. Amavano Tadashi. E
poi non si tratta solo di loro: sembra che tutti coloro che in
passato hanno avuto legami col Capitano Harlock siano scomparsi nel
nulla.
Fece una lunga pausa, come per permettere alle parole d'imprimersi
meglio nella mente del suo interlocutore, o forse per non perdere il
controllo.
– Anche lei e il suo equipaggio potreste essere in
pericolo.
Il mio equipaggio!
Zero si alzò di scatto. Molti di loro erano fuori dalla
base in libera uscita, alcuni da soli.
– Si calmi, Capitano Zero.
– Calmarmi? E come faccio a calmarmi? Devo...
– Capisco la sua premura e rispetto l'affetto che la
lega ai suoi uomini, ma non ho ancora finito.
– Signora Kei, mi spiace, ma la mia risposta
è no. Nonostante tutto, credo ancora nell'innocenza di
Harlock... e in ogni caso, non voglio essere io a consegnarlo
al boia.
– Capisco – Yuki spense il monitor e si
stropicciò le mani – Avrei preferito
non dover ricorrere a questo per convincerla, tuttavia... Mayu...
Mayu le fece un cenno affermativo e aprì la porta.
Yuki si alzò e la seguì.
– Venga con noi, la prego.
Percorsero un lungo corridoio e poi una rampa di scale fino al piano
interrato della casa.
A un certo punto, Mayu si chinò e poggiò la mano
sul pavimento.
Una botola, mimetizzata alla perfezione fra i blocchi di pietra grezza
che formavano il pavimento della stanza, si spalancò senza
il minimo rumore.
La ragazzina si calò senza una parola e lo stesso
fece Yuki.
Zero le seguì. Il portellone si richiuse e gli ci volle qualche attimo perché
i suoi occhi s'adattassero alla forte luce artificiale che s'accese di colpo sopra le loro teste.
C'era un vago odore di disinfettante nell'aria e poca
umidità: il bunker doveva essere dotato d'un ottimo sistema d'aerazione
e condizionamento.
Non c'era un granello di polvere né una ragnatela.
Percorsero un altro breve tratto sino a un portellone
d'acciaio spesso e robusto quanto quelli della sala macchine della
Karyu, e Mayu fece scattare un'altra serratura.
Un rumore costante, simile a quello d'uno stantuffo, gli giunse alle
orecchie dalla stanza dietro di lei. L'odore d'antisettico gli pizzicò il naso.
Entrò.
– Non è possibile...
Zero non credeva ai propri occhi.
Disteso in un letto, il petto e la mano destra avvolti in stretti giri
di benda e una maschera a ossigeno sul viso, Tadashi Daiba lo fissò con interesse.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 5 *** Missione: catturare Harlock - parte II ***
Visto da vicino e in quelle condizioni, il Primo Ministro
della Nuova Federazione Terrestre dimostrava ancor meno dei suoi
ventun anni.
Era un giovane di statura e corporatura medie, con begli occhi d'un
colore indefinito tra il marrone e il verde e folti capelli castano
biondo, in quel momento arruffati e appiccicati alla fronte dal sudore.
Yuki s'avvicinò al suo capezzale e gli deterse il viso con
un fazzoletto.
– Prego. Si sieda, Capitano Zero.
Mayu gli indicò uno sgabello e s'accomodò a sua
volta. Prese nelle sue una delle mani di Daiba e gli rivolse uno
sguardo premuroso.
– Come ti senti oggi, Tadashi?
– Molto meglio, Mayu. Non preoccuparti.
Le sorrise, ma a Zero non sfuggì la smorfia di dolore che fece quando cambiò posizione per guardarlo
bene in faccia.
Si tolse la maschera a ossigeno ed emise un lungo respiro roco.
– Di certo si starà chiedendo il perché
di tutto questo, Capitano Zero.
– Può dirlo forte, signor Primo Ministro. Ho
appena partecipato al suo funerale, assieme a tutto il resto del mondo
convinto che lei sia stato ucciso da Harlock... e a quanto vedo non
è affatto così.
Tadashi Daiba s'incupì, strinse con forza il lenzuolo.
– Oh, è stato il Capitano a spararmi. Nessun
dubbio in proposito.
– E com'è che è ancora vivo?
– Non ne ho idea – Tadashi scosse il capo –
Quando ha premuto il grilletto, ero convinto che fosse davvero finita.
– E per poco non è andata proprio così.
Un ometto piccolo e tarchiato in camice bianco s'avvicinò
al letto e si concesse un abbondante sorso di saké
direttamente dalla bottiglia. Zero non lo aveva notato prima e si
chiese da dove fosse sbucato.
L'unica risposta plausibile era che fosse nascosto sotto al letto, ma
non era possibile... o forse sì?
Un peso improvviso sulle ginocchia lo fece sussultare.
Un vecchio gatto tigrato gli rivolse un miagolio acuto prima di balzare
sul letto di Daiba, che gli accarezzò la testa.
– Capitano Zero, le presento il suo omonimo, il Dottor Zero,
ex medico di bordo dell'Arcadia e nostro collaboratore nella
progettazione e costruzione della rete d'ospedali della Federazione.
Ah, e ovviamente Mi, la sua gatta.
– Questa è proprio una brutta faccenda –
il Dottore incrociò le braccia e i suoi occhi s'inumidirono
– Ancora non riesco a credere che il Capitano possa aver
fatto una cosa simile proprio a Tadashi... guardi qui!
Aprì le bende.
Sul lato sinistro del petto glabro del ragazzo, all'altezza dello
sterno, spiccava la vistosa cicatrice lasciata dal raggio laser d'una
pistola di grosso calibro, che come minimo doveva averlo passato da
parte a parte. Aveva un aspetto orrendo: frastagliata e coi bordi
anneriti, la pelle e la carne intorno al foro d'entrata sembravano
plastica fusa e accartocciata. Il segno d'un altro taglio, dritto,
sottile e preciso la solcava: l'incisione d'un bisturi,
chiusa da punti molto ravvicinati. La porzione sopra la recisione era
arrossata e tumefatta fin quasi alla clavicola.
Doveva fare un male d'inferno a ogni respiro.
– Il colpo non gli ha disintegrato il cuore ma c'è
mancato poco... a un certo punto ho temuto di non poterlo salvare:
aveva perso così tanto sangue e il polmone sinistro... ah,
meglio non pensarci!
Il Dottore tracannò un'altra generosa sorsata di saké
e si dedicò a esaminare la ferita.
– Procede bene – sorrise – Un
altro paio di settimane e sarai di nuovo in grado di mangiare
normalmente e reggerti in piedi, Tadashi. Non ho mai visto nessuno
guarire in fretta come te. Hai ancora quella sensazione di scatto nel
torace?
Il ragazzo fece segno di no con la testa.
– Bene, molto bene.
Nonostante l'evidente ubriachezza, le mani del medico erano ferme e si
muovevano veloci e sicure mentre con una spugna umida tamponava la
lesione e cambiava la fasciatura del suo paziente.
– Il Dottore era con me quando l'ho trovato – Yuki
si sedette sul bordo del letto – Per fortuna...
Tadashi strinse una mano alla sua compagna e guardò
Zero.
– C'è un motivo per tutta questa messinscena e per
la segretezza.
– Deve stare nascosto finché non si
sarà rimesso – Zero annuì – Posso
capirlo. Harlock o chi per lui potrebbe riprovarci. Oppure, credendola
morto, potrebbe tradirsi, il che, sebbene improbabile, sarebbe anche
meglio. Quello che non capisco è perché
organizzare delle false esequie, farsi curare qui invece che in una
struttura più attrezzata e far credere a tutto il mondo,
compresi i membri del suo stesso Governo, che il suo ex Capitano sia un
assassino.
– Quello
che sto per dirle non deve uscire da questa stanza – Tadashi
lo fissò dritto negli occhi – La verità
è che Harlock era già sospettato d'essere un
assassino. Ha mai sentito parlare di Elpìs*?
– La colonia spaziale che è
esplosa un anno fa?
– Già – Daiba s'accigliò e
la mano di Yuki, ancora nella sua, tremò. Lui la strinse di
nuovo.
Zero si diede dello stupido.
Quello della colonia Elpìs era stato un loro piano per risolvere il
problema del sovraffollamento sulla Terra e nei pianeti del sistema
solare, abitabili solo in minima parte. Il suo fallimento e le
centinaia di morti che ne erano derivate pesavano ancora come
un macigno sulla coscienza di Daiba e sulla sua leadership. E Yuki Kei
era ancor più coinvolta, visto che il progetto originale
della colonia era del suo defunto padre.
Gli tornò in mente la sensazione che aveva provato mentre le
navi dei Meccanoidi oltrepassavano la Karyu in avaria per bombardare la
Terra rimasta indifesa e quasi si sentì male.
– Vi prego, perdonatemi. So quanto è dura sentirsi
responsabili per la perdita di tante vite umane. Non intendevo...
– Non importa – tagliò corto Daiba
– Il fatto è che, stando ad alcuni rapporti
top-secret, una nave corrispondente alla descrizione dell'Arcadia
è stata avvistata nell'orbita di Elpìs poco prima
dell'esplosione. Secondo uno di tali rapporti, il suo cannone
principale ha fatto fuoco in direzione della colonia, dritto sul punto
in cui era situato il generatore di gravità.
– Ma non è possibile! Avrebbe dovuto sapere...
– Avrebbe dovuto sapere nel dettaglio com'era strutturata la
colonia e con quale potenza di fuoco colpire per causarne l'esplosione.
Proprio così – il viso di Yuki era livido
– Ammesso e non concesso che si trattasse davvero della nave
di Harlock, cosa che io e Tadashi ci siamo rifiutati di credere fino
all'ultimo, fino a... qualcuno doveva avergli indicato dove e come
colpire.
– Forse qualche addetto ai lavori...
– Non è scampato nessuno – la voce di
Daiba era roca – Non credo che l'eventuale talpa sarebbe
andata di proposito a morire. Il progettista, Yattaran, non avrebbe
fatto un cosa del genere nemmeno se ne fosse andata della sua vita, e
ci metterei la mano sul fuoco, nonostante tutto quello che è
stato detto di lui. Rimangono solo i membri del mio stesso Governo. Se
c'è una congiura a livello così alto contro di
noi, capirà che non possiamo fidarci di nessuno. Ed eccoci
al motivo per cui lei è qui.
– Capisco. Sono la pedina ideale: il mio grado è
abbastanza elevato da consentirmi un raggio d'azione piuttosto ampio e
per di più, visto che sono stato lontano dalla Terra per sei
anni, non posso avere agganci coi vostri nemici. Inoltre, in
passato ho già avuto modo di battermi con Harlock... e sono
tra i pochi che sono sopravvissuti.
– Non la considero una pedina, Capitano Zero –
Tadashi sospirò – A parte questo, la sua
valutazione è esatta.
Zero rigirò fra le mani il berretto.
– Mi spiace, non voglio farlo; l'ho già detto
anche alla Signora Kei. Dopo l'Hell Castle ho giurato a me stesso che,
se mai fosse giunto il momento di battermi con Harlock, l'avrei fatto
solo per me stesso, con mezzi leali e non per consegnarlo a un boia.
– Lo capisco. È un altro dei motivi per cui
abbiamo deciso di rivolgerci a lei.
– Io non capisco, invece – Zero s'alzò
di scatto – E sto iniziando a perdere la pazienza. Ditemi
cosa avete in mente una volta per tutte o me ne vado!
– Ehi, si calmi, Capitano! – intervenne il Dottore
– Nonostante la sua invidiabile tempra, Tadashi è
reduce da un difficile intervento al cuore e deve evitare gli strapazzi.
Zero si risedette. Chiuse gli occhi e respirò a fondo.
– Le chiedo scusa, Dottore.
– Non è nulla, Capitano – Tadashi sollevò una mano – Il motivo principale per cui vorremmo che fosse proprio lei
a dare la caccia ad Harlock è proprio perché
è suo amico. Chīsanahito lo vuole morto. Io voglio capire perché
m'ha sparato e se davvero è implicato nell'esplosione
di Elpìs e nella sparizione degli altri membri
dell'equipaggio dell'Arcadia.
– Anch'io. E la supplico d'aiutarci, Capitano Zero
– Mayu gli afferrò il braccio, gli occhi pieni di
lacrime – Tadashi è come un fratello per me, e
Harlock... nessuno può neanche immaginare
quanto sia importante. Vorrei sapere cosa gli è successo,
perché prima è sparito e poi s'è
comportato così. Non posso credere... non posso credere
che non ci sia un motivo valido, che sia diventato un assassino senza
cuore!
– Insomma, vorreste la certezza di prenderlo vivo per
interrogarlo.
Tadashi e Yuki assentirono.
– Non posso garantirvelo.
– Vuol dire che ci aiuterà?
Zero stirò un'invisibile piega sul suo berretto e
sospirò.
– Anch'io vorrei vederci chiaro. Ma Harlock non è
uomo da farsi mettere in catene tanto facilmente e non è
tenero con chi si mette sulla sua strada, dovreste saperlo meglio
di chiunque altro. C'è la possibilità che sia
costretto a battermi all'ultimo sangue con lui, e se ciò
dovesse accadere...
– In quel caso, nessuno di noi le porterebbe rancore,
Capitano Zero – Mayu strinse le labbra – Nemmeno io.
– Voglio carta bianca.
– L'avrà – Yuki si alzò
– Che altro?
– La garanzia che il mio equipaggio non subirà
conseguenze di sorta, qualunque sia l'esito della missione. Ogni
responsabilità dovrà essere addebitata
a me solo.
– Questo glielo posso garantire.
Zero s'alzò in piedi e porse la mano a Tadashi, che gliela
strinse.
Nonostante le sue condizioni, la sua stretta era salda e vigorosa.
– Allora siamo d'accordo, Signor Daiba. M'offrirò
volontario.
– Non ce ne sarà bisogno – Tadashi si
lasciò ricadere sui cuscini, un sorriso sofferente sul volto
pallido e sudato – Yuki ha molti agganci sia nel
Ministero della Difesa che nello Stato Maggiore. Sarà
convocato a breve per il conferimento ufficiale della missione.
– Allora immagino non ci sia altro da dire – Zero
s'alzò e si calcò in testa il berretto
– Le auguro una buona guarigione, Primo Ministro Daiba.
– C'è ancora una cosa da dire, Capitano Zero,
anzi, due. La ringrazio e... dia pure del tu a tutti noi.
*Elpìs
(o Elpìdos) è la
personificazione della speranza nella mitologia greca.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 6 *** L'ombra nella notte ***
Yuki si svegliò di colpo.
Qualcosa non andava.
Troppo silenzio.
Dal giardino della casa non proveniva alcun suono, nonostante da ormai tre giorni e quattro notti un folto gruppo di
agenti del Governo lo presidiasse con l'incarico di vigilare sulla sua sicurezza.
Erano un problema, più che altro: da quando erano arrivati
doveva essere cauta nei suoi spostamenti e prestare costante attenzione
ai loro perché non scoprissero Tadashi, senza contare che sia nel combattimento che con la pistola era più abile della maggior parte di
essi.
Non aveva però avuto il coraggio d'opporsi alla loro presenza: una
mossa simile avrebbe potuto insospettire i suoi sconosciuti nemici; per
loro, lei era e doveva rimanere una donna sola, scossa da
un terribile lutto e forse in pericolo, coi nervi a pezzi.
Un'ombra oscurò la luce della luna.
Chissà perché, Yuki ebbe la certezza che non
si trattava d'una nuvola.
Regolarizzò il respiro e la sua mano corse
sotto al cuscino sull'altra sponda del letto.
Le sue dita si chiusero sull'impugnatura della Cosmo Gun.
Scalciò le coperte e si
gettò di lato. Tre lampi argentati
squarciarono l'oscurità.
Il rumore di vetri rotti le parve assordante nel silenzio della notte e
l'odore di tessuto bruciato le riempì le narici: il
copriletto aveva preso fuoco.
Si riparò dietro il comodino e si sporse quel tanto che
bastava per osservare il suo assalitore.
Attraverso il fumo, l'intruso era una sagoma nera in controluce
sul davanzale della finestra.
Con un calcio ben assestato, frantumò quel che era rimasto
del telaio ed entrò.
Yuki sparò, ma il colpo non andò a segno.
Si guardò intorno e sudò freddo. Non lo vedeva
più. Non lo sentiva muoversi.
– Esci
fuori!
Silenzio. Non aveva davvero sperato che il suo assalitore sparasse a vuoto rivelandole così la sua posizione, ma negli anni passati sull'Arcadia
aveva imparato che bisognava tentare il tutto per tutto, sempre.
Un killer esperto... e
prudente.
La porta era a pochi metri da lei. Scattò.
Una raffica di colpi la costrinse a gettarsi di nuovo a terra.
Rotolò dietro la scrivania e la rovesciò.
I suoi libri, le foto e la lampada caddero.
L'intruso ne approfittò per muoversi a sua volta. Yuki ne
ebbe una fugace visione nella penombra.
Indossava abiti scuri e dalla struttura fisica dedusse che doveva
essere un uomo, non molto muscoloso ma piuttosto alto. Gli
sparò di nuovo: quattro colpi in rapida
successione.
Lui li evitò con una serie di veloci spostamenti
laterali, si riparò dietro l'armadio e rispose al fuoco.
Yuki si slanciò di nuovo verso la porta, la testa bassa, le
braccia a proteggere il capo dalle schegge che piovevano da ogni
direzione.
La raggiunse. Uscì nel corridoio.
Per fortuna non aveva mai voluto installare serrature elettroniche alle
porte... e per fortuna non aveva l'abitudine di chiudersi a chiave come
Mayu.
Mayu!
Il suo cuore accelerò i battiti. Soffocò
l'istinto di chiamarla per accertarsi che stesse bene e
sperò che il killer fosse entrato solo nella sua
stanza.
E che lei non sia in
camera.
Che non senta nulla.
Che abbia il buonsenso
di mettersi al sicuro.
Accantonò quei pensieri: doveva rimanere lucida.
Corse in direzione delle scale.
Un colpo la sfiorò e sentì un dolore lancinante
al braccio: la manica della sua camicia da notte aveva preso fuoco.
Strinse i denti per non gridare e chiuse le dita ancora più
forte sull'impugnatura della pistola: non doveva lasciarla cadere o
sarebbe stata la fine.
In questo momento,
è la mia speranza!
Saltò oltre la balaustra, atterrò
nell'atrio e si rotolò a terra per assorbire la caduta e
spegnere le fiamme. Il sensore di
movimento scattò e le luci s'accesero.
Si rialzò ansimante, puntò la pistola verso le
scale e indietreggiò.
Il pavimento era gelido sotto i suoi piedi nudi, le
caviglie facevano male.
Devo attirarlo in
giardino... lontano da Mayu, lontano da Tadashi!
La porta dell'ingresso non le era mai sembrata tanto lontana.
La raggiunse proprio mentre l'intruso toccava terra ai piedi delle
scale.
Yuki sparò alla cieca per coprirsi e abbassò la
maniglia, conscia che in quel momento era un bersaglio sin troppo
facile.
La serratura scattò, altri due colpi andarono a vuoto. Uscì
all'aperto.
Il sistema d'allarme non diede segni di vita... proprio come aveva
temuto.
Nel giardino, tutto era buio e silenzio.
Continuò a indietreggiare, la canna della Cosmo Gun puntata
sulla porta.
Avanti, esci!
Yuki era una buona tiratrice. Non appena l'intruso avesse
messo il naso fuori, avrebbe mirato alla testa. Così da
vicino, riparata dal buio e con la sagoma del suo avversario in controluce, non lo avrebbe certo mancato.
Ma l'uomo non uscì dalla porta.
Troppo tardi, Yuki s'accorse del cigolio: la finestra dello studio.
Premette il grilletto, ma l'uomo era già fuori. Lo
mancò. Lui rispose al fuoco.
Yuki s'abbassò, saltò all'indietro.
Il suo tallone urtò contro qualcosa di solido, un
ostacolo ingombrante e viscido.
Perse l'equilibrio, cadde e batté la schiena,
così forte da rimanere senza fiato.
Tossì. L'uomo era già su di lei. Yuki lo
guardò.
Era Harlock.
Yuki sparò. Una, due, tre, forse quattro volte. Nessuno dei suoi
colpi andò a segno.
Solo l'ultimo recise una ciocca dei suoi lunghi capelli castani.
Stupida! Sono una
stupida!
Gli occhi le si riempirono di lacrime e tremò. Non per lei.
Cosa ne sarà
di Mayu e Tadashi, ora?
Harlock le afferrò il polso destro e lo torse.
Yuki gridò e lasciò cadere la pistola. Harlock la
calciò lontano.
Yuki sbatté le palpebre e lo
guardò di nuovo.
Una parte di lei, ancora, non voleva credere alla realtà
che aveva di fronte e continuava a sperare che Tadashi si fosse
sbagliato, che i dati del sistema di sicurezza del Palazzo del Governo
fossero falsati, che chi aveva scritto i rapporti sull'esplosione di
Elpìs avesse preso un granchio colossale.
Ma quell'uomo aveva il viso di Harlock, il suo sguardo, persino il suo
odore... e aveva sparato per uccidere.
– Capitano... dimmi che non è vero!
– Yuki...
Anche la voce era quella di Harlock.
Le lasciò il polso, la afferrò per il bavero e le
appoggiò la canna della Cosmo Dragoon sul petto.
Bruciava, ma a Yuki non importava.
Non voleva più vedere niente, non voleva più
sentire niente... e non aveva più la forza di lottare.
Chiuse gli occhi.
Sentì uno sparo, ma nessun dolore.
Harlock la mollò di colpo e qualcosa di
liquido e caldo le piovve nella scollatura.
– Sta' lontano da lei! Getta quell'arma o sparo!
Yuki aprì gli occhi.
Con orrore vide Mayu in piedi a pochi passi da loro, la Dragoon fumante
in pugno.
Harlock balzò indietro, una mano sulla spalla insanguinata.
Non aveva lasciato andare la pistola.
Inopportuno e improvviso come una stilettata, la colse il ricordo di
lui che le insegnava a sparare e, come se fosse allora,
risentì quella frase: “La
tua Cosmo Gun è come la speranza: tienila sempre stretta,
non abbandonarla mai... qualunque cosa accada!”.
– Arrenditi, o giuro che t'ammazzo! – Mayu
mosse un passo verso di loro.
Harlock sollevò il braccio destro e prese la
mira. Senza esitazioni.
– Ma tu... – la voce di Mayu si ruppe
– Tu sei...
– Mayu! Va' via!
Yuki si gettò addosso ad Harlock e riuscì a farlo
cadere. Gli afferrò il braccio e gli morse il polso.
Di più, sempre di più, finché non
sentì il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Lui urlò, finalmente lasciò cadere la pistola...
ma fu solo un momento.
La afferrò per i capelli con la mano sinistra e la
scaraventò via come se fosse stata una bambola di stracci.
Era troppo forte per lei, non poteva farcela.
L'allarme scattò. Tutta la casa e il
giardino s'illuminarono a giorno.
Yuki aveva sempre odiato il rumore di quelle sirene, ma in quel momento
le parvero una musica celestiale.
Harlock s'alzò e si guardò intorno. Yuki si slanciò in avanti, afferrò la
Cosmo Dragoon ancora ai suoi piedi, s'allontanò con una
capriola e lo puntò.
Lo sguardo dell'unico occhio di Harlock andò da lei
a Mayu e quindi alla casa; strinse la spalla ferita, si
voltò e sparì nel buio oltre il
cancello.
Yuki lasciò cadere l'arma.
Ora che l'adrenalina non era più in circolo, aveva freddo,
si sentiva spossata e dolorante.
Si guardò intorno e rabbrividì.
Il giardino era disseminato di corpi, almeno una dozzina. Anche quello
che l'aveva fatta inciampare era un cadavere... o meglio,
ciò che rimaneva di una delle guardie. Giaceva a faccia in
giù, in una pozza di sangue che già cominciava a
rapprendersi e puzzare e che macchiava anche l'orlo della sua camicia
da notte.
Dominò la nausea e raggiunse Mayu, che era
rimasta immobile con le braccia tese e la pistola in pugno.
Le posò una mano sulla spalla. Come se si fosse appena
risvegliata da un incubo, lei la guardò con gli occhi
spalancati, lasciò cadere la pistola e si
rifugiò fra le sue braccia. Tremava come una foglia. Yuki le
accarezzò la schiena e lei singhiozzò.
– Yuki! Mayu! Dove siete?
La voce
preoccupata di Tadashi la scosse. Doveva essere stato lui a far
scattare l'allarme.
– Tadashi!
Era pallido e sudato, appoggiato allo stipite della porta. Yuki prese per
mano Mayu e corse da lui.
Avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia, piangere e gridare, ma si
trattenne.
– Era lui?
Yuki annuì.
Tadashi guardò il sangue nella sua scollatura, le bruciature
sul suo braccio destro e la sua camicia da notte lurida e
stracciata. S'accigliò e contrasse i pugni.
Per un istante, Yuki credette che avrebbe sferrato un colpo alla porta,
ma alla fine lui rilasciò le dita, passò un braccio
attorno alle sue spalle e uno attorno a quelle di Mayu e le strinse a
sé.
– Cosa facciamo, adesso? – Mayu
tirò su col naso.
– Non possiamo più rimanere qui
– Tadashi le guardò entrambe, cupo –
Prendiamo le armi, andiamo subito dal Dottore e diciamogli di
contattare Zero. Bisogna cambiare i piani.
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Capitolo 7 *** Destinazione: Heavy Meldar ***
cap 7
– Quindi il nostro compito è di nuovo
dare la
caccia ad Harlock?
– Sì, Signor Ishikura. Proprio così.
Zero fissò il suo Vice-Comandante. Gli anni passati a
girovagare per il cosmo sulla Karyu e le tante esperienze vissute in
guerra e in pace avevano un po' addolcito il suo carattere ostinato,
ma non aveva ancora perso l'abitudine di discutere gli ordini
e, peggio ancora, quella d'ignorarli e fare di testa sua quando
glielo diceva l'istinto. Ogni volta che gli ufficiali della Karyu si
riunivano e qualcuno faceva una proposta, tutti gli sguardi si
spostavano subito su di lui, in attesa d'una qualche contestazione.
Era “un rompiscatole di prima categoria”, come amava definirlo Grenadier, nondimeno
le sue obiezioni erano spesso sensate.
– Ma... Capitano! Eravamo tutti d'accordo che...
– Calma, ragazzo – Kaibara afferrò una
bottiglietta
d'acqua dal tavolo, ignorò il bicchiere di fronte a lui e
bevve un sorso – Sono certo che c'è un motivo
valido se il Capitano ha accettato questa missione. Può
spiegarcelo, Signore?
– Purtroppo no.
Yuki era stata chiarissima in merito: nulla di ciò che lei e Tadashi gli avevano rivelato doveva esser divulgato prima del decollo, e anche dopo
sarebbe stata necessaria la massima riservatezza.
Quando il Dottore l'aveva contattato la sera prima per metterlo al
corrente degli ultimi
sviluppi e gli aveva illustrato il nuovo piano,
Zero aveva dovuto convenire che meno persone fossero state al corrente della loro linea
d'azione, meno rischi avrebbero corso.
Tuttavia non era tranquillo, anzi: si sentiva un po' in colpa.
Aveva sempre discusso coi suoi subalterni ogni aspetto delle missioni
e della gestione della nave e non aveva mai preso decisioni senza
consultarli e senza assicurarsi che tutti fossero concordi sulla linea
da adottare. Si sentiva un ipocrita: aveva sempre desiderato che
sulla sua nave regnasse un clima di fiducia e aveva ripetuto
più volte a tutti che, fra compagni d'armi, non ci si doveva
nascondere nulla.
– Capisco – Kaibara si distese sullo schienale e
tirò uno dei suoi folti baffi grigi –
C'è sotto qualcosa di grosso, proprio come l'altra volta.
– Preferirei avere almeno una vaga idea di ciò a cui
andremo
incontro – il tono di Eluder era inespressivo come il suo
viso meccanico – Se non altro per essere pronto al momento
giusto.
– Mi spiace di non avervi consultato prima d'accettare questa missione
– Zero si alzò, chinò il capo
e chiuse gli occhi – Ma vi assicuro che
farò di tutto perché nessuno di voi abbia a
pentirsene. Vi chiedo solo di fidarvi di me.
Nella sala calò il silenzio. Qualcuno si
alzò, si avvicinò e gli posò una mano
sulla spalla.
– Non devi scusarti, Zero – la voce di Marina
– Io
mi fido di te.
– Giusto! – Grenadier sbatté il pugno
sul tavolo,
così forte che buona parte delle bottiglie e dei bicchieri
si rovesciarono – Il Capitano sei tu, Zero: decidi pure dove andare e cosa fare, che io ti seguo a ruota!
– Non intendevo dire che non ho fiducia in lei, Capitano!
–
Ishikura si alzò in piedi – Sa che le affiderei la
mia vita in ogni momento!
– Vale anche per me – Eluder accennò un
gesto di
scuse – E in ogni caso sono un meccanoide: ho buone
capacità di ripresa, qualunque cosa accada.
– Sono con lei, Capitano – Rai intervenne per la
prima volta
– e credo valga per tutti.
– Grazie, Signori.
Si abbottonò i polsini per prendere tempo. Temeva che, se avesse etto altro, la sua voce
avrebbe tremato troppo.
Marina tornò a sedersi.
– Abbiamo qualche punto di partenza? Indizi?
– Nessuno, purtroppo. Al Comando sono giunte molte
segnalazioni da
parte di persone che sostengono di aver avvistato Harlock o l'Arcadia,
ma ritengo che tutte siano prive di fondamento e frutto di panico o
mitomania.
– Per la precisione, sono tre milioni ottocentomila
quattrocentonove
– intervenne la voce metallica di Battlizer –
Distribuite in modo uniforme sia nel sistema solare che in quelli
extrasolari.
– Il che, se fossero tutte veritiere, implicherebbe che
Harlock ha il
dono dell'ubiquità e l'Arcadia un sistema di navigazione
superiore al salto iperspaziale – ironizzò Breaker.
– Accidenti alla gente! – Grenadier
incrociò le
braccia e sbuffò – Vorrei proprio sapere cosa gli
prende, alle persone, quando capitano queste cose.
– Cosa propone, Capitano?
– Il luogo migliore per ottenere informazioni su qualunque
cosa
– Zero accese il monitor e proiettò la mappa del
sistema stellare di Andromeda – È il pianeta Heavy
Meldar, adesso come quando ci imbarcammo per la prima volta in
quest'impresa. Propongo di partire da lì.
– Si va di nuovo a Gun Frontier? – Grenadier
sorrise entusiasta, al contrario di Ishikura e Rai. Eluder non fece una piega,
ma era sempre impossibile capire cosa pensasse finché non lo
esprimeva a parole.
Zero assentì.
– Se nessuno ha idee migliori o valide obiezioni.
– Sentito, Rompiscatole? Si va a trovare Sylviana!
– Che?! –
Ishikura arrossì fino alla radice dei capelli –Vorresti di nuovo rivolgerti a quella vipera? Ma ti sei bevuto il cervello? Non ricordi com'è andata a
finire, l'altra volta?!
– Avanti, Ishikura – Grenadier accavallò
le gambe
sul tavolo, si dondolò all'indietro e strizzò
l'occhio al Vice-Comandante – Non dirmi che dopo tutti questi
anni tieni ancora il broncio per quella faccenda! Sono cose che
capitano!
– Se per te rischiare di farti linciare da una folla
inferocita per
niente sono “cose che capitano”, non voglio
pensare...
Zero si schiarì la voce.
– Ordine, Signori. Ricordate che siamo in servizio
– scoccò un'occhiata severa a Grenadier che subito si
ricompose – Se nessuno ha obiezioni sulla destinazione, ci
sono un altro paio di disposizioni di cui vorrei discutere. La prima:
la mia cabina sarà chiusa e l'accesso interdetto a chiunque
tranne il sottoscritto sino a dopo il decollo. In seguito
sarà consentito l'ingresso alle sole persone che
autorizzerò. Mi trasferirò con effetto immediato
nella cabina del Vice-Comandante. Tranquillo, Ishikura –
sorrise – Non voglio buttarti fuori: mi basterà
una branda.
– Non c'è problema, Capitano.
Lo guardò perplesso, ma non gli fece domande.
– La seconda, forse quella che vi piacerà di meno:
tutti gli
ufficiali dovranno rimanere a bordo della Karyu fino al momento della
partenza. Niente contatti con personale non appartenente all'equipaggio
e massima riservatezza sulla nostra destinazione anche con loro. Dalle
ore 22.00 alle ore 06.00 di domani, inoltre, tutto il personale di
bordo dovrà rimanere nei propri alloggi, con la sola
esclusione del Dottore, del personale di guardia alla sala macchine e
all'hangar e del sottoscritto.
Un gemito accolse le sue parole. Poteva capirli: dopo sei anni passati
a sognare licenze e libere uscite una volta tornati sulla Terra, quello
era davvero un colpo basso.
– Mi spiace, Signori, ma è necessario.
– Addio sbornia – sospirò Rai.
– Quante storie! – Grenadier sorrise
allegro – Vorrà dire che, per sdebitarsi, il
nostro Capitano ci offrirà un altro giro di Red Barbour su
Heavy Meldar e un altro a fine missione!
Zero gli fu grato per quelle parole, tanto da decidere di chiudere un
occhio sul fatto che aveva di nuovo appoggiato i piedi sul tavolo.
– Lo farò, ma dovremo mantenerci sobri. Ci sono
domande?
Obiezioni?
Nessuno parlò.
– Va bene, Signori. Grazie di tutto.
Comandante Oki,
comunichi la destinazione al Signor Nohara perché stabilisca
il piano di volo e calcoli la rotta. Dottore, lei resti.
Quando tutti furono usciti, Zero tirò un sospiro di
sollievo. S'era aspettato molto peggio.
Il Dottor Machine gli si avvicinò.
– Di cosa ha bisogno, Capitano?
Zero digitò un comando e sullo schermo olografico
comparve un lungo elenco.
– Vorrei che si procurasse questi farmaci e queste
attrezzature, ma senza ordinarle al Quartier Generale o a qualunque altra struttura
governativa. Può farlo?
– Alcune cose le abbiamo già in dotazione
– il
Dottore scorse l'elenco, la fronte sintetica aggrottata – Per
il resto, potrei sfruttare alcune vecchie conoscenze.
Però, Capitano, a bordo non mi risulta nessuno con problemi
tali da giustificarne l'utilizzo.
– Lo so, Dottore.
– Capitano, se è a conoscenza di qualcosa che non
so,
farebbe meglio a dirmelo. Queste attrezzature e queste medicine
combinate potrebbero servire solo a una persona che rischi gravi
complicazioni cardiache. Se c'è qualcuno dell'equipaggio in
quelle condizioni, è sconsigliabile che rimanga a
bordo: non potrei garantire la sua sopravvivenza al salto
iperspaziale, forse nemmeno al decollo.
Zero si raggelò, chiuse gli occhi e respirò a fondo.
Di certo, sia Tadashi che Yuki avevano messo in conto
quell'eventualità.
Ammirò la loro determinazione.
– Non si preoccupi, Dottore. Mi assumerò io ogni
responsabilità.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 8 *** Libere uscite e libere entrate ***
cap 8
Tadashi fu colto da un capogiro e incespicò per
l'ennesima volta.
Strinse i denti e si maledisse per la sua debolezza: avrebbe dovuto
obbligarsi a mangiare nonostante il solo pensiero gli desse la nausea, prendere dei sonniferi per riposare in maniera adeguata e
soprattutto smettere d'assumere quei farmaci che gli davano
così tanti effetti collaterali.
Sull'ultimo punto, però, il Dottor Zero e Yuki erano stati irremovibili, e
già era stata dura convincerli che partire insieme a loro
sulla
Karyu fosse l'unica soluzione possibile.
– Tutto a
posto?
Tadashi rivolse un cenno affermativo a Zero. Nonostante la sua fama di uomo
impavido, il Capitano appariva teso. Tadashi sperò che si
rivelasse davvero all'altezza delle sue aspettative.
– Stiamo per
entrare nella base. Mi
raccomando, rimanete il più possibile nell'ombra, non
prendete
iniziative e lasciate parlare me.
Mayu e il Dottore rimasero in silenzio. Yuki gli si avvicinò.
– Ce la fai,
Tadashi?
Lui si raddrizzò. Si sentiva la febbre e aveva di nuovo il
voltastomaco malgrado non avesse mangiato nulla dalla mattina prima. La
testa gli girava.
– Devo farcela.
– Andiamo
– Zero si calcò in testa il berretto e s'incamminò davanti a loro.
La sentinella sbadigliò e tese la mano oltre il vetro della guardiola.
– I vostri tesserini, Signori.
Zero glieli consegnò e Tadashi sperò con tutto il
cuore
di somigliare abbastanza al Vice-Comandante Ishikura da essere
scambiato per lui, almeno al buio.
– Potreste
venire tutti sotto la luce del faretto, Capitano? Non vi vedo bene.
Zero s'appoggiò al vetro della guardiola.
– Che
c'è, non mi riconosce più, Lukas? Andiamo... ho
fretta.
– Sa
com'è, Capitano – la
sentinella si stiracchiò – In questo periodo siamo
tutti
sul chi vive. Da quando hanno assassinato il Primo Ministro, pace
all'anima sua, i controlli devono essere ancora più
scrupolosi.
– Suvvia,
Lukas... credo che questo sia l'ultimo posto in cui Harlock vorrebbe
metter piede.
– Non si sa
mai, Capitano – rise
– Secondo me sarebbe abbastanza matto da tentare, se gli girasse. E in ogni
caso gli ordini sono ordini, mi capisce...
L'uomo infilò i tesserini
nell'elaboratore.
Yuki gemette e il Dottore soffocò un'imprecazione:
quello era l'unico azzardo nel loro piano, ed era fallito.
Persino nella semioscurità e tra le nebbie del suo
intontimento,
Tadashi poté vedere la schiena di Zero irrigidirsi.
Era in momenti simili che sentiva la mancanza di Yattaran: per quel
genio, penetrare nei sistemi della Difesa e manipolare i registri
d'entrata e uscita della base sarebbe stato un gioco da ragazzi,
questione di qualche minuto al massimo. Ma lui era stato addirittura il
primo a scomparire, e ora bisognava fare affidamento sullo spirito
d'iniziativa di Zero.
– Signore
– Lukas si grattò la
fronte perplesso – Qui risulta che il Comandante Oki, il
Vice-Comandante Ishikura, il Cannoniere Rai e l'Ufficiale di Rotta
Nohara sono ancora all'interno della base, a bordo della Karyu. Aspetti
un minuto, per favore. Devo controllare.
Il cuore di Tadashi accelerò i battiti. Troppo
perché fosse semplice paura.
Si sentì mancare il fiato, la vista gli si
annebbiò e una
vertigine più forte delle altre lo fece barcollare.
Oh, no! Non adesso!
Vide tutto nero e le gambe gli cedettero.
Annaspò e allungò la mano verso il braccio di
Yuki. Lo mancò.
Il Dottore lo afferrò alla vita ma era
troppo tardi. Caddero entrambi.
– Ma cosa?
– la guardia trasalì – Che sta
succedendo qui?
Tadashi fece appello a tutte le sue forze nel tentativo di rialzarsi.
Inutile. Le gambe non lo reggevano, gli occhi non vedevano altro che
ombre indistinte e il cervello non riusciva a pensare a nulla di
coerente. Udì un rumore di passi affrettati. Qualcuno lo
afferrò per il bavero della giacca e lo tirò su
di peso.
La sua testa scattò di lato e un dolore acuto gli si diffuse su tutta la guancia.
Si sfregò gli occhi e si
trovò davanti Zero.
– Signor
Ishikura! Ma non si vergogna?! – sembrava davvero furioso,
tremava addirittura.
– Zero, ma che
fai?! – Yuki gli
afferrò il braccio.
– Silenzio,
Comandante Oki! Non solo avete
trasgredito il mio ordine di restare sulla nave fino alla
partenza, non solo vi siete ubriacati come dei soldati semplici alla
prima libera uscita, ma osate anche lamentarvi?! Sappiate che la vostra
bravata non rimarrà impunita: nessuno del mio equipaggio va
AWOL* e la passa liscia, credevo che dopo tanti anni lo aveste capito!
E ora tornate subito a bordo!
Zero lo spinse bruscamente fra le braccia di Yuki e Mayu e si diresse a
passi rapidi verso la guardiola. Sbatté il pugno sulla guardiola e guardò la sentinella.
– Lukas – ruggì – La prego, ci faccia passare e mi
ridia gli identificativi di questi disgraziati o sento che
esploderò. Non mi sono mai vergognato tanto in vita mia!
L'uomo lo guardò con aria indecisa. Mosse un passo verso di loro, si guardò attorno e si voltò. Tadashi sbatté le palpebre. Le luci intermittenti del sistema di
blocco e degli allarmi del portone si spensero, la sbarra si alzò e la serratura del cancello scattò.
Stando attente a rimanere nell'ombra, Mayu e Yuki lo sostennero
mentre passava di fronte alla guardiola. Il Dottore li seguì
a
testa bassa. Barcollò un po' e Tadashi si
chiese
se stesse fingendo o facesse sul serio.
– Come
facciamo col registro? – la voce della sentinella gli
giunse appena, tanto era tremula.
– Non ne ho
idea, Lukas, e le dirò
di più – ringhiò Zero – Sono
davvero tentato
di fare rapporto! Quattro ufficiali di una nave da guerra vanno AWOL
per quasi mezza giornata e nessuno a parte me s'accorge di nulla!
Pazzesco!
Tadashi ammirò la sua faccia tosta. Se non fosse stato sul
punto di vomitare, avrebbe riso.
– La prego,
Capitano, non lo faccia!
– Lukas sembrava terrorizzato – Non posso
permettermi un
richiamo per mancata consegna, non adesso, con questo
clima! La supplico, fingiamo che non sia successo nulla!
– Non so
– la voce di Zero suonava
davvero indecisa – Non dovrei passare sopra simili
trascuratezze, tuttavia... Oh, va bene, Lukas! Non voglio che per
colpa di questi sciagurati ci vada di mezzo qualcun
altro. Ma state più attenti, d'ora in avanti!
– Può
contarci, Capitano – il
piantone gli restituì gli identificativi e scattò
sull'attenti – D'ora in avanti, nemmeno una mosca
uscirà
di qui senza che io lo sappia, glielo garantisco! Grazie, Signore!
Zero gli rivolse un cenno di saluto e li raggiunse, il passo
rapido e cadenzato d'un ufficiale davvero su tutte le furie, un
cipiglio truce sul viso tirato.
Nessuno, all'interno del recinto della base, osò
avvicinarli.
Solo quando furono al riparo da sguardi indiscreti, si tolse il
berretto, si asciugò il sudore e si lasciò
sfuggire un
lungo sospiro di sollievo.
– È
davvero un bravo attore, Capitano – sussurrò il
Dottore – Complimenti.
– Ma era
proprio necessario schiaffeggiare Tadashi a quel modo?
– Non mi
è venuto in mente nient'altro, Mayu. Mi spiace.
– È
tutto a posto – Tadashi si
sfregò la guancia dolorante – Se non avesse fatto
così, la sentinella sarebbe venuta a controllare e ci
avrebbe scoperti.
– Ora va
meglio?
– Sì.
Ma facciamo in fretta, per favore – per la verità,
si sentiva ancora intontito.
Quell'uomo non si risparmiava certo coi ceffoni: picchiava duro
almeno quanto Harlock.
Al pensiero del Capitano, la ferita al petto gli parve pulsare con
maggiore intensità.
Strinse i denti e accelerò il passo.
– Non avremmo
dovuto correre così
– si lamentò il Dottore – Bisognava
aspettare almeno
un'altra settimana prima di fare sforzi del genere...
– Non c'era
tempo! Ha visto anche lei
cos'è successo! – tagliò corto Yuki
– Nemmeno
io vorrei far correre così tanti rischi a Tadashi, ma non
abbiamo scelta: se restassimo sulla Terra, saremmo tutti in pericolo!
Persino Mayu...
– Continuo a
non riuscire a crederci
– mormorò Zero tra i denti – Cosa
diavolo è
preso ad Harlock? Assalire due donne... e per di più loro!
Nessuno trovò niente da aggiungere. Percorsero la poca distanza che
ancora
li separava dalla Karyu in silenzio,
nell'indifferenza delle pattuglie della base.
* L'acronimo
AWOL significa
Absent Without Official Leave e in gergo militare (ma anche nel
linguaggio comune) vuol dire "sparire", andarsene senza dire niente a
nessuno.
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Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
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Capitolo 9 *** I tre tesori di Mayu ***
cap 8
Mayu spense lo schermo olografico e la cabina
piombò nel silenzio.
Sbuffò. Era stufa di vedere Chīsanahito lanciare appelli per
il rilascio suo e di Yuki su ogni canale con quell'espressione di falsa
preoccupazione sempre stampata sul viso... e ormai andava avanti da
poco dopo il decollo della Karyu: ben due settimane.
– Eccolo
là, il mio sostituto – Tadashi smise di
sbocconcellare il suo pranzo e fece una smorfia – Un mediocre
attore che recita controvoglia una parte non adatta a lui e manco si
sogna di provare a migliorarsi. Mi chiedo come ci possa essere ancora
qualcuno che lo sostiene.
– Finisci di
mangiare, Tadashi. Ti devi rimettere in forze.
– Bah!
– un'altra smorfia – Non ho più la
nausea, ma non sentire i sapori non aiuta certo l'appetito, sai? Se
solo per oggi potessimo evitare la medicina...
– Avanti,
Tadashi, non fare il bambino!
– Come siamo
severi! Ecco: contenta? – Tadashi si mise in bocca una grossa
forchettata di cibo – Stai diventando uguale a Yuki, lo sai?
– Strano: lei
sostiene che ho la testa dura e sono incosciente come te alla
mia età.
Tadashi tossì: il boccone gli era andato di traverso.
– Ben ti sta
– Mayu s'avvicinò al tavolo e gli
offrì un bicchier d'acqua.
– Non farmi
ridere mentre mangio! – ansimò Tadashi, rosso come un peperone e con le lacrime agli occhi.
– E tu non
fare i capricci! – sghignazzò Mayu. Era
così ridicolo che non riuscì a trattenersi
– A volte mi sembri un fratello minore, altro che
“l'uomo di casa”!
– Ah,
finalmente un sorriso! – Tadashi la afferrò alla
vita e se la tirò in grembo – Era ora!
Mayu girò la testa e lo guardò sorpresa.
– L'hai fatto
apposta?
Lui arricciò il naso.
– Chissà.
Però è bello sentirti ridere di nuovo.
Era vero. Era bello ridere di nuovo.
Dalla sera in cui Harlock gli aveva sparato, Mayu aveva creduto che non
ci sarebbe più riuscita.
Quel colpo di pistola che aveva quasi fermato il cuore di Tadashi aveva
diviso il suo a metà: amava Harlock come un padre e Tadashi
come un fratello maggiore, anche se nelle loro vene non scorreva lo
stesso sangue. Forse, li amava ancora di più proprio per
questo. Gli appoggiò la testa sulla spalla.
– Ho paura,
Tadashi – chiuse gli occhi – Non voglio perdere
né te, né Yuki... e nemmeno Harlock! Torneremo
mai come prima?
– Non lo so
– Tadashi le accarezzò i capelli – Ma
farò di tutto per scoprire la verità, te lo giuro.
Bussarono alla porta. Mayu si alzò e si guardò
intorno.
Il Dottore russava sulla sua branda, la bottiglia vuota
ancora stretta nella mano e Mi che affilava le unghie sul suo camice
già logoro.
Andò ad aprire. Era il Vice-Comandante della Karyu, Shizuo
Ishikura.
– Buonasera,
Signor Daiba. Signorina Oyama... – guardò verso il
Dottore con aria perplessa, poi riportò l'attenzione su
Tadashi – Non vedo la Signora Kei.
– È
nell'altra stanza – lo informò Mayu –
Forse si è addormentata.
– Ah... bene,
non importa: volevo solo informarvi che arriveremo su Heavy Meldar tra
circa venti minuti: provvederò a mandarvi il Dottore poco
prima dell'atterraggio.
– Grazie,
Signor Ishikura, ma non credo ce ne sia bisogno – Tadashi
spinse via il piatto e si alzò – Non ho sofferto
conseguenze né durante il decollo né durante i
salti iperspaziali. Anzi, le dirò: mi sento molto in forze.
Forse questa breve vacanza sulla vostra nave mi ha giovato.
– Ne sono
contento.
– Grazie della
premura, comunque.
– Il Capitano
vuole inoltre che la informi che, appena atterrati, cominceremo subito
il lavoro di raccolta delle informazioni: i primi due gruppi a uscire
saranno formati da me, dal Capitano in persona e da altri due elementi.
Il Comandante Oki rimarrà a bordo per coordinare le
operazioni: se avrete bisogno di qualcosa, potrete rivolgervi a lei.
Ogni tre ore è previsto l'aggiornamento via radio e ogni sei
il ritorno sulla nave per il cambio con un altro gruppo. Vi terremo
informati di ogni sviluppo in tempo reale.
– Bene
– annuì Tadashi – Dica a Zero che
vi sono davvero grato per quanto state facendo per noi.
– Agli ordini
– Ishikura scattò sull'attenti – Con
permesso, vado a prepararmi.
Aprì la porta e se ne andò.
Tadashi si stiracchiò e allacciò il colletto
della tuta spaziale. Vestito così, a Mayu ricordò
il giovane pirata che aveva conosciuto sette anni prima, solo un po'
più alto e meno sbarazzino.
– D'accordo: diamoci da fare.
– Scenderemo
anche noi a terra?
– No, te l'ho
già detto: sarebbe troppo pericoloso. Io sono ufficialmente
morto mentre tu e Yuki risultate scomparse. Tutti conoscono le nostre
facce e potremmo procurare dei guai a Zero, se andassimo con lui e i
suoi uomini.
– Lascia
andare almeno me! Potrei travestirmi come quando siamo saliti...
– Mayu: no
– Tadashi s'accigliò – Capisco
la tua voglia di renderti utile... anch'io vorrei poter fare qualcosa
che non sia star qui ad aspettare, ma non possiamo rischiare di far
saltare tutto. Lo capisci?
Mayu abbassò il capo. Tadashi le accarezzò di
nuovo i capelli.
– Su, va' un
po' a letto, ora. Stasera tu e Yuki dovrete essere in forza e ben
sveglie – aprì la porta della stanza in cui si
erano sistemate.
Yuki era distesa sulla sua branda, girata su un fianco, un libro ancora
aperto in mano. Non si mosse. Tadashi s'avvicinò, si
chinò su di lei e prese il libro. Lo posò sul
comodino.
– Povera Yuki,
devi essere davvero a pezzi. Mi dispiace.
La coprì col lenzuolo, le sfiorò i capelli e si
alzò. Aveva un'espressione triste.
– Non
è stata colpa tua.
– Forse
– Tadashi strinse il pugno – Ma ho lasciato che si
accollasse troppe preoccupazioni: negli ultimi tempi non ha fatto altro
che lavorare, studiare un piano per toglierci dai pasticci e starmi
accanto, giorno e notte. Non le sono stato d'aiuto nemmeno un po'. E
come se non bastasse...
Anche se non finì la frase, Mayu capì cosa voleva
dire.
E come se non bastasse,
il suo adorato Capitano ha tentato di ucciderla.
Si chiese se la sensazione che avevano provato Yuki e Tadashi fosse
orribile come quella che sentiva lei ogni volta che ripensava ad
Harlock, il suo amato Harlock, che le puntava contro la pistola.
– Io volevo aiutarla. Ma
l'unica cosa che m'ha permesso di fare è stata contattare
Zero e stare con te, qualche volta. E ho dovuto insistere anche per quello. Mi ha persino sgridata per averle salvato la vita...
– Aveva
ragione. Non fare mai più una cosa tanto avventata.
Le vennero le lacrime agli occhi e dovette fare appello a tutte le sue
forze per non urlare.
– Ma
perché non vi fidate di me? Non sono più una
bambina, so badare a me stessa.
– Lo so
– Tadashi le sorrise malinconico – E lo sa anche Yuki.
– Ma allora
perché? – davvero non li capiva.
Alla sua età, sia Yuki che Tadashi facevano i pirati. La
loro vita, in quel periodo, era stata un susseguirsi di sparatorie,
duelli nello spazio, combattimenti all'ultimo sangue, tranelli e
pericoli. Perché, se loro se l'erano sempre
cavata, non avrebbe potuto riuscirci anche lei?
– Perché
sia io che lei preferiremmo farci ammazzare un milione di volte
piuttosto che vederti in pericolo per un solo secondo. Se ti
capitasse qualcosa, Yuki ne morirebbe. E anch'io.
Mayu si vergognò di aver pensato male
di loro. Guardò Yuki e poi Tadashi. Le lacrime che aveva
cercato di trattenere le scesero sulle guance. Non erano più
di rabbia. Forse, solo in minima parte.
– Vi voglio
bene, Tadashi – gli gettò le braccia attorno alla
vita – Ma siete due stupidi.
– Lo so.
– Siete due
stupidi perché anch'io morirei se vi capitasse qualcosa.
– Lo so
– lui la staccò da sé – Ma
ora non piangere. Ricordi? Ti voglio veder sorridere.
Mayu s'asciugò le lacrime. Gli porse il bicchiere d'acqua
che aveva sul comodino e le due pillole che aveva in tasca.
– Tieni,
prendi la tua medicina.
– Oh, no!
– Tadashi si portò la mano alla fronte con un gesto melodrammatico – Speravo te
ne fossi dimenticata!
– Niente
capricci – gli ricordò Mayu con un sorriso.
– Come mai due?
– I Dottori
hanno detto che per l'atterraggio è più prudente
raddoppiare la dose.
Con un'alzata di spalle, Tadashi prese le due capsule, se le mise in
bocca e le mandò giù.
– Ora a
letto, Mayu. Sei sveglia da più di diciotto ore.
In realtà, ne aveva dormite quattro o cinque tra il
risveglio di Tadashi e la fine del turno del Dottor Zero, ma non
protestò. Si stese sulla branda e
lasciò che lui spegnesse la luce.
Quando fu uscito, accese il lume e si mise a sedere.
Sul tavolino, accanto al bicchiere, c'erano i suoi tesori: l'ocarina e
la Cosmo Dragoon.
Ognuno di quegli oggetti, ogni volta che li guardava, le facevano
tornare alla mente una marea di ricordi.
L'ocarina era indissolubilmente legata ad Harlock.
Ricordava il giorno in cui gliel'aveva messa per la prima volta al
collo come se fosse successo un momento prima, il suo sorriso velato di
tristezza mentre raccoglievano i fiori da portare sulla tomba di suo
padre e la sua mano così grande e forte che con delicatezza
infinita posava il mazzo ai piedi della croce, accanto al suo.
Quel giorno aveva rischiato la vita pur di stare un po' con lei, pur di
darle quello strumento e mantenere una promessa fattale quando
aveva appena cinque anni.
Ogni istante trascorso insieme, da allora, era stato così:
un miscuglio di pericolo, serenità, musica e cose non dette.
Ogni volta, lei aveva desiderato che lui non venisse, ma poi gli era
corsa incontro a braccia aperte, felice che fosse lì.
Ogni volta avrebbe voluto dirgli un sacco di cose e farsi raccontare di
lui, dell'Arcadia e delle sue avventure in giro per il cosmo, ma poi si
era sempre messa a suonare mentre lui rimaneva ad ascoltarla in
silenzio, l'unico occhio chiuso e le braccia incrociate dietro la
testa, disteso nel prato o appoggiato al tronco di un albero, la mente
che vagava chissà dove.
Ogni volta, mentre suonava, aveva desiderato che andasse subito via, e
allo stesso tempo che non la lasciasse mai.
Poi, un giorno, era partito per non tornare più.
Era successo la sera del suo nono compleanno, il giorno in cui le aveva
lasciato la pistola di sua madre. Mayu accarezzò l'arma.
Più che Emeraldas, di cui aveva solo alcune vecchie foto e
qualche ricordo frammentario, le faceva venire in mente Yuki e Tadashi,
e il periodo in cui aveva cominciato a vivere con loro.
Yuki che rifiutava di lasciarla di nuovo alle cure della direttrice del
Santa Giovanna, le mani sui fianchi e un cipiglio da far venire i
brividi su quel viso di solito tanto angelico.
Tadashi arrampicato su una scala che riparava il tetto di quella che
sarebbe diventata la sua prima vera stanza, fra sternuti e imprecazioni
perché più martellava, più il buco nel
soffitto pareva allargarsi.
Yuki che cucinava per lei, le mani delicate screpolate e piene di
bruciature.
Tadashi che suonava all'armonica la melodia che lei intonava sempre con
l'ocarina.
Yuki che le insegnava a distinguere le costellazioni e le parlava dei
sistemi stellari in cui era stata.
Tadashi che giocava con lei nella neve o fra i prati, mentre le
stagioni si susseguivano.
Ma, più di tutto, loro due che le insegnavano a sparare,
proprio con quella pistola.
Avevano cominciato il giorno del suo decimo compleanno, il primo in cui
Harlock non s'era fatto vivo. Lei lo aveva aspettato tutto il giorno
e tutta la notte. Da qualche parte nel suo cuore sapeva già che non
sarebbe venuto e che non l'avrebbe mai più rivisto, eppure
non era riuscita a impedirsi di scoppiare in lacrime quando l'orologio
aveva battuto dodici rintocchi.
A un certo punto, loro le avevano messo fra le mani la pistola e le
avevano detto che per lei era giunto il momento di prendere in mano la sua vita: le
avrebbero insegnato tutto ciò che sapevano e, un giorno, quando
fosse stata pronta, quando avessero costruito una nuova storia per il
genere umano come gli avevano promesso, sarebbero andati a cercarlo
insieme.
Soprattutto all'inizio, Mayu aveva creduto che avessero fatto
tutte quelle cose come una sorta di dimostrazione di rispetto per il
loro Capitano, ma in quel momento più che mai sentiva che
erano diventati davvero la sua famiglia, che le avevano sempre voluto
bene. Davvero.
Un bagliore si rifletté sulla Cosmo Dragoon posata accanto
alla sua.
La pistola di Harlock.
La prese in mano.
Era molto consumata: la canna era rigata e annerita in più
punti e le guancette dell'impugnatura erano ormai sbiadite e del tutto lisce dove lui
l'aveva stretta fra le mani. Quell'arma doveva aver affrontato innumerevoli battaglie, e si vedeva.
Da quella pistola era partito il colpo che aveva quasi ucciso Tadashi.
Con quella pistola, Harlock aveva sparato a Yuki.
Quella pistola l'aveva puntata contro di lei.
Mayu s'alzò e aprì l'armadio. Ne
tirò fuori la divisa che Zero le aveva dato per imbarcarsi
di nascosto sulla Karyu e un berretto che il Capitano doveva
aver dimenticato di prendere e li indossò.
Guardò Yuki, il bicchiere vuoto sul comodino, il cestino in
cui aveva buttato il blister di sonniferi che aveva chiesto al Dottor
Machine e solo finto di prendere nei giorni prima e i tovaglioli in cui
aveva tenuto la polvere che aveva versato nel bicchiere di Yuki e nella
bottiglia del Dottor Zero.
Si sentì in colpa, ma ormai aveva preso la sua decisione e
doveva andare fino in fondo.
– Mi dispiace,
Yuki – le diede un leggero bacio sulla guancia –
Sto di nuovo per fare una cosa da incosciente che ti farà
preoccupare, ma anche se ci fosse solo una possibilità su un
milione d'incontrarlo o capire cosa gli è successo, devo
andare.
Allacciò al fianco la fondina, mise al collo la sua
ocarina e uscì nell'altra stanza.
Tadashi dormiva seduto alla scrivania, la testa appoggiata
sull'avambraccio.
Mayu gli scostò una ciocca di capelli dagli occhi e baciò
anche la sua guancia.
Di certo, si sarebbe arrabbiato al suo risveglio.
– Scusa,
Tadashi.
Guardò l'ora: mancavano dieci minuti alle quindici. Si
voltò indietro un'ultima volta, si chiuse la porta
alle spalle e partì coi suoi tre tesori: l'ocarina, la
pistola e il pensiero di coloro che amava.
Ehm... chiedo scusa per le
quantità industriali di zucchero in questo capitolo!
Giuro che non lo faccio più... XD
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 10 *** Il Signor Ishikura e le donne ***
cap 8
Shizuo Ishikura allacciò la cintura di sicurezza,
premette il pulsante di chiusura del cupolino e avviò il
motore del Bullet Four numero due.
Accanto a lui, Grenadier allungò le gambe sul cruscotto e
cominciò a fischiettare un'allegra marcetta militare.
Gliel'aveva fatta anche stavolta: si era fatto mettere in coppia
con lui nonostante le sue proteste e sapeva che avrebbe cercato di
convincerlo a incontrare Sylviana.
Ishikura alzò gli occhi al cielo e mise in moto.
Tenne dietro in silenzio a Eluder e al Capitano Zero fino al Saloon
di Gun Frontier.
– Gun Frontier – Grenadier sospirò – Quanti bei ricordi!
Ishikura lo ignorò, scese e andò incontro a Zero
ed Eluder.
– Dunque, Signori, ricapitoliamo – Zero si
schiarì la voce e si sistemò il cappello
– La missione è puramente ricognitiva. Obiettivo:
ottenere informazioni sulla posizione di Harlock o dell'Arcadia. Niente
scontri, niente iniziative personali, niente danni a cose, persone o
animali.
Gli scoccò uno sguardo significativo e lui scattò
sull'attenti.
– Agli ordini.
– Il punto di ritrovo è fissato all'interno del
Saloon fra tre ore esatte, alle 18.00. In caso di problemi al veicolo o
all'attrezzatura, comunicate la vostra posizione e attendete in loco.
In caso avvistiate l'obiettivo, il mio ordine tassativo
è di non ingaggiare alcuno scontro: limitatevi a pedinarlo,
lanciate il segnale convenuto e attendete rinforzi. Sono stato chiaro?
– Limpido, Capitano! – Grenadier rimirò il Saloon con espressione estatica.
– Bene, Signori. Io ed Eluder andremo a sentire le autorità
locali e, in caso d'insuccesso, i macchinisti della Galaxy Express
Railways. A voi restano i cacciatori di taglie e i negozianti locali.
Ci vediamo qui fra tre ore. Buon lavoro.
– Anche a lei,
Capitano.
Con un rapido cenno di saluto, Zero s'avviò verso l'ufficio
dello Sceriffo seguito da Eluder.
Grenadier accennò al Saloon.
– Che dici, entriamo a farci un goccetto?
– Siamo in servizio e non sono nemmeno le quattro del
pomeriggio, Grenadier.
– E va bene, rompiscatole – Grenadier
sbuffò e incrociò le braccia sul petto
– Allora metti in moto e andiamo da Sylviana.
– Ancora con questa storia? – Ishikura si sentiva
le orecchie in fiamme – Non sono d'accordo, lo sai: non ci
si può fidare di quella donna!
Grenadier lo guardò e si mise a ridere.
Era stato lui a suggerire al Capitano l'idea dei cacciatori di taglie e, per somma disgrazia di Ishikura, Sylviana era la più famosa esponente locale
della categoria.
– Su, non fare il timido, Ishikura! Tanto lo so che la vuoi
rivedere anche tu!
Ishikura diede un calcio a un sasso e affondò le mani nelle tasche. – Quanto vorrei rivedere una vipera – diede le spalle a Grenadier e s'incamminò verso il Bullet Four
– E poi chi ti dice che sia ancora qui, dopo tutti questi
anni?
– Diavolo, è una cacciatrice di taglie! Dove altro
potrebbe voler stare?
In effetti, quello era il luogo ideale: una città di
frontiera in un pianeta di frontiera, un luogo di passaggio obbligato
per chiunque viaggiasse nello spazio.
Era l'ultimo santuario per chiunque avesse sogni di
libertà... o qualcosa da nascondere.
“Gun
Frontier… dove gli uomini veri vagano sempre con le pistole
in mano.”
Ishikura si guardò intorno e, sebbene non avesse mai del tutto capito
perché qualcuno, alle soglie del trentesimo secolo, potesse
voler vivere come alla fine del diciannovesimo sulla Terra, dovette
ammettere che era un luogo affascinante. Con la sua divisa immacolata e
quel mezzo militare modernissimo, si sentì un po'fuori posto.
– E tu da dove diavolo sbuchi?
La voce di Grenadier lo distolse da quei pensieri. Si voltò.
Grenadier teneva per la collottola quello che sembrava un loro ufficiale con in
testa il berretto del Capitano.
Ishikura s'avvicinò, lo guardò meglio e sbiancò.
– Che ci facevi nel vano per l'equipaggiamento, eh? Rispondi!
– Grenadier diede una botta al cappello del clandestino, che
volò a terra.
Folti capelli scuri ricaddero sul suo viso e le sue spalle.
Grenadier spalancò gli occhi.
– Ma... ma... ma...
Ecco fatto: adesso siamo
nei guai!
Ishikura si guardò intorno. Per fortuna c'era poca gente per
strada e nessuno pareva far caso a loro.
Per il momento.
Afferrò il braccio di Grenadier.
– Mollala e salite tutti e due – gli
sussurrò mentre raccoglieva il cappello e lo riconsegnava
alla proprietaria – Sbrigatevi!
Mise in moto e si allontanò il più in fretta
possibile, un mare di pensieri per la testa... e nessuno buono.
– Ma questa è Mayu Oyama!
– Dimmi qualcosa che non so, Grenadier – Ishikura
sterzò con violenza e imboccò la strada che
portava fuori città – Per esempio come spiegarlo
al Capitano.
– Vuoi dire che per tutto questo tempo è stata a
bordo della Karyu? Magari insieme alla Signora Kei?
Se solo sapessi... Ishikura ricordò lo shock provato nel vedere loro due
e il defunto Tadashi Daiba nella cabina del Capitano e sospirò. Persino
l'imperturbabile Comandante Oki, al suo fianco, era impallidita.
– Non posso rivelare nulla senza l'autorizzazione del
Capitano – disse invece, gli occhi fissi sulla strada piena
di buche e sassi – Contattalo sulla linea sicura, Grenadier,
e chiedigli istruzioni.
– No, vi prego! Lasciatemi scendere!
– Non posso, Signorina. Per la sua sicurezza, è
meglio che torni subito sulla Karyu. Questo posto è
pericoloso.
– Per favore, Signor Ishikura – Mayu si sporse in avanti – Io devo trovare Harlock!
È come un padre per me! Voglio capire cosa gli
è successo, parlare con lui...
– Mi spiace, ma non posso permettere che si metta in
pericolo. È sotto la mia diretta responsabilità.
– Allora lasciatemi almeno venire con voi! Prometto che non
tenterò di scappare e non farò nulla di
pericoloso. Con voi due sarò al sicuro come sulla nave. Se
poi il Capitano Zero dovesse arrabbiarsi, mi prenderò le mie
responsabilità.
– Mi sembra ragionevole, Ishikura – Grenadier si
grattò il mento – Dai, accontentiamola!
– Ma non dire idiozie! – Ishikura sterzò di nuovo
per evitare una buca e ne prese un'altra ancora più
profonda. Il mezzo sobbalzò con violenza – La
stanno cercando in tutto l'universo, nel caso te lo fossi scordato.
Inoltre siamo in uno dei posti più pericolosi in assoluto
sulle tracce di uno degli uomini più pericolosi in assoluto
che forse è pure impazzito e tu vorresti...
– Impazzito?
Ishikura frenò.
Che idiota!
Come aveva potuto dire una cosa del genere proprio davanti a lei?
La guardò. Come aveva temuto, i suoi grandi occhi castani
erano colmi di lacrime.
– Ishikura! – Grenadier lo afferrò per
il colletto – Guarda cos'hai combinato!
– Non intendevo...
Mayu singhiozzò. Grenadier alzò un pugno.
– Mi dispiace!
– Meriteresti che t'ammazzassi di botte –
Grenadier lo mollò – Ma mi accontenterò
che ci porti da Sylviana.
– Ma...
– Senza discussioni, o dirò al Capitano che hai
ignorato di proposito una traccia e maltrattato la Signorina
– ghignò – Senza contare che non ti sei
accorto che era nascosta nel vano delle attrezzature.
Bastardo!
– Non te ne sei accorto nemmeno tu – gli
ringhiò – E il Capitano aveva ordinato di
contattarlo, in caso di problemi.
– No – Grenadier alzò un dito con un
sorriso fiero stampato in volto – Aveva ordinato di
contattarlo in caso di problemi alle
attrezzature o al veicolo e di limitarsi a pedinare
Harlock se per caso l'avessimo trovato. Non è successo nulla
di tutto questo.
Ishikura si passò una mano sul viso. Quell'uomo era davvero
impossibile.
E si ricordava le istruzioni di missione solo quando non doveva. O se
gli conveniva.
– Ti rendi conto di cosa succederà sulla Karyu
quando s'accorgeranno della sua scomparsa? Ti rendi conto che il
Capitano ci ucciderà con le sue mani?
– Faremo in fretta – Grenadier gli fece un gesto vago
– Andiamo da Sylviana, le chiediamo di Harlock e contattiamo subito Zero. Se lui ordinerà
così, riporteremo indietro la Signorina. Basterà fare finta
di non esserci accorti di nulla fino ad allora.
Ma perché
ogni volta che vengo qui con lui mi ficco nei pasticci?
Perché gli do ancora retta?
Guardò Mayu, seduta sul sedile posteriore. Si era asciugata
le lacrime e lo guardava speranzosa.
E perché se
una donna mi guarda così non riesco a resistere?
– Maledizione – riavviò il mezzo e svoltò in direzione della casa
di Sylviana, le guance in fiamme – Il Capitano mi ucciderà.
– Sì... decisamente questa volta non si
limiterà a darti un pugno.
– Grazie tante, Grenadier.
Per tutto il tragitto, nessuno parlò. Per fortuna.
Arrivarono alla casupola di Sylviana in meno di mezz'ora.
A dispetto delle speranze di Ishikura, pareva ancora abitata: c'erano tende
alle finestre e le luci accese, senza contare il piccolo jet col
simbolo personale della cacciatrice di taglie parcheggiato sotto un
riparo di lamiere.
Una specie di cavallo,
un cuore e una cometa...
Per essere una spietata bounty killer, Sylviana aveva ancora un lato
sorprendentemente frivolo e infantile. Ishikura scese e
bussò. Nessuno rispose.
– Non c'è – allargò le
braccia – Ora chiama il Capitano, Grenadier.
L'ex mercenario scese, si chinò davanti alla porta, estrasse
dalla tasca un grimaldello e un coltellino e si mise ad armeggiare con
la serratura.
– Entriamo.
– Ma sei matto?!
– Perché? – Grenadier alzò le
spalle – Qui puoi fare tutto: basta esserne capace. E io
sono uno specialista con queste vecchie toppe.
– Il Capitano aveva detto di non fare danni – Ishikura aveva
voglia di piangere. O di spaccargli la testa. Forse avrebbe fatto
entrambe le cose, se non ci fosse stata quella ragazzina al suo fianco.
– E io mica voglio tirarle giù la casa. Mi basta
entrare.
La serratura scattò. Dentro, rumore d'acqua corrente.
A quanto pareva, Sylviana era sotto la doccia.
Ishikura arrossì di nuovo e si passò la mano sul viso.
Ma tu guarda in che
situazioni assurde mi devo cacciare...
– Ehi, Sylviana! Ci sei? – Grenadier
bussò alla porta del bagno. Nessuna risposta.
Aspettarono qualche istante.
– Forse si è sentita male – Mayu
parlò per la prima volta da quando erano arrivati
– Posso andare a vedere.
– Non se ne parla, Signorina. Lei è sotto la mia
diretta responsabilità.
– Allora vado io – Grenadier mise una mano sulla
maniglia.
– No!
Troppo tardi. Ishikura si preparò a uno
strillo e al lancio di oggetti che di sicuro lo avrebbe seguito.
Invece, vide Grenadier sussultare più volte e cadere a terra.
Corrente elettrica?!
Diede un calcio alla porta. Sulla maniglia interna c'era un morsetto
collegato a un generatore.
Nella stanza, nessuno.
– Cercavi me, soldatino?
Si voltò. Sylviana era dietro di lui e puntava la pistola
alla tempia di Mayu.
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Capitolo 11 *** Heavy Red Barbour ***
cap 8
Zero si asciugò il sudore dalla fronte e
guardò l'orologio: le cinque e quaranta.
– Signor
Eluder, è meglio incamminarsi – fra meno di un'ora
si sarebbero dovuti ritrovare al Saloon.
Non avevano ancora combinato niente: lo sceriffo era morto una
settimana prima in una sparatoria e il suo Vice era fuori a sedare una
qualche lite per questioni di proprietà, mentre i
controllori, i macchinisti e gli addetti ai radar delle Galaxy Express Railways che avevano interrogato
non gli erano stati utili; sia Harlock che l'Arcadia sembravano svaniti
nel nulla.
Chissà se
Ishikura e Grenadier hanno avuto maggior fortuna.
Lo escludeva, in realtà: in caso contrario lo avrebbero
già contattato. O almeno lo sperava.
Camminare di nuovo per Gun Frontier mentre scendeva la sera lo
riportò indietro nel tempo, insieme a Tochiro, a Emeraldas e
a un Harlock ventenne con ancora entrambi gli occhi, a un brindisi
lontano con un nemico che, aveva pensato allora, in altre circostanze
sarebbe potuto forse diventare il suo migliore amico.
Ricordò quella sera: avevano bevuto Heavy Red Barbour
ghiacciato, parlato a lungo dei loro ideali e dei motivi che li
spingevano a combattere e infine s'erano promessi l'un l'altro di
affrontarsi da veri uomini, con lealtà e rispetto, in mezzo
alle stelle o in qualunque altro luogo il destino e le loro scelte li
avessero portati. Era un peccato che i loro metodi fossero
così diversi e inconciliabili: quell'uomo aveva il suo
stesso identico sogno e il cuore puro di un vero guerriero.
O almeno,
così era allora...
La
piazza centrale della città si profilò davanti a lui nella
luce della sera e Zero pensò che la vita era davvero strana.
Tanto tempo, tante traversie e adesso era di nuovo lì, allo
stesso punto di partenza di quattordici anni prima, impegnato nella
stessa missione. Rise fra sé e bussò alla porta dello
sceriffo.
– Avanti!
Entrò. Un forte odore di petrolio gli penetrò nelle narici.
Il Vice-Sceriffo Carson era seduto alla scrivania e stava pulendo la
sua pistola, un vecchio modello a tamburo che Zero non conosceva.
Alzò gli occhi dal suo lavoro e lo guardò di
sbieco: i soldati della Federazione non erano molto ben visti da quelle
parti.
Zero si levò il Cappello e gli porse la mano.
– Sono il
Capitano Warius Zero, della Flotta Unita Terrestre. Lui è il
Signor Ax Eluder, pilota e timoniere della Karyu.
L'uomo ignorò il suo gesto, prese uno scovolo di crine dal
piano di lavoro e lo passò con cura nella canna della
pistola.
– Cosa posso
fare per voi?
– Fornirci
qualche informazione, se ne è in possesso – Zero
lasciò cadere la mano lungo il fianco e sedette davanti a
lui – Sono in missione per conto del Comando Centrale
dell'Esercito Federale: il mio scopo è rintracciare e
arrestare il pirata spaziale Harlock.
Carson posò lo scovolo e afferrò una pezzuola di
cotone.
– Finalmente
si svegliano, laggiù – arrotolò lo
straccio intorno a un bastoncino di metallo e infilò
anch'esso nella canna – Peccato che succeda solo
quando ci va di mezzo qualche pezzo grosso dei loro.
– Prego?
Carson estrasse la pezzuola e la esaminò. Era ancora candida.
Con un impercettibile cenno d'assenso, la usò per coprire la
canna e passò al tamburo.
– Un anno fa,
un mese dopo l'esplosione a Elpìs, lo Sceriffo Lund aveva
chiesto supporto per due casi di sparizione avvenuti qui a Gun Frontier
e collegabili proprio ad Harlock – Carson riprese in mano lo
scovolo, versò il solvente nelle camere del tamburo e
spazzolò con vigore – Bé,
sapete cosa gli risposero i vostri superiori, Signor Capitano e Signor
Pilota? Che visto che questa è una città libera
su un libero pianeta doveva arrangiarsi, che non c'erano prove
materiali che quelle persone fossero proprio chi pensavamo noi e tanto
meno che
Harlock fosse implicato in qualcosa di losco, solo voci senza fondamento!
Zero rigirò fra le mani il berretto.
Un altro mistero?
Proprio quel che ci mancava...
– Chi erano le
persone scomparse?
– Ben due
importanti ex membri dell'equipaggio di Harlock, arrivati qui col
Galaxy Express e svaniti nel nulla nel giro di ventiquattr'ore
– Carson esaminò la parte anteriore del tamburo e
sfregò anche quella – Lund
inviò non so quante comunicazioni al vostro Ministero della
Difesa paventando che quel pirata stesse rimettendo insieme la sua
banda di tagliagole per chissà quale motivo, ma fu ignorato:
il Ministro gli diede addirittura del pazzo visionario. E adesso avete il
coraggio di chiedere la mia collaborazione?
– Un momento,
Signor Carson: due ex membri dell'equipaggio dell'Arcadia? Non mi
risulta che nessuno di loro sia mai venuto su Heavy Meldar negli ultimi
tre anni.
– Le risulta
male – il Vice-Sceriffo prese uno scovolo di rame e spazzolò con cura il tamburo della pistola
– Ho visto di persona uno di loro scendere dal treno e
andarsene con un tizio avvolto in un mantello nero dalla testa ai piedi
e ho nello schedario il passaporto dell'altro –
asciugò il pezzo e indicò la bacheca con i manifesti dei
ricercati – Viaggiavano sotto falso nome, ma dopo tutti gli
anni in cui ho avuto le loro facce appese davanti agli occhi su quel
muro insieme a quella del loro Capitano, non posso sbagliarmi: erano
l'Ufficiale di Rotta Yattaran e il Capo Macchinista Maji.
Zero spalancò gli occhi. Né Tadashi né
Yuki avevano accennato a nulla di simile.
– Da quanto ne
so io, sono scomparsi proprio un mese dopo l'esplosione di
Elpìs, ma sulla Terra: nessuno ha mai accennato al Galaxy
Express o a questo posto.
– Allora
qualcuno le nasconde qualcosa, caro il mio Capitano –
Carson rise e bagnò con una goccia d'olio i congegni di scatto e
rotazione del tamburo – Prima di buttarsi dietro ad Harlock e
alla sua ciurma, le consiglierei di capire di chi fidarsi fra i suoi!
Zero rimase in silenzio. Il Vice-Sceriffo tolse la pezzuola da
sopra la canna, la bagnò col solvente e la passò sulla pistola. Provò il timing: la rotazione era fluida.
Richiuse l'arma con un abile movimento del polso, la infilò
nella fondina e si alzò.
– Bene, io
devo andare. E anche voi.
– Posso vedere
quel passaporto? – Zero si alzò a sua volta.
Carson andò allo schedario, armeggiò con i
cassetti e gli porse una cartella.
Zero l'aprì: dentro c'erano dei documenti, un paio di
biglietti del Galaxy Express e alcuni fogli dattiloscritti, di certo
con una vecchia macchina da scrivere.
Solo a Gun Frontier...
Tutto quello che abbiamo trovato è lì dentro,
insieme ai rapporti del povero Lund. È tutto suo.
– La ringrazio
– Zero si rimise il cappello e si avviò verso la
porta.
– Vi
tratterrete molto, Capitano?
– Tutto il
tempo necessario, Vice-Sceriffo. È stato un piacere.
Eluder gli tenne aperta la porta e lui uscì.
– Che uomo
irritante.
Zero scollò le spalle.
– Almeno ci ha
dato quel che volevamo senza troppe storie – guardò l'orologio – Signor Eluder,
torni al Bullet e contatti sia la Karyu che Ishikura, poi ci
raggiunga al punto d'incontro.
Zero s'incamminò verso il Saloon cercando di
rimettere ordine nei suoi pensieri.
Le consiglierei di
capire di chi fidarsi fra i suoi!
Le parole di Carson gli rimbombavano nella testa.
Si chiese chi potesse avere interesse a coprire il viaggio di Yattaran
e Maji a Gun Frontier e perché.
Poi, un pensiero gli attraversò il cervello: per riuscirci,
chiunque fosse, doveva avere molto potere, quantomeno un aggancio ai
piani alti del Ministero della Difesa e la possibilità d'influenzare i mezzi d'informazione, dato che nulla di tutto
ciò era trapelato e che nemmeno il Primo Ministro pareva
esserne al corrente.
La teoria di Tadashi di una cospirazione interna al suo stesso Governo
pareva prendere corpo... Zero non voleva credere che fosse stato
proprio lui a mentirgli.
Entrò nel Saloon e andò a sedersi a un tavolo
d'angolo, la schiena rivolta al muro e gli occhi sulla porta.
Era improbabile che qualcuno tentasse d'aggredirlo da dietro o che
una sparatoria potesse coglierlo impreparato e forse quella sua
abitudine aveva un che di paranoico, ma preferiva avere sempre una
visione completa del luogo in cui si trovava e le spalle coperte.
Gli avventori erano pochi: era ancora presto per la cena e, a quanto pareva, non c'erano
spettacoli in programma. Meglio così:
avrebbe potuto fare il punto della situazione coi suoi uomini in
tutta tranquillità.
Aprì la cartella del Vice-Sceriffo.
Ciò che gli saltò subito agli occhi fu la foto
sul passaporto; il nome era diverso, ma Carson aveva ragione: quello
era senza dubbio il Capo Macchinista dell'Arcadia, Maji.
Il biglietto e il timbro avevano impressa la data del sedici settembre
duemilanovecentottantatre.
Elpìs era esplosa in agosto e quell'uomo era scomparso nel
nulla alla fine dello stesso mese.
Era il Direttore del Rifugio Harlock per gli orfani di guerra, un
benefattore adorato da tutti quasi quanto Daiba, e la cosa
fece scalpore.
Devo parlare con Yuki e
Tadashi. Inutile fare congetture adesso.
Richiuse la cartella e guardò l'orologio a muro: le 18.20.
Nessuna traccia né di Ishikura né di Grenadier.
Dove diavolo si saranno
cacciati?
Tamburellò sul tavolo con le dita. Sperò per loro che non
avessero combinato qualche guaio e si preparò un bel
discorsetto sull'importanza della puntualità durante lo
svolgimento delle missioni mentre osservava il barista andare avanti e
indietro fra i tavoli.
Non era lo stesso di quattordici anni prima.
Si chiese dove fosse. Probabilmente,
sotto tre metri di terra. Il pensiero lo
intristì.
Il barista si fermò a parlare con un cliente avviluppato
in un lungo mantello scuro, seduto anche lui spalle al muro e fronte
alla porta nella penombra che avvolgeva l'altra parte del locale, un bicchiere ancora pieno in
mano.
Il barista annuì e scomparve dietro il
bancone, poi venne verso di lui.
Gli posò davanti un bicchiere: Heavy Red Barbour. Ghiacciato.
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kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
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Capitolo 12 *** Mantelli neri, risse e altri misteri ***
cap 8
– Posa la pistola.
Lentamente.
Una goccia di sudore scese sulla guancia di Ishikura, dalla tempia al
mento.
Lo sguardo di Sylviana andava dalla sua mano, che aveva estratto ancor
prima che lui se ne rendesse conto, ai suoi occhi, alla testa di Mayu.
– Senti, ci
dispiace di essere entrati così in casa tua, ma non avevamo
cattive intenzioni. Noi...
– Posala
– Sylviana premette la canna contro la
tempia di Mayu e le passò il braccio sinistro attorno al
collo – O il ragazzino, qui, farà una brutta fine.
Ishikura gettò una rapida occhiata a Grenadier. Era ancora
immobile sul pavimento, privo di sensi.
Stupido, inutile
bestione! Prima mi mette nei guai, e poi... guardalo lì!
Inspirò a fondo, si chinò e posò la
sua arma a terra. Alzò le mani.
– Adesso
allontanala da te.
Ishikura diede un calcio alla pistola e alzò le mani.
– Va bene, hai
vinto, ma non fargli del male. Prendi me, piuttosto.
Sylviana scoppiò a ridere, la stessa risata sguaiata da
ragazzina che Ishikura ricordava da quattordici anni prima. Fece un
passo indietro e puntò la pistola su di lui.
– E
perché dovrei, se posso avervi tutti?
– A terra,
Signor Ishikura!
Mayu s'aggrappò al braccio di
Sylviana con entrambe le mani, lo strattonò verso il basso e
tirò giù la testa.
Con un movimento fulmineo, portò la sua gamba sinistra
dietro quella della cacciatrice di taglie, la agganciò e
usandola come guida ruotò di centottanta gradi portando con
sé la sua avversaria.
Colta di sorpresa, Sylviana perse l'equilibrio e cadde sulla schiena.
Premette il grilletto ma il colpo bucò soltanto le assi del
soffitto.
Ishikura scattò, un solo pensiero nella testa: recuperare la pistola.
Era poco distante, ma gli sembrò di metterci un secolo.
Con la coda dell'occhio, vide Mayu gettarsi addosso a Sylviana e
metterle un ginocchio sul polso per bloccarla e disarmarla; lei gemette
ma non lasciò andare la pistola.
Uno scatto da sotto la manica e nella sua mano sinistra apparve un
pugnale.
Mayu balzò all'indietro appena in tempo per non farsi
sfregiare da Sylviana ed estrasse la sua Cosmo Dragoon. L'attenzione
della cacciatrice di taglie era tutta rivolta alla ragazzina e Ishikura
ne approfittò per portarsi alle sue spalle.
– Ferma
lì, Sylviana! – le appoggiò la canna
della pistola sulla nuca – E giù le armi.
Sylviana si bloccò e si voltò verso di lui. Lasciò cadere
il pugnale e la pistola, si rialzò e slacciò i cinturoni.
– Complimenti,
mocciosa – guardò Mayu – Non m'aspettavo che uno scricciolo come te sapesse uscire da
una presa posteriore con strangolamento.
In effetti, non se l'era aspettato nemmeno Ishikura. Quella ragazzina
sembrava così dolce e inoffensiva...
E invece, ecco un'altra
pazza scatenata. Vatti a fidare delle donne! Riportò la sua attenzione su Sylviana.
– Che tu ci
creda o no, Sylviana, non vogliamo farti del male, quindi datti una
calmata, va bene?
Più che altro
non posso
farti del male, altrimenti il Capitano mi ucciderà due
volte... forse anche tre.
– Allora, cosa
diavolo volete?
Sylviana scavalcò Grenadier e
andò a chiudere il rubinetto della doccia.
Ishikura la seguì con la pistola in pugno, si
chinò accanto all'ex mercenario e gli mise due dita sulla
giugulare. Il cuore batteva ancora. Tirò un sospiro di
sollievo.
– Informazioni.
Cosa sai di Harlock?
– Ah, ho
capito – sghignazzò lei – A quanto pare,
il grande eroe Warius Zero ha deciso che dopo quattordici anni
era ora di portare a termine la sua missione!
Lento come un bradipo zoppo, ma meglio tardi che mai...
Ishikura si accigliò.
– Attenta a
come parli.
Sylviana si sedette sul bordo della vasca da bagno e guardò
Mayu.
– Vedo che ti
porti dietro una bella sorpresina. Potremmo fare un sacco di soldi se
la riportassimo sulla Terra, caro il mio soldatino –
accavallò le sue lunghe gambe e lo squadrò dalla
testa ai piedi, languida – Sai che, a guardarti bene, sei
proprio carino? Sul serio, non mi dispiacerebbe una bella vacanza noi
due soli per conoscerci meglio...
Dal punto in cui si trovava, Ishikura godeva di una generosa visuale
delle sue grazie, evidenziate dal vestito provocante ormai bagnato in
più punti.
Era certo che avesse calcolato tutto, persino il fatto che lui si sarebbe
chinato proprio lì.
Distolse lo sguardo e sperò che il calore che sentiva
salirgli alle guance non fosse troppo evidente sul suo volto.
– Con me non
attacca, Sylviana.
Si rialzò, diede un leggero
calcio a Grenadier con la punta dello stivale e le puntò di
nuovo contro la pistola. Sylviana gli strizzò l'occhio e s'avvicinò.
– Oh, e va
bene, ma sei tu che ci perdi – sorrise –
Soprattutto perché siete in trappola!
Ishikura si voltò e li vide. I due uomini erano arrivati
senza fare il minimo rumore, di sicuro dalle finestre frontali, l'unico
punto che da lì non poteva tenere d'occhio.
Circondavano Mayu da dietro, le pistole spianate, ed erano posizionati
in modo tale che lui non potesse colpirli senza il rischio che la
ragazzina ci andasse di mezzo... senza contare poi che aveva alle spalle
quella donna capace di tutto.
Quanto a Mayu, da quella distanza non sarebbe mai riuscita a girarsi e
stenderli prima che uno di loro le fosse addosso. Da Grenadier, nessun
segno di vita.
Maledizione!
Sylviana gli si mise di fronte, poggiò un dito sulla canna
della sua pistola, gliela fece abbassare e gli stampò un
bacio sulle labbra.
– Potrebbe
essere il nostro ultimo addio, soldatino. Quanto mi dispiace!
– Come hai...?
Per tutta risposta, lei andò a recuperare i cinturoni e li
riallacciò.
La fibbia a forma di cuore che li chiudeva lampeggiava.
Sylviana la premette sui bordi e il luccichio cessò. Un allarme
silenzioso.
Cercava di guadagnare
tempo... e io ci sono cascato come un pollo! Che vipera!
– Non dovresti
esser tu a proteggere noi, Sylviana? Uno dei due uomini
s'avvicinò e lo disarmò.
Era basso, incappucciato e avvolto in un
mantello scuro.
Impugnava una Cosmo Gun, le armi dei pirati di Harlock. Ishikura sudò
freddo.
– Sylviana,
non dirmi che sei in combutta con questa gente!
– Sai
com'è... m'hanno proposto un accordo molto vantaggioso.
– Novità
per quella cosa? – l'altro uomo spinse avanti Mayu e s'avvicinò. Il suo viso era coperto da un fazzoletto.
– Nulla, mi
spiace – Sylviana allargò le braccia –
La somma non è ancora sufficiente. Non per quello che volete
voi.
– Lasciamo
perdere, per adesso. Pensiamo a questi tre. Ragazzo, caricati in spalla il
tuo compare e non tentare scherzi. Vale anche per te, Signorina.
Ishikura obbedì. Gli ci volle uno sforzo enorme e l'aiuto di
uno dei suoi catturatori solo per riuscire a sollevare Grenadier. Anche se
avesse voluto, e non voleva per non mettere ancor di più in
pericolo la ragazzina o
il Capitano l'avrebbe ucciso per la quarta, quinta e sesta volta,
col peso di quel bestione sulle spalle non poteva certo
“tentare scherzi”.
Lo sapevo che dovevamo
chiamare il Capitano e riportarla a bordo. Ma perché
capitano tutte a me?
Li spinsero fuori dalla casa. Sylviana li ammanettò e aprì la porta del Bullet.
– Andiamo dal
capo, soldatino.
Gli calò un cappuccio sul viso e lo sospinse dentro. Così, legato e senza
sapere chi aveva davanti, dietro o di fianco, Ishikura si sentiva davvero inerme.
La frustrazione lo assalì, il viaggio pareva non finire mai ed era una svolta continua. Avrebbe perso l'orientamento persino se avesse conosciuto Heavy Meldar come le sue tasche.
Dannazione!
Alla fine il Bullet si fermò. Gli fecero percorrere ancora un lungo
tratto al buio. A un certo punto, il calore del sole fu sostituito da un'atmosfera
fresca e umida, priva di correnti.
Una grotta?
Lo costrinsero a sedere per terra e finalmente lo liberarono dal
cappuccio.
Ishikura si guardò intorno. Il posto sembrava una
miniera in disuso.
Nell'ampia sala sotterranea in cui si trovavano erano stipate in
disordine casse di cibo e forse armi, diverse brande, indumenti e,
cosa che gli sembrò del tutto fuori posto, un'arpa.
Grenadier e Mayu erano di fianco a lui. I due uomini si
tolsero cappuccio e fazzoletto. Mayu sbiancò.
– Maji!
Yattaran!
Ishikura li osservò bene e riconobbe anche lui l'ex Primo
Ufficiale della Death Shadow II.
Secondo le informazioni del Capitano, quei due erano scomparsi dalla
Terra da più di un anno e si temeva fossero morti. Che
accidenti ci facevano, su Heavy Meldar? E che cosa stavano combinando
lì?
Non ci capiva più niente: possibile che gli amici d'un
tempo fossero diventati tutti criminali senza scrupoli e volessero
far loro la pelle? Che diavolo stava succedendo?
– Yattaran,
Maji, sono Mayu! Non mi riconoscete?
Maji si grattò la barba e guardò Yattaran.
– Secondo te
è davvero lei? Yattaran allargò le braccia.
– Non possiamo
saperlo per certo. Mayu è scomparsa da settimane, lo sai
anche tu. E ci hanno
già provato.
– Ma tanto il
capo risolverà brillantemente la situazione, no? –Sylviana si sistemò i capelli con un gesto elegante della
mano affusolata –
Non so la
ragazzina, ma secondo me gli altri due sono proprio chi sembrano. Solo
quel bestione di Grenadier e quel pivello lì potevano esser
così scemi da cascare in quei vecchi trucchi.
Dio, quanto la odio!
Un'alta figura
incappucciata entrò nella stanza da un corridoio laterale. Era avvolta in un lungo mantello nero e sulla sua spalla era
appollaiato un grosso uccello.
Ishikura sudò freddo.
Che sia... lui?
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 13 *** Scintille in punta di spada ***
cap 8
Zero alzò lo sguardo.
L'uomo col mantello nero si girò verso di lui e
sollevò il bicchiere.
La poca luce tremula delle lampade
a olio gettava un'ombra inquietante sul suo volto sfregiato e
coperto per metà da un lungo ciuffo di capelli castani, che
però non nascondevano del tutto la benda sull'occhio
mancante.
Il suo cuore sobbalzò come se volesse uscirgli dal petto.
Harlock!
Sapeva già come era cambiato il suo aspetto in quegli anni:
aveva visto le sue immagini nei notiziari e le sue foto sui manifesti
da ricercato, eppure constatare di persona come il tempo aveva
trasformato il giovane pirata di tanti anni prima gli
diede una strana sensazione.
Il suo cervello gli diceva che era lui, ma al suo cuore sembrava un
estraneo.
Si alzò e lo raggiunse al tavolo, la mano sulla fondina al
di sotto della giacca.
Sedette di fronte a lui.
– Salve, Zero
– Harlock svuotò il bicchiere tutto d'un fiato
– Non ti va di brindare con un vecchio amico?
– Non
finché non m'avrai spiegato cosa stai combinando, Harlock.
– Non
c'è nulla da spiegare. Faccio quel che devo.
Zero si alzò, sbatté il pugno sul tavolo.
– Quel che devi?! Non ti
riconosco più, Harlock: far saltare in aria una colonia
piena di civili, sparare al tuo amico Tadashi, cercare di
uccidere Yuki e persino la figlia di Tochiro... praticamente
una bambina! Che diavolo ti prende?!
– Abbassa la
voce, Zero. Non mi fai paura – Harlock lo guardò negli occhi, una luce fredda nell'unica pupilla
che gli era rimasta – Io e te, soli, alla Valle della Morte.
Con le Gravity Sabre.
– Harlock...
– All'ultimo
sangue, così potrai regolare il nostro vecchio conto in
sospeso. O almeno provarci.
Ogni dubbio residuo sull'identità di quell'uomo scomparve.
Solo Harlock poteva ricordarsi quella promessa lontana. Zero serrò il pugno.
– Non
c'è un altro modo?
Harlock scosse il capo e si alzò. Zero lo seguì
verso l'uscita posteriore del Saloon.
Camminarono fianco a fianco in silenzio nella luce di un tramonto rosso
sangue. Zero strinse le labbra.
Fra poco, fra le rocce di Heavy Meldar, ne sarebbe
scorso davvero: il suo o quello di Harlock.
Forse era scritto nel destino che quel giorno arrivasse.
Gli tornarono alla mente le parole di Emeraldas: “Sento che un giorno
quest'uomo tenterà di uccidere Harlock con tutte le sue
forze”.
Sì, lo avrebbe fatto. E poi avrebbe pianto un amico... o non
avrebbe pianto mai più.
La Valle della Morte era poco distante da Gun Frontier, ma sembrava un
altro mondo.
Una gola stretta e silenziosa, circondata da alte rupi.
In fondo a essa, le corde dei patiboli ondeggiavano al vento in
maniera sinistra; c'era davvero odore di morte nell'aria.
Era lì che lui e Harlock s'erano incontrati di persona la
prima volta, in una notte stellata come prometteva di essere anche
quella.
È giusto
così. Qui è cominciata e qui finirà.
Combatterò lealmente, ma devo compiere il mio dovere, anche
se non dovessi farcela.
Premette un tasto sull'orologio. Sperò con tutto il cuore che Ishikura,
Grenadier ed Eluder fossero lontani e arrivassero a cose ormai fatte,
comunque andasse a finire.
Non era fiero di ciò che stava facendo: si sarebbe meritato un pugno
come quello che aveva dato a Ishikura quella notte di quattordici anni
prima.
Harlock si fermò, snudò la Gravity Sabre. Zero
lo imitò.
Si salutarono e s'avventarono l'uno contro l'altro.
Zero provò subito un affondo*, ma Harlock schivò con un rapido spostamento a destra e tutto ciò che ottenne fu di lacerare un altro po' il suo mantello già liso.
Aveva reagito così anche la prima volta
che avevano duellato e, al suo posto, Zero avrebbe fatto la stessa cosa. Si passò la lingua sulle labbra: il loro
stile di combattimento era simile, proprio come un tempo.
Nei dossier di Yuki c'era scritto che, prima di ribellarsi, Harlock aveva conseguito il Diploma da Ufficiale nella stessa Accademia che aveva frequentato lui. Forse avevano avuto addirittura lo stesso istruttore.
Zero provò a immaginarselo in divisa. Non ci riuscì.
Si voltò.
Harlock tentò un'imbroccata*, la gamba sinistra leggermente
piegata, il busto che seguiva la direzione del braccio.
Zero s'abbassò e la lama, invece di recidergli la gola,
frustò l'aria sopra la sua testa.
Il suo cappello cadde a terra.
Fa sul serio.
Contrattaccò con un montante* dal basso verso l'alto, ma
Harlock lo parò senza difficoltà.
Zero si rialzò e impugnò la Gravity Sabre con
entrambe le mani. Spinse fino a sentire il respiro di Harlock sul collo.
– Arrenditi,
Harlock! È meglio per te!
Harlock non rispose. Indietreggiò di un passo,
bilanciò il peso sulla gamba destra e lo spinse via.
Zero inciampò e cadde.
Rotolò di lato appena in tempo per non esser trapassato da
parte a parte.
La lama di Harlock gli sibilò alle spalle mentre
tentava di rimettersi in piedi.
Ancora in ginocchio, Zero posò la destra vicino alla lama a
novanta gradi e la sinistra sul pomolo, inclinò la
spada sulla spalla in modo da formare una finestra da cui guardare l'avversario e parò il colpo appena in tempo.
Ruotò su se stesso, mirò alle gambre e colpì di mezzano*.
Harlock saltò all'indietro e si rimise in guardia. Zero si
rialzò.
Ansimava, ma lo stesso valeva per Harlock. La luce e il calore
soffocante diminuirono. Il sole era tramontato dietro le
rupi
Quanto tempo sarà passato da quando abbiamo lasciato il
Saloon?
Ormai, Eluder doveva aver notato la sua assenza e avvisato la
Karyu.
Zero attaccò di nuovo, di ridoppio*. Harlock parò, allontanò la sua lama e rispose di sgualembro*. Zero gli sferrò un montante *, Harlock rispose con un'imbroccata e un affondo.*
Le loro lame s'incrociarono ed emisero scintille nell'aria ormai buia.
Zero arretrò e alzò la guardia.
È bravo.
Harlock tese il braccio e gli puntò contro la lama. Nonostante il peso, la lama non s'inclinò verso il basso e nessun tremito la fece ondeggiare. Zero digrignò i denti.
È anche forte.
Harlock fintò, penetrò nella sua guardia e gli sferrò un affondo al ventre. Zero roteò su se stesso, parò di mezzano e rispose con un montante. Harlock arretrò. Zero fintò a sinistra, balzò a destra e mirò al fianco scoperto di Harlock nel suo punto cieco. Harlock parò senza nemmeno voltarsi, agganciò la lama di Zero e lo spinse via.
Zero serrò la mascella, arretrò e si rimise in guardia.
Dannazione.
Sebbene svantaggiato
dal campo visivo ridotto per via dell'occhio cieco, Harlock non era un avversario facile da sorprendere.
Zero ansimò. Harlock gli puntò di nuovo contro la lama.Perché non attacca?
Gli girò attorno. Harlock si mosse quel tanto che bastava a impedirgli di entrare nel suo punto cieco. Una goccia di sudore gli colò sulla guancia e Zero inghiottì a vuoto. Mi sto stancando e lui l'ha capito. Girò attorno ad Harlock e gli sferrò un affondo. Lui parò col minimo movimento e tese di nuovo il braccio. Zero lo guardò. Respirava col naso e non sembrava nemmeno accaldato. Non sarebbe mai riuscito a disarmarlo prima che facesse buio. E al buio lui è avvantaggiato. Devo tentare il tutto per tutto.
Fece un profondo respiro,
gettò la spada e si buttò addosso ad Harlock. Gli strinse le braccia attorno alle ginocchia e
sperò che lui non avesse la prontezza di colpirlo alla
schiena o tagliargli la gola.
Andò bene: Harlock perse l'equilibrio, finì a terra e alzò l'arma in
un gesto di difesa istintivo.
Zero gli andò sopra, serrò più che
poté la sua mano stretta sull'impugnatura della
Gravity Sabre e afferrò la lama con l'altra.
Il filo della spada gli
tagliò il palmo e le dita. Urlò di dolore, strinse i denti e
fece forza. La lama sfiorò il collo di Harlock e un sottile rivolo di sangue gli colò sulla gola.
– Basta con
questa follia, Harlock! Arrenditi!
Harlock gemette, piegò la gamba destra fino a
poggiargli il piede sullo sterno e lo spinse via con un calcio. L'impatto col suolo accidentato e la botta appena sotto il
diaframma lasciarono Zero senza fiato.
Harlock si sollevò, corse verso di lui e affondò il colpo. Zero
rotolò di lato. Finì vicino alla sua Gravity Sabre, la impugnò e colpì alla cieca.
Ferì Harlock al ginocchio, non troppo in
profondità ma abbastanza da rallentarlo.
Si rialzò e per poco la lama non gli volò dalle mani: l'impugnatura scivolava sul suo sangue e dalle nocche in su non aveva più sensibilità. Non riusciva nemmeno a piegare le dita.
Dovrò battermi con la
sinistra.
Harlock zoppicò verso di lui. Zero cambiò mano e deglutì.
Adesso è pericoloso come una
tigre ferita.
Nell'assoluto silenzio della valle, il rumore inconfondibile
di una pistola laser che veniva armata. Zero alzò il capo.
Dalle rupi, qualcuno sparò.
* FENDENTE: Colpo dato
in verticale, dall’alto verso il basso, colpisce testa o
spalle
MONTANTE: Colpo dato in
verticale, dal basso verso l’alto, colpisce le parti "intime"
MEZZANO: Colpo dato in
orizzontale con la lama di piatto, colpisce spalle, fianchi o
ginocchia.
SGUALEMBRO: Colpo dato
in obliquo dall’alto verso il basso con inclinazione di
45°. Colpisce spalle, fianchi o ginocchia.
RIDOPPIO: Colpo dato in
obliquo dal basso verso l’alto, con inclinazione di
45°. Colpisce spalle, fianchi o ginocchia.
AFFONDO: Colpo dato in
orizzontale, colpisce il busto.
IMBROCCATA: Colpo dato
in orizzontale, colpisce il collo o il volto.
Forse tutte queste note sono un tantinello noiose, ma Zero è
uno schermidore provetto (oltre che pignolo e un po' rompiballe
XD) e ho pensato fosse più realistico fargli usare la
terminologia dei professionisti!
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kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
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Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
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Capitolo 14 *** Arriva la cavalleria! ***
cap 8
Marina Oki chiuse il collegamento con la stiva, si
massaggiò le tempie e distolse lo sguardo dallo schermo. Le
operazioni d'approvvigionamento erano quasi terminate.
Guardò l'ora: mancavano pochi minuti alle sette. Di Zero e
Ishikura ancora nessuna notizia.
– Non si
preoccupi, Comandante – Kaibara si distese sulla poltroncina
e si girò verso di lei – Zero sa badare a se
stesso... e anche ai suoi uomini, qualora fosse necessario.
– Lo so
– Marina alzò una mano – Ma quest'attesa mi snerva. Di solito è
così puntuale...
– Avrà
avuto qualche contrattempo, o magari Ishikura si sarà messo
nei guai e lui lo starà strigliando per benino: sa bene
anche lei quant'è polemico quel ragazzo e quant'è bacchettone Zero.
– Speriamo sia
così – Marina rise – Non vedo l'ora di
lasciargli il posto!
Si alzò e stirò le braccia. Aveva spalle e
schiena intorpidite e le punte dei piedi doloranti.
Non desiderava altro che farsi una bella doccia e stendersi un po'
nella sua cabina, ma il lavoro era ancora molto: doveva ispezionare
l'hangar e la sala macchine, controllare i registri di carico e
scarico, l'inventario delle armi ed esaminare i rapporti delle squadre
di manutenzione.
L'operazione a terra aveva la precedenza, però: non poteva
dedicarsi ad altro finché Zero o Ishikura non avessero
chiamato.
Inoltre, lei e Rai avrebbero dovuto sostituirli di lì a
poche ore, se non avessero trovato nulla.
La ricetrasmittente vibrò nella sua tasca. La tirò fuori e guardò il
display: la chiamata veniva dalla cabina del Capitano.
Un'emergenza?
– Signor
Kaibara, per favore, mi sostituisca un attimo.
Uscì dal ponte di comando e si diresse alle cabine. Mise la
mano sulla serratura elettronica di quella del Capitano, attese la
scansione della retina ed entrò.
Yuki Kei passeggiava avanti e indietro
con fare nervoso, il Dottor Zero si
massaggiava la radice del naso seduto su una poltrona e il Dottor Machine era chino su Tadashi Daiba
con una siringa in mano.
– Che succede?
Ha avuto un malore?
– Peggio
– Yuki la guardò, un'espressione preoccupata sul
volto pallido – Mayu ci ha drogati tutti ed è
scomparsa. Temo sia scesa a terra. Dall'armadio manca una delle divise
che abbiamo usato per travestirci e salire a bordo.
Daiba emise un mugolio e tentò di aprire gli occhi, ma
subito gli si arrovesciarono nelle orbite.
– È senza dubbio l'effetto di un narcotico – il Dottor Machine
gli sfregò l'avambraccio destro con un batuffolo di cotone e
l'odore di alcool pizzicò il naso di Marina – Mi spiace, sono
stato io a fornirli alla ragazza. Yuki si fermò e osservò la siringa penetrare la pelle del suo compagno.
– Lei non ha
colpe, Dottore, ma dobbiamo trovarla prima che
qualcuno la riconosca e finisca nei guai.
– È
un bel pasticcio – Marina si morse l'unghia del pollice
– Sia il Capitano Zero che il Vice-Comandante Ishikura non
sono ancora rientrati dalla missione. Li contatterò e
dirò loro di cercarla... non credo possa essere andata molto
lontano. La farò cercare anche sulla nave: a tal proposito,
vi chiedo di autorizzarmi a mettere a conoscenza della sua presenza il
resto degli ufficiali.
– Va bene
– Yuki le fece un cenno affermativo col capo – Ma
fate in fretta, per favore.
Marina corse fuori dalla cabina e raggiunse il ponte di comando.
Sullo schermo principale c'era il viso di Eluder e dal
silenzio capì subito che qualcosa non andava.
Il cuore prese a batterle più forte, ma cercò di
non darlo a vedere.
– Che sta
succedendo?
Kaibara si girò verso di lei, terreo in volto.
– Eluder dice
che il Capitano è scomparso.
– Anche
Ishikura e Grenadier, se è per questo – aggiunse
il pilota con una voce da funerale.
Marina impallidì. – Com'è
potuta accadere una cosa del genere, Eluder?
– Io e il
Capitano siamo venuti in possesso di certe informazioni,
così mi ha mandato qui per contattare l'altro gruppo e voi
senza che troppa gente sentisse. Vi ho dato un primo aggiornamento, poi ho provato a chiamare Ishikura: non ha risposto ed
è già passata quasi un'ora da quando lui e
Grenadier avrebbero dovuto trovarsi qui. Sono tornato indietro per
dirlo al Capitano, ma anche lui era sparito.
Marina si lasciò andare sulla sedia di Zero.
Ma che diavolo sta
succedendo?
– Cosa avete
scoperto, Eluder?
– Che a quanto
pare i Signori Yattaran e Maji sono scomparsi qui e non sulla Terra. Il
Vice-Sceriffo Carson ci ha persino mostrato le prove: biglietti del
Galaxy Express acquistati sotto falso nome e documenti di viaggio
contraffatti.
– Sono
scomparsi a Gun Frontier?
– Proprio
così. Carson è sicuro d'aver visto Yattaran
scendere dal treno e andarsene con una persona avvolta in un mantello
nero, dopodiché di lui s'è persa ogni traccia. Quanto a Maji, ci
sono tanto di passaporto e biglietti.
Marina rabbrividì.
Allora Harlock si
nasconde qui su Heavy Meldar?
Se era vero, Mayu Oyama correva un grave pericolo. E forse loro erano
il prossimo obiettivo.
Cercò di dominare il tremito che sentiva salirle alle mani e
di mostrarsi calma e decisa come appariva sempre Zero in casi come
quello. Era l'ufficiale in comando: non poteva permettersi una crisi di
panico e non doveva lasciare che paura o incertezza si diffondessero
tra l'equipaggio.
Assegnare delle
mansioni, tenere occupati tutti...
– Torni al
Saloon, Eluder. Chieda informazioni. Magari qualcuno nel locale ha
visto cos'è successo o notato qualcosa che possa esserci
utile. Chieda anche di Ishikura e Grenadier: non possono essere svaniti
nel nulla. Mi aspetti lì. La raggiungerò subito. Eluder si portò la mano alla fronte e
chiuse la comunicazione.
– Agli ordini,
Comandante.
– Sono pronto,
Comandante – Rai si stava già allacciando la
giacca.
– Un momento!
– li fermò Breaker – Ricevo il segnale di emergenza sia dal Capitano che da
Ishikura! Marina sussultò.
– Cosa?!
Com'è
possibile che entrambi abbiano trovato Harlock? E Zero è da
solo!
Cercò di dominare l'apprensione, si raddrizzò e
sperò d'aver preso la decisione giusta.
– Signori,
seguitemi tutti.
Rai, Kaibara e Nohara le lanciarono uno sguardo sconcertato quando
prese la via delle cabine anziché l'ascensore che li avrebbe
portati all'hangar.
Quanto a Breaker, era ancor più inespressivo di Eluder e
teneva per sé le sue opinioni.
– Quello che
vedrete e sentirete qui dentro è riservato, ricordatelo
– Marina lanciò loro uno sguardo severo e
aprì la porta della cabina del Capitano.
Entrò e un coro di esclamazioni soffocate accolse la scena
che le si presentò davanti.
Daiba era in piedi e ora sembrava del tutto sveglio. Teneva una mano sulla
spalla di Yuki Kei che, seduta in poltrona, la guardò con gli
occhi arrossati. Marina si chiese se avesse pianto e si sentì in colpa: ciò che stava per dire l'avrebbe preoccupata
ancora di più, ma non aveva tempo né di addolcire le parole, né di
attendere che si calmasse.
Si fece coraggio, fece un profondo respiro e li guardò
dritti negli occhi.
– Signori, ci
sono dei problemi. A quanto pare, entrambi i nostri gruppi si sono
imbattuti in Harlock. Né il Capitano né Ishikura
rispondono alle chiamate ed entrambi potrebbero essere in difficoltà... anzi, lo sono di sicuro.
Daiba si irrigidì, Yuki la guardò sgomenta.
Marina si voltò verso i suoi compagni.
– Rai, Nohara,
Breaker, Kaibara... abbiamo anche un altro problema: a bordo c'era
anche la Signorina Oyama, che a quanto pare è scomparsa. Rai strabuzzò gli occhi.
– Anche lei?! Ma che...
– Non abbiamo
tempo per le spiegazioni, Rai – tagliò corto
Marina – Bisogna cercarla e correre in aiuto dei nostri
compagni! Kaibara, le affido il comando e le ricerche della Signorina a
bordo. Breaker, lo aiuti. Con discrezione, mi raccomando.
Kaibara scattò sull'attenti e uscì
di corsa, seguito dal capo radarista.
– Nohara, a
lei le ricerche a terra. Rai, da Ishikura. Io andrò a dare
man forte al Capitano. Signori, se aveste bisogno di qualcosa, vi prego
di rivolgervi al Dottor Machine.
– Un momento,
Comandante Oki – Daiba si mise fra lei e la porta – Pensate davvero di riuscire a tener testa ad Harlock in così pochi e per giunta
separati gli uni dagli altri?
Marina aggrottò la fronte. Sarebbe stata dura e lo sapeva
benissimo, ma loro erano i soli operativi rimasti sulla Karyu: il resto
dell'equipaggio era composto soprattutto di tecnici, personale generico
o piloti di caccia; oltretutto, non avrebbe potuto coinvolgere
altre persone senza dover svelare loro chi avevano a bordo, in un posto dove nulla rimaneva segreto troppo a lungo.
No, troppo rischioso.
– Non
c'è altra scelta.
– C'è,
invece – Daiba s'avvicinò alla sua branda e
afferrò il cinturone – Veniamo anche noi.
– È
rischioso, Tadashi – protestò il Dottor Zero – Le tue condizioni... Lui chiuse la fibbia.
– Non importa!
– Ma...
– Anche Marina era indecisa.
– Non
c'è tempo, ricorda? Daiba lanciò uno
sguardo a Yuki, che si alzò e sparì nell'altra
stanza.
Tornò subito, la Cosmo Gun allacciata in vita e un
involto di panni sottobraccio.
– Ha ragione
lui. Ci cambieremo per strada... e speriamo che nessuno ci riconosca.
Daiba le lanciò un sorriso teso e le afferrò la
mano.
– Sbrighiamoci.
Raggiunsero i Bullet di corsa, con Yuki e Tadashi che si coprivano alla
meno peggio il viso con le giacche delle divise.
Nonostante la preoccupazione, non parevano aver perso
lucidità e prudenza.
Quello che stavano per fare era avventato, senza mezzi termini:
potevano essere riconosciuti o addirittura uccisi, ma avevano
ragione... la loro collaborazione avrebbe potuto fare la differenza fra
la vita e la morte dei suoi compagni.
Arrivarono al Saloon di Gun Frontier in meno di dieci minuti, che
però a Marina parvero eterni.
Eluder li aspettava sulla porta.
– Ci sono
novità, Comandante! – crse loro incontro – Il barista dice che il Capitano
è uscito dal retro con un amico che gli aveva offerto da
bere, un tipo sfregiato con un occhio solo. A quanto pare, l'ha seguito
di sua spontanea volontà.
Harlock! Quindi
è vero...
Marina lo aveva temuto. Per un attimo pensò soltanto che
l'uomo che amava era in pericolo, che forse non l'avrebbe rivisto mai
più.
Poi provò rabbia: di certo Zero s'era allontanato con
Harlock per affrontarlo alla pari, da
uomo a uomo, e aveva attivato il segnalatore solo
all'ultimo momento. Stupido.
Non avrebbe mai capito quel suo modo di fare: a volte le sembrava che
per lui l'onore venisse prima di tutto; prima del dovere, prima della
sua stessa sicurezza... prima di lei.
Perché sei
così ingenuo, Zero?
Se l'avesse avuto davanti in quel momento, l'avrebbe preso a schiaffi. Si morsicò l'unghia del pollice.
Non ho tempo di
piangere, non ho tempo d'arrabbiarmi... devo fare in fretta!
– Bene,
Eluder. Conosciamo la posizione del Capitano: è poco
distante da qui.
– Ho
novità anche riguardo a Ishikura. Un tipo che da oggi
pomeriggio se ne sta qui al Saloon sostiene d'aver visto due soldati
corrispondenti alla descrizione sua e di Grenadier uscire dalla
città di gran carriera su un mezzo militare, ma non so se fidarmi: diceva che
con loro c'era un'altra persona.
– Un'altra
persona? – Daiba si fece avanti, una luce febbrile negli
occhi chiari.
– Sì
– Eluder lo squadrò con attenzione ma non fece una
piega – Un ragazzino con una divisa da ufficiale e un cappello in testa.
Marina gemette.
– Allora Mayu
è con Ishikura e Grenadier?
Ma cosa è
saltato in testa a quei due incoscienti?! Portarsi appresso una
ragazzina!
– Questo
facilita le cose – Nohara sbatté il pugno nel palmo, sollevato –
Possiamo dividerci in due squadre di tre elementi ciascuna. Marina annuì.
– Bene,
Signori – lanciò le chiavi del Bullet a Eluder – Eluder, Nohara,
con me! Signor Rai, voi tre andrete in soccorso di Ishikura, Grenadier
e Mayu. Aggiorniamoci al più presto.
Salì a bordo. Eluder sedette al posto di guida e
mise in moto. Una densa nuvola di polvere le penetrò
nelle narici e la fece tossire. Si voltò a osservare il Bullet Three, un puntolino indistinto che si allontanava nell'aria tremolante della
sera in direzione opposta alla loro e sperò con tutta se stessa che quella non fosse l'ultima
immagine che avrebbe serbato di Sugata Rai, Tadashi Daiba e Yuki Kei.
– Buona
fortuna.
Eluder sterzò e le rocce rossastre del canyon li
nascosero del tutto alla sua vista.
Marina mise la mano sulla fondina e pensò a Zero... e ad Harlock.
Ti prego, fa' che non
sia troppo tardi...
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 15 *** Catturatori e catturati ***
cap 8
Il grosso rapace nero stridette, spiccò il volo e volteggiò sopra le teste dei presenti, quindi si posò sullo schienale di una vecchia
sedia.
C'era una bandana annodata alla base del suo becco adunco e Mayu rivide Harlock metterlo a tacere con un unico, esperto strattone a
un'estremità del fazzoletto.
– Tori-San!
Il pennuto ricambiò il suo sguardo, inclinò il
capo e si librò in alto.
Si posò al suo fianco, gracchiò un paio di volte
e le strusciò la testa contro la spalla con un
gorgheggio soddisfatto.
– Guardate
– Maji li indicò – L'ha riconosciuta...
allora forse è davvero la nostra Mayu!
– Ma si
può sapere che diavolo state blaterando?! Perché diavolo
la Signorina non dovrebbe essere lei? Accanto a lei, Ishikura fece per alzarsi e Sylviana lo atterrò con uno sgambetto. Finì con la testa sulle sue ginocchia e si raddrizzò subito, rosso in viso e accigliato.
– Siamo soldati federali in missione per conto del Governo Unito
Terrestre – ringhiò – Spero vi rendiate conto...
– L'unica cosa
di cui mi rendo conto e di cui mi frega è che devo
proteggere i miei clienti – Sylviana gli puntò contro la pistola – E dei militari curiosi che vanno in
giro a fare domande su Harlock e sulla sua ciurma non sono certo un
pericolo da sottovalutare, soprattutto se si portano appresso una sosia
di Mayu Oyama.
– Ma che
significa questa storia? – Mayu non credeva alle proprie
orecchie – Perché mai qualcuno dovrebbe tentare di
spacciarsi per me? Yattaran, Maji, vi prego, spiegatemelo!
Maji si grattò il mento.
– Mi sembra
sincera.
– Può
darsi – Yattaran la guardò pensoso,
poi rivolse lo stesso sguardo a un modellino in scala della Yamato
posato su una cassa – Ma potrebbe anche essere una trappola.
Ricordi cos'è successo con Doskoi?
Maji si rabbuiò e abbassò il capo, gli occhi
lucidi.
Mayu non aveva conosciuto Doskoi, ma Yuki gliene aveva parlato: faceva
parte dell'equipaggio dell'Arcadia da prima che lei nascesse e l'aveva
lasciato poco dopo la morte di suo padre per stabilirsi da qualche
parte sulla Terra. Faceva il meccanico, se non ricordava male.
Si chiese cosa fosse accaduto di così terribile da
rendere l'atmosfera così cupa, ma anche se lo avesse chiesto
non le avrebbero certo risposto... non finché avessero
continuato a considerarla un'impostora inviata fra loro per
chissà quale ragione.
– Sono io, ve
lo assicuro! E sono disposta a tutto pur di provarvelo!
– Davvero? –
Sylviana strizzò l'occhio alla figura in nero – Bé, allora mi sa proprio che tocca a te, capo!
Senza una parola, la persona nel mantello scuro
avanzò verso di lei.
Non appena mosse il primo passo, Mayu fu sicura che, chiunque fosse, non si trattava di Harlock.
Quella persona camminava adagio, senza fare il minimo rumore, quasi
scivolando sulle rocce; Harlock, invece, aveva un'andatura
cadenzata, risoluta e virile.
Nonostante non lo sentisse ormai da tanto tempo, il suono dei suoi passi
era impresso così a fondo nella sua memoria che era certa di
poterlo riconoscere fra mille: era sempre stato la prima cosa di lui
a raggiungerla e l'ultima a lasciarla.
Lo sconosciuto le si chinò davanti e un vago sentore
di orchidee raggiunse le sue narici; Harlock non usava profumi, ma
l'odore fresco del suo sapone da barba ogni volta che lui la
abbracciava o che le permetteva di baciargli la guancia era fra i
ricordi più cari di Mayu.
Le mani di quella persona, inguainate in sottili guanti di pelle, erano
piccole e affusolate; quelle di Harlock erano grandi e forti, coperte
di calli alla base delle dita. Per lei avevano compiuto gesti di
infinita tenerezza, avevano costruito un'ocarina e suonato dolci
melodie, si erano strette a pugno, avevano brandito armi... e si erano
sporcate di sangue, infinite volte.
No, quello non era Harlock, non poteva essere lui.
Sentimenti contrastanti agitarono il cuore di Mayu: tristezza per non averlo trovato, inquietudine, ma anche
sollievo.
Ho paura. Paura di
quello che potrei scoprire se lo incontrassi, paura che sia davvero
impazzito come ha detto Ishikura, paura che l' Harlock dei miei ricordi
sia cambiato per sempre.
Eppure sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi.
– Ehi, che
diavolo vuoi farle?! – il grido allarmato di Ishikura fece
fuggire Tori-San e distolse Mayu dai suoi pensieri.
La figura in nero si era sfilata il guanto destro. La sua mano,
sottile e bianchissima, le sollevò
il mento e si posò sulla sua fronte.
Era fresca, morbida... no, non era la mano di Harlock.
Il viso celato dall'ombra del cappuccio si avvicinò al suo.
Mayu aguzzò la vista nel tentativo di scorgere i lineamenti
di quello sconosciuto, ma tutto ciò che vide furono due
bagliori dorati in corrispondenza dei punti in cui dovevano trovarsi
gli occhi.
Era una strana luce, di intensità variabile, calda,
rilassante...
Non riusciva a distogliere lo sguardo né a muoversi, eppure
non aveva paura: era come se stesse osservando la scena dal di fuori,
come se non stesse accadendo a lei.
Che mi stia ipnotizzando?
I muscoli delle sue spalle si rilassarono, la sensazione delle manette
ai polsi e il formicolio alle gambe scomparvero, i suoni
si fecero attutiti... e i suoi pensieri, i suoi ricordi e le sue
emozioni non furono più soltanto suoi.
No, non era ipnosi; era qualcosa di più, come se ci fosse
qualcuno nella sua mente, una presenza tranquilla e silenziosa i cui
pensieri non riusciva a penetrare ma che emanava una lieve
malinconia... questo sì, che le ricordò Harlock.
Tutto finì di colpo. La figura col mantello nero interruppe il
contatto mentale e tolse la mano dalla sua fronte. Percezioni, suoni,
immagini e odori tornarono a poco a poco: il formicolio alle gambe e la sensazione delle manette di metallo ai
polsi, la voce di Ishikura che continuava a chiamarla, l'odore muschiato delle
rocce, quello dolciastro del legno e quello metallico delle armi, l'atmosfera umida della caverna...
Mayu non avrebbe saputo dire quanto fosse durato, se pochi attimi o
delle ore.
La figura in nero si alzò. Mayu intravide
qualcosa scivolare nella sua mano candida e minuta, qualcosa che
lanciava riflessi metallici.
Un pugnale?
La figura in nero uscì dal suo campo visivo e Mayu lanciò uno sguardo intorno a sé: Sylviana le
stava proprio di fronte e faceva roteare una delle sue pistole con aria
indifferente; appoggiato a una cassa poco più indietro, Yattaran era intento a sistemare un cannone al modellino della Yamato;
alla sua sinistra, Maji tratteneva Ishikura,
che continuava a urlare e agitarsi; alla sua destra, Grenadier era
ancora immobile, gli occhi chiusi e il respiro regolare.
Mayu valutò l'idea di alzarsi di scatto, atterrare lo sconosciuto
con una testata allo stomaco e tentare la fuga, ma la scartò
subito: sarebbe stata un bersaglio perfetto per Sylviana e per di
più era ammanettata con le mani dietro la schiena e
disarmata.
Ammesso che fosse riuscita a correr via senza farsi acchiappare
da Sylviana, Yattaran o Maji, inoltre, non aveva la più pallida idea
di come uscire da quella caverna né di dove si trovasse Gun
Frontier, dato che durante il viaggio l'avevano bendata.
Maledizione!
Non voleva morire lì... non senza aver trovato Harlock, non
senza aver scoperto il motivo per cui tutte le persone che le erano
state amiche erano scomparse nel nulla o sembravano agire come se
fossero impazzite, proprio come nei suoi peggiori incubi di quando era
bambina.
Chiuse gli occhi e desiderò con tutta se stessa che gli
avvenimenti degli ultimi due mesi fossero davvero solo un brutto sogno:
non voleva altro che svegliarsi nel suo letto, scendere nello studio al
piano di sotto dove di certo avrebbe trovato Yuki e Tadashi ancora al
lavoro, ridere con loro delle sue assurde paure davanti a un bicchiere
di latte, tornare a letto e, soprattutto, risvegliarsi il
mattino dopo in un mondo in cui Harlock fosse ancora un eroe e non una
minaccia per lei ed i suoi cari.
Riaprì gli occhi. Era sempre in quella dannatissima caverna.
Ripensò a cosa le aveva detto Tadashi solo poche ore prima e
le lacrime le annebbiarono la vista: avrebbe dovuto dargli retta e restare sulla Karyu.
Avvertì un movimento di fianco a lei. Un grido acuto ruppe il silenzio e qualcosa cadde a terra con un tintinnio metallico.
Mayu alzò la testa e l'immagine che le si
presentò davanti agli occhi la lasciò a bocca
aperta.
Grenadier era in piedi, le mani libere e un ghigno minaccioso sul viso
irsuto.
Strattonò verso l'alto la mano destra della figura in nero, le
torse il braccio sinistro dietro la schiena e la parò davanti a sé come scudo.
– Cosa?
– Yattaran strabuzzò gli occhi e lasciò cadere il modellino – Ma
come...?
– Si possono fare miracoli con una forcina piegata nel modo giusto
– rise Grenadier – Specie con questi giocattoli da
bambini. Dovresti passare alle manette a combinazione elettronica, cara
Sylviana.
Lei gli puntò contro la pistola. Lui torse il polso
dell'ostaggio, che emise un gemito.
– Provaci e
il tuo caro capo farà una brutta fine.
Sylviana si passò la lingua sulle labbra.
– Posso
beccarti facilmente, Grenadier. Mi basterà mirare al tuo
brutto muso.
Grenadier rise, strattonò verso il basso il braccio destro
della figura in nero e glielo bloccò dietro la schiena.
– Magari
potresti anche riuscire a farmi secco, Sylviana – l'enorme
mano destra dell'ex mercenario afferrò il mento del suo
ostaggio e lo sollevò – Ma farei comunque in tempo
a spezzargli il collo.
Mayu non ne dubitava, così come non dubitava che, anche se
lui le tratteneva con una mano sola, le braccia della figura in nero
non fossero abbastanza forti da liberarsi dalla morsa di quei muscoli
d'acciaio. Sylviana posò il dito sul grilletto.
Grenadier accentuò la stretta sul mento dell'ostaggio e lo
sollevò ancora di più.
– Lo
farò, Sylviana, e tu lo sai.
Sylviana abbassò lo sguardo,
rinfoderò l'arma e alzò le mani.
– Brava bambina – Grenadier annuì – Adesso
slaccia i cinturoni e non tentare trucchi: se vedo quella fibbia
lampeggiare, se qui dentro entra qualcun altro o fai un solo movimento
brusco, il capo è andato.
Ishikura si
scrollò di dosso Maji, si alzò e
lanciò a Grenadier uno sguardo assassino.
– Ma allora
eri sveglio quando ci hanno catturati?!
– Puoi
giurarci – Grenadier ridacchiò – Eri
rosso come un peperone mentre guardavi le gambe di Sylviana, lo sai,
Ishikura?
– Stupido
bestione, perché non ci hai dato una mano?!
– Per
rischiare di farci ammazzare o uccidere questi tre senza scoprire
nulla? No, grazie. Meglio farsi portare alla loro base e aspettare il
momento giusto per agire, non trovi?
– Hai messo in
pericolo la Signorina Oyama, razza d'incosciente!
– Senti chi
parla! Io almeno non mi sono fatto salvare le chiappe da lei per poi
farmi fregare come un fesso!
Mayu decise di intervenire prima che quei
due si mettessero a litigare sul serio e i loro avversari avessero il
tempo di pensare a una contromossa.
– Cosa
facciamo, adesso?
– Semplice
– Grenadier le strizzò l'occhio – Ora i nostri amici
si metteranno in fila davanti a me, molleranno tutte le loro armi e vi
toglieranno le manette, dopodiché ci siederemo qui belli
tranquilli e aspetteremo facendo quattro chiacchiere da persone civili.
– Aspetteremo cosa? – Ishikura roteò gli occhi e sbuffò
– La manna dal cielo? Il Settimo Cavalleggeri? Siamo dispersi
chissà dove nel bel mezzo del nulla, nel caso te lo fossi
scordato, e questi qui avranno di certo dei compagni!
– Una cosa
alla volta – Grenadier fece un cenno a Sylviana, che
slacciò i cinturoni, tirò fuori dalla tasca un mazzo di
chiavi e liberò lei e Ishikura dalle manette.
Maji e Yattaran posarono a terra le loro Cosmo Gun e andarono a sedersi
a debita distanza, le gambe incrociate e le mani dietro la nuca.
Mayu non attese istruzioni: passò una pistola a Ishikura e
una a Grenadier, che la puntò alla testa del suo ostaggio e
lanciò un sorriso sarcastico al suo Vice-Comandante.
– Adesso
guarda un po' nella tasca posteriore dei miei pantaloni, Rompiscatole.
Ishikura gli si avvicinò con uno
sbuffo e ne tirò fuori un orologio militare. Accanto al quadrante, un led spezzava la semioscurità della
miniera con ritmici lampi azzurri.
– Il mio
segnalatore?! – Ishikura sbiancò – E ha
il segnale d'emergenza attivato!
Grenadier annuì fiero.
– Mentre eri
impegnato a contemplare le grazie della nostra bella Sylviana te l'ho
sfilato dal polso e non appena il caro Harlock s'è fatto
vivo ho inviato il segnale – sorrise a trentadue denti – Ormai i rinforzi saranno già per
strada, perciò piantala di frignare. Missione compiuta... e
senza danni né vittime, proprio come voleva Zero.
– Già...
sarà davvero contento, come no – Ishikura si passò
una mano fra i capelli – Forse ci ucciderà senza
farci soffrire troppo.
– Quello non
è Harlock.
Mayu raccolse da terra l'oggetto metallico che la figura in nero aveva
lasciato cadere quando Grenadier l'aveva catturata. Non era un pugnale
come aveva pensato, ma un cilindro metallico con un led in cima, un
display e un pulsante in basso.
– Secondo voi,
cos'è questo? Consegnò il dispositivo
a Ishikura, che lo rigirò tra le mani perplesso. Grenadier accennò col mento al suo prigioniero.
– Se questo
qui non è Harlock, allora chi diamine è?
Mayu andò a recuperare la sua Dragoon e
tornò a grandi passi verso la figura in nero.
– Io un'idea
ce l'avrei .
Era stata una sciocca a non capirlo prima: quella malinconia, quella
luce dorata, quella pelle candida e soprattutto quell'arpa...
Tirò giù il cappuccio con uno strattone deciso.
Lunghi capelli blu notte ricaddero su un viso ancor più
latteo della mano che si era posata sulla sua fronte e due iridi dorate
la scrutarono come se potessero leggerle dentro.
– Mime.
– Sylviana!
Chiudete gli occhi!
Mayu balzò indietro e si schermò il viso con il braccio, ma anche
così il bagliore che si sprigionò dal volto di
Mime la stordì. Sbatté le palpebre e, si sfregò gli occhi e li riaprì. Grenadier e Ishikura brancolavano
abbagliati, Mime si era liberata e Sylviana le puntava già addosso le pistole.
Mayu si gettò dietro una cassa di metallo e si sporse pian piano. Sylviana si era riparata dietro una stalagmite e Mime dietro una grossa roccia a pochi passi dall'ingresso della caverna. Maji e Yattaran sembravano spariti nel nulla. Se fossi in loro, cercherei d'accerchiare il nemico.
Aguzzò la vista e tese le orecchie: di certo, era proprio ciò che stavano cercando di
fare. Maledizione!
La situazione era disperata: sola contro quattro avversari, due
compagni neutralizzati... ed era solo questione di attimi prima che a
Sylviana o a qualcun altro venisse l'idea d'usarli come ostaggi.
E allora, cosa
farò?
Quanto poteva resistere? I rinforzi sarebbero arrivati in tempo? Sarebbero arrivati?
Sylviana si sporse dal suo rifugio.
– Butta quel
cannone, ragazzina! Se sei chi dici di essere, non hai nulla da temere!
– Sì,
Mayu, ti prego, fidati – Mime sollevò il
cilindro di metallo – È solo un rilevatore, non
un'arma! Devo usarlo su di te e sui tuoi compagni, ma è solo
per precauzione. Anche noi stiamo cercando Harlock!
Un altro trucco? O posso
fidarmi?
Il cuore le batteva così forte da mozzarle il respiro: era angosciante non sapere che fare e soprattutto su chi contare... ed
era bastato così poco tempo per far crollare tutte le sue
certezze in quel senso...
– Perché
ci avete catturati a quel modo, allora? E cos'è questa
storia dei sosia?
– Ti
spiegheremo tutto...
– Sì,
è proprio il caso. Dopo che vi sarete dati una calmata.Tutti
quanti.
Mayu si sporse di nuovo.
Tadashi era in piedi dietro a Mime, la pistola puntata sulla sua
schiena.
Poco più in là, Yuki aveva disarmato Sylviana
mentre un uomo che non conosceva copriva Ishikura e Grenadier, che
parevano essersi ripresi.
Uscì dal suo nascondiglio e lo stesso fecero Maji e Yattaran: a giudicare dalle loro posizioni, stavano davvero
provando a circondarla mentre Mime e Sylviana la distraevano.
Mayu corse incontro a Tadashi.
– Stai bene?
Mayu fece un cenno affermativo e sospirò di sollievo
nel vedere il suo cipiglio distendersi. Si voltò
al suono dei passi di Yuki e capì subito che con lei non se
la sarebbe cavata a così buon mercato: aveva un'espressione
a dir poco temporalesca.
Chiuse gli occhi e il colpo non si fece attendere: un
manrovescio che quasi la fece girare su se stessa.
– Incosciente! – Yuki la strinse fra le braccia, la voce rotta dalla preoccupazione –
Ma cosa credevi di fare?
Mayu le affondò il viso nel seno.
Stava tremando, o forse era lei... non le importava.
La strinse forte e si mise a singhiozzare senza ritegno.
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fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 16 *** Nèmesis ***
cap 8
Zero soffocò le fiamme alla falda inferiore della sua giacca e ringraziò
tra sé il suo vecchio Sergente Istruttore per avergli
indotto il riflesso condizionato di scattare di lato e cercare
copertura al minimo accenno di pericolo: se non l'avesse fatto, a
quell'ora sarebbe stato disteso a terra con un buco nel petto e altri in tutto il resto del corpo, almeno a
giudicare dalla gragnola di colpi che era seguita al primo.
S'appiattì contro la roccia dietro la quale aveva trovato
riparo, rinfoderò la Gravity Sabre e respirò a
fondo. Osservò la sua mano destra: un profondo taglio
attraversava il palmo da parte a parte e nemmeno le falangi superiori
erano uscite indenni dall'incontro con la lama di Harlock.
Provò a flettere le dita e dovette mordersi il labbro per
impedirsi di urlare.
Niente da fare, la mano è fuori uso. Troppo sangue che avrebbe reso
viscida l'impugnatura della pistola, troppo dolore che gli avrebbe
impedito di tenerla tra le mani saldamente e sparare con precisione: era in un bel guaio, ma non si sarebbe certo dato per vinto.
Non ora
che ho trovato Harlock.
Estrasse la pistola e la impugnò con la sinistra.
Pregò d'essere ancora abbastanza in gamba da centrare un
bersaglio lontano e nascosto nella semioscurità sparando con
una mano sola e si sporse quel tanto che bastava a controllare la
situazione.
Dal punto dal quale era arrivata la raffica di colpi nessun
segno di vita, ma se l'aspettava: di certo il nemico stava cambiando
posizione per aggirare la roccia e riprovarci.
Ciò che non s'aspettava, invece, era di vedere Harlock immobile nello stesso punto di prima, del tutto allo scoperto.
Ma è
matto?
Fece per chiamarlo, poi si rese conto che nessuno gli stava sparando
addosso e un dubbio atroce lo colpì come un pugno alla
bocca dello stomaco... un pugno molto ben assestato.
Un'imboscata?
Certo, il luogo era l'ideale: un piccolo spiazzo chiuso da rocce
scoscese, con parecchi punti elevati da cui osservare le mosse
dell'avversario o attaccarlo da posizione protetta, senza contare
eventuali vie d'accesso e di fuga nascoste che lui non conosceva.
– Esci da lì, Zero – Harlock
mosse qualche passo zoppicante verso di lui – Non rendertelo
ancora più doloroso.
Il cuore di Zero diede un tuffo.
Allora è
proprio vero... m'ha attirato in una trappola!
Ripensò a quattordici anni prima, quando in quello stesso
luogo aveva rischiato la vita pur di fermare i suoi uomini e impedire che
lo catturassero con l'inganno... o che morissero nel tentativo.
Ripensò al pugno che aveva dato a Ishikura e alle parole
che gli aveva detto, agli ideali d'amicizia, lealtà e
onore che Harlock e Tochiro all'epoca incarnavano così bene,
all'ammirazione che avevano suscitato in lui.
Si sentì stupido. Stupido e arrabbiato.
Stupido, perché l'idea d'un agguato non gli era nemmeno
passata per l'anticamera del cervello e perché, malgrado
tutto, una parte di lui continuava a rifiutarsi d'accettare che
Harlock non fosse più lo stesso che aveva conosciuto.
Arrabbiato, con se stesso per la sua stupidità e con Harlock
per esser caduto così in basso.
– Non pensavo che avresti giocato sporco, Harlock!
– Faccio quel che devo, te l'ho già detto. Per
mano mia o di qualcun altro, tu devi morire, Zero. Che importa chi
sarà a sferrare il colpo di grazia? Avanti, arrenditi e
facciamola finita.
– Come vuoi, facciamola finita!
Zero gli sparò.
Il primo colpo sfiorò Halock alla spalla sinistra, il secondo e il
terzo gli bucarono il mantello.
Il quarto, il quinto e il sesto frustarono l'aria e s'abbatterono
sulle rocce, ma Harlock era a terra: il ginocchio ferito aveva ceduto.
Zero chiuse un occhio, inquadrò nel mirino la mano di
Harlock che correva alla fondina e mosse il dito per premere il
grilletto. Il colpo non partì.
Un lampo, una sensazione di calore intenso, un forte urto alla mano. La sua pistola cadde, centrata in pieno dal raggio d'un folgoratore. La canna ancora
calda di un'arma gli si posò fra le scapole.
– Avresti dovuto restarne fuori, Zero – una voce
femminile – Forse avresti potuto vivere un po' più
a lungo con la tua bella futuriana.
– Chi sei? Come sai di me e Marina?
La canna del folgoratore gli scese fino ai lombi e un brivido gli
corse lungo la schiena.
– Ma come? Non ti ricordi più di me? Mi deludi...
se avessi ancora un cuore, si sarebbe spezzato.
Harlock s'avvicinò, la pistola in pugno.
La sollevò e gliela puntò alla fronte.
Zero lo fissò: nel suo occhio non un barlume d'esitazione,
tristezza o pietà.
Avrebbe premuto il grilletto. Avrebbe ucciso un uomo disarmato... un
uomo che aveva combattuto al suo fianco, con cui s'era sbronzato, un
uomo che aveva chiamato “amico mio”. I suoi pugni tremarono.
– Ma guardati, Harlock: non sei più tu!
– Sono quello che sono, Zero – lui armò
il cane – Addio.
– No. Voglio essere io a farlo.
Harlock abbassò l'arma e la donna gli si mise davanti.
Zero spalancò gli occhi: era l'ultima persona che si sarebbe
mai aspettato di vedere al fianco di Harlock e oltretutto la credeva
morta da quattordici anni, dall'esplosione dell' Hell Castle.
Non è possibile! Eppure quel viso diafano, quegli occhi azzurri
freddi come l'acciaio, quella figura eterea e quei lunghi capelli
biondi potevano appartenere solo a lei.
– Hell Matia?
– Oh, vedo che alla fin fine ti ricordi di me – la
donna si portò una mano al petto – Sono commossa.
– Cosa significa tutto questo? Perché...
– Hai anche il coraggio di chiederlo? – i suoi
occhi mandarono lampi da sotto le folte ciglia, le sue labbra sottili
assunsero una piega dura – Per Lamethal, per Andromeda, per
la Regina Promesium, per mia sorella! Non avrò pace
finché tutti i responsabili dello sterminio della mia gente
non saranno finiti all'inferno dopo aver perso ogni cosa, proprio come
me!
Avvicinò la canna del folgoratore al suo petto.
La luce delle lune di Heavy Meldar accese di riflessi inquietanti il
suo sorriso privo di gioia.
– Ora sarò io a spezzarti il cuore, Zero – armò il cane – In fondo
mi spiace che sia tu il primo: ci sono persone che odio
molto più di te.
– Harlock, che significa?!
La situazione era sempre più assurda. Durante la guerra,
Harlock era stato uno dei più acerrimi nemici di Ra Andromeda
Promesium e dei Meccanoidi: insieme a Tetsuro Hoshino
e Maetel, sarebbe dovuto essere l'oggetto principale dell'odio
e della sete di vendetta di Matia.
Lui non rispose. Chiuse l'occhio e abbassò l'arma.
Matia posò il dito sul grilletto.
Ora o mai più!
Zero le afferrò la mano e gliela fece ruotare
finché non fu al di fuori del campo di tiro dell'arma.
Un colpo si perdette fra le rocce.
Zero strinse i denti per sopportare il dolore, le compresse il polso con la destra e la obbligò a fletterlo con
la sinistra.
Matia emise un grugnito, tentò di resistergli.
Era forte, come tutti i meccanoidi: molto più forte di
qualunque donna e forse anche di parecchi uomini, ma lui era disperato,
furioso, pronto a tutto... e per sua fortuna, anche se meccanizzato, il corpo di Matia aveva la stessa struttura di quello umano, le stesse reazioni istintive.
L'arma cadde a terra con un tonfo che riecheggiò fra le rupi
come un colpo di cannone, o almeno così parve ai suoi sensi
resi acuti dal pericolo.
Prima che riuscisse a immobilizzarla, Matia lo afferrò al
bavero, s'abbassò e lo atterrò con una spazzata
alle caviglie.
L'impatto col terreno lasciò Zero senza fiato e il pestone
che lei gli mollò sulla mano ferita col tacco dello stivale
gli strappò un grido di dolore.
– Bel tentativo, Zero. Vedo che non hai perso la tua
testardaggine.
Matia raccolse da terra il folgoratore. Harlock lo inquadrò nel mirino.
– Spiegatemi almeno che c'entrano Daiba, la Kei e i coloni
di Elpìs con una guerra di quattordici anni fa!
Matia rise.
– Niente, e di loro non m'importa nulla... ma non sono
l'unica a cercar giustizia – lo guardò da dietro il mirino – E adesso addio, Zero: abbiamo
chiacchierato anche troppo per i miei gusti!
Zero chiuse gli occhi. Questa volta era davvero la fine.
Si chiese che ne sarebbe stato dei suoi uomini, di Yuki, Tadashi e
Mayu... ma soprattutto di Marina.
Avevano trovato l'uno nell'altra la loro ragione di vita e ora, per
colpa del suo stupido orgoglio, lei avrebbe di nuovo perso tutto. Sperò che fosse abbastanza forte da sopportarlo, che non lo
raggiungesse nel nulla della morte che già una volta aveva
cercato per sfuggire alla solitudine... poi udì il rumore di
uno sparo.
Aprì gli occhi.
Harlock e Matia avevano lo sguardo rivolto alla stretta gola che dava
accesso alla vallata e lui ne approfittò per rotolare via e
sguainare la Gravity Sabre.
Contro una pistola e un folgoratore era un'arma quasi del tutto
inutile, pesante, meno maneggevole e con una capacità di fuoco drammaticamente inferiore, ma era tutto ciò
che aveva.
– Giù le armi, tutti e tre!
Si era aspettato la voce di Ishikura o di Grenadier, ma si
stupì nel vedere che il suo salvatore era l'irritante
Vice-Sceriffo Carson.
Imbracciava un fucile a impulsi ed era fiancheggiato da almeno altri
cinque uomini.
– Non provate a fare i furbi, siete circondati!
– Capitano! Tutto bene?
Zero si guardò attorno. In cima a una roccia scorse
Eluder e, poco più in là, Marina e Nohara.
Harlock e Matia alzarono le mani.
– Vale anche per lei, Capitano Zero! – Carson s'avvicinò e sputò a terra – In piedi e
mani sopra la testa. Non importa se mi sto avvalendo della
collaborazione volontaria dei suoi uomini, duellare qui dopo il
tramonto è vietato.
Zero lasciò cadere la Gravity Sabre e si alzò. Il Vice-Sceriffo estrasse le manette. E ora? Ci arresterà e ci sbatterà tutti in una minuscola cella come gli ubriachi nei film western? Scrollò le spalle e alzò le mani. Tutto ciò che importava era che
Harlock e Matia non erano più in condizione di nuocere... e che presto avrebbero dovuto dargli parecchie spiegazioni.
La luce già fioca delle lune scemò di colpo. L'uomo alla destra del Vice-Sceriffo urlò e crollò
a terra, seguito da un altro dei suoi compagni.
Una raffica di colpi s'abbatté tra le rupi e in fondo alla
gola.
Che diavolo...
Carson urlò e s'accasciò, la
gamba sanguinante sotto la stoffa bruciata dei pantaloni.
Zero lo trascinò dietro una roccia e guardò in
alto. Un'astronave.
L'Arcadia?
No. Aveva le stesse linee e almeno a una prima occhiata pareva dotata
dello stesso armamento, ma era più grande, nera come la
notte e al posto del Jolly Roger dei pirati spaziali sfoggiava sulle
fiancate l'immagine di una donna alata, incoronata e armata di spada.
– La Nèmesis*! – la voce di Matia sovrastò il rumore delle rocce che andavano in frantumi – Sbrighiamoci! – Harlock raccolse da terra il
folgoratore, centrò un altro degli uomini di Carson e
trascinò Matia al riparo.
Zero si guardò attorno alla ricerca di un'arma: doveva
impedire almeno ad Harlock di fuggire, a ogni costo. Carson gli porse
il suo revolver.
– Per adesso rinuncio ad arrestarla, Zero – il Vice-Sceriffo si
slacciò la cintura e la strinse poco sopra la ferita con un
gemito di dolore – Facciamo secchi quei due bastardi!
– Devo prenderli vivi, Carson.
– Vorrà dire che li impiccherò dopo che
ci avrà fatto i suoi comodi. Ce la fa con quella mano?
Zero annuì.
– Al mio segnale, mi copra.
– Farò di più – Carson
tirò fuori una ricetrasmittente – Ehi, voialtri lassù,
mi sentite? Io e il vostro Capitano cercheremo di prendere quei
bastardi prima che se la battano. Non appena il loro fuoco di copertura
cesserà per permettergli di scappare e lui si metterà a correre, cercate di
rallentarli e mandate qualcuno giù dalla galleria per prenderli alle spalle... e che sia il più
veloce di voi mammolette federali! Ah, e nel caso non ci aveste ancora
pensato, chiamate i vostri compari con la loro nave!
Gettò a terra il trasmettitore e imbracciò il
fucile.
Zero si tolse la giacca e si abbassò, pronto a scattare.
Il fuoco di copertura cessò e lui si sporse.
Un piccolo caccia spaziale uscì dal portellone della
Nèmesis e scese nella gola per recuperare Harlock e Matia. Carson si mise in posizione di tiro.
– Buona fortuna.
– Anche a lei, Carson... Fuoco!
Zero corse più veloce che poté, zigzagando per
evitare i colpi di Harlock e le schegge di roccia che gli piovevano
addosso di rimbalzo da tutte le parti.
A pochi passi dalla meta, una nuvola di polvere e una raffica di
vento caldo lo investirono. Zero guardò in alto. Il caccia scendeva fra le rupi a folle velocità, l'ala sinistra inclinata dalla parte del vento. Una scivolata d'ala**? Nonostante fosse un suo nemico, Zero ammirò il fegato e l'abilità del pilota: un leggero tremito della mano sopra la barra, il minimo
errore nel valutare forza e direzione del vento, traiettoria o distanza del caccia dalle rupi avrebbero potuto ucciderlo.
Zero avanzò, gli occhi che bruciavano e la vista annebbiata. Intravide
Harlock che si voltava per rispondere al fuoco dell'uomo che Carson
aveva richiesto per accerchiare lui e Matia.
Sei mio!
Inquadrò le sue gambe nel mirino, ma una nuvola di polvere coprì il bersaglio, gli frustò la pelle e gli fece bruciare gola e polmoni.
Una decina di metri sopra di lui, il muso del caccia si raddrizzò.
Il pilota aprì il cupolino e,
senza lasciare la cloche né arrestare la manovra di discesa, fece fuoco. Zero si buttò a terra e alzò gli occhi. L'aereo era a meno di due metri dal suolo. Harlock e Matia s'aggrapparono alla fusoliera e s'issarono a bordo. Devo far fuori il pilota! Zero inquadrò la sua faccia nel mirino e vuotò il tamburo, ma la sua mano tremava e non una
delle sue pallottole andò a segno.
Il membro dell'equipaggio lo oltrepassò di corsa, spiccò un
salto e afferrò al volo la mano armata del pilota. Matia lo colpì alla testa col calcio del folgoratore finché non lasciò la presa. Cadde accanto Zero, si rialzò e sparò ancora un paio di colpi, ma il pilota richiuse il cupolino e decollò. Il caccia sparì oltre il portellone
della Nèmesis e l'enorme nave scomparve alla vista oltre le
rocce che circondavano la Valle della Morte.
– Zero! – Marina gli si chinò accanto,
la pistola ancora in pugno e il segno rossastro della botta sulla
fronte. Zero stirò le labbra. – Sto bene.
Lei. Avrei dovuto immaginarlo.
Marina gli afferrò la mano e si sfilò dal collo il foulard. Zero la guardò: aveva la stessa espressione sconvolta
che doveva avere lui.
– L'hai vista? Il pilota...
Lei annuì, cupa.
– Allora non era un'allucinazione... quella era...
La voce gli mancò. Capelli rossi, occhi azzurri e
quell'inconfondibile cicatrice che le attraversava di sbieco il volto.
Rivederla era stato un colpo al cuore, quasi quanto combattere con
Harlock.
– Emeraldas.
– No – Marina annodò il fazzoletto alla
sua mano e scosse il capo – Quello era un abitante del mio
pianeta.
Sollevò la manica della divisa. Il suo braccio era diventato
trasparente e il liquido organico che vi era contenuto stava ancora
ribollendo.
* Nèmesis
è la personificazione della giustizia divina secondo la
mitologia greca; col tempo, il suo ruolo di dispensatrice di buona o
cattiva sorte a seconda dei meriti o dei demeriti di ognuno fu messo da
parte in favore del suo lato "punitivo", rendendola la dea della
vendetta.
Mi è sembrato
un buon nome per la nave di Hell Matia & soci, che cercano
proprio quel tipo di "giustizia" che, dall'altra parte, è
visto come "vendetta".
** L'atterraggio in scivolata d'ala è una manovra che il pilota esegue in presenza di vento, immettendo piede contrario al vento stesso. L'ala sottovento "cade" su un lato, consentendo al velivolo d'abbassarsi rapidamente. Di solito, nonostante la spettacolarità, è considerata una manovra sicura... con veicoli leggeri e in spazi aperti. ;)
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 17 *** Il progetto Herakles - parte I ***
cap 8
Tadashi osservò Mayu sedersi accanto a Ishikura,
versare un po' d'acqua in un bicchiere e vuotarlo in un paio di sorsi.
La sua guancia ancora arrossata sotto la luce dei neon gli
strappò un sorriso.
Fino al momento d'irrompere in quella vecchia miniera aveva avuto
intenzione di fare una bella ramanzina a quella piccola incosciente, ma
tutta la sua determinazione era svanita come neve al sole quando
l'aveva sentita chiedere scusa tra i singhiozzi fra le braccia di Yuki.
Ripensò ai suoi quattordici anni e al giorno in cui per la
prima volta aveva messo piede sull'Arcadia:
tutti i pericoli che aveva corso, gli sbagli che aveva commesso, le
lacrime che aveva versato e i ceffoni che si era preso...
Erano stati tanti, davvero tanti.
Sospirò.
Crescere non
è mai indolore.
Ma quel dolore insegnava più di qualunque altra cosa: aveva
reso
uomo un ragazzino furioso con se stesso e col mondo intero e presto,
molto presto, avrebbe fatto di Mayu una donna.
Era strano ciò che provava a quel pensiero: una parte di lui
sapeva che era inevitabile e giusto che accadesse mentre l'altra
avrebbe voluto poter fermare il tempo o addirittura farlo tornare
indietro perché rimanesse per sempre una bambina... ed
entrambe,
il suo intero essere, lo spingevano a guidarla e proteggerla con tutte
le sue forze.
Come tante altre volte da quando aveva preso Mayu con sé, si
chiese se anche Harlock avesse provato qualcosa di simile nei suoi
confronti, se avesse mai visto in lui qualcosa di se stesso alla sua
età, se il suo istinto lo avesse portato a fargli da guida
e a
difenderlo come avrebbe fatto con uno scapestrato fratello minore... se
lo avesse mai amato come tale.
Poggiò la mano sinistra sul petto e s'incupì
quando le
sue dita percepirono il gonfiore della cicatrice sotto la stoffa
sottile della tuta spaziale. Un tempo ne era stato quasi certo, ma
adesso?
La porta si aprì con un sibilo e Rai e Grenadier
introdussero
nella stanza Mime, Maji, Yattaran e Sylviana, disarmati ma con le mani
libere.
I quattro prigionieri si sedettero davanti a lui, Yuki,
Mayu e Ishikura.
Parevano pallidi, ma forse era solo l'effetto della luce che si
rifletteva sulle pareti metalliche della sala interrogatori della
Karyu, una stanza soffocante e spoglia occupata quasi per intero da un
tavolo e da scomodissime sedie di metallo ancorate al pavimento.
Li guardò, uno per uno: Yattaran
reclinò il capo con un'aria rassegnata che era molto poco da
lui, Maji lo fissò come se avesse avuto di fronte un
fantasma e
Sylviana lo squadrò da capo a piedi con aria di sfida,
mentre
Mime si limitò a ricambiare la sua occhiata senza muovere un
muscolo.
Come sempre, gli diede l'impressione di riuscire a leggergli
dentro mentre per lui era impossibile anche solo immaginare cosa le
passasse per la testa.
Tadashi strinse il pugno e fece un profondo respiro per impedirsi d'abbatterlo sul tavolo.
Si sentiva frustrato in una maniera indescrivibile: nemmeno nei suoi
sogni più folli avrebbe mai pensato di trovarsi, un giorno,
in
una situazione del genere.
Fino a poche ore prima, a tre di quelle quattro persone avrebbe
affidato la vita senza pensarci su due volte: avevano condiviso gioie e
dolori, combattuto insieme... erano i suoi compagni e parte della sua
vita, della strana, meravigliosa famiglia che aveva trovato fra le
stelle.
Ricordò un episodio di tanto tempo prima, risalente ai suoi
primi mesi a bordo dell'Arcadia: loro quattro e il Dottore seduti in
cerchio sul pavimento della sua cabina con l'aria da cospiratori e al
centro una dozzina di bottiglie di vino provenienti in parte dalla
cucina, in parte dalla riserva personale del Capitano; più
della
metà erano già vuote quando si era convinto ad
unirsi a
loro.
S'era ubriacato al quarto, forse al quinto bicchiere, non ricordava...
ma ricordava fin troppo bene che, a un certo punto, aveva attaccato
una terribile lagna adolescenziale piena di mamma, papà e
del
suo triste destino di eterno esiliato nello spazio, roba da meritargli
il titolo indiscusso vita natural durante di campione siderale di
piagnisteo.
Loro, però, non lo avevano zittito né lo avevano
preso in
giro, anzi: le cose che ricordava con maggior chiarezza erano proprio
i loro sguardi colmi d'affetto e comprensione.
E adesso, invece, mi
guardano come un estraneo... peggio ancora: come un nemico.
La mano di Yuki si posò sul suo pugno contratto e lui la
strinse, in cerca della forza e della serenità che quel
contatto
riusciva sempre a trasmettergli.
Ishikura si alzò, si schiarì la voce e
cominciò a
camminare intorno al tavolo con le mani dietro la schiena.
– Sono il
Vice-Comandante Shizuo Ishikura,
in forza alla Flotta Unita della Federazione Terrestre, facente
funzioni di Capitano – abbassò su di loro uno sguardo accigliato – Siete accusati di sequestro di
persona e
aggressione a personale militare, favoreggiamento nei confronti di
un criminale ricercato, immigrazione clandestina e altri reati
minori – si fermò e sbatté il palmo
della destra
sul tavolo – La farò breve: se collaborerete,
farò
cadere le accuse, altrimenti...
– Io non
parlo, maledetti bastardi –
Maji lo guardò
dritto
negli occhi con la vecchia grinta che Tadashi gli conosceva e sputò per terra – Potete anche
ammazzarmi
subito, se volete!
– Giusto!
– Yattaran incrociò
le braccia sul petto – Non vi consegneremo mai i nostri
amici,
nemmeno sotto tortura! I vostri sporchi esperimenti fateli su di voi,
se ne avete il coraggio! Mi spiace solo di non essere riuscito a
ritrovare il Capitano e di non aver avvisato il vero Tadashi del
pericolo che correvano lui, Yuki e la piccola Mayu...
– Non
è stata colpa tua, tappo
– Sylviana si arrotolò una ciocca di capelli
attorno
all'indice e accavallò le gambe – Chi poteva
immaginare
che avrebbero preso di mira persino Mister Pezzo Grosso?
Però
mandarci contro la sua copia carbone insieme ai soldati non
è
stato un gran colpo di genio, debbo dire... ora abbiamo la certezza che
gli alti papaveri della Federazione sono davvero coinvolti in tutta
questa sporca faccenda.
– Già
– Yattaran s'incupì – Spero
solo che...
– Un momento!
Che storia è questa?
– Tadashi era a dir poco stupefatto – Esperimenti?
Il vero
Tadashi? Consegnarci i vostri amici? Ma che dite?!
– Anche prima
che arrivaste dicevano cose
senza senso – appoggiato alla parete dietro i
prigionieri,
Grenadier si grattò il mento con la canna della pistola
– Tipo che la Signorina Oyama non era lei ma
una sosia
mandata per farli finire in trappola, che c'era già stato un
tizio dei loro a cui era capitato qualcosa di brutto... cose
così.
– Mi credete
un impostore? – Tadashi
li fissò a bocca aperta: certo, la notizia della sua morte
doveva essere arrivata anche su Heavy Meldar, ma perché
considerare anche Mayu, Yuki e l'equipaggio di Zero dei nemici?
Perché non prendere in considerazione la
possibilità che
fosse scampato all'attentato piuttosto di ipotizzare fantasiose
spiegazioni a base di sosia, esperimenti e complotti ai loro danni?
Sylviana rise.
– Un uomo
morto e sepolto ci piomba addosso
all'improvviso bello vispo e pimpante e ci porta su una nave piena di Federali per farci il terzo grado... tu che ne dici, biondino?
Avanti, sono certa che puoi fare meglio di così!
– Io sono Tadashi Daiba!
– Sì,
e io sono Calamity Jane! Dammi una delle mie pistole, che te lo
dimostro!
– Forse dicono
la verità –
Mime parlò per la prima volta da quando l'avevano catturata
– Non ho percepito nulla di strano in Mayu. E poi, mandarci
contro proprio la copia di Tadashi sarebbe stato stupido. Finora i loro
stratagemmi sono stati subdoli, crudeli e ignobili, ma sempre
pianificati nei minimi dettagli. Scoprirsi così non sarebbe
da
loro.
– Chi sono
“loro”? – Yuki si sporse verso Mime
– Vi prego, ragazzi, se sapete qualcosa, ditecelo!
– Sì,
ti scongiuro, Mime –
Mayu rigirò fra le mani la sua ocarina e fissò la
Yuriana
con occhi lucidi – Se sai perché Harlock si
comporta
così, se sai dove si trova e se qualcuno vi minaccia,
ditecelo!
Ti assicuro che siamo noi... davvero!
Perché non ci credete?
Mime la fissò, si stropicciò le
mani e chiuse gli occhi.
– Perché
fidarsi è
pericoloso, nella nostra situazionei – reclinò il capo – Fosse solo per le nostre vite
sarebbe un conto, ma da noi ne dipendono altre. Molte altre.
– Stavi per
fare qualcosa, prima che
Grenadier si liberasse – Mayu lasciò andare
l'ocarina ed
estrasse dalla tasca un cilindro metallico – Con questo. A
che
serve?
Yattaran incrociò le braccia dietro la nuca e la
sua aria depressa scomparve, sostituita dall'espressione fiera di
sé dell'inventore.
– È
un rilevatore di chip Hardgear
modificati, una mia piccola creazione – sogghignò – Nel caso ve lo steste chiedendo,
anche se dovesse capitarmi qualcosa, copia dei progetti è in
mani sicure... mani di chi sa costruire e usare questi giocattolini
quanto me. È solo questione di tempo prima che i nodi
vengano al
pettine!
– Chip
Hardgear? – Yuki strinse la mano di
Tadashi così forte da fargli male alle dita.
Tadashi la guardò. Era sbiancata, e non per l'effetto dei neon.
Anche a lui il nome ricordava qualcosa... qualcosa di molto spiacevole.
– Il progetto
Herakles! – un brivido
gli corse lungo la schiena – Volete dire che qualcuno sta
ancora
cercando di realizzare quella follia?
Mayu si voltò verso di lui, lo sguardo colmo d'interesse.
– Cos'è
il progetto Herakles?
Grenadier incrociò le braccia sul petto.
– Roba di
più di dieci anni fa. Mi stupisce che una persona giovane
come lei se ne ricordi, Signor Daiba.
– Eccome se me
ne ricordo! Mio padre era a
capo del Comitato Etico Scientifico, allora. Ebbe un sacco di
grattacapi per quella follia.
E io qualche incubo,
pensò, ma non lo disse.
– Già,
è vero – Grenadier si diede una manata sulla fronte – il Professor Tsuyoshi Daiba fece di tutto per
impedire la sperimentazione umana di quei chip... me n'ero proprio dimenticato!
Tadashi annuì, cupo.
– E alla fine
ci riuscì. Ma non fu sufficiente a far desistere quel folle
del Professor Kurai... e chi lo sosteneva.
Nella sala scese un tetro silenzio.
Di certo, a eccezione di Mayu che all'epoca aveva appena quattro anni, tutti avevano ancora bene in mente le immagini del filmato che aveva portato alla luce
quell'infamia.
A distanza di dieci anni, Tadashi ricordava ancora con estrema
nitidezza il video sgranato e privo di audio che, un pomeriggio come
tanti altri, aveva interrotto il suo cartone animato preferito.
Ricordava la stanza, un laboratorio dalle pareti candide del tutto
simile a quello di suo padre, solo che, invece del telescopio, al
centro c'era un lettino di ferro collegato a un computer.
Ricordava l'uomo sul lettino, un giovane di poco più di
vent'anni coi capelli scuri.
Ricordava le cinghie di cuoio che lo tenevano avvinto al materasso e
ricordava che si era chiesto il perché, dato che pareva
profondamente addormentato.
Poi, una sonda era calata dall'alto e qualcosa gli era stata inserita
nel cranio.
Uno degli uomini in camice bianco che circondavano il lettino aveva
digitato qualcosa al computer e l'uomo aveva iniziato a dibattersi fino a spezzare le
cinghie di cuoio che lo legavano, si era alzato, si era preso la testa
fra le mani, era esploso in un urlo... e a quel punto era iniziato
l'orrore: incurante delle ferite che si procurava, di tutto
ciò
che aveva intorno, aveva preso a colpire ogni cosa che gli capitava a
tiro con pugni, calci e testate, il volto sfigurato dalla rabbia e dal
dolore, coperto di sangue. Quando aveva aggredito uno degli scienziati,
due uomini armati di fucile erano intervenuti e gli avevano sparato
alle braccia e alle ginocchia ma, alla fine, per riuscire a fermarlo,
gli avevano dovuto spappolare la testa a furia di colpi.
Era stato a quel punto che Tadashi aveva vomitato la merenda e sua madre,
sconvolta nel vedere la scena che si ripeteva, era corsa nello studio a
chiamare suo padre.
Tadashi tornò al presente, chiuse gli occhi e si
massaggiò le
tempie per raccogliere le idee e ricacciare il senso
di nausea che di nuovo gli stringeva la bocca dello stomaco.
Anche se soltanto in parte, le vicende del progetto Herakles si
intrecciavano con la triste storia della famiglia di Mayu; avrebbe
preferito aspettare ancora un po' prima di parlargliene ma, viste le
circostanze, doveva sapere: era suo dovere prepararla a
ciò cui sarebbe potuta andare incontro... per quanto in
realtà dubitasse d'esser pronto lui stesso.
Sospirò, strinse la mano di Yuki e guardò Mayu
negli occhi.
– Tutto
cominciò al termine della
guerra fra umani e Meccanoidi. Quando la Regina Promesium
morì,
quasi tutti i suoi guerrieri scampati all'esplosione s'immobilizzarono come se fossero stati privati all'improvviso anche solo della
volontà di muovere un dito. Gli scienziati della Federazione
li
studiarono e scoprirono che nel loro cervello era stato impiantato un
particolare microchip: il chip Hardgear, appunto. Quel dispositivo,
oltre ad avviare una progressiva meccanizzazione del cervello e in
alcuni casi addirittura di tutto il corpo, inibiva la
volontà
dell'ospite perché agisse secondo il volere di una singola
persona, in quel caso la Regina. I ricordi, le conoscenze e le
capacità rimanevano intatti, ma a lungo andare i sentimenti,
la
personalità e la coscienza finivano per scomparire del tutto.
– Sentimenti! – Grenadier
incrociò le braccia –
Li consideravano cose
inutili, su Andromeda. Ognuno non doveva essere altro che un
ingranaggio... e proprio questo diventava, alla fine della fiera.
Mayu spalancò gli occhi. Un'espressione di stupore e
raccapriccio le si dipinse sul viso.
– Ma
è orribile!
Tadashi provò una grande pena: in fondo, Ra Andromeda
Promesium,
la Regina dei Mille Anni che prima salvò
l'umanità
condannando la sua patria a un inverno perenne e più d'un
secolo dopo tentò d'annientarla al comando delle forze
meccanoidi, era pur sempre sua nonna.
E, in fondo, era stata anche lei una vittima.
Ishikura tornò a sedersi.
– Ovviamente
non ci volle molto
perché qualcuno, nel nostro caso il Professor Kenzo Kurai,
proponesse d'utilizzare quella tecnologia per creare dei super
soldati. Sosteneva che nel sessantotto i combattenti della
Federazione non erano stati in grado di respingere l'offensiva
meccanoide proprio perché frenati dai sentimenti e
dall'istinto
di sopravvivenza, ostacoli che i sudditi di Promesium non avevano.
– Già,
che gran bastardo! –
Rai arrossì e si schiaffeggiò una coscia
–
Dopo che così tanti ragazzi con la
metà dei
suoi anni erano morti nella fascia d'asteroidi e nell'orbita lunare
per salvare le chiappe anche a lui!
– Comunque sia
– Tadashi riportò l'attenzione su Mayu
– Questa fu la nascita del progetto Herakles. Kurai propose
di
modificare i microchip eliminando la procedura di meccanizzazione e d'impiantarli in cloni dei migliori soldati della Federazione sottoposti a un processo di crescita accelerata e a un trasferimento
selettivo di memoria di sua invenzione. Il Comitato Etico lo
stroncò, sia perché la clonazione umana era
illegale da
più di cent'anni, sia perché privare un essere
senziente
di libertà e idee proprie viola alla base il codice morale
degli scienziati; persino l'opinione pubblica gli diede addosso. Lui
sparì dalla circolazione per più di due anni e
parve che
tutto fosse finito in una bolla di sapone... finché qualcuno
filmò di nascosto uno dei suoi esperimenti e lo trasmise a
reti
unificate.
– Uno
spettacolo davvero orribile –
Ishikura bevve un sorso d'acqua – All'epoca ero lontano anni
luce
dalla Terra, ma quel video arrivò ovunque, me lo ricordo
come
se fosse ieri. Da quel che se ne dedusse in seguito studiando le sue
annotazioni, Kurai scoprì da subito che il chip modificato
faceva impazzire gli esseri umani, ma continuò i suoi
esperimenti in segreto con l'appoggio d'alcuni membri del Ministero
della Difesa. Quando l'esercito federale trovò il suo
laboratorio grazie alle indicazioni pervenute insieme al filmato e vi
fece irruzione, risultò che aveva già ucciso
quasi un
centinaio fra normali esseri umani e cloni durante gli esperimenti... e
molti di più erano quelli impazziti per i suoi test sui
tracciati neurali. Mayu spalancò gli occhi.
– E lo presero?
Ishikura scosse il capo.
– Qualcuno
doveva averlo avvertito, ma non
si scoprì mai chi... o almeno, non che io sappia.
È
ancora ricercato per crimini contro l'umanità: nei nostri
palmari la sua foto è la terza che compare fra quelle di
tutti i
criminali più pericolosi e abbiamo l'ordine di prenderlo vivo
o
morto. Non avrei mai creduto che qualcuno avrebbe rimesso mano al su oprogetto, anche perché, se non ricordo male, tutti gli
appunti e i chip rinvenuti in quel laboratorio furono distrutti. Tadashi annuì.
– Se ne
occupò mio padre – strinse il pugno – Di persona. Disprezzava
così
tanto ciò che aveva fatto Kurai che non dubito abbia
fracassato
anche la più piccola vite e bruciato anche il più
piccolo
frammento di carta.
Mayu guardò Mime. La mano che
stringeva il rilevatore tremava.
– Pensavate
che io avessi uno di quei chip nel cervello? Che potessi essere un clone?
Yattaran annuì.
– Lo sospetto
ancora. Risulti scomparsa dalla Terra da troppo, ormai. È lo
stesso copione che abbiamo visto le altre volte.
– Le altre
volte? Ti riferisci a quel Doskoi?
– Cos'è
successo a Doskoi? –
Yuki si sporse verso i prigionieri, un'ombra di impazienza nella voce
– Vi prego, basta misteri! Siamo in pericolo e stiamo
cercando il
Capitano quanto voi!
– Non possiamo parlare – Maji spostò lo sguardo da
Yuki al
rilevatore nella mano di Mayu – Almeno finché non
ci
dimostrerete d'essere davvero voi.
Mayu sollevò di nuovo il rilevatore e guardò
Yattaran.
– Come
funziona?
– Premi il
pulsante in basso e passalo attorno alla testa, soprattutto dietro il
collo e sulla nuca. Farà tutto da solo.
Tadashi si alzò e le tolse di mano il congegno: anche lui
aveva
buone ragioni per non fidarsi di nessuno, e un buco nel petto come
promemoria.
– Non tu.
Premette il pulsante, ma la mano di Mayu si strinse attorno al cilindro.
Tadashi la guardò. Aveva la stessa espressione ostinata di quando
aveva
voluto a tutti i costi andare a contattare Zero durante il suo finto
funerale.
– Nemmeno tu
– la sua voce era ferma,
lo sguardo dei suoi occhi castani gli ricordò quello deciso
di
Harlock – E nemmeno Yuki. Siete troppo importanti per la
Terra e
siete due combattenti esperti. Io sono solo una ragazzina qualunque. So
che mi volete bene, ma adesso dovete ragionare: se fossi io a farmi
male, sarebbe il male minore.
– Dal punto di
vista strategico, avrebbe
ragione – Grenadier si avvicinò – Ma non
posso
permettere che una così bella fanciulla si metta in
pericolo...
sarebbe uno spreco imperdonabile per le generazioni future!
L'ex mercenario afferrò il rilevatore e, prima che chiunque
potesse dire o fare qualcosa, se lo passò attorno alla
testa.
Non ci fu la minima reazione.
– Pare che io
non sia un super soldato – sghignazzò –
Peccato!
Bilanciò il cilindro nella mano enorme e lo porse a Tadashi,
che
ripeté l'operazione, poi fu la volta di Mayu e infine di
Yuki.
Il congegno rimase inerte.
– Siete
convinti, adesso?
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 18 *** Il progetto Herakles - parte II ***
Per un po', nessuno parlò, poi
Yattaran emise una lunga risata nervosa.
– Certo che
avete davvero la pelle dura, ragazzi! Soprattutto tu, Tadashi...
– Vi credevamo
già morti! – Maji scoppiò in lacrime
– Che sollievo!
Il volto di Mime s'illuminò e persino il cipiglio
di Sylviana si distese.
– Bé,
questo cambia le carte in tavola.
– Puoi dirlo
forte! – Yattaran
scattò in piedi – Se ci saranno anche loro con
noi, le
possibilità di fermare i pazzi che stanno dietro a tutto
questo
aumenteranno di parecchio! Soprattutto perché dispongono di
una
nave... e che nave! Il glorioso Drago Fiammeggiante, nientemeno! Yuki giunse le mani.
– Che ne
è stato dell'Arcadia?
A quella domanda, la luce sul volto di Mime si spense.
– L'ultima
volta che l'ho vista, era
ancorata tra i pianeti gemelli del sistema stellare di Alpheratz. Non
so se sia ancora laggiù.
Sylviana si alzò, stirò le
braccia e posò le mani sui fianchi torniti.
– Il Capo e
il tappo si erano associati
con me proprio perché erano in cerca di una nave per correre
dietro ad Harlock – si sistemò il vestito – Era
un
periodo di magra per tutti, così abbiamo fatto un patto:
loro e
la bella compagnia che avrebbero riunito quaggiù m'avrebbero
fornito un aiuto nel mio lavoro e lasciato una buona percentuale sulle
taglie, mentre io avrei garantito loro protezione, anonimato e,
al
momento giusto, il mio nome su ogni atto della compravendita. Ma a
quanto pare la pacchia è finita... e come se non bastasse
per
mano mia, accidenti!
Tadashi guardò Mime.
– Come mai tu
e il Capitano vi siete separati?
– Non per mia
volontà – Mime
giunse le mani – Accadde circa quattro
anni fa. Eravamo in viaggio verso la Terra per il compleanno di Mayu
quando incrociammo una nave nera identica all'Arcadia. Provammo a
contattare l'equipaggio via radio, ma nessuno rispose. Lui
andò
a vedere, stette via un paio d'ore e poi mi
ricontattò. Mi
ordinò di sbarcare: disse che non sarebbe più
tornato a
bordo e che non mi voleva con sé.
Tadashi rimase a bocca aperta.
Harlock che abbandonava la donna che gli aveva dedicato la vita e
soprattutto la sua nave, il
suo migliore amico,
era la cosa più assurda che potesse immaginare, giusto un
po'
più assurda d'un universo immobile, di un cubetto di
ghiaccio
bollente, di acqua asciutta o di una fiamma fredda.
Guardò Yuki e Mayu. Dalle loro espressioni, dedusse che la
pensavano proprio come lui.
– Provai a
farlo ragionare, gli chiesi cosa
avesse trovato, se fosse successo qualcosa... lo supplicai... non
servì a niente. Chiuse il collegamento e partì.
– E Tochiro
non fece nulla? – Tadashi era sempre più incredulo.
– Da qualche
tempo era... stanco; o almeno,
così diceva Harlock. Ogni volta che tornava dalla sala
computer,
il Capitano era sempre più cupo. Non so cosa fosse successo
fra
di loro, cosa avesse Tochiro... fatto sta che l'Arcadia rimase ferma
lì. Cercai di seguire quella nave con un Lupo Spaziale, ma
fu
inutile. Rimasi sola, lontana da tutte le rotte commerciali e militari.
Alla fine sbarcai in un avamposto di pionieri, ma ero una strana aliena
e nessuno voleva darmi lavoro o fiducia. Dovetti imparare a mascherare
il mio aspetto e a vivere di espedienti. Passarono quasi due anni prima
che riuscissi a tornare alla civiltà e contattare qualcuno.
– Nella
fattispecie, me – Yattaran mise una mano sulla spalla di Mime – Era da poco esplosa
Elpìs, e voi
sapete meglio di chiunque altro come mi sentivo. Giravano le voci sul
coinvolgimento di Harlock, sulla mia complicità e fantasiose
teorie di complotto secondo cui dalla morte di quei poveri coloni io e
Tadashi avevamo guadagnato soldi a palate... volevo scappare e volevo
la verità, così preparai dei documenti falsi per
far
perdere le mie tracce e partii per raggiungerla qui, su Heavy Meldar. Sospirò.
– All'epoca non sapevamo nulla del progetto Herakles; volevamo solo
ritrovare il Capitano, chiedergli spiegazioni e provare la sua
innocenza davanti al mondo intero. Ci servivano una nave e un
equipaggio, così ci stabilimmo in uno dei vecchi nascondigli
di
Harlock e mi diedi da fare per riunire la ciurma e raccogliere
informazioni. Poi, sei mesi fa, senza che lo avessi contattato,
arrivò Doskoi. Yattaran si sedette,
pulì le
lenti degli occhiali con un lembo della maglietta e li
guardò.
– Non era il Doskoi che conoscevo – la sua voce si ruppe – Era sfuggente,
taciturno... strano. Mime diceva che
qualcosa in lui non la convinceva e Tori-San, addirittura, tentava di
aggredirlo. Bé,
avevano
ragione: quella notte stessa tentò d'ammazzarci.
Maji singhiozzò.
– Era come in
quel maledetto video –
si asciugò le lacrime col dorso della mano –
Niente lo
fermava, né le parole, né le ferite! Dovetti
sparargli
alla testa prima che spaccasse quella di Mime con un mazzuolo...
– Trovammo il
chip fra i resti del suo
cervello – anche Yattaran aveva gli occhi lucidi –
Lo
analizzai e finalmente potei capirci qualcosa. Per farla breve, quel
maledetto coso emette onde alfa ad alta frequenza che disattivano
l'amigdala, cioè la parte del cervello che controlla i sentimenti
e la memoria emotiva. Se si ha quel chip in testa, tutte le
informazioni provenienti dall'esterno hanno la stessa importanza, non
si hanno istinti né un concetto di giusto o sbagliato...
ecco
perché i guerrieri meccanoidi di Andromeda Promesium non
avevano
paura di morire o remore nell'uccidere. Per loro, un essere vivo e uno
morto erano uguali, nient'altro che un dato. Un cervello umano,
però, è diverso da quello a codici binari di un
meccanoide: senza il filtro delle emozioni e degli istinti, non
è in grado di gestire tutti gli stimoli esterni, tutte le
informazioni che costantemente gli arrivano... ed ecco
perché le
cavie di Kurai, anche quelle a cui non aveva incasinato il cervello, avevano finito per impazzire.
– Doskoi era
un clone? – la voce di Yuki era appena un soffio. Yattaran allargò le braccia.
– Di lui non
posso essere sicuro al cento
per cento. Come ho
già
detto prima, non ricollegai subito il chip al progetto Herakles. Sapevo
poco sulle caratteristiche di quei meccanismi, era passato tanto tempo
e inoltre Doskoi non era proprio del tutto pazzo: rispetto all'uomo di
quel video di dieci anni fa, agiva lucidamente: aveva aspettato la
notte, non era scomposto nei movimenti e non colpiva a caso. Quelli che
vennero dopo, però...
– Vuoi dire...
– Sì,
ci sono stati altri due casi.
– Chi?
– Kiddodo e
Taro.
Sul volto di Yuki scesero due lacrime silenziose e anche Tadashi aveva un groppo in gola. La attirò vicino per
confortarla.
Non aveva conosciuto Doskoi, il Capo Ingegnere che aveva preceduto
Maji, ma ricordava bene Kiddodo e Taro, le loro interminabili partite a
scacchi nei corridoi che finivano sempre interrotte da un allarme o da
qualcuno che inciampava nella scacchiera, il loro giro di scommesse
sulle corse dei topi e i loro scherzi assurdi che, per qualche ragione
misteriosa, risparmiavano solo Yuki e il Capitano, mentre lui era uno
dei bersagli preferiti.
Erano due ragazzi allegri che contribuivano a rendere meno noiosa la
vita a bordo e, anche se non aveva legato molto con loro per via della
situazione particolare che stava vivendo all'epoca, la loro perdita lo
addolorava.
Yattaran
bevve
un sorso d'acqua.
– Dopo il
fatto di Doskoi, cominciai a
sospettare che ci fossero grosse forze in gioco. Costruire quel chip, impiantarlo in un
nostro
ex compagno d'armi e rintracciarci su questo pianeta non era un'impresa
alla portata di chiunque. Inoltre, cosa ancor più grave, mi
resi
conto che tutti quelli che non avevo contattato potevano essere
possibili bersagli se i nostri nemici avessero voluto riprovarci. Alla
fine chiamai Tetsuro sulla Terra e gli chiesi aiuto. Fu impagabile: mi
fornì informazioni sui chip Hardgear e sul progetto Herakles, m'aiutò a
mettere
a punto il rilevatore e, cosa più importante,
rintracciò
e mise al sicuro tutti i nostri compagni mancanti all'appello che
riuscì a trovare insieme alle loro famiglie.
– Capisco
– Tadashi afferrò un
bicchiere, lo riempì e lo porse a Yuki – Erano
loro gli
amici che non volevate consegnarci e le cui vite dipendevano da voi.
Mime annuì.
– Ci sono
donne, bambini e persone anziane
fra di loro. Tetsuro, Tadashi Monono e Lydia si sono incaricati di
proteggerli finché la situazione non sarà
risolta.
Tetsuro sta anche cercando di scoprire se qualcuno sulla Terra
è
coinvolto in tutto questo.
– Di sicuro lo
è – Yattaran si
accigliò – Solo qualcuno molto in alto oltre a me,
Yuki e
Tadashi poteva avere accesso a tutte le specifiche del progetto di
Elpìs, e solo qualcuno molto in alto può avere
accesso
all'archivio dei tracciati neurali del Ministero della Difesa. Taro e
Kiddodo erano due cloni, ne ho l'assoluta certezza. Erano scomparsi da
mesi, nemmeno Tetsuro con tutte le sue conoscenze e i suoi mezzi era
riuscito a trovarli... poi un giorno arrivano qui su Heavy Meldar e ci
cercano tramite Sylviana.
– Quella volta
stavo in campana,
però – la cacciatrice di taglie esaminò
con aria
critica le sue lunghe unghie laccate di rosa – Li
impacchettai
ben bene, li portai dal capo e li esaminammo col rilevatore: bingo.
Eravamo lì a studiare una maniera di togliergli quel coso
dalla
testa e risalire al loro mandante quando si sono messi a urlare e
dibattersi come pazzi. Dopo circa sei ore di inutili tentativi
per liberarsi sono entrati in coma e il giorno dopo sono morti.
Yattaran annuì con fare triste e si sistemò gli
occhiali.
– Passò
qualche giorno e Tetsuro mi
contattò: mi disse che i cadaveri dei veri Taro e Kiddodo
erano
stati ritrovati sotto un ponte a Megalopolis. Erano morti da
più
di un mese, nessuna possibilità d'errore... ma quei cloni ci
avevano riconosciuti e ricordavano cose che solo Taro e Kiddodo
potevano sapere, segno che gli era stata trasferita la loro memoria
partendo da tracciati neurali, proprio come prevedeva il progetto di
Kurai.
Tadashi rabbrividì.
– Non
è possibile che i nostri
nemici abbiano un macchinario in grado d'estrarre il tracciato neurale
senza ricorrere all'archivio della Difesa?
– Lo escludo.
Quella tecnologia è
segretissima: avrebbero dovuto prendere tutti i cinquanta tecnici
meccanoidi che si occupano ognuno di un singolo aspetto della
manutenzione di quel macchinario, smontare i loro chip di
memoria,
craccarli, sperare di capirci qualcosa, di essere in grado di
ricostruire tutto il meccanismo e infine comprenderne il funzionamento
senza che nessuno s'accorgesse di nulla. Troppo difficile, costoso e
azzardato se l'alternativa è corrompere una sola persona per
avere accesso a quello già esistente.
– Secondo voi,
chi c'è dietro a tutto questo?
Yattaran si grattò la nuca.
– Chi lo sa. Kurai dovrebbe essere
un vecchio, ormai, sempre ammesso che sia ancora vivo. Secondo Tetsuro,
non aveva parenti in vita e i suoi tre assistenti si sono
tutti
suicidati in carcere. Per quanto riguarda la fuga di notizie dal
Governo, non ne ho proprio idea.
– Perché
ragionate come dei Boy
Scout, tappo – Sylviana sedette sul bordo del tavolo,
accavallò le gambe e indicò Ishikura col pollice
–
Me lo sarei aspettato dal Soldatino facente funzioni, qua, non da dei
temibili Pirati Spaziali. Comunque sia, come al solito basta trovare
chi ci guadagna di più dall'intera faccenda: Harlock di
nuovo
pendaglio da forca, Mister Pezzo Grosso fuori dai
giochi e voialtri dispersi per il Cosmo a correr dietro al vostro
Capitano oppure sotto terra... scoprite chi ne trae più
vantaggio fra i vostri politicanti e avrete individuato il vostro uomo!
Ishikura si aggiustò il colletto e la guardò
storto.
– Noi
ragioneremo anche da Boy Scout, ma nel mondo civile non puoi andare da
uno e scannarlo solo perché ti sembra che ci guadagni:
esistono delle cose che si chiamano “processi” e
delle
altre che si chiamano “prove”, senza le quali non
puoi
accusare di nulla neanche il peggiore dei delinquenti, figurarsi un
membro del Governo!
Sylviana non si scompose. Lo squadrò con aria annoiata, si
alzò e gli si avvicinò.
– Tutte
inutili perdite di tempo, ecco
perché non mi piace la Terra – si passò
un dito sul
labbro inferiore e lo posò su quello di Ishikura che stava
per
ribattere – Comunque sia, mi piacciono i Boy Scout della
Terra,
Soldatino... siete così teneri!
Grenadier fischiò, Rai ridacchiò e Ishikura
arrossì fino alla radice dei capelli. S'irrigidì e allontanò il
dito di Sylviana come se fosse stato incandescente.
– Io vorrei
capire soltanto una cosa
– la voce di Mayu tremò – Harlock... che c'entra
lui in
tutto questo? Perché si comporta così? Non
sarà...
non sarà... che gli hanno impiantato quel chip ed
è...
è...
Tadashi sapeva cosa voleva dire Mayu.
Impazzito.
Nemmeno lui riuscì a dire quella parola.
Ci aveva pensato non appena Yattaran aveva accennato ai chip Hardgear,
ma non poteva, non voleva crederci: la personalità, l'anima
nobile e il cuore puro di Harlock, la sua determinazione, la sua rude
dolcezza, il suo coraggio e i suoi sogni... perduti per sempre,
sostituiti da un abisso di follia o da una volontà che non
era
la sua. Faceva male, troppo male.
No, non può
essere!
Eppure...
Gli tornò alla mente il suo sguardo poco prima di premere il
grilletto.
Vuoto, privo d'esitazioni, amore, odio o pietà... privo di
qualunque sentimento.
Freddo, come la canna della sua pistola, come il gelo mortale che lo
aveva avvolto mentre giaceva sul pavimento e il suo stesso sangue lo
soffocava.
Freddo, così
freddo...
La nausea lo assalì di nuovo, un nodo gli strinse la gola.
Yuki chinò il capo ed emise un lungo sospiro roco.
Mayu gemette, gli si avvicinò e gli afferrò la
mano.
Era fredda, anche quella.
Tadashi ricacciò indietro le lacrime: non poteva permettersi d'esser
debole, non in quel momento.
Forse più tardi, quando fosse andato a letto, avrebbe dato
sfogo
a tutta la sua ansia e alla sua frustrazione soffocando i singhiozzi
contro il cuscino, ma adesso doveva farzi forza, per Yuki, per Mayu e
anche per Harlock, ovunque fosse e qualunque cosa gli fosse accaduta.
– Siate
sinceri, per favore.
– Non possiamo
esserne certi – Yattaran
afferrò il rilevatore – Non abbiamo avuto modo d'esaminarlo con questo o di metterlo a stretto contatto con Mime. Certo,
spiegherebbe molte delle sue azioni recenti... se fosse in
sé,
il Capitano non commetterebbe mai certe infamie!
– Però
potrebbe trattarsi di un
clone, o più di uno, visto che è almeno un anno
che si
comporta in maniera strana – Maji si grattò la
barba
– A meno che non siano riusciti ad adattare il chip a un
cervello
umano non meccanizzato o a modificare i cloni in modo che il loro
cervello regga così a lungo. Nel qual caso,
chissà lui
che fine ha fatto... forse quella dei poveri Taro e Kiddodo...
– Questo
è da escludere – la
voce di Yuki tremò – Quando ci siamo scontrati,
prima di
fuggire, ha sussurrato il mio nome. Del Capitano non esiste un
tracciato neurale posteriore ai vent'anni, quando si ribellò
al
Governo terrestre. Anche ammesso che i nostri nemici abbiano accesso
agli archivi del Ministero della Difesa e che siano in grado d'eseguire con successo un trasferimento, un clone a cui fosse stata
impiantata quella
memoria non avrebbe potuto riconoscermi.
– Allora
è davvero lui? – Mayu si guardò
attorno, i grandi occhi spalancati.
– Sia quel che
sia, io non perdo le
speranze! – Yattaran si sistemò il nodo della
bandana e
gonfiò il petto con aria agguerrita –
Finché non lo
avremo trovato e non saremo certi che non ci sia più niente
da
fare, non mi darò per vinto!
– Bravo, tappo, questo è lo spirito giusto!
– Sylviana gli diede una pacca sulla schiena e
strizzò
l'occhio a Mayu – Prendi esempio, scricciolo: mai arrendersi,
o
non sarai mai una vera donna!
Tadashi fu grato a tutti e due per il debole sorriso che le strapparono.
Si rese conto di quanto l'allegria e il coraggio tutto particolare di
quello strano tipo erano mancati anche a lui: forse, col suo aiuto,
sarebbero riusciti a venire a capo di quell'intricata vicenda.
– È
possibile rimuovere quel chip e
annullarne gli effetti? – anche Yuki pareva aver
ripreso un
po' di coraggio. Ora la sua voce era ferma, i suoi occhi asciutti.
Yattaran scosse il capo.
– Non lo so.
Non sono un medico – si
incupì – E non ci abbiamo mai provato. Non ne
abbiamo
avuto il tempo materiale e nessuno di noi è un chirurgo. Ci vorrebbe
quell'ubriacone del Dottor Zero, ma chissà che fine ha fatto.
Tadashi rise.
– Se ha finito di medicare il Capitano
Zero, sarà in cabina attaccato alla bottiglia.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
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fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 19 *** Le riflessioni di un imbecille, i consigli di un ubriacone e le strategie di un'ex pirata ***
cap 8
Zero osservò il Dottore suo omonimo piegare
l'ennesima garza con l'ausilio delle pinze, versarvi sopra il
disinfettante e avvicinarla al taglio sul palmo della sua mano.
Strinse i denti e trattenne il fiato quando il medico
allargò i bordi della ferita e il dolore pulsante che aveva
appena iniziato a diminuire si trasformò di nuovo in
bruciore intenso al contatto dell'antisettico con la carne viva .
– Abbia pazienza, Capitano, ma bisogna assicurarsi che la
ferita non faccia infezione. È bella profonda e dentro
c'erano terra e frammenti di roccia in quantità. Ho quasi
finito.
Zero annuì rassegnato e guardò verso il lettino
di fianco a quello su cui stava seduto.
Da sopra la spalla del Dottor Machine, intento a trattare l'ecchimosi
sulla sua fronte con uno strano congegno che lui non aveva mai visto
prima, Marina gli lanciò uno sguardo più che
eloquente: no, non era proprio il caso di chiedere di rimandare il
resto della medicazione a dopo per partecipare all'interrogatorio dei
prigionieri; Ishikura, Tadashi e Yuki se la sarebbero cavata benissimo
anche senza di lui.
Il Dottore estrasse la garza e la lasciò cadere nella
vaschetta di rifiuto, ormai piena ben oltre l'orlo.
La ferita alla mano era più seria di quanto Zero stesso
avesse preventivato: aveva sanguinato in abbondanza e i due Dottori
avevano dovuto penare un bel po' per riuscire ad arrestare l'emorragia.
– Certo che ha
commesso una bella imprudenza – il Dottor Zero si concesse un
lungo sorso dalla bottiglia semivuota posata sul
tavolino degli strumenti – Buttarsi addosso a uno
schermidore esperto come Harlock e minacciarlo con la sua
stessa lama... non la facevo così ardito!
Zero fece una smorfia.
– A dire il vero, di solito non lo sono.
– Qualche millimetro più in profondità
e avrebbe dovuto dire addio ai tendini, Capitano: sarebbe stato
costretto a diventare mancino per continuare a tirar di spada, oppure a
farsi mettere una mano artificiale. Per non parlare poi di cosa sarebbe
potuto succedere se la lama le avesse reciso le arcate palmari!
Zero s'irrigidì.
– Ma le è andata bene – il Dottore rise
e sollevò verso di lui la bottiglia – Un brindisi
alla sua fortuna!
Trangugiò un'altra generosa sorsata di saké,
prese dal tavolino un'altra boccetta e si dedicò alla
disinfezione della cute intorno alla ferita.
Zero strinse di nuovo i denti: se possibile, quel maledetto
disinfettante bruciava più di quello che aveva usato prima.
Non riuscì a trattenere un mugolio di dolore.
– Ah, l'alcool – rise il Dottore – La
panacea di tutti i mali, sia per uso esterno che per assunzione orale!
Vuole un sorso di saké, Capitano? Anestetizza meglio di
qualunque altra cosa.
Zero scosse il capo.
– Sono in servizio.
Per la verità, quella di bere fino a stordirsi era un'idea
che in quel momento trovava molto allettante. Anche troppo.
Osservò il Dottore applicargli con cura i punti e
ripensò all'incontro con Harlock e al duello nella
gola. Strinse forte il lenzuolo che ricopriva il lettino con la mano libera.
Si era comportato da stupido, sotto tutti gli aspetti: dal non prendere
neppure in considerazione l'eventualità che qualcuno volesse
attirarlo in una trappola al rischiare la riuscita della missione, la
mano e forse anche la vita con quel gesto azzardato; dal lasciarsi
sorprendere alle spalle come un novellino da Hell Matia al mancare
Emeraldas per ben sei volte da meno di dieci metri.
Guardò la ferita sulla fronte di Marina: se lui avesse fatto
il suo dovere, lei non si sarebbe dovuta esporre a quel modo.
Torse il lenzuolo e, per l'ennesima volta da quando era salito sul Bullet, si diede
dell'imbecille: dal momento stesso in cui aveva accettato quella
missione aveva saputo che sarebbe arrivato il momento di affrontare
Harlock ed era sempre stato cosciente che, per allora, avrebbe dovuto
mettere da parte le sue emozioni e agire con freddezza e
determinazione... ma non ci era riuscito.
Di nuovo.
Ripensò a suo padre, al suo Istruttore dell'Accademia, al
suo vecchio Capitano: quante volte gli avevano ripetuto di non farsi
trascinare dai sentimenti, di non lasciare che il lato passionale del
suo carattere lo rendesse cieco ai pericoli, incapace di ragionare?
Infinite volte e, negli anni, l'esperienza gli aveva confermato
più volte e in maniera dolorosa quanto fossero giusti
quegli ammonimenti.
Eppure, quando c'erano di mezzo persone a cui
teneva, qualcosa scattava in lui e il lucido, inflessibile ufficiale
della Flotta Unita Terrestre tornava a essere un ragazzino incapace di
tenere a bada le emozioni... un pericolo per se stesso e per gli altri.
Aggrottò la fronte. Si sarebbe volentieri preso a pugni.
– Com'era? – il Dottore spalmò qualcosa
sul taglio, lo ricoprì con garze sterili e gli arotolò una benda attorno al polso e al pollice – Il Capitano, dico...
Zero chiuse gli occhi.
– Terribile. Non sembrava nemmeno lui.
Sarebbe stato uno sbaglio mentire e una cosa inutile indorare la
pillola: avrebbe solo reso più duro lo scontro con la
realtà.
Il Dottore sospirò, strinse altri sei giri di benda attorno alla sua mano e l'annodò. Afferrò la bottiglia, bevve
un'altra lunga sorsata e gli voltò le spalle.
– A posto. Torni domani a farsi cambiare la medicazione, la
tenga pulita e asciutta e prenda gli antibiotici nelle dosi e negli
orari che le ho prescritto, mi raccomando. Se la mano dovesse apparire
livida e farle male, la tenga sollevata all'altezza del petto o ci
metta del ghiaccio secco; se dovesse arrossarsi, se si presentasse
molto calda al tatto o dovesse gonfiarsi, mi chiami subito; lo stesso
vale in caso di febbre o pus. Per il momento le consiglio di non fare
la doccia: solo bagni, e tenga il braccio fuori dalla vasca.
– La ringrazio, Dottore.
Zero si voltò verso Marina.
Era scesa dal lettino e ogni traccia della botta ricevuta era
scomparsa dalla sua fronte.
Sollevò la mano e guardò la fasciatura che
la ricopriva dal polso sino alla base delle dita, pensò alla
marea di raccomandazioni del Dottore, a tutto il tempo che sarebbe
occorso prima che potesse smettere di seguirle senza pericolo e fece
una smorfia: a volte invidiava davvero i meccanoidi.
– Sei sicura di ciò che hai detto giù
nella valle? Quella donna...
– Non era Emeraldas – tagliò
corto lei – L'hai visto anche tu. Il mio corpo ha reagito,
quando l'ho toccata.
Zero distolse lo sguardo, a disagio.
Amava quella donna, sapeva chi era, com'era fatto il suo corpo e
perché avesse accettato di diventare un essere biomeccanico,
sapeva quanto ancora oggi rimpiangesse quella scelta, sapeva che in
futuro lui sarebbe invecchiato e morto mentre lei sarebbe rimasta la
stessa ancora per centinaia di anni... e sapeva che non avrebbero mai
potuto avere figli, per quanto lo desiderassero entrambi.
Aveva accettato tutto questo ormai da tempo, eppure vedere quel liquido
ribollire all'interno del suo corpo ogni volta che entrava in contatto
con qualcuno o qualcosa proveniente dal suo pianeta natale riusciva
ancora a turbarlo... forse perché, per la maggior parte del
tempo, preferiva fingere d'ignorare le cose che aveva accettato.
– Era identica a lei.
– Già – Marina gli si
avvicinò – Identica a lei quattordici anni fa.
Non ti sembra strano?
In effetti lo era. Come tutto il resto di quella dannatissima faccenda
che, invece di chiarirsi, sembrava farsi sempre più
intricata man mano che lui ed i suoi compagni indagavano.
Marina si legò il foulard attorno al collo e lo
guardò dritto negli occhi.
– Ho una teoria. Potrebbe trattarsi di uno Shòu.
– In effetti, è possibile – il Dottor
Machine si pizzicò il mento, un'espressione pensosa sul
volto artificiale.
– Conosce quelle creature? – Marina lo
fissò sorpresa.
– Ho studiato la biologia di diverse specie, terrestri,
aliene, mutanti... nel mio lavoro non si sa mai in cosa ci si potrebbe
imbattere.
– Cos'è uno Shòu? – Zero non
ne aveva mai sentito parlare.
– Un mutaforma, Capitano – il Dottore si mise a sistemare gli strumenti sul vassoio – Per la precisione, un organismo
umanoide privo di ossa tenuto in piedi da un complesso sistema
idraulico di vesciche e vasi conduttori, con una pelle formata da
cellule in grado di cambiare colore e sangue trasparente.
– Ne ho visti alcuni, quand'ero medico di bordo sull'Arcadia
– il Dottor Zero prese in braccio Mi e le
accarezzò la testa – Sono creature davvero
stupefacenti: sembrano fatte d'acqua e possono cambiare volume e
colore imitando qualunque cosa vedano! Ah, mi ricordo la faccia di
quella vecchia gallina di Masu quando uno di loro si trasformò in lei, coltellacci compresi!
Marina abbassò lo sguardo.
– Anche il Governatore Vorder era uno di loro, prima di farsi
meccanizzare.
– Mutaforma, eh? – Zero giocherellò con
l'orlo dei pantaloni, un'esile speranza nel cuore – Allora
anche Harlock potrebbe essere...
Marina scosse il capo.
– Hai detto che t'ha riconosciuto e che si ricordava di cose
che v'eravate detti quattordici anni fa. Uno Shòu
può imitare qualunque creatura con cui venga a contatto sin
nei minimi particolari, ma non replicarne i ricordi.
– È vero – assentì il Dottor
Machine – Inoltre, di solito non riesce a mantenere a lungo
l'aspetto che assume: i mutaforma di Futuria sono esseri del
tutto privi di volontà e istinti, a parte quelli basilari.
– Ma allora nemmeno Emeraldas era una di quelle creature
– obiettò Zero – Chiunque fosse quella
donna, pilotava come un asso!
– Forse per il momento dovreste limitarvi ai fatti e lasciare
da parte le supposizioni, Capitano – il Dottor Zero
svuotò la bottiglia e la ripose nel contenitore per il vetro
– Fossi in lei, ascolterei cos'hanno da dire i componenti
dell'altra squadra e deciderei una linea d'azione. Insomma, fra tutti
quanti un indizio dev'esser pur saltato fuori!
Aveva ragione: era inutile continuare a confondersi con le ipotesi
più disparate e fantasiose: bisognava basarsi su fatti
concreti, ma soprattutto agire.
Zero si alzò e stese la mano verso la maglietta.
Non riuscì neppure a piegare le dita per afferrarla e
fu costretto ad accettare l'aiuto di Marina per rivestirsi. Odiava
essere debole, odiava dipendere dagli altri, tuttavia fu felice di
vedere un lieve sorriso affiorare sulle labbra del suo Comandante
mentre sollevava le braccia sopra la testa come un bambino piccolo.
La sua schiena e il petto erano un mosaico di graffi ed
escoriazioni che gli fecero vedere le stelle quando la stoffa gli
scivolò addosso, ma la ringraziò con un mezzo
sorriso e un affettuoso colpetto sulla mano. Lei gli abbottonò il colletto della giacca e lo guardò negli occhi, seria.
– Non fare mai più una cosa del genere, Zero.
Lo prometto.
Non riuscì a dirlo: era un giuramento che sapeva di non
poter mantenere.
Se lui e Harlock si fossero di nuovo trovati l'uno di fronte
all'altro, quando
si fossero di nuovo trovati l'uno di fronte all'altro... no, non sapeva
cosa avrebbe fatto, non sapeva se sarebbe riuscito a mantenersi lucido
e a esser prudente, ma soprattutto non sapeva come sarebbe andata a
finire, se ne sarebbe uscito vivo o se sarebbe stato davvero capace di
ucciderlo.
Harlock era forte, molto più di quanto ricordasse: lo aveva messo alle strette sino a spingerlo a quel gesto
disperato e, al contrario di lui, era determinato, in una maniera
spaventosa. Non aveva esitato neppure un istante, ogni sua mossa era stata mirata a uccidere.
Faccio quel che devo.
Zero strinse il pugno.
Ma cos'è che
devi fare, Harlock?
– Zero?
Guardò Marina, aprì la bocca e solo allora si
rese conto di non sapere cosa dirle.
Le baciò la mano, distolse lo sguardo, afferrò il
berretto e uscì dall'infermeria.
La porta si richiuse alle sue spalle. Si diede di nuovo
dell'imbecille, si calcò bene in testa il cappello e si
diresse alla sala interrogatori.
Entrò e si stupì nel vedere Yattaran e quelli che
dovevano essere gli altri prigionieri seduti accanto ai suoi uomini,
Yuki con le mani tra quelle pallidissime di una strana donna aliena e
Sylviana addirittura seduta sul tavolo accanto a Mayu. Si
grattò la nuca.
– A quanto pare, mi sono perso qualcosa. Vice-Comandante, a
rapporto.
Ishikura scattò sull'attenti.
– Abbiamo grosse novità, Capitano. Le sparizioni
dei membri dell'Arcadia erano state orchestrate da loro, ma per
legittima difesa – indicò l'aliena – Il
gruppo della Signorina Mime, come noi impegnato nella ricerca di
Harlock, è stato attaccato di recente da alcuni loro ex
compagni ai quali era stato impiantato un chip Hardgear modificato nel
cervello. Sospettiamo che lo stesso Harlock possa avere la mente sotto
controllo e...
Zero si sentì gelare. – Cioè, mi state dicendo che qualcuno lo avrebbe
trasformato in un... Herakles?
Boccheggiò, la gola improvvisamente secca. Per un uomo come Harlock, che aveva fatto della libertà la
sua bandiera e la sua ragione di vita, una cosa del genere sarebbe
stata mille volte peggiore della morte.
Ishikura annuì, scuro in volto.
– Ne siete sicuri? – Zero guardò i presenti
uno per uno.
– Abbiamo le prove che quel folle progetto è stato
ripreso – Yattaran gli si avvicinò, le mani dietro
la schiena – Tre esemplari di quei chip, i risultati dei miei
test... e se Tetsuro ha fatto quel che doveva, anche quelli delle
autopsie dei... soggetti ai quali erano stati impiantati. Non sappiamo
con certezza se il Capitano sia stato trasformato in un Herakles, ma ciò
spiegherebbe il suo comportamento. Sono sicuro che, altrimenti, avrebbe
preferito morire piuttosto che uccidere degli innocenti o puntare
un'arma contro Yuki, Tadashi o la sua piccola Mayu.
Anche Zero ne era convinto. Ripensò allo sguardo di Harlock,
alle sue azioni e alle sue parole, a come aveva obbedito a Hell Matia
senza indugiare un solo istante.
E a come, in quel Saloon, il suo cervello lo avesse subito riconosciuto
e il suo cuore no, come se gli mancasse qualcosa, come se una parte di
lui, quella che lo rendeva unico ai suoi occhi, fosse andata persa
chissà dove.
– C'è di più, Zero – Tadashi
afferrò il bicchiere davanti a sé e lo strinse
forte tra le dita – Pare che qualcuno ai piani alti del
Governo Terrestre stia davvero aiutando i nostri misteriosi nemici:
come temevamo, hanno accesso a informazioni top-secret e forse anche
all'archivio dei tracciati neurali della Difesa. Sospetto che persino
l'agguato che t'è stato teso sia stato preparato sin nei
minimi dettagli, sapendo che eri qui... e per quale scopo.
Il bicchiere si ruppe con un suono secco e l'acqua gli colò
tra le dita, ma lui parve non accorgersene finché Mayu non
glielo tolse di mano.
– Anch'io ho delle informazioni, che in parte confermano le
vostre teorie – Zero inspirò a fondo – Uno
dei nostri nemici è Hell Matia.
– Cosa? – Rai lo guardò esterrefatto
– Non era morta sull'Hell Castle?
– A quanto sembra, no. Vuole vendetta, e afferma di non
essere la sola. Signori, a quanto pare ci troviamo nel bel mezzo d'una
congiura... nel ruolo di bersagli.
Il silenzio calò nella sala. Zero si tolse il cappello e se
lo rigirò fra le mani.
– Ma abbiamo degli indizi: Némesis
e Futuria.
Il primo è il nome dell'astronave su cui Hell Matia ed
Harlock sono fuggiti dalla Valle della Morte: una nave nera identica
all'Arcadia; il secondo...
– Il secondo è il mio pianeta d'origine
– la porta si aprì con un sibilo e Marina
entrò nella stanza – Che ci crediate o no, il
pilota che è venuto a recuperare Harlock ed Hell Matia da
quella gola era un abitante di Futuria, con l'aspetto e le
capacità di Emeraldas.
Yattaran si grattò la nuca e incrociò gli occhi,
perplesso.
– Un mutaforma, intende? Non sono un biologo, ma che io
sappia nessuna di quelle creature può replicare le
abilità di un altro essere vivente... d'altronde, parliamo
di gente che è riuscita a installare un microchip nel
cervello di un nostro amico e a impiantare la memoria di altri due a
dei cloni, quindi tutto è possibile.
– Cloni? – Zero lo guardò interdetto.
Che diavolo stava succedendo?
– Limitiamoci ai fatti, almeno nello stabilire la strategia
da adottare – Yuki si alzò, una luce decisa negli
occhi azzurri.
Zero notò divertito che Tadashi, Yattaran e i loro compagni
s'erano immobilizzati al suono della sua voce e che, in quel momento,
pendevano tutti dalle sue labbra.
Ricordò che sull'Arcadia quella giovane donna dall'aspetto
angelico e dal piglio deciso era stata il Primo Ufficiale di
Harlock. Si sedette davanti a lei, allungò le gambe sotto il
tavolo e le rivolse tutta la sua attenzione.
– Tutti i bersagli dei nostri nemici, tutti noi, abbiamo
un'unica cosa in comune: un profondo legame con Harlock. Le loro azioni
contro di voi, Mime, e l'agguato a te, Zero, erano volti a
impedirvi di trovarlo e parlargli; ritengo sia lui la chiave di
tutto. Ora, abbiamo due luoghi concreti da cui partire per cercare di
scoprire qualcosa...
Si guardò intorno con studiata lentezza.
– Il sistema Alpheratz – scandì – Quello dei pianeti gemelli e, se
non sbaglio, anche di Futuria. Primo obiettivo: scoprire cosa ne
è stato dell'Arcadia e se possibile renderla di nuovo
operativa. Se la Némesis le somiglia anche quanto ad
armamento e il suo Capitano è Harlock, ne avremo un
disperato bisogno.
– Sono d'accordo – Yattaran incrociò le
mani sul petto – E poi, non possiamo lasciare una nave
così formidabile al suo destino!
– Ben detto! – Maji gli mollò una pacca
sulla schiena – Non avete idea di quanto mi manchi quella
vecchia ciabatta spaziale! Lavorerò anche un anno di seguito
a pane e acqua, ma se ci sono dei guasti, li riparerò!
Yuki si schiarì la voce e tutti e due ammutolirono di nuovo.
– Secondo obiettivo: capire se davvero i nostri nemici stanno
combinando qualcosa su Futuria. È abbastanza vicino ai
pianeti gemelli presso i quali l'Harlock che conoscevamo è
scomparso ed è ormai un pianeta morto, un inospitale deserto
di ghiaccio... l'ideale per nascondersi. Non ritengo sia un caso.
Zero le fece un cenno affermativo. In effetti, nemmeno lui lo
riteneva: le coincidenze sarebbero state davvero troppe. Valeva la pena
indagare, anche solo per vedere finalmente di persona la formidabile
Arcadia, l'invincibile nave pirata costruita da Tochiro.
– E il secondo luogo?
– Megalopolis, sulla Terra. Qualcuno laggiù ha
ordito l'omicidio di Tadashi, attentato alla mia vita e passato
informazioni riservate a Hell Matia e ai suoi compagni. Sono certa
che, chiunque sia questa persona, conosce l'identità e i
piani degli altri cospiratori: negli ultimi anni, l'esperienza m'ha
insegnato che non esiste un solo politico che acquisti a scatola
chiusa... soprattutto se la merce è un complotto.
Zero la guardò negli occhi. Era certo che avesse un piano,
ed era curioso di vedere se coincidesse con ciò che stava
pensando lui.
– Cosa proponi?
Yuki ricambiò il suo sguardo.
– Di usare la
stessa tattica dei nostri nemici: infiltrare qualcuno.
– Nel Ministero della Difesa? – Sylviana
fischiò.
– Nella Base principale della Flotta Unita – la
corresse Yuki – Se davvero la nostra talpa fa parte del
Governo ed è a conoscenza della nostra missione, non si
farà di certo sfuggire l'opportunità di
contattare un membro di quest'equipaggio in rotta col suo Capitano e
in attesa di riassegnazione.
– Un Cavallo di Troia? – Sylviana rise –
Mi piace! Al giusto compenso, mi offro volontaria.
Anche Zero sorrise. Doveva ammetterlo: Harlock sapeva scegliersi bene i
sottoposti. Yuki Kei era dotata di un carisma innato, di una
capacità di ragionamento e di un'astuzia che non l'avrebbero
certo fatta sfigurare nell'esercito; tutt'altro.
– Ha detto “un ufficiale” –
Ishikura guardò Sylviana con sufficienza – Per
meno, nessuno si scomoderebbe.
Lei alzò le spalle con aria noncurante e indicò
Yattaran con il pollice.
– Il tappo, qui, può farmi passare per chiunque
come bere un bicchier d'acqua.
– Certamente! – Yattaran si batté il
pugno sul petto con aria baldanzosa – Datemi un
computer e la posso trasformare in sua madre o nel suo Ammiraglio,
Signor Ishikura!
– Resta il fatto che non è nemmeno un soldato
semplice – insistette lui – Non sa nulla dei nostri
protocolli, né della missione, né tanto meno
della nave o dell'equipaggio... e non sono cose che si possono
improvvisare o imparare in cinque minuti. La scoprirebbero subito!
– Scoprirebbero subito anche uno di voi – Sylviana si
passò una mano nei folti capelli chiari – A meno
che non siano degli idioti, i nostri amici cercheranno di sorvegliare
di nascosto la nostra spia: pedinamenti, intercettazioni, telecamere
nascoste... Sono solo le prime cose che mi vengono in mente, e non mi
risulta che voi Boy Scout della Flotta Unita siate addestrati a far
fronte a questo genere di situazioni.
– In effetti ha ragione – Rai si grattò
la nuca.
– E tu ne sei in grado, Sylviana? – Mayu
guardò con interesse la cacciatrice di taglie.
– Altroché – rise Grenadier –
Su El Alamein era nello squadrone “Rosa Rossa” dei
Servizi Segreti... dei bastardi di prim'ordine, lasciatemelo dire!
– Però nemmeno Ishikura ha torto –
obiettò Rai – Per imparare certe cose ci siamo
dovuti fare anni d'Accademia e per altre ancora impratichirci con anni
ed anni d'esperienza sul campo...
– La soluzione è semplice, per come la vedo io
– Tadashi riempì un altro bicchiere e se lo
portò alle labbra – Basta infiltrare due persone:
Sylviana e uno degli ufficiali di questa nave. Lei potrebbe passare,
che so, per la moglie o la fidanzata di uno di voi.
– Col vantaggio che, forse, sarebbe meno sorvegliata e
più libera d'agire – assentì Yuki.
– Non ci conterei troppo – Sylviana scese dal
tavolo e vi si appoggiò coi gomiti – Ma si
può fare. Sarebbe una copertura convincente...
purché il mio partner sia carino!
– Chi ci va? Di noi, intendo – Grenadier girò lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi compagni – Ci vorrebbe qualcuno alto in grado e con dei
precedenti abbastanza gravi d'insubordinazione...
Zero s'accorse che tutti i membri del suo equipaggio presenti nella
sala si erano voltati nella stessa direzione. Seguì il loro
sguardo, represse un ghigno e annuì fra sé: sì, lui era senz'altro
il suo uomo.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 20 *** La lunga giornata di una spia imbranata ***
cap 8
Ishikura aprì gli occhi al fischio del
treno, staccò la testa dal vetro del finestrino, si
stiracchiò e guardò fuori.
La stazione doveva essere ormai vicina, almeno a giudicare dalla
velocità ridotta e dalle stelle sempre meno visibili.
– Ben
svegliato, Bell'Addormentato – Sylviana era sdraiata a pancia
in sotto sul sedile di fronte, i piedi scalzi che andavano su
e giù sopra la sua schiena. Sollevò gli occhi dal
libro che stava leggendo e gli rivolse un largo ghigno.
Lui si accigliò.
– Piantala. Ho
un nome e ti sarei grato se lo usassi.
– Come sei
infantile – lei sbuffò e rivolse gli occhi al
cielo in maniera teatrale – E va bene, Shizuo. Contento?
Il tono con cui lo pronunciò lo irritò quanto gli
stupidi soprannomi che aveva continuato ad affibbiargli da quando s'erano incontrati su Heavy Meldar, ma decise di non dire nulla. Non
aveva voglia di discutere ancora con lei, specie dopo gli esiti del loro
ultimo battibecco, o avrebbe finito per strozzarla.
Lei e quel grosso, stupido bestione di Grenadier che l'aveva ficcato in
quest'altro guaio.
E Daiba, che se ne era uscito con quella proposta cretina... non
importava che fosse il Primo Ministro e quindi anche il capo delle
Forze Armate, e nemmeno che fosse già ufficialmente morto:
dopo quasi una settimana di viaggio in compagnia di Le Sylviana,
avrebbe affrontato volentieri la Corte Marziale e anche la fucilazione
pur di sfogarsi un po'.
Che situazione assurda!
Sylviana riprese la lettura.
Ishikura stava per dirle che sarebbe stato meglio infilarsi quei suoi stivaloni
da cow-girl e iniziare a radunare i bagagli in vista della discesa a
terra, ma cambiò idea.
Incrociò le braccia e si rimise a guardare fuori.
Che si arrangi.
Era stufo e arcistufo di farle da cameriere e facchino; lui era un
gentiluomo e sapeva bene quali fossero i suoi doveri verso una donna,
certo, ma quella lì se ne approfittava un po' troppo per i
suoi gusti: gli era toccato scarrozzare la sua roba avanti e indietro
per ben due fermate senza il minimo aiuto o anche solo un grazie,
accompagnarla di qua e di là a far spese come una stupida
guardia del corpo, offrirle il pranzo e la cena... e in tutto questo
sopportare le sue chiacchiere senza senso, i suoi soprannomi idioti e
le sue prese in giro.
Fosse stato per lui, avrebbe dormito e mangiato sul treno fino
all'arrivo a destinazione: sarebbe stato più sicuro e
pratico, meno rischi di rimanere a terra per un qualche inconveniente o
di dare nell'occhio, ma Sua Maestà no... aveva preso la
missione per una gita di piacere, aveva voluto a tutti i costi andare a
far compere su Giove, visitare Marte per tutto il tempo previsto dalla
fermata e riposarsi in hotel, dieci interminabili ore nel primo caso e
ventiquattro e mezza nel secondo... e a tale scopo s'era approfittata
senza remore della disposizione del Capitano di muoversi in coppia fino
a destinazione.
Per non parlare del tempo passato insieme sul treno... in difesa della
sua salute mentale, Ishikura aveva preso a dormire il più possibile.
Per fortuna presto quell'infernale viaggio si sarebbe concluso, e
poi... e poi sarebbe iniziato il peggio.
Un suono a metà tra un mugolio e un guaito gli
uscì dalla gola al solo pensiero.
Quella,
passare per la sua fidanzata.
Quella lì.
La osservò. Stravaccata sul sedile, le lunghe gambe
incrociate in maniera sexy, la curva morbida del suo didietro e la vita
sottile, i seni prosperosi e il viso aggraziato, valorizzato da un
trucco leggero.
Certo, era bella. Molto bella, glielo doveva concedere... ma i suoi
pregi cominciavano e finivano lì: aveva dei modi a dir poco
rozzi, indossava abiti troppo appariscenti per i suoi gusti e, quel che
era peggio, aveva il potere d'irritarlo non appena apriva bocca col
suo sarcasmo da tre soldi, il suo cinismo e la sua testardaggine. No,
non era e non sarebbe mai stata il suo tipo, non ne sarebbe stato
attratto nemmeno se fosse stata l'ultima femmina della sua specie rimasta
nell'intero universo e da loro fosse dipesa la sopravvivenza dell'intera
razza umana, punto.
Ignara del suo sguardo e dei suoi pensieri, lei si girò a
pancia in su, accavallò le gambe e sollevò il
libro in alto.
L'occhio di Ishikura cadde sulla copertina: azzurra, col simbolo della Flotta
Unita stampigliato in rilievo sul retro della fodera di cartone.
Sudò freddo.
– Cosa stai
leggendo?
– Oh, il tuo
diario – Sylviana non distolse nemmeno gli occhi dalla pagina per guardarlo in faccia –
Certo che voi militari siete davvero assurdi!
Ishikura la fissò a bocca aperta, incapace di
spiccicare parola, poi sentì il calore salirgli su per il
collo fino alle guance.
– Ma... ma...
ma è una cosa personale! Ci sono annotati sopra i miei
pensieri più intimi!
– Appunto
– Sylviana si raddrizzò e scrollò le
spalle – Per tutto il viaggio non hai fatto altro che
dormire, evitarmi come la peste o essere del tutto indisponente: mi
spieghi come posso passare per la tua fidanzata se non so nulla di te?
Ishikura non credette a quella scusa nemmeno per un nanosecondo.
Le strappò il diario dalle mani e sprofondò nel
sedile.
– Bastava
chiedere – mugugnò – Non c'era bisogno
di mettersi a frugare tra i miei effetti personali!
Lei rise.
– Non credo
che m'avresti confessato alcune di quelle cose così
– schioccò le dita – Sei un tipo
interessante, sai? Non l'avrei mai detto.
Ishikura si alzò, tirò giù la sua
valigia e vi ripose il diario.
Fece tre profondi respiri, contò fino a dieci. Ci
ripensò, contò fino a venti e si
ripeté per l'ennesima volta la frase che, da una settimana a
quella parte, era diventata il suo mantra.
Non
devo strozzarla, non devo strozzarla, non devo strozzarla...
– Su, ora non
comportarti come una scolaretta offesa, Shizuo! In fondo,
siamo una coppia!
Ishikura contò fino a trenta e poi fino a quaranta.
Non funzionava: la tentazione di strozzarla era sempre più
forte, ma così avrebbe mandato a monte la missione, deluso
il Capitano e messo a repentaglio la vita dei suoi compagni.
Quelli veri.
– Fammi un
favore, Sylviana – si sedette e si massaggiò le
tempie – Taci per almeno mezz'ora e non fare niente.
Lei incrociò le braccia e corrugò la fronte.
– Ehi, guarda
che non è stata mia l'idea di lavorare in coppia!
– Nemmeno mia.
Se tu non avessi insistito...
– Insistito?
Io?! – Sylviana si mise una mano sul petto con fare melodrammatico
– Guarda che mi ero offerta per prima!
– Già.
E ti avevo fatto gentilmente notare che non eri adatta: nessun grado
né addestramento militare, conoscenza della nave e dei
protocolli zero...
– Oh,
perché tu invece
saresti adatto? – lei si alzò e
torreggiò su di lui, le mani sui fianchi –
Scommetto che non t'accorgeresti di essere intercettato o pedinato
nemmeno se i nemici mettessero delle insegne al neon grosse quanto la
Karyu apposta per avvisarti e si vestissero da clown! E anche ammesso
che per qualche assurdo miracolo riuscissi ad arrivare al computer
principale del Ministero, mi dici come faresti a craccare il sistema e
scaricare i dati che c'interessano, eh? Sentiamo!
Lui la afferrò per un braccio e la tirò
giù, il sudore freddo che gli imperlava la fronte.
Come diavolo faceva a essere una spia esperta, una così?
– Abbassa la
voce!
– Il
compartimento è vuoto, Mister Perspicacia!
Non devo strozzarla, non
devo strozzarla, non devo strozzarla...
Il suono dell'altoparlante che annunciava l'arrivo a Megalopolis e lo
stridio dei freni lo distolsero dai suoi intenti omicidi.
Pur di non dover interagire ancora per un po' con quella vipera e
starsene in pace qualche minuto, dimenticò il suo proposito
d'astenersi dal fare il cavaliere e si mise a tirar
giù i bagagli.
Se li caricò in spalla, s'avviò di gran carriera
lungo il corridoio e aprì la portiera del treno.
Scese a terra, arrivò fin davanti al sottopassaggio e
si voltò indietro: lei non c'era.
No, non ci credo...
ma allora lo fa apposta! Vuole farmi impazzire!
Tornò sui suoi passi e lei quasi gli cadde addosso mentre
scendeva.
– Perché
diavolo ci hai messo così tanto?
Sylviana indicò il bagno.
– Cose da
donne, ok? – gli posò fra le braccia
già stracariche il suo stupido, monumentale beauty-case rosa
confetto e gli passò davanti – Allora, ti muovi?
Mica abbiamo tutto il giorno, e voglio andare a casa. Sono stanca!
Anch'io, di te.
Ishikura alzò gli occhi al cielo, imprecò un altro po' tra
i denti e la seguì giù per le scale, con la
speranza che la navetta per la Base fosse puntuale e piena zeppa,
così forse quella strega se ne sarebbe stata zitta e ferma
per qualche minuto.
Imboccò il sottopassaggio. Il brusco cambio dalla luce all'ombra lo accecò.
Si fermò per
bilanciare meglio il peso di tutta quella roba e si bloccò al suono di una risata familiare.
– Shizuo? Ci
sei davvero tu dietro a quel coso rosa? – Ishikura riconobbe subito
quella voce calda e roca, venata d'ilarità.
Mollò le valigie e le borse, ignorò le proteste
di Sylviana e fece qualche passo verso l'uomo che, poco più
avanti, sghignazzava appoggiato al muro a braccia conserte.
– Minoru?
– E chi altri,
fratellino? – l'uomo scostò una ciocca dei suoi
folti capelli biondo cenere dagli occhi e lo guardò
divertito – Allora è proprio vero: il
tuo idolo Warius Zero, alla fine, s'è stufato dei tuoi casini e t'ha cacciato a calci. Che
hai combinato, stavolta?
Ishikura annaspò.
– Vedi... in
realtà... – distolse lo sguardo e si tirò
il colletto della maglia, a disagio.
– Temo che sia
a causa mia – Sylviana si fece avanti e porse la mano a Minoru
– Purtroppo il Capitano Zero non ha gradito la nostra
relazione.
Minoru la studiò con estremo apprezzamento,
le sorrise e le afferrò le dita.
– Allora il
Capitano Zero non capisce niente di donne – si
chinò e si esibì in un perfetto baciamano
– Oppure è un intenditore e la voleva per
sé, nel qual caso non lo biasimo. Minoru Ishikura; per
servirla, Signorina...
– Le Sylviana
– sorrise – Non m'avevi detto d'avere un fratello così
galante, Shizuo.
– Nemmeno io
sapevo di lei – Minoru si rialzò – E dire che di solito questo
piccolo combinaguai mi scrive sempre tutto quel che fa...
Ishikura sentì le guance in fiamme, per l'ennesima volta.
Era un incubo: preso fra quella strega che guardava suo fratello
maggiore con due occhioni da cerbiatta e gli parlava con una vocetta
così dolce da far cariare i denti a cento chilometri di
distanza e Minoru che faceva il cascamorto e le dava corda.
Aveva voglia di tornare urlando sul Galaxy Express e fuggire agli
estremi confini del Cosmo.
– Diamoci del
tu – Sylviana abbassò il capo, le guance rosse e
l'aria imbarazzata – E parliamone in privato, Minoru.
– Certo, la
mia macchina è qui fuori – lui si caricò in
spalla uno dei borsoni di Sylviana e le porse il braccio –
Avete già mangiato?
– Sì
– tagliò corto Ishikura.
– Oh, sei
geloso! – rise Minoru – Allora è vero
amore, eh, Shizuo?
Vero amore un corno!
Voleva solo arrivare al complesso della Base, raggiungere casa sua e
buttarsi sotto la doccia.
Passò davanti a entrambi, scagliò le valigie nel
bagagliaio dell'auto
sportiva di suo fratello e precedette Sylviana quando lui le
aprì la portiera sul davanti.
– Allora,
cos'è successo? – Minoru avviò l'auto
– E soprattutto perché tanto imbarazzo, fratellino?
– Vedi...
– un'ondata di calore lo fece sudare e gli seccò
la gola – Ecco...
Sylviana gli posò una mano sulla spalla e rivolse a Minoru
uno sguardo timido e preoccupato.
Finto. Fintissimo. Ma, se non l'avesse saputo, Ishikura sapeva che anche lui ci sarebbe
cascato con tutte le scarpe, proprio come sapeva che ci sarebbe cascato suo
fratello.
– Il Capitano
Zero è molto rigido – pigolò Sylviana
– Non approva le relazioni fra colleghi.
– Ha fama d'essere un tipo intransigente, è vero – Minoru
sterzò e le strizzò l'occhio –
Però non mi sembra una buona ragione per...
– Lui e Shizuo
hanno avuto molti contrasti, negli ultimi anni. Sono stata solo il
pretesto per allontanarlo dalla Karyu, lo so –
singhiozzò e lacrime vere le sgorgarono dagli occhi
– Ma è stato così crudele a metterlo
davanti a quella scelta! Minoru le porse il fazzoletto, disorientato.
– Quale
scelta?
– Il suo
incarico – Sylviana si asciugò gli occhi e si
passò una mano sul ventre – Oppure me... e il
nostro bambino.
Eh?!
Minoru sbandò e quasi andò a sbattere
contro un palo, ma Ishikura era talmente scioccato che non si
spaventò nemmeno. Si trattenne a stento dal darsi un
pizzicotto sulla coscia per capire se quello fosse una specie di incubo
o cosa... e dal saltare sul sedile posteriore e strozzare Sylviana una
volta per tutte in caso la risposta fosse negativa.
Aveva appena detto... aveva davvero
detto a suo fratello che lui... loro... lei...
Si passò una mano tra i capelli.
No, non ci posso credere! Ma cosa diavolo le salta
in mente?!
Si girò verso di lei, impietrito. Era partita per la
tangente e si vedeva che non aveva la benché minima intenzione di smettere.
– Ero
imbarcata come tirocinante del Medico di Bordo –
squittì con un'espressione così innocente da smontare Satana in persona ma che a lui fece venire ancor
più voglia di strozzarla – Capitava piuttosto
spesso che Shizuo si facesse male e col tempo... bé... puoi
immaginare com'è andata. Quando il Capitano ha saputo che
sono rimasta incinta, s'è arrabbiato moltissimo: ha detto
che non voleva a bordo due irresponsabili come me e l'uomo che mi
aveva... oh, mi vergogno solo a ripensarci! –
singhiozzò – È stato allora
che Shizuo ha perso le staffe e l'ha aggredito...
Ishikura guardò suo fratello. Minoru aveva un'espressione esterrefatta, ma mai quanto doveva esserlo
la sua.
Si coprì il viso con entrambe le mani per nasconderla nel
caso suo fratello si voltasse verso di lui.
Sylviana colse subito la palla al balzo.
– Oh,
perdonami, Shizuo – singhiozzò –
Io ero appena agli inizi, ma tu... ti ho rovinato la carriera!
Io rovinerei te!
Ishikura si mise le mani in grembo e abbozzò quello che nelle sue intenzioni doveva essere un sorriso rassicurante ma che temeva assomigliasse di più a un
ringhio, visto il suo umore.
– Non
preoccuparti, amore ...
non è stata colpa tua.
Che razza di situazione... e ormai era senza via d'uscita: doveva
sostenere quella montagna di frottole. Fece un profondo respiro e
si ficcò le mani in tasca per nascondere il tremito nevoso che l'aveva assalito.
– Comunque
sia, ho preso una licenza e inoltrato domanda di trasferimento
al Comando. Dovrebbe arrivare tutto a giorni, ma per il momento ho
bisogno di un po' di pace.
Minoru annuì pensieroso e guidò in silenzio fino
all'entrata del complesso abitativo della Base; arrivato al
check-point, mostrò la sua tessera e li
accompagnò sin davanti al palazzo dove Ishikura abitava durante
le licenze e i periodi sulla Terra.
Scaricarono le valigie e salirono le scale fino al quinto e ultimo piano.
Ishikura appoggiò la mano sulla serratura elettronica e
inserì la combinazione. La porta si aprì con un sibilo.
– Bé, questa
sì che è stata una sorpresa, fratellino
– Minoru entrò dietro di lui e posò la
borsa sul pavimento.
Già, puoi
dirlo forte...
Ishikura scoccò un'occhiata a
Sylviana, che gli sorrise e gli strizzò l'occhio.
Dio, quanto vorrei strozzarla! Lei lo ignorò, afferrò il braccio di suo fratello e indicò il divano.
– Prego,
accomodati, Minoru. Possiamo offrirti qualcosa?
– Nulla che
non sia scaduto da quasi sei anni, temo – rise lui mentre si
sedeva – Ho saputo solo all'ultimo momento dell'arrivo di
questo pasticcione, altrimenti avrei provveduto...
Ishikura sprofondò sul divano accanto a lui e
incrociò le braccia.
– Non sono
più un bambino, Minoru! Non ho bisogno che badi
continuamente a me.
Minoru s'incupì
e incrociò le braccia sul petto in una posa speculare alla
sua.
– Io invece
credo proprio di sì, specie dopo quello che ho saputo oggi. Ti rendi conto
che diventerai padre? Dovresti lasciare l'esercito, o almeno smettere
di fare l'operativo...
– Ancora con
questa storia? – Ishikura sbuffò – Ti
ho già detto un milione di volte come la penso. Non mi ha
convinto papà e non mi convincerai tu: la mia vita
è questa, perché non lo puoi semplicemente
accettare?
– Non si
tratta più solo di te! – il viso di Minoru si fece
rosso quanto doveva esserlo il suo. Indicò Sylviana e la sua voce si alzò di una tonalità –
Adesso hai lei a cui badare, e presto anche un figlio! Cosa ne sarebbe
di loro se facessi la fine di Takeshi, eh?
Quello era un colpo basso. Un colpo che da lui non si sarebbe mai aspettato.
– Non mettere
in mezzo Takeshi! – sbatté il pugno sul tavolino,
furioso – Non fare così anche tu, per
favore! So che non condividi le mie scelte, ma speravo almeno che le
rispettassi!
Minoru si azzittì, strinse le labbra e distolse gli occhi.
Tutta la rabbia di Ishikura svanì nel vedere la sua
espressione preoccupata e triste.
Avrebbe anche avuto ragione, se ne rendeva conto... ma non c'era nessun
figlio in arrivo, nessuna fidanzata incinta, nessun motivo per
discutere. E lui aveva già abbastanza guai così.
Scoccò un'occhiata assassina a Sylviana, che li osservava
coi lucciconi agli occhi: era certo che dietro quella
maschera da santarellina se la stesse spassando un mondo.
Non devo strozzarla, non
devo strozzarla...
– Senti,
Minoru, mi dispiace – sospirò, si
lasciò cadere all'indietro sui cuscini, chiuse gli occhi e
si massaggiò le tempie – È
solo che sono stanco e ho già tanti pensieri per la testa.
Possiamo discuterne un'altra volta?
Quella, almeno, era la verità. Lui si alzò e gli
mise una mano sulla spalla.
– Scusami tu.
Va bene – si avvicinò a Sylviana, che lo
abbracciò con foga e gli stampò un casto bacetto
sulla guancia.
– Posso
considerarti anche mio fratello, Minoru?
Ishikura arrossì per lei.
Dio, che sfacciata!
– Certo che
sì – Minoru le rivolse un largo sorriso ebete, le
fece l'inchino e s'avviò verso la porta – Di qualunque
cosa tu abbia bisogno, mia cara, conta pure su di me.
Ishikura arrossì anche per lui.
Dio, che farfallone!
Gli prese il braccio e lo accompagnò oltre la soglia.
Mentre rientrava, gli arrivò la sua voce dalle scale.
– A presto,
“Eroe Silenzioso”!
– Sì,
certo – Ishikura roteò gli occhi e afferrò la
maniglia.
– E dai,
fratellino – Minoru alzò la voce e si
affacciò sul pianerottolo – Solo per dimostrarmi
che non ce l'hai con me!
– Piantala,
cretino! Disturberai tutto il palazzo!
– Posso urlare
ancora più forte se non mi accontenti!
– Va bene, va
bene – capitolò – Ciao,
“Verità”.
Finalmente i passi per le scale ricominciarono, accompagnati da un
fischiettio allegro.
Ishikura richiuse la porta, vi si appoggiò e si lasciò
sfuggire un lungo sospiro.
Che tipo impossibile! Ci
mancava solo lui a complicare le cose...
– Davvero
abiti qui quando sei in licenza? – Sylviana stava piroettando
qua e là per la casa estatica, all'apparenza ignara
del casino che aveva appena combinato – Certo che la Flotta
Unita li tratta bene, gli ufficiali! Altro che i tuguri delle reclute!
Ishikura le si avvicinò a grandi passi: adesso lo avrebbe sentito!
– Sylviana!
Come ti se...
Lei gli buttò le braccia al collo e gli tappò la
bocca con un bacio.
– Oh, come
sono felice, Shizuo caro! – cinguettò.
Avvicinò le labbra al suo orecchio.
– Sta' al
gioco – sussurrò – Qui è pieno di cimici e microcamere.
Ishikura si irrigidì, le appoggiò le
mani sui fianchi e immerse il naso nei suoi capelli in cerca del suo orecchio.
– Sei sicura?
– Parola di
spia – bisbigliò lei contro il suo collo
– Andiamo fuori.
La seguì sul terrazzo e l'occhio gli cadde subito sulla
scala appoggiata al muro. La sfiorò con la mano. Quasi non poteva credere che fosse
ancora lì dopo sette anni in cui tutto o quasi era stato
distrutto o era cambiato.
Sylviana si avvicinò, salì un paio di gradini e
gli accennò di seguirla.
Ishikura si issò sul tetto e si guardò intorno. Le tegole erano calde proprio come ricordava, ma il panorama era diverso. Si sentì un estraneo, ma non se ne stupì: dopotutto era rimasto
lontano sei anni e, in fondo, nemmeno prima era mai riuscito a
considerare davvero quel posto come casa sua.
Sylviana si appoggiò al comignolo e girò lo
sguardo sugli edifici che li circondavano.
– Bene.
Quassù possiamo parlare senza tante recite. Ci staranno
spiando dal palazzo di fronte, ma dovremmo essere abbastanza distanti
perché sia impossibile leggere il labiale. Comunque, parla
piano e muovi la bocca il meno possibile, non si sa mai...
Lui le si avvicinò.
– Benissimo!
Allora spiegami...
– Un momento,
soldatino – lei gli posò un dito sulle labbra
– Qui le domande le faccio io. Come faceva tuo fratello a
sapere del nostro arrivo? E, soprattutto, come faceva a sapere che sei
stato “cacciato” dal grand'uomo?
Ecco, ci siamo.
Ishikura tirò il colletto così forte che il primo bottone
venne via e cadde. Tintinnò un paio di volte nella
grondaia e finì chissà dove.
– Non ne ho
idea – rise imbarazzato – Come tu non hai idea di
che razza di fenomenale impiccione sia Minoru...
– Già, parliamone
– lei si sedette e appoggiò la testa in modo che
le labbra fossero coperte dagli avambracci – Un fratello che
non hai nominato neanche una volta in più di un centinaio di
pagine di diario e di cui nessuno lassù pareva essere al
corrente, ma che ti vuole così bene da
accettare senza battere ciglio una perfetta sconosciuta che
dice di essere incinta di te. Ha detto che gli scrivi tutto quello che
fai: anche le specifiche di una missione segreta, per caso?
– Certo che
no! – Ishikura scivolò e quasi cadde di sotto per la foga
– Ma per chi m'hai preso?
Le si sedette accanto e imitò la sua posa. Guardò
i tetti intorno a loro e si chiese se davvero qualcuno li stesse
osservando. Aveva l'impressione di camminare su ghiaccio sottile
inseguito da una belva.
Sylviana lo guardò. Alla luce del crepuscolo, i suoi occhi
chiari lampeggiavano di riflessi dorati.
– Siete dei bravi attori,
tu e tuo fratello – si sporse verso di lui –
Specialmente tu. Fingersi imbranati è una buona tecnica,
quando lo sai fare: la gente ti sottovaluta e abbassa la guardia... ma
con me non attacca.
– Che vuoi
dire? – una goccia di sudore gli scese dalla tempia al mento.
Lei gli mise una mano dietro la nuca, lo afferrò per i
capelli, gli tirò indietro la testa e gli si
buttò addosso. Lui si divincolò
ma lei lo bloccò intrecciando le gambe alle sue e
schiacciandolo con tutto il suo peso. Avvicinò le labbra al
suo orecchio e rise piano.
– Che ironia:
sono sicura che in questo momento, da lontano, sembriamo davvero due
fidanzatini in vena di romanticherie. Peccato dover rovinare
l'atmosfera.
– Che vuo...
Ishikura udì uno scatto improvviso e avvertì il contatto inconfondibile
di una lama contro la giugulare. Deglutì.
– Non muoverti
o ti taglio la gola.
– Sei
impazzita?
– Tutt'altro
– ghignò lei – Credo d'aver compiuto
buona parte della mia missione, cara la mia spia! I tuoi compagni Boy
Scout si fidano di te a tal punto da non essersi posti qualche semplice
domanda. Capisco Daiba, che bazzicava l'ambiente da quando era un
moccioso... ma tu ti ricordavi un sacco di cose sul progetto Herakles,
troppe per i miei gusti: coincidenza numero uno. Stabilito il piano,
hai fatto il diavolo a quattro perché ti fosse affidata
proprio questa missione, da
solo: coincidenza numero due. Arriviamo qui e ci aspetta
tuo fratello... che lavora al Ministero della Difesa.
Ishikura spalancò gli occhi.
– Come fai a...
Sylviana rise.
– Quando l'ho
abbracciato, prima, gli ho fregato il portafogli.
Minoru Ishikura, Assistente del Comandante delle Operazioni Spaziali.
Coincidenza numero tre, direi. Cominciano a essere un po' troppe, no?
– Senti,
è una lunga storia, ma ti giuro che...
Lei premette la lama più forte e gli si avvicinò
ancora di più, il suo sorriso gelido quanto il filo del suo
pugnale.
– Mi giuri che
non hai nulla a che fare nemmeno con l'ex Segretario della Marina
Spaziale Mamoru Ishikura? – lasciò andare i suoi
capelli – Ah, nel caso stessi pensando di mentirmi, guarda
che ci metto un attimo a chiedere al tappo di verificare.
Mise una mano nella scollatura e aprì il ciondolo che
portava al collo; dentro era installata una trasmittente, un modello
piccolo ma potente usato anche nell'esercito.
Isikura la guardò negli occhi.
– Ti ho
sottovalutata.
– Ti conviene
non farlo mai più, sempre che alla fine decida di lasciarti in
vita – gli sussurrò lei – Adesso, vuota
il sacco. E spera di essere convincente, Soldatino.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 21 *** Riflessi ***
cap 8
Yuki consultò la carta astrale e
confrontò le coordinate della loro destinazione con quelle
della Karyu. Erano vicini alla meta, la zona nella piccola cintura di
asteroidi tra i pianeti gemelli di Alpheratz dove Mime presumeva si
trovasse l'Arcadia.
Alzò gli occhi, s'avvicinò alla finestra della
cabina e osservò l'oscurità punteggiata di
stelle che la circondava.
Ricordò che un tempo, agli inizi della sua carriera di
pirata, ne aveva avuto paura.
Quell'immenso vuoto, tenebroso, freddo, privo di ossigeno e di vita,
pieno di minacce nascoste, la faceva sentire sola, fragile e
insignificante.
Tutti ci siamo sentiti
così, anch'io.
Il suo riflesso per un attimo divenne il viso di Harlock, velato dalla
visiera del casco spaziale.
In questo momento sei
come un pulcino prima di spiccare il volo, un piccolo essere che sa che
dovrà lanciarsi nel vuoto e battere le ali con tutte le sue
forze per sopravvivere... Questo è il tuo cielo, Yuki, la
tua libertà, ma è un premio che solo chi
è disposto a lottare giorno dopo giorno può
conquistare, solo chi sa sopportarne la solitudine e i silenzi, solo
chi sa sconfiggere la paura.
Ricordò la sua mano tesa.
Anche se ci
sarà qualcuno al tuo fianco come me in questo momento,
ricorda che dovrai essere sempre e solo tu a fare il primo passo, tu a
trovare il coraggio di essere libera, tu a decidere di combattere.
Yuki appoggiò una mano sul vetro, ad accarezzare quel ricordo.
Non l'ho mai scordato,
Capitano.
Al suo fianco aveva imparato a conoscere quell'immensità, ad
amarne le luci e le ombre, a considerarla casa sua. Eppure, un'eco di
quella paura tornò a stringerle il petto.
– A cosa stai
pensando, Yuki? – Tadashi le si avvicinò.
– Vecchi
ricordi.
– Dell'Arcadia?
– il suo volto, riflesso sul vetro accanto al suo, si
incupì.
Yuki gli fece un cenno affermativo.
– Anch'io ci
penso spesso, negli ultimi tempi. Se non fosse per te e Mayu, credo
proprio che a quest'ora mi sarei convinto che quel periodo della mia
vita non sia stato altro che un sogno.
– Già
– Yuki appoggiò la fronte al vetro e ne
assaporò la frescura – Un sogno che si sta
trasformando in un incubo.
Lui le cinse
la vita e rimase in silenzio al suo fianco per un po', lo sguardo
distante.
– Vorrei
poterti dire che andrà tutto bene –
mormorò – Darei qualunque cosa per
poterlo fare.
– Ma non ne
sei convinto, vero?
Tadashi scosse il capo. Per un attimo, la sua espressione
tornò quella rabbiosa e allo stesso tempo
vulnerabile del ragazzino in guerra col mondo che, un giorno di
sette anni prima, era salito a bordo dell'Arcadia.
– Lo hai visto
anche tu – si portò una mano al petto –
Non è più lui. E se davvero ha uno di quei chip
nel cervello, forse...
La sua mano corse alla fondina e le sue dita si chiusero
sull'impugnatura della Cosmo Dragoon.
Yuki sussultò, scossa da un brivido.
Forse
bisognerà ucciderlo.
Ci aveva pensato anche lei, senza sosta... e se prima di sapere del Progetto
Herakles quello era stato solo un vago timore, adesso era quasi una certezza.
Ripensò all'uomo di quel vecchio filmato, alle guardie che
gli avevano sparato alla testa e si chiese se avrebbe mai avuto il
coraggio di fare una cosa del genere ad Harlock.
Il suo
Harlock.
Tirò su la manica della tuta e fissò le ustioni
in via di guarigione sul suo braccio destro.
Sulla Terra non ci era riuscita, nemmeno per salvarsi la vita.
– Lo ami
ancora, vero?
La domanda la colse di sorpresa.
Si voltò a guardare Tadashi.
Lui non si mosse né cambiò espressione, tanto che Yuki credette quasi di essersi immaginata quelle parole.
– È...
complicato – mormorò alla fine.
Non poteva non amare Harlock.
Gli doveva tutto: la vita, la libertà, ogni cosa che aveva
imparato e tutto ciò che era diventata, nel bene e nel male.
Nel momento più buio della sua esistenza, quando aveva
creduto di non avere più nulla per cui vivere, lui le aveva
teso la mano e le aveva insegnato a combattere, a sopportare il peso
della solitudine e dei ricordi, le aveva fatto capire che una casa e
una famiglia non erano solo un posto o dei legami di sangue e che
poteva ancora avere e dare molto, se solo avesse trovato in
sé il coraggio di fare come lui, di tendere la mano a
qualcuno e donargli tutta se stessa.
Era stato solo grazie ad Harlock se, a poco a poco, il buio della sua
esistenza si era riempito di luci e lo spazio aveva smesso di farle
paura, era stato solo grazie a lui se il suo futuro, che un tempo l'aveva
angosciata così tanto, s'era trasformato in un qualcosa a
cui guardare con speranza e per cui lottare fino all'ultimo.
Non poteva non amarlo e, adesso come allora, non le importava se il
loro non era mai stato un amore romantico e mai sarebbe potuto
diventarlo: era una cosa che aveva accettato da tempo e che non
sminuiva la profondità del loro legame; lo rendeva solo
diverso... e complicato, come tutti i sentimenti che l'avevano unita
agli uomini della sua vita.
– Perché
me lo chiedi proprio adesso?
Gli occhi di Tadashi, fissi nel buio dell'universo, le parveroo
più scuri del solito e brillavano dei riflessi di stelle
lontane.
– Ho bisogno
di saperlo – lui si voltò a guardarla –
Voglio capire quanto male ti farò se sarò
costretto a ucciderlo. E...
Si interruppe, ma lei sapeva cosa voleva dire: e se non penserai che l'ho fatto
per gelosia, se continuerai a stare al mio fianco.
Yuki si sentì divisa a metà.
Non era una sensazione nuova: da qualche parte dentro di lei aveva
sempre saputo che prima o poi sarebbe arrivato il momento di scegliere
in modo definitivo fra Harlock e Tadashi... ma così, con
quello che implicava, era troppo doloroso.
Tutti e due, in diversi periodi della sua vita, le avevano dato
ciò di cui aveva avuto bisogno: Harlock l'aveva protetta, le
aveva restituito la speranza e le aveva insegnato a lottare fino
all'ultimo per ciò in cui credeva, Tadashi le aveva fatto
conoscere la gioia di essere il sostegno di qualcuno e di farsi
sostenere a sua volta, le aveva donato quel calore e quella
serenità che Harlock, forse, sapeva di non poterle offrire.
Erano legami complicati, forti, impossibili da spezzare: quei due
uomini, così simili e così diversi, erano tutta
la sua vita.
Un groppo le strinse la gola e i contorni del viso di Tadashi
tremolarono dietro un velo di lacrime.
E tu? Quanto male ti
farà tutto questo? Quanto te ne sta già facendo?
Harlock significava molto anche per lui: gli aveva salvato la vita, lo
aveva tirato fuori dal baratro dell'odio e del rimorso, gli aveva dato
dei compagni, degli ideali per cui lottare, gli aveva affidato un
futuro da costruire e tutto ciò che gli era più
caro; era la persona che più ammirava al mondo, il tipo
d'uomo che s'era sforzato di diventare in tutti quegli anni... e al
tempo stesso era un rivale, qualcuno da raggiungere e superare,
un'ombra silenziosa sempre presente nel loro rapporto.
Le lacrime caddero e Yuki lo vide aggrottare la fronte.
– Lascia
perdere – Tadashi la lasciò andare, distolse lo sguardo e le
voltò le spalle – Ho capito.
Si diresse verso la porta che collegava la cabina del Capitano al ponte
di comando e uscì senza voltarsi.
Col suo silenzio, Yuki sentì di averlo
ferito al cuore persino più in profondità di Harlock col suo colpo di
pistola.
Ma cosa sto facendo?
Si asciugò gli occhi col dorso della mano e mosse un passo
per raggiungerlo, ma proprio in quel momento la voce di Zero
risuonò negli altoparlanti.
– A tutto
l'equipaggio, è il Capitano che vi parla. Abbiamo
individuato l'Arcadia. Ripeto: abbiamo individuato l'Arcadia.
Prepararsi alla manovra di abbordaggio in venti minuti. Ripeto:
prepararsi alla manovra di abbordaggio in venti minuti.
Yuki sospirò e tornò sui suoi passi. Entrò
in camera da letto e si allacciò al fianco la fondina. Il vetro le restituì l'immagine di
una donna con l'espressione della ragazzina sperduta che era stata un
tempo.
Devo essere io a
decidere di combattere, e devo essere io a decidere da che parte. Ma a
volte è così difficile, Capitano...
Appoggiò di nuovo la mano sul vetro, ma stavolta nessun
ricordo rassicurante le si affacciò alla mente: rivide
Harlock come l'aveva visto l'ultima volta sulla Terra, lo sguardo
freddo, distante, così diverso da quello dell'uomo che
l'aveva salvata dalla disperazione da farglielo sembrare un estraneo.
Rabbrividì, uscì dalla cabina e cercò di ricomporsi: di certo tutti si aspettavano che
riprendesse il suo ruolo di Primo Ufficiale una volta a bordo
dell'Arcadia e non poteva permettersi di apparire debole, confusa o
spaventata.
Non poteva, ma soprattutto non voleva.
Sul ponte di comando, Zero le venne incontro.
Aveva ancora la mano destra fasciata e portava al fianco la pistola a tamburo che
il Vice-Sceriffo Carson aveva voluto a tutti i costi regalargli come
ringraziamento per avergli salvato la vita.
Il racconto del suo duello con Harlock su Heavy Meldar le
tornò alla mente e, se possibile, la inquietò ancor di più. Tadashi aveva ragione, inutile negarlo: con ogni probabilità avrebbero dovuto
lottare con lui fino alla morte... la loro o la sua.
E io cosa
farò, quando questo accadrà?
– Siamo pronti.
– Anch'io
– Yuki si sistemò un guanto per evitare di
incrociare lo sguardo di Tadashi, in piedi dietro a Zero. Avrebbe
voluto parlargli più di qualunque cosa al mondo, ma non era
il momento, non era il luogo – Gli altri?
– Ci aspettano
alle rampe mobili – la sua voce era atona, così
distaccata da parere quasi quella di un altro – Mayu vuol
venire a tutti i costi.
– Non dovrebbe
esserci pericolo – assentì Yuki – Lasciamo
che incontri di nuovo suo padre.
– Tochiro
– mormorò Zero – È una cosa
così difficile da credere...
– Eppure
è così. L'Arcadia è viva, ha
un'anima... ed è l'anima di qualcuno che ama profondamente
Harlock.
Anche lei, all'inizio, era stata scettica: trasferire l'essenza stessa
di un uomo in un computer le sembrava così antiscientifico,
così assurdo che a un certo punto aveva addirittura dubitato
della salute mentale del suo Capitano, ma in seguito aveva dovuto
ricredersi: tante, troppe volte per non accettarlo.
– Con
Tochiro tutto è possibile – Zero
scrollò le spalle e si tolse cappello e giacca –
Vi spiace se vengo con voi? Vorrei salutare anch'io il mio vecchio
amico.
Yuki gli fece un cenno d'assenso, pensierosa.
Si chiese se sarebbe stato possibile comunicare con il computer, sempre
che fosse ancora in funzione, e soprattutto se li avrebbe aiutati. Per
quanto ne sapeva, Harlock era l'unico in grado di parlargli e
comprenderlo... e non era con loro, anzi: stavolta era il nemico da
combattere.
Seguì Zero nello spogliatoio, indossò la tuta e
raggiunse il gruppo alle rampe: Mime, Yattaran, il Dottore, Maji e Mayu
li aspettavano in compagnia di un'altra quindicina di uomini, il poco
che rimaneva del vecchio equipaggio dell'Arcadia.
– Allora,
ragazzi, finalmente si torna a casa, eh? – il Dottor Zero
venne loro incontro, un sorriso a trentadue denti dietro il vetro del
casco.
– Non vedo
l'ora di mettermi al lavoro – Maji diede un'energica pacca
sulla schiena di Yattaran – E far risorgere la cara, vecchia
Arcadia!
– Giusto,
lasciate fare a noi due – Yattaran lo ricambiò con
altrettanta foga – E vedrete come ve la tiriamo a
lucido! Quei bastardi non avranno scampo!
– Già!
Salveremo il Capitano e daremo una lezione coi fiocchi ai cattivi, come
sempre! – Maji afferrò Yattaran e lo
scrollò con forza – Così,
così e così!
– Anche
così – Yattaran gli diede un paio di scappellotti
dietro la nuca e un calcio negli stinchi – E nei modi
più dolorosi possibili!
– Va bene, va
bene, abbiamo capito – il Dottore li separò
– Ma non fatemi lavorare prima della battaglia... e
soprattutto risparmiate le energie per fare il vostro mestiere, che a
menar pugni fate pena!
Ci fu una risata generale e anche Yuki sorrise, felice che almeno
loro fossero così fiduciosi e determinati.
Guardò di sfuggita Tadashi che si allacciava
il casco e il suo sorriso svanì nel vedere la sua
espressione cupa.
Il rumore metallico delle rampe che cominciavano la manovra d'aggancio
raggiunse le sue orecchie.
Infilò il casco, controllò la chiusura della tuta
e caricò la pistola.
Il portello si aprì. Entrò per prima. Il
tunnel che separava le due navi era lungo, buio e, se non fosse stato
per il materiale isolante delle tute, freddo da morire. Sotto i guanti,
mentre si aggrappava alle maniglie laterali per darsi lo slancio in
assenza di gravità, sentì scricchiolare i
cristalli di ghiaccio.
Accese la torcia. Un centinaio di metri ancora.
All'improvviso, Mayu le afferrò la mano e lei si
sentì intenerita.
Ricordò che, alla sua età, aveva avuto la
fortissima tentazione di fare la stessa cosa con Harlock la prima volta
che lo aveva seguito in un arrembaggio.
Yuki ricambiò la stretta, si slanciò in avanti e girò
la maniglia del portello.
L'interno della nave era proprio come lo ricordava, salvo il fatto che
era buio, polveroso e deserto.
L'immagine dei corridoi illuminati giorno e notte, pieni d'oggetti di
ogni tipo e di uomini impegnati nelle più svariate e strane
attività, le si riaffacciò subito alla mente.
Rivide Taro e Kiddodo seduti a terra davanti alla scacchiera, Masu che
rincorreva Mi e Tori-San brandendo i suoi coltellacci, Doskoi che
brontolava perché qualcuno, di nuovo, gli aveva fregato le
mutande appena lavate; risentì l'allegra confusione di quei
giorni lontani e gli echi metallici dei suoi passi che riecheggiavano
nel silenzio la fecero sentire sola come non le accadeva da molto.
Controllò il livello di ossigeno col rilevatore da polso, si tolse il casco e
cercò il quadro elettrico.
Tirò la leva
del generatore autonomo d'emergenza. Non successe nulla.
– Bisognerà rifornire il gruppo elettrogeno di gravium e dare
una sistemata all'impianto, o qui non funzionerà nulla
– alle sue spalle, Maji si rimboccò le maniche
– Io i miei uomini ci mettiamo al lavoro, Yuki.
– Quanto ci vorrà perché tutto sia di nuovo
operativo?
Il Capo Ingegnere
si grattò la barba.
– Se non ci sono grossi guasti e se dalla Karyu ci daranno una mano col
materiale e le riparazioni, direi che io e la mia squadra ce la
possiamo cavare in due o tre ore al massimo per le cose indispensabili
e un paio di giorni per tutto il resto – si voltò verso Yattaran – Piuttosto, non
sarebbe meglio verificare lo stato del computer?
– Stavo
proprio per andarci – Yattaran si sfilò la tuta e
allacciò la bandana sulla testa – Venite con noi,
Capitano Zero?
Zero si guardava attorno alla luce della torcia, l'espressione indecifrabile. Annuì in silenzio e si incamminò dietro a lei,
Mayu, Yattaran e Tadashi.
– Oh, a quanto
pare, qui c'è ancora energia elettrica – Yattaran
ammiccò in direzione della fievole linea luminosa che
filtrava dalla parte inferiore del portello della sala computer
– Immagino che Tochiro abbia dirottato qui tutta l'energia
residua del generatore per continuare a funzionare il più a
lungo possibile.
– Ci stava
aspettando – mormorò Mayu –
Papà...
– Bene,
entriamo – Tadashi ruotò la maniglia e
aprì la pesante porta con l'aiuto di Zero.
All'interno, l'enorme computer principale emetteva deboli luci
intermittenti e un basso ronzio.
Yattaran si fiondò alla postazione di controllo e
cominciò subito a smanettare alla luce della torcia, tra mormorii d'approvazione e imprecazioni soffocate.
– Così
è questa – Zero mosse qualche passo in avanti e si
avvicinò al computer – L'anima dell'Arcadia...
Esitò un momento, posò una mano sul metallo
della base e guardò in su.
– Tochiro.
Subito, a Yuki venne in mente Harlock e la prima e unica volta in cui
l'aveva visto conversare con la nave. Anche lui, quel giorno, aveva
fatto lo stesso gesto, anche lui aveva guardato in alto con la stessa
espressione, un curioso miscuglio di serenità e malinconia
dipinto sul volto sfregiato mentre pronunciava quel nome.
Quello che era seguito, parole e gesti... il solo ricordo le faceva
ancora venire le lacrime agli occhi.
S'avvicinò a sua volta, cercando di mascherare la sua
indecisione e la sua ansia.
Aveva già provato a parlare con il computer in passato, senza mai riuscirci: nessuna voce aveva risposto alle sue domande,
nessun pensiero particolare le aveva mai attraversato il cervello in
quella stanza.
– Tochiro, ci
serve il tuo aiuto.
Silenzio.
– Si tratta di
Harlock. Lui...
Yuki abbassò il capo e tacque. Non sapeva da dove iniziare, cosa
dire... e soprattutto cosa chiedergli.
Harlock era il suo migliore amico, la persona cui aveva sacrificato
tutto e dedicato fino all'ultimo istante della sua vita di uomo, e
forse avrebbero dovuto ucciderlo: come potevano chiedergli aiuto?
E come potevano farcela, senza?
Rialzò la testa e si rese conto che tutti la stavano
guardando in silenzio, in attesa.
– Vorrei
parlargli io, Yuki – Mayu le afferrò il braccio – Per favore.
Yuki la guardò negli occhi e assentì: se
c'era una persona oltre ad Harlock che poteva arrivare al cuore di
Tochiro o a qualunque cosa ne rimanesse, quella era lei.
– Siamo nelle
tue mani, Mayu – gliele strinse e si voltò verso
Zero e Tadashi – Lasciamoli soli.
Uscì dalla sala, i passi dei due uomini a far eco ai suoi.
La porta che dava sul ponte di comando era rimasta aperta. Yuki rivide
Harlock al timone, Yattaran e Tadashi alle loro postazioni e Mime che
vegliava in silenzio il loro sonno sulla poltrona del Capitano, sola o in compagnia del Dottore e di svariate
bottiglie di liquore.
Si avvicinò alla stazione radar e passò una mano
sul monitor. Era spento e coperto da uno spesso strato di polvere che
subito le ingrigì il guanto.
Sospirò e guardò fuori, nel buio oltre la fascia
di asteroidi.
Avrebbe voluto potersi mettere subito in viaggio e, al tempo stesso,
rimanere lì per sempre.
– Tutto a
posto? – il riflesso di Zero si rispecchiò accanto
al suo sul vetro polveroso. Yuki gli sorrise senza voltarsi.
– Dovrei
essere io a chiederlo. Sembri sconvolto.
Lui scosse il capo.
– Non
è nulla.
Yuki non ne era convinta: da quando si era avvicinato al computer, Zero s'era rabbuiato quanto Tadashi se non addirittura di più e non
aveva detto una sola parola.
Anche in quel momento, il suo volto era pallido e teso.
Si chiese se per caso Tochiro gli avesse parlato; stava per
domandarlielo, quando le luci si accesero con uno sfarfallio. La voce
allegra di Maji risuonò nell'interfono insieme a una selva
di urla e ovazioni.
– Ponte di
comando, mi sentite?
– Vi ricevo,
sala macchine – Tadashi si mise l'auricolare e si sedette
alla postazione dei radar.
– Abbiamo
rimesso in funzione il generatore principale. Per fortuna, qui funziona
ancora tutto a meraviglia. Credo che faremo prima a tornare operativi
che a togliere tutta la polvere che si è accumulata!
– rise – Bé, ci voleva un po' di
fortuna, no?
– Già.
– E come se la
cava il vecchio Yattaran col computer? Ho scommesso una bella bevuta
che avrei finito prima di lui!
– Lo abbiamo
lasciato al lavoro. Lo contatto subito – Tadashi premette un
paio di tasti sulla console – Yattaran, qui ponte di comando.
Yattaran, a che punto sei?
– Non capisco:
qui parrebbe funzionare tutto e invece non funziona un bel nien... un
momento!
Con un flash improvviso, lo schermo centrale si accese.
– Yuki,
Tadashi, mi sentite? – la voce di Mayu.
– Forte e
chiaro.
– Papà
ci aiuterà. C'è una cosa importante che vuole
sappiate: a quanto pare, la Nèmesis è una copia
esatta di questa nave, sin nei minimi particolari. Non ho capito bene
come, ma lui la può rintracciare.
Yuki si avvicinò alla postazione e si chinò
accanto a Tadashi.
– Sappiamo
qual è la sua posizione attuale?
Sullo schermo apparve una mappa. Poco distante dalla zona in cui si
trovavano, un punto s'illuminò di una luce intermittente.
– Futuria
– Zero incrociò le braccia – Proprio come
supponevamo.
– Procediamo
– fu tutto ciò che Yuki riuscì a dire.
Zero si diresse verso la porta.
– Torno sulla
Karyu. Fatemi sapere quando sarete pronti a partire e se vi servono
tecnici o materiali.
– Bene
– Yuki lo raggiunse e gli strinse appena le dita della mano
destra – Voi teneteci aggiornati se dovessero arrivare
notizie dalla Terra.
La porta si aprì con un sibilo. Mime entrò
nella stanza, un involto nero fra le braccia e Tori-San appollaiato
sulla spalla.
Si avvicinò senza dire una parola, dispiegò quello che si
rivelò essere uno dei mantelli di Harlock e guardò Yuki coi suoi grandi occhi dorati.
– Sono tutti
d'accordo – le drappeggiò la
cappa attorno alle spalle con un unico, rapido gesto – Da adesso e fino al ritorno di
Harlock, il comando spetta a te, Yuki.
Se Harlock
tornerà... fu l'angoscioso pensiero che attraverso la mente di Yuki.
Mime le fissò sul petto il fermaglio a forma di teschio e
Yuki si voltò verso Tadashi. Lui si
alzò, si avvicinò e la guardò negli
occhi.
– Attendo
istruzioni, Capitano.
Per qualche ragione, Yuki si sentì come se un muro
invalicabile si fosse frapposto fra di loro: provò la stessa
sensazione di solitudine di quando l'avevano sbattuta in cella su quel
cargo spaziale, nove anni prima.
Strinse l'orlo del mantello fra le dita e s'impose di mettere da parte i suoi problemi
personali: non era il momento, non era il luogo e, ora che aveva la
responsabilità della nave, ora che le vite di tutti gli
uomini dell'equipaggio dipendevano da lei e dalle sue decisioni, doveva
mantenersi lucida a tutti i costi.
Tori-San lanciò un acuto stridio e andò ad
appollaiarsi sullo schienale della poltrona di Harlock, in attesa. Yuki
si avvicinò e gli accarezzò la testa, ma rimase in piedi. No, non si sarebbe mai seduta lì.
Finché avesse continuato a respirare, Harlock sarebbe stato
il solo, vero Capitano dell'Arcadia.
Chiuse gli occhi, fece un respiro profondo e valutò il da
farsi.
Mantenere tutti
occupati, provvedere alle necessità di base, prepararsi in
vista di possibili scontri, stabilire la rotta...
Quando li riaprì aveva le idee chiare e anche la sua voce
era ferma.
– Tadashi,
chiama Maji e chiedigli un rapporto completo sulla situazione dei
motori e degli armamenti, poi di' Yattaran e Mayu che ci raggiungano
sul ponte appena possibile. Mime, va' dal Dottore e controllate se
occorrono cibo o medicinali. Zero, t'informeremo non appena saremo
pronti a salpare. In tre o quattro ore dovrei poterti fornire un
resoconto completo sulla situazione della nave e una stima di quanto ci
vorrà ancora per raggiungere la piena operatività.
– Ricevuto, Capitano
Kei – Zero le lanciò uno sguardo ammirato, le fece
il saluto e uscì.
Yuki alzò gli occhi sul puntino lampeggiante al centro dello
schermo e pensò di nuovo ad Harlock, a quel giorno lontano
in cui le aveva teso la mano per guidarla ad affrontare il buio
che le faceva così tanta paura.
Si avvicinò al timone, strinse fra le dita la barra e
guardò fuori, oltre la fascia di asteroidi,
nell'infinità del cosmo. In un certo senso, era nella stessa
situazione di allora: stava per lanciarsi nel vuoto, senza garanzie di
riuscita, senza certezze a parte quella di dover lottare con tutte le
sue forze. Lui non era lì a tenderle la mano, ma da qualche
parte, là fuori, la stava aspettando.
Qualunque fosse la verità, qualunque fosse il destino che li
avrebbe attesi entrambi, Yuki aveva un solo dovere.
Ho deciso di combattere,
Capitano, come mi hai insegnato tu.
Dal vetro, il suo riflesso le lanciò uno sguardo deciso,
come se avesse già trovato ciò che cercava.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 22 *** Il Guerriero, la Verità e l'Eroe Silenzioso ***
cap 8
Ishikura guardò in alto.
Sopra di lui, il cielo era sempre più rosso e meno luminoso.
Sotto di lui, le tegole erano calde, quasi bollenti.
Attraverso la stoffa della divisa, il suo corpo era più che
mai consapevole del peso e del tepore di quello di Sylviana,
così come il suo collo nudo lo era del metallo gelido della
lama.
Respirò a fondo per regolarizzare i battiti del cuore e le
rivolse un sorriso incerto.
– Non potresti
metter via quello spiedo? Mi fa sentire un po' a disagio.
– Con tutto il
rispetto, non me ne frega niente. Sono in missione. Rischio la pelle.
Che tu sia la spia a cui do la caccia, un suo contatto o il mio fido
partner, non mi devi nascondere niente... e non lo farai. Fuori la
verità. Tutta
la verità.
– Non
è mica così semplice! – si
lamentò lui – Non ho mai parlato di queste cose ad
anima viva...
– La magia del
pugnale alla giugulare m'ha reso la confidente ideale di un sacco di
persone, fino a oggi – mormorò lei contro il suo
orecchio – Scommettiamo che funzionerà anche
stavolta?
La pressione della lama aumentò e Ishikura sentì un dolore
improvviso, simile alla puntura di diversi spilli. Un rivolo caldo gli
colò sulla gola e gli bagnò il colletto.
Guardò Sylviana nella luce che andava diminuendo. Fa sul serio.
– Allora? Vuoi
che sposti la lama un po' più sopra e tagli più
in profondità?
Ishikura tirò un altro profondo respiro. Non sapeva
nemmeno da che parte cominciare.
Quando ripensava a quelle cose, e cercava di farlo il meno possibile,
andava sempre nella confusione più totale, anche a distanza
di anni.
– Come ti ho
detto, è una lunga storia – chiuse gli occhi
e cercò di raccogliere le idee – Comincia con la mia famiglia, nel
sessantotto.
Riaprì gli occhi. Lei lo fissava ancora.
– Continua.
– L'ex
Segretario della Marina Spaziale Mamoru Ishikura era mio padre.
Sylviana non fece una piega. A quanto pare, se l'aspettava.
Ishikura deglutì. Era difficile credere che la donna seria, acuta e inflessibile che
ora lo teneva in pugno con così tanta fermezza fosse la
stessa che l'aveva fatto impazzire per una settimana con le sue
frivolezze, il suo comportamento infantile e le sue risate sguaiate.
– Oltre a me e
Minoru, aveva un altro figlio: Takeshi.
– Quello per
cui poco fa tu e tuo fratello avete quasi litigato?
– Sì.
Aveva otto anni più di me e cinque più di Minoru.
Era caposquadriglia di un'unità di caccia spaziali... e il
mio eroe.
– Cosa gli
successe?
– Quando
scoppiò la guerra col Governatorato Extra-Solare,
rifiutò d'approfittare della posizione di nostro padre o di
fingersi inidoneo al combattimento per evitare d'esser mandato al
fronte. Partì con la sessantaseiesima flotta e
morì in battaglia dopo meno di un anno dall'inizio delle
ostilità, nella fascia d'asteroidi fra Marte e Giove.
Ricordò la piccola cassa di metallo che conteneva i pochi
resti di Takeshi, avvolta nella bandiera della Federazione e impilata
su innumerevoli altre nella stiva di quell'enorme, buio cargo spaziale.
Gli parve di udire di nuovo l'urlo straziato di suo padre, ma forse era
stato solo un cane, da qualche parte nei vicoli sotto di loro.
Sbatté le palpebre per scacciare quel ricordo .
– Da allora,
mio padre cambiò. Fece di tutto per impedire che Minoru
fosse chiamato al fronte e per convincere me a lasciare l'Accademia
Militare.
– Ma non ci
riuscì.
– No
– lui scosse il capo – Avevo diciassette anni,
odiavo i meccanoidi con tutto me stesso e bruciavo dalla voglia di
combattere. Finii per litigarci: per tutta la vita aveva incoraggiato
me e i miei fratelli a diventare soldati come lui e i suoi
predecessori, ci aveva riempito la testa di bei discorsi, nobili ideali
e storie di eroismo, e proprio quando avremmo dovuto davvero combattere
per difendere il nostro mondo e tutto ciò che ci era caro,
voleva che ci tirassimo indietro. Mi disse che le sue erano state solo parole, che
tutto ciò che voleva per noi era una posizione sicura e prestigiosa e che nessun ideale valeva la nostra vita. E disse
anche che Takeshi era stato uno stupido a partire. Mi sentii...
tradito: tutto ciò che mio fratello era stato, tutto
ciò che volevo diventare io, per lui non era altro che una
menzogna... Ebbene: non per
me. Me ne andai di casa e ruppi ogni legame con lui. O
almeno ci provai.
Si rese conto che stava tremando dalla rabbia e se ne stupì: era
passato tanto tempo eppure, a quanto pareva, ancora non era riuscito a
seppellirla in fondo al cuore. O forse l'aveva fatto troppo a lungo.
Fece un altro respiro profondo. Quella non era nemmeno la parte peggiore.
– Lui non lo
accettò e mi rese la vita un inferno: suppliche, minacce,
ricatti e ingerenze d'ogni tipo. Non mi
risparmiò niente: gli ultimi tre anni d'Accademia furono i
peggiori della mia vita – strinse il pugno – Mi
diplomai col minimo dei voti che la guerra era ormai persa e finii a
fare il Vice-Comandante sulla Kagero.
– La carretta in cui
il Governatorato fece sbattere il Grand'Uomo?
Ishikura annuì.
– Era l'unica
nave dello Squadrone Indipendente che fosse sempre sotto organico,
un catorcio di pattugliatore comandato da un Capitano in disgrazia che
si mormorava stesse andando via di testa e con un equipaggio di
reduci stanchi, novellini e incapaci. Finirci era lo spauracchio di
ogni ufficiale, ma avrei accettato di tutto pur d'allontanarmi dalla
Terra e da mio padre. Ormai lo odiavo, per questo non ho mai parlato di lui a nessuno: all'epoca volevo solo dimenticarmi d'avere il suo stesso
sangue nelle vene e in seguito... bé, era troppo tardi.
– E nessuno ha
mai fatto il collegamento?
– Ishikura
è un cognome molto comune – alzò le
spalle – E poi ci si aspetterebbe che il figlio di un pezzo
grosso, per quanto incapace, ricopra incarichi più
prestigiosi.
– Bene
– Sylviana fece scorrere di piatto il coltello sulla sua gola – E così m'hai
raccontato la storia della tua vita. Tutto molto interessante, ma che
c'entra con il progetto Herakles?
– Ci sto
arrivando, Te l'avevo detto
che era una storia lunga.
Infilò una mano sotto la giacca ma Sylviana lo
bloccò. La lama del pugnale tornò a mordergli la gola e le sue gambe
lo strinsero con più forza.
– Calma,
calma! – una goccia di sudore gli scese lungo la tempia
– Sono disarmato, volevo solo prendere il portafogli.
– Regola
numero uno: non ti muovi senza prima avermi avvisata delle tue
intenzioni. Riprovaci e ti sgozzo.
Lei gli liberò le gambe, gli si mise a cavalcioni sul bacino e
gli sbottonò la giacca con una mano sola, in un paio di
rapide mosse. Tirò fuori il suo portafogli dalla tasca
interna con una velocità e una destrezza degni d'un
borseggiatore professionista, lo aprì, frugò nelle tasche, ne tirò
fuori una foto e trasalì. Ishikura sorrise amaro.
– Girala
– la incoraggiò – Leggi i nomi.
Sul viso di Sylviana si dipinse un'espressione stupita.
– Questo era tuo
fratello Takeshi?
Ishikura le fece un cenno affermativo.
Sylviana rigirò la foto, la fissò ancora un momento e gli tolse il coltello
da sopra la gola.
– Non ci
somigliamo per niente, lo so – sospirò Ishikura
– Takeshi aveva preso da nostro padre, mentre io e Minoru
assomigliamo a nostra madre.
Ricordò i capelli castani di suo fratello, i suoi occhi
marroni profondi ed espressivi, il suo naso lungo e diritto e le sue
labbra sottili, il suo fisico atletico e la stretta d'acciaio delle sue
mani.
In quella foto era in alta uniforme poco prima di partire per il fronte
e sorrideva un po' brillo con un braccio intorno al suo collo e l'altro
attorno a quello di Minoru.
Avrebbe voluto poterlo ricordare sempre e solo così, ma a
volte l'immagine che aveva di lui era un'altra... e ora avrebbe dovuto
rievocarla.
Si
sollevò sui gomiti e avvicinò il viso a quello di Sylviana.
– Takeshi
Ishikura – mormorò con una smorfia amara – Il primo Herakles. O meglio, uno dei suoi tanti cloni senza
nome, torturato a morte da Kurai col beneplacito del suo padre
biologico e filmato da chissà chi.
Sylviana lo guardò spiazzata e il ricordo del momento
in cui aveva visto per la prima volta quel video s'affacciò di
nuovo alla mente di Ishikura, nitido come se l'avesse appena vissuto.
Si trovava su quella ghiacciaia del pianeta Beta davanti all'ennesima
tazza di grog, con Grenadier che non si decideva a crollare, Rai che
russava ormai sbronzo da più di un'ora, Nohara, Eluder e
Kaibara che tifavano e il Capitano, fresco come una rosa, che trincava
Heavy Red Barbour manco fosse acqua minerale e parlava sottovoce a
Marina.
A un certo punto, il grande schermo sopra il bancone s'era oscurato e
lui aveva alzto lo sguardo incuriosito, come tutti.
Aveva pensato a un guasto e stava per riprendere a svuotare la sua
tazza quando era apparsa l'immagine di quel laboratorio.
Una zoomata su quel maledetto lettino e aveva visto il volto
addormentato di suo fratello.
Poi, mentre ancora si stava chiedendo come fosse possibile una cosa del
genere, era iniziato quell'orrore.
Non ricordava nulla di cosa fosse successo attorno a lui nel lasso di
tempo che andava tra l'immagine di quegli occhi scuri che si
spalancavano all'improvviso e quella di quel povero corpo riverso a
terra, crivellato di colpi e con la testa ridotta a un'informe
poltiglia sanguinolenta; non ricordava d'essersi alzato né
d'aver lasciato cadere la tazza e nemmeno d'esser corso fuori dal
locale; le sole cose di cui aveva avuto coscienza da quel momento in
avanti erano la mano del Capitano sulla fronte e il suo braccio che lo
sosteneva mentre vomitava persino l'anima in mezzo alla neve, poi il
buio più totale.
Quando s'era ripreso nell'infermeria della Karyu aveva detto ai suoi
amici che dovevano essere stati il freddo e l'alcool uniti a quelle
immagini agghiaccianti a fargli quell'effetto.
Nessuno ne aveva dubitato: Grenadier gli aveva persino dato una pacca
sulla schiena e gli aveva riferito tutto allegro che non era stato il
solo a dare di stomaco, quella sera.
Tornò al presente e osservò Sylviana riporre la
fotografia nel portafogli.
– Il nome di
mio padre era nei documenti arrivati alla Polizia Militare in
contemporanea alla trasmissione di quel video anonimo, assieme alle
prove del suo coinvolgimento nel progetto Herakles. Aveva fornito
finanziamenti clandestini, locali, attrezzature e il DNA e il tracciato
neurale di un militare deceduto per gli esperimenti... ora sai di chi.
Lo arrestarono, lo processarono e lo condannarono. Ma credo che questo
tu lo sappia già.
Lei annuì e si
scostò una ciocca di capelli dal viso.
– Il tappo
è in gamba. M'ha
procurato tutto ciò che è rimasto degli atti dei
processi ai responsabili del progetto, compreso il Segretario Ishikura. Li ho
studiati in viaggio mentre eri occupato a evitarmi, brontolare e
dormire. Mi chiedo come sia possibile che questa storia non sia
trapelata, al processo: Takeshi era suo figlio, ma non si
accenna a lui in nessuno dei documenti in mio possesso.
Ishikura sospirò.
– Minoru e io
chiedemmo che non fosse resa pubblica l'identità del soldato
da cui vennero generati quei cloni. Lui lavorava già al
Ministero della Difesa, io ero un giovane eroe di guerra decorato al
valore e Takeshi stesso era stato uno stimato ufficiale. Il Giudice del
Tribunale Militare e l'Esercito non volevano altro che chiudere il caso
e far posare il polverone... furono tutti felicissimi d'accontentarci – sorrise, amaro – Stabilirono che,
come persona, il Maggiore Takeshi Ishikura era morto in guerra nel
sessantanove, che quei cloni erano da considerarsi individui
indipendenti da lui e gli uni dagli altri e celebrarono il processo a
porte chiuse, in contemporanea a quello per crimini contro
l'umanità degli assistenti di Kurai. Furono molto abili a
far passare tutto in sordina, dalla lettura delle accuse alla sentenza
finale. Sylviana allentò la presa e si raddrizzò.
– È
tutto vero? Ishikura la guardò negli occhi, con difficoltà. Ormai era
buio.
– Credi che
riuscirei a inventarmi una storia del genere sui due piedi? Ti sembra
che stia recitando?
– No... non
credo che tu sia così bravo – Sylviana
rotolò di lato e lo liberò del tutto –
Anzi, comincio a credere che tu sia incapace di mentire. Come
andò a finire con tuo padre?
Ishikura si mise a sedere e si massaggiò il collo.
– Presi una
licenza e andai al processo con Minoru. Fu la prima volta che
rividi mio fratello da quando m'ero imbarcato sulla Kagero. Non c'eravamo
lasciati bene, ma ci riavvicinammo: non avevamo più nessun
altro al mondo e poi volevamo la stessa cosa... sapere il perché.
Sai cosa ci disse quel... quel... quel pazzo? Che voleva proteggerci, che
lui e Kurai volevano proteggere tutti
quanti e che quello non era nostro fratello, no, solo il
suo DNA. Solo il suo DNA,
ti rendi conto?
Sferrò un pugno alle tegole, stupito di come, dopo tanti
anni, potesse provare ancora un rancore così violento e
profondo.
– Lo
condannarono all'ergastolo e ne fui felice –
si girò verso Sylviana – Si suicidò in
cella dopo appena un mese e non provai niente. Ero
convinto che quell'incubo fosse finito una volta per tutte... e
invece...
E invece, a quanto pareva, quell'orrore stava ricominciando da capo.
Qualcuno aveva ripreso quei folli esperimenti e qualcun altro lo stava
aiutando proprio come aveva fatto suo padre con Kurai.
Ripensò alla ragazzina, a Daiba, alla Kei e al Capitano
Zero, che ammirava e considerava un caro amico: erano nella stessa
situazione in cui s'era trovato lui dieci anni prima, con l'aggravante
che Harlock aveva ucciso delle persone e forse lo avrebbe fatto ancora.
– Ti senti
responsabile? – Sylviana era una sagoma scura contro il cielo
in cui si accendevano le prime stelle.
Ishikura appoggiò il mento sulle ginocchia e vi strinse le
braccia intorno. Vecchie domande senza risposta tornarono a
risuonare nella sua testa.
Aveva fatto bene a seguire la sua strada a ogni costo? Era stata la
sua decisione di non rinunciare alla carriera militare a spingere suo
padre ad appoggiare il progetto Herakles? Era stata colpa sua se si era
trasformato in un pazzo con le mani sporche del sangue di suo fratello
e chissà quanti altri?
– Non lo so
– si passò una mano sugli occhi – So solo che non
posso permettere che una cosa del genere si ripeta. Sono disposto a
tutto.
Sylviana si
alzò in piedi e gli dette le spalle.
– Sai, se
avessi saputo prima di tutta questa storia o l'avessi anche soltanto
immaginato, t'avrei rispedito sulla Karyu a calci – spolverò via la fuliggine dal di dietro del suo vestito – Un partner
coinvolto come te è una mina vagante in una missione del
genere. Ma ormai è troppo tardi. Se te ne andassi
di punto in bianco, tuo fratello si insospettirebbe.
Ishikura si alzò e le si
avvicinò.
– Che c'entra
Minoru?
– Vedi?
Ragioni con questo – Sylviana gli piantò l'indice
prima in mezzo al petto e poi sulla fronte – E non con
questo, come dovresti. Il caro Minoru lavora ai piani alti del
Ministero, ti conosce meglio di chiunque altro e tu ti fidi di lui:
è la pedina ideale per estorcerti informazioni, sempre che
non sia proprio la persona che cerchiamo. E sappi che, per come la vedo
io, la seconda opzione è assai probabile. Ishikura boccheggiò.
– Come puoi
dire una cosa del genere?! La nostra famiglia è stata distrutta dal
progetto Herakles! Minoru ha sofferto più di chiunque altro
per la follia di nostro padre... e poi... e poi è mio
fratello! Lei incrociò le braccia sul petto.
– Non vuol
dire niente. Tutti hanno un prezzo, anche i fratelli che dicono di
amarci.
Ishikura non ci vide più. La afferrò per la scollatura del
vestito e la attirò vicino.
Sollevò la mano per colpirla e qualcosa nella sua espressione lo
bloccò: sembrava... triste? Lei
distolse lo sguardo e rimase immobile con le braccia lungo i fianchi.
Non lo avrebbe fatto se avesse voluto attaccarlo o sfuggirgli. Chissà perché, Ishikura ne era sicuro.
Ma che sto facendo?
La lasciò andare e si staccò da lei, turbato.
Aveva immaginato più volte di strozzarla, legarla,
imbavagliarla, prenderla a schiaffi o buttarla giù dal treno
in quell'ultima settimana ma, per quanto fosse irritante e capace di
tutto, era pur sempre una donna... e lui certe cose non le avrebbe mai
fatte per davvero, a meno di non esserci costretto per salvarsi la
vita: aveva sempre pensato che sfogare la propria frustrazione in quel
modo fosse da vigliacchi.
– Mi dispiace
– chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie
– Ho i nervi a fior di pelle per tutta questa faccenda, ma
non avrei dovuto.
– Non importa
– Sylviana si sistemò il vestito – Forse
ho esagerato. Ma finché non spunterà fuori
qualcun altro, tuo fratello per me è il primo tra i
sospetti, ti piaccia o no: da quel che ho capito, ha libero accesso a
questo appartamento quando non ci sei... e inoltre sapeva del tuo
arrivo senza che tu l'abbia avvisato.
– È
un impiccione, non lo nego – Ishikura mise le mani avanti
– Pensa che non sappia badare a me stesso ed è
convinto di dovermi difendere dal mondo fin da quando eravamo piccoli:
so che si fa passare tutto ciò che mi riguarda al Ministero
e quando torno qui in licenza non mi molla un attimo, ma da questo a
riempirmi la casa di microfoni e telecamere...
– Ho la
sensazione che nasconda qualcosa. Ma chi, quel mattoide? Gli veniva da ridere al solo pensiero.
– Adesso sei
tu che non ragioni con la testa – la punzecchiò
– Avanti, possibile che non ti fidi di nessuno?
Sylviana si chinò e scese un gradino della
scala, il solito sogghigno irriverente stampato sul volto.
– No – scosse il capo – Ed è proprio grazie alla mia diffidenza che sono
ancora viva e vegeta, quindi me la tengo stretta. Anzi, lo sai cosa ti
dico? Dovresti imparare quest'arte anche tu, caro il mio Soldatino.
Lui decise di cambiare argomento.
– Senti, sei
sicura che tutto l'appartamento sia pieno di cimici e microcamere? Devo
contattare la Karyu.
– Oh, e
perché?
Si chinò accanto a lei, lieto dell'oscurità che
gli celava il volto.
– E me lo
chiedi? – sbottò – Dobbiamo far
modificare le nostre schede personali e i rapporti ancora da inviare
perché confermino tutte le balle che hai raccontato oggi a
mio fratello, almeno a grandi linee. Si può sapere che
diavolo t'è saltato in mente?
– Non ti
avrebbe più mollato, altrimenti – Sylviana
alzò le spalle e scese un altro gradino – Aveva capito subito che gli stavi
nascondendo qualcosa e lì per lì m'era
parsa una buona idea. Non potevo sapere che lavorasse al Ministero.
– Gli hai
detto che sei incinta! Di
me! – scosse il capo, ancora allibito –
Così, come se niente fosse... non ci posso credere!
– Sono solo
parole – sbuffò lei – E non resteremo così a lungo da creare sospetti in merito. Una volta finita
questa storia potrai dirgli la verità, raccontargli che il
bambino era di un altro, che sono morta di parto o qualunque altra
scusa ti venga in mente. A meno che tu non voglia davvero fare un
figlio con me, Shizuo...
Ishikura mise il piede in fallo e per poco non le cadde addosso.
– Nemmeno se
fossi l'ultima donna rimasta in tutto l'universo noto e anche in quello
ignoto – gli sfuggì.
Udì la sua risatina soffocata e sorrise anche lui
nell'oscurità.
Era strano: non si sentiva così sereno da un mucchio di
tempo.
Forse gli aveva fatto bene vuotare il sacco, sfogarsi con qualcuno...
anche se si trattava di un qualcuno che, per la maggior parte del
tempo, trovava piacevole come un dito in un occhio.
– Lascia
fare a me, per quella faccenda – Sylviana saltò giù dalla scala, aprì la porta e gli fece un cenno
d'intesa mentre indossava di nuovo la maschera da fidanzatina mielosa
– Prendi le valigie e mettiamoci qualcosa di più
comodo, amore...
Ishikura era sicuro di essere arrossito di nuovo, vuoi per il suo tono, vuoi per
il gesto, piuttosto esplicito, che lo aveva accompagnato prima che
sparisse oltre l'uscio della camera da letto.
Pregò in silenzio di non doversi pentire della
scelta di fidarsi di lei, agguantò i bagagli ed entrò. Sylviana aveva già spalancato gli
armadi ed era intenta a rifare il letto.
Ishikura posò le borse e le lanciò uno sguardo perplesso.
– Che vuoi
fare? Lei si accarezzò il fianco e gli si
avvicinò con movimenti lenti e sensuali.
– Non lo
indovini?
Lo afferrò alle braccia e gli tirò via la giacca
con un solo, energico strattone, poi la fece roteare sopra la testa e
la lanciò sul comò. Gli diede uno spintone che lo
fece cadere di schiena sul materasso, gli saltò sopra a
cavalcioni e si sfilò il vestito da sopra la testa.
Anche quello finì scaraventato chissà dove.
– Sylviana
– Ishikura deglutì, la temperatura corporea che
gli era cresciuta d'un paio di gradi almeno – Ma cosa...
Lei gli posò un dito sulle labbra e gli fece cenno di
tacere, poi gli tolse la maglia, che finì appesa al
lampadario. Avvicinò la bocca al suo orecchio.
– Le
microcamere sono neutralizzate per il momento, ma non posso far niente
per le cimici. Sarebbe troppo sospetto se tutti i sistemi di
sorveglianza che hanno installato smettessero di funzionare
all'improvviso, quindi parla piano. Molto piano.
Chiama, io creerò un diversivo.
Sylviana lo liberò e lui afferrò il computer
palmare. Accese il dispositivo anti-intercettazioni di Yattaran, si
collegò sulla linea protetta, attese che il collegamento
fosse stabile e si mise l'auricolare.
– Itaca
– mormorò – Itaca, mi sentite?
– Odisseo?
– la voce di Marina era lontana ma chiara.
– Sì
– Ishikura avvicinò le labbra al microfono
– Itaca, ci sono cambiamenti urgenti da apportare al mio file
personale: inserimento codice 237850...
Si voltò verso Sylviana, che aveva preso a
saltare su e giù sul letto con forza e velocità
crescente.
– Che diavolo
fai? – le chiese senza articolare. Poi, un pensiero lo
gelò – Penseranno che stiamo...
Le lesse le labbra: “Proprio ciò che
voglio”. Emise un mugolio che lo fece arrossire fino alla
radice dei capelli e si alzò in piedi. Le molle cigolarono e la testiera sbatté contro il muro. Ishikura distolse gli
occhi dal movimento ipnotico del suo seno fasciato nel pizzo rosa e s'impose di guardare solo lo schermo.
– Ho capito
bene? 237850? – la voce di Marina era perplessa –
Vuoi che mettiamo nel tuo file la voce “condotta
immorale”?
– Sì,
e specificate “con la tirocinante medico, recluta…
chi sapete voi” – bofonchiò –
Inoltre dovete scrivere sui rapporti per il Ministero che ho aggredito
il Capitano durante un diverbio e lasciato la nave insieme a
lei. Farebbero comodo anche delle ecografie da allegare alla sua
scheda... ehm... di un feto ai primi mesi... sì, insomma...
– Oh,
Shizuo... sì! – gemette Sylviana.
– Ish...
Odisseo, cosa state combinando? – la voce di Marina era tra
l'allarmato, l'imbarazzato e l'irritato.
– Sì,
amore... ah!
– Ehm...
Penelope sta creando un diversivo. Siamo sotto sorveglianza audio.
Silenzio. E imbarazzo totale, almeno da parte sua.
Seduto a torso nudo sul materasso che sobbalzava, una matta in lingerie
che saltellava e gemeva di fianco a lui, poteva immaginarsi la faccia
rossa di Marina come se l'avesse avuta davanti.
E i commenti che avrebbero fatto Rai, Eluder e soprattutto Grenadier
quando fosse tornato...
Già gli pareva di sentirli: non gli avrebbero dato pace per
tutti i secoli dei secoli.
Avrebbe voluto sprofondare.
– D'accordo,
Odisseo – assentì il suo diretto
superiore, asciutto – C'è altro?
– Penelope
vuole che comunichi che forse abbiamo già un contatto.
Verificheremo nei prossimi giorni.
– Bene. Da
parte mia, v'informo che la prima parte del nostro piano è
riuscita.
– Davver...
ah! – qualcosa, per la precisione un alluce smaltato di rosa,
gli perforò il fianco destro.
Alzò lo sguardo e lesse le labbra di Sylviana: “Collabora un po'!”
– Devo
chiudere – si massaggiò l'anca
dolorante – Buona fortuna, Itaca... Ah!
– Anche a voi.
Chiudo.
– Oh, Shizuo, ti amo! –
Sylviana si buttò a peso morto accanto a lui e gli
pizzicò la coscia.
Ishikura urlò, non certo di piacere.
E non era certo amore quello che provava nei confronti di Sylviana in quel
momento.
Ritiro tutto
ciò che ho pensato di positivo su di lei: io questa
la strozzo, dovessi rimetterci la pelle! Uno, due, tre...
– Sei rosso
come un peperone, Shizuo
caro – ridacchiò lei – Ti
sei stancato?
Quattro, cinque, sei,
sette, otto, nove, dieci, undici...
Cercò di non guardarla.
– Copriti... amore –
le ringhiò – Prenderai freddo...
– Non ho
dietro nessun pigiama, tesoro
– cinguettò lei – Ti spiace se ne metto
uno dei tuoi?
Il tempo di dirlo e gli aveva già aperto la valigia; un paio
di rapide mosse e l'aveva già addosso: a quanto sembrava, i
suoi bagagli non avevano segreti per lei.
Come lui, ormai.
Rinunciò all'idea di chiederle cosa diavolo ci fosse nelle
pesantissime valigie che gli aveva fatto trascinare per mezzo sistema
solare e cosa accidenti avesse comprato durante le fermate del Galaxy
Express, prese i pantaloni del pigiama e della biancheria di ricambio,
s'infilò in bagno e si buttò sotto la doccia.
Quando ne uscì, finalmente non più teso come una
corda di violino e un po' meno infuriato, lei era già sotto
le coperte.
Ishikura notò che aveva tolto i vestiti dai punti in cui li aveva
lanciati e immaginò di dover recitare la sua parte di
fidanzato innamoratissimo davanti alle telecamere.
Oh, bé... non
potrà essere più imbarazzante di ciò
che è capitato prima, sospirò.
Si stese sull'altra sponda del letto, si coprì con
lenzuolo e coperta e si mise sul fianco, di spalle a lei.
– Buona notte.
La sentì muoversi verso di lui e posargli una mano sulla
spalla.
– Posso
chiederti una cosa?
– Se proprio
devi – sussurrò.
– Cos'era quella
storia dell'“Eroe Silenzioso” e della
“Verità”? Una specie di codice segreto militare?
Gli sfuggì una risata.
– È
un gioco di quando io e i miei fratelli eravamo ancora piccoli
– si girò verso di lei – Ogni tanto ci
chiamavamo col significato dei nostri nomi: Takeshi significa
“Guerriero”, Minoru
“Verità” e Shizuo “Eroe
Silenzioso”.
Sylviana fissò il soffitto, incrociò le braccia dietro la nuca e sospirò.
– Sai una
cosa? Ti invidio.
– Per cosa?
– Questi
ricordi.
La guardò.
Alla luce fioca della lampada, la sua espressione era di nuovo lontana
e velata di malinconia.
– I tuoi
fratelli.
Ishikura si chiese che cosa nascondesse lei nel suo passato, perché
fosse tanto sensibile all'argomento e cosa l'avesse portata a credere
che non ci si potesse fidare nemmeno della propria famiglia.
Lui aveva preso una bella batosta con suo padre, sicuro, ma una cosa
del genere non l'aveva mai pensata, nemmeno per un istante.
Deglutì e prese il coraggio a due mani.
– Niente
segreti fra partner – la incoraggiò –
Vuota il sacco.
– Non hai il
coltello – ridacchiò lei –
E comunque, non c'entra con questa storia.
Si girò dall'altra parte e spense la luce.
– Buona notte,
Eroe Silenzioso.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 23 *** Ifiklìs ***
cap 8
Tadashi si raddrizzò sulla sedia quando il Dottor
Zero e il Dottor Machine entrarono nella sala riunioni della Karyu,
seguiti da Yattaran.
Avevano tutti e tre l'aria stanca: da più di tre giorni
erano al lavoro, insieme o in separata sede, sui dossier che Tetsuro aveva
inviato da Megalopolis.
– Allora, a
quali conclusioni siete giunti? – seduto al suo posto, Zero
si rigirò tra le mani il cappello, l'espressione tesa.
– È
una cosa davvero da non credersi, Capitano – sul volto
artificiale del medico meccanoide c'era ancora un'espressione
esterrefatta – Chi ha fatto tutto questo è un
vero genio!
– Già...
peccato che sia un genio del male – il Dottor Zero
accarezzò la testa di Mi, la posò sul tavolo e
fece un cenno a Yattaran, che si mise alla postazione del computer.
Le luci s'abbassarono e sullo schermo apparvero le foto di un cervello
umano dissezionato a varie profondità. Una scritta su un
cartellino bianco nella parte bassa dello schermo, vergata a mano in un
carattere stampatello tondo e regolare, lo identificava come
appartenente al clone di Kiddodo.
Con la coda dell'occhio, Tadashi vide Yuki impallidire e distogliere lo
sguardo.
Fece per afferrarle la mano ma si bloccò: stringeva attorno alle spalle il mantello di Harlock, come a cercare
il suo
calore e la sua
protezione.
Serrò il pugno e tornò a prestare
attenzione alle immagini.
– Il chip
agisce come gli Hardgear di prima generazione – Yattaran
zoomò l'immagine ed evidenziò un'area –
Una volta inserito e attivato, entra in simbiosi con l'organismo e
inizia a emettere onde alfa ad alta frequenza allo scopo d'indurre in
aree mirate del cervello uno stato simile alla trance, man mano sempre
più profondo. Gli elettroencefalogrammi che ci hanno inviato
Tetsuro e il Dottor Ban sono chiari: dai normali ottanta cicli al
secondo dello stato di veglia, l'attività mentale del
soggetto impiantato scende ai quaranta dell'ipnosi in due o tre ore
circa e scompare quasi del tutto dopo un'altra ora al massimo; se il
soggetto si trova già in uno stato di sonno, naturale o
indotto, il processo è ancora più rapido.
Zero sussultò.
– Come si sono
procurati questi dati? Non avranno mica...
– Non si
preoccupi, Capitano! – rise
Yattaran – Tetsuro non è il tipo. Se c'è una cosa che odia più
delle idee distorte di Ra Andromeda Promesium sulla tecnologia e
sull'uso da farne, è il pensiero di togliere a qualcuno la
libertà d'agire e pensare con la propria testa. A quanto
pare, è in contatto con un tizio che gli ha procurato
parecchio materiale su Herakles, vecchio e, purtroppo, più
recente.
– Perché
non ce l'hai detto subito, Yattaran? – Yuki si sporse verso
di lui – Potevamo accordarci per farlo collaborare con
Ishikura e Sylviana!
Yattaran scosse il capo.
– Avevo
già chiesto a Tetsuro di farmici fare due chiacchiere la prima volta che ci siamo sentiti a proposito di quei chip
– si grattò il mento – Anche a me
sarebbe stato utile. Purtroppo nemmeno lui sa chi sia in
realtà il suo informatore o come contattarlo: pare sia un
tipo molto prudente, quasi paranoico. A ogni modo, potremo
discuterne tra poco direttamente con lui: il collegamento è
fissato fra una mezz'ora circa.
Il Dottor Machine si sistemò il camice e s'accomodò a sua volta.
– Tornando ai
risultati delle nostre analisi, le perizie e gli studi comparati di
Tetsuro e del Dottor Ban confermano in gran parte le ipotesi iniziali
di Yattaran: il chip modificato inibisce le attività
dell'emisfero destro del cervello, in particolare del circuito
limbico. Sentimenti, memoria emotiva, istinti, morale e
personalità del soggetto impiantato vengono
pressoché annullati.
Il Dottor Zero guardò Yuki, Tadashi e il Capitano suo
omonimo uno dopo l'altro.
– Ricordate
cosa mi avete detto dei vostri incontri col Capitano? –
afferrò un bicchiere, osservò le bottiglie sul
tavolo, tutte d'acqua, fece una smorfia e lo posò
– Di averlo riconosciuto a livello razionale ma non a livello
emotivo?
Tadashi assentì.
Il ricordo delle emozioni che aveva
provato alla vista di Harlock nel suo studio gli fece correre un
brivido lungo la schiena: stupore, incredulità, paura... ma
soprattutto l'inquietante sensazione di trovarsi davanti a un estraneo
nonostante la consapevolezza d'avere di fronte una delle persone che
più amava e ammirava al mondo.
Accanto a lui, sia Zero che Yuki fecero un cenno affermativo.
– Bé,
ragazzi... noi comuni esseri umani non siamo empatici ai livelli di
Mime o Tori-San, ma si tratta dello stesso meccanismo che ha consentito
loro di avvertire che in Doskoi c'era qualcosa che non andava: una
percezione dell'impronta emotiva che rende unica una persona
conosciuta... o la sua mancanza, in questo caso.
– Nel caso di Mime, c'è proprio la capacità innata
di percepire le onde cerebrali – intervenne Yattaran
– È addirittura in grado d'emettere lei stessa
onde alfa per abbassare le difese dell'io ed entrare nella mente delle
persone. Con Doskoi, m'ha detto, aveva trovato quelle difese
già abbassate e le era stato impossibile avvertire tracce di
desideri, sentimenti o istinti di qualunque genere. È stato
da lì che ho preso l'idea del rilevatore: alla fine della
fiera, il mio giocattolino non è altro che un meccanismo
capace di rilevare l'attività dell'emisfero destro del
cervello e le onde cerebrali, tarato su una frequenza da quattordici a
trenta Herz; al di sotto di questa soglia, siamo di fronte a un
soggetto non del tutto in sé.
Zero posò il cappello sul tavolo e versò un po'
d'acqua in un bicchiere.
– Se ho capito
bene, sono le onde cerebrali emesse dal chip ad annullare la
volontà del soggetto impiantato. Quindi, basterebbe
eliminare la radiazione perché torni in sé, giusto?
Il Dottor Machine scosse
il capo.
– Non è
così semplice, purtroppo. Già dieci anni fa,
Kurai svolse dei test in quel senso: in effetti, l'irraggiamento con
onde beta a un intervallo superiore a quello delle alfa emesse dal
chip risvegliava i soggetti impiantati, ma l'effetto era una crisi di
rigetto molto simile a quella vista nel filmato del primo Herakles. Due
volontà, quella originaria e quella della persona che
manovrava il chip, entravano in contrasto. Il risultato era un dolore
insopportabile che portava alla follia o addirittura alla morte
cerebrale della cavia di turno.
– Il caro
Professore non poteva certo permettere che i suoi super soldati
andassero in tilt per così poco – Yattaran fece
una smorfia disgustata – Così schermò
il chip e lo modificò perché fosse impossibile
risvegliare la coscienza dei soggetti impiantati con un intervento
esterno. I chip di Taro e Kiddodo ne sono un esempio: sottoposti a
irradiazione di onde beta, reagiscono abbassando ancor di
più l'attività cerebrale con l'emissione di onde
theta o addirittura delta. In parole povere, compensano lo stimolo al
risveglio addormentando ancor di più l'emisfero destro del
cervello ospite.
– Ma le crisi
di rigetto ci sono comunque – obiettò Tadashi
– Tu stesso, Yattaran, ci hai raccontato che Taro e Kiddodo
sono impazziti entrambi poco dopo la loro cattura.
– In parte
è stato perché la loro mente ha cercato di
sopraffare il condizionamento, certo – il Dottor
Zero afferrò Mi prima che iniziasse a rifarsi le unghie sul
camice del Dottor Machine – In soggetti non meccanizzati, la
personalità originaria cerca vie alternative per tornare a
imporsi, purtroppo coi risultati descritti dal
collega. Tutti i soggetti impiantati da Kurai di cui abbiamo potuto
studiare i dossier, presto o tardi, sono morti o impazziti a causa di
ciò, nonostante i tentativi del Professore d'impedirlo...
Ma nel caso dei cloni dei nostri due poveri amici, la morte
è stata decisa e accelerata proprio da chi ne aveva il
controllo.
Tadashi trasalì, inorridito.
– Vuoi dire
che li hanno uccisi di proposito?
Yattaran si riempì un bicchiere.
– Secondo i
documenti che ci ha fornito l'informatore di Tetsuro, il chip
è in grado di tradurre gli impulsi elettromagnetici del
cervello in dati registrabili su un supporto: ogni immagine, suono e
sensazione percepiti dal soggetto impiantato arrivano a chi lo
controlla – bevve – Quando abbiamo
catturato i cloni di Taro e Kiddodo, chi li comandava ha visto tutto in
presa diretta e ha pensato bene di disfarsi di loro: è
bastato disattivare l'emissione delle onde cerebrali senza interrompere
il controllo mentale e quella che era la falla più grande
nel progetto Herakles è diventata un comodo sistema di
autodistruzione.
– Ne siete
sicuri? – Zero era bianco come un lenzuolo.
– Purtroppo
sì – Yattaran posò il bicchiere, si tolse gli occhiali e
soffiò sulle lenti – L'analisi strumentale dei due
chip evidenzia uno shut-down contemporaneo di...
– Che
bastardi! – Tadashi abbatté il pugno sul tavolo,
colmo di rabbia e disgusto – Ma perché?!
Yuki gli afferrò le dita. Sotto la stoffa del guanto, la sua
mano era gelida.
Yattaran allargò le braccia.
– Non ne ho
idea. Dubito che quei poveracci sapessero qualcosa e, in ogni caso, non
avrebbero parlato. Forse nelle memorie dei loro chip era contenuta
qualche informazione compromettente e i nostri nemici hanno temuto che
potessimo decodificarla... ma rimaniamo nel campo delle speculazioni:
la crisi di rigetto ha danneggiato le memorie dei chip in maniera tale
da rendere irrecuperabile qualunque altro dato.
– Che cinismo
spaventoso – Zero aggrottò la fronte
– Non c'è modo di rimuovere chirurgicamente il
chip?
Il Dottor Zero scosse il capo, sconsolato.
– Anche
ammesso di riuscire a catturare vivo il... – abbassò lo sguardo
– Soggetto, e anche ammesso che chi lo controlla non lo
uccida come ha fatto con i cloni di Taro e Kiddodo, è
impiantato troppo in profondità e in uno dei punti
più delicati: l'amigdala. No... anche con le tecnologie
più moderne e con un'abilità mille volte
superiore alla mia, sarebbe impossibile asportarlo senza uccidere
l'ospite o procurargli danni irreversibili.
Tadashi respirò a fondo, più volte.
Era come se gli mancasse l'ossigeno, come se il suo cuore, di nuovo,
fosse stato passato da parte a parte da un colpo di pistola e stesse
lottando per ogni battito, per ogni respiro.
– Quindi...
è una condanna a morte – mormorò
tetro.
Come temevo.
Nessuno parlò.
Mi sfuggì alle braccia del Dottore, trotterellò
incerta per tutta la lunghezza del tavolo, si strusciò
contro una delle bottigliette e si fermò davanti a lui. Lo
fissò coi suoi grandi occhi verdi e miagolò,
gli sferrò una zampata alla mano e balzò indietro.
Tadashi le accarezzò la testa, la prese in braccio
e si godette per qualche istante la morbidezza e il tepore del suo
pelo contro la guancia, poi la passò a Yuki.
– Forse
c'è un'alternativa – Zero
si alzò – Se riuscissimo a impossessarci
del computer dal quale i nostri nemici controllano i chip, potremmo
tentare di disattivare il condizionamento mentale e l'emissione delle
onde cerebrali nello stesso momento. Questo dovrebbe risvegliare una
persona impiantata senza eccessivi danni, no?
– Potrebbe
funzionare – Yattaran si rimise gli occhiali – Ma
non sarà facile: non credo proprio che troveremo ad
attenderci un comitato di benvenuto con tappeto rosso, spumante e
caviale!
– Ne sono
consapevole – annuì Zero a denti stretti – Una
linea d'azione di questo genere ci costringerebbe ad abbordare la
Nèmesis senza procurarle troppi danni, con tutti i rischi
che ne conseguono: noi non potremmo usare il Cannone di Sant'Elmo, voi
dovreste fare a meno del rostro di prua; se il loro computer principale
e la sala macchine si trovano negli stessi punti di quelli
dell'Arcadia, li distruggeremmo senz'altro... e chissà quali
sarebbero le conseguenze.
– Bisognerà
anche dividere le forze – Yuki accarezzò Mi sotto
al collo – Se è vero che i
nostri nemici hanno una base su Futuria, e ormai è una
certezza visto che le foto satellitari della Federazione non mostrano
traccia della Nèmesis sulla sua superficie mentre Tochiro
rileva la sua presenza proprio là, è
più che probabile che tengano lì i macchinari che
cerchiamo.
– O che ci
abbiano addirittura predisposto un laboratorio di riserva –
il Dottor Machine si pizzicò il mento
– Io lo farei, al loro posto. Pensateci: se la nave fosse
abbattuta o avesse un incidente, perderebbero tutto il
loro lavoro in una volta sola... e lo stesso se la base fosse scoperta
e presa d'assalto.
– Proprio come
capitò a Kurai dieci anni fa – Tadashi
incrociò le braccia sul petto e fece un cenno affermativo:
aveva senso ed era meglio considerare ogni possibilità.
– Ve la
sentite? – Zero si risedette e tamburellò sul
tavolo con le dita – Il rischio è alto, molto
alto. Anche se per poco, ho visto in azione la Nèmesis su
Heavy Meldar, ed è una nave da guerra formidabile: robusta,
maneggevole, con una potenza di fuoco eccezionale. Inoltre, non abbiamo
la minima idea di chi o che cosa troveremo su Futuria.
– E nessuna
certezza di riuscire a salvare il Capitano in ogni caso –
aggiunse cupo il Dottor Zero – Potrebbero ucciderlo in
qualunque momento...
– O potremmo
essere costretti a farlo noi – concluse Tadashi.
Yuki lo guardò angosciata. Zero si mise il cappello in testa
e si tirò la visiera sugli occhi.
Yattaran e il Dottor Zero fissarono l'uno la tastiera del computer,
l'altro il soffitto.
Tadashi si alzò e appoggiò entrambe le mani sul
tavolo, un misto di rabbia e disperazione che gli stringeva il petto e
gli faceva tremare le spalle.
– So che non
volete nemmeno pensarci – abbassò lo sguardo sui suoi
pugni contratti e cercò di controllare il tremito della voce – Ma dobbiamo. Non è
più in sé, ha già ucciso e non
esiterà a farlo ancora, chiunque si trovi davanti. Ha
puntato la pistola persino addosso a Mayu, per la miseria! Mi farei
volentieri trapassare il cuore un'altra volta se servisse a farlo
tornare l'Harlock che ho conosciuto sette anni fa, ma farmi ammazzare
perché non ce la faccio a sparargli non servirebbe a
niente... a nessuno... e lo stesso vale per voi! Ognuno di voi.
Girò lo sguardo sui presenti.
Ogni parola era una pugnalata ai loro cuori, se ne rendeva conto, ma
andava messo bene in chiaro: se avessero deciso per l'abbordaggio, non
avrebbero potuto permettersi incertezze: sulla Terra, avevano quasi
ucciso lui e Yuki; su Heavy Meldar, per poco non era toccato a Zero.
Fissò la mano fasciata del Capitano, il braccio destro di
Yuki e si posò una mano sul petto.
– E poi,
nemmeno lui vorrebbe continuare a vivere così, a uccidere
sconosciuti e persone care perché qualcuno lo costringe
a farlo... lo conoscete, lo sapete quanto me. Se davvero ci consideriamo suoi amici, dobbiamo esser pronti
a tutto, anche a... questo! Strinse l'impugnatura della Dragoon, la estrasse e
la posò sul tavolo. Un groppo gli chiuse la gola e si trattenne appena dallo scoppiare in
singhiozzi.
Respirò a fondo e s'impose di mantenere il controllo: non
era il momento di tornare a essere il quattordicenne impaurito,
confuso e pieno di rabbia che era stato all'epoca del suo incontro con Harlock... anche se avrebbe dato tutto pur di tornare a
quei giorni e sentire ancora la sua voce dargli consigli, rimproverarlo
o ridere di lui, anche se avrebbe dato tutto pur di sentire di nuovo la
sua mano sulla spalla, il calore della sua schiena durante la battaglia
e, sì, persino il bruciore dei suoi ceffoni sulla guancia.
– Sono con te,
Tadashi – Zero sollevò la visiera del cappello e
lo fissò – Harlock ha sempre amato la
libertà sopra ogni cosa e credo anch'io che preferirebbe
morire piuttosto che vivere come una marionetta. Ma sia ben chiara
una cosa: gli darò quella
libertà solo se non dovessi avere altra scelta.
– Vi
servirà un tecnico, nella squadra d'abbordaggio –
Yattaran si annodò più stretta la bandana e si
sistemò gli occhiali – Vi avviso, però:
come pistolero non valgo un fico secco, e come lottatore ancor meno.
Non riuscirei a fare un graffio al Capitano nemmeno se fosse nudo,
bendato e legato mani e piedi con catene da rimorchio alla prua della
Nèmesis! Se vi accontentate...
– Yuki?
Lei assentì in silenzio.
Tadashi la osservò: i suoi splendidi occhi azzurri erano
asciutti e scintillavano di determinazione, ma le sue mani, ancora strette ai
bordi scuciti del mantello di Harlock, erano scosse da un lieve tremito.
Il Capitano è
pronto a tutto e lo farà, la donna soffre in silenzio e non
se lo perdonerà mai...
Ansia, tristezza, gelosia e desiderio lo travolsero: avrebbe voluto
prenderla a schiaffi e avrebbe voluto stringerla fra le braccia
lì, in quello stesso istante.
Invece, rimase al suo posto e distolse lo sguardo.
Zero si schiarì la voce e si sistemò il colletto.
– Bene.
Immagino che dovremo comunicare ai nostri rispettivi equipaggi le
decisioni che abbiamo preso e definire la nostra tattica nei dettagli
una volta studiata la situazione insieme a loro. C'è altro?
Yattaran guardò l'orologio e la sua espressione corrucciata
si distese.
– È
ora di collegarsi con Tetsuro – le sue dita tozze volarono
sulla tastiera – Speriamo abbia buone notizie.
Tadashi si sedette e allungò le gambe sotto il tavolo.
– È
stato lui a chiedere di parlarci?
– Circa un
paio d'ore fa – annuì Yattaran –
Non so cosa voglia di preciso, ma dev'essere importante:
sembrava teso. Gli avevo chiesto di parlare, ma ha insistito che ci
foste anche tu, Yuki e soprattutto Zero.
Tadashi incrociò le braccia e tirò un lungo
sospiro.
Rispettava e ammirava Tetsuro Hoshino: nonostante all'epoca fosse poco
più di un bambino, era stato un eroe della guerra contro i
meccanoidi di Promesium. Senza di lui, forse, la storia della Terra
sarebbe stata molto diversa; senza di lui, forse, adesso lui e tutti
coloro che amava sarebbero stati degli esseri meccanici senza idee,
cuore e personalità, condannati a un'eternità
priva d'amore e speranza. Purtroppo, le amare esperienze vissute in
guerra e nel suo lungo viaggio lo avevano segnato nel profondo e avevano fatto nascere in lui idee
inconciliabili con le sue, soprattutto per quanto riguardava la
questione Meccanoide: Tadashi era per la libertà di scelta e
l'integrazione, Tetsuro per l'abolizione assoluta dei corpi meccanici.
Anche se negli anni successivi alla fine della guerra con le Mazoniane
avevano collaborato più volte, a causa delle loro differenze
non erano mai riusciti a trovare quella particolare sintonia che li
avrebbe resi veri e propri amici... anzi: per la verità, in
sua presenza, Tadashi avvertiva sempre un vago senso di disagio.
Lo schermo si fece scuro e la voce di Breaker
risuonò negli altoparlanti.
– Sala
riunioni, il collegamento con la Terra è stabilito, passo.
– Sì,
Signor Breaker – Zero avvicinò il microfono alle
labbra – Siamo pronti.
– Roger,
Capitano. Attivo l'audio.
– Come sarebbe
a dire che devo aspettare che lui abbia finito, stupidi ragazzini
scostumati?! – un grido poderoso quanto stridulo fece
sussultare il Capitano della Karyu con una tale violenza da fargli
sbattere entrambe le ginocchia contro il bordo del tavolo –
Stasera mangerete solo un tozzo di pane secco con un bicchier d'acqua
di fonte, razza d'ingrati che non siete altro!
– Sarebbe un
miglioramento – mormorò una voce maschile prima
che lo schermo s'accendesse sul volto esasperato di Tetsuro.
Tadashi non poté reprimere una risata, sia perché
aveva riconosciuto la voce che, in sottofondo, continuava a urlare
improperi, sia perché in passato aveva già
accennato a Tetsuro del carattere tutto particolare di quella certa
personcina... senza essere creduto, peraltro.
– Signora
Masu, è lei?
– Ah, Tadashi!
– una mannaia affilatissima e lucida come uno specchio spuntò sotto al mento di Tetsuro seguita dalla
testa della vecchia signora – Era ora che ti facessi sentire,
razza di scavezzacollo incosciente! M'hai fatto preoccupare da morire, lo
sai? Nemmeno hai pensato di avvertire questa povera vecchia della tua
bella messinscena, nossignore! Scommetto che non t'è
passato nemmeno per l'anticamera del cervello! Lo sai che m'hai quasi
fatto prendere un infarto con quella storia dell'assassinio, eh?!
– Signora Masu
– provò a obiettare Tetsuro –
Dovremmo...
– Zitto tu!
– la lama della mannaia lambì pericolosamente la
narice destra del giovane eroe di Megalopolis – E Yuki? E la
mia piccola Mayu? Come stanno?
– Tutto bene,
signora Masu – accanto a lui Yuki rise, per la prima volta
dopo tanti giorni – Sono qui.
– Tutto bene
un corno – Masu appoggiò un ginocchio sulla
plancia – Sei magra, rigida e bianca come un filetto di
sogliola surgelato, ragazza mia! Mangi abbastanza? Quel disgraziato
lì ti dà pensieri? Scommetto che la notte non ti
lascia dormir...
– Signora
Masu, per favore... – Tetsuro si passò una mano
fra i folti capelli castani nel tentativo disperato di darsi un tono.
Inutile. Tadashi lo sapeva per esperienza.
Con Masu, nemmeno il temibile Capitan Harlock era mai riuscito
nell'impresa: un paio di volte lo aveva visto addirittura battere in
ritirata dalle cucine a tutta velocità, sul viso
un'espressione terrorizzata che non gli aveva visto assumere nemmeno
nelle situazioni più disperate delle più
disperate battaglie.
– Ehi, Masu,
vecchia gallina! – rise il Dottor Zero – A me non
dici niente?
– Ah, ci sei
anche tu, Dottore da strapazzo! Vedi di darti da fare e capire
perché quei due lì ancora non m'hanno sfornato
un bel nipotino! Non vorrei fosse un problema fisico...
– Eh?!
– Tadashi guardò Yuki, che arrossì come
un peperone.
– Mi hai
sentito bene, ragazzo! Guarda che ho quasi ottant'anni, ormai! Mica
posso aspettare per tutta l'eternità che tu ti svegli!
– Ma io...
noi... chi le ha messo in testa...
– Arrenditi,
Tadashi – sghignazzò Yattaran – Tanto lo
sai che con lei non c'è nulla da fare: ha sempre ragione!
– Puoi dirlo
forte, razza di fannullone incapace! Ne ho anche per te, sai? Prima mi
vieni a prendere nella mia bella casetta tranquilla e mi spaventi a
morte con tutte quelle storie di pericolosissimi assassini e del
Capitano che prima non si trova più, poi forse è
prigioniero chissà dove e poi forse è impazzito,
quindi mi lasci qui a far da balia a questi ragazzacci incontentabili e
alle famiglie di quegli altri scioperati scansafatiche e te ne vai
senza nemmeno avermi riparato il frigo! Ma quando torni te la faccio
vedere io! Oh, se te la faccio vedere io!
– Signora, so
di chiederle molto e mi dispiace, ma il tempo stringe – una
voce maschile interruppe la selva di invettive di Masu – Per
favore, io e Tetsuro abbiamo davvero bisogno di parlare con loro in
privato, adesso.
Con sua enorme sorpresa, Tadashi vide Masu voltarsi di lato e sorridere
al nuovo venuto, ancora fuori dello schermo.
– Ma certo,
caro! Adesso vieni con me un attimo, però! Ti ho preparato
un po' di quello sformatino di aringhe fermentate nel latte, cipolle
novelle, patate e panna acida da portare via, proprio come t'avevo
promesso – si voltò di nuovo verso di loro e
agitò la mano che impugnava la mannaia a mo' di saluto
– Devo andare, ragazzi! Fate del vostro meglio per recuperare
quel benedetto uomo di Harlock, che devo dare una bella lezione anche a
lui, così impara a sparire senza dirmi niente! E state
attenti a non farvi male, o ve la vedrete con me!
Con un balzo, Masu sparì alla vista.
Tetsuro infilò un dito nel colletto e tirò un
lungo sospiro.
– Donna
terribile, eh? – rise Yattaran – Di' un po,
Tetsuro, chi era quel tipo? Non ho mai visto la vecchia Masu fare
così tanto la gentile con qualcuno!
– Quello era
Ifiklìs, il mio informatore – Tetsuro si
scostò una ciocca di capelli dalla fronte e li
guardò con i suoi penetranti occhi azzurri – A
quanto pare, va matto per quel suo piatto orripilante e lei lo ha preso
in simpatia. È su sua richiesta che vi ho contattati.
– Gli piace
quella roba? Davvero?! – il Dottor Zero sbarrò gli
occhi – Deve avere lo stomaco foderato di pelo... o una fame
arretrata di anni!
Tetsuro ignorò la battuta e
abbassò la voce.
– Ascoltate,
è molto strano... Finora Ifiklìs aveva sempre
voluto trattare con me solo, e sempre in posti e orari scelti da lui;
stasera, invece, è piombato a casa mia e m'ha chiesto di parlare con chi
è in comando nella missione per la cattura di Harlock. Non
so che pensare.
Yattaran si grattò la nuca, accigliato.
– Sicuro che
sia davvero lui?
– Non
è impiantato, se è questo che intendi... ed
è a conoscenza di particolari che solo Ifiklìs
può conoscere.
– Ti fidi di
lui?
Tetsuro si passò una mano fra i capelli.
– Non so,
Tadashi. Posso dire di conoscerlo da quasi dieci anni, ormai, eppure
al tempo stesso non so nulla di lui... nemmeno che faccia abbia.
– Di certo
è coinvolto in tutta questa storia di Herakles –
Yattaran si sfregò il mento – Non credo
proprio che la documentazione che ti ha procurato per le autopsie sia
accessibile a chiunque: c'erano specifiche tecniche dei chip nelle
varie fasi di lavorazione, test e controlli incrociati, statistiche e
risultati di diverse sperimentazioni... una mole enorme di roba che si
credeva persa per sempre e altra mai vista prima!
Tetsuro scosse il capo.
– Non so che
dirvi. Il mio patto con lui include un “Niente
domande” da parte mia, sia sulla sua vera
identità, sia su come si procura le informazioni.
– E
così dovrà continuare a essere.
Ifiklìs prese posto al
fianco di Tetsuro e appoggiò sulla plancia un sacchetto il
cui contenuto, o più probabilmente il suo odore, fece
storcere il naso al giovane eroe.
Era un uomo d'altezza e corporatura medie, con indosso vestiti
ordinari e nulla di personale o appariscente... a parte il
passamontagna scuro che gli copriva il viso, con la sola eccezione
degli occhi.
Verdi, notò Tadashi. Come milioni d'altre
persone al mondo.
– Vi ho
contattati per mettervi in guardia – Ifiklìs si
allungò sullo schienale della sedia – Al
Ministero della Difesa tengono sott'occhio un paio di presunti ex membri
dell'equipaggio della Karyu: Shizuo Ishikura e Le Sylviana. Sono sotto
sorveglianza costante e hanno alle costole un agente del Comandante
delle Operazioni Spaziali. Se quei due sono sulla Terra per ragioni diverse da
quelle ufficiali, fareste meglio a richiamarli il prima possibile: chi
è dietro alla rinascita di Herakles non scherza.
– Nemmeno noi,
Ifiklìs, glielo assicuro – Zero s'accigliò – Quanto a Ishikura e Sylviana, non ho
nulla da dirle... a meno che non decida di scoprire le sue carte. Ci
sono già troppi misteri in questa storia, troppe persone di
cui non sappiamo se poterci fidare e, se lo lasci dire, venire a dirmi
cosa devo o non devo fare senza che io possa neppure guardarla in
faccia non è un buon biglietto da visita.
Ifiklìs intrecciò le dita davanti a sé.
– Capisco le
sue motivazioni, Capitano Zero – sospirò
– E, se lo lasci dire, fa bene a sospettare: potrei essere
costretto a voltarvi le spalle in ogni momento... ma lo stesso vale per
i suoi.
– Cosa intende
dire? – domandò Zero tra i denti.
Ifiklìs appoggiò il mento sopra la
mano destra.
– Solo che
dovrebbe provare a scavare un po' nel passato di quei suoi subalterni. Che lei li abbia spediti qui a Megalopolis in
buona fede o meno, le consiglio di richiamarli: rischiano grosso... e
uno dei due potrebbe addirittura decidere di voltarvi le spalle, se
venisse a conoscenza di una certa cosa.
– Quale?
– Tetsuro lanciò al suo informatore uno sguardo
penetrante che, se non fosse stato per il diverso colore delle pupille, sarebbe stato identico a quello di Harlock.
– Un nome
– Ifiklìs si alzò – Un
semplice nome su una lista.
– Ifiklìs!
– Tetsuro afferrò il braccio del suo informatore
– Insomma, spiegati! Quale nome? E che lista?
– Mi spiace
– Ifiklìs si liberò con uno strattone e prese il suo sacchetto – Mi sono già esposto sin troppo. Vi consiglio
di fare come vi ho detto. Mi farò vivo fra quarantott'ore
per sentire la vostra risposta. Dopo, non potrò
più garantirvi nulla: né il mio aiuto,
né l'incolumità di quei due.
S'incamminò verso l'uscita della stanza e sparì dalla visuale del monitor.
Tetsuro tornò a sedersi e li guardò frastornato.
– Non so cosa
gli sia preso – si scostò una ciocca di capelli
dagli occhi – Avete idea di cosa stesse parlando?
Tadashi guardò Zero: se c'era qualcuno che poteva saperne
qualcosa, quello era lui.
Zero scosse il
capo con aria abbattuta e si passò le mani fra i capelli.
– Di nuovo
– mormorò – Un'altra volta
l'esortazione a non fidarmi dei miei... dannazione!
Abbatté il pugno ferito sul tavolo con un suono a
metà tra un ringhio rabbioso e un mugolio di dolore. Yattaran sobbalzò.
Yuki si alzò e gli appoggiò una mano sulla spalla.
– Forse lo so
io – sorrise agli sguardi stupiti dei presenti – E,
se è come penso, non c'è nulla da temere.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 24 *** Latte, caffé, miele e tabasco ***
cap 8
Ishikura si svegliò al suono familiare di
una sicura di pistola che veniva disinserita.
Alla flebile luce proveniente dalla porta-finestra, vide Sylviana
alzarsi e appiattirsi accanto allo stipite della
porta.
Ricordò le cimici e le telecamere e decise di non fare
domande che avrebbero potuto comprometterli, almeno per il momento:
aprì il cassetto del comodino, impugnò la sua
pistola, scostò le coperte e la raggiunse, attento a non
fare rumore e a non urtare nulla nella semioscurità.
Sylviana aveva gli occhi puntati sulla porta d'ingresso.
– Che succede?
Lei gli fece cenno di tacere e ascoltare.
Dall'ingresso, gli giunsero i bip del tastierino esterno della
serratura.
Sylviana si sporse verso di lui e avvicinò le labbra al suo
orecchio.
– Forse ieri
sera non siamo riusciti a ingannare chi ci tiene d'occhio –
gli bisbigliò, così a bassa voce che
lì per lì fece fatica a distinguere le parole.
– Per forza
– borbottò lui, altrettanto piano – Ma
che razza di diversivi balordi usavate, nei Rosa Rossa?
– Aveva sempre
funzionato, fino a oggi... O i tizi che ci sorvegliano hanno un udito
finissimo, oppure sono meno porci di quelli che mi capitano di solito.
– Lascia
perdere e coprimi. Ishikura s'appiattì contro il muro a lato della porta d'ingresso, pronto a
scattare e fare fuoco.
Altri bip, il rumore di qualcosa che veniva premuto e
strusciato contro l'uscio e un mormorio sommesso.
Un singolo agente?
Un'intera squadra? Di certo non può essere un semplice
ladro...
Valutò le possibili vie di fuga col cuore che gli pompava sempre più velocemente il sangue nelle vene: il tetto, la
scala antincendio, l'appartamento di fianco attraverso il terrazzo, la
finestra del bagno. Forse il tetto era la scelta migliore:
sarebbero stati allo scoperto, ma i nemici non avrebbero potuto
intrappolarli in una stanza, accerchiarli nel vicolo in cui terminava
la scala o coinvolgere altre persone.
Sarebbero stati costretti a sparare a due bersagli in movimento nella
semioscurità e, con un po' di fortuna, ad attirare
l'attenzione del vicinato e magari delle pattuglie che
sorvegliavano il complesso della base.
La serratura scattò, la porta si aprì e lui si
mosse.
Si trovò a puntare l'arma contro un gigantesco sacchetto.
– Oh, sono in
trappola, maledizione! – una risata roca –
Risparmiami, ti prego, Eroe Silenzioso!
– Che ci fai tu di nuovo qui?
Ishikura abbassò l'arma, la tensione che
andava trasformandosi in irritazione man mano che l'adrenalina calava.
Minoru gli mollò il sacchetto e tirò dentro
un'altra enorme borsa.
Ishikura guardò prima lui e poi Sylviana: uno sfoggiava il
solito sorriso allegro, l'altra la sua aria da fanciulla dolce e
innocente, appena spruzzata, per l'occasione, con una punta di
spavento.
Distolse lo sguardo, rassegnato a un altro dei loro teatrini, e
aprì il sacchetto.
Il profumo del pane fresco, del caffè macinato e delle
brioches appena sfornate invase la stanza.
– Cos'è
tutta questa roba?
– Ho pensato
di far colazione assieme a voi, stamattina... e già che
c'ero, vi ho fatto un po' di spesa allo spaccio della base.
Ishikura guardò fuori dalla finestra e quindi l'orologio a
muro.
– Alle quattro
e mezza del mattino? – sbottò, incredulo.
– Fanno orario
continuato – Minoru gli diede un'allegra pacca sulla schiena
– E il mattino ha l'oro in bocca!
Ishikura si passò una mano sul viso, sempre più
esasperato.
– Ma ti rendi
conto che stavo per spararti,
razza d'incosciente?!
– Dai,
fratellino, ogni volta la stessa storia...
– Perché
ogni volta mi fai prendere un colpo! – Ishikura posò il
sacchetto sul tavolo e incrociò le braccia – E
ogni volta per delle fesserie! Ma perché non puoi usare i
campanelli come la gente normale, quando sai che sono in casa?
– Pensavo
foste ancora a letto – Minoru si grattò la nuca e
squadrò prima lui e poi Sylviana dalla testa ai piedi
– E non mi sbagliavo, vedo.
– Oh, Minoru,
non mi guardare così! Sylviana si tirò sulle gambe nude l'orlo della maglia del
pigiama, un virgineo rossore che le imporporava le
guance – Mi vergogno!
Nella mente di Ishikura balenò l'immagine di lei a cavalcioni
sul suo bacino, coperta solo dal leggerissimo pizzo rosa
della biancheria intima e consapevole d'essere spiata, mentre gli
strappava di dosso la maglietta come se fosse stata la cosa
più normale del mondo e come se della parola "vergogna" non
conoscesse il significato.
Ma come accidenti fa?
– Non devi
vergognarti, mia cara. Sei splendida! Una visione! – Minoru
la afferrò alla vita, la sollevò e
piroettò su se stesso – Hai un fisico
così perfetto che non si direbbe mai che sei in stato
interessante. Oh, a proposito: come sta il nostro piccolo Shizuo?
Saluta lo zio, su!
La posò a terra, le fece scivolare le mani sui fianchi e le
appoggiò la testa sul ventre con un sorriso beato... o
meglio, beota.
– Minoru...
mi sa che è ancora un po' presto, per quello –
rise Sylviana, ancora più rossa.
Ishikura alzò gli occhi al cielo.
– Minoru, per
favore...
– E dai,
fratellino, piantala di fare il geloso! Voglio solo esser partecipe
del grande e gioioso miracolo della vita!
– Certo,
certo, come no – Ishikura sbirciò all'interno della
borsa – Basta che respirino e
tu subito t'avvinghi come un polipo con una scusa qualunque...
Minoru si alzò, serissimo.
– Ehi, ma per
chi mi hai preso? Sylviana per me è sacra! È la
mia adorata sorellina, la futura madre di mio nipote: non le farei mai
nulla di male o di sconveniente!
– Shizuo!
– Sylviana gli scoccò un'occhiata severa, le mani
sui fianchi – Ti sembra questo il modo di rivolgerti a tuo
fratello maggiore, soprattutto dopo che ci ha fatto un favore?
– Un favore?!
Ma se...
– Diglielo, mia cara! – Minoru issò la borsa sul
tavolo e cominciò a tirar fuori i suoi acquisti e a riporli
in frigorifero o nella dispensa, a seconda della tipologia –
Questo ragazzaccio non m'ha mai portato il minimo rispetto, nemmeno da
piccolo. Avrei dovuto mollargli qualche scappellotto, ogni tanto,
invece di viziarlo così...
– Potevamo
anche pensarci noi con calma, alla spesa – Ishikura
aprì la credenza e ne tirò fuori piatti,
bicchieri e tazze – Magari dopo pranzo, a un orario umano...
– E tu avresti
avuto il coraggio di far mangiare alla tua futura moglie incinta il
contenuto di quelle scatolette scadute da decenni che tieni in dispensa
da quando vivi qui? – Minoru incrociò le braccia
sul petto con una smorfia di estrema disapprovazione – Ma
cos'hai nel cervello?
Ishikura fece per rispondergli per le rime, poi si bloccò con
la bocca semiaperta e una tazza ancora a mezz'aria. Aveva detto...
– Moglie?
– Proprio
così – Minoru tirò fuori la caffettiera
dalla credenza e si mise a caricarla –
È ora che ti prenda le tue responsabilità e dia
qualche certezza alla tua futura famiglia, Shizuo. Ho già
fissato tutto per martedì prossimo. Manca solo un'altra
persona a fare da testimone, ma ci sto lavorando.
– Eh?! Ma
cosa... come... Minoru sorrise.
– Oh,
è stato facile! Lavorare per il Governo ha i suoi vantaggi,
sai?
Ishikura rimase fulminato lì, a bocca aperta e col sudore freddo che
gli imperlava la fronte, proprio come quando Sylviana aveva dato il
fatidico annuncio della sua gravidanza.
Guardò senza davvero vederlo il suo
orgoglioso fratello che canticchiava tutto allegro mentre
richiudeva con cura la caffettiera e accendeva il fuoco, poi
spostò lo sguardo su Sylviana.
Se era rimasta sorpresa o turbata, lo nascondeva benissimo:
sbocconcellava tranquilla il suo croissant come se si stesse parlando
del tempo.
– Ma... ma...
– Niente
“ma”, Shizuo! – Minoru dispose sul tavolo
zucchero, miele, latte e succo di frutta – Hai sempre detto
che, nel remoto caso
in cui ti fosse capitata una cosa del genere, avresti sposato la
ragazza, no? E io sono d'accordo con te: se un uomo mette una dolce
creatura come Sylviana in una situazione del genere, farne la sua
compagna e riconoscere il bambino è il minimo che possa
fare.
Ishikura lo guardò impietrito, la gola secca e la fronte imperlata di sudore.
Davvero ho detto una cosa del genere?
Sì, l'aveva detta. E non poteva nemmeno giocare la carta
sempreverde dell'ubriachezza come con Grenadier e Rai: quella sera era
sobrio e Minoru era addirittura astemio.
Io e la mia boccaccia! Quando imparerò a non sparar sentenze?
– Ti conosco,
fratellino: se non provassi nulla per lei non l'avresti
portata qui e soprattutto non avresti lasciato la Karyu. La ami
davvero, giusto?
Ishikura si trattenne a stento dal rispondere quello che pensava in
quel momento, di Sylviana e delle sue balle e di lui e del suo
entusiasmo nell'impicciarsi dei suoi affari.
Pensò alle telecamere e ai microfoni, alla missione, al
Capitano e ai suoi compagni che lo attendevano fiduciosi;
contò fino a dieci, posò la tazza, si sedette e
annuì con la speranza che la sua “faccia da
poker” fosse più convincente di quanto
sostenessero Grenadier, Rai ed Eluder quando giocavano.
– E allora che
problemi hai a ufficializzare il vostro legame? –
domandò Minoru, implacabile.
Ishikura guardò Sylviana in cerca di soccorso e capì
subito che non l'avrebbe ricevuto: aveva gli occhi lucidi e
l'espressione estatica di un'innocente fanciulla che avesse appena
ricevuto la proposta di matrimonio dall'uomo della sua vita con fiori,
musica, anello e tutte le altre fesserie.
– Nessuno...
credo – un topo chiuso in una stiva vuota e circondato da una
ventina di gatti affamati si sarebbe sentito meno in trappola di lui in
quel momento, ne era certo.
– Oh, Shizuo!
– Sylviana gli saltò in grembo, gli cinse il collo
e gli stampò un bacio sulla guancia – Questo
è il giorno più felice della mia vita!
– Bene, allora
è deciso! – Minoru tolse dal fuoco la caffettiera
e riempì la sua tazza, fiero come un condottiero portato in
trionfo dopo una grande impresa – Non vedo l'ora di vederti
indossare l'abito da sposa, mia cara... e sono certo che, quando quel
momento verrà, invidierò Shizuo come non mai.
Allora perché
non te la sposi tu? Sareste una coppia perfetta!
Ishikura si morse la lingua e si chiese quali pene contemplasse il Codice
Militare in caso di duplice omicidio per strozzamento, poi gli venne
un'idea per provare almeno a rimandare l'orribile destino che quello
strano essere nato dai suoi stessi genitori aveva pianificato per lui
con tanta sollecitudine.
– Il fatto
è che... perché fare tutto così di
corsa? Vorrei avere almeno il tempo d'invitare...
– Forse presto
sarai riassegnato – Minoru immerse il cucchiaino nel vasetto
del miele e mescolò il suo caffè, l'espressione
tutt'a un tratto seria – Sono qui anche per questo. Ieri sera
sono stato contattato da qualcuno che ne vorrebbe parlare con voi, di
persona.
Ishikura sentì la schiena di Sylviana irrigidirsi contro il
suo petto.
Ci siamo!
Minoru bevve un sorso di caffè e lo guardò negli
occhi.
– Senti,
Shizuo... davvero non ci vuoi ripensare?
– A cosa?
– A lasciare
l'esercito, o almeno la sezione operativa.
Aveva di nuovo l'espressione preoccupata e triste della sera prima, la
stessa che compariva sempre sul suo viso quando tornava
sull'argomento... e succedeva almeno una volta a ogni licenza.
– Giuro che
d'ora in avanti non te lo chiederò mai più
– Minoru si rigirò la tazza fra le mani
– Ma almeno per una volta ascoltami senza dare in
escandescenze, va bene? Il fatto è che non voglio perderti
come...
S'interruppe e guardò prima Sylviana e poi lui.
– Lo sa. Le ho
detto di Takeshi... e anche di papà.
Lui li guardò sbalordito, poi un lieve sorriso
affiorò sulle sue labbra.
– Bene. Ormai
cominciavo a pensare che non saresti mai riuscito a parlarne con
nessuno, nemmeno sotto tortura – prese una brioche e l'addentò – Sono contento che tu abbia superato
quella fase e abbia trovato qualcuno a cui aprire il tuo cuore,
fratellino. Davvero.
Ishikura si passò un dito sul collo, dove il taglio che
Sylviana gli aveva fatto col pugnale la sera prima bruciava ancora un
po'. Non era proprio il suo cuore, quello che per poco non aveva
aperto.
La osservò versare un po' di latte nella sua tazza, le labbra incurvate all'insù.
– Tornando al discorso di prima – Minoru rigirò fra le mani la tazza
– Sono preoccupato, Shizuo. Non è normale che
qualcuno in alto come chi m'ha contattato voglia occuparsi in prima
persona del trasferimento di un semplice Vice-Comandante e di un tirocinante Medico di Bordo... senza contare che il tuo ex
Capitano, per usare un eufemismo, non è molto ben visto nel
mio ambiente. In che guaio t'ha coinvolto, stavolta?
– La missione
della Karyu è top-secret.
– Oh, lo so
– Minoru bevve un sorso – Lo so benissimo. Carta
bianca, su preciso ordine della scomparsa Signora Kei. Nessun obbligo
di rapporto al Ministero, nessuna possibilità da parte
nostra di tracciare la posizione della nave, tattiche, tempistiche e
modalità d'adempimento degli obiettivi a completa
discrezione del Capitano. E nessuna responsabilità
addebitabile all'equipaggio, in nessun caso.
Ishikura lo fissò a bocca aperta.
Nemmeno lui conosceva con precisione tutti i termini dell'accordo fra
Yuki Kei, Tadashi Daiba e il Capitano Zero. Che sia
davvero coinvolto in Herakles come sospetta Sylviana?
Scosse il capo. No, è impossibile! Deglutì. Eppure...
– Mi pare che
tu ne sappia addirittura più di noi, Minoru –
Sylviana afferrò la caffettiera gli sorrise.
Lui ricambiò il suo sguardo e svuotò la tazza.
– Monitorare
queste cose fa parte del mio lavoro. E lasciatemelo dire, ragazzi:
concessioni del genere non vengono fatte per questioni di secondaria
importanza, nemmeno in tempo di guerra.
– Anche se ne
siamo fuori non possiamo parlarne – Sylviana immerse il
cucchiaino nel miele e mescolò il suo caffé – Per
la tua e la nostra sicurezza, lo capisci?
Lui intrecciò le dita davanti a sé e
fissò il soffitto.
– Vorrei solo
evitarvi dei problemi. Se potessi fare da intermediario...
– Non ce
n'è bisogno – Ishikura incrociò le
braccia sul petto – Non ho
nulla da nascondere, so come va il mondo e sono più che in
grado di sostenere una discussione con un tuo collega o chiunque altro
senza mettere nei guai me stesso, te o Sylviana. Non ho più
sei anni, Minoru, e nemmeno allora venivo a nascondermi dietro la tua
schiena!
– Lo so, lo
so...
– E allora
perché non ti fidi di me? Perché ti vuoi mettere
in mezzo?
– Non
è di te che non mi fido – Minoru si stropicciò le mani – Ma del tuo Capitano.
– E tu che ne
sai del Capitano Zero? Non l'hai nemmeno mai incontrato!
– So
abbastanza per essermene fatto un'idea – Minoru si
passò una mano fra i capelli – Resoconti, rapporti
di missione, sentenze del Tribunale Militare, perizie psichiatriche e
valutazioni d'ogni genere... potrei scrivere la sua biografia da
quante cose ho letto su di lui in tutti questi anni. È un
buon soldato, ma è anche ingenuo, avventato e facilmente
manovrabile per chi sa far leva sui punti giusti. Temo che si sia
buttato in un'impresa più grande di lui contro nemici al di
là delle sue possibilità e che possa trascinarti
a fondo. Non
è normale quello che sta succedendo, Shizuo:
ecco perché vorrei che te ne tirassi fuori al più
presto... e in modo tale da non lasciar dubbi in proposito!
Aveva gli occhi lucidi e la sua mascella era scossa da un tremito che
cercava senza successo di controllare. Ishikura l'aveva visto così
solo altre due volte: il giorno in cui Takeshi era partito per il
fronte e nel momento in cui le guardie del Tribunale Militare avevano trascinato via il loro padre dopo la sentenza d'ergastolo.
Gli afferrò la mano e lo guardò dritto negli
occhi.
– Chi
è che ti ha chiamato, Minoru? Perché sei
così agitato?
Lui chinò la testa e gli strinse le dita.
– Il mio
diretto superiore: il Comandante delle Operazioni Spaziali.
– Sven Arngeir.
Sylviana posò il cucchiaino e bevve un sorso di caffelatte.
Aveva pronunciato quel nome come se se lo fosse aspettato sin
dall'inizio e la cosa stupì Ishikura: anche se Arngeir era uno
dei pochi ufficiali ancora in servizio in una posizione di rilievo sin
dai tempi del primo progetto Herakles, non era certo uno dei loro
sospettati principali: nulla aveva mai condotto a lui durante le
indagini seguite allo scandalo del filmato e nulla aveva mai suggerito
che avesse anche soltanto visto di buon occhio quella
mostruosità.
– Non ho nulla
da nascondere e nulla di cui aver paura, Minoru –
gli strinse la spalla – Ascolterò
ciò che ha da dirmi, poi deciderò il da farsi.
– Ma non
capisci, Shizuo? – Minoru si liberò dalla sua stretta e si
alzò, sempre più alterato – Ti sto
dicendo che dietro il suo coinvolgimento potrebbero esserci grossi
interessi in ballo! Anzi, ci sono di sicuro e chiunque ci sia dietro
potrebbe decidere di non andarci troppo per il sottile! Sai qual
è l'incubo più ricorrente che faccio da una
decina d'anni a questa parte, eh? Sogno la volta che ci riportarono i
resti di Takeshi... solo che al posto di papà in
quella maledetta stiva ci sono io, da
solo, e il nome sulla cassa quando me la consegnano
è il tuo!
Ishikura strinse le labbra: da una parte aveva una gran voglia di rivelargli
tutto, anche solo per avere accanto qualcuno di cui potersi fidare
davvero; dall'altra sapeva che coinvolgerlo in quella faccenda l'avrebbe messo in grave pericolo... senza contare il carico di dolore e
brutti ricordi che l'aver di nuovo a che fare con il progetto Herakles
avrebbe fatto riemergere.
Non ne avevano mai parlato in maniera esplicita, ma sapeva che nemmeno
per suo fratello quel periodo della sua vita era stato facile. Quando
erano insieme si mostrava sempre allegro e rilassato, ma aveva sempre
sospettato che anche nel suo cuore fossero rimaste cicatrici che non si
sarebbero mai rimarginate del tutto... e quello sfogo confermava
appieno le sue supposizioni.
– Cosa
c'è nella vita militare da spingere persone come Takeshi e
te a rischiare di morire sole, chissà dove e in quei modi
orribili? E perché devi essere proprio tu a farlo in prima
persona? – Minoru abbatté il pugno sul tavolo e qualche
goccia di caffè macchiò la tovaglia –
Non ce la faccio più, Shizuo: a volte mi sembra di
impazzire... e la cosa che mi fa più paura di tutte
è che a forza di fare questa vita sto cominciando a capire
le ragioni di papà!
Ishikura boccheggiò: era come se gli avessero dato un pugno nello stomaco... un pugno molto
forte e molto ben assestato.
Guardò suo fratello sgomento, dilaniato da un sentimento misto di risentimento, sensi di colpa, dolore e affetto.
Sylviana si bilanciò meglio sulle sue ginocchia,
tirò un lungo sospiro e si sporse verso Minoru.
– Shizuo
è un incosciente, sono d'accordo – bevve un lungo
sorso di caffelatte e posò la tazza – Ed
è anche ingenuo, ostinato, irascibile e lunatico. Ha tanti
di quei difetti che farne un elenco richiederebbe almeno mezza giornata
e a volte è così irritante che ti vien voglia di
legarlo nudo a testa in giù e riempirlo di botte fino a
fargli entrare un po' di buonsenso in quella sua testaccia vuota...
– Bé...
grazie tante!
– Fammi finire
– si girò verso di lui, gli mise un dito sulle
labbra e si voltò di nuovo verso suo fratello – Ma
è un uomo adulto, un soldato in gamba e sa cavarsela da solo
quando è necessario, credimi. È stato in guerra,
ha viaggiato fino ai confini dell'universo conosciuto ed è
ancora qui, no? Dovresti cercare di fidarti un po' di più di
lui e lasciargli compiere le sue scelte, se davvero gli vuoi bene.
Quanto a te – gli piantò l'indice nel petto
– Vedi di non correre rischi inutili, di pensare a quel che
fai prima di buttarti a capofitto in mezzo ai guai e, soprattutto, di
non dare troppo per scontato l'affetto di tuo fratello; hai la fortuna
d'avere ancora una famiglia: approfittane e goditela,
finché puoi.
Per un momento, gli parve di rivedere sul suo viso
l'espressione triste e lontana della sera prima, ma non avrebbe potuto
giurarlo perché lei si alzò subito e, quando si
voltò verso di lui, aveva sulle labbra un sorriso radioso.
– E adesso
– si alzò, afferò il braccio di suo
fratello e glielo trascinò vicino – Stringetevi la mano e
fate subito la pace! Non voglio litigi fra mio marito e mio cognato a
così pochi giorni dalle nozze!
– Ma mica
stavamo litigando! E quanto alle noz...
– Shizuo! – Sylviana
si mise le mani sui fianchi e inarcò un sopracciglio – Fa' come ti dico o stanotte subirai la
tortura della zampogna!
Strizzò l'occhio a Minoru, che si mise
a sghignazzare.
Per un attimo, Ishikura si chiese a cosa diamine stesse alludendo
Sylviana e cosa avesse inteso Minoru, poi si grattò la nuca,
sospirò e tese il braccio.
In fondo non gli importava davvero... non più del fatto che,
almeno per il momento, la tempesta pareva passata.
– Allora, pace
fatta, Verità?
– Avrei
preferito fare a modo mio – Minoru gli strinse la mano
– Ma proverò a fidarmi del tuo giudizio, Eroe
Silenzioso. Pace fatta.
Ishikura gli sorrise, ma le parole
che aveva detto gli bruciavano ancora dentro, e inoltre era
preoccupato per la missione: se davvero il Comandante Arngeir era
coinvolto, poteva essere una fonte di grossi guai; per lui e
Sylviana, certo... ma anche per suo fratello.
Forse quella pazza schizoide aveva ragione: avrebbe dovuto rimanere col
Capitano e con i suoi compagni e lasciare che di quelle cose se ne
occupasse lei insieme a qualcun altro meno coinvolto...
Già,
ma chi? E poi, era certo che non se ne sarebbe pentito lo stesso?
Al diavolo... meglio non
pensarci! Ormai sono qui.
Stirò le labbra e si risedette. Il suo stomaco
brontolò: fra una discussione e l'altra, era stato l'unico a
non toccar cibo.
Afferrò la tazza, ma Sylviana gliela tolse di mano e gli
arruffò i capelli.
– Preparati, amore: fra poco si
esce!
Appunto. E non ne
toccherò, a quanto pare...
– Dove
vorresti andare, cara?
– Come, dove?
– Sylviana posò la tazza e si diresse a passo di
marcia verso il bagno – Ma a far compere, mi sembra logico!
– Ancora?!
Il tremendo ricordo delle fermate su Marte e Giove, delle interminabili
attese davanti alle vetrine e fuori dai camerini, delle chiacchiere
senza senso con commesse e cassiere su abbinamenti, colori, misure,
trucco e altre incomprensibili cose da donne e infine dei
chilometri percorsi tra la folla carico di borse e sacchetti d'ogni
tipo gli strappò un patetico uggiolio.
Avrebbe preferito mille volte dover rifare in sequenza e senza un
attimo di tregua ogni singola prova della selezione per l'ingresso
nelle Forze Spaziali: quattro settimane di corsa e navigazione,
altrettante di tecniche di pattuglia, demolizioni e armamento, sei d'addestramento nello spazio e altre quattro di sopravvivenza in
condizioni estreme e sotto tortura erano niente in confronto a quel
supplizio. Le rivolse uno sguardo supplichevole.
– Mica vorrai
che ci sposiamo in pigiama, spero – ribatté lei da
dietro la porta mentre l'acqua cominciava a scorrere.
Minoru sollevò un sopracciglio e
addentò un altro croissant.
– Non ha tutti
i torti.
– Ma... ma hai
già comprato una marea di roba durante le fermate del Galaxy
Express!
– Nulla d'adatto – tagliò corto lei.
– Fammi almeno
fare colazione...
– Finisci pure
il mio caffelatte, se ti va. Ma fra un po' sarò pronta.
– Vieni con
noi, fratellone? – guardò Minoru speranzoso: un
altro paio di braccia e la presenza rassicurante di un altro uomo gli
avrebbero fatto davvero comodo.
– Lui si
alzò, guardò l'ora e scosse il capo.
– Devo andare.
Ma passerò stasera e ci vedremo domattina. L'appuntamento
col Comandante è per le undici: fatevi trovare pronti.
Ishikura annuì e svuotò la tazza di Sylviana in
quattro rapide sorsate.
Quel caffelatte aveva uno strano sapore. Molto strano. Troppo strano...
Un incendio gli divampò in bocca, le lacrime
gli offuscarono la vista.
– Sylviana
– tossì – Ma che ci hai messo dentro?
– Oh, il
solito – lei emerse dal bagno avvolta in un accappatoio
azzurro col simbolo della Flotta Unita ricamato sulle tasche, il suo –
Caffè, latte, miele, un paio di prese di Tabasco. Ci sarebbe
stato bene anche mezzo bicchierino di whisky, ma nelle mie condizioni...
– Dovresti
provare a metterci il chutney, mia cara – Minoru la
osservò estasiato mentre si infilava la giacca –
Tamarindo, peperoncino, cipolla, zenzero, sale, zucchero di canna e
foglie di coriandolo: sveglierebbe anche un morto!
Sì, e
ucciderebbe una persona normale tra atroci dolori di pancia,
pensò Ishikura mentre beveva a garganella dal rubinetto della
cucina, l'appetito scomparso come per incanto e la desolante
prospettiva di doversi preparare ogni pasto di persona a meno di non
voler rischiare l'avvelenamento.
Salutò suo fratello, si lavò i denti e la faccia,
entrò in camera... e lei aveva di nuovo addosso solo la sua
provocante, scollatissima biancheria intima. Pizzo lilla, stavolta,
ancora più diafano e aderente.
Il rossore gli salì dal
collo alle guance. Soffocò un'imprecazione: con le telecamere e tutto il resto, non poteva certo dare in escandescenze.
Le diede le spalle, abbassò lo sguardo sulla
valigia e cominciò a frugarci dentro in cerca di qualcosa da
mettersi. Si cambiò in un
baleno e uscì dalla stanza in
assoluto silenzio.
Ma per caso ci gode a mettermi in imbarazzo?
Cominciava a temere di sì: tutta quella storia della
gravidanza, le nozze, il suo “diversivo”... Se non
fosse stato per la missione, reale e pericolosa, e per i pochi istanti
in cui gli aveva mostrato il suo lato serio e persino spietato, sarebbe
stato ormai convinto che per lei fosse tutto un gioco, una specie di
vacanza come quella che gli aveva proposto su Heavy Meldar...
Ma anche allora c'era uno scopo ben preciso
dietro tutte le sue azioni.
Lei lo raggiunse e gli si appese al braccio, tutta sorrisi e moine. Ishikura chiuse la porta e
pregò fra sé che Yuki Kei e il Capitano Zero non
avessero preso una colossale cantonata nell'affiancargliela.
– Allora, che
ne dici? – le domandò mentre scendevano le scale.
– Ci sta
controllando.
– Chi, Arngeir?
– Non fare il
finto tonto – lei si abbottonò il colletto della
giacca con un abile movimento di due dita – Tuo fratello.
Forse per conto di Arngeir, forse no.
La folata gelida che lo investì lo fece rabbrividire.
O magari era stato il fatto che, stavolta, una
parte di lui tendeva a darle ragione?
– Ancora con
questa storia?
– Ragiona
– lei adattò il passo al suo e gli si premette
contro – Per tutto il tempo non ha fatto altro che cercare di
ottenere qualche reazione, da te e da me. Quando mi ha detto che non
gli sembravo nemmeno incinta e quando ha annunciato d'aver predisposto
tutto per il nostro matrimonio cosa credevi che stesse facendo?
– Il
cascamorto con te e l' impiccione con me, come al solito.
Lo sguardo di Sylviana s'indurì.
– Ecco
perché non si dovrebbe partecipare a una missione se si
è coinvolti a livello emotivo. Quanto è vero che
l'amore rende ciechi...
– Io ci vedo
benissimo – le sibilò, piccato. Lei si accigliò.
– E allora
stai mentendo a te stesso. Ci stava mettendo alla prova: se il mio
imbarazzo fosse stato eccessivo, se ci fossimo opposti troppo all'idea
di sposarci e se la nostra confidenza non gli fosse parsa reale, la
copertura sarebbe già saltata.
– Allora
secondo te la sua era tutta una recita?
– Forse crede
che siamo innamorati e che aspettiamo un figlio; se ne dev'essere
convinto del tutto quando gli hai detto che sapevo di vostro padre e Takeshi. Però sospetta che siamo ancora agli ordini
di Zero e che siamo implicati in qualcosa di grosso che coinvolge anche
il suo capo. Era sincero quando ha detto di essere preoccupato per te...
– E quando ha
detto di capire le ragioni di nostro padre?
Ishikura si stupì di averglielo chiesto nell'esatto istante in cui la
domanda gli uscì dalla bocca, e si stupì ancora
di più nel constatare che voleva davvero sentire la sua
opinione.
– Sì
– Sylviana strinse le labbra – Lo pensava davvero.
Ishikura non dubitò del suo giudizio e la cosa non solo gli parve
strana, ma lo fece infuriare con se stesso: era di suo fratello che
stavano parlando e Sylviana era poco più di un'estranea,
un'occasionale compagna d'avventura con cui oltretutto non era per
niente in sintonia, una persona irritante, infantile e chiassosa... o
forse no.
Forse la vera Sylviana era quella che gli stava accanto in quel
momento: la spia fredda, letale e prudente, disposta a
tutto pur di raggiungere il suo obiettivo. O forse era la ragazza
malinconica e vulnerabile che aveva intravisto un attimo mentre le
parlava della sua famiglia. Oppure la bomba sexy. O magari tutte quelle
persone insieme. O nessuna di loro.
Ma che accidenti me ne
importa, poi?
Si cacciò le mani in tasca, confuso, e fissò di
sottecchi il suo riflesso nella vetrina davanti alla quale si erano
fermati. Adesso era la fidanzatina mielosa, tutta ottimismo, effusioni
e teneri sorrisi.
– Ti piace
quel modello, amore?
– gli domandò gaia col dito puntato sulla vetrina.
S'accorse solo in quel momento che il negozio
vendeva abiti da cerimonia e la vetrina era piena di quei vestiti vaporosi e candidi
che sembravano fatti di tante meringhe sovrapposte. Sobbalzò.
– Ma...
Lei gli strinse il braccio.
– Parla piano,
non voltarti di scatto e non fare gesti inconsulti – lo
ammonì – Ci pedinano.
Lui le passò un braccio attorno alle spalle e
l'attirò vicina.
– Da quanto?
– Da quando
siamo usciti di casa – sbuffò lei –
Certo che come spia fai davvero schifo. Maschio bianco sulla trentina,
cinquanta metri dietro di noi, castano sul metro e ottanta, giacca
reversibile scura e berretto marrone con visiera. Ogni volta che ci
siamo fermati o abbiamo rallentato, lui ha fatto lo stesso.
Scommetterei persino le mutande che in questo momento ci sta
sorvegliando col vecchio trucchetto della vetrina che fa da specchio
sulla strada. Poi c'è la femmina: asiatica, tra i
trentacinque e i quaranta, cappotto lungo nero e sciarpa bianca sul
viso, a centocinquanta metri sull'altro lato della strada. Fino a poco
fa ci stava proprio appiccicata, poi mi sono voltata un paio di volte
e... magia: ha messo subito della distanza fra noi per non rischiare di
farci diventare un nemico bollente.
– Un cosa?
– Un nemico
bollente: qualcuno che sospetta d'esser seguito, prende precauzioni e
ti dà un mucchio di grattacapi. Ma tanto a noi non interessa
seminare loro e i loro soci, quindi continuiamo pure a fare i
piccioncini che preparano il nido.
A proposito, tesoro,
a me quel vestito non piace per niente: troppo caramelloso... e poi
è così pompo... mi piacerebbe qualcosa che
valorizzasse di più le mie splendide gambe e il mio
magnifico décolleté.
Ishikura alzò gli occhi al cielo. Il fatto di non capire mai quando
diceva sul serio e quando scherzava l'avrebbe mandato fuori di
testa, prima o poi.
La attirò vicino e finse di baciarle la guancia.
– Non vorrai
davvero che ci sposiamo? – le sussurrò contro
l'orecchio.
Aveva sperato che quella dello shopping per il matrimonio fosse solo
una scusa per poter parlare della missione lontano da microfoni e
telecamere.
– Se
sarà utile ai nostri obiettivi, sì –
lei gli accarezzò la nuca, impassibile
– Sta' tranquillo: sono solo una sfilza di parole davanti a
un pubblico ufficiale e uno scambio d'anelli. Nulla di che.
– Magari per
te. Io prendo sul serio i giuramenti, sai?
Lei riprese a camminare adagio.
– Basta non
esercitare i diritti coniugali e non consumare, o almeno dichiararlo
– gli strizzò l'occhio – Lo facciamo
entro l'anno, inoltriamo richiesta formale d'annullamento e torniamo
fra i single come se nulla fosse mai accaduto.
Lo aveva detto con un tono così sicuro che lui non
riuscì a trattenersi.
– Lo hai
già fatto? – boccheggiò, spiazzato –
Sei stata...
Lei rise.
– Credimi,
non vuoi saperlo, Boy Scout.
E poi, una vera donna deve pur avere qualche torbido segreto...
Un sorriso caustico gli affiorò alle labbra a quell'ultima
sparata.
– E un vero
uomo no? – lei non era certo stata molto indulgente, con i
suoi. Lei fletté il polso del pugnale e gli rivolse un
ghigno.
– Non con me
– lo fissò – Non gli converrebbe... e il discorso non vale solo
per i compagni di missione.
Forse era meglio cambiare argomento: quello stava prendendo una piega
strana.
– Cosa
facciamo con Arngeir?
– Mi pare
ovvio – lei si fermò davanti alla vetrina di una
gioielleria e finse di osservare gli anelli – Procediamo come
da piano: una volta dentro, uno di noi se la sbriga col Comandante
mentre l'altro tenta di trovare ciò che cerchiamo. Anche se
non siamo ancora certi che sia lui la nostra talpa, è una
buona occasione per intrufolarsi nel Ministero.
– Potrebbe
essere una trappola.
– Senza
dubbio. Ma ogni lasciata è persa, mio caro. E poi,
più aspettiamo, più rischiamo che i nostri nemici
mangino la foglia: non è semplice fingere ventiquattr'ore su
ventiquattro, nemmeno per una professionista della balla come me.
Ishikura annuì pensieroso. Aveva ragione: era meglio farla finita il
più in fretta possibile prima che la loro copertura
cominciasse a traballare, prima che qualcun altro fosse coinvolto in
quella brutta vicenda... e soprattutto prima che lui decidesse una
volta per tutte di strozzare la sua partner, che era entrata nel
negozio e che in quel momento stava pagando qualcosa con la sua carta di
credito.
Decisamente non sapeva cosa fosse, la proprietà privata.
Quando uscì gli mollò fra le mani una piccola
borsa e lui ne sbirciò il contenuto: due semplici fedi d'oro
legate da un nastro bianco, senza pietre né incisioni.
– E di queste
che ce ne facciamo? Lei scrollò le spalle.
– Se tutto
andrà bene, potrai tenertele per ricordo – gli
afferrò di nuovo il braccio con un sorriso ironico –
Che c'è, avresti davvero preferito che comprassi quel
vestito orribile? Su, sta' al gioco: non sarebbe credibile se
rientrassimo senza aver preso nulla e sono stanca di girare... fa un
freddo cane.
– Per forza.
Siamo quasi a novembre. Era strano il calore di ieri sera,
piuttosto.
Ishikura si rilassò e invertì la rotta. In fondo, era lieto che la tortura fosse durata meno del previsto, abbastanza da
essere disposto a sorvolare sull'ennesima violazione dei suoi
effetti personali.
– Su Heavy
Meldar fa sempre caldo – Sylviana si strinse le braccia attorno
alla vita – Non ci ero più abituata.
Ishikura la osservò: indossava una giacca leggera e il vestito,
scollato e aderente, sembrava addirittura di carta velina. Ora era
Sylviana la bambina indifesa.
Quante facce
avrà questa donna?
– E va bene...
Tirò un lungo sospiro, slacciò la cintura e le
passò un braccio attorno alle spalle in modo da coprirla con
la lunga falda del suo cappotto militare.
Lei lo guardò stupita.
– E questo
cosa sarebbe? – gli domandò con un sorriso
malizioso.
Lui distolse lo sguardo, consapevole che di lì a poco
sarebbe arrossito per l'ennesima volta.
– Sono un
gentiluomo, che credi? – borbottò – E
poi non sarebbe credibile se lasciassi gelare la mia fidanzatina incinta... Lo
faccio per la missione.
Lei gli cinse la vita.
– Come spia e
come attore fai davvero schifo –
rise piano –
Ma forse non sei senza speranza come credevo.
Questi due mi stanno sfuggendo di mano... quasi quasi dico ad Arngeir
di accoglierli a fucilate!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 25 *** Abbordaggio ***
cap 8
Zero fermò l'oscillazione del sacco da boxe e si
sfilò i guantoni.
Fletté le dita della mano destra e non poté
reprimere un gemito di dolore: sulle bende ormai allentate che gli
ricoprivano il palmo spiccavano tre grosse macchie di sangue ed era
come se tanti piccoli aghi gli bucassero i polpastrelli.
Boxare con la mano in quelle condizioni non era una buona idea,
lo sapeva già da prima di metter piede in palestra, ma
aveva bisogno di sfogarsi un po' o sentiva che sarebbe impazzito... se
già non era successo.
Ripensò alla sua visita nella sala computer dell'Arcadia, al
momento in cui aveva posato la mano su quel pannello di metallo e a
quando, a poco a poco, i bip e il ronzio sommesso di quel gigantesco
elaboratore avevano cominciato ad assumere un senso, a evocare
immagini, suoni e sensazioni nella sua mente.
Un brivido gli corse lungo la schiena nell'immaginare Harlock
e Tochiro parlare in quella maniera per tutti quegli anni, vicini e al
tempo stesso separati da un abisso.
Se sapere della morte di Tochiro era stato uno shock, comunicare con
lui a quel modo l'aveva addirittura sconvolto: fin da piccolo aveva
sempre creduto che la morte del corpo segnasse la fine di tutto e
quella convinzione s'era rafforzata quando aveva perso la sua famiglia
sotto i bombardamenti dei meccanoidi.
Nessun Dio l'aveva consolato, nessun sogno in cui li vedeva sereni e
avvolti dalla luce aveva addolcito le sue notti, nessuna sensazione di
pace aveva riscaldato il suo cuore nel toccare la lapide che ricopriva
la loro tomba vuota.
Non
c'erano più.
Non sarebbero mai più tornati e anche lui, un giorno,
sarebbe sprofondato nello stesso nulla.
All'inizio, quella certezza lo aveva quasi ucciso.
Col tempo, l'aveva aiutato a soffocare i rimorsi e l'aveva spinto a
guardare al futuro.
Ora quella certezza aveva cominciato a vacillare, così come
tante altre.
Era stato certo della forza e della rettitudine di Harlock, per
esempio: da quando si erano separati dopo l'Hell Castle fino a quando
lo aveva rivisto su Heavy Meldar, aveva creduto che nulla al mondo avrebbe mai potuto piegarlo o spezzarlo e che, qualunque cosa fosse accaduta a
lui, a chi gli stava accanto o alla Terra, avrebbe sempre continuato a
lottare per i suoi ideali, saldo e immutabile come una roccia...
invece, a quanto pareva, anni di solitudine avevano eroso il suo
spirito e qualcuno che gli aveva inserito un piccolo chip nel cervello
aveva sgretolato ciò che restava della sua anima.
Aveva creduto che non ci fossero segreti fra lui e le persone
che avrebbero preso parte alla missione; invece, stando a quell'
Ifiklìs, Ishikura, Sylviana o forse entrambi nascondevano
qualcosa e avrebbero potuto voltargli le spalle da un momento
all'altro.
Non aveva loro notizie da più di quarantotto ore, ormai,
cioè da quando Sylviana aveva lanciato il segnale convenuto
per comunicare l'inizio della loro azione e, nonostante le
rassicurazioni di Yuki, non si
sentiva per niente tranquillo.
Il fatto che lei non gli avesse voluto svelare ciò che
sapeva, poi, contribuiva ad aumentare la sua ansia... e il timore che a
nascondere qualcosa fosse proprio Ishikura, il suo fido
Vice-Comandante, il ragazzo che un giorno aveva detto sorridendo a
Marina che, fra compagni che combattevano dalla stessa parte, non ci
dovevano essere segreti.
Sferrò un altro pugno al sacco e gli vennero le lacrime agli
occhi, un po' per il dolore fisico, un po' per la frustrazione.
Sentì dei passi nel corridoio, fece un profondo respiro e cercò di ricomporsi: i suoi uomini non dovevano vederlo in quello stato,
soprattutto non a ridosso di una battaglia.
– Serve una
mano con la fasciatura?
Mayu entrò e, senza nemmeno aspettare una risposta, gli si
avvicinò, gli afferrò la mano e
cominciò a districare il groviglio di bende
allentate che gli circondavano il palmo in una massa informe e
stropicciata.
Aveva dita agili e una mano leggera: finì in un lampo e
il risultato finale era degno del Dottore.
Zero ruotò il polso e osservò gli stretti giri
di benda che gli ricoprivano la ferita: era riuscita persino a
nascondere le macchie.
– Sei brava
– cercò di complimentarsi.
– Oh, non
è nulla – lei sedette sulla panca e lo
osservò indossare la giacca – Grazie a
Tadashi sono diventata un'esperta con le medicazioni. Non si direbbe a
vederlo adesso, ma quand'era più giovane era un vero
scavezzacollo!
– Hai bisogno
di qualcosa?
Era abituato a trattare con persone di tutti i tipi: uomini duri,
militari, capi di stato, delinquenti, meccanoidi e persino
extraterrestri... ma quella ragazzina riusciva a turbarlo come nessun
altro.
Forse era perché in lei, a tratti, rivedeva Emeraldas e Tochiro.
Forse era il pensiero che suo figlio, se fosse stato ancora vivo,
avrebbe avuto la sua stessa età.
– Voglio solo
chiederti un favore – Mayu rigirò fra le mani la sua ocarina, seria.
– Vuoi venire
con me quando faremo irruzione nella base di Futuria, vero?
Gli fece un rapido e silenzioso cenno affermativo. Zero
sospirò.
Poteva capirla, in fondo. Anche lui, al suo posto, avrebbe fatto di
tutto per avere anche solo una possibilità di rivedere
Harlock per quella che forse sarebbe stata l'ultima volta.
– Il mio non
è un capriccio – Mayu lo guardò decisa
– So che Yuki e Tadashi hanno voluto mandarmi qui da te per
tenermi al sicuro durante la battaglia con la Nèmesis e so
che t'hanno chiesto di non farmi scendere dalla nave durante
l'incursione nella base di Futuria. Credimi, rispetto il loro punto di
vista e ricambio il loro affetto con tutto il cuore: anch'io se fosse
possibile vorrei che non rischiassero la vita... ma a volte ci sono
cose che bisogna fare nonostante tutto e, per me, trovare Harlock
è una di quelle.
Zero le rivolse uno sguardo severo, nella speranza che
fosse lei stessa, da sola, a cambiare idea.
– Ammettiamo
che ti permetta di far parte della squadra di sbarco –
afferrò il cappello – E supponiamo che lui si
trovi laggiù: cosa pensi di fare, una volta che lo avrai di
fronte?
Mayu lasciò andare l'ocarina e si alzò.
– Non lo so
– scosse il capo
– Ma credo che lo stesso valga per chiunque altro di noi.
Per lui, di sicuro. Aveva detto a Tadashi che sarebbe ricorso alla
pistola solo se non ci fosse stato nient'altro da fare, ma non aveva
idea di come riuscire a catturare Harlock vivo.
Era sempre stato un duro, un tipo che lottava fino all'ultimo anche
prima che ogni residuo istinto di conservazione fosse cancellato dalla
sua mente.
– Potremmo
essere costretti a fargli del male, forse a ucciderlo.
Gli occhi di Mayu rimasero asciutti. Non distolse lo sguardo.
– Se
sarà necessario, lo farò – strinse la
mano sull'impugnatura della Cosmo Dragoon di Emeraldas e in quel
momento gliela ricordò come non mai –
Penserò a salvare la mia vita, prima di tutto, perché so che anche lui vorrebbe così. Lo prometto.
Zero non dubitò nemmeno per un istante che per lei una promessa
avesse lo stesso valore assoluto che aveva avuto per Harlock e,
nonostante la sua giovane età, provò ammirazione
per la sua forza d'animo.
– Va bene
– sospirò– Ma devi promettermi anche che non
lascerai mai il mio fianco, qualunque cosa succeda, e che farai quello che ti dirò, senza discutere.
– Grazie
– ora nei grandi occhi di Mayu brillavano le lacrime –
Farò di tutto per non essere un peso, Zero.
Lui distolse lo sguardo e finse di sistemarsi il colletto, il pensiero
di essere ormai del tutto impazzito che assumeva sempre più
i contorni della certezza nella sua mente.
Buttarsi nel bel mezzo della mischia con al seguito una civile, per
giunta una ragazzina di appena quattordici anni, era una cosa che
nemmeno la più stupida delle reclute avrebbe mai fatto:
contravveniva a ogni regola etica, legale e di buonsenso, per un
militare e ancor prima per un uomo. Immaginò il suo vecchio
istruttore dell'Accademia dargli dell'imbecille per l'ennesima volta e si tirò la visiera sugli occhi.
– Comunicazione
urgente, allarme rosso – la voce di Breaker risuonò negli altoparlanti – Il Capitano sul ponte di comando. Ripeto.
Comunicazione urgente, allarme rosso: il Capitano sul ponte di comando.
L'Arcadia? Megalopolis?
Che qualcosa sia andato storto?
Raggiunse di corsa il ponte di comando e si sedette alla sua
postazione. Con la coda dell'occhio vide Mayu accomodarsi al posto vuoto di Ishikura e
allacciare la cintura di sicurezza.
– Cosa
abbiamo, Signor Breaker?
– Rileviamo la
Nèmesis in rapido avvicinamento da Futuria. Stanno cercando
di aprire un canale di comunicazione con noi e con l'Arcadia.
Zero si sistemò il cappello sulla testa e aggrottò la fronte.
Ci siamo, si comincia.
Si voltò verso Marina, la mente tutt'a un tratto sgombra dai
pensieri che lo avevano tormentato fino a poco prima: doveva
concentrarsi solo sulla missione, pensare solo a cosa fare per vincere e
limitare i danni.
– Comandante
Oki, attivi il sistema di tracciamento e i sonar: cerchiamo di
scoprire da dove sono decollati.
– Agli ordini,
Capitano!
– Signor
Breaker, sentiamo cos'hanno da dirci.
Lo schermo si divise a metà: nel primo riquadro, Yuki era in
piedi a braccia conserte dietro a Tadashi, pallida e
determinata; nel secondo, Hell Matia sorrideva melliflua, una ciocca
dei suoi lunghi capelli biondi attorcigliata attorno all'indice e la
mano sinistra sulla spalla di una ragazza di circa vent'anni che
li fissava con astio attraverso le lenti d'un vistoso paio d'occhiali
scuri.
– Ma guarda un
po' – Hell Matia si posò una mano sulla guancia e
atteggiò il volto a un'espressione di finto stupore
– Ecco dov'erano finite le due grandi speranze della Terra!
Primo Ministro Daiba, Signora Kei... i miei omaggi.
Abbozzò un inchino. Lo sguardo di Yuki si fece duro, di
ghiaccio.
– Dov'è
Harlock? Cosa gli avete fatto? Matia sorrise.
– Per adesso,
nulla. È vivo e vegeto, non temete, e lo resterà
fino al gran finale del nostro spettacolo. Peccato solo che non potrete
vedere cosa abbiamo in serbo per lui... eh, già,
perché per allora sarete tutti morti... e stavolta per
davvero, mi auguro.
– Bastardi!
– Tadashi diede un colpo al monitor – Come avete
potuto...
– Risparmiaci
la paternale, Daiba – intervenne la ragazza – In
fondo, io e i miei compagni stiamo facendo la stessa cosa che hai fatto
tu con le Mazoniane sette anni fa: vendicarci di chi ci ha tolto tutto.
Tadashi trasalì e il suo volto assunse un'espressione
triste... solo per un attimo.
– E tu chi
saresti?
– Chiedilo
alla tua biondina – Hell Matia passò una mano tra
i corti capelli scuri della sua compagna – A
giudicare dalla sua faccia, direi proprio che l'ha riconosciuta. In
effetti la somiglianza è notevole, vero, mia piccola pirata
spaziale?
Zero guardò Yuki.
Se possibile, appariva ancora più pallida di prima e i suoi
grandi occhi blu erano spalancati.
– No, non è possibile
– mormorò – Zone...
– Lia Zone
– la voce della ragazza era carica di rabbia – La
sorella dell'ingegnere che il tuo amato Harlock ha prima rovinato e poi
ammazzato come un cane!
– No,
ascolta...
– L'unica cosa
che voglio ascoltare – il suo pugno si chiuse –
È il pianto disperato di quel bastardo quando si
renderà conto che tutte le persone che abbia mai amato sono
morte per mano sua!
Voglio che soffra come non ha mai sofferto nessuno, che m'implori d'ucciderlo, e neanche questo sarà mai abbastanza per quello
che ha fatto!
Hell Matia rise.
– Lia, Lia...
sei cattiva – prese tra le dita un ciuffo dei suoi capelli e
lo tirò – Non dovevi dirglielo: ora che sanno
quale sarà il gran finale, il gioco è diventato
meno interessante...
– Gioco?
– Tadashi tremava dalla rabbia – Gioco?!
È stato per gioco che avete ammazzato tutti quei civili
innocenti su Elpìs? E le guardie assegnate a Yuki? Avevano
genitori, figli e fratelli anche loro: cosa c'entravano con la vostra
stupida vendetta nei nostri confronti, eh?
Lia afferrò la mano di Hell Matia e la allontanò
dai suoi capelli.
– Che
significa, Matia? È vero? Ci sono andati di mezzo degli
innocenti?
– Danni
collaterali – lei alzò le spalle e le
baciò la guancia – Succede in ogni guerra, Lia,
e la nostra lo è, ricordi?
Zero ripensò a sua moglie e a suo figlio, alle milioni di
vittime del bombardamento che non era riuscito a impedire e di cui non
era rimasto nulla, nemmeno un osso da infilare in una bara.
Su Elpìs, quella tragedia insensata si era ripetuta altre
centinaia di volte... e per cosa?
– La vostra
non è una guerra – ringhiò
– È follia.
Matia gli rivolse uno sguardo deluso.
– Un po'
scontata come frase a effetto, Capitano Zero... ma non importa. Diamo
il via alle danze?
– Che ne
direste, invece, di arrendervi? Siete in inferiorità
numerica e avete contro due delle migliori navi da guerra che abbiano
mai solcato il mare delle stelle. Se collaborerete, avrete salva almeno
la vita.
– E per cosa?
– lo sguardo vuoto di Lia gli diede i brividi – Per
passare tutta la vita chiusa in una cella a sentirmi dire
che mio
fratello era un traditore, un pazzo esaltato e
un povero fallito?
– Ascoltami,
Lia – Yuki si sporse da dietro a Tadashi – Quando
Harlock e Mister Zone si sono affrontati per l'ultima volta...
– Ho detto che non voglio
ascoltarti! – gridò Lia con le lacrime agli occhi
– Non voglio ascoltare nessuno di voi e non
crederò mai alle vostre falsità! E anche se
Feydar fosse davvero il peggior uomo mai vissuto lo
vendicherò lo stesso, perché era tutto
ciò che avevo e lo amavo!
– Immagino che
la nostra chiacchierata possa dirsi conclusa, a questo punto – Matia sorrise, fredda
– Facciamo parlare i cannoni... e che questa storia finisca
una volta per tutte!
Il collegamento con la Nèmesis s'interruppe. Sul
lato destro dello schermo, Zero vide Tadashi armeggiare con i comandi
di quella che doveva essere la batteria principale dell'Arcadia. Un
vecchio mirino ottico montato su un'impugnatura di mitragliatore emerse
da un pannello davanti a lui. Tadashi lo strinse fra le mani, il volto tirato.
– Allora, noi
ci prepariamo alla battaglia – distolse lo
sguardo dal mirino e lo puntò verso lo schermo – Avete
capito da dove sono decollati?
Marina proiettò sullo schermo una mappa satellitare.
Zoomò su un'area, applicò un filtro termico e
infine evidenziò un settore nel quale il colore rosso
predominante indicava la presenza di calore e attività
umane.
– I
sotterranei del Palazzo di Vorder – Marina si mordicchiò
il labbro inferiore e lo guardò – Avrei dovuto intuirlo subito.
È l'unico posto in tutto il pianeta in cui sia possibile
nascondere una nave così grande senza dover scavare o usare
esplosivi col rischio di farsi rilevare dai satelliti. La planimetria
del posto è chiara e un po' conosco la conformazione del
luogo: posso guidarvi
da qui.
– Bene
– Yuki raggiunse il timone e strinse la barra – Non
appena avremo ingaggiato battaglia con la Nèmesis, atterrate
e fate subito irruzione. Buona fortuna.
– Mayu
– Tadashi attivò la batteria, gli occhi ancora
fissi sullo schermo – Qualunque cosa accada, sappi che ti
vogliamo bene. Vivi libera e felice... e perdona la nostra
stupidità e il nostro egoismo, se puoi.
Anche il collegamento con l'Arcadia si chiuse.
Zero fece appena in tempo a vedere Mayu asciugarsi una lacrima che lo
spazio di fronte a loro fu illuminato da una forte luce: la
Nèmesis aveva fatto fuoco.
I retrorazzi dell'Arcadia emisero una fiammata intensa e la nave
schizzò in avanti a tutta velocità.
– Cosa
vogliono fare? – Marina spalancò gli occhi e si
mise le mani davanti alla bocca – Così verranno
colpiti in pieno!
– Che vogliano
farci da scudo per permetterci di passare? – la voce di Rai
era stridula – Ma è una follia, i loro scudi non
reggeranno mai... è un suicidio!
Il cuore di Zero mancò un battito. Poi capì.
– Signor
Kaibara, attivare gli scudi – gridò –
Signor Eluder, manovra d'evasione: sessanta gradi a babordo! Signor
Rai: ruotare le batterie principali di venti gradi a dritta, alzo
sedici. Pronto a far fuoco al mio segnale!
Rai si voltò a guardarlo, sonvolto.
– Fuoco? Dalla
batteria principale?! Ma così li ammazziamo di sicuro!
– Non discuta,
Rai! – Zero sbatté il pugno ferito sulla plancia e
strinse i denti – Non c'è tempo per
spiegare!
– Venti gradi
a dritta, alzo sedici – confermò Rai con voce
dubbiosa – Pronto al suo segnale, Capitano!
Zero puntò gli occhi sulla parte inferiore dello scafo
dell'Arcadia, in attesa.
La prua fece capolino da sotto la carena e iniziò ad
abbassarsi, dapprima piano,
poi sempre più a capofitto.
La luce si fece così intensa che gli
occhi
cominciarono a lacrimargli e dovette procedere a stima.
Cinque, quattro, tre,
due, uno... speriamo che abbiano fatto in tempo!
– Fuoco!
Il lampo fu accecante.
La bordata della Nèmesis li raggiunse e li sfiorò appena.
Non ci fu quasi contraccolpo, ma d'altronde la raffica era partita da
molto lontano e la Karyu non era il bersaglio principale.
Zero osservò la Nèmesis.
A causa della loro bordata, aveva riportato quelli che valutò essere danni lievi: tutte le batterie di cannoni, le
bocche lanciamissili e le torrette erano ancora in funzione e lo scafo
aveva retto.
L'Arcadia, invece, pareva svanita nel nulla.
Zero deglutì e puntò gli occhi sulla parte bassa
dello schermo. Tirò
un sospiro di sollievo.
Come aveva sperato, la nave pirata s'era portata sotto la
carena della Nèmesis con una brusca virata verso il basso.
Le torrette superiori e i sei cannoni pulser si alzarono di novanta
gradi e fecero fuoco. Nello scafo della Nèmesis s'aprì
un lungo squarcio fumante.
Rai fischiò, Kaibara si tirò un baffo e
sogghignò.
– Però!
Ci sa fare, la ragazzina!
Anche Zero non poté fare a meno d'ammirare il sangue freddo
di Yuki.
Aveva rischiato il tutto per tutto per andare a colpire l'unico punto della nave nemica non
protetto dall'artiglieria e, al tempo stesso, approfittare dello scompiglio causato dal loro fuoco di copertura per portarsi alle spalle dei
suoi avversari; una tattica degna del più consumato dei
Capitani... e di uno con fegato da vendere, anche: un solo errore nel
valutare tempi, angolo di virata, velocità e potenza e,
nella migliore delle ipotesi, le batterie superiori dell'Arcadia
sarebbero finite fuori uso nell'urto con la carena della nave nemica.
Nella peggiore, la nave sarebbe stata colpita in pieno da entrambe le bordate, per poi andarsi a schiantare subito dopo
contro la prua rinforzata e dotata di rostro della Nèmesis.
Con una veloce manovra ascendente e una rapida virata di prua,
l'Arcadia si portò dietro
alla Nèmesis, che effettuò una disperata abbattuta*
e un'ancor più veloce rotazione dei pezzi
d'artiglieria nel tentativo d'evitare il devastante colpo che la nave pirata, forte di
una maggiore agilità, s'apprestava a sferrarle.
Se Yuki e Tadashi avessero potuto usare il rostro di prua, la battaglia
sarebbe già stata vinta. Avrebbero potuto
colpire il fianco della Nèmesis mentre questa si girava e distruggere in una volta
sola computer, sala macchine e batteria principale. Il resto
sarebbe esploso pochi minuti dopo in una terrificante reazione a catena. Ma non potevano farlo: non se
volevano trovare Harlock, non se volevano la verità.
E Hell Matia, Lia Zone e chiunque altro fosse là dentro lo
sapevano, Zero ne era certo.
E sanno d'avere una
maggior potenza di fuoco e uno scafo più robusto...
La luce abbagliante dei cannoni pulser e dei cannoni dimensionali delle
due navi che facevano fuoco allo stesso tempo lo accecò.
Tocca a me.
In realtà non avrebbe voluto compiere l'azione che invece
sapeva di dover fare in quel momento: avrebbe dato qualunque cosa pur di restare e
partecipare allo scontro, ma non poteva rischiare che i nemici
rimasti su Futuria fuggissero o, peggio ancora, tirassero fuori qualche
asso nella manica e li uccidessero tutti mentre erano impegnati a
combattere nello spazio, impossibilitati a reagire.
Erano capacissimi di farlo: chiunque fosse dietro a quella follia
aveva già dimostrato d'esser più che disposto a
sacrificare delle vite per i suoi scopi... vite di nemici, di innocenti
sconosciuti e persino di compagni.
– Signor
Eluder – ordinò – Rotta verso Futuria.
Avanti tutta!
Oltrepassarono le due navi a tutta velocità.
Zero si era ripromesso di non farlo ma, quando la Karyu
affiancò l'Arcadia, guardò verso il ponte di
comando. Era stato colpito in pieno e un denso fumo nero, unito ai
rottami che galleggiavano nello spazio, impediva di vederne l'interno.
Lo scafo era danneggiato in più punti nonostante gli scudi e
la copertura in superlega, uno dei due cannoni dimensionali pareva del tutto
fuori uso e, per la potenza del colpo subìto, tutta la nave si era piegata a
destra e verso di loro.
Qualcuno, forse Nohara, gemette.
Zero sperò con tutto se stesso che nessuno fosse rimasto
ferito troppo gravemente, scattò sull'attenti e
portò la
mano destra alla fronte nel saluto militare.
Kaibara, Rai e Marina lo imitarono in silenzio, Mayu si
portò alle labbra l'ocarina e intonò la
stessa melodia che aveva suonato al cimitero il giorno in cui si erano
incontrati per la prima volta.
Poco prima che la Karyu oltrepassasse del tutto la Nèmesis, i cannoni
arpionanti
dell'Arcadia fecero fuoco e i corvi** allacciarono le due navi
nell'ultimo e più disperato atto della lotta: l'abbordaggio.
Zero distolse lo sguardo controvoglia.
– Signori,
ognuno ai propri posti – disinserì
la sicura della pistola e la infilò di nuovo nella fondina
– I membri della squadra di sbarco con me. Su una cosa Hell
Matia ha ragione: è ora di scrivere la parola fine a questa storia, una volta
per tutte.
* L'abbattuta
è un movimento di rotazione orizzontale che serve per
compiere la virata di poppa.
** Il corvo era una
passerella mobile con un piccolo parapetto su entrambi i lati, dotata
di uncini alle estremità che agganciavano la nave nemica,
consentendo alla fanteria di combattere quasi come sulla terraferma.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 26 *** La trappola di Lia ***
cap 8
Yuki afferrò la barra del
timone e si rimise in piedi,
il fianco dolorante e i polmoni che bruciavano a causa del fumo acre
che aleggiava sul ponte di comando.
– State tutti bene? – tossì.
Il contraccolpo seguito alla bordata della Nèmesis era stato
più forte di quanto avesse preventivato: a quanto pareva, la
nave nemica era una copia maggiorata dell'Arcadia anche nell'armamento.
– Bé, per lo meno sono ancora tutto intero
– Maji
emerse dalla postazione radar, il viso annerito dalla caligine e la
bandana bruciacchiata.
Afferrò l'estintore e corse a soffocare il principio
d'incendio che minacciava la sua postazione.
Mime lasciò il posto del copilota e annuì in
silenzio.
Aveva una manica stracciata e insanguinata, si stringeva il
polso sinistro e, sotto le luci che sfarfallavano, il suo colorito era
ancora più cereo del solito.
– Io sto bene – Tadashi era chino sulla plancia di
comando
dell'artiglieria – Ma il cannone dimensionale numero due
è
distrutto e le torrette cinque e sei sono in avaria.
– Stima dei danni?
Mime si precipitò al computer.
– Siamo stati colpiti al ponte superiore e alla base dell'ala
destra. Il radar è danneggiato, uno dei motori
ausiliari
è fuori uso e il computer rileva diversi
princìpi
d'incendio: qui, negli alloggi dell'equipaggio, in cambusa e nelle
postazioni d'artiglieria due, tre e quattro.
– Attiva il sistema di autoriparazione – Yuki si
massaggiò il fianco – Fai evacuare tutti i locali
incendiati, chiudi le paratie stagne e decomprimi: è la
maniera
più veloce per estinguere le fiamme. Come andiamo coi
sistemi di
difesa?
– Gli scudi frontali sono andati – Maji
imprecò
sottovoce – Il rivestimento in superlega ha retto, ma
un'altra
bordata come quella di prima ci aprirebbe in due come una mela. Abbiamo
già lanciato i corvi e non possiamo nemmeno virare... Che
facciamo?
– Manteniamo la calma – Yuki fece un profondo
respiro
– Hanno cannoni più potenti dei nostri,
è vero, ma
i loro tempi di ricarica devono essere più lunghi. Perché
riescano
a sparare un'altra raffica alla massima potenza gli ci vorrà
almeno mezz'ora e gli scudi basteranno a ripararci dal fuoco delle
torrette, per adesso. Se riusciremo a coordinarci, possiamo mettere
fuori uso le loro batterie prima che ricarichino.
Si stupì di come la sua voce suonasse sicura mentre dentro
si sentiva tremare.
Si chiese se anche Harlock, in quei momenti, fosse preda della strana
sensazione mista di paura ed eccitazione che pervadeva lei. Strinse la
barra del timone così forte da farsi male alle dita.
– Mime, funziona ancora il sistema di comunicazione interno?
– Non in tutti i settori, ma l'equipaggio è
radunato nella
sala macchine, alle postazioni d'artiglieria, nell'hangar e ai
corvi... e lì è ancora operativo.
– Bene. Collegami.
Un suono acuto e gracchiante le perforò le orecchie. Afferrò il microfono.
Sapeva che, in quel momento, tutti la stavano ascoltando.
Sapeva che, in quel momento, le vite dei suoi uomini, dei membri
ausiliari inviati dalla Karyu e del Dottore, di Tadashi, di Mime e di
Maji dipendevano dalle sue decisioni.
Fece un respiro profondo e sperò d'essere all'altezza del
ruolo
che le era stato affidato e di cui il pesante mantello che le copriva
le spalle simboleggiava tanto bene l'onere e l'onore.
– Qui è il Capitano Kei che vi parla –
un fruscio
– Amici, siamo alla resa dei conti. Non c'è tempo
per un
lungo discorso e non saprei nemmeno da dove iniziare: io non sono
Harlock e non posso né voglio diventarlo, non
finché da
qualche parte lui è vivo e ha bisogno di noi! Quando
eravamo
dei reietti sprofondati nella disperazione, quando credevamo di non
avere più nulla per cui viviere e lottare, lui ci ha
accolti e salvati, ci ha insegnato a combattere e ci ha restituito la
speranza... è ora di ricambiare il favore!
Le urla furono così forti da far stridere di nuovo gli
altoparlanti.
Le interruppe subito. Non c'era tempo.
– Abbiamo quindici minuti per far fuori le loro postazioni
d'artiglieria – scandì – Cannonieri,
fuoco di
copertura. Squadra dei Lupi Spaziali, preparatevi al decollo.
Sentì un peso nel petto. Qualcuno, da là fuori,
non sarebbe tornato.
Succedeva sempre... e questa volta la responsabilità sarebbe
stata solo sua.
– Squadre d'abbordaggio, ai corvi –
ordinò, il peso
sul cuore che aumentava – Io e Tadashi vi raggiungeremo per
guidare l'assalto.
Chiuse la comunicazione, slacciò il mantello e strinse la
cinghia della fondina.
– Mime, Maji, a voi il comando. Formate delle squadre per le
riparazioni e allertate il Dottore – si rabbuiò
–
Dategli tutto l'aiuto possibile... dovrà lavorare molto,
temo.
– Vado a nascondergli le bottiglie, allora – Maji
lasciò la sua postazione e si mise di fianco a Mime,
l'espressione preoccupata – Tornate sani e salvi almeno voi,
ragazzi, vi
prego.
Tadashi raggiunse il gruppo, la mano stretta
sull'impugnatura della Dragoon.
Yuki notò solo in quel momento il sottile rivolo di sangue
che, dalla tempia, gli scendeva lungo la guancia.
– Non abbiamo nessuna intenzione di morire, Maji – le
rivolse un'occhiata e lei capì a chi erano
rivolte
in realtà quelle parole – C'è
un futuro che
ci aspetta, sulla Terra... un futuro da costruire insieme, ricordi?
– Già – Maji rise e gli diede una pacca
sulla coscia
– Bene, mi togli un peso dl cuore, ragazzo mio: se vi succedesse
qualcosa, tremo al pensiero di cosa mi farebbe la vecchia Masu.
– Non c'è più tempo – Yuki s'incamminò verso la porta, turbata – Andiamo,
Tadashi.
– Agli ordini... Capitano.
Un'altra volta, il suo atteggiamento formale e il suo tono spento le
fecero male più di uno schiaffo. Serrò il pugno e
varcò
la soglia.
– State attenti! – la voce di Mime fu l'ultima cosa
che
Yuki sentì prima che la porta del ponte di comando si
chiudesse
dietro di loro.
Raggiunsero la zona dei corvi di corsa, in assoluto silenzio.
Yuki avrebbe voluto voltarsi a ogni passo, fermarsi e parlargli, ma
non era il momento.
Indossarono le tute, sempre in silenzio.
Yuki avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, abbracciarlo, gridargli
contro e piangere ma, di tutti i momenti, quello sarebbe stato il
peggiore.
Lì, in piedi davanti a lui che le controllava le chiusure
della
tuta, si sentiva stupida e impacciata come un'adolescente... e dire
che solo fino a pochi istanti prima era stata un Capitano deciso e
risoluto, capace d'affrontare a muso duro la più disperata
delle battaglie.
– Tutto in ordine.
Lui si rialzò e subito lei gli strinse
l'allacciatura sotto il casco e le chiusure dei polsi.
Se non fosse stata così turbata, se non ci fossero state in
gioco le vite e i destini di tutti coloro che amava, avrebbe riso:
così tanti anni passati nello spazio e quel testone ancora
non
aveva imparato a chiudere una tuta come si doveva.
Lo guardò.
Una volta, l'avrebbe ringraziata con un sorriso impacciato.
Ora, il suo sguardo era cupo e la fissava come se aspettasse qualcosa.
Lei sapeva cosa... lo sapeva benissimo.
Ma non era il momento.
Si chinò a controllargli la parte inferiore della tuta,
lieta
d'avere una scusa per distogliere lo sguardo. Quella era in ordine... come sempre.
– Sei a posto – si rialzò e s'allontanò da lui – Andiamo.
Sentì i suoi passi dietro di lei, il suono della sicura
della Dragoon che veniva disinserita.
Non si voltò a guardare.
Le parve di metterci un secolo a raggiungere i suoi uomini.
Erano una cinquantina, tra vecchi membri dell'equipaggio, loro
discendenti, uomini assoldati da Yattaran, Mime e Sylviana su Heavy
Meldar e soldati umani e meccanoidi distaccati dalla Karyu.
– Aprite! – sapeva che, dal di fuori, la sua voce
sarebbe
giunta ovattata da dietro il casco, e urlò a squarciagola
– All'arrembaggio!
Le paratie stagne dei corvi si spalancarono con un sibilo e le squadre
d'abbordaggio vi si lanciarono all'interno. Arrivata davanti al
portellone che li avrebbe immessi all'interno della nave nemica, Yuki
si fermò, si posizionò di lato e fece un cenno a
Tadashi.
Lui si piazzò dall'altra parte e girò la
maniglia. Le
fece un cenno col capo, spalancò il portello e la
coprì mentre lanciava tre granate oltre l'apertura.
Si ripararono di nuovo.
Il lampo di luce e lo spostamento d'aria
dovuto all'esplosione riempirono il condotto di pulviscolo e schegge di
metallo.
Uscirono, seguiti dai loro uomini.
Yuki si guardò intorno, la pistola in pugno, pronta a far
fuoco.
Come aveva previsto, si trovavano nell'hangar della
Nèmesis.
A parte una decina di cadaveri sul pavimento e un'altra dozzina di
nemici che furono presto sopraffatti, non c'era anima viva.
– Sono già partiti – Tadashi
accennò ai portelloni chiusi e ai pochi caccia ancora nel
locale.
– Non possiamo farci nulla – Yuki si tolse il casco
e lo
lasciò cadere a terra – Distruggiamo almeno questi
e
speriamo che i nostri ragazzi là fuori ce la facciano.
Fece un cenno alla squadra di artificieri, che subito
cominciò a piazzare le cariche.
– È molto strano – Tadashi s'avvicinò a uno
dei cadaveri e lo rovesciò con la punta del piede. Un
meccanoide
di Promesium – Un punto strategico così importante
e a
parte questi pochi disgraziati non c'era nessuno. E poi non ci
attaccano... cosa avranno in mente?
Anche Yuki non si sentiva tranquilla. Per far funzionare a pieno regime
una nave come quella ci volevano come minimo quaranta membri
d'equipaggio: anche ammesso che i nemici avessero subìto
delle
perdite ingenti in seguito alla loro bordata e anche ammesso che buona
parte di loro fosse uscita a contrastare i Lupi Spaziali, era
impossibile che non fosse rimasto nessuno.
– Stiamo in guardia.
– Mettetevi al riparo, Capitano!
Lei e
Tadashi s'abbassarono. Le esplosioni delle cariche risuonarono nelle loro orecchie, fumo e polvere riempirono i loro polmoni e li fecero tossire.
L'impianto antincendio entrò in funzione e i portelli che
davano
accesso al ponte superiore si spalancarono. Yuki cercò
copertura dietro una cassa metallica, ma non ci fu nessun attacco.
– Non mi piace – Tadashi la guardò
accigliato – Non mi piace per niente.
– Signorin... cioè, Capitano – Sabu si
sporse da dietro un pezzo d'ala carbonizzato – Che facciamo? Yuki si alzò.
– Restate qui. A quel punto, era
più che
sicura che i nemici intendessero tendere loro un'imboscata. Non sarebbe
stata la prima volta e non era certo la peggiore delle strategie: anche
lei, in caso d'attacco, avrebbe cercato di risparmiare i suoi uomini e
di sfruttare il più possibile ogni anfratto della nave per
ridurre le forze nemiche.
Se la Nèmesis era uguale all'Arcadia anche nella
planimetria, le
due porte che si erano aperte davano su una stretta scalinata e
terminavano nel corridoio che collegava le cabine dell'equipaggio al
ponte di comando, all'armeria, alla sala macchine e alle postazioni
d'artiglieria.
Se fossero saliti tutti insieme, sarebbero stati un facile bersaglio
per chiunque fosse stato appostato lassù e inoltre avrebbero
finito per ostacolarsi l'un l'altro, sia nell'ascesa che nello sparare.
Guardò Tadashi: dalla sua espressione, capì che
stava pensando la stessa cosa.
Gli fece un cenno e lui annuì.
Estrassero le pistole e scattarono insieme: lei s'infilò a
sinistra, lui a destra.
La scala era ripida, anche se meno stretta di quella che portava
all'hangar dell'Arcadia e meglio illuminata. Yuki salì di
corsa, rasente al muro.
Arrivata in cima, s'appiattì contro lo stipite d'acciaio,
lanciò una flashbang per accecare e stordire eventuali
nemici e uscì, il dito sul grilletto.
L'unica persona che vide fu Tadashi, all'altra estremità del
corridoio.
Lui la raggiunse, scuro in volto.
– Sembra deserto – mormorò –
Non capisco.
– Nemmeno io – Yuki attivò la
ricetrasmittente – Sabu, qui è libero.
Potete salire.
Nessuna risposta.
– Sabu, mi senti? – l'unico suono che
uscì dal trasmettitore fu un fruscio – Ragazzi, ci
siete?
– Vado a vedere – prima che riuscisse a fermarlo,
Tadashi si precipitò giù per le scale.
– È inutile – nell'altoparlante
risuonò la
voce di Lia – Ho chiuso e schermato l'hangar: siete soli
quassù. E se non farete come vi dico, lo sarete in assoluto.
Dalla tromba delle scale, Yuki sentì dei colpi.
Si sporse. Tadashi smise di sparare alla serratura
del portello e gli diede una spallata.
– Lo sapevo – sferrò un pugno
alla porta e si voltò verso di lei – Era una
trappola!
– Ora siete convinti? – ancora Lia – I
vostri uomini
non corrono pericoli, per ora. Ma se ci tenete alla loro pelle, vi
consiglio di raggiungere subito il ponte di comando. Vi do dieci
minuti: se non vi farete vedere, decomprimerò l'hangar.
Yuki si sentì mancare il fiato, Tadashi imprecò.
Mi ha giocata. Come una
principiante.
Non dubitò nemmeno per un attimo che avesse programmato e
studiato tutto nei minimi dettagli, proprio come in passato aveva
sempre fatto Feydar Zone.
Harlock non ci sarebbe
cascato.
O forse sì. Magari, pensò con una stretta al
cuore, era stato proprio lui a suggerirle quella tattica.
Tadashi risalì le scale e le si affiancò.
– Che facciamo?
– Non abbiamo scelta – Yuki rinfoderò la
pistola – Andiamo.
S'incamminarono verso il ponte di comando. Erano a metà corridoio quando la luce
mancò e un violento scossone squassò la nave.
Yuki finì addosso a Tadashi, che la prese fra le braccia e si
frappose fra lei e la parete. Un'altra scossa li fece vacillare.
– A quanto pare si stanno dando da fare, là fuori
– lo sentì sogghignare.
– Speriamo che riescano a distruggere i loro cannoni in tempo
– Yuki s'appoggiò contro il suo petto e chiuse
gli occhi
nell'oscurità.
– I Lupi sono in gamba – lui la strinse a
sé un po' più forte e più a lungo del necessario – Ce la
faranno, vedrai.
Lasciò cadere il discorso e Yuki ebbe la netta sensazione
che, come lei, stesse pensando che in realtà non era di questo,
che
voleva parlarle.
Quello sarebbe stato il momento giusto: erano soli su una nave nemica,
non sapevano cosa li aspettava né tantomeno se sarebbero
sopravvissuti... ma le
parole non le uscirono dalla gola.
No, non sapeva se sarebbe stata capace di proteggere la sua vita da lui, l'uomo a cui
doveva tutto, l'uomo che amava ancora e che avrebbe sempre amato,
nonostante tutto.
E non sapeva se avrebbe avuto la forza di costruire con l'altro uomo
che amava con tutta se stessa quel futuro che entrambi, prima che
quell'incubo cominciasse, avevano voluto e cercato con tutte le loro
forze. Non a quel prezzo. Non a costo di quella scelta.
La luce tornò e la nave tornò stabile.
Tadashi la fissò per un momento, negli occhi ancora quella
muta richiesta.
Yuki distolse lo sguardo e lui la lasciò
andare.
Tadashi estrasse la pistola dalla fondina e s'incamminò davanti a
lei,
il passo rapido mentre sostituiva la cella d'energia. L'aveva ferito
un'altra volta, forse l'ultima.
Yuki ricacciò le lacrime che le velavano gli occhi e lo seguì in silenzio.
Il portello del ponte di comando si aprì e
si trovarono davanti alla perfetta riproduzione di quello dell'Arcadia:
la stessa enorme vetrata, gli stessi pannelli di controllo spartani e
gli stessi schermi al plasma. C'era persino la poltrona del
Capitano e, dietro di essa, si intravedeva il timone di legno.
Nonostante gli scudi e lo scafo rinforzato, il locale aveva
subìto danni ingenti: l'odore di plastica e circuiti
elettrici
bruciati permeava l'ambiente e il cannoniere giaceva riverso sulla sua postazione semidistrutta,
la parte
superiore del corpo carbonizzata.
– Bene, bene – Lia Zone si alzò dalla
poltrona del
copilota e venne loro incontro – Finalmente ci incontriamo di
persona, Yuki Kei.
– A che gioco stai giocando Zone? – Tadashi si mise
fra di loro, la pistola in pugno.
– Sta' calmo, Daiba – Lia gli fece abbassare l'arma
con la
punta del dito – Non è te che voglio. Se vuoi,
anzi, puoi
anche andartene insieme ai tuoi uomini. Dico davvero. Mi basta lei.
Tadashi non si mosse. Lo sguardo di Lia si spostò da lui a Yuki
e un sorriso privo di gioia le affiorò sulle labbra.
– Oh, capisco – diede loro le spalle, s'appoggiò allo schienale del suo sedile e tornò a fissare Tadashi – Va bene, come vuoi: tutto tempo risparmiato. Alla
persona
che ce l'ha con te non interessa chi sarà a farti fuori...
anche
se per la verità ti credeva già sottoterra.
Tadashi le puntò di nuovo contro la pistola.
– Apri il portellone dell'hangar e arrenditi – le
intimò – Sei ancora in tempo per salvare la tua
vita e
quella dei tuoi compagni.
– Come ho già detto al tuo amico Zero –
Lia si
sistemò gli occhiali – Della mia vita non
m'importa
più nulla. Io sono morta assieme a Feydar. Quanto ai miei
compagni... ci unisce la vendetta o al massimo l'interesse: conta solo
il nostro scopo, nient'altro.
– Dov'è Hell Matia? – Yuki
notò solo in quel momento la sua assenza.
Lia accarezzò il pannello.
– Se credi che te lo dirò, sei davvero un'ingenua – si sistemò gli occhiali – Non m'importa nulla di lei,
ma non
voglio certo favorire voi.
– Dovresti, invece – Tadashi armò il
cane – Ho
visto come hai reagito quando ho parlato di Elpìs e delle
guardie. Tu non sei un'assassina. E non sei pazza.
Le labbra le tremarono, ma fu solo un attimo.
– E tu che ne sai? – Lia estrasse la pistola
– Sono pur sempre la sorella di Zone il traditore.
Yuki
si mise di fianco a Tadashi e gli fece abbassare l'arma.
– Hanno detto molte falsità su tuo fratello, così come ne hanno dette su Harlock. Non è stato
lui ad
ucciderlo, Lia, credimi! Lottavano in modo diverso e su fronti
differenti, è vero,
ma...
– Taci! – Lia sparò – Taci!
Yuki sentì un dolore acuto alla coscia destra.
Urlò, la gamba le cedette e crollò a terra.
– No! Tadashi si chinò su di lei, il terrore negli occhi. Yuki strinse i denti.
– Sto bene – tamponò la ferita con la mano – Non
distrarti!
Tadashi puntò di nuovo la Dragoon contro Lia ma un colpo
improvviso gliela fece volar via dalla mano. Yuki si voltò
nella
direzione dalla quale era venuto lo sparo.
Sullo schienale della poltrona del Capitano ora c'era un grosso buco
fumante.
– Matia aveva ragione – la risata isterica e
pazzoide di Lia
era uguale a quella dello Zone che ricordava – Un uomo
innamorato: la creatura
più sciocca dell'universo. Avresti potuto uccidermi come
niente,
se non ti fossi preoccupato prima di lei.
Yuki sentì il braccio sinistro di Tadashi cingerle la vita, la sua mano destra scivolare piano verso la sua fondina.
– Ti consiglio di non provarci, Daiba – Lia
accennò col
capo in direzione della poltrona – Siamo in due contro uno.
Se
morissi, chi penserebbe alla tua principessina ferita e disarmata?
– Non morirò – Tadashi le rivolse un ghigno
truce
– E nemmeno lei. C'è un futuro che ci aspetta,
sulla
Terra, alla fine di tutto.
– Davvero commovente – Lia rise di nuovo e guardò oltre la poltrona – Immagino sia stato tu a mettergli in
testa una sciocchezza del genere.
Un suono di passi cadenzati riecheggiò nel silenzio della
cabina.
Yuki li riconobbe subito e il cuore prese a martellarle nel petto.
Strinse forte la spalla di Tadashi e lo guardò. Era pallido,
aveva gli occhi spalancati e tremava. Una goccia di sudore
scavò un solco chiaro sul sangue secco che ancora gli
ricopriva
la guancia e cadde a terra.
Lo sentì ansimare mentre sollevava la Cosmo Gun e la
puntava contro Harlock.
Lui si fermò, li guardò come se avesse avuto di
fronte due estranei ed estrasse a sua volta la pistola. Un movimento fluido, privo di esitazioni.
Il dito di Tadashi esercitò una lieve pressione sul
grilletto.
Il più piccolo gesto, un solo passo da parte di
Harlock e Yuki
sapeva che l'avrebbe premuto fino in fondo. Avrebbe ucciso quell'uomo
che amava come un fratello e rispettava come un padre.
Lo avrebbe fatto per proteggere lei e il loro futuro, lo stesso che un
giorno di sette anni prima gli aveva giurato di costruire.
E non se lo sarebbe mai perdonato.
– No – mormorò fra le lacrime
– No...
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 27 *** Pugnalate alle spalle, pugnalate al cuore ***
cap 8
Sven Arngeir non era certo il genere d'uomo che Ishikura avrebbe associato al grado di Comandante delle Operazioni
Spaziali: sottile ed elegante, giovanile nonostante avesse iniziato ad
ingrigirsi sulle tempie e impeccabile nella sua divisa tagliata su
misura, pareva più un uomo d'affari che un militare.
Persino il suo portamento e il suo modo di parlare erano quelli d'un
civile. Pur senza essere una spia addestrata a leggere il linguaggio
del corpo come Sylviana, la differenza era evidente ai suoi occhi:
tutti i militari che aveva conosciuto, a partire da suo padre e Takeshi
per finire con il Capitano Zero e lui stesso, portavano i segni dei
loro anni sotto le armi nel contegno e nel modo di parlare;
persino Minoru, che aveva interrotto la carriera subito dopo il diploma
in Accademia, sfoggiava ancora un portamento rigido ed eretto e parlava
con una voce stentorea la cui unica definizione poteva essere,
appunto, “marziale”.
Il Comandante riempì a metà il
sottile calice davanti a lui e vi lasciò cadere un cubetto di
ghiaccio. I suoi movimenti, così come la sua voce, erano
lenti e misurati.
– Bourbon,
Signor Ishikura? – domandò con un sorriso cortese.
Ishikura fece un gesto di diniego e s'assestò meglio sulla poltroncina di
pelle davanti all'enorme scrivania dell'alto ufficiale.
– No, grazie.
– Immagino si
stia chiedendo il motivo per cui l'ho convocata così
d'urgenza – Arngeir fece oscillare il liquido nel bicchiere e
lo fissò attraverso il cristallo lucido – In
realtà è molto semplice: vorrei che mi fornisse
delle informazioni.
– Di che genere?
– La missione
della Karyu – il Comandante sorseggiò il suo
liquore e vi aggiunse un altro cubetto di ghiaccio – Dato il
suo grado, immagino sia a conoscenza degli obiettivi, delle specifiche
e delle limitazioni a essa collegate. Ebbene: ci sono cose che non mi
convincono in tutta questa faccenda. Molte cose.
Il Comandante spostò lo sguardo da lui a Sylviana, che lo
ricambiò con un sorriso di circostanza mentre giocherellava
col pulsante d'una penna a sfera che aveva preso dalla borsa.
– Le
concessioni fatte al Capitano Zero e la segretezza intorno alla sua
missione, ad esempio... non le paiono eccessive?
Ishikura intrecciò le dita davanti a sé.
– Se si
trattasse di catturare un pirata qualsiasi, sarei d'accordo – fissò il Comandante – Ma è del famoso Harlock che stiamo parlando.
– Già.
Di Harlock e del Capitano Zero – Arngeir posò il
bicchiere – Due figure alquanto controverse i cui sentieri si
sono già incrociati, in passato. Secondo lei,
perché la povera Signora Kei avrà affidato
proprio a lui un incarico del genere? Warius Zero è amico di
Harlock, al punto da rinunciare a una fulgida
carriera e addirittura rischiare il congedo con disonore pur d'evitare di doverlo
combattere ancora... inoltre è rimasto lontano dalla Terra per
più di sei anni. Se cercava qualcuno capace di sconfiggere
quel pirata, la Flotta Unita è piena d'ufficiali
altrettanto validi, se non addirittura migliori. Si sarebbe
potuta formare addirittura una squadra...
– Andiamo,
Comandante – Sylviana attorcigliò una ciocca di
capelli attorno alla penna e si sporse verso di lui – Non mi
dica che davvero non riesce a immaginare le ragioni di una donna che,
per colpa di una persona di cui si
fidava come un fratello, ha perso tutto ciò
che aveva di più caro. La poverina non voleva ammazzare
Harlock: voleva capire il perché
delle sue azioni... e almeno lei ci è riuscita.
Sylviana svolse la ciocca giro dopo giro, gli occhi fissi su Arngeir.
– Herakles.
Ishikura la guardò a bocca aperta.
Cosa diavolo
avrà in mente?
Non era previsto di spingersi fino a quel punto con le rivelazioni: il
loro scopo era trovare le informazioni di cui avevano bisogno e le
prove necessarie a incastrare chiunque stesse dietro alla rinascita di
quell'abominevole progetto e alla fuga d'informazioni e dati dal
Ministero, non informare un potenziale nemico dei loro progressi.
Arngeir rise.
– Capisco. Vuoi giocare a carte scoperte, eh,
Blossom?
– Allora ci
avevo visto giusto – Sylviana si alzò di scatto
– Sei davvero tu!
Successe tutto così in fretta che Ishikura non ebbe il tempo
di fare nulla.
Sylviana saltò sulla scrivania.
La poltrona di Arngeir cadde a terra con un tonfo. Il Comandante s'alzò ed estrasse la pistola dal cassetto. Sylviana lo disarmò con
un calcio al polso prima ancora che avesse il tempo di togliere la
sicura, saltò giù dalla scrivania, lo
colpì al viso col palmo della mano aperta e lo
afferrò per il bavero della giacca.
Arngeir vacillò ma non cadde: s'aggrappò al braccio di Sylviana, si piegò in
avanti e le sferrò un pugno. Lei schivò
di lato, passò sotto il suo braccio teso e si
portò alle sue spalle. Lo immobilizzò come aveva
fatto con Mayu su Heavy Meldar e gli puntò alla gola la
penna con cui aveva giocato sino a poco prima.
– Avanti
– sibilò al suo orecchio – Dammi una scusa per
farlo.
Ishikura si alzò e aggirò la scrivania. I cocci
del calice scricchiolarono sotto i suoi piedi.
– Sylviana! Ma
che...
– Non ho tempo
per spiegarti – lei accennò col capo alla pistola
a terra – Prendi quella e la sua chiave elettronica e accedi
al database.
– Ma sei
impazzita?! Dovevi farlo tu! E poi le telecamere...
– Nella mia
borsa c'è un giocattolino che il tappo ha preparato apposta – serrò la presa sul collo del Comandante –
Basterà che tu prema il pulsante rosso e avrai tutto il
tempo che vorrai. Quanto al disco esterno, funziona da solo,
una volta collegato. Per tutto il resto... sei un soldato: saprai
almeno disfarti di qualche guardia, spero.
– Ma la nostra
copertura...
– Svegliati,
Boy Scout – lei lo guardò, dura – La nostra
copertura è già saltata da un pezzo, se mai ha
retto. Questo qui non è Sven Arngeir: era nei Rosa Rossa,
nome in codice Thorn. Mi conosce e non mi stupirei se questa fosse una
trappola.
– Sveglia come
sempre, mio splendido bocciolo – Arngeir, o Thorn a quel
punto, rise – Non per niente sei sopravvissuta a tutti i
nostri compagni.
– Nostri?
– Sylviana avvicinò la punta della penna alla sua
giugulare – Nostri?!
Hai un bel coraggio, dopo averci venduti in quella maniera infame!
Lui non si scompose.
– C'erano in
gioco la mia sopravvivenza, un posto di Comandante qui al Ministero e
una causa superiore. Avresti fatto lo stesso anche tu. Tutti hanno il
loro prezzo, ricordi?
Lei serrò ancora di più la presa.
– Taci
– gli ringhiò – Non dire un'altra
parola o giuro che t'infilerò questa in gola e ti
lascerò qui ad affogare nel tuo stesso sangue... e sarebbe
una morte sin troppo clemente per un bastardo come te!
– Sylviana,
calmati – Ishikura le si avvicinò – Il
nostro scopo è trovare delle prove, ricordi? Non...
Lei lo fulminò con lo sguardo.
– Sei ancora
qui? Non
fartelo ripetere un'altra volta, Shizuo: vai. Fa' il tuo dovere e non
impicciarti: questa è una storia che non ti riguarda.
Ishikura le afferrò un braccio.
– Col cavolo,
che non mi riguarda! Sto rischiando la
pelle anch'io, qui!
– Mi spiace
– lei lo guardò negli occhi e per un attimo la sua
espressione piena di furia scomparve – Dico davvero, Boy
Scout. Ma è tutta la vita che cerco questo traditore per
avere delle risposte... e le avrò, a ogni costo.
– Finirai per
farci ammazzare entrambi, stupida – le urlò
– Meno male che sarei io l'incosciente che si butta a
capofitto nei guai senza pensare alle conseguenze! Lei si liberò dalla sua presa.
– Avrai tutto
il tempo di fare quello che devi, lo prometto – avvicinò la punta della penna alla gola di Thorn
– L'importante è che almeno uno di noi due esca di
qui vivo e con le informazioni che servono ai capi, giusto?
Che testarda!
Ishikura serrò il pugno, furioso. Se fosse stata un uomo,
l'avrebbe colpita.
– Non ti
lascio qui a farti ammazzare. Lei s'accigliò.
– Piantala con
la tua stupida cavalleria! Io non mi muoverò di
qui e tu hai perso già fin troppo tempo. E poi, chi te lo
dice che finirò male? Non sono una principessina indifesa e
non ho alcuna intenzione di lasciarci le penne. Vai, adesso.
– Non...
– Muoviti!
La guardò negli occhi e capì che non ci sarebbe
stato verso di convincerla.
Inoltre, arrivati a quel punto, se avesse lasciato andare Arngeir,
Thorn o chiunque diavolo fosse quel tizio, sarebbero stati nei guai
fino al collo, ancor più di quanto non lo fossero
già.
Imprecò tra i denti, prese la chiave dalla scrivania,
afferrò la borsa di Sylviana e uscì
nell'anticamera. Minoru lo attendeva appoggiato alla parete.
– Tutto a
posto, fratellino? – gli domandò allegro
– Hai una faccia... non dirmi che il Comandante ha deciso di
rimandarti sulla Kagero!
– No.
Minoru si guardò intorno e varcò la soglia
che li avrebbe immessi nel corridoio.
– Dov'è
Sylviana?
– Ancora col
tuo capo – Ishikura tirò fuori la chiave elettronica
– M'ha dato questa e m'ha chiesto di recuperare per lui
alcune informazioni dal database centrale.
– Il
Comandante ti ha chiesto una cosa simile? – Minoru si
grattò la nuca – Davvero strano: una procedura del
genere infrange tutte le norme di sicurezza di questo posto. Avrebbe
dovuto chiederlo a me. Non prendertela, fratellino, ma in questi casi
la prassi richiede che chiami la sicurezza e controlli che il
Comandante stia bene.
Ishikura sudò freddo. Guardò in faccia Minoru e
ripensò a ciò che Sylviana aveva detto di lui.
Ricordò le sue lacrime al funerale di Takeshi, il calore
del suo braccio attorno alle spalle mentre il giudice leggeva la
sentenza d'ergastolo, i loro giochi di bambini, tutte le stupidate che
avevano fatto insieme e i segreti, grandi e piccoli, che avevano
condiviso negli anni.
È mio
fratello, dannazione!
Ed era anche l'unica persona che poteva aiutarlo, arrivati a quel
punto. Lo afferrò per il braccio.
– Aspetta,
Minoru.
Chiuse gli occhi, respirò a fondo e lo guardò dritto in faccia.
– La
verità è che sono in missione
– lo lasciò andare
– Io e Sylviana abbiamo l'incarico di recuperare certe
informazioni dal vostro database. Lei non è la mia ragazza,
non è incinta e il Capitano Zero non m'ha cacciato dalla Karyu. Mi spiace d'averti mentito, ma non
volevo coinvolgerti. Non lo vorrei nemmeno adesso, credimi.
Gli accennò di seguirlo e uscì nel corridoio.
– Ma la
missione della Karyu non era la cattura di Harlock? – Minoru
lo affiancò e lo guardò stupefatto
– Che c'entra il nostro database?
Salirono sull'ascensore. Ishikura inserì la chiave del
Comandante nella fessura e premette il pulsante che li avrebbe portati al piano
più basso e protetto del Ministero. Per fortuna, Sylviana aveva insistito perché studiassero
entrambi la pianta dell'edificio e il funzionamento dei vari sistemi di sicurezza.
– Durante le
nostre indagini, abbiamo scoperto che forse Harlock non è
soltanto impazzito – s'appoggiò alla
parete e premette il pulsante di stop – Non ne siamo sicuri
al cento per cento, ma a quanto pare la sua mente è sotto
controllo. Qualcuno ha ricominciato con quella mostruosità,
Minoru.
– Intendi...
Ishikura annuì cupo.
– Il progetto Herakles
– sospirò – È proprio come allora: qualcuno ha ripreso quei
folli esperimenti sui chip Hardgear e sui tracciati neurali e qualcun
altro, da qui, lo sta aiutando con mezzi e informazioni. Devo scoprire
chi è, e soprattutto che genere d'aiuti ha già
fornito a quei pazzi.
– Sospetti del
Comandante?
– Non so se si
tratti di lui o di qualcun altro, ma chiunque sia è
abbastanza in alto nella scala gerarchica da avere accesso al database
e il permesso di replicarne i dati – gli mise entrambe le mani sulle spalle – Ti prego, aiutami, Minoru... devo scoprire la
verità!
Minoru premette il pulsante di stop e l'ascensore ripartì.
– Dammi la
chiave, Shizuo – gli tese la mano – E lascia
parlare me.
Ishikura gli sorrise da dietro un velo di lacrime.
– Grazie,
fratellone.
– Non
piagnucolare – Minoru gli diede un buffetto sulla guancia
– E se hai qualche arma addosso, dammi anche quella: dovremo
passare il metal detector e la perquisizione delle guardie. Anche se
sei con me, sarebbe meglio che non attirassi l'attenzione.
Ishikura tirò fuori la pistola da sotto la giacca e la porse a
Minoru, che lo guardò con gli occhi spalancati.
– La pistola
del Comandante... Non gli avrete fatto del male, spero?
– Quando me ne
sono andato, era vivo e vegeto.
Ishikura aggrottò la fronte,
inquieto. Non sapeva cosa gli avrebbe fatto Sylviana... e per la
verità preferiva non pensarci.
Era evidente che provava un rancore profondo nei confronti di
quell'uomo: lo aveva attaccato in maniera diretta, senza alcuna
precauzione, e il suo desiderio d'ucciderlo trapelava
da ogni parola, da ogni gesto.
Si chiese cosa fosse successo fra quei due in passato: lui aveva
accennato al fatto che lei fosse sopravvissuta ai loro compagni, lei lo
aveva accusato d'averli venduti.
Un'altra vendetta...
A quanto pareva, era finito nel bel mezzo di un'inesauribile spirale d'odio.
Mentre seguiva Minoru attraverso l'ultima delle porte blindate del
piano interrato, si chiese se ne sarebbe mai uscito, se prima o poi
sarebbe finita.
– Buonasera,
Locke – Minoru salutò le guardie con il suo solito
sorriso allegro – Satou...
– Sempre su e giù, eh, Ishikura? – una delle due guardie, Locke,
accennò al metal detector.
– Preferirei farlo con una bella donna – Minoru gli porse la pistola e gli strizzò l'occhio –
Ma non mi lamento.
Ishikura ammirò il suo sangue freddo mentre passava sotto al
rilevatore e andava ad appoggiarsi alla parete a gambe divaricate.
Almeno su una cosa Sylviana aveva ragione: suo fratello era un attore
migliore di lui.
– E lui?
– l'altra guardia s'avvicinò e lo
squadrò da capo a piedi – Non mi dica che
è il suo famoso fratello, l'eroe decorato al valore!
È proprio vero quel che diceva: vi somigliate come due
gocce d'acqua!
Minoru rise.
– Buon sangue
non mente – allargò le braccia e si
lasciò perquisire – Potrebbe finire a lavorare qui, se
tutto va bene. Il Comandante ha bisogno d'un paio di rapporti e,
già che c'eravamo, m'ha dato il permesso di mostrargli il
Sancta Sanctorum.
Satou si avvicinò a Ishikura, lo fece passare sotto al metal
detector e poi appoggiare alla parete di fianco a Minoru.
– Vedrà
che non si sta poi tanto male, qui – gli fece allargare le gambe e iniziò a perquisirlo – Dopo un
po', si fa il callo anche a questo.
– Già
– Minoru riprese la pistola, digitò qualcosa sul
tastierino della serratura elettronica, si sottopose alla scansione
della retina e infilò la chiave di Arngeir nell'apposita
fessura – E si finisce per odiare porte e chiavistelli. Avete finito?
– Pulito come
un bimbo appena uscito dal bagnetto – Satou lo lasciò andare –
Buona visita.
Ishikura gli sorrise impacciato e si affrettò a raggiungere
Minoru all'interno.
La
pesante porta di metallo si richiuse alle loro spalle e lui s'asciugò il sudore dalla fronte. Minoru lo guardò serio.
– Va bene, ci
siamo. E
adesso?
Ishikura si guardò attorno.
Ricordò le piantine e le foto di Yattaran, le parole di Yuki
e quelle di Sylviana.
Si trovavano in una stanza a prova d'effrazione, dotata di muri
antiproiettile, porta blindata a chiusura ermetica, allarme interno,
impianto di depurazione per l'aria con filtri antigas e due generatori
autonomi di corrente.
Cinque telecamere dotate di filtri termici e a infrarossi erano
puntate sul computer al centro della sala e trasmettevano la loro
immagine su altrettanti schermi montati su un enorme pannello.
Secondo Sylviana, tutto quanto veniva registrato, analizzato e
conservato, inclusi i log degli accessi e le chiavi di ricerca.
– Adesso,
accedi come faresti normalmente.
Minoru andò a sedersi al computer, scrocchiò le
dita e avviò la procedura di riconoscimento.
Ishikura sbirciò da sopra la sua spalla mentre immetteva
password su password.
Fu lieto d'avergli chiesto aiuto: tutto l'iter era molto
più complicato di quanto avesse immaginato e non sapeva se
da solo sarebbe riuscito non soltanto ad accedere all'archivio
elettronico, ma addirittura a entrare in quella stanza.
La schermata del database si aprì: un motore di
ricerca su milioni di miliardi di files.
Ishikura aprì la borsa di Sylviana e ne tirò fuori
quella che a prima vista aveva tutto l'aspetto d'una comunissima
agenda elettronica. Premette il pulsante rosso d'accensione e le immagini sugli schermi si bloccarono in un loop che
mostrava Minoru intento a digitare sulla tastiera e lui immobile
alle sue spalle, appoggiato allo schienale della poltroncina.
– Signor Yattaran,
lei è un genio – mormorò ammirato.
Fece un cenno a Minoru e lo sostituì al computer.
Prese dalla borsa l'hard disk esterno che Yattaran aveva camuffato da
telefono cellulare e Sylviana decorato con adesivi e brillantini e lo
collegò alla porta esterna del computer.
Sul monitor s'aprì una finestra sulla quale scorrevano a velocità elevatissima migliaia di stringhe.
Minoru impallidì.
– Un programma
di hacking? – boccheggiò – Ma hai
idea di cosa stai tentando di violare?
– Fidati
– Ishikura asciugò una goccia di sudore dalla fronte
– Chi lo ha progettato sa il fatto suo.
Il firewall non li bloccò e non scattò alcun
allarme.
Sullo schermo si aprì un'altra finestra con una lista di
file e cartelle: i risultati della ricerca.
– Sono quasi
tutti file criptati – osservò Minoru –
Roba top secret.
– Non pensavo
che esistesse tutta questa documentazione su Herakles e sulla
Nèmesis – Ishikura scorse la lista mentre una barra
di scorrimento lo avvertiva dell'inizio della copia –
Yattaran e i due Dottori avranno di che lavorare.
– Temo di no,
fratellino.
Si voltò. Minoru gli puntava contro la pistola
del Comandante, l'espressione triste.
Tese la mano verso di lui.
– Dammi
quell'hard disk.
Ishkura lo guardò incredulo, incapace di muoversi o dire
alcunché. Sentiva qualcosa al petto, come se al posto del cuore gli si
fosse aperta una voragine, come se qualcuno gli avesse appena sferrato una
coltellata.
No... non è
possibile!
– Minoru, ma
cosa... – si alzò e mosse un passo verso di lui.
– Non muoverti. Dammi quell'hard disk,
Shizuo.
– Cos'è,
uno scherzo?
– Ho cercato
di tenerti fuori da questa storia – Minoru aveva gli occhi lucidi – Ho fatto di tutto: t'ho chiesto di
lasciare l'esercito, t'ho proposto di mediare... diavolo, avevo
persino organizzato il tuo matrimonio! Adesso hai una sola
possibilità di uscirne tutto intero: dammi quell'hard disk e
rispondi alle domande che ti faremo. Lo dico per il tuo bene.
Ishikura strinse i pugni.
– Per il mio
bene? – gli urlò – Ma che stai
dicendo, Minoru? Sei impazzito? È del progetto Herakles che
stiamo parlando!
Lui non si mosse né cambiò espressione.
Continuò a guardarlo in silenzio, triste come quando gli
aveva raccontato dei suoi incubi, come quando gli aveva detto di capire
le ragioni di suo padre.
– No, dimmi
che non è vero – Ishikura sentì le
lacrime bruciargli gli occhi, la voce gli si spezzò
– Dimmi che non sei anche tu come lui!
– Sono suo
figlio – Minoru armò il cane e gli si avvicinò di un passo
– E sono tuo fratello. Sei tutto ciò che mi resta
a questo mondo, Shizuo, e sono disposto a tutto pur di proteggerti... anche a commettere le peggiori bassezze, anche a diventare un mostro.
Le sensazioni che Ishikura aveva provato nel sentire le giustificazioni di suo padre lo riassalirono, moltiplicate mille volte: rabbia, orrore, senso di colpa.
– Sei malato
– strinse nella mano l'hard disk. Un bip lo
avvisò della fine delle operazioni di copia – Sei
malato, Minoru!
Una risata sommessa lo fece voltare verso la porta.
In piedi appoggiato allo stipite c'era Thorn. Illeso.
La voragine nel petto s'allargò ancor di più.
Sylviana...
– Minoru non
è affatto malato, glielo assicuro, Vice-Comandante Ishikura
– l'alto ufficiale gli si avvicinò e gli
strappò di mano l'hard disk – Ha solo ottime
ragioni per stare dalla nostra parte... e presto le avrà
anche lei.
– Io dalla
vostra parte? – ringhiò – Mai. Preferisco
morire.
– Cambierà
idea – Thorn sollevò l'hard disk –
Scommetto che qui dentro c'è la copia di una certa lista.
Che ne dice di dare un'occhiata? Minoru gli abbassò la
mano, bianco come un lenzuolo.
– Non ce
n'è bisogno – aggrottò la fronte – Lasci che ci pensi io.
Thorn s'appoggiò alla sedia e fece un
lungo sospiro.
– Ah, l'amore
fraterno... Non vi invidio: rende tutto più
complicato. Va bene, Minoru – assentì – Ma se entro stasera non avrai risolto
niente, faremo a modo mio. E se nemmeno questo dovesse bastare...
Si portò l'indice alla fronte in un gesto eloquente.
Ishikura si sentì gelare. Guardò Minoru, che non
reagì.
Si sentì tradito, arrabbiato, triste in una maniera che non
avrebbe mai creduto possibile.
Soprattutto arrabbiato, anzi, furioso.
Fletté le gambe, tirò indietro il braccio,
serrò il pugno e sferrò a suo fratello un diretto alla
mascella. Minoru fece un mezzo giro su se stesso e finì a
terra. Ishikura si piegò su di lui e lo afferrò per il
colletto.
– Sai una
cosa? – gli urlò con gli occhi che bruciavano
– In tutti questi anni sei stato il solo motivo per cui non
ho mai cambiato nome! Anche se siamo sempre stati diversi come il
giorno e la notte ti volevo bene e mi
fidavo di te! Ma adesso... adesso mi vergogno di essere tuo
fratello, più di quanto mi sia mai vergognato di
essere figlio di nostro padre!
Minoru si asciugò un rivoletto di sangue dalle labbra e gli
puntò di nuovo contro la pistola.
Ishikura lo scrollò.
– Avanti,
fallo! Spara!
Preferisco morire piuttosto che diventare un burattino ai vostri ordini e tradire i miei compagni!
Minoru lo guardò e abbassò la pistola.
Ishikura gliela strappò di mano e la puntò sul Comandante, che
non si scompose.
– Mi ridia
quell'hard disk.
– E come pensa
di uscire da qui?
– Non sono
affari suoi. Dov'è
la mia partner? Cosa le ha fatto?
– Io?
– il Comandante rise – Proprio nulla, a parte ricordarle da chi
deve prendere gli ordini.
Ishikura sentì un'improvvisa trafittura sul collo. Un profumo
familiare gli solleticò le narici e una mano sottile gli
accarezzò il taglio sulla gola al di sotto del colletto.
Si voltò.
– Sylviana?
– Mi spiace,
Boy Scout – i contorni del suo viso erano già
confusi dall'effetto dell'anestetico – T'avevo avvertito.
Tutti hanno un prezzo: i fratelli che dicono di amarci... e
soprattutto i mercenari come me.
Le gambe gli cedettero e cadde sul pavimento. Avrebbe dovuto sentire
dolore, ma tutto quello che avvertì fu una leggera botta al
fianco e una vaga sensazione di freddo attraverso la stoffa della
divisa, neanche lontanamente paragonabili al dolore e al freddo che
gli attanagliavano il cuore.
Una lacrima che non riuscì a trattenere gli scese lungo la
guancia, poi il suo mondo si fece buio, ovattato. Accolse l'incoscienza quasi con sollievo.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 28 *** Irruzione ***
cap 8
Mayu controllò per l'ennesima volta il livello di
carica delle
celle d'energia della sua Dragoon, la infilò nella
fondina e s'avvicinò a Zero.
– Sono pronta.
Lui la fissò pallido, l'ombra del
dubbio nello sguardo. Mayu abbassò il capo.
– Vorresti
rimandarmi indietro, vero?
Lui si tolse il cappello da Capitano e lo sostituì con lo stesso pesante
elmetto che avevano dato a lei.
– Sì. Là fuori
è molto
peggio di quanto temessi. Ma non ti costringerò.
– Ti ringrazio.
– Non farlo. Forse mi
odierai per avertelo permesso, sempre...
S'interruppe e scosse la testa, ma lei sapeva a cosa stava pensando.
Sempre che ne usciamo
vivi.
Mayu serrò il pugno. La pelle sintetica dei guanti frusciò.
Osservò Zero stringere i lacci del giubbotto protettivo e
sistemare la fondina della Gravity Sabre perché la canna non
gli
desse noia durante la corsa.
– Non
succederà – gli mise una mano sul braccio
– Ce la faremo, vedrai.
Lui accennò un sorriso, guardò l'orologio e la
sua espressione tornò tesa.
– È
ora. Quando apriranno il
portello, mettiti accanto me e restaci qualunque cosa accada. Segui le
istruzioni che ti darò di volta in volta e non predere iniziative: potresti mettere in pericolo non solo te stessa, ma anche i
nostri compagni.
– Va bene
– Mayu lo seguì davanti al portellone.
La squadra di sbarco era formata da una cinquantina di membri, di cui
venti, lei e Zero inclusi, equipaggiati per l'incursione.
– Finalmente
ci siamo, eh? – Grenadier venne loro incontro, un sorriso
allegro stampato sul volto irsuto –
La resa dei conti...
– Già
– Zero ricambiò il suo sguardo, serio –
Siete pronti, tu e la tua squadra?
– Io sono nato
pronto – l'ex
mercenario gli diede una pacca sulla schiena – Quanto ai miei
ragazzi, faranno bene a essere più che pronti, altrimenti,
oltre a quelli dei nemici, spaccherò anche i loro...
Zero si schiarì la voce e guardò verso Mayu con
un eloquente cenno della testa.
Grenadier scoppiò a ridere.
– Oh, giusto! – si grattò la nuca – Chiedo
scusa, Signorina Oyama.
Mayu non riuscì a trattenere un sorriso.
– Non importa,
Grenadier – gli strizzò l'occhio – Ho
sentito di peggio, comunque.
– A tutto l'equipaggio
– la voce di
Marina echeggiò metallica all'interno dell'hangar attraverso
gli
altoparlanti – Prepararsi all'atterraggio in
modalità
difensiva. Torri di prua, passare al fuoco di copertura al mio segnale;
squadre di sbarco, raggiungere i mezzi e prepararsi alla partenza.
Aprire il portello in dieci, nove, otto...
Zero e Grenadier scattarono verso i rispettivi Bullet, seguiti dai loro
uomini.
Mayu seguì di corsa il Capitano e andò a
sederglisi di fianco.
Lo guardò di sottecchi mentre il conto alla rovescia
procedeva
inesorabile verso la fine: il suo volto era ancora teso ma in lui,
adesso, vedeva anche un'enorme determinazone.
Come aveva detto sul ponte di comando, era ora di farla finita.
Il portellone si spalancò con un tonfo sordo, Zero premette
sull'acceleratore e il Bullet schizzò in avanti.
La prima cosa che Mayu vide di Futuria fu un cielo grigio in cui
turbinavano fiocchi di neve e raggi laser, seguiti da uno spruzzo di
nevischio, fango e pietre che inzaccherò il vetro davanti a
lei.
– Signor
Markell – Zero diede una brusca sterzata – Alla
mitragliatrice!
La sua voce fu coperta dall'esplosione del proiettile di un'arma
anticarro a pochissimi metri dal punto in cui si trovavano prima. Il
Bullet sobbalzò, restò per un
interminabile
attimo in equilibrio precario sui cingoli di destra e infine si
riassestò.
– Mayu, tieni
giù la testa e reggiti
forte – sentì la voce di Zero solo
perché era
vicinissimo a lei, e questo nonostante stesse urlando – Aki,
pronti a uscire non appena avremo sfondato!
Uno dei Bullet davanti a loro esplose. Rottami, sassi, neve e altri
frammenti alla cui origine Mayu non voleva pensare s'abbatterono sul loro mezzo.
Zero digrignò i denti, guardò nel mirino e
premette un pulsante.
Qualcosa, a qualche centinaio di metri davanti a loro, saltò
per aria.
Alle loro spalle si sentì un grido e Markell si
accasciò sui sedili posteriori.
Dal suo collo, forato da parte a parte, il sangue sgorgava a fiotti.
Aki lo sostituì al mitragliatore mentre Bright, uno degli
infermieri del Dottor Machine, s'affaccendava a tamponare la ferita
nello spazio angusto del mezzo che continuava a sobbalzare.
–
Resta sveglio, Markell – gli iniettò qualcosa –
Resta sveglio!
Un'altra esplosione li fece sobbalzare. Mayu distolse lo sguardo dalla
tragica lotta tra la vita e la morte che si stava svolgendo sui sedili
posteriori e lo riportò davanti a sé.
Avevano oltrepassato i cancelli d'ingresso del palazzo di Vorder, un
enorme rudere ormai pericolante. Da
dietro il vetro blindato del finestrino, vide i nemici: meccanoidi di
Promesium, tutti neri, uguali e armati fino ai denti.
Si muovevano a scatti, con eccezionale agilità.
–
Ma dove accidenti hanno preso quelle armi? – Omur,
l'artificiere
della squadra, imprecò – Nemmeno nelle squadre
d'assalto
abbiamo una dotazione del genere!
Mayu osservò le loro armi. Erano equipaggiati con granate,
fucili d'assalto e armi pesanti, alcuni delle quali non aveva mai visto.
–
Adesso ne sono sicuro – l'espressione di Zero si fece
rabbiosa – Il Ministero è coinvolto.
Con un'altra brusca sterzata, fermò il mezzo di traverso
rispetto al portone e alle barricate nemiche.
Aki, Omur e gli altri due membri della squadra spalancarono le
portiere,
cercarono copertura e cominciarono a sparare. Mayu fece per uscire a
sua volta, ma Zero la trattenne.
–
Con me – le ricordò.
Lo seguì a testa bassa fuori dal Bullet, si
chinò accanto a lui dietro il cofano e
cercò d'aiutarlo a sbarazzarsi dei
nemici.
Colpire un meccanoide in movimento era difficile, soprattutto nel mezzo
di una battaglia caotica come quella, col cuore che le batteva a mille,
la nausea che le rivoltava lo stomaco
e la mano che tremava.
–
Dov'è la squadra di Grenadier?
–
Ad assaltare il retro dell'edificio – Zero si
abbassò poco
prima che il raggio di un folgoratore lo centrasse alla testa
– Li ho visti girare
l'angolo. C'erano ancora tutti.
Ci fu un'altra esplosione poco distante e il corpo smembrato e in
fiamme di uno dei soldati della Karyu superò in volo il loro
mezzo per andare a schiantarsi chissà dove nel nevischio fangoso del campo di battaglia.
Mayu sentì in bocca il sapore amaro della bile
e capì perché sia Yuki che Tadashi, pur
essendo due
combattenti di prima categoria, desiderassero così tanto la
pace; capì perché sia Harlock che suo
padre
avevano desiderato che lei crescesse sulla Terra, lontano dalle guerre
che insanguinavano lo spazio.
Forse, quando si fosse trovata davanti a lui, Harlock avrebbe
disapprovato ciò che era diventata. Scosse la testa e si morsicò il labbro.
No! Non è il momento di
pensare a questo!
–
Bright
scivolò accanto
a loro dietro il cofano del bullet. Aveva sangue fin sulle sopracciglia
l'aria stremata, ma nonostante ciò
impugnava la pistola. – Markell è morto, Capitano.
–
Non possiamo fare nient'altro per lui – Zero non si
voltò, ma la sua voce tradiva la tristezza – I
nemici qua fuori sono quasi sgominati. Raggiunga
gli altri e controlli che stiano bene: tra poco faremo irruzione.
L'infermiere gli fece un rapido cenno d'assenso e corse verso il punto
in cui si erano riparati gli altri membri della squadra.
–
Grenadier, mi senti? – Zero sintonizzò la
trasmittente, scostò l'elmetto e premette l'auricolare
contro
l'orecchio – A che punto siete?
Mayu lo vide aggrottare le sopracciglia.
–
Sì, anche noi abbiamo subìto delle perdite
–
confermò cupo – Markell – una pausa
– Non so.
Non li vedo e non riesco a contattarli. Temo... – si
interruppe
– Sì. Al mio segnale, allora.
Si sporse oltre la carrozzeria del mezzo, puntò la pistola,
centrò l'ennesimo nemico e si riabbassò. Mayu fece lo stesso. Il meccanoide a
cui
aveva mirato cadde fra fiammate e scariche elettriche, si
contorse nella neve e rimase immobile.Zero
si
rimise in piedi.
–
Squadra Uno! Al mio tre, corriamo tutti all'ingresso – urlò a squarciagola per coprire il rumore
assordante dello scontro
– Uno, due...
tre! Alla porta!
Scattò e Mayu cercò di tenergli dietro mentre
correva a zig zag verso il cadente
portone d'ingresso dell'edificio.
Di solito era un'abile velocista e aveva anche una discreta
resistenza, ma il fumo denso e acre che aleggiava sul campo di
battaglia le faceva bruciare la gola e lacrimare gli occhi, mentre il
terreno era così viscido e accidentato che anche solo
rimanere in equilibrio era una fatica nonostante gli stivali anfibi.
Mentre sparava per
coprire se stessa e Zero, sperò con tutto il cuore di non
inciampare, o sapeva che sarebbe rimasta lì.
A un certo punto, Zero la afferrò per un braccio e la fece
appiattire contro il muro accanto al portone d'ingresso.
Mayu s'appoggiò e respirò a bocca spalancata per
riprendere fiato.
– Sei stata
brava – ansimò Zero
– Ora preparati.
Bisognerà fare come ti ho spiegato mentre scendevamo
nell'hangar. Ricordati: copri solo il tuo settore. Al resto penseremo
noi.
Lei annuì, sollevò il visore dell'elmetto e si
asciugò il sudore.
Bright, Aki, Omur e un paio d'altri uomini li raggiunsero da diverse
direzioni.
Zero scrutò il campo di battaglia, accigliato.
Il terreno era cosparso di rottami, armi, cadaveri e parti di
meccanoidi e corpi vivi, morti o agonizzanti ma, almeno a prima vista,
le perdite fra i soldati parevano contenute.
– Dove sono gli
altri? – domandò
ai due che li avevano raggiunti.
– Li abbiamo persi
di vista, Capitano – quello
che pareva il più anziano si piegò in due,
ansimante –
Il loro mezzo è stato colpito poco prima dei cancelli.
–
Sì – Zero premette di nuovo l'auricolare contro
l'orecchio
e aggrottò la fronte – Bene, capisco. Ve lo
manderò
– si voltò verso gli altri membri della squadra
–
Signori, ho appena ricevuto una comunicazione dal Signor Rai: non
arriverà nessun altro a darci manforte, ma la situazione qui fuori
sarà presto sotto controllo. Prepariamoci a fare irruzione.
Signor Bright, lei vada a rapporto dal Signor Rai e dia tutta
l'assistenza medica possibile alle squadre qua fuori.
–
Agli ordini, Capitano – l'infermiere scattò
sull'attenti e schizzò via.
–
Bene, pronti al mio segnale. Omur, prenda il posto di Bright come
ultimo in coda.
Zero sferrò un calcio alla porta e si lanciò in avanti tenendo il
puntamento
frontale mentre Mayu e gli altri membri della squadra si avvicendavano
nel tener d'occhio i settori di destra e sinistra. Omur chiudeva la
fila.
–
Libero – mormorò Zero – Dividersi in
Aplha e Bravo.
In assoluto silenzio, il team si separò in due squadre che
andarono ciascuna a coprire un lato in modo da darsi protezione a
vicenda per un'ampiezza di centoottanta gradi.
Mayu ammirò la loro tecnica: gli abbordaggi dei pirati, da
come
glieli avevano descritti Yuki e soprattutto Tadashi, erano assalti
caotici portati con tutte le forze, il cuore, i mezzi e il coraggio
possibili,
ma ben poca strategia.
Nel caso dell'Arcadia qualcosa c'era, per merito
di Harlock... e a sentire Yuki era proprio quello a fare la differenza.
Purtroppo, non tutto
ciò che il Capitano sapeva ed era in grado di fare poteva essere
appreso e soprattutto messo in pratica
da dilettanti come i membri del suo equipaggio, mentre Zero e i suoi
compagni erano tutti professionisti, e si
vedeva: non una loro mossa era lasciata al caso, non una parola in
più veniva pronunciata.
Si guardò intorno mentre avanzavano.
Davanti a loro si apriva un lungo corridoio spoglio, che terminava in
un enorme scalone.
Un tempo, doveva essere stato davvero imponente e dava di certo accesso
ai piani superiori del Palazzo del Governatore, ma ormai era del tutto
collassato.
–
Dove andiamo, Marina? – Zero si mise in ascolto e
annuì.
Fece un cenno in direzione della scala e si calò per primo
fra
le macerie che coprivano e quasi nascondevano la discesa verso i
sotterranei.
Mayu lo
seguì e andò ad accovacciarsi ai suoi piedi
dietro un
mucchietto di pietre mentre gli altri li raggiungevano.
A differenza dell'atrio, il sotterraneo era sgombro dalle macerie e il
pavimento e i muri erano rivestiti da un materiale metallico
più moderno.
Luci al neon fornivano una perfetta illuminazione dell'ambiente... e
gli echi provenienti dalle stanze laterali tradivano la presenza di
altri meccanoidi.
–
Alpha, a sinistra – mormorò Zero –
Copertura a ore dodici. Bravo, a destra.
A un cenno di Zero, il team tornò a dividersi. Si
avvicinarono
in silenzio alla prima stanza e, mentre Zero continuava a tenere sotto
controllo il corridoio davanti a sé e Omur prendeva di mira
la
stanza, Mayu rimase in guardia, gli occhi fissi sul suo settore.
La squadra Bravo fece irruzione: Aki si defilò subito a
sinistra
a coprire l'angolo cieco, mentre gli altri due membri della squadra che
lei
non conosceva lo coprirono e si mossero a destra.
Aprirono il fuoco, ma Mayu non fece in tempo a guardare: dalle altre
stanze laterali una decina di nemici s'avventò su di loro.
Lei, Zero e Omur cominciarono subito a sparare, ognuno nel suo settore.
–
Libero! – Aki e la sua squadra accorsero a dar loro manforte
dalla stanza e, in breve, la battaglia finì.
–
Uomo a terra!
Mayu si voltò. Aki era chino su uno dei suoi compagni,
ferito al
petto contro lo stipite della porta che dava accesso alla stanza appena
bonificata.
Le scariche elettriche, la mancanza di sangue e i circuiti che si
potevano intravedere all'interno del buco aperto dal laser lo
identificavano come un meccanoide.
–
Sniper, idiota – Omur lo afferrò per il colletto –
Perché non hai messo i pannelli balistici al giubbotto?
In effetti, notò Mayu, il contenitore esterno era
bucato da
parte a parte e nel mezzo mancava la pesante imbottitura che Grenadier
s'era assicurato riempisse il suo in ogni minimo spazio.
–
Non pensavo che avessero fucili del genere – si scusò il ferito.
Omur esaminò i circuiti e
la sua
faccia si fece seria.
–
Non possiamo muoverlo. Il gruppo elettrogeno che gli alimenta
il cuore potrebbe
andare in cortocircuito o addirittura esplodere.
Aki guardò Zero.
–
Che facciamo, adesso? Non possiamo lasciarlo qui!
Zero aggrottò la fronte, ma la sua decisione fu rapida.
Prese dalla sua sacca il trasmettitore di scorta e lo porse a Omur.
– Chiami i
soccorsi e rimanga con lui fino all'arrivo del medico o dell'infermiere.
–
Ma... Capitano! Così resterà solo con...
–
Lei è il solo che ci capisca qualcosa, Omur – Zero
sollevò il visore e lo guardò severo –
Inoltre, la
Signorina Oyama sa cavarsela alla perfezione; ce l'ha ampiamente
dimostrato, sinora.
–
Agli ordini – l'artificiere chinò il capo,
consegnò a Zero la sua dotazione di esplosivi e
passò
un braccio attorno alle spalle del compagno – Buona fortuna,
ragazzi.
–
Anche a lei, Omur.
–
Non abbiamo tempo per queste cose – Aki si rimise in guardia.
–
Giusto – anche Zero risollevò il fucile
– Ci restano
da bonificare tutte le altre stanze, poi dobbiamo fare irruzione nel
laboratorio. Il Comandante Oki suppone che si trovi oltre la porta in
fondo a questo corridoio.
Mayu la osservò.
Era un enorme portellone blindato, simile a quello della sala computer
dell'Arcadia.
–
Muoviamoci.
Ripresero le loro posizioni e utilizzarono la stessa tattica, con la
differenza che, questa volta, toccò a lei e a Zero fare
irruzione mentre Bravo li copriva.
Si alternarono così per altre due stanze, poi giunsero
accanto a
un corpo che non aveva per nulla l'aspetto di un meccanoide... e
nemmeno quello d'un essere umano.
La struttura fisica, per la verità, era la stessa: due
braccia,
due gambe, una testa, ma la pelle e la carne di quella creatura erano
trasparenti e lasciavano intravedere una struttura interna priva di
scheletro e con pochi organi supportati da un complesso sistema
cardiocircolatorio.
Dalla ferita al petto che doveva aver privato della vita quell'essere
e da altri squarci in tutto il corpo sgorgava ancora un liquido dello stesso colore e consistenza dell'acqua. Mayu ricordò le
parole di Marina e del Dottor Machine.
–
Che sia...
–
Uno Shòu – Zero
si chinò accanto al cadavere e lo esaminò
– A questo punto, non mi stupisco più di nulla.
–
Mai vista una cosa del genere – Aki toccò con un
piede la
mano inerte della creatura – Ma cos'è
questo, il
laboratorio di Frankenstein?
Zero ignorò la battuta.
–
Stiamo in guardia. A
quanto ne so, questi esseri sono in grado di assumere l'aspetto di
chiunque. E non è finita.
Sollevò la testa della creatura verso di loro e
indicò un punto.
Mayu fu assalita
da un misto d'orrore e pietà nel vedere il chip che
spiccava al
centro del piccolo cervello trasparente di quell'essere.
–
Sono controllati – sussurrò.
–
Marina aveva ragione – Zero si rialzò,
strofinò la mano destra sui pantaloni e assunse di nuovo la
posizione di pointman* – A quanto
pare, i nostri nemici hanno trovato il modo di sfruttare sia le
capacità di queste creature che la loro mancanza quasi totale di
istinti e volontà.
La nausea assalì di nuovo Mayu, insieme all'ipotesi,
metà
dubbio e metà speranza, che l'Harlock che aveva affrontato
non
fosse altro che uno di quegli esseri trasformati.
– Andiamo avanti.
Procedettero a fare irruzione in ogni singola stanza rimasta e Mayu
dovette rimangiarsi il pensiero che fosse solo una perdita di tempo:
nella
penultima, quattro meccanoidi, un uomo e un altro paio di
Shòu erano in
agguato.
Di certo, se lei, Zero e i loro compagni si fossero diretti subito
alla porta, li
avrebbero presi alle spalle e forse qualcun altro sarebbe rimasto
ferito... o peggio.
Poco prima d'arrivare davanti al portellone, Zero fece un cenno ad Aki
e al
suo compagno: sulla destra, una stretta scala male illuminata saliva in
alto.
Dalla cima arrivavano rumore di spari, boati e urla
assordanti.
–
Grenadier non dev'essere lontano – Aki rise al fragore di
un'esplosione che fece tremare il soffitto – Questa
è di
certo opera sua.
–
Raggiungetelo – Zero si chinò davanti alla
serratura del
portellone e tirò fuori dalla tasca l'esplosivo di Omur e
una piccola pistola a
impulsi – Mettete in sicurezza la zona.
–
E voi?
–
Io e la Signorina abbiamo qualcosa da fare quaggiù. Da soli.
Aki lo guardò dubbioso, gli fece il saluto
e s'allontanò, seguito dal suo compagno.
– Se vuoi
tornare indietro, segui Aki... e
fallo adesso
– Zero
la fissò con lo stesso sguardo di Tadashi quando le aveva
detto
di vivere felice – Ciò che troveremo dietro a
questa porta
e ciò che forse saremo cosretti a fare potrebbe spezzarti il
cuore per sempre, altrimenti.
Mayu ricordò la tomba su cui era chino al cimitero,
ripensò ad Harlock su quella di suo padre, a Tadashi e a
Yuki
su quelle dei loro genitori e, per la prima volta, le parve di comprendere davvero
il
peso che tutti loro portavano nel cuore.
Sollevò il visore appannato e s'avvicinò a lui.
– Lo
so – lo guardò
negli occhi – Ma anche a
costo di non sorridere mai più, devo affrontarlo –
serrò la mano
sull'impugnatura della Dragoon – Per Harlock... e per mio
padre.
Zero la guardò turbato e lei gli sorrise.
–
Ha parlato anche a te, vero? – gli chiese mentre lui sparava
con la
pistola a impulsi per mandare in tilt la serratura elettronica
–
L'ho capito dalla tua espressione nella sala computer dell'Arcadia.
–
Che cosa... ti ha detto? – Zero posizionò
l'innesco e si rialzò.
Le fece cenno di seguirlo e Mayu si incamminò a passo svelto
di fianco a lui.
Si chinarono dietro l'angolo della porta metallica dell'ultima stanza
che avevano ripulito.
–
Di riportarlo indietro – Mayu osservò il dito di
Zero
tremare sul pulsante – Di restituirgli una ragione di vita e
la
speranza che ha sempre saputo dare a tutti ma che ha sempre negato a se
stesso da quando lui è morto.
Zero premette il pulsante e il fragore dell'esplosione, il fumo e le
schegge obbligarono
Mayu a chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, che cominciarono
comunque a fischiare.
–
E a te che cosa ha detto?.
–
A me – Zero si rialzò ed estrasse la sua pistola – Ha chiesto di
dargli
un pugno sul naso e dirgli da parte sua che è un
imbecille.
Mayu lo guardò a bocca aperta, poi
ridacchiò.
–
Sì – gli posò una mano sulla spalla
– È proprio da lui. Andiamo?
Zero le sorrise, poi si fece di nuovo serio.
Guardò oltre il portellone piegato sui cardini, oltre la
cortina
di fumo e polvere causati dall'esplosione e le prese la mano.
–
Andiamo.
* Pointman o Apripista
è il membro di testa della squadra.
So
che questo capitolo è un po' strano... abbiate pazienza!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 29 *** Il futuro che ci aspetta ***
cap 8
– No...
Tadashi strinse più forte la spalla di Yuki, un po' per
confortarla, un po' per trovare lui stesso la forza di fare
ciò che andava fatto.
Fissò Harlock nel suo unico occhio e, ancora una volta, la
sensazione di trovarsi di fronte a un estraneo si scontrò
con la consapevolezza che quell'uomo era la stessa persona che l'aveva
salvato dalla morte, dall'odio e dalla disperazione, la persona a cui
doveva tutto.
La sua mano tremò, come quella sera nel suo studio, quando
non era riuscito a premere il grilletto e il raggio laser della sua
Dragoon gli aveva prima ferito la mano e poi trapassato il cuore, in
più d'un senso.
Come allora sperò che fosse un incubo, ma dentro di
sé sapeva benissimo qual era la realtà: i due
Dottori e Yattaran erano stati sin troppo chiari.
Finirà solo
con la morte di uno di noi due.
O di entrambi, comunque fosse andata.
Se fosse sopravvissuto Harlock, lo avrebbe atteso un'esistenza che non
poteva essere chiamata vita, schiavo della
volontà di qualcun altro.
Se fosse sopravvissuto lui, la colpa d'averlo ucciso l'avrebbe
accompagnato fino alla fine dei suoi giorni.
– No – il singhiozzo di Yuki era quello di chi non
riusciva a destarsi da un incubo.
È un incubo.
Ma devo svegliarmi almeno io.
Non poteva lasciare che finisse come l'altra volta: doveva proteggere
Yuki e doveva sopravvivere anche lui, e non solo perché
così ferita lei non sarebbe mai riuscita a tornare da sola
sull'Arcadia.
Devo farlo per il nostro
futuro... e perché anche lui lo vorrebbe.
Se fosse stato in sé, sarebbe stato lo stesso Harlock a
chiedergli di mirare dritto al cuore e premere il grilletto. Lo sapeva,
gli pareva addirittura di sentirlo. Ma non per questo era
più facile.
Strinse i denti, cercò di smettere di tremare e
armò il cane. Harlock fece lo stesso.
– Ha ragione lei: no – Lia s'avvicinò
di qualche passo a loro e incrociò le braccia –
Come ho già detto, tu non m'interessi, Daiba. Da' a lei
quella pistola e levati di torno.
– Che intenzioni hai?
– Solo far assaggiare ad Harlock e alla tua
amichetta un po' della stessa medicina che hanno ficcato in gola a
me quando hanno ucciso Feydar.
Yuki si strinse la gamba
ferita e la guardò.
– Te lo giuro, Lia, Harlock non...
Lia sparò un colpo che lasciò un buco fumante nel
pavimento davanti a loro.
– Ho già detto che non voglio ascoltare le tue
menzogne. Ne ho abbastanza di sentirmi dire quanto mio fratello sia
stato un verme e Harlock un eroe, ne ho piene le tasche! Ancora una
parola e il prossimo buco non lo farò nel pavimento. Quanto
alle mie intenzioni, ai miei motivi e ai miei mezzi, ecco: guardatevi
intorno!
Fece un ampio gesto a circoscrivere i macchinari dietro di lei.
– La tecnologia è sorprendente – sorrise
– Oggi, con un computer, si può fare di tutto...
anche leggere i pensieri del tuo peggior nemico, arrivare a
comprenderne i sentimenti più nascosti. Un paio di tasti,
poche stringhe di codice binario e puoi metterli su un supporto
esterno; un piccolo chip nel cranio, qualche sequenza di comandi e puoi
cancellarli o impiantarne di nuovi a tuo piacimento. Fa riflettere, vero?
– Dove vuoi andare a parare? – con la coda
dell'occhio, Tadashi osservò Yuki sfilarsi la cintura e
stringerla sopra la ferita per bloccare l'emorragia.
– Ancora non ci arrivi? – Lia accarezzò
la canna della pistola e la usò per indicare Harlock
– Guardalo: il grande Capitan Harlock, l'eroe senza paura,
l'uomo dalla determinazione incrollabile e dalla ferrea morale. Non
è diverso da tutti gli altri, in
realtà: non è migliore di voi, di me o
di Feydar. Lo so. Ho visto cosa c'era nella sua mente: sentimenti
nobilissimi, ma anche meschinità orribili. Prendiamo il suo
rapporto con te e la biondina, ad esempio: vi considerava un po' come i
suoi fratelli minori, sapete? Avrebbe sacrificato la sua vita
per salvare la vostra in qualunque momento e nutriva in voi una fiducia
assoluta, ma allo stesso tempo vi odiava: eravate una
responsabilità, una zavorra
che lo legava a un'esistenza che per lui non contava più
niente, un ricordo costante di tutto ciò che era stato e di
tutto ciò che aveva perduto. Non vi sta puntando contro una
pistola solo perché lo sto obbligando: c'è una
parte di lui che desidera uccidervi più di quanto non lo
voglia io, mentre quella che vi amava più di se stesso...
puf! Sparita. Deludente, vero? Il suo immenso affetto nei
vostri confronti, l'incrollabile legame che vi univa non era altro che
una serie d'impulsi elettromagnetici nelle sue sinapsi... cancellati in
un battito di ciglia.
Tadashi la guardò agghiacciato.
– Oh, non sono andati perduti per sempre, se è
questo che vi preoccupa. Lo faremo tornare in sé quando
avrà perso tutti quelli che ama, per sua stessa mano e
soprattutto perché in fondo lo voleva,
perché non è l'eroe senza macchia che tutti
credono e che lui stesso vuole apparire. Ma a me tu non interessi,
Daiba, e non m'interessa quello che vogliono fare i miei compagni di te
e dei tuoi amici – indicò Yuki – Il
legame che voglio recidere per sempre è quello che lo unisce
a lei, lo
stesso che loro hanno distrutto assassinando Feydar... e voglio che sia
uno di loro due a farlo. Non m'importa quale.
– Questo va oltre la vendetta, Lia – Yuki la
guardò negli occhi con un misto di angoscia,
pietà e sdegno – Questo è
disumano, e tu lo sai.
Prima che Tadashi potesse fare qualunque cosa, Lia la colpì
di nuovo alla gamba, un poco più in basso.
– T'avevo avvertita: preferisco le tue urla alle tue
prediche, Yuki Kei – nella sua voce vibravano un odio
profondo, sofferenza e follia – Disumano, dici? Sai
cos'è disumano? Passare ogni giorno della tua maledetta vita
a doverti vergognare del tuo nome e a ingoiare il disprezzo dei tuoi
simili quando sai che l'unico scopo della sola persona che hai amato e
perduto per sempre era liberare quello schifo di mondo pieno di
vigliacchi incapaci, mentre invece il suo assassino è
considerato un eroe! Avevo solo lui, al mondo! Sai com'è
stata la mia vita da quando non c'è più? Hai idea
di cos'ho provato, di cosa provo ancora?
– Lo sa – Tadashi la fissò –
Suo padre è stato ucciso dal suo ex fidanzato, sai?
Lia non fece una piega.
– Kazuya Katagiri, certo – s'avvicinò
di qualche altro passo – Che strano, mi risulta che sia
morto... e non per un incidente o una malattia. Quanto a te, Daiba, sei
l'ultimo a potermi fare la predica: ti sei vendicato in lungo e in largo
delle Mazoniane, non ti sei certo limitato a quella che aveva
ammazzato tuo padre!
Tadashi sentì in bocca il sapore amaro della bile.
Il ricordo del corpo straziato di Tsuyoshi Daiba gli tornò
alla mente, nitido come se lo avesse avuto davanti in
quello stesso istante: i suoi vestiti disfatti, i suoi occhi sbarrati e
ormai privi di luce, la sua espressione terrorizzata e attonita, la
sua pelle fredda sotto le sue dita e la luce violenta dei neon,
così bianca e intensa da cancellare ogni altro colore.
Da quel momento, aveva conosciuto il vero odio e non era stato
più lo stesso.
La lontana eco della solitudine, dell'ossessione, della paura del
domani, del senso di colpa e dell'inesauribile sete di sangue che
avevano riempito i suoi giorni e le sue notti d'adolescente lo
riassalirono di colpo e capì.
È come me.
È uguale a com'ero io sette anni fa.
– Una volta ero una ragazzina innocente, sai?i
– gli occhi di Lia erano lucidi dietro le lenti scure
– Sognavo di costruire navi spaziali insieme a Feydar, di viaggiare
per il cosmo e diventare il miglior ingegnere della storia. Harlock m'ha tolto tutto: mio fratello, la possibilità di continuare
gli studi, i miei sogni... persino la dignità. È
un mio diritto vendicarmi, voglio che quell'assassino provi il dolore
straziante di perdere la sua cara sorellina o essere ucciso da lei
e non m'importa delle conseguenze, non m'importa della morale, non
m'importa di nulla! Adesso levati da lì, Daiba!
Tadashi non si mosse.
Lia lo guardò minacciosa.
– Come vuoi.
Harlock fece fuoco e Tadashi avvertì un forte bruciore al fianco.
La sua fondina cadde a terra, la cintura che gliela assicurava alla
vita tranciata di netto.
Sotto lo squarcio che gli si era aperto sulla tuta, la sua pelle s'arrossò e si riempì di bolle. Lia indicò la porta con la canna della pistola.
– La prossima volta non te la caverai con qualche bruciatura
superficiale. Dalle quella pistola e vattene coi tuoi
uomini. Ritiratevi e giuro che non vi farò sparare addosso
né v'inseguirò. Quanto a lei, se
ucciderà il suo Capitano non le torcerò
più un capello; potrà tornarsene sulla Terra e
vivere con te la vostra stupida favoletta romantica, per quel che me ne
importa. Avrò ottenuto lo stesso ciò che voglio.
– Fa' come ti dice, Tadashi – Yuki gli
afferrò il braccio – Dammi la pistola e va' via.
Lui la guardò: era pallida e sofferente, ma non tremava e la sua
voce era calma e risoluta.
La voce del Capitano.
Una parte di lui desiderava metterle fra le mani quell'arma e liberarsi
dalla pesante responsabilità che aveva deciso di sobbarcarsi
quando aveva capito che le speranze di salvare Harlock erano quasi
inesistenti, desiderava vederla premere quel grilletto e scegliere lui una volta per
tutte.
L'altra si vergognava di quei desideri: Harlock era stato una guida, un
amico fraterno e quasi un padre, mentre Yuki era la sua compagna, il
suo sostegno e il suo domani, una delle ragioni per cui aveva deciso di
lottare per rendere migliore se stesso e il mondo che gli era stato
affidato.
Li amava, tutti e due,
e per questo doveva farlo lui.
Anche a costo di calpestare i suoi stessi sentimenti, anche a costo
della sua felicità, anche a costo della vita, non poteva
permettere che uno di loro morisse e l'altro si condannasse con le sue
stesse mani a un inferno senza fine di sofferenza e sensi di colpa.
Sollevò la Cosmo Gun e tornò a puntarla contro
Harlock, che lo guardò inespressivo e riarmò il
cane.
– Sei davvero la creatura più sciocca
dell'universo – Lia fissò
la sua mano tremante e gli sorrise senza allegria – Ti do la possibilità non
solo di salvare la tua vita e quella dei tuoi uomini ma anche di
scoprire una volta per tutte se a lei frega più di te o del
suo Capitano e tu...
– Adesso basta! Finiscila con questa follia, Zone!
Questa volta, la canna della pistola di Harlock si sollevò
verso l'alto e il dolore, acuto e bruciante, gli dilaniò la
spalla sinistra.
Tadashi chiuse gli occhi e si morsicò le labbra per
soffocare un urlo.
Lia si passò una mano fra i capelli.
– Non mi sembri nelle condizioni di darmi ordini – socchiuse le palpebre – E,
lasciatelo dire, non mi sembri neanche molto deciso a farla finita con
le cattive, nonostante le tue spacconate. Allora, che facciamo?
– Tadashi, dammi quella pistola – Yuki gli diede
una spinta – È un ordine!
– Scordatelo, Capitano
– le si rimise accanto e sollevò di nuovo l'arma
– C'è un futuro che ci aspetta e non ti
permetterò né di morire né tanto meno
di spezzarti il cuore con le tue stesse mani!
Yuki lo afferrò per il colletto, lo fece voltare verso di
sé e gli mollò un ceffone così
violento da sbilanciarlo. Lo fissò, furiosa.
– Vuoi ascoltarmi per una buona volta? – lo scosse – Ha ragione lei: sei uno stupido!
Abbiamo dei doveri e delle responsabilità che vengono prima
delle nostre questioni private: metà dei nostri uomini
è chiusa nell'hangar di questa nave mentre l'altra
metà sta combattendo là fuori, i nostri compagni
della Karyu potrebbero avere bisogno di noi su Futuria e poi
c'è Mayu! Che ne sarebbe di tutti loro se morissimo entrambi?
Aveva ragione, sotto tutti i punti di vista.
Bastava applicare la logica, valutare i pro e i contro per rendersene
conto.
Le vite di Yuki e di Harlock contro la sua, quella dei loro uomini e
forse quella di molti soldati della Karyu: due persone contro centinaia.
La possibilità di risparmiare ulteriori danni alla nave e ai
mezzi, quella di correre in aiuto dei loro alleati...
Non avrebbe dovuto esitare. Lo sapeva, lo sapeva benissimo.
Ma senza di loro, senza
di lei,
non avrebbe senso.
Si liberò dalla stretta di Yuki, serrò più forte la pistola e si diede dello stupido egoista: nonostante
l'esperienza, nonostante la razionalità, nonostante tutto,
in fondo era rimasto lo stesso ragazzino impetuoso di un tempo, che
decideva sull'onda delle emozioni... e non poteva, non voleva farci nulla.
– Io non mi muovo.
Mirò, di nuovo.
Posò il dito sul grilletto, di nuovo.
La sua mano tremò. Di
nuovo.
Stavolta Harlock lo colpì al braccio destro.
Tadashi urlò e fece appello a tutte le sue forze per non
lasciar cadere la pistola e impedire che Yuki gliela strappasse di
mano.
Lia s'avvicinò di qualche altro passo.
– Sei davvero testardo, Daiba. E anche uno
sciocco senza speranza. Non stai facendo altro che rimandare
l'inevitabile, lo capisci? Non hai il coraggio di sparargli e non
potrai reggere per sempre. Vincerò io, in ogni caso.
– Forse hai ragione – Tadashi le rivolse un ghigno
truce – Ma anche tu stai rimandando l'inevitabile, Zone. Non
me ne andrò finché avrò fiato in
corpo, ormai dovresti averlo capito... allora perché non
m'ammazzi e la fai finita con questa sceneggiata?
Incertezza e sconcerto si dipinsero per un istante sul volto di Lia e, fra sollievo e amarezza, Tadashi capì un'altra cosa.
Non è come me.
Harlock sollevò di nuovo il braccio, mirò
alla sua testa e premette il grilletto.
Tadashi chiuse gli occhi e non si mosse.
Era un azzardo, lo sapeva.
Se si fosse sbagliato, lui, Yuki e Harlock sarebbero stati perduti.
Se avesse avuto ragione, avrebbero avuto una minuscola
possibilità, ma sarebbe stata un'amara vittoria.
Il grido di Yuki gli perforò le orecchie, sentì un forte
odore di bruciato e un violento dolore alla tempia. Qualcosa di liquido e caldo gli colò sulla guancia.
Ho ragione.
Riaprì gli occhi, sorrise amaro e puntò la
pistola contro Lia, che lo guardò turbata.
– Oh, vedo che alla fine ci sei arrivato – s'accarezzò il labbro inferiore e si esibì in
un'altra delle sue risate isteriche – Sì,
è proprio come pensi: uccidi me e per un po' lui
sarà del tutto inoffensivo. Potresti anche riuscire a catturarlo vivo, forse, ma non intendo
certo facilitarti il compito.
Tadashi sentì Yuki trasalire accato a lui. Harlock aveva puntato la canna della pistola alla sua tempia.
Un sottile filo di fumo si levò dai suoi lunghi capelli
castani, ma lui non cambiò nemmeno espressione.
– Quanto pensi d'essere veloce e preciso, Daiba? –
Lia fece roteare la sua pistola e gliela puntò contro
– Io e il tuo amato Capitano premeremo il grilletto insieme:
per salvare sia te stesso che lui dovresti esser rapido come il
pensiero e colpirmi dritto in mezzo agli occhi: solo così
potresti fermare l'impulso che il mio cervello trasmetterebbe ai nostri
indici. Oppure potresti dare quella pistola alla tua cara Yuki e
lasciare che se la sbrighino fra loro. La mia offerta è
sempre valida.
– Tadashi – Yuki stese la mano, gli occhi pieni di
lacrime – Dammi quella pistola e vattene, ti prego!
Lui la ignorò, s'alzò in piedi e
guardò nel mirino. Lia lo imitò.
– Dammi quella pistola, stupido!
Tadashi armò il cane e spostò il dito sul grilletto.
Fece fuoco.
Harlock rimase immobile, Yuki singhiozzò e Lia lo
guardò a occhi sbarrati, la pistola stretta fra le mani
tremanti sullo sfondo delle scintille elettriche che sprizzavano dal
pannello al quale lui aveva mirato.
– Perché non spari, Zone? – Tadashi
abbassò l'arma e mosse un passo in avanti – Sono
qui davanti a te... forza!
Mosse un passo e poi un altro ancora, il sangue che
gocciolava sul pavimento. Lia lo fissava impietrita,
le braccia tese, il dito sul grilletto.
– Te lo dico io perché non lo fai – Tadashi si
scostò dalla fronte un ciuffo di capelli insanguinati
– Perché non sei un'assassina! Quando ho parlato
delle vittime di Elpìs e delle guardie di Yuki, sei
inorridita...
– Non fare un altro passo! – la voce di Lia salì di un'ottava, il tremito aumentò.
– Hai fatto in modo che i nostri uomini rimanessero isolati
per imprigionarli senza combattere e hai spedito i tuoi
chissà dove perché volevi solo Yuki e Harlock,
solo coloro che giudichi colpevoli per la fine di tuo fratello...
Lia indietreggiò, pallida.
– Non dire un'altra parola!
Tadashi sentì un rumore dietro di sé. Non si
voltò.
Un raggio laser gli sfiorò una caviglia e bucò il
pavimento poco più avanti. Continuò a camminare.
– Non m'hai ucciso, anche se hai avuto un sacco d'occasioni, anche se avresti potuto farlo subito – le si
fermò proprio di fronte, infilò la Cosmo Gun nella cintura e la guardò negli occhi – E non m'hai
colpito alle gambe per darmi fino all'ultimo la possibilità
d'andarmene da qui, vero?
– T'avverto: ti ammazzo, Daiba!
– E Yuki... È lì a terra, adesso, sola,
ferita e disarmata: cosa t'impedisce d'ordinare ad Harlock di spararle
e poi ammazzarsii, eh?
Tadashi afferrò la canna della sua pistola e gliela fece
appoggiare contro il suo petto.
– Te lo dico io: non vuoi vittime innocenti, non sei capace
d'uccidere a sangue freddo nemmeno chi odi e da qualche parte dentro
di te sai benissimo
quanto sia assurdo e orribile tutto questo! Sparami, se ho torto,
avanti!
Tadashi la guardò dritto negli occhi.
Lia contrasse il dito sul grilletto. La sua mano tremò. Si morse il labbro inferiore, distolse lo
sguardo e lasciò andare la pistola.
Tadashi osservò le sue spalle che tremavano
oltre la canna della pistola.
– Ho pensato che tu fossi com'ero io sette anni fa
– rigirò l'arma fra le mani – Ma mi sbagliavo: sei piena
d'odio, ti senti sola e vuoi qualcuno da
incolpare perché altrimenti non avresti
più un motivo per andare avanti, perché ormai non vedi più
alcun futuro... ma nonostante questo riesci ancora a pensare agli altri
e non vuoi che degli innocenti soffrano come hai sofferto tu. Sotto
questo aspetto, sei migliore di me. Dico davvero.
Io ci ho dovuto sbattere
contro.
Un groppo gli strinse la gola al ricordo della piccola Gurikan che, in
lacrime, gli puntava contro la pistola. Aveva ucciso decine, forse
centinaia di Mazoniane prima di conoscerla, e sempre senza alcun
rimorso: era la guerra e spesso non aveva avuto altra scelta.
Ma vedere sul viso innocente di quella bambina il dolore e l'odio che
avevano devastato lui, rendersi conto che per lei era l'assassino senza
cuore che si era portato via i suoi cari, gli aveva fatto comprendere
davvero per la prima volta quanto la vendetta e la guerra non fossero
altro che un crudele, sterile circolo vizioso fatto d'odio, sofferenza
e distruzione infiniti.
Si chinò accanto a Lia e sospirò.
– Hai ragione su di me: ho ucciso tantissime Mazoniane per
vendetta – passò un dito sulla canna
della pistola e la lasciò cadere ai suoi piedi – Le
detestavo, oh, sì... sentivo che finché una sola
di loro avesse continuato a respirare né io né
mio padre avremmo mai avuto pace, ma sai una cosa? Tutte quelle morti,
tutto il sangue che ho versato e tutto il male che ho fatto a me stesso
e ai miei nemici non me lo hanno restituito nemmeno per un istante, di
certo non lo avrebbero reso fiero di me e non mi hanno fatto sentire
meglio, anzi.... per poco non ho perso tutto: la mia
umanità, i miei sogni, il mio futuro.
Come sempre quando ricordava quel periodo della sua vita, un misto di
vergogna, sollievo e rimpianto lo assalì. Era stato davvero
sull'orlo del baratro, allora, forse della follia.
Se non avesse incontrato Harlock sulla sua strada, se non fosse salito
sull'Arcadia, avrebbe finito per perdere del tutto se stesso nella sua
ossessione e morire chissà dove, solo e senza aver
realizzato nulla che contasse, senza aver mai vissuto davvero. Forse la morte sarebbe stata il suo solo desiderio, a quel punto.
Tese la mano a Lia.
– Facciamo finire tutto questo. Sei ancora in tempo, Lia... torna sulla
Terra, trova qualcuno con cui condividere i tuoi sogni e falli
avverare: c'è un futuro che aspetta anche te, basta che
tu lo voglia. E se davvero ti voleva bene, lo vorrebbe anche tuo
fratello.
Yuki si
alzò in piedi.
– Sono sicura che anche Mister Zone, alla fine, si fosse reso
conto che costruire era meglio che distruggere – mosse qualche passo zoppicante verso di loro
– Posso raccontarti com'è andata, il giorno in cui
morì. Vuoi ascoltarmi, adesso?
Lia le fece un lieve cenno affermativo, le spalle ancora scosse dai
singhiozzi.
Tadashi si alzò, circondò la vita di Yuki con un
braccio, ignorò la fitta di dolore che gli percorse tutto
l'arto quando lei gli si appoggiò contro e la sostenne.
– Quando Harlock assaltò la sua nave dopo l'ultima
battaglia, lo trovò ferito – Yuki strinse i denti mentre si accovacciava davanti a Lia – Tuo
fratello gli chiese di ucciderlo: era un uomo orgoglioso, non
sopportava il peso del fallimento e inoltre la sua alleanza col nemico
e le azioni che aveva commesso per conquistarne la fiducia l'avrebbero
reso per sempre un traditore agli occhi degli altri terrestri. Che tu
ci creda o no, Harlock lo stimava: nonostante avesse tentato di
ucciderlo centinaia di volte, nonostante il suo modo di combattere
fosse troppo contorto e sleale per i suoi gusti e nonostante
l'ambizione e la sete di vendetta alla fine lo avessero spinto a
comportarsi proprio come i nemici che tanto detestava, Feydar Zone era
stato uno dei pochi terrestri che avesse almeno avuto il coraggio
di agire... e questo, ai suoi occhi, era già molto.
Gli chiese d'unirsi a noi, di usare la sua intelligenza e la sua
cultura per il bene della Terra. Non ero lì in quel momento,
ma Harlock mi raccontò che tuo fratello reagì
proprio come te adesso.
– E allora perché
è morto? – Lia sollevò la testa e la
guardò negli occhi – Se non è stato
Harlock ad ammazzarlo e se davvero lui s'era ricreduto nei suoi
confronti...
– Il Vice-Comandante Garron stava per prendere Harlock alle
spalle – Yuki chiuse gli occhi – Tuo fratello gli
sparò e lo uccise, ma fu colpito a morte. So che non fu
questa la storia che girò dopo che tutto finì:
persino molti di noi non credettero che proprio Zone avesse sacrificato
la sua vita per salvare il nostro Capitano... ma nessuno, amico o
nemico, ebbe mai il coraggio d'insinuarlo davanti ad Harlock una
seconda volta, se capisci cosa intendo.
– È la verità?
Tadashi la guardò, triste.
– Harlock non mentiva mai, nemmeno...
Stava per dire: “nemmeno
per salvarsi la vita”, ma s'interruppe con un sussulto.
Riflesso sulle lenti scure degli occhiali di Lia, vide Harlock muoversi
di scatto. Il suo cuore perse un battito.
Un trucco?
Lia spalancò gli occhi e diede a lui e a Yuki un violento
spintone che li mandò lunghi distesi sul pavimento. Tadashi cadde
sulla schiena. La luce
dei neon sul soffitto lo accecò.
Sentì il suono di uno sparo seguito da un gemito, poi
qualcosa di pesante lo colpì alla spalla ferita e gli
strappò un grido. Anche Yuki urlò.
L'ha colpita?
Tadashi fu preso dal panico, una paura che non aveva provato nemmeno
quando aveva rischiato tutto provocando Lia, un'angoscia paragonabile
solo a quella provata sulla Terra quando aveva capito che lei e Mayu
erano in pericolo e lui troppo debole per correre ad aiutarle.
I suoi occhi ricominciarono a vedere e lui cercò subito
Yuki.
Era in ginocchio accanto a lui, pallida e sconvolta ma, a parte le
ferite alla gamba, pareva incolume.
Aveva fra le mani la pistola di Lia e la puntava dove doveva trovarsi
Harlock.
Tadashi si puntellò per rialzarsi a sua volta ma la sua mano
sinistra scivolò su qualcosa di caldo e viscido. Estrasse la pistola e si voltò a guardare.
Sangue.
Era una pozza e continuava ad allargarsi a vista d'occhio.
Nel silenzio, sentì un suono affannoso, sibilante.
E la vide.
Lia era riversa sul pavimento, il petto trapassato da parte a parte
all'altezza del cuore.
– Non pensare a me – tossì –
Matia... Matia mi ha tolto il controllo!
Il suono di due spari lacerò il silenzio.
Tadashi si voltò col cuore in gola.
Harlock zoppicava verso di loro, la coscia destra insanguinata e lo
sguardo inespressivo. Yuki si stringeva il polso. Ai suoi piedi
c'erano i resti di quella che era stata la pistola di Lia.
– Capitano, basta – singhiozzò
– Ti prego, torna in te!
– È inutile – Lia diede un altro colpo
di tosse e del muco schiumoso e sanguinolento le uscì dalle
labbra – Hanno modificato il suo tracciato neurale ed è impiantato... la sua personalità originaria non
esiste più – guardò Tadashi
– Matia non si fermerà... sparagli, o morirete!
Tadashi si buttò su Yuki appena in tempo per evitare che
Harlock la colpisse.
Si rialzò di scatto cercando di ignorare il dolore al
braccio e alla spalla, sollevò la pistola,
mirò... e la sua mano ricominciò a tremare.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime, il dito sul grilletto sembrava
un blocco di marmo.
Stupido... sono uno
stupido!
Harlock, ormai, era su di loro.
Le lacrime caddero dalle sue ciglia, gli bagnarono le guance e il
collo.
Un singhiozzo che non riuscì a trattenere gli
squassò il petto.
Poi, la mano sinistra di Yuki si intrecciò alla sua attorno
all'impugnatura della pistola, il suo braccio destro gli
circondò la vita.
Sentì i suoi capelli e la sua pelle contro la guancia quando
lei avvicinò la testa alla sua per guardare nel mirino. Tadashi la
guardò sconvolto.
– Yuki...
– Facciamolo insieme, Tadashi – la sua voce era
appena un sussurro – Per noi stessi, per il nostro Capitano
che amava così tanto la libertà e per quel futuro
che ci aspetta sulla Terra, alla fine di tutto... Non cercare di
proteggermi dal dolore come faceva lui: sii te stesso e il peso di
questa colpa, la sofferenza che ne verrà, dividili con me.
Felicità e tristezza senza fine gli colmarono il cuore allo
stesso tempo.
Smise di tremare, strinse più forte l'impugnatura della
pistola e intonò la prima strofa della canzone di Harlock.
Il dito di Yuki si posò sul suo sopra il grilletto.
Guardò Harlock.
Il suo Capitano, il suo amico, il fratello maggiore che aveva sempre
desiderato avere, il suo mito irraggiungibile, il suo rivale e il
ricordo intenso, dolce e amaro al tempo stesso, della sua giovinezza.
– Perdonaci, Capitano – sussurrò Yuki
– Addio.
Sul volto sfregiato di Harlock, per un attimo, si dipinse
un'espressione confusa, commossa e stupita, come se li
avesse riconosciuti.
La sua voce calda, baritonale e un po' roca si unì alla sua
nel concludere la strofa e Tadashi avrebbe dato tutto per poter fermare
il tempo, per poter tornare indietro... ma lui e Yuki avevano
già premuto il grilletto.
Per un lungo, orribile istante che sembrò durare anni,
sentì il colpo partire e percorrere tutta la lunghezza della
canna, sentì il rinculo della Cosmo Gun spingere indietro la
sua mano, ancora intrecciata a quella di Yuki.
Vide Harlock sorridere prima che il raggio laser lo colpisse
dritto in mezzo alla fronte e facesse scattare la sua testa
all'indietro, vide la sua mano lasciare la pistola e le sue gambe
proiettarsi in aria.
Nel silenzio del ponte di comando, rotto solo dal respiro affannato e
sibilante di Lia, il suono del suo corpo che colpiva il pavimento
riecheggiò come una cannonata.
Per un altro tremendo, lunghissimo istante, tutto si fermò attorno a quella figura in nero, immobile sotto le luci
bianchissime dei neon.
Poi, Yuki lasciò la sua mano, gli appoggiò la
testa contro il petto e cominciò a piangere come se le
avessero strappato il cuore.
Tadashi lasciò cadere la Cosmo Gun, il corpo scosso da un
violentissimo tremito.
Strinse a sé Yuki come se fosse stato un naufrago in mezzo
alla tempesta e lei il solo scoglio in un mare di nulla, immerse il
naso nei suoi capelli e scoppiò anche lui in un
pianto dirotto.
Chiedo
scusa per lo zucchero...
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 30 *** Fuga ***
cap 8
Shizuo Ishikura tornò in sé a fatica e
con riluttanza, viste le sensazioni tutt'altro che piacevoli che il suo
corpo cominciava pian piano a restituirgli: sete e freddo, palpebre
incollate, bocca amara e braccia e gambe intorpidite, per non parlare
del mal di testa pulsante e del ricordo di quello che era successo...
quanto tempo prima? Non avrebbe saputo dirlo. Forse aveva dormito pochi
minuti, forse un'eternità.
Inspirò a fondo e il forte odore di disinfettante che
aleggiava nell'aria gli bruciò la gola già secca
e lo fece tossire.
Aprì gli occhi: una luce bianca e violenta lo costrinse a
richiuderli subito, abbagliato.
Provò ad alzare una mano per schermarsi il viso ma qualcosa
glielo impedì.
Tirò su la testa, la inclinò e
sollevò appena le palpebre.
Per forza era mezzo congelato e tutto un formicolio: aveva addosso
soltanto i boxer e per di più i suoi polsi, i bicipiti, il
torace, l'addome e le gambe erano stretti da robuste cinghie di pelle
fissate a un tavolo operatorio.
Dove diavolo sono?
Si guardò intorno: la stanza era piccola, priva di finestre
e imbiancata con la calce; piastrelle candide ricoprivano il pavimento
e il muro fino a due terzi d'altezza.
Alla sua destra c'erano un computer, diversi monitor, una maschera a
ossigeno e altre apparecchiature di cui non conosceva l'utilizzo, una
piantana per flebo, una pattumiera e un carrello di quelli che di
solito contenevano gli strumenti chirurgici.
Alla sua sinistra, un paravento alto e ricoperto da un tessuto candido
e spesso copriva il punto in cui doveva trovarsi la porta e lasciava
intravedere tre armadietti e un enorme lavandino a pedale, tutti
d'acciaio lucidissimo.
Ricordò il gesto che Arngeir aveva rivolto a Minoru poco
prima che Sylviana lo drogasse e rabbrividì.
Lasciò ricadere la testa all'indietro, socchiuse ancora un poco le palpebre
per resistere all'intensità della luce e guardò
in alto: agganciata a un braccio meccanico, la sonda cranica emise un
inquietante scintillio.
Vogliono davvero
impiantarmi... e lui
glielo permetterà.
Ricordò le parole del Capitano, quelle di Daiba, di Maji e
di Yattaran, ma soprattutto il filmato del primo Herakles, il viso di
Takeshi stravolto dal dolore e dalla furia e tutte quelle orribili
immagini esibite dall'accusa al processo di suo padre.
Si divincolò, ma le cinghie erano strette e robuste
e tutto ciò che ottenne fu di escoriarsi i polsi. Fece un
profondo respiro per calmarsi e studiò la situazione: solo
chissà dove, legato e disarmato, nessuno dei suoi compagni
conosceva la sua situazione... nessuno di cui potersi fidare, almeno.
Non ho scampo.
Un rumore di passi gli giunse alle orecchie, la serratura elettronica emise un bip e scattò.
Richiuse gli occhi e cercò di normalizzare il respiro.
Mi morderò la
lingua non appena cominceranno a interrogarmi.
Per la verità, l'idea di riempirsi la gola di sangue fino a
respirarlo, colmarsene i polmoni e morire affogato non lo attirava
per niente, ma era l'unica cosa che potesse fare per non tradire i
suoi amici: era in grado di resistere alla tortura, all'isolamento,
agli interrogatori e ai giochetti psicologici più
raffinati, ma Arngeir e i suoi compagni disponevano di un'arma che lo
avrebbe costretto a fare ciò che volevano a dispetto della
sua volontà, della sua resistenza fisica e di tutto il suo
addestramento.
Il rumore di passi si fece sempre più vicino e si
arrestò.
Due dita gli si posarono sulla giugulare, risalirono piano il
suo collo fin sulle labbra.
– Avanti, Boy Scout – la voce di Sylviana gli
solleticò l'orecchio, il suo profumo le narici –
Lo so che sei sveglio. La droga era a tempo e poi sei un pessimo
attore, te l'ho già detto.
Ishikura aprì gli occhi e tentò di morderla, ma lei
tolse la mano e si scostò con un gesto repentino.
– Che diavolo, Boy Scout – incrociò le
braccia e lo guardò contrariata – Ti sembra questo
il modo di ringraziare chi viene a salvarti le chiappe?
– Non chiamarmi così, maledetta tradi...
– s'interruppe e le lanciò uno sguardo perplesso
– Eh?
Un rapido movimento del polso e nella mano destra di Sylviana apparve il solito pugnale.
– Sveglio come sempre, vero? – ridacchiò – Forse stai dormendo un po' troppo in questi ultimi tempi: avresti
dovuto bere il mio caffè al chutney, stamattina.
– Dammi tregua, Sylviana – il mal di testa stava
aumentando – Cos'è questa storia? Prima mi
addormenti a tradimento e mi consegni ai nostri nemici e adesso mi
liberi? Non ha senso!
Lei sbuffò.
– Dio, quanto sei lento – gli tagliò
le cinghie che gli bloccavano le gambe – Ho lavorato con un
sacco di spie incapaci nella mia carriera, ma tu vinci il premio a mani
basse... Era tutto calcolato! Davvero credevi che un professionista come
Thorn si sarebbe bevuto quella storia di copertura da quattro soldi rappezzata
in fretta e furia e cascasse in quegli stratagemmi ridicoli? Volevo che
ci scoprisse: l'ho fatto apposta...
è addirittura il piano originario!
Ishikura la guardò ancora più perplesso. Lei tagliò le
cinghie che gli bloccavano l'addome e il torace e alzò gli ochi al cielo.
– Mi sa che dovrò farti un disegnino – si chinò su di lui e gli fece scorrere un dito sul petto – Ma prima dobbiamo uscire
di qui, perciò promettimi che seguirai le mie istruzioni
senza rompere le scatole.
Ishikura la guardò accigliato. In realtà, avrebbe voluto romperle la testa... o strozzarla,
tanto per cambiare.
– Ti conviene fare come ti dico, altrimenti ti lascio qui – tanto per cambiare, Sylviana non era per nulla impressionata – E
Thorn non sarà per niente contento quando
scoprirà cosa gli abbiamo combinato.
Ishikura sbuffò.
– Ma se non abbiamo fatto niente! Di certo, l'hard
disk era ancora nelle mani del Comandante.
– Non noi due – Sylviana gli posò di
nuovo le dita sulle labbra e gli avvicinò il coltello alla
guancia – Non ancora, perlomeno. Prometti. E poi chiudi il
becco.
Ishikura la fissò.
Non aveva senso. Per quanto ci si arrovellasse, non aveva proprio senso.
Che fosse un'altra trappola? Che diavolo sperava d'ottenere?
Credeva davvero che, dopo che l'aveva steso a tradimento e consegnato a
quei pazzi maniaci mandando in malora la missione, si fidasse ancora di
lei? A guardarla, pareva proprio di sì.
Oh, al diavolo! Tanto,
più nei guai di così...
– Va bene, va bene...
– Parola di Boy Scout? – Sylviana recise tutta allegra le cinghie che gli
legavano le braccia e i polsi – E dài, Shizuo, un po'
d'autoironia! Mi sembrava una così bella
battuta... o per caso non ti piace il tuo soprannome?
Ishikura la guardò storto. Aveva promesso di stare zitto, ma c'erano
altri modi per mostrarle la sua disapprovazione. Si
massaggiò i polsi e le caviglie intorpidite e si
alzò.
Un brivido gli corse lungo la schiena al contatto dei suoi piedi nudi
contro il pavimento gelido.
– Oh, a proposito di disegnini – Sylviana gli sorrise maliziosa e gli strizzò
l'occhio – Gran bel tatuaggio!
Ishikura sentì il familiare calore salirgli alle guance.
– Come hai fatto a vedere il mio... Mi hai
perquisito tu?!
Lei gli rimise le dita sulle labbra, gli mollò una trionfale
pacca sul sedere e sparì dietro il paravento.
Lui la seguì in silenzio, non sapeva se più
imbarazzato o più infuriato.
La strozzo... prima che
questa storia sia finita, la strozzo!
– La tua roba è andata – Sylviana raccolse da terra un involto di panni, glielo lanciò e
guardò l'orologio – Mettiti questi... e in fretta.
Ishikura aprì l'involto: c'erano un berretto, un paio di
pantaloni e una maglia scuri, una fondina cosciale con dentro una
pistola carica, una bisaccia contenente un coltello, una cella
d'energia di ricambio, una torcia e due granate, un paio d'anfibi e persino dei
calzini, tutto perfettamente della sua taglia.
Scacciò l'immagine di Sylviana con addosso la sua roba
insieme al sospetto, davvero assurdo, che avesse calcolato e previsto
persino l'eventualità di dovergli procurare degli abiti.
Pensa alle cose serie!
– Dove siamo? – le domandò.
Sylviana s'appoggiò a uno degli armadietti e
lo osservò tranquilla mentre s'infilava i pantaloni.
– In un laboratorio clandestino del progetto Herakles
– si rigirò una ciocca di capelli fra le dita – Non il principale: come sospettavano i nostri amici, la
loro base è su Futuria.
– Arngeir?
Lei fece una smorfia.
– Thorn, vorrai dire. È un'ora che è
chiuso nella sala computer a cercare di contattare i suoi compari senza
riuscirci: a quanto pare, il tuo eroe Zero e la
nostra piratessa bionda sono entrati in azione.
Il cuore di Ishikura diede un tuffo: avrebbe dato qualunque cosa per essere con loro in quel momento.
Combattere armi in pugno, a bordo d'un caccia spaziale o sul ponte di
comando della Karyu faceva per lui molto più di quel gioco
contorto fatto d'inganni, pugnalate alle spalle e subdole vendette.
E poi, adesso, non aveva davvero più nulla a legarlo alla
Terra.
No, non devo pensare a lui, non adesso!
Infilò la maglia, si calcò in testa il berretto e allacciò la fondina.
La corrente saltò.
I generatori autonomi entrarono in funzione con un basso ronzio.
– Bene, Boy Scout: che tu sia pronto o no, è ora
di battersela.
Le lampade d'emergenza sfarfallarono e li
rischiararono con una luce fioca e lattiginosa.
– Come hai fatto?
Sylviana socchiuse la porta e sbirciò nel corridoio.
– È ovvio che ho un complice, genio – gli fece cenno di avvicinarsi – Il suo nome in codice è Ifiklìs.
Senti, non abbiamo davvero tempo per le chiacchiere, ora: dovrebbe
volerci un po' prima che i nostri amici trovino tutti i fili che lui ha
tagliato o che qualcuno s'accorga che ho sabotato le telecamere di
questo piano col giocattolino del tappo, ma è meglio se ce
ne andiamo.
Ishikura la seguì fuori della sala operatoria, in un lungo corridoio
illuminato qua e là dal debole chiarore delle luci
d'emergenza.
Decine di porte uguali a quella che aveva appena otrepassato si susseguivano in tutta la sua lunghezza e lui si chiese cosa ci fosse al di là di esse, poi ricordò le foto e i
filmati dell'irruzione nel laboratorio di Kurai.
Forse, era
meglio non sapere.
Sylviana s'avviò a passo sicuro verso il fondo del
corridoio, chiuso da una robusta porta blindata.
A circa metà percorso, entrarono in un cono d'ombra: lei gli
afferrò la mano sinistra e gli strinse la punta delle dita.
– Attento. Passa sopra a questo tizio.
Il piede di Ishikura urtò contro il corpo inerte di qualcuno.
Lo scavalcò e continuò a seguire Sylviana in
silenzio, la destra pronta a volare alla fondina, concentrato sui
rumori e le voci che provenivano da quello che doveva essere il piano
superiore.
Arrivarono senza incidenti davanti al portone e lei lo
lasciò.
– C'è una scala non illuminata oltre questa porta
– si chinò, estrasse qualcosa dalla tasca, lo
attaccò al quadro della serratura elettronica e
cominciò ad armeggiare – Ventuno scalini. Stretta
e molto ripida. Ci sono un'altra guardia stesa a circa metà
percorso e un'altra in cima. Vedi di non inciampare.
La porta s'aprì con uno scatto. La scala era davvero
angusta, ripida e buia e terminava in un ambiente del tutto simile a
quello dal quale erano appena usciti, anche se molto più
piccolo: le stanze che s'affacciavano sul corridoio erano solo quattro
e, almeno a giudicare dalla finestra alle loro spalle, il piano non era
interrato.
Da una delle sale giungevano le voci concitate di diversi uomini, per
lo più imprecazioni.
– Siamo quasi fuori – Sylviana
richiuse la porta – Calati il berretto sugli occhi,
seguimi e non dire una parola.
Si diressero verso l'uscita a passi veloci e misurati.
– Ehi, bellezza – un uomo vestito come lui
fece capolino dalla stanza e li illuminò con una torcia proprio mentre Sylviana afferrava la maniglia
– Dove te ne vai?
Sylviana si voltò.
– Io e il tuo socio andiamo a vedere cos'è
successo: di sotto è saltato tutto e il Comandante
è furioso.
– Anche qua non c'è corrente –
grugnì l'uomo – Maledetti quadri elettrici
dell'anteguerra... mai una volta che funzionino per ventiquattr'ore
filate! Va bene, andate... e tu sorvegliala!
L'uomo gli puntò il raggio della
torcia dritto in faccia e Ishikura si preparò a far fuoco, ma lui non urlò né lo aggredì: girò sui tacchi e rientrò nella stanza. Ishikura tirò un sospiro di sollievo. Era convinto che lo avrebbe riconosciuto subito.
Sylviana aprì la porta e lui la seguì
all'esterno.
Il freddo e l'umidità lo colpirono come una frustata.
Era già buio e c'erano una fitta nebbia e un gran silenzio:
dovevano trovarsi in aperta campagna.
Si guardò intorno e le sue supposizioni ebbero conferma:
l'edificio dal quale erano appena usciti era un bunker dei tempi della
guerra e, di quelli, a Megalopolis non ce n'era più nessuno
dal bombardamento del sessantanove. Inoltre, non si vedevano
luci di sorta e i soli rumori erano il gracchiare dei corvi e
l'abbaiare di qualche cane in lontananza.
– E ora?
Sylviana s'inoltrò a passo spedito lungo un sentiero
sterrato.
– E ora, se tutto è andato bene,
Ifiklìs ci aspetta da qualche parte sulla strada principale,
in una jeep col motore acceso e i fari spenti.
– Sei certa che ci si possa fidare di quel tizio? Lo conosci?
Sylviana si fermò, guardò di nuovo
l'ora e accelerò il passo. Ishikura lo prese per un
“no”.
– Magnifico – sbottò – Chi sei
tu e che ne hai fatto della signorina
tutti-hanno-un-prezzo-perciò-non-fidarti-di-nessuno e
non-ci-devono-essere-segreti-fra-partner? Lei ridacchiò.
– Che c'è, per caso sei geloso perché
non t'ho rivelato il piano e ora m'affido a un perfetto sconosciuto?
Sì.
– Io? Figuriamoci! È solo che potrebbe essere
un'altra trappola!
– Ti sei fatto diffidente, eh, Boy Scout? –
Sylviana guardò di nuovo l'orologio e aumentò il passo – Era ora! Comunque non credo:
se Ifiklìs fosse davvero dalla loro parte, al tuo risveglio
sarei stata stesa di fianco a te sul tavolo operatorio. Vedi, lui, io e
la biondina abbiamo un accordo...
Il suono d'una sirena squarciò il silenzio
della notte e il fascio d'un riflettore illuminò una larga
porzione di terreno accanto a loro.
Sylviana sobbalzò.
– Maledizione! Si sono già accorti della nostra fuga!
Ishikura le afferrò un braccio e la trascinò fuori
dal sentiero appena in tempo per evitare che il fascio di luce li
investisse entrambi.
– Da che parte è l'uscita da questo posto?
– Ore due, diritto. Ci sono un cancello e un posto di guardia
con un paio di sentinelle... o almeno c'erano quando siamo arrivati.
Ishikura cominciò a correre nella direzione che
aveva indicato Sylviana, pronto a fare fuoco.
– Non si può passare da un'altra parte?
– No – ansimò lei – O almeno
non credo: i muri sono troppo alti per scavalcare e forse anche
elettrificati. E poi ci sono delle sentry-gun* piazzate in centro e
agli angoli...
– Attenta – Ishikura la strattonò per evitare di
nuovo la luce del riflettore, la trascinò dietro a un
albero e s'appiattì contro di lei.
La sua pelle era calda, quasi bollente nel gelo umido della notte che
calava e le sue morbide curve gli aderivano al corpo in maniera
perfetta. Il suo respiro ansimante gli solleticava il collo, il suo
odore le narici.
Che diavolo... no! Resta
concentrato, resta concentrato...
Il fascio di luce s'allontanò e lui fece per staccarsi
dall'albero, ma Sylviana lo attirò di nuovo contro di
sé.
– Che...
Lei gli impose di nuovo il silenzio.
Il suono d'un motore sovrastò quello della
sirena e le luci di due fari e un potente riflettore fendettero la
nebbia.
Un gruppo di uomini a bordo di una jeep armata passò loro
accanto, pistole e fucili in pugno, le espressioni tese. Uno
di loro, il tizio che li aveva fermati sulla porta, era al
mitragliatore e aveva l'aria davvero incavolata.
Ishikura fece un cenno a Sylviana e ricominciò a correre:
avevano pochi secondi per attraversare quell'area prima che la luce del
riflettore sul tetto del bunker la illuminasse di nuovo... e che s'incrociasse con quella che s'era appena accesa dove doveva trovarsi il
posto di guardia.
Il terreno era viscido e fangoso, si incollava alle suole e pareva
risucchiargli i piedi a ogni passo.
Il respiro si fece fuoco nella sua gola, le tempie cominciarono a
pulsare più forte mentre correva, correva verso il piccolo
gruppo d'arbusti che avrebbe concesso loro un temporaneo, debole
riparo.
– Non ce la faccio più...
La voce di Sylviana gli arrivò appena.
Con la coda dell'occhio la vide barcollare, perdere
l'equilibrio e cadere.
Rallentò e si voltò in attesa di vederla
riemergere dalla nebbia.
Contò fino a cinque. Non riapparve.
Maledizione!
Tornò sui suoi passi, un occhio sul
fascio di luce proveniente dal bunker e l'altro su quello proveniente
dal posto di guardia.
La trovò ancora a terra, le mani strette attorno alla
caviglia sinistra.
Stava per urlarle di tirarsi su, poi l'occhio gli cadde sui tacchi
vertiginosi dei suoi stivali e si stupì che fosse riuscita a
tenergli dietro fino a quel momento e a quell'andatura.
– Mi sono storta una caviglia. Va' via... me la
caverò!
Le si accosciò davanti, le allentò lo stivale e la tastò.
– Non dire sciocchezze! Se rimani qui allo scoperto ti ridurranno a un colabrodo!
Lei gemette sotto la pressione delle sue dita.
– Ognuno per sé, Boy Scout – gli afferrò il polso e lo staccò dalla sua caviglia – È la
regola!
Per tutta risposta, lui la tirò su di peso, la adagiaò
sulla sua spalla destra e le passò il braccio attorno alle cosce.
– Forse fra le spie e i cacciatori di taglie, ma questo
è un campo di battaglia – ghignò, senza motivo – Adesso si gioca con le mie
regole... e nella Flotta Unita non lasciamo indietro nessuno.
– Non fare lo stupido – protestò lei da
dietro la sua schiena – Non sono una tua...
– Braccio sinistro – tagliò corto lui.
Sylviana esitò un momento, poi distese l'avambraccio oltre il suo
collo.
Ishikura le cinse il polso con la destra, fece un profondo respiro, si alzò e
ricominciò a correre.
Con lei addosso era anche più faticoso di prima: la sua gola
secca, la sua testa, il cuore, i polmoni, la spalla, le cosce e i
polpacci erano tutto un fuoco, un martellare.
Le luci s'avvicinavano sempre di più, da entrambe le
direzioni.
Gli sembravano velocissime, mentre il suo passo gli pareva lento come
quello d'una tartaruga zoppa. Grugnì e accelerò il passo. Tante lucine tonde gli ballavano davanti
agli occhi.
– Lasciami andare – Sylviana gli colpì
la schiena con il braccio libero – Mettimi giù!
Si contorse nella sua presa e lo fece sbandare.
– Piantala, mi fai perdere l'equilibrio!
– Lasciami – la voce di Sylviana si ruppe
– Non voglio... non di
nuovo! Mettimi giù!
Il tono della sua voce rasentava l'isteria, i colpi erano sempre
più forti, ma sferrati alla cieca.
Non sembrava nemmeno lei.
Che diavolo le prende? Ishikura
aumentò la stretta sul suo polso e sulle sue cosce.
– Smettila, stupida femmina isterica! Così ci farai ammazzare tutti e due!
Lei s'irrigidì, un tremito violentissimo la
scosse. Gli si accasciò sulla spalla e cominciò a
piangere.
Per lui fu uno shock: dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo
per non fermarsi e continuare a fare attenzione a dove metteva i piedi.
Il cono d'ombra oltre la portata dei due fari era ormai vicino.
S'impose d'ignorare la stanchezza, le fitte al petto e alle
gambe e correre ancora più forte.
Si buttò oltre l'intricata macchia di cespugli,
rocce e arbusti giusto un attimo prima che le gambe gli cedessero e la
sua visione si facesse nera.
Posò a terra Sylviana, si sedette e rovesciò la
testa all'indietro, esausto.
Fra i suoi stessi ansiti, il battito del cuore che gli risuonava come
un tamburo nella testa, il suono acuto e monotono della sirena e le
voci agitate degli uomini di Thorn, continuava a sentirla singhiozzare.
– Si può sapere che diamine t'è preso?
– le domandò, la voce arrochita dalla sete e dallo
sforzo quando gli parve che fosse tornata un po' in sé e
anche lui s'era ripreso abbastanza da non svenire.
Lei lo guardò con astio.
– Perché hai voluto fare l'eroe?
– Oh, è così che ringrazi chi viene a
salvarti le chiappe, Mata
Hari? – la scimmiottò in falsetto.
Lei non rise, né gli rispose per le rime come s'era
aspettato.
– Non te l'ho chiesto... anzi, t'avevo detto d'andartene!
– Da quando sei un mio superiore? – nonostante lo
sconcerto e l'interesse sincero sul perché della sua strana
reazione, cominciava a irritarsi – Te l'ho detto: adesso si
gioca con le mie regole... e io non abbandono i miei compagni.
– Io non ho compagni – di nuovo quella punta
d'isteria nella voce – Sono solo un peso e non ne voglio: io
lavoro da sola...
chiaro?
– Come ti pare – lui allargò le
braccia, spazientito – Ma non t'abbandonerò lo
stesso.
– Sei testardo – Sylviana si sfregò gli
occhi – Sei testardo come Stem... e lui è morto,
alla fine... sono morti tutti!
– Tutti chi? – lo capì nello stesso
istante in cui la domanda gli era uscita dalla bocca – Oh.
I suoi compagni. I Rosa Rossa.
– Già. Oh – commentò lei,
asciutta – Se hai capito, non riprovarci: non voglio anche te sulla coscienza.
Ishikura sentì la rabbia sbollire.
Il senso di colpa dei sopravvissuti...
Era una sensazione che conosceva fin
troppo bene e, per la prima volta, si sentì vicino a quella donna così diversa da lui.
Senza che lo volesse, la sua mente tornò indietro a
quattordici anni prima, al caccia spaziale di Reyckhood che esplodeva
davanti al suo durante le operazioni di difesa di Serraq, al suo corpo
dilaniato e ricoperto di orribili ustioni tra le lamiere contorte e annerite.
Era stato il primo amico che aveva perso in battaglia e ancora adesso,
a volte, il suo ricordo tornava a tormentarlo assieme alle solite,
angoscianti domande: “perché
lui e non io?” e “avrei potuto
evitarlo?”.
Avrebbe voluto saperle dire qualcosa di saggio e rasserenante come
riusciva sempre a fare il Capitano Zero in occasioni del genere, ma lui
non era bravo coi discorsi, le lacrime delle donne lo
mandavano sempre nel pallone e per di più non ne aveva il
tempo.
Estrasse la pistola, controllò il livello di carica della cella, tolse la
sicura e si sporse dal nascondiglio.
Il posto di guardia era a pochi metri da loro, un edificio cilindrico
dall'aspetto tozzo e robusto, dotato di strette feritoie. Sul tetto, un
paio di uomini manovravano il riflettore; in basso, almeno altri tre
erano appostati all'interno, a giudicare dallo scintillio delle canne
dei fucili e dal puntino rosso delle sigarette accese.
La jeep che era passata loro davanti era parcheggiata di traverso
davanti al cancello, la mitragliatrice puntata sul sentiero.
Sul cassone e intorno a essa, almeno altri cinque uomini.
– Maledizione...
– Non riusciremo a uscire di nascosto, vero? –
Sylviana estrasse le sue pistole e tolse la sicura.
– Non credo proprio. A meno che i nostri amici non siano
tanto idioti da cascare nel vecchio trucco del “guarda
là”, dovremo combattere. Siamo in rapporto di
almeno cinque a uno. Come va la caviglia?
– Gonfia. Mi reggo in piedi e forse posso riuscire a
camminare a ritmo sostenuto per qualche centinaio di metri, ma non a
correre.
– Va bene – Ishikura inspirò a fondo e
cercò di suonare rassicurante come gli avevano insegnato al
Corso Ufficiali – Ascoltami: l'importante è che
riusciamo ad arrivare a quella piccola depressione laggiù in
fondo. La vedi?
Indicò un avvallamento del terreno poco distante dal posto
di guardia e defilato rispetto alla jeep, forse ciò che
rimaneva di una trincea mal riempita o di una fossa per i rifiuti.
Sylviana annuì.
– Faremo il giro largo e ci muoveremo bassi e ritmati,
coprendoci a vicenda. Non c'è bisogno di correre: per
fortuna c'è la nebbia e i nostri amici
preferiscono girare quel maledetto riflettore attorno al sentiero... di
certo non s'aspettano un attacco da quella direzione.
Sylviana lo guardò come
se fosse ammattito.
– Un attacco? In due contro dieci e armati di tre
pistole e un paio di granate?
– Fidati di me – le posò la mano sulla
spalla – So quel che faccio.
– Lo spero.
Le passò un braccio attorno alla vita e la aiutò
ad alzarsi; assunsero la posizione rannicchiata tipica dei soldati
delle forze speciali in ricognizione e cominciarono a muoversi in un
ampio semicerchio attorno al posto di guardia, bassi e cauti,
alternandosi a coprire l'uno la schiena dell'altra.
Mentre il loro obiettivo si delineava pian piano davanti a loro, Ishikura
continuava a ripetersi il vecchio adagio del suo istruttore: “Lento è
cauto e cauto è veloce”.
Non ci aveva mai creduto granché e si era sempre chiesto
perché dovesse imparare le tecniche di fanteria visto che in futuro avrebbe dovuto combattere nello spazio, ma doveva ammettere
che, in quel momento, le interminabili marce e le strigliate del
vecchio gli stavano salvando la pellaccia.
Arrivarono all'obiettivo senza scivolare nemmeno una volta e,
soprattutto, senza farsi scoprire.
Si adagiarono nella fossa.
Ishikura aprì la bisaccia, consegnò la sua cella di ricambio a Sylviana e si mise in
tasca le due granate.
– Cercherò d'arrivare sotto il tetto del posto di
guardia e mettere fuori uso il riflettore – le
sussurrò – Quando scoppierà la prima
granata, mi servirà che tu t'assicuri che i due
là in cima non sopravvivano e mi copra mentre faccio
irruzione.
– E le guardie con la jeep?
– Da dove si trovano non possono spararti con il
mitragliatore e nemmeno far luce sin qui: c'è il posto di
guardia di mezzo. Saranno costretti a spostare il veicolo, o almeno è quel che
spero che facciano, così da darmi il tempo di far fuori i
loro colleghi là dentro. Quando arriveranno sarà un
inferno, quaggiù: dovrai cercare di resistere fino a quando non
dovranno ricaricare la mitragliatrice, poi ci penserò io con
l'ultima granata.
– Ti rendi conto che se uno di noi dovesse sbagliare...
– Lo so – Ishikura si mordicchiò un labbro
– Saremmo morti. Le granate sono contate, le munizioni poche
e quei tizi non mi sembrano pivellini... ma non vedo altra scelta.
Lo sguardo di Sylviana si fece distante, come se stesse vagliando le varie possibilità.
Alla fine abbassò il capo.
– Va bene – sussurrò.
– Mi fido di te – Ishikura s'aggrappò al bordo della fossa e si voltò a guardarla – Buona fortuna.
– Anche a te – gli parve di sentirla mormorare
– Sta'attento.
Si issò fuori della buca e s'avvicinò al posto
di guardia.
Per fortuna, da dove si trovava, il muro lo copriva agli occhi delle
guardie vicino alla jeep; quanto ai due sul tetto, tutta la loro
attenzione era concentrata sul sentiero e sulle aree circostanti.
S'appiattì contro la parete, fece un respiro profondo,
afferrò una delle granate dalla bisaccia e mise il pollice
sulla leva di posizione. Tirò e girò l'anello
della spoletta fino a rimuoverlo, contò fino a tre
e lanciò.
I due tizi sul tetto urlarono qualcosa che si perse nel boato subito dopo. Una pioggia di detriti gli cadde addosso e tutto intorno
a lui si fece più buio.
Sylviana cominciò a sparare e qualcosa cadde a qualche metro
da lui.
Non si voltò a guardare.
Dall'altra parte, gli giunse un rumore di urla concitate e qualche
sparo.
S'appiattì contro il muro, pregò che la
confusione durasse ancora un po' e che nessuno avesse la prontezza di
spirito di tentare di accerchiarlo.
Fu fortunato; s'infilò all'interno della garitta
senza essere notato e sparò. Le tre
guardie non ebbero nemmeno il tempo di reagire e nessuno parve
accorgersi di ciò che era successo, anche perché
fuori s'era scatenato l'inferno.
Ishikura si sporse dalla feritoia e mirò agli uomini
più vicini a lui.
Tre andarono giù quasi subito, non sapeva se per
opera sua, di Sylviana o per il fuoco amico.
La mitragliatrice bersagliava senza sosta il piccolo avvallamento, sollevando zolle di terra e pietre, spezzando rami.
Resisti...
Il riflettore andò in frantumi e le sole luci a rischiarare
la notte furono quelle dei fari e i lampi delle pistole e della
mitragliatrice. Resisti... Ishikura guardò il nastro di munizioni che scorreva
nelle mani del tizio al mitragliatore; era quasi alla fine.
Resisti ancora un po',
ti prego!
Mise la pistola nella fondina e afferrò l'ultima granata
che gli restava.
Si accoccolò contro lo stipite della porta e
guardò fuori, nella notte rischiarata dagli spari.
Un'altra delle guardie cadde dal cassone della jeep, si contorse
qualche istante e rimase immobile.
Strappò via l'anello e cominciò a contare,
il cuore che gli martellava nel petto.
Uno, due, tre...
La mitragliatrice s'azzittì e lui si
lanciò fuori.
Quattro, cinque, sei...
L'uomo che stava cercando di aiutare il mitragliere a ricaricare fu
colpito alla testa e cadde.
Sette, otto, nove...
dieci!
Lanciò la granata e si gettò a terra.
– Tu... – il mitragliere lasciò il
nastro, estrasse la pistola e fece per saltare giù dal mezzo.
La mano di Ishikura volò alla fondina.
Un lampo squarciò il buio della notte e lo accecò, un boato tremendo gli ferì i timpani e zolle di terra e sassi gli piovvero addosso da tutte le direzioni.
Un fumo acre e denso gli riempì le narici e i polmoni, qualcosa lo colpì alla tempia.
Un altro lampo e
tutto diventò nero e silenzioso.
Quando si riprese, gli fischiavano le orecchie.
Qualcuno lo stava
strattonando per il braccio.
Aprì gli occhi e vide Sylviana.
Muoveva le labbra,
ma lui non la sentiva.
Temette d'esser diventato sordo.
– … bene? Ce la fai ad alzarti?
– Sì – Ishikura tirò un sospiro
di sollievo, si sfregò gli occhi e le porse la mano – Ma smettila di scuotermi: mi
fanno male persino i capelli!
Lei lo aiutò a rialzarsi e solo allora si rese conto di
essere disteso in un mucchio di terra e detriti che lo ricoprivano
quasi del tutto; la jeep era a pezzi e avvolta dalle fiamme.
– Dobbiamo sbrigarci – Sylviana gli
passò un braccio sotto l'ascella – Ne stanno
arrivando altri.
– Ce la fai a scavalcare il cancello?
– No – lei fece
una smorfia e sollevò il suo ciondolo – Ma ho chiamato Ifiklìs,
arriverà a momenti.
– Perché mi hai tirato fuori da quel laboratorio? – le domandò.
Di certo, abbandonarlo al suo destino, aiutare Ifiklìs a fare ciò che doveva e
fuggire con lui sarebbe stato più sicuro e conveniente per
lei, sotto ogni aspetto.
– E tu perché sei tornato indietro a riprendermi?
La luce di due fari li abbagliò, ci furono uno schianto e un forte rumore di ferraglia.
Ishikura sbatté le palpebre. Un fuoristrada dell'esercito
era fermo di traverso davanti a lui e a Sylviana. La portiera si
spalancò.
– Ifiklìs?
L'uomo alla guida annuì.
Ishikura afferrò
Sylviana, la issò all'interno e salì a
sua volta.
Non era il momento di esitare: ovunque li avesse portati quel tizio, non poteva certo
esser peggio del posto dal quale erano appena fuggiti.
– Era ora – Ifiklìs pigiò sull'acceleratore e si esibì in un'inversione a u e una partenza degne di un pilota
professionista... o di un pazzo – Cominciavo a temere che
voleste rimanere qui a prendere un The con le guardie.
Ishikura si voltò verso di lui proprio mentre il fuoco
dell'auto in fiamme gli illuminava il viso.
– Tu saresti... Ifiklìs?
* Una sentry gun è un'arma che rivela tramite sensori il suo obiettivo e automaticamente fa fuoco contro quest'ultimo.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 31 *** Kenzo Kurai ***
cap 8
Zero avanzò fra la polvere e il fumo, la mano di
Mayu
stretta nella sinistra e l'impugnatura del fucile nella
destra, pronto a far fuoco al minimo cenno di pericolo.
Si guardò intorno. Il laboratorio, il cuore della base nemica, era la
riproduzione della sala computer dell'Arcadia,
solo più ampia... e bianca, bianchissima. Le
pareti, il pavimento, i pannelli
che ricoprivano i macchinari e persino il grande computer che occupava
il centro della stanza erano candidi come la neve e
illuminati dalla luce fortissima di decine di faretti.
Dopo l'oscurità delle altre stanze e del corridoio, tutto
quel bianco e quella luce abbacinante gli ferirono gli occhi.
Anche il camice dell'uomo che venne loro incontro era candido,
immacolato.
Zero serrò un poco le palpebre e lo guardò in
faccia.
Basso, tozzo e occhialuto, una zazzera di capelli castani che gli
ricadeva fin quasi sulle spalle e un gran naso a patata; una chiostra
di denti enormi, squadrati e bianchissimi fece la sua apparizione
quando schiuse le labbra e gli sorrise.
Zero si sentì come se qualcuno gli avesse dato un pugno nello stomaco: gli
mancò il respiro e la voce gli uscì in un
sussurro roco.
– To... Tochiro?
Ancora stretta nella sua, la mano di Mayu tremò.
L'uomo fece un gesto vago.
– In un certo senso
– anche la voce era quella di Tochiro
– Il mio corpo e una parte della mia
mente.
Avanzò ancora di qualche passo
e
appoggiò una mano su uno dei pannelli inferiori del computer.
– Quella che mi ha permesso di costruire questo.
La mano di Mayu scivolò via dalla sua e Zero si
voltò a
guardarla: nell'espressione tesa e furibonda che s'era dipinta sul suo
volto dai tratti delicati rivide la grinta di Emeraldas.
– Non è possibile – gli
puntò addosso il fucile – Mio padre è
morto che non
avevo neanche un anno!
– Una sindrome spaziale incurabile, già
–
l'uomo annuì e allargò le braccia, lo sguardo
triste
dietro le lenti spesse – Che tu ci creda o no, mi spiace
davvero
per te, Mayu.
Su, abbassa quell'arma... e lo faccia anche lei,
Capitano. Vi spiegherò tutto e spero che alla fine
comprenderete
quanto ciò che ho fatto sia stato necessario e
inevitabile, viste le circostanze.
– Ciò che ha... – le implicazioni di
quella frase
colpirono Zero con la stessa forza del suo aspetto e lo fecero fremere,
stavolta di rabbia – Ma allora, lei è...
– Kenzo Kurai – confermò l'uomo con un
cenno.
Era talmente assurdo che per un po' la mente di Zero si rifiutò
di
prendere atto della realtà: il Professor Kurai, il
responsabile
del Progetto Herakles, lo scienziato fuggiasco che da anni tutte le
forze di polizia e gli eserciti di tutto l'universo conosciuto
braccavano per i suoi atroci crimini gli stava davanti... con l'aspetto
e la voce di uno dei suoi più cari amici.
Gli s'avvicinò d'un passo, senza abbassare la guardia.
– Allora, in nome del Governo Federale Terrestre, la dichiaro
in
arresto per crimini contro l'umanità, Professore –
gli
annunciò, secco – Faccia cessare ogni attacco
contro i miei uomini e mi
segua sulla mia nave senza opporre resistenza.
Kurai fece una breve, amara risata; quella, almeno, diversa da quella
di Tochiro.
– Ma non si rende conto di quanto sia assurdo tutto questo,
Capitano? Noi stiamo dalla stessa parte. Dovremmo essere alleati,
persino amici...
Zero sentì la rabbia montargli dentro, implacabile.
– Amici? – ruggì – Dovrei
essere amico di
qualcuno che ha fatto esplodere una colonia piena di persone che
cercavano solo una vita migliore? Di qualcuno che ha reso un mio vero
amico una marionetta senz'anima e l'ha spedito ad assassinare dei
ragazzi che ama come fratelli? Di qualcuno che sta infangando la
memoria di un altro mio amico davanti a sua figlia?
Sollevò il fucile e glielo puntò contro.
Kurai allargò le braccia e
sospirò.
– Orribile, ne convengo – lo fissò
dritto negli
occhi – Ma il fine giustifica i mezzi, e le assicuro che il
mio
fine è nobile, Capitano.
– Un fine nobile si deve raggiungere con mezzi nobili,
altrimenti
diventa ignobile come il mezzo. E adesso basta chiacchiere e mi segua,
Kurai.
– No. Prima ascoltatemi – li guardò
accorato da
dietro le lenti spesse – Tutti noi
abbiamo conosciuto il dolore di perdere i nostri cari senza poter fare
nulla. Io e lei durante quell'orribile bombardamento, Capitano, tu
prima ancora di poter imparare a camminare, piccola. Bambini obbligati
a crescere senza l'amore dei genitori, persone
che si amano separate per sempre, padri che seppelliscono i loro
figli... c'è niente di più triste?
Per l'ennesima volta, la mente di Zero tornò alla fine della
battaglia presso la Luna.
Rivide le navi meccanoidi oltrepassare la Karyu e sfrecciare tra i
relitti dei caccia e i cadaveri smembrati che fluttuavano nello spazio a perdita
d'occhio, rivide il suo bel pianeta azzurro prendere fuoco sotto le
bombe, ritornò fra le rovine, il fumo e la polvere, in mezzo
ai
pianti e alla rabbia dei sopravvissuti... e davanti al cratere fumante
che era stato casa sua.
Ripensò a suo figlio, morto prima ancora che potesse dargli
un nome e tenerlo fra le braccia.
Strinse il pugno sino a conficcarsi le unghie nel palmo e
tornò a fissare il Professore.
Kurai era un ottimo oratore, convincente, incisivo; aveva difeso a
spada tratta le sue idee all'epoca dei dibattiti con il Comitato Etico
Scientifico e il solo Daiba era riuscito a tenergli testa.
Non devo lasciarmi imbambolare!
– È orribile perdere i propri cari come
è successo
a noi – il Professore s'aggiustò gli occhiali – Tutto
ciò
che desidero, tutto ciò che ho sempre desiderato
è che
nessuno debba mai più provare un dolore simile, Capitano. Io
voglio proteggere
l'umanità, impedire che altri bambini rimangano
orfani
e che i nostri figli siano costretti a vivere gli orrori che avete
vissuto lei e i suoi commilitoni durante la guerra...
– Già – tagliò corto Zero,
sdegnato –
Al prezzo della vita e della libertà di altri uomini.
Ricordo
cosa fece ai cloni di quel povero ragazzo, Kurai, ho sentito cosa ha
fatto a quelli di tre degli ex membri dell'equipaggio di Harlock... e
ho affrontato Harlock stesso – sollevò il pugno
ferito, una furia selvaggia e amara che gli montava dentro
e che non sapeva se sarebbe riuscito a contenere – Non glielo
posso perdonare. Erano esseri umani come noi... come ha potuto?!
Kurai si
sistemò il colletto del camice.
– I cloni non sono che semplice DNA se non viene
trasferita loro
tutta l'essenza dell'originale. Non è stato fatto
né
con quelli del primo Herakles né con quei tre e, a
ogni modo, quelli non
erano mie creazioni: l'idea è stata dei miei collaboratori
sulla
Terra, per proteggerci da quella banda di pirati.
Zero lo guardò negli occhi: non un barlume d'incertezza o rimpianto.
Crede davvero a
ciò che sta dicendo.
Ripensò all'uomo senza nome di quel filmato, alle fotografie
delle autopsie del Dottor Ban e allo sguardo vuoto di Harlock. Un
brivido gli corse
lungo la schiena.
Kurai si passò una mano nei capelli.
– Non uso più cloni umani da tempo, ormai: troppo
instabili. Per quanto si cerchi di limitarla o inibirla, la mente d'un
essere umano sviluppa sempre una personalità che cerca d'emergere
e
affermarsi su quella che la dovrebbe controllare, anche dopo molto
tempo. E alla fine trova sempre un modo. È stato un duro
colpo
scoprirlo, sa? Nessuna speranza di far funzionare uno di quei chip su
un essere umano senza il rischio di una crisi di rigetto nei momenti
meno
opportuni...
Il pugno di Zero tremò.
– E nonostante ciò è andato avanti?
– Stavo per rinunciare, tempo fa. Ma poi qualcuno mi convinse
a non mollare, mi fornì uomini, mezzi, denaro...
– Chi? Zero gli spinse la canna contro il petto. Kurai indietreggiò.
– Non c'è bisogno di ricorrere alla violenza,
Capitano. Io non lo sto facendo,
non sono
nemmeno armato. È un suo superiore, si chiama Arngeir.
Zero ricordò le parole di Ifiklìs e il respiro gli si mozzò in gola.
– Sven Arngeir? Il Comandante delle Operazioni
Spaziali?
Allora è
davvero coinvolto in tutto questo!
Kurai gli fece un cenno affermativo.
– Mi propose un patto: il suo aiuto nel fornirmi informazioni
e
tracciati neurali su cui lavorare, quello di Matia per quanto
riguardava la tecnologia meccanoide dei chip e quello di Lia nel
progettare e mettere a punto la Nèmesis in cambio del mio
nell'aiutare loro due e un'altra persona a vendicarsi di un uomo che
aveva rovinato le loro vite...
– Harlock – concluse per lui Mayu, gli occhi lucidi
ma la
voce ferma – È per questo che ha assunto l'aspetto
di mio
padre, vero?
Kurai si tolse gli occhiali, pulì le lenti con un lembo del
camice e li guardò entrambi.
– Sì. Coglierlo di sorpresa con la vista dei suoi
più cari amici, tali e quali a come li aveva visti l'ultima
volta, era il solo modo per catturarlo vivo, a detta di Lia, ma non
solo: le conoscenze e i ricordi di Tochiro Oyama ci servivano per
completare il progetto della Nèmesis, quello di questo
macchinario e per la procedura di trasferimento dei tracciati neurali
– abbassò lo sguardo – Inoltre, a me
serviva un
corpo giovane e sano, o non sarei vissuto ancora a lungo.
– Si è servito di uno di quei mutaforma, vero,
Professore?
Kurai la guardò sorpreso.
– Sei intelligente, piccola – sorrise, le si
avvicinò e tese
la mano per accarezzarle i capelli – La parte di Tochiro
Oyama
che è in me ne è fiera.
Qualcosa, in Zero, scattò a quel gesto e a quelle parole.
Si mise fra di loro e schiaffeggiò la mano di Kurai, furioso
come non si sentiva da tempo.
– Non lo dica mai più –
ringhiò – Non
osi mai più dire di avere una parte di Tochiro in lei! Era
un
uomo buono, sensibile e amante della vita, uno scienziato pieno d'ideali che sognava di vivere libero insieme al suo migliore amico, a
sua figlia e alla donna che amava! Non avrebbe mai compiuto le
nefandezze che ha compiuto lei, nemmeno se ne fosse andato della
sua stessa vita!
– E che cosa ha ottenuto, coi suoi scrupoli? –
Kurai lo
guardò triste – È morto. Ha spezzato il
cuore della
donna che amava, reso orfana sua figlia e quanto al suo amico...
bé, se le raccontassi in che stato era quando l'abbiamo
catturato, mi ringrazierebbe.
– Ringraziarla? Di averlo reso uno schiavo e un assassino
senz'anima? – Zero lasciò che il fucile gli
ricadesse a
tracolla e lo afferrò per il colletto – Di avergli
tolto
tutto ciò che lo rendeva lui? Ma si rende
conto di cosa gli ha
fatto, Kurai, di cosa ha fatto a tutte le persone che lo amano?
Kurai non si scompose. Afferrò i polsi di Zero e sostenne il
suo sguardo.
– Gli ho salvato la vita – fece forza sulle sue
dita, senza
riuscire a liberarsi – Quell'uomo aspettava solo la morte,
sa? La
desiderava, la cercava addirittura... E tutte le persone di cui parla,
tutti questi amici, dov'erano mentre vagava per il cosmo perso
nella sua disperazione?
– Che diavolo sta dicendo? – Zero
aumentò la stretta
e torse il tessuto del camice intorno al suo collo – Harlock
disperato? Mi sta prendendo in giro?
– Sono stato del tutto sincero sinora, Capitano. Mentire non
mi
porterebbe alcun vantaggio. Lo giuro sulla memoria dei miei figli: il
suo amico era sull'orlo del baratro.
Zero rimase spiazzato da quelle parole.
Tochiro, il vero
Tochiro, gliel'aveva detto, nella sala computer dell'Arcadia.
Ricordò quel discorso senza parole, fatto di pure sensazioni.
Risentì sulla sua pelle, nel profondo del suo animo, la
stanchezza di un'anima umana prigioniera in un computer da ormai
quattordici anni; provò l'angoscia e il dolore di Harlock
alla
prospettiva di perdere un'altra volta il suo più caro amico
e,
di nuovo, si sentì sconvolto, turbato nel profondo... e
incredulo.
Aveva sempre pensato che Harlock fosse molto diverso da lui: una
roccia, un uomo risoluto ed energico, capace di superare ogni
difficoltà e ogni dolore senza tremare né
versare una
sola lacrima.
O forse mi faceva comodo
crederlo, avere questa immagine di lui.
–
Comunque non era una buona ragione per trasformarlo in una delle sue
marionette – Zero lo scrollò nel
tentativo
di scacciare la tristezza e il senso di colpa con la rabbia
–
Fosse anche stato sul punto di suicidarsi...
– Oh, non l'avrebbe mai fatto – Kurai lo
fissò
– È troppo orgoglioso per fare qualcosa
che si possa
paragonare a una fuga, anche solo alla lontana. Comunque, io e i
miei compagni gliel'abbiamo impedito.
– Lo avete costretto a una vita peggiore di centomila morti
per uno come lui, se ne rende conto?
– Al contrario – Kurai sorrise – Gli
abbiamo dato ciò che desiderava, lo abbiamo tenuto al
sicuro...
– Al sicuro? – Zero ghignò truce
– Mandandolo
ad assassinare gente come me, Tadashi Daiba e Yuki Kei? Ha uno strano
concetto di sicurezza, Kurai.
– Nessuno di voi l'ha affrontato per davvero, Capitano.
– E quello con cui ho duellato su Heavy Meldar chi era,
allora?
– esplose Zero – Aveva il suo aspetto, la sua voce,
combatteva come lui, si ricordava di una promessa che ci eravamo
scambiati
quattordici anni fa e persino di come bevo il Barbour! Basta con le prese in giro e gli
indovinelli, Kurai, basta!
Lo sollevò da terra, accecato dall'ira.
Strinse ancora
più forte il tessuto attorno al suo collo, proprio sulla
trachea, con la ferma intenzione di strangolarlo.
Una parte di lui, il razionale, freddo ufficiale della Flotta Unita,
sapeva di sbagliare: quel pazzo criminale doveva rispondere dei suoi
delitti, certo, ma davanti a un tribunale.
L'amara verità, però, era che quella parte era
debole in quel momento:
più pensava ad Harlock, al giovane, scanzonato pirata pieno
di
sogni e speranze che aveva conosciuto un tempo, più sentiva
la
furia omicida salirgli su per il petto, fluire lungo le braccia,
rendere d'acciaio le sue dita.
Le sue mani tremavano, così come tutto il suo corpo, ma
stringevano sempre di più la presa attorno al tessuto del
camice
e alla gola del Professore.
Kurai stese un braccio verso di lui, il volto cereo, le labbra blu.
Provò a dire qualcosa, ma il solo suono che
riuscì a emettere fu un gorgoglio soffocato.
Zero gli serrò la gola ancora più forte.
Non voleva sentire, non voleva sentire più niente... e non
voleva più vedere quell'insulto alla memoria di Tochiro.
Un rantolo.
E un tocco caldo sul suo polso, una mano minuta, avvolta in un guanto
macchiato di polvere e sangue.
– Lascialo, Zero – la voce di Mayu – Deve
dirci dove
si trova Harlock, come liberarlo dal controllo mentale... e poi, per
quanto male gli abbia fatto, per quanto ne abbia fatto a tutti noi,
questo non è giusto, lo sai.
Lo sguardo dei suoi grandi occhi castani gli fece l'effetto d'una
doccia gelata.
Come il rumore metallico che risuonò all'improvviso nella
sala: quello di una pistola laser che veniva caricata.
– Dalle retta, Zero – una voce bassa e decisa, una
voce che conosceva – Lascialo andare. Emeraldas emerse da dietro il computer e mosse alcuni passi verso di
loro, l'arma in pugno e il bel volto sfregiato chiuso in
un'espressione indecifrabile.
– Sparami pure, se vuoi – Zero si mise davanti a
Mayu e
sollevò Kurai di fronte a sé in modo che il suo
corpo
stesse fra di loro e la traiettoria del laser.
– Non sei il tipo da farsi scudo con una persona inerme, Zero
– un lieve, gelido sorriso increspò le labbra
di
Emeraldas.
– Mettimi alla prova – le ringhiò.
Se Emeraldas avesse ucciso il Professore, forse il controllo mentale a
cui di certo anche lei era sottoposta si sarebbe interrotto, ma anche
ammesso che ciò non succedesse e che lui stesso morisse
colpito
dal laser, Mayu sarebbe stata al riparo e avrebbe avuto tutto il tempo
di fuggire, chiamare rinforzi o addirittura renderla inoffensiva.
Era una ragazza intelligente e coraggiosa; Zero non dubitava che ce
l'avrebbe fatta.
Emeraldas si guardò attorno, fissò prima lui e poi Kurai. Aggrottò la fronte, appoggiò il dito sul grilletto. Il cuore di Zero comincò a battere più forte, ma lui lo ignorò. S'impose di rimanere immobile, di non distogliere lo sguardo.
Emeraldas abbassò
la pistola.
Zero rilassò le spalle e allentò un po' la
stretta intorno al collo di Kurai.
Accennò con capo alla pistola.
– Buttala.
Fu un attimo.
Kurai respirò a fondo e cercò di sferrargli una
gomitata; non ci riuscì, ma
il movimento lo sbilanciò e per qualche frazione di secondo
perse il controllo della situazione.
Emeraldas mosse il braccio e fece fuoco, così in fretta che
non sembrò nemmeno prendere la mira.
Il ginocchio sinistro di Zero cedette di colpo, un dolore acuto e
bruciante gli serpeggiò lungo tutta la coscia e lo stinco. Un grido di
dolore gli sfuggì dalle labbra e
finì a terra.
Kurai si liberò dalla sua presa e rotolò di lato,
scosso da violenti colpi di tosse.
Da qualche parte dietro di loro partì uno sparo.
– Mayu – Zero urlò con tutto il fiato
che aveva in corpo – Mettiti al riparo!
Estrasse la pistola dalla fondina, afferrò Kurai per il
camice,
lo strattonò verso di sé e si guardò
attorno in
cerca di Emeraldas.
Era già dietro di lui, la pistola puntata alla tempia di una
Mayu disarmata, col braccio destro bloccato dietro la schiena.
Una goccia di sudore scese lungo la guancia della ragazza e anche Zero
si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Emeraldas armò
il cane.
– Lascialo o la uccido
Zero rimase immobile, sconvolto dalla scena che
aveva davanti.
– Emeraldas – boccheggiò – Ti
prego... è tua
figlia! Tua e di Tochiro!
Lo sguardo degli enormi, sconvolgenti occhi azzurri di Emeraldas si
puntò in quelli di Mayu e Zero trattenne il
respiro.
– Io non ho figli – Emeraldas tornò a
guardare verso di lui – Lascialo.
Mayu chiuse gli occhi ed emise un lungo respiro tremulo.
Zero si sentì spezzare il cuore e sopraffare sempre
più dalla collera.
Prima Harlock, l'uomo che s'era preso cura di lei per metà
della sua vita, e adesso Tochiro ed Emeraldas, i suoi veri genitori...
poteva solo immaginare la sofferenza di quella ragazzina nel vedersi
strappar via così persino la dolcezza del loro sbiadito
ricordo.
– Emeraldas, ti prego...
– È inutile – tossì Kurai
– Lei
è un Herakles la cui memoria è derivata
dall'unico
tracciato neurale di Emeraldas in possesso del Ministero della Difesa
Terrestre, un vecchio file registrato molto prima che Mayu nascesse.
Non può ricordarsi di lei... e in ogni caso non avrei mai
trasferito in uno dei miei soldati sentimenti del genere.
Già,
Zero si morse il labbro fino a farlo sanguinare, Sono solo inutili ostacoli, per
te... Il dito
di Emeraldas si posò sul grilletto.
– È il mio ultimo avvertimento
Zero la guardò: su quel bellissimo viso era dipinta la
stessa
espressione fredda e distante con cui Harlock lo aveva fissato nella
Valle della Morte mentre gli puntava la pistola alla fronte.
Avrebbe sparato, ne era certo.
Si tirò in piedi a fatica, con Kurai ben stretto per la
collottola.
– È solo per lei che non l'ammazzo –
gli sussurrò.
Guardò Emeraldas.
– Al mio tre. Uno. Due... Tre!
Diede una spinta a Kurai ed Emeraldas fece lo stesso con Mayu.
Zero le afferrò il polso, la tirò a sé
e la
strinse contro il suo petto mentre puntava l'arma contro Emeraldas e
il Professore.
Erano in una situazione di stallo: lui e Mayu erano in due, ma
Emeraldas era veloce e forte come quattordici anni prima mentre lui era
ferito a una gamba e Mayu disarmata e troppo inesperta per
un'avversaria del genere. Senza contare che tremava come una foglia.
– Adesso che gli animi si sono un po' calmati –
Kurai si
massaggiò la gola – Possiamo riprendere il
discorso, vero?
Che ci crediate o no, non voglio la vostra morte e se lei mi avesse
lasciato parlare, Capitano, le avrei detto che non voglio nemmeno
quella di Harlock. L'uomo che è stato mandato ad
assassinare Daiba e la Kei, quello che lei ha affrontato su Heavy
Meldar, non era altro che il suo DNA e parte del suo tracciato neurale
– fece scorrere tra le dita tozze una ciocca dei lunghi
capelli
rossi di Emeraldas – Proprio come questa splendida creatura.
– Uno Shòu stabilizzato e impiantato –
Mayu
staccò il viso dal petto di Zero, la voce appena un sussurro.
– Esatto. L' Herakles perfetto, il mio capolavoro, oserei
dire.
Matia, Arngeir e il loro capo avrebbero voluto installare il chip
direttamente nel cervello di Harlock, ma il problema delle
crisi
di rigetto era irrisolvibile, così ho convinto tutti loro ad
adottare lo stesso
procedimento con cui ho creato la mia Emeraldas e ottenuto questo
corpo. Con le conoscenze di Matia e di Tochiro, estrarre il suo
tracciato
neurale attuale, selezionare ciò che serviva al nostro scopo
e trasferirlo nel nostro Herakles è stato uno
scherzo. Mi duole ammetterlo, ma già
quattordici anni fa quell'uomo era anni luce avanti a me nello studio
del cervello umano e della trasformazione dei suoi impulsi
elettromagnetici in veri e propri files. Era un autentico genio.
Il cuore di
Zero
mancò un battito al ricordo delle parole di Maji: "A meno che non
siano riusciti ad adattare il chip a un cervello umano non meccanizzato
o a modificare i cloni in modo che il loro cervello regga
così a
lungo... Nel qual caso, chissà lui che fine ha fatto...
forse
quella dei poveri Taro e Kiddodo... ".
– Cosa ne avete fatto di Harlock?
– Prima metta via quell'arma, Capitano – Kurai lo
guardò trionfante. Lo aveva in pugno, e lo sapeva
– Avanti, sia ragionevole.
Zero spostò lo sguardo da lui a Emeraldas, incerto.
Non si fidava di quell'uomo e quella donna, o meglio, quell' Herakles,
gli dava i brividi.
Strinse le dita attorno all'impugnatura della pistola, diede un leggero
colpetto alla schiena di Mayu e sperò di riuscire a
comunicarle
le sue intenzioni.
Le sorrise rassicurante.
Puoi farcela...
Accennò con la coda dell'occhio in direzione della porta
mentre scivolava piano davanti a lei.
Devi andartene da qui!
Corri, cerca gli altri!
Lo sguardo di Mayu si spostò dal suo viso
alla
stoffa intrisa di sangue dei suoi pantaloni ai
suoi occhi, fermo nonostante il lieve tremito che ancora
agitava le sue membra.
Scosse la testa in maniera impercettibile e serrò la mano
attorno al bavero della sua giacca.
Kurai rise.
– A quanto pare la piccola è temeraria e cocciuta
almeno
quanto lei, Capitano – Zero sussultò – Ad ogni modo,
non
sareste riusciti a uscire di qui. E nessun altro entrerà...
non
a breve, almeno.
Il Professore tirò fuori dalla tasca del camice un telecomando e premette
un pulsante.
Con un gran fragore metallico, una pesante saracinesca si
abbatté al suolo proprio dietro di loro.
– E adesso, per l'ultima volta, buttate le armi. Lo ripeto:
non
ho cattive intenzioni. Le azioni orribili che sono stato costretto a
compiere erano volte a un fine nobile, pieno d'amore...
Zero si guardò attorno, frenetico.
Nessun'altra uscita visibile, pareti e pavimenti lisci, spogli e privi
di rientranze, luce ovunque e al centro della sala solo quell'enorme
computer dietro il quale non ci si sarebbe potuti riparare e sul quale
non si sarebbe potuto far fuoco senza il rischio di provocare
un'esplosione o un rovinoso blackout in tutta la base.
E poi lei,
pericolosa quanto l'arma che stringeva fra le dita, forse addirittura
di più.
Zero sospirò e fece un passo avanti.
Rimise la sicura alla pistola, la gettò a terra e con
deliberata
lentezza si fece passare la cinghia del fucile d'assalto attorno al
collo. Lo lasciò cadere ai piedi di Kurai.
Mayu lo imitò in silenzio, gli occhi fissi su quelle due
oscene, distorte copie dei suoi genitori.
Chissà cosa
prova, quando li guarda...
Lui
si sentiva rivoltare lo stomaco.
– Bene – i piccoli occhi nocciola di
Kurai scintillarono – E ora, come segno della mia
buona volontà, vi dimostrerò che non v'ho
raccontato
frottole e che non sono il mostro che tutti dipingono. Seguitemi.
Li guidò dietro al computer e premette un tasto sul pannello candido che ne ricopriva la base. Uno
sportello si aprì rivelando un enorme schermo e una console.
Le dita corte e tozze di Kurai volarono sulla tastiera a una
velocità tale che Zero non poteva cogliere le lettere o la
composizione dei codici che lui digitava.
Con un basso ronzio, due porte scorrevoli s'aprirono sul pavimento e
un pannello sulla parete di fronte rivelò un altro schermo.
Sul quadrante inferiore, una linea scorreva adagio piegandosi in
punte e onde d'altezza e distanza regolari: la rappresentazione
grafica di un elettroencefalogramma.
Sotto di esso, si susseguivano in continuo aggiornamento dati come
pressione arteriosa, frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura
corporea, ossigenazione sanguigna e glicemia.
I parametri vitali di un
essere umano.
Zero deglutì, a vuoto.
Che sia...
Mayu gli strinse di nuovo la mano, così forte da fargli male
alle dita.
Lui ricambiò la stretta, la gola secca e il cuore che
batteva sempre più forte, incapace di staccare gli occhi
dalla
capsula che emergeva pian piano dal pavimento candido.
Attraverso il coperchio trasparente e la fitta condensa che lo
ricopriva, s'intravvedeva il vago profilo di un uomo sdraiato al suo
interno.
La salita si arrestò e la botola si richiuse.
Zero s'avvicinò, si tolse il guanto e appoggiò la mano sul cristallo tiepido e imperlato di gocce.
Si voltò a guardare Kurai, che gli fece un cenno
affermativo, e poi
Mayu, ancora aggrappata alla sua mano, gli occhi appannati dalle
lacrime.
Fece un respiro profondo e passò la mano sul vetro; la
condensa
che lo ricopriva svanì sotto al suo tocco; piccole
gocce
trasparenti rotolarono giù e caddero sul pavimento senza il
minimo rumore.
Sentì il singhiozzo soffocato di Mayu come da una grande
distanza mentre fissava il volto dall'altra parte del vetro e affetto, rabbia, preoccupazione
e tristezza gli sconvolgevano cuore
e mente.
La voce gli uscì in un sospiro roco.
– Che cosa gli avete fatto, Kurai?
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchū
kaizoku Kyaputen Hārokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Wōriā Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 32 *** La mano tesa e la mano tremante ***
cap 8
Yuki si sfregò gli occhi col dorso della mano
destra e fletté le dita della sinistra, gelide sotto il
guanto macchiato di sangue.
La Cosmo Gun giaceva a terra dietro di lei, ma le sembrava di sentire
ancora il contatto dell'indice di Tadashi premuto sul grilletto sotto
al suo.
Ho ucciso il Capitano.
Un brivido la scosse dalla testa ai piedi e Tadashi l'attirò
più vicina.
Non desiderava altro che rimanere lì, stretta fra le sue
braccia a versare tutte le sue lacrime, ma non era il momento, non era
il luogo.
Sono io il Capitano.
Là fuori era in corso una battaglia, su Futuria Zero e i
suoi potevano aver bisogno d'aiuto, dalla Terra Ishikura o Sylviana
avrebbero potuto contattare l'Arcadia in qualunque momento, doveva far
venire lì Yattaran, chiamare Maji, mettere in sicurezza la
nave... e Lia e
Tadashi avevano bisogno urgente di cure.
Fece un respiro profondo, si staccò da Tadashi e lo
guardò: era pallido e scosso da un tremito
convulso. Una ciocca di capelli intrisa di sangue gli ricadeva
sull'occhio sinistro, ma lui non sembrava nemmeno rendersene conto.
Yuki la scostò: sulla tempia, dove il colpo di Harlock lo
aveva sfiorato, spiccava un profondo taglio contornato da pelle
ustionata e capelli bruciati.
Lui trasalì al suo tocco e la guardò come se si
fosse appena risvegliato da un incubo. Spostò lo
sguardo da lei alla figura di Harlock, immobile sul pavimento. Spalancò gli occhi e due grosse lacrime gli
scavarono solchi più chiari sulle guance macchiate di sangue
rappreso.
Schiuse
le labbra come per dire qualcosa, ma il solo suono che
ne uscì fu un mugolio inarticolato che si
concluse con un singhiozzo.
Yuki si sentì stringere il cuore: aveva cercato di essere
forte, di proteggerla dai nemici e dalla sofferenza anche a costo di
calpestare i suoi stessi sentimenti, anche a costo della vita... e ora
che era tutto finito e non c'erano più speranze di salvare
il loro amato Capitano, stava per crollare.
Come lei, del resto.
L'incavo della sua spalla era lì, invitante, le sue braccia
la stringevano ancora, calde, forti... vive.
No, non posso. Non adesso. Lui non lo vorrebbe.
Chiuse gli occhi e rivide Harlock tenderle la mano per incoraggiarla ad
affrontare la sua paura del vuoto, risentì la sua voce
che la incitava ad affrontare la vita con coraggio.
Ora tocca a me tendere
la mano, essere una guida e un sostegno... giusto, Capitano?
Nei
suoi ricordi, Harlock le sorrise orgoglioso mentre le loro dita si
intrecciavano e lei lo raggiungeva in quell'oscurità puntinata di luci lontane che già
cominciava a farle meno paura: un ultimo
incoraggiamento, una benedizione e un addio.
Ho capito.
Un lieve sorriso le increspò le
labbra: quel dolce ricordo del passato e la forza per affrontare
il presente e il futuro con coraggio erano i suoi ultimi doni; che
potesse riceverli e trovare la sua strada, forse, era sempre stata la sua speranza.
Li accetto
con tutto il cuore, Capitano. E ti prometto che questo piccolo uccello
continuerà a volare, qualunque cosa accada.
Lasciò che un'ultima lacrima le
solcasse il viso.
Grazie...
Quando le cadde giù dal mento, aprì
gli occhi.
Addio.
Si sentiva calma, sicura, adesso.
Sapeva che non sarebbe durato e che i momenti bui sarebbero arrivati
presto, sapeva che la disperazione sarebbe tornata a tormentarla con la
stessa intensità di quando s'era gettata fra le braccia di
Tadashi convinta che il cuore le si sarebbe spezzato in due nel petto,
sapeva che il ricordo di Harlock esanime su quel pavimento avrebbe
tormentato i suoi sogni e la sua coscienza per il resto dei suoi
giorni...
Ma insieme possiamo
farcela.
Prese fra le mani il viso di Tadashi e lo fece voltare verso di
sé.
– Guardami, Tadashi – la sua voce era ferma,
più di quanto avesse sperato – Non abbiamo tempo
per piangere, adesso...
Gli asciugò le lacrime e il sangue con i pollici, gli occhi
fissi nei suoi.
– Non possiamo fare più niente per il Capitano,
oramai – con la coda dell'occhio osservò la
macchia di sangue che si allargava sotto il corpo di Harlock e
sentì la nausea salirle su dallo stomaco – Ma i
nostri amici hanno bisogno di noi, Mayu ha bisogno di noi... e io ho bisogno di te. Non cedere, ti
prego.
– Yuki – la sua voce era roca e spezzata, ma aveva
smesso di tremare.
– Piangeremo e ci dispereremo per il Capitano quando tutto
questo sarà finito – Yuki ricacciò
indietro il conato che minacciava di sopraffarla – Merita
tutte le lacrime che possiamo versare, ma non qui, non ora. Non
possiamo abbandonare gli altri. Lui non lo farebbe.
Tadashi sbatté le palpebre, si
sfregò gli occhi e il suo sguardo si snebbiò.
– Hai ragione... Capitano – fece un respiro
profondo, si tirò in piedi e le tese la mano –
Facciamo finire tutto questo. Io e te. Insieme.
– Per Harlock – Yuki serrò le
dita attorno al suo palmo – Per noi stessi e il nostro futuro.
Strinse i denti per sopportare il dolore alla gamba mentre lui la
aiutava a rialzarsi e appoggiò il piede a terra.
Era così intorpidito che non lo sentiva più.
Allentò la cinghia di un paio di fori e subito il sangue
ricominciò a fluire dai due buchi che le
attraversavano la coscia. La sensibilità le tornò
con la forza di un milione di spilli che la trafiggevano tutti insieme
e il calore del reattore di un caccia.
– Dobbiamo medicare quella gamba – Tadashi la
guardò preoccupato – Continui a perdere sangue.
– Non quanto te – la sua spalla, il braccio e la
testa erano un unico grumo rossastro.
– Posso resistere. Sono solo dei graffi.
La guardò con l'espressione ostinata del ragazzino che aveva
conosciuto sette anni prima e Yuki seppe che non era il caso di
discutere.
Stare fermo e pensare
gli farebbe ancora più male.
– Apri i portelli dell'hangar e di' ai nostri
uomini di tenersi pronti – Yuki si voltò verso Lia
– Io penso a lei.
Le si chinò accanto, le fece posare la testa fra le sue
ginocchia e le diede una rapida occhiata.
La situazione era grave già a prima vista: respirava a
fatica e il suo volto era esangue, dalle sue labbra livide uscivano un
brutto suono sibilante e un muco schiumoso e sanguinolento.
Yuki le afferrò il braccio sinistro, le tolse il guanto,
tirò su la manica della sua tuta e le tastò il
polso: era gelido al tatto e le pulsazioni erano rapide e deboli.
– Non... – Lia cercò di liberarsi dalla
sua stretta, ma un violento accesso di tosse glielo impedì.
Sputò sangue.
Yuki strinse le labbra e le abbassò la cerniera sin sotto lo
sterno.
Anche il collo e le spalle avevano assunto il colorito bluastro del
viso e della bocca; il torace era asimmetrico e dalla ferita che le
perforava il seno sinistro uscivano fiotti di sangue spumoso.
Yuki posò la mano vicino alla lesione e una smorfia di
dolore attraversò il volto di Lia.
Come aveva temuto, Yuki avvertì un crepitio sotto le dita.
– Dannazione!
Si voltò a cercare Tadashi.
Si era spostato alla postazione radio e stava cercando
d'aprire un canale di comunicazione con l'Arcadia. Yuki tirò un
sospiro di sollievo nel vedere che sembrava tornato in sé.
– Chiedi se il Dottore o qualcuno con una barella
può venire qui – tirò fuori il fazzoletto dalla tasca della fondina.
– Lascia stare – Lia le afferrò il polso
– Ormai è finita.
– Non dire sciocchezze – Yuki si liberò
senza alcuna fatica e cercò di
suonare rassicurante – So cosa fare in questi casi e
sull'Arcadia abbiamo un ottimo medico. Puoi farcela.
Piegò il fazzoletto fino a ottenere un quadrato abbastanza
largo e spesso da coprire la ferita, posizionò la mano di
Lia su un lato e le sue sugli altri due.
– Non ho cerotti con me. Dovremo tenerla così finché non
arriverà il Dottore.
– Non c'è tempo – ansimò Lia
– Dovete andarvene... subito...
– Il canale radio è aperto – Tadashi si
voltò verso di loro e riprese ad armeggiare con il
pannello
– Arcadia, mi sentite? Arcadia, qui Tadashi, rispondete,
passo.
Uno degli schermi si accese. L'immagine sfarfallò e si stabilizzò sulla figura di Mime.
– Tadashi – una luce dorata illuminò la
pelle diafana dell'aliena – Cosa ti è successo?
– Sto bene – la rassicurò lui
– Com'è la situazione, là fuori?
– Abbiamo dato l'ordine di rientro ai Lupi – Maji
comparve di fianco a Mime e si grattò la barba con aria
perplessa – I cannoni sono fuori uso e non ci sono
più nemici da un bel pezzo. È strano: i loro
caccia erano meno della metà di quelli che pensavamo e
l'artiglieria ha cessato il fuoco quasi subito. Voi avete incontrato
molta resistenza all'interno?
– No. E l'hangar era quasi vuoto.
– Molto strano – Maji s'accigliò
– Ero convinto che lì dentro ci fosse un esercito
di cloni, mercenari, meccanoidi e chissà che altro...
– Già, anche noi.
La mano di Lia si strinse di nuovo attorno al polso di Yuki.
– Ascoltatemi – tossì – Dovete
andarvene...
Yuki la ignorò e si girò verso lo schermo, tesa.
– Maji, ci sono molti feriti? Abbiamo subìto
perdite?
– Nulla di grave, Capitano – il Capo Ingegnere rise
– Quel vecchio ubriacone del Dottor Zero l'ha scansata... e gli devo anche una bottiglia di whisky!
– Maji, qui ci servono una barella spinale, ossigeno,
collare cervicale e coperta termica, subito! Se può venire,
manda anche il Dottore.
– Harlock? – Mime si premette le mani contro il
petto – È lui il ferito?
Il cuore di Yuki perse un battito. Tadashi scosse il capo,
le spalle curve come sotto un peso insostenibile.
– Lo vorrei – la sua voce s'incrinò di
nuovo – Lo vorrei davvero...
Dall'altra parte dello schermo, gli occhi di Maji si riempirono di
lacrime, il sorriso allegro per lo scampato pericolo e l'insperata
vittoria spazzato via come una foglia secca da un uragano.
Accanto a lui, Mime si lasciò cadere sulla poltrona, si
prese il volto fra le mani e singhiozzò.
Yuki pensò che avrebbero dovuto dare quella terribile
notizia anche a Mayu, a Zero, a Yattaran, alla vecchia Masu... e vedere
sui loro volti la stessa devastante sofferenza, forse anche l'odio.
– Sono sicuro che avete fatto tutto il possibile, ragazzi
– Maji si strofinò gli occhi e il naso sulla
manica e posò una mano sulla spalla di Mime – Vi
mando subito il Dottore.
– Ci serve anche Yattaran. Dobbiamo capire come...
– Non c'è tempo – Lia cercò
di alzarsi e un altro fiotto di sangue le uscì dalle labbra
bluastre.
– Sta' giù – la rimproverò
Yuki – Hai un polmone collassato! Vuoi morire, per caso?
– Andate via – tossì – Qui non
siete al sicuro... – Tadashi si voltò.
– Che vuoi dire?
– Il chip. Matia sa che siete qui... che avete vinto...
Avviserà Kurai!
– Kurai? – Tadashi si alzò e
andò a chinarsi accanto a loro – È
ancora vivo? È lui il responsabile di tutto questo?
– Sta delirando – Yuki premette più
forte il fazzoletto sulla ferita – È sotto shock.
– No – Lia si afferrò al colletto di
Tadashi con una forza che Yuki non immaginava possedesse ancora
– È la verità... i caccia... Matia...
sono diretti su Futuria da dietro la cintura d'asteroidi... Vogliono
prendere Zero e i suoi fra due fuochi mentre voi siete impegnati qui...
– Tu e la Nèmesis eravate un diversivo –
Tadashi trasalì e anche Yuki sentì un brivido
correrle lungo la schiena. Lia gli fece un cenno affermativo.
– Dovevo trattenervi il più a lungo possibile
– ansimò – Uccidervi tutti, se potevo...
ma non ne sono stata capace, anzi... ho fatto la stessa fine di Feydar.
Sarebbe da ridere, se non fosse...
La sua mano lasciò la presa e ricadde, priva di forze.
Tadashi la afferrò al volo e il suo sguardo s'incupì.
– Avevi intenzione di morire fin dall'inizio, vero?
Una risata gorgogliante sfuggì dalle labbra bluastre di Lia.
– Diciamo... che è andata così
– gli strinse le dita, il respiro sempre più
affannoso – Non me ne pento, anche se mi sarebbe piaciuto...
vedere il futuro di cui parlavi, Daiba... e farne parte... magari con
una creatura sciocca quanto te accanto. Il crepitio sotto le dita di Yuki aumentò.
– Smettila di parlare – la rimproverò – Così peggiorerai le tue condizioni!
– Smettetela voi
di perder tempo – Lia liberò la mano da quella di
Tadashi e le diede una spinta, debole come quella di un neonato
– Andate su Futuria dai vostri compagni e lasciatemi
raggiungere Feydar... è tutto ciò che desidero,
ormai.
– Dicci un'ultima cosa – Tadashi la
guardò preoccupato – Perché non saremmo
al sicuro, qui? Hai detto tu stessa che Matia e la sua unità
di caccia sono lontani, che non c'è equipaggio...
– È qualcosa nel computer di questa nave
– una smorfia di dolore attraversò il volto di Lia
– La Nèmesis è nata dall'ultimo studio
dell'Arcadia fatto da mio fratello... ne conosco ogni ingranaggio, ogni
vite... ma quel computer... è tecnologia meccanoide e le
conoscenze di Kurai e Oyama fuse insieme. Non so cosa nasconda, ma
una cosa è certa... qui non siete al sicuro.
– Tochiro? – Yuki sgranò gli occhi – Ma non è possibile! Lui è...
– Morto? – Lia aggrottò la fronte
– Il suo tracciato neurale c'è ancora. Kurai,
Arngeir e... Odhrán... possono...
Un violento accesso di tosse le fece incurvare la schiena.
Vomitò un altro fiotto di sangue, gli occhi le si
arrovesciarono nelle orbite e ricadde all'indietro sulle ginocchia di
Yuki.
– No! Resta sveglia!
Yuki aumentò la pressione sulla ferita e il sanguinamento
diminuì, ma Lia non reagì.
Sotto le dita di Yuki, il suo petto si sollevò a fatica
un'altra volta, gorgogliò, scricchiolò e
sibilò, si riabbassò con esasperante lentezza e rimase immobile.
– Non sento più il battito!
Tadashi si chinò su Lia, le tolse gli occhiali e le
spalancò una palpebra, già aperta e immobile.
Le pupille erano fisse, dilatate. Le
tastò il polso e scosse il capo.
– Ha raggiunto suo fratello – le chiuse gli occhi e sferrò un pugno al pavimento – Maledizione!
In una situazione normale Yuki gli avrebbe chiesto di calmarsi, ma in
quel momento capiva e condivideva la sua frustrazione.
Possibile che non
riusciamo a salvare nessuno?
Si voltò verso Harlock e lo sconforto rischiò di
nuovo di sopraffarla, assieme alla nausea.
Strinse il pugno, s'impose di guardare da un'altra parte e si
rialzò.
Tadashi raccolse da terra la Cosmo Gun e gliela porse.
– Che facciamo, ora?
Yuki prese la pistola e la rimise
nella fondina.
– Ce ne andiamo. Non voglio rischiare le vite di Yattaran e
dei nostri uomini in questa trappola volante. E poi, se è
vero quello che ha detto Lia, Zero e i suoi hanno bisogno di tutto il nostro aiuto.
– Quelli che hanno bisogno d'aiuto, qui, mi sembrate voi due.
Yuki si voltò.
In piedi accanto alla porta c'era il Dottor Zero.
Entrò con passo deciso, seguito da Sabu con una barella
spinale e una coperta sottobraccio e da Yasu che si tirava dietro una bombola d'ossigeno munita di respiratore.
– Signorin... cioè, Capitano, sta bene?
– Non fare domande idiote, ragazzo – il Dottore
diede uno scappellotto a Sabu e aprì la borsa –
Piuttosto, vieni con me e renditi utile.
Yuki lo osservò dirigersi senza esitazioni davanti al corpo
di Harlock, chinarglisi accanto e controllargli respirazione, battito e
pupille.
Si rialzò con un lungo sospiro, strattonò il
braccio di
Sabu che era rimasto impietrito poco più indietro e s'avvicinò a Lia.
– È morta anche lei – Yuki non
riuscì a guardarlo in faccia – Abbiamo tentato...
Il Dottore le fece un cenno affermativo, le slacciò la
cintura da sopra la coscia e le tagliò la gamba del
pantalone. Yuki strinse i denti quando le sue dita tozze tastarono la pelle bruciata attorno alle ferite.
– Yasu! – il Dottore aumentò la pressione – Molla quella bombola, prendi fisiologica e garze
dalla borsa e tampona le ferite finché non smettono di
sanguinare! Sabu, aiutami con Tadashi!
– Non ce n'è bisogno, Dottore –
Tadashi si tirò indietro – Dobbiamo...
– Fino a prova contraria, il medico sono io – il Dottore lo azzittì con un gesto brusco – Decido io di cosa
c'è o non c'è bisogno!
– Ma...
– Niente “ma”, ragazzo! – gli
mollò uno scappellotto dietro la nuca e gli
stracciò la manica della tuta – E se hai qualcosa
in contrario, la prossima volta non farti ridurre così!
– Quello che vuol dire è che dobbiamo lasciare la
Nèmesis al più presto – Yuki trattenne un gemito quando Yasu le tamponò la ferita – Potrebbe
non essere sicuro rimanere qui.
– Una bomba? – il Dottore prese una garza
imbevuta di fisiologica dalle mani di Sabu – Qualche sistema
di autodistruzione?
– Non lo sappiamo – Tadashi mugolò di
dolore quando il medico gli premette la medicazione
contro il braccio – Qualcosa che ha a che fare con il
computer. Inoltre, presto Zero si ritroverà accerchiato.
– Ce ne andremo al più presto, allora –
il Dottore abbassò la cerniera della tuta di Tadashi, gli
snudò la spalla e prese un'altra garza – Il tempo
di fermare l'emorragia e assicurarmi che né tu né Yuki corriate il
rischio di morire dissanguati o per colpa di una qualche frattura. Non
voglio perdere anche voi...
– Dottore – Tadashi lo guardò in faccia,
spalancò gli occhi e subito distolse lo sguardo, imbarazzato.
Yuki s'accorse che il Dottore stringeva la garza così forte
da farsi
sbiancare le nocche e che la sua mano destra tremava sopra la spalla di Tadashi. Ne rimase
sconvolta.
Da quando aveva conosciuto il Dottor Zero, quasi dieci anni prima, era
la prima volta che accadeva una cosa del genere: non
importava quanto la situazione fosse disperata, né quanto
alcool avesse in corpo o se era costretto a operare con un
coltellaccio da cucina, un ago da materassi e del filo da pesca... la sua
mano era stata sempre
ferma come una roccia, salda quanto quella del Capitano sul timone.
È stato un
duro colpo per lui.
Il Dottore non aveva parenti: l'equipaggio dell'Arcadia era la sua
famiglia e Harlock, in particolar modo, era un figlio che amava dal più
profondo dell'anima e di cui andava fiero.
– Qui abbiamo finito – si sfregò gli
occhi con un solo, rapido gesto e si voltò; la sua voce era ferma – Sabu, Yasu, caricate Yuki sulla barella e
tornate a bordo. Continueremo nell'infermeria. Tadashi, ce la fai a
camminare?
– Sì, Dottore – Tadashi si
voltò prima verso Harlock e poi verso il medico
– Lo lasciamo... qui? Così?
– Dobbiamo pensare prima di tutto ai vivi, Tadashi –
sospirò
il Dottore–
A voi due, a Mayu, a Zero e agli uomini della Karyu.
Tadashi
annuì cupo.
– Posso dargli... un ultimo saluto?
Un'espressione carica d'angoscia, orrore e pietà
attraversò il viso del Dottore.
– Meglio di no, ragazzo mio – gli posò
una mano sul braccio – Meglio di no.
Tadashi non insistette. S'avvicinò alla barella, il volto tirato, la mano
premuta sulla spalla a tener ferma la medicazione.
– Allora – si voltò un'ultima volta –
Torniamo a bordo.
Sabu e Yasu sollevarono la barella.
Yuki vide il Dottore avvicinarsi al
corpo di Harlock e chinarsi su di lui.
– Non pensavo che sarebbe mai arrivato questo momento,
Capitano
– lo sentì mormorare mentre gli chiudeva gli occhi
o forse gli dava un'ultima carezza – Avresti dovuto essere tu
a
venire ad ubriacarti sulla mia tomba, un giorno...
Indugiò ancora un attimo, poi si
rialzò e raddrizzò le spalle.
Non si voltò indietro mentre la porta della sala comando
della Nèmesis si chiudeva dietro di lui.
Lo so... capitolo di
transizione... nei prossimi, more action!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 33 *** L'arte del doppio gioco ***
cap 8
– Allora, dove vi porto? –
Ifiklìs s'aggiustò il passamontagna scuro sul
volto e diede una violenta sterzata il cui brusco contraccolpo
mandò Ishikura a sbattere contro la portiera.
Lo osservò: era un uomo di altezza e corporatura medie, con
indosso la stessa anonima divisa da sorvegliante che gli aveva dato
Sylviana e che parlava sottovoce, di certo per non essere riconosciuto.
Potrebbe essere chiunque.
Abbassò lo sguardo sulla pistola laser che
gli pendeva dal fianco e strinse le dita sull'impugnatura della sua,
ormai quasi scarica.
– In questo momento vorrei starmene stravaccata in una bella
vascona piena d'acqua fumante – a differenza di lui, Sylviana
sembrava del tutto tranquilla mentre si sporgeva oltre il sedile e
frugava nel vano posteriore – Con tanta schiuma profumata, un
bel figliolo che mi massaggia le spalle e magari anche un altro che mi
fa la pedicure... dici che il tuo amico Hoshino mi potrebbe aiutare?
– Non in prima persona – Ifiklìs
ridacchiò e imboccò una curva a folle
velocità – Io però mi offro volontario,
se ti va.
– Tiraci fuori da questo pasticcio e prometto che ci
farò un pensierino – Sylviana buttò un
pesante borsone di tela sul sedile – E se qua dentro ci sono
i gingilli che credo, le tue possibilità aumentano di molto.
– Apri e controlla se i miei regalini incontrano i tuoi
gusti, mia cara – Ifiklìs le strizzò
l'occhio – Ma fa' in fretta. Abbiamo compagnia.
Una luce li illuminò da dietro e Ishikura guardò
nello specchietto retrovisore: due, forse tre veicoli in rapido
avvicinamento. Sylviana tirò giù la zip e
fischiò.
– Tu sì che sai come corteggiare una ragazza
– tirò fuori dal borsone un fucile di precisione
nuovo di zecca, con tanto di mirino laser e bipiede, lo
imbracciò e tolse la sicura – Dai, Boy Scout,
dammi una mano!
– Un momento – Ishikura guardò
Ifiklìs – Prima voglio delle spiegazioni! Tu
saresti un uomo di Hoshino?
– Sono il suo informatore all'interno del Ministero della
Difesa – Ifiklìs gli fece un cenno affermativo
– Tutto ciò che sa del progetto Herakles e di ogni
singolo programma governativo che utilizzi tecnologia meccanoide viene
da informazion che gli ho passato io. Ti stupirebbe sapere
quante altre volte quel ragazzo ha evitato che l'umanità
finisse male, dopo la battaglia di Andromeda... Il progetto Herakles
non è che una goccia nel mare della follia umana, purtroppo.
Diede un'altra sterzata e si immise in un sentiero stretto e
sterrato, costeggiato da alberi e rovi e ricoperto di foglie morte.
La jeep sobbalzò.
Sylviana si alzò in piedi e si issò
coi gomiti sopra al tettuccio.
– Va bene, cari – rise – Diamo
inizio alle danze!
Ishikura sentì partire un paio di colpi in rapida
successione, poi una raffica; il rinculo dell'arma faceva strisciare e
sbattere il fianco di Sylviana contro il suo gomito a ogni sparo.
Prese l'altro fucile dal borsone, inserì la cella
d'energia e tolse la sicura.
– Anche il vespaio di dieci anni fa è stato merito
vostro?
– Già.
– Allora... anche quel
filmato... quello dell'esperimento su quel clone...
Le mani di Ifiklìs si strinsero attorno al volante con tanta
forza che le nocche sbiancarono.
– L'ho girato io – la sua voce, già
bassa, suonò ancora più soffocata –
Quello e i dossier su Kurai e i suoi complici furono le prime
informazioni che passai a Tetsuro.
Ishikura lo guardò, mille emozioni contrastanti che gli
turbinavano nel cuore.
Alla luce sempre più intensa dei fari, notò che gli occhi di Ifiklìs
erano velati di lacrime.
Una brillò per un attimo sulle sue lunghe ciglia,
tremolò e cadde.
Una macchia scura s'allargò sulla stoffa che
gli ricopriva la guancia.
Ma cosa...
– Chi sei?
Era assurdo, ma quell'espressione, quello sguardo, gli pareva di
conoscerli.
E i gesti di quell'uomo, il suo modo di di parlare...
Sylviana batté un paio di colpi impazienti sul tettuccio
della jeep.
– Senti, Boy Scout, mi spiace interromperti mentre fai
salotto col nostro nuovo amico, ma qui avrei davvero bisogno d'una
mano! Che ne dici di venirmi a trovare quassù e fare il
tuo lavoro?
Lui tornò a fissare Ifiklìs mentre un sospetto
gli riempiva il cuore di speranza e angoscia.
– Parleremo dopo – mormorò questi, gli
occhi fissi sulla strada – Saprete tutto a tempo debito, lo
giuro.
Un'altra raffica di colpi investì la loro macchina.
Uno passò con un sibilo fra le loro teste e
aprì un foro sul parabrezza.
Ifiklìs si piegò sul volante: la strada era
stretta e tortuosa, viscida di fango, la nebbia si era fatta
più fitta, la visibilità era ridotta a pochissimi
metri... e l'auto viaggiava a più di duecentotrenta
chilometri orari.
Ishikura imbracciò il fucile, si sporse dal tettuccio
nell'aria gelida della notte e inquadrò nel mirino gli
inseguitori che si avvicinavano.
– Alla buonora – Sylviana non staccò nemmeno gli occhi dal mirino
– Aspettavi un invito scritto su carta pergamena della Zecca
di Stato, per caso?
– Veramente aspettavo che ci portassi un bel the caldo con i
pasticcini, da brava padrona di casa – Ishikura
spostò il selettore sul colpo singolo e sparò un paio di
colpi per valutare sia le distanze che l'allineamento del mirino. Un
centinaio di metri. Perfetto.
– I nostri ospiti mi stanno dando più da fare del
previsto – Sylviana fece una smorfia e premette l'indice sul
grilletto – Questi non sono novellini... né quelli
che guidano, né quelli che sparano.
La luce del laser illuminò il suo viso e la strada
per il breve tempo d'una raffica di sei colpi. Le auto inseguitrici
erano tre, tutte blindate e cariche di uomini, anche se non
così tanti da rallentarne la corsa. Non urlavano, non
sparavano a vuoto e non si esponevano più del
necessario.
– Mercenari? – Ishikura mirò al
parabrezza della prima auto inseguitrice. Blindato anche quello.
– Probabile. Dalle loro reazioni, direi che anche le guardie
del laboratorio che ho steso erano professionisti. Dev'essere opera di
Thorn: è un verme opportunista, presuntuoso ed egocentrico,
ma ha un buon occhio per i bravi combattenti e all'occorrenza
è un bravo istruttore.
– Com'è possibile che uno dei nostri Comandanti
più illustri sia un ex membro del tuo gruppo? – la
macchina che guidava l'inseguimento sbandò all'improvviso;
dal cerchione vuoto della ruota sinistra sprizzarono scintille
– Sven Arngeir era ai vertici delle gerarchie militari
già da prima della guerra col Governatorato: ha frequentato
l'Accademia qui a Megalopolis e la sua famiglia...
– Ricordi l'operazione “Desert Spring” su El Alamein? – gli occhi di Sylviana
erano due pozze d'ombra nell'oscurità mentre sostituiva la
cella d'energia.
– No, ma ne ho sentito parlare – Ishikura
urlò per sovrastare il rumore dello schianto che tra
la prima delle jeep inseguitrici e un grosso albero ai margini della
strada – Fu quando le Forze Federali ritirarono il loro
contingente dal pianeta dopo la tregua con i meccanoidi, giusto?
Sylviana posizionò di nuovo il bipiede sul tettuccio e
ricominciò a guardare nel mirino.
Dietro di loro, le due macchine inseguitrici rimaste evitarono i
rottami con brusche sterzate; una di esse rischiò per un
istante di capottarsi, le ruote di destra sollevate a un angolo
impossibile sul fondo fangoso prima di atterrare con un tonfo liquido
che sollevò alti schizzi di fango e mise a dura prova le
sospensioni.
– Diavolo, speravo che almeno uno di loro andasse a sbattere
o finisse fuori strada – sbuffò Sylviana
– Comunque, tornando a noi... se vuoi chiamare ritirata o
tregua quello schifo, fai pure. Io che c'ero ho visto solo una strage senza
senso e il tuo amicone Grenadier potrà confermare, ma non
è questo il punto. Sven Arngeir era il Comandante delle
forze federali, laggiù. Secondo me, a Thorn
è stato offerto il suo posto e lui l'ha preso, nel
senso letterale del termine.
– Vorresti dire che si è sostituito a lui?
– Ishikura abbassò la testa e rispose
alla gragnola di colpi che li aveva investiti – Ma...
Sylviana sparò un'altra raffica in appoggio alla sua.
Le auto inseguitrici persero terreno.
– L'hai visto anche tu: si fa chiamare Comandante Arngeir,
occupa il suo ufficio, indossa i suoi gradi... e bisogna ammettere che
è convincente, specie dopo la plastica che si è
fatto fare al naso e al mento – alzò le spalle
– È sempre stato bravo in queste cose... Scommetto
che l'idea è stata sua e che agli alti papaveri che ha
aiutato a lavare i panni sporchi è piaciuta tantissimo.
Pensaci un po': legare a doppio filo a loro un tipo così
pericoloso, liberarsi di un Comandante rompiscatole e
assicurarsi il silenzio su certe cose, tutto in un colpo solo.
Ishikura si voltò verso di lei.
– Che vorresti dire? – in realtà credeva
di averlo capito, ma l'idea gli dava la nausea quasi quanto le
mostruosità del progetto Herakles.
– Sei talmente una cima che ho deciso – Sylviana si
scostò una ciocca di capelli dagli occhi con un gesto
impaziente – Il tuo nuovo soprannome sarà Everest.
Comunque, hai idea di che fine facciano le spie come noi Rosa Rossa
quando le guerre finiscono? Siamo una bella patata bollente, testimoni
scomodi di tante, tante brutte cose e depositari di tanti, tanti
segreti imbarazzanti...
Lo stretto sentiero sterrato finì e si immisero in una
strada asfaltata e a doppia corsia.
Una delle auto inseguitrici accelerò, li affiancò
e li speronò.
– Merda! – Sylviana si calò giù dal
tettuccio.
I lampi di un mitragliatore rischiararono l'oscurità e Ishikura fremette quando un colpo gli sfiorò i capelli.
Per fortuna, il movimento dei due veicoli e la blindatura diminuivano
sia la precisione che il danno dei colpi.
– Sylviana! – abbassò la
testa appena in tempo per non essere decapitato e centrò il mitragliere – Che diavolo fai?!
Lei indicò fuori dal finestrino. Un uomo armato di pistola cercava di far la festa a Ifiklìs.
– Cerca di disarmare quel tipo, o almeno d'impedirgli di
spararci addosso per un po' – lo incitò – E tu abbassa il finestrino quando lo dico io e tieni
giù la testa!
Ishikura si spostò in modo da inquadrare l'uomo
nel irino e strinse le labbra: l'angolazione era troppo elevata
per consentirgli un tiro abbastanza preciso da farlo fuori.
Optò per una serie di raffiche brevi che ottennero comunque
il loro scopo: la mano che impugnava la pistola si ritrasse.
Qualcosa volò oltre il finestrino sotto di lui e
finì nell'abitacolo dell'altro veicolo, che
sbandò e perse velocità mentre il loro schizzò sull'asfalto come un sasso lanciato da una fionda.
Il cuore gli saltò in gola, l'aria lo frustò così
forte da fargli lacrimare gli occhi.
Una violenta detonazione e il bagliore delle fiamme squarciarono
il silenzio e l'oscurità della notte. Alcuni rottami fumanti gli
sibilarono sopra la testa.
Sylviana
riemerse al suo fianco.
– Spero che abbiate gradito il dessert, cari –
rise, gli infilò nella tasca qualcosa di tondo e rigido e
posizionò di nuovo il fucile – Tieni. In caso ci
riprovassero, pensaci tu.
Ishikura riconobbe subito il peso e la consistenza di quegli oggetti e arricciò le labbra.
Gli ha lanciato una
granata... Che strega!
L'ultima auto rimasta aveva perso terreno. Quasi non si vedeva
più.
Ora la strada era illuminata e Ishikura riconobbe le campagne nei
dintorni di Megalopolis dove, qualche volta, Takeshi aveva portato lui
e Minoru a giocare.
– Allora? – si voltò a guardare Sylviana
– Cosa capita alle spie, finite le guerre?
– Finiscono il loro servizio – mormorò lei cupa – Un nuovo nome, una nuova vita, pace
in cambio di silenzio. Io e i miei compagni credevamo che sarebbe stato
così anche per noi...
Ishikura seguì la linea del suo sguardo, fisso sulla strada dietro di loro. Degli inseguitori, nessuna traccia.
– Ci sbagliavamo – Sylviana si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e si voltò a guardarlo – Sapevamo troppe cose,
eravamo in troppi e la nostra stessa esistenza era un segreto scomodo
che avrebbe fatto saltare diverse teste, se mai fosse venuto a galla.
Come pensi avrebbe accolto l'opinione pubblica la storia d'una
cinquantina di bambini fra i tre e i cinque anni comprati al mercato
nero e addestrati a diventare spie e assassini agli ordini del
vostro Governo Federale?
Ishikura la guardò a bocca aperta. Dello squadrone Rosa
Rossa sapeva soltanto che era un gruppo speciale dei Servizi Segreti di
El Alamein specializzato nello spionaggio e con all'attivo diversi
successi, scioltosi su ordine del Governatorato. Non immaginava certo
che i suoi membri fossero stati reclutati a quel modo, tanto meno sin
dall'infanzia.
– Sei stata... una bambina soldato?
– Non guardarmi così – scherzò lei – Per la maggior parte di noi finire in quel
campo d'addestramento è stato un affare: finché
riuscivamo a tirare avanti, avevamo due pasti al giorno e un tetto
sopra la testa assicurati, che in quel buco di pianeta sempre sconvolto
da qualche guerra è il massimo del lusso... E poi, in pochi
ricordavamo la nostra famiglia o ne avevamo una che valesse la pena
rimpiangere: lasciati a noi stessi saremmo morti in ogni
caso, forse addirittura prima... e peggio, se capisci cosa intendo.
Lui distolse lo sguardo, turbato.
Ripensò alla sua infanzia, senza madre e con un padre duro e
inflessibile ma tutto sommato sicura e serena: per lui, una casa a cui
far ritorno dopo la scuola, la colazione, il pranzo, la merenda e la
cena, i giochi e lo studio in compagnia dei i suoi fratelli erano stati
un'abitudine, il trantran di tutti i giorni... la normalità.
C'era qualcosa di profondamente sbagliato nell'universo e ci sarebbe
stata finché quella normalità avesse
continuato a essere un lusso inimmaginabile per bambini come Sylviana
o qualcosa per cui sentirsi in colpa per quelli come lui, una volta
venuti a contatto con la realtà oltre il loro piccolo mondo.
– Quanti eravate in squadra? – le
domandò, tanto per rompere il silenzio e scacciare il
disagio.
– Sette, alla fine – Sylviana guardò in
alto, come se potesse vedere la luna attraverso la foschia
– C'era Thorn, che era il più anziano e aveva
già fatto parte del precedente gruppo, poi io,
Stem, Leaf, Hip, Calyx e Bud. Eravamo in dieci, finito l'addestramento, ma gli
altri tre morirono durante la guerra.
– E tutti gli altri?
Lei scosse il capo. Un brivido di
raccapriccio corse lungo la schiena di Ishikura.
– Non hanno retto. Devono essere sepolti da qualche parte
nella Red Valley, ma non ne sono sicura – sospirò
– E comunque, anche se si riuscisse a ritrovare i loro corpi, identificarli sarebbe impossibile. Ce lo spiegarono molto bene: per
le nostre famiglie eravamo morti... e dovevamo rimanerlo per evitare
guai. Per la società non esistevamo neppure. Tutto
ciò che ci riguardava era stato cancellato, a parte un nome
su una lista: il nostro vero nome, l'unico indizio da cui risalire alla
nostra vera identità.
– Il vostro nome?
Ma allora...
– Già – Sylviana strinse le labbra
– Io non so chi sono. Nessuno di noi lo poteva ricordare. Ci diedero un
nome in codice completato l'addestramento e ci promisero che avremmo
riavuto indietro la nostra identità una volta finito il
servizio. Balle.
– Da non credere...
– Comunque, per tornare al discorso di prima –
Sylviana passò un dito sul tettuccio – Stem
scoprì che la squadra che ci aveva preceduto era stata
eliminata su ordine dei nostri stessi vertici al termine d'una certa operazone e
che la stessa sorte sarebbe toccata a noi: con la tregua tra la
Federazione e il Governatorato era troppo pericoloso
lasciarci in giro, e se la nostra storia fosse saltata fuori in
tempo di pace... bé, credo che il clamore sarebbe stato addirittura superiore a quello del progetto Herakles.
Ishikura annuì. Poco,
ma sicuro.
Quelli non erano i poveri cloni senza nome di un soldato morto da anni: per quanto abbandonati a
loro stessi e privati della loro identità, Sylviana e i
suoi compagni erano figli di qualcuno, bambini innocenti a cui era
stata strappata l'infanzia.
– Il Comandante Arngeir aveva fama d'essere un uomo d'onore,
un militare d'altri tempi – Sylviana si passò una
mano fra i capelli imperlati di goccioline dall'umidità
della notte – Era meritata, sai? Lo incontrammo in
ciò che restava della base di Matruh; ci ascoltò
con attenzione e alla fine era sconvolto, furibondo. Promise di aiutarci a rendere pubblica la
nostra storia, punire i colpevoli e ritrovare le nostre famiglie, nel caso qualcuno di
noi l'avesse ancora. Fu a quel punto che Thorn gli
sparò in mezzo agli occhi.
Un cartello con la scritta “Megalopolis”
sfilò rapido davanti a loro.
Ai bordi della strada cominciarono ad apparire costruzioni isolate,
cantieri e capannoni contornati da piazzole di cemento e aiuole
spelacchiate ingombre di rifiuti: i bassifondi.
Ifiklìs diminuì la velocità e Sylviana
tolse il fucile da sopra il tettuccio.
– Da non credersi, vero? Le sei migliori spie di tutto El
Alamein che si fanno giocare come dei bambini –
sostituì la cella – Avremmo dovuto intuire fin
dal principio che se un membro d'una squadra sterminata dai propri
capi era ancora vivo c'era una ragione ben precisa... ma Thorn era uno
di noi, diceva sempre che per lui eravamo come dei fratelli minori e
che per tutta la vita avremmo condiviso lo stesso destino. Gli volevamo
bene, ci fidavamo di lui. Che errore...
Tutti hanno un prezzo,
anche i fratelli che dicono di amarci.
Gli tornarono alla mente quelle parole e la sua espressione triste sul tetto di casa sua, all'accendersi delle prime
stelle: in quel momento, alla luce tenue dei lampioni, era la stessa.
– Sylviana – sussurrò, prima di
accorgersi di non sapere cosa dirle.
Lei lo azzittì con un gesto secco e lui non insistette: il
passato non sarebbe cambiato e di sicuro non gli
aveva raccontato tutte quelle cose perché voleva la sua
compassione; se c'era una cosa che aveva capito di lei, era che non era
quel genere di persona.
– Il nostro caro “fratellone”
ricambiò la nostra fiducia decretandoci “un
fastidio” di cui doveva liberarsi – fece una
smorfia – Poi diede l'ordine di ucciderci e far saltare
l'edificio. Eravamo armati e sapevamo il fatto nostro, ma lui aveva
dalla sua una quarantina di soldati meccanoidi, inclusa la finta scorta
che aveva accompagnato il Comandante Arngeir. Resistemmo
finché le celle d'energia non si
esaurirono, poi i nemici riuscirono a separarci e alla fine rimasi
sola con Stem. Ero ferita a una gamba e mezzo stordita da un colpo
alla testa, ma lui non volle abbandonarmi. Stupido... Era il migliore di noi: forte, agile, intelligente; ce l'avrebbe fatta di sicuro
a uscire vivo di lì se non ci fossi stata io a rallentargli
il passo. Mi cacciò in un condotto di scarico appena prima
che gli sparassero alla schiena, mi disse di vivere e scoprire chi
ero anche per lui e si lanciò contro i nemici con una granata in
pugno. Stupido. Era così testardo...
Sylviana abbatté un pugno sul tettuccio della jeep, si
guardò ancora attorno e si
calò all'interno dell'abitacolo.
Ishikura la seguì. Lo
sbalzo termico gli incendiò le guance e una fastidiosa
condensa gli gocciolò da sotto le narici mentre si
accomodava sul sedile.
La asciugò con la manica e si voltò a guardare
Sylviana che, seduta tra lui ed Ifiklìs, tirava su col naso.
Temeva di vederla in lacrime, quasi se lo aspettava... invece aveva gli occhi asciutti e l'espressione dura.
– Per concludere il discorso, il vero Comandante Sven Arngeir
morì su El Alamein, ne sono più che certa:
nessuno sarebbe potuto sopravvivere a quel colpo in mezzo alla fronte
e, anche ammesso, il posto fu fatto saltare per aria dopo appena un'ora.
Ishikura la fissò grave.
– Perché non hai reso pubblica la cosa, Sylviana?
Quell'omicidio e ciò che avevano fatto a te e ai tuoi
compagni avrebbero mandato in galera per tutta la vita sia quel
farabutto di Thorn che i vostri superiori!
– Non essere ingenuo – Sylviana
risistemò il fucile all'interno della borsa, ne
tirò fuori un paio di granate e tre celle per le
pistole e li sistemò nella tasca della sua fondina – Sarebbe stata la mia condanna a morte. Meglio sparire,
cambiar nome, tenere un basso profilo. E poi, anche ammesso che non m'avessero ammazzata prima ancora che avessi avuto il tempo di dire
“A”, a chi pensi che avrebbe creduto la gente,
all'eroico, irreprensibile Comandante Sven Arngeir che aveva tenuto
quella polveriera di El Alamein per oltre un anno in condizioni
disperate o a un'avventuriera spuntata dal nulla che gli lanciava
accuse assurde senza uno straccio di prova?
– Potevi chiedere un esame del DNA e il raffronto del
tracciato neurale – insistette Ishikura – Thorn
avrà anche potuto cambiare aspetto e sarà pure
capace d'imitare alla perfezione il vero Comandante, ma i suoi geni e
il suo...
Sylviana ridacchiò, aspra.
– E tu credi che lui e i suoi amichetti non abbiano
provveduto a sostituire i dati biologici del Comandante così
come hanno sostituito lui? Sveglia,
Boy Scout: quella è gente in alto quanto chi sta dietro ad
Herakles e...
– Di più – Ifiklìs la guardò con la coda dell'occhio – È la stessa. Ho indagato come
tu e la Signora Kei m'avevate chiesto. Avevate ragione: ci sono diversi
punti in comune sugli scopi di quei due progetti e c'è un nome che ritorna, oltre a quello di Arngeir. Odhrán.
– Odhrán? – lo sguardo di Ishikura si
spostò da Ifiklìs, la cui espressione era
nascosta dal passamontagna, a Sylviana che annuì seria, le labbra
tirate – E chi sarebbe?
– Ovviamente è un nome in codice, lo pseudonimo
del pezzo grosso che sta dietro ad Herakles –
Ifiklìs entrò nel sottopassaggio d'un parcheggio
sotterraneo dall'aspetto pericolante e fermò il veicolo
– In realtà, il nostro finto Comandante Arngeir
è solo un tramite che consente a questo tizio di mantenere
l'anonimato. Viste le informazioni a cui ha accesso, Tetsuro e io
riteniamo che si tratti d'un importante membro del Governo. Fu questo
Odhrán ad avvertire Kurai dell'operazione volta a
catturarlo, sempre lui che lo aiutò a fuggire e a
nascondersi...
– E che diede l'ordine di “suicidare”
tutte le altre persone coinvolte nel progetto, giusto? –
Sylviana scese dall'auto e strinse i denti quando
toccò terra.
Ishikura trasalì.
– Tutti? Anche... – la voce gli mancò.
Ifiklìs chinò il capo e si caricò in
spalla il borsone dei fucili.
– Non ci sono prove – tirò fuori dalla tasca una torcia e la
accese, senza guardarlo in faccia – Ma sì... lo sospettiamo.
Sylviana gli mise una mano sulla spalla. – I cadaveri non parlano e le vecchie abitudini sono dure a
morire. Coraggio, Shizuo – lo guardò negli occhi, per la prima volta senz'ombra di sarcasmo – Per il passato non puoi fare più niente, ormai, ma puoi farla pagare a quei bastardi... con gli
interessi.
Ifiklìs si voltò a guardarli e
puntò la torcia davanti a sé.
– Seguitemi.
S'infilò in un'area transennata buia, puzzolente di muffa e ingombra di rifiuti e macerie.
In un punto, il soffitto e parte del muro erano crollati.
Oltre il buco costellato di travi d'acciaio spezzate e tubi
arrugginiti, si intravedeva una parete di mattoni dall'aria antica
terminante in una volta che, a prima vista, Ishikura valutò
essere una galleria della vecchia linea metropolitana di Megalopolis.
Non si sbagliava: quando posò i piedi a terra oltre il
cumulo di detriti che ne ostruivano l'entrata, grossi sassi dal colore
rugginoso tipici delle ferrovie di un tempo rotolarono tra le
traversine marce.
Aiutò Sylviana a scendere e le passò un braccio
attorno alla vita per sostenerla; zoppicava un po' meno, ora, ma il
terreno era scivoloso e accidentato e la galleria molto buia.
S'incamminò dietro Ifiklìs con una mano
sulla fondina e sperò che sapesse dove stava
andando; non aveva idea se si trattasse di fatti veri o di
leggende metropolitane, ma da ragazzo aveva sentito storie terrificanti
su quei dedali oscuri e sui poveri sventurati che avevano avuto la
sfortuna o la stupidità di perdervisi.
E se fosse una trappola?
Se ci abbandonasse qui?
Lui, di certo, non avrebbe saputo ritrovare la strada; quei tunnel
parevano tutti uguali, lunghi, stretti e bui, forse ancora disseminati
di trappole dai tempi della guerra. Non avrebbero avuto scampo.
Rabbrividì e cinse più forte Sylviana, poi si
diede dello stupido.
Se li avesse voluti morti, a Ifiklìs sarebbe bastato
lasciarli a loro stessi in quel laboratorio.
– Certo che il caro Tetsuro poteva anche far dare una
spolverata, qua sotto – si lamentò Sylviana
all'ennesima ragnatela presa in piena faccia – Mi sa che
nella vasca da bagno dovrò rimanerci almeno tre giorni... Ma
poi che cavolo di posto è questo? È peggio di un
labirinto e non finisce mai; dove ce l'abbiamo l'appuntamento, al
centro della Terra?
– Sono i vecchi rifugi della resistenza, nell'antica linea
metropolitana del ventunesimo secolo – senza scomporsi,
Ifiklìs puntò la torcia su una parete,
illuminò un cartello metallico reso ormai illeggibile dal
tempo, lo esaminò da vicino e imboccò un'altra
galleria – Nessuno li usa più dalla fine della
guerra con i meccanoidi di Andromeda e ben pochi saprebbero
orientarvisi: in tutta Megalopolis, è il posto migliore per
non farsi trovare.
– Quindi è qui che Tetsuro ha nascosto le famiglie
dei compagni di Harlock?
Ifiklìs non fece in tempo a rispondere. Un grido acuto
riecheggiò tra le alte volte del tunnel e la luce d'una
torcia li abbagliò tutti.
– Ifiklìs! – un'ombra balzò
su di lui dall'imboccatura di un'altra galleria e gli saltò
addosso in uno scintillio di lame.
Ishikura si coprì gli occhi, estrasse la pistola e la
puntò contro le due sagome in controluce; accanto a lui, Sylviana lo imitò e si mosse di lato.
Si gelarono entrambi col dito premuto a
metà sul grilletto.
Sia Ifiklìs che il suo assalitore ridevano.
– Mio caro ragazzo, meno male! –
singhiozzò una vocetta acuta – Ero così
in pensiero!
La luce delle torce si abbassò e, appesa al collo di
Ifiklìs, Ishikura vide l'ultimo genere di persona che
avrebbe mai immaginato d'incontrare in quel posto: una vecchietta
sottile e bassa di statura con tanto di crocchia, grembiule da
cucina... e due grosse mannaie fra le mani, che
però non sembravano mettere a disagio la loro guida
mascherata.
– Signora Masu – nonostante continuasse a
contraffare la voce, il tono di Ifiklìs tradiva stupore e
una certa preoccupazione – Cosa ci fa lei qui?
– Non c'è stato verso di convincerla a restare
dov'era. Da una galleria laterale, un uomo s'avvicinò a grandi passi. Indossava un vecchio poncio marrone
ormai stinto, liso in più punti e ormai troppo corto per lui.
Dalla Cosmo Dragoon che gli pendeva al fianco e dallo sguardo
dei penetranti occhi azzurri che fecero capolino da sotto il suo
cappello a tesa larga pieno di buchi, Ishikura riconobbe Tetsuro
Hoshino.
– Avresti dovuto vederla – un giovanotto di forse
vent'anni s'affiancò all'eroe di Megalopolis – Ha
fatto il diavolo a quattro pur di venirti incontro!
– Quando dai piatti è passata a lanciare i
coltelli, abbiamo dovuto cedere – ridacchiò un
uomo barbuto sulla sessantina con indosso un camice da dottore.
– Tzé! – Masu incrociò le
mannaie e fece strisciare le lame una contro l'altra – Tanto
quei piatti erano tutti sbeccati... così almeno vi
deciderete a comprarne dei nuovi! E quand'è che quell'altro
buono a nulla viene ad aggiustarmi il frigo, eh?! Come accidenti si fa
a cucinare in queste condizioni, dico io: pentole tutte rigate,
bicchieri scheggiati, un forno da cavernicoli e manco l'ombra d'un
frullatore...
Tetsuro alzò gli occhi al cielo e fece un cenno a
Ifiklìs, che gli mollò la borsa, si
avvicinò alla vecchietta e cominciò subito a
parlare fitto fitto con lei.
Con un sospiro di sollievo, Tetsuro s'incamminò lungo la
galleria dalla quale era venuto.
– Allora, avete trovato quello che cercavate?
– Sì – Sylviana tirò fuori dal borsone l'hard disk – È
tutto qui dentro. Ma la maggior parte dei file è criptata.
– Come avete fatto? – Ishikura non poté
trattenere un moto di stupore – Ero convinto che ce
l'avesse il Comandante!
– Infatti – assentì Sylviana –
Il piano era proprio quello di rubarlo al caro Thorn mentre era
impegnato a contattare i suoi amichetti sotto attacco su Futuria.
È così prevedibile, per chi lo conosce...
– Ma che bisogno c'era di fare una cosa tanto contorta?
Potevamo impossessarcene già al Ministero, senza coinvolgere
altri...
– Bravo, Everest – il tono di Sylviana, adesso, era
canzonatorio come al solito – Adesso dimmi, nell'ordine: uno,
come avremmo fatto ad uscire di là senza che le guardie ci
ammazzassero; due, il tuo geniale piano per fuggire da questa
città una volta che il Ministero della Difesa avesse
diramato le nostre foto segnaletiche e tre, con che mezzi saremmo
tornati sulla Karyu se fossimo stati braccati da chiunque indossi una
divisa da qui ai confini dell'universo. Fingere di stare al gioco di
Thorn e lasciare che ci portasse in quel laboratorio clandestino era
l'unica maniera per evitarci tutte quelle grane... senza contare che
adesso siamo due preziosi testimoni oculari delle porcherie che fanno
là dentro!
– Già – Ishikura
incrociò le braccia – Soprattutto io. Era proprio il caso di farmi
rischiare di diventare un Herakles?
– Oh, avanti! Non t'avrei mai lasciato nelle mani di quei
pazzi, per chi m'hai preso?
– Non è questo.
Già, cos'era, allora? Il ragionamento di Sylviana non faceva
una piega e per di più lui sapeva fin dall'inizio che da una
tipa del genere avrebbe dovuto aspettarsi di tutto; che non gli rivelasse
le sue intenzioni e agisse di testa sua era il minimo. Lo faceva anche
lui, dopotutto.
E allora perché se la prendeva così a male?
Pensavo che si fidasse
di me...
Che idiota.
Lei gli mise una mano sulla spalla e lo guardò con quegli
occhi chiari che sembravano leggergli dentro.
– Senti, mi spiace di non averti detto del piano, ma
è stato necessario – si umettò le
labbra – A volte, per ingannare i nemici, devi prima
ingannare gli amici... specie se non sanno mentire.
– Vero – Ifiklìs lasciò
indietro Masu e il Dottore e gli si affiancò – Il
doppio gioco è un'arte che ha le sue regole... e questa
è una delle principali.
La galleria finì e tutti loro si ritrovarono in quella che
doveva essere stata un'importante stazione, un locale spazioso e un
tempo forse arioso e opulento ora in rovina, attrezzato con brande, paraventi,
casse di diverso tipo e generatori autonomi di corrente.
C'erano una decina di uomini e ragazzi armati di fucile intenti a fare
la guardia e, nella penombra dei binari o in quelle che dovevano essere state
delle biglietterie, forse un'altra ventina di persone.
Ishikura s'avvicinò a Tetsuro.
– Ci vorrà molto per decriptare i files?
– Non lo so ancora. Dipende da che software e che chiavi
hanno usato, ma... – gli occhi di Tetsuro si spalancarono, la sua destra gli artigliò la manica e un brusco strattone lo fece cadere in ginocchio – State giù!
In un lampo, Tetsuro estrasse la Cosmo Dragoon e la puntò verso i tunnel.
– Non glielo consiglio, Signor Hoshino –
la voce di Thorn
riecheggiò dall'ingresso della galleria – Siete in netta
inferiorità numerica e allo scoperto. Non garantisco per le
vite di questi civili, se non farete come vi ordinerò.
– Ci hanno seguito? – Ishikura si
rialzò, la pistola in pugno – Ma com'è
possibile? Li avevamo seminati!
– Ingannare i nemici ingannando gli amici è la
prima regola del doppio gioco – Ifiklìs
afferrò il polso di Sylviana, glielo torse dietro la
schiena e fece un passo indietro – Ma
cosa succede se gli amici sono in realtà i nemici e
viceversa?
– Ifiklìs... ma cosa – Tetsuro
puntò su di lui la Dragoon e, come se aspettasse proprio
quel momento, un folto gruppo di mercenari irruppe nella stazione
dall'oscurità del tunnel.
– Abbassi quel cannone, Hoshino – Thorn si fece
largo fino a loro, un sorriso trionfante sulle labbra sottili
– La nostra lunga partita a scacchi è finita.
Riconosca la sconfitta, mi dia ciò che voglio e le prometto
che non faremo nulla di male ai suoi protetti.
– Già – Sylviana lo guardò
con odio – C'è proprio da fidarsi quando una
persona leale e corretta come te fa promesse del genere... e poi
frequenti delle così belle persone...
Lui le si avvicinò e le sollevò il mento con due
dita.
– Dimenticavo – rise – Lei, la nostra
bella Blossom e il vostro amichetto Vice-Comandante siete esclusi da
questo nostro piccolo patto. Sapete troppo e vi siete inimicati
qualcuno che non avreste dovuto. Spiacente.
– Cosa le fa pensare che m'arrenderò, Thorn?
– Oh, vedo che sa addirittura più di
ciò che credevo – il falso Comandante avvicinò il viso a
quello di Sylviana e le diede un lieve bacio – Ah, le labbra
d'una donna: affida loro i tuoi segreti e li troverai sussurrati ai
quattro venti, ma sono così dolci...
– Lasciala stare, bastardo! – Ishikura mosse un
passo verso di lui, ma Ifiklìs puntò la pistola alla tempia di Sylviana e armò il cane.
Anche i mercenari spianarono le loro armi e li inquadrarono
nei mirini.
Ishikura si guardò attorno: c'erano molte persone nella
traiettoria di fuoco; se fosse iniziata una sparatoria, evitare che
qualcuno morisse o rimanesse ferito sarebbe stato impossibile.
– La vedo pallido, Signor Hoshino – Thorn
lasciò Sylviana e s'avvicinò a Tetsuro
– Allora, cosa decide?
Tese la mano. Tetsuro esitò, si guardò attorno e
infine gli consegnò la Dragoon, accompagnando il gesto con
un'occhiata gelida e uno sputo a terra in segno di disprezzo, che
però non cancellarono il sorriso di Thorn.
– Saggia decisione.
È finita.
Anche Ishikura lasciò cadere la pistola. Le poche guardie di
Tetsuro lo imitarono subito.
– Perché? – Ishikura fissò Ifiklìs, che non rispose.
– Ve lo ha detto, Vice-Comandante – Thorn diede un
calcio alla sua pistola e s'avvicinò a Ifiklìs – Ha giocato con voi... ma nella mia squadra, fin
dall'inizio. Sono anni che tutto ciò che esce dal Ministero
e dalle sue labbra è ciò che voglio io.
Aspettavamo solo l'occasione giusta per sbarazzarci della spina nel
fianco rappresentata dal Signor Hoshino, un passo falso come questo... vero, mio fido assistente?
Afferrò il passamontagna di Ifiklìs e glielo
tirò via dalla faccia.
Ishikura lo guardò in viso e quello che era stato un
sentimento di speranza all'idea di chi potesse essere quell'uomo
misterioso si trasformò in disperazione nel constatare che
la sua ipotesi era esatta... e che era stato tradito un'altra volta.
Da dietro il viso terreo di Sylviana, Minoru ricambiò il suo
sguardo con uno colmo di tristezza quanto il suo,
riflesso nei grandi occhi verdi che avevano entrambi.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 34 *** Oneiros ***
cap 8
L'uomo nella capsula aveva lunghi capelli castani, gli
stessi che tante volte, da bambina, aveva tirato per gioco quando lui
la portava a cavalcioni sulle sue spalle larghe, forti nonostante il
fisico snello. Il suo volto era solcato da parte a parte da un lungo
sfregio slabbrato e irregolare, ricucito a suo tempo con punti troppo
larghi; sotto le folte sopracciglia scure, l'occhio sinistro era
chiuso, sereno nel sonno, mentre il destro, da cui qualcuno aveva
scostato il lungo ciuffo di capelli e tolto la benda nera che di solito
lo ricoprivano, pareva semiaperto per effetto dell'orbita vuota che la
palpebra devastata dalle cicatrici della bruciatura d'un laser e ormai
priva di ciglia non riusciva a nascondere.
In quattordici anni, era la prima volta che Mayu vedeva quella ferita:
era orribile, doveva avergli procurato una sofferenza atroce e lo aveva
sfigurato in un modo che avrebbe reso spaventoso e ripugnante chiunque
eppure, anche così, quel viso era per lei il più
bello che ci fosse al mondo e non riusciva a staccarne gli occhi.
– Harlock...
Per un istante, sperò che quel sussurro sarebbe bastato a
risvegliarlo.
Quand'era piccola credeva che,
ovunque fosse e qualunque cosa stesse facendo, lui la potesse sentire
ogni volta che pronunciava il suo nome o suonava l'ocarina che le aveva
regalato. Era sciocco, lo sapeva, ma trattenne comunque il fiato.
Lui non si mosse.
Si tolse il guanto macchiato di polvere e sangue, dimentica di tutto
ciò che la circondava; passò la mano sulla fitta
condensa che ricopriva il vetro tiepido della capsula e non
poté trattenere un gemito.
Il suo corpo nudo, avvolto dalle fasce, dalle coperture e dalle cinghie
dei dispositivi per impedire l'atrofia dei muscoli e di quelli per la
dialisi e l'alimentazione esterna, coperto di elettrodi e attraversato
dagli aghi delle flebo, era un intrico di cicatrici. Ne aveva ovunque,
di ogni dimensione e tipo: grandi e piccole, da taglio e da ustione...
alcune dovevano essere addirittura di pallottole.
Mayu ricordò che una volta lui le aveva detto d'essere
orgoglioso delle sue ferite perché ognuno di quei segni era
il ricordo d'una battaglia, d'un avversario valoroso o di qualcuno che aveva perduto per sempre nella sua
quotidiana lotta per vivere libero e che, proprio per questo, non le
avrebbe mai cancellate; al massimo avrebbe tenuto nascoste le
più profonde perché c'erano cose, nei pensieri e
nei ricordi d'ognuno, che non potevano essere condivise.
Lei aveva otto anni, all'epoca, e quel discorso non l'aveva capito del
tutto, ma Harlock era fatto così: non le aveva mai nascosto
nulla e le aveva sempre parlato col rispetto, il tatto e la
serietà che avrebbe usato con un adulto. Era anche per
questo, che lo adorava.
Vederlo così indifeso, così esposto, lui sempre
così orgoglioso, le stringeva il cuore; ognuna di quelle
vecchie ferite, tante...
così tante... faceva male a lei.
– Cosa gli avete fatto? – Zero ripeté la
domanda.
Kurai si alzò dalla sua
postazione e passò una mano su uno dei pannelli del computer.
– Come le ho già detto, gli ho dato ciò
che desiderava: sicurezza, sollievo dalla sua angoscia, un mondo in cui
tutti coloro che ama gli sono accanto.
– Mi sta prendendo in giro, Kurai? – Zero si
voltò di scatto e mosse un passo verso il professore, il
pugno chiuso, tremante di collera.
Sua madre... o meglio, l'Herakles con le sembianze di sua madre, si
mise subito fra di loro e Mayu afferrò il
polso del Capitano; non pensava che avrebbe fatto follie, ma sembrava davvero fuori di
sé ed era ferito e disarmato.
– No, Capitano. Come le ho detto, non sono il mostro che lei
crede. Ogni vita umana è unica e insostituibile –
Kurai accennò ad Harlock – Anche la sua.
Purtroppo, non la potrò salvare: ho un debito verso chi m'ha permesso d'arrivare sino a questo punto coi miei studi e il
prezzo da pagare è proprio la sua preziosa esistenza, ma
almeno...
La mano di Zero tremò.
– Se lei capisse davvero il valore d'una vita non parlerebbe
così, Kurai... e non avrebbe fatto ciò che ha fatto.
– Davvero? – per la prima volta, Kurai
alzò la voce – E se scoppiasse un'altra guerra
quante vite andrebbero perdute, Capitano? Quanti altri uomini come i
suoi compagni, quante altre donne come sua moglie, quanti altri bambini
come...
– Non osi mettere in mezzo la mia famiglia! –
tuonò Zero – Non lo faccia mai più,
altrimenti...
– Vede? – Kurai allargò le braccia
– Nonostante siano passati tanti anni, la loro perdita
non smette di bruciarle. Per quanto tempo ancora la gente dovrà
continuare a soffrire prima che chi di dovere capisca una volta per
tutte che la mia
è l'unica soluzione sensata, la sola possibile? Ci pensi:
soldati perfetti creati in serie apposta per difenderci, esseri dai
ricordi e dalle capacità selezionati, guidati da un'unica
volontà e privi di desideri, paure o istinti che potrebbero
indurli in errore, ma soprattutto sostituibili in ogni momento senza
ricorrere a dispendiosi e lunghi procedimenti di clonazione. E non
solo...
Mayu lo guardò e un brivido leattraversò la schien: quell'uomo aveva l'aspetto di suo padre, la sua
voce, ma i suoi occhi avevano uno sguardo febbrile, il suo tono
un che di spaventoso.
– Pensi agli infiniti sbocchi che porterà il fatto
di poter finalmente decodificare i tracciati neurali –
continuò Kurai, all'apparenza ignaro del disagio e della rabbia
che lei avvertiva crescere in sé e in Zero –
Potremmo far recuperare la memoria ai pazienti colpiti da amnesia o
malattie degenerative, esaminare i ricordi degli imputati e dei
testimoni nei processi per scoprire la verità, addirittura
prevenire i crimini prima ancora che siano commessi ed estirpare tutto
il male dalla mente delle persone... e poi l'immortalità!
Potremmo conservare la nostra essenza, trasferirla in corpi sempre nuovi
e sani, addirittura riportare in vita i nostri cari perduti e renderli perfetti!
Cos'è il sacrificio di un'unica vita di fronte a tutto
questo?
Zero impallidì.
– Lei è pazzo! La mente di una persona non è un
qualcosa che si possa spiare, manipolare o personalizzare a suo
piacimento! Ogni essere umano... Kurai sollevò gli occhiali e si massaggiò la radice del naso.
– Lei è un inguaribile romantico, Capitano
– sospirò – Come il povero Professor
Daiba e come Oyama. Ma il romanticismo va messo da parte se vogliamo il
progresso e un mondo migliore. Perché nessuno debba
più soffrire la perdita d'una persona cara come
è successo a noi sono disposto a tutto, anche a esser
chiamato mostro, anche a sacrificare non uno, non cento, ma mille
Harlock... e lui sarebbe d'accordo con me.
– Provi a fargli ancora del male – ringhiò Zero – Gli torca un solo capello e le giuro
che sarò io a uccidere lei, dovessi morire!
Kurai non si scompose.
– Si calmi, Capitano. Io non voglio far del male a nessuno,
gliel'ho già detto, e sarei più che felice di non
dover pagare il prezzo che ho pattuito con Arngeir, il suo capo, Matia
e Lia. Sappia che è solo grazie a me se il suo amico non
è già morto o impazzito e non sta marcendo in
qualche fetida cella ma, anzi, sta vivendo nel migliore dei mondi
possibili.
Si rimise al pannello e digitò qualche veloce stringa di
comandi.
Uno degli schermi s'accese sopra la capsula di Harlock e, in grande e
nel dettaglio, vi apparvero i dati relativi al suo
elettroencefalogramma.
– Come potete vedere – Kurai ne
evidenziò una sezione, formata da quattro righe le cui onde
erano curve e ravvicinate – Il suo cervello continua a
funzionare, ma in una fase REM continua indotta dagli ormoni che gli
somministriamo con pause di otto ore ogni venti per simulare il sonno.
Mayu
osservò il volto di Harlock, immobile e sereno.
– Vuol dire che per lui il tempo della veglia è
in realtà un lungo sogno?
– Proprio così, piccola – Kurai sorrise
– Solo che, a differenza dei normali sogni, quello che sta
vivendo lui è reale sotto ogni aspetto, sia logico che
sensoriale: una vera e propria realtà alternativa creata dai
suoi più intensi desideri, dalle sue più grandi
speranze e anche dai suoi rimpianti, con un piccolo aiuto da parte del
mio vecchio programma Oneiros*...
Digitò qualcos'altro sulla tastiera e piccole scritte
bianche su sfondo nero si rifletterono sulle lenti spesse dei suoi
occhiali.
– Conosci la leggenda della nascita dei sogni, piccola? Si narra che
furono creati dal dio del sonno per rimediare a un errore delle dee
del Fato, che non avevano assegnato sorte alcuna a un uomo e se
n'erano accorte solo quando questi arrivò in punto di morte.
Dato che non era possibile né donargli un'altra esistenza
né farlo morire senza che avesse vissuto, il dio lo immerse
in un sonno profondo e gli fece vivere un'intera vita nell'arco d'una
notte. Ah, i sogni! “Tessuti con l'argento delle stelle, con perle di lacrime e di
rimpianto e cristalli di desiderio”... *
Distese le braccia e la guardò.
– Una bella fiaba per bambini, con un fondo di
verità. Da un certo punto di vista, tutti noi siamo
dèi: la nostra mente può creare interi mondi,
farci vivere mille vite, avverare mille desideri inconfessabili... La
sua lo ha fatto – si alzò e si diresse a un altro
pannello, dal quale, con un basso ronzio, uscì un foglio di
carta – Ecco qui. Da quanto mi risulta, la sua
realtà onirica è ferma al
duemilanovecentosettanta, con notevoli alterazioni negli avvenimenti
sia storici che della sua vita privata – rise –
Pensi, Capitano Zero, si crede ancora un ufficiale della Flotta, proprio
come lei!
– Vuol farmi credere che dopo tutto quello che ha passato in questi
quattordici anni, Harlock non si rende conto d'esser prigioniero in
una realtà fasulla?
Kurai scosse il capo.
– Lo escludo. Ha presente quei sogni che cominciano con
l'illusione d'essersi svegliati, Capitano? Magari quelli in cui siamo
tornati bambini e tutta la nostra vita di adulti ci sembra
uno strano sogno? Ecco, quella è proprio la sensazione che
ricrea Oneiros. Se Harlock ha delle reminiscenze di ciò che
è stata la sua vera vita, gli arrivano in quelle che per lui
sono le ore del sonno. E anche se, per assurdo, arrivasse a sospettare
che quella è la realtà, il suo stesso inconscio
lo spingerebbe a rifiutarla: ho decodificato il suo tracciato neurale
per selezionare i ricordi da impiantare nel suo Herakles e devo dire
che alcuni sono davvero terribili: mi stupisce che non sia crollato
prima.
– La gioia e il dolore fanno parte della vita –
stretto nella mano di Mayu, il polso di Zero ricominciò a tremare – Per
quanto possa aver sofferto, sono sicuro che avrebbe potuto affrontarlo. Quella... quella non
è una vita vera e non è giusto...
Kurai gli lanciò uno sguardo
insofferente.
– Avrebbe preferito che lo lasciassi torturare da Matia e
Lia, Capitano? Succederà, non tema... ma fino ad
allora, almeno, sarà stato al sicuro, avvolto nel
più bello e reale di tutti i suoi sogni.
Mayu sussultò a quei nomi.
Ricordò le parole che avevano pronunciato durante il
collegamento video tra la Nèmesis, l'Arcadia e la Karyu: avevano detto che
Harlock era al sicuro in attesa del gran finale... che le avrebbe
implorate di ammazzarlo quando si fosse reso conto d'aver ucciso con
le sue mani tutti coloro che amava.
E se quello che abbiamo
affrontato non era lui... se tutto ciò che vede o prova un
Herakles viene registrato e Kurai può decodificare,
selezionare e impiantare ogni parte d'un tracciato neurale...
La
lucida cattiveria di quell'incredibile vendetta la colpì come uno
schiaffo. Gemette, strinse più forte il braccio di Zero e posò la mano libera sul vetro della capsula.
– Un bellissimo sogno, già –
guardò Kurai – Che si
sarebbe infranto con l'impianto della memoria del suo Herakles, vero?
Sia Zero che il Professore la guardarono sorpresa.
– Gli avreste impiantato i ricordi... dei nostri omicidi?
– Zero guardò Harlock e impallidì – E lui...
– Se ne sarebbe ritenuto responsabile, già – Kurai non
provò nemmeno a negare – D'altronde,
ciò che muove la mente dell'Herakles fa parte di
lui. Tutti abbiamo un lato oscuro.
– Siete dei criminali! – un tremito di rabbia
scosse il Capitano della Karyu – Calpestare
così i sentimenti di un uomo, giocare coi suoi ricordi e i suoi desideri, approfittarsi del suo dolore e dei suoi rimpianti...
non ve lo posso perdonare! E lei che ha reso possibile tutto questo
meno degli altri!
– Che altro avrei potuto fare? – Kurai
allargò le braccia – Solo così i miei
compagni avrebbero accettato di non fargli più male del
necessario e m'avrebbero dato il loro aiuto. Soffrirà parecchio a livello emotivo quando lo risveglieremo,
è vero, ma per poco... mi auguro. Non teneva
più alla sua vita, dopotutto... e poi sarà
sacrificata per un fine superiore.
– Un fine... superiore? – il braccio di Zero
sfuggì alla stretta di Mayu, con una tale violenza da
sbilanciarla – Un fine superiore?! Trasformare le persone in bambole prodotte in serie e sostituibili in qualunque
momento per lei sarebbe un fine superiore? Ridurre tutti i pensieri,
tutti i sentimenti e i ricordi di un essere umano a dati trasferibili e
cancellabili a suo piacimento sarebbe un fine superiore che vale la
vita, gli affetti e i ricordi di un uomo? Che vale tutta la sofferenza
che ha già procurato? Ho sentito abbastanza!
Zero mosse un altro passo zoppicante verso Kurai.
Emeraldas sollevò la pistola, armò il cane e
mirò.
– No! – Kurai alzò un braccio – Potresti
colpire la capsula o il computer!
Fu un attimo.
Zero s'abbassò sulla gamba ferita con un mugolio di dolore
e scattò di lato per togliersi dalla linea di tiro. Presa
alla sprovvista e forse confusa dall'ordine di Kurai, Emeraldas
scoprì il fianco e lui ne approfittò per
posizionarsi di lato rispetto al braccio che reggeva la pistola; le afferrò il polso con la mano destra e la
canna con la sinistra, fece forza e la obbligò a ruotare
l'arma in modo che puntasse al suo viso.
Con un rapido, brusco movimento rotatorio contro il suo pollice, le
strappò il calcio della pistola dalle mani e, prima che lei
avesse il tempo di reagire, la colpì alla tempia e sulla nuca. Emeraldas si accasciò al suolo.
– Adesso – Zero fece un passo indietro e
ricaricò –
Lei libererà Harlock e poi mi seguirà sulla mia
nave.
Kurai scosse il capo e lo guardò, l'espressione triste.
– Non è proprio possibile convincerla a stare
dalla mia parte, vero, Capitano?
– Si consideri fortunato se dopo ciò che ho
sentito qui mi limito ad arrestarla, Professore – Zero si chinò a perquisire Emeraldas – E
taccia, prima che cambi idea.
– Potrei ridarle sua moglie e suo figlio, se ne rende conto?
Vuole buttar via così la possibilità...
Un colpo di pistola lacerò il silenzio e infranse uno
dei neon sul soffitto.
Una pioggia di vetri rotti cadde sullo scienziato, che gemette e
si riparò il capo con le mani.
Zero si rialzò, un pugnale da lancio nella mano sinistra.
– Non voglio sentire un'altra parola! – tuonò –
Ora faccia quello che le ho detto, Kurai.
– Non è così semplice – il
Professore scosse il capo nel tentativo di liberare i capelli dalle
schegge di vetro che vi erano rimaste impigliate – Il
risveglio da Oneiros dev'essere graduale e io non avevo programmato di
farlo così presto!
– Quanto le ci vuole?
– Almeno ventiquattr'ore.
– Non abbiamo tutto questo tempo – Zero lo
afferrò per il camice e lo trascinò al pannello
di controllo del computer – Là fuori
c'è una battaglia in corso e questo posto non è
sicuro. Stacchi tutto.
Kurai si liberò con uno strattone.
– E poi il pazzo che vuol fargli del male sarei io! Lo
sa che cosa rischierebbe, se lo facessimo tornare all'improvviso? Nella
migliore delle ipotesi, quella in cui non riuscisse a recuperare i
ricordi sigillati in Oneiros, li perderebbe per sempre...
– E nella peggiore?
– Lo shock potrebbe farlo impazzire: potrebbe non esser più
in grado di distinguere sogno e realtà, ridursi a un
vegetale per il resto dei suoi giorni o addirittura avere un infarto e
morire sul colpo. Se è disposto a correre questi rischi,
Capitano, prego
– indicò un pannello con tre chiavi e un
pulsante e incrociò le braccia – Quello
è lo spegnimento. Giri le chiavi e prema il pulsante, ma io
non voglio saperne nulla.
Zero si voltò a guardarla e Mayu lesse sul suo viso la
stessa angoscia che attanagliava lei.
Di certo non potevano aspettare tutto quel tempo: se qualcosa fosse
andato storto là fuori o nello spazio, sarebbero stati tutti
in pericolo, ma rischiare di uccidere Harlock con le loro mani invece
di salvarlo sarebbe stato davvero troppo.
Poi, il ricordo di Maji le attraversò la mente e le diede
una speranza.
– Non c'è una procedura d'emergenza? –
il piccolo ingegnere dell'Arcadia lo ripeteva sempre: averne una per
ogni cosa era la regola numero uno per qualunque tecnico o scienziato.
Con sua enorme gioia, Kurai annuì.
– C'è – spinse indietro gli occhiali
– Ma non è mai stata neanche collaudata. Smisi d'occuparmi dello studio dei sogni con la fine della guerra e la scoperta
dei chip Hardgear: in confronto al progetto Herakles, Oneiros era un
giocattolo per bambini – sospirò – E
comunque, nemmeno allora trovavo volontari per collaudare quel
macchinario.
– Volontari? – Mayu s'avvicinò.
– Sapete cos'è un onironauta? – Kurai
digitò una sequenza di comandi.
Mayu annuì. Aveva letto qualcosa in un libro che le aveva
prestato il Dottor Zero.
– Un sognatore che ha coscienza del fatto di stare sognando
– cercò di ricordare la definizione esatta
– E che può esplorare o modificare a proprio
piacimento la realtà del sogno.
– Esatto – Kurai estrasse un'altra scheggia di vetro dai suoi capelli
– Bé, per tirare fuori Harlock dalla sua realtà
alternativa, c'è proprio bisogno di un onironauta.
Zero lo guardò perplesso.
– E come può riuscire a risvegliarlo, un altro
sognatore?
Kurai esaminò la scheggia, la gettò dietro le sue spalle e
ricominciò a digitare.
– Dimentica che si tratterebbe d'un sognatore lucido, Capitano. Una persona del tutto in
sé, cosciente di quali siano stati davvero gli avvenimenti
storici, di quale sia la realtà odierna e di quale sia il
vero lui...
Un ronzio li fece voltare. Accanto a quella di Harlock, un'altra
capsula stava emergendo pian piano dal pavimento.
Kurai si alzò.
– Quella è Endymion**, la capsula dell'onironauta. Vedete quella
mascherina? Serve a inviare stimoli acustici e luminosi al nostro
viaggiatore dei sogni non appena entra in fase REM. A quel punto, sta a
lui predisporsi a recepirli, convincere il nostro sognatore che quella
che lo circonda non è la realtà, entrare in
contatto con la sua mente e fargli recuperare i suoi ricordi. Quando
questo accadrà, riceverò un segnale attraverso il
computer e potrò dare il via al processo di risveglio. Devo
avvisarvi di due cose, però – s'avvicinò alla capsula e premette un pulsante –
Primo: il collegamento fra le due menti avviene tramite
Oneiros. Non appena rileverà la presenza dell'onironauta, il
programma cercherà d'inglobarlo nel mondo alternativo. Se l'onironauta
dovesse fallire nel rimanere lucido, sia alla ricezione degli stimoli che dopo, ci
ritroveremmo con due sognatori. Secondo: se il sognatore dovesse
recuperare i ricordi e la consapevolezza di sé troppo in
fretta, potrebbe fare la stessa fine che se lo svegliassimo staccando
la macchina. L'onironauta rischia meno, ma se il contatto fra le due
menti fosse troppo profondo, temo che subirebbe un discreto shock anche
lui.
Il coperchio della capsula si aprì e Kurai li
guardò entrambi con aria di sfida.
Mayu s'appoggiò al bordo e sostenne il suo sguardo.
– Come dovrei fare, di fatto, per entrare in contatto con la
mente di Harlock?
– Un contatto fisico – il Professore stese il
braccio – Basta anche solo che ti dia la mano, poi tutto
dipenderà dalle vostre volontà. Ti avverto,
però, piccola: non sarà facile. Oneiros
farà di tutto per impedire che il sogno si spezzi e Harlock
stesso, a livello inconscio, potrebbe non volersi svegliare. Inoltre,
la sua realtà è ferma a prima che tu nascessi:
non ti riconoscerà.
– Ci vado io, Mayu – Zero le mise fra le mani pistola e pugnale e
squadrò Kurai dalla testa ai piedi – Se dovesse
tentare qualche scherzo, sparagli.
– Non le vado davvero a genio, eh, Capitano? –
Kurai sospirò – Non si preoccupi, interessa anche
a me vedere se Endymion funziona come dovrebbe. Si tolga la giacca e la
maglietta, per favore.
– Qualunque cosa accada, ricordati la promessa che m'hai
fatto – Zero la guardò serio, si spogliò e
si stese nella capsula – Se le cose si mettono male, non
pensare né a me né ad Harlock e salva prima di
tutto la tua vita.
Mayu gli fece un cenno d'assenso e sistemò il pugnale nel
cinturone.
Kurai fissò degli elettrodi alle tempie di Zero, ai
polsi e sul petto, gli infilò la cannula d'una flebo
nell'avambraccio e l'ago di quello che sembrava un sondino alla base
del cranio.
Sullo schermo accanto a quello che mostrava i parametri
vitali di Harlock, apparvero anche i suoi.
– Bene – Kurai si rimise alla sua postazione, scrocchiò le dita e le fece
volare sulla tastiera – Indossi la maschera, Capitano... si
parte!
Non appena la testa di Zero si fu posata sul fondo anatomico
della capsula, il coperchio si chiuse e un liquido
gorgogliò nella cannula della flebo.
Ai lati del suo collo, due sportellini si aprirono con un basso ronzio;
ne spuntarono delle siringhe che, con uno scatto improvviso, gli
iniettarono un'altra sostanza.
Mayu osservò le
palpebre di Zero abbassarsi piano dietro le lenti scure della maschera, poi si mise fra lui e Harlock, la pistola in pugno: le
loro vite, adesso, dipendevano da lei.
* Oneiros, nella
mitologia greca, è la personificazione del sogno e uno dei
messaggeri di Zeus.
** da “E fu
così che nacquero gli Oneiros”, di Anna Montella.
*** Secondo il mito,
Endymion era un tizio che ricevette dal dio del sonno la
capacità di dormire ad occhi aperti... il papà
degli onironauti! ^_^
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 35 *** La sbronza del secolo... o no? ***
cap 8
Harlock aprì gli occhi e si sollevò a
sedere nella penombra della sua stanza.
Il tempo di ricordarsi chi era e dove si trovava e un sorriso gli
affiorò alle labbra.
Di nuovo quel sogno
assurdo...
Era già da qualche tempo che, durante il sonno, la sua mente
si ostinava a trasformarlo in un pirata vestito di nero dalla testa ai
piedi con tanto di benda sull'occhio, mantello e spadone, Capitano di
una nave che, dallo scafo esterno sino al letto della sua cabina, era
un tripudio kitsch di Jolly Roger... e per di più infestata
dallo spirito di Tochiro.
Era colpa
dello spirito di Tochiro, in un certo senso: da quando quell'idiota s'era messo in testa di scoprire la ricetta dell' Heavy Red Barbour e distillarlo per conto proprio, le ubriacature più o meno
allucinogene erano all'ordine del giorno.
Harlock si massaggiò le tempie ancora doloranti e si girò
su un fianco.
Lei era ancora addormentata.
Alla luce del tenue raggio di sole che filtrava dalle imposte, i suoi
lunghi capelli biondi e la sua pelle chiara producevano un incantevole
contrasto sul tessuto nero e lucido del cuscino.
Rimase a osservarla ipnotizzato.
Era così bella che a volte non gli pareva nemmeno
reale e temeva che al minimo tocco si sarebbe frantumata come se fosse di cristallo, che sarebbe svanita come nebbia portata via dalla
brezza... o che, come nei suoi incubi peggiori, non sarebbe riuscita a
sopravvivere alla durezza del mondo e l'avrebbe lasciato insieme ai
sogni, alla speranza e a tutto ciò che era bello e puro,
tutto ciò che valeva la pena proteggere.
Rise di quelle assurde paure: lei era lì, calda, vera... e sua.
Ripensò alle carezze e ai baci della notte e, una volta di
più, si chiese come fosse possibile che il corpo e l'anima
d'un uomo potessero contenere tanta gioia.
Le sfiorò la spalla nuda con un dito, seguì la
linea del suo braccio sino al bordo del lenzuolo e glielo
tirò fin sotto il mento. Le posò un lieve
bacio sulla guancia e si alzò.
Per fortuna stavolta le gambe parevano reggerlo, la vista non s'annebbiava e non aveva neppure la nausea. Tirò un sospiro di
sollievo; l'Ammiraglio, l'ultima volta, gli aveva detto chiaro e tondo
cosa l'avrebbe aspettato se si fosse ripresentato sbronzo al
Comando: pulire le
sentine di tutta la Flotta con uno spazzolino da denti... e poi usarlo.
Ridacchiò. Il vecchio non sarebbe mai arrivato a tanto, specie con lui, ma
nell'Esercito l'efficienza era tutto, anche in tempo di pace. Era
giusto così, in fondo: il lassismo era l'anticamera della
decadenza e Harlock non osava neanche pensare a cosa sarebbe potuto succedere
se un'invasione come quella meccanoide di due anni prima avesse
sorpreso un Esercito molle, inefficiente e guidato da incapaci che
pensavano solo ai propri interessi.
Indossò i boxer e i pantaloni, afferrò la giacca
della divisa, chiuse la porta della camera da letto e aprì
le imposte del terrazzo.
L'aria fresca del mattino gli riempì i polmoni,
i raggi del sole lo avvolsero in un caldo abbraccio; uno sguardo al
cielo azzurro e terso sopra di lui e persino il mal di testa gli
parve diminuire. Respirò a fondo e si stiracchiò,
felice.
Si sentiva in pace con il mondo, con quel bellissimo pianeta che
così tanto amava ammirare dallo spazio e che piano piano
cominciava a rinascere: appena un anno prima la guerra e la
stupidità umana l'avevano portato vicino all'annientamento
e c'erano stati lutti e tragedie a non finire, ma almeno i suoi abitanti avevano capito una volta per tutte
quali erano le cose che contavano davvero e si erano decisi a
rimboccarsi le maniche e lasciare da parte le loro sciocche differenze
e i loro stupidi contrasti per il bene comune.
Harlock infilò la giacca della divisa, stirò alla meno
peggio un paio di pieghe col dorso della mano, l'abbottonò e
guardò l'orologio.
Nemmeno il tempo di prepararsi un caffè: erano quasi le sei e avrebbe dovuto correre per presentarsi
in tempo all'appello.
Il suo stomaco protestò alle sue intenzioni e alla vista
della porta della cucina, ma lui aveva trovato un metodo infallibile
per rimetterlo in riga: aveva scoperto che, se solo
provava a immaginare le portate più disgustose che gli
venissero in mente, riusciva a sentirne il sapore come se le
avesse assaggiate davvero.
Croissant con wurstel e
marmellata di banane! Yogurt alla pesca con crema di broccoli e cereali!
Caffè al tabasco, maionese e cannella...
Ecco, a posto: la fame era già passata.
Aprì la porta, calzò gli stivali e
cominciò ad annodarsi il fazzoletto mentre scendeva le scale.
Sul pianerottolo che collegava il suo appartamento con quello
di sotto inciampò in un informe fagotto marrone e quasi ruzzolò dalle scale.
– Oh, ma insomma – una voce nasale ancora impastata
dal sonno levò subito la sua flebile protesta –
Ancora cinque minuti, Emeraldas!
Un piccolo, tozzo giapponese emerse dal poncio che lo avvolgeva come un
bozzolo, i capelli arruffati e due grosse borse scure sotto gli
occhi.
Harlock lo guardò spiazzato.
– Tochiro?
– Oh, Harlock – il suo migliore amico,
nonché Capo Ingegnere della sua Death Shadow, gli rivolse un
saluto assonnato, afferrò i suoi occhialetti tondi e se li
sistemò sul grosso naso a patata – Buongiorno! Dove te ne
vai a quest'ora? Già, a proposito... ma che ora è?
Harlock sospirò. Certo che quel tipo non cambiava proprio
mai: sempre fra le nuvole, tranne quando era in mezzo ai suoi
marchingegni.
– Sono le sei e cinque – lo informò
mentre finiva di annodarsi il fazzoletto – Tu, piuttosto, che
ci fai qui e per di più conciato così?
Osservò con occhio critico la divisa che indossava sotto al
poncio, stazzonata, macchiata di liquore e
priva delle mostrine del Reparto Tecnico ai bordi del colletto
strappato: quella, l'Ammiraglio non gliel'avrebbe certo fatta
passare.
– Merito della mia dolce metà – Tochiro
si voltò a fissare la porta e si grattò la nuca
– Non hai sentito le urla e il rumore di piatti rotti, ieri notte, dopo
che sei rincasato?
– Per la verità...
– Certo che non hai sentito – Tochiro si
alzò, sbadigliò e gli diede una gomitata, un sorriso
a trentadue denti stampato sul viso tondo – Appena il tempo di
chiudere la porta e tu e Maya avete cominciato a farne ben altri, di
rumori... ah, che invidia!
Harlock fece appello a tutta la sua forza di volontà per non
mostrargli il suo imbarazzo.
Non amava quel genere di discorsi tra uomini e, negli anni, aveva
affinato una tecnica infallibile per evitarli con stile: in assoluto
silenzio, incrociava le braccia sul petto, inclinava il capo e
rivolgeva al suo interlocutore uno sguardo fisso e un
po' torvo.
L'effetto era sempre lo stesso, rapido e stupefacente: tutti
distoglievano lo sguardo, balbettavano una qualche scusa e battevano in
ritirata.
Tochiro era la sola eccezione alla regola, ma forse era
perché lo conosceva troppo bene... anzi, a volte Harlock
aveva il sospetto che lo facesse apposta a fare certe allusioni, che si
divertisse un mondo a provocarlo.
– Avanti, amico mio, non devi vergognarti – anche
in quel momento rideva sotto i baffi – Non c'è
niente di più naturale e meraviglioso dell'amore! E poi puoi
stare tranquillo: con me la tua fama di uomo di ghiaccio è
al sicuro!
Tirò fuori da chissà dove un'altra delle sue
infernali bottiglie e fece per addentare il tappo.
Harlock gliela strappò di mano.
– Ma sei impazzito? Se ti presenterai ubriaco all'appello, stavolta
l'Ammiraglio...
– Eh? – Tochiro si grattò la nuca
– Quale appello?
– C'è l'ispezione generale, oggi, te ne sei
scordato? Datti una sistemata, che...
– Eh? Ma
l'ispezione è stata rinviata! L'Ammiraglio s'è
sentito male dopo aver assaggiato il nostro Barbour Custom! Siamo in
licenza... o forse sospesi.
Harlock spalancò gli occhi.
– Cosa?
– Non ti ricordi più? – Tochiro si
grattò il mento – Bé, per la
verità, anch'io non mi ricordo quasi niente di ieri sera!
Harlock si chinò e gli mise davanti al naso il liquore che gli aveva
strappato di mano.
– Che cosa ci hai messo, qui dentro?
Tochiro non fece in tempo ad aprir bocca che la porta si aprì.
Emeraldas li squadrò entrambi con aria di somma
disapprovazione, afferrò suo marito per la collottola e
guardò all'interno dell'appartamento.
– È qua fuori – accennò verso
di loro, brusca – Adesso fammi il favore di uscire e
smetterla d'assillarmi coi tuoi vaneggiamenti da ubriaco!
Aprì un altro po' l'uscio e, oltre la sua sagoma appesantita
dalla gravidanza avanzata, Harlock percepì dapprima un
movimento e poi un rumore di passi cadenzati.
Tochiro sbirciò oltre il suo fianco, alzò lo
sguardo e indicò la figura che si avvicinava.
– Perché lui non l'hai sbattuto fuori?
– Dormiva come un sasso sul pavimento, non c'era modo di
svegliarlo ed è troppo pesante per una donna nelle mie
condizioni – Emeraldas si accarezzò il ventre e
lanciò a suo marito uno sguardo torvo – Qualcosa in contrario?
– No – Tochiro mise le mani avanti, un sorriso
incerto sul viso percorso da rivoli di sudore freddo – No, no
no no... tutto a posto, amore mio, non t'arrabbiare!
– Bene – Emeraldas si scostò per lasciar
passare l'uomo, un tipo alto, scuro di capelli e con indosso una
spiegazzata divisa da Capitano dello Squadrone Indipendente.
– Harlock – l'uomo oltrepassò la soglia
e mosse un passo verso di lui, pallido come se vedesse un fantasma – Harlock, sei davvero tu?
Harlock lo squadrò dalla testa ai piedi. Aveva un che di
familiare...
– Ci conosciamo? – gli domandò mentre la
sua mente cercava d'associare un nome al suo volto.
– Ma sei scemo, Harlock? – Tochiro si
dimenò nella stretta d'acciaio di Emeraldas – Non
ti ricordi più di Warius Zero? È stato proprio
per festeggiare il nostro incontro dopo tutto questo tempo che ieri
sera abbiamo cominciato a bere...
– Già – Emeraldas li
guardò seccata – E quando vi hanno sbattuti fuori
dal bar della base, ubriachi persi e belli pesti dopo una rissa di
quelle che solo voi sapete scatenare, avete pensato bene di continuare
qui.
Fra le nebbie, cominciarono a emergere frammenti di ricordi: una
colossale sbornia a base di Barbour ghiacciato su Heavy Meldar, un
duello con le Gravity Sabre e le disperate battaglie che
avevano ingaggiato durante la guerra dell'anno prima, ognuno affidando
all'altro le proprie speranze per il futuro dell'umanità e
ciò che aveva di più caro sulla Terra.
Già, Zero, il Capitano della Karyu: come aveva fatto a
scordarselo?
– Scusa, vecchio mio – Harlock ridacchiò – Mi sa che
sono più sbronzo di quanto pensassi!
– Oh, lo è anche lui, te l'assicuro, Harlock
– con una mano Emeraldas diede una spinta a Zero e con
l'altra trascinò Tochiro verso l'uscio – A
proposito: vi sarei grata se smetteste di far ubriacare mio marito,
visto che non è più un ragazzino e che fra meno
d'un mese avrà anche un figlio a cui badare.
Harlock seguì lo sguardo accigliato di Emeraldas fino alla bottiglia
che stringeva ancora in mano e fissò Zero, che lo
ricambiò sconcertato.
– Eh? Emeraldas, ma guarda che...
– Ah, e detto per inciso: nemmeno voi due siete
più dei ragazzini, quindi vedete di darvi una regolata o
scordatevi d'entrare ancora qui dentro. Soprattutto tu, Harlock!
– Tochiro! Le hai fatto credere che sono io quello che...
Emeraldas premette un pulsante e la porta si chiuse su un Tochiro che
lo salutava con il suo tipico sorrisetto di scusa. Come sempre, ebbe
effetto.
Per qualche strana ragione, Harlock non riusciva mai ad avercela con quel
mascalzone per più d'un millesimo di secondo, e questo
nonostante tutti i guai in cui lo ficcava con cadenza
pressoché giornaliera.
E poi c'era da capirlo, in fondo: una moglie come Emeraldas, per di
più costretta all'astensione dall'alcool e preda
degli sbalzi ormonali e d'umore dovuti alla gravidanza da ormai otto mesi,
avrebbe terrorizzato chiunque.
S'abbottonò la giacca e sospirò.
– Se sposare una donna e farci un figlio comporta tutto
questo, devo proprio riconsiderare l'idea di metter su famiglia... e
soprattutto sperare per Tochiro che gli nasca un maschio!
Rise. Chissà perché, invece, era sicuro che i
suoi amici avrebbero avuto una bambina.
Addirittura, se chiudeva gli occhi, gli sembrava di vederla, di sentire
il suo peso fra le braccia e la sua vocetta incerta che balbettava per
la prima volta il suo nome...
E Tochiro che mi chiama
anche lui “Allock” per prendermi in giro...
Emeraldas che ride...
Barcollò, colto da un violento capogiro.
S'aggrappò al corrimano appena in tempo per non cadere
dalle scale.
– Harlock! – la voce di Zero risuonò con strani
echi nella sua testa – Harlock, stai bene?
Sono davvero sbronzo...
che l'effetto sia ritardato, stavolta?
– Sì – Harlock si raddrizzò, lo
stomaco sottosopra – Usciamo a prendere una boccata d'aria.
Forse gli avrebbe fatto bene, e magari anche Zero avrebbe perso
quell'aria sperduta così poco da lui. Continuava a guardarlo
come se davanti a lui ci fosse uno spettro orribile o uno strano alieno.
Cosa avrà
messo Tochiro in quell'infernale liquore? Di nuovo i funghi
allucinogeni?
No, questa volta non aveva caldo, non si vedeva dall'esterno e
soprattutto non si sentiva per niente tranquillo. E quelle immagini, la
figura e la voce di quella bambina immaginaria erano come i suoi sogni
di pirata: fin troppo
vivide...
C'era qualcosa di strano in tutta quella situazione, qualcosa che gli
sfuggiva.
Il mal di testa lo colpì come una mazzata alla base del
cranio, alle tempie e in mezzo alla fronte e lo costrinse ad afferrarsi
più forte al mancorrente.
Ricacciò a stento un conato, rivoli di sudore freddo
gli colarono sulla fronte.
Si concentrò solo sui suoi passi: destro, sinistro, un
altro, un altro ancora...
Uscì nel sole,
nelle tranquille stradine costellate di verde del complesso abitativo
della base e gli parve di sentirsi meglio.
– Questo posto – la voce di Zero – Questo posto è...
Harlock si voltò e represse a stento un gemito: il suo amico si guardava attorno con l'aria di chi non sapesse nemmeno su che
pianeta si trovasse. Magari era proprio così.
Oh, no... anche lui no...
– Siamo nel complesso abitativo della Base della Flotta
Unita, Zero – Harlock gli si avvicinò – Ci abiti anche tu,
giusto?
Zero si voltò di scatto e lo afferrò per le
spalle.
Sotto la stoffa sottile dei guanti, le sue mani erano gelide. Aveva gli
occhi sbarrati.
– Questo posto non è più
così da quattordici anni, Harlock! Alla fine della guerra
del sessantotto-sessantanove è stato distrutto dalle bombe!
– Quattordici anni? – Harlock si liberò
dalla sua stretta; per qualche ragione, quel contatto lo metteva a
disagio – Ma che dici, Zero? Siamo nel settanta, la guerra
è finita solo un anno fa e l'abbiamo vinta, anche grazie a
te! Guardati attorno: vedi forse meccanoidi?
Non ce n'erano, ovviamente: dall'anno prima, i corpi meccanici erano
stati aboliti in tutti i territori della Federazione. Zero,
però, non sembrava né convinto né
più calmo.
– Non è andata così! Abbiamo perso
quella guerra, Harlock! Abbiamo perso e più di
metà della popolazione mondiale...
La voce gli mancò e Harlock temette che fosse lì
lì per venir meno, ma poi parve riprendersi.
– Cerca di ricordare – Zero lo afferrò
di nuovo per le spalle e gli diede una scrollata – Questo
posto era un cumulo di macerie dopo il bombardamento del sessantanove!
Non c'erano cibo, né acqua potabile o medicinali... il
Governatorato razionava tutto, confiscava le armi... e i pochi che
cercavano d'opporsi venivano subito messi a tacere dalla loro stessa
gente impaurita, delusa e senza speranza! Tu ti sei ribellato a tutto
questo e hai continuato la tua battaglia nello spazio, mentre io sono
rimasto...
Era più grave di quanto Harlock pensasse: un'allucinazione persino
peggiore dei suoi strani sogni a base di pirati, navi infestate da
spiriti e donne bellissime che bruciavano come carta.
Uh... donne...
vegetali... Belladonna?
No. Zero non era rosso in viso, non aveva le pupille dilatate e non
sbavava... o almeno, non ancora. Era un tipo coriaceo e Harlock era
certo che sarebbe sopravvissuto ai postumi della sbornia... o dell'avvelenamento...
nondimeno, quello strano delirio e la sua aria stranita lo
preoccupavano.
– Senti, t'accompagno a casa, va bene? Dov'è?
– Non ho più una casa qui da un sacco di anni,
ormai – Zero lo scrollò di nuovo – Lo so
che potrà sembrarti pazzesco, Harlock: questo posto e le
persone che ci vivono sembrano così reali... ma è
tutto un frutto della tua mente! Stai sognando da quasi quattro anni
chiuso in una capsula, sotto il controllo d'un programma chiamato
Oneiros...
– Zero, calmati e fa' un bel respiro profondo. Datti un pizzicotto,
prova a saltare, leggi quel cartello laggiù, guarda
l'orologio... è tutto reale! Siamo a Megalopolis,
è il ventun marzo duemilanovecentosettanta e non
c'è stato nessun cataclisma. Siamo andati vicini
alla distruzione un anno fa, è vero, ma abbiamo imparato
dai nostri errori e adesso viviamo in pace. Quella roba che abbiamo bevuto
ieri notte deve aver amplificato le tue paure, ma credimi...
– No, tu
credimi – adesso, la voce di Zero era più calma
– Questo non è il mondo reale. È un
sogno iperrealistico creato per tenerti prigioniero mentre gente senza
scrupoli utilizza una tua copia sotto controllo mentale per screditare
il tuo nome e far del male alle persone che ami!
Harlock inarcò un sopracciglio.
– E perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del
genere?
– Per vendetta – Zero abbassò il capo e
la voce – Purtroppo hai parecchi nemici. Gente potente e
senza scrupoli, disposta a tutto.
Harlock scosse il capo, preoccupato.
Suonava sempre più assurdo.
Era
assurdo.
In fondo, lui era soltanto il Capitano d'una nave da guerra fra le
tante e quella... quella era roba da fantascienza, un vaneggiamento da
paranoico.
– Stai delirando, amico mio.
Lo afferrò per il gomito ma lo lasciò subito
andare, di nuovo turbato da quella strana sensazione.
Da come lo guardò, Harlock fu certo che la cosa non fosse sfuggita a Zero.
– Dimmi dove abiti, avanti.
Forse, se lo avesse riportato a casa, un po' di tranquillità
e la presenza rassicurante di oggetti familiari lo avrebbero aiutato a
riprendersi... o almeno lo sperava.
Zero alzò gli occhi al cielo limpido, lo sguardo
malinconico.
– Vivo nel mare delle stelle, ormai, proprio come te. Quando ci separammo, quattordici anni fa, ci
promettemmo di incontrarci di nuovo e chiudere il nostro conto in
sospeso, un giorno, ma ho fatto di tutto per evitarlo... almeno
finché ci sono state una taglia e una condanna alla pena
capitale sulla tua testa. Anche se eravamo amici, io rimanevo pur
sempre un ufficiale e tu un pirata, e il mio dovere...
– Cosa? – Harlock sgranò gli occhi
– Un pirata? Io?
Si rivide come nei suoi sogni, riflesso sul vetro del ponte di comando
della sua nave: un uomo sui trent'anni avvolto in un lungo e lacero
mantello nero, una benda dello stesso colore sull'occhio destro,
pistola e Gravity Sabre al fianco e le mani ben salde sul timone.
No,
è assurdo!
Zero annuì, serio.
– Quando lasciasti la Terra, nel settanta, fosti accusato di
sovversione e tradimento – si sistemò il colletto – L'accusa d'essere un pirata te la mossero quando cominciasti a
depredare le navi cargo del Governatorato, ma eri già
considerato tale: quando decidesti che quella della Federazione non era
più la tua bandiera, innalzasti un Jolly Roger sul pennone
della tua nave... Una volta mi dicesti che per te era un simbolo di
libertà, del fatto che saresti sempre vissuto senza catene e
che avresti scelto da te le tue battaglie.
Harlock si sentì mancare il fiato, l'angoscia che gli chiudeva la bocca dello stomaco.
Ripensò ai suoi sogni, alla bandiera che faceva issare sul
pennone a ogni combattimento.
Un Jolly Roger.
E lo vide, come in un flash: un ragazzo d'appena quattordici anni,
disperato e rabbioso sotto quella stessa bandiera.
– Giura sulla
bandiera della libertà di combattere e morire per
lei.
– Lo
giuro!
– Bene!
Combatti per ciò in cui credi e non per obbligo, combatti
per ciò che senti dentro al cuore!
Il suo mancò un battito. Il mal di testa tornò a fargli pulsare le tempie ed
ebbe un altro capogiro, ancora più violento.
Il mondo sbiadì in una miriade di piccole lucine, turbinò intorno a lui come se
fosse finito in un vortice e le sue gambe cedettero.
S'appoggiò a un muretto, si sedette e si massaggiò le tempie.
Sono davvero ubriaco. Zero starà anche
delirando, ma io ho addirittura le allucinazioni.
Perché erano
allucinazioni, non c'erano dubbi in proposito.
Sì, c'era stato un periodo in cui aveva pensato sul serio d'andarsene, gettare alle ortiche la sua carriera d'ufficiale e
cercare un posto in cui vivere tranquillo il resto dei suoi giorni,
lontano da un mondo dove, più che vivere, ci si limitava
ormai a esistere in una fiera, rozza indifferenza verso gli altri e il pianeta.
Ma Maya,Tochiro ed Emeraldas non avrebbero mai abbandonato la Terra sotto la minaccia meccanoide e così, alla fine, era rimasto.
Era stato un bene; per una volta, la razza umana aveva saputo stupirlo
in positivo e lui aveva capito che c'era ancora speranza, che ci
sarebbe stata finché qualcuno avesse continuato a vivere, a
sognare e a lottare per un futuro migliore, che non c'era bisogno di
trasformarsi in un eroe ribelle senza patria e legami come quello
dei suoi sogni...
Di cui, forse, ho
parlato sotto gli effetti dell'alcool e di chissà che altro,
influenzando il povero Zero...
Si diede una manata in fronte.
Ma certo. Il rasoio di Occam: spesso, la soluzione più
semplice era anche quella giusta.
– Hai ricordato qualcosa, Harlock? – Zero gli si
avvicinò.
– Solo che ieri devo aver parlato troppo oltre ad
aver bevuto troppo, vecchio mio – Harlock si rimise in piedi
– Mi spiace. Non era certo questo che volevo... c'incontriamo dopo tanto tempo e finiamo per ubriacarci a tal punto che
io non ricordo nemmeno di averti incontrato e tu non sai più
distinguere tra sogno e realtà.
– Io so benissimo qual è la realtà
– il pugno di Zero si serrò e fremette lungo il
suo fianco – E da qualche parte dentro di te lo sai anche
tu... solo che non vuoi ammetterlo!
Sollevò la mano ma, invece di tentare di colpirlo come Harlock s'aspettava, si limitò ad aprirla, ruotare il polso e
osservarlo attraverso gli spazi fra un dito e
l'altro.
Harlock lo guardò sospettoso.
– Cosa vuoi fare?
Senza dire una parola, Zero si sfilò il guanto e se lo mise
in tasca, poi gli porse la mano.
– Stringila – Zero fece un passo verso di lui
– Non so come, ma secondo l'inventore di quell'infernale
aggeggio che ti controlla, attraverso un contatto fisico possiamo unire
anche le nostre menti e, anche se con qualche rischio, sarei in
grado di farti recuperare i ricordi che tu stesso e Oneiros avete
sigillato da qualche parte nel tuo inconscio.
Harlock allontanò il suo braccio.
– Avanti, Zero! Non ti rendi conto che
stai dicendo cose sempre più assurde?
Lui lasciò cadere la mano.
– Come posso convincerti?
– Andiamo a casa tua, piuttosto – Harlock
incrociò le braccia – Hai bisogno di cure e
riposo... e poi, se davvero è come dici tu, quel posto non
dovrebbe esistere, giusto?
Zero abbassò il capo e sistemò gli ampi risvolti
delle sue maniche, dubbioso.
– Potrebbe non essere così –
mormorò – Ma va bene... se mi prometti di
stringere la mia mano, dopo.
Harlock s'accigliò. Aveva dimenticato quanto potesse essere
cocciuto e irritante quell'uomo, anche da ubriaco.
– E va bene – sbuffò –
Purché ci leviamo dalla strada. La gente comincia a
guardarci in modo strano. Zero gli sorrise e imboccò uno stretto viale
alberato.
– Da quando ti preoccupi di cosa pensa la gente?
– In effetti, non me ne importa poi molto – Harlock
alzò le spalle, felice d'aver finalmente smosso quel
testone – Ma a quanto pare, grazie agli intrugli di Tochiro
m'hanno già sospeso: farmi beccare a dar spettacolo con un
eroe di guerra fuori come un vaso di gerani che blatera di
realtà alternative generate da computers, cloni sotto controllo mentale e catastrofi postbelliche
non sarebbe proprio il massimo. Inoltre, se Maya venisse a sapere che bevo
ancora fino a ridurmi in questo stato, diventerebbe una belva proprio
come Emeraldas. Vorrei evitare...
– Hai avuto una giovinezza davvero felice con loro al tuo
fianco, vero? – Zero si calcò sulla testa il
cappello e guardò il cielo con espressione triste
– Capisco il tuo rimpianto, amico mio. Forse al tuo posto
nemmeno io vorrei tornare indietro.
Di nuovo quell'orribile sensazione. Freddo... e un peso nel petto.
– Che vuoi dire?
Zero si fermò all'angolo di una via e lo fissò dritto negli occhi, un profondo dolore nello sguardo.
– Che i tuoi amici e la tua donna sono...
– Zero!
Da qualche parte nel viale dietro di lui, una voce
femminile lo chiamò e dal suo volto, di nuovo,
sparì ogni traccia di colore. I suoi occhi si spalancarono e un tremito scosse il suo corpo mentre si voltava verso la fonte di quel suono.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 36 *** La mia stella per sempre ***
cap 8
Zero si voltò e l'emozione gli chiuse la gola.
Davanti a lui, il palazzo in cui aveva abitato prima della guerra si
stagliava intatto, uguale al giorno in cui aveva chiuso per l'ultima
volta il cancello con la chiave che ancora conservava
nel cassetto del comò. C'erano ancora quelle orribili
imposte
turchine che s'era sempre ripromesso di ridipingere sin dal giorno
del matrimonio, c'erano ancora i fiori d'alisso e le
margherite sul balcone
della loro camera da letto... e c'era lei che gli veniva
incontro, un
fagotto fra le braccia e un sorriso gentile sul
volto incorniciato dai lunghi capelli.
– Sayuri*...
La voce gli uscì in un sospiro arrochito: era
così tanto che non pronunciava quel nome...
un'eternità.
Lei gli si avvicinò, bella come l'ultima volta che l'aveva
vista
dallo spazio, adagiata in un letto d'ospedale con il loro
bambino appena nato fra le braccia, bella come nella foto all'interno
del suo medaglione. Lo strinse forte fra le dita.
Già... Questo è un
sogno. Lei non c'è più, e nemmeno
nostro figlio.
Lo aprì senza staccarle gli occhi di dosso e il suo dito indugiò sul tasto del rilevatore gps.
Lo aveva premuto l'ultima volta davanti a
quell'orribile cratere, con il fumo acre nelle narici, il fango viscido che gli incollava gli scarponi al suolo e i ricordi bruciati della loro
vita insieme appena riconoscibili fra i ciottoli anneriti. La scritta “lost” e quella voce metallica che lo ripeteva gli avevano scavato
una
voragine ancor più profonda nel petto.
Premette il tasto e
abbassò lo sguardo sul piccolo schermo a cristalli liquidi: un cuore giallo pulsava regolare sullo sfondo verde e una
freccia puntava verso di lei... verso
casa.
Il groppo in gola aumentò, la voglia di prenderla per mano ed entrare, il desiderio di ritrovre tutto ciò che aveva conosciuto e perso, di tornare a essere l'uomo d'un tempo lo assalirono con ferocia.
No.
Scosse la testa. Doveva ancorarsi alla realtà
con
tutte le sue forze.
Tornò con la
mente
al giorno di pioggia e disperazione in cui aveva seppellito la sua
famiglia e una parte di se stesso in quella bara
vuota, con gli occhi che bruciavano e la testa che gli doleva per le
troppe lacrime e il troppo Barbour versati durante la notte.
Risentì la forza e il calore della mano di Kaibara che gli
stringeva la spalla
fradicia mentre il prete continuava a blaterare di cose in cui non
aveva mai creduto e che non riuscivano a consolarlo nemmeno un po'. Un
paradiso in cui un giorno si sarebbero ritrovati e dove avrebbero
vissuto per sempre uniti nella gioia... quanto aveva desiderato poterci
credere!
Forse lo desiderava ancora, e Oneiros lo aveva rilevato.
Il dio dei sogni sta
plasmando un mondo perfetto anche per me. Devo stare attento o
rischierò di perdermi anch'io.
La mano di Sayuri si posò sulla sua guancia, morbida, calda,
così reale.
Lo obbligò con dolcezza ad abbassare la testa e a guardarla
negli occhi, così
vivi, così blu...
– Zero – la sua voce era la
stessa che ricordava, il suono più dolce che esistesse al
mondo
– Sei pallido, amore. Stai bene?
Una folata di vento improvviso gli soffiò nelle narici il
suo
profumo, i suoi capelli soffici gli solleticarono il viso e lui
desiderò con tutto se stesso sentirli ancora una volta fra
le
dita, affondare il naso nell'incavo di quel collo flessuoso,
riempirsi i polmoni di quella dolce fragranza e baciare quella bocca
delicata e rosea.
Ancora una volta, una
volta sola.
Richiuse il medaglione e si voltò a guardare Harlock.
Ma se lo facessi,
cederei. E allora che ne sarebbe di noi? E di Mayu, di Marina e tutti
gli altri... no, non posso.
– Zero!
– Cosa...?
– Insomma – Sayuri s'accigliò, le sue
labbra
s'incurvarono in quel broncio da ragazzina che Zero aveva adorato
così
tanto – Non ti sarai di nuovo ubriacato da qualche parte
insieme
a quei buoni a nulla dei tuoi amici, vero? Non sei più un
ragazzino, quante volte te lo devo ripetere? Hai un figlio a cui
pensare: che razza d'esempio vuoi diventare, per lui?
Harlock gli si affiancò e gli lanciò uno sguardo
malizioso.
– Ora capisco perché non volevi tornare a casa,
vecchio
mio – ridacchiò – E così,
ecco un altro neo
papà nei guai. Non me l'avevi detto. E hai fatto bene: la
sbronza sarebbe stata ancor più colossale, altrimenti!
Gli strizzò l'occhio e si fermò davanti a Sayuri,
che lo squadrò dalla testa ai piedi.
– Mi spiace, temo che sia stata colpa mia. Era dalla
battaglia
nell'orbita lunare che io e suo marito non ci rivedevamo e forse
abbiamo ecceduto un po' coi ricordi e i festeggiamenti –
le tese la mano – Phantom F. Harlock, Capitano della Death
Shadow,
Flotta Unita.
Sayuri bilanciò il suo fagotto sul braccio sinistro e gliela
afferrò con un sorriso.
– Io sono Sayuri, Capitano Harlock. Lieta di fare la sua...
– No – Zero si mise fra loro – Tutto questo
non è
reale! Harlock, te l'ho già detto: ti trovi in un mondo
simile
al sogno, una realtà alternativa creata da un computer sulla
base dei tuoi più intensi desideri... e ora anche dei miei, a
quanto
pare. Sayuri lo guardò
preoccupata.
– Zero, ma che dici?
– Temo che sia ancora un po' fuori fase – Harlock
gli afferrò il braccio ma lui si liberò con uno strattone.
– È così, ti dico! Non ti ho mai
parlato di mia
moglie e mio figlio perché erano già morti
quando ci
siamo conosciuti – la sua voce s'arrochì; ogni
parola,
ogni ricordo era una pugnalata dolorosa al petto – Nel
sessantanove noi umani perdemmo la guerra, Harlock: la mia
famiglia morì nel bombardamento che seguì la
battaglia
nell'orbita lunare...
– Zero, non...
– Noi non ci conoscemmo allora – lo
ignorò
– Ma nel settanta, quando già ti eri ribellato al
Governo
Collaborazionsta ed eri diventato un pirata che attaccava le
navi di Vorder. Per tutelare la tregua ed evitare rappresaglie da parte
dei meccanoidi, avevo accettato la missione di catturarti, ma poi...
– Piantala, Zero – Harlock lo guardò
inquieto – Stai spaventando tua moglie.
– Non è mia moglie! – Zero serrò i pugni e le palpebre per non vedere la ferita in quegli splendidi occhi
azzurri – È una proiezione che Oneiros ha creato
sulla base
dei miei ricordi, del mio amore per lei, del mio desiderio di riaverla
accanto e dei miei sensi di colpa, proprio come ha fatto con Maya,
Tochiro ed Emeraldas!
– Piantala di dire sciocchezze – Harlock lo
afferrò
di nuovo, stavolta più forte – Calmati e cerca di
ricordare...
– No, tu
cerca di ricordare – Zero si liberò con un altro brusco strattone e indietreggiò di qualche passo – Non siamo
più nel
settanta, Harlock: sono passati quattordici anni, ormai! Non siamo
più i giovanotti di un tempo, tu non sei più un
militare e la tua nave ora è l'Arcadia! Quanto a Maya, Tochiro
ed Emeraldas, sono morti anche loro. Fattene una ragione!
– Ti avverto, Zero – la voce di Harlock era bassa e
minacciosa – Sto cominciando a perdere la pazienza.
Calmati e ragiona, o sarò costretto a obbligarti con la
forza.
– Dammi la mano, piuttosto – Zero gliela tese, di
nuovo
– Se sei davvero convinto che questo sia il mondo reale, non
dovresti aver nulla da temere da un gesto così semplice. Se
non
dovesse accadere nulla io mi convincerò e, credimi,
sarò
ben lieto di tornare a casa con la mia famiglia e lasciarti a vivere i
tuoi spensierati vent'anni!
Ma non
accadrà. Non può accadere.
Guardò ancora una volta Sayuri, pallida, fragile e
più bella che mai, il suo fagotto stretto al petto.
Una parte di lui sperava di sbagliare, d'essere davvero preda dei
postumi d'una colossale ubriacatura; l'altra sapeva che quelle
speranze erano assurde, destinate a infrangersi... e che era
così che doveva andare.
– Ancora con questa storia? – Harlock gli
schiaffeggiò via la mano, un'espressione tempestosa sul
volto
attraversato da quella vecchia cicatrice che lo rendeva ancor
più minaccioso.
Zero sostenne il suo sguardo.
– Lo vedi? A
questo punto, in
condizioni normali, avresti accettato la sfida, se non altro per
spirito di contraddizione. Se non lo fai è perché
Oneiros
te lo impedisce... e perché da qualche parte dentro di te
sai
che ho ragione. Sai che, se lo facessi, questo bel sogno si
dissolverebbe e hai paura, paura di tornare a quella realtà
così fredda che ti sei costruito attorno per fuggire dal
dolore,
a quella solitudine in cui il tempo non passa mai e l'unica speranza
è la fine di tutto...
Harlock indietreggiò di un passo. Il suo braccio si
sollevò di qualche centimetro, la sua mano destra si stese,
tremò e si contrasse in un pugno che gli scese lungo il
fianco.
Guardò Zero confuso, come se non riuscisse a controllare il
proprio corpo e non sapesse spiegarsi il perché. Lui gli rivolse un mesto sorriso.
– Ti capisco, sai? Sopravvivere a chi si ama è un
inferno,
ma guardare solo al passato e vivere nel rimpianto è
peggio... e
non risolve nulla, credimi. Se non hai la forza di stringere la
mia mano, non
importa. Posso dimostrarti lo stesso che questa non è la
realtà.
Si voltò verso Sayuri e scostò i lembi delle
coperte che formavano l'involto fra le sue mani.
I belissimi, luminosi occhi castani di suo figlio s'aprirono e si
fissarono nei suoi, il suo sorriso radioso gli fece venire voglia di
piangere.
– Come lo abbiamo chiamato? – domandò
a
Sayuri, il cuore trafitto da una lama incandescente mentre quelle mani
minuscole si chiudevano attorno al suo indice.
Una parte di lui pregò tutti gli
dei
di tutte le religioni in cui non aveva mai creduto perché
lei gli rispondesse, ma Sayuri lo guardò smarrita; le sue labbra tremanti s'aprirono e si chiusero a vuoto e i suoi occhi
blu, quegli splendidi occhi blu in cui un tempo aveva tanto amato
perdersi, si riempirono di lacrime. Zero le appoggiò le mani
sulle spalle, vicino al pianto anche lui.
– Sai perché non lo sa, Harlock? – gli
domandò senza nemmeno voltarsi – Nostro figlio
è
nato a Megalopolis nell'aprile del sessantanove, una settimana prima
della battaglia presso l'orbita lunare.
Il silenzio che cadde fra loro era pesante, angoscioso.
Zero chiuse gli occhi, sollevò la testa e cercò di non versare le lacrime
che gli facevano bruciare gli occhi.
– Sayuri e io c'eravamo promessi di dargli un nome quando
finalmente fossi tornato, insieme alla pace – la sua voce
tremò – Ma non riuscimmo a mantenere la promessa:
io non riuscii a portare la pace... e quando tornai non avevo
più un figlio a cui dare un nome.
Sentì Harlock trattenere il respiro e si chiese se qualcosa
si fosse mosso nei suoi ricordi.
Sayuri gli puntellò il bambino contro il petto e tese la
mano verso il ciondolo che gli pendeva dal collo.
Lo aprì e mentre le note di una ninna nanna volteggiavano
nel silenzio premette il tasto di ricerca.
Sullo schermo, come in quel giorno lontano, tornò a
lampeggiare la scritta “lost”.
Il piccolo rise, le manine ancora strette attorno all'indice di Zero.
Una lacrima scese sulla guancia di Sayuri.
– E così siamo solo un ricordo, un desiderio,
ormai...
Zero annuì, incapace di parlare.
– Ma un desiderio non abbastanza intenso da farti decidere di
rimanere.
Le fece un cenno di diniego con la testa e le asciugò le lacrime con un dito.
C'era sempre quella parte di lui che soffriva e gridava e voleva
restare, arrendersi, sprofondare felice in quel sogno meraviglioso e
non svegliarsi mai più... e al diavolo l'Esercito, il suo
dovere,
il Progetto Herakles e quei furfanti che giocavano con le vite e i
sentimenti delle persone, al diavolo la realtà.
Ma quella non era la sua vita e non poteva diventarlo... non con la
consapevolezza d'aver abbandonato Harlock, i suoi compagni e
soprattutto lei,
che era diventata la sua speranza, il suo
presente e il suo domani.
– C'è un'altra donna, vero?
L'immagine di Marina turbinò vivida nella mente di Zero.
Un altro cenno d'assenso.
Altre lacrime sulle guance di Sayuri.
– Ci hai dimenticati?
– Come potrei? – Zero asciugò anche quelle, un'altra carezza colma di nostalgia, amore e rimpianto –
Siete nei miei
pensieri in ogni momento, amore mio. Lo sarete finché
avrò vita.
Era vero. Con lei aveva condiviso qualcosa di unico e
irripetibile: anche dopo tanti anni, l'amore che provava per quella donna aveva tutta la forza e la purezza di quando era sbocciato.
E quel bambino era parte di lui, un miracolo stupendo che sapeva non si
sarebbe mai più ripetuto, e per questo ancor più
prezioso.
Sayuri gli sorrise.
– Ma non puoi vivere per sempre solo, nel passato e nel
rimpianto
– appoggiò la guancia umida contro la sua mano
–
Sei andato avanti con la tua vita... Sì, lo capisco.
Il bambino strattonò il suo dito con un'energia sorprendente
per
un essere tanto piccolo e Zero provò uno shock quando
sentì le sue gengive serrarsi attorno alla falange
e lui
cominciò a succhiare.
– Sei felice?
Lui pensò a Marina, al suo equipaggio... ai suoi amici che ormai
erano anche la sua famiglia.
– Sì – la sua voce era ancora roca e
usciva a fatica, ma era la verità.
– Allora – lei avvicinò il viso al suo
– Lo sono anch'io.
– Sayuri...
– No – la sua mano lasciò il ciondolo e
si
posò sulla sua guancia – Non dire niente. So che,
se fossi
al mio posto, nemmeno tu vorresti che invecchiassi sola e senza amore.
Posso lasciarti andare se è per la tua
felicità... Fallo
anche tu.
Adesso, Zero era davvero a un passo dallo scoppiare in lacrime come un
bambino.
Il suo lato razionale sapeva che era stupido: quella non era la sua
Sayuri ma soltanto una proiezione della sua mente, un sogno lucido che forse il suo stesso subconscio stava controllando per convincere
Harlock e mettere a tacere i suoi sensi di colpa... ma non gli
importava.
Non avrò mai
più un'altra occasione.
Prese in braccio suo figlio per quella che sapeva sarebbe stata la
prima e ultima volta in tutta la sua vita.
Il cuore gli balzò nel petto quando sentì
il peso e il tepore di quel corpicino fra le braccia, la morbidezza di
quei capelli castani già folti e ribelli come i suoi contro
la
mano. Il bambino tese le braccia verso di lui, scalciò e
rise,
proprio come se capisse d'avere di fronte il suo papà.
– Seiryū – mormorò, felice e disperato
al tempo stesso – Il suo nome è Seiryū **...
– La tua stella – Sayuri lo guardò
commossa, forse
persa nel suo stesso ricordo, quello di quando, da ragazzi, avevano
scelto le loro costellazioni guida sotto il cielo stellato e limpido d'una vallata che ormai non esisteva più, distrutta dalle
bombe
come la loro storia d'amore.
– Per sempre.
Si chinò a baciare
le sue labbra socchiuse e una lacrima gli scese lungo la guancia.
– Fallo adesso – la voce di Sayuri era un sussurro
contro la sua bocca.
Zero allentò la presa e lasciò che lei
riprendesse il bambino.
Un'altra lacrima ribelle sfuggì alle sue palpebre chiuse.
Li strnse a sé un'ultima volta, desiderando che svanissero e
tornassero a vivere solo nel suo cuore, desiderando che rimanessero con
lui per sempre e non lo lasciassero mai più.
– Addio, amore mio.
Sotto le sue mani, le spalle di Sayuri persero il loro calore e la loro
sostanza.
Zero aprì gli occhi e la osservò mentre la sua pelle
chiara, i
suoi capelli morbidi e i suoi splendidi occhi azzurri perdevano pian
piano i loro
colori.
Seiryū tese di nuovo le mani verso di lui, poi
entrambi svanirono in un tremolio che gli ricordò le
increspature dell'acqua calma di un lago quando qualcuno ci butta
dentro un sasso.
Dietro di loro, anche la casa si dissolse.
Al posto della
palazzina in cui aveva passato così pochi anni e
così
tanti momenti felici, apparve quella voragine.
Zero non sapeva cos'avessero costruito in quel luogo dopo la guerra;
non era più tornato laggiù dal giorno del suo
rientro
dopo quella terribile battaglia.
S'asciugò gli occhi e si voltò.
Harlock gli si era avvicinato in silenzio; gli
posò una mano sulla spalla e la strinse, l'espressione indecifrabile.
– Un giorno li ritroverai – lo lasciò andare
– Nel
punto in cui gli Anelli del Tempo si ricongiungono, oltre tutti gli
universi, alla fine del tuo lungo viaggio...
– Sì – Zero ripensò a Tochiro
e sospirò – Forse posso cominciare a crederci.
Harlock si chinò, raccolse un po' di cenere e la osservò disperdersi nell'aria mentre una leggera brezza la soffiava via dalla sua mano. Zero rimase in piedi in silenzio dietro di lui, le braccia incrociate sul petto.
– Mi credi, ora?
– Cose del genere non possono accadere nella
realtà
– Harlock si rialzò e serrò il pugno
ormai vuoto –
Quindi, per quanto tutto questo mi sembri assurdo, dev'essere come dici
tu.
Rilasciò le dita e sfilò il guanto che
gli ricopriva la mano destra, si voltò verso Zero e lo guardò dritto negli
occhi.
– Dimmi solo una cosa – il suo sguardo si
rabbuiò
– Come ho fatto a caderci? Perché sono qui, privo
dei miei ricordi, a vivere una
vita che non è la mia e non potrebbe mai esserlo?
Zero lo fissò. Quello che aveva davanti era il giovane Harlock che
aveva
conosciuto un tempo: un guerriero dello spazio fiero e valoroso, deluso
dai suoi simili ma ancora colmo di fiducia in se stesso, nei suoi amici
e nel domani. Dubitava che avrebbe capito e soprattutto perdonato il se
stesso più maturo e sfiduciato che era caduto nella rete di
Kurai e dei suoi compagni.
Forse, si sarebbe addirittura rifiutato
di tornare indietro.
Ma è giusto
che sappia la verità.
– Avevi perso la speranza e la voglia di vivere, Harlock. I tuoi nemici ne hanno approfittato.
– Vuoi dire che ho scordato proprio quella promessa?
Quella di vivere a qualunque costo e non far spegnere mai la fiamma
della speranza che arde nel mio cuore?
Zero chiuse gli occhi e ripensò al periodo che era seguito
alla perdita della sua famiglia.
Si era sentito inutile, vuoto, come un morto.
Per Harlock, perdere uno dopo l'altro Maya, Tochiro ed Emeraldas doveva
esser stato altrettanto duro e l'idea di veder morire di nuovo il suo
amico, anzi, di dover essere lui
a liberarlo... poteva solo immaginare il dolore che doveva
avergli procurato.
– Certe esperienze possono spegnere
anche il
più luminoso e ardente dei fuochi, Harlock. Sei un essere
umano, in fondo.
Un ghigno truce si disegnò sul volto sfregiato di Harlock.
– Sono un essere umano stupido,
se davvero mi sono lasciato andare
così, qualunque ragione potessi avere – lanciò lontano il guanto e gli tese la mano – Fammi un favore,
Zero: quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi
ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
Zero ricambiò il sogghigno e sollevò a sua volta
il braccio.
– Con vero piacere, amico mio.
Le dita di Harlock si strinsero attorno al suo palmo e, come gli aveva detto Kurai, le loro menti entrarono in
contatto.
*
Sayuri
vuol
dire “piccolo giglio”, ma anche
“purezza”. Non mi risulta che
la moglie di Zero abbia un nome (almeno nella serie in italiano, la
sola che ho visto), così me lo sono inventato... ma accetto
correzioni nel caso sbagliassi! ^_^
**
Seiryū
vuol dire “Drago celeste” (sì, il buon
Zero è
fissato coi Draghi! XD).
Nella
mitologia orientale, è il Guardiano dell'Est
associato alla primavera,
ai colori blu e verde e all'elemento dell'acqua;
controlla la pioggia, sostiene e difende il Paese. È anche
il
simbolo dell'Imperatore e, in coppia con Suzaku, la Fenice Rossa
(emblema dell'Imperatrice), rappresenta sia il conflitto che la gioia
del matrimonio.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 37 *** La rosa di carta fra le stelle - parte I ***
cap 8
– Ho delle buone ragioni per fare tutto questo,
Shizuo. Fidati di me, ti prego.
Ishikura distolse lo sguardo dagli occhi di suo fratello.
– Mi sono fidato di te per tutta la vita, Minoru –
sibilò – E guarda che bel risultato!
I suoi pugni si serrarono, ma rimasero immobili lungo i fianchi.
Se fosse stato solo per lui, lo avrebbe preso a cazzotti un'altra
volta, e al diavolo le conseguenze: meglio morto che alla
mercé di quei pazzi del Progetto Herakles... ma c'erano dei
civili di mezzo e lui era un ufficiale dell'Esercito; non
poteva coinvolgerli, anche se non era per nulla convinto che
Thorn li avrebbe davvero lasciati andare senza conseguenze dopo aver
tolto di mezzo lui, Sylviana e Tetsuro.
Un mercenario gli s'avvicinò con un paio di manette in mano.
Ishikura diede un'ultima occhiata alla sua pistola, che giaceva a terra poco
distante, a Thorn, a Tetsuro e a Sylviana, al gruppo di civili radunati
sui binari e infine ai mercenari che li circondavano da ogni parte ad
armi spianate.
No... siamo tutti sotto
tiro. È finita.
Tirò un lungo sospiro e porse i polsi.
Chiuse gli occhi e rabbrividì al tocco gelido del metallo
sulla pelle.
Lo scatto della serratura, nel silenzio assoluto, suonò come
una sentenza di morte.
– Senti, Shizuo...
– Lasciami in pace!
– Quanto la fai lunga, Minoru – la voce calma di
Thorn – Se vuoi che il tuo caro fratellino stia dalla nostra
parte, sai benissimo cosa fare.
Ishikura lo fulminò con lo sguardo.
– Se pensate che vi permetterò di trasformarmi in
uno dei vostri burattini, vi sbagliate di grosso. Sarete costretti ad
ammazzarmi, prima! E se non lo farete voi, lo farò io.
La risata di Thorn riecheggiò fra le alte volte della
stazione in rovina.
– Avanti, non sia così melodrammatico,
Vice-Comandante Ishikura – rigirò fra le mani la
Cosmo Dragoon di Tetsuro con ostentata lentezza – Non
intendevo affatto questo. Giù al laboratorio volevo solo
spaventarla un po' per indurla a parlare...
– Lo racconti a qualcun altro – Tetsuro lo
guardò come se fosse un insetto velenoso mentre il
mercenario di prima lo ammanettava, lo perquisiva e gli prendeva di
mano l'hard-disk – So che l'ha già fatto. Doskoi.
Taro. Kiddodo. Le dicono nulla questi nomi?
Thorn non si scompose.
Fece roteare la pistola con la disinvoltura tipica d'un uomo abituato
a maneggiare le armi e la puntò dritto davanti a
sé, al volto di Tetsuro.
– Certo. Avevo inviato tre miei agenti a stanare un gruppo di
pirati nascosti su Heavy Meldar con quei nomi di copertura, in risposta
ai disperati appelli del povero Sceriffo Lund di Gun Frontier.
Purtroppo sono stati uccisi senza pietà da Harlock e da quei
criminali senza scrupoli dei suoi uomini... oh, ma non mi dica che
è coinvolto anche lei in quegli orrendi delitti,
perché potrei ucciderla in preda alla rabbia e decidere di
lasciare il suo corpo ai ratti...
Armò il cane e Ishikura trattenne il fiato.
Tetsuro non fece una piega. Continuò a guardarlo negli
occhi, impassibile.
– È la storia che racconterà ai media?
– Sempre ammesso che un giorno debba giustificarmi per la sua
morte, Hoshino – Thorn abbassò l'arma e fece un
cenno a circoscrivere tutto ciò che li circondava
– Potrebbero passare secoli prima che qualcuno trovi i suoi
resti quaggiù. Finché non accadrà,
sarà solo l'ennesimo amico di quel pirata scomparso in modo
misterioso.
Tetsuro sorrise, glaciale.
– Non se la caverà così a buon mercato.
Una copia di tutto ciò che abbiamo scoperto sul Progetto
Herakles, a partire dalle autopsie dei nostri poveri amici e dei loro
cloni, è già in mani sicure e affidabili. Se
dovesse capitare qualcosa a me o al Dottor Ban, chi di dovere sa
già cosa fare.
Thorn saggiò il bilanciamento dell'arma con fare noncurante.
– Capisco. Lo stesso scherzetto di dieci anni fa. Dubito che
le riuscirà, Hoshino, ma anche se fosse, potrò
affermare senza paura di smentite di non aver avuto niente a che fare
con la loro triste fine.
– Tradotto per voi Boy Scout: li ha fatti ammazzare da
qualcun altro senza dare indicazioni sul come, dove e quando e ha
proibito di parlarne davanti a lui – Sylviana sorrise a sua
volta, sprezzante – Anzi, è probabile che abbia
seccato lui stesso i killer a cose fatte. Un vecchio trucco per poter
fare il santarellino nel caso qualcuno lo interrogasse con un
poligrafo*.
Thorn la squadrò dalla testa ai piedi mentre le manette si
chiudevano anche attorno ai suoi polsi e Minoru la sospingeva
accanto a Tetsuro.
– Ho solo detto che non volevo ritrovarmi quei tizi tra i
piedi durante le operazioni – passò un
dito sulla canna lucida della Dragoon – Cosa abbiano capito
le persone a cui avevo affidato quell'incarico non è affar
mio e cosa ne sia stato di loro dopo aver svolto la loro missione non
lo è di nessun altro, meno che mai vostro o di un giudice.
Gran bella pistola, Hoshino. Le spiace se la tengo in suo ricordo?
Tetsuro sostenne il suo sguardo, torvo.
– Faccia pure. Ma la avviso: quell'arma tende a tornare
sempre in mano mia e a portare disgrazie ai tipi come lei.
Per nulla scosso, Thorn estrasse la sua pistola, ne tolse la cella
d'energia e la lanciò lontano, sui binari. Fece roteare la
Dragoon ancora un paio di volte e la infilò nella fondina.
– Le disgrazie colpiscono solo chi non sa prevederle... e gli
ingenui come lei e i suoi amici. Ma quella che mi stupisce di
più sei tu, mia cara Blossom – scosse il capo
– Pensavo che dopo El Alamein avessi imparato la lezioncina
sulla fiducia... e soprattutto che avessi capito da che parte ti
conviene stare. T'avrei dato davvero quella lista, sai? E avresti
scoperto un paio di cose davvero interessanti...
S'avvicinò a Sylviana e la tirò a sé
con un brusco strattone alla catena delle manette.
Lei non oppose alcuna resistenza e lui le cinse i
fianchi.
– Possiamo ancora rimediare – lei intrecciò una gamba alle sue e gli si
premette contro, la voce puro miele, carica di promesse.
Thorn rise, le sollevò il mento con due dita e la
baciò un'altra volta sulle labbra.
Ishikura strinse ancor di più i pugni, fino a conficcarsi
le unghie nei palmi.
Si diede subito dello stupido: era logico che, messa alle strette, una
mercenaria tentasse il tutto per tutto pur di salvarsi la vita... e non
era nemmeno la prima volta che Sylviana giocava la carta della
seduzione per togliersi dai pasticci: lo aveva fatto anche con lui, in
fondo.
E allora
perché me la prendo tanto? Che m'aspettavo?
Un mugolio e una bassa risata interruppero le sue poco piacevoli
riflessioni.
Thorn staccò da sé Sylviana. Un sottile rivolo di
sangue le colava dall'angolo sinistro della bocca.
– Spiacente, piccola, ma hai già avuto la tua
possibilità e l'hai sprecata – il falso Comandante
la spinse di nuovo accanto a Tetsuro e si passò una mano fra
i capelli – Sei davvero una delusione: se non avessi pensato
a salvare il tuo bell'ufficiale e non ti fossi fidata di Minoru, forse
avresti persino potuto fregarmi. Sei davvero uguale a Stem...
Lei si passò la lingua sulle labbra e lo guardò
senza dire nulla.
– Oh, lo so cosa stai pensando: sono un mostro senza cuore,
un vero bastardo, giusto? Bé, lascia che ti chiarisca una
cosa: bisogna esserlo per sopravvivere in un mondo come il nostro. I
sentimenti sono un lusso che chi combatte e chi comanda non
può permettersi.
Ishikura pensò al suo Capitano, ai suoi amici e a
ciò che li univa; un sentimento fortissimo, nato da tutte le
esperienze che avevano affrontato insieme e che, col tempo, aveva reso
insignificanti le tante differenze che li dividevano: età,
razza, provenienza, cultura, persino il fatto che alcuni di loro
avessero un corpo pieno di circuiti come i nemici che gli avevano
strappato suo fratello e che aveva odiato per così tanto
tempo... a un certo punto, tutto questo aveva smesso di contare
alcunché.
A poco a poco, quel sentimento e quei legami avevano cancellato il suo
odio, riempito e arricchito la sua vita; gli avevano impedito di
trasformarsi in un'arma senz'anima, di farsi schiacciare dai sensi di
colpa per le scelte che aveva fatto... e poter pensare che anche
gli altri suoi compagni provassero le stesse emozioni nei suoi confronti lo aveva aiutato a sentirsi un po' meno solo,
lassù fra le stelle.
E quest'uomo dice che
è inutile?
– Questa è un'enorme sciocchezza –
gridò – I sentimenti sono ciò che ci
permettono di rimanere umani anche in mezzo alle atrocità
della guerra, di distinguere il bene dal male e che ci fanno ricordare
che anche un nemico...
– Mi risparmi il suo buonismo, Vice-Comandante –
Thorn alzò una mano a interrompere la sua filippica
– Non cambierò idea. Il Progetto Herakles
è il futuro, che piaccia o meno a lei e ai suoi amici. Per
servire a qualcosa, un soldato deve solo obbedire: pensare a
cosa è giusto o sbagliato, ad amici o parenti, provare pena
per il nemico o cercare di comprenderlo è un biglietto di
sola andata per la sconfitta, dovrebbe saperlo più di
chiunque altro. E dovresti saperlo anche tu, Blossom: è
stato per i vostri scrupoli e il vostro desiderio di scoprire le
vostre vere identità che il Progetto Rosa Rossa è
stato... abbandonato.
– Già – Sylviana si leccò il
sangue dalle labbra – Aver cercato di tirar fuori vivi
Stygma, Anther e Prickle da quella base meccanoide prima di farla
saltare dev'essere stato davvero imperdonabile, dal vostro punto di
vista.
– Quell'esitazione poteva costarci il fallimento di
un'importante missione – tagliò corto Thorn
– E poi, le indagini che avete cercato di condurre di
nascosto per trovare le vostre famiglie, i contatti col
Comandante Arngeir... credevate davvero che nessuno se ne sarebbe
accorto? Che nessuno vi sorvegliasse?
Ishikura non resistette oltre. Sollevò i pugni stretti nel
metallo.
– Lei è davvero un bastardo, Thorn –
mosse un passo verso di lui – È naturale che quei
ragazzi volessero sapere se da qualche parte avevano ancora una
famiglia... è umano!
– Appunto – lui ricambiò il suo sguardo, tranquillo – Errare è
umano.
– Errare?!
Come può essere un errore desiderare l'affetto della propria
famiglia?
Minoru lo trattenne per le spalle e Thorn lo squadrò dalla testa ai piedi, divertito.
– Sa, lei è così ingenuo che mi chiedo
come sia arrivato a ricoprire la sua posizione, Vice-Comandante
Ishikura. Una spia con un passato o, peggio ancora, degli affetti
è vulnerabile: può essere ricattata, ingannata,
indotta a tradire. Era per questo che reclutavamo i Rosa Rossa in tenera età e toglievamo loro persino il nome. Purtroppo, a quanto pare, nessun
addestramento può cancellare certi istinti...
– Ma con gli Herakles questo problema non c'è
– concluse per lui Tetsuro – Sono i soldati
perfetti: logica e intelligenza umane, nessuna volontà e
ricordi modificabili a piacimento. Peccato che clonare la gente sia
vietato, senza contare le torture atroci che avete inflitto a quei
poveri esseri che usavate come cavie...
Minoru lasciò la presa e Ishikura lo
fissò: aveva le labbra strette ed era bianco come un lenzuolo.
Si chiese se anche lui, in quel momento, stesse rivedendo il volto di
Takeshi stravolto dalla sofferenza in quel laboratorio, quel cadavere
riverso a terra e ormai irriconoscibile.
Thorn sembrò non far nemmeno caso a lui.
– Abbiamo trovato la soluzione, per quello: i nuovi Herakles
non sono ottenuti da cloni umani e il problema del rigetto
è stato risolto con successo. Inoltre, le mele marce che
avevano sperimentato su esseri senzienti e quelle che le avevano
finanziate hanno già pagato i loro errori.
– Avete fatto in modo che pagassero anche per voi,
vorrà dire – la voce di Tetsuro era colma di
disgusto – E non faccio nemmeno fatica a immaginare come:
avevano tutti delle famiglie,
giusto?
Thorn incrociò le braccia sul petto e annuì
flemmatico.
– Un'ulteriore riprova di quanto gli affetti possano rendere
sciocche, deboli e pericolose le persone.
Ishikura vacillò, colpito dal peso di quella frase e
soprattutto dalle sue implicazioni.
Allora nostro padre si
è ucciso per proteggere Minoru e... me?
Per la prima volta dopo tanti anni, provò qualcosa di
diverso dal risentimento per l'uomo che lo aveva messo al mondo. Non
era l'amore d'un tempo, non era il perdono né la
comprensione per ciò che aveva fatto, non era
pietà... o forse era un po' di tutto questo.
– Hai sentito, Minoru? Papà...
Incrociò il suo sguardo e le parole gli morirono in gola:
suo fratello aveva un'espressione triste, ma priva del minimo accenno
di rabbia o stupore.
– Tu... tu lo sapevi? – gli domandò con
un filo di voce.
Minoru chinò il capo e lui non riuscì
più a trattenersi.
– E stai lo stesso dalla parte di questi pazzi assassini?!
Come fai a guardarti allo specchio senza sputarti in faccia, la
mattina?!
Fece per lanciarglisi addosso, dimentico di tutti i suoi scrupoli di
soldato, ma Sylviana si mise in mezzo. Si fermò appena in
tempo per non travolgerla.
– Spostati! – cercò d'aggirarla, senza successo.
– Calmati! – lei gli si puntellò addosso
– Cosa credi d'ottenere, così? Sei disarmato e
ammanettato: ti farai solo ammazzare per niente!
Ishikura esplose in una risata isterica.
– Tanto non usciremo vivi di qui! E anche tu... hai sentito
cos'ha detto di te e dei tuoi compagni, quel delinquente? Come fai a restare
così calma?!
– Sylviana ha ragione – anche Tetsuro gli si
parò davanti – Non otterrà nulla
aggredendo Ifiklìs, Signor Ishikura.
– Ma...
– E poi, non possiamo rischiare di coinvolgere degli
innocenti – Tetsuro guardò verso i binari dove
erano radunati i suoi compagni – Abbiamo delle
responsabilità, non se lo dimentichi.
Ishikura seguì la linea del suo sguardo, poi
riportò lo sguardo su Minoru.
– Perché? – gli domandò per
l'ennesima volta.
– Te l'ho detto. Ho delle buone ragioni, Shizuo.
– E allora dimmele, maledizione! – gridò
esasperato – Dammi un motivo per non odiarti... uno solo!
Lui abbassò l'arma e gli si avvicinò.
– Sono tuo fratello – la sua voce si ruppe
– Ti voglio bene... e... e tutto quello che ho fatto l'ho
fatto per proteggerti.
Credimi.
Gli parve di risentire suo padre in quell'aula di tribunale, tanti e
tanti anni prima, di rivedere quell'ultimo sguardo che gli aveva
lanciato mentre le guardie lo portavano via.
Gli credeva, come allora aveva creduto a lui. E forse era proprio
questo a fargli più male.
– Sei proprio uguale a lui – serrò i
pugni e desiderò come non mai di avere le mani libere e
qualcosa, qualunque cosa, su cui sfogare la sua frustrazione
– Hai già deciso tutto e di quello che voglio io, di quello che
penso, non te ne frega niente, vero?
Minoru gli afferrò le spalle e lo guardò
cupo. Ishikura si divincolò.
– Questo non è vero e lo sai benissimo –
le dita di Minoru lo strinsero più forte – Io ci ho provato,
Shizuo: ho provato a lasciarti libero di seguire la tua strada, a
soffocare le mie ansie, a non pensare che potresti anche... –
la sua voce si spezzò di nuovo e le sue mani tremarono prima
di lasciarlo – Ma non hai idea... non hai idea di come sia
starsene qui ad aspettarti col terrore di ricevere quella comunicazione
invece di vederti tornare... e far finta di nulla, ridere e scherzare
in quei pochi giorni all'anno in cui possiamo stare insieme... non ne
hai idea!
– Potevi provare a parlarmene invece di complottare con
questi pazzi per... per cosa? Cos'è che speravi d'ottenere?!
Thorn s'avvicinò, il passo e l'espressione tranquilli.
– Cercherò di chiarirglielo in breve,
Vice-Comandante, anche se dovrebbe averlo capito, ormai –
rigirò fra le mai l'hard-disk di Tetsuro senza incrociare il suo sguardo – Tutto quello che sta accadendo non
è altro che una vecchia storia che si ripete, tale e quale,
dieci anni dopo. L'ha detto anche lei: Minoru è uguale al
vostro defunto padre e come lui desidera solo una
possibilità per riavere la sua famiglia e proteggerla. Tutta la sua
famiglia.
Tutta? Il cuore di Ishikura mancò un battito. Possibile che...?
Minoru chinò la testa e la sua lunga frangia gli ricadde
sugli occhi.
– Mi hanno promesso che avremmo potuto riabbracciare Takeshi,
Shizuo. E soprattutto che non t'avrebbero fatto del male, a patto...
– A patto che me ne tirassi fuori – un brivido freddo corse lungo la spina
dorsale di Ishikura, i suoi denti stridettero – A patto che dimenticassi tutto quello che
abbiamo passato per colpa di questi pazzi maniaci, di tutto quello che
stanno passando i miei amici... a patto che li tradisca. Mi spiace, fratellone, non posso. Non voglio. Preferisco che mi spari un colpo di laser in mezzo agli
occhi qui, adesso.
Minoru rimase immobile, in assoluto silenzio. Le sue labbra presero una
piega amara.
– Ti facevo più furbo, Minoru – Sylviana
lo guardò severa – Credi davvero che questo traditore manterrà le
sue promesse? Quando non gli servirai più, ti
farà fare la stessa fine di tuo padre!
– Ha ragione, Ifiklìs – la voce di
Tetsuro era calma e bassa, i suoi occhi coperti dalla tesa bucherellata
del suo cappello – Per questo individuo non sei altro che una
pedina. Cosa credi che succederebbe se tuo fratello accettasse le
condizioni che vi ha proposto? Nella migliore delle ipotesi, vi
ricatterebbe l'uno con la vita dell'altro, proprio come ha fatto con
vostro padre per spingerlo ad addossarsi tutte le colpe e
uccidersi mentre lui e Kurai ricostruivano il loro gruppo
di fanatici.
– Se il Segretario Ishikura non le avesse fatto avere quel
filmato e quei documenti, Hoshino, e se lei non avesse fatto scoppiare
quello scandalo, non saremmo mai arrivati a quel punto –
Thorn si strofinò la manica della giacca con un gesto
noncurante – Davvero, non riesco a capire cosa sia preso a
quell'uomo: gli studi erano a buon punto, quel sentimentale del
Professor Kurai avrebbe mantenuto la sua promessa e il nostro Esercito
avrebbe avuto i suoi soldati invincibili già da un pezzo...
senza contare che avevamo potere di vita e di morte su almeno uno dei
suoi adorati figli.
– Già, immagino che non capirà mai
qualcuno con una coscienza e un cuore, Comandante – con un lento movimento del braccio, Minoru puntò la pistola su Thorn
– Credi che possa bastare, Tetsuro?
– Immagino di sì – l'espressione cupa
del giovane eroe si sciolse in un sorriso soddisfatto – Ha
ammesso persino più di quanto sperassi.
– Non ci posso credere – Sylviana
scoppiò nella sua ormai familiare risata – Ti sei
fatto fregare proprio come i cattivi dei film, Thorn! Dopo questa, puoi
solo andare a nasconderti!
Thorn li guardò come se fossero ammattiti e
Ishikura non poteva dargli torto: erano in inferiorità
numerica, circondati, ammanettati e sotto il tiro incrociato di almeno
una cinquantina di fucili, senza contare gli ostaggi.
– Sei impazzito, Minoru? – nemmeno con una pistola puntata addosso, il falso comandante perdette la sua ammirevole flemma.
Minoru armò il cane con altrettanta calma.
– Mai stato più in me – lo guardò dritto negli occhi – Quando si fa il
doppio gioco, una delle regole principali è non farsi
scrupoli a ingannare amici e nemici, ma ce n'è un'altra
ancora più importante: avere sempre chiaro chi è
l'avversario e, se se ne ha l'occasione, fargli credere che il
suo sia qualcun altro.
– Vuoi dire...
– Già – Tetsuro gli lanciò
uno sguardo a metà tra il compatimento e il disprezzo
– In realtà, il re a cui doveva dare scacco non
ero io.
Un fremito di rabbia scosse l'alta figura elegante di Thorn. Solo per
un istante.
Quando si voltò a fronteggiare il suo assistente, il suo
volto, la sua voce e i suoi gesti avevano di nuovo l'abituale
compostezza.
– Lo sai che hai appena firmato la tua condanna a morte,
Minoru?
Lui strinse le labbra e impallidì, ma la sua mano rimase
ferma.
– Almeno morirò libero – nessun tremito
nella sua voce, nessuna incertezza nello sguardo – E forse
Takeshi non mi prenderà a sberle, quando ci rivedremo
nell'aldilà.
– Bé, salutamelo – sibilò
Thorn – Perché lo rivedrai presto.
Da ogni parte, amplificato dalle alte volte dei tunnel, giunse alle
loro orecchie il rumore di passi, ghiaia smossa e armi che
venivano caricate e puntate.
Ishikura sudò freddo: i mercenari stavano stringendo il cerchio
attorno a loro.
Ci serve una via di
fuga, subito!
Con la rapidità e il sangue freddo che gli venivano
dall'addestramento, valutò tutte quelle possibili: il tunnel
dal quale erano venuti, quello di fianco, i tre dall'altra parte.
No.
Erano tutti presidiati dagli uomini di Thorn, ma anche se
fossero riusciti a passare il loro sbarramento, avrebbero rischiato di
perdersi nel dedalo di cunicoli bui e pieni di trappole della vecchia
linea metropolitana.
L'uscita principale!
Con un fremito di speranza, cercò le scale.
Le vide, con la coda dell'occhio. Si trovavano proprio dietro di lui,
alla fine d'un ampio ma breve corridoio ai cui lati c'erano ancora
addirittura le panchine; non sembrava aver subito danni: solo la
ringhiera era arrugginita e in parte divelta.
Con un po' di fortuna, forse la stazione è ancora collegata con
l'esterno.
Con un fruscio appena percettibile, il mercenario che l'aveva
ammanettato si mosse di lato.
Ishikura trattenne a stento un'imprecazione: doveva aver capito le sue
intenzioni e si era posizionato in modo tale da bloccare anche quella
via di fuga, la pistola puntata su Minoru in attesa di una mossa falsa
che gli consentisse un tiro pulito alla sua testa. Era solo questione
di tempo.
Non ce la faremo mai a
uscire vivi di qui, nemmeno con lui in ostaggio!
– Su, ora basta giocare, ragazzi – accanto a
Tetsuro, Sylviana sbadigliò e stirò le braccia
– Ancora un po' con questi braccialetti addosso e la mia
deliziosa pelle di candida seta s'arrosserà tutta e si
riempirà di bolle!
Con gran stupore di Ishikura, le manette scivolarono via dai suoi polsi
e finirono a terra con un lieve tintinnio.
– Come...?
Lei lo guardò, strafottente come sempre, e gli fece
l'occhiolino.
– Ah, uomini – schioccò un bacio
allusivo e fece dondolare le chiavi di Thorn nella sua direzione
– Com'è facile fregarvi quando pensate ad altro!
Un rumore alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Il mercenario, ora, mirava a lei, il dito già sul grilletto.
Ishikura scattò, gli si gettò addosso con tutto il suo
peso e lo sbilanciò.
Mentre finiva a terra, un riflesso metallico gli ferì gli
occhi e un lieve vento gli sfiorò i capelli.
L'uomo lasciò cadere la pistola e crollò di
fianco a lui.
Qualche spasmo, un rantolo e i suoi occhi si fecero vitrei; le mani
che stringeva attorno alla gola ricaddero inerti, rivelando un coltello
da lancio conficcato appena sotto il pomo d'Adamo.
Thorn si spostò sul fianco di Minoru, gli afferrò il
braccio sinistro con la destra e con la mano libera gli
sferrò un pugno alla parte esterna del gomito.
Minoru urlò e lasciò andare la pistola.
Thorn la calciò via, s'allontanò di qualche
passo ed estrasse dalla fondina la Dragoon di Tetsuro. Sparò.
Una volta, due, tre.
* Il poligrafo o
macchina della verità è uno strumento che misura
e registra le diverse risposte fisiologiche di un individuo mentre
risponde ad una serie di domande. È però
necessario che il soggetto sia consapevole di mentire,
perché un'affermazione falsa ma ritenuta vera dal soggetto
non dà origine ai cambiamenti fisiologici indotti dallo
stress. Nel caso di Thorn, dal suo punto di vista sarebbe vero che non
ha avuto niente a che fare con Taro, Kiddodo e Doskoi...
Approfitto
per scusarmi della lunga assenza: problemi tecnici del mio portatile a
criceti... ^_^'
La seconda parte (con un po' meno bla bla) presto sui vostri schermi:
il tempo di riportarmi in pari con le nuove storie!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
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Capitolo 38 *** La rosa di carta fra le stelle - parte II ***
cap 8
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Tre colpi a vuoto.
Thorn guardò esterrefatto l'arma che aveva esaminato con
tanta cura soltanto pochi minuti prima.
Presto!
Ishikura si chinò sul corpo del mercenario e
afferrò l'impugnatura del pugnale piantato nella sua gola.
Era scivoloso per il sangue e conficcato in profondità, ma
lui tirò e girò finché non venne via
con un orrendo rumore di risucchio e carne lacerata.
Fu tentato di lanciarlo, ma si trattenne: non era bravo
con le lame e oltretutto aveva i polsi bloccati dalle manette.
Se sbagliassi sarebbe la
fine... no, meglio non rischiare!
Gettò l'arma verso Sylviana e pregò.
Che la pistola non si disinceppasse.
Che Minoru e Tetsuro non facessero sciocchezze.
Che Sylviana non si facesse prendere dal panico.
Che nessuno dei mercenari sparasse.
Non accadde nulla di tutto questo. Non ce ne fu il tempo.
Sylviana si sporse in avanti e agguantò il coltello al
volo, lo bilanciò nella sua mano, si girò rapida
come una folgore e lanciò.
Un movimento fulmineo del polso, un impulso leggero e la lama
si conficcò nell'avambraccio destro di Thorn.
La manica della sua giacca si inzuppò di sangue, la sua
bocca si spalancò in un grido e le sue dita allentarono la
presa sull'impugnatura della pistola.
Minoru gli diede una
spallata.
La pistola volò per aria, ricadde sul pavimento sconnesso,
rimbalzò ancora per qualche metro.
Tetsuro si tuffò in avanti, la afferrò con
entrambe le mani e mirò.
Sparò un unico colpo che ferì Thorn alla coscia
sinistra, appena sopra il ginocchio.
Per un attimo l'adrenalina lo tenne su e il suo sguardo si
puntò su Tetsuro, colmo di sorpresa.
Poi cacciò un urlo e s'accasciò sul pavimento.
– Adesso! – Tetsuro si rialzò in piedi e sollevò un braccio – Fuori!
Ishikura si guardò attorno confuso.
Fuori dove?
Se avessero tentato di raggiungere le scale senza riprendere Thorn in
ostaggio, sarebbero morti dopo pochi passi. Anzi, a pensarci bene,
ora che il Comandante era a terra e i mercenari avevano la
traiettoria di tiro sgombra...
Siamo nei guai!
Come a conferma dei suoi pensieri, l'inconfondibile rumore di diverse
decine di fucili che venivano caricati e puntati raggiunse le sue
orecchie.
Corse a mettersi davanti a Sylviana, consapevole che il suo patetico
tentativo di farle da scudo non sarebbe servito a niente e che forse lei si
sarebbe addirittura infuriata come nel cortile del laboratorio.
Perlomeno non
farà in tempo a farmi un'altra scenata... o a chiedermi
perché lo faccio.
Chiuse gli occhi, pronto a ricevere la raffica che li avrebbe ridotti a
un colabrodo.
Non accadde nulla.
Ishikura tese le orecchie: i gemiti di Thorn, un basso brusio, trapestio di
piedi e rumore di pietre smosse. Nient'altro.
Riaprì gli occhi e si guardò intorno:
dall'oscurità dei tunnel, alle spalle dei mercenari, era
emersa almeno una settantina di uomini armati, la metà dei
quali indossava la divisa dell'Esercito Federale.
Sui binari, quelli che in un primo momento lui stesso aveva preso per
civili indifesi avevano buttato travestimenti e coperte: dal luccichio
metallico e dalla loro corporatura, capì che erano tutti
uomini, anch'essi armati.
Circondati e con le vie di fuga tagliate, i mercenari avevano
già gettato le armi e alzato le mani.
Thorn era ancora a terra dov'era caduto; il giovanotto che aveva
accompagnato Tetsuro a incontrarli lo teneva fermo con le mani dietro
la schiena e la Signora Masu gli premeva contro il naso una delle sue affilatissime mannaie.
Ishikura si voltò a guardare Tetsuro e solo in quel momento si rese
conto del fatto che aveva entrambe le mani libere e che una di esse era ancora
alzata nel classico segnale d'accerchiamento in uso nell'Esercito.
Sylviana aveva liberato
anche lui? Possibile che...
Come se gli avesse letto nel pensiero, Tetsuro annuì e
scostò la falda del poncio.
Fissato alla sua giacca, c'era un apparecchietto dalle dimensioni di
una carta da gioco.
Un filo sottilissimo correva sul suo petto fino alla spilla tonda che
gli chiudeva il bavero: una telecamera wireless con
microfono, forse anche una trasmittente a corto raggio.
– Alla buonora – Sylviana incrociò le braccia sul petto e arricciò le labbra
– Certo che hai un amore per la teatralità degno
di Thorn, mio caro Tetsuro. Era proprio il caso d'aspettare
così tanto, prima di dare il segnale?
– Cerca di capirlo – Minoru si massaggiò
il braccio con un smorfia e si avvicinò – Erano
anni che aspettavamo questo momento...
– Tutto a posto, Tadashi? – Tetsuro si
voltò verso il ragazzo che teneva fermo Thorn.
Lui sollevò il pollice e fece scattare le manette.
– Abbiamo ripreso tutto: audio e video perfetti –
si rialzò, tirò su di peso il prigioniero e lo mise
in posizione seduta – Una confessione in piena regola.
– E tutti i presenti sono testimoni – rise Sylviana
– Ah, Thorn, Thorn... sapevo che prima o poi il tuo viziaccio
di parlare troppo t'avrebbe messo nei guai!
Ishikura boccheggiò.
– Era... era tutto programmato?
Una... una trappola... con noi come esche?!
Una pacca degna di Grenadier gli s'abbatté sulla schiena e
gli mandò di traverso la saliva.
– Din! Din! Din! Complimenti, Everest – Sylviana
gli si piantò davanti, l'anello delle chiavi che roteava
come un piccolo hula hoop attorno al suo indice affusolato –
Finalmente ci sei arrivato, e tutto da solo!
Ishikura la guardò fra i colpi di tosse, lo stupore che si
trasformava in irritazione mentre le porgeva i polsi.
– Tu... tu lo
sapevi? Per tutto questo tempo... hai... hai sempre...?!
Lei gonfiò il petto, fiera come una scolaretta che avesse
appena portato a casa il suo primo dieci e lode.
– Recitato? Certo che sì!–
infilò la chiave nella serratura elettronica –
Sono brava, vero? Molto meglio di quelle sciacquette siliconate e
monoespressive di Hollywood! Ah, la vita è proprio ingiusta:
loro a fare la bella vita fra splendidi ragazzi, vestiti da sogno e
ville da favola e io sotto terra assieme ai topi, ai ragni e... a te!
Le manette s'aprirono e lei s'affrettò a raggiungere
Tetsuro, forse temendo la sua giusta reazione: due mani attorno alla
gola.
– In realtà gli ultimi dettagli sono stati
definiti solo... l'altro ieri notte, ormai – Tetsuro lo
guardò con aria colpevole – Mi spiace se l'abbiamo
tenuta all'oscuro di tutto, Signor Ishikura, ma sia Ifiklìs
che Sylviana erano concordi che sarebbe stato meglio così, e
anche Yuki alla fine...
– Cosa? – Ishikura spalancò gli occhi
– Anche la Signora Kei era d'accordo con voi?
– Altroché – sghignazzò
Sylviana – Gran parte del piano è farina del suo
sacco. Devo ammettere che la biondina non è affatto scema:
aveva capito subito che dietro al mio entusiasmo per questa missione ci
doveva essere qualcos'altro, così alla fine le ho dovuto
raccontare tutta la storia, dai miei trascorsi nei Rosa Rossa ai
sospetti su chi doveva nascondersi dietro il nome di Sven Arngeir.
Si voltò a guardare Thorn, a cui il Dottor Ban
stava prestando i primi soccorsi.
Nei brevi istanti in cui i loro sguardi si incrociarono, Ishikura
percepì la stessa tensione avvertita al Ministero
sprigionarsi di nuovo fra di loro.
– Conosco il tuo modo di pensare, ormai –
Sylviana si passò una mano fra i capelli, la maschera di spia fredda ed efficiente di nuovo
sul viso – L'ho dovuto imparare fin troppo bene per
sopravvivere. Sapevo che, se mi fossi esposta a sufficienza, m'avresti
riconosciuta e contattata e sapevo che avresti cercato di comprarmi con
quella lista, così ho stretto un patto con la nostra
piratessa: al momento opportuno, avrei finto di vendermi per poter
recuperare con più calma le informazioni che ci servivano.
Se tutto fosse andato bene, all'ora X le comunicazioni con la
Nèmesis e Futuria sarebbero saltate creando un buon
diversivo, e magari avrei avuto persino l'occasione di vedere in faccia
chi c'è dietro a tutto questo. Già... lo so che
sei solo il galoppino di quell'Odhrán, caro mio.
– Non ti capisco – Thorn si accigliò
– Sapere chi sei non era il tuo più grande
desiderio? Perché complicarti...
Lo sguardo di Sylviana si fece
di nuovo lontano e malinconico.
– Hai centrato il punto, Thorn: quello era il mio
più grande desiderio – si chinò a raccogliere le sue pistole – Sai qual è il tuo punto debole, oltre la lingua lunga? Pensi
sempre che tutti applichino il tuo stesso metro di giudizio e non tieni
conto del fatto che le persone cambiano, col tempo. È vero:
la piccola Blossom di El Alamein avrebbe dato tutto pur di sapere il
suo vero nome e avere una famiglia... ma io non sono più lei
da tanto tempo, ormai. Sono Le Sylviana.
I suoi occhi chiari si fissarono in quelli del suo ex compagno, duri,
decisi.
Alla fine, fu Thorn a distogliere lo sguardo.
– E cos'è che vuole, questa Le Sylviana?
– Solo chiudere i conti col passato – Sylviana richiuse gli elementi di blocco delle sue fondine – Ma tu questo non l'avresti mai permesso, perché
avrebbe voluto dire dover rispondere delle tue malefatte.
– Vuoi consegnarmi alla Federazione? Davvero? – Thon
sogghignò, incredulo – Sei cambiata più
di quanto m'aspettassi: una volta ti saresti limitata a un colpo di
pistola in mezzo alla fronte.
Lei alzò le spalle.
– Un Boy Scout di mia conoscenza m'ha fatto notare che per
certe cose ci vogliono un tribunale e magari anche delle prove
– ridacchiò – E poi, un colpo in mezzo agli occhi sarebbe una punizione
troppo rapida e clemente: tutto il mondo deve sapere cosa avete fatto
tu e i tuoi compari... e voi dovete vivere abbastanza per capirlo e
conviverci, se ci riuscite.
Ishikura le mise una mano sulla spalla, irragionevolmente fiero di lei.
Poi gli venne in mente una cosa.
– Ma perché avrei dovuto passare dalla vostra
parte per via di quella lista? Capisco Sylviana, ma cosa c'entro io con
i Rosa Rossa?
– Niente, Shizuo – Minoru sospirò
– Quella di cui parlava è un'altra lista.
– Come? E di che si tratta?
Suo fratello si pizzicò la base del naso, come per
raccogliere le idee.
– Non so da dove cominciare...
– Magari dal fatto che sei un uomo morto, Minoru? –
Thorn ammiccò quando il Dottor Ban gli estrasse il coltello
dall'avambraccio e tamponò la ferita – Lo sai,
vero, che Matia e Odhrán...
– Zitto tu, razza di delinquente! – la vocetta di
Masu echeggiò roboante come un tuono – E non
osare minacciare il mio adorato figliolo, o ti grattugio i
gemelli!
Tutti i presenti, Thorn
incluso, la guardarono a bocca aperta.
– Hai capito benissimo – rincarò la dose
la minuscola cuoca, le mani sui fianchi – E abbassa lo
sguardo quando ti parlo, o giuro che userò la grattugia a
grana grossa!
Il Dottore e Sylviana si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.
– E voialtri che avete da sghignazzare? Volete finire a
sbucciar cipolle e lavar piatti, eh?!
Serissimo, Minoru s'avvicinò alla vecchietta, si
chinò e si esibì nel suo solito, perfetto
baciamano.
– Signora Masu, come farei senza di lei? – le
sorrise, disarmante – Grazie.
– Figliolo, ma che fai? – la faccia di
Masu diventò bordeaux – Tirati su, dài,
che ti fa male alle giunture star piegato su questo pavimento
sudicio... e poi hai tutte le ginocchia graffiate: pensa se
s'infettassero...
Un suono soffocato e un'altra esplosione di risa: Tetsuro aveva ceduto
dopo mezzo minuto di eroici tentativi per mantenere il contegno.
– Bé? – Minoru si voltò, la
piccola mano screpolata e armata di mannaia ancora nella sua e
un'espressione di genuino stupore stampata in faccia –
Guardate che dicevo sul serio!
Anche Ishikura non resistette più e s'abbandonò
a una risata liberatoria.
Minoru alzò le spalle.
– Valli a capire...
– Su, adesso alzati, ragazzo mio – Masu gli
scostò la frangia dagli occhi con fare materno –
Non c'è bisogno di fare tutte queste cerimonie: lo so che
sei un bravo giovanotto, non ne ho dubitato nemmeno per un istante.
Potrai sempre contare sulla vecchia Masu, promesso.
Ishikura ridivenne serio di colpo.
Lui invece aveva dubitato, eccome... e per la verità ce l'aveva
ancora con lui.
Aveva sempre creduto che Minoru non avesse segreti per lui, aveva
voluto crederlo fino all'ultimo; scoprire che invece gli nascondeva
così tante cose, così terribili e per giunta da
così tanto tempo era stato un fulmine a ciel sereno. Il
peggio, però, era che aveva la netta impressione che non
fosse finita lì, che stesse cercando di rimandare in tutti i
modi il confronto.
No, mi spiace. Stavolta
mi devi delle spiegazioni, fratellone.
Lo prese per un braccio, lo fece allontanare dal gruppetto e lo
guardò dritto negli occhi.
Non era un esperto nel leggere il linguaggio del corpo, ma la sua
voglia di essere da tutt'altra parte era più che evidente:
voltava la testa in continuazione, si tormentava il colletto, spostava
il peso da un piede all'altro.
– Perché non m'hai detto niente? – la sua voce era più secca di quanto avrebbe
voluto.
– Parli del piano? – il sorriso allegro di Minoru era
fuori posto sul suo volto tirato, la sua voce di una
tonalità più alta del normale –
Bé, Shizuo, te l'ha detto anche Sylviana: sei un pessimo
attore.
L'interessata s'avvicinò e passò un braccio
attorno al collo di ognuno.
– Che fate qui tutti soli, Ishikura Brothers? –
ridacchiò – Parlate male di me?
– Giammai, mia cara – il viso di Minoru si distese
– Shizuo fa i capricci perché non gli
abbiamo detto del piano.
– Non è a questo che mi rife...
Sylviana alzò gli occhi al cielo, sbuffò e
aumentò la stretta attorno al suo collo.
– A parte il fatto che l'abbiamo perfezionato solo l'altro
ieri e a grandi linee, non potevamo fare altrimenti. Rassegnati, Boy
Scout: sei la spia più scarsa che possa esistere in tutti
gli universi possibili e immaginabili. Se ci fossimo affidati alle tue
doti recitative, tanti saluti!
– Sylviana, per favore...
La risata di Minoru lo interruppe prima che potesse chiederle, per
cortesia, di levare le tende.
– Hai la stessa faccia di quando da bambini Takeshi e io ti
dicevamo che eri troppo piccolo per fare qualcosa, sai, Shizuo?
– gli mollò una sonora pacca sulla schiena
– Dovresti vederti: lo stesso broncio ridicolo!
Con somma irritazione di Ishikura, Sylviana colse subito l'assist e lo
indicò col pollice.
– Scommetto che questo qui era un vero rompiscatole, da
marmocchio.
– Vinceresti la scommessa a mani basse –
ghignò Minoru – Era un piagnone da gran premio,
sempre attaccato a me e Takeshi. E quando non ci stava alle costole,
potevi star certo che s'era cacciato in qualche guaio, tipo quella
volta che andammo alle grotte e lui pensò bene...
– Sono sicuro che a Sylviana non interessano questi racconti,
Minoru.
Ishikura le fece un cenno col capo che lei ignorò... o finse
d'ignorare.
– In effetti – Sylviana s'arrotolò una ciocca
di capelli attorno all'indice e gli lanciò uno sguardo
malizioso – M'interesserebbe di più sapere
perché il tuo serioso, eroico fratello
militare-tutto-d'-un-pezzo ha il tatuaggio di un drago che gli va dal
lato destro del bacino fino alla...
Ishikura sentì la sua faccia diventare incandescente.
– Sylviana! Ancora con questa storia?!
Minoru scoppiò a ridere, si voltò verso di lui e
gli strizzò l'occhio.
– Ma bene! Quindi la Signora ha avuto modo di esaminare per
bene la zona proibita, eh, fratellino? Allora posso davvero sperare di
diventare zio, prima o poi!
– Minoru, guarda che mi ha solo...
Manco il tempo di spiegarsi che lui s'era già voltato verso
Sylviana.
– E com'è Shizuo a letto?
– Minoru!
– Vediamo – lei lo guardò beffarda e
contò sulle dita della mano, per nulla
imbarazzata – Russa come una corazzata in fase di decollo,
tira le coperte, parla nel sonno, sbava... a parte questo, ha il
candore d'una verginella in boccio!
Minoru si passò una mano sul mento, l'espressione pensosa.
– Sì, lo immaginavo – tirò un
lungo sospiro e si batté il pugno sul petto –
Bene, a quanto pare ho ancora molto da insegnargli!
– La volete finir...
– Ma perché voi uomini tenete tanto a ribadire la
vostra superiorità in certe cose? – Sylviana scosse
il capo e rise.
– Non mi credi? Guarda che sono davvero meglio di lui!
– Non vorrai mica che venga a letto con te per verificare?
Anche lui scoppiò a ridere.
– Non mi dispiacerebbe mica!
A qualche passo da loro, Tetsuro si lasciò sfuggire
una risatina.
Ishikura avvampò, per l'ennesima volta.
– La volete finire, voi due?! Sto cercando di fare un
discorso serio!
– Manco per sogno – Sylviana gli fece la linguaccia
– C'è tutto il tempo del mondo per incupirsi e
recriminare! L'abbiamo appena scampata bella e adesso abbiamo il
diritto di ridere, scherzare e rilassarci! E poi è
così divertente prenderti in giro!
– Concordo – Minoru schivò il suo
braccio teso a ghermirlo, raccolse da terra la borsa delle armi e
andò incontro a Tetsuro – Prendi sempre fuoco
subito, fratellino... dovresti scioglierti un po', sai? Ah, e comunque,
mia cara, quella del tatuaggio è una delle avventure
più spassose di Shizuo: sono coinvolti il suo Capitano, la
sua assurda convinzione di reggere bene l'alcool, il suo amico
Grenadier e una tatuatrice di Giove che se non sbaglio si chiamava...
Ishikura spalancò gli occhi.
– E tu che diavolo ne sai? – si supponeva che
nessuno, a parte lui e Grenadier, fosse a conoscenza di quella
storia... soprattutto del finale.
– L'ho letto sul tuo diario, che domande – con un
gesto disinvolto, Minoru estrasse dal borsone il familiare libretto con
la copertina azzurra.
Ishikura gli corse dietro e glielo strappò di mano.
– E questo dove diavolo l'hai preso? – la sua temperatura corporea, in quel momento, doveva essere vicina a quella
dell'autocombustione – E quando?
– Al solito posto. Nel cassetto del tuo scrittoio, quando sono passato a casa tua.
– Ah, ecco perché non c'era – Sylviana si passò una mano sul mento – Mi pareva strano...
– Come facevate a sapere...
– Che lo tenevi lì? Dài, Boy Scout,
sveglia! È il primo posto in cui chiunque andrebbe a cercare
una cosa del genere. Sei proprio prevedibile, sai?
– Scusatemi tanto se ho creduto d'aver diritto a un po' di
privacy a casa mia – Ishikura incrociò le braccia sul
petto, piccato – La prossima volta terrò a mente
che i fatti miei sono più interessanti d'un best-seller e
vedrò di scriverli in duplice copia per facilitarvi la
lettura! Anzi, sapete che vi dico? Preparerò un data-base
come quelli delle biblioteche e magari anche una mailing-list,
così potrò aggiornarvi per tempo nel caso vi
foste persi qualcosa!
– Su, fratellino, piantala di fare l'offeso –
Minoru gli scompigliò i capelli – Tanto lo so che
tieni quel diario proprio perché speri che io lo legga! Sono
anni che andiamo avanti con queste sceneggiate da bambini, e forse hai
ragione... è ora di... voltare...
La sua mano scivolò via dai suoi capelli e
gli scese lungo la nuca fin sul collo, molle, come priva di forze. La borsa cadde a terra.
Minoru lo guardò con gli occhi sbarrati, si mise una mano sulla fonte, barcollò e cadde all'indietro.
Ishikura fece appena in tempo ad afferrarlo per la manica e rallentare la sua
caduta prima di perdere l'equilibrio a sua volta. Picchiò
entrambe le ginocchia sul pavimento sconnesso ma non si
curò del dolore: fra le sue braccia, suo fratello era pallido
come un morto e sembrava sul punto di svenire.
– Minoru – lo tirò a sedere e lo scosse
– Minoru, che hai?
Lui lo fissò un istante con aria smarrita, poi si
voltò verso il punto in cui si trovava Thorn.
Dalla sua espressione, sembrava che persino quel piccolo gesto gli
costasse un'enorme fatica.
– E poi era Tetsuro quello incapace di perdere con stile
– sorrise, caustico – Lo sapete che
ormai è inutile, vero?
Thorn sputò a terra.
– Sapevi a cosa saresti andato incontro se ci avessi traditi.
– È vero. E l'ho fatto lo stesso. Ma non me ne pento.
Con delicatezza, Ishikura lo fece voltare verso di lui: Minoru aveva la
fronte imperlata di sudore e lo sguardo sofferente, tuttavia gli
sorrise quando i loro occhi s'incrociarono.
– Non me ne pentirò mai, fratellino... ricordatelo
sempre, questo.
– Di cosa state parlando? – la gola di Ishikura era stretta in un'invisibile morsa – Per l'amor del
cielo, che succede?!
Con una calma che per qualche ragione gli diede i brividi, Minoru si
tirò su la manica sinistra e controllò l'ora, fece un respiro profondo, appoggiò la schiena contro il suo
ginocchio e gli afferrò la mano. Le sue dita erano gelide.
– Promettimi che resterai calmo... e soprattutto che non ti
metterai a piangere.
Le stesse parole che gli aveva detto il giorno in cui era andato a
prenderlo all'Accademia con quella lettera del Comando e quella
Medaglia al Valore fra le mani.
Le stesse parole che gli aveva detto un mese dopo il processo, con gli
occhi rossi e gonfi in quel collegamento video disturbato da continue
scariche di statica.
Adesso, Ishikura aveva davvero paura.
– Il polso è normale – non s' era
nemmeno accorto di Sylviana e Tetsuro, inginocchiati accanto a loro
– E non vedo ferite evidenti... Dottore!
– Lasciate perdere, è inutile – Minoru
si girò verso di loro – Ho uno di quei chip nella
testa.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 39 *** La rosa di carta fra le stelle - parte III ***
cap 8
Ishikura trattenne il fiato.
Il suo cuore perse un battito, il suo cervello si dimenticò come pensare e i suoi
polmoni
come espirare.
Gli sembrò di sprofondare in una voragine buia, di
soffocare, di perdere tutte le forze.
Se non fosse stato già a terra, sarebbe caduto.
– Stai... stai scherzando, vero? –
afferrò Minoru
per le spalle e lo scosse – È un altro dei tuoi
stupidi
scherzi, vero?!
Senza una parola, Tetsuro sfilò dalla tasca del cinturone un
apparecchio cilindrico identico a quello che Mime aveva tentato di
usare su Mayu in quella grotta di Heavy Meldar, premette il pulsante
d'accensione e lo passò attorno alla testa di Minoru.
Un segnale sonoro acuto e insistente ruppe il silenzio
in cui era piombata la stazione.
No...
Tetsuro trasalì, girò sui presenti uno sguardo
angosciato che valeva più di mille parole e
sollevò il
rilevatore. Il led lampeggiava.
No!
Per un tempo che a Ishikura parve lunghissimo, nessuno parlò.
Perché?
Com'è possibile? Quand'è successo?!
– Ma com'è possibile? – la voce di
Tadashi
spezzò quella quiete carica d'orrore e diede voce ai suoi
pensieri – Ogni volta che Ifiklìs è
venuto qui,
l'abbiamo sempre controllato... persino l'altra sera!
Quand'è
che hanno avuto il tempo d'impiantargli quel coso?!
– È successo circa dieci anni fa, prima ancora che
decidessi di diventare Ifiklìs e conoscessi Tetsuro
– la
voce di Minoru, così come la sua espressione, era calma e
rassegnata – Non avete mai rilevato il mio chip
solo
perché non era mai stato attivato... finora.
Si scostò la frangia dalla fronte e indicò un
punto
appena sotto l'attaccatura dei capelli dove, seppur sbiadita dal tempo,
era ancora visibile la cicatrice tonda lasciata da un sondino
laser.
No... no... no...
– Ci sono alcune cose che io e papà non t'abbiamo
mai
detto, Shizuo – la mano gelida di Minoru si strinse di nuovo
attorno alle sue dita – È giusto che...
No!
– No, aspetta, Minoru! – lo interruppe, col cuore
in gola e
gli occhi annebbiati – Prima dobbiamo levarti quella cosa
dalla
testa... e subito! Dottore! Dottore!
Il Dottor Ban lasciò il fianco di Thorn e s'avvicinò,
seguito da una Masu che, deposte le mannaie e l'abituale grinta, s'asciugava le lacrime con un lembo del grembiule.
Si fermò accanto a Tetsuro, osservò il rilevatore e scosse il capo con aria sconsolata. A
quel gesto, Ishikura si sentì sprofondare ancora
più a
fondo.
– No, non è possibile! Dottore... Ci provi,
almeno, la
prego! – fece per alzarsi con la ferma intenzione di dare una
bella scrollata al medico, addirittura di minacciarlo con la pistola se
fosse stato necessario, ma Minoru lo trattenne.
– È impossibile, Shizuo –
sospirò –
Nemmeno Kurai in persona potrebbe rimuovere quel chip senza uccidermi,
lo sai bene. E poi, al punto in cui sono, mi resta mezz'ora al massimo.
– È stato lui a farti questo? – la mano
di Tetsuro
tremava impotente stretta al rilevatore, la sua voce e suoi occhi
azzurri erano colmi di rabbia – È stato Kurai?
Minoru annuì.
– Su suggerimento del qui presente Comandante. Ero la loro garanzia
– le sue labbra si piegarono in una smorfia amara –
Sai,
Shizuo, papà era pentito di ciò che aveva fatto.
Quando
capì cosa succedeva davvero in quei laboratori,
cercò
di...
– Non me ne frega niente di papà –
gridò Ishikura con
le lacrime gli occhi – E nemmeno di Kurai, degli Herakles o
di
qualunque altra cosa! Minoru, ci sarà pure qualcosa che
possiamo
fare!
– Avevi promesso di non dare in escandescenze – lo
rimproverò Minoru, il tono severo della voce smentito dalla
dolcezza
del suo sguardo e della sua stretta – Lo sai che odio quando
fai
così.
Ishikura si mise a
tremare, di
rabbia e di paura.
– Non ho promesso un bel niente! E tu sei uno stupido, un pazzo
incosciente!
Dieci anni! Dieci anni così! Perché non m'hai
mai detto
nulla?!
– Per risparmiarci dieci anni di tutto questo, fratellino
– Minoru gli arruffò capelli come aveva fatto tante volte quando
erano
piccoli – Sarebbe finita così in ogni caso, prima
o poi,
ma nel frattempo tu ti saresti rovinato la vita e io avrei finito per
odiare ogni istante della mia. Almeno, in questi dieci anni ci siamo
divertiti... e gli addii dureranno solo il tempo necessario.
– Avremmo potuto fare qualcosa... provarci, almeno!
Minoru chiuse gli occhi e sospirò.
– Pensi che non abbia tentato? Ho
studiato il problema sotto ogni punto di vista: la sola speranza era
che nessuno attivasse mai questo chip perché, credimi, non
c'è modo di toglierlo o sabotarlo. E poi avevo sperato che
fosse finita quando Kurai scomparve nel nulla...
– Lo avevamo sperato tutti
– Tetsuro si passò una mano sul viso –
Io ne ero addirittura sicuro! Mio Dio... come ho potuto?!
– Su, non tormentarti, vecchio mio – Minoru gli
diede una
pacca sulla spalla – Non potevi saperlo. E poi, in fondo non
m'è andata così male: ho vissuto abbastanza da
vedere i
miei primi capelli bianchi e il mio fratellino con una donna... Cose
dell'altro mondo, insomma!
Strizzò l'occhio a Sylviana e rise, ma il suo tentativo di
sdrammatizzare cadde nel vuoto.
– Ma come hanno fatto i nostri nemici a sapere che abbiamo
preso
in trappola Thorn? – Tadashi girò sui presenti uno
sguardo
confuso – Non ho visto nessuno usare trasmittenti a lungo
raggio
qui dentro... e poi, il segnale non riuscirebbe a passare attraverso le
pareti di questi tunnel, figuriamoci ad arrivare così
lontano
nello spazio!
Sylviana trasalì, come colpita da una scarica elettrica.
– Oh, no! – strappò un bottone dalla
maglia di Minoru, si alzò e lo schiacciò sotto il
tacco.
Quando sollevò il piede, sul pavimento c'era ciò
che
rimaneva dei meccanismi interni d'una microcamera. Ne
sollevò
un pezzo che Ishikura non riconobbe e lo fissò impietrita.
– Bingo – ghignò Thorn –
Finalmente ci siete
arrivati. Io avrò commesso degli errori madornali, ma anche
voi
m'avete sottovalutato, bocciolo. Non ho Herakles tra i miei uomini al
momento, ma ho preso lo stesso delle precauzioni per controllarli a
dovere. Ogni bottone di quelle divise è una microcamera e
ognuna di esse è dotata d'un modulo per le comunicazioni
interstellari che trasmette in background al cervello elettronico di
Matia non appena esce dal perimetro della base. Scommetto che pensavate
d'avere addosso al massimo un paio di rilevatori GPS, vero? E magari
credevate anche che i miei uomini fossero tutti qui...
Tetsuro scattò in piedi.
– Tadashi, dì al Tenente Kodai d'ispezionare
tutte le
divise dei prigionieri prima di caricarli sui cellulari e ordinate agli
autisti il cambio di percorso che avevamo concordato in caso
d'emergenza – gli lanciò una ricetrasmittente
– Poi
comunica a Lydia di far spostare tutti al rifugio 22-B, subito!
Il ragazzo annuì e corse verso i
soldati
lungo i binari. Il Dottore lo sostituì a guardia di Thorn. Tetsuro
si chinò di nuovo accanto a Minoru.
– Faremmo meglio a spostarci anche noi – gli
strappò
via tutti i bottoni dalla maglia e li lanciò lontano
–
Secondo me, sul fatto d'avere altri uomini in giro sta
bluffando, ma non voglio rischiare. Ce la fai a reggerti a me?
Minoru afferrò la destra di Tetsuro ma lo trattenne quando
fece per sollevarlo.
– Non posso venire con voi – gli sorrise, cupo
– Sono un
Herakles in tutto e per tutto, ora.
Tetsuro strinse le labbra e a Ishikura parve di potergli leggere nel
pensiero.
Tutto ciò che
vede lui, lo
vedono anche i nostri nemici... inoltre potrebbe impazzire in
qualsiasi momento e tentare d'ucciderci...
Il ricordo del clone di Takeshi emerse di nuovo da quell'angolo remoto
della mente in cui cercava di relegarlo ogni volta che non era solo e,
come quella sera su Beta, gli fece venire la stessa nausea, la stessa
voglia di scappare lontano.
Invece rimase fermo lì, a fissare la mano di Tetsuro stretta
in
quella di Minoru, troppo inorridito, angosciato e furioso per riuscire
a dire o fare qualunque cosa.
– Addio, Tetsuro. Sappi che per me è stato un
onore.
Minoru lo lasciò andare ma lui non si mosse.
– Non ti lascio qui da solo a morire –
scandì a denti stretti – Tu sei un mio compagno.
– Sono una bomba a orologeria, lo sai meglio di chiunque
altro
– Minoru guardò di nuovo l'orologio e un altro
tremito gli
scosse la schiena – Non discutere, Tetsuro, ti prego.
C'è
in ballo tutto ciò per cui abbiamo lottato in questi dieci
anni:
perché questa storia finisca una volta per tutte, Thorn deve
arrivare vivo al processo... e anche tu.
– Ma...
– Non ne avrò ancora per molto – strinse
i denti e
gemette – Però hai ragione: ho bisogno che
qualcuno resti.
Sylviana, per favore...
Accanto a Tetsuro, Sylviana abbassò la testa in un
cupo cenno d'assenso.
– Mi spiace, mia cara – lo sguardo di Minoru
s'intristì – Non vorrei chiedertelo per nulla al
mondo, ma anche se mi sono preparato per anni non so se
riuscirò a fare quel che devo.
Un terribile sospetto attraversò la mente di Ishikura.
– Cos'è... cos'è che devi fare, Minoru?
–
la voce gli uscì in un sussurro roco – E perché vuoi che
ce ne
andiamo?
Lui lo fissò, serio come non l'aveva mai
visto, gli strinse più forte le dita e lo lasciò
andare.
– Va' via, Eroe Silenzioso – distolse gli occhi
– Credimi, è meglio.
La mano di Minoru tremò sulla sua coscia e
scese fino alla fondina, le sue dita si chiusero sull'impugnatura
della pistola. Ishikura spalancò gli occhi. Il sospetto divenne
realtà.
Vuole... vuole...
Gli afferrò il polso e strinse con tutte le sue forze.
– Ma sei matto?!
– Lasciami, Shizuo – Minoru si divincolò
con tutta la poca energia che gli era rimasta.
– Non se ne parla nemmeno! – Ishikura cercò di
aprirgli le
dita – Ci dev'essere una soluzione... e la troveremo insieme,
vedrai! Resisti! Resisti, ti prego... non... non lasciarmi anche tu!
– Shizuo...
– No – scosse il capo, un groppo che gli chiudeva
la gola – No... no, no, no! No!
Non poteva accettarlo. Non così all'improvviso, non
a quel modo.
– Ti prego, Shizuo, non c'è più tempo, ormai
– Minoru
smise di far forza per liberarsi ma non allentò la presa
sull'arma – Non voglio rischiare di farvi del male. E voglio
andarmene come un uomo libero, non come una marionetta impazzita... lo
capisci?
Ishikura lo guardò negli occhi. Tristezza. Amore. Accettazione.
Coraggio.
E una decisione incrollabile.
Gli lasciò la mano e scoppiò in singhiozzi.
Lui gli fece appoggiare la testa nell'incavo della sua spalla e gli
accarezzò la nuca.
Al contrario delle sue mani, il suo collo e la sua guancia erano caldi.
Quel tepore, la sensazione dei suoi capelli sulla pelle e persino il
suo odore erano gli stessi di quando da piccolo andava a infilarsi nel
suo letto durante i temporali, con la certezza che il mattino dopo lui
l'avrebbe preso in giro senza pietà ma anche che,
finché
fossero durati il buio, i tuoni e le sue paure, non lo avrebbe lasciato
solo.
– Ah, il mio fratellino – Minoru ridacchiò,
proprio come
allora – Fai tanto il duro, ma in fondo sei sempre il solito
piagnucolone...
– Tu invece sei un pazzo, Minoru – Thorn gli
lanciò
uno sguardo sprezzante mentre zoppicava verso l'uscita sorretto dal
Dottor Ban – È vero, hai vinto la partita... ma ne
è valsa davvero la pena, secondo te? Su chi regge le fila
del
gioco ne sapete quanto dieci anni fa. Sai come andrà a
finire?
Tu farai la fine del topo qua sotto, io potrò comprarmi la
vita
in cambio della mia discrezione proprio come l'ultima volta e fra
qualche anno gli Herakles saranno una realtà. Senza Daiba e la
Kei tra i piedi, è solo questione di tempo.
Ishikura sollevò la testa e strinse forte la maglia di
Minoru
nel tentativo di trattenersi dal saltare addosso al loro prigioniero, perché sì, quel bastardo aveva ragione: fra qualche minuto suo fratello sarebbe morto, mentre lui
sarebbe vissuto per chissà ancora quanti anni... ed era
ingiusto, così ingiusto...
– Ricorda quando ha detto di non invidiarci perché
l'amore
fraterno complica sempre tutto, Comandante? – il petto di
Minoru
si alzò e si abbassò in un lungo sospiro
–
Bé, forse per lei è così, ma per me
è stato
l'esatto contrario: è stato proprio quell'amore a spingermi
a
vivere e a lottare con tutte le mie forze contro lei, i suoi compagni e
il vostro assurdo progetto – aggrottò le
sopracciglia
– Per quanto mi riguarda, gli unici pazzi siete stati voi a
credere che v'avrei davvero permesso di rovinare anche la vita di Shizuo con
quello sporco ricatto. Se ne è valsa la pena? Oh,
sì! Se
avessi altre mille vite a disposizione, lo farei altre mille volte!
– Ammetto che non m'aspettavo tanta determinazione da parte
tua
– Thorn si soffiò via una ciocca di capelli dagli
occhi
– Specie visto che dieci anni fa...
– Sono stato un codardo, lo ammetto – Minoru
strinse le
labbra – Ma come ha detto Sylviana, le persone cambiano.
Cercò di mettersi in ginocchio, ma barcollò e ricadde all'indietro.
Ishikura allungò un braccio per sorreggerlo, ma lui lo
respinse.
– Andate via, adesso – accennò
all'uscita con la
mano che impugnava la pistola – Sono al limite, non so quanto
potrò resistere ancora. E portatevi dietro le prove.
Tetsuro,
nel diario di mio fratello ci sono una copia della famosa lista e una
mia deposizione firmata. Sono certo che capirai non appena leggerai i nomi,
ma in ogni caso ho pensato di metter tutto nero su bianco. Sylviana,
tira fuori la pistola. E, Shizuo...
– Resto qui con te – Ishikura s'alzò in
piedi e s'avvicinò a Sylviana – Per favore, prestami una
delle tue
pistole.
– Non se ne parla – Minoru si piegò sul
ginocchio e
si alzò – Tu te ne andrai con Tetsuro, Thorn, la
Signora
Masu e il Dottore.
– Ti prometto che sparerò se mi troverò
in pericolo. Sono un soldato e...
– E la notte hai ancora gli incubi – invece di
porgergli
un'arma, Sylviana gli strinse la spalla – Ha ragione lui:
vattene. E poi, se il mio intuito non m'inganna, vuole me non solo per
non farti soffrire, ma anche perché ci sarà
bisogno di
sparare in un punto preciso a sangue freddo. Ho ragione?
Minoru annuì.
– Ho visto Odhrán in faccia, giù al
laboratorio. Durante un collegamento.
Sia Tetsuro che Thorn fremettero.
– Vuoi dire che...
– Già. Abbiamo una prova decisiva contro chi sta
dietro a
questa follia – Minoru si indicò la fronte –
Ora che il mio
chip è attivo, contiene una copia di tutti i miei
ricordi.
Ma per evitare che vada persa...
– Bisogna che gli impulsi elettromagnetici delle due
volontà che ti governano cessino prima che le informazioni
diventino illeggibili – concluse Tetsuro, tetro.
– Un colpo di laser sotto il mento, tra il punto in cui
termina
l'osso della mandibola e il pomo d'Adamo – annuì
Minoru
– Oppure uno in mezzo agli occhi. Prima di diventare
violento,
prima d'entrare in coma. Il chip sarà colpito e rimosso
dalla
sua sede, ma la sua schermatura impedirà che fonda
o
sia danneggiato. Quanto a me, sarà un attimo. Non m'accogerò nemmeno d'andarmene.
La sua voce era ferma, il tono tranquillo come se stesse parlando dei
suoi progetti per la serata.
Sempre più sconvolto, Ishikura si chiese da quanto tempo si
fosse preparato a un'eventualità del genere.
Forse sin da quando gli
hanno messo quella cosa nel cervello.
Forse sapeva da anni che sarebbe finita così... e forse
aveva addirittura cercato quella conclusione.
Quel pensiero lo fece rabbrividire una volta di più.
– Su, adesso va', Shizuo – Minoru si passò una
mano sul
volto e gemette –
Presto!
Non... ce la...
– Minoru!
Con la coda dell'occhio, Ishikura vide il Dottore aumentare il passo,
Tetsuro afferrare il braccio di Thorn con una mano e sospingere la
Signora Masu con l'altra, Sylviana prendere posizione per coprirli.
Rimase imbambolato lì, con le braccia e le gambe che
rifiutavano
d'obbedirgli, pesanti come se fossero state di piombo.
Minoru gemette, spalancò gli occhi e si piegò
in due.
Le sue mani premute sulle tempie si chiusero a pugno, si riaprirono,
artigliarono i capelli e le guance. Quattro scie rosse si disegnarono
sul suo volto. Spalancò la bocca in un urlo acuto, straziante,
carico di dolore e rabbia, un suono che spezzò il
cuore di Ishikura e
lo riportò su Beta, davanti a quell'uomo col volto di Takeshi
che
soffriva allo stesso modo in quel filmato sgranato e privo d'audio.
È un
incubo... un incubo...
– Minoru!
– Vattene... via!
Un suono metallico e la percezione d'una presenza alle sue spalle lo
fecero voltare.
Silenziosa come un gatto, le braccia tese e la pistola stretta fra le
mani, Sylviana si stava spostando di lato per aggirarlo e avere il
campo libero, gli occhi fissi sul bersaglio.Si ferm ò, appoggiò il dito sul grilletto.
Ishikura le si buttò davanti.
Sylviana sgranò gli occhi.
– Che fai, Shizuo? Levati da lì!
Aveva ragione, lo sapeva... eppure le afferrò i polsi e
strattonò verso il basso.
– Signor Ishikura! – da qualche parte, la voce di
Tetsuro lo chiamò – Signor Ishikura, la lasci!
– No!
Guardò Minoru: aveva il volto esangue, gli occhi
sbarrati e
la bocca ancora spalancata, ma l'unico suono che ne usciva, adesso, era
un sibilo roco e appena percettibile.
– Minoru, resisti! – senza lasciare Sylviana, Ishikura mosse
un passo verso di lui.
Cosa faccio? Cosa
faccio?! Pensa, maledizione... pensa!
Inutile: tutto il suo addestramento, tutte le tecniche per non farsi
prendere dal panico, tutta l'esperienza accumulata in quindici
anni nell'Esercito... tutto svanito; era tornato a essere
quel
bambino che, a tastoni nel buio, cercava il conforto del suo fratellone
a ogni rombo di tuono.
– Lasciami! – la voce di Sylviana e i suoi
disperati tentativi di svincolarsi dalla sua presa erano lontani.
– Signor Ishikura – Tetsuro, quasi non lo sentiva
più.
– Shizuo... stammi lontano! – Minoru lo
guardò con
gli occhi colmi di paura e sofferenza. La sua voce era
così roca e distorta dal dolore da essere quasi
irriconoscibile.
Ishikura mosse un altro passo in avanti.
Minoru gli puntò addosso la pistola.
– Lasciami! – Sylviana smise di tirare e con
un movimento fulmineo gli passò davanti. Lasciò
andare la
pistola, invertì la presa e
fletté le
gambe.
Ancor prima di riuscire a capire quali fossero le sue intenzioni,
Ishikura si ritrovò a terra, senza fiato e con lei sopra. La
ribaltò sotto di sé con un colpo di reni e
afferrò la pistola.
Il suono d'uno sparo lo fece sobbalzare.
Si girò e le
sue narici si riempirono dell'odore di sangue, carne e stoffa
bruciate. Abbassò gli occhi. La sua spalla sinistra era
passata
da parte a parte.
Come sempre coi laser, il dolore arrivò dopo una frazione
di secondo. Infuocato. Devastante.
Resistette alla nausea, alla voglia di gridare e
all'impulso di tamponarsi la ferita con la mano.
Si alzò e guardò suo fratello. Oltre la canna
della
pistola, il suo volto era una maschera di rabbia e dolore, sempre
più simile all'orribile ricordo di quell' Herakles.
Voglio svegliarmi...
voglio svegliarmi, Minoru!
– Minoru...
– Va' via! – come colpito da una frustata,
Minoru si raddrizzò di colpo.
Le sue braccia si tesero un'altra volta, i suoi occhi si puntarono su
di lui, inespressivi.
Sparò un altro colpo che gli disintegrò la
pistola fra le dita.
Questa volta, Ishikura urlò; la sua mano era un mosaico di
schegge, graffi e bruciature.
– Va' via...
Gli occhi di Minoru si chiusero.
Stava piangendo o erano di sudore le gocce che gli scorrevano sulle
guance?
Scosso da un tremito nervoso che solo altre due volte nella vita aveva
sperimentato, Ishikura gli si avvicinò ancora.
– Minoru – gli tese la mano illesa –
Minoru, ti prego...
Lui urlò di nuovo, così forte e così a
lungo che
il suo volto s'arrossò per lo sforzo e le vene gli si
tesero
come corde bluastre sul collo.
Centimetro dopo centimetro, le sue braccia si piegarono e il suo mento
si sollevò finché la canna della pistola non fu
puntata
alla sua mandibola, nel punto che aveva descritto a Tetsuro.
Riaprì gli occhi e, per un istante, il suo sguardo e la sua voce tornarono a essere quelli del bambino d'un tempo.
– Non guardare, fratellino – sorrise –
Chiudi gli occhi.
Il rumore dello sparo risuonò mille e
mille
volte nella testa di Ishikura, il liquido caldo che gli colpì
il viso aveva la potenza d'un pugno.
Senza neanche sapere come, si ritrovò a terra con Minoru fra le
braccia, paralizzato dal terrore.
A ogni sussulto di quel corpo scosso dalle convulsioni, il
respiro gli si bloccava in gola.
Sapeva benissimo cosa stava succedendo e, soprattutto, che non c'era
nulla da fare: in guerra aveva visto scene simili ripetersi troppe
volte per potersi illudere, ma nonostante ciò una
parte
di lui non voleva credere a quella realtà e cercava di
negarla
con tutte le sue forze.
La realtà di tutto quel sangue che macchiava i capelli
chiari di
Minoru e gli colava lungo la nuca, che scorreva fra le sue dita e gli
inzuppava la manica della maglia...
No...
La realtà di quel volto esangue e di quegli occhi velati,
arrovesciati nelle orbite, di quelle palpebre immobili...
No...
La realtà di quelle mani fredde, di quel petto che non s'alzava
né s'abbassava più, di quelle membra ormai prive
di
forze che avevano smesso anche quegli ultimi, orribili tremiti
involontari...
No!
Da qualche parte, qualcuno urlò.
Due mani decise lo afferrarono per le braccia.
Ishikura si divincolò, ma chi lo aveva preso non ebbe
difficoltà a bloccarlo.
– Su, ora lascialo, Shizuo – la voce di Sylviana – Vieni via, non guardare...
Con una gentilezza che non avrebbe mai immaginato, lo fece
voltare, gli premette la nuca contro il seno e gli bloccò la
testa col mento.
– Lo so... lo so – gli sussurrò
all'orecchio – Calmati, adesso... calmati.
Solo allora Ishikura si rese conto che a urlare era stato lui... e che non
aveva ancora smesso.
Qualcuno, forse Tetsuro, gli fece aprire le dita e lo staccò
dal corpo di Minoru.
Artigliò il vestito di Sylviana. Lei lo strinse più forte.
Non riusciva a smettere di gridare, di piangere.
Non riusciva a pensare a niente.
Non riusciva nemmeno a respirare.
Il petto gli faceva male come se gli stessero strappando il cuore, come
se lo stessero frantumando in tanti piccoli pezzi.
Sylviana armeggiò con qualcosa, una trafittura alla base del collo
lo fece sussultare.
– Cosa...
– Mi spiace, Boy Scout – lei lo staccò da sé e gli
asciugò le lacrime con i pollici – Ma è
meglio
così.
La sua figura tremolò e si fece indistinta,
il suo cuore rallentò e i suoni divennero più ovattati e lontani.
M'ha narcotizzato di
nuovo...
– Patetico. Povero sciocco.
– Bada, Thorn – la voce di Sylviana
era un ringhio rabbioso.
– A cosa? Ho detto solo ciò che penso. Patetico –
sputò
– E inutile proprio come l'amore fraterno. Cosa se ne fa
della
vittoria, quell'idiota di Minoru, ora che è cibo per i vermi?
Ishikura la sentì fremere, poi le sue mani ricaddero prive di forza.
Sylviana gli fece poggiare
il capo a terra. Le palpebre erano sempre più pesanti, il collo un blocco di pietra. Nelle sue orecchie, il suono dei suoi tacchi era sempre più ovattato e lontano.
– No, Sylviana! – Tetsuro , ormai, era un'indistinta macchiolina marrone.
Nero. Il rumore d'un altro sparo. Buio e silenzio.
Riprese coscienza a fatica, chissà dopo quanto.
Aveva la testa confusa, le palpebre
incollate e un sapore amaro in bocca. Mosse il capo: la nuca era
sudata, il collo indolenzito.
Aprì gli occhi. Sopra di lui, oltre il cupolino d'un caccia
spaziale, brillavano milioni di stelle.
Il suono d'un motore e la voce di Sylviana riecheggiarono ovattati
nella sua testa.
Tentò di sollevarsi, per scoprire che era assicurato al
sedile
da una cintura di sicurezza e che indossava una tuta spaziale.
– Fa' piano. La ferita alla spalla era profonda.
Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce.
Lei era seduta al posto di guida, la cloche tra le mani e lo sguardo
puntato sugli strumenti.
– Non è stato... un sogno... vero?
Lei scosse la testa.
Ishikura si ributtò all'indietro sul sedile e le lacrime gli
annebbiarono di nuovo la vista.
Sbatté le palpebre. Sulla fronte di Sylviana c'era un livido bluastro.
– Sono stato io? – Ishikura tese la mano per sfiorarlo e
la ritrasse – Mentre...
Lei non si voltò nemmeno.
– Ho passato di peggio – scrollò le
spalle – Sta' tranquillo.
– Mi spiace. Avevo perso la testa... io...
– T'ho detto di stare tranquillo –
sbuffò lei
– So come ti sei sentito in quel momento. Anzi, sai che ti
dico?
Se non avessi versato nemmeno una lacrima, ci avrei pensato io a farti
piangere... a furia di sganassoni.
– Dove siamo?
– Nel mezzo della fascia di asteroidi.
Tetsuro
ha ritenuto più sicuro che ce la facessimo fino a Giove con
questo caccia, prima di riprendere il Galaxy Express.
– Già... Tetsuro! – una lieve vertigine
lo costrinse
di nuovo indietro sul sedile – E il Dottore, Tadashi, la
Signora
Masu! Dove...
– Sono al sicuro, non preoccuparti – Sylviana
ruotò
la cloche quel tanto che bastava ad aggirare un piccolo asteroide
– Appena è finito tutto, siamo andati al rifugio
22-B. Mai
visto niente del genere. C'è davvero di tutto, là
sotto,
e che organizzazione! Non credo che ci siano ancora uomini di Thorn
in giro, ma li vorrei proprio vedere a dare l'assalto a quel posto!
Bé, immagino che aver fatto parte della Resistenza abbia i
suoi
vantaggi, dal punto di vista strategico...
– Thorn... lo hai...
– Consegnato all'Esercito Federale – Sylviana storse la
bocca
– In via ufficiosa, per ora. Meglio non allarmare
Odhrán
prima che il laccio si stringa... e si stringerà presto,
credimi.
– Il chip – un nodo gli strinse la gola.
– Già – Sylviana rallentò e
si voltò a
guardarlo – È intatto, proprio come aveva detto
Minoru...
e se Yuki e Zero han fatto quel che dovevano, in mano al Tappo
sarà la prova decisiva.
Ishikura sospirò. Sylviana si voltò a guardarlo.
– Tetsuro m'ha chiesto di riferirti che si
occuperà lui
di Minoru – fermò i motori – E
s'è
raccomandato di ridarti questo.
Da sotto il sedile, tirò fuori il suo diario. Lui lo prese
in mano e lo sfogliò.
– Credevo che fosse una prova, ormai...
– Lo è. Ma dopo la deposizione, tuo fratello ha
scritto anche una lettera per te. Non l'abbiamo letta.
Ishikura aprì il diario nel punto in cui era stato spostato
il segnalibro.
La pagina era coperta dalla grafia tonda e minuta di suo fratello.
Una lettera... di certo, le spiegazioni che aveva promesso di dargli. E
un addio definitivo.
Restò a fissare il foglio, incapace sia d'iniziare a
leggere che di richiudere il diario.
Dopo un po', il rumore della cintura di Sylviana che veniva slacciata
ruppe il silenzio.
Ishikura si guardò intorno. Erano fermi.
– Posso prenderne una pagina?
Lui la guardò interdetto. Di tutto ciò che
avrebbe potuto
fare o chiedergli, era l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettato.
Strappò un foglio poco prima del centro e glielo porse, chiuse il diario e la osservò dividere la
pagina, piegare la carta in metà precise e dar vita a
complicati incastri.
– Cosa stai facendo?
Lei gli mise fra le mani la sua opera e passò alla
seconda
metà del foglio – Hai un cognome giapponese e non sai cos'è un
origami?
– sorrise – Si chiama rosa Kawasaki.
Ishikura guardò il pezzo di carta sul suo palmo. Sembrava
davvero una piccola rosa appena dischiusa.
– Cosa...
– Mettiti il casco.
Rinunciò a chiederle altro e fece come gli aveva detto. Lei decompresse la cabina e aprì il
cupolino. Erano fermi su un piccolo asteroide, grande quanto bastava
per il caccia ma troppo piccolo per scendere.
Sylviana si alzò, chiuse gli occhi, mormorò
qualcosa e aprì la mano.
Un leggero impulso e l'assenza di gravità fecero volare il
piccolo fiore di carta fra le stelle.
– Sai, io non so se ho dei fratelli, da qualche parte
–
mormorò – La cosa più
simile a una
famiglia che abbia mai avuto sono stati i Rosa Rossa. Quando uno di noi
moriva non c'era mai un funerale, per ovvi motivi... solo una croce
senza nomi all'imbocco della Red Valley dove chi sopravviveva andava a
posare una rosa rossa. Minoru non è sepolto qui e quello era
solo uno stupido fiore di carta, ma quando questa storia
sarà
finita, ti prometto che andrò a deporne uno vero sulla sua
tomba. So che non è un granché, ma in fondo basta
il
pensiero, no?
Ishikura rigirò fra le mani la rosa che gli aveva
dato, poi la lasciò andare come aveva fatto lei e la osservò sparire pian piano fra le
stelle.
– Vuoi dire che adesso mi consideri un tuo compagno?
– Come spia fai sempre schifo – Sylviana gli sorrise – Ma sei una brava persona e di te posso fidarmi... non è una cosa che posso dire di tante mie conoscenze, sai?
– Grazie.
Restarono ancora l'uno accanto all'altra per un po', immersi nella
quiete dello spazio infinito e nei loro pensieri, poi lei gli
posò una mano sulla spalla.
– Puoi piangere un altro po', se vuoi.
Lui scosse il capo e si sedette.
– Non c'è tempo – attese che Sylviana s'accomodasse
al posto di guida e premette il pulsante di chiusura del cupolino
– E poi, sin da piccolo, lui ha sempre odiato vedermi frignare...
Credo che, se fosse qui, mi direbbe che l'unica cosa decente che posso
fare, ormai, è fermare quei pazzi.
Lei annuì, allacciò la cintura e
avviò i motori.
– Ce n'è un'altra – con un rapido
movimento del polso, gli trafisse di nuovo il collo – Buona
notte.
– Sylviana, sei sempre la solita vip...
Buio.
Su consiglio di Jose, ho
diviso questo capitolo in ulteriori due parti... in effetti, era
davvero troppo lungo! Thank you!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 40 *** Per te, per me, io voglio vivere! ***
cap 8
Tadashi distolse lo sguardo dalla sagoma della
Nèmesis ormai lontana e lo riportò sul Dottore,
ancora impegnato a ricucirgli la ferita alla spalla.
Tamburellò con le dita sul bordo del lettino e riprese a
guardare fuori.
Non si sentiva tranquillo. Per niente.
Ora che era uscito da quella sala di comando e s'era tolto di dosso
tutto quel sangue, ora che la vista del corpo inerte di Harlock non gli
sconvolgeva la mente tanto da rendergli impossibile anche solo pensare
alle cose più semplici, ora che non si sentiva
più rimescolare il sangue e lo stomaco ed era un po'
più calmo, si rendeva conto che avrebbero dovuto distruggere
quella nave.
Era certo che anche Yuki ci avesse pensato, e molto prima di lui.
Forse ci avevano pensato tutti, ma con lui ancora
là dentro nessuno aveva avuto neppure il coraggio di
proporlo.
– Non tormentarti, ragazzo mio – il Dottor Zero
smise di applicargli i punti e si concesse una sorsata di liquore
– Hai fatto ciò che potevi.
– L'ho ucciso – Tadashi lo guardò negli
occhi – E non sono neanche riuscito a farlo da solo. Ho
lasciato che Yuki...
Un nodo gli chiuse la gola. Serrò il lenzuolo fra le dita,
furioso con se stesso.
Sul momento, il gesto di Yuki gli aveva dato coraggio e scaldato il
cuore: quella mano stretta alla sua attorno al calcio della pistola era
stata la risposta più chiara e definitiva a tutti i dubbi e
le domande inespresse che lo tormentavano ormai da anni.
Ma non avrei dovuto
lasciare che la sporcasse col sangue del suo Capitano.
Era stato un debole, un egoista: tanti buoni propositi, ma alla fine
aveva lasciato che lei si sobbarcasse un peso enorme per aiutarlo, per
proteggerlo.
Un'altra volta.
Ripensò al suo volto stanco e ai suoi occhi cerchiati di
blu per la mancanza di sonno nel periodo in cui era stato ferito, alla
sua camicia da notte strappata, ai lividi e alle bruciature sul suo
braccio mentre la stringeva a sé nel giardino di casa loro.
Si sentì una nullità.
– Piantala di rimuginare, Tadashi – il
Dottore gli lanciò uno sguardo complice e bevve un altro
sorso – Yuki è una donna, ormai. Ciò
che cerca non è più un Principe Azzurro che la
protegga dai mali del mondo ma una persona con cui condividere le sue
scelte, che le stia accanto da pari a pari... e sai una cosa? Harlock
ne sarebbe felice, come sarebbe felice di vedere che alla fine ha
scelto te. E vorrei ben vedere – strinse il nodo di
fissazione con un ghigno – Avrebbe vinto un bel paio
di bottiglie di Chateau Margaux del diciannove: più di
ottomilaseicento crediti al litro, accidenti a lui!
– Cosa? – Tadashi fissò il Dottore.
Quella storia gli giungeva nuova.
Il medico posò l'ago, si sciacquò le mani e le
asciugò.
– Avevamo fatto una piccola scommessa, solo noi due
– con una pinza afferrò una garza, la immerse nel
disinfettante e tamponò la ferita – Il Capitano
sarà stato anche orbo da un occhio, ma ci vedeva lungo.
Gli occhi di Tadashi si spalancarono al pensiero del raffinato, austero
Harlock che s'abbassava ai rozzi passatempi in voga fra gli uomini
della sua ciurma, uno dei quali era appunto scommettere
sull'identità del futuro partner di Yuki. Il Dottore lo
guardò divertito.
– Che c'è di strano? – srotolò la benda – Era un pirata
anche lui, in fondo, era giovane... e a volte aveva bisogno di svagarsi
in modo stupido, come tutti quanti.
Il pensiero strappò un sorriso a Tadashi.
– Lo sapeva che Taro e Kiddodo davano come favorito proprio
lui?
– Altroché – il Dottore diede una
vigorosa stretta alle bende attorno alla sua spalla – E credo
che fosse anche consapevole di cosa provasse Yuki nei suoi confronti.
Però...
– Però?
– Già allora desiderava che quella vita da
fuorilegge senza radici fosse solo una parentesi per lei... e, in
seguito, anche per te. Eravate così giovani –
sospirò – Tutta la vita davanti, tante
possibilità quante le stelle nel cosmo... Una volta, credo
sotto gli effetti di qualche bicchierino di troppo, mi
confidò che non trovava giusto obbligarvi alla sua stessa
vita da fuorilegge esiliato, che sognava per voi ciò che
Tochiro aveva sognato per Mayu: una vita normale, felice, sulla Terra. Sai, Tadashi, il giorno in cui decise di farci sbarcare non mi
stupii nemmeno un po': covava quell'idea ormai da tempo. La guerra
contro le Mazoniane gli offrì l'occasione giusta e lui la prese al volo...
Tadashi serrò ancor di più il pugno.
– Forse, visto come sono andate le cose, avrei dovuto...
– Insistere? Rimanere a bordo a ogni costo come fece Mime?
– il Dottore annodò la benda e gli diede una
leggera pacca sul petto – Non sarebbe cambiato niente. E poi
aveva ragione, ragazzo mio: sulla Terra c'era bisogno di noi. Di te, di
Yuki, di quello scombinato di Yattaran e di quel sentimentale di Maji,
della vecchia Masu con la sua grinta e persino di me, vecchio ubriacone
che non sono altro. Quello che non c'è stato verso di fargli
capire, per quanto ci abbia provato – afferrò la
bottiglia e bevve un lungo sorso – Era che c'era bisogno
anche di lui, soprattutto
di lui. Per certe cose ci vedeva lungo, già, ma per altre
più che orbo era proprio cieco... un cieco che non voleva
vedere, oltretutto, ostinato come un mulo!
Il Dottore si ripulì la bocca sulla manica del camice e
sospirò.
La durezza del suo tono era smentita dal suo sguardo, ed entrambi
ricordarono a Tadashi quelli di suo padre nel lungo e difficile periodo
di ribellione che lui aveva attraversato dopo la morte di sua madre: la
stessa ansia, lo stesso rammarico, lo stesso affetto mischiato a senso
di colpa.
– Quello sciocco – il Dottore bevve un altro sorso
– Non ha mai voluto capire che, oltre a essere il nostro
sostegno, poteva anche farsi sostenere da noi, che era uno di noi. Ma
ormai...
Ormai è tardi.
Di nuovo quel senso di vuoto, di nuovo la voglia di piangere.
Ormai, lui non
c'è più.
Di nuovo la rabbia, il senso d'impotenza... e il rumore del lenzuolo
che si lacerava.
Tadashi aprì il pugno, si alzò dal lettino e
diede un ultimo sguardo oltre l'oblò.
La Nèmesis non si vedeva più.
Infilò le braccia nelle maniche della sua tuta di riserva,
trattenne un gemito e chiuse la zip.
– Come sta... lei?
Il Dottore sollevò su di lui uno sguardo triste.
– Le ho dato un sedativo – posò la
bottiglia vuota su un tavolino e si diresse alla sua scrivania
– Per il momento è meglio lasciarla sola.
– Capisco – Tadashi s'avvicinò alla
porta e premette il pulsante d'apertura.
Il Dottore sollevò Mi dalla sua poltroncina, la
sistemò sulla spalla e si sedette.
– Adesso è sconvolta, ma sono sicuro che non vi
porterà rancore – accarezzò la gatta
– Vedrai, alla fine capirà che non avete avuto
altra scelta.
Tadashi annuì, ma per la verità non ne era
affatto sicuro.
Lui stesso si biasimava per ciò che era successo e sapeva
che, al posto di Mime, perdonare gli assassini del suo amato Capitano
gli sarebbe stato molto difficile.
E non c' è
solo lei...
Mentre percorreva il corridoio che portava al ponte di comando, sentiva
gli occhi di tutto l'equipaggio su di sé e non poteva fare a
meno di pensare che alcuni di quegli sguardi fossero d'accusa. Nulla
sarebbe stato più lo stesso, questo era certo.
No. Non è il
momento di pensarci!
Raddrizzò la schiena e varcò la soglia del ponte
di comando.
Yuki era in piedi, il timone fra le mani e l'espressione risoluta del
Capitano di nuovo stampata sul viso. Non aveva rimesso il mantello, che
ora giaceva piegato in due sulla poltrona di Harlock accanto alla
stampella che il Dottore le aveva dato per sostenersi dopo aver
cercato, a lungo e senza riuscirci, di convincerla a farsi sostituire
al comando.
Tadashi s'avvicinò e strinse le labbra: le bende che le
avvolgevano la gamba ferita erano macchiate di sangue, ma sapeva che
chiederle d'andare a farsi medicare o anche solo di riposare qualche
minuto sarebbe stato tempo perso.
– Quanto manca?
Yuki staccò gli occhi dall'immagine di Futuria sul pannello principale.
– Entreremo nell'atmosfera fra una decina di minuti
– accennò alla sua postazione – Farai
meglio ad allacciarti la cintura di sicurezza.
Tadashi annuì.
Non gli aveva ordinato di tornare in infermeria, non gli aveva chiesto
se se la sentisse di combattere. Un solo sguardo e comprese che era
perché provava i suoi stessi sentimenti: era preoccupata, ma
capiva e condivideva il suo desiderio di fare tutto il possibile per
Mayu, Zero e i loro compagni. E, soprattutto, lo voleva al suo fianco.
Come io voglio lei.
Ripensò alle parole del Dottore e, più che mai,
desiderò quel futuro che li aspettava.
Più che mai, si sentì pronto a lottare fino
all'ultimo respiro.
Le voltò le spalle e andò a sedersi alla sua
postazione.
– Maji, in che stato sono i cannoni?
– Sono operativi al settantadue per cento – le dita
tozze e annerite del Capo Ingegnere digitarono un paio di rapidi
comandi e il pannello davanti a Tadashi si attivò
– I cannoni pulser utilizzabili sono quattro su sei, mentre i
cannoni dimensionali... bé, ne funziona uno solo.
– Le bocche lanciamissili e i tubi lanciatorpedini?
Maji si asciugò una goccia di sudore.
– Operativi solo sul lato sinistro e davanti, quindici su
trentasei – allargò le braccia in un gesto di
scuse – Quella bordata è stata davvero terribile,
peggio di quanto m'aspettassi. Mi spiace, ma con gli uomini e i mezzi
attuali non si può proprio fare di più.
– Ce la caveremo – Yuki impostò l'angolo
d'atterraggio e iniziò la manovra di discesa –
L'Arcadia è uscita da situazioni peggiori.
L'attrito dell'atmosfera fece sobbalzare la nave.
Con un gemito, Yuki s'aggrappò al timone e
raddrizzò la barra.
– Attivare gli scudi! Pronti con i retrorazzi!
Maji premette il pulsante e tirò la leva d'attivazione, gli
occhi fissi sul monitor.
– Scudi attivati, Capitano! – si grattò
la barba – Siamo solo al quarantatré per cento:
presto farà caldo, qui.
– Non immagini quanto – Tadashi strinse i denti
– Nemico a ore nove!
Sul quadrante del radar davanti a lui, una moltitudine di puntini si
muoveva in tutte le direzioni attorno a un punto più grande,
immobile.
La Karyu. Finalmente!
– Quanti sono, Tadashi? – le mani di Yuki strinsero
più forte le barre del timone.
Tadashi avviò la scansione IFF*.
– Almeno dodici squadriglie – scorse la lista dei
codici non identificati – Centodiciotto caccia di modello
sconosciuto. Armamento pesante, a giudicare dalla velocità e
dalle dimensioni.
Ossi duri. Troppo per gli appena sessanta Dagger in dotazione alla
Karyu e forse persino per i Lupi Spaziali ancora in grado di volare.
Yuki strinse le labbra.
– Ci hanno individuati?
Maji armeggiò con i comandi della sua plancia.
– Non ancora. Siamo troppo lontani per i loro radar
– si voltò verso Yuki – Jamming**?
Yuki s'asciugò il sudore dalla fronte. Come aveva previsto
Maji, gli effetti dell'attrito con l'atmosfera cominciavano a farsi
sentire.
– Sì, procedi – si mordicchiò
il labbro inferiore – Quando hai finito, comunica ai
meccanici e alle squadre di riparazione di tenersi pronti.
Tadashi avviò la sequenza d'armamento del cannone
dimensionale e attivò le torrette.
Il vecchio mirino C12-D, “i miei occhi”, emerse di
fronte a lui.
Un altro ricordo di
Harlock...
Dolorosa e inopportuna come una
pugnalata, l'immagine di lui piegato accanto alla sua
poltroncina.
Nelle sue orecchie, la sua voce che gli spiegava come
mirare e far fuoco.
Calma, profonda, inconfondibile.
– Tadashi? – Yuki aveva il tono di chi stava
chiedendo qualcosa per la seconda volta.
– Eh?
– Il Dottore?
Basta... devo
concentrarmi!
Di certo, era quello che avrebbe voluto Harlock. Si voltò
verso Yuki.
– Quando l'ho lasciato, era ancora abbastanza sobrio. Allerto
i Lupi?
Lei scosse il capo.
– Non ancora. Prima voglio liberarmi di quanti più
nemici possibile... e soprattutto aprire un canale di comunicazione con
la Karyu. Devono togliere i loro caccia da lì!
– Non sarà facile – Maji si
leccò le labbra – Di sicuro, anche ai nostri
amichetti sarà venuto in mente di tagliare le vie di
comunicazione a Zero e ai suoi!
Come a conferma delle sue parole, un insistente fruscio e ripetute
scariche di statica uscirono dagli altoparlanti. Sullo schermo
secondario, solo un fastidioso effetto nebbia.
– Continua a provare – Yuki corrugò la
fronte – Tadashi, comunica ai nostri uomini ai tubi di lancio
di prepararsi a far fuoco con le torpedini e i missili a ricerca
automatica IFF. Lanciamo tutto ciò che abbiamo.
Tadashi diede un'ultima occhiata allo schermo del radar e
attivò l'intercom.
– Se solo si levassero di mezzo...
Yuki guardò lo
schermo secondario.
– Non possono leggerci nel pensiero.
Inoltre, ora come ora, anche la Karyu è sulla traiettoria di
tiro.
Tadashi premette l'auricolare e attivò il microfono.
– Ponte sei, mi sentite? Ponte sei...
– Vi riceviamo, ponte di comando – una voce
sconosciuta, forse di uno degli uomini distaccati dalla Karyu.
– Armare tutti i tubi di lancio e le bocche lanciamissili con
torpedini e missili a ricerca IFF. Al mio segnale, fuoco a
volontà.
– Ricevuto.
– Siamo pronti, Yuki.
– Bene. Maji, ancora niente?
– Niente, Capitano – Maji sospirò
desolato – Qui ci vorrebbe quella testa d'uovo di Yattaran...
o anche solo Mime per badare agli scudi e ai sistemi operativi mentre
mi occupo del collegamento. Accidenti, com'è dura fare tutto
in tre!
– Dobbiamo cavarcela da soli – Yuki
aggrottò la fronte – E alla svelta, anche.
Questo era poco, ma sicuro. La situazione, almeno per quanto riguardava
la battaglia aerea, sembrava sfuggire di mano agli uomini della Karyu
di minuto in minuto. Il computer segnalava come abbattuti già venti dei loro
caccia a fronte di soli quindici nemici annientati. Viste le
proporzioni in campo, era una media disastrosa.
Tadashi si voltò verso Yuki.
– Dobbiamo intervenire, o li ammazzeranno tutti!
Yuki controllò l'altimetro. Si trovavano a quattrocento metri dal livello del suolo, mentre i
caccia volavano a quota centotrenta. Tadashi la vide aggrottare la
fronte e gli parve di poterle leggere nel pensiero: c'era il rischio
concreto che i nemici individuassero i siluri nonostante il jamming e potessero risalire alla loro posizione dalla traiettoria di lancio.
Se ciò fosse successo, avrebbero perso l'effetto sorpresa e
quello che lui presumeva fosse il piano di Yuki, ovvero portare lo
scontro lontano dalla Karyu e abbattere il maggior numero di
nemici con un colpo di cannone dimensionale, sarebbe andato a farsi
benedire.
Ma se non facciamo
nulla...
Sullo schermo del computer, i codici di altri cinque caccia Federali
lampeggiarono e finirono nella lista dei velivoli abbattuti.
– Yuki!
Lei distolse gli occhi dallo schermo e
annuì.
– Va bene, fuoco!
– Fuoco! – Tadashi disinserì il sistema
di sicurezza che bloccava le torpedini e i missili nei tubi e diede il
segnale di lancio. Il contraccolpo fece sobbalzare la nave, ma Yuki compensò con una decisa virata a destra e verso il basso.
– Maji, attiva i retrorazzi – il calore era troppo,
bisognava rallentare – Tadashi, situazione!
– Sì – Tadashi si asciugò il
sudore dalla fronte e controllò il monitor – Tutti
i colpi a segno, quindici nemici abbattuti!
– Maji, ci hanno individuati?
– Non credo, a giudicare da come si muovono – Maji
si sistemò la bandana – Il jamming ha funzionato,
ma è solo questione di tempo. Dobbiamo usare il cannone
principale!
Tadashi digrignò i denti.
– Ma così coinvolgeremo i caccia della Karyu!
Maji tirò su col naso.
– Lo so, ma adesso i nemici sono
all'erta – cincischiò col nodo della sua bandana
– Se ricorressimo di nuovo ai missili, ci individuerebbero
seguendo la traiettoria di lancio. Abbatteremmo forse altri quindici di
loro, ma non avremmo più modo di coglierli di sorpresa... e
sarebbero ancora in troppi. Con la nave così danneggiata e
solo la metà dei Lupi in grado di combattere non ce la
faremo mai, senza contare che quelli a terra saranno annientati se
continuiamo a lasciarli fare!
Tadashi sbatté il pugno sulla plancia.
– Maledizione – un altro paio di caccia Federali
fra gli abbattuti – Maledizione!
Yuki diede un'ultima occhiata all'altimetro e allo schermo secondario,
chiuse gli occhi e fece un profondo respiro.
– Maji ha ragione, Tadashi – riaprì gli
occhi e li puntò su di lui – Non possiamo mettere
a rischio i Lupi, la nave e le truppe di terra per salvare una trentina
di piloti destinati comunque a essere sopraffatti. Preparati a far
fuoco col cannone dimensionale. La Karyu è ben corazzata,
reggerà.
La sua voce era ferma, lo sguardo saldo, ma la sua mano tremava sulla
barra.
Se eseguo quest'ordine,
non se lo perdonerà mai.
Anche la sua mano tremò sulla plancia, di rabbia, tristezza
e frustrazione.
No, basta! Non
lascerò che si accolli una responsabilità del
genere un'altra volta!
– Yuki, non...
– Tadashi, per favore, non discutere! Arma il cannone e
preparati al fuoco! È un ordine!
– Ma...
– Ti prego, fa' come ti dico – Yuki abbassò
il capo – Aiutami a fare ciò che è
meglio per tutti. Ho bisogno di questo, ora, non che tu mi protegga da
me stessa.
Yuki è una
donna, ormai. Ciò che cerca non è più
un Principe Azzurro che la protegga dai mali del mondo ma una persona
con cui condividere le sue scelte, che le stia accanto da pari a pari...
– Va bene – Tadashi inizializzò la
sequenza di sparo – Trenta secondi all'attivazione del
cannone, ventinove, ventotto...
– Un momento – la voce allarmata di Maji interruppe
il suo conto alla rovescia – C'è un calo di
potenza nel reattore principale!
Yuki non esitò.
– Attiva i generatori ausiliari e convoglia tutta l'energia
alla sala macchine, computer e alle torrette. Taglia l'alimentazione
agli alloggi dell'equipaggio, alle cucine, alla lavanderia e alla
cabina del Capitano. Se non dovesse bastare, disattiva tutte le
apparecchiature che non siano quelle mediche e quelle di riciclo
dell'aria. Tadashi, non interrompere la sequenza di tiro!
Maji s'affannò sulla sua plancia e Tadashi tornò
a prestare attenzione al monitor.
Altri sei caccia della Karyu e due nemici erano stati abbattuti.
– Dieci, nove, otto...
– Eseguito, Yuki – Maji s'asciugò il
sudore – Calo di potenza rientrato.
Tadashi non poteva vederlo in faccia, ma la sua voce era incrinata.
Il caricamento era entrato nella sua fase finale, l'energia accumulata
era quasi quella massima.
– Sette, sei, cinque...
Yuki diede un'ultima nervosa occhiata allo schermo secondario. Solo
statiche.
Con la coda dell'occhio, Tadashi la vide asciugarsi il sudore... o una
lacrima.
– Quattro, tre, due...
Strinse il calcio con tutte e due le mani, così forte da
farsi male alle dita.
Allineò il mirino con la tacca di mira.
Vi prego, levatevi da
lì!
Una preghiera silenziosa che sapeva non sarebbe stata esaudita.
– Uno...
Poggiò il dito sul grilletto, pronto a far fuoco.
– Arcadia – un fruscio – Siete... Mi...
ite? Passo!
Sullo schermo secondario apparve l'immagine tremolante e instabile del
Comandante Marina Oki.
– Interrompere!
Prima ancora che Yuki desse l'ordine, Tadashi aveva fermato la sequenza
con un sospiro di sollievo.
– Comandante Oki, qui è l'Arcadia, passo.
Un lungo fruscio, un'altra interferenza. L'immagine si
stabilizzò.
– Capitano Kei – Marina appariva tesa quanto Yuki,
se non di più – Arrivate al momento giusto! Questi
caccia ci sono piombati addosso all'improvviso, proprio quando
credevamo d'aver messo in sicurezza l'area attorno alla base nemica...
– Lo so – Yuki diede un'occhiata all'altimetro
– La Nèmesis era un diversivo. Fin dall'inizio, il
loro scopo è stato separarci e accerchiarvi mentre eravate
impegnati a irrompere.
Marina spalancò gli occhi ma si riprese in fretta.
– Potete fare qualcosa?
– Fate ritirare i vostri caccia e cercate di scrollarvi di
dosso quelle pulci. Spareremo col nostro cannone dimensionale, poi manderemo fuori i Lupi Spaziali a darvi manforte.
– Non possiamo – Marina si morsicò il
pollice – Siamo in pochi e, anche se riuscissimo a decollare,
non potremmo più dar copertura alle nostre truppe di terra.
La battaglia è stata durissima, è ancora in corso
e ci sono molti feriti: se adesso li lasciassimo allo scoperto non
sopravviverebbe nessuno. Non potete far uscire i vostri uomini senza
sparare?
Yuki scosse il capo.
– La nostra flotta è troppo leggera per armamento
e insufficiente per numero. Inoltre abbiamo subìto parecchi
danni.
– Allora l'unica è attirarli lontano dalla Karyu,
in un punto in cui possiate sparare senza rischi. Dove siete?
Yuki diede un'altra occhiata all'altimetro.
– Maji, inviale le coordinate – tornò a
rivolgersi allo schermo – Comandante Oki, abbiamo poco tempo:
fra una decina di minuti saremo a duecento metri di quota e i loro
radar ci rileveranno.
Marina aggrottò la fronte.
– Capisco – si passò una mano sul mento,
pensosa – Siete in grado di colpire in meno di venti secondi?
– Tadashi?
– Non alla massima potenza, ma sì, ce la possiamo
fare.
– Bene – Marina digitò qualcosa sulla
tastiera davanti a lei – Allora preparatevi a far fuoco alle
coordinate che vi ho appena inviato. Signor Breaker, contatti Hiryu tre
e gli ordini di far ritirare la squadriglia seguendo il percorso che ho
appena tracciato!
– Laggiù? – la voce del radarista
meccanoide era alterata, forse dai disturbi della comunicazione, forse
dallo stupore – A così bassa quota?
– Si sbrighi, Breaker, è la loro unica
possibilità... e forse anche la nostra!
Tadashi inserì le coordinate nel sistema e il computer gli
rimandò le immagini d'uno stretto canyon innevato.
Ghignò.
E bravo il Comandante
Oki.
Per quanto azzardata, era una buona idea.
– Preparatevi!
Sullo schermo del radar, i caccia superstiti della Karyu si misero in
formazione e s'allontanarono dalla nave madre. I
veicoli nemici partirono all'inseguimento.
Tadashi riavviò la sequenza d'armamento del cannone e lo puntò sull'obiettivo.
– Pronto a far fuoco, Karyu.
– Siamo a duecentocinquanta metri di quota – la
voce di Maji.
– Non ancora – Marina si scostò una
ciocca di capelli dalla fronte.
La squadriglia Hiryu perse un altro dei suoi membri, quella meccanoide
imboccò il canyon.
Tadashi mirò.
– Duecentoventi!
– Non ancora...
Sullo schermo, i piccoli Dagger Federali sfrecciarono lungo le
rupi sotto di loro e li oltrepassarono.
Tadashi posò il dito sul grilletto.
– Duecentodieci!
– Non ancora!
I caccia nemici apparvero in una frazione di secondo.
– Ci hanno rilevati!
– Adesso! Fuoco!
Tadashi premette il grilletto.
La luce del cannone lo abbagliò, il contraccolpo fece
vibrare l'Arcadia e la rallentò per un millesimo di secondo.
Sullo schermo, i caccia che si trovavano in mezzo alla formazione
nemica si vaporizzarono mentre gli altri, dietro e davanti, andarono in
pezzi, s'avvitarono e si sfracellarono contro le rocce.
Una valanga di neve, massi e tronchi d'alberi morti seppellì
i superstiti.
Yuki era finita a terra. Strinse i denti, si aggrappò al
timone e si rialzò.
– Situazione?
Tadashi controllò sullo schermo.
– Tutti i nemici abbattuti – s'asciugò
un rivolo di sudore dalla fronte – Trentuno superstiti nello
squadrone Hiryu.
Sullo schermo secondario il volto di Marina s'intristì, ma
lui si sentì felice per esser riuscito a salvare almeno
quelle poche vite. Si voltò verso Yuki. La sua espressione, adesso, era più distesa.
– Fa' uscire i Lupi. L'ordine
è di sorvolare la zona in cerca di eventuali superstiti e
quindi unirsi alla squadriglia Hiryu in appoggio alle truppe di terra della Karyu. Lo stesso vale per i nostri incursori.
Tadashi si alzò.
– Esco anch'io. Col Bullet Four.
Maji lo squadrò dalla testa ai piedi e inarcò un
sopracciglio.
– Non mi sembra una buona idea, conciato come sei.
Tadashi alzò le spalle con fare noncurante.
– Il peggio è passato, là fuori
– soffiò via una ciocca di capelli dall'occhio
– Ormai è solo questione di tempo
perché gli uomini di Zero, la squadriglia Hiryu e i Lupi abbiano ragione delle loro truppe di terra. Contro dei caccia
pesanti non servono a un granché, ma qualche mezzo corazzato
e la fanteria sono un altro discorso.
Si avvicinò a Yuki.
– Ho il permesso di andare, Capitano?
Lei lo guardò, un'ombra di tristezza in quei bellissimi
occhi azzurri.
– È inutile che tu me lo chieda – diede
un mezzo giro al timone – Tanto farai ciò che
vuoi, qualunque cosa io dica.
Tadashi si grattò la nuca.
– Bé, in fondo sono un pirata –
sfiorò la sua mano sulla barra – E su questa nave
viviamo tutti sotto la bandiera della libertà, giusto?
– Maji, puoi sostituirmi un momento? Ho già
impostato l'angolo e le coordinate d'atterraggio.
Il Capo Macchinista inserì l'automatico, si alzò
dalla sua postazione e raggiunse il timone.
Yuki si voltò verso la poltrona di Harlock,
sfiorò il mantello e afferrò la stampella.
Le bende attorno alla sua coscia erano intrise di sangue e zoppicava in
maniera vistosa ma camminava spedita, senza un solo
lamento. Tadashi la seguì in silenzio fino alla porta dell'hangar.
– C'era qualcosa che volevi dirmi?
Yuki abbassò lo sguardo sulla gamba ferita e strinse il
pugno libero.
– Vorrei venire con te – sospirò
– Ma mi rendo conto che in queste condizioni sarei solo un
peso.
Lui le posò le mani sulle spalle e le sorrise.
– Non dirlo. Sei il mio sostegno, sempre. Senza di te, a
furia di far sciocchezze, sarei già morto una dozzina di
volte.
– Soltanto? – le sue dita si strinsero di nuovo attorno alla sua mano, le
sue labbra si incurvarono all'insù.
Gli venne voglia di fare il buffone come aveva fatto con Mayu sulla
Karyu solo per vederla ridere di nuovo, senza ombre.
– Per chi m'hai preso? –
sollevò il mento e le fece il broncio –
La maggior parte delle volte me la sarei cavata lo stesso.
Lei gli afferrò la nuca e lo obbligò a guardare
in basso. Sorrideva.
– Vedi di farlo anche stavolta, allora – gli si
avvicinò, posò una mano sul suo petto – Fa' finire tutto questo, riporta qui
Mayu e torniamo sulla Terra a vivere il nostro futuro. Io e te insieme.
Tadashi si chinò su di lei, il cuore in gola.
Sentiva il calore della sua pelle, il suo odore.
Sotto la sua mano, i suoi capelli erano morbidi come sempre, le sue guance lisce, le sue labbra calde e delicate.
Gliele fece socchiudere con un dito, le fece alzare il mento e la baciò.
Lei non si ritrasse, affondò le dita nei suoi capelli e gli
si premette contro.
Una volta, a Tadashi non sarebbe importato di
morire là fuori, in quel preciso istante.
Adesso, invece, voleva vivere, con una ferocia che non aveva mai provato in
tutta la sua esistenza.
– Cosa c'è da ridere? – Yuki si
staccò da lui.
Tadashi scosse il capo.
– Nulla d'importante – allacciò
più stretta la fondina, controllò il livello di
carica della Dragoon e le diede le spalle – A presto,
Capitano.
Gli sembrò di metterci anni a percorrere quella scala,
secoli a raggiungere il Bullet.
Il brusio dei piloti, dei meccanici e degli altri uomini affaccendati attorno ai veicoli gli arrivava
lontano, attutito.
La voce di Maji risuonò nell'hangar proprio mentre apriva lo sportello del Bullet.
Ci siamo.
Qualche breve sussulto, il suono della sirena e un viavai caotico di
gente attorno a lui.
Il portellone s'aprì.
Per te, Capitano.
Tadashi premette sull'acceleratore e uscì.
Per te, Yuki. Per Mayu... e
anche per me.
* Nelle telecomunicazioni, la locuzione identification friend or foe od
IFF indica un sistema automatico elettronico di riconoscimento
amico-nemico progettato per le funzioni di comando e controllo. Si
tratta di un sistema che permette, mediante un'interrogazione, di
identificare un bersaglio e determinarne la distanza.
** Il radar jamming (dall'inglese jam, cioè confusione)
è una delle tecniche di guerra elettronica di tipo attivo.
Consiste nell'emissione intenzionale di segnali radio che
interferiscono con il funzionamento dei radar saturando il ricevitore
con del rumore o fornendo false informazioni agli operatori.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 41 *** Ogni goccia della nostra vita ***
cap 8
Una sensazione come di scarica elettrica gli corse lungo la spina dorsale quando le loro mani si strinsero.
Anche lui l'ha sentita.
Non sapeva come, ma ne era sicuro.
Si guardò attorno: tutto era silenzioso, inerte.
Non una foglia si muoveva sugli alberi e, dalle vie e dai
vicoli intorno a loro, non una parola o il più
piccolo rumore, nemmeno il cinguettio d'un uccello.
Era come se le persone, gli animali e persino il vento fossero spariti,
come se il tempo si fosse cristallizzato; persino il fumo aveva smesso
di salire dal cratere annerito accanto a loro.
Pian piano i contorni della voragine, il tubo ritorto e i resti
anneriti della scarpetta rosa da bambina che stava fissando persero i loro contorni.
Sbatté le palpebre.
L'immagine tremolò e svanì, proprio come avevano
fatto Sayuri, Seiryū e la palazzina.
Si guardò attorno.
Le case, gli alberi, l'asfalto sotto i loro piedi... persino il cielo: tutto diventò bianchissimo,
abbacinante... un enorme spazio vuoto.
Chiuse gli occhi.
Qualcosa scattò in qualche remoto angolo del suo cervello e,
all'improvviso, quello spazio vuoto era anche dentro di lui.
Chi sono?
Zero.
Harlock.
Due voci diverse, due risposte che gli suonavano vere e false allo
stesso modo, nello stesso momento. Due vite, due personalità
opposte... e le sentiva entrambe sue, entrambe estranee.
Che sta succedendo?
È Oneiros. Le
nostre menti si sono unite.
Il suo cuore, due cuori, accelerarono i battiti, inquieti allo stesso
modo, stupiti allo stesso modo.
È assurdo!
Sta' calmo.
Aprì gli occhi e il respiro gli si mozzò in gola.
Vedeva l'altro davanti a sé e al tempo stesso si vedeva
attraverso i suoi occhi.
Ma chi è
l'altro? E chi sono io?
Una domanda che risuonò in due cervelli, carica della stessa
angoscia.
Lo stesso lungo respiro colmò due paia di polmoni, due mani
si strinsero l'una all'altra con più forza.
Ne usciremo. Torneremo
indietro.
Indietro dove?
La risposta non poteva che essere una sola.
Zero e Harlock, Harlock e Zero: nessuno dei due aveva una vera casa...
o ne aveva una enorme, a seconda dei punti di vista.
Il grande Mare delle
Stelle.
Fin da bambino, aveva sempre sentito il richiamo di
quell'immensità oscura puntinata di luci lontane, di quella
vastità infinita: era capace di rimanere a guardarlo per ore
e ore...
Arrampicato sul ramo
più alto di quell'enorme quercia in cima alla collina...
No...
Dal tetto di casa, sdraiato a pancia in giù sulle tegole d'ardesia...
Spalancò gli occhi: due ricordi così diversi,
eppure così uguali.
Un sorriso increspò le sue labbra, si replicò su
quelle dell'altro.
E la Terra...
La sua patria, la sua prigione: un luogo in cui tornare e da cui
fuggire, uno scrigno colmo di bellezza e orrore, di speranza e tristi ricordi.
Il profumo dei fiori, il
cinguettio degli uccelli, il sapore delle fragoline di bosco...
Il fragore delle onde,
il sale sulle labbra, la sabbia fra le dita dei piedi...
La risata di una donna. La dolcezza di un bacio.
Maya...
Sayuri...
E la guerra, nella mente di quella parte di lui che era il Capitano
Warius Zero.
Una guerra che la parte che invece era il Capitano Phantom
Franklyn Harlock non ricordava, non così disperata, non
così...
Quei lampi nello spazio, quelle migliaia di vite spente nel silenzio...
No...
Quei lampi sulla Terra, senza che lui potesse far nulla a parte
protendere una mano impotente verso il suo pianeta indifeso e gridare
come un pazzo, supplicare un nemico che non poteva sentirlo di
fermarsi, trattenere le lacrime davanti ai suoi uomini altrettanto
disperati...
No...
E la fame, il freddo, la miseria, il pianto e gli sguardi ostili degli
orfani e dei genitori che avevano perso i loro figli nel vedere la sua divisa, le case sventrate
e ovunque quella cenere sottile, nera come la pece, che penetrava nei
vestiti, negli occhi, persino nel cuore.
Una tomba vuota in un cimitero bruciato, sotto la pioggia battente...
Sayuri... Seiryū...
Una bara colma di rose bianche che s'allontanava nel Mare delle
Stelle...
Nel punto in cui gli
anelli del tempo si ricongiungono, noi ci incontreremo ancora, amore
mio...
Nella mente di Harlock un'immagine, come un lampo: un donna,
immobile oltre il vetro di quella capsula, bianca come quelle rose,
morta come quelle rose... e ancora bellissima, proprio come quelle
rose. Le sue dita che correvano sul coperchio liscio in un'ultima
carezza, il suo sguardo che indugiava su quel viso ormai esangue e sul
contrasto di quei lunghi capelli biondi sul nero del Jolly Roger.
Maya! No...
Il cuore di Zero si strinse, quello di Harlock cominciò a
battere forte, fino a far male.
Sì. Purtroppo
è successo davvero.
Un pensiero di Harlock o di Zero? Non lo sapeva, ma sapeva che era la
verità. Lo sapevano tutti e due.
In due menti che erano una, un'esplosione improvvisa di luce bianca e
dolore lancinante.
Partiva dall'occhio destro, pulsava nella testa al ritmo
incalzante e ossessivo dei battiti del suo cuore e ogni battito gli
toglieva un po' più di respiro, lo portava un po'
più vicino alla follia, come se dalla sua orbita bruciata,
oltre al sangue e ai frammenti gelatinosi del bulbo oculare
spappolato, colassero via anche il suo cervello e la sua ragione...
Oltre un velo rosso e i lampi dei laser, Maya che gli gridava di
andarsene, di restare vivo e sperare che un giorno avrebbero visto
sorgere il sole insieme... Lei appesa su una croce insieme a Emeraldas, le parole d'amore e speranza che gli aveva sussurrato mentre
si spegneva fra le sue braccia e il dolore che gli aveva chiuso il
cuore in una morsa mentre la stringeva a sé nel disperato
tentativo d'impedirle di andarsene...
E sarò la
fiamma nel tuo fuoco.
Gli girò la testa, la nausea lo assalì e
barcollò, barcollarono entrambi.
La sua visione... una delle sue visioni, cambiò di colpo.
Il suo occhio destro, ora, non vedeva più. Ci
passò sopra la mano libera.
Sotto le sue dita, sotto le dita di entrambi, un'orbita vuota
circondata dalle grinzose cicatrici d'una vecchia ustione.
Cos'è
successo?
Un ricordo. Uno vero.
Il ventenne, spensierato Capitano della Death Shadow con la sua linda
uniforme militare sparì in un tremolio ondeggiante. Era
anche lui un ricordo, ormai.
Al suo posto, un pirata con la benda sull'occhio e un lungo mantello
lacero sulle spalle.
Già. Da quel
giorno, Harlock veste solo di nero.
La stessa amarezza in due cuori, in uno che aveva appena rivissuto la
perdita più dolorosa per un uomo e in un altro costretto a
riaprire quelle ferite che conosceva sin troppo bene, a scavare
così a fondo in un angolo che, lo sapeva, l'altro non
avrebbe voluto condividere con nessuno, nemmeno con un amico.
E la tentazione di tornare, non a casa, non nel Mare delle Stelle o
sulla Terra, ma in quel mondo di sogno dove tutto era perfetto, dove le
persone che Zero amava, che Harlock amava, erano vive e al sicuro. Con
loro. Con lui.
Perché tonare
in un mondo dove non ci aspetta niente?
Nei ricordi di Zero, il disprezzo e il sospetto nel tono di voce dei
suoi commilitoni e dei suoi superiori, lo sguardo timoroso e ostile del
giudice della Corte Marziale. Marina che gli spiegava in lacrime che
non avrebbero mai potuto aver figli... e quella tomba vuota,
sempre lì a rimproverarlo di non aver saputo proteggere
coloro che s'erano affidati a lui.
Nei ricordi di Harlock, gli occhi colmi di rancore e paura dei
terrestri, la diffidenza e il rifiuto, i lunghi anni passati a vagare
nello spazio insieme ad altri reietti come lui... e ovunque la stessa
disperazione, lo stesso degrado, la stessa apatia e le stesse
meschinità, le stesse tristi storie, giorno
dopo giorno.
E mostrarsi sempre
forte, deciso e distaccato, essere l'eroico, incrollabile Capitano che
sa sempre cosa fare; soffocare la paura, i rimorsi e la tristezza,
mostrarsi pieno di fiducia in me stesso e nel domani, giorno dopo
giorno...
La stanchezza. Di tutti e due.
La solitudine di chi
muore... e quella di chi resta.
Nei ricordi di Harlock, Tochiro che continuava a lavorare alla
costruzione dell'Arcadia nonostante quella terribile malattia fosse
ormai in fase terminale, senza che lui potesse far nulla anche solo per
alleviare la sua sofferenza... Emeraldas con il cuore spezzato che
spariva per sempre nello spazio affidandogli la sua pistola e una
bambina a cui sapeva che non sarebbe potuto rimanere accanto, che
avrebbe sofferto per causa sua...
No, Harlock!
Una vita da fuggiasco fra le stelle, insieme ad altri disperati come
lui, ognuno, a suo modo, solo come lui; fare il possibile per evitare,
in un prossimo futuro, il disastro provocato da uno sfruttamento
incosciente e criminale del pianeta e delle colonie, per combattere le
ingiustizie...
E vedere che non basta
mai.
Capire, giorno dopo giorno, che le sue mani erano troppo piccole per
afferrare tutte quelle che si tendevano in cerca d'aiuto,
che le sue braccia erano troppo deboli per battersi per tutti, che le
sue spalle non potevano reggere il peso di tutto l'universo...
Harlock!
Esser costretto a battersi con un nemico che rispettava più
della sua stessa gente e di cui capiva le ragioni, senza
pietà, fino all'ultimo... perché nessun altro l'avrebbe fatto al posto suo e perché la pace non era
possibile.
Vedere le sue speranze e i suoi sogni, il suo fuoco,
spegnersi giorno dopo giorno...
Amare e odiare allo stesso tempo tutti coloro che lo tenevano ancora
legato a quell'esistenza fredda, solitaria, senza speranza di riscatto
o amore, senza futuro: Yuki, Tadashi... e Mime, il Dottore, Yattaran e
Maji, la vecchia Masu, Tetsuro, Maetel, e anche lui, Zero, a cui aveva
promesso che un giorno si sarebbero incontrati di nuovo nel Mare delle
Stelle...
Tanti volti, di vivi e di morti, voci che chiamavano il suo nome,
con affetto, odio, indifferenza, ammirazione o disprezzo...
Smettila, Harlock!
Così impazzirai!
La testa gli girava, pulsava, ma non riusciva a fermarsi... non voleva
fermarsi.
Calmati!
La stanchezza... tanta, tanta stanchezza. Il desiderio d'affidare il
suo sogno e i suoi fardelli a qualcun altro e sparire per sempre nel
buio infinito dello spazio, trovare un posto in cui morire, riposare, finalmente...
Lo so... Lo so.
Nei ricordi di Zero, un bicchiere di cui sapeva solo di non dover mai
lasciare che si vedesse il fondo e che perciò continuava a
riempire e riempire e riempire in attesa di quella pace che solo
l'alcool riusciva a dargli, l'odore pungente e la ruvidezza della
pelle d'un sacco da boxe ormai sformato dai colpi sotto la
guancia sudata mentre cercava di riprendere fiato... o di svenire, così, forse, avrebbe avuto un po' di benedetto oblio.
Il suo cappello e quello di Kaibara che cadevano l'uno accanto all'altro
nell'hangar della Base, un lampo bianco che si faceva rosso e la sua
testa che scattava da una parte, il
sapore metallico del sangue nella bocca e un dolore pulsante alla
mascella.
C'è ancora
così tanto che vale la pena di proteggere!
La sagoma della Karyu contro il sole di Futuria mentre stringeva a
sé Marina e le chiedeva di combattere al suo fianco,
perché aveva bisogno di lei, adesso... il tintinnio metallico di una chiave inglese che cadeva sul pavimento umido della stiva mentre la baciava.
– Non volterò le spalle al nostro futuro. Io lo
affronterò, per quanto duro potrà sembrarmi... e lo farò con
te!
Il suo equipaggio, finalmente unito, che rifiutava d'abbandonare la nave, d'abbandonare lui, anche se ciò avesse voluto dire morire insieme a lui.
Possiamo riuscire a
capirci, a imparare dagli errori del passato ed essere felici... e non solo nei sogni!
Finché sulla Terra sorgerà ancora il sole,
finché ci sarà anche un solo cuore gentile,
non dobbiamo arrenderci! Gioia e dolore si alterneranno sempre nelle nostre vite, ma non dobbiamo smettere di credere nel domani, perché possiamo fare a meno di tutto, ma non della speranza...
Nei ricordi
di Harlock, un nastro che scorreva, la voce di Maya nel buio e nel
silenzio del ponte di comando dell'Arcadia.
– Cerca di restare vivo,
vivi per sempre! Ora io posso vedere, nel profondo del tuo cuore, una
fiamma che brucia: è la fiducia nel domani...
Tadashi in piedi davanti a lui fra le macerie di Megalopolis, il volto d'un bambino e l'espressione
d'un uomo, che gli prometteva di costruire una nuova storia. Lui, Yuki
e Mayu che correvano dietro all'Arcadia in fase di decollo e lo salutavano con sorrisi colmi di speranza.
E Tochiro, ormai mezzo addormentato e in preda ai fumi dell'alcool, che gli
confidava che, nonostante tutto, avrebbe sempre amato la Terra, che
avrebbe sempre pregato e lottato per il suo futuro e che avrebbe voluto
far crescere là i suoi figli, se mai ne avesse avuti.
Il pugno di Zero si strinse.
Il pugno di Harlock si strinse.
In due menti, un solo pensiero.
Voglio tornare.
E lottare, anche se
forse non basterà, anche se forse lo faccio
perché non mi resta nient'altro... perché ogni
goccia della nostra vita è preziosa e va assaporata fino in
fondo, anche quando è salata.
Voglio tornare. E
chiudere tutti i conti in sospeso.
Nei ricordi di Harlock, lo stupore che lo aveva paralizzato nel vedere
Tochiro ed Emeraldas venirgli incontro nell'hangar di quell'enorme nave
nera sconosciuta.
Un passo avanti, la mano del suo fraterno amico che si protendeva verso
di lui... e il buio, i ricordi frammentari e sbiaditi di voci sconosciute, dell'odore di disinfettante e di una luce fortissima oltre un
coperchio di vetro, di qualcosa che lo teneva inchiodato sulla schiena
e di una risata folle e crudele, priva di gioia.
Nei ricordi di Zero, la voce fredda di Kurai mentre parlava di Harlock
come di una qualunque cavia da laboratorio, le immagini di quel vecchio
video sgranato e le foto delle autopsie del Dottor Ban.
Matia che gli puntava il folgoratore addosso sotto le lune di Heavy
Meldar.
Chiusero gli occhi, le loro volontà concentrate sullo stesso
obiettivo.
Torniamo a casa.
Quella specie di scossa li fece fremere un'altra volta.
Ci siamo.
Un baluginio nel bianco attorno a loro, un palpito d'una frazione di
secondo.
Nella mente di Harlock, la colonia Elpìs inquadrata nel
mirino del cannone dimensionale, sullo sfondo azzurro dei mari della
Terra e su quello nero dello spazio. Il bagliore del raggio, lo
spostamento dovuto al rinculo e subito dopo le luci intense di
quell'esplosione silenziosa, i detriti che si disperdevano nello spazio
o venivano catturati dall'atmosfera terrestre.
No... è
impossibile!
Che significa?
Tadashi che si stringeva al petto la mano sanguinante e canticchiava il
ritornello di quella vecchia canzone, gli occhi sbarrati fissi su di
lui.
Lo scatto del percussore della Dragoon e il sollievo nel vederlo crollare a terra, come se avesse finalmente ucciso il
fantasma di ciò che era stato un tempo e non sarebbe mai
più tornato a essere, quei sogni e quel futuro per cui
tanto aveva sofferto e lottato e che non si sarebbero mai realizzati.
– Perché,
Capitano?
No, Harlock!
Che significa tutto questo,
Zero?
Yuki a terra sotto di lui, i capelli arruffati, il braccio destro
coperto d'ustioni e una camicia da notte lurida e strappata indosso, che lo
guardava attraverso un velo di lacrime.
Il desiderio di premere il grilletto, di liberarsi per sempre del peso e delle responsabilità
che lei rappresentava, dei sensi di colpa, della nostalgia, dei ricordi e dei desideri
che provava ogni volta che la vedeva.
– Capitano... dimmi che
non è vero!
Che significa?
E lei. Quella ragazzina esile col volto di Emeraldas e i colori di
Tochiro che gli puntava addosso la pistola alla luce fioca della luna.
– Ma tu... tu sei...
Il suo braccio che si alzava, senza esitazione, il suo occhio che
guardava nel mirino e inquadrava il suo cuore. Lei era l'ultimo, vero
legame, la catena che lo legava a un mondo che non lo voleva, a quella
vita senza speranza.
Se premo il grilletto,
sarò libero.
No!
Il loro fu un urlo mentale, privo di suoni, che però
risuonò disperato e agghiacciante nelle loro menti.
Che significa questo? Che
cosa... che cosa ho fatto?!
La parte di lui che era Zero era nel panico, sbigottita.
Attraverso
i sensi di Harlock, sentì il tremito convulso che
gli percorreva la mano e tutto il resto del corpo.
Non
è possibile... non può ricordare questo!
Attraverso gli occhi di Zero, Harlock si vide spalancare su
di lui uno sguardo vitreo.
Allora...
è vero?
La sua bocca si aprì in
un grido muto.
Due cuori che erano uno accelerarono ancor di più i loro battiti già
impazziti.
Il respiro si mozzò loro in gola.
No, Harlock, calmati!
Quello...
Cosa ho fatto?!
Una fortissima sensazione di nausea lo assalì,
assalì entrambi.
Nel centro del suo petto, del loro
petto, una fitta, come la trafittura di una lama, una sensazione
d'oppressione che venne e tornò, un dolore che si espanse
fino alla spalla e poi al braccio, alla schiena, ai denti e alla
mandibola.
Gocce di sudore freddo colarono dalle loro fronti e i loro
occhi s'annebbiarono ancor di più nel bianco abbacinante
che li circondava.
Non avevano punti di riferimento, non c'erano un sopra, un sotto o
delle distanze, ma le loro teste giravano così forte che le loro gambe cedettero.
Una sensazione spaventosa di caduta senza fine e, nei ricordi di Zero, Kurai che indicava un pannello.
Lo shock potrebbe farlo
impazzire: potrebbe non esser più in grado di distinguere
sogno e realtà, ridursi a un vegetale per il resto dei suoi
giorni o addirittura avere un infarto e morire sul colpo.
Era questo che stava succedendo?
Se il sognatore dovesse
recuperare i ricordi e la consapevolezza di sé troppo in
fretta, potrebbe fare la stessa fine che se lo svegliassimo staccando
la macchina. L'onironauta rischia meno, ma se il contatto fra le due
menti fosse troppo profondo...
Un'altra fitta al petto, ancora più forte, un'altra ondata di nausea.
Rabbia, in Harlock e in Zero. Paura. E rimorso.
No...
Il bianco
diventò un nero profondo.
So che questo
capitolo è un po'incasinato, è stata dura venirne
a capo e, a dire il vero, non mi convince molto... accetto a braccia
aperte consigli per migliorarlo!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 42 *** Qualcuno da cui tornare - parte I ***
cap 8
Mayu passò la mano sopra il vetro della capsula
di Harlock e osservò le sue dita contrarsi appena lungo il
suo fianco.
Un groppo le strinse la gola e si sentì di nuovo come
quando, da piccola, restava ore e ore a fissare il cielo nella speranza
di scorgere la sagoma dell'Arcadia.
Ti prego, torna da me!
La bassa risata di Kurai la fece trasalire.
Così non va.
Non devo mostrarmi nervosa o ne approfitterà di sicuro.
Fece un lungo, profondo respiro e lo guardò dritto negli
occhi.
– Che succede, Professore?
– A quanto pare, il Capitano Zero ce l'ha fatta –
seduto alla sua postazione, Kurai distese le braccia dietro la testa
– È stato veloce a stabilire il contatto. Anche se
nei sogni il tempo è dilatato, non m'aspettavo certo...
Mayu gli puntò addosso la pistola.
– Se è tutto a posto, Professore, allora li
riporti indietro – armò il cane – E
niente scherzi.
Un altro sogghigno sul viso di Kurai, uguale a quello di suo padre
nella foto del vecchio manifesto di taglia appeso in camera
sua.
– Su, non essere diffidente come il Capitano Zero, piccola
– il Professore si sistemò gli occhiali
– Ho tutte le intenzioni di farlo, credimi. Come ho
già detto, anche se ho abbandonato lo studio dei sogni da
anni, verificare il funzionamento di Endymion interessa anche a me. E
poi...
– Li riporti indietro – tagliò corto
Mayu – Questo non è un gioco. E sappia che se
dovesse capitare qualcosa ad Harlock o a Zero non avrò
scrupoli a spararle, anche se ha l'aspetto di mio padre!
Kurai mise le mani avanti.
– Calma, piccola. Ho detto che si è stabilito un
contatto, non che i nostri due soggetti sono pronti al rientro.
Digitò un rapido comando e sotto lo schermo con i parametri
vitali di Harlock e Zero se ne accese un altro. Al centro, una finestra
in cui spiccava una barra di caricamento.
Sotto di essa, a una velocità tale che l'occhio non poteva
coglierne cifre e numeri, scorrevano in sequenza quelle che
dovevano essere le funzioni matematiche del programma.
– Prima di dare il via alla procedura di distacco, il
sognatore deve recuperare i ricordi sigillati da Oneiros e l'esatta
concezione di quale sia la realtà al di fuori di esso. Dato
che la psiche del nostro soggetto ha fatto in modo che il
programma cancellasse tutto ciò che gli è
successo da quattordici anni a questa parte, potrebbe volerci un bel
po', anche con l'aiuto dell'onironauta.
Mayu distolse lo sguardo dalla barra e lo riportò sul
Professore, infastidita.
– Potrebbe smetterla di parlare di Harlock e Zero come di due
cavie da laboratorio?
Kurai allargò le braccia.
– La forza dell'abitudine – ridacchiò e
si voltò di nuovo verso lo schermo – Scusami,
piccola, ma è un meccanismo di difesa: fare quel che devo mi
è più facile se evito di pensare a chi mi ritrovo
sul tavolo come a persone con affetti, sentimenti e tutto il resto...
mi capisci?
– No – Mayu scosse il capo – E spero di
non capirlo mai, se è per questo. Si rimetta al lavoro.
Con un sospiro, Kurai si rimise a fissare lo schermo e, per un po', gli
unici rumori furono il ronzio monotono delle apparecchiature e il
ticchettio dei tasti del computer.
Poi un fruscio. Un tonfo attutito.
Mayu abbassò lo sguardo e trasalì di nuovo.
Sia Harlock che Zero s'erano irrigiditi di colpo, le schiene inarcate
e i pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che toccavano il bordo della
capsula.
Sussultarono come colpiti da una scarica elettrica e si rilassarono di
nuovo.
– Ecco, è cominciata.
Mayu seguì lo sguardo di Kurai.
Sullo schermo, i due elettrocardiogrammi mostravano un'intensificazione
del battito cardiaco e anche le onde dell'elettroencefalogramma erano
più ravvicinate.
– Ci siamo. Kurai digitò altre stringhe di comandi e in una finestra laterale alla barra di scorrimento s'avviò una funzione di sovrapposizione dei dati sullo schermo
principale.
Mayu trattenne il fiato.
Pressione arteriosa,
frequenza cardiaca e respiratoria, temperatura corporea, ossigenazione
sanguigna... persino le onde dell'elettroencefalogramma...
– Non è possibile – sussurrò
– Le loro funzioni vitali...
– Già – Kurai annuì, un
sorrisetto soddisfatto che scopriva i grossi denti squadrati
– Perfettamente sovrapponibili. In questo momento, quei due
sono una cosa sola: condividono sensazioni e ricordi e non hanno
segreti l'uno per l'altro. Fantastico, vero?
Sullo schermo inferiore, la barra di scorrimento cominciò a
riempirsi.
Dalla parete di fronte a Kurai fuoriuscì un sottile braccio
meccanico che sosteneva un piccolo monitor. Il professore lo
orientò verso di sé e i suoi occhiali
scintillarono quando lo accese.
– Vuoi vedere quali ricordi stanno rivivendo, piccola? I
flussi di memoria sono sempre molto caotici, ma di solito le immagini
sono chiare, almeno sullo schermo compatto.
Mayu ci pensò. Era tentata.
Anche se non le aveva mai davvero nascosto nulla, sapeva ben poco del
passato di Harlock.
Già. Da
quella volta non ho più avuto il coraggio di chiedergli
niente...
La sua memoria tornò indietro ai suoi sei anni, a una
margherita dal gambo troppo rigido che non riusciva a intrecciare nella
sua ghirlanda e a lui, disteso all'ombra di quell'enorme quercia secca
in cima alla collina, l'occhio chiuso, le mani intrecciate dietro la
testa e un mezzo sorriso compiaciuto stampato sul volto.
Come si chiamava quel ragazzino dell'istituto che allora le ronzava
sempre attorno?
Mayu non se lo ricordava più, ormai, ma ricordava benissimo
quanto quella battuta sul suo “fidanzatino”
l'avesse indispettita.
– Non
prendermi in giro! – aveva sbuffato – Non sei mai stato
innamorato, tu?
Il lungo silenzio che era seguito non l'aveva turbata: Harlock faceva
spesso così e lei ormai aveva fatto l'abitudine ai discorsi
lasciati cadere senza alcun motivo apparente.
S'era voltata con la ferma intenzione di fargli un'enorme, lunghissima
linguaccia, e...
– Una volta.
Ancora adesso, il ricordo della sua voce e della sua espressione mentre
guardava il cielo senza in realtà vederlo le dava
un tuffo al cuore e le chiudeva la gola.
– Una volta...
Allentò la presa sull'impugnatura della Dragoon ma si
riprese in tempo per non farla cadere come aveva fatto allora con il
fiore e la ghirlanda.
Guardò Kurai e scosse il capo.
Il Professore scrollò le spalle e orientò il
piccolo schermo in modo da poter seguire ciò che trasmetteva
mentre digitava sulla tastiera.
– Come vuoi. Del resto, ti capisco: uno è un
pirata, l'altro un soldato... e tutti e due hanno passato la vita in
mezzo al sangue e alle battaglie.
No, non è per
questo.
Per un momento, Mayu fu tentata di spiegargli come, col tempo, avesse
compreso e cominciato a sentire lei stessa la necessità d'uno spazio solo suo, un luogo della mente in cui lasciarsi
trasportare dai sogni, dai ricordi e dalle emozioni... o sfogare il
dolore, la rabbia e tutte quelle passioni e quegli istinti che avrebbe
voluto negare di possedere.
È un mondo
che appartiene solo a loro. Non sarebbe giusto obbligarli a
condividerlo con me.
Come non era giusto che adesso si trovassero l'uno di fronte all'altro
così indifesi e vulnerabili.
Come non era stato giusto giocare con i sentimenti e i ricordi di
Harlock, analizzarli, modificarli, trasformarli in dati da conservare,
trasferire o cancellare... in armi da usare contro di lui in quel modo
crudele.
Osservò il Professore, la sua espressione tranquilla e
concentrata mentre guardava scorrere le immagini sul piccolo schermo
accanto a lui.
Strinse il pugno e si mordicchiò il labbro inferiore.
Anche se glielo
spiegassi, non capirebbe. Per lui questo è solo un altro
esperimento.
Accanto a lei, Harlock e Zero gemettero. Li osservò.
Dietro il vetro delle capsule, le loro fronti erano imperlate di
sudore, i loro petti si alzavano e abbassavano al ritmo d'un respiro
affannoso.
Col cuore in gola, riportò lo sguardo sullo schermo
principale: i battiti cardiaci e l'attività cerebrale erano
aumentati ancora, la barra era al sessanta per cento. Kurai distolse gli occhi
dal piccolo monitor, studiò anche lui quello dei dati e
aggrottò la fronte.
– Così non va.
Mayu mosse un passo verso la sua postazione.
– Che succede?
Il Professore si curvò sulla tastiera e si mise a digitare
come un forsennato
– Il flusso è troppo veloce – si
soffiò via dalla fronte una ciocca di capelli –
Harlock sta recuperando i suoi ricordi troppo in fretta e in modo del
tutto caotico. Forse lo stimolo che ha ricevuto dalla mente del
Capitano Zero è stato troppo potente.
Kurai s'asciugò il sudore dalla fronte e digitò
un'altra sequenza di comandi.
– Non capisco – fissò il monitor e
riprese a battere i tasti, accigliato – Superati i duecento
battiti al minuto, dovrebbe entrare in funzione la procedura
d'emergenza, ma è come se le loro menti non vogliano
staccarsi. È... è del tutto illogico!
Si passò una mano sotto il mento e si voltò verso
di lei.
– Se continua così, rischiamo di perderli tutti e
due. Bisogna interrompere manualmente, scollegare Endymion,
riprogrammare il ciclo sonno-veglia di Oneiros e ricominciare tutto
daccapo!
– Quanto ci vorrà?
– Almeno tre ore, più il tempo necessario a
preparare di nuovo l'onironauta... ammesso che ce la faccia a sostenere
un'altra sessione.
Dal piano superiore o forse dal corridoio, il boato di un'esplosione e
i rumori d'un crollo.
Il pavimento tremò, le luci s'abbassarono di colpo,
sfarfallarono e si spensero.
I generatori autonomi del laboratorio entrarono in funzione con un
ronzio, ma la tensione si ripristinò quasi subito.
Mayu fissò il portellone e strinse le labbra.
C'è una
battaglia là fuori. Questo posto non rimarrà
sigillato ancora a lungo... e c'è il rischio concreto che
subisca dei danni.
Guardò Harlock.
Se avesse deciso di interrompere, forse non ci sarebbe stato il tempo
di farlo tornare in sé e l'avrebbe perso per sempre.
Guardò Zero.
Se avesse deciso di proseguire, l'avrebbe messo in pericolo quanto
Harlock.
Sentì il panico impadronirsi di lei, il suo cuore accelerare
i battiti.
Cosa faccio?
Respirò a fondo, le dita strette all'impugnatura della
pistola, gli occhi fissi sulle palpebre chiuse di quei due uomini il
cui destino dipendeva da lei, da una sua scelta.
Cosa volete che faccia?
Una goccia di sudore colò sulla guancia di Harlock.
Le sopracciglia di Zero s'aggrottarono nel sonno.
Tutti e due serrarono le dita della mano destra attorno alla stoffa che
rivestiva il fondo delle capsule.
– Decidi in fretta, piccola – lo sguardo di Kurai
era fisso sulla la barra – Questi due sono al limite.
Settantasette per cento.
Venti minuti al termine. Duecentosette pulsazioni al minuto.
– Ha detto che sono loro a non volersi staccare, Professore?
– Guarda tu stessa – Kurai digitò
un'altra sequenza di comandi e voltò il piccolo monitor
verso di lei.
Sullo schermo, sullo sfondo d'un bianco abbagliante, l'immagine delle
loro mani strette l'una all'altra con forza, quasi con disperazione.
– Con quelle pulsazioni e quel ritmo cerebrale, dovrebbero
star male. Nausea, dolori al petto e alla testa, capogiri. Il loro
sonno è profondo, ma non tanto da escludere i sensi e le
percezioni reali. Eppure non si fermano, non interrompono il
contatto... anzi...
Le mani sullo schermo si strinsero l'una
all'altra ancor più forte.
Mayu sfiorò la sua ocarina. Chiuse gli occhi.
Ho capito.
– Continui, Professore.
– Ma...
– Ho detto “continui” – Mayu
aprì gli occhi e inquadrò Kurai nel mirino
– Non me lo faccia ripetere.
Harlock,
Zero... tornate da me!
Kurai la guadò interdetto, poi
abbassò la testa, digitò un comando e premette
l'invio.
– Ecco fatto – si ributtò all'indietro
sul sedile della sua postazione e incrociò le braccia sul
petto – Spero proprio che tu sappia quel che stai facendo,
piccola.
Mayu abbassò la Cosmo Dragoon e accarezzò con lo
sguardo i visi di Harlock e Zero.
– Certo che lo so. Ho fiducia in loro. E, soprattutto,
rispetto il loro coraggio.
– Coraggio? – Kurai si sistemò gli
occhiali – Sono due pazzi. Uno rischia la vita per ricordare
ciò che la sua stessa mente ha voluto cancellare, l'altro
rifiuta di riavere indietro i suoi cari pur di tener fede ai suoi
sciocchi princìpi, e per cosa? Per tornare in un mondo dove
li aspettano solo rimpianti e altra disperazione e per mantenerlo
così com'è. Non li capisco, davvero.
– Immagino di no – Mayu sospirò – E mi spiace per lei.
Vuol dire che non ha mai
avuto un vero amico. Qualcuno da cui tornare, nonostante tutto.
Qualcuno che non l'abbandonerebbe mai al suo destino.
Sullo schermo principale, il numero delle pulsazioni diminuì
di un'unità, poi di un'altra.
La curva dell'elettroencefalogramma che andava pian piano delineandosi
sembrava meno acuta delle precedenti.
– Ottantadue per cento – Kurai voltò di
nuovo il piccolo schermo verso di sé – I battiti
sono scesi a centottanta e anche il flusso di memoria sta rallentando.
A quanto pare il peggio...
Un basso sibilo. Un clangore metallico.
Mayu si voltò.
A circa una dozzina di metri da lei, un pannello si era aperto sul
pavimento immacolato della sala.
Ci fu un guizzo nero, poi un altro e un altro ancora.
Meccanoidi!
Il suo primo sparo riuscì ad abbatterne uno sul colpo, il
secondo e il terzo mancarono il bersaglio mentre il quarto ne
colpì un altro alla gamba.
Il meccanoide cadde con un rumore metallico, si rotolò sul
pavimento e rispose al fuoco.
Mayu s'abbassò e il raggio del laser la mancò
per un pelo.
Un altro nemico. Due, tre, quattro colpi in rapida successione lo
fecero ricadere nella botola.
Un lampo illuminò il nero del tunnel sotto di
essa, un denso fumo nero salì dall'apertura.
Il meccanoide ferito sparò una raffica di colpi.
Kurai lanciò un urlo ma, fra il sibilo dei laser e i
battiti impazziti del suo cuore che le rimbombavano nelle
tempie, Mayu non capì le sue parole.
Indietreggiò per cercare copertura e un dolore
acuto le trafisse il fianco.
Strinse i denti per non urlare e abbassò gli occhi: aveva
una grossa scheggia di vetro conficcata appena sopra la cintura della
fondina. Sotto i suoi piedi, ne sentì scricchiolare delle
altre.
Ma cosa...
Sollevò lo sguardo e il sangue le si gelò nelle
vene: la parte inferiore del coperchio della capsula di Harlock era in
frantumi.
Il meccanoide sparò ancora, ma il raggio la mancò
e colpì uno dei pannelli laterali.
Mayu mirò alla sua testa e fece fuoco.
Un lampo accecante le ferì gli occhi, sentì un
rumore come di scarica elettromagnetica e subito dopo un forte odore di
bruciato le riempì le narici. Con un ultimo spasmo convulso,
il meccanoide s'accasciò come un burattino a cui avessero
tagliato i fili fra scintille e sbuffi di fumo
nero.
– Smettetela! – la voce di Kurai, da qualche parte
dietro di lei – Cessate il fuoco! Basta!
Mayu indietreggiò ancora e gemette.
A ogni movimento, a ogni respiro, un dolore lancinante le saliva dal
fianco sino al petto, come se le stessero tagliando via la carne con
una lama arroventata.
Guardò la ferita. Attorno al frammento, la stoffa era
già impregnata di sangue fino all'anca.
Se ti feriscono con un
pugnale o con qualcosa che resta conficcato non cercare d'estrarlo, mai.
Il ricordo del viso accigliato di Tadashi che le mostrava quella
vecchia cicatrice sulla spalla la assalì all'improvviso.
Rischieresti solo di
peggiorare l'emorragia e, soprattutto, il sangue ti renderebbe viscide
le mani. Ricorda: se ti succede, legaci attorno qualcosa, stringi i
denti e lotta con tutte le tue forze o scappa finché non sei
al sicuro...
Con la mano libera, Mayu aprì la piccola bisaccia che teneva
allacciata alla fondina.
Alla cieca, trovò la fasciatura a pressione che il Dottore
le aveva consigliato di portare sempre con sé,
posò il ginocchio a terra e si guardò attorno.
I colpi erano cessati e, a parte il respiro affannoso di Zero e Harlock
e il ronzio dei macchinari, il silenzio era assoluto. C'era ancora un
nemico da qualche parte, ne era sicura, ma non lo vedeva né
lo sentiva muoversi.
Anche Kurai sembrava sparito.
Fece per posare la pistola e srotolare la benda ma si bloccò.
E se stesse aspettando
solo l'occasione giusta per cogliermi di sorpresa?
Lasciò andare la benda e richiuse la bisaccia.
Non ho tempo per pensare
a curarmi, ora. Posso solo stringere i denti.
Guardò Harlock e Zero, immobili nelle capsule.
Devo allontanarmi da
loro, o li metterò in pericolo.
Osservò la sala.
Nessuna via di fuga, nessun angolo o riparo a parte l'enorme parete
cilindrica del computer al centro della stanza.
Di sicuro si
sarà appostato là dietro. Sa che non ho scelta e m'aspetta al varco.
S'abbassò più che poté, strinse i
denti per resistere al dolore e scattò.
Raggiunse il computer senza che nessuno le sparasse addosso e s'appoggiò alla parete, ansimante.
Rimani lucida, sempre.
Nella sua mente risuonò la voce di Yuki.
Valuta tutte le
possibilità, preparati al peggio ogni volta e non scordarti
mai che sei una donna: hai dei limiti sul piano fisico e molti degli
avversari che incontrerai saranno più forti di te... ma se
non ti farai prendere dal panico e saprai valutare fino a che
punto spingerti, ce la farai.
Una goccia di sudore le scese sulla guancia. La mano che stringeva la
pistola tremava, un po' per l'adrenalina, un po' per l'ansia, un po'
per il dolore che le incendiava il fianco ferito.
Calma, devo stare calma.
Attenta.
Ancora, il ricordo di Yuki e Tadashi addossati alla parete che faceva
angolo tra lo studio e l'ingresso di casa mentre le insegnavano le
tecniche di Building Clearing*.
Dietro a ogni angolo
potrebbe esserci un aggressore.
Nei suoi ricordi, Yuki la guardò seria, la canna della Cosmo
Gun sollevata in alto, accanto alla guancia.
Non restare mai ferma
nello stesso posto troppo a lungo, non abbassare la guardia e sta'
attenta a non far sporgere l'arma o i piedi oltre l'angolo di
copertura. Potrebbero disarmarti e romperti il braccio con una mossa
sola.
Mayu si staccò dalla parete, impugnò la pistola
con entrambe le mani e la tese davanti a sé.
Sta' leggermente piegata
in avanti. I tuoi occhi devono vedere il nemico e la tua arma
dev'essere puntata su di lui prima che lui possa vedere qualunque altra
parte di te, così.
Sì, Yuki.
S'allontanò di un passo dalla parete e ruotò di
novanta gradi.
Piano, pasticciona!
Tadashi sghignazzava al suo fianco, la Dragoon stretta nel pugno.
Fa' meno rumore quando ti muovi, o ti sentiranno da qui fino alla nube di
Magellano!
Non aver fretta di
spostarti e soprattutto non incrociare mai le gambe quando lo fai, o
finirai per inciampare.
Lo rivide indicare il punto in cui il muro faceva angolo.
Lo vedi quello?
È il tuo punto di riferimento. Immagina che sia il centro di
un'enorme torta che devi tagliare: ogni passo, una fetta; ogni fetta,
un'area da controllare. Pavimento, angolo opposto, soffitto. Muoviti a
semicerchio lungo il bordo della torta fino a quando avrai finito. Con
calma.
Un passo. Inspira.
Osserva. Espira.
Sì, Tadashi.
Mayu si mosse, tese al massimo i sensi.
Sotto la luce abbagliante dei neon, ogni particolare era nitido come non mai.
Le pareva di poter vedere ogni scanalatura dei pannelli, ogni vite,
ogni singolo granello di polvere nell'aria.
Un passo. Inspira.
Osserva. Espira.
I suoni arrivavano chiari al suo orecchio, anche i più
tenui.
Il ronzio e il bip dei macchinari, il respiro di Zero e Harlock... e
un leggero fruscio alla sua destra, oltre la parete del computer.
Il cuore aumentò di nuovo i battiti, un brivido le corse
lungo la schiena e la gola le si seccò.
Un'altra goccia di sudore le colò dalla fronte fin sotto il
colletto della tuta.
Calma.
Un passo. Inspira.
Osserva. Espira.
Deglutì e si spostò ancora.
Osservò con la coda dell'occhio la postazione di Kurai.
Vuota.
Sullo schermo, la barra di caricamento era quasi al cento per cento.
Cosa farò
quando l'operazione sarà completata?
Scosse il capo e tornò a prestare attenzione davanti a
sé.
Un problema alla volta.
Prima devo mettere in sicurezza questo posto.
Un passo. Inspira.
Osserva. Espira.
Oltrepassò il punto in cui giaceva l' Herakles con le
sembianze di sua madre.
Era ancora immobile su un fianco, gli occhi chiusi e le mani legate
dietro la schiena dalle manette che le aveva messo Zero. Un sottile
rivolo di sangue attraversava la sua fronte di sbieco e le incollava
alla guancia una ciocca dei suoi lunghi capelli rossi.
Un passo. Inspira.
Osserva. Espira.
Lo scintillio di una canna, una sagoma nera sullo sfondo bianchissimo
dei pannelli del laboratorio.
Il meccanoide si voltò con un suono metallico, le
puntò contro l'arma.
Spara!
Mayu premette il grilletto.
Due colpi al cuore, uno
alla testa.
Come le aveva consigliato Zero, come aveva visto fare a lui e ai suoi
uomini.
Il torace e il capo del meccanoide esplosero in una vampata di
scintille.
Il corpo ricadde all'indietro, s'abbatté a terra con un
clangore metallico e si contorse per qualche istante prima di rimanere
immobile. Di nuovo, quel denso fumo nero.
Un sospiro di sollievo sfuggì dalle labbra di Mayu.
Abbassò la pistola, le braccia e le gambe tremanti per la
tensione.
Chiuse gli occhi. La testa le girava, il fianco bruciava da morire e si
sentiva la gola secca.
Strinse i denti.
Non devo svenire.
Rimise la pistola nella fondina, prese la benda dalla bisaccia e
osservò lo schermo.
La barra era completa.
Devo trovare Kurai!
Ci fu uno schiocco da qualche parte dietro di lei. Qualcosa o
qualcuno le afferrò le braccia così forte da
farle temere che gliele avrebbe strappate e gliele bloccò
dietro la schiena.
Sentì il contatto di un seno femminile appena sotto le
scapole e lunghi capelli rossi le sfiorarono il viso. Dalla botola
ancora aperta sul pavimento, una risata bassa e roca la raggiunse.
La donna che ne emerse si sfregò una macchia scura dalla
guancia, la guardò con un sorriso malevolo e le si
avvicinò.
– Mayu Oyama – le sollevò il mento con
due dita – Degna figlia di tua madre, vedo. Peccato ti
manchino la sua esperienza e un po' di malizia.
Un misto di rabbia e paura la fecero fremere mentre incontrava quegli
occhi blu, freddi come l'acciaio.
– Hell Matia!
* Il Building Clearing o
bonifica armata degli edifici è un'attività di
Polizia correlata alle situazioni di operatività in
ambiente urbano. Si colloca fra le tecniche operative di primo
intervento in occasione di reato all’interno di immobili ed
è diversa dall'attività di irruzione (svolta da
squadre di specialisti).
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 43 *** Qualcuno da cui tornare - parte II ***
cap 8
Mayu si divincolò, ma tutto
ciò che ottenne fu di farsi bloccare anche i gomiti dall'
Herakles. Matia rise di nuovo e accennò a quella distorta
copia di sua madre.
– È inutile agitarsi, ragazzina. Posso ottenere il
centoventi per cento delle prestazioni dal suo corpo e la sua mente
è sotto il mio diretto controllo.
– Matia – Kurai emerse da qualche parte dietro il
computer e le andò incontro – Com'è
andata l'operazione?
Lei digrignò i denti.
– Un disastro totale. Ho l'Arcadia alle costole ed
è solo questione di tempo prima che ci trasformiamo da
accerchianti in accerchiati. Sono qui per te e Harlock.
– Cosa? – Kurai spalancò gli occhi
dietro le lenti spesse – Avete perso? Ma com'è
possibile? Avevate la Nèmesis, l' Herakles di Harlock e
tredici squadriglie di caccia pesanti nuovi di zecca... e dov'è Lia?
Matia si scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
– Quella stupida s'è fatta fregare dai suoi ancor più stupidi sentimenti. Morire per difendere dei nemici che voleva uccidere fino a
dieci minuti prima... tale e quale a quel fallito di suo fratello.
Il Professore impallidì.
– L'hai uccisa tu?
Matia scrollò le spalle con aria indifferente.
– Ha avuto ciò che si meritava. Purtroppo
la sua idiozia c'è costata l'Herakles, diversi danni alla
Nèmesis e una squadriglia di caccia... senza contare che
sull'Arcadia non avranno perso nemmeno un uomo.
Mayu fremette, di gioia e di preoccupazione.
Yuki e Tadashi hanno
vinto... e stanno venendo qui!
Kurai impallidì.
– Non possiamo spostare Harlock adesso, Matia – s'asciugò una goccia di sudore dalla fronte e distolse lo
sguardo dai suoi freddi occhi azzurri – C'è la
procedura di risveglio in corso.
– Cosa? E perché?
Lo sguardo di Matia si posò sulle due capsule e sullo
schermo dei dati. Kurai abbassò il capo.
– Mi hanno costretto con la forza. Questa ragazza e il Capitano
Zero...
– Zero, hai detto? C'è lui là
dentro?
Matia si passò una mano fra i capelli, ne afferrò
una ciocca e l'arrotolò attorno all'indice.
S'avvicinò alle capsule e girò attorno a quella
del Capitano della Karyu, un sorriso malevolo sulle sottili labbra
rosse.
– Non ci posso credere – ridacchiò
– È magnifico! Davvero magnifico! Tanta fatica per
penderlo in trappola su Heavy Meldar e alla fine lui stesso viene a
mettersi alla mia mercé... fantastico!
– Cosa vuoi fargli, maledetta? – Mayu
fece leva sulle gambe per liberarsi, ma per poco il
dolore al fianco e la forza con cui l' Herakles le serrò le
braccia e la sollevò in alto non la fecero svenire.
Vide Matia voltarsi verso di lei attraverso un velo di
lacrime, ma anche così la sua espressione la fece
rabbrividire.
– Voglio premiare la grande amicizia che lega i nostri due
Capitani con un piccolo extra – Matia aprì un minuscolo
portellino alla base del suo collo e ne tirò fuori un
sottile cavo – D'altronde, non è questo che
vogliono? Recuperare i ricordi di Harlock? Bene, io gliene
regalerò addirittura qualcuno in più.
– Non farlo, Matia! – Kurai le corse dietro
trafelato.
– E perché non dovrei? Sono venuta apposta. Non
c'è il tempo né l'opportunità di fare
altro. Non possiamo lasciare Harlock qui e non possiamo portarlo via:
sono arrivata con un caccia e, secondo i miei calcoli, l'Arcadia
dovrebbe già essere nell'atmosfera di Futuria.
Presto questo posto brulicherà di soldati federali e pirati.
– Ma...
– Non importa se alla lista mancano ancora Hoshino e Maetel e
se Daiba, la Kei e questa mocciosa non sono morti davvero.
Basterà che Harlock lo creda. Se tutto andrà
bene, gli prenderà un colpo e si porterà
all'inferno anche il suo degno compare Zero. Se non andrà
bene, c'è sempre il mio folgoratore.
– No – singhiozzò Mayu – No,
ti prego! Lasciali stare, non torturarli!
– Lasciarli stare? – Matia s'avvicinò
al computer e fece scorrere un pannello – Non ci penso
nemmeno. Devono essere tolti di mezzo e così sarà. Posso fare
un pensierino sul non torturarli, magari – esitò
col jack poggiato sull'attacco e la fissò dritta negli occhi
– Se accetterai di diventare una meccanoide e unirti a me, mi
limiterò a sparargli un colpo alla testa. Che ne dici?
Mayu la guardò sconvolta.
– Diventare una meccanoide? Io?
– Perché no? – Matia arrotolò attorno all'indice un'altra ciocca di capelli – In fondo, anche se sei nata da quella
traditrice di Emeraldas e dal migliore amico di Harlock, sei pur sempre
la nipote della Regina Promesium. Mi sembra giusto offrirti la
possibilità d'entrare in possesso del tuo retaggio: il
dominio sul cosmo e la vita eterna, libera dalle sofferenze, dalle
malattie, dalla vecchiaia... e da quegli sciocchi sentimenti che ti
farebbero commettere stupidi errori.
Mayu si guardò attorno, frenetica.
Il portellone d'acciaio era ancora sigillato, i rumori degli spari e le
esplosioni le parevano più lontani. Nelle loro capsule,
Harlock e Zero erano ancora immobili. I loro battiti erano quasi
normali, adesso, i loro volti distesi, ma erano più in
pericolo che mai.
Cercò di soffocare la paura e il pianto che le chiudevano la
gola e di muoversi.
La presa di quell'essere così identico a sua madre era
d'acciaio.
Yuki, Tadashi,
Grenadier... dove siete?! Vi prego... venite qui, aiutatemi!
Il coperchio della capsula di Zero si aprì con un sibilo.
Matia lasciò andare i capelli ed estrasse il folgoratore.
– Non cercare di prendere tempo e decidi, ragazzina
– la canna sfiorò la tempia di Zero
– Qual è la tua risposta? Vita eterna per te e una
fine rapida e indolore per loro oppure sofferenza e morte per tutti e
tre?
Pensa prima di tutto a
salvare la tua vita.
Era una frase che le avevano ripetuto un po' tutti, per tutta la sua vita: Harlock, Yuki,
Tadashi... persino Zero gliel'aveva fatto promettere, due volte in poche ore.
Mayu trattenne un singhiozzo. Aveva paura.
E voleva
vivere.
Voleva tornare nella sua bella casa sulla Terra, farsi sgridare da Yuki
perché si comportava come un maschiaccio, ridere con
Tadashi, portare i fiori sulla tomba di suo padre e sua madre,
combinare guai in cucina insieme a Masu, studiare sui vecchi
libri di medicina del Dottor Zero, curiosare tra i modellini e i
marchingegni di Yattaran...
E suonare la sua ocarina per Harlock ancora una volta.
E poi crescere, trovare la sua strada nella vita... innamorarsi,
magari, e stavolta non per gioco.
Avere di figli, dei nipoti. E morire, come tutti, perché
ogni cosa al mondo aveva un inizio e una fine, e il tempo d'una vita
era prezioso proprio per questo. Guardò Matia.
Se diventassi come lei,
perderei tutto questo.
Guardò Harlock e Zero.
Siete d'accordo anche
voi, vero? Un'eternità così non avrebbe senso...
mentre qualche minuto in più può voler dire la
vita, per voi, anche se soffrirete.
– La mia risposta – lei stessa si stupì
della saldezza della sua voce – È no. Mai.
Matia non fece una piega.
– Me l'aspettavo – rinfoderò il
folgoratore e inserì il jack nella presa – La
scelta più illogica: tipico degli esseri umani. Ma va bene
così, in fondo: un po' di sofferenza alla mia gente, alla
mia Regina e a mia sorella, questi due la devono.
Mayu si dimenò fra le braccia dell' Herakles.
– Non ha senso cercar vendetta per una guerra di quattordici
anni fa, una guerra che avete cominciato voi! Non hanno
avuto altra scelta che combattere e anche loro hanno perso...
L' Herakles le torse le braccia, così forte da strapparle un
grido.
– Silenzio – Matia chiuse gli occhi e una stringa di comandi apparve sullo schermo – Lo so che stai cercando di perdere tempo, ma con
me non attacca, ragazzina.
Le sue pupille si aprirono, diventarono bianche e la luce s'abbassò. I monitor si oscurarono e si riempirono di cifre e lettere, poi le
schermate si ripristinarono.
La barra da verde diventò rossa. Il caricamento riprese
oltre il cento per cento.
– No, fermati, Matia, ti prego! – Kurai si scosse e le afferrò il braccio – Annulla tutto! Se sovraccaricherai il
tracciato neurale di Harlock ora, il progetto Herakles
tornerà indietro di anni! Un soldato perfetto come lui non
mi ricapiterà mai più, e sulla Terra
c'è bisogno...
Matia si voltò.
– Se non l'hai ancora capito, Professore...
Un bagliore.
Un sibilo.
Un grido soffocato.
Sul retro del camice bianco di Kurai s'aprì uno squarcio
dai bordi anneriti che subito si macchiò di sangue.
– È finita.
Mayu spalancò gli occhi, inorridita.
– No!
Kurai vacillò
e tese la mano verso il viso di Matia, il corpo tozzo scosso da un tremito
convulso. La macchia sul camice s'allargava a vista d'occhio.
– Per... perché? Cosa... cosa vuoi fare?
Matia gli schiaffeggiò via il braccio, impassibile.
Il Professore barcollò e cadde in ginocchio.
– Perché? Perché ormai non mi servi
più, Professor Kenzo Kurai – Matia diede
un'occhiata distratta allo schermo – Anzi, viste le tue idee,
in futuro mi saresti solo d'intralcio.
Oltrepassò il suo corpo tremante con
la stessa espressione di qualcuno che si trovasse a dover evitare una
pozzanghera sul suo cammino.
– Perché credi che ti abbia assistito durante le
operazioni, illustrato le caratteristiche del chip Hardgear e aiutato a
modificarlo? Perché pensi che abbia acconsentito a farmi
impiantare nel cervello il modulo di controllo diretto degli Herakles?
Per la scienza? Per farti un favore? Per vendetta? – rise,
senza allegria – Sono una meccanoide di Promesium. Una piccola parte di me
vuole che Harlock soffra, certo, ma a differenza di voi umani non mi
lascio accecare dai sentimenti, mai.
Ve l'ho lasciato credere per non destar sospetti, ma è
stata una precauzione inutile: ognuno di voi era troppo preso dai suoi
interessi per porsi qualche semplice domanda. E adesso...
– E adesso – Kurai la guardò sconvolto,
le mani premute sul ventre trapassato da parte a parte all'altezza
dello stomaco – Rimarrai la sola in grado di creare degli
Herakles e comandarli...
– Già – Matia si scostò una
ciocca di capelli dalla fronte – Odhrán non
rinuncerà all'idea di sostituire gli indisciplinati, pavidi
soldati della Federazione con esseri creati apposta per combattere e obbedire, e
quando questo accadrà...
– Tu diventerai la nuova Promesium – il Professore spalancò gli occhi e
s'accasciò come se le forze lo avessero abbandonato
all'improvviso – Prenderai il potere senza che nessuno possa
opporsi perché nel frattempo...
Matia sorrise.
Mayu rabbrividì.
Nel frattempo, avrebbe avuto modo d'eliminare con comodo tutti coloro che avrebbero
potuto ostacolarla, magari facendoli passare per complici di Harlock.
Oppure li avrebbe sostituiti con degli Herakles.
Aveva un corpo fatto per durare in eterno: per lei un anno, dieci o
cinquanta non faceva alcuna differenza.
Kurai sollevò la testa e fissò il monitor
principale.
I battiti cardiaci di Zero e Harlock erano aumentati di nuovo,
così come la loro attività cerebrale. Il Professore si nascose il
volto fra le mani e singhiozzò.
– Dio, cos'ho fatto?
– Ma come, Kurai – Matia orientò il
monitor verso di lui – Non vuoi vederti quest'ultimo
spettacolino? Di solito ti piace così tanto mettere il naso nella mente altrui... e questi ricordi sono davvero interessanti, sai?
L' Herakles allentò un po' la presa sulle braccia di Mayu e
la spinse in avanti, a una distanza tale da poter distinguere le
immagini sul monitor compatto.
Tadashi mentre crollava sul pavimento di quella stanza buia, Yuki a
terra nel giardino di casa loro, ferita e in lacrime, lei che impugnava
la pistola con gli occhi spalancati...
Un suono acuto giunse dal computer a quell'ultima immagine.
Il monitor principale si mise a lampeggiare.
Matia osservò i parametri vitali di Harlock e Zero e sorrise.
– Bene – staccò il cavetto e lo rimise
nel suo vano – Adieu, mes Capitaines.
Estrasse il folgoratore e sparò due colpi a una delle plance
laterali del computer, poi si girò e lo puntò
alla fronte di Mayu.
– E addio, Principessa. Mi spiace mandarti all'atro mondo così, senza una scorta adeguata,
ma non c'è più tempo per giocare. Non aver
paura, comunque: i tuoi due cavalieri ti
raggiungeranno presto.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 44 *** Qualcuno da cui tornare - parte III ***
cap 8
Mayu fissò l'interno della canna del folgoratore
e il sottile filo di fumo che saliva verso l'alto dalla sua punta.
Avrebbe voluto essere abbastanza coraggiosa da piantare gli occhi in
quelli di Matia e affrontare la morte con una frase pungente e un
sorriso spavaldo sulle labbra, ma aveva paura.
Tremava dalla testa ai piedi e non riusciva a smettere, il suo respiro
era affannato e la gola chiusa da un groppo. Faceva male,
più ancora della ferita al fianco e della stretta dell'
Herakles.
L'unica cosa a cui riusciva a pensare era che presto sarebbe morta e
che non avrebbe mai più rivisto la Terra, la sua casa e
soprattutto le persone che amava.
La mia famiglia...
Non li aveva amati abbastanza, non aveva ancora passato con loro tutto
il tempo che avrebbe voluto, non li aveva ancora resi fieri di lei come
aveva sempre desiderato.
E adesso è
tardi.
Il dito di Matia armò il cane e Mayu rabbrividì.
Deglutì, e fu come mandar giù un sasso.
Chiuse gli occhi e si morsicò le labbra per soffocare un
singhiozzo: era una debole, sciocca, inutile ragazzina, ma Matia non
avrebbe avuto la soddisfazione di vederla piangere.
Tra le scariche del pannello danneggiato, gli spari lontani e il ronzio
del computer, le parve di sentire il colpo del percussore sul
carrello.
Trattenne il fiato e immaginò il sottile raggio laser
attraversarle la fronte, bucarle l'osso del cranio e perforarle il
cervello. Sperò che il dolore durasse poco.
Un boato assordante le perforò i timpani.
Il sibilo del laser le sfiorò appena la tempia e si perse
dietro di lei, le sue narici si riempirono dell'odore di capelli
bruciati. Una ventata d'aria rovente, fumo e detriti la investì.
Aprì gli occhi.
Fumo nero, macerie ovunque e uno squarcio enorme dove solo pochi
istanti prima c'era stato il gigantesco portellone d'acciaio del
laboratorio.
L' Herakles s'irrigidì contro la sua
schiena, allentò la presa sui suoi gomiti e le sue
braccia e la trascinò a terra.
Mayu ruotò il busto per proteggere il fianco ferito e
sfuggirle, ma l'Herakles le afferrò i polsi, la
ribaltò e le montò a cavalcioni sulle pelvi per
bloccarle anche le gambe. Un dolore lancinante le infiammò
il bacino e le mozzò il fiato.
Urlò ma non sentì nulla: nelle sue orecchie c'era solo un fischio acuto.
Sopra di loro, Matia balzò indietro e lasciò
cadere il folgoratore.
Aveva la canna tranciata a metà e fusa dal
raggio d'una pistola laser di grosso calibro, il meccanismo di sparo era bucato da parte a parte.
Una voce urlò qualcosa che Mayu non riuscì ad
afferrare, ma che le fece venire le lacrime agli occhi, stavolta per il
sollievo.
Guardò verso la porta.
Dietro la colossale, ghignante figura di Grenadier che ancora teneva in
mano il comando degli esplosivi e accanto a quella più
sottile ed elegante di Marina Oki, Tadashi fissava Matia con aria minacciosa, la Cosmo Dragoon spianata. Dietro di
loro c'erano Aki, Omur e un pugno di altri uomini che Mayu aveva visto partire con
Grenadier.
Marina oltrepassò il portone distrutto, la pistola ancora
fumante fra le mani.
– Ormai l'edificio è sotto il nostro controllo
– armò il cane – Arrenditi e avrai salva la vita.
La risata folle di Matia ricordò a Mayu il
rumore d'un vetro infranto.
– Arrendermi? – Matia si scostò dal viso
una delle sue lunghe ciocche bionde – Forse non avete ben
chiara la situazione.
L' Herakles si puntellò sulle ginocchia e Mayu
sentì la pressione diminuire sui fianchi, ma fu solo un
attimo. Ebbe appena il tempo di riempire i polmoni e trattenere il
fiato: l' Herakles le piombò di peso sul petto e la
inchiodò di nuovo a terra.
– Lasciala andare, vigliacca! – il ringhio
disperato di Tadashi le arrivò da dietro la sagoma di Matia,
assieme al rumore delle armi che venivano puntate.
L'Herakles le serrò le mani attorno alla gola, in
corrispondenza dell'arteria carotidea.
Mayu spalancò gli occhi e li fissò in quelli
azzurri e inespressivi di quella copia di sua madre.
Vuole strangolarmi!
Matia lasciò andare i capelli e mosse appena la mano. L'
Herakles cominciò subito a fare pressione.
– Giù le pistole – con un balzo, Matia
si portò davanti a loro, in modo da ostruire la traiettoria
di tiro – Una sola mossa falsa e la principessina
si ritroverà con l'osso del collo spappolato. Inoltre...
L'allarme scattò. Mayu gemette.
Oh, no! No!
– Inoltre – Matia fece un cenno in direzione delle
capsule – Non vorrete abbandonare i vostri amati Capitani al
loro destino, vero?
– Cosa?
– Resta poco tempo, sia a loro che alla mocciosa –
Matia allargò le braccia in segno di sfida – Se
siete disposti a rischiare le loro vite, prego, provate pure ad
arrestarmi, ma vi avviso: non riuscirete a battere me e Emeraldas
e salvarli tutti.
L' Herakles aumentò la pressione sulla gola di Mayu e lei
annaspò, le tempie che pulsavano e il petto oppresso che
cercava invano d'espandersi.
Combatté il panico e l'istinto di divincolarsi: avrebbe solo
accelerato lo svenimento e, a quel punto, Tadashi e i suoi compagni
avrebbero finito per obbedire a Matia... e chissà
quella strega cosa avrebbe fatto a loro, Harlock e Zero.
Mayu strinse i pugni e solo allora se ne rese conto: Matia aveva fatto
un errore.
Un errore grave, stupido, da principiante o da persona troppo sicura di
sé.
M'ha lasciato le mani
libere!
E lei sapeva come liberarsi, in quel caso: s'era allenata a farlo con
Yuki talmente tante volte che avrebbe potuto muoversi a occhi chiusi.
Doveva solo farsi coraggio, aver fiducia in se stessa... e scordare
che chi la teneva imprigionata aveva il volto di sua madre.
Trattenne il fiato, abbassò il mento sul collo e strinse
forte le labbra per ridurre la pressione sulla laringe. Con una mano
afferrò l' Herakles per i capelli e la tirò a
sé, con l'altra le sferrò un violento colpo alla
base del naso. Gocce di sangue le piovvero addosso mentre la sua
avversaria si tirava indietro in un riflesso condizionato che, per
fortuna, neppure il controllo mentale di Matia aveva potuto cancellare.
Adesso!
Mayu s'inarcò con tutte le sue forze e ruotò per
liberasi, la mascella serrata per sopportare il dolore
lancinante al fianco. L' Herakles rotolò di lato,
le mani premute sul naso, gli occhi colmi di lacrime e il respiro
irregolare. Nonostante questo, si sporse in avanti per afferrarla di
nuovo.
– Mayu! – l'urlo di Tadashi fu quasi coperto dal
suono degli spari e da quello dell'allarme, che era aumentato di
intensità.
Mayu non si voltò. D'istinto, la sua mano volò al
cinturone.
Non trovò la sua Cosmo Dragoon né la pistola di
Zero.
In ogni caso, non avrebbe avuto il tempo di usarle.
Il pugnale balenò fra le sue mani e si conficcò fino all'impugnatura nella spalla sinistra dell'Herakles,
appena sopra lo sterno. La percezione della lama che attraversava la
carne, l'odore ferroso e la sensazione viscida del sangue sulle dita
insieme all'urlo di dolore della creatura suscitarono in lei un
sentimento confuso di repulsione, colpa e pietà. Estrasse il pugnale e indietreggiò sulle ginocchia. L'Herakles s'accasciò sul pavimento.
Due mani enormi la sollevarono come un fuscello e la rimisero
in piedi, ancora tremante.
– Tutto bene, Signorina?
Mayu fece un cenno affermativo, ma non ne era sicura.
– Grenadier! – Marina indicò uno
sportello nascosto nella parete che si stava richiudendo –
Inseguitela!
Mayu si guardò attorno. Matia era sparita. Grenadier
lanciò un'occhiata incerta al suo Comandante e alle
capsule, strinse le labbra e frugò nelle tasche del
giubbotto.
Mise nelle mani di Mayu un paio di manette d'acciaio e sparò
a un punto nella parete.
La porta si bloccò e lui sparì nel buio, seguito
dai suoi uomini.
L' Herakles giaceva su un fianco, il fiato corto, gli occhi fissi nel
vuoto e l'espressione sofferente.
Il sangue continuava a sgorgare sia dalla ferita alla tempia che le
aveva fatto Zero sia da quelle al naso e alla spalla, ma pareva
incapace persino di sollevare una mano per asciugarlo.
Mayu gli afferrò i polsi e glieli bloccò dietro
la schiena.
Nessuna reazione.
Come un burattino
abbandonato dal suo Mangiafuoco...
– Capi... Capitano...
La voce rotta di Tadashi riportò Mayu alla realtà.
Corse alle capsule e studiò i monitor. Harlock e Zero erano
di nuovo in condizioni critiche.
Sul piccolo schermo di Kurai, nessuna immagine. Dovevano aver perso i
sensi.
Il Professore era a terra immobile e Marina lo guardava con gli occhi
spalancati.
– Ma tu... tu...
– Professore – Mayu gli si inginocchiò
di fianco e gli sollevò la testa. Non c'era tempo per le
spiegazioni – Professore, si svegli!
Gli occhietti marroni di Kurai s'aprirono con una lentezza esasperante.
– Chie, piccola mia – tossì –
Sei tu? Sei... davvero tu?
Allungò verso di lei una mano tremante che ricadde a pochi
centimetri dal suo viso.
Mayu lo scrollò.
– Professore, cosa devo fare? Matia...
– Già, Matia! – Kurai
spalancò gli occhi – Bisogna fermarla o per
l'umanità sarà la fine... e io non voglio, non
voglio perderti di nuovo, Chie... tu, la mamma, Kashi e Yu... io... io
voglio proteggervi... voi e tutti gli altri esseri umani...
– Professore, torni in lei! – Mayu gli diede un
altro scrollone – Mi dica come salvare Harlock e Zero, la
prego!
Kurai girò la testa verso il computer e la sua espressione
le fece gelare il sangue nelle vene.
– Il pannello della strumentazione medica è
danneggiato – tossì e un rivolo di sangue gli
uscì dalle labbra – Quello di Oneiros del tutto
fuori uso. Non si può più fermare il programma
né resettarlo. Ormai, l'unica è staccare tutto...
e pregare.
Mayu trasalì e si voltò di nuovo verso lo schermo.
Le pulsazioni di Harlock e Zero avevano raggiunto i duecentoquaranta
battiti al minuto.
Riappoggiò il Professore a terra e si alzò.
Frugò nella bisaccia e porse a Marina la benda che aveva
avuto intenzione di usare per sé.
– Lo soccorra, Comandante Oki, per favore.
Raggiunse Tadashi accanto alla capsula di Harlock, lo
afferrò per il braccio e lo scosse.
– Avremo bisogno dei Dottori – gli sfilò
dalla cintura la trasmittente e gliela porse – Chiamali,
digli di precipitarsi subito qui e di tenersi pronti a rianimare due
persone!
Il volto di Tadashi, già pallido, sbiancò ancor
di più.
– È così grave?
Mayu studiò con la coda dell'occhio il monitor dei parametri
vitali.
Non si poteva già più aspettare. Annuì.
Tadashi non le fece altre domande e lei gliene fu grata.
Mentre lui attivava il trasmettitore, s'avvicinò al
pannello di controllo e girò la prima chiave.
Le luci del laboratorio si spensero e i generatori autonomi entrarono
in funzione.
Girò la seconda chiave. I pannelli e gli schermi secondari
s'arrestarono.
Mayu deglutì e cercò di controllare il tremito
della mano mentre girava anche la terza chiave.
Sullo schermo sopra di lei s'aprì una finestra che le
chiedeva conferma della sua decisione.
– La password è Hypnos_Nyx – la voce del
Professore era smorzata, quasi un sussurro
– Presto, o i loro cuori cederanno...
Mayu digitò la password e appoggiò l'indice sul
pulsante.
Vi prego...vivete,
tornate da me!
Lo premette.
Il suono dell'allarme s'interruppe e il ronzio del computer
centrale scemò fino a cessare del tutto. La stanza
piombò nel silenzio e nella penombra lattiginosa delle luci
d'emergenza.
Dalle capsule arrivò un suono acuto e intermittente. Mayu sobbalzò.
– Oneiros ed Endymion hanno un monitor e un pannello dei
parametri vitali collegati a un generatore autonomo – Kurai fece una
smorfia di dolore e trattenne un gemito quando Marina gli
annodò la benda – Verificate i battiti. Sono...
scesi? Hanno una frequenza diversa?
Marina si alzò e controllò la capsula di Zero.
– Duecentosessanta – la sua voce si
spezzò – In aumento.
Mayu si voltò verso Tadashi. Le bastò guardarlo
in faccia per capire.
– Lo shock è stato troppo forte – Kurai
sospirò – Mi spiace... non c'è
più niente da fare.
Come a confermare quelle parole, i suoni intermittenti provenienti
dalle capsule si fecero irregolari.
Kurai chiuse gli occhi.
– Sono in fibrillazione – un altro fiotto di sangue
gli uscì dalle labbra – Fra poco i loro cuori
si fermeranno.
Marina gemette. Gli occhi di Mayu si riempirono di lacrime.
– Ci deve pur essere qualcosa che possiamo fare!
S'avvicinò al pannello medico e osservò lo
sfacelo di cavi fusi, bruciati e spezzati attraverso il buco del
folgoratore. Un fumo nero, acre e soffocante s'alzava ancora
dalla scheda madre nel punto in cui il raggio l'aveva trapassata.
Forse Yattaran avrebbe potuto capirci qualcosa e ripristinare almeno la
strumentazione per il sostegno delle funzioni vitali, ma anche se fosse stato lì non avrebbe mai fatto in tempo.
Il suono, da irregolare, si fece continuo.
Il tono di una linea piatta.
Mayu guardò Kurai, che chiuse gli occhi e scosse il capo con
aria rassegnata, poi Tadashi e Marina.
– No – singhiozzò – No...
Si lasciò cadere sulle ginocchia, s'appoggiò al pannello e scoppiò in lacrime.
Tutta la paura, i sensi di colpa e la disperazione che s'era tenuta
dentro sino ad allora la sommersero come una marea e lei sperò d'annegare,
per la prima volta in vita sua.
– No! – Tadashi le fece eco con un grido rabbioso
– No, non lo accetto!
Mayu si sfregò gli occhi e lo guardò: il suo viso era
così stravolto dalla rabbia e dall'angoscia che le fece
paura.
Afferrò il coperchio semidistrutto della capsula e lo sollevò
con tanta violenza da strapparne i cardini e far volare ovunque le
schegge che non s'erano ancora staccate del tutto.
– Questa volta non finirà così,
Capitano! – urlò sopra al rumore di vetri infranti
– Non lo accetto, hai capito? Non lo accetto!
Si chinò su Harlock e gli strappò via dal petto
elettrodi e cinghie.
– Questa volta non ti lascio morire! – gli
appoggiò una mano sotto la nuca e la sollevò
mentre con l'altra mano gli spingeva la fronte verso il basso
– Ci sono troppe persone che ti aspettano... troppe!
Gli chiuse il naso con due dita, inspirò a fondo, fece
aderire le labbra alle sue e insufflò con forza.
Il torace di Harlock si sollevò e si riabbassò subito.
Tadashi ripeté l'operazione altre due volte, poi gli
posò due dita sul petto, risalì fino al punto in
cui le costole si congiungevano allo sterno e ci posò sopra
il medio e l'indice.
– Devi tornare, hai capito? – mise il
palmo dell'altra mano sul dorso della prima, stese le dita ed
eseguì una forte compressione verso il basso – Da Mayu
– un'altra compressione – Da Yuki. Da Mime. Dal
Dottore. Da Yattaran. Da Maji. Da Masu. Da Tetsuro. Da Maetel.
Dall'altro Tadashi. Da Lydia. Da Tori e Mi. Dai ragazzi. Da Tochiro...
E da me!
A ogni nome, lo sterno di Harlock s'abbassava di quattro o cinque
centimetri sotto le sue mani e piccole gocce trasparenti andavano a infrangersi sulla sua pelle coperta di cicatrici.
Accanto a Zero, Marina si scosse e imitò
Tadashi in silenzio.
Mayu li guardò stordita mentre mentre cercavano
d'ancorare alla vita quei due uomini persi nel buio dell'incoscienza, a un passo dal baratro.
Due insufflazioni. Quindici compressioni. Altre due insufflazioni.
Altre quindici compressioni.
Avrebbe voluto aiutarli, ma l'angoscia e la paura la bloccavano
lì, contro quella gelida parete di metallo. S'asciugò le lacrime e tirò su col naso. Si sentiva più
impotente che mai.
Inutile.
– Arriviamo, ragazzi! Cosa abbiamo?
Dopo un tempo che le parve infinito, il Dottor
Zero varcò il
portone abbattuto. Il Dottor Machine e la squadra
medica lo seguirono a ruota.
– Arresto cardiaco –
Marina spinse in giù il petto di Zero –
Tutti e due!
I Dottori corsero alle capsule mentre la loro
équipe si divideva e preparava la strumentazione.
Fra gli infermieri, Mayu riconobbe Bright.
Aveva il braccio destro fasciato sino al gomito, diverse escoriazioni
sulla fronte e l'aria distrutta, ma i suoi movimenti erano rapidi ed efficienti mentre si chinava su Kurai e gli
allacciava la maschera a ossigeno.
Un infermiere passò due elettrodi al Dottor Zero.
Con un sibilo, l'apparecchio a cui erano collegati segnalò
la propria entrata in funzione.
– Via io, via voi, via tutti!
Gli infermieri e Tadashi si fecero da parte e il Dottore
poggiò gli elettrodi sul petto di Harlock. La scarica fu
accompagnata da un colpo secco. Harlock sobbalzò.
Tadashi insufflò altra aria nei suoi polmoni, ma fu uno
degli infermieri a effettuare le compressioni toraciche.
– Aumentare a duecento – il Dottore
guardò Tadashi – Ragazzo, va' a sederti. Qui
c'è già abbastanza da fare senza che tu mi
collassi per la stanchezza.
Al contrario di quel che Mayu s'era aspettata, Tadashi s'allontanò senza protestare.
Barcollò come un ubriaco fino al pannello medico e si
lasciò cadere accanto a lei.
Ansimava e il sudore gli colava a rivoli sulla fronte e sulle guance.
Buttò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, ma anche
così Mayu s'accorse che erano gonfi e rossi.
Gli appoggiò la testa sul braccio e lui glielo
passò attorno alle spalle.
Anche Marina li raggiunse. Sembrava esausta quanto Tadashi e, al
contrario di lui, non cercava di nascondere le lacrime. Si sedette
accanto a loro, strinse le ginocchia al petto e puntò gli
occhi sul Dottor Machine.
Anche Mayu lo osservò.
Come Bright, aveva addosso i segni del lavoro
sul campo: il suo camice era sporco di sangue e fango e stracciato sopra il gomito sinistro, ma nemmeno lui mostrava stanchezza o esitazioni.
– Preparate l'adrenalina – al contrario del Dottor
Zero, si muoveva poco e con la grazia d'un ballerino e la sua voce aveva un tono normale – Un
milligrammo in bolo endovena. Aumentare i joule a trecento.
Un altro shock.
Un altro sobbalzo.
Mayu distolse lo sguardo.
Non ce la faccio più.
Non sopportava quella tensione,
quel senso d'impotenza, quella paura.
Non capiva come avessero fatto Tadashi e Marina a reggere e come i Dottori e gli infermieri riuscissero a rimanere così lucidi con la vita di qualcuno che amavano nelle loro mani.
Ma forse già l'avere un compito preciso, il saper cosa fare, aiutava.
Ed era senz'altro meglio che restarsene a guardare impotente o al massimo pregare.
Come quando era piccola, prese tra le mani l'ocarina e intonò la vecchia canzone che le aveva insegnato Harlock.
Torna da me. Puoi sentirmi? Torna da me!
Quella canzone che aveva suonato anche per Zero.
Torna da me.
Chiuse gli occhi e cercò di non sentire i colpi dei
defibrillatori, i singhiozzi soffocati di Marina e le voci dei Dottori.
Si concentrò solo sulla melodia, su ciò che la
legava a quei due uomini, sulla speranza di poter parlare e ridere con tutti e due, un giorno.
E tutto finì.
Oltre la musica, solo silenzio.
Il braccio di Tadashi le strinse più forte le spalle e i singhiozzi di
Marina aumentarono d'intensità.
Col cuore che batteva a mille, Mayu aprì gli occhi e
lasciò l'ocarina.
I Dottori s'erano staccati dalle capsule, gli infermieri avevano
interrotto le manovre di rianimazione.
I due medici si lanciarono uno sguardo stanco e si voltarono verso di
loro.
– Vi devono una delle loro nove vite, ragazzi – il
Dottor Zero s'asciugò il sudore dalla fronte con la manica
del camice – E io sono a pezzi e con la gola secca. Che ne dici d'un goccetto prima di ributtarci nella mischia, collega?
– Devo rifiutare – il Dottor Machine si
stirò il camice a brandelli, un sorriso tirato sul volto
artificiale – Quella roba mi scioglierebbe i circuiti.
– Che problema c'è? Io
bevo, tu parli.
Il medico meccanoide continuò a protestare e
sorridere mentre gli infermieri s'affaccendavano attorno a Zero e Harlock per liberarli dalle capsule e caricarli sulle barelle.
In quel momento, a Mayu quegli uomini stanchi e laceri sembrarono i
più grandi eroi dell'universo, due esseri splendidi, coraggiosi e
nobili più di chiunque altro.
Distruggere decine di vite era facile. Salvarne anche solo una, per niente.
– Sai, Tadashi – si sentì dire come da
un'enorme distanza – Credo d'aver capito cosa voglio fare della mia vita, quando torneremo sulla Terra.
Chiedo scusa per il
ritardo nell'aggiornamento: ci vorrebbero delle ferie per riprendersi
dalle ferie! ^_^
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 45 *** Svegliarsi in un incubo ***
cap 8
Il dolore cessò all'improvviso.
Buio. Silenzio.
Finalmente la pace.
Finalmente libero.
Attorno alle sue dita, una sensazione di calore, come il ricordo d'una
stretta.
C'era qualcosa che doveva fare, qualcuno da cui doveva tornare
a tutti i costi... ma la sensazione svanì, insieme
alla percezione d'avere una mano, dei piedi, un corpo.
Sono morto?
Avrebbe dovuto provare angoscia, smarrimento, terrore... e invece
niente.
Perché no, in
fondo?
Quel buio era accogliente, quel silenzio dolce.
Lì non c'era dolore, non c'erano scelte, separazioni o
rimpianti... solo pace.
– Avanti, figliolo, respira! Poi ci faremo un goccio insieme,
promesso!
Una voce nasale, un po' impastata.
Era familiare, ma distante, così distante... ed era tutto
così buio, così ovattato...
Un colpo lieve. Una vibrazione lontana.
– Su, Capitano, non farti pregare! Offro io, va bene?
Un altro colpo, più violento. Una scarica elettrica gli
attraversò la spina dorsale e lo fece sussultare dalla testa
ai piedi. I peli gli si rizzarono in tutto il corpo, si
sentì schizzare in su e ricadere all'indietro.
Qualcosa gli soffiò aria nella gola, qualcos'altro gli
schiacciò il petto. Una volta, due, tre, quattro... sempre
più forte. Bruciava tutto, dentro e fuori.
No.
Si ritrasse.
Non voleva lasciare quella pace, non voleva affrontare di nuovo... quello.
– Aumentare al massimo, presto!
Un altro colpo e un'altra scossa, ancora più intensi.
E una melodia dolce, triste.
Un' ocarina?
Non era forte, ma la sentiva con maggior chiarezza persino delle voci
concitate attorno a lui.
Lo riempiva di nostalgia ed era come se lo chiamasse verso una luce
lontana... verso casa.
C'era qualcuno da cui doveva tornare a tutti i costi, adesso ne era
sicuro.
Il primo respiro gli bruciò i polmoni, ogni parte del suo
corpo faceva male come se lo
avessero picchiato con mazze d'acciaio... e aveva freddo. Tanto freddo.
– Abbiamo il battito!
Non voleva espirare, non voleva inspirare di nuovo.
Ma la musica continuava a chiamarlo e lui lo fece. Ancora e ancora.
– S'è stabilizzato. Il respiro è
autonomo!
– Grazie al cielo!
La musica cessò. Un altro respiro roco gli
gorgogliò in gola, doloroso come se stesse cercando di
mandar giù frammenti di vetro.
– Vi devono una delle loro nove vite, ragazzi...
La voce che conosceva s'allontanò, mani forti lo
sollevarono
e lo posarono sulla superficie più fredda e dura che
potesse
ricordare, qualcuno gli tirò su la testa e gli
allacciò
qualcosa alla nuca, qualcun altro lo coprì fino al mento con
qualcosa di sottile che crepitava a ogni movimento.
Respirare divenne più facile, anche se il petto bruciava
ancora.
Il freddo non diminuiva, invece. Sentì la pelle d'oca sulle
braccia, un brivido lungo la schiena.
Rumore di passi.
– Harlock! – una voce femminile e una sensazione di
calore
sulla sua guancia, fra i capelli – Oh, Harlock! Harlock...
Harlock... è
il mio nome?
Harlock.
Un altro brivido, stavolta non di freddo.
E non perché non riuscisse a ricordare... anzi, ricordava
sin troppo. Era troppe persone tutte insieme e, allo stesso tempo, non
era nessuno.
Harlock.
Un giovane ufficiale spensierato, circondato da amici, innamorato,
pieno di sogni, di fiducia nella sua gente e nel domani: un ragazzo che
ormai non
esisteva e non sarebbe tornato a esistere mai più ma di cui
sentiva ancora la presenza in modo doloroso, come un arto fantasma di
se stesso.
Harlock.
Un pirata cupo e solitario, disilluso e tormentato, che aveva perduto o
allontanato tutti coloro che amava e che aspettava ormai solo la fine
del suo lungo viaggio, un eroe senza paura e senza nulla da perdere...
un uomo che non riusciva più a essere e che, forse, non era
mai
esistito davvero.
E poi Harlock... quell'altro
Harlock: il se stesso che non voleva accettare anche a costo di
morirne... ma
che forse era quello più vero, tutto ciò che era
rimasto di lui.
No!
Spalancò l'occhio e una luce abbagliante lo costrinse subito
a richiuderlo.
– Capitano! – una voce maschile, arrochita
dall'emozione – Capitano, sei sveglio? Riesci a sentirmi?
Socchiuse le palpebre: alla sua sinistra, un giovane si
chinò su di lui e gli sorrise incerto.
Ti conosco...
Un lampo e lo rivide adolescente, scosso dai singhiozzi sul corpo senza
vita d'un uomo in una stanza buia, sotto la luce intensa d'un neon.
Tadashi...
Un altro lampo e il cadavere sparì. Il volto del
ragazzo
diventò quello adulto d'adesso, illuminato dalla luce
discontinua dei lampi. Lo fissava sgomento, le mani strette al petto
insanguinato.
– Perché, Capitano?
La risposta riecheggiò nella mente di Harlock come
il tuono che l'aveva coperta quando gliel'aveva data.
– Perché è quello che voglio.
No... maledizione, no!
Voltò la testa dall'altra parte e se la ritrovò
davanti,
i grandi occhi marroni brillanti di lacrime, proprio come l'ultima
volta che l'aveva
abbracciato prima di
separarsi da lui.
Era cresciuta, era quasi una donna ormai, ma lui l'avrebbe riconosciuta
fra mille, anche dopo mille anni. Era stata lei a chiamarlo, lo sapeva.
E sapeva che per lei avrebbe vinto anche mille morti e sarebbe tornato
indietro da mille mondi, ogni volta. Era la sua ancora, il suo porto
sicuro...
Mayu!
Non gli uscì la voce. La mano che voleva tendere per
accarezzarle i capelli ricadde senza che l'avesse alzata per davvero.
Un altro maledetto lampo e lei era lì, in piedi in quel
giardino
disseminato di cadaveri, la pistola di sua madre in pugno.
No...
Mentre lui armava il cane per porre fine alla sua vita come aveva fatto con
Tadashi e come avrebbe fatto con Yuki dopo, poteva leggerglielo
in faccia: la domanda era la stessa.
No!
Anche la sua risposta lo era.
Perché lo voglio.
Serrò il pugno sotto la coperta isotermica e distolse lo
sguardo,
furioso, angosciato, colmo d'odio e amore, confuso come non mai.
Chi sono, io? Che cosa
sono?!
– Ehi, voi due, lasciatelo respirare! – il Dottore
s'avvicinò alla barella e agitò le mani contro i
due
ragazzi come per scacciare Mi dalle sue bottiglie –
Sciò!
Aria! Dopo tutta la fatica che ho fatto per rianimarlo, non vorrete
mica soffocarmelo a furia di smancerie? – strizzò
l'occhio
– Lasciate che si riprenda un attimo e soprattutto che metta
un
po' di spirito in corpo, poi se ne potrà parlare! Dico bene,
Capitano?
Odio. Amore. Rimpianti.
Felicità, rabbia e tristezza.
Odio...
La sua mano destra risalì lungo il fianco.
Niente Dragoon, niente Gravity Sabre, niente pugnale; non c'era nemmeno
la cintura.
E il suo braccio era così lento, così debole e
pesante...
Si bloccò, senza fiato.
Che diavolo sto facendo?!
Il Dottore era un amico, quel ragazzo quasi un fratello minore, quella
ragazzina una figlia: chissà cosa avevano rischiato per
ritrovarlo, per riportarlo indietro addirittura da un altro mondo...
Eppure quel sentimento era inconfondibile.
Li odiava. Voleva ucciderli tutti.
Perché?
La risposta era sempre la stessa.
Perché lo voglio. Perché sono un peso, una
responsabilità che non desidero più e che non ho
mai
desiderato, delle catene, degli ostacoli che mi rendono debole...
No, non è
vero! Sono tutto
ciò che ho... tutta la mia vita, le mie speranze, i miei
sogni!
Io... io li amo! Non potrei mai...
Tadashi gli appoggiò una mano sulla spalla.
– Bentornato, Capitano.
Bentornato.
Harlock si sentì stringere il petto e sperò che il suo
cuore si fermasse di nuovo, stavolta per sempre.
Sarebbe stato meglio per loro, forse anche per lui.
Cosa sono diventato? Perché provo questi sentimenti?
Perché questi ricordi? Sono illogici...
–
Bentornato, Harlock.
Mayu gli baciò la guancia e si scostò da lui.
–
Bentornato.
La sua voce divenne quella di Maya.
La rivide sorridergli mentre la tirava a sé per
baciarla, solo qualche ora
prima, a casa loro,
in una Terra e una vita che erano quelle che aveva sempre
desiderato.
Nel suo cuore vuoto, rimpianto... e una rabbia implacabile.
Li odio.
Lo avevano
strappato a un sogno per farlo risvegliare in un incubo, in
un mondo che non aveva più nulla da offrirgli, che lo
rifiutava e che lui non riusciva e non sarebbe mai riuscito
ad accettare... proprio come quella
parte di se stesso che ora lo spingeva a tirarsi
su e che in quel momento era più forte che mai.
Si puntellò sui gomiti e piegò le ginocchia.
Tutto
ciò che voleva era alzarsi, serrare le dita attorno alle
loro
gole e stringere, stringere, stringere finché le loro labbra
non fossero diventate blu, i loro occhi vitrei.
La coperta scivolò. Tutto girava: la
testa, lo stomaco...
Barcollò.
Per fortuna.
– Ehi, ehi, figliolo – il Dottore
ridacchiò e lo obbligò a
stendersi di nuovo – Calma i bollenti
spiriti: la tua riserva personale è ancora intatta...
bé,
almeno la maggior parte!
– Attenti, laggiù!
Da qualche parte, rumore di spari e passi affrettati, urla, stridii e
tonfi metallici.
– Maledizione, togliti da lì, Sterling! Ripiega!
Un combattimento?
Harlock strinse i denti per sopportare il dolore al collo e sollevò
la testa il più possibile.
Dietro la spalla del Dottore, un gruppo di soldati con indosso delle
lacere divise della Flotta Unita Terrestre uscì da una porta
socchiusa
nella parete, le armi spianate.
Uno di loro, l'ultimo e a quanto pareva il capo, aveva l'aria
familiare.
Con la sinistra sorreggeva un uomo privo di sensi contro il petto ampio
e i muscoli del suo grosso bicipite coperto di fango, sangue e
cicatrici si gonfiarono quando
sollevò un mitragliatore laser verso l'apertura.
– Che fate ancora lì? – si
voltò,
affidò il ferito a due dei suoi uomini, asciugò un
rivolo di sangue che gli colava dalla fronte sulla barba
brizzolata e sparò una raffica oltre le porta –
Muovete quelle chiappe! Ritirata!
– Grenadier! – una voce di donna si levò
da qualche parte lì vicino – Che succede? Dove
sono...
– Al riparo, presto!
Mayu gli passò un
braccio attorno al petto e lo trascinò a terra. Tadashi
fece qualcosa con la barella. Ci furono un crepitio d'alluminio,
rumore di vetri rotti e un botto. Harlock sentì un forte colpo
all'anca,
un freddo ancor più intenso di quello provato al suo
risveglio e
si trovò steso a terra accanto al Dottore. Tadashi
scavalcò la barella rovesciata, si mise accanto a Mayu e
puntò la pistola verso il punto in cui si trovava l'apertura. Mayu s'affacciò oltre il bordo della piccola barricata e sgranò gli occhi.
– Ma che succede? – la Cosmo Dragoon
tremò fra le sue dita – Cosa sono quelli?
Un gemito sordo si levò in un punto dietro di loro.
– Il nido... quella pazza ha aperto il nido!
– Il nido? – una donna con indosso la divisa
dell'Esercito
Federale si sporse da dietro un'altra barella rovesciata poco lontano e
sparò.
Harlock trattenne il respiro.
Marina!
Altri lampi di memoria. Lei stretta al suo petto in un raro momento di
pace, il sapore delle sue labbra, la morbidezza del suo corpo, il suo
calore e il suo profumo delicato, la sua voce colma di desiderio che
lo
chiamava... che lo chiamava Zero.
Com'è
possibile?!
– Dov'è Hell Matia? – Marina s'accovacciò e
infilò una nuova cella d'energia nel caricatore della sua
pistola.
Grenadier scavalcò la barella con un salto e la
coprì a suon di raffiche brevi.
– Non lo so – digrignò i denti
– L'avevamo in
pugno, poi s'è aperto un portello e in un attimo questi
cosi ci sono piombati addosso! Non so nemmeno che fine
abbiano fatto Aki, Shiden e Fokker!
– Ti supplico, Matia – ancora quel gemito
– Basta!
– Si calmi, Signore – un infermiere
trascinò qualcuno al riparo della capsula accanto alla
barella.
Era un ometto tarchiato, scuro di capelli, con indosso un camice bianco
zuppo di sangue.
Harlock lo guardò in faccia e rimase senza fiato.
Tochiro!
Altri ricordi: lui accovacciato sul pavimento d'una stanzetta stretta
e spoglia, intento a lavorare a un'altra delle sue diavolerie; lui che
scappava a tutta velocità dal bar della Base di Megalopolis
in mutande e con un
occhio nero, ridendo come un folle; lui che moriva davanti ai suoi
occhi su quel pavimento senza che potesse farci nulla... la sua anima
che
lo pregava di liberarlo dal guscio di circuiti e silicio che la
imprigionava ormai da quattordici anni... e lui a bordo di quella nave
nera,
che gli veniva incontro insieme a Emeraldas.
Ombre, voci indistinte... il risveglio fra le braccia di Maya... e il
risveglio in una vasca piena di liquido con Hell Matia che
sorrideva e lo chiamava... lo chiamava...
– Non capite! – Tochiro si prese la testa fra le
mani
– La loro mutazione non si è ancora stabilizzata!
Se non
tornano subito nelle vasche il loro DNA e i loro cervelli impazziranno!
– Ma cosa sono? – Tadashi balzò
indietro, terreo in volto.
Le dita d'una mano semitrasparente si chiusero a vuoto nel punto in
cui, solo un istante prima, c'era stata la sua gola.
Marina sparò due
volte alla creatura, che s'abbatté a terra oltre il loro riparo improvvisato con un
alto
stridio.
– Shòu – si voltò verso Tochiro – O almeno, lo erano. Che gli avete
fatto? Perché sono così?
Il Dottor Zero s'avvicinò carponi alla creatura, la
girò sulla schiena e trasalì.
Harlock sbirciò da sopra la sua spalla.
Lo sterno dell'essere era bucato da parte a parte e, attraverso la
pelle traslucida, si vedevano con chiarezza i tendini, i fasci
muscolari e i vasi sanguigni lacerati, alcuni non del tutto formati o
alternati ad altri colmi di liquido cristallino. Ai battiti d'un cuore
ancora semistrasparente che si poteva intravedere in parte prima che
scomparisse sotto la pelle chiara e coperta di cicatrici della porzione
destra del corpo, fiotti d'un liquido spumoso e dal vago odore d'acqua salmastra uscivano dalla ferita.
La creatura lanciò uno stridio gorgogliante e si
rialzò di scatto.
Harlock trattenne a stento un conato.
La parte destra e tutta la porzione inferiore del suo volto al di sotto
del naso era identica a lui, cicatrice, capelli lunghi e occhio cieco
compresi.
Tochiro gemette di nuovo.
– Dovevano essere la prima generazione dei miei Herakles... i
super-soldati che avrebbero dovuto difenderci tutti... oh, mio Dio, no!
La creatura aprì l'occhio sano, un bulbo trasparente e privo
di pupilla.
Spalancò la bocca, emise un suono a metà tra un
urlo e uno stridio, afferrò il polso del Dottore e lo
tirò a sé. Mayu si
voltò e lo colpì
due volte al petto.
– Sono impiantati! – gridò
sopra le urla e gli stridii sempre più forti – E
Matia ha detto di poter trarre il
centoventi per cento delle forze da qualunque essere con uno di quei
chip nel cervello! Se è lei che li comanda...
La creatura si rialzò, sangue scarlatto e liquido
trasparente che
grondavano dalle tre orribili ferite che aveva ricevuto al petto e da
un'altra alla spalla destra.
Lanciò un urlo raccapricciante e si gettò addosso
a Mayu,
ma un colpo in mezzo alla fronte la ributtò all'indietro e
la
fece stramazzare a terra.
Sangue misto a un liquido salato come acqua marina,
frammenti di carne e
d'una sostanza gelatinosa come quella delle meduse colpirono Harlock e
il Dottore.
– Mirate alla testa! – Tadashi si rimise in
posizione di tiro dietro la barella, cupo in volto – Non si fermeranno, se vi limitate a ferirli!
– I miei Herakles –
piagnucolò Tochiro – Il lavoro d'una vita... la
speranza della Terra!
– Ma quale speranza! – Zero si tirò a sedere accanto a Marina, una vecchia pistola
a tamburo nella mano sinistra – Ancora non si rende conto di
ciò che ha fatto, Kurai?!
– Stia giù, Capitano! – un meccanoide
con indosso un
camice bianco gli afferrò il braccio – Non deve
sfo...
Zero si liberò con uno strattone, si posizionò fra Grenadier e
Marina e sparò tre colpi in rapida successione.
– Quanti ce ne sono?
– Cinquanta – l'uomo con l'aspetto di Tochiro che
Zero
aveva chiamato Kurai abbassò il capo, l'aria sconfitta
– E
altri venti solo impiantati da qualche parte nella base.
Kurai...
Un altro flash. Decine e decine d'esseri trasparenti chiusi in vasche
piene di liquido, i colli trapassati da cavi di flebo, addormentati.
I
suoi figli, fratelli e genitori.
Qualcosa nello stomaco. Paura?
Qualcos'altro nella sua testa. Una volontà aliena e al
contempo
sua, convinta che dar loro una mente, un'identità e uno
scopo
fosse la cosa giusta da fare, l'unico modo per evitare loro
l'estinzione e rendere le loro esistenze degne d'esser vissute.
Kurai... Kenzo Kurai.
Un uomo fragile, anziano e malato, che scendeva da una nave Federale
sostenuto da Matia e da... Lia...
Zone?
La risentì ridere amara davanti allo schermo del computer
mentre
si vedeva dormire all'interno di una capsula.
– Lo sapevo. In fondo, il grande Harlock non è
altro che un ipocrita... vero, Uno?
Si prese la testa fra le mani.
– Stai sognando da quasi quattro anni chiuso in una capsula,
sotto il controllo d'un computer chiamato Oneiros...
La voce di Zero in quel bianco abbagliante, il ricordo della sua
stretta.
– Questo non è il mondo reale. È un
sogno
iperrealistico creato per tenerti prigioniero mentre gente senza
scrupoli utilizza una tua copia sotto controllo mentale per screditare
il tuo nome e far del male alle persone che ami!
E allora
perché questi ricordi? Che sia io, la copia?
–
Capitano, attento! – Tadashi si voltò verso di
lui, uno di quegli esseri appeso al braccio, un altro
che cercava d'afferrarlo alla vita.
Il Dottore gridò qualcosa e tese la mano verso di lui, ma fu
scaraventato via da un braccio
sotto la cui pelle si vedevano contrarre i muscoli e pulsare
le vene.
Un sibilo, odore di sale e un volto identico al suo a pochi centimetri
dal suo naso.
Dita fredde gli si strinsero attorno alla gola,
occhi opalescenti lo fissarono inespressivi.
– Harlock! – la voce di Mayu – No!
Un boato assordante, odore di polvere da sparo e altro sangue
sulla sua faccia.
L'essere gli s'accasciò accanto, scosso dalle convulsioni.
– Svegliati, Harlock! Combatti, se vuoi uscire vivo da qui!
Zero.
Poteva sentirle ancora nella sua mente: la sua tristezza, la sua
speranza
incrollabile, la sua rabbia e la sua voglia di vivere... forti,
travolgenti.
Ma erano
sensazioni che non gli appartenevano, come di certo non gli
appartenevano i suoi ricordi.
Si morse il labbro e scosse la testa per scacciarli.
Non so più chi sono ma di sicuro non sono te, dannazione!
Odiava anche lui, che aveva vissuto le sue stesse esperienze
ma fatto
scelte diametralmente opposte, che non mostrava mai
incertezze ed era capace di uscire dalle situazioni
più
disperate col sorriso sulle labbra... che si era ricostruito una vita
e aveva tutto ciò che
lui non
avrebbe avuto mai più.
Sei convinto d'aver ragione, vero?
– Harlock!
Mayu si svincolò dalla presa di un
altro di quegli esseri e gli lanciò una pistola.
Lui la raccolse.
Inquadrò nel mirino una di quelle creature aggrappata al
braccio di Zero, poi lo spostò pian piano.
Ti credi migliore di me, vero?
La tempia di Zero era proprio al centro della tacca di mira.
Harlock l'allineò col mirino, armò il cane,
posò il dito sul grilletto.
– Guardati, Harlock! Non sei più tu...
Allentò la presa e l'arma ricadde a terra.
Rovesciò la testa all'indietro e chiuse gli occhi: aveva
voglia di urlare.
Basta.
Si mise a ridere, senza motivo.
Sto impazzendo.
Si guardò attorno.
Basta!
Quegli assurdi esseri col suo aspetto, le capsule, il computer e i
meccanoidi sul pavimento, Hell Matia e la
sorella di Zone, Mayu e Zero, Tochiro e persino Emeraldas, uguali a
quattordici anni prima... realtà alternative,
personalità, sentimenti e
ricordi che non erano i suoi e al contempo lo erano...
È un incubo, un incubo!
Strinse i pugni e desiderò di svegliarsi nel suo letto,
accanto a Maya. Le sue unghie scavarono un solco nel palmo. Riaprì
l'occhio. Non era cambiato nulla.
Guardò la pistola ai suoi piedi.
Forse, un modo perché tutto finisse c'era...
– Fine dei giochi, Harlock.
La suola di uno stivale si posò sopra l'arma.
Harlock alzò lo sguardo e si trovò a fissare l'interno
della canna d'un folgoratore.
Hell Matia.
– Fermatela! – Tochiro... Kurai...
barcollò verso
di loro e le afferrò una coscia – Non lasciatela
avvicinare al com...
Hell Matia si mosse appena. Non si voltò a guardarlo, non
cambiò nemmeno espressione.
– Fuori dai piedi, Kurai.
Un raggio luminoso trapassò il cranio dello scienziato e
forò il pavimento a pochi centimetri dal piede di Harlock.
Un
paio d'occhiali colpì il pavimento insieme a una pioggia di
sangue e frammenti cerebrali. La lente destra si
frantumò.
– Harlock! – la
voce di Zero o forse di Grenadier – Raccogli
quella maledetta pistola! Sparale!
Qualcuno gemette. Una cacofonia assordante di
grida e stridii gli perforò i timpani.
Ma sì... basta.
Chiuse l'occhio.
Basta.
Sentì il sibilo del laser e qualcosa gli piombò
addosso.
Qualcosa di vivo, che tremava e ansimava.
Qualcosa che sanguinava contro il suo petto.
Aprì la palpebra. Emeraldas alzò su di lui due
enormi occhi blu colmi di sofferenza.
– Har... – tossì, sputò
sangue – Har... lock.
– Com'è possibile? – le labbra di Matia
tremavano – Perché? Perché non riesco
a...
Un botto, due, tre... e raggi laser, tanti, troppi per contarli.
Matia si piegò in avanti e all'indietro, scariche
elettriche che le uscivano dal petto, dalle gambe e dalle braccia
crivellate di colpi. La sua mano destra si mosse a scatti. Lasciò cadere il folgoratore e
barcollò verso il computer.
S'accasciò sulla plancia, s'afferrò a una leva
e il suo corpo si mise a sussultare tra lampi, scariche
elettriche e fumo nero.
Urlò, un suono acuto quasi come quello degli
Shòu, mentre
la sua pelle artificiale bruciava e fondeva e i suoi abiti e i capelli
s'incendiavano.
L'odore dolciastro di circuiti e cavi bruciati riempì l'aria e lei cadde a terra, avvolta dalle fiamme e ancora sussultante.
– Harl... ock.
Un altro rivolo di sangue uscì dalle labbra ormai
blu di Emeraldas e Halock la strinse a sé.
Era fredda e sempre più pallida.
È un
incubo... sì, un incubo.
Le accarezzò la guancia, passò un dito su quella
cicatrice così simile alla sua.
Una striscia rossa si disegnò sulla sua pelle gelida, pallida e sudata.
Harlock si guardò la mano e abbassò il capo. C'era sangue dappertutto:
gli macchiava il petto e il bacino, colava fra le sue cosce, formava
una pozza fin sotto le sue ginocchia. Cominciò a tremare quanto lei.
Il Dottor Zero s'avvicinò, aprì la tuta di Emeraldas, le guardò il
petto e scosse il capo.
Harlock si guardò attorno.
C'era silenzio, ora.
Grenadier e i suoi erano sparpagliati per la sala, chini sui corpi di
quegli strani esseri, intenti a farsi soccorrere dagli inferimeri o ad
aiutarli nella loro opera. Tadashi stringeva al petto Mayu e Zero si
stava avvicinando, sorretto da Marina e dal dottore meccanoide.
Tochiro... Kurai... giaceva a pochi passi da lui, il cranio sfondato.
Sì, è per forza un incubo.
Zero si chinò su Emeraldas,
sconvolto.
– Perché lo hai salvato? – le
scostò una ciocca di capelli dal viso – Come
hai fatto a...
Lei sorrise. Harlock sentì la sua
schiena irrigidirsi e inarcarsi contro il suo braccio.
Un rantolo, un tremito più forte e gli si
accasciò fra le braccia.
Le chiuse gli occhi con due dita tremanti.
Senza una parola, il Dottor Zero gliela tolse di dosso e gli
avvolse la coperta isotermica attorno alle spalle.
Il Dottore meccanoide si avvicinò e guardò prima
Zero e poi lui, imperscrutabile.
– In una delle sue note, il Dottor Ban teorizzava che le menti degli Herakles possano
assorbire qualcosa della personalità del soggetto di cui
ricevono i ricordi nonostante la procedura selettiva di Kurai. Forse, in lei, c'era davvero qualcosa di Emeraldas.
Tadashi impallidì.
– Anche...
anche l'Harlock che ho ucciso sulla Nèmesis, a un certo punto...
Non finì la frase, ma Harlock aveva capito.
E non aveva più dubbi: quello
in cui s'era appena svegliato era davvero un incubo.
Il peggiore da quando era al mondo.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 46 *** Cicatrici ***
cap 8
Harlock posò il dito sul grilletto del cannone
principale, socchiuse la palpebra e guardò nel mirino.
L'obiettivo era a fuoco, l'allineamento con la tacca di mira perfetto.
Perché lo sto
facendo?
Trasalì. Era la prima volta che si poneva una domanda del
genere.
Era come se, da qualche parte nella sua mente, una voce lontana gli
stesse urlando di fermarsi.
– Sbrigati.
Si voltò. Oltre la ruota del timone, Hell Matia
accavallò le gambe sul teschio che ornava il bracciolo della
poltrona e ricambiò il suo sguardo.
La voce nella sua testa tacque, ogni dubbio svanì.
Perché esitare? La gente là dentro era la stessa
che aveva ridotto la Terra sull'orlo della catastrofe e aveva
negato a lui e ai suoi amici la possibilità
di rifarsi una vita: non avevano versato una lacrima quando Maya era
morta fra le sue braccia per loro, non avevano mosso un dito quando Tochiro ed Emeraldas li avevano
esortati a lottare per il loro pianeta, il loro futuro e la loro
libertà.
Paura, debolezza, pigrizia o pura cattiveria... che importava? Erano
solo dei vigliacchi egoisti.
Non meritavano la sua pietà né il suo perdono,
non meritavano quella possibilità che lui, Maya, Tochiro ed
Emeraldas non avrebbero avuto mai più.
Premette il grilletto. Il cuore gli saltò in gola nel
sentire il colpo partire, il rinculo trasmettersi dall'impugnatura del
dispositivo di mira alle sue dita, agli avambracci e alle spalle.
Tutta la Nèmesis vibrò, le luci s'abbassarono di
colpo e quattro raggi paralleli rischiararono lo spazio sopra di lui.
Un bagliore fioco illuminò il nucleo centrale della colonia
e subito si spense.
Il tempo d'un respiro e un'enorme lingua di fuoco si
sollevò dentro la cupola pressurizzata e la mandò
in frantumi, per poi estinguesi nel vuoto privo d'ossigeno dello
spazio.
La parte inferiore della struttura si spezzò in due tronconi
fra scariche elettriche, vampate accecanti e un denso fumo nero.
Un'ultima, enorme esplosione silenziosa lo abbagliò.
Riaprì l'occhio. Al posto di Elpìs c'era solo un
mare di frammenti metallici, schegge e detriti alla deriva.
Uno di essi sbatté contro la vetrata proprio di fronte a
lui: una minuscola scarpetta azzurra.
La fronte gli s'imperlò di sudore, la gola gli si
seccò.
Da qualche parte nella sua mente, quella voce lontana
ricominciò a urlare... ed era la sua.
No!
Spalancò l'occhio e si morsicò il labbro
inferiore per soffocare il grido d'orrore, sofferenza e angoscia che
gli stava salendo su per la gola.
Non era sulla Nèmesis. La stanza in cui si trovava era
rivestita degli stessi pannelli in superlega, ma era più
piccola, calda e luminosa; l'aria era permeata dall'odore d'alcool,
vecchi libri e medicinali. Oltre il tessuto liso d'un
paravento, una scrivania coperta di libri, fogli e bottiglie, un paio
di sedie e un armadio colmo di vaschette, flaconi e fiale spiccavano
alla luce delle lampade fluorescenti. Da qualche parte al di fuori del
suo campo visivo, un computer emetteva un continuo, basso ronzio.
L'infermeria
dell'Arcadia. Già...
Inspirò a fondo e strinse il pugno attorno al lenzuolo.
Le tempie gli pulsavano e in bocca aveva un sapore amaro.
Si premette il palmo della mano sinistra contro la palpebra. Puntini
rossi danzarono nel buio.
Non è nulla,
solo un altro di quei falsi ricordi.
Espirò e si ripeté quello che gli aveva spiegato
il Dottor Zero mentre gli controllava un'ultima volta i parametri
vitali prima di sistemarlo in quel letto: aveva nella testa i ricordi
di un altro Harlock, una sua copia dalla mente sconvolta e sotto il
controllo di gente senza scrupoli.
Non aveva fatto del male a nessun innocente, mai.
Ma allora perché quel rancore lo sentiva così
suo? Perché quel sollievo, quella soddisfazione crudele?
Hanno avuto
ciò che meritavano.
Si passò il palmo sulla fronte sudata.
Nel buio, le macchie rosse si trasformarono nelle ultime scie di
un'esplosione silenziosa.
La scarpetta sbatté di nuovo contro il vetro.
Affondò i denti nel labbro inferiore, si asciugò
la fronte e riaprì l'occhio.
L'orologio a muro sopra la scrivania segnava le due e cinquantaquattro:
s'era appisolato da nemmeno un'ora.
Così non va.
Non era da lui aver paura d'addormentarsi né fingere di
farlo non appena qualcuno gli si avvicinava, non era da lui restarsene
steso in un letto mentre i suoi amici avevano bisogno d'aiuto.
Ma cos'era da lui, in fondo? Cos'era rimasto, davvero, di lui?
– Molto bene – la voce del Dottor Zero si
levò allegra da qualche parte oltre il paravento
– Ora passa alla spalla e poi prova a fasciarlo come t'ho
mostrato ieri.
Harlock sollevò la testa dal cuscino e si
puntellò sui gomiti.
C'era un grosso buco nella stoffa all'estremità sinistra del
paravento; ci guardò attraverso e, nonostante l'angoscia e
la confusione che ancora lo attanagliavano, non poté
reprimere un ghigno.
Seduto sul lettino per le visite, Tadashi fissava il soffitto mentre
Mayu gli si affaccendava attorno in camice bianco e guanti sterili.
Appollaiato su uno sgabello più alto di lui, il Dottor Zero
osservava compiaciuto, la sua inseparabile bottiglia di saké
fra le mani e Mi acciambellata sulle ginocchia.
Tadashi sbadigliò.
– Ci vorrà ancora molto? Lo sai che devo... Ahio!
– sussultò – Vacci piano con quella roba!
Una garza imbevuta di disinfettante volò via dalle pinzette
nella mano destra di Mayu e atterrò sulla testa di Mi, che
soffiò indignata e se la svignò sotto al lettino.
Mayu sbuffò e afferrò un'altra garza dal tavolino
accanto a lei.
– Sta' fermo!
– Ma brucia!
Il Dottor Zero si concesse un generoso sorso di liquore.
– Abituatici, ragazza mia – ridacchiò
– Nessun paziente se ne starà mai zitto e buono,
ma una volta che avrai imparato a gestire un rompiscatole come lui...
– Cosa? – Tadashi lanciò un'occhiataccia
al medico – È per questo che avete insistito
perché fossi io a... ahio! Mayu, insomma!
Mayu allargò le braccia.
– Sto facendo più piano che posso –
sbuffò di nuovo – E poi non è vero che
brucia: la ferita è cicatrizzata, lì!
Tadashi sporse il labbro inferiore.
– Invece brucia – uggiolò – E
voi due siete senza cuore: non solo usate un povero ferito come cavia
per le vostre lezioni, ma lo trattate anche male! Ai pazienti ci si
rivolge con dolcezza, non lo sapete?
Il suono sibilante della porta e una risata sommessa interruppero il
battibecco.
– Smettila di lamentarti, Tadashi! Ti si sente fin sul ponte
di comando!
Quella sagoma sottile oltre il tessuto liso, quella voce...
Yuki.
– Giusto – Mayu sventolò le pinze sotto
il naso di Tadashi – Piantala, o finirai per svegliare
Harlock.
– È sempre...
Il Dottore sopirò, posò la bottiglia e scese
dallo sgabello.
– Nessun cambiamento, mi spiace.
Tadashi s'alzò, Mayu si fece da parte... e il respiro si
mozzò nella gola di Harlock.
Sul petto del ragazzo spiccava una grossa cicatrice dai bordi gonfi e
arrossati.
Sapeva che c'era, aveva rivissuto mille volte il momento in cui gli
aveva sparato, ma era la prima volta che la vedeva.
–
Perché, Capitano?
–
Perché lo voglio.
Strinse più forte il pugno attorno al lenzuolo ed
espirò di nuovo.
Quella gioia feroce nel premere il grilletto, quel senso di sollievo,
di liberazione...
No. Era un altro, un
altro, un altro...
Yuki fece un passo avanti e il suo volto entrò nel ridotto
campo visivo offerto dal buco nel paravento. Sorrideva, ma aveva l'aria
stanca.
Una fitta di rimorso serrò lo stomaco di Harlock al ricordo
di lei seduta al suo capezzale che gli rimboccava le coperte mentre lui
fingeva di dormire nella prima di ben tre notti insonni.
Era sicuro che se ne fosse accorta e si detestava per la sua codardia,
ma cosa avrebbe potuto dirle?
Che sette anni prima l'aveva lasciata sulla Terra perché gli
ricordava Maya e quell'amore che non aveva saputo proteggere? Che gli
era capitato di desiderarla anche se era sbagliato e che odiava se
stesso e a volte persino lei per questo? Che il suo amore per lui era
stato come balsamo e sale sulle sue ferite, che, quella notte,
in quel giardino, era stato combattuto tra l'impulso di premere il
grilletto e quello di...
Non io.
Affondò ancor di più i denti nel labbro e torse
il lenzuolo.
Non io! No...
Yuki mosse un altro passo verso Tadashi e gli sfiorò il
petto.
– Come va?
Lui la guardò negli occhi e le sistemò una ciocca
di capelli dietro l'orecchio.
– Tutto bene – la sua voce s'arrochì
– Non preoccuparti.
Yuki sospirò.
– È una parola...
La sua mano risalì lungo il fianco fino al braccio destro di
Tadashi, gli sfiorò la spalla sinistra, indugiò
sul suo collo e gli scostò dalla tempia una ciocca di
capelli più corta delle altre.
Harlock fremette. In ognuno di quei punti c'erano segni di ferite
ancor più recenti.
Un lampo nella sua mente e si ritrovò sulla
Nèmesis.
Nei suoi ricordi, nei ricordi dell'altro Harlock, Lia Zone rise.
– Non vi sta
puntando contro una pistola solo perché lo sto obbligando:
c'è una parte di lui che desidera uccidervi più
di quanto non lo voglia io.
Harlock torse il lenzuolo e si morsicò il labbro fino a
sentire il sapore metallico del sangue sulla lingua.
Già.
La stoffa si lacerò fra le sue dita ma non sentì
il rumore dello strappo: ogni battito del suo cuore era un colpo sordo
e doloroso che gli rimbombava nelle tempie fino alla base del naso e il
respiro gli strisciava come carta vetrata nella gola secca.
Non c'è un
altro Harlock. Non c'è mai stato.
L'aveva pensato per la prima volta in quel maledetto laboratorio,
quando quel Dottore meccanoide aveva ipotizzato che, nella creatura che
l'aveva protetto a costo della vita potesse esserci
davvero una parte di Emeraldas. Quell'idea e le sue
implicazioni gli avevano fatto pensare d'essersi svegliato nel
peggiore incubo da quando era al mondo, perciò era stato ben
lieto di sentirsi dire che non era stato lui il responsabile di quelle
azioni scellerate, che non era stato lui a provare quei sentimenti
ignobili, che nella sua testa c'erano i ricordi un altro, un essere
distorto e snaturato che con lui non aveva nulla a che fare.
Ma dentro di sé sapeva la verità, l'aveva sempre
saputa: l'essere da cui Kurai e i suoi compagni avevano ricavato la sua
copia non poteva provare emozioni complesse come odio, desiderio o
rancore e poco importava se i ricordi che gli facevano tanto orrore
erano il risultato d'un impianto; per quanto potesse desiderare il
contrario, quei sentimenti appartenevano a lui, l'Herakles era una
parte di lui.
Il mio lato oscuro... o forse il vero me stesso.
Un peso improvviso sulle gambe lo fece sussultare. Mi gli
risalì lungo la coscia con un miagolio acuto e si
strusciò contro il suo pugno contratto. Il Dottore
scostò il paravento e sorrise.
– Oh, Capitano – sollevò la bottiglia a
mo' di saluto – Vedo che alla fine siamo riusciti a
disturbarti. Te la senti di parlare un po', oggi?
Harlock distolse lo sguardo e il Dottore sospirò.
Mayu si sfilò i guanti e gli sfiorò il braccio.
– Harlock...
Conosceva quello sguardo.
Aveva bisogno di un abbraccio, di una parola, o anche solo che le
sfiorasse i capelli.
Avrebbe sorriso e sarebbe stata forte, proprio come quando era bambina; come quando era bambina, lui avrebbe ritrovato una ragione per
lottare, la speranza e la determinazione: la stanchezza, i dubbi e
l'amarezza si sarebbero dissolti come neve al sole... ma, come in quel
laboratorio, la sua mano non si mosse e le sue labbra restarono serrate.
Volevo ucciderla...
ucciderla! Una parte di me lo vuole ancora!
Dietro Mayu, Tadashi gli lanciò un'occhiata inquieta e
si coprì con la parte superiore della tuta. Si bloccò con
una smorfia e il braccio destro infilato per metà nella
manica. Rivolse a Mayu un ghigno sarcastico, ma nel suo sguardo c'era
un'ombra.
– Ed ecco che il povero paziente è già
dimenticato – le fece il broncio – Diventerai
proprio una Dottoressa da Nobel!
Mayu gli fece la linguaccia.
– In compenso tu sei già un paziente
insopportabile! – sorrise, ma la sua voce tradiva
preoccupazione e disagio – La prossima volta t'addormenterò, così potrò lavorare in
santa pace!
Il Dottore si grattò il mento.
– Sai che è un'idea? Non ci avevo mai pensato...
Tadashi scosse la testa, roteò gli occhi e
trascinò una sedia accanto al letto.
– Questa è una gabbia di matti – s'accomodò a cavalcioni con le braccia incrociate sulla
spalliera – Battiamocela finché siamo ancora tutti
interi, Capitano!
Un gemito e il rumore d'oggetti metallici che colpivano il pavimento
lo fecero voltare di scatto.
– Benedetta ragazza – il Dottore afferrò
Yuki sotto al gomito e la sorresse appena in tempo per evitarle una
rovinosa caduta – Non puoi ancora camminare senza...
Lei lo fulminò con lo sguardo e lui si morse la lingua, ma
Harlock aveva già notato la stampella quando per la prima
volta s'era svegliato in quel letto con lei al fianco.
E ricordava i rivoli di sangue che colavano sul pavimento della
Nèmesis dalla sua coscia ferita, le ustioni sul suo braccio
e la puzza di tessuto e pelle bruciati quando le aveva premuto contro
il seno la canna della Dragoon.
– Capitano,
dimmi che non è vero...
Avrebbe dato qualunque cosa perché qualcuno lo dicesse a lui,
perché Zero o chiunque altro entrasse da quella porta e gli
dicesse che era solo un altro sogno generato da quel maledetto computer.
Tadashi si alzò, fece sedere Yuki al suo posto e le mise una
mano sulla spalla.
– Perché non ci suoni qualcosa, Mayu? Abbiamo
ancora qualche minuto prima d'incontrare Zero e i suoi.
Lei annuì, sbottonò il camice e si
portò l'ocarina alle labbra.
Harlock si ributtò all'indietro sul cuscino.
Come sempre, quella melodia aveva il potere di portarlo indietro nel
tempo, alla sua infanzia volata via così in fretta, ai sogni
innocenti d'allora... e al giorno in cui aveva giurato a Tochiro ed
Emeraldas che avrebbe protetto almeno quelli di Mayu, a ogni costo.
Stava per chiudere l'occhio quando uno scintillio catturò il
suo sguardo.
La Cosmo Dragoon di
Emeraldas.
Rivide Mayu puntargliela contro in quel giardino disseminato di
cadaveri, le labbra serrate in una linea sottile e le sopracciglia
aggrottate nella stessa, identica espressione che compariva sul volto
di sua madre quando era davvero infuriata. Se ci fosse stato qualcun
altro al suo posto o se non l'avesse riconosciuto, gli avrebbe sparato,
ne era certo.
Quattordici anni. Non
è più una bambina, ormai.
Aveva la stessa età di Yuki e Tadashi quando li aveva presi
con sé e aveva insegnato loro a combattere, eppure non
riusciva ad accettare l'idea che le sue mani avessero impugnato un'arma
e cancellato delle vite. Per lui.
Per lui che, come Tochiro, aveva sempre desiderato che vivesse felice,
lontano dalle battaglie, dalle sofferenze e dal sangue che avevano
segnato la sua esistenza e quelle dei suoi genitori; per lui che
avrebbe dato tutto perché potesse crescere in un mondo dove
non ci fosse più bisogno di pistole...
Ricordò la prima volta che l'aveva tenuta in braccio, il
primo sorriso che gli aveva rivolto.
In quel momento aveva pensato, per la prima volta da quando aveva perso
Maya, che aveva di nuovo un punto fermo, una speranza pura e luminosa,
una ragione per continuare a lottare, un legame con ciò che
era stato. Un'ancora.
Era stato questo... e molto, molto di più ma, col tempo, era
diventata anche la più pesante delle zavorre: gli dava
speranza, ma allo stesso tempo gli ricordava tutto ciò che
aveva perduto; lo legava alla vita, ma a volte il peso di non poter
morire gli era più insopportabile dell'idea stessa della
morte; lo spingeva a lottare, ma nel futuro oltre la fine della
battaglia non vedeva alcun posto per sé.
La amava con tutto se stesso. Aveva bisogno di lei. Voleva fuggire da
lei.
Voleva il suo bene. Voleva...
Il lenzuolo si lacerò del tutto sotto la torsione del suo
polso e la musica s'interruppe.
Harlock alzò lo sguardo. Gli occhi di Mayu erano grandi e
tristi, fissi sulla pistola.
– Dimmi la verità – la sua voce era un
soffio – Ce l'hai con me, vero, Harlock?
Yuki si voltò di scatto.
– Mayu, ma che dici?
Lei non diede segno di averla neanche sentita. Lasciò
ricadere l'ocarina sul petto e lo fissò.
– È perché ho infranto la promessa,
vero? – le sue labbra tremarono – Quella di restare
sulla Terra e vivere una vita normale come voleva mio padre, come
volevi tu...
non è così?
Tadashi le afferrò il braccio.
– Non dire sciocchezze, Mayu! Sono le conseguenze di quel
transfer di memoria! Lo shock...
Mayu si liberò con uno strattone.
– Quel transfer l'ha subìto anche Zero –
la sua voce s'incrinò – E allora perché
lui non è così?
– Te l'ho già spiegato – il Dottore si
grattò la nuca – Il Capitano Zero era cosciente
quando s'è collegato a Oneiros. Sapeva che quello in cui si
trovava non era il mondo reale, così come ora sa che una
parte dei ricordi nella sua testa non sono suoi e che alcuni non sono
nemmeno reali. E poi è rimasto in quella realtà
alternativa solo per qualche ora, mentre il Capitano...
– Sa benissimo qual è la realtà
– singhiozzò – Non ha riportato danni
cerebrali e sono tre giorni che non facciamo altro che raccontargli
cos'è successo in questi quattro anni!
Yuki si alzò.
– Ora basta, Mayu. Harlock ti vuole bene, te ne ha sempre
voluto e te ne vorrà sempre. Come puoi dubitarne?
Un altro singhiozzo.
– È vero? – due grosse lacrime
le rigarono le guance – Mi vuoi bene lo stesso, Harlock?
Anche se non ho mantenuto la promessa, anche se sono diventata
un'assassina?
Tadashi trasalì come se lo avessero frustato, Yuki si mise
le mani davanti alla bocca.
– Mayu!
Harlock aveva giurato di non mentirle mai.
Una volta non avrebbe esitato un attimo, ma ora... poteva davvero dire
che aveva agito sempre e solo spinto dall'amore? Quella parte di lui,
l'Harlock che disprezzava, gli diceva che il suo era un sentimento
egoistico, in fondo.
Aveva bisogno di qualcuno che l'aspettasse, che credesse in lui, che dipendesse da lui.
Aveva bisogno di un motivo per non lasciarsi alle spalle tutto quello
in cui aveva creduto, tutto quello per cui aveva lottato con Tochiro ed
Emeraldas, di una fiamma che rinfocolasse il fuoco della sua speranza
perché, nonostante ciò che aveva promesso a Maya,
il buio si faceva ogni giorno più fitto e gelido intorno a
lui... e aveva cominciato a desiderarlo.
Poteva dire che era amore, quello?
Volevo che fosse felice
o che dipendesse da me per sempre?
Distolse lo sguardo.
Lei si torse le mani.
– Lo sapevo... ma dovevo
farlo... io...
Un altro singhiozzo nel silenzio più assoluto e il sibilo
improvviso della porta.
– Mayu!
Yuki si alzò di scatto, afferrò la stampella e
uscì a sua volta.
La sedia cadde a terra. Il Dottore agguantò la cassetta del
pronto soccorso da sotto una pila di fogli e si fiondò alla
porta.
Precedette Tadashi d'un soffio e gli sbarrò la strada.
– Resta qui, ragazzo! È meglio che sia io a correr
dietro a quelle due!
La porta si richiuse e l'infermeria ripiombò nel silenzio.
Tadashi appoggiò un pugno contratto allo stipite della porta
e la fronte sull'avambraccio ripiegato.
La lancetta dei minuti compì quasi un quarto di giro prima
che tornasse a voltarsi verso di lui.
– Non è stata colpa sua, Capitano – la
sua voce era roca, il suo sguardo quello d'un uomo molto
più vecchio – Sono stato io a decidere
d'insegnarle a combattere... e a portarla qui.
S'avvicinò, tirò su la sedia e si
sedette, le spalle incurvate, gli avambracci sulle ginocchia.
Gli rivolse un sorriso amaro.
– Ho cercato di diventare come te, credimi –
aprì le mani e ne fissò i palmi – Ci ho
provato con tutto me stesso, ma non ci sono riuscito.
Sospirò e chiuse i pugni.
C'era un segno sul dorso della sua mano destra, una striscia
più chiara che andava da sotto la nocca dell'indice fin
quasi al polso, una cicatrice da taglio.
– Purtroppo, il nostro è un mondo dove ancora si
combatte – lo guardò dritto negli occhi
– Non cerco scuse. Sapevo benissimo cosa desideravi per lei,
ma non sono riuscito a cambiare il mondo e non ero in grado di
proteggerla come facevi tu. Non lo sono ancora, se è per
questo.
Si raddrizzò sulla sedia e i lembi della tuta si aprirono.
Oltre i segni delle ferite recenti, sul suo addome c'erano quattro
grosse cicatrici ormai sbiadite: tre nette e infossate lasciate da armi
da taglio, una rigonfia e irregolare, forse d'una pallottola,
e un'altra circolare contornata da tessuto fibroso.
Un colpo di laser.
Harlock trasalì. Tadashi non si era ferito a quel modo
combattendo contro le Mazoniane, ne era certo.
E allora come...
– Il nostro
è un mondo dove ancora si combatte.
Già. E lui lo sapeva. Lo sapeva meglio di chiunque altro. Aveva vissuto sulla Terra alla fine della guerra con i Meccanoidi e ogni giorno un intrico di cicatrici gli ricordava quanto
potessero arrivare in basso gli uomini che avevano perso tutto, ma li
aveva lasciati lo stesso soli in mezzo a quella desolazione; un
ragazzo di appena sedici anni e una ragazza di diciotto... affidando
loro una bambina, oltretutto.
Aveva creduto d'agire per il loro bene e ci era voluto tutto il suo
coraggio per decidersi a farlo davvero; mentre li osservava correre
sulla scia dell'Arcadia, s'era ripetuto infinite volte che, se fossero rimasti con lui, non avrebbero mai potuto vivere
appieno le loro vite e diventare forti e indipendenti: avrebbe finito per tenerli legati a sé per sempre... e non era giusto.
Ma forse volevo solo
scappare... mollare le mie zavorre, smorzare un fuoco troppo caldo e
luminoso prima di bruciarmi di nuovo.
Osservò il petto di Tadashi, il suo braccio, la sua spalla coperta dalla tuta.
Gli aveva inferto le stesse ferite che aveva subìto lui.
Forse sono arrivato a quel punto... quello di chi ha perso tutto ed è capace di tutto.
Tadashi gli afferrò la mano. La sua stretta era forte e decisa, diversa da quella incerta del ragazzo che aveva conosciuto.
– Capitano, ti prego. Mayu non ha colpe. Se proprio devi, prenditel...
La porta s'aprì. Harlock si voltò... e una
miriade di lucine lo abbagliarono, un dolore intenso gli percorse prima
la mascella, poi il fianco e la schiena.
Un rumore metallico gli intronò le orecchie e si
ritrovò a guardare il soffitto come quando si era
svegliato. Solo che adesso era a terra, con le gambe all'aria, il lenzuolo di traverso sul bacino e scatoline, bende e blister sparsi addosso.
– Ma cosa...?
Chiedo
scusa per la lunga assenza e per le recensioni arretrate nelle
varie FF.
Spero
di riuscire a scrivere con più costanza d'ora in poi e di
riportarmi in pari presto!
Buone
Feste a tutti!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 47 *** Eroi e caduti ***
cap jidai
Zero premette l'interruttore e i neon s'accesero in uno
sfarfallio di luce bianca che gli ferì gli occhi.
Abbassò la visiera del cappello e strinse le palpebre. Da
una delle capsule allineate contro la parete mancava la bandiera, che
giaceva a terra in un garbuglio spiegazzato. S'avvicinò e
guardò il volto dall'altra parte del vetro.
Markell.
Si chinò a raccogliere la bandiera, la rimise al suo posto e
si portò la mano alla fronte nel
saluto militare, il cuore oppresso.
Dovrei esserci abituato,
ormai... vero, Capitano?
Come sempre più spesso gli accadeva, ripensò al
suo
predecessore: quattordici anni prima, proprio in quella stanza, gli
aveva detto che a poco a poco la morte dei suoi sottoposti sarebbe
diventata una compagna persino più abituale di loro e che
avrebbe smesso di starci così male.
Ma Markell era così giovane, Fokker aveva due bambini ancora
piccoli, Sniper era vicino alla fine della ferma e a racimolare la
somma che gli avrebbe consentito di riscattare il suo corpo umano...
Proprio come i suoi commilitoni d'allora, ognuno dei venti uomini e
delle sei donne che giacevano lì dentro aveva avuto una sua
vita, una storia a cui lui, con le sue scelte e i suoi ordini, aveva
scritto il più tragico e prematuro dei finali.
– Dovresti
smetterla di farti questo, Zero
– nei suoi ricordi, il Vice-Comandante Hawkyns gli
lanciò
quello sguardo condiscendente che tanto odiava mentre gli porgeva per
la prima volta cappello e giacca da Capitano – Ormai quel che è
fatto è fatto. I morti non tornano.
Zero scoprì la seconda capsula.
Aveva il vetro oscurato e sulla targa c'era il nome del Tenenente
Ichijo. Il suo stomaco si contrasse.
Come sempre, dei piloti abbattuti era stato rimasto ben poco...
e nulla che si potesse mostrare a una famiglia già straziata
dalla perdita.
Quel che è
fatto è fatto.
Forse avrebbe davvero fatto meglio a smetterla: non sarebbe cambiato
nulla né per i suoi uomini, né per le loro
famiglie,
né per lui.
Strinse il pugno.
No.
Sono morti ai miei ordini. Il minimo che possa fare è
guardarli in faccia un'ultima volta.
Salutò di nuovo, rimise a posto il drappo e passò
alla terza capsula.
Le scoprì una alla volta e si prese tutto il tempo
per dare l'ultimo saluto ai suoi compagni, per ricordare i loro volti,
per
convincersi una volta per tutte che non li avrebbe mai più
incrociati nei corridoi, in palestra o in mensa, che non li avrebbe mai
più strigliati né lodati, che non avrebbe mai
più
sentito le loro voci rispondergli “Sissignore”.
Ne è valsa la
pena?
Ventisei dei suoi uomini, altri trentaquattro tra quelli di Yuki e
Tadashi e un numero ancora imprecisato di caduti fra i nemici:
meccanoidi, mercenari, quei poveri esseri che ormai non potevano
più dirsi Shòu né potevano essere
considerati
umani... e poi Lia Zone, Hell Matia e Kurai.
S'avvicinò alla capsula del Professore, scostò
il
lenzuolo che la ricopriva e sentì in bocca il sapore della
bile.
Distolse lo sguardo.
Sciocco. Ha l'aspetto di
Tochiro ma non è lui... Non potrebbe esistere nessuno di
più diverso.
L'occhio gli cadde sulla foto macchiata di sangue che il Dottor Zero
gli aveva trovato addosso e messo fra le dita e la sua sicurezza
vacillò. Quella donna elegante e sorridente, quel giovanotto
dall'aria sveglia, quel bambino con le ginocchia sbucciate e quella
ragazzina scarmigliata con le guance rosse che assomigliava
così
tanto a Mayu...
Se Tochiro avesse
perduto lei ed Emeraldas in quel bombardamento...
Infilò una mano nel colletto, strinse il medaglione fra le
dita e chiuse gli occhi.
E se ci fossi stato io
al suo posto... se avessi pensato che avrei potuto riprendermi la mia
famiglia...
Accarezzare di nuovo i capelli di Sayuri e svegliarsi al suo fianco
ogni mattina, tenere in braccio Seiryū, sentire la sua voce chiamarlo
“papà” e vederlo crescere giorno dopo
giorno...
Già. In un
mondo dove le
persone e i loro sentimenti sarebbero burattini di nessun conto,
dominato da una nuova Promesium con le sue schiere di Herakles...
Rabbrividì.
No, ho fatto la scelta
giusta.
Lasciò andare il medaglione e tornò sui suoi
passi.
Premette il pulsante d'apertura della porta e si voltò
indietro un'ultima volta.
Il vostro sacrificio non
sarà vano, ve lo prometto.
– Non mi
arrenderò mai. Tochiro, Emeraldas, ve lo prometto.
Barcollò.
Un altro di quei lampi, di quei ricordi non suoi.
Quella disperazione totale, annichilente, e la determinazione rabbiosa
a ribellarsi al destino, al Governo, a tutto, pur d'avverare un sogno
di libertà e d'un meraviglioso futuro per la bambina che
stringeva fra le braccia...
Harlock.
S'incamminò lungo il corridoio a capo chino, le mani
affondate nelle tasche.
Quella determinazione sembrava ormai spenta in lui, assieme alla
rabbia, alla speranza, a tutto il resto. Erano passati tre giorni
dall'irruzione e non aveva ancora detto una parola
né
s'era alzato dal letto.
– Lo shock
potrebbe farlo
impazzire: potrebbe non essere più in grado di distinguere
sogno
e realtà, ridursi a un vegetale per il resto dei suoi giorni
o
addirittura avere un infarto e morire sul colpo...
Zero infilò una mano sotto la giacca. Un arresto cardiaco
l'avevano avuto entrambi; quanto alla confusione tra sogno e
realtà, quei continui, incontrollati lampi di memoria e i
residui della forte sintonia tra le loro menti, ogni tanto, lo
confondevano fino a fargli dimenticare chi fosse.
Il Dottor Machine gli aveva assicurato che pian piano il suo cervello
avrebbe isolato e cancellato i ricordi non suoi e che le
personalità di Harlock e del suo Herakles avrebbero smesso
di
sovrapporsi alla sua.
Zero sperava che succedesse in fretta e non solo per i problemi
d'ordine pratico che quella situazione avrebbe potuto causare: venire a
sapere tutto di Harlock così, di colpo e nella maniera
più totale, vivere la sua vita, provare i suoi sentimenti,
scoprire l'uomo dietro l'eroe con tutte le sue fragilità e
contraddizioni lo aveva turbato... e anche un po' deluso.
Non è giusto. Non ne ho alcun diritto.
Harlock non era un eroe e non aveva mai desiderato diventarlo.
Era stato lui a idealizzarlo, a metterlo su un piedistallo sempre
più alto perché aveva bisogno di qualcosa in cui
sperare
e ad allontanarsi sempre più dall'uomo reale, dall'amico che
avrebbe potuto avere se solo calpestare la bandiera che aveva giurato
di proteggere non fosse stato del tutto contrario ai suoi
princìpi.
Non era stato solo in quell'errore: Yuki, Tadashi, Mime e persino
Mayu... per tutti loro, Harlock era un eroe, un essere sovrumano
incapace di sbagliare, disperarsi o provare rabbia, odio o invidia.
E per mantenere vivi i
fuochi delle nostre speranze, hai cercato di diventare quell'eroe...
Zero strinse i pugni.
Stupido
Harlock.
Li sentì sulle spalle come quando le loro menti erano
entrate in
contatto: quattordici anni passati a combattere nemici reali e demoni
interiori nella solitudine più assoluta, a lottare per non
far
spegnere il fuoco d'una speranza sempre più flebile, a
tentare di farlo risplendere come un faro nell'oscurità gelida che gli
entrava dentro ogni giorno
di più.
Aveva avuto bisogno d'un amico quando Tochiro ed Emeraldas erano
scomparsi per sempre fra le stelle e durante il suo lungo esilio nel
cosmo, mentre combatteva la sua guerra senza speranza con le Mazoniane
e quando i suoi fratelli terrestri lo avevano rinnegato per l'ennesima
volta; aveva avuto bisogno d'un amico mentre le deboli fiammelle che
aveva raccolto e protetto si trasformavano in grandi fuochi che non
avevano più bisogno della sua luce e del suo calore per
ardere e
risplendere.
Avrei dovuto capire.
Fare qualcosa.
Tirò fuori le mani dalle tasche, si tolse il cappello e lo
rigirò fra le dita.
Tutte le buone ragioni che lo avevano spinto a non incrociare
più il suo sentiero con quello di Harlock ora gli sembravano
sciocchezze: il suo dovere di soldato, la distanza, l'onore, persino il
non sapere della morte di Tochiro ed Emeraldas.
Ho solo cercato delle
scuse? Avevo paura che il mio eroe fosse cambiato?
Torse il tessuto fra le dita. Conosceva più di chiunque
altro il
gelo e l'oscurità che erano entrati nel cuore e nella mente
di Harlock; sapeva com'era sentirsi inutile e vuoto, senza futuro e
arrivare al punto di desiderarla, addirittura di cercarla. Era un
qualcosa che aveva superato, ormai, e poteva persino parlarne con un
sorriso, ma vederlo in Harlock, nel suo eroe...
– Torna subito in infermeria, deficiente, hai capito?!
Zero sobbalzò e per poco il cappello non gli
sfuggì di mano.
Aggrappata agli stipiti della porta della sala riunioni, Sylviana
fronteggiava Ishikura.
– Piantala di darmi ordini e levati da lì, o giuro
che ti chiudo in mezzo col comando manuale!
Sylviana non si mosse. Alzò un sopracciglio e
sogghignò.
– Ma ti sei visto? Non riesci nemmeno ad abbottonarti la
giacca! Avanti, Shizuo, ragiona!
Ishikura sbuffò.
– Signor
Ishikura, prego – afferrò un bottone
con la mano sinistra – E certo che ci riesco, sta'a vedere!
Tirò il bottone vicino all'asola, ma il filo cedette e il
piccolo dischetto argentato gli rimase in mano. Sylviana
roteò
gli occhi.
– Con quel tutore che ti blocca la spalla sinstra e la destra
bendata a quel modo non ce la farai mai.
Ishikura non le badò. Piegò il collo e il braccio
sinistro in modo da tenere teso il bavero, ma così gli era
impossibile raggiungere i bottoni con la mano sana. Provò ad
afferrarne uno con la destra. Gli sfuggì almeno una decina
di
volte, tutte sottolineate da fantasiose imprecazioni. Sylviana
non fece una piega.
– Su, dammi retta e smettila, tanto non mi muovo.
Ishikura sollevò la testa, le sopracciglia aggrottate nella
più tipica delle sue espressioni ostinate.
– Guarda che ti sposto con la forza!
Sylviana gli strizzò l'occhio.
– E come pensi di prendermi, tanto per sapere?
Ishikura la squadrò come se stesse valutando la cosa,
arrossì e si rilassò.
– Va bene, m'arrendo – accennò alla
giacca con la mano illesa – Potresti aiutarmi, per favore?
Sylviana gli sorrise e allungò una mano verso di lui.
– Bel tentativo, Shizuo
– gli passò un dito sul petto da sotto in su e gli
sbottonò il colletto con un'unica, rapida mossa –
Ma non mi freghi. E poi a me piace spogliarti, lo sai.
Lui le afferrò la mano, il volto tendente al bordeaux.
– Piantala! Ti sembra il momento di...
– Piantala tu e va'a farti curare! Non costringermi ad
andare dal tuo Capitano e...
– Ma bene! Anche i ricatti, adesso! E io che credevo...
– Ah, eccola qui, Vice-Comandante! – il Dottore
arrivò di corsa dall'altro lato del corridoio – E
c'è anche il Capitano, per fortuna.
– Cosa? – Ishikura si girò,
lasciò la mano di
Sylviana e, se possibile, diventò ancor più
rosso – Da quanto tempo è lì, Signore?
Sylviana incrociò le braccia.
– Capiti a fagiolo, Grand'Uomo. Magari a te darà
retta, 'sto testone.
Zero si schiarì la voce e guardò il Dottore.
– Qual è il problema?
– Il Vice-Comandante Ishikura insiste per tornare alle sue
mansioni con effetto immediato, nonostante le ferite riportate in
missione e senza sottoporsi al check-up di routine.
Ishikura sorrise.
– Sarebbe solo una perdita di tempo con tutto quel che
c'è da fare. E poi sto benissimo.
– Sì, e io sono la Vergine Maria.
– Sylviana!
Il Dottore si schiarì la voce.
– Ha ragione lei. La ferita alla spalla sinistra è
profonda, la mano destra fuori uso. Non può...
– Non è nulla di grave – Ishikura
roteò il
braccio con una certa fluidità, ma il suo sorriso era
forzato
– Non sento alcun dolore, davvero.
Il Dottore sollevò un sopracciglio.
– Crede per caso d'ingannarmi? Oltre a curarne diverse
centinaia,
sono stato un essere umano anch'io. La spalla le fa un male tremendo,
lo so benissimo e si vede.
Sylviana rise.
– Vero? L'ho sempre detto che come attore fa schifo!
– Dottore, Capitano, vi ripeto...
Sylviana roteò gli occhi e gli piantò l'indice
fra l'omero e la clavicola.
Ishikura si piegò in due e strozzò un grido.
Quando si
raddrizzò aveva le lacrime agli occhi e un'espressione
temporalesca.
– Ma sei matta?!
Sylviana sbuffò, per nulla impressionata dal suo sguardo
assassino. Si staccò dalla porta e gli sollevò un
dito di fronte al naso.
– Primo: non osare mai più ignorarmi. Secondo: sei
tu il
matto a voler lavorare in queste condizioni – gli
afferrò
il braccio sano – Avanti, piantala di fare i capricci o
t'addormento di nuovo!
Ishikura si liberò con uno strattone.
– Sono solo dei graffi, per la miseria! Siamo sotto organico,
il
Comandante Oki è sfinita e il Capitano ha subìto
traumi
ben peggiori dei miei, eppure...
Il Dottor Machine incrociò le braccia.
– Il Capitano s'è sottoposto a tutti gli esami di
routine
ed è sotto monitoraggio costante, al contrario di lei. Non
vorrei arrivare a
tanto, ma ho l'autorità per imporle un T.S.O,
Vice-Comandante.
– Mi assumerò ogni responsabilità. Se
le ferite dovessero peggiorare o...
– Sveglia, Everest, non è questo il punto! E
piantala di girarci attorno, tanto verrà fuori tutto e lo
sai!
Zero guardò Ishikura.
– Cos'è che dovrebbe venire fuori?
Ishikura distolse lo sguardo.
Aveva ragione
quell'Ifikìs. Nasconde qualcosa.
– Cos'è successo a Megalopolis?
Ishikura trasalì. Non era bravo a mentire, soprattutto non a
lui.
Zero lo aveva incrociato solo una volta da quando era tornato e
già allora aveva avuto l'impressione che cercasse di
evitare il confronto diretto. Ora ne era certo.
Si sistemò il cappello sulla fronte e si girò
verso Sylviana.
– Allora?
Lo scambio di sguardi fra lei e Ishikura durò quanto un
battito di ciglia, ma non gli sfuggì.
Sylviana scrollò le spalle.
– Non sono io quella che deve farti rapporto, Grand'Uomo
–
gli lanciò un'occhiata impertinente e incrociò le
braccia sul petto
– Però sarebbe meglio obbligare il tuo Soldatino a
farsi
curare.
– Sylviana, sto bene, davvero!
Zero si mordicchiò il labbro. S'era aspettato una protesta
più veemente, invece Ishikura sembrava addirittura sollevato.
Cos'è che non
vuole che lei mi dica? E cosa spera d'ottenere saltando i test?
In casi normali non avrebbe insistito, ma le parole di
Ifiklìs
lo turbavano ancora... e Yuki era stata troppo impegnata con le
riparazioni della sua nave, l'assistenza ai feriti, le operazioni di
messa in sicurezza della zona e mille altre incombenze per dargli
spiegazioni circa la storia della lista e il coinvolgimento di quei due
nel Progetto Herakles.
Quanto a Tetsuro, avevano concordato il silenzio radio fino alla
riunione.
– Signor Ishikura, come suo Capitano...
Ishikura s'irrigidì.
– Signore, con tutto il rispetto lo ripeto anche a lei: sto
bene.
Zero si bloccò. Quelle parole, quel tono... era stato come
risentire se stesso dopo la fine della guerra.
Sto bene.
Lo aveva ripetuto fino alla nausea a se stesso e agli altri mentre si
buttava nel lavoro fino a non distinguere più fra
esercitazioni
ed emergenze reali, mentre puniva il suo corpo colpevole d'essere
ancora vivo con il bruciore dell'alcool ed esercizi estenuanti, mentre
abbracciava un cuscino umido in un letto vuoto e mentre
allontanava uno a uno quei pochi amici che gli erano rimasti.
Sto bene.
Niente di più lontano dalla verità, solo un
ennesimo, inutile tentativo di sfuggirle.
Deglutì.
– Mi guardi in faccia mentre le parlo, Signor Ishikura.
Cos'è successo a Megalopolis?
Ishikura alzò la testa e il cuore di Zero mancò
un
battito: aveva la stessa sua espressione d'allora, quella di qualcuno con un disperato bisogno di qualcosa, qualunque cosa a cui
aggrapparsi.
E se è
così, allora...
– La prego, Capitano, voglio solo finire ciò che
abbiamo iniziato.
– È la perizia psichiatrica quella che vuole
evitare
davvero. Teme che la sospendiamo dal servizio per disturbo acuto da
stress. Sbaglio?
Ishikura spalancò gli occhi e un lieve tremito gli percorse
la mascella.
– Come lo ha...? – fece un profondo respiro,
sollevò
la mano sinistra verso il colletto già allentato e la
lasciò ricadere – E va bene, lo ammetto: sono
coinvolto a
livello emotivo ed è probabile che, se mi sottoponessi alla
perizia, andrebbe a finire proprio così. Ma sono lucido, ve
lo
garantisco, e ho bisogno di andare fino in fondo. Dottore, Capitano, vi
prego!
Il Dottore si accarezzò il mento.
– Quello che ci sta chiedendo è una grave
infrazione al
codice deontologico e militare, se ne rende conto, Vice-Comandante?
Inoltre, se ha davvero subìto un trauma tale da...
– Quello che vi sto chiedendo è di fidarvi di me.
Zero ripensò alle parole di Ifiklìs e a quelle di
Carson,
ma quella che risuonava più nitida nella sua mente era la
voce
di quel ragazzo che si dichiarava pronto ad affidargli la sua vita in
qualunque momento. E lo aveva fatto più d'una volta,
in passato.
Al diavolo.
– D'accordo, Ishikura – Zero s'abbassò
il cappello
sugli occhi – Entrerà in servizio al termine della
riunione, ma niente eccessi. E sia chiaro sin d'ora che voglio quella
spalla sotto controllo. Salti un solo appuntamento col
Dottore, si rifiuti di prendere una singola pillola e può
considerarsi sospeso.
Ishikura sorrise e batté i tacchi.
– Sissignore!
– Ma, Capitano...
Zero sollevò una mano.
– Non si preoccupi, Dottore. Ne risponderò io
–
diede uno sguardo all'orologio – Credo sia il caso d'entrare.
Mancano dieci minuti al collegamento con Megalopolis.
Sylviana gli afferrò il braccio.
– Non credo sia una buona idea, Grand'Uomo –
mormorò
– Shizuo è davvero a pezzi. Un po' lo capisco, ma
se non
si riprende come si deve...
– Mi fido di lui e ormai gli ho dato la mia parola – tagliò corto Zero – Ha avuto la sua occasione per
fermarci
entrambi, Signorina Sylviana. Se non l'ha fatto, vuol dire che non
è poi tanto convinta delle sue ragioni.
Sylviana sporse il labbro inferiore, gonfiò le guance e lo
lasciò andare.
– Uomini, tzé! – sollevò le
mani in un gesto
d'esasperazione – Militari, doppio tzé! Siete
davvero il
non plus ultra dell'ottusità! Ma sia ben chiaro che non
voglio
saperne niente se poi...
– Cos'hai da starnazzare, Sylviana? – Grenadier
sbucò dal corridoio provvisorio che univa la Karyu
all'Arcadia
in compagnia di Yattaran e Marina – Mi sono perso qualcosa?
Sylviana indicò Ishikura.
– Solo l'ennesima idiozia di Shizuo e la degna risposta del
suo maestro d'imbecillità! Ah, ma io...
Grenadier rise, le cinse il collo e indicò Ishikura col
pollice.
– Com'è che da “Soldatino”
è diventato
“Shizuo”? Mi sono davvero perso qualcosa, allora!
Sylviana fletté il polso e nel suo palmo
scintillò la lama di un pugnale.
– Perderai i tuoi gioielli se non mi togli di dosso quelle
zampacce, Grenadier!
Zero si chiarì la voce e premette il pulsante d'apertura.
– Ordine, Signori – li squadrò
accigliato – Vi ricordo che siamo ancora in missione.
Fece loro cenno d'entrare e sospirò
di sollievo nel vedere
Grenadier e Sylviana separarsi e prender posto alle due
estremità opposte del tavolo. Aprì il
collegamento e la
voce di Breaker risuonò subito nella sala.
– Sala riunioni. Mi ricevete?
Zero si sedette e accese il microfono.
– La ricevo forte e chiaro, Signor Breaker. Se il
collegamento è pronto, lo passi pure sullo schermo principale.
– Sissignore.
– Capitano Zero – dal monitor, Tetsuro Hoshino
abbassò appena la falda del cappello e accennò un
sorriso
– Non sono mai stato così lieto di vedere qualcuno
da
questa postazione.
Zero ricambiò il saluto e si sedette.
– Lo stesso vale per me, Signor Hoshino. Ora che è
tutto
sotto controllo, immagino che possiamo fare il punto della sit...
Un piatto volò sopra la testa di Testsuro, gli
strappò via il
cappello e si schiantò contro il pannello di fianco a lui in
una
pioggia di schegge mentre un trambusto di urla e clangori metallici
esplodeva da qualche parte oltre la visuale della telecamera.
Tetsuro si voltò, gemette e si passò una mano
sulla faccia.
– Tutto sotto controllo, già –
sospirò con
fare rassegnato – D'accordo, d'accordo, Signora Masu! Venga
qui e
lasci andare il Dottor Ban!
La minuscola cuoca gli sbucò di fianco, le fide mannaie fra
le mani.
– Era ora – si rimboccò le maniche
macchiate di sugo
e gli tirò un orecchio – Quanti altri piatti devo
scassarti su quella testaccia dura prima che impari l'educazione, razza
di screanzato eroe-dei-miei-stivali? Ah, ma ci penserò io a
raddrizzare il tuo caratteraccio, com'è vero che mi chiamo
Masu!
– Possiamo fare in fretta – Tetsuro
si liberò, la
fissò, deglutì
e distolse lo sguardo – Per favore... Signora Masu?
Masu annuì compiaciuta.
– Ah, ma certo! Voglio solo accertarmi che la mia dolce
Sylviana
e quel caro ragazzo di Shizuo stiano bene. Ci siete, gioie? Avete
mangiato i pranzetti che v'ho preparato per il viaggio?
Seduta sul bordo del tavolo, Sylviana sorrise e agitò la
mano.
– Era tutto ottimo, Signora Masu! E sappia che voglio a tutti
i costi la ricetta di quegli involtini!
Di fianco a lei, Ishikura assunse uno strano colorito verdognolo,
tuttavia sorrise a sua volta.
– Sì. Grazie per il pensiero.
Il labbro di Masu tremò.
– Siete davvero dei bravi ragazzi – si tolse gli
occhiali e s'asciugò una lacrima col grembiule – Proprio
come...
come...
Con gran stupore di Zero, la cuoca si buttò addosso a
Tetsuro e si mise a singhiozzare.
– Su, non pianga, Signora Masu – Tetsuro le diede
un colpetto sulla schiena – Lui non vorrebbe.
– Lo so – Masu tirò su col naso
– E volevo anche tirarvi su di morale, poveri cari! Ma se ci
penso...
Tetsuro annuì.
– A proposito, Signor Ishikura, voglio che sappia che sono
davvero addolorato per la sua perdita. Ifiklìs...
cioè,
Minoru... era uno degli uomini più coraggiosi che abbia mai
conosciuto. Se avessi anche solo immaginato che sarebbe andata a finire
così...
Ishikura chiuse gli occhi.
– Grazie – sospirò – Ma non si
senta in colpa,
Signor Hoshino. Nemmeno se tutti noi avessimo saputo sin dall'inizio
quali erano le sue intenzioni saremmo riusciti a fermarlo. Piuttosto,
grazie per essersi occupato del suo...
Tetsuro lo zittì con un gesto.
– Non lo dica nemmeno per scherzo –
s'incupì –
E mi consideri pure uno sfacciato se vuole, ma è come se
avessi perso
un fratello anch'io.
Zero si voltò verso Ishikura, la gola secca e lo stomaco
contratto.
– Fratello? – deglutì a vuoto
– Ifiklìs?
Ishikura girò lo sguardo da lui ai suoi compagni.
– Scusatemi se non vi ho mai parlato di lui –
congiunse le
mani sul tavolo e abbassò il capo – Non ero in
buoni
rapporti con la mia famiglia quando m'imbarcai sulla Kagero e dopo...
bé, sono successe alcune cose che m'hanno reso ancor meno
fiero
del nome che porto.
– Ishikura... – Marina si mise una mano davanti
alla bocca – Ishikura!
No, non è possibile...
– Invece sì. Era mio padre.
Grenadier spalancò gli occhi.
– Sei il figlio del Segretario Ishikura? E
quell'Ifiklìs era... era...
– Mio fratello maggiore Minoru – Ishikura estrasse
dal
taschino una vecchia foto e la posò sullo scanner della sua
postazione – Lui è quello a destra.
Accanto alla finestra del collegamento comparve l'immagine di tre
ragazzi: uno era Ishikura, giovanissimo e con indosso la divisa dell'Accademia; un
altro, quello indicato da lui e il solo in abiti civili, gli somigliava
come una goccia d'acqua; il terzo...
Zero rimase senza fiato, il gelo di Beta di nuovo nelle ossa.
– Quello al centro!
– Yattaran fece un salto sulla sedia
– È... È...
Tetsuro giunse le mani sulla plancia,
tetro.
– Ifiklìs, il fratello di Herakles –
sospirò – Avrei dovuto capire la sua
identità già dal nostro primo incontro, quando mi
fornì i
dati del soldato da cui erano stati originati quei cloni.
– Vuoi dire che – la voce di Grenadier era ancor
più roca del solito – Che anche il primo
Herakles...
Ishikura osservò la foto sullo
schermo.
– Quel pazzo di mio padre credeva che Kurai gli
avrebbe
restituito Takeshi – strinse la sinistra a pugno
– Quando si rese conto di cosa succedeva davvero in quei
laboratori era già troppo tardi, sia per lui che per Minoru.
Zero si torse le dita, angosciato.
– Che significa?
Ishikura ricominciò ad armeggiare con i bottoni. Senza una
parola, Sylviana gli si
avvicinò, tirò fuori dalla tasca interna della
sua
giacca un libretto azzurro con il simbolo della Flotta Unita sulla
copertina e ne trasse un foglio piegato in quattro che
sistemò
sopra lo scanner.
Sullo schermo comparve una lunga lista di nomi ripartiti su due
colonne.
– Quella è la famosa lista, Capitano –
Tetsuro recuperò il suo
cappello, gli diede una spolverata e se lo calcò sulla testa
– Immagino che quei nomi le siano familiari, ormai.
– Quelli in cima sono gli assistenti di Kurai –
Yattaran si
sistemò gli occhiali – Più sotto,
c'è Mamoru
Ishikura...
– Proprio così – Ishikura
digrignò i denti
– E il nome nella colonna di destra corrispondente
è
quello di mio fratello.
Grenadier si batté una mano sulla
fronte.
– Merda –
si guardò attorno – Non ditemi che è
quel che penso!
Tetsuro si buttò all'indietro sullo schienale e fece un
profondo respiro.
– Era la cosiddetta “assicurazione” di
Kurai, Arngeir
e Odhrán. Minoru ha scritto una deposizione molto chiara in
merito, ma ho chiesto lo stesso a Tadashi e al Dottor Ban d'indagare su
quei nomi. Quelli a sinistra sono di persone coinvolte a vario titolo
nel primo progetto Herakles: risultano tutte decedute, in gran parte
suicide. Quelli a destra sono loro familiari o persone a cui erano
legati.
Zero si sentì gelare fino al midollo.
Possibile che...
– Che ne è stato di loro?
Tetsuro si morsicò il labbro. Un sottile rivolo di sangue
gli colò sul mento.
Il Dottor Ban gli porse un fazzoletto e scosse il capo.
– Tutti morti – sospirò –
Alcuni di propria
mano, altri per cause dichiarate naturali o archiviate come incidenti,
sei addirittura
abbattuti dalle forze dell'ordine. Nei casi in cui ci sono stati
testimoni, tutti hanno parlato d'improvvise manifestazioni di violenza
e autolesionismo.
Marina impallidì.
– Erano stati impiantati?
Accanto a Tetsuro, Tadashi annuì.
– Non abbiamo prove materiali a parte le dichiarazioni di
If... di Minoru, ma è molto probabile. Mi ero sempre chiesto
perché nessuno avesse tradito Kurai prima e soprattutto
perché Ishikura e i suoi assistenti avessero continuato a
coprirlo anche in tribunale, arrivando ad assumersi tutte le colpe e
addirittura a uccidersi... Bé, se avessi avuto anch'io un
figlio con una bomba impossibile da rimuovere e disinnescare piantata
nel cervello, credo che avrei fatto proprio come loro.
La bocca di Sylviana assunse una piega amara.
– A cose ultimate avrebbero fatto sparire le
“prove” lo stesso, fidatevi. So come ragiona certa
gente.
Grenadier batté il pugno sul tavolo.
– Bastardi!
– Puoi dirlo forte, giovanotto – Masu
sollevò la
faccia rossa di pianto dal grembo di Tetsuro e agitò le
mannaie
– Ah, quanto vorrei prendere quella faccia da schiaffi
di Thorn e sfilettarlo come un merluzzo! Peccato che nemmeno quel
corvaccio di Tori si mangerebbe una
carogna così putrida!
Tetsuro le fece abbassare le lame.
– Pazienti, Signora Masu – strinse le labbra
–
Avrà quel che merita, ma in un tribunale e dopo un regolare
processo, come avrebbe voluto Minoru.
– Ishikura – Marina gli afferrò la mano
– Quindi anche tuo fratello...
Lui annuì.
– Lo avevano lasciato in vita solo perché gli
serviva.
Quando scoprirono che l'informatore di Tetsuro al Ministero era lui,
decisero di servirsene per sorvegliarlo e colpirlo non appena se ne
fosse presentata l'occasione. Avevano in pugno la sua vita e, nel caso
avesse pensato di creare problemi, sapevano dove trovare me.
Zero represse un conato e
la simpatia che aveva provato per Kurai solo
qualche minuto prima si dileguò. Che avesse avallato o meno
quei
metodi, nulla, nemmeno l'amore più puro per i propri cari
scomparsi e l'umanità intera, poteva giustificare tanta
crudeltà, cinismo e spietatezza.
– Non capisco una cosa, però –
Grenadier si
grattò il mento – Come faceva il Capitano Kei a
sapere di
quella lista se tutti a parte Ifiklìs ne ignoravamo persino
l'esistenza?
– Un malinteso – Sylviana si risedette
sul bordo del
tavolo e accavallò le gambe – La nostra Biondina
non era
convinta che il mio entusiasmo per la missione fosse genuino e
disinteressato come volevo darvi a bere, quindi ho dovuto raccontarle
tutta la lunga, toccante, rocambolesca storia della mia vita. Per farla
breve, la lista a cui si riferiva lei era un'altra e contiene i nomi d'un centinaio di bambini scomparsi o ufficialmente mai esistiti, dieci
dei quali diventarono i Rosa Rossa. Speravo che, se Arngeir era chi
credevo io, avrei avuto l'occasione di metterci le mani sopra e
regolare un vecchio conto in sospeso. Bé, lei mi
offrì
tutto questo come bonus oltre al mio compenso se avessi finto di
tradirvi per poi attirarlo in una trappola, più tutto
ciò
che avrebbe potuto fare per ritrovare almeno i resti dei miei compagni.
Devo
ammettere che sa come convincere la gente... e anche come
infinocchiarla per benino.
Grenadier fischiò.
– Ricordatemi di non farmela mai nemica!
– A proposito – Yattaran si guardò
attorno – Ma dov'è?
Zero guardò l'orologio. Quasi mezz'ora di ritardo.
E mancano anche Tadashi
e il Dottor Zero.
– Vado a cercarla.
Si alzò e s'avviò verso la porta prima che
qualcuno
potesse protestare o offrirsi d'andare al suo posto. Aveva bisogno
d'una boccata d'aria e magari anche di un goccio... e al diavolo il suo
ruolo e il regolamento di bordo, una volta tanto.
Era stanco, nauseato e arrabbiato. Con Kurai, con Arngeir e
quell'Odhrán, certo, ma anche con Harlock e Ishikura
perché non si erano confidati con lui prima di tutti quei
guai e
con se stesso per la sua cecità.
Che razza d'amicizia
è la nostra? Nasconderci le cose, soffrire in silenzio e far
finta di nulla...
Sferrò un colpo alla parete, chiuse gli occhi e si
massaggiò le tempie.
Calma. Tu ti saresti
comportato proprio come loro.
Fece un profondo respiro.
Devo chiedere al Dottore
qualcosa per dormire. Sono così stanco che sragiono...
Un colpo al fianco lo sbilanciò e la ferita gli
mandò una
fitta fortissima lungo tutta la coscia.
Gemette, aprì gli occhi e si trovò davanti Mayu, affannata
e in
lacrime.
– Ma cosa...
– Mi... mi – singhiozzò – Mi
dispiace! Non volevo...
– Mayu!
La voce preoccupata di Yuki e il suono irregolare dei suoi passi
echeggiarono dal ponte provvisorio che univa la Karyu all'Arcadia. Mayu si
voltò e si scostò, ma Zero le afferrò
il braccio
prima che potesse ricominciare a correre.
– Cos'è successo?
Lei scosse il capo e tirò su col naso. Yuki
s'affacciò nel corridoio.
Era pallida e sudat, e le labbra piegate in una smorfia di
dolore. Vacillava e sulla coscia della sua tuta spaziale spiccava una
grossa macchia di sangue. Mayu rimase immobile e Zero le
fece
cenno di rallentare, ma lei aumentò ancor di più
l'andatura e li raggiunse.
– Mayu...
Allungò una mano per accarezzarle i capelli ma lei nascose
il viso contro il petto di Zero.
– Mi dispiace – singhiozzò –
Scusa, Yuki! E dire che lo sapevo... lo sapevo!
Yuki ritrasse la mano.
– Mayu – la sua voce tremò –
Non lo pensa sul serio. È lo shock...
Mayu non rispose, ma le sue spalle sussultarono ancora più
forte. Afferrò il bavero della giacca di Zero e gli
affondò il viso nella maglia. Zero guardò Yuki.
Il calore e la sensazione di bagnato attraverso la stoffa unite allo
sguardo affranto di quella giovane donna di solito tanto composta ed
energica gli scombussolarono lo stomaco.
– Cos'è successo? – passò una
mano fra i capelli di Mayu, il cuore pesante – Harlock...?
Yuki sospirò.
– È stazionario. Però...
Mayu strinse ancor più forte il bavero della sua giacca.
– Sono un'assassina – singhiozzò
– Sono
un'assassina e adesso mi disprezza! Lo sapevo che sarebbe successo, lo
sapevo! Credevo di poterlo sopportare... che mi sarebbe bastato
saperlo in salvo... e invece... invece...
Lo stomaco di Zero si contrasse ancor di più. Dalle sue
reazioni
fuori e dentro la base di Futuria e da com'era rimasta calma anche dopo
che tutto era finito, aveva dedotto che per Mayu combattere non fosse
un'esperienza nuova; d'altronde era la figlia di Emeraldas ed era stata
cresciuta da gente del calibro di Harlock, Yuki e Tadashi...
Che stupido!
– Mi dispiace – la strinse a sé
– So cosa si
prova e so che non passa mai del tutto. Non avrei dovuto portarti
là fuori.
Yuki scosse il capo e gli posò una mano sulla spalla.
– Non sei stato tu a sbagliare, Zero – prese fra
due dita
il mento di Mayu e la fece voltare verso di sé – E
nemmeno
tu, piccola.
Le asciugò le lacrime con i pollici e deglutì.
– Sai, anche io e Tadashi avevamo fatto una promessa ad
Harlock
– sfiorò la pistola al fianco di Mayu –
E
cioè che t'avremmo dato questa solo quando avessimo
costruito
un mondo in cui non ci sarebbe più stato bisogno d'usarla.
Ma
poi lui è scomparso e noi... abbiamo avuto paura. Non
eravamo
forti come lui, non sapevamo se saremmo sempre riusciti a restarti
accanto e proteggerti e così...
Il suo labbro tremò.
– Siamo stati noi a insegnarti a uccidere e a portarti qui
– si sfregò gli occhi col dorso della mano
– Se c'è qualcuno che deve chiedere il perdono di
Harlock
e il tuo, quelli...
Zero staccò da sé Mayu e sferrò un
altro colpo alla parete.
No, questo no.
Era la goccia che faceva traboccare il vaso, un vaso già
incrinato e troppo pieno d'angoscia, sensi di colpa e rabbia repressa.
Adesso basta. Abbiamo
già sofferto abbastanza, tutti quanti.
– Chiedergli
perdono? – afferrò la mano di
Mayu e la spinse fra le braccia di Yuki – Chiedergli
perdono?! Quanti anni
avevate tu e Tadashi quand'è sparito? Sedici, diciassette?
Eravate due bambini anche voi e quell'idiota pretendeva che proteggeste
Mayu senza insegnarle a combattere? C'era un mondo in rovina attorno a
voi, sapeva benissimo a cosa sareste andati incontro e se
n'è andato lo stesso chissà dove, scaricandovi il
suo sogno, per giunta! Avete fatto tutto quel che avete potuto per
avverarlo, vi siete coperti di ferite per lui e ora dovreste chiedergli
perdono? No, Yuki: è lui che deve farlo, casomai!
Yuki lo guardò a bocca aperta.
– E tu – si inginocchiò accanto a Mayu e
le sfiorò la guancia – Hai avuto
un coraggio da leone, hai capito? È vero, hai ucciso
delle persone, ma pensa a cosa sarebbe stato il mondo in mano a Matia e
ai suoi Herakles! Non hai salvato solo me e Harlock, in quel
laboratorio: hai protetto il futuro di milioni di persone, proprio come
avrebbero fatto i tuoi genitori. Sarebbero fieri
di
te, ne sono certo... e se quell'imbecille di
Harlock non lo capisce da solo, ci penserò io a fargli
entrare un
po' di sale in zucca!
Si alzò, porse a Yuki il suo fazzoletto e si diresse verso
la passerella.
Le braccia, le spalle e persino le gambe gli tremavano.
Conosceva l'oscurità nel cuore Harlock, sapeva che non era
un
eroe e che se era arrivato a quel punto era anche colpa di tutti loro,
però anche lui aveva sbagliato... e non poco. E adesso è proprio ora che la capisca!
–
Capitano – la voce di Ishikura echeggiò
da qualche parte dietro di lui – Che succede? Dove va?
Qualcuno gli corse dietro e gli
afferrò il braccio. Zero si divincolò.
Fammi un favore,
Zero: quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi
ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
–
A mantenere una promessa, Ishikura.
Si rimboccò le maniche e aumentò il
passo. Non sentiva più la
stanchezza, non sentiva più il dolore.
Tanto meglio.
La porta dell'infermeria era davanti a lui.
Non aspettò nemmeno che si fosse aperta del tutto.
Oltrepassò Tadashi, strinse i pugni e caricò
tutto il peso
sul destro.
Harlock si voltò verso di lui.
Zero mirò alla mascella e colpì più
forte che poté.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 48 *** I pugni del mio miglior nemico - parte I ***
cap jidai
Harlock si massaggiò la mascella e
sollevò la testa.
Davanti a lui c'era Zero, le maniche arrotolate fino ai gomiti, i pugni
serrati e le labbra tirate in un'espressione temporalesca.
– Alzati! – lo afferrò per il colletto
– In piedi, Harlock!
Un brusco strattone verso l'alto e Harlock si ritrovò a
guardarlo negli occhi.
Zero lo lasciò di colpo. Harlock barcollò.
Un lampo lo accecò, il collo gli
scattò verso destra e verso sinistra.
La sua schiena urtò contro qualcosa.
Un'esplosione di vetri infranti, tintinnare di metalli e, di nuovo,
l'impatto col pavimento.
Si tirò a sedere, sbatté la palpebra e mise a
fuoco uno stivale, poi la gamba e la schiena di Tadashi.
– Zero – Tadashi allargò le braccia
– Ma che dia...
– Non metterti in mezzo, ragazzo!
Zero lo afferrò per le spalle, lo fece ruotare su se stesso
e
gli mollò uno spintone che lo mandò a finire
oltre la
porta, dritto addosso a qualcuno che l'aveva aperta in quel momento e
che rovinò a terra con uno strillo.
Due lunghe gambe calzate in un paio di sgargianti stivali rosa presero
a scalciare in tutte le direzioni fra quelle di Tadashi e altre due
fasciate nei calzoni scuri delle divise della Federazione
– Toglietevi di dosso, deficienti! Ho appena rifatto piega e
manicure!
– Piantala, Sylviana! Così mi schiacci!
– Dillo al tontolone qua sopra, Everest... e leva le tue
zampacce dal mio didietro!
– Cercavo solo di sorreggerti, ok? E ho la benda
impigliata nella tua cavolo di zip: se tiro, qua si strappa tutto!
– Rovinami il vestito e sei morto – una mano armata
di
stiletto spuntò da sopra la spalla di Tadashi – E
tu tira
via la faccia da lì in mezzo, maniaco!
Tadashi si tirò su e si voltò indietro. Ishikura
si sollevò sui gomiti.
Sulle loro facce, l'una puntata su Zero e l'altra su di lui, Harlock
vide la stessa espressione allibita.
– Capitano!
– Ehi, non m'ignorate, brutti cafoni!
Dal corridoio, l'eco di altre voci e il trapestio di passi frettolosi.
Zero s'avvicinò allo stipite della porta.
– Quel che ho detto a Tadashi vale anche per voi, Signori
–
sferrò una gomitata al pulsante per la chiusura d'emergenza
– Non mettetevi in mezzo o ve la vedrete con me.
L'allarme silenzioso lampeggiò e la porta si richiuse sullo
sguardo smarrito di Tadashi e Ishikura e su quello furibondo di
Sylviana che agitava la mano armata di stiletto. La serratura
scattò.
– Ti sembra il modo di trattare una signora, razza di
zoticone?!
Aspetta d'uscire da lì e ti riduco a un puntaspilli!
Il rumore di passi s'intensificò e cessò di
colpo. Il volto di Mayu apparve nello spioncino.
– Zero! – batté il pugno contro il vetro
– Apri, ti prego! Non...
La pesante saracinesca a tenuta stagna piombò a terra con un
tonfo.
Spento il rimbombo, solo il flebile ronzio degli aspiratori e del
computer.
Zero si voltò, le labbra piegate in una smorfia di disgusto.
– Sei ancora lì per terra, Harlock?
Corrugò la fronte e serrò di nuovo i pugni.
Tre pesanti passi e gli fu di nuovo sopra.
Un brusco strattone verso l'alto, una spinta e l'impatto contro la
parete.
Harlock si sentì rimbalzare verso Zero e lo vide portare il
destro all'altezza dell'orecchio.
Rosso. Un lampo abbagliante, un sibilo acuto nei timpani e si
trovò di nuovo a fissare il soffitto. Si sollevò
sui
gomiti e si massaggiò il collo.
– Zero...
Zero calciò via un tavolino rovesciato e lo
afferrò di nuovo.
– Ah, adesso parli, eh? – corrugò la
fronte – Peccato che io non abbia nessuna voglia d'ascoltarti!
Lo tirò in piedi un'altra volta, lo spintonò, si
piegò sulle ginocchia e gli sferrò un montante*
all'altezza del fegato.
Harlock indietreggiò ma il colpo lo raggiunse lo stesso.
Lo stomaco gli si contrasse e un fiotto acido gli
risalì
su per la gola. Si piegò in due, il fiato corto e la vista
appannata. Crepitii di cocci. Un'ombra scura.
Sollevò la
testa e arretrò. Qualcosa gli rotolò sotto il
piede
d'appoggio e gli fece perdere l'equilibrio.
Il gancio* di Zero lo mancò d'un soffio.
Harlock ruzzolò di lato, si rimise in piedi e
schivò.
Il destro di Zero gli sibilò a pochi centimetri dalla
faccia, il sinistro lo colpì sotto il diaframma.
La testa gli scattò a sinistra, a destra e di nuovo a
sinistra,
mille lucciole gli balenarono davanti agli occhi. Un altro colpo al
ventre. Ansimò e annaspò alla ricerca d'un
appiglio.
– Zero – boccheggiò – Bas...
Un cazzotto sotto il mento lo spedì al tappeto col sapore
del
sangue sulla lingua, il collo dolorante e la testa che pulsava.
– In piedi!
– Zero, calmati e spie...
Zero l'afferrò un'altra volta per il colletto.
– Calmarmi? – snudò i denti –
Solo dopo che t'avrò sfondato di pugni, brutto bastardo
egoista!
– Co...
Zero lo spinse via e gli sferrò un diretto al volto.
– Hai capito bene – ringhiò –
Un pugno per
ogni ferita di Tadashi – un destro – Uno per ogni
notte
insonne di Yuki – un sinistro – Uno per ogni
lacrima di
Mayu e uno per ogni istante che Tochiro ha passato a soffrire chiuso in
quella scatola di metallo per il tuo egoismo, maledetto idiota!
– Ze...
Una grandinata di colpi gli investì faccia e
busto.
Harlock incassò la testa fra le spalle, sollevò
gli
avambracci e contrasse i muscoli del collo e dell'addome, ma anche
così era come esser preso a bastonate.
Devo togliermi di qua!
S'abbassò, fintò verso sinistra e si
gettò a destra.
Un fuoco d'artificio rosso gli esplose nella testa, poi il buio e un
dolore pulsante alla base del collo, in fondo all'occhio sano e dentro
la nuca. Le gambe gli cedettero ma non toccò terra.
Sbatté la palpebra e mise a fuoco le
nocche spellate di Zero attorno al suo avambraccio.
– Cosa credi – la sua voce arrochita gli
rimbombò
nella testa come dopo una sbornia colossale – D'essere il
solo
che abbia mai perduto qualcuno e lottato per una causa senza speranza?
Ti credi speciale? Un grande eroe tragico?
Zero lo strattonò verso di sé e gli
assestò un pugno alla bocca dello stomaco.
Harlock gli s'accasciò sulla spalla, scosso dai conati. Zero
lo spintonò.
– No, mio caro, proprio per niente –
caricò di nuovo il destro – Sei solo un
vigliacco!
Harlock strinse i denti e sollevò la sinistra. Il pugno di
Zero
s'abbatté sul suo palmo e lui serrò le dita.
– E cosa dovrei fare, secondo te? – lo
guardò negli
occhi – Far finta di nulla e tornare a recitare la parte
dell'eroe senza macchia e senza paura?
Zero s'accigliò e fece forza col polso. Harlock glielo torse.
– No, Zero. Trovati qualcun altro da mettere sul piedistallo.
Zero gli sferrò un montante al corpo col braccio libero.
Harlock
schivò ma il movimento lo costrinse ad allentare la presa.
Zero
liberò il destro e glielo scaricò sulla mascella.
Le ossa
del collo di Harlock scricchiolarono, le gambe gli cedettero di nuovo.
S'aggrappò alla libreria del Dottore e sollevò la
testa.
– Non ci provare, Harlock – Zero strappò
via la
fasciatura ormai disfatta che gli avvolgeva la destra – Ti
piaccia o no, hai delle responsabilità ed è ora che te le assuma!
Nella mente di Harlock, delle immagini che non facevano parte dei suoi
ricordi: Yuki al timone col suo mantello sulle spalle, Tadashi
appoggiato allo stipite d'una porta con la mano stretta al petto, Mayu
con in pugno la sua Dragoon nell'abitacolo d'un Bullet e un bicchiere
di Barbour ghiacciato davanti a una sedia vuota.
Percepì il pugno di Zero appena in tempo per scansarlo.
– Hai abbandonato quei ragazzi – Zero gli
sferrò un
diretto – Il tuo pianeta, il tuo sogno – un gancio
–
Persino il tuo migliore amico!
Un montante*. Harlock s'incurvò all'indietro e
piegò la testa di lato.
– Piantala, Zero!
Lui gli sferrò un sinistro al volto.
– Ti sei fatto catturare come un idiota – un gancio
–
Hai lasciato che t'imprigionassero nella tua stessa mente e adesso,
dopo che abbiamo attraversato mezzo cosmo e rischiato la pelle per
strapparti a quei folli, che fai? Te ne stai rannicchiato qui a
piangerti addosso e a scaricare le tue frustrazioni su tre ragazzi che
hanno il solo torto d'amarti! – un altro gancio –
Piantarla? Ho appena cominciato!
Gli arrivò di nuovo sotto. Harlock arretrò.
– Non...
– Sapevi meglio di chiunque altro quanto sarebbe stata dura
sulla
Terra dopo l'invasione delle Mazoniane – un gancio
– E te
ne sei fregato!
Harlock s'abbassò e girò attorno a Zero.
Zero ruotò su se stesso e mirò al suo bacino.
– Erano dei bambini, maledizione – lo
incalzò
– E tu non solo li hai abbandonati in un mondo in rovina, hai
anche scaricato su di loro il tuo sogno di cambiarlo!
Harlock schivò un'altra volta e frappose fra loro la
poltrona del Dottore.
Zero la scaraventò via.
Harlock sollevò gli avambracci e strinse i denti all'impatto
del pugno di Zero tra radio e ulna.
– E cosa avrei dovuto fare? – abbassò
appena la
guardia e lo fissò al di sopra dei pugni –
Portarli con
me? Sai benissimo che tipo di viaggio era quello!
Zero aggrottò le sopracciglia.
– Sì, lo so – gli sferrò un
pugno che gli
attraversò la guardia – E più ci penso,
più
mi vien voglia di cambiarti i connotati!
Harlock schivò a destra e arretrò. Zero gli
sferrò un altro gancio.
Harlock lo deviò con l'avambraccio.
– Sia come sia, indietro non si torna. Cosa speri d'ottenere
con questa sceneggiata, Zero?
Per tutta risposta, lui gli sferrò un diretto al volto.
Harlock fece un passo indietro.
Nella sua mente, un quartiere sventrato dalle bombe e una mano tesa.
Fammi
un favore, Zero:
quando saremo tornati indietro, gonfiami di botte, se dovessi
ricaderci. Anzi, gonfiami di botte in ogni caso.
– È per quella promessa? – Harlock
ansimò
– Ma è assurdo, Zero! Era tutto falso... e il
ragazzo a
cui l'hai fatta non esiste più!
Zero digrignò i denti.
– Smettila di scappare, vigliacco!
Fintò col destro e mirò al suo stomaco col
sinistro.
Harlock contrasse gli addominali e si protesse con gli avambracci, ma
il pugno gli perforò la guardia.
Si piegò in due e vomitò un liquido amaro e
giallastro.
Se mi buttassi
giù, forse la smetterebbe.
Alzò il capo. Zero aveva abbassato la guardia quel tanto che
sarebbe bastato...
Un colpo alla gola, sul
pomo d'Adamo, e la smetterebbe per sempre.
E se non fosse bastato, c'era il bisturi del Dottore là a
terra,
mentre annaspava in cerca d'aria. Scrollò la testa.
Davvero lo voglio
uccidere?
Rivide la sua tempia nel mirino della pistola in quel laboratorio. Si
morsicò il labbro.
Un lampo. Nero. Tintinnare di cocci. E stavolta, sotto il suo naso, il
pavimento.
Zero lo afferrò per il collo della maglietta e lo
tirò in piedi, così forte che la stoffa si
lacerò.
Harlock gli passò sotto il braccio glielo
schiaffeggiò via.
– Smettila, Zero, altrimenti finirò
per...
Zero girò sulle punte, gli si riportò sotto,
fintò e gli sferrò un altro gancio.
Harlock indietreggiò, schivò il suo colpo e gli
afferrò il gomito.
– Ora basta – lo agguantò per la spalla
con la sinistra – Vattene dalla mia nave!
Lo tirò per la spalla e il gomito, lo fece ruotare su se
stesso e lo spintonò.
Zero incespicò e si voltò.
– La tua nave? – le sue labbra si schiusero in un
sorriso truce – La tua
nave? Col cavolo! Tochiro non l'ha certo costruita per un vigliacco
senza palle come te! Anzi, sai che ti dico?
Penetrò nella sua guardia e gli tirò un diretto.
Harlock
gli andò incontro e scartò di lato. Zero gli si
riportò sotto.
– Se potesse, ti riempirebbe di pugni anche più di
me
– un gancio, da sinistra – E scommetto che
Emeraldas e
perfino la tua dolce Maya gli darebbero volentieri una mano, se
vedessero che razza di rammollito sei diventato!
– Non osare mettere in mezzo loro!
– Altrimenti? – Zero fintò –
Non mi parlerai
più? – un sinistro – Smetterai
di mangiare?
– un gancio – Ti piangerai addosso fino alla morte?
–
un diretto – Piuttosto t'ammazzo io!
Una botta alle nocche, una sensazione inconfondibile sotto le dita, al
polso e lungo tutto il braccio.
Harlock guardò Zero e trattenne il fiato. Lo aveva centrato
alla mascella.
*
DIRETTO è il colpo che si porta
con il braccio arretrato nella posizione di guardia. Permette di
portare un buon colpo senza
esporsi troppo.
MONTANTE è il colpo portato dall'alto verso il
basso. Ottimo per eludere la guardia dell'avversario, se portato nella
maniera corretta è da ko.
GANCIO è il colpo che si porta
partendo da una posizione laterale al di fuori della guardia. Implica
una parziale rotazione nella parte superiore del corpo. Probabilmente
è il più prevedibile e ti costringe a esporti al
tuo avversario, ma
se inflitto nella maniera corretta è da ko.
Argh!
Sono letteralmente anni
che non aggiorno (ma giuro che 'sta fic la finisco). Chiedo scusa e
ringrazio chi avrà ancora la pazienza di seguirla! ❤
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 49 *** I pugni del mio miglior nemico - parte II ***
cap jidai
Harlock deglutì. Aveva lo stomaco in subbuglio,
ma non per i colpi ricevuti; gli doleva ogni singolo muscolo, ma non
quanto avrebbe dovuto.
Ritirò la mano. Tremava, ma non era paura né
rimorso.
C'era rabbia in lui, quell'istinto omicida che tanto temeva e
disprezzava, ma anche qualcosa che non sentiva da tempo, qualcosa che
aveva creduto morto il giorno in cui aveva fatto sbarcare il suo
equipaggio ed era partito per terminare il suo lungo viaggio.
Zero indietreggiò, scrollò la testa e si
massaggiò la guancia.
– Tutto qui? – si sfregò il mento e
richiuse i pugni – Una zanzara m'avrebbe fatto più
male.
Si piegò sulle ginocchia e scattò in avanti.
Harlock evitò il suo gancio, gli sferrò un
diretto al corpo e uno al volto, schivò il suo montante,
s'abbassò e ruotò busto e spalle.
Colpì Zero al fianco. Zero aveva fatto in tempo a contrarre
gli addominali e non aveva mosso un sopracciglio, ma il fremito sotto
le sue dita rivelò ad Harlock che aveva accusato il colpo.
Zero indietreggiò. Harlock lo incalzò e lo
colpì sotto il diaframma.
Zero barcollò all'indietro e andò a sbattere
contro l'armadio dei medicinali. L'anta scricchiolò contro
la sua schiena. Ansimava.
Harlock espirò.
Bene, forse ora si
darà una calmata.
Aprì i pugni e ruotò i polsi. Aveva le nocche
arrossate e gli avambracci intorpiditi.
Presto i muscoli avrebbero cominciato a dolergli, i lividi a scurirsi e
la mascella a pulsare.
Per un paio di giorni il cibo avrebbe avuto sapore di sangue, avrebbe
vomitato i primi due o tre pasti e avuto un mal di testa costante e
dolori dappertutto, per non parlare dell'ematuria... eppure c'era una
parte di lui che voleva continuare a fare a botte finché non
gli si fossero staccate le braccia.
E sputare sangue e sentirmi vivo.
Forse Zero aveva ragione: da qualche parte, il ragazzo d'un tempo era
ancora vivo dentro di lui.
Ma in me c'è
anche un mostro.
Un lampo lo accecò, il naso gli si tappò, la
testa gli esplose.
Vacillò, il suo fianco urtò una superficie dura e
appuntita, il suo braccio destro s'impigliò in qualcosa e
altri oggetti si schiantarono a terra. Sbatté la palpebra.
Era piegato in due sulla scrivania del Dottore, col filo della sua
vecchia lampada attorno all'avambraccio.
Alzò lo sguardo. Zero gli fece cenno di farsi sotto.
– Su, Harlock! Hai paura di farti male?
Harlock liberò il braccio e si puntellò sul
ripiano.
Dal suo naso dolorante, una goccia di sangue colò sui fogli
che ingombravano la scrivania, a pochi centimetri dall'affilata lama
d'un tagliacarte.
La coprì col palmo e si voltò.
Zero mosse un passo avanti. Aveva abbassato la guardia.
– Allora? Se rivuoi la tua nave, fatti sotto e combatti!
Harlock aggrottò la fronte.
Il metallo era freddo sotto il suo palmo, la lama affilata contro il
pollice, la gola di Zero ben esposta.
Zero mosse un passo in avanti e caricò il destro. La manica
della sua giacca era lacera e macchiata di sangue fino al gomito. Un
lampo e Harlock tornò su Heavy Meldar. Lungo i palmi e sulla
punta delle dita, la sensazione della lama della sua Gravity Sabre che
penetrava nelle carni di Zero, il desiderio di tagliare ancora
più a fondo...
No. NO!
Grugnì, scrollò il capo e spazzò la
superficie della scrivania. La lampada, i fogli e il tagliacarte
volarono via. Zero gli era già sotto.
– Ebbene? Sei bravo solo a parole?
Harlock serrò i pugni, furioso.
– Ma chi ti credi di essere? – gli
sferrò un diretto corto al volto – Fai tanto il
superiore, ma anche tu sei scappato... anzi, continui a farlo da
quattordici anni!
Zero schivò e gli tirò un diretto al ventre.
Harlock si buttò alla sua destra.
Il pugno di Zero si schiantò contro il bordo della scrivania
e lui mugolò di dolore.
Harlock lo colpì al fianco.
– Hai bisogno di quella stupida divisa per sentirti qualcuno
– lo afferrò per una spalla e lo fece girare su se
stesso – Di un eroe e una bandiera da seguire per non dover
scegliere per te stesso – gli tirò un altro gancio
– E dei tuoi compagni perché da solo non vali
niente! Puoi dire che li ami quanto ti pare, la verità
è che hai paura di rimanere solo!
Zero barcollò.
Harlock lo colpì sotto il diaframma. Tremava, aveva caldo,
gli scoppiava il cuore e le tempie gli pulsavano, ma non riusciva a
fermarsi, non voleva
fermarsi.
– E la tua Marina? – colpì Zero al
mento, da sotto in su – Identica a tua moglie, perfetta per
alleggerirti la coscienza e illuderti che non sia morta
perché non sei stato capace di proteggerla! – lo
prese per il bavero e lo scrollò – Con che diritto
mi fai la predica? Sei un vigliacco e un ipocrita proprio come me!
Un colpo devastante allo stomaco lo fece piegare in due.
– Può darsi – Zero si ripulì
le labbra insanguinate – Ma almeno non ho
abbandonato i miei sogni e non m'aspetto che qualcun altro li realizzi
per me, e senza sporcarsi le mani, per giunta!
Una spallata. Harlock sbatté contro il mobiletto dei ferri e
incespicò.
– Ma soprattutto – Zero gli sferrò un
diretto allo stomaco – Non ho mai cercato di sembrare un eroe
per poi finire schiacciato dall'immagine di me che io stesso ho creato,
stupido pirata psicopatico!
La guancia sinistra di Harlock s'incendiò, la testa gli
scattò di lato e la vista gli si oscurò.
I suoni erano di nuovo ovattati, come se la sua scatola cranica fosse
imbottita di cotone.
Zero lo scrollò.
– Quei ragazzi avevano bisogno di te, non dell'ideale
che volevi incarnare! Invece d'andartene a morire chissà
dove rimpiangendo il passato, avresti potuto guardare avanti,
realizzare il tuo sogno insieme a loro, far parte della loro vita...
della mia
vita! Siamo amici o no, dannazione?!
Harlock boccheggiò.
– Am...
Zero lo spintonò.
– Come hai osato anche solo pensare d'esser solo?! –
un diretto. In piena faccia – Maledetto Imbecille!
– Ze...
– Di non aver più nulla da realizzare e
proteggere, nessuno da cui tornare?!
Zero gli scaricò il sinistro sulla mascella e
ricaricò il destro.
– Credevi che volessimo un eroe perfetto?
Invece del destro, gli arrivò un sinistro. Pesante come una
mazza ferrata.
– Sei un idiota, Harlock!
Il destro lo centrò alla mascella. Harlock
vacillò, scrollò il capo per
schiarirsi la vista annebbiata.
Adesso basta.
Inspirò, s'abbassò, caricò tutto il
peso sulle gambe, lo afferrò alla vita e gli si
buttò addosso. Zero cadde di schiena. L'aria gli
uscì dai polmoni con un sibilo roco e Harlock gli si mise a
cavalcioni sul ventre.
– Ascol...
Zero inarcò la schiena e gli
sferrò un diretto al viso.
Harlock chiuse l'occhio, serrò la mascella e strinse il
pugno a martello.
Alla tempia!
Non lo colpì. Zero non colpì lui.
Harlock riaprì l'occhio. Il pugno di Zero era a un paio di
centimetri dal suo naso.
Zero ansimò, lasciò ricadere la testa
all'indietro e il braccio lungo il fianco e chiuse gli occhi.
Harlock gli crollò addosso, la gola e i polmoni ridotti a un
deserto incandescente e un dolore pulsante dentro il cranio, lungo le
spalle e al ventre. Le nocche, i polsi e gli avambracci, quelli non li
sentiva nemmeno più.
Zero tossì.
– Che c'è? T'è tornato un po' di
buonsenso?
Harlock soffocò un conato.
– Amici?
Zero grugnì.
– Dopo... – non sapeva neanche come
definirlo – Questo?
Un altro grugnito.
Harlock ruotò la testa verso l'orecchio di Zero e gemette. Gli
sembrava d'avere un pugnale conficcato alla base del cranio e i muscoli
di gelatina, eppure si sentiva bene: leggero come non lo era stato
da... quanto? Nemmeno lo ricordava.
– Ma chi ti vuole, dannato soldato isterico? –
gracchiò.
Zero emise uno strano suono a metà tra un gracidio e un
gemito.
– Levati, pirata da strapazzo – lo
abbrancò alla spalla e lo spinse di lato – Pesi.
Harlock rotolò su se stesso, si sedette con la testa fra le
ginocchia e chiuse la palpebra. Mille lucine gli danzavano intorno e la
testa gli scoppiava.
Riaprì l'occhio. Il pavimento era disseminato di cocci e uno
davvero molto appuntito gli scintillava accanto al tallone.
Sollevò il piede. La pianta era nera e costellata di tagli.
Guardò Zero.
– Non so cosa mi trattenga dall'ammazzarti.
Lui si tirò a sedere, si scostò i capelli dalla
fronte sudata e fissò a sua volta la scheggia di vetro.
– La stessa cosa che t'ha trattenuto in quel laboratorio e
prima, con quel tagliacarte – sbuffò – La tua coscienza.
Se n'era accorto?
– Ma...
– Perché non t'ho fermato? – Zero si
spolverò la manica, che si staccò di netto. Fece
una smorfia – Perché so chi sono, cosa voglio e a
chi posso affidare la mia vita. E qualunque cosa t'abbiano fatto al
cervello, lo sai anche
tu.
Harlock s'afferrò al bordo dello schedario ammaccato al suo
fianco e lo squadrò dalla testa ai piedi: sudato, spettinato
e pieno di lividi, le labbra gonfie e spaccate, il naso sanguinante, la
giacca e i pantaloni a brandelli macchiati da chissà quali
intrugli, lì a boccheggiare in mezzo a uno sfacelo di cocci,
strumenti chirurgici, fogli, libri, mobili fracassati e altri rottami.
La ferita alla mano gli si era riaperta e il sangue gocciolava dal suo
indice sulle piastrelle; anche sul suo ginocchio sinistro spiccava
un'ampia chiazza scura.
Harlock scosse la testa.
Ridursi così
per dimostrarmi che posso...
– Sei un pazzo.
Gli porse la mano. Zero l'afferrò.
– E tu un imbecille – si tirò su e
arricciò le labbra – E un perdente.
Harlock alzò un sopracciglio. Zero stirò le
braccia.
– Sei andato in clinch* e m'hai buttato a terra –
si guardò attorno – Per non parlare di tutte
quelle prese e colpi sotto la cintura. Hai perso la nostra sfida.
Rassegnati.
Harlock lo seguì dietro la scrivania del Dottore.
– La nostra sfida era con le Gravity Sabre – si
massaggiò lo stomaco – E questa era una rissa,
mica un incontro di pugilato!
Zero spostò una sedia con ormai solo più due
gambe e ci guardò sotto.
– Oh, ammettilo – mollò il rottame e si
grattò la nuca – Ormai eri spompato.
– Mi stavi sotto, Zero. Se t'avessi colpito...
Zero ghignò e si spostò vicino alla libreria.
– Se t'avessi colpito io, saresti andato giù come
un sacco di patate prima ancora di poter dire “ahi”
– sollevò un paio di grossi volumi, ne
spostò col piede altri tre o quattro e fece una smorfia
– Picchi come un fabbro e incassi bene, ma quanto a tecnica pugilistica
sei un cavernicolo. Domani sarai viola come una melanzana.
Zero oltrepassò il letto rovesciato e sollevò le
lenzuola.
– E tu pieno di bozzi come una patata – Harlock
incrociò le braccia – Si può sapere che
accidenti stai cercando?
Zero riemerse col suo berretto tra le mani e alzò gli occhi
al soffitto.
– E va bene – sospirò – Un
altro pareggio. Certo che non sai proprio perdere, sei sempre il solito!
Lisciò la stoffa del cappello, se lo calcò in
testa e aggiustò la visiera davanti all'anta crepata
dell'armadietto dei medicinali. Harlock osservò il suo
riflesso. Era pesto, lacero e vacillava come un ubriaco, aveva qualche
capello grigio sulle tempie e qualche ruga agli angoli degli occhi e della bocca,
eppure...
– Anche tu.
Eppure, in quel momento, era più che mai l'ufficiale fiero e
ardimentoso che aveva conosciuto quattordici anni prima su Heavy Meldar.
– Mi piacerebbe – Zero si massaggiò la
nuca e gemette – Ma domani sarò uno straccio.
Siamo troppo vecchi per queste cose.
Barcollò fino alla scrivania del Dottore, tirò su
la poltrona e ci si lasciò cadere di peso.
Harlock lo raggiunse e s'appoggiò al bordo.
– Parla per te.
Afferrò la bottiglia di saké del Dottore,
assurdamente intatta in mezzo alla distruzione che li circondava,
tirò via il tappo e bevve un sorso. Il liquido gli
bruciò le labbra, la lingua e l'interno della bocca, ma
diffuse un piacevole calore nel suo corpo pesto e dolorante.
Zero si piegò in avanti, gli strappò di mano la
bottiglia e gli rivolse un ghigno strafottente.
– Cos'è, vuoi ricominciare?
Tracannò una buona metà del liquido rimasto,
s'asciugò le labbra col dorso della mano e alzò
la testa. Sopra di loro, il neon sfarfallò e s'accese, il
ronzio degli aspiratori cessò e le luci d'emergenza si
spensero. La saracinesca stridette, si sollevò a
metà e si bloccò.
– E adesso che altro c'è?! – la voce di
Ishikura, smorzata dal metallo, aveva una punta isterica.
– Un'altra password di sicurezza –
replicò piatta Sylviana – Niente di che. Dammi un
paio di minuti.
– Niente di che un corno! – un colpo –
“Un paio di minuti”?! Ma l'hai visto, il Capitano?
Era fuori di sé ed è chiuso là dentro
con Harlock da quasi mezz'ora!
Harlock si voltò verso Zero, che posò la
bottiglia, allungò le gambe sul piano della scrivania, si
tirò la visiera sugli occhi e sogghignò.
– Rilassati, Rompiscatole – la voce di Grenadier
– I tipi come loro hanno bisogno di sfogarsi così,
ogni tanto: un occhio nero, un paio d'ossa rotte a testa, e poi...
– Taci, Grenadier, ti prego! – la voce di Ishikura salì di un'altra ottava – Sente niente, Signorina
Oyama?
– No.
– Oddio, non si saranno mica uccisi a vicen... Ahio! Ma che
fai, scimmione?!
– Attento a come parli davanti a Marina, alla Signorina Oyama
e al Capitano Kei, deficiente!
Zero si mise una mano davanti alla bocca per soffocare le risate.
– La volete finire di far casino, voi due?! – un
rumore di oggetti lanciati e vetri infranti – Sto
cercando di scassinare una porta, io!
– La mia fiaschetta! – frignò il Dottor
Zero.
– Le sembra il momento di pensare a bere, Dottore?
– sbottò Tadashi – Quei due potrebbero
aver avuto un altro infar... Ahio!
– Per la miseria, Grenadier! – il timbro di
Ishikura era ormai tenorile – Piantala!
– Piantatela voi, uccellacci del malaugurio!
– Piantatela tutti! Il prossimo che fiata lo trasformo in
voce bianca!
Qualcosa salì dal petto alla gola di Harlock, gli fece
incurvare le labbra all'insù.
Scoppiò a ridere nel momento esatto in cui anche Zero
cedette.
Oltre la porta calò il silenzio.
– Ma... – balbettò Tadashi –
Ma è il Capitano che... che...?
La saracinesca si sollevò, la serratura della porta
scattò.
Mayu era inginocchiata accanto a Sylviana e reggeva davanti alla
centralina quello che sembrava un vecchio cellulare. Sopra le loro
spalle, Ishikura, Tadashi e Grenadier erano pigiati in una
configurazione a dir poco laocontica; dietro di loro, Marina sorreggeva
Yuki mentre il dottore le stringeva una fasciatura sulla coscia.
Guardarono verso di loro all'unisono e sui volti di tutti si dipinse
la stessa espressione incredula e frastornata.
Sylviana fu la prima a riprendersi. S'alzò, stirò la gonna e diede una pacca a Ishikura.
– Ora capisco perché tanta fretta di tornare al
lavoro. Se è così che il Grand'Uomo
gestisce chi è depresso o traumatizzato...
Le risate di Zero aumentarono d'intensità. Si premette le
mani sul ventre.
– Ohi – gemette – Se rido mi fa male
tutto!
– Ok, gente, questi si son ridotti in pappa il cervello a
furia di botte e sono regrediti ai sei anni – Sylviana
passò un braccio attorno alle spalle di Marina e
guardò Yuki – Che ne dite di un bell'ammutinamento
per il bene di tutti, sorelline?
Harlock si piegò in due. Il petto, i fianchi, il collo e la
schiena gli davano fitte tremende a ogni risata, aveva la nausea, gli
girava la testa e gli mancava il fiato, ma non riusciva a smettere.
Quanto tempo era, che non rideva così di gusto?
Riaprì l'occhio, mise a fuoco la bottiglia tra lui e Zero...
e se lo ricordò.
Una stanza spoglia e mezzo diroccata su un pianetino insignificante.
Lui, Tochiro ed Emeraldas seduti sul pavimento in uno spazio che
sarebbe bastato appena per due persone in piedi. Zero appollaiato sul davanzale
della finestra. Una bottiglia di liquore d'infimo ordine e quattro
tazze sbeccate per berlo. La luce soffusa della sera, una piacevole
brezza sulla pelle e il gatto di Tochiro che inseguiva
Tori–San. Le risate dei suoi amici che si levavano alte
assieme alle sue. Serenità e spensieratezza,
complicità e calore. La sensazione di poter fare qualunque
cosa, di poter superare qualunque ostacolo finché avesse
avuto loro al suo fianco... finché
loro avessero avuto bisogno di me.
Di lui. Non di un eroe, né dell'incarnazione di un ideale
che avevano già e li avrebbe uniti per sempre. Di lui.
Ansimò. Si voltò. A pochi passi di distanza, Mayu
e Tadashi sorreggevano Yuki.
Non erano Tochiro ed Emeraldas, non erano più i bambini di
un tempo... e non era un eroe né l'incarnazione di un ideale quello che
cercavano i loro sguardi fissi su di lui.
Forse non lo era mai stato.
Afferrò la bottiglia, mandò giù un
sorso di liquore e tossì.
– Hai ragione, Zero – si ripulì le
labbra col dorso della mano – Sono un imbecille.
Zero lo guardò da sotto la tesa del berretto.
– Alleluja – si tirò in piedi e si
spolverò i pantaloni – Finalmente sei rinsavito.
Lo oltrepassò con passo un po' malfermo, sorrise a Marina e
fece un cenno a Ishikura. Harlock gli afferrò il polso.
– Zero, quel che t'ho detto prima...
– Una parte di te lo pensa – Zero si liberò
con uno strattone – E una parte di me pensa quel che io ho
detto a te. Tutti abbiamo un lato oscuro, pirata idiota, e va bene
così. Impara ad accettare il tuo e pensa alle cose davvero
importanti.
Si piazzò dietro Yuki e mollò uno spintone a
Tadashi e Mayu. Incespicarono tutti e tre fra le braccia di Harlock e il
contraccolpo spedì la sua schiena contusa contro lo spigolo
della scrivania. Harlock serrò la presa, fece leva sulle
gambe per impedire a tutti e quattro di rovinare a terra e
inghiottì il gemito di dolore che gli era salito alle labbra.
– Grazie, Zero – mugolò –
Grazie mille.
Non sapeva nemmeno lui se lo stesse ringraziando dal profondo
del cuore o se non gli fosse tornata la voglia d'ammazzarlo.
– Non c'è di che –
ghignò lui –
Sono o non sono il tuo miglior nemico?
Harlock sospirò e abbassò la testa. Tadashi
alzò su di lui uno sguardo confuso. La fasciatura
che gli avvolgeva la testa s'era allentata e la ferita che s'era
procurato sulla Nèmesis spuntava da sotto le bende.
Accanto a lui, Yuki aveva gli occhi colmi di lacrime. Somigliava a Maya
più che mai. Era diversissima da lei.
– Capitano...
–Yuki, Tadashi – Harlock fece un profondo respiro
– Chiamatemi Harlock. Solo Halock.
Yuki gli affondò il viso nel petto, Tadashi gli sorrise e
tirò su col naso.
Sotto la sua destra, la spalla di Mayu era scossa da un tremito. Harlock la
strinse.
– Mayu. Sei una donna, ormai.
Lei gli artigliò la maglietta e il tremito
aumentò. Gli si buttò addosso e
scoppiò in lacrime come la bambina che era stata un tempo.
Harlock li guardò tutti e tre, il petto agitato da una
tempesta. Così tante sensazioni, così tante cose
che avrebbe potuto e voluto dire, e gli erano uscite solo quelle frasi
ridicole.
Tadashi gli serrò il braccio, Yuki singhiozzò e
Harlock ebbe la certezza che erano bastate.
Chiuse l'occhio. Li strinse più forte a sé. Serenità, complicità e calore.
La sensazione di poter fare ancora molto e di poter superare qualunque
ostacolo per loro... insieme a
loro.
– Bentornato, Harlock.
Sollevò la testa. Accanto a lui c'erano il dottore,
appollaiato sul suo sgabello a sguazzare nella commozione e
nell'alcool, e Mime, col suo mantello fra le mani.
Era la prima volta che la rivedeva da quando s'erano separati nel
sistema dei pianeti gemelli.
Da quel poco che aveva potuto cogliere dai sussurri di Yuki e del
Dottore, se ne stava tutto il giorno rinchiusa nella sua cabina e a chi
tentava di convincerla a incontrarlo non faceva che ripetere con voce
monocorde che lui era morto. E
aveva ragione. Lo era stato da molto prima, per molto
tempo.
Mime spiegò il mantello e glielo porse.
Harlock allungò la mano.
Quell'onore, quel peso...
Il telefono di servizio ronzò. Sylviana sollevò
il ricevitore.
– Ah, Tappo, sei tu – sbuffò –
Ma dove diamine eri finito, ti cercavamo dapper...
Sussultò e girò lo sguado sui presenti,
pallidissima.
– Cosa?! Tra quanto? – le luci s'abbassarono
– Merda! Reggetevi!
Ci fu un rombo assordante. Le luci si spensero di colpo, il pavimento
ondeggiò e l'anta dell'armadietto dei medicinali si
schiantò a terra. Pillole, flaconi e strumenti si sparsero
sul pavimento, sedie e sgabelli rotolarono via.
Harlock agguantò il braccio di Mime, ruotò su se
stesso e spinse lei e i ragazzi contro la scrivania.
La plafoniera sopra le loro teste si staccò e
andò in mille pezzi dietro la sua schiena.
Sylviana urlò, Grenadier imprecò, Mi si
rifugiò sotto lo sgabello tra le braccia del Dottore.
– Cos'è stato?
Harlock si voltò. Sylviana si staccò dal
mobiletto a cui s'era aggrappata e si raddrizzò.
– La Némesis – ansimò
– Tochiro la rileva in rapido avvicinamento e a quanto pare
ha sparato un altro raggio. Colpirà la Karyu tra
meno di dieci minuti!
– Ma non è possibile – Grenadier
lasciò il braccio di Ishikura e lo scaffale a cui s'era
afferrato – Non dovrebbe esser vuota?
Tadashi strinse le dita attorno all'impugnatura
della Cosmo Dragoon, cupo.
– Non c'era più nessuno là dentro...
nessuno vivo.
– Non abbiamo tempo per fare salotto – Zero
liberò Marina dalla sua stretta e corse verso la porta
– Comandante Oki, contatti Eluder! Signor Ishikura, lei
chiami Kaibara! Dobbiamo sganciarci dall'Arcadia e decollare! Subito!
Harlock lasciò il polso di Mime e l'occhio gli cadde sul
mantello tra sue le dita.
Guardò Mayu, Yuki e Tadashi.
Quell'onore e quel
peso...
Lo afferrò, se lo avvolse attorno alle spalle; i lembi
sfiorarono anche le loro.
– Anche noi dobbiamo decollare – chiuse il
fermaglio – Yuki, chiama Maji e chiedigli un rapporto
completo dei danni, Tadashi, ai cannoni, Mayu, va' da Yattaran e
chiedi a lui e Tochiro uno scan completo della Nèmesis:
distanza, armamenti, chi c'è al comando... tutto quello che
riescono a scoprire.
Il Dottore gattonò fuori dal suo rifugio improvvisato e s'alzò.
– Immagino che nemmeno stavolta voi mascalzoni m'aiuterete a
riordinare – sospirò, tirò fuori dal
camice un mazzo di chiavi, aprì uno stipetto nascosto
nell'armadio dei liquori e ne tirò fuori un grosso involto
– Falli neri, figliolo. Ma non ammaccarti più, per
carità!
Harlock aprì l'involto. La sua Gravity Sabre, pulita e
oliata a dovere.
L'allacciò al fianco e corse verso il ponte.
*
Nel pugilato, il clinch è l'azione di corpo a corpo durante
la quale i pugili si
immobilizzano vicendevolmente. Rifugiarsi in clinch è detto
del
pugile in difficoltà che si sottrae all'azione
dell'avversario
attaccandosi a questi.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 50 *** Tutto come ai vecchi tempi, niente come allora ***
cap jidai
Tadashi si sedette alla sua postazione e avviò la
sequenza di caricamento dei cannoni pulser.
Con la coda dell'occhio, vide Harlock prender posto nella sua poltrona
davanti al timone.
Come ai vecchi tempi.
Scosse il capo.
No. Non come allora.
Stavolta non avrebbe lasciato che fosse lui solo a reggere sulle spalle
il peso d'ogni scelta, non sarebbe rimasto a guardare mentre
sacrificava i suoi sogni, il suo futuro e le sue speranze al bene suo,
di Yuki e di Mayu.
Stavolta
lotterò al tuo fianco come tuo amico e tuo pari.
E se in futuro quel testone avesse di nuovo cercato d'escluderlo dalla
sua vita e dai suoi problemi, lo avrebbe preso a pugni proprio come
aveva fatto Zero.
Stavolta
non ti perderò.
Avviò la scansione IFF. Nulla sullo schermo.
Accanto a lui, Yuki aprì il collegamento con la
sala macchine, quella del computer e il ponte di comando della Karyu.
– Maji. Situazione?
Maji s'asciugò il sudore dalla fronte.
– Il motore è operativo al cento per cento e il
rivestimento in superlega ha retto – armeggiò con
una chiave inglese su qualcosa sotto di lui – Purtroppo ci
hanno beccati con le difese abbassate: abbiamo di nuovo gli scudi a
terra e nessun ricambio per le riparazioni, nemmeno per lo scafo.
Un'altra bordata di quelle e tanti saluti.
– Vi copriremo noi – dal riquadro accanto a quello
di Maji, Zero sistemò il cappello in modo da nascondere il
livido che andava scurendosi sotto il suo occhio destro –
Signor Rai, attivare gli scudi! Comandante Oki, sganciare il ponte
provvisorio! Signor Eluder, decollo in assetto verticale!
Tadashi boccheggiò.
– Volete prendere il colpo in pieno? Ma, Zero...
– Se foste presi anche solo di striscio dalla bordata
destinata a noi, rischiereste un'esplosione in sala macchine.
– Ma voi avete a bordo tutte le prove e i testimoni del caso
Herakles!
– E voi le parti in causa – Zero
incrociò le braccia sul petto – Comunque, il fuoco
nemico ci colpirebbe anche se virassimo e i nostri scudi sono intatti:
tanto vale ridurre al minimo i danni e assicurarci di poter combattere
in due contro uno, dopo.
Tadashi sbatté il pugno sulla plancia. Che testardo!
– Ha ragione lui, Tadashi – Harlock strinse le
labbra – Non siamo in condizione di dar battaglia alla
Nèmesis da soli, e dopo la bordata non lo saranno nemmeno
loro. Yuki, non appena la Karyu decollerà, la seguiremo
protetti dalla loro chiglia: calcola allineamento e distanza e
preparati ad accendere i rotori. Quanto all'impatto?
– Il cronometro indica quattro minuti – sullo
schermo principale s'aprì la finestra del conto alla
rovescia – Ma gli strumenti non rilevano variazioni
ambientali e nemmeno il radar capta nulla. La Nèmesis
dev'essere molto lontana da qui.
Tadashi annuì.
Fuori dell'atmosfera,
come minimo. Come ha fatto Tochiro a rilevarla?
Il ponte provvisorio che univa la Karyu all'Arcadia cadde tra le nevi
di Futuria in un turbinio abbacinante. Il pavimento e la plancia
vibrarono all'accensione dei motori della nave di Zero.
Tadashi si passò la mano sul mento.
E com'è
riuscito a rintracciarla fin quaggiù dai pianeti gemelli? Come faceva a sapere dei colpi
in arrivo?
Aggrottò la fronte. C'era qualcosa, qualcosa d'importante
che non riusciva ad afferrare.
Una raffica di vento e nevischio investì la prua e la
vetrata di fronte a lui, un'ombra oscurò la luce dei soli.
Guardò in alto. La Karyu era già almeno venti
chilometri sopra di loro. Harlock si
alzò.
– Arcadia – strinse le dita
sulla barra del timone – Decollo!
La nave sussultò, i motori rombarono e li proiettarono verso
l'alto.
– Due minuti all'impatto – Yuki si voltò
verso Harlock – Siamo disallineati dalla chiglia della Karyu
di quindici gradi, rotori di poppa esposti. Distanza dalla Karyu nei
limiti di sicurezza. Aumento la velocità a sei nodi spaziali.
Tadashi sentì la pressione aumentare sul petto. Harlock
virò a babordo e si portò proprio sotto la
chiglia di Zero. Yuki accese l'interfono.
– A tutto l'equipaggio: prepararsi all'impatto – si
chinò sulla plancia – Tutti gli uomini ai posti di
combattimento. Squadre antincendio pronte a entrare in azione.
– Tadashi – Harlock raddrizzò la barra
– Chiudi i compartimenti stagni, attiva quel che resta degli
scudi e preparati a far fuoco. Maji...
– Anche noi siamo pronti – Maji strizzò
l'occhio – Si balla, Capitano! Come ai vecchi tempi!
Yuki allacciò la cintura.
– Un minuto all'impatto. Reggetevi!
Harlock allargò le gambe per bilanciarsi meglio in
attesa del contraccolpo e puntò lo sguardo sullo schermo.
– Zero...
– Rilassati, Harlock – Zero alzò la
sinistra e infilò il guanto – Non
morirò certo prima d'aver vinto la nostra sfida.
Harlock sogghignò.
– Nei tuoi sogni, forse...
La sua voce fu coperta dal fragore dell'esplosione sopra di loro.
Una luce abbagliante rischiarò il cielo attorno all'Arcadia,
una nuvola di fumo nero e detriti investì il parabrezza.
Sullo schermo, l'immagine di Zero sfarfallò e scomparve,
sostituita da cariche di statica.
Un vuoto d'aria inghiottì l'Arcadia e mandò il
cuore in gola a Tadashi. La spalla sinistra gli sbatté
contro la plancia.
Harlock si bilanciò sul ginocchio destro e diede un giro al
timone, i denti serrati e gli occhi fissi sullo schermo.
– Yuki!
– Sì! Motori ausiliari inseriti – sullo
schermo, altri sfarfallii. La nave si stabilizzò –
Ripristino il collegamento con la Karyu!
Il contatto si ristabilì e Tadashi tirò un
sospiro di sollievo.
– Tutto ok, lassù?
Zero raccolse il suo cappello, lo spolverò e se lo
calcò in testa.
– Danni contenuti e squadre di riparazione già al
lavoro – si voltò verso Yuki – Siete
riusciti a rintracciare la Nèmesis? Noi non rileviamo nulla.
Tadashi guardò il radar di fronte a lui. Niente.
Eppure Tochiro...
c'è qualcosa che mi sfugge.
– Yattaran, Mayu!
Dal riquadro sotto quelli di Maji e Zero, Yattaran scosse il capo con
aria abbattuta.
– Tochiro s'è escluso da tutti i sistemi subito
dopo aver dato l'allarme – armeggiò col cacciavite
– Non capisco, davvero non capisco, miseriaccia! È
tutto a posto, eppure non c'è verso...
Harlock sospirò e si passò una mano sul viso.
Tadashi ricordò quel che aveva raccontato Mime.
– Da qualche tempo era...
stanco, o almeno, così diceva Harlock. Ogni volta che
tornava dalla sala computer, il Capitano era sempre più
cupo...
– Amico mio...
Tadashi seguì lo sguardo triste e preoccupato di Harlock.
Sullo schermo, Mayu passò dietro Yattaran, le mani strette
attorno alla sua ocarina, gli occhi puntati sull'enorme computer.
Tadashi si sentì mancare il fiato.
No, non è
possibile che si sia disattivato per questo. Magari non
vorrà più vivere in quelle condizioni e la sua
mente sarà giunta al limite, magari non gliene
fregherà niente di noi e di Harlock, ma c'è sua
figlia su questa nave...
ed è in pericolo!
Serrò il pugno. Lui provava forse un'infinitesima frazione
di ciò che poteva essere l'istinto paterno,
eppure l'idea che Mayu potesse farsi anche solo un graffio
sarebbe bastata a farlo alzare dalla tomba. Si premette i pugni sulle
tempie.
No. Ci dev'essere
un'altra ragione. Pensa... pensa!
– Harlock – Mayu si voltò –
Non è come credi. Papà lo sta facendo per
proteggerci.
– Proteggerci?! – Yattaran si grattò la
nuca – Così, oltre al resto, non ci funziona
nemmeno il puntamento automatico, per la miseria!
Tadashi premette il pulsante d'attivazione del mirino ottico.
– Posso benissimo mirare a vista, Yattaran –
sorrise – O mi credi un tiratore così scarso da
mancare un bersaglio grosso come la Nèmesis?
Maji ridacchiò alla sua spacconata, ma lui si
sentì ancora più inquieto: c'era qualcosa che gli
sfuggiva... qualcosa d'importante.
Che rischi potremmo
correre, qui sull'Arcadia? Cosa c'entra Tochiro con...
Spalancò gli occhi.
La Nèmesis era la gemella dell'Arcadia e, a detta di Lia
Zone, era pericolosa anche da vuota.
Perché?
Rivide il suo volto pallido e sofferente nella sala di comando di
quella maledettissima nave.
– Quel computer... è
tecnologia meccanoide e le conoscenze di Kurai e Oyama fuse insieme...
Rivide Kurai barcollare verso Hell Matia e afferrarle la coscia.
– Fermatela!
Non lasciatela avvicinare al com...
Il computer!
Rivide Hell Matia accasciarsi sulla plancia, il suo corpo carbonizzato
con le dita strette attorno a una leva... una leva tirata.
Se Feydar Zone aveva
raggiunto il livello di Tochiro quando ha progettato la
Nèmesis, allora forse in quel laboratorio c'era...
Il cuore gli accelerò i battiti.
Dannazione!
– Zero, collegami col Dottor Machine!
– Tadashi – Zero lo guardò perplesso
– Ti pare il mo...
– Ti prego – Tadashi sbatté i pugni
sulla plancia – È questione di vita o di morte!
– Fa' quel che ti chiede, Zero – Harlock gli
lanciò un'occhiata risoluta – Tadashi, parla.
– Credo che Tochiro voglia evitare che il computer della
Nèmesis interferisca coi nostri sistemi automatici
– si leccò le labbra aride – O
addirittura che prenda il controllo della nave. La mia ipotesi
è che lui riesca a rintracciare la Nèmesis
ovunque perché dotata dello stesso tipo di sistema a rete
neurale dell'Arcadia... e che i nostri nemici possano fare lo stesso
con noi.
– In effetti – Yattaran si grattò il
mento – In linea teorica sarebbe possibile. Se i due computer
sono stati costruiti con lo stesso criterio, qualche nodo interconnesso
potrebbe consentire il passaggio in ingresso e in uscita di dati e
comandi...
Yuki aggrottò la fronte.
– Ma se possono sabotarci dall'interno, perché non
l'hanno fatto quando li abbiamo attaccati? Anzi, perché non
hanno rintracciato l'Arcadia prima che lo facessimo noi e non l'hanno
distrutta?
Sullo schermo accanto a quello di Yattaran, apparve il volto
artificiale del Dottor Machine.
Tadashi fece un profondo respiro.
– Perché, se la mia ipotesi è esatta,
il loro computer era solo una macchina priva di volontà,
allora. Una macchina di cui non conoscevano né potevano
sfruttare appieno le potenzialità –
deglutì – Dottore, ha già esaminato il
corpo di Hell Matia?
Il Dottor Machine annuì.
– Ho eseguito tutti gli esami del caso. Due volte.
– Ha esaminato anche il suo cervello artificiale e i chip di
memoria?
Sullo schermo, Zero impallidì. Tra le mani di Harlock, il
legno del timone scricchiolò.
Il Dottore annuì di nuovo.
– L'ho fatto, ma non ne ho ricavato praticamente nulla
– allargò le braccia – Erano schermati e
parevano intatti, eppure non sono riuscito a scaricare neppure un dato,
come se...
– Come se tutto fosse stato formattato... o trasferito
altrove.
– Già, proprio
così.
Dannazione!
Tadashi girò lo sguardo sui presenti. Non c'era bisogno di
dire altro.
La luce scemò. L'atmosfera di Futuria lasciò il
posto al buio dello spazio.
Nel silenzio assoluto, il radar s'illuminò ed emise un bip,
poi un altro.
– Nemico a ore due, a centottoantasette chilometri spaziali e
in rapido avvicinamento.
Accanto a lui, Yuki trasalì.
– Gli strumenti rilevano un campo gravitazionale che crea
un'anomalia per circa... sessanta chilometri attorno all'obiettivo?! Ma
non è...
Zero si tolse il cappello e lo rigirò fra le mani.
– Signori – girò lo sguardo intorno a
sé, grave – Prepariamoci ad affrontare
un nuovo Hell Castle.
Harlock diede mezzo giro di timone e affiancò la Karyu.
– Come ai vecchi tempi, eh, Zero?
Tadashi osservò il pannello davanti a sé: scudi a
terra, appena la metà delle armi funzionanti, nessun sistema
computerizzato disponibile... e dalla chiglia della Karyu usciva ancora
un denso fumo nero.
Guardò Harlock. Nonostante il tono leggero delle sue parole,
il suo sguardo diceva che stava pensando la stessa cosa che aveva
appena pensato lui.
No. Non come
allora.
Rabbrividì e tolse la sicura del cannone.
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 51 *** La battaglia senza speranza - parte I ***
cap jidai
– Come ai vecchi tempi, eh, Zero?
Zero rivolse ad Harlock un sorriso tirato: ai vecchi tempi, oltre alla
Death Shadow, c'era stata la Queen Emeraldas a coprire le spalle alla
Karyu, insieme a una decina d'altre navi in perfette condizioni.
Fissò il pannello riepilogativo sul suo quadro comandi:
scudi danneggiati su tutta la parte superiore, sei torrette fuori uso e
princìpi d'incendio in cinque dei nove compartimenti stagni
del ponte uno.
E loro sono messi anche
peggio.
Sullo schermo, la fiancata dell'Arcadia mostrava nuovi danni
là dove la Nèmesis l'aveva già colpita
nella prima battaglia; i cannoni dimensionali fumavano e lo scafo
sembrava stare insieme per puro miracolo.
Senza contare che non
gli funzionano i sistemi automatici.
– Fareste meglio a ritirarvi, Harlock.
Yuki lo guardò accigliata.
– Neanche per sogno, Zero – serrò la
mano attorno allo stabilizzatore – Se la Nèmesis
ora è davvero come l'Hell Castle e l'Arcadia, non ce la
farete mai da soli.
Zero fece correre lo sguardo sul suo equipaggio, rigirò il
berretto fra le mani e fissò lo schermo.
– Siamo quelli con più probabilità di
sopravvivere, al momento. Abbiamo ancora gli scudi, l'artiglieria e il
cannone di Sant'Elmo. Ce la caveremo.
Yuki si alzò.
– Vi ho coinvolti io
in questa storia – sbattè i palmi sulla plancia
– Non posso tornarmene sulla Terra e abbandonarvi al vostro
destino! Non chiedermelo!
Harlock aggrottò la fronte.
– E non chiederlo nemmeno a me, Zero. Sai come la penso, sui
conti in sospeso – diede un quarto di giro al timone
– E comunque, Hell Matia non è Vorder. Non ci
concederà il lusso di sparare solo su di te mentre ce ne
andiamo.
Zero stirò una piega sul suo berretto.
Era vero. Hell Matia lo odiava, ma non tanto da lasciare che il suo
rancore diventasse un'ossessione e le facesse perdere la
lucidità, meno che mai in battaglia. Era un generale
meccanoide e avrebbe agito secondo logica: prima avrebbe abbattuto la
nave nemica più danneggiata, poi sarebbe passata all'altra.
Con quei cannoni micidiali e un campo gravitazionale di sessanta
chilometri attorno, poteva permetterselo.
Maledizione!
Zero si calcò il berretto in testa.
– E va bene, Harlock – aggiustò la
visiera – Ma non starmi fra i piedi e non farti beccare.
Harlock si portò due dita alla fronte.
– Non morirò, sta' tranquillo – sorrise
– Non prima d'averti insegnato una volta per tutte come si
tira di scherma.
– Nei tuoi sogni, pirata idiota.
Il ghigno sarcastico che Zero voleva rivolgergli gli morì
sulle labbra.
Oltre la vetrata davanti a lui, la sagoma della Nèmesis era
ormai visibile a occhio nudo. Come quattordici anni prima, le
distorsioni create dal campo gravitazionale che la attorniava gli
fecero correre un brivido lungo la schiena.
– A che punto sono le riparazioni, Kaibara?
– Possiamo reggere un'altra bordata dalla batteria
principale, Capitano, forse due, dopodiché saremo senza
difese come l'Arcadia!
– La squadra antincendio?
– Ce l'hanno fatta – Rai si voltò verso
di lui e sorrise a trentadue denti – E i danni sono minimi:
possiamo contare su tutti i pezzi d'artiglieria!
– Bene – Zero si voltò verso Marina
– Signor Eluder, portarsi a sessantacinque chilometri
spaziali dall'obiettivo e mantenere la distanza. Comandante Oki...
– Abbiamo ancora almeno dieci minuti prima che i cannoni
primari della Nèmesis siano pronti al fuoco – come
sempre, Marina gli leggeva nel pensiero – Ma potrebbe
spararci dalle torrette o dai tubi lanciatorpedini.
– E allora spariamo prima noi – Zero si
leccò le labbra – Signor Rai, fuoco dalle batterie
principali! Harlock...
Dallo schermo, Harlock gli rivolse un impercettibile segno d'assenso.
– Tadashi... fuoco!
Rai tolse sicura.
– Batterie principali, fuoco!
Zero trattene il fiato. Il ponte di comando vibrò e il buio
dello spazio fu rischiarato dalla luce scarlatta dei laser. Accanto a
loro, anche l'Arcadia sparò. Come quattordici anni prima, lo
scudo gravitazionale disperse e assorbì i colpi.
– Non gli abbiamo fatto nemmeno un graffio –
Ishikura ricadde indietro sul sedile, pallido come un morto –
È davvero come l'Hell Castle!
Zero serrò le labbra.
– Mantenga la calma, Signor Ishikura. Comandante Oki,
misuri...
– Capitano! – Breaker sussultò
– La Nèmesis ha aperto il fuoco!
– Verso chi?
– Su di noi – Harlock ruotò il timone
come un forsennato – Maji, ferma i motori!
Yuki, attiva i retrorazzi! Tadashi, al mio ordine, fuoco dalle bocche
lanciatorpedini! Ora!
L'Arcadia s'inclinò tutta a babordo e una salva di missili
schizzò fuori dalle paratie laterali.
– Zero!
Harlock lo guardò da dietro la ruota del timone e Zero gli
rivolse un cenno d'assenso.
Va bene. Ho capito.
Il collegamento s'interruppe e le luci dei laser sparati dalla
Nèmesis gli nascosero l'Arcadia alla vista. Zero distolse lo
sguardo dallo schermo: non aveva tempo d'assicurarsi che la manovra
elusiva di Harlock fosse riuscita.
Non morire! Ti prego...
non morire!
Si voltò verso Marina.
– Comandante Oki...
– Tredici centesimi di secondo da quando apre il fuoco
– ansimò lei – Proprio come l'Hell
Castle!
Bene. E allora
facciamola finita subito!
– Signor Ishikura, avvii la procedura d'inizializzazione del
Sant'Elmo.
– Sissignore – Ishikura rimosse il cappuccio di
sicurezza, spostò l'interruttore a leva e girò la
chiave – Circuiti d'alimentazione del reattore in funzione.
– Puntamento automatico pronto – Rai
digitò sulla sua tastiera – Bersaglio agganciato
con successo!
Zero lanciò uno sguardo allo schermo: l'Arcadia era ancora
lì. C'era un nuovo squarcio sul lato inferiore della chiglia
e quattro delle torrette fumavano, ma almeno era tutta in un pezzo.
Tirò un sospiro di sollievo.
Resta concentrato,
Harlock. Dovremo lasciare che sparino di nuovo.
– Le torpedini dell'Arcadia si sono dissolte –
Breaker si chinò sul radar – Nessun danno alla
nave nemica.
– Reattore di fusione dell'elio tre attivato –
Kaibara premette il pulsante d'accensione – Potenza al
centoventicinque per cento, in aumento. Flusso in arrivo.
– Sta per sparare di nuovo – Eluder strinse la
cloche – Dalle torrette di prua!
– Potenza al centotrenta per cento – Kaibara si
voltò, i fuochi di Sant'Elmo che gli brillavano sulle spalle
e sulle punte delle dita – Quando vuole, Capitano!
– Signor Ishikura, trasferisca il controllo di tiro al mio
quadro comandi!
Sulla plancia di fronte a Zero, lo sportello del Sant'Elmo
s'aprì con un sibilo e l'impugnatura del cannone gli emerse
davanti. La afferrò con entrambe le mani e puntò
i piedi a terra.
– Sospendere tutti i sistemi! – tolse la sicura e
mise il dito sul grilletto – Trenta secondi... da adesso!
– La Nèmesis ha fatto fuoco – Breaker si
voltò verso di lui – Stavolta su di noi!
Zero serrò la mascella.
È logico.
Hell Matia sa che durante la procedura di tiro del Sant'Elmo siamo del
tutto indifesi per quaranta secondi. Ma il solo fuoco delle torrette
non le basterà, se restiamo fuori dal suo campo
gravitazionale.
– Ishikura, ordini a Grenadier di tenersi pronto con le
squadre antincendio e allerti i meccanici e tutto il personale medico.
Continuare la procedura di tiro. Ripeto: continuare la procedura di
tiro.
– Ma siamo senza difese! – Rai saltò
sulla sedia – Capitano...
– Avvio alimentazione finale – sopra la postazione
di Kaibara, la barra di caricamento si riempì –
Inizio conto alla rovescia!
– Rai, Eluder, schermate il ponte di comando –
Marina afferrò il microfono dell'interfono –
Sicurezza, evacuare il ponte uno e chiudere tutti i compartimenti
stagni, presto! Nohara...
– Sì, Comandante! Passo l'immagine della
Nèmesis sullo schermo principale.
Rai ed Eluder corsero a ruotare la maniglia. Il pannello protettivo in
superlega oscurò la vetrata di fronte a lui e Zero
abbassò lo sguardo sul sistema di puntamento automatico.
Dieci secondi...
Un rumore assordante gli fece fischiare le orecchie e tutta la Karyu
sussultò. C'era odore di bruciato e
da qualche parte una sirena suonava.
Strinse più forte l'impugnatura e trattenne il
respiro.
Si concentrò sulla voce metallica di Battlizer.
– Quattro, tre...
Il mirino e la tacca di mira s'allinearono e lampeggiarono.
– Due, uno...
Fuoco!
Sparò.
Il rinculo lo mandò a sbattere contro lo schienale, la
potenza del fascio energetico gli fece vibrare l'impugnatura fra le
dita.
Sullo schermo principale, i raggi del Sant'Elmo s'intrecciarono come
due draghi in lotta nello spazio e s'unirono in una luce abbagliante
che avvolse la Nèmesis.
– È fatta! – Rai alzò un
pugno al cielo – Abbiamo...
– Fuoco nemico in arrivo – Breaker si
guardò attorno frenetico – Alza gli scudi, Rai!
– Non posso ancora!
Un boato tremendo stordì Zero, un lampo lo
accecò.
Il ponte di comando piombò nel buio più totale e
la Karyu ondeggiò come un filo d'erba preso in un vortice di
tempesta.
Il controllo del Sant'Elmo gli sfuggì dalle mani e qualcosa
lo colpì alla spalla.
Le sue narici si riempirono dell'odore acre del fumo. Aveva un sibilo
insistente nelle orecchie e gli occhi che gli lacrimavano. Si
alzò.
I generatori d'emergenza entrarono in funzione e una luce rossastra
illuminò il ponte di comando. Zero si guardò
attorno.
Nohara, Rai e Breaker erano finiti a terra, ma per fortuna parevano
illesi.
Ishikura aveva in mano un estintore e stava soffocando un principio
d'incendio alla base della postazione di Marina.
Kaibara si massaggiò la fronte.
– Cos'è successo?
Breaker s'afferrò allo schienale della sua poltrona e
andò a sedersi davanti al suo quadro comandi.
– La Nèmesis ci ha tirato un'ultima bordata coi
cannoni principali proprio mentre eravamo indifesi.
– Signor Kaibara, rapporto danni!
– Abbiamo uno squarcio che va dal primo comparto del ponte
tre al settimo del ponte cinque – Kaibara
s'asciugò il sudore dalla fronte – Un grosso
incendio nell'hangar e nei primi tre scomparti del ponte cinque,
più altre sei torrette fuori uso. Nuovi focolai anche su
tutto il ponte uno!
– Tutti i collegamenti esterni sono saltati –
Marina digitava frenetica alla sua tastiera – E i sistemi
computerizzati non entrano in funzione... nemmeno l'antincendio!
Ishikura posò l'estintore.
– Chiedo il permesso d'intervenire con la mia squadra e
dirigere le operazioni di spegnimento al ponte cinque, Capitano.
Grenadier e i suoi non possono intervenire in contemporanea
là, al ponte uno e nell'Hangar... e se l'incendio si
propagasse alla sala del reattore del Sant'Elmo, sarebbe la fine!
Zero guardò la sua mano avvolta nelle bende e la sua spalla
ora priva di tutore.
Aveva una piccola macchia di sangue all'altezza della clavicola e la
solita espressione ostinata sul viso.
Andrebbe in ogni caso.
– Concesso, Ishikura – Zero distolse lo sguardo e
sospirò – Ma faccia attenzione.
Ishikura scattò sull'attenti e corse via. La porta non s'era
ancora richiusa del tutto che la Karyu sussultò e
s'inclinò a babordo.
Un'altra esplosione?
– Marina!
– Ci sono quasi... ecco!
Gli schermi si riaccesero, la copertura della vetrata si
sollevò e Zero trasalì.
La Nèmesis veniva dritta verso di loro, un grosso squarcio
sulla prua, le torrette che vomitavano fuoco.
– Non è possibile – Rai ricadde sulla
sua poltrona – Non solo non è esplosa, ma ci spara
ancora addosso!
– Rai, in che stato sono gli scudi?
– Al quaranta per cento. Ne abbiamo forse per un'altra
bordata, non di più!
– Allora non dobbiamo lasciargliela tirare – Zero
serrò il pugno – Nohara, sostituisca Ishikura e
inizializzi il Sant'Elmo! Kaibara...
– È inutile, Zero – sullo schermo,
l'immagine di Harlock tremolò e si stabilizzò
– Guarda il loro scafo.
Marina zoomò sullo squarcio a prua della Nèmesis
e Zero spalancò gli occhi.
Invece di disperdersi nello spazio, i frammenti che galleggiavano
attorno alla falla tornavano indietro, come attratti da un invisibile
magnete.
Ognuno di essi andò a disporsi nel punto preciso in cui
doveva essersi trovato prima che lo scafo fosse colpito e con un lampo
scarlatto si risaldò al suo posto.
– È impossibile – Kaibara
boccheggiò – Di che cosa è fatta
quell'affare?
Zero deglutì a vuoto. Sullo scafo della Nèmesis
non c'era più neanche un segno.
Nemmeno l'Hell Castle si
autoriparava così in fretta.
– Harlock, hai mai visto niente di simile, prima d'ora?
– Sì – Harlock si
pizzicò il mento – Sul pianeta artificiale
Promesium. È una lega capace di ripristinare e replicare la
propria struttura molecolare. Ma quella con cui ho avuto a che fare io
non era certo in grado di resistere al vostro cannone.
Accanto a quello di Harlock, sullo schermo comparve il volto accigliato
di Yattaran.
– Potrebbero averla combinata con la superlega di Tochiro
– si asciugò un rivolo di sudore – Se
così fosse, siamo nei guai!
Già.
Così non c'è il tempo materiale per dissolvere il
campo gravitazionale e colpire di nuovo col Sant'Elmo prima che lo
scafo si rigeneri.
– Harlock, come siete messi con le armi?
Tadashi lo guardò cupo, un nuovo taglio sulla fronte e la
fasciatura disfatta che gli ricadeva sulle spalle.
– Ci funzionano solo più il rostro e le torpedini,
ma le stiamo esaurendo. Voi?
Rai scosse il capo con espressione sconsolata.
Zero abbassò lo sguardo sulla sua postazione. Il ponte uno
era ancora in fiamme, le torrette e i cannoni inutilizzabili.
– Solo il Sant'Elmo. E con quello non possiamo sparare a
ripetizione.
Accanto a Tadashi, Yuki spalancò gli occhi.
– Zero – si alzò – Andate via
da lì, presto!
Zero si scosse e guardò davanti a sé.
Dallo scafo della Nèmesis era emerso un enorme rostro
acuminato; le distorsioni del campo gravitazionale ne confondevano
già i contorni.
Maledizione!
– Signor Eluder, manovra evasiva! Tutta a tribordo! Signor
Kaibara, avanti tutta! – sotto i suoi piedi, il ponte
vibrò – Nohara, Rai, abbassate la copertura col
sistema manuale! Dobbiamo uscire dalla sfera del loro campo
gravitazionale prima che si rigeneri! Harlock...
Harlock assentì e virò a babordo.
– Ci vediamo dall'altra parte, Zero. Maji, avanti tutta
– ringhiò – Tadashi, fuoco a
volontà!
Vuole attirare
il fuoco delle torrette su di sé? Ma è...
Zero non ebbe il tempo di pensarci. La Karyu s'inclinò a
destra e i motori alla massima potenza gli mandarono il cuore in gola.
Il rostro della Nèmesis gli sfilò accanto. Nohara
e Rai aumentarono gli sforzi per chiudere la copertura.
La vibrazione sotto i suoi piedi aumentò e la pressione lo
ributtò sulla sedia.
I collegamenti con l'Arcadia saltarono di nuovo.
– Capitano – la voce di Marina tremava –
Grossa esplosione al ponte cinque, nella sala adiacente il reattore!
Oh, no! No!
– Il sistema antincendio?
– Non riesco a ripristinarlo – Marina
sbatté il pugno sulla plancia – Non funziona!
– Mi colleghi con la squadra di Ishikura.
– Non rispondono – la sua voce si ruppe –
E non ho nemmeno il collegamento video!
Calò il silenzio e Zero si passò la mano sugli
occhi. Attorno a lui, tutta la Karyu gemeva e scricchiolava. La
copertura delle vetrate stridette, si coprì di crepe e
finì in pezzi che si dissolsero fra le onde del campo
gravitazionale.
Ti prego, Drago
Fiammeggiante... resisti... Resisti!
La figura alata sulla fiancata della Nèmesis
sfilò alla sua sinistra. Le vetrate intorno al ponte di
comando s'incrinarono con uno scricchiolio sinistro. La pressione sul
petto gli tolse il fiato.
– Capitano – la voce di Kaibara era un rantolo
– La fenditura s'allarga!
La coda della Nèmesis li oltrepassò e la Karyu
gemette con una voce quasi umana. Alcuni pannelli del rivestimento
esterno si staccarono e si dissolsero fra le onde del campo
gravitazionale. Sulle vetrate c'era una ragnatela di crepe. Zero
ansimò, la vista annebbiata.
– Tutta la potenza ai motori – si
pizzicò la coscia per non svenire – Disattivare le
funzioni non necessarie e inserire il sistema di propulsione
ausiliario! Dobbiamo toglierci al più presto da qui o
finiremo schiacciati!
Le luci tremolarono di nuovo. Nuove spie d'allarme s'accesero sul suo
quadro comandi. Zero si piegò in due dietro la sua
postazione e chiuse gli occhi. L'accelerazione e la pressione gli
fecero uscire dallo stomaco ciò che era riuscito a
trattenere durante la scazzottata con Harlock.
S'accasciò con la fronte contro la base della plancia, un
gusto amaro in bocca e il gemito del metallo nelle orecchie. La
testa e il petto gli facevano male, l'aria non bastava a riempirgli i
polmoni.
Ti prego,
Drago Fiammeggiante... ti prego!
– Coraggio – Eluder era una figura vaga nella
nebbia – Siamo quasi fuori.
La pressione e la velocità diminuirono di colpo. La Karyu
sobbalzò.
Zero ansimò, s'aggrappò al quadro comandi e si
rialzò. Gli girava la testa e le orecchie gli fischiavano,
ma la Nèmesis era dietro di loro.
– Capitano – la voce di Eluder era funerea
– La propulsione è andata. Ci resta solo il motore
ausiliario numero due... e l'energia non basterebbe nemmeno per tornare
su Futuria.
– Comandante Oki, che ne è degli incendi?
– Non riesco a contattare né Grenadier
né Ishikura... e i sistemi automatici sono saltati del tutto.
– Anche il sistema di lancio delle capsule di salvataggio?
Marina chinò il capo e si passò una mano sugli
occhi.
– Capitano – Nohara lo guardò smarrito
– Che facciamo, adesso?
Zero abbassò lo sguardo sul pannello riepilogativo. Era
tutto una luce rossa.
Chiuse gli occhi e serrò i pugni nelle tasche.
Niente. Non possiamo
fare proprio più niente.
Nemmeno scappare, nemmeno evacuare la nave.
Come nei suoi peggiori incubi, aveva guidato il suo fiducioso
equipaggio dritto nelle braccia della morte.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 52 *** La battaglia senza speranza - parte II ***
cap jidai
La porta si spalancò con un colpo sordo e Zero
trasalì, distolto dai suoi cupi pensieri.
Sylviana entrò a passo di marcia, il braccio destro di
Ishikura attorno al collo, la sua testa che le ciondolava sulla spalla
al ritmo dei suoi passi e i suoi stivali che strisciavano sul pavimento
dietro di lei.
Lo scaricò con malagrazia sul sedile della sua postazione,
si raddrizzò e batté le mani. Nuvole di cenere
s'alzarono dai suoi guanti e un forte odore di fumo si diffuse
tutt'intorno a lei.
– Ma tu guarda che mi tocca fare – si
voltò verso Zero e indicò Ishikura col pollice
– Senti un po', Capitan Manesco: quando si sveglia, di' al
Bell'Addormentato qui che per la faccenda del laboratorio siamo pari...
anzi, è in debito!
Zero la guardò allibito e spostò lo sguardo su
Ishikura. Era nero di fuliggine dalla testa ai piedi, la giacca e i
pantaloni della divisa strinati in più punti e la manica
sinistra intrisa di sangue sotto un laccio emostatico improvvisato con
una sottile striscia di stoffa elastica.
– Co...
– Ah, e digli anche che chiudersi in un posto in cui stanno
andando a fuoco materiali plastici, circuiti elettrici e
chissà quali altre diavolerie per andare ad abbassare una
paratia stagna da un quintale non è una grande idea
– gli mollò uno scappellotto dietro la nuca
– Specie se hai una spalla fuori uso e hai messo la tua
maschera antigas a qualcun altro.
Marina s'inginocchiò accanto a Ishikura e gli tolse il
guanto sinistro.
– Ma perché l'hai portato qui? – gli
tastò il polso – Ha bisogno...
Sylviana sbuffò e diede un calcio alla poltrona.
– Anche da svenuto, questo scemo integrale non fa che
ripetere “Capitano, Capitano” –
girò sui tacchi – Tanto vale che ci risparmiamo
tutti la fatica.
S'incamminò verso la porta, petto in fuori, testa bassa e
gambe larghe, in un'andatura davvero poco femminile che ricordava
quella dell'uomo che aveva appena portato lì quando qualcosa
non gli andava a genio... cioè quasi sempre.
Zero stese una mano.
– E adesso dove va?
Sylviana aprì la porta con un altro calcio e lo
guardò storto.
– Al ponte cinque, che domande – anche
l'espressione ostinata era la stessa di Ishikura – Ora che la
paratia è chiusa, l'incendio non arriverà
più al reattore, ma quei bei ragazzoni meccanoidi della
squadra antincendio hanno bisogno d'un capo con un po' di sale in zucca
per finire il lavoro... perciò non lasciar più
scendere lui, o giuro che vi strozzo entrambi!
Oltrepassò l'uscio, abbassò la gonna
bruciacchiata sulle cosce e si voltò.
– Ah, un'ultima cosa – puntò
il dito su Ishikura – Se finito il parapiglia vuoi menare
quell'incosciente finché non diventa furbo fa' pure, ma
lasciagli almeno un braccio sano: stasera no perché
sarò a pezzi, ma domani esigo
che mi rifaccia la manicure... e che si prepari psicologicamente: per
attaccare tutti i brillantini e le decal della mia nail art,
stamattina, ci ho messo quasi un'ora!
Sylviana richiuse la porta e Zero restò a fissarla, i pugni
contratti nelle tasche.
Domani... crede ancora
che ci sarà un domani...
E lo credevano tutti coloro che non si trovavano su quel ponte di
comando; avevano ancora fiducia in lui, lottavano per la vita...
Dannazione... Dannazione!
Ishikura tossì, si strofinò gli occhi arrossati e
si rizzò a sedere.
– Dove...? – si piegò in un accesso di
tosse – Che ci faccio qui? I miei uomini... la paratia... il
reattore!
Fece per alzarsi, ma Marina lo tenne fermo.
– T'ha portato qui Sylviana – si sfilò
la sciarpa dal collo e gliela avvolse attorno alla spalla, sotto la
striscia elastica – Sta' giù, sei...
– Sylviana?!
Marina chiuse il nodo e tagliò la striscia. Ishikura
gemette, strinse la spalla ferita e si guardò attorno.
– E dov'è, adesso, quella disgrazia in gonnella?
– Sta dirigendo la tua squadra al ponte cinque –
Rai tagliò un cavo ai piedi della postazione di Marina e
sostituì un connettore – Dice che le devi fare una
manicure coi brillantini o qualcosa del genere.
– Cosa?! – Ishikura s'alzò di scatto
– Ma io la strozzo! Le avevo detto chiaro e tondo d'andare al
punto di raccolta insieme al personale ausiliario!
Barcollò e ricadde sulla sua poltrona, preda d'un altro
attacco di tosse.
– Che t'arrabbi a fare? – Eluder gli
lanciò una bottiglietta d'acqua – Non è
mica tenuta a eseguire i tuoi ordini: è una civile e
tecnicamente non l'abbiamo neppure ingaggiata noi. In effetti, mi
chiedo che ci faccia qui...
Ishikura svuotò la bottiglietta in tre rapide sorsate.
– Ciò non toglie che domani la strozzo –
s'asciugò le labbra sull'avambraccio – Stasera no
perché sarò a pezzi, ma domani giuro che la
strozzo!
Kaibara si tirò un baffo e ridacchiò.
– Hai trovato l'anima gemella, eh, Ishikura?
Rai fece una risatina nervosa e digitò una sequenza di
comandi sul quadro di Marina.
– Peccato non poterci sbronzare al tuo addio al celibato
– premette il pulsante di riavvio e lo schermo principale
si accese – Che fregatura, eh?
Nohara aggrottò la fronte.
– Rai, ma che bisogno c'era? Almeno lui poteva ancora
illudersi...
Zero fissò l'immagine della Nèmesis: s'era quasi
girata del tutto.
Non c'è
neanche bisogno che ci spari. Basterà che c'investa col
campo gravitazionale.
Ishikura sussultò e si piegò sul quadro comandi.
– Ma che fate tutti lì impalati? –
girò lo sguardo sui suoi compagni – Rai, torni
subito al suo posto e agganci il bersaglio!
Zero guardò il monitor al di sopra della sua spalla: stava
digitando il comando per aprire i circuiti d'alimentazione del
Sant'Elmo.
Rai si sedette sulla sua poltrona e accavallò le gambe sulla
plancia.
– È inutile – incrociò le
braccia dietro la nuca e sospirò, gli occhi fissi sulla
Nèmesis – Non ci funzionano i sistemi automatici e
quella cosa si rigenera a una velocità tale...
Ishikura digitò la sequenza per trasferire i comandi del
sistema di puntamento.
– Allora dovrà mirare a vista, Capitano. Kaibara,
attivi il reattore. Eluder, giri la nave!
– Ishikura... è finita.
Ishikura sbatté il pugno sulla plancia.
– No che non è finita – si
alzò – Il motore ausiliario e l'energia che ci
resta basteranno per una manovra così semplice,
perciò esegua il mio ordine, Tenente Eluder!
– Vuoi proprio morire con onore, eh, ragazzo? –
Kaibara sorrise e attivò il reattore – E va bene,
in fondo ti capisco: nemmeno a me va di saltare per aria senza
restituire nemmeno un colpo.
Ishikura lo fulminò con lo sguardo.
– Io non voglio affatto morire!
Zero fissò la sua manica macchiata di sangue e fuliggine.
Lui se ne accorse.
– So cosa pensate – inserì
l'ultima serie di comandi e diede l'invio – Ma non
è così. Non stavo cercando una buona scusa per
raggiungere mio fratello, là sotto.
– Ah, no? – Nohara lo guardò poco
convinto.
Ishikura chiuse gli occhi.
– Ricorda quella volta che mi prese a pugni su Heavy Meldar,
Capitano? – ridacchiò e puntò di nuovo
lo sguardo sugli strumenti – Allora mi disse che non avrei
mai potuto battere Harlock e Tochiro perché non avevo
nessuno a cui offrire la vita. Allora non capii: che forza poteva
darmi, un legame del genere con qualcuno?
Strinse le dita attorno alla leva di dislocazione del sistema di
puntamento, gli occhi sul diagramma di flusso del reattore.
– Ora lo so – la abbassò – E
mi sono fatto una promessa: non mi ritroverò mai più
a guardare impotente mentre qualcuno fa del male alla mia famiglia, qualunque
sia il prezzo da pagare!
La sua...
Marina gli strinse la spalla sana e andò a sedersi alla sua
postazione, Eluder prese in mano la cloche senza dire una parola.
Il sistema di puntamento emerse di fronte a Zero e Ishikura lo
guardò negli occhi.
– Abbiamo il dovere
di vincere questa battaglia e sopravvivere, Capitano! Se non lo
facciamo noi, chi fermerà Hell Matia e
quell'Odhrán? – la sua voce si ruppe. Distolse lo
sguardo – E i nostri compagni... mio... per cosa... per
cosa...
– Il tuo Vice ha ragione Zero – sullo schermo, tra
interferenze e onde di statica, apparve la figura di Harlock
– E anche tu predichi bene e razzoli male, a quanto vedo. Ti
devo una scarica di pugni, ricordamelo.
Zero strinse fra le mani il sistema di puntamento del Sant'Elmo e lo
fissò: sulla sua guancia sinistra scorreva un rivolo di
sangue e alcune barre del timone erano spezzate. Anche il suo guanto
destro lasciava impronte rosse sul legno.
– Harlock, in che stato siete?
Tadashi si strappò via la benda dalla fronte.
– Abbiamo ancora un'ultima salva di torpedini –
aggrottò le sopracciglia – Ma anche se siamo
riusciti a evitare il campo gravitazionale e la maggior parte dei
colpi, abbiamo subìto altri danni su tutto lo scafo. Voi
quanto potete resistere ancora?
– Una bordata.
Forse.
Harlock si pizzicò il mento e stirò le labbra.
– Allora non dobbiamo sbagliare.
– Che vuoi fare, Harlock?
– Non ho tempo per spiegartelo –
aggrottò la fronte – Gira la Karyu e preparati a
sparare col Sant'Elmo.
– Ma l'hai visto anche tu! Non farei altro che disperdere
il...
– Fidati di me.
Zero s'accigliò. Un brutto presentimento gli
serrò la bocca dello stomaco, pensieri di morte non suoi gli
attraversarono la mente.
Scosse il capo. Non era il momento di farsi prendere dall'ansia e dai
postumi di quel transfer. Doveva proteggere i suoi uomini, a ogni costo.
E tuttavia...
– Harlock...
– Zero, non c'è tempo per discutere. Fa' come t'ho
detto o moriremo tutti!
Zero girò lo sguardo sul suo equipaggio. Non aveva scelta,
né alternative da proporre.
E va bene.
– Signor Eluder, l'ha sentito. Giri la nave e punti il nemico.
– Ma non possiamo avvicinarci molto, Capitano! L'energia...
– Non preoccupatevi – Harlock sogghignò
– Verrà lei da noi. Maji, avanti tutta! Yuki,
rotta sul settore 245-B. Mantieni una distanza minima di quattromila
metri spaziali dalla Karyu. Yattaran, collegali al nostro radar.
L'Arcadia si portò davanti a loro e si girò su un
fianco in un'unica, fluida manovra.
Harlock ruotò il timone per compensare la forza centrifuga e
stese il braccio.
– Tadashi, fuoco a con tutto ciò che abbiamo!
Yuki, stabilizza l'assetto e attiva i razzi frenanti, Maji, diminuisci
i giri del motore; avanti tutta al mio segnale!
Una salva di cinquanta e più torpedini illuminò
lo spazio in direzione della Nèmesis e Zero strinse le
palpebre, abbagliato dalla luce dei propulsori. Harlock
raddrizzò la barra e lo fissò.
– Zero, appena la Nèmesis farà fuoco...
– Dovrò sorpassarvi, ricevere il colpo e sparare,
giusto, Harlock?
Harlock sogghignò.
– Vedo che ci capiamo.
Zero aggrottò la fronte.
– Non mi piace quel che credo d'aver capito, Harlock.
Perché dopo,
in queste condizioni, non ti resterebbe altra scelta che...
Harlock si preparò a ruotare il timone.
– Te l'ho detto: fidati di me, una buona volta –
fece un cenno a Yuki e Maji – E non appena lo scudo
gravitazionale s'indebolirà, fa' fuoco dritto sulla parte
centrale della Nèmesis, proprio sulla figura della donna
alata!
– Ma è una follia – Rai balzò
sulla sedia – Per vicino che ci possa venire, ci saranno
almeno una settantina di chilometri tra noi e il nemico! Va bene che il
Capitano è un tiratore scelto, ma...
– Si calmi, Signor Rai – Zero si morsicò
il labbro e regolò il mirino – In qualche modo ce
la farò. Signor Kaibara...
– Può far fuoco quando vuole, Signore.
– Va bene – una goccia di sudore gli
colò dalla fronte sulla guancia – Sono pronto,
Harlock. Rai, alzi gli scudi.
– Fuoco nemico in arrivo, dritto davanti a noi! –
Breaker e Yuki si voltarono all'unisono.
Harlock digrignò i denti e roteò il timone.
L'Arcadia s'inclinò a babordo.
Zero fissò la Nèmesis sullo schermo e
l'indicatore d'assetto sul suo quadro comandi.
– Eluder, Breaker, posizionate la nave perpendicolarmente
rispetto allo scafo nemico. Signor Kaibara, avanti tutta –
chiuse un occhio e inquadrò la Nèmesis nel mirino
– Signor Ishikura, ordini a tutto l'equipaggio di prepararsi
all'impatto e allerti la squadra medica e quelle antincendio.
Comandante Oki, a lei il comando sino al termine della procedura di
tiro.
L'Arcadia sfilò alla sua sinistra e scomparve nella scia
della Karyu.
La luce dei laser della Nèmesis riempì gli
schermi e il mirino. Zero socchiuse le palpebre e strinse tra le mani
il sistema di puntamento. Allargò le gambe, puntò
i piedi contro i lati della plancia in attesa del contraccolpo e si
concentrò sul punto al quale doveva mirare. La Karyu
sussultò e stridette, le crepe sulle vetrate s'infittirono
ancor di più e, da qualche parte, di nuovo, qualcosa prese
fuoco. L'illuminazione e i collegamenti saltarono; stavolta, nessuna
luce d'emergenza rischiarò il ponte.
Nell'oscurità, la Nèmesis era un punto lontano,
nero contro il bianco e il blu di Futuria. La luce dei due soli creava
un fastidioso riflesso sul vetro del mirino.
– Signor Eluder, stabilizzi la nave – la voce di
Marina era ferma nonostante il buio e le scosse – Signor Rai,
attivi il generatore autonomo!
– Comandante – Eluder lasciò la cloche
– Abbiamo esaurito l'energia di propulsione. Non possiamo
più muoverci se non per inerzia.
Zero tolse la sicura. La nave sobbalzò e i motori tacquero.
– Sospendere tutti i sistemi.
Allineò il mirino alla tacca, puntò e trattenne
il fiato. Il punto nero era sfocato, ora.
Si concentrò sulla tacca, rilassò i muscoli del
collo e delle spalle e mise in asse la canna con le sue braccia.
Uno, due, tre,
quattro... Ora!
Premette il grilletto fino in fondo ed espirò, il cuore che
gli batteva a mille.
La luce del Sant'Elmo lo abbagliò, il rinculo lo
spedì indietro sul sedile.
La tensione si ripristinò con un ronzio e Marina
zoomò sul bersaglio.
Sullo schermo principale, la Nèmesis era priva del campo
gravitazionale e un grosso squarcio le solcava la fiancata: la figura
alata era scomparsa, sostituita da una voragine nera fumante e
vomitante scariche elettriche.
Rai saltò in piedi accanto al generatore, la bocca
spalancata.
– Quando lo racconterò, non mi crederanno mai
– rise – Lei è un tiratore formidabile,
Capitano! Se...
Una scossa improvvisa lo mandò gambe all'aria. Zero si
voltò.
L'Arcadia li affiancò sulla destra, il rostro di prua
estratto e i motori al massimo della potenza.
– Cosa...
Sullo schermo, la figura tremolante e fuori
fuoco di Harlock chiuse gli occhi e sorrise.
– Affido tutto a te – una scarica di
statica cancellò l'immagine – Addio, amico mio...
– Contatti multipli dietro di noi – Breaker si
chinò sul pannello del radar – Mando l'immagine
sullo schermo.
Zero schizzò in piedi, quel terribile presentimento che gli
appesantiva di nuovo il petto.
Capsule di salvataggio.
Oh, no... no!
– Harlock! – Zero stese la mano verso la coda
dell'Arcadia, un groppo che gli serrava la gola – Fermati,
stupido!
Anche il collegamento audio s'interruppe. L'Arcadia schizzò
in avanti, la prua puntata sulla Nèmesis. La mano di Zero
tremò di rabbia, disperazione e impotenza, come al termine
di quella sciagurata battaglia di quattordici anni prima. Come allora,
sapeva che gridare e supplicare non sarebbe servito. Come allora, non
poteva farne a meno.
– Harlock, non fare sciocchezze – ansimò
– Harlock, torna subito indietro! Mi senti, idiota d'un
pirata? Abbiamo un conto in sospeso! Non puoi...
La luce dell'esplosione lo abbagliò, l'onda d'urto fece
inclinare il ponte e lo mandò a sbattere contro lo schienale
e la plancia.
Si rialzò e s'accasciò sulla poltrona. Non vedeva
più né la Nèmesis, né
l'Arcadia e nemmeno Futuria: davanti a lui c'era solo un'enorme palla
di fuoco. Sbatté il pugno sul quadro comandi e si prese la
testa fra le mani.
– Stupido, stupido Harlock...
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 53 *** Addio, amico mio! ***
cap jidai
Harlock fissò Zero.
Era bianco come un lenzuolo e una goccia di sudore gli colava dalla
tempia sulla guancia sinistra.
Zero ricambiò il suo sguardo, cupo.
– Va bene – posò il dito sul grilletto
– Sono pronto, Harlock. Rai, alzi gli scudi.
Harlock sogghignò.
Quel testone non
cambierà mai.
Serrò la barra del timone e deglutì, lo sguardo
fisso sulle schiene di Yuki e Tadashi e sull'immagine di Mayu. Fece un
profondo respiro, il petto rigido e pesante come piombo, la gola secca
e un tremito leggero che gli scuoteva le spalle.
Paura.
Dopo tanto tempo, vivere o morire faceva qualche differenza, ma non
aveva tempo per chiedersi se fosse una cosa positiva.
Yuki si voltò verso di lui.
– Fuoco nemico in arrivo!
Harlock ruotò il timone e mugolò di dolore: aveva
una grossa scheggia conficcata nel palmo sinistro. Non c'era tempo di
levarla. Serrò la presa.
– Maji, avanti tutta! Yuki, al mio segnale, attiva i
retrofreni!
L'Arcadia s'inclinò a babordo. Harlock piegò il
ginocchio per compensare la pendenza e diede un altro giro.
La Karyu gli sfilò accanto, le torrette e i cannoni avvolti
in un denso fumo nero e un grosso squarcio che le attraversava di
sbieco la chiglia. Harlock sperò che Zero non avesse
sopravvalutato la resistenza della sua nave e fece un cenno a Yuki.
– Yuki, ora!
La brusca frenata lo mandò a sbattere contro la ruota del
timone. Fece forza sui polpacci, piegò l'altro ginocchio e
invertì il senso di rotazione.
La Nèmesis scomparve alla sua vista, sostituita dai rotori
della Karyu.
La luce dei laser nemici illuminò lo spazio e Harlock
socchiuse la palpebra.
Il collegamento con Zero saltò, un nugolo di detriti e
frammenti di pannelli in superlega li investì, il ponte
oscillò e s'inclinò a sinistra. Yuki
tirò indietro lo stabilizzatore e l'Arcadia riprese il volo
livellato. Harlock compensò l'angolo di virata. I motori
della Karyu si spensero.
Trenta secondi.
Harlock sollevò il capo, chiuse l'occhio e fece un profondo
respiro.
Ne sei sicuro, amico mio?
Da qualche parte nella sua mente, Tochiro sorrise e qualcosa gli si
spezzò dentro.
Nei suoi ricordi, profumo di rose e una flebile luce che scompariva
nello spazio, il peso di una bambina fra le braccia e quello di una
pistola nella tasca... e il tepore del corpo di Sayuri, il sorriso di
Seiryū, un nodo che gli chiudeva la gola e desideri contrastanti a
lacerargli il cuore.
Posso lasciarti andare
se è per la tua felicità. Fallo anche tu.
Si morse il labbro e conficcò le unghie nel palmo ferito.
Non sono Zero,
dannazione!
Aprì l'occhio. Yuki e Tadashi erano chini sugli strumenti.
Sullo schermo, Mayu era in piedi accanto a Yattaran, l'espressione
assorta.
Harlock guardò fuori. Il buio e il silenzio dello spazio lo
chiamavano ancora. Erano ancora in lui, li desiderava ancora...
No, non sono Zero.
Proprio per niente...
Un bagliore gli ferì l'occhio. Sulle ali e in cima al ponte
principale della Karyu brillavano i fuochi di Sant'Elmo. Si
preparò alla virata.
– Tadashi, estrai il rostro – strinse i denti per
sopportare il dolore alla mano – Yattaran, passa il controllo
di tutti i sistemi al computer.
– Ma...
Harlock aggrottò la fronte.
– Yuki, rotta di speronamento. Imposta le coordinate sulla
base dei dati del sistema di puntamento della Karyu e fa' evacuare la
nave.
– Capitano – Yattaran si sporse in avanti
– Con Tochiro riallacciato ai sistemi, Matia potrebbe
prendere il controllo e...
– Non succederà – Harlock
spostò lo sguardo da lui a Mayu in una muta preghiera
– Fa' come ho detto, Yattaran... presto!
Yattaran trasalì e abbassò il capo.
Digitò una sequenza di comandi e sospirò.
– Fatto.
– Bene – Harlock guardò Mayu –
Abbandonate la nave.
Mayu ricambiò il suo sguardo e socchiuse le labbra come per
dire qualcosa, ma Yattaran le afferrò il braccio e chiuse il
collegamento.
Yuki si voltò. Harlock accennò all'uscita.
– Se avete finito, andate anche voi.
Né lei né Tadashi si mossero. Yuki
scostò dalla fronte sudata una ciocca di capelli.
La mano le tremava, ma il suo sguardo era sereno. Sorrideva.
– Una rotta impostata prima che il Sant'Elmo spari non
è abbastanza precisa per quel che vuoi fare, Capitano. Ci
sarà un forte contraccolpo... e durante l'attacco Tochiro
non potrà più compensare, dico bene?
Harlock trasalì. Yuki riabbassò la mano e strinse
la cloche. Il tremito era sparito.
– Ti serve un copilota.
Tadashi si sollevò sulla sedia, appoggiò un
gomito alla spalliera e si sistemò il guanto destro.
– E anche un artigliere – soffiò via un
ciuffo ribelle dagli occhi – Il quadro comandi è
andato e il rostro bisognerà estrarlo col sistema
oleodinamico. Ci vorranno almeno dieci minuti e né tu
né Yuki potete lasciare i vostri posti.
Harlock li guardò storto, il peso nel petto che aumentava a
ogni battito del cuore.
– Non se ne parla – la barra del timone
scricchiolò fra le sue dita – Fuori. Tutti e due.
– Col cavolo – Tadashi sbatté il pugno
sullo schienale – Senza il rostro finiresti solo per saltare
in aria! Stavolta non me ne starò a guardare mentre ti
sacrifichi per noi... inutilmente, oltretutto!
– Tadashi, ascol...
– No, ascoltami tu, Harlock
– Tadashi spinse via il sedile – Se sogni ancora
una nuova storia per la razza umana, dovrai sopravvivere e tornare
sulla Terra con noi, perché...
– Tadashi! Questo è un ordine.
Lui gli diede le spalle, aprì il portello dei deviatori e
spinse una leva.
Il quadro comandi del rostro si spense e la spia del comando manuale
lampeggiò.
Tadashi settò il regolatore di potenza al massimo e
s'appoggiò al pulsante d'avvio del circuito con tutto il suo
peso. Una violenta vibrazione scosse l'Arcadia, si trasmise alle dita
di Harlock attraverso il legno del timone. L'indicatore di riserva
segnalò l'apertura dello sportello e la lenta fuoriuscita
della lama.
Yuki proiettò sullo schermo le coordinate di navigazione e
la prua dell'Arcadia si sollevò a quella che doveva essere
l'altezza della sala computer della Némesis.
Sulla vetrata in frantumi, il suo riflesso e quello di Tadashi si
scambiarono uno sguardo fugace: due anime affini, forti e libere,
capaci di sostenersi a vicenda e affrontare qualunque ostacolo sulla
loro strada. Da quando aveva perduto Maya, da quando aveva detto addio
a Tochiro ed Emeraldas, Harlock aveva sognato a lungo di rivedere un
simile miracolo...
Ma non adesso... non
così, maledizione!
– È una follia – in fondo alla gola e
sulla lingua, un gusto acre – Se morissimo tutti, che ne
sarà di Mayu?
Sui loro volti passò un'ombra d'incertezza, subito
cancellata da un bagliore accecante.
Il Sant'Elmo.
Harlock si morse il labbro. Anche se ne avessero avuti, ormai era tardi
per i ripensamenti.
Sbatté la palpebra, puntò lo sguardo sulla poppa
della Karyu e si sentì mancare la terra sotto i piedi.
Riflessa sulla vetrata, appoggiata allo stipite della porta c'era...
– Mayu! – Yuki si voltò di scatto
– Che ci fai qui, razza d'incosciente?! –
aprì il collegamento con l'hangar – Ma
dov'è finita...
– Mime? – Mayu accarezzò il calcio della
sua pistola – Là fuori, nella mia capsula. Non me
lo perdonerà mai, lo so... ma come figlia di Tochiro Oyama
ed Emeraldas di Lamethal, combattere questa battaglia è un
mio preciso dovere.
Tadashi si alzò e chiuse il portello dei deviatori con un
calcio.
– Ma sei impazzita?! Corri subito all'hangar, o giuro...
Harlock serrò le labbra. Determinato. Furibondo. Orgoglioso.
Angosciato.
– È troppo tardi.
– E in ogni caso – Mayu gli si avvicinò
e posò la mano sul braccio – Il mio posto
è con voi.
La luce del Sant'Elmo si affievolì. Harlock passò
il braccio attorno alle spalle di Mayu e la mise fra lui e il timone.
– Reggetevi!
Il bagliore dell'esplosione investì il ponte di
comando. L'onda d'urto arrivò subito dopo. Anche con la
protezione della Karyu, aveva la potenza d'un uragano. I detriti
schizzarono attorno all'Arcadia come proiettili, la tensione
calò e risalì, il pavimento ondeggiò
come se sotto ci fosse stato un mare in tempesta.
Harlock ruotò il timone di venti gradi e la nave
accelerò.
Sulla vetrata s'abbatté una grandinata di metallo. Un grosso
pannello accartocciato e annerito li colpì in pieno. La
Karyu sfilò sulla sinistra dell'Arcadia, silenziosa,
indifesa.
Ci siamo.
Harlock rabbiìrividì. La Némesis era
lì davanti, la fiancata squarciata da parte a parte e gli
enormi cannoni che parevano puntar dritto su di lui, le bocche accese
di un sinistro bagliore verdastro. I detriti arrestarono la loro corsa,
si mossero verso il loro punto d'origine.
Arrenditi. Lasciati
andare e avrai la pace che desideri.
Harlock sussultò. Nei gemiti dell'Arcadia e nella sua mente
c'era la voce di Hell Matia. La presenza di Tochiro era fievole.
Yuki strattonò la leva dello stabilizzatore.
– Gli equilibratori* non reagiscono! Perdiamo potenza nel
motore!
Harlock ansimò. Anche il timone era bloccato, duro come una
roccia.
O forse sono io che non
riesco... che non lo voglio ruotare.
Scosse il capo e fece forza sulla barra.
No. Avrò
anche i suoi ricordi, ma non sono l'Herakles!
Tadashi avviò la scansione.
– Non rilevo niente. Nessun guasto, niente perdite idrauliche
o detriti – si guardò attorno – Che
sia...
Mayu si staccò da Harlock, la mano sul calcio della Dragoon.
– Hell Matia. È qui.
I detriti ora schizzavano verso la Nèmesis alla stessa
velocità con la quale l'esplosione li aveva strappati dal
loro posto e i contorni delle spaventose bocche da fuoco erano
già distorti dalle prime onde del campo gravitazionale. La
prua stava ruotando, ma era un movimento fiacco, d'inerzia.
Vuole frenarci per
schiacciarci nel campo gravitazionale e finirci col rostro... ammesso
che arriviamo così lontano.
Nella mente di Harlock, Tochiro si abbassò il cappello sugli
occhi.
È ora.
Harlock sospirò.
– Affido tutto a te – chiuse l'occhio –
Addio, amico mio...
Mayu strinse il calcio della pistola.
– Ti voglio bene, papà. Grazie...
Singhiozzò. Harlock trattenne l'impulso di imitarla e
riaprì l'occhio.
Da lui, Tochiro non voleva lacrime... e meno che mai che lo
raggiungesse.
Devo solo pensare a
centrare il bersaglio. Giusto, amico mio?
Puntò lo sguardo sullo schermo delle coordinate.
Erano disallineati dall'obiettivo di trentasei gradi in orizzontale e
sessantatré in verticale. La potenza del motore continuava a
scendere.
Avrei preferito un addio
più sereno, magari davanti a una bella bottiglia della mia
riserva, dopo aver chiacchierato tutta la notte... ma avrei finito di
nuovo per non lasciarti più andare e forse, in fondo, questo
è il commiato più adatto a noi.
L'Arcadia cigolò, un lungo gemito che era la strenua lotta
di due volontà, una tesa a proteggere, l'altra a distruggere.
Il motore salì di giri, le luci tremolarono. Il quadro
davanti a Yuki si spense e riaccese, il pannello crepitò e
vomitò una potente scarica elettrica.
– Sta andando in corto! Via da lì!
Un denso fumo nero invase il ponte di comando. Yuki afferrò
la cloche con entrambe le mani e la tirò, gli occhi
sull'indicatore di rotta.
– Funziona – tossì – Ho il
controllo!
Tutti gli schermi si spensero. Il ponte piombò
nell'oscurità. Harlock tossì, l'odore di circuiti
bruciati che gli riempiva le narici, la gola secca.
Maledizione!
– Tadashi!
Avevano una sola possibilità: navigare a vista, correggere
la traiettoria in base alle indicazioni dell'unico di loro che avrebbe
potuto vedere dove stavano andando. Come se gli avesse letto nel
pensiero, Tadashi si precipitò alla postazione
d'artiglieria, dietro il mirino C12-D.
I miei occhi... ora
più che mai.
Nell'oscurità, l'Arcadia emise un sinistro cigolio. Fuori,
le distorsioni del campo gravitazionale si facevano sempre
più intense. Tadashi regolò l'ottica.
– Yuki, cabra* di quarantadue gradi sull'asse y. Angolo
d'attacco: otto gradi.
Incurante e delle scariche e del fumo che si sprigionavano accanto a
lei, Yuki tirò la cloche. La prua si sollevò.
– Capitano, vira di ventisette gradi a babordo –
Tadashi respirò a fondo – Al mio segnale, mettete
in funzione stabilizzatore ed equilibratori.
Harlock tirò e spinse con tutte le sue forze. Il timone era
ancora di piombo, il sangue gli rendeva scivolosa la presa. Nella sua
mente, Matia, Tochiro e l'Herakles che era in lui continuavano a
lottare. Le mani di Mayu si chiusero sulle barre accanto alle sue,
ferme come quelle di Emeraldas, i muscoli delle braccia tesi nello
sforzo.
– Avanti – sogghignò come Tochiro
– Facciamole vedere di cosa siamo capaci!
Fecero forza con tutto il loro peso. Centimetro dopo centimetro, la
ruota cedette.
– Bene così, ci siamo – Tadashi si
voltò – Bloccate!
Harlock spinse l'equilibratore. Tutta l'Arcadia urlò e
vibrò. La spinta del motore salì al massimo. Con
uno stridio agghiacciante, la presenza di Matia lasciò la
nave e la sua mente. I cannoni della Nèmesis ruotarono,
pronti al fuoco.
Troppo tardi, Matia.
Pensare di poterci battere risparmiandoti è stato il tuo
primo errore...
Nella mente di Harlock, Tochiro piegò le dita in segno di
vittoria, le portò alla fronte nel saluto che erano soliti
scambiarsi da giovani, gli diede le spalle e svanì.
Il secondo è
stato sottovalutare la tenacia e il coraggio di Tochiro. Ma immagino
che un uomo che si sacrifica per amore sia una cosa totalmente
incomprensibile, per te...
Le luci della Nèmesis si spensero, i cannoni ruotarono
scompostamente su loro stessi. La volontà di Tochiro, quella
di Hell Matia... avvinghiate in una lotta mortale. La salva fatale si
disperse nello spazio, le distorsioni attorno alla falla svanirono.
Grazie, amico mio.
Nonostante tutti i suoi buoni propositi, una lacrima scivolò
sulla guancia di Harlock.
Addio.
L'Arcadia picchiò sul bersaglio, sventrò
ciò che restava della paratia esterna della
Nèmesis e proseguì la sua corsa.
– Tenetevi!
Il portello della sala computer della Nèmesis
saltò via. Sulla vetrata dell'Arcadia si aprirono nuove
crepe e tutt'intorno s'accesero nuove esplosioni. La chiglia
scricchiolò, la ppostazione di Tadashi emise una fiammata,
uno dei pannelli del soffitto si staccò e si
schiantò proprio davanti al timone. Ogni singola componente
dell'Arcadia urlava, tremava e crepitava. Sulla prua, la copertura in
superlega era costellata di bruciature, mitragliata dai detriti e dai
colpi di laser. Harlock bloccò Mayu contro il timone e si
piegò per ripararla. Qualcosa lo colpì alla
spalla e sulla schiena. L'odore di bruciato era sempre più
forte, il pavimento gli mancò sotto i piedi.
Una luce abbagliante riflessa sulla vetrata lo accecò,
l'onda d'urto lo spedì indietro e contro il timone.
Si raddrizzò, strofinò l'occhio e
sbatté la palpebra. Lingue di fiamma e relitti guizzavano
nello spazio attorno all'Arcadia a perdita d'occhio. Sul radar, nessuna
traccia della Nèmesis.
* la cabrata
è la manovra aeronautica che consente al velivolo di alzare
il muso, generando normalmente un aumento di quota.
La
battaglia vista dal ponte dell'Arcadia! Chiedo scusa, come al solito,
per le lunghe assenze, e grazie a chi ancora segue questa storia!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 54 *** Nel vuoto ***
cap jidai
– Ce l'abbiamo fatta? – Tadashi si
sfregò il viso sporco e arrossato, gli occhi spalancati
– È...
Harlock scosse il capo, lo sguardo fisso oltre la
vetrata.
– No, non è ancora finita.
Non c'era bisogno di consultare gli strumenti: anche ammesso che
funzionassero ancora, Futuria era troppo vicino e l'Arcadia troppo
danneggiata per atterrare in sicurezza.
– Yuki, non c'è tempo per virare. Dobbiamo salire.
Yuki tirò la cloche e gemette. Harlock stirò le
labbra.
– Che succede?
– Lo stabilizzatore è bloccato!
Nulla di cui stupirsi. Senza più Tochiro, dopo quell'attacco
suicida e con tutti i colpi che avevano subìto, era strano
che non fosse successo prima.
– Va bene, non forzare. Tiralo indietro. Piano.
La leva si mosse, a vuoto. Yuki scosse la testa.
– Inutile. Nessun controllo.
– Riduci i giri del motore.
Tadashi riavviò il generatore autonomo,
s'inginocchiò accanto a Yuki e aprì il portello
della strumentazione d'emergenza.
– Abbiamo perdite idrauliche e stiamo entrando
nell'atmosfera!
– Attivate i retrorazzi e le pompe di riserva.
Il pavimento e le paratie dell'Arcadia tremarono, il muso
picchiò verso il basso. Harlock si ancorò alle
staffe, Tadashi s'incuneò fra il sedile di Yuki e la sua
postazione.
– Non ce la facciamo, ormai siamo nel campo gravitazionale di
Futuria!
L'oscillazione aumentò. Anche il calore. Dalle scie di
condensa e dai pezzi di ghiaccio che si formavano intorno alla prua per
poi volare via, Harlock capì che ormai l'Arcadia era entrata
nell'atmosfera.
– Siamo in discesa incontrollata – la voce di Yuki
si spezzò – Precipitiamo!
L'Arcadia imbardò sul lato destro. Harlock
compensò. Doveva impedire a tutti i costi che la nave
andasse in stallo e s'avvitasse su se stessa.
– Dobbiamo scendere di quota e diminuire la
velocità. Tadashi, Yuki, sganciate tutto: aerofreni*,
carrelli d'atterraggio, qualunque cosa possa fare attrito!
Tadashi tirò una leva.
– Ecco! Ho sganciato i freni! –
imprecò – I carrelli sono andati e la
perdita peggiora!
– Dobbiamo scaricare tutto il gravium, subito!
– D'accordo! – Tadashi premette un pulsante e tirò le tre leve di sicurezza – Fatto.
Il monitor per le comunicazioni esterne crepitò. Fra le
scariche di statica, una voce indistinta. Mayu si precipitò
al pannello e regolò la sintonizzazione.
– Arca... – era Marina Oki – Ar... dia,
mi... ite? Arcadia, ris...
Altre scariche di statica. Mayu si portò alle labbra il
microfono.
– Karyu, qui Arcadia – regolò il
sintonizzatore – Mayday, mayday, mayday!
– Arcadia, vi... qual è... stra... zione?
– Siamo a trecentosedici chilometri spaziali da voi, in
discesa incontrollata su Futuria. Centodieci chilometri terrestri
all'impatto, abbiamo scaricato il gravium e lo stabilizzatore
è rotto! Dichiariamo emergenza, ripeto...
Harlock dubitava che Zero e i suoi potessero soccorrerli.
In ogni caso, dobbiamo
prima atterrare senza rimanerci secchi.
La prua dell'Arcadia si tuffò in un banco di nubi. Sotto di
esso, un deserto bianco costellato di spuntoni grigi e rade macchie
d'alberi morti.
L'aria nel ponte di comando era rovente. Ottanta chilometri
all'impatto.
–Yuki, scarica i flap**. Apri a trenta gradi!
Il gemito del metallo e la vibrazione che scosse la nave gli fecero
temere che fosse arrivata la fine. Sembrava che da un momento all'altro
il pavimento e le paratie dovessero squarciarsi, sciogliersi, volare
via come già stava facendo la copertura in superlega della
prua.
Invece, l'angolo di picchiata diminuì.
Harlock ansimò e sbatté la palpebra. Il sudore
gli colava nell'occhio, gli incollava la benda all'orbita vuota.
– Bene, abbiamo guadagnato un po' di tempo – si
asciugò la fronte madida – Torniamo al controllo
manuale. Prima tu, Yuki.
– Niente, nessun controllo! – i numeri
sull'altimetro ricominciarono a scendere – Precipitiamo di
nuovo!
– Tira, Yuki!
– È bloccato!
Tadashi si sollevò sulle ginocchia e l'aiutò.
– Niente da fare – mugolò –
Non va!
Un boato, un'altra oscillazione. La prua dell'Arcadia
s'abbassò di colpo e s'inclinò a destra, il
timone sfuggì dalle mani di Harlock. Tadashi perse
l'equilibrio e sbatté la schiena contro il pannello dietro
di lui. Harlock riprese il timone, girò tutto a babordo.
L'altimetro era sotto i seimila metri.
Troppi.
– Dobbiamo resettare. Mayu!
Harlock tese la mano. A fatica, Mayu s'inerpicò fino a lui e
la afferrò. Nonostante il caldo asfissiante, le sue dita
erano gelate. Tremava. Harlock la issò accanto a sé.
Avrebbe dato qualunque cosa per poter placare le sue paure come quando
era bambina, ma non ne aveva il tempo... ed era terrorizzato quanto lei.
– Va bene, respira. Siediti sulla pedana –
guardò l'altimetro. Quattro chilometri all'impatto.
Deglutì a vuoto, compensò a tribordo – Non posso lasciare il timone e
ho bisogno del tuo aiuto. C'è una leva rossa lì
ai piedi della ruota. Dice "controllo manuale", la vedi?
Mayu annuì.
– Al mio tre, voglio che la tiri, la ruoti in senso orario e
la spingi giù. Pronta? Uno, due, tre.
Il meccanismo scattò. Yuki tirò la cloche. I
numeri sull'altimetro rallentarono la loro discesa. Si bloccarono.
– Ok... sale! Sale!
Un altro colpo. L'Arcadia oscillò, accelerò,
ricominciò a picchiare. Le luci sfarfallarono, i monitor si
spensero. Yuki fu proiettata all'indietro sul sedile e poi di traverso
contro il pannello. Riafferrò la cloche e tirò. Tadashi gridò qualcosa. Harlock
compensò la spinta con un mezzo giro del timone a babordo e
un altro quarto in senso opposto.
Se andiamo in vite,
è la fine.
L'altimetro scese sotto i due chilometri. La
copertura della prua, o meglio, il poco che ne era rimasto, era
deformata e rovente. Due dei monitor si
riaccesero, sfrigolarono e si spensero in una nuvola di fumo. La
superficie inospitale di Futuria era sempre più vicina. Tadashi
si sollevò sulle ginocchia, guardò fuori e
strinse la mano di Yuki.
– Vedo solo montagne là sotto –
scosse il capo – È...
Harlock digrignò i denti.
– Non dirlo! – ringhiò – Non
provare ad arrenderti!
– Arc... qui... ryu. Com'è... situazione?
– Non buona – Harlock distolse lo sguardo dalla macchia bianca davanti a lui e inspirò – Yuki, Tadashi, al mio segnale ritraete i flap e gli
aerofreni. Regolate in basso. Mayu, al mio via, metti in funzione
l'equilibratore. Massima potenza, manetta fino in fondo. Chiaro?
Mayu annuì.
– Che vuoi fare, Harlock?
Harlock si leccò le labbra riarse e spaccate. Era un azzardo, una follia... ma anche l'unica possibilità che gli veniva in mente.
– Un tonneau***. Mezzo, per cominciare.
Yuki spalancò gli occhi.
– Un...
– Dobbiamo fermare la picchiata, a ogni costo.
Harlock guardò lei, Tadashi e Mayu. C'era sempre quella parte di lui che desiderava che tutto finisse, che anelava al buio e alla quiete e gli chiedeva perché ostinarsi a lottare, quando non c'erano speranze...
La ricacciò indietro con rabbia.
– Ce la faremo. Fidatevi di me – sbatté
la palpebra per liberarla dal sudore che gli colava nell'occhio. Respirò – Ok, ci siamo. Tadashi, Mayu,
agganciatevi ai cavi di sicurezza. Yuki, la cintura.
Ruotò il timone, grado dopo grado, lottando contro la nausea e
l'istinto di fare in fretta. Sotto di lui, il deserto bianco costellato
di macchie grigie e marroni roteò come la figura di un
caleidoscopio. Novanta gradi. Ansimò. La pressione e il calore gli mozzavano il
fiato, i muscoli delle gambe e della schiena parevano sul punto di
strapparsi per lo sforzo di rimanere in asse col timone. Gli girava la testa e ci vedeva
doppio. Qualcosa gli passò accanto al polpaccio e alla
spalla, qualcos' altro gli sbatté contro il fianco e si
fantumò chissà dove contro la paratia di destra.
– Yuki, i flap.
– Flap!
– Tadashi, i freni.
– Freni!
– Mayu, potenza!
Mayu spinse la leva fino in fondo. Centottanta gradi.
Un colpo, un'accelerazione da togliere il fiato e la terra era sotto le
loro teste, il cielo sopra i loro piedi.
Mayu ansimò, aggrappata ai polpacci di Harlock.
– Siamo a rovescio!
Harlock strinse i denti. Il sangue che gli fluiva alla testa rendeva il
calore e la pressione ancor più insopportabili, le tempie
gli pulsavano.
– Calmati. Siamo in volo livellato. Manteniamo la quota.
La radio ronzò, emise una scarica di statica.
– Arcadia – la voce del Dottor Machine,
assurdamente chiara e forte – Qui Centro Operativo
provvisorio della Karyu. Vi rileviamo sette chilometri a sud
est da qui sotto i milleottocento metri. Qual è la vostra
situazione?
Harlock si schiarì la voce.
– Centro operativo, qui Arcadia. Siamo in volo rovesciato,
ripeto: in volo rovesciato.
– In volo... rovesciato?
Tadashi si voltò, bianco come un lenzuolo sotto lo strato di
fuliggine che gli copriva la faccia.
– La pressione dell'olio è in calo! Abbiamo un
guasto al motore!
– Va bene – la voce metallica del Dottore
suonò cupa – Prepariamo i soccorsi. Ce la fate ad
arrivare fin qui?
Una nuova scossa, il sibilo d'un allarme. Yuki azionò la maniglia antincendio.
– Fuoco al rotore di sinistra! – rimise
la maniglia nella posizione iniziale, la riazionò
– L'impianto
antincendio non va! Non... non riesco a...
La sua voce si ruppe. Sbatté il pugno sulla plancia. Tadashi
le afferrò la mano.
– Yuki, sono con te. Guardami. Sono con te.
– Dottore, abbiamo perdite idrauliche e un rotore in fiamme. Vedo uno spiazzo libero da rocce a ore tre davanti a noi, cercheremo
d'atterrare là.
– Ricevuto.
– Oh no! – Tadashi
trasalì – Fuoco
al rotore destro!
– Lascialo.
Se anche l'impianto antincendio fosse entrato in
funzione, tutte le linee associate ai rotori si sarebbero disconnesse e loro
avrebbero perso la spinta in ogni caso. Harlock inspirò. Il fumo e
il calore gli bruciarono i polmoni. Tossì. Mille metri.
– Mayu, giriamo di nuovo. Spingi al massimo della potenza, capito?
– Sì.
Li guardò, tutti. Il cuore gli batteva forte da far male e
si sentiva soffocare, ma era lucido, determinato come non mai.
Il fumo, la debolezza e il sudore gli offuscavano la vista, ma poche volte nella sua
esistenza tutto gli era stato chiaro come in quel momento.
Il valore di una vita, inclusa la sua. Le cose che contavano davvero.
Quel che avrebbe fatto, in quel momento e dopo.
Perché ci sarà un dopo, quant'è vero che mi chiamo Harlock!
Serrò la barra del timone.
– Andiamo – aggrottò le sopracciglia
– Tadashi, i freni.
– Freni!
– Yuki, flap al massimo.
– Flap al massimo.
– Perdiamo il rotore di sinistra – la voce di
Tadashi gli arrivò stridula, soffocata dalle vibrazioni del
pavimento, del soffitto e del timone – Siamo sotto i trecento
metri!
– Mayu, massima potenza.
L'Arcadia accelerò. Harlock ruotò il timone.
Altri centottanta gradi.
Pian piano, il cielo tornò sopra l'Arcadia. Tutto, attorno a
lui e fra le sue mani, sbatteva e sussultava. Un boato. L'Arcadia
s'inclinò a babordo: resistenza, portanza,
velocità, attrito... tutto cambiò di colpo.
Harlock compensò d'istinto. Andò bene. Tadashi
sgranò gli occhi su di lui, pallido come un morto. Sembrava
sul punto di vomitare.
– Abbiamo perso il rotore sinistro!
– Lascialo.
– Perdiamo potenza anche nel destro! Non abbiamo
più spinta!
La vibrazione cessò e un silenzio innaturale
avvolse la nave. Se non avesse saputo che era impossibile, Harlock
avrebbe giurato di poter sentire il vento sibilare nella cabina.
Mayu lo guardò, le labbra tremanti.
– Stiamo... stiamo planando?
L'altimetro scese sotto i cento metri. Le macchie indistinte, adesso,
erano alberi, rocce innevate e lastre di ghiaccio. La radio si era azzittita e solo
gli strumenti collegati al generatore d'emergenza funzionavano ancora.
– Centro Operativo, se mi ricevete ancora... siamo in planata
– Harlock deglutì. Poteva vedere le singole rocce
delle montagne che oltrepassavano – Angolo di planata: cento.
Tadashi allentò il cavo di sicurezza e strinse Yuki fra le
braccia.
– Cinquanta.
Qualcosa colpì la chiglia dell'Arcadia. Il pavimento
vibrò e scricchiolò, uno squarcio si
aprì sulla fiancata sinistra.
Harlock diede un mezzo giro a tribordo.
Resisti, mia Arcadia, ti
prego...
– Quaranta.
Mayu s'aggrappò ad Harlock, nascose il viso contro il suo
petto.
– Trenta.
Resisti...
Il muso dell'Arcadia si tuffò in una macchia d'alberi morti. Un intrico di tronchi e rami si schiantò sulla vetrata.
L'ala destra colpì una formazione rocciosa, la
sgretolò.
– Venti.
La vetrata andò in frantumi, una gragnola di frammenti di pietra, vetro, metallo e legno si riversò sul ponte. Yuki gridò, Harlock
riparò Mayu col mantello.
Schegge appuntite gli si piantarono nella pelle del viso, fra i capelli
e sugli avambracci. Un'ondata d'aria gelida lo investì e
quasi lo sbalzò via dal timone. Chinò il capo, s'aggrappò
alla barra, fece forza sulle staffe e socchiuse l'occhio. Niente più alberi. Lo spiazzo era davanti a lui, sempre più vicino.
– Dieci.
Harlock lasciò il timone, strinse a sé Mayu e si
rannicchiò su di lei.
– Pronti all'impatto!
* Aerofreni: sono paratie mobili che vengono estratte dalla carenatura
o dal dorso alare con lo scopo di ridurre o non far aumentare la
velocità.
** Flap: sono
organi mobili connessi alle ali e utilizzati soprattutto in
decollo e atterraggio per aumentare la portanza dell'ala a basse
velocità.
*** Tonneau: è una manovra acrobatica che porta ad
effettuare un giro completo rispetto all'asse orizzontale di volo. Se
si esegue un mezzo tonneau, l'aereo si trova capovolto.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 55 *** Bianco - parte I ***
cap jidai
Avviso:
questo capitolo e i prossimi due possono anche essere saltati
perché non portano grossi sviluppi nella trama... sono pura
e semplice cattiveria verso i personaggi... :-P
Zero piantò la pala nella neve e lasciò scivolare
a terra lo zaino con dispositivo ARVA*, sonda, corda e FFD**.
Sfilò i guanti fradici, appoggiò la schiena alla
carena del Cosmo Wing da soccorso e alitò sulle mani
intirizzite.
Si massaggiò il collo e gemette. Era zuppo fino al midollo,
i muscoli degli avambracci gli facevano un male tremendo e ormai aveva
perso la sensibilità alle dita dei piedi.
– Dovrebbe riposare un po', Capitano.
Il Dottor Zero si staccò dalla radio e gli porse una tazza
fumante. A giudicare dalla sua espressione, era del tutto consapevole
di star solo sprecando il fiato.
– Vale anche per lei.
Tra tutti, il Dottore doveva essere il più stanco: da quando
lo avevano tirato fuori dalla capsula di salvataggio, non aveva smesso
un istante di correre qua e là per prestar soccorso ai
feriti e adesso, invece di godersi il meritato riposo, era
lì a congelarsi nel secondo settore operativo, in attesa che
le squadre di ricerca trovassero qualcuno, che quelle d'intervento
penetrassero nell'Arcadia o che entrambe finissero travolte da una
valanga come quella provocata dall'impatto della nave nella vallata.
– Ci sono abituato – Il Dottore alzò le
spalle. Mi fece capolino da dentro la tasca della sua giacca e lui le
grattò il collo. Si voltò verso il relitto
dell'Arcadia e sospirò – Certo che quei ragazzi ci
hanno fatto proprio un bello scherzetto...
Zero strinse le labbra e annuì, cupo.
Quando quella palla di fuoco aveva avvolto la Nèmesis, si
era sentito mancare il respiro al pensiero che Harlock fosse saltato
per aria insieme all'Arcadia... poi Marina aveva aperto quel contatto
radio con Mayu. Adesso, sapeva che là dentro c'erano anche
Yuki e Tadashi.
Stupido Harlock.
Serrò e decontrasse il pugno. Sospirò. Era
ingiusto prendersela con lui: in poco tempo e sotto una pressione
micidiale, aveva elaborato una strategia mirata non solo ad
abbattere il nemico, ma anche a salvare quante più vite
possibili. Non aveva avuto altra scelta.
E io non l'ho
fermato.
Svuotò la tazza in due lunghe sorsate. Il liquore bollente
gli pizzicò naso e gola e gli bruciò le
labbra secche e spaccate, ma diffuse un po' di calore nelle
sue membra intorpidite dal gelo. Puntò lo sguardo
sull'Arcadia.
La chiglia annerita e deformata, le ali tranciate di netto, adagiata su
un fianco e sprofondata sotto venti metri di rocce, fango,
alberi morti e nevischio, sembrava un'enorme bara.
Scacciò quel paragone inopportuno dalla mente, si
schiaffeggiò le guance e si raddrizzò. Doveva
vederla in positivo, o almeno sforzarsi di farlo: già il
fatto che non si fosse incendiata nell'attrito con l'atmosfera, che non
fosse andata in vite e non si fosse sfracellata su una delle tante
montagne che circondavano quel minuscolo falsopiano aveva del
miracoloso. Non si era ancora convinto a credere in una
qualche divinità, ma che male c'era nello sperare in un
ulteriore piccolo, grande miracolo?
– Torno al lavoro. Grazie del saké.
– Capitano – Eluder s'affacciò dalla
cabina di pilotaggio – Ho appena ricevuto una comunicazione
da Breaker. Il Comandante Oki le manda a dire che il lavoro di raccolta
e catalogazione del materiale è quasi terminato. Stima di
finire tra un paio d'ore.
Il Dottor Zero ghignò.
– Una volta che il vecchio Yattaran avrà
decodificato anche il chip di Ifiklìs, i responsabili di
quest'abominio non avranno scampo – si concesse una lunga
sorsata dalla sua fiaschetta – Non vorrei essere nei panni di
Thorn e di quell' Odhràn, chiunque esso sia.
Zero annuì, truce. Non avrebbe mai perdonato né
quel viscido impostore che aveva osato giocare con la vita di Ishikura
e dei suoi cari, né tanto meno il burattinaio che da tanti
anni tirava le fila quell'orribile teatrino. Non era mai stato un tipo
rancoroso e non credeva nella pena inflitta come vendetta, ma sperava
che la punizione di quei criminali fosse davvero esemplare.
Mosse due passi e si chinò per recuperare pala e zaino, ma
si bloccò con la mano a mezz'aria.
– Zero! – dalla sua tasca, la voce di Grenadier
gracchiò fra scariche di statica – Ehi, Zero, mi
senti?
La ricetrasmittente gli scivolò di mano e per poco non
finì sepolta nella neve.
– Grenadier! Ci sono novità?
– Stiamo per penetrare nel ponte di comando – un
ansito – Ce n'è voluta, ma i nostri classe IV***
hanno quasi bucato la paratia! Che ne dici, vieni a dare un'occhiata?
Zero scattò, dimentico della stanchezza di poco prima, della
schiena dolorante, del freddo, di tutto.
– Novità dalle squadre di ricerca a valle?
– Niente, ma è meglio così –
un colpo, un fischio, un fragore metallico – Se qualcuno fosse finito
là in fondo, a quest'ora sarebbe bell'e morto!
Zero si accigliò. Era dal momento in cui aveva rimpiazzato
il Dottor Machine come coordinatore delle ricerche che si sforzava di
non pensare che, in casi del genere, il solo modo d'aumentare un minimo
le già scarse possibilità di sopravvivenza delle
vittime era tirarle fuori dalla neve in quindici minuti, se possibile
anche meno. E ormai, tra l'organizzare le squadre e i velivoli, il
trasporto, le valutazioni di sicurezza, lo scavo del passaggio per
collegare il ponte dell'Arcadia al Cosmo Wing da soccorso e il
montaggio in quota dei laser di classe IV era passata quasi mezza
giornata. Ricacciò indietro il groppo che gli chiudeva la
gola.
Tieniti impegnato, pensa
alla prossima cosa da fare!
– Ci serviranno barelle, Cool Guard**** e...
– Calma, calma! Il Dottore lo sa meglio di chiunque altro! Lo
allerto io. Tu pensa solo ad arrivare quassù senza romperti
il collo!
Zero s'incurvò in avanti ai piedi dello stretto passaggio in
salita che portava al ponte principale dell'Arcadia, piantò
i talloni nella neve e si diede lo slancio. A metà ascesa,
il manto nevoso cedette e lui slittò in basso.
Sprofondò fino alle ginocchia, si piegò ancor di
più in avanti, affondò le mani nella neve e
soffocò un grido: i guanti erano rimasti accanto al velivolo
di soccorso... insieme alla pala e allo zaino con tutta l'attrezzatura.
Si diede dell'idiota. Quasi due anni in missione su Beta e adesso si
comportava come un novellino alla prima uscita sulla neve.
Sono troppo nervoso.
Una nuvola velò i soli di Futuria, un fiocco solitario gli
volteggiò davanti al naso.
Dannazione.
Se si fosse messo a nevicare, il manto nevoso, già instabile
per l'abbassamento della temperatura dovuto all'avvicinarsi del
tramonto, sarebbe diventato ancor più friabile.
Dobbiamo sbrigarci.
Si raddrizzò, ignorò il formicolio alle dita
delle mani, sollevò il ginocchio più in alto che
poté e piantò il tallone più in
profondità.
Camminare a gambe larghe, misurare i passi e stare attento a non
gravare troppo sulla gamba ferita quando non avrebbe desiderato altro
che correre a perdifiato era una vera tortura.
– E bravo Zero! Tempismo impeccabile.
L'enorme mano di Grenadier gli apparve davanti all'improvviso.
Zero l'afferrò e si issò sullo stretto pianoro
che lui e i suoi uomini avevano ricavato a colpi di pala per montare i
classe IV. Su ciò che restava dello spesso rivestimento in
superlega dell'Arcadia, ammaccato, sformato e annerito, spiccava un
taglio netto, ancora incandescente.
– Ehi, voialtri, fuori dai piedi!
Grenadier sollevò gli occhialini protettivi sulla fronte,
afferrò una mazza e sferrò un colpo degno d'un
fabbro. La paratia andò giù con un clangore
assordante. Dentro era buio pesto. Zero sollevò la mano
verso la torcia frontale ed entrò.
– Harlock! – la sua voce e i suoi passi
rimbombarono sinistri – Yuki! Tadashi... Mayu! Qualcuno mi
rispo...
Il suo dito trovò il pulsante d'accensione e la frase gli si
strozzò in gola.
Ai suoi piedi, sradicata dal suo ancoraggio, crivellata di schegge e
con lo schienale tranciato a metà, c'era la poltrona di
Harlock.
Deglutì e fece luce davanti a lui. Altri fasci luminosi
saettarono intorno al suo.
L'interno del ponte era una devastazione di monitor in frantumi,
pannelli divelti e ritorti e cavi penzolanti. Il timone, la
vetrata e le postazioni di pilotaggio e artiglieria non si vedevano
più, sepolte com'erano dalla neve e dai detriti che
invadevano il pavimento inclinato. Un denso fumo lattiginoso e un odore
odore dolciastro di plastica bruciata aleggiavano ovunque.
Nessuna traccia di Harlock né dei ragazzi.
– Mio Dio... – qualcuno, dietro di lui,
deglutì rumorosamente – Non possono essere ancora
vi...
– Shinohara! – Grenadier scavalcò la
poltrona con un salto e s'avviò verso il fondo della stanza,
le spalle rigide e il passo pesante – Invece di dar aria alla
bocca, monta la sonda e datti da fare!
Zero si scosse.
– Dalla a me – tolse lo zaino dalle spalle del
giovanissimo, mortificato soldato, lo aprì e ne strasse la
sonda – Tu va' dal Dottore e dagli una mano con
l'equipaggiamento.
Senza una parola, il ragazzo si levò anche la pala da
tracolla, gliela porse e sparì oltre la breccia. Zero si
fece passare le bretelle dello zaino sopra le spalle, appese la sonda
alla cintura e raggiunse Grenadier. Dietro di loro, i generatori
portatili entrarono in funzione e la luce delle lampade
rischiarò l'interno del ponte di comando.
– Accidenti, che razza di
casino – Grenadier si
grattò la barba – Speriamo
di...
Zero affondò nella neve fino al ginocchio e
inciampò. Solo la presa d'acciaio di Grenadier gli
impedì di finire lungo disteso contro i bordi
taglienti della grossa grata annerita che sporgeva da essa.
– Sta' attento a dove metti i piedi –
Grenadier lo sollevò di peso, gli mollò una pacca
sulla spalla e lo lasciò andare –
Non voglio finire un'altra volta sul ponte di comando a sostituire uno
di voi alti papaveri, men che meno te.
Zero gli rivolse un cenno di ringraziamento e si guardò
attorno. Per qualche motivo, gli tornò alla mente la prima
volta in cui aveva messo piede in quel luogo assieme a Yuki e Tadashi.
Sembravano passati anni.
E qui c'era...
Deglutì a vuoto. Si
chinò, passò la mano sul rottame. Le sue dita e
le spalle erano scosse da un tremito, ma non per il freddo.
– Zero, capisco come ti senti, ma
dovremmo davvero...
Zero sussultò, incredulo. Fece cenno a Grenadier di fare
silenzio, si tolse la pala da tracolla e s'inginocchiò
accanto al rottame.
Batté tre colpi con il manico e appoggiò
l'orecchio contro il metallo puzzolente di fumo, il cuore in
gola.
Che
mi sia sognato tutto?
Contro la superficie liscia e gelida, un'impercettibile
vibrazione, un colpo. Tese l'orecchio. Altri tre colpi in rapida
successione, tre più distanziati, altri tre rapidi.
Codice
morse? Un segnale di SOS?
Si rialzò,
una scarica d'adrenalina che gli scorreva nelle vene, assieme a
un'urgenza folle.
– Uomini – sollevò la mano –
Radunarsi qui! Cominciamo a scavare in questo punto!
Grenadier lo guardò come se fosse
ammattito.
– Fidati di me.
– Vabbé
– Grenadier gli si
affiancò, roteò
gli occhi e allargò le braccia – Tanto vale darsi
una mossa. Forza, gente! Mano alle pale!
Diede lui per primo l'esempio spalando via una quantità
abnorme di neve.
Nonostante fosse in piedi da più di trenta ore e fosse
passato dall'inferno degli incendi all'interno della Karyu al gelo di
Futuria, sembrava in perfetta forma.
Zero gli invidiò quel suo fisico d'acciaio: lui era a dir
poco a pezzi.
Palata dopo palata, disseppellirono un enorme cumulo di pannelli in
superlega anneriti e deformati.
– Sgomberiamo.
– Ma sei matto, Zero? –
Grenadier lo
afferrò per una spalla –
Così
perderemo un sacco di tempo! Ti ricordo che abbiamo quattro dispersi da
recuperare e mancano meno di tre ore al tramonto! Quei colpi potevano
essere qualunque cosa, anche solo il metallo che si assesta...
– Era un segnale di SOS, Grenadier, ne
sono sicuro!
– Ti rendi conto che, più
perdiamo tempo, più aumentano le possibilità di
tirar fuori solo cadaveri da qui, vero?
– Lo so –
ringhiò, un groppo in gola e gli occhi che
bruciavano – Lo so benissimo! Ma quello era un
segnale di SOS, e noi stiamo perdendo tempo ora!
Grenadier gli voltò le
spalle senza una parola, girò attorno al cumulo e fece leva
sotto uno dei rottami con la punta della pala. Il mucchio
scricchiolò e si sollevò leggermente.
– Cominciate a sgomberare da
lì sopra –
accennò col mento a un condotto che sporgeva in cima al
mucchio, quello che terminava nella grata da cui Zero aveva sentito
provenire i colpi – E datevi una
mossa! Questi cosi pesano un accidenti!
Il cuore di Zero era pieno di gratitudine mentre si afferrava
al condotto e tirava con tutte le sue forze. I palmi gli pulsavano, le
dita incollate al metallo dolevano. Uno dei suoi uomini lo
aiutò a far forza e il rottame si sollevò. Altri
due tagliarono i cavi ritorti che lo tenevano avvinghiato a un pannello
tutto bozzi e bruciature e ne districarono la base.
– Lasciate!
Zero spinse il condotto giù dal cumulo. Il mucchio di
rottami oscillò ma non ci furono crolli. Nel punto in cui
c'era stato il condotto, ora si apriva una stretta, buia apertura. Zero
si affacciò sul bordo, il cuore in gola all'idea di essersi
sbagliato, di aver fatto perder tempo prezioso alla sua squadra... e ai
suoi amici intrappolati sotto la neve. La sua torcia
illuminò solo altro metallo. Abbatté il pugno sul
bordo della buca, vicino a una crisi di nervi.
– Dannazione! –
sferrò un altro pugno –
Dannazione!
– Ehi, vecchio...
sei tu?
Dal fondo della buca, una voce un po'tremula, ma inconfondibile.
– Ha... Harlock?
– Zero! –
la voce di Mayu – State tutti bene?
E...
– Diamine, Signorina, siamo noi che
dovremmo chiedervelo – Grenadier
buttò a terra il suo zaino e ne tirò fuori corda
e moschettoni – E comunque,
rimandiamo le chiacchiere per quando sarete fuori di
lì!
Zero si guardò intorno in cerca del Dottore.
Nessuna traccia. Toccava a lui prendere in mano la situazione.
Si alzò in piedi, fece cenno agli
altri membri della squadra di cominciare le ricerche a tappeto dal
fondo del ponte e tornò a far luce nella buca. Grenadier
gli lanciò la corda. Zero la fece passare attorno a un grosso cilindro metallico ritorto e
agganciò il moschettone alla sua cintura.
– Ha ragione Grenadier –
afferrò la corda con entrambe le mani
– Siete feriti? Incastrati da qualche parte?
Grenadier calò la corda e si
issò oltre il bordo della buca.
– Solo qualche graffio –
di nuovo la voce di Harlock – Il
cavalletto del timone ha fatto da puntello.
Amico mio... ci hai protetti fino all'ultimo. Grazie.
Un forte strattone fece scivolare Zero in avanti. Si scosse,
puntò i piedi. Non era il momento di farsi prendere dagli
strascichi di quel transfer mentale. Sbirciò oltre il
bordo e fece luce. Grenadier era in piedi, in equilibrio precario sulla lastra che
bloccava la visuale verso il fondo.
Un altro strattone, ancora più forte. Avvolta al cilindro,
la corda oscillava, ma Grenadier non s'era neanche mosso. Dalla gamba ferita, una fitta salì lungo il fianco di Zero e gli esplose al centro della schiena. Piantò i piedi più in profondità nella neve e serrò i denti.
–
Harlock, che diavolo stai combinando, dannato imbecille?
Grenadier si sporse oltre la lastra, si
puntellò contro la parete di neve e rottami e si
tirò su. Stretta attorno al suo collo, avvolta nel mantello
di Harlock, c'era Mayu.
– Coraggio, Signorina Oyama. Adesso la
porto fuori di qui –
si sporse di nuovo – Ehi,
serve aiuto?
Accanto al suo piede, apparve una mano avvolta in un guanto
stracciato e intriso di sangue con un bendaggio improvvisato attorno al
palmo e alle dita, poi il volto graffiato e coperto di lividi di
Harlock.
– Tira via quella luce dalla mia faccia,
Zero! Sono stato al buio fino ad ora!
Zero ghignò.
– Lascialo lì,
Grenadier! Se ha tanto fiato per lamentarsi, ne ha anche per
tirarsi su!
Grenadier rise e si aggrappò alla corda. Zero si
puntellò e tirò con tutte le sue forze. Il sudore
che gli ricopriva le dita si trasformava in cristali di ghiaccio che
gliele incollavano alla corda, gli graffiavano i palmi scorticati e gli strappavano via brandelli di pelle ad
ogni movimento. Aveva le mani gonfie, spellate, insensibili. Non gliene
importava un fico secco.
– Zero... oh, Zero!
Mayu gli saltò al collo tra i singhiozzi e lui la
strinse a sé con un braccio, la gioia che gli mozzava il
respiro.
– È finita, Mayu,
è finita... sei al sicuro, adesso.
La corda diede un altro strattone improvviso e lo proiettò in avanti. Il cuore gli
balzò in gola. Il braccio di Grenadier gli si strinse
attorno alla vita, la sua mano libera afferrò la corda. Rideva.
– Ehi, Harlock, guarda che sarei
venuto a riprendere anche te!
– Perché tanta fretta, Harlock? –
Zero strinse i denti – Hai
così tanta voglia di farti prendere a pugni un'altra volta?
Il gomito di Harlock emerse dall'orlo della buca, seguito
dalle sue spalle. Si issò oltre il bordo e si
sdraiò sulla schiena.
– Nei tuoi sogni, scemo d'un soldato –
ansimò – E comunque, dacci un taglio: siamo
troppo vecchi per queste cose.
Zero scoppiò a ridergli in faccia, più
che altro per dar sfogo al suo sollievo.
– Parla per te, pirata idiota.
Gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi e
afferrò il manico della pala.
– In ogni caso, prima dobbiamo trovare Yuki e Tadashi.
Le dita di Harlock si strinsero attorno al suo palmo. Lo tirò su.
– Già – Harlock si guardò attorno, il volto tirato – I sistemi di
sicurezza erano...
– Sono... sotto tutta questa neve?
– Mayu si strinse nei lembi del
mantello di Harlock e vacillò,
gli occhi spalancati – Da... da...
– Tranquilla – Grenadier la sostenne e le diede una
leggera pacca sulla spalla – Sono tipi tosti, quei due, di
quelli che non muoiono manco se li ammazzi. Andrà tutto
bene.
Le strizzò l'occhio e sorrise, ma a Zero non sfuggirono le
piccole rughe che gli si erano disegnate agli angoli della bocca e il
fatto che avesse distolto subito lo sguardo. Sganciò il moschettone dalla sua cintura, lasciò andare la corda e le si avvicinò.
– Dov'erano, l'ultima volta che li hai visti?
– Alla postazione del copilota – Mayu
deglutì a vuoto, lo sguardo che si spostava frenetico in
tutte le direzioni – Ma non riesco più a capire
dov'è... è tutto...
– Lo so io.
Harlock s'incamminò sulla neve a passo sicuro e Zero non
poté fare a meno di notare che tutti, lui compreso, si erano
messi a seguirlo come se fosse la cosa più naturale del
mondo. Sospirò.
Certe cose non cambiano
mai.
Harlock si fermò in un punto in fondo alla sala, appena
più a sinistra del limite della zona di ricerca.
Sganciò la sonda dalla cintura di Zero, ne afferrò
l'elemento superiore, rilasciò gli altri e
tirò il cordino di collegamento. Bloccò la scala
metrica sui due metri
e cinquanta.
– Vi do una mano anch'io.
Non era una buona idea. Dopo tutto ciò che aveva
subìto su Futuria, dopo quella battaglia tremenda,
quell'atterraggio d'emergenza impossibile e tutto quel tempo al freddo e al buio sotto la
neve, doveva essere al limite, sia mentale che fisico.
Dovrei buttargli addosso
una coperta e dirgli di starsene buono ad aspettare il Dottore insieme
a Mayu.
Gli porse invece il berretto e i guanti di riserva di Shinohara e la
piccola torcia a led che teneva sempre in tasca. Non aveva bisogno
d'entrare in comunione mentale con lui per capire come si sentiva in
quel momento... e condivideva tutta la sua preoccupazione.
Aprì la tasca anteriore dello zaino, ne estrasse la sonda di
riserva e fece un cenno a Grenadier, che delimitò la nuova
area di ricerca e si mise accanto ad Harlock, spalla contro
spalla. Gli altri membri della squadra
li affiancarono sui due lati. Zero
estese la sonda come aveva fatto
Harlock, divaricò i piedi, sollevò
l'asta e la puntò al centro.
– Uomini, in linea! – inspirò
– Sondata a due e cinquanta! Giù!
Spinse in basso l'asta di carbonio a piccoli colpi, attento a
mantenerla verticale.
Toccò il fondo a due metri e venti di profondità.
Nessun ostacolo.
– Ritirare!
Gli uomini sollevarono le aste, ne posizionarono la punta sulla neve
sessanta centimetri davanti a loro e le inclinarono in appoggio sulla
spalla destra.
– Avanti! – Zero avanzò fino a
raggiungere la punta e si rimise in posizione –
Giù!
– Capitano! – la sonda del soldato all'estrema
destra della fila era infissa a un metro e mezzo di
profondità – Qui c'è qualcosa!
Grenadier fece un cenno e subito l'uomo che chiudeva l'altra
estremità della fila lasciò la sonda e si
sfilò la pala da tracolla.
– Anche qui!
Un meccanoide della fila centrale alzò il braccio. Un altro
spalatore lo raggiunse.
Zero distolse lo sguardo di malavoglia.
Finché non fossero stati certi d'aver trovato qualcuno,
anzi, finché non avessero ritrovato tutti, bisognava
continuare.
– Avanti! – avrebbe voluto controllare l'ora;
quanto tempo era già passato? – Sondata a due
metri. Giù!
Altri due richiami. Un altro spostamento. Una roccia contro la sua
sonda, un altro spostamento.
Dopo appena mezzo metro, l'asta picchiò contro qualcosa di
rigido, sprofondò di colpo e urtò qualcos'altro.
Metallo, a giudicare dal contraccolpo. Altri tre soldati segnalarono
che si doveva spalare. I primi due scavatori tirarono fuori una
poltroncina ormai a pezzi, i secondi ciò che restava d'un
tronco marcio crivellato di schegge. Anche il terzo gruppo
comunicò un falso allarme.
Grenadier si girò e scosse il capo con un sospiro..
– Ci sono troppi detriti, qua sotto. Di questo passo...
Zero trasalì. Una leggera vibrazione si era trasmessa
dall'asta alle sue dita.
– Grenadier, Harlock! La mia sonda si è mossa!
– Sarà un cedimento – Grenadier
guardò le sue mani con una smorfia – O un
principio di congelamento. Di' un po', Zero, ma che fine hanno fatto i
tuoi guanti?
Zero lo ignorò, diede un leggero strattone alla sonda e la
riabbassò, il cuore che gli batteva a mille. Aveva sentito
una leggera resistenza mentre la tirava su.
Non è un
detrito, non può essere un detrito, non deve essere un
detrito!
Lasciò andare la sonda. Chiuse gli occhi.
Avanti! Avanti, ti prego!
Il movimento si ripeté. Un secondo, debole strappo
inclinò l'asta verso il basso.
Una volta, due.
– Che mi venga un... – Grenadier
s'accucciò vicino alla sonda e scavò col palmo
della mano guantata – Muoviti, Zero, spala! C'è
qualcuno, lì sotto! E voialtri continuate a cercare, manca
ancora una persona! Yashima, sostituisci il Capitano! Signorina Oyama,
se riesce ad alzarsi, trovi il Dottore ovunque sia e lo porti qui...
presto!
Zero corse verso l'entrata del ponte di comando, si
posizionò novanta gradi a valle dal punto in cui doveva
trovarsi la persona sepolta e piantò la pala nella neve.
Scavò come un forsennato, gli occhi sulla punta della sonda.
– Niente da fare – Grenadier si rialzò
– qui c'è del metallo bello spesso! Dev'essere
sotto una delle postazioni anteriori e tu di sicuro l'hai bucata con la
punta della sonda!
Zero alzò la testa, senza smettere di scavare.
– Prova in un alro punto –
ansimò –
Dobbiamo portargli ossigeno al più presto!
Harlock affiancò Grenadier.
– Proviamo di qua – lo precedette un
metro e mezzo più avanti verso il timone,
s'inginocchiò e iniziò a scavare a sua volta
– Qui le plance rientravano ed erano un po' più
sottili. Se si sono piegate come credo, dovremmo riuscire ad aprirci un
varco.
Zero si buttò alle spalle un'altra serie di palate di neve.
Gli mancava il fiato, i muscoli delle spalle e degli avambracci
bruciavano, le mani gli facevano male solo a stringere il manico della
pala e aveva la vista annebbiata da tutto quel bianco.
Sollevò la testa, si sfregò gli occhi e strinse i
denti. Ormai la punta della sonda era vicina.
Devo allargare lo scavo.
– Forse ci siamo – Grenadier si sporse nella buca,
afferrò qualcosa – Avanti... avanti!
Harlock s'inginocchiò accanto a lui e lo aiutò.
Tirarono fuori un grosso maasso, poi un frammento di metallo annerito e
tutto piegato, forse ciò che restava di un portello o della
copertura di una plancia.
– Ehi, là sotto, mi senti? – Grenadier
si sgolò piegato sul piccolo tunnel – Tieni duro,
ora veniamo a prenderti!
La punta della pala di Zero picchiò contro qualcosa con un
leggero rimbalzo; la piantò dietro di sé,
s'inginocchiò e affondò le mani nella neve.
Era fredda, così gelata da sembrare bollente. Pungeva come
un milione di spilli. Gemette.
– Ehi, Zero – Grenadier si accosciò
accanto a lui e gli mise una mano sulla spalla – Fatti
sostituire da qualcun altro. Senza guanti ti congelerai le mani.
Zero lo ignorò. Aveva spalle e schiena indolenzite, le mani
livide e coperte di tagli, il naso che colava e gli occhi che gli
lacrimavano, ma non gli importava. Scagliò via un'altra
manata di neve.
La seduta semidistrutta di una delle poltroncine delle plance anteriori
emerse in mezzo al bianco. Harlock si piegò accanto a lui e
la sollevò.
Sotto di essa, incastrate tra i resti contorti delle staffe che
l'avevano sostenuta e ciò che rimaneva della plancia coi
comandi d'emergenza, le suole di due stivali e un paio di polpacci
calzati in pantaloni verde acqua fradici e stracciati.
Tadashi.
Zero lottò contro l'impulso di tirarlo verso di
sé per liberarlo dalla neve.
Poteva avere le gambe rotte. Poteva essere ferito alla schiena o al
torace, poteva essere incastrato sotto altri rottami. E di sicuro, a
giudicare dal colorito livido della pelle e dal poco sangue attorno al
tessuto squarciato, doveva essere in ipotermia.
– Ehi, Signor Ministro – Grenadier
spazzò via un'enorme quantità di neve con una
sola, possente manata – Ci siamo quasi, coraggio!
Nessuna risposta. Harlock estrasse il suo pugnale e lo usò
per far leva sui pezzi di metallo e tagliare il groviglio di cavi che
imprigionavano le caviglie di Tadashi. Zero ne sollevò una
con prudenza, rimosse lo stivale e la tastò. Gonfia, rigida
e gelata. Nessun movimento, nemmeno di riflesso.
Grenadier disseppellì la parte superiore della postazione
del copilota. Il muro di neve che la ricopriva venne giù e
Zero boccheggiò.
– Fermate le ricerche!
* Il dispositivo ARVA
(Appareil de Recherche de Victimes en Avalanche) o ARTVA (Apparecchio
di Ricerca dei Travolti in VAlanga), è uno strumento
elettronico utilizzato per la ricerca delle persone travolte in
valanga. Sostanzialmente,
è una ricetrasmittente di segnale (non vocale), che
funziona sulla frequenza di 457 kHz e viene indossata
dagli escursionisti in modalità di trasmissione, permettendo
a coloro
che non sono stati travolti dalla valanga di commutare l'apparecchio in
modalità ricezione al fine di localizzare il trasmettitore
dei travolti.
**
First Field Dressing: pacchetto medico individuale militare.
*** La “cool guard”
è un’apparecchiatura che permette di rialzare la
temperatura dei pazienti ipotermici.
**** Laser di classe IV (>500mW), ovvero i più
potenti in assoluto: si tratta solitamente di laser industriali usati
per il taglio dei metalli e la sola esposizione al raggio diffuso
è pericolosissima.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
|
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Capitolo 56 *** Bianco - parte II ***
cap 8
–
Fermate le ricerche!
Yuki socchiuse gli occhi alla luce improvvisa e si guardò
attorno.
Oltre i cavi spezzati e il metallo annerito della plancia, le sagome
indistinte di tre persone si curvarono su di lei. Diede un ultimo
strattone all'asta di metallo fra le sue dita e si premette la testa di
Tadashi contro l'incavo del collo.
Una delle tre sagome s'inginocchiò nella neve, le tese la
mano. Il raggio d’una torcia balenò sulla sua
guancia sfregiata.
– Yuki...
Quella voce. Quel gesto. Quel volto.
La gola le si chiuse. All'improvviso, aveva di nuovo quindici anni e
tanta, tanta paura.
Afferrò la mano tesa e la strinse. Sbatté le
palpebre.
Il volto di Harlock tremolò come dietro un velo di vapore.
– Capitano – ansimò –
Capitano...
Harlock annuì, le scostò i capelli fradici dagli
occhi e le fece appoggiare la testa contro la sua spalla. Tutto
diventò nero, ovattato, lontano.
No. Devo rimanere
sveglia.
Si pizzicò la coscia, ma era come se appartenesse a un
altro. Serrò la presa attorno alle spalle di Tadashi.
Devo rimanere sveglia, o
sarà la fine per tutti e due.
Affondò i denti nel labbro inferiore, scrollò il
capo e sollevò le palpebre pesanti.
Aveva temuto di riaprire gli occhi nel buio e che il suo Capitano, i
fasci di luce, lo scalpiccio e le voci che sentiva riecheggiare da
qualche parte intorno a loro fossero solo uno scherzo della sua mente
stremata, ma Harlock era ancora lì, più reale che
mai.
Meno male.
Affondò le dita nei capelli di Tadashi. Aveva voglia di
piangere.
Meno male...
Uno degli uomini che erano assieme ad Harlock mosse un passo verso la
luce delle torce, una piccola radio tra le mani enormi, l'altro
s'inginocchiò sull'altro lato della plancia,
scostò dal volto di Tadashi i capelli incrostati di sangue e
ghiaccio e gli avvicinò uno specchietto alle labbra.
– È molto che ha perso i sensi?
Dalla gola di Yuki uscì solo un singhiozzo
strozzato.
Perché non ricordava il nome di quell'uomo?
Perché non riusciva a piangere?
Perché nella sua testa era tutto così confuso?
Ricordava la stretta delle sue braccia mentre precipitavano e il colpo
che l'aveva spinta in avanti contro il pannello dei comandi e poi
indietro sul sedile; ricordava lo schianto, lo schienale che si
spezzava, la pioggia di schegge e detriti e quel boato lontano, sordo e
minaccioso; lui che la spingeva sotto la plancia e le s'incuneava
davanti per non far entrare la neve...
Andrà tutto
bene.
Il suo sorriso prima che tutto diventasse buio, poi solo il freddo e la
sua voce.
La sua voce che tentava di confortarla, nonostante in essa si
nascondesse un tremito...
Ce la caveremo, vedrai.
La sua voce che la esortava a non addormentarsi, a respirare piano e
risparmiare le forze per quando sarebbero arrivati a tirarli fuori di
lì...
Presto, molto presto.
La sua voce che vagheggiava quel futuro per cui avevano tanto lottato e
che adesso era a un passo.
La sua voce che intonava quella vecchia canzone... e poi il silenzio,
più spaventoso persino di quella battaglia senza speranza,
di quella caduta senza controllo, del buio, del freddo e di quel
misero, soffocante riparo di rottami che scricchiolava sotto quintali
di rocce, neve e metallo.
– Yuki – l'uomo le scosse il braccio –
È molto che è svenuto?
Yuki scosse il capo.
Per quanto tempo aveva continuato a chiamarlo nel buio mentre cercava
di liberargli le gambe e trascinarselo più vicino per dargli
almeno un po' di calore? Per quanto tempo aveva lottato con se stessa
per impedirsi di piangere, urlare e artigliare a mani nude quella
maledetta muraglia di neve, per impedirsi di prendere a calci, pugni e
testate quella gelida, asfissiante tomba di metallo in cui non ci si
poteva neanche muovere? Per quanto tempo era rimasta in silenzio
regolando il respiro in attesa d’un segno, uno qualunque, da
qualcuno là fuori?
– Non lo so...
L'uomo le afferrò la mano e la allontanò con
delicatezza dalla nuca di Tadashi.
Attorno al suo palmo escoriato e gonfio c'era una fasciatura ormai a
brandelli. Il netto, profondo segno d’un taglio lo solcava da
appena sopra l’attaccatura del pollice fin sotto il mignolo.
– Non lo so, Zero! – deglutì
– Non lo so...
– Va bene – Zero passò un braccio
attorno allo sterno di Tadashi e lo staccò da lei
– Calmati, adesso. È tutto finito, sta arrivando
il Dottore.
Yuki si guardò attorno. Il riflesso delle torce sulla neve
era così abbagliante, i colori e i contorni così
confusi. In mezzo a tante voci, non sentiva quella di...
– Mayu – si puntellò per alzarsi, il
nodo che le serrava la gola più stretto che mai –
Mayu! Ma...
Il suo palmo insensibile e le sue gambe irrigidite non la sostennero.
Scivolò.
Harlock la afferrò e la attirò a sé.
– Sta bene – le premette la testa contro il suo
petto e le poggiò il mento sulla nuca – Sta bene,
non preoccuparti.
Yuki gli si abbandonò contro. Era lacero, sporco, pieno di
lividi e tagli e madido di sudore. Un lieve tremito gli scuoteva le
spalle, ma il suo corpo le sembrava bollente.
Zero gettò a terra il suo zaino e passò ad
Harlock una coperta isotermica: lui la drappeggiò attorno
alle spalle di entrambi, le stracciò la tuta sin sotto la
cintola, si sfilò la maglia fradicia e la
abbracciò.
Quel contatto la riportò indietro a tanti anni prima, a un
colpo di laser che le aveva trapassato la schiena e il petto, a una
debolezza e a un freddo spaventosi come quelli che sentiva in quel
momento. Proprio come allora, il calore di Harock le infondeva
sicurezza, il battito lento e regolare del suo cuore la incitava a
vivere e lottare.
Affondò il naso nel suo petto, chiuse gli occhi.
Respirò.
E capì perché non riusciva a piangere.
Erano un altro odore, un altro calore e un altro battito che cercava.
Era l'abbraccio di un altro uomo.
Singhiozzò, di nuovo a vuoto.
L'amore per il suo Capitano era sempre lì, forte e sincero
come quando era sbocciato, e sarebbe durato in eterno... ma era stato
con un altro che aveva riso, pianto, condiviso sogni, paure, progetti e
rimpianti per sette lunghi anni; era stato al fianco di un altro che
aveva lottato per far avverare quel grande sogno che li aveva uniti
tutti sotto la bandiera dell'Arcadia.
Sette anni.
Eppure, poteva vedere quel sedicenne scarmigliato, rosso in viso e
ansimante per aver corso dietro all’Arcadia come un bambino
accigliarsi, stringere i pugni e voltarsi verso di lei come come se lo
avesse fatto in quel preciso istante.
– Venite con
me, Yuki. Conosco un posto sicuro in cui stare.
Si era issato Mayu sulle spalle e le aveva teso la mano.
Il suo sguardo e la sua voce, roca per essersi sgolato a salutare
Harlock e Mime finché l'Arcadia non era scomparsa del tutto
alla vista, non erano quelli di un bambino. Non più. E quel
suo gesto...
Così diversi,
così simili...
Aprì gli occhi e si voltò.
Tadashi era steso su una metallina, nudo fino alla cintola.
Inginocchiato accanto a lui, Zero gli tamponava il petto con un telo.
Sotto la luce impietosa della torcia, l'intrico di tagli, bruciature e
cicatrici che gli ricoprivano il torso e le braccia risaltavano in modo
ancor più crudele del solito.
Harlock sollevò il mento e guardò Zero, le
sopracciglia aggrottate.
– Come sta?
Zero posò il telo ormai zuppo e tastò il polso di
Tadashi.
– Ha la schiena piena di schegge, la spalla sinistra e almeno
una caviglia slogate – ruotò il braccio libero e
fissò il quadrante del suo orologio – Ma
è la sua temperatura che mi preoccupa. Spero di sbagliarmi,
ma...
– Merda!
Yuki sobbalzò. Qualche passo dietro Zero, Grenadier si
voltò verso di loro, abbassò gli occhi e
sferrò un calcio alla neve, l'orecchio incollato alla radio.
– E allora mi dici cosa dobbiamo fare?! Qui abbiamo un ferito
privo di sensi e una donna rimasta al buio e al freddo per ore!
Siamo... – si grattò il mento, fissò il
soffitto e sospirò – Sì...
sì, lo so che state facendo tutto il possibile. Hai ragione,
scusa. Glielo dico. Passo e chiudo.
– Grenadier, rapporto – Zero non staccò
nemmeno gli occhi dall'orologio mentre contava i battiti di Tadashi
– Ci sono problemi?
– Altroché – Grenadier chiuse la
comunicazione, s'infilò la radio in tasca e diede un altro
calcio alla neve – C'è stata una slavina
giù a valle poco dopo che siamo entrati qui e abbiamo otto
uomini sotto la neve. I loro ARVA funzionano e quelli che l'hanno
scampata hanno già iniziato a scavare, ma il Dottore ha
dovuto precipitarsi là con la Cool Guard, Shinohara gli
è corso dietro con tutti quelli che ha potuto radunare e al
Cosmo Wing è rimasto soltanto Eluder.
Zero lasciò il polso di Tadashi, tirò fuori dallo
zaino una scatoletta di metallo e ne estrasse un termometro timpanico.
– Mayu?
– Sta tornando qui con thermos, ossigeno e salina –
Grenadier aggrottò la fronte mentre Zero infilava il
termometro nell'orecchio di Tadashi – Speravo che Eluder
riuscisse a trattenerla per risparmiarle...
Zero lo mise a tacere con un'occhiataccia, premette il tasto per la
misurazione ed estrasse il termometro.
– Hai allertato il Centro Operativo?
– Sì. Kaibara sta mettendo assieme una squadra
– Grenadier abbassò il capo e sospirò
– Ma col poco personale operativo che ci è rimasto
e tutti i danni che abbiamo subìto ci vorrà
un'ora prima che arrivino, e saranno pure in pochi. Dobbiamo andarci
noi, sai com'è la procedura.
Occuparsi prima di tutto
di quelli che sei certo di poter salvare.
Yuki trasalì. La mano di Harlock si serrò a pugno
contro la sua schiena.
Zero rimise il termometro nella custodia, tirò fuori dallo
zaino due maglie avvolte in un sacchetto per abiti sottovuoto e si
fissò le mani.
– Va bene – sospirò – Assumi
il comando e andate. Qui ci penso io.
Grenadier aggrottò la fronte,
s’inginocchiò accanto a lui e sollevò
con cautela Tadashi, una mano dietro la sua schiena e l'altra a
sorreggergli la nuca. Il cuore di Yuki mancò un battito. Le
sue guance e la fronte erano lucide come quelle d'una bambola di
porcellana. Aveva le labbra blu.
– Dimmi la verità – Grenadier
fissò Zero – Quanto è brutta?
– Temperatura trenta – Zero fece passare le braccia
di Tadashi nelle maniche della prima maglia e aggrottò la
fronte – Polso quarantotto. Regolare.
– Cosa?! – Grenadier lo guardò
sconcertato mentre passava a infilargli il secondo maglione –
Non puoi gestirlo da solo! Non qui! Dobbiamo...
– Non possiamo ancora spostarlo – Zero gli chiuse
la zip fin sotto il mento e lo adagiò sul fianco –
Uno sbalzo termico eccessivo potrebbe ucciderlo.
Grenadier aprì la bocca, la richiuse, sollevò una
mano e la lasciò ricadere.
Si rialzò, si grattò di nuovo il mento,
calciò via un altro mucchietto di neve e sospirò.
– Ehi,Yashima! – si sbracciò verso il
gruppo di persone più indietro – Avete finito con
quella barella? Allora portatela qui e caricate la Signora Kei!
Yuki ansimò, la fronte imperlata di sudore, lo stomaco in
subbuglio.
– Io non vado da nessuna parte – s’aggrappò
ad Harlock, le spalle che le tremavano, il respiro che gorgogliava
affannoso in gola – Non vado da nessuna parte senza Tadashi!
La sola idea di lasciarlo lì in quelle condizioni era
insopportabile.
Ogni volta che era rimasto ferito o s'era ammalato, gli era sempre
rimasta vicino... così come aveva sempre fatto lui. Se lo
ricordò con quel suo piatto di minestra scotta in cui aveva
messo per sbaglio lo zucchero al posto del sale, mentre tentava di
convincerla che fosse un'efficace ricetta antinfluenzale tramandata
nella sua famiglia da generazioni. Il groppo nella sua gola
diventò un macigno.
Harlock annuì e posò la mano sulla sua.
– Resto anch'io.
– Ma Signora Kei, Harlock, ragionate! – Grenadier
roteò gli occhi e sollevò le braccia, esasperato
– Siete al limite, tutti e due! Se...
– Proprio perché siamo al limite è
meglio che rimaniamo qui – Harlock piantò il suo
occhio in quelli di Grenadier – Se venissimo con voi,
dovreste impiegare metà della squadra per trasportarci e
assisterci. Non avete né il tempo, né i numeri
per farlo.
Grenadier si morse il labbro inferiore e distolse lo sguardo.
– Ho ricevuto lo stesso addestramento di Zero –
Harlock serrò le dita di Yuki nel suo pugno – Se
Yuki dovesse sentirsi male o Tadashi peggiorare, lo
assisterò io.
La destra di Harlock era gonfia sotto il guanto zuppo e appiccicoso.
Tremava nei pantaloni fradici e la luce della torcia di Grenadier
evidenziava il suo volto stanco, il suo occhio arrossato e lucido, la
palpebra livida. Nonostante avesse finto spesso di farlo, Yuki sapeva
che non dormiva da giorni.
E se fossi tu a sentirti male,
Capitano?
Il pensiero le passò per la testa e subito
l'abbandonò.
La fronte aggrottata, le labbra tirate e appena incurvate
all'ingiù, la minuscola vena azzurra che gli pulsava sulla
tempia... l'aveva visto con quell'espressione infinite volte.
Rimarrebbe in piedi persino se gli strappassero via gambe e braccia,
gli tagliassero la testa e gli polverizzassero il petto a colpi di
laser.
Grenadier spostò il peso da una gamba all'altra e lo sguardo
da Harlock a Zero.
– Fa’ come dice, Grenadier – Zero non
alzò nemmeno la testa – Cercare di farlo ragionare
è una perdita di tempo, lo sai.
Harlock gli lanciò uno sguardo a metà tra il
sollievo e l’irritazione.
– Non c’è di che, Zero. Ah, e lasciami
dire che il tuo entusiasmo per le mie idee è commovente
come al solito.
Grenadier fece una risatina nervosa, scrollò le spalle,
sospirò e raccolse da terra sonda e pala. Si girò
verso gli uomini intenti a radunare l’attrezzatura e
accennò un saluto.
– Allora, noi andiamo – si sfilò lo
zaino e lo lanciò ai piedi di Harlock – Tenete
duro.
La sua voce e la sua figura si persero nel buio.
No, non devo
addormentarmi!
Yuki si pizzicò di nuovo la coscia. Questa volta, un dolore
sordo e pulsante le corse fino all’anca. Una goccia, di
sudore o neve sciolta, le colò nell’occhio destro.
Mise a fuoco Zero come da dietro un velo: teneva nella destra il polso
di Tadashi, lo sguardo fisso sul suo petto, le sopracciglia aggrottate.
– Yuki, c’è una cosa che devo sapere.
I suoi occhi si spostarono da lei ad Harlock e di nuovo sul petto di
Tadashi, nel punto in cui si trovava quella cicatrice.
Harlock strinse le labbra, cupo.
– Parla – la sua stretta aumentò
d’intensità – Pensa solo a salvargli la
vita.
Zero chiuse gli occhi e si massaggiò la base del naso.
– Tadashi prende ancora quei betabloccanti*?
Contro la schiena di Yuki, il pugno di Harlock tremò. Lei
gli sfiorò la nuca.
I suoi polpastrelli pulsavano tanto che persino piegarli era una
fatica, ma anche così poteva avvertire la
rigidità nei muscoli del suo collo.
Non è colpa
tua, Capitano.
– Sì – annuì –
Due... due volte al giorno.
Il Dottore era stato tassativo e lei e Mayu s’erano
assicurate che non saltasse nemmeno una somministrazione, anche le se
si stringeva il cuore nel vederlo vomitare di continuo, passare quelle
che sarebbero dovute essere le sue ore di riposo a fissare il soffitto
e svegliarsi di soprassalto dopo poche ore di sonno portate dallo
sfinimento. E poi era dimagrito così tanto...
Zero si mordicchiò il labbro inferiore.
– Ecco perché la sua temperatura è
scesa così tanto e così in fretta –
controllò l’orologio – Harlock, da' a Yuki degli abiti asciutti e tieniti pronto.
Yuki gemette. Quel tono, la sua espressione cupa e lo sguardo
che Harlock gli lanciò in risposta potevano voler dire solo
una cosa.
Rischia un arresto.
Lo rivide come l’aveva trovato quella maledetta sera, riverso
nel suo sangue, gli occhi sbarrati e fissi, la fronte imperlata di
sudore freddo, il respiro ridotto a un rantolo roco il cui ricordo la
faceva ancora svegliare di soprassalto la notte.
Serrò i pugni. Le dita le bruciavano come se tanti piccoli
aghi incandescenti le stessero affondando nella carne, ma la sua mente
era bianca, vuota. Il sapore amaro della bile le risalì su
dalla gola e le bruciò la lingua, i suoi polmoni sembravano
incapaci di riempirsi d’aria, il suo cuore di smettere di
martellare.
E se
stavolta…?
Deglutì.
– Yuki... Yuki!
Harlock le stava scuotendo la spalla. Sul suo braccio erano
drappeggiati due maglioni come quelli che Zero aveva infilato a
Tadashi. Yuki tese la mano. La manica del maglione sfuggì
alle sue dita intorpidite e la coperta le scivolò dalle
spalle. Harlock distolse lo sguardo. Chino su Tadashi, Zero teneva di
nuovo in mano il termometro, le labbra tirate. Harlock si
posò il maglione più pesante sulle gambe e
afferrò quello più sottile per il lembo inferiore.
– Alza le braccia, Yuki.
Non
c’è tempo per questo.
E poi, non aveva freddo, anzi: si sentiva soffocare. Gli
afferrò il polso.
– Lascia stare, Capitano.
Harlock si liberò dalla sua stretta e
sollevò il maglione.
– Alza le braccia.
Dietro di lui, Zero lasciò cadere il termometro e
girò Tadashi sulla schiena. Sul suo volto c’era la
stessa espressione che aveva il Dottore quando, quella maledetta sera, s’era
voltato verso di lei.
– Harlock, sta’ pronto.
Yuki non poteva rimanere lì seduta un minuto di
più. Piegò le ginocchia, puntò i piedi
e le mani, si diede lo slancio per alzarsi. Harlock la
afferrò per i fianchi e la tirò giù.
– Non muoverti.
– Lasciami andare, Capitano – Yuki si
divincolò – Lasciami!
Harlock la spinse di nuovo giù, la circondò con
le braccia.
– Sta’ ferma. Sei ipotermica.
– Ascoltalo, Yuki – Zero aveva avvicinato la
guancia alle labbra di Tadashi – Se ti sforzi
così, rischi danni agli arti... o peggio.
– Non m’importa!
Yuki spinse via Harlock con tutte le sue forze, gli sfuggì,
gattonò verso Tadashi.
Il braccio non la resse. Scivolò in avanti.
Harlock le circondò la vita prima che
toccasse terra e la tirò indietro.
– Non m’importa – bloccata contro il suo
petto, le sue mani artigliavano l’aria impotenti – Ti prego, Harlock! Se
Tadashi… se Tadashi morisse…
Inghiottì. Provò a immaginare la sua vita senza
di lui.
Come quella maledetta sera, come ogni volta che avevano litigato, come
ogni volta in cui lui aveva rischiato la vita, non ci
riuscì. Nella gioia e nel dolore, nel bene e nel male, lui era
ormai un punto fermo nella sua vita.
Sette anni. E non
gliel’ho mai detto.
Smise di lottare. Harlock allentò la presa. La guardava con
un’espressione che lei non gli aveva mai visto, colma di
determinazione e di qualcos’altro che poteva essere, forse,
rimpianto.
Afferrò il maglione, lo scosse e glielo infilò
sopra la testa.
Adesso, Yuki aveva freddo. Tremava e batteva i denti quanto lui, che era fradicio e a petto
nudo.
– Harlock! – Zero si sfilò la giacca e
gliela lanciò – Mettiti questa e vieni qui subito. Ho bisogno
di te.
* I betabloccanti sono una classe
di farmaci con azione bloccante dei recettori β-adrenergici.
Vengono utilizzati principalmente come antiaritmici, come
antipertensivi e antianginosi.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 57 *** Bianco - parte III ***
cap 8
Mayu
sollevò la testa.
Sopra di lei, il relitto dell’Arcadia oscurava la luce
dell’ultimo sole di Futuria.
Un fiocco di neve volteggiò giù dal cielo livido
e le si sciolse sulla fronte sudata.
Bilanciò la tracolla della borsa sulla spalla e
aumentò il passo.
I flaconi di salina, la bombola d’ossigeno e la scatola di
metallo con siringhe, fiale e strumenti le tintinnarono contro il
fianco.
Sfiorò la radio che il Signor Eluder le aveva dato per
contattare il Dottore in caso d’urgenza e pregò
con tutto il cuore che non ci fosse bisogno della maggior parte della roba
che stava trasportando.
La salita terminò all’improvviso e si
trovò davanti al buco che Grenadier e i suoi avevano aperto
nello scafo. Entrò. Nel buio rischiarato a tratti dalla luce
dei riflettori, il ponte di comando dell’Arcadia era ormai
irriconoscibile.
Papà…
Privo della sua presenza, quel luogo che aveva sentito come casa sua
sin dal primo momento in cui ci aveva messo piede le sembrava ora
immenso, vuoto ed estraneo.
Chissà se anche la sua casa sulla Terra, senza Yuki e
Tadashi…
No.
Inghiottì il nodo che le aveva stretto la gola e si diresse
verso la postazione di pilotaggio. Non era il momento di pensare ai
morti, non era il momento di lasciarsi prendere dalla paura. Se
c’era una cosa che aveva imparato da quella lunga, terribile
avventura, era che non bisognava mai cedere alla disperazione, per
niente al mondo.
– Harlock! Mettiti questa e vieni qui subito. Ho bisogno di
te.
Mayu trasalì. Nella voce di Zero c’era la stessa
disperata urgenza di quando l’Herakles l’aveva
presa in ostaggio nel laboratorio di Kurai.
Oltrepassò di corsa i riflettori e saltò nella
piccola conca sotto la postazione di pilotaggio.
Seduta su una metallina, un maglione troppo grande infilato di sbieco
sulle spalle tremanti, Yuki alzò su di lei uno sguardo
confuso.
– Mayu... stai bene?
– Sì – Mayu le si lasciò
cadere accanto e le gettò le braccia al collo –
Sì, non preoccuparti.
I suoi capelli umidi le pizzicavano la guancia e la sua mano gelata
dietro la nuca le mandò un brivido giù per la
schiena, ma non si era mai sentita tanto sollevata in vita sua. Da
qualche parte dentro di lei, si rese conto, aveva davvero temuto di non rivederla mai
più.
– Allora – Yuki deglutì e la
staccò da sé – Allora va’ da
Tadashi.
Mayu volse lo sguardo nel punto in cui era fisso il suo e tutto il
sollievo che aveva provato svanì di colpo nel vederlo steso fra Harlock e Zero, che gli stava insufflando aria nei polmoni. La paura che le aveva gelato il cuore la sera in cui Yuki e il Dottore lo avevano riportato a casa in fin di vita e l’ansia, la frustrazione e il senso d’impotenza che aveva provato nel laboratorio di Kurai quando non aveva potuto far niente per Harlock e Zero la riassalirono con violenza. Chiuse gli occhi, sfiorò
la sua ocarina.
No. Non stavolta.
Si obbligò a riaprire le palpebre e afferrare il borsone.
– Zero, Harlock! Il suo cuore...?
– È presto per dirlo – Zero
abbassò la cerniera del maglione di Tadashi e gli fece
scivolare l’indice e il medio della mano destra sul pomo
d’Adamo – Ma la sua temperatura è scesa
a ventitré gradi e non gli sento più il polso.
Le sue dita si spostarono di lato sull’incavo del collo di
Tadashi. Gli tastò la carotide per un tempo che a Mayu parve
infinito, poi guardò Harlock.
– Comincia.
Senza una parola, Harlock sollevò il secondo maglione che
ricopriva il petto di Tadashi e gli fece scorrere l'indice e il medio
della mano sinistra lungo il margine inferiore della cassa toracica.
Arrivato al di sopra del punto in cui l'ultima costa
s’incontrava con lo sterno, si fermò con un
sussulto. Mayu seguì il suo sguardo e si sentì
male per lui. Il punto di compressione era proprio sopra quella cicatrice.
Harlock ansimò, pallido come un fantasma. Un rivolo di
sudore gli colò nell’occhio arrossato e lucido. La
mano di Zero si chiuse attorno al suo avambraccio.
– Ce la fai?
Con un brusco cenno del capo, Harlock accostò la base della
mano destra alle due dita e ci posò sopra la sinistra. Sbatté la palpebra, si
mise sulla verticale dell’area di compressione e spinse in
giù.
– Uno, due, tre…
Zero si raddrizzò.
– Mayu, hai una radio con te?
Mayu annuì. La sua mano tremava sul bottone della tasca.
– Devo chiamare il Dottore?
Lo sguardo di Zero si spostò da lei a Yuki.
– Non ancora. Occupati prima di lei.
Mayu gli fece un cenno affermativo e aprì il borsone.
Thermos, termometro,
sfigmomanometro...
Per una volta sapeva cosa fare e, proprio come aveva pensato, aiutava.
Svitò il tappo del thermos e il profumo del thé
la riportò a giorni in cui la neve era uno spettacolo da
ammirare rapita col naso all’insù, ai pupazzi e
alle battaglie a palle di neve nel giardino, al tepore del camino nel
soggiorno e a quel vecchio tappeto ormai sbiadito e pieno di macchie
per tutte le volte che lei, Yuki e Tadashi ci si erano seduti per
asciugarsi davanti al fuoco con una tazza fumante fra le mani. Sembrava
passata una vita.
Strinse forte la presa attorno al tappo, lo capovolse e lo
riempì fino all’orlo. Avrebbe fatto tornare quei
giorni, a qualunque costo.
Anzi, saranno ancora
più belli.
Guardò Harlock. Non ricordava d’averlo mai visto
così pesto ed esausto in vita sua, ma la sua espressione,
adesso, era la stessa che ricordava da quando era bambina.
Ferma. Determinata. Rassicurante. Rilasciò le dita. Non
tremavano più.
– Tredici, quattordici, quindici.
Harlock fermò le compressioni e Zero si riabbassò
su Tadashi.
Mayu porse il thé a Yuki. Lei allontanò la sua
mano.
– Non pensare a me. Va’ da lui...
– Bevi, Yuki. Ti riscalderà.
– Non pensare a me, ti ho detto! Va’ da Tadashi!
Va’ da lui prima che...
Mayu non aveva mai sentito quel tremito nella sua voce, non aveva mai
visto nei suoi occhi tanto terrore… e aveva paura quanto
lei, forse persino di più, ma non c’era tempo per
confortarla, non ce n’era per discutere.
Sospirò, la risata allegra del Dottor Zero che le risuonava
nella mente.
Con certa gente ci vuole
pugno di ferro in guanto d’acciaio, cara mia!
Le spinse il thé sotto il naso e aggrottò la
fronte.
– Bevi – lei stessa si stupì della
durezza nella sua voce – Siamo solo in tre e se dovessi
sentirti male dovremmo darti la precedenza. Se non vuoi prenderti cura
di te stessa per il tuo bene, fallo almeno per il suo!
Yuki trasalì, distolse lo sguardo e prese il tappo fra le
mani tremanti. Trangugiò un paio di piccoli sorsi e Mayu
tirò il fiato. Non s’era nemmeno accorta
d’averlo trattenuto, e non aveva tempo per pensare a che effetto le avesse fatto esser lei, per la prima volta, a farle una ramanzina. Le misurò temperatura e
pressione e sospirò di sollievo: i suoi valori erano bassi,
ma non correva pericoli imminenti. Le fece infilare le braccia nelle
maniche del maglione, le drappeggiò sulle spalle quello che
giaceva ai suoi piedi e la coprì con l’altra
coperta isotermica, poi raccolse strumenti e borsa e si alzò.
– Non muoverti da qui, qualunque cosa succeda.
Si lasciò cadere in ginocchio di fianco ad Harlock proprio
mentre eseguiva le ultime due compressioni e Zero si preparava a
cercare di nuovo tracce di respiro e polso carotideo. Infilò
il termometro nell’orecchio di Tadashi, gli chiuse il
manicotto attorno al braccio e avviò lo sfigmomanometro.
Accanto a lei, Harlock rilassò le braccia e si
voltò verso Zero. Lui scosse la testa.
– Mayu?
Il display dello sfigmomanometro e quello del termometro diedero i loro
responsi.
Mayu inghiottì.
– Temperatura ventidue – la sua voce si
spezzò – Massima cinquanta, minima
trentatré. Battito irregolare.
– Non va bene – Zero aggrottò la fronte
– Non va bene per niente. Mayu, chiama il Dottore! Harlock,
continuiamo!
Da qualche parte dietro di loro, Yuki gemette. Mayu sperò
che restasse dov’era a finire il suo thé e accese la
radio.
– Mayu – la voce del Dottor Zero era appena
percettibile in un vociare confuso di sottofondo –
Cos’hai lì?
Mayu gli fece un sunto della situazione e gli ripeté i
valori di Tadashi.
– Quanto ci metterà la squadra della Karyu ad
arrivare?
– Non ne ho idea – la voce del Dottore
s’abbassò ancora, tesa – Ma voi
continuate con la CPR*. Bisogna assicurarci che il sangue gli arrivi al
cuore e al cervello.
– Dobbiamo usare la bombola?
– Se non c’è respiro autonomo, meglio
aspettare. Bisogna fargli salire la temperatura, ma non troppo in
fretta. Hai della salina riscaldata con te?
– Sì.
– Ti ricordi la procedura di somministrazione endovena?
Il cuore prese a batterle a mille e la gola le si seccò.
Inghiottì e un dolore sordo le risalì su per la
gola fino alle orecchie. Era a pezzi. Aveva freddo. Aveva paura.
Non aveva mai fatto una cosa del genere senza il Dottore a
guidarla passo passo e controllarla. Sfiorò il braccio
inerte di Tadashi. Non poteva tirarsi indietro.
– Sì.
– Allora procedi. Subito. Gauge sedici, quello col butterfly
grigio**.
Mayu scoprì il braccio sinistro di Tadashi e tirò
fuori dalla borsa il tubicino che le aveva indicato il Dottore.
Respirò a fondo, imbevette un batuffolo di cotone nel
disinfettante, gli legò il laccio emostatico appena al di
sopra del gomito, gli afferrò il braccio con la sinistra e
lo bloccò tra le ultime tre dita e il pollice.
Tamponò con cura la pelle sotto la piega
dell’avambraccio e la massaggiò col pugno dal
basso verso l’alto per spingere verso il laccio la maggior
quantità possibile di sangue. La vena spiccò
azzurrina contro la pelle livida. La premette con l’indice
appena sotto il punto che aveva scelto, afferrò il butterfly
per le due alette, tirò via il cappuccio con i denti e fece
penetrare l’ago per un paio di centimetri lungo
l’asse del vaso sanguigno, pronta a fermarsi e arretrare alla
minima resistenza. Non ce ne furono. Qualche goccia di sangue scuro
rifluì lungo la camera di controllo del tubicino
trasparente, ancora chiuso all’estremità dal suo
tappino. Mayu fissò il butterfly con uno strappo di cerotto,
allentò il laccio emostatico e adagiò il braccio
di Tadashi lungo il suo fianco.
Tirò fuori dalla borsa la bottiglia di salina, la capovolse,
l’agganciò a una stanga di metallo che pendeva
sopra di lei, rimosse i cappucci protettivi dall’ingresso per
il deflussore e dalla sua punta e li collegò. Compresse la
camera di gocciolamento fino a riempirla a metà e
controllò il tubo. Nessuna bolla d’aria.
– Fatto. A quanto regolo?
– Dieci gocce ogni quindici secondi. Un’ora. Gli
è tornato il polso?
Zero scosse la testa, Harlock era già alla decima
compressione.
Mayu aprì il rubinetto e regolò il deflussore.
– No.
– Insistete – il Dottore gridò qualcosa
d’incomprensibile a qualcuno lì con lui
– Asciugatelo, copritelo con tutto quello che avete e
preparate una siringa d’adrenalina, giusto per precauzione.
Dieci millilitri in venti di fisiologica. Cercherò
di mandarvi qualcuno con un defibrillatore al più presto.
Passo e chiudo.
Mayu prese una coperta isotermica, l’avvolse attorno alle
gambe e ai fianchi di Tadashi e tornò al suo posto.
Tirò fuori dal borsone il contenitore con siringhe e fiale e
guardò Harlock: era sempre più pallido, ansimava e
rivoli di sudore gli scorrevano sul viso e sul petto costellato di
tagli, lividi e cicatrici. Aspettò che terminasse la serie
di compressioni e gli sfiorò la fronte. Era bollente.
Guardò verso Zero per chiedergli di dargli il cambio e lo
vide scostarsi con un sussulto. Dalle labbra blu-violacee di Tadashi
uscì un lungo ansimo sibilante, poi un gorgoglio roco.
Aveva aperto gli occhi, ma il suo sguardo era fisso, le pupille
dilatate. Il suo collo già teso s’arcuò
ancor di più, le sue braccia e le sue gambe si contrassero e
si rilassarono in preda a violenti spasmi. Zero gli bloccò
il braccio con la flebo.
– È in fibrillazione***! Mayu, iniettagli
l’adrenalina, presto!
– Devo ancora prepararla! E inserirgli un altro catetere,
chiamare il Dottore per chiedergli ogni quanto ripetere la
somministrazione...
Non ce la
farò mai!
Ansimò. Dove aveva messo la radio? E la borsa?
Dov’era quella maledetta scatola? Cosa c'era scritto sui
flaconi di fisiologica? Si sentiva soffocare.
– Calmati, Mayu. Respira – una mano sulla sua spalla, la voce di
Yuki – Fa’ una cosa alla volta. Penso io a chiamare
il Dottore e trovarti il catetere. Tu prepara la siringa.
Un altro spasmo. La metallina scivolò via dalle gambe di
Tadashi, i suoi talloni si piantarono nella neve. Mayu prese dalla
borsa un flacone di sodio cloruro. Zero
alzò la testa.
– Presto! Abbiamo meno di cinque minuti!
Dopo di che…
Mayu scosse il capo. Non doveva pensarci. Afferrò la
siringa, tirò indietro lo stantuffo e inserì
l'ago nel tappo di gomma della salina. Spinse lo stantuffo per
comprimere l'aria nella boccetta, la capovolse per coprire la punta
dell'ago con il liquido e aspirò.
Venti millilitri.
Dalle narici e dalla bocca di Tadashi uscì un rantolo
spasmodico, raggelante.
Non voltarti. Non
piangere. Non tremare.
Inspira. Espira. Una
cosa alla volta.
Prese la fiala d’adrenalina e ne picchiettò la
porzione più stretta per fare in modo che non vi restasse
dentro del liquido, lo aspirò e sollevò la
siringa con l'ago verso l'alto.
Premette lo stantuffo finché una minuscola goccia non
imperlò la punta dell’ago.
– Ci sono!
Yuki le porse catetere e disinfettante.
– Il Dottore ha detto di ripetere ogni cinque minuti, se non
risponde. Ma prima vuole che lo chiamiamo. Ha anche detto che la squadra arriverà in meno di dieci minuti.
Mayu annuì, ma non si poteva certo aspettare.
Gli occhi di Tadashi, adesso, erano del tutto arrovesciati nelle
orbite. Rivoli di saliva gli colavano dagli angoli delle labbra.
Il suo corpo si tese come un arco e ricadde giù in
un’altra violenta convulsione.
– Bloccagli il sinistro.
Yuki gli afferrò il braccio, ma le sfuggì prima
ancora che avesse il tempo di sollevargli la manica. Zero
guardò verso il suo orologio.
– Due minuti!
– Dannazione!
Harlock si mise a cavalcioni sul bacino di Tadashi, serrò il
pugno a una ventina di centimetri dal suo petto, piegò il
polso verso l’alto e gli sferrò un colpo
d’ulna alla metà inferiore dello sterno.
– Non azzardarti a mollarmi così, Tadashi
– ritrasse la mano – Non eri tu quello che voleva
riportarmi sulla Terra a tutti i costi? Se sei un uomo, mantieni la
parola!
Gli sferrò un altro colpo. Le gambe di Tadashi scalciarono
la neve e ricaddero prive di forza.
– Lo ammetto, a volte ho desiderato che morissi, perché ti invidio, non sai quanto – Harlock gli soffiò aria nei
polmoni e ricominciò a comprimergli il petto, le labbra
curvate in una piega amara – Ogni volta che ti guardo, vedo
il ragazzo che non sarò mai più e
l’uomo che non diventerò mai e fa male, oh, se fa
male, ma la sai una cosa? Io questo male lo voglio! Voglio
tornare sulla Terra con te, vederti realizzare tutto quel che avrei
voluto fare io, avere tutto ciò che ho sempre desiderato e invidiarti
e star male e ferirti ancora e ancora, perché finalmente ho
capito che tutto questo possiamo superarlo! Perciò vivi e torna a casa con me, ti prego!
Le convulsioni cessarono di colpo. Harlock barcollò
all’indietro e cadde a sedere tra le gambe di Tadashi,
ansimante e scosso dai brividi, l'occhio spalancato nel vuoto. Zero eseguì altre due
insufflazioni e gli tastò la carotide.
Mayu applicò il catetere al braccio sinistro di Tadashi, ci
inserì la siringa e spinse in giù il pistone il
più adagio possibile. Trenta tacche
d’eternità, scandita solo dal battito impazzito
del suo cuore e dagli ansiti di Harlock.
L’ultima goccia svanì nel tubicino e lei
alzò la testa, terrorizzata.
Incontrò lo sguardo scioccato di Zero con il regolatore di flusso della bombola d’ossigeno fra le dita della mano destra e la maschera nella sinistra, poi quello stravolto di Harlock, che le mise una mano sulla spalla. Lì accanto, Yuki intrecciò le sue dita a quelle di Tadashi.
– Torniamo a casa – singhiozzò
– Torniamo a casa.
* CardioPulmonary Resuscitation – termine in lingua inglese
per la rianimazione cardiopolmonare (RCP)
** Il gauge (inglese per "calibro") è un'unità di
misura di diametro che, in ambito medico, viene applicata
principalmente agli aghi, contrassegnati da un colore e un numero. Il butterfly è un tipo di ago con due alette, appunto, a farfalla.
*** La fibrillazione ventricolare (FV o VF) è
un’aritmia che provoca contrazioni non coordinate dei
ventricoli nel cuore. Quando si verifica, la gittata cardiaca cessa
completamente.
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fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
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pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 58 *** Il cuore delle donne e la banalità del male ***
cap 8
Ishikura
sistemò per l’ennesima volta il colletto
dell’uniforme e tornò a fissare le schiene dei tre
uomini
che lo precedevano lungo il corridoio.
Acciaio.
Non c’era altro modo per definirli.
Harlock, Daiba e il Capitano Zero. Metà di quel che avevano
passato negli ultimi tempi avrebbe spedito sottoterra o in un ospedale
psichiatrico chiunque… e invece eccoli lì, ritti
sulle
loro gambe e ancora capaci d’intendere e volere.
Per la verità, ogni tanto il Capitano sembrava avere la
testa
chissà dove, Harlock s’era richiuso nel suo
mutismo
finché Daiba non aveva ripreso i sensi e
quest’ultimo
barcollava ancora un po’, ma per uno che aveva passato
ventiquattr’ore attaccato a una macchina per la circolazione
extracorporea e quasi un mese a letto a far saldare tre costole rotte,
combattere febbre e geloni e smaltire i postumi dell’impianto
d’un ICD* con dosi da cavallo di farmaci, era in forma
strabiliante.
Ishikura roteò la spalla sinistra. I tendini scattarono e un
dolore sordo gli percorse l’avambraccio fino al gomito.
Gemette a
labbra strette.
Non sarò mai
stoico come loro, però li capisco.
Stress, notti insonni e postumi delle ferite o meno, non sarebbe voluto
essere da nessun’altra parte, a costo di lasciarci le penne.
Sfiorò il calcio della sua pistola d’ordinanza con
l’intenzione di controllare la carica della cella ma si
ricordò d’averlo fatto appena cinque minuti prima,
e
già per la terza volta da quando erano entrati nel Palazzo
del
Governo.
– Nervoso?
Accanto a lui, Tetsuro Hoshino sorrise.
– No, per niente.
In realtà, il succo d’arancia e il tramezzino che
Marina
l’aveva obbligato a ingurgitare per colazione minacciavano
una
sortita.
– Io, invece, sono teso come una corda di violino –
dalla
sua espressione imperturbabile e dalla scioltezza con cui
stiracchiò le braccia, non sembrava proprio – Dopo
dieci
anni, finalmente scriveremo la parola fine al Progetto Herakles. Ancora
non mi sembra vero.
Ishikura sfiorò la foto con Takeshi e Minoru nella tasca
interna
della giacca e pensò a suo padre. Come se gli avesse letto
nel
pensiero, Tetsuro gli diede una leggera stretta
sull’avambraccio.
Non gli aveva solo rivolto una frase di circostanza, durante quella
riunione: da quando si erano rincontrati, aveva davvero preso a
comportarsi come una specie di fratello maggiore acquisito…
nonostante fosse più giovane di lui.
– Ragazzi, ma avete visto le facce di tutta questa gente?
–
Sylviana gli trotterellò accanto, gli tirò la
manica come
una bambina e ridacchiò, in brodo di giuggiole –
Sembrano
tutti sul punto di farsela addosso!
Un momento: Sylviana?!
Ishikura si guardò attorno e alle spalle: che fine aveva
fatto
Rai? Perché Grenadier non l’aveva trattenuta
all’entrata col resto della squadra? A che cavolo stava
pensando
Marina? Poteva anche arrivare a capire, con un colossale, titanico
sforzo, che ormai tutti sulla Karyu e sull’Arcadia avessero
accettato il suo andarsene ovunque volesse quando volesse, ma che
persino le guardie del Ministero…
Poi, la sua mente si soffermò sulla composizione del gruppo
nel quale s’era imbucata.
Il ricercato numero uno in tutto l’universo. Il Primo
Ministro
della Federazione, ufficialmente morto per mano sua. Il Capitano della
nave che aveva sconfitto l’Hell’Castle nella
battaglia di
Teknologhia. Lui, forse il solo a non essere famoso o famigerato, ma
che lì dentro tutti conoscevano grazie a Minoru.
L’eroe
delle guerre contro i Meccanoidi di Promesium. E per finire in
bellezza, Yuki Kei, scomparsa ormai da mesi, forse rapita, forse
assassinata, Marina, Yattaran che si gingillava con un modellino
dell’Arcadia nuovo di zecca e il Dottor Zero che canticchiava
allegro col suo gatto accovacciato sulla spalla e una fiaschetta di
saké che gli spuntava dalla borsa.
Non c’era da stupirsi che, dopo quella parata di
celebrità, una pazza in minigonna rosa fluo, doppi cinturoni
e
stivaloni da cow-girl fosse passata inosservata.
E non c’era da stupirsi che, in effetti, si fosse radunata
tutt’intorno e dietro di loro una folla che li fissava
attonita e
li seguiva mormorando.
Il corridoio terminò davanti a una porta sulla cui semplice
targhetta d’ottone si leggeva la scritta: “Ufficio
del
Primo Ministro”.
Daiba mosse un passo avanti, tirò fuori dal taschino la sua
chiave elettronica e la fece scorrere nella serratura.
Aggrottò la fronte nel sentirla scattare e Ishikura
pensò
che sì, era d’accordo con lui: il non aver ancora
escluso
dal sistema di sicurezza il codice di un uomo assassinato, anzi, il non
aver nemmeno verificato che fine avesse fatto la sua chiave dopo tutto
il tempo che era passato, era indice d’un lassismo
imperdonabile.
La porta s’aprì con un sibilo e il piede di Daiba
urtò contro una pila di documenti buttati alla rinfusa sul
pavimento. Sollevò quello che faceva capolino
all’estremità, tutto spiegazzato, macchiato di
caffè al centro e scarabocchiato sui bordi. Il suo cipiglio
s’accentuò. Ishikura sbirciò da sopra
la sua
spalla: era il piano per il potenziamento della rete di trasporti della
Federazione a cui stava lavorando col suo esecutivo prima di subire
l’attentato. Buttò l’occhio sulla
colonna di carta:
lo seguiva un plico d’accordi e disposizioni in merito agli
approvvigionamenti da e per le colonie contrassegnato come
“da
rivedere – urgente” più di tre mesi
prima.
E se tanto mi
dà tanto, il povero Daiba avrà parecchio da fare
nei prossimi giorni.
Ishikura lo compatì dal più profondo del cuore
nell’osservare l’altra dozzina di colonne di
scartoffie che
costellavano il pavimento, ognuna delle quali alta almeno mezzo metro e
tutte disposte a mo’ d’ostacolo attorno ai banchi
di
sabbia, alle collinette e alle buche in plastica d’un set da
minigolf da ufficio.
– E Fulmine passa in vantaggio, a due giri dalla fine!
Dalla scrivania ingombra di mazze, palline, carte da gioco, riviste,
piatti e bicchieri vuoti, l'immagine tridimensionale d’una
folla accalcata in un ippodromo ruggì eccitata. Harlock
s’avvicinò in tre rapide falcate e spense il
proiettore
olografico.
– Ehi, tu! – Chīsanahito guardò in su
indignato – Ma come o…
Harlock incrociò le braccia sul petto, un cipiglio a dir
poco spaventoso sul volto sfregiato.
Chīsanahito sbiancò, fece un salto sulla poltrona e
lanciò un urlo stridulo.
– A-a-a-aiuto! – si mise a scavare tra le
cianfrusaglie
davanti a lui, alla disperata ricerca di qualcosa – Guardie!
Guardie! Ma dove diavolo è finito l’interfono?!
Daiba s’affiancò ad Harlock e squadrò
il
terrorizzato Ministro dalla testa ai piedi, sul volto uno sguardo truce
che non aveva proprio nulla da invidiare a quello del suo Capitano. Gli
occhi di Chīsanahito raggiunsero le dimensioni di due palline da tennis
nel posarsi su di lui. Si tolse gli occhiali, li pulì col
fazzoletto da taschino, li inforcò di nuovo e
s’appiattì contro lo schienale.
– Da-Da-Daiba?! S-s-sei davvero tu?!
Dalla tasca della giacca, il Capitano Zero tirò fuori un
paio di manette e si voltò.
– Signor Ishikura, a lei l’onore.
Ishikura sobbalzò. Il succo e il tramezzino fecero un altro
giro
di giostra nel suo stomaco e poi su per l’esofago. Doveva
aver
stampato sulla faccia un “davvero?” grande come una
casa,
perché il Capitano annuì, gli mise fra le mani le
manette
e lo spedì avanti con la pacca sulla schiena e il sorriso
benevolo che di solito riservava alle reclute più impaurite.
Ishikura fece un profondo respiro e raggiunse Harlock e Daiba davanti
alla scrivania.
Guardami, Minoru.
– In nome del Governo Federale Terrestre…
– Lascia perdere le formalità, soldato –
Chīsanahito
era ormai diventato tutt’uno con lo schienale della poltrona
e
agitava come un forsennato la mano destra, l’indice puntato
su
Harlock – Arresta quel pirata pazzo! Anzi, sparagli, prima
che ci
ammazzi tutti!
Ishikura oltrepassò Harlock e Daiba, fece scattare il
dentino delle manette e si sporse oltre la scrivania.
– … la dichiaro in arresto per alto tradimento,
cospirazione politica mediante associazione e banda armata, attentato
alla sicurezza, integrità, indipendenza e
sovranità della
Federazione, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio,
istigazione, favoreggiamento e complicità in crimini contro
l’umanità, terrorismo, strage, tentato omicidio e
sequestro di persona, Ministro Ichiro Chīsanahito.
Chīsanahito ansimò, un sorriso incerto sotto i radi baffetti
a spazzola.
– Cos’è – allentò
la cravatta sul
colletto spiegazzato e macchiato di sudore – Una candid
camera?
Divertente, divertente, ma ora basta, su, levatevi quelle maschere: un
bel gioco dura poco...
– E il suo è durato fin troppo, Chīsanahito
– Daiba
incrociò le braccia sul petto in una posa speculare a quella
di
Harlock – O forse dovrei chiamarla Odhrán?
– N-non capisco. Daiba, vecchio mio, ma di che parli?
– La smetta di fare il finto tonto, Chīsanahito –
Tetsuro
staccò un filo dall’orlo spiegazzato del suo
vecchio
poncio e lo soffiò via – Abbiamo le prove che lei
è
coinvolto nel Progetto Herakles.
– Hoshino, lo sapevo! Ci sei tu dietro tutto questo! Non
dargli
retta, Daiba, qualunque cosa t’abbia detto! Lo sai che quel
fanatico anti–progresso
mi odia… e
odia anche te perché tolleri i corpi meccanici! Vuole
metterci
uno contro l’altro per prendere il potere e vessare gli
onesti
cittadini meccanoidi della Federazione!
Se non fosse stato nauseato dalla sua bassezza, Ishikura si sarebbe
messo a ridere per l’assurdità di
quell’accusa.
– Ma davvero? – Yuki Kei mosse un passo avanti, gli
occhi
azzurri che fiammeggiavano – A me risulta che quello che ha
spedito una copia sotto controllo mentale di Harlock a far saltare una
colonia piena d’onesti cittadini della Federazione per
screditare
Tadashi e prendere il suo posto sia proprio lei.
– Kei, mia cara…
– E siccome non è bastato, ha pensato bene di
mandarla a eliminare fisicamente Tadashi, me… e persino Mayu!
Lo sguardo che gli lanciò avrebbe gelato le fiamme
dell’Inferno.
Se fosse stato destinato a lui, Ishikura era certo che se la sarebbe
fatta sotto e non sarebbe più riuscito a parlare per le
successive sei ore.
Chīsanahito, invece, spalancò le braccia e sorrise come un
vecchio zio un po’ tonto che non riuscisse a capire
perché
la sua nipotina preferita gli tenesse il broncio.
– Kei, mia cara ragazza, ma se non ho fatto altro che pregare
che
tu e la piccola tornaste a casa sane e salve! Non sai quanti appelli ho
lanciato da quando siete scomparse, quante…
Ishikura sollevò le manette.
– Mi porga i polsi, Ministro Chīsanahito.
Era nauseato. Amareggiato. Incazzato nero.
L’idea che suo padre e suo fratello fossero morti per colpa
d’un buono a nulla viscido, falso e codardo come quello era
insopportabile.
Invece di lasciarsi ammanettare in silenzio e mostrare che aveva almeno
un briciolo di dignità, Chīsanahito nascose le mani dietro
la
schiena.
– Non avete prove!
– Altroché se le abbiamo – Yattaran fece
dondolare
il suo modellino in su e in giù – Più
di duemila
fotogrammi video in Ultra HD 8K del suo faccione mentre comunica con un
laboratorio clandestino del Progetto Herakles nella periferia di
Megalopolis, una bella registrazione in cui fa i nomi di Kurai e Hell
Matia e per finire col botto la confessione spontanea resa dal suo
tirapiedi Sven Arngeir alias Thorn, ex Rosa Rossa.
Chīsanahito si passò le mani fra i capelli,
appoggiò la fronte sulla scrivania e gemette.
– E voi credete a quel farabutto? –
piagnucolò
– Una spia doppiogiochista, un assassino senza scrupoli!
È
stato lui a organizzare tutto… e… e… e
mi
ricattava!
Il Capitano Zero rigirò fra le mani il suo cappello senza
degnarlo d’uno sguardo.
– Il fatto che lei fosse coinvolto anche nel Progetto Rosa
Rossa
e nell’assassinio del vero Comandante Arngeir non
è certo
un’attenuante, tutt’altro. Al posto suo, farei
molta
attenzione con le parole, ma prego… s’alleggerisca
pure la
coscienza. Sarò ben lieto di ripetere ogni cosa che
dirà
davanti ai giudici della Corte Suprema Federale.
Ishikura provò un forte slancio d’affetto per lui
nel sentire tutto il disgusto che trapelava dalla sua voce.
Guardò verso Sylviana. S’era aspettato che avrebbe
inveito
contro il Ministro o addirittura che gli sarebbe saltata addosso al
minimo accenno ai Rosa Rossa, invece era stranamente tranquilla.
– Voi non capite! – Chīsanahito
sbatté i palmi
sulla scrivania – C’era la guerra! Bisognava
difenderci e
qualcuno…
– Doveva pur fare il lavoro sporco? – Tetsuro gli
rivolse
un ghigno amaro – Ci ha già pensato Thorn a
deliziarci con
questo ritornello. Ce lo risparmi. L’unica cosa che lei ha
difeso
su El Alamein sono stati la sua poltrona e i suoi privilegi. E per
quello che ha fatto dopo, non ha giustificazioni.
Ishikura non avrebbe potuto essere più d’accordo.
Si protese oltre la scrivania.
– Mi porga i polsi, Ministro.
Chīsanahito si ritrasse di nuovo.
– Non l’ho fatto apposta! Non volevo far del male a
nessuno, credetemi! – grosse lacrime rotolarono sulle sue
guance
e gli imperlarono i baffi – Non mi rendevo conto, non sapevo!
Anche Elpìs… non sapevo che ci fossero tutte
quelle
persone! Avevo sbagliato a segnarmi la data e pensavo che i coloni
sarebbero arrivati il giorno dopo! Volevo solo fare qualche danno per
rosicchiare un po’ di voti alle elezioni di settembre! Ve lo
giuro, è
stata una svista!
Ishikura si gelò con la mano a mezz’aria e la
manetta che
dondolava su una catasta di riviste sportive e ricevute di scommesse
ippiche.
Inghiottì il fiotto di bile che gli aveva inondato la gola.
Tutte quelle vite...
Una svista.
Non sapeva.
Guardò Chīsanahito. Dallo sguardo speranzoso e supplichevole
che
teneva puntato su Daiba, era evidente che per lui “non
sapevo” e “una svista” fossero
giustificazioni del
tutto valide e che pensasse di non aver fatto davvero nulla di male, in
fondo.
Ishikura serrò la presa attorno alla manetta fino a farsi
sbiancare le nocche.
Era sempre più nauseato, turbato nel profondo da quanto
dolore avesse potuto provocare la superficialità di
quell’ometto mediocre che non si rendeva nemmeno conto della
gravità delle sue azioni e delle loro conseguenze.
– E mandarvi contro l’Herakles non è
stata certo
un’idea mia! – Chīsanahito tirò
fuori dal
taschino il fazzoletto e si soffiò il naso – Sono
stati
quei tre mostri: Thorn, Lia Zone e Hell Matia! Io non volevo ammazzare
nessuno, meno che mai Mayu! Daiba, Kei, avanti, ma vi sembro capace di
far del male a una bambina?!
Daiba inarcò un sopracciglio.
– Se ben ricordo, quando avevo l’età di
Mayu, lei mi
fece togliere tutti i diritti civili, rinchiudere in carcere e
condannare a vent’anni di prigione a Porto Inferno
–
spazzò via un bicchiere di plastica e un mucchietto di
tovaglioli appallottolati da sopra la cornice d'una foto che sporgeva
dal bordo della scrivania e ne strofinò il vetro: in piedi
su
un’altalena, una Mayu di forse dieci anni rideva felice fra
lui e
Yuki Kei, che reggevano le corde – Ufficialmente
perché
qualcuno, forse, m’aveva visto scendere dalla nave di
Harlock… In realtà perché mi rifiutai
d'ucciderlo
per lei.
Chīsanahito s’afflosciò come un pallone bucato.
– Kirita...
Daiba posò la foto e lo mise a tacere con un gesto secco.
– Certo. La responsabilità è di qualcun
altro, come
sempre – si massaggiò la radice del
naso, gli occhi
chiusi, la voce stanca – Meglio se morto, così non
può ribattere. Sia come sia, potrà discolparsi
finché vorrà in tribunale. Signor Ishikura, per
favore,
proceda all’arresto. Qui ho del lavoro da fare.
Chīsanahito s’inginocchiò sulla poltrona e giunse
le mani.
– No, ti prego, Daiba! – frignò senza
ritegno
– È stata tutta colpa di quei tre e del Professor
Kurai,
te lo giuro! È vero, li ho riuniti io, ma poi hanno preso il
sopravvento! M’hanno obbligato a coprirli e fornirgli
informazioni! Mi tenevano in pugno, non potevo farci nulla!
Avevo… avevo paura!
Ishikura afferrò il polso destro di Chīsanahito lo
tirò verso di sé.
– Non poteva farci nulla? – serrò la
presa, fuori di
sé. Vedeva rosso, la voce gli usciva a fatica dalla gola
contratta – La tenevano in pugno? Bé, non era il
primo
né il solo!
Suo padre. Suo fratello. Tutte le persone i cui nomi erano finiti su
quella maledetta lista. Quei bambini su El Alamein.
Loro erano stati davvero in trappola, loro non avevano avuto scelte
né vie d’uscita.
Quanto alla paura che dovevano aver provato, gli scoppiava il cuore
già solo a immaginare di trovarsi al loro posto.
Chīsanahito lanciò un urlo stridulo.
– Ifiklìs! – si tirò
indietro, terrorizzato – Che ci fai tu qui?!
Ishikura lo mollò, interdetto.
M’ha scambiato
per Minoru? Ma cosa...
Poi capì, e il sangue gli ribollì nelle vene una
volta di più.
Stava davanti a quell’individuo da almeno dieci minuti, ma a
quanto pareva non s’era ancora degnato di guardarlo in
faccia.
Così come non s’era degnato di scomodarsi a capire
perché l’assistente d’un suo diretto
sottoposto non
si presentasse al lavoro da ormai più d’un mese. E
poi
l’aveva chiamato “Ifiklìs”, il
nome
“Ishikura” non gli aveva strappato la minima
reazione...
Minoru è
morto per colpa sua… e non si ricorda neppure il suo vero
nome!
Magari, non gli era neanche mai importato di saperlo.
Era troppo. Davvero troppo.
Serrò il pugno. Lo sollevò.
Era un ufficiale nello svolgimento delle sue funzioni.
Quello che stava per colpire sul naso era un Ministro della Federazione
e portava anche gli occhiali.
Non gliene fregava un fico secco.
Un vento caldo gli sfiorò i capelli, una luce
l’accecò, l’urlo di Chīsanahito gli
intronò
le orecchie e un acre odore di fumo gli riempì le narici.
Sbatté le palpebre e le manette gli caddero di mano.
Chīsanahito era riverso sulla poltrona, gli occhi rovesciati nelle
orbite, la bava alla bocca. Una chiazza rossa si stava allargando sulla
sua giacca attorno alla bruciatura tonda d’un colpo di laser,
poco sopra il taschino.
Ishikura si voltò.
Accanto a Marina, Sylviana soffiò sulla canna di una delle
sue pistole e la rinfoderò.
Ishikura girò lo sguardo sui presenti, sbigottiti quanto
lui.
Non sapeva che dire. Non sapeva che fare. Non sapeva che pensare.
Mosse un passo verso Sylviana, si bloccò, guardò
di nuovo
verso Chīsanahito con la speranza d’aver avuto
un’allucinazione.
Il Dottore lo oltrepassò di corsa.
– Sylviana – la voce gli uscì strozzata,
le spalle gli tremavano – Ma che hai fatto?!
Lei si ravviò una ciocca di capelli.
– Quel che andava fatto, Shizuo. Niente più,
niente meno.
Ishikura ripensò a quando aveva risparmiato Thorn,
nonostante tutto quello che le aveva fatto, nonostante fosse furiosa.
Un Boy Scout di mia
conoscenza m'ha fatto notare che per certe cose ci vogliono un
tribunale e magari anche delle prove.
E adesso aveva sparato a sangue freddo all’uomo che suo
fratello
aveva dato la vita per incastrare, quello che più di tutti
meritava di finire in un’aula
tribunale… e proprio mentre lo stava arrestando.
– Quel… quel che andava fatto? –
ansimò,
mosse un passo verso di lei – Quel che andava fatto?! Ma ti
rendi
conto...?
Gli mancarono le parole. Urlò di rabbia e frustrazione.
– Sei tu che non ti rendi conto, Shizuo...
– Non chiamarmi Shizuo, maledetta serpe! – le
andò
incontro a passo di carica, i pugni serrati, i denti stretti
–
Credevo che fossi una brava persona, nonostante tutto, credevo di
potermi fidare di te...
Qualcuno lo afferrò per un braccio. Si liberò con
uno strattone.
– E invece sei tale e quale a Thorn, anzi, peggio!
Sylviana trasalì, lo guardò a occhi spalancati, aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse subito.
– Un’assassina, egoista, bugiarda… a cui
non frega niente di nessuno!
Marina gli si mise davanti e gli poggiò le mani sul petto
per trattenerlo.
– Aspetta! Calmati, Ishikura!
La prese per le spalle e la spinse via.
– Dovevi vendicarti a tutti i costi, vero? – stese
la mano
verso Sylviana. Un passo ancora e l’avrebbe afferrata
– E
al diavolo se Minoru è morto per mandare quel bastardo in
galera, chi se ne frega di quell’idiota di Shizuo, chi se ne
frega della giustizia! “Sono solo parole”, per te, è tutto una recita!
Sylviana gli tirò qualcosa addosso.
Ishikura si fermò di riflesso e
l’afferrò a pochi
centimetri dal suo naso: qualcosa di piccolo e duro, freddo al tatto.
Qualcuno lo abbrancò da sotto le ascelle e
lo tirò indietro.
Lottò per liberarsi, ma quella persona aveva una presa
d’acciaio e gambe solide come colonne di marmo. Sylviana lo
guardò dritto negli occhi.
– Pensa quel che ti pare – gli voltò le
spalle – Io qui ho finito.
Premette il pulsante d’apertura e sparì oltre la
porta, in un mare di facce incuriosite.
La persona che lo aveva trattenuto lo lasciò andare. Era il
Capitano Zero.
– Se fossi in te le correrei dietro, Ishikura.
– Sì. Per arrestarla.
Sbuffò. Non aveva alcuna voglia di farlo.
Non voleva vederla. Non voleva parlarle. Non era certo di cosa le
avrebbe fatto se se la fosse trovata di nuovo davanti.
– Io darei retta al tuo Capitano, ragazzo – Harlock
girò attorno alla scrivania e si piegò accanto
alla
poltrona di Chīsanahito – E le chiederei scusa, visto che probabilmente ti ha salvato la vita.
Si tirò su. In mano reggeva una pistola con la sicura
disinserita. Una pistola carica.
Ishikura trasalì. Il suo stomaco si contrasse ancora e
ancora.
– Quando… – ansimò, il cuore
che gli pulsava nelle tempie – Come…
Daiba s'avvicinò ad Harlock e sfilò
dalla scrivania un cassetto dalle dimensioni d’un astuccio.
– C’è uno scomparto segreto proprio qui.
Anch’io ci tenevo la pistola, ma non pensavo che Chīsanahito
ne
avesse una.
Nemmeno Ishikura. Anzi, aveva dato per scontato che un tipo del genere
non sapesse nemmeno da che parte s’impugnasse
un’arma.
Tetsuro s’avvicinò al Capitano Zero.
– L’ha presa quando l’hai lasciato
andare, Shizuo
– gli strinse la spalla e sospirò –
Stavo per
sparargli anch’io, ma Sylviana m’ha preceduto.
Il Capitano annuì.
– È la prima volta che la vedo estrarre prima di
me o Harlock. E non credevo che avesse una mira così precisa.
– Può dirlo forte, Capitano! – il
Dottore
trangugiò un sorso dalla sua fiaschetta –
L’ha
beccato proprio fra la clavicola e la prima costa, e senza scalfire i
nervi e la succlavia!
Ishikura deglutì.
– Non l’ha…
– Macché! – il Dottore rise –
Gli ha fatto un
bel buco tra il deltoide e il pettorale, ma niente che non si possa
sistemare con qualche punto. È svenuto dalla paura, direi.
E lui si sentiva svenire dal sollievo.
– Comunque, ha esagerato – si mise a camminare avanti e indietro, nel disperato tentativo di rimanere arrabbiato e
ricacciare indietro il senso di colpa che già
s’affacciava in un
angolo remoto della sua mente – C’era proprio
bisogno di
sparargli al petto? Magari non avrebbe premuto il grilletto. O non avrebbe preso nessuno. E poteva anche parlar chiaro! “Quel che
andava fatto, Shizuo”… Ma che cavolo! Mica posso
leggerle
nel pensiero!
Marina gli si piantò di fronte a gambe larghe, lo
agguantò per il bavero della giacca e gli mollò
un sonoro
schiaffone.
– Sei un idiota, Ishikura! – lo lasciò
andare, le
spalle che tremavano – Non t’hanno insegnato, in
Accademia,
quanto sono pericolosi i principianti spaventati con un’arma in mano? Bé, quello era nel panico più
totale, e
tu gli stavi proprio davanti!
Ishikura la guardò a bocca aperta.
– Anch’io gli avrei sparato, se ne avessi avuto il
tempo materiale … e pur d’impedire che
t’ammazzasse, anche
solo per sbaglio, avrei mirato alla
testa, e al diavolo l’arresto, il processo e
tutto il resto! La vita di un mio compagno è molto più importante!
Una lacrima le scese sulla guancia. Il Capitano le cinse le spalle.
Yuki Kei le porse un fazzoletto.
– Lo sa perché Sylviana è riuscita a
sparare prima di tutti noi, Signor Ishikura?
Ishikura le fece cenno di no col capo, un nodo che gli serrava la gola.
La sua rabbia era già svanita, le sue gambe volevano seguire
il
consiglio del Capitano e di Harlock ma rimanevano lo stesso inchiodate
lì, pesanti come piombo. Quanto alla sua testa, era un caos
di
rabbia, ansia, rimorso e qualcos’altro che non sapeva
definire.
– Perché da quando siamo entrati ha tenuto gli occhi sempre puntati su lei e Chīsanahito e non ha mai staccato la mano dalla fondina. Quando lui ha
tirato fuori
la pistola, lei aveva già preso la mira da un pezzo.
Marina annuì.
– Ha pensato non solo a proteggerti, ma anche a fare in modo
che
il Ministro arrivasse vivo al processo, proprio come voleva tuo
fratello. Per tutto il tempo. E tu… tu le hai detto che non le importa niente di
nessuno, che è uguale a Thorn, che sa solo fingere
di provare dei sentimenti! Come hai
potuto?!
– Io – ansimò – Mi
dispiace…
Marina indicò la porta.
– Dillo a lei, non a me, razza di idiota!
Le sue gambe si sbloccarono. La sua mano premette il pulsante
d’apertura. Si tuffò nella folla assiepata nel
corridoio,
sgomitando per aprirsi un varco, pestando piedi, ignorando domande e
proteste. Nella hall, premette il tasto di chiamata di tutti e
sei gli ascensori. Più volte.
Quanto cavolo ci
mettono? Sono tutti guasti? Al diavolo!
Imboccò le scale. Perché diamine li facevano
così
alti e immensi, quei dannati edifici? E poi, Sylviana era tipo da
uscire dall’ingresso principale?
No, certo che no.
Si bloccò a metà della quarta rampa, la
risalì e
corse verso le prime scale antincendio di cui trovò
l’indicazione. Si diede dell’imbecille:
già che
c’era, avrebbe potuto scendere ancora un piano. Avrebbe perso
la
metà del tempo e si sarebbe stancato meno.
Spalancò la
porta con una spallata e l’allarme antintrusione
scattò.
Chi se ne frega!
La scala era deserta, la strada piena di gente su tutti i lati. Una
folla di curiosi s’assiepava attorno all’ingresso
principale presidiato da Grenadier con la sua squadra e un altro
nutrito gruppetto era accalcato proprio lì sotto, tenuto a
distanza da una delle tre squadre di supporto capitanate da Kaibara,
Nohara ed Eluder. Non riusciva a vedere il retro e nemmeno
l’estremità opposta dell’edificio, ma
là
c’erano le altre uscite.
Scese i gradini a due a due, il petto che gli faceva male, le cosce in
fiamme, i polpacci di gelatina. Arrivato in fondo alla rampa,
mancò il gradino e inciampò.
– Ishikura, ma che ci fai qui? – la voce di Eluder,
il suo
braccio metallico attorno al polso – Non dovresti essere...
– Sylviana – ansimò, la gola un inferno
di fuoco, le
tempie che pulsavano al ritmo del battito cardiaco. Si rimise in piedi
e si guardò attorno – Hai... per caso…
visto
Sylviana?
Eluder scosse il capo.
– Di qui non è passata –
inclinò la testa di lato – Ishikura, ma che hai
fatto?
– Devo trovarla – si diresse verso il cordone di
uomini – Trattienila, se la vedi! E chiamami!
– Usa la radio, no? – la sua voce lo raggiunse
mentre
già sgomitava fra la folla – Chiama Grenadier,
Nohara e
Kaibara alle altre uscite!
Ishikura avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Era quello che avrebbe dovuto fare fin da subito.
Tirò fuori la radio dalla tasca e
s’incamminò verso
l’entrata principale con tutti i sensi allerta. Intorno a
lui,
solo volti sconosciuti.
– Sylviana? Certo che l’ho vista – la
voce di
Grenadier era appena percettibile tra gli strepiti di sottofondo
– È uscita una decina di minuti fa, senza manco dirmi “crepa”. Che hai
combinato,
Rompiscatole? Stavolta mi sa che non ti basterà farle la
manicure…
Ishikura chiuse la comunicazione e si fermò. No. Non sarebbe
bastato.
Io qui ho finito.
La sirena di un’ambulanza lacerò l’aria.
Qualcuno lo
urtò, qualcun altro lo spinse di lato senza troppe
cerimonie.
Camioncini di troupe televisive stavano già manovrando
avanti e
indietro nel piazzale e la folla di curiosi migrò verso le
luci
della ribalta come falene attratte dal fuoco.
Tutti urlavano, tutti scattavano foto e filmavano, nessuno si
preoccupava di non stare tra i piedi ai suoi commilitoni e ai soccorritori.
E nessuno faceva caso a lui.
Accarezzò l’idea di tornare sui suoi passi,
svoltare
l’angolo e fare un giro dell’edifico, magari anche
dell’intero isolato. La scartò subito.
Sylviana era una spia addestrata e di sicuro sapeva come far perdere le sue tracce. In
una città come Megalopolis, poi, doveva essere un gioco da
ragazzi.
Si guardò le mani e si rese conto che nella destra stringeva
ancora l’oggetto che lei gli aveva lanciato contro per
fermare la
sua carica.
Aprì le dita. Sul suo palmo, i due anelli che Sylviana aveva
comprato quella fredda mattina di fine ottobre scintillarono sotto i
raggi d’un sole smorto, legati al loro nastro bianco ormai
tutto
sgualcito. Li tirò su e li rigirò fra il pollice e l’indice della mano sinistra.
All’interno di ognuno, qualcuno aveva inciso la scritta “S.
&
S.”. Nella stessa grafia, un bigliettino tutto accartocciato
e molliccio di sudore recitava: “A perenne ricordo
della nostra missione. L’altra S. – P.S: Non farti
idee
strane!”.
Alzò gli occhi al cielo percorso da nuvole grigie, proprio
come
quel giorno. Una folata gelida lo investì e gli sembrò
di
sentire la sua risatina sommessa, le sue braccia che gli cingevano la vita sotto
il cappotto.
Come spia e come attore
fai davvero schifo. Ma forse...
Sospirò, strinse fra le dita gli anelli e se li fece
scivolare in tasca.
Ti sbagliavi, Sylviana.
Sono proprio senza speranza.
S’incamminò verso l’ingresso del
palazzo.
Fra poco, Grenadier avrebbe iniziato a menar le mani per
l’esasperazione, qualcuno doveva pensare a far sgomberare la
via
per l'ambulanza e i cellulari, disporre un cordone di sicurezza, dirigere il trasporto… e al ritorno sulla Karyu,
l'avrebbero aspettato una sfilza di rapporti da leggere, scrivere e catalogare da far invidia alle pile di lavoro arretrato nello studio di Daiba. Chissà se al Dottore era avanzato un goccio di quel suo torcibudella... ne aveva davvero bisogno.
* L'ICD è un piccolo defibrillatore che viene alloggiato
nella
parte sinistra del torace e collegato al cuore tramite degli
elettrocateteri. Non appena il cuore varia in maniera anomala il
proprio battito, registra la variazione ed emette una scarica elettrica
correttiva, volta a ripristinare la normale frequenza cardiaca.
Penultimo
capitolo... non ci posso credere! Sempre che non debba scappare in
Alaska ora che l'identità del misterioso, temibile
(...) Odhrán
è stata svelata. Alla
prossima!
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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Capitolo 59 *** I semi del futuro che abbiamo sparso ***
cap 8
Un
passero cantò fra i rami della vecchia quercia e Tori
spiccò il volo alla sua ricerca.
Harlock si sfilò il guanto e fece scorrere la destra sul
tronco coperto di muschio.
Quell’albero era morto da decenni, ormai, tuttavia svettava
ancora solido sulla cima della collina come quando da bambino ci
s’arrampicava sognando di raggiungere le stelle.
Tutto uguale, tutto
diverso.
Si chinò a estirpare un vilucchio attorcigliato alla base
della croce ai suoi piedi e la sfiorò con la punta delle
dita.
Eccomi qua. Ci ho messo
un po’, ma sono tornato.
Un anno, due mesi e sei giorni.
Sospirò. Tornare su Futuria era stato difficile. Rientrare
nell’Arcadia ancor di più.
Nonostante il sole abbagliante che gli investiva le spalle e la
schiena, il gelo di quella sala computer sventrata e la sensazione di
solitudine che aveva provato nel rendersi conto che Tochiro se
n’era davvero andato per sempre lo fecero rabbrividire.
Spero che tu approvi la
mia decisione, amico mio, perché non è stato per niente
facile prenderla.
Si lasciò cadere all’indietro sull’erba
e chiuse l’occhio. Il cinguettio degli uccelli si
trasformò nel fischio della tormenta contro i pannelli
che coprivano la vetrata in frantumi della sua cabina, il prato soffice
nel pavimento duro e sconnesso sotto il suo sacco a pelo.
Dietro le palpebre chiuse, il pensiero che rimettere in funzione quella
nave non avesse ormai alcun senso, che il suo desiderio di farlo fosse
solo un’altra
fuga nel passato e le sue esitazioni un altro modo per tentare di
sfuggirgli s’affacciarono di nuovo alla sua mente.
Riaprì l’occhio, si sfilò
l’altro guanto e stese le mani contro l'azzurro del cielo.
Il calore del sole sui palmi era lo stesso della tazza fumante colma di
quell’intruglio che Maji e Yattaran chiamavano grog e delle
dita sottili di Mime strette attorno alle sue davanti al fuoco.
L’Arcadia non
è soltanto la tua nave, Harlock!
Già.
Si risollevò a sedere, piegò il ginocchio contro
il petto e rivolse i palmi verso la tomba.
Ed ecco il risultato,
amico mio!
Calli e duroni sotto ogni giuntura delle dita, tagli, bruciature e
abrasioni in vari stadi di guarigione su ogni centimetro dei palmi e
dei dorsi a ricordo di mesi e mesi passati a spalar neve, sgomberar
rottami, smontare componenti guaste e sostituirle con pezzi di
ricambio, stender cavi, saldare pannelli, avvitare grate, riparare
mobili scassati e grattar via polvere, grasso, segni di bruciature e
macchie d’olio più o meno da ogni cosa, incluso se
stesso.
E sai una cosa? Mi
è piaciuto. Ora capisco perché eri sempre
così allegro, dopo aver trafficato coi tuoi macchinari.
Anche se la sua schiena, le sue ginocchia e diversi altri punti del
corpo di cui un tempo ignorava persino l'esistenza non erano affatto
d’accordo, essere così impegnato e stancarsi
così tanto da non avere il tempo di tormentarsi
coi soliti, cupi pensieri era stato rilassante.
Per dirla come Yattaran:
"Svegliarsi all’alba come un gallo, lavorare come un mulo,
mangiare come un leone e dormire come un ghiro… questa
sì che è vita!"
E a volte gli era capitato persino di sorridere, senza ombre, proprio
come un tempo.
Poi era arrivato il momento d’avviare il computer e accendere
i motori. Aveva stretto fra le mani le barre lisce e odorose di cera
del timone… e anche se tutto era proprio come prima, niente
lo era stato più davvero: il grido dei rotori, la vibrazione
del pavimento, la resistenza della guida… Tutto uguale,
tutto diverso.
Avevi ragione tu. Ogni
cosa si può riparare o sostituire, tranne le persone.
E l’Arcadia, per lui, era stata anche e soprattutto quello.
Sospirò.
Non è
più la nostra nave, amico mio. Ma non sono
triste… e nemmeno pentito.
Adesso, l’Arcadia era la nave di Mime e Masu, di Maji e Mayu,
di Yattaran e del Dottore, di Yuki e Tadashi e di tutti quelli che
l’avevano aiutata a spiccare di nuovo il volo.
È cambiata.
Come tutti noi… come me. Ma non vuol dir forse anche questo,
vivere?
Respirò a pieni polmoni. L’aria era fresca e
carica del profumo di viole, erba e terra bagnata.
Scostò la falda del mantello, aprì la bisaccia e
tornò ai piedi della vecchia quercia.
Nel suo cartoccio, il pugno di terriccio era umido e soffice contro
il palmo e il germoglio che aveva coltivato durante il
viaggio era alto appena cinque o sei centimetri, ma le foglie erano
d’un verde così brillante da sembrar finte.
Sarebbe cresciuto al riparo del vecchio albero, ci si sarebbe
appoggiato e alla fine l’avrebbe scalzato e se ne sarebbe
nutrito fino a sostituirlo del tutto.
E una nuova generazione
crescerà all’ombra della nostra e un giorno la
sostituirà, però...
– Harlock!
Mayu emerse dal versante sud del pendio e si piegò senza
fiato, le mani sulle ginocchia, l’ocarina che penzolava sopra
due mazzolini di fiori malconci, i pantaloni e gli stivali macchiati
d’erba e terriccio fin sotto il ginocchio. Tirò su
la testa e lo squadrò sospettosa.
– Non vorrai mica farlo senza di me, vero?
Harlock scosse il capo, sollevò verso di lei il germoglio e prese dalle sue mani il mazzetto ridotto peggio.
Posarono i fiori ai piedi della croce e s’accosciarono fra le
radici della vecchia quercia. Non ci misero molto. La pianticella era
piccola, il terreno umido e soffice. Le loro dita
s’incontrarono nel premerlo tutt’intorno a quel
fusto sottile come un rametto.
– Capitano – la voce di Yuki –
È andato bene il viaggio di ritorno?
Harlock s’alzò, strofinò i palmi sul
didietro dei pantaloni, le andò incontro e tese la sinistra per
aiutarla a salire l’ultimo tratto di pendio, visto che era
ripido e scivoloso e lei aveva il braccio destro occupato.
– Ti risponderò quando ti deciderai a chiamarmi
Harlock. Non sono più…
Lei strinse forte le sue dita e gli sorrise radiosa.
– Tu sarai sempre il mio Capitano… Harlock.
Una parte di lui, quella che odiava con tutto se stesso, gli
sussurrò che avrebbe ancora potuto averla.
No.
In ogni donna, lui avrebbe sempre cercato Maya e Yuki meritava la
felicità che aveva già trovato accanto a un uomo
che non inseguiva fantasmi del passato.
– È andato bene.
La tirò su e lei lasciò andare la sua mano. Il
sorriso lasciò il posto a una smorfia di disappunto.
– Mayu! Quante volte te lo devo dire di non correre a quel
modo? Vuoi romperti l’osso del collo, per caso?
Mayu incrociò le braccia dietro la testa, imbronciata.
– Uffa, Yuki! Smettila di trattarmi come una bambina! Ho
quindici anni, ormai: sono una donna!
Yuki la squadrò dalla testa ai piedi.
– Allora comportati come tale – sbuffò
– Ma guardati... sei tutta sporca di terra!
Lei rise.
– Non penso che gli altri si formalizzeranno. Rilassati,
Yuki! Siamo in famiglia, mica a uno di quei vostri noiosissimi pranzi
di lavoro...
– Già – la fronte di Yuki si
spianò – Ma ciò non toglie che tu stia
diventando un vero maschiaccio, Mayu! Diglielo anche tu, Capitano!
Lui la trovava incantevole: guance rosse, un sorriso innocente sulle
labbra delicate di Emeraldas e una luce vivace negli occhi scuri e
intelligenti di Tochiro.
Aveva pensato d’averli perduti per sempre...
Che sciocco. In ogni
germoglio c’è sempre qualcosa
dell’albero che l’ha generato.
– Capitano... Harlock!
Ritornò in sé al suono della voce di Yuki e al
movimento del suo braccio che gli strattonava la manica.
– Ti perdi ancora nei tuoi pensieri, eh? Certe cose non
cambiano proprio mai.
Un lieve movimento nell’incavo del suo braccio destro gli
fece pensare che invece molte cose cambiavano, nella vita: alcune
laceravano il cuore, altre lo colmavano di gioia.
Si chinò su di lei e scostò i
lembi della coperta che avvolgeva il bambino.
Anche se gli avevano dato il suo nome, Phantom Harlock Daiba gli
somigliava ben poco: era un bimbetto paffuto, roseo e tranquillo, coi
capelli ribelli di Tadashi e i colori di Yuki.
Per nulla intimorito dalla sua altezza, dalla cicatrice e dalla benda
nera, tese le braccine con un gorgoglio, gli afferrò una
ciocca della frangia e tirò per farlo avvicinare ancora di
più.
– E così – Harlock liberò i
capelli, con qualche difficoltà: quel bimbo aveva una presa
d'acciaio e una tenacia impressionanti, per essere ancora tanto piccolo
– Tu saresti il mio figlioccio, eh?
Guardò Yuki.
– Ti somiglia.
Come sempre, le sue parole, il suo tono e il suo atteggiamento non
riuscivano a esprimere neppure un’infinitesima frazione
dell’emozione che provava. Come sempre, Yuki doveva aver
capito lo stesso, perché glielo porse, rossa in viso e con
gli occhi lucidi.
– Vuoi tenerlo un po’, Capi… Harlock?
Erano passati quindici anni dall’ultima volta che aveva preso
in braccio un bambino così piccolo, eppure il ricordo di
Emeraldas che gli metteva per la prima volta Mayu fra le braccia
riaffiorò vivido e intenso nel sentire il peso e il calore
di quell’esserino passare dalle mani di Yuki alle sue.
Proprio come allora, qualcosa emerse prepotente dalla parte
più profonda della sua anima e seppe con assoluta certezza
che quello era l’inizio di qualcosa che sarebbe durato tutta
la vita.
In fondo, non
c'è bisogno d’un vero e proprio legame di sangue
per sentirsi parte d’una famiglia... dico bene, amico mio?
Guardò verso la croce. Proprio in quel momento, il pianto
disperato d’un altro bambino echeggiò fra i rami
insieme alla voce di Tadashi.
Aveva un tono stranamente supplichevole e Harlock si sporse a guardare
oltre il ciglio della collina.
L’eroico Primo Ministro del Governo Federale Terrestre
arrancava lungo l’altura, un fagottino rosa strillante che
gli si dimenava fra le braccia. Mayu s’affacciò a
sua volta e ridacchiò.
– Mirai ha proprio deciso di farlo ammattire. Poveraccio,
scommetto che non era questo, il futuro che immaginava!*
– Mayu!
– In effetti, nessuno di noi se l’aspettava
– Il Dottor Zero s’inerpicò lungo
l’ultimo tratto della salita, si diede un paio di colpetti
sulle spalle, posò a terra la borsa che portava a tracolla e
si stiracchiò – Io e Masu avevamo quasi perso le
speranze, ormai... vero, Mi?
La gatta saltò fuori dalla tasca del suo camice, si
strusciò contro la caviglia di Yuki e andò ad
acciambellarsi al sole con uno sbadiglio indolente.
– E invece... bang! Due in un colpo solo! –
Yattaran arrivò a tutta birra, per nulla stanco per
l'ascesa, e prese a correre in circolo attorno a Yuki – E
alla prima botta, anche! Quello scemo non è un uomo,
è una doppietta di precisione!
– Yattaran! – Yuki era rossa come un peperone
– Ma che dici?!
– Avrei dovuto scommettere di più sul loro primo
anno – Maji aiutò Mime a superare una lieve
sporgenza e allargò le braccia – Lo quotavano otto
a uno, un punto in più in caso di gemelli; con appena cento
crediti sarei stato a posto per... ops!
Yuki girò lo sguardo dall’uno all’altro
dei suoi ex sottoposti, paonazza.
– Avete fatto scommesse su... su questo?
Yattaran sogghignò.
– Eh, se solo sapessi!
– E chi ha vinto? – Mayu evitò per un
soffio uno scappellotto dietro la nuca e si rifugiò dietro a
Yattaran – Qualcuno ha fatto jackpot?
Maji si limitò a guardare Mime che, con assoluta
nonchalance, tirò fuori dallo scollo della tunica una
fiaschetta di metallo e bevve un lungo sorso che la fece risplendere
come una stella.
Si misero tutti quanti sul bordo della collina ad aspettare Tadashi,
che arrivò dopo altri sei o sette minuti buoni, rosso in
viso, sudato e così rigido da sembrare ingessato.
– Oh, insomma, Mirai, sta’ buona – la sua
espressione impacciata e preoccupatissima mentre cullava la figlioletta
era davvero comica – Cosa c’è? Hai fame?
Hai freddo? Hai mal di pancia? Accidenti, ma
quand’è che inizierai a parlare?!
La sollevò in alto, se la poggiò contro la
spalla, le massaggiò la schiena e lo stomaco,
provò a distrarla con versi e smorfie: niente.
– Va avanti così da quando siamo usciti
– rise Mayu – Un vero strazio!
– Avanti, Mirai... smettila, ti prego!
Le urla aumentarono d’intensità e il povero
Tadashi si guardò attorno, smarrito come neanche il primo
giorno nello spazio. Per metà impietosito e per
metà divertito, Harlock partì in suo soccorso.
Affidò il suo biondo, sorridente omonimo a Mayu e
s’avvicinò a Tadashi.
Passò il braccio sotto al suo, prese la bambina, le fece
poggiare la testa nell’incavo del suo avambraccio e la
cullò adagio canticchiando quella vecchia canzone. Il pianto
s’arrestò di colpo; la piccola lo
guardò attenta coi suoi grandi occhi
castano–verde, l’ascoltò rapita per
qualche minuto e s’addormentò, i pugnetti chiusi
sotto il mento e l’aria beata.
Mayu sbuffò dal naso, le lacrime agli occhi mentre si
sforzava di non scoppiare a ridere in faccia a Tadashi, che osservava
lui e la bambina a bocca aperta.
– Ma tu guarda – Tadashi si ficcò le
mani in tasca e gli rivolse lo stesso broncio indispettito di
quand’era un ragazzino – Se vuoi te la regalo,
Harlock.
Yattaran rise.
– Eh, l’ho sempre detto, io: il Capitano ci sa
proprio fare, con le donne! Da zero a cent’anni, sono tutte
innamorate di lui!
Yuki posò una mano sulla spalla di Tadashi.
– È perché lui è tranquillo
– ridacchiò – Mentre tu, quando prendi
in braccio Mirai, hai la faccia di uno che stia cercando di
disinnescare una bomba a orologeria.
Tadashi incrociò le braccia sul petto.
– Per forza: ha un caratteraccio impossibile, quella bambina!
Mi chiedo da chi abbia preso!
Yuki, Mayu, Mime, Maji, Yattaran e il Dottore si guardarono
l’un l’altro, fissarono prima lui e poi Mirai e
scoppiarono a ridere. Il broncio di Tadashi si fece più
pronunciato.
– Bé? Che vorrebbe dire questa pantomima?
– Che i frutti non cadono mai lontano dall’albero,
Tadashi – ghignò Harlock – E dato che
Yuki è una persona calma e posata...
– Oh, no, Harlock! – Tadashi si grattò
la nuca – Non ti ci mettere pure tu!
Li squadrò tutti con aria offesa, poi non riuscì
più a trattenersi e scoppiò a ridere anche lui.
Anche Harlock si sorprese a sogghignare mentre osservava incantato il
visetto tondo di quei due bambini in cui già si vedevano,
fusi in un’incredibile, magnifica mescolanza, i tratti dei
genitori.
Proprio come semi...
volano verso il futuro portando dentro di sé il legame con
il passato, il ricordo dell’amore che li ha generati.
Si sentì commosso e pensò una volta di
più che quello era il vero miracolo, la vera
immortalità per un essere umano.
E noi abbiamo il dovere
di fare da ponte fra passato e futuro, di nutrirli, guidarli e
proteggerli finché non prenderanno il nostro posto. Un giorno, i semi che oggi abbiamo sparso diventeranno dei grandi alberi, e noi potremo riposare alla loro ombra...
– Aaah! Che vedono i miei occhi?! – un grido
poderoso quanto stridulo lo strappò dai suoi romantici
pensieri – Mayu! Harlock! Disgraziati! Come osate toccare i
miei piccoli con quelle manacce sudicie?!
Per nulla affaticata dagli anni e dalla salita, Masu posò a
terra un cesto da pic-nic grande quanto lei, schizzò fra
Maji e il Dottore e andò a piantarglisi di fronte, gambe
larghe e mannaie in pugno.
– Non lo sapete che i neonati sono delicatissimi? –
le due lame, sfregate una contro l’altra, sferragliarono ed
emisero sinistre scintille – Filate a lavarvi quel lerciume
di dosso o giuro che vi faccio a fettine sottili sottili, vi metto a
marinare tutta la notte in acqua e limone e poi vi cucino alla marinara
col peperoncino di Cayenna!
– Tutte le donne sono innamorate del Capitano, da zero a
cent’anni – Yattaran stese la tovaglia, si sedette
sull'erba accanto al cesto e tirò fuori dalla bisaccia che
portava alla cintola il modellino d’un incrociatore Federale
– Con un’unica eccezione...
– Già – il Dottor Zero
s’accomodò accanto a lui a gambe incrociate,
aprì la sua borsa colma di bottiglie, ne stappò
una e si concesse un’abbondante sorsata – La stessa
eccezione alla regola che vuole che lui non fugga mai di fronte al
nemico.
– A questo punto – Maji sollevò un dito,
serissimo – Ci sarebbe da dubitare che Masu sia una donna.
– Secondo me, non è neanche umana.
– Piantatela di dire corbellerie, cialtroni! – Masu
si girò a fronteggiare il trio – Soprattutto tu,
Dottore da strapazzo! È così che vegli sulla
salute dei nostri nipotini? Ma io quelle bottiglie te le spacco tutte
in testa, hai capito?!
Il Dottore s’alzò, si mise davanti alla borsa e si
rimboccò le maniche.
– Non provarci nemmeno, vecchia megera! Mi sono costate un
occhio della testa e le due in mezzo sono per il Capitano: devo
mantenere la promessa d’offrirgli da bere e pagare la
scommessa su Yuki e Tad... ops!
Yuki sgranò gli occhi.
– Dottore… Harlock! Anche voi?!
Il Dottore prese una bottiglia, la stappò e
ridacchiò.
– Non te la prendere, Yuki! Scommettere su tutto è
una nostra tradizione, lo sai – tirò fuori una
pila di bicchieri di carta e li riempì – E a tal
proposito, propongo un brindisi a Taro, Kiddodo e Doskoi.
Calò il silenzio mentre ognuno prendeva il proprio bicchiere.
Harlock sollevò il suo.
– A Taro, Kiddodo e Doskoi, allora –
guardò in alto e poi verso la tomba – A tutte le
vittime di quell’incubo… e a tutti coloro che
hanno dato la vita per farlo finire.
– Prosit.
– Prosit.
Vuotò il bicchiere d’un fiato. Era un vino
delizioso, ma gli lasciò un gusto amaro in bocca.
Erano morti davvero in tanti… non solo per salvare lui,
certo, ma anche
per quello.
Abbassò il bicchiere.
Vi onorerò
vivendo al massimo delle mie possibilità, giorno dopo giorno, non come l'eroe
che avrei voluto essere, ma come me stesso.
– Che fai, pirata da strapazzo? Cerchi già di
traviare la mia figlioccia con le tue pessime abitudini?
Alla testa del suo gruppetto d’ufficiali, Zero gli rivolse un
cipiglio minaccioso. Harlock lo ricambiò con un ghigno sprezzante.
– Senti chi parla – guardò con
ostentazione l’orologio e restituì il bicchiere
vuoto al Dottore – Sarà almeno mezz’ora
che t’aspettiamo, soldato da operetta.
Cos’è, ti sei perso per l’unico sentiero
che porta quassù?
Gli tese la mano libera. Lui l’afferrò, la
strinse proprio dove le sue nocche erano più ammaccate e
prese Mirai dalle sue braccia.
– Eccoti qui. Spero davvero che il futuro sarà radioso per la
tua generazione, piccola.
Un
giuramento.
Non c’era bisogno di parole né della comunione
mentale generata da una macchina per capirlo: bastava il suo sguardo in quel momento, lo stesso di quando aveva stretto al petto la famiglia che non aveva saputo proteggere e non avrebbe mai più riavuto.
Harlock gli diede una pacca sulla spalla.
– La nostra è vissuta in mezzo alle guerre, ma
saprà regalare la pace alla sua, ne sono sicuro –
serrò le dita attorno al suo omero e ridacchiò soddisfatto
quando trovò il nervo sovrascapolare – Detto questo, non osare
mai più ignorare una mia domanda.
Zero sobbalzò e si liberò con una scrollata.
– Non mi sono perso io
– grugnì – Ho perso un
uomo.
Grenadier gli mollò una poderosa manata sulla schiena ed
esplose in una risata.
– Io te l’avevo detto, Zero: ci vuole il
guinzaglio, con quel rompiscatole!
Eluder si strofinò il mento.
– Davvero? Quando non è con te, di solito
è affidabile e molto puntuale, quindi magari non
è lui che dovremmo tener sotto controllo.
– Fino a prova contraria, io sono qui e lui no. E poi non
è affatto vero che ho una cattiva influenza!
Semmai sei tu che...
Rai si mise in mezzo.
– Non cominciate nemmeno, ragazzi – le sue braccia
corte e la sua statura non lo aiutavano certo a tener separati quei
due – E soprattutto non urlate, che ho un mal di testa
infernale!
– Forse avremmo dovuto andarlo a cercare a casa –
Marina si torse le mani – Non vorrei che gli fosse successo
qualcosa.
Tetsuro fece capolino da dietro la sua schiena e si tolse il
cappello.
– Non rispondeva nessuno, ve l’ho già
detto. Avrò suonato per almeno un quarto d’ora, prima di raggiungervi.
Kaibara tirò e
lisciò uno dei suoi lunghi baffi.
– Non credo che corra pericoli, a parte quello di crollare
per la stanchezza – andò ad accomodarsi accanto al Dottor Zero e tirò fuori dal taschino la sua pipa – Anzi, tra il
processo, la stampa, tutte le cerimonie che s’è
dovuto sorbire nell’ultimo mese e quegli altri impegni di cui
non ha voluto dir niente a nessuno, mi sa che è proprio quel
che è capitato. Starà dormendo come un sasso
buttato da qualche parte e non lo sveglierebbe nemmeno un terremoto,
figuriamoci il ronzio della trasmittente o del campanello.
Mayu abbandonò il suo rifugio dietro la schiena di Yattaran, afferrò un bicchiere e lo riempì.
– Se una certa ex-spia, ex-cacciatrice di taglie
l’ha trovato dove le avevo consigliato di fargli la posta,
temo che invece dormirà ben poco, poverino! –
ridacchiò – Io non lo cercherei e non lo
aspetterei per altri due giorni, come minimo.
Harlock si grattò la nuca. “Sorriso
innocente”, aveva pensato?
In quel momento la sua espressione era identica a quella di Tochiro
quando lo prendeva in giro con le sue illazioni maliziose e i suoi
doppi sensi… e pareva proprio godersela almeno quanto lui.
Sospirò. Il sospetto che sarebbe rimasta una bambina ancora
per poco s'intensificò nel vederla porgere il bicchiere a Tetsuro e afferrargli gioiosamente il braccio.
– Come, come? Sylviana e Ishikura…?
– Ehm… Grenadier, lo so che lei ti piaceva,
ma…
– Evvai! – Grenadier levò in alto il
pugno in un gesto di trionfo – Lo sapevo che
quell’asino ce l’avrebbe fatta! Sganciate, gente!
Zero osservò il suo equipaggio metter mano al portafogli tra mormorii di scontento e mise Mirai fra le braccia di Marina.
– Pare che le pessime abitudini del tuo equipaggio e le loro
turpi “tradizioni” si siano trasmesse al mio
– scrocchiò le dita – Come pensi di scusarti, pirata
da strapazzo?
Il cuore di Harlock accelerò il battito,
l’adrenalina cominciò a pompare nelle sue vene.
Si mosse verso la quercia, un ghigno di sfida già a
increspargli le labbra come se fosse la cosa più naturale
del mondo, le membra leggere e le mani che gli prudevano come quando s'erano scontrati la prima volta, quasi vent'anni prima.
– Scusarmi? Io? Devo aver capito male, soldato
idiota – sfoderò la Gravity Sabre e gli fece cenno
di farsi sotto – Forse volevi supplicarmi, in ginocchio e in
tutta umiltà, d’insegnarti una volta per tutte
come si tira di scherma in modo decente?
Zero si fermò a dieci passi da lui, la solita espressione
strafottente e sicura di sé stampata sul viso.
– Oh, vedo che non ti sei dimenticato del nostro piccolo
conto in sospeso – sfoderò la sua arma e si
esibì in un saluto da manuale – Stavolta non
finirà in pareggio, perciò te lo dico fin da
subito: non metterti a piangere, quando finirai col culo per terra.
– Vale anche per te. Non chiamare la mamma quando quella spada ti
volerà via di mano perché non riesci a starmi
dietro.
Harlock sollevò la lama. Zero si mise in guardia.
– Nei tuoi sogni!
Si lanciarono uno contro l’altro.
* Il nome
“Mirai” (未 来) significa "futuro".
E... fine! Finalmente!
Alla fine non ce l'ho fatta e lo zucchero è abbondato, ma un
lieto fine per tutti (o quasi) ci stava, no? :)
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Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
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