Solo un brutto sogno.

di eleanor89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** II ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Longfic di tre capitoli, ispirata dalla oneshot “Panda” di Coco Lee, che consiglio caldamente a tutti di leggere, per una ventata di dolcezza

Longfic di tre capitoli, ispirata dalla oneshot “Panda” di Coco Lee, che consiglio caldamente a tutti di leggere, per una ventata di dolcezza. [Non è necessario comunque averla letta prima.]

Come sempre, le storie di Lee fanno nascere in me l’ispirazione, motivo per cui resta sempre una delle mie autrici preferite, oltre ovviamente alla sua bravura a prescindere dalle mie reazioni da invasata.

Il pezzo prima del titolo è tratto proprio dalla sua shot, ed è ciò che mi ha ispirato la storia, motivo per cui alla fine di tutto mi prenderete per psicopatica, se darete un’occhiata a Panda. Anche perché persino Lee era sconvolta, ma io vado ad associazioni libere, ed il fatto che non ho mai visto film Disney da bambina deve avermi segnata, che vi devo dire.

Inutile dirlo, la Lee sa di questa fiction e approva, e mi ha concesso l’uso dei suoi personaggi. E io la ringrazio, perché anche se sono sempre pigra oppure occupata e finisco col recensire poco, e andrei bruciata per questo, amo davvero tutte le sue storie, e gli universi immaginari in cui mi lancia con la sua estrema bravura. E la ringrazio anche perché mi lascia sempre scrivere spin off per le sue storie e mi incoraggia.

E la ringrazio perché alle volte, senza motivo, ascolta i miei scleri quando magari sono giù, nonostante non sia venuta a farlo, e sa vita morte e miracoli dei miei problemi con l’esame di ammissione, o del ragazzo che mi piace, o cose simili. La ringrazio, perché Lee è Lee, e a me piace Lee. 

 

Questa storia è per te.

E per chiunque abbia apprezzato: “per essere immortale.”

 

 

 

 

 

“Hai fatto un brutto sogno, Shin?” chiese l’uomo sorridendo al bambino che cercava di aiutarlo per i sensi di colpa.

“Era da un po’ che non facevi la pipì a letto..” constatò il jonin prendendo le lenzuola e portandole nel cesto dei panni sporchi.

Shin lo guardava con timore, torturandosi le manine e osservando il tappeto della camera che improvvisamente era diventato interessantissimo; Shikamaru si inginocchiò davanti a lui, scrutandolo da vicino e invitandolo a parlare con lo sguardo.

“Ho fatto un brutto sogno.. c’era.. c’era un uomo cattivo che.. che voleva fare male a me.. e alla mamma.. ma tu non c’eri a casa papà, e io.. io avevo tanta, tanta paura.. e allora..”

“Ma Shin nessuno mai ti farà del male!” gli disse Shikamaru guardandolo con sguardo ironico e divertito.

“Neanche alla mamma?” chiese il bambino sfregandosi gli occhi con la manica del pigiama.

“Neanche a lei, ometto!”

 

 

Solo un brutto sogno.

 

 

 

 

Naruto si stava divertendo parecchio a far ruotare per aria una bella bambina dalle lunghe trecce castane, che rideva spensierata.

«Naruto, per quanto ancora intendi giocare con mia figlia?» borbottò Neji, imbronciato nel vedere la sua unica bambina dare confidenza a quello lì.

«Non è colpa mia se preferisce me a te.» lo stuzzicò Naruto, facendogli una linguaccia. La piccola rise più forte.

«Che cosa?» si innervosì lo Hyuga all’istante, alzandosi in piedi. Naruto mise giù la bambina, che corse ad abbracciare il padre.

«No, papi! Mai-chan preferisce te!» lo rassicurò teneramente lei, tirando la stoffa dei pantaloni del padre e sorridendo in modo irresistibile. Neji cedette, e la prese in braccio.

«Tutta tua madre, piccola furba… Uzumaki, quella peste di tuo figlio, piuttosto?»

«Yuu è con Shin, non li vedi?» li indicò divertito, mentre i due bambini complottavano qualcosa, sporchi di fango sino alle ginocchia.

«Beh, gioca con lui.»

Improvvisamente due grida stridule riecheggiarono per il parco, facendo fuggire via tutti gli animali, ed anche qualche adulto.

«Naruto!» urlò la voce pericolosamente simile ad un ringhio di Sakura.

«Shikamaru Nara!» ululò Ino.

«Neji, possiamo andare.» dichiarò Tenten tranquilla, passando accanto al marito e infilando una borsa a tracolla. Neji ringraziò il cielo per non aver sposato una isterica e la seguì.

Naruto e Shikamaru invece strinsero convulsamente un bracciolo della panchina, sorridendo nervosi alle rispettive mogli. Sakura fu la prima a farsi avanti, strattonando Naruto.

«Tuo figlio è sporco di fango sino al collo!» lo aggredì, fulminandolo con un’occhiataccia. «Meno male che dovevate controllarvi voi oggi! “Hokage rispettabile” un paio di balle!»

«Tu non ceni stanotte.» decretò Ino, lapidaria.

«Ma che c’entro! Shin è appena fuggito via, lo sai come sono i bambini…» tentò Shikamaru.

«Non riesce neanche a controllarne uno solo, figuriamoci due…» mormorò Ino rivolta a Sakura, che alzò le spalle mentre trascinava via Naruto. «Nara, prendi tuo figlio e fagli un bagno.» ordinò.

«Sei una Nara anche tu.» le fece presente l’uomo, alzandosi svogliatamente e sbuffando. Poi si bloccò di colpo, tornando a guardarla. «Figuriamoci due?» ripeté come folgorato.

Ino scosse la testa, scocciata. «Non sono incinta.»

«Ma ne vorresti un altro?» non si arrese lui, costringendola a voltarsi verso di lui e scrutandola con occhi seri. «Ino, se vuoi…»

«Non mi sembra il luogo adatto.» lo interruppe lei, facendo un cenno con la testa rivolto alle coppie e ai bambini che gironzolavano per il parco.

«Giusto.» concordò Shikamaru con un mezzo sorriso, che poi si allargò fino a diventare un ghigno, «Ma stasera ne riparliamo.»

Ino non poté impedirsi di sorridere e annuì.

Shikamaru la superò con rinnovata lena, nel tentativo di riacciuffare il bambino che a contatto con il piccolo Uzumaki diventava pestifero quanto l’altro. E non appena smise di essere osservata, il sorriso le gelò sulle labbra.

Si guardò attorno mentre portava la tracolla della borsa sulla spalla, e seguì il marito.

Poi, con un sussulto, notò che il piccolo Yuu la fissava insistentemente, cogliendo ogni suo più piccolo particolare. Tornò a sorridere rassicurante, ben conscia che il piccolo aveva ereditato sì l’aria innocente di Naruto, ma anche l’intuito di Sakura. Gli occhi verdi della madre erano in quel visino angelico, che continuavano ad inchiodarla lì a chiedersi quanto avesse già notato e quanto potesse sapere.

La sua visuale fu coperta da Naruto, che lo sollevava come un sacco di patate mettendoselo in spalla e facendolo ridere. Ino si diede dell’idiota nel sentire quel suono così infantile: era solo un bambino, e lei era paranoica.

Sicura?

Il fatto che fosse la voce di Sakura quella che sentiva nella sua testa, testimone forse di un esaurimento nervoso o più probabilmente dello stress eccessivo che avrebbe potuto portarla ad averlo, non la rassicurò affatto.

 

«Cos’è quello?» domandò Ino, e dovette farsi forza perché la voce non le tremasse, mentre indicava un foglio sulla credenza, accanto ai piatti sporchi da lavare. Shikamaru, con il piccolo Shin sulle spalle, seguì il suo sguardo e annuì.

«Oh, quello. Una missione, come sempre, neanche fossi l’unico stratega nella terra del fuoco… Che seccatura.» borbottò l’uomo, facendo volare con un piccolo salto il bambino, che si aggrappò più forte a lui, ridacchiando.

«Prepari di nuovo una super tattica, papà? Così arrivano più soldi!»

I due genitori si scoccarono due medesime occhiate scioccate.

«E queste cose chi te le dice?»

«Mai-chan.» rispose senza esitazione.

«Quella bambina mi preoccupa…» mormorò Shikamaru con un mezzo sorriso. Poi notò l’espressione della moglie. «Ino, starò via solo qualche giorno.» si affrettò ad aggiungere.

Il silenzio piombò sulla cucina, da parte di madre e figlio.

Gli occhi azzurri di lei incontrarono quelli cioccolato del figlio, zitto, in attesa delle sue prossime parole.

«Giorni?» ripeté Ino, senza smettere di guardare il bambino.

Shikamaru rafforzò la presa su di lui con una mano, cominciando a sentirsi a disagio. «Giorni, sì. A volte sono stato via mesi, che c’è che non va?» attese per qualche secondo una risposta che non giunse, e continuò, «Non è che mi state nascondendo qualcosa, vero?».

Le labbra di Ino si aprirono in un risolino, che era poi una risata isterica, ma che lei si preoccupò di nascondere dietro una mano. «Paranoico, è solo che… beh, ci mancherai.»

Anche Shikamaru sorrise, sollevato.

«Era da tanto tanto che non andavi in missione papi…» piagnucolò invece il bambino, sfregando la testolina contro i capelli del padre. «Non andare. Tu fai la super tattica qui a casa, poi va zio Choji in missione.»

Shikamaru, con qualche difficoltà, riuscì a spostarlo davanti a sé e lo guardò dritto negli occhi: «Ascolta, Shin. Papà va via domani e qualche giorno, ma poi tornerà… e ti porterà un regalo, va bene?» promise con dolcezza. Mai Shikamaru Nara avrebbe pensato che un bambino microscopico avrebbe potuto portarlo ad un tale cambiamento, ma quegli occhioni meritavano tutta la delicatezza del mondo.

Shin fece segno di no con la testa e incrociò le braccia. I suoi occhi erano diventati più lucidi. «Non voglio un regalo. Voglio papà a casa.»

Ino avrebbe voluto dire lo stesso, ma il suo autocontrollo le permise fare qualche passo avanti. «Basta così, Shin. Papà deve andare, ma tornerà presto.» la sua voce le sembrava terribilmente straziata, quasi un lamento, ma a giudicare l’espressione di Shikamaru doveva essere soltanto una sensazione. «Adesso fila a farti una doccia e poi a letto. Domani mattina saluterai tuo padre come si deve.»

Shikamaru mise a terra il bambino, che si voltò verso la madre e alzò la testa, per guardarla con tutta l’indignazione permessa da quattro anni di età. Gli poteva leggere negli occhi quanto la considerasse una traditrice. E aveva tutte le ragioni.

«E, se fai il bravo, domani notte andrai a dormire con zio Choji.» aggiunse, perché Shikamaru potesse sentire. Shin sembrò sul punto di andare in preda al panico e aprì la bocca, ma Shikamaru lo precedette.

«Saremo quasi tutti in missione, Ino. Naruto vuole esporsi in prima linea, e con noi ci saranno Neji, Choji e Kiba.»

«I cinque di Konoha…» ricordò lei, con un sorriso nostalgico. «Beh, troverò qualche altro premio se farà il bravo.»

«Ma io…» cominciò Shin.

«Niente ma, tesoro. Fa come ti dice la mamma.» ordinò Ino, senza smettere però di sorridere.

Il bambino si imbronciò, con le lacrime che minacciavano di uscire agli angoli degli occhi, e scappò via.

«Che strano…» considerò Shikamaru, «E’ la prima volta che se la prende tanto per una missione.»

«Ci eravamo abituati ad una tua partecipazione solo esterna o comunque che durasse solo qualche ora del giorno.» gli fece notare Ino, voltandosi per finire di sparecchiare, «E lui era troppo piccolo prima, per capire. Aspettati molte di queste scene, se hai intenzione di essere un jonin più attivo.»

«Non ne ho la benché minima intenzione, ma come direbbe la piccola Mai: “ci sono un sacco di soldi in cambio”. Naruto non si è risparmiato per ripagarmi del disturbo, sarebbe una pazzia non accettare. Solo per questa volta.»

Ino si morse un labbro. Forse era meglio così. Forse. Almeno ora doveva soltanto trovare un posto dove nascondere Shin mentre lui non c’era, e forse tutto sarebbe andato bene.

Ma c’erano troppi forse e quelle erano solo ipotesi.

«Ehi, Ino…» la chiamò il marito, poggiandole le mani sui fianchi. Ino poté sentire il suo respiro caldo sulla nuca, e rabbrividì. «Non mi avevi mai detto che ti sarei mancato.»

Lei sentì che stava sorridendo, e chiuse gli occhi. Gli sarebbe mancato più della sua stessa vita.

«Potere di Shin, mi ha fatto distrarre e mi è sfuggito di bocca.» mormorò, mentre lui le lasciava qualche bacio sul collo.

«Che ne dici di sparecchiare domani?» propose lui, sciogliendole giocosamente i fiocchi che tenevano legati il grembiule da cucina.

Ino si voltò di scatto, baciandolo con una passione quasi disperata, portando le mani dietro la sua nuca e affondandole nei suoi capelli, disfacendogli la coda e premendo il corpo contro il suo.

Prima di essere totalmente annebbiato dagli istinti che la moglie gli scatenava, Shikamaru fece un passo indietro. «Ehi, ehi… Shin è sveglio. Andiamo in camera.»

Lei annuì, spostandolo e sciogliendosi a sua volta i capelli. Quasi corse per raggiungere la loro camera da letto, con Shikamaru compiaciuto alle calcagna, incerto se chiederle spiegazioni prima o dopo per quella strana passionalità improvvisa.

«Recuperiamo in anticipo questi giorni.» lo stuzzicò Ino, chiudendo la porta e rispondendo così ai suoi dubbi. Shikamaru ghignò, un sorriso malizioso ed eccitante che l’aveva sempre fatta impazzire, e lei si precipitò tra le sue braccia.

Ti mancherà più di quanto lui possa immaginare… ma questo per ora lo sappiamo solo noi.

 

Diverse ore dopo Shikamaru si stava infilando i pantaloni, con un ultimo sguardo di rimpianto verso la figura di spalle di sua moglie, coperta solo dal lenzuolo. L’avrebbe volentieri svegliata solo per “recuperare” ancora un po’, ma era troppo tardi, specie se voleva salutare Shin.

Sobbalzò mentre infilava la maglia, ricordandosi troppo tardi dei graffi sulla schiena. Anche quelli, Ino glieli lasciava solo quando fuori di sé, e seppur dolorosi gli fecero desiderare di partire un po’ più spesso, se era quello l’effetto.

Si diresse con passo felpato in corridoio, non sapendo che gli occhi di Ino erano già aperti da un bel pezzo e fissi sulla sveglia.

Infine giunse alla camera del figlio, ed entrò aprendo la porta con delicatezza. Si sedette sul letto del bambino per poterlo svegliare, ed il piccolo Shin scattò a sedere di soprassalto, spaventandolo. Due grossi lucciconi scesero sulle guance rosse del bambino, che per un momento neppure si accorse del padre.

«Shin?» lo chiamò Shikamaru allarmato.

«Papà!» esclamò il bambino, abbracciandolo di slancio. Tremava come una foglia, e Shikamaru ricambiò l’abbraccio, dondolandolo appena.

«Hai fatto un brutto sogno?» domandò l’uomo, accarezzandogli i capelli. Il piccolo annuì, sforzandosi di trattenere i singhiozzi.

«L’uomo… l’uomo cattivo è ri…ritornato...» spiegò con voce tremante ed impastata di lacrime, «Ritorna se-sempre q… quando non ci sei.» aggiunse, lasciandosi sfuggire un singhiozzo impaurito.

Shikamaru alzò gli occhi al cielo. Ino aveva ragione, Shin aveva fatto brutti sogni anche l’ultima volta che lui era stato via per più di qualche ora, anche se non aveva collegato subito, e probabilmente sarebbe stato sempre peggio. Per fortuna non era un uomo che amava l’avventura.

«Shin, ascolta papà. Non c’è nessun uomo cattivo. Era solo un brutto sogno.»

«Lo so… l’ha detto anche mamma.»

«Ecco, bravo. La mamma ha ragione. Ed io starò via solo qualche giorno. Non succederà niente, vedrai.»

Il bambino, poco convinto, evitò di rispondere. Alla fine, con l’intento di rassicurare il padre, annuì piano. «Va bene.» acconsentì, strofinando la faccia contro il giubbotto del padre per asciugare almeno le lacrime.

«Aspetta. Ecco.» disse, porgendogli un fazzoletto appena preso dal comodino. «Che regalo vorresti?»

«Un altro panda.» rispose il bambino debolmente, anche se poco interessato ai giocattoli.

«Un altro panda sia.» confermò il padre, scompigliandogli ancora una volta i capelli.

«Torni presto papà?» non riuscì a trattenersi dal chiedere Shin, allargando gli occhi ancora spaventati e cercando di mettere meglio a fuoco il padre al buio della sua stanza.

«Promesso. Tu ce la fai a dormire o ti chiamo mamma?»

Shin tacque, riflettendoci sopra

«Mamma.» decise infine, stupendolo. Shikamaru, conoscendo il figlio, avrebbe giurato che avrebbe fatto finta di nulla per paura della reazione di Ino. Doveva aver sottovalutato lo spavento del bambino.

«Sono qui.» li avvertì la voce assonnata di Ino.

«Mamma!» la invocò Shin, allungando una mano verso di lei, mentre Ino, avvolta da una vestaglia bianca e con una mano sull’occhio quasi fosse una bambina anch’essa, lo raggiungeva barcollando.

«Amore, dì tutto alla mamma. Shikamaru, è tardi, sono le sei.»

«Vado. Shin, papà torna presto presto. Ciao Ino, ti amo.» li salutò Shikamaru quasi automaticamente, angustiato per il piccolino che ancora tremava. Ino gli diede un veloce bacio a stampo sulle labbra, facendosi poi spazio sul lettino del bambino. «Ti amo anche io.» aggiunse rivolta a Shikamaru, tornando poi a prestare attenzione a Shin.

Ascoltarono silenziosamente i passi di Shikamaru allontanarsi e poi la porta di casa chiudersi, e Shin si strinse alla madre.

«Mamma… ho sognato ancora il signore cattivo.»

«Oh, Shin…»

«Perché non hai fatto rimanere papà? Perché non l’hai detto a papà?» insistette il piccolo, minacciando un altro pianto.

«Perché…» Ino cercò le parole adatte, «Te l’ho già detto, è pericoloso. Tra qualche ora verrai con me all’ospedale e poi andrai a casa di… Sakura. Penso che a casa sua andrà bene.  Ti divertirai con Yuu, vedrai.»

Il bambino la stava guardando con vero e proprio orrore. «E tu come farai?»

«Alla mamma non succederà nulla… la mamma è forte. Nessun signore cattivo le farà male…» sussurrò lei di rimando, pregando che fosse vero. Diede un bacio sulla fronte al bambino e se lo strinse forte al petto, chiudendo gli occhi. «Ma tu devi stare via di qui, così sarò tranquilla. Solo qualche giorno. Magari non succede niente, magari…» fu interrotta da Shin, che scuoteva la testa.

«Lui ti vuole portare via da me.» la contraddisse preoccupato.

«No. Vedrai che… no. Tu però ora dormi, sarà una lunga giornata.»

«Mamma?» chiamò invece lui.

«Sì?»

«E se invece lui ce l’ha anche con me?»

Ino tremò. Non poté impedirselo. Un brivido gelido scese lungo la sua schiena, scuotendo tutto il suo corpo inerme.

La sua scelta l’aveva già fatta. Avrebbe sacrificato tutto, la sua vita, il suo futuro, qualsiasi cosa, purché i due uomini della sua vita fossero stati bene. Non era coraggio o stupidità, era un’esigenza. Come l’aria che respirava, come mangiare e bere, lei aveva bisogno che loro due stessero bene a prescindere da tutto, e sin dall’inizio non aveva avuto altra scelta.

Ma il solo pensiero che non potesse bastare, che quel mostro umano puntasse anche il suo bambino, cosa non impossibile, bastava ad intrappolarla in un abisso di panico.

«Non è pericoloso anche per Sakura-san? O Yuu?» continuò il bambino imperterrito.

Impietrita, Ino si rese conto che suo figlio stava guardando lo scenario che lei non aveva voluto neanche pensare di contemplare. Lui sì che era coraggioso e si preoccupava anche per gli altri, e le stava porgendo quelle domande che lei aveva volutamente evitato.

Ma ha ragione. E tu lo sai.

«Troveremo un altro posto. Non c’è neanche zio Cho… forse Shino…» rispose quindi con un filo di voce. Incerta, pensò a se dire qualcosa o meno alla sua migliore amica. Metterle la pulce nell’orecchio, così che tenesse i due bambini e se stessa al sicuro, e magari facesse in modo di proteggersi adeguatamente. Ma sarebbe stato troppo pericoloso, perché Sakura avrebbe potuto costringerla a mettersi al sicuro con loro, e a pagarne le spese sarebbe stato qualcun altro.

Sakura avrebbe capito troppo. Lo sapeva, soltanto immaginando i suoi occhi verdi così attenti.

Occhi verdi come quelli di Yuu, che al parco la guardava come se sapesse che tutta quella noncuranza e quella disinvoltura erano una maschera ben costruita. Ino trasalii a quel paragone.

«Shin? Hai detto qualcosa a qualcuno di tutto questo?» lo interrogò con voce più ferma, mentre realizzava che forse era già nei guai con Sakura.

«No.» rispose velocemente il bambino.«No, hai detto che è pericoloso.»

«Neanche quando…» Ino faticò a rievocare le bugie che gli aveva detto, «Ti ho quasi convinto che fosse tutto un sogno?»

«Ah… beh…Mai-chan sa che ho sognato un uomo cattivo. No, non che ho sognato… a Mai-chan lo avevo detto che c’era un uomo cattivo nei miei sogni, poi più niente però, giuro!» ammise il piccolo. «Scusami.»

«No, amore mio, no. Non ti scusare. Non è colpa tua, niente di tutto questo.» negò con energia Ino, sentendo le forze venir meno man mano che tentava di convincerlo. Fortunatamente Tenten non avrebbe creduto che ci fosse qualcosa di serio sotto, era solo un bambino che raccontava un incubo ad un’altra bambina.

Avrebbero potuto fare due più due solo dopo la notte che ancora doveva venire, quando lui sarebbe tornato, approfittando dell’assenza di Shikamaru che sarebbe durata a lungo.

Anche l’ultima volta, al chiosco, si era fatto vivo, sprezzante del pericolo di essere visto, e l’aveva terrorizzata quel che bastava per farle prendere la decisione di assecondarlo purché non facesse del male a nessuno.

Quella volta Shikamaru aveva avuto parecchie ore di lavoro davanti per decodificare un codice, a ben pensare. Come sapesse sempre i suoi impegni era un mistero; ad ogni modo era stato occupato e non aveva sospettato nulla: e dire che era stata l’unica volta in cui aveva preso sul serio gli incubi di Shin e aveva controllato che non ci fosse nessuno intorno alla casa, quella notte. Se li avesse tenuti d’occhio anche al chiosco qualche ora prima…

Al momento l’unica cosa sicura era che quel bastardo non si sarebbe fatto scappare una simile occasione, e l’avrebbe portata via o uccisa, e a quel punto Shin avrebbe detto tutto e Sakura avrebbe capito e richiamato gli uomini dalla missione, ma troppo tardi, ovviamente.

Già sentiva tutte quelle voci che sarebbero seguite.

«Nara-san, ci dispiace tanto… avremmo dovuto indagare meglio su gli incubi ricorrenti di suo figlio, avremmo dovuto…»

«Il corpo di sua moglie è stato ritrovato accanto alle porte di Konoha alle...»

«… era in condizioni tremende, sembra che l’assassino abbia infierito prima e dopo…»

A distoglierla dalle macabre visioni della sua fine fu il rumore della porta di casa che si apriva.

Si irrigidì e con le mani allontanò le braccia del bambino da sé, che la guardava con un’espressione allarmata che probabilmente rifletteva la sua.

«Va sotto il letto e non muoverti.» gli sussurrò Ino all’orecchio. «Magari non è niente.»

Shin annuì, dandole un bacio leggerlo sulla guancia, mentre lei si alzava in piedi e si malediceva per non aver portato un kunai o qualcosa di simile con sé. Ma chi l’avrebbe fatto, nella camera di un bambino?

«Shikamaru, sei tornato indietro?» tentò, incredula lei stessa, e se fosse stato davvero il marito non avrebbe mai saputo giustificare il tono che aveva appena usato, così terrorizzato.

 «Scappa, quando sei sicuro che non ti senta.» sussurrò ancora, appena udibile. Gli occhi di Shin, ancora visibili da sotto il letto, saettarono verso l’esterno, poi scomparvero alla sua vista mentre si rintanava contro il muro.

«Sakura?» azzardò Ino ancora, uscendo a grandi passi dalla camera del bambino per allontanare l’intruso da lui. Passando davanti al bagno ne spalancò silenziosamente la porta e proseguì, verso le scale che davano all’ingresso e al soggiorno.

Pregò che fosse un ladro persino, o chiunque. Tutti ma non lui.

Intanto la voce così simile a quella di Sakura, che la metteva in guardia quando faceva qualcosa di stupido o che ingigantiva le sue paure, sembrava sparita. Forse era terrorizzata anche lei.

«Sa…»

«No.» la interruppe una voce maschile mentre lei scendeva gli ultimi gradini.

Ino chiuse gli occhi, col respiro mozzato in gola ed un dolore sordo al petto, dove il cuore batteva così forte da far male. Quando riaprì gli occhi, lui era ancora lì, poggiato all’unica via d’uscita. «Sono io, tesoro. Sakura dorme abbracciata al suo bel bambino ora. L’ho vista poco fa.»

Le sfuggì un gemito.

“Ti prego Dio, è solo un bambino, lascialo scappare…”

«Allora, ti sono mancato?»

«Da impazzire.» rispose Ino, non riuscendo a reprimere un sorriso disperato. Sicuramente, tra voci mentali e cambi d’umore come i suoi, impazzire era la parola giusta.

La stanza stava cominciando a girarle attorno ed il respiro le diveniva più affannoso. Si sentì improvvisamente sorreggere per un braccio, e due occhi verdi comparvero davanti ai suoi.

«Ehi, non svenirmi davanti! Capisco di essere bello, ma…» scherzò l’altro, a dispetto di tutto.

Ino aveva l’agghiacciante sospetto che fosse davvero convinto di esserle mancato. Sospetto tramutato in certezza quando le accarezzò i lunghi capelli sciolti. «L’altra volta sono stato davvero scortese, ma sai… ero geloso. Quell’Inuzuka non mi piace affatto.»

Quell’ultima frase gliel’aveva detta anche Shikamaru molti anni prima, una sera di dicembre, quando entrambi brilli avevano ballato insieme in modo un po’ spinto, ed il Nara aveva finito col rompere il naso a Kiba. Sentirla dalla sua bocca, con quel tono viscido che voleva essere affettuoso, gli fece riempire gli occhi di lacrime.

Che era pazzo lo sapeva, che volesse vendicarsi di Shikamaru anche, ma il tassello mancante, il motivo per cui non l’aveva uccisa subito, l’anno prima, quando si era trovata sola con lui, ora era finalmente davanti ai suoi occhi.

Era ossessionato.

Non dal suo sangue, o meglio non solo, non dall’idea di farla pagare ai ninja di Konoha, ma da lei come donna. Non sarebbe bastato ucciderla velocemente e portare il suo corpo dove l’avrebbero trovato altrettanto in fretta.

La bramosia nei suoi occhi la conosceva bene, l’aveva vista in diversi criminali nel corso della sua esistenza, e non l’aveva mai dimenticata. Era disgustosa e semplice voglia di possederla. Ed in questo caso di farla anche soffrire probabilmente, per poi far avere il tutto a Shikamaru.

La conclusione veloce che aveva immaginato si era sgretolata di fronte a quello sguardo famelico.

«Non c’è bisogno di piangere.» le fece notare lui, raccogliendo una sua lacrima con un dito.

«Mi dispiace.» sussurrò Ino, cercando di fingersi compiacente, «Non mi avvicinerò più a Kiba.»

L’uomo rise, cattivo. «Questo è sicuro. Vedi, oggi ti devo uccidere. Ho preparato tutto perché sia più spettacolare per il tuo maritino. Oh, non guardarmi così, so cosa ti ho detto l’ultima volta, che ti avrei portata via con me. Ma vedi… se lo facessi potrebbe trovarti qualcun altro. Invece quando tra qualche giorno lui tornerà a casa, e salirà le scale per andare in camera vostra, ti troverà sul vostro letto. Ho pensato di mettere tanti petali di rose rosse sul materasso e per terra, così lui capirà. Gli altri forse no, ma lui . La mia donna adorava le rose rosse e le usava nelle sue tecniche… ma queste sono cose che sappiamo noi due, lasciamo stare.» si interruppe infastidito. «Ciò che conta è che ti troverà lì in mezzo a tutte quelle rose e al sangue, il tuo per essere precisi, e quando ti faranno l’autopsia sapranno tutto quello che ti ho fatto... perché tu sarai mia prima di morire. Per ultima cosa voglio lasciarti il mio segno, ti resterà per l’eternità.» spiegò tornato calmissimo.

Ino registrava solo meccanicamente ciò che diceva, come se stessero parlando di un’altra persona.

«Lui ha preso la tua donna e tu prendi la sua.» comprese, annuendo appena.

«Esattamente, brava la mia ragazza!» confermò gioioso. «E sai cosa metterò ai piedi del letto?»

Ino lo guardò, con gli occhi nuovamente pieni di lacrime. Non ne poteva più di tutta quella paura e quella tensione.

E siamo solo all’inizio, le suggerì la vocina cattiva, ribattezzata come la voce di Sakura, ma in realtà molto più sadica.

E realista. Sadica ma realista almeno.

«Cosa?» si sforzò di chiedere, scacciandola via.

«Il corpo del tuo adorabile bambino.»

Gli occhi di Ino si spalancarono, mentre freneticamente si chiedeva se Shin avesse già approfittato del tempo datogli per fuggire, ed un'altra voce le urlava di mettere in salvo entrambi, ed un’altra ancora urlava soltanto, senza parole.

«No…» sussurrò. Poi la voce divenne un grido acuto. «NO!»

Non vide neppure arrivare il pugno dell’altro, sentì solo un dolore forte alla tempia destra, nascosto subito da uno più lancinante al resto della testa ed alla spalla, mentre si ritrovava a terra in mezzo a cocci di un vaso e un tavolino rotto accanto. Sentì il sangue cominciare a colare giù per la sua nuca.

Era orribilmente forte, lo sapeva già. Aveva fatto le sue ricerche, era un nemico di classe S, troppo per lei da sola.

Ma il suo bambino…

«Aspe… Aspetta.» riuscì a dire, allungando una mano insanguinata verso di lui, come se questa potesse bloccarlo. Non si era neanche accorta che l’aveva stretta tanto, mentre parlava del suo piano, da averla fatta sanguinare.

Lui si fermò, incuriosito. «Certo, dimmi.» disse con una cortesia da farle venire la nausea.

«Se.. se tanto devi uccidermi e lo farai… dimmi almeno perché.»

Lui assottigliò lo sguardo. «Sai perché.»

«No! Voglio dire…» cercò disperatamente come prendere tempo, «… dimmi di lei. Dimmi del vostro scontro. Io so solo quello che mi hai detto tu le uniche due volte che ci siamo visti. Che Shikamaru ha ucciso la tua donna e che ti saresti vendicato su di me. E basta.» si affrettò a dire, estromettendo volutamente Shin da quel discorso, come tutte le minacce arrivategli. L’unico motivo per cui non aveva fiatato era stato proprio Shin, oltre ovviamente a Shikamaru.

Aveva detto che si sarebbe accontentato di portar via lei, per far vivere Shikamaru nelle sofferenze più atroci e ricambiargli il favore, e lei, pensando di potergli almeno salvare la vita grazie alla indole sadica di quel bastardo, aveva accettato.

Avresti dovuto prevedere che Shikamaru avrebbe sofferto di più se gli avesse tolto anche Shin…e lui l’ha fatto.

«Capisco… in effetti sapere meglio il perché morirai ti farà capire che non sono così cattivo. In fondo tu mi piaci. Mi piaci molto. Somigli a Sanae.»

Sanae” si ripeté mentalmente Ino. Doveva mostrarsi attenta; nella scheda su di lui presente negli archivi aveva letto che si aspettava interessamento da parte delle sue vittime, e che si poteva contare su un prolungamento della sopravvivenza se non lo si indisponeva, abbastanza da far arrivare i soccorsi. Puntò su quelle poche informazioni, sebbene sapesse che non sarebbero arrivati soccorsi.

Ma aveva troppa paura per pensarci ora. Riepilogò le informazioni che era riuscita ad avere, quando lui le aveva rivelato incautamente il nome.

Tomoki Sarunobi, trentacinque anni, mukenin di classe S. Provenienza sconosciuta. In viaggio con la compagna ed un gruppetto di cinque mukenin di classe inferiore che rispondevano ai suoi ordini.

Almeno finché il team composto da Shikamaru, Neji e Choji non aveva provveduto in parte alla loro eliminazione, e a Shikamaru come sempre era toccata la donna.

Ex ninja medico, con una forza sovraumana, specializzato in seguito in torture.

Mentalmente disturbato, passava da stati di calma e cordialità, in cui teneva particolarmente alle discussioni civili, fossero anche prima di un combattimento, a profondi cali di autocontrollo, specialmente se provocato, in cui perdeva la coscienza di sé e si comportava in modo animale. Nel primo caso si arrivava ad uno scontro pericoloso con un nemico intelligente e dall’umore distorto e imprevedibile, con un vasto arsenale di conoscenze mediche, nel secondo caso si aveva a che fare con un animale assetato di sangue e fondamentalmente sadico. E malato.

Maledetto pazzo… ma come osa… proprio a me… alla mia bellissima famiglia…” pensò con odio, osservandolo sedersi educatamente sul divano ignorandola, mentre se ne stava stesa a terra dolorante per il colpo.

Cercò di mettersi a sedere ignorandolo a sua volta, e con sommo orrore vide i piedini scalzi di Shin sostare accanto alle scale, troppo in alto perché potesse alzare il viso senza farsi notare e dirgli di andarsene e troppo in basso per non essere visto da Tomoki.

Senza far rumore il bambino si spostò, entrando in bagno: la serranda di quella finestra era rotta e sarebbe potuto scappare da lì. Ino pensò con orgoglio che senza dovergli spiegare nulla Shin era stato in grado di trovare una via d’uscita, riuscendo a muoversi silenzioso come un ninja nonostante la tenera età e la sicuramente grande paura.

L’orgoglio si spense mentre Tomoki si schiariva la gola. «Posso avere un caffè?»

 

«Mi sembri preoccupato, Nara.» notò Neji, saltando da un ramo all’altro.

«In effetti sembri tutto pesto. Grandi saluti con Ino?» scherzò Kiba.

Shikamaru scosse una mano.

«Cosa vorrebbe dire, Choji?» gli domandò Kiba.

«Credo sia un… sì.» azzardò l’amico, ridendo. Naruto si unì a lui, mentre Kiba fischiava.

«Mi mancava tutto questo.» sbottò Naruto infine.

«Stare tra uomini? Perché, con Sakura non è uguale?»

«Tappati la bocca, Inuzuka. Anzi, vai a dirglielo in faccia.» lo provocò Naruto. Kiba si finse scandalizzato.

«Così mi da’ un pugno di quelli mortali, non ci tengo! Ma il nostro Shikamaru continua ad ignorarci…» riportò l’attenzione su di lui Kiba.

«Torno subito, chiedo a Yamato quando ci raggiungeranno Shino e Lee.» avvisò Naruto, scomparendo.

«Il caro Hokage è il solito spiantato… secondo voi davvero troveremo finalmente il rifugio di Kabuto- pardon, intendevo di quell’incrocio tra Kabuto e Orochimaru, alla fine di questa strada?»

«Ci vogliono ancora giorni, chi può dirlo?» sospirò Shikamaru. «Se Ino sapesse quanto è pericolosa questa missione… non voglio neanche immaginare.»

Gli altri risero, stavolta però comprensivi.

«Mi sa di violenta quella donna, se indisposta.» concordò Kiba con un ghigno sarcastico.

«Vero? È una sensazione leggera ma la dà anche a me…» rise Choji. «Oh! Ora capisco! E’ per lei che sei giù?»

«No, è per Shin.» ammise Shikamaru, pensieroso.

Subito gli altri tre si fecero più seri.

«Cos’ha?» domandò Kiba subito.

«Sta male?» lo interrogò invece Choji.

Neji non disse nulla, ma lo guardò interrogativamente.

Shikamaru scosse la testa. «No, ha fatto solo i capricci perché non voleva che andassi in missione. Sapete, fa degli incubi spesso… incubi ricorrenti.»

«Che genere di incubi?» intervenne Neji, aprendo bocca per la prima volta dalla partenza. Con gli anni era diventato più loquace, ma in missione restava il più serio solitamente.

«Un uomo cattivo che vuole fare del male a lui ed Ino. È da parecchio che lo sogna, sempre quando devo partire in missione. Dice che viene quando non ci sono.» spiegò. Con sua sorpresa nessuno di loro lo derise, ma sembrarono tutti rifletterci sopra.

«Certo che è da brivido.» commentò Kiba. «Hai controllato?»

«Cosa?» si stupì Shikamaru.

«Che sia solo un incubo.»

«Kiba, è solo un bambino. Certo che è un incubo, è anche normale, dopotutto.» sbuffò Shikamaru. Poi roteò gli occhi al cielo. «Va bene, va bene. Un mese fa gli ho detto che sarei stato in missione per una notte e ho finto di non esserci, ma l’ho tenuto d’occhio. Ricordi la sera in cui vi siete tutti visti al chiosco e lui si è versato il ramen addosso? Io ero a lavorare su dei codici e poi ho finto che non sarei rientrato. Beh, l’ho guardato dormire e ti assicuro che era un incubo.»

«Mi sembrava strano che non avessi controllato…» affermò Choji sollevato.

«Giusto. Però non credo vada bene comunque… Vero, Neji?» cercò aiuto Kiba. «Neji?»

Neji fissava la strada, con la fronte aggrottata. «Ho la sensazione di aver scordato qualcosa di importante.»

«Cosa?»

«Se me lo ricordassi non avrei la sensazione di aver scordato qualcosa.» rispose acidamente lui e Kiba sbuffò. «Ora che ci penso… Mai mi aveva detto qualcosa di simile.» ricordò infine.

«Che un uomo cattivo vuole fare male a lei e Tenten?» azzardò Choji.

«No, si parlava sempre di Ino. Shin ha detto anche a lei dei suoi sogni, e lei sembrava molto preoccupata.»

«Ma guarda te questi bambini…» si meravigliò Choji.

«Vivono in un mondo loro… dovrebbe essere più felice però. Noi non eravamo così.» constatò Shikamaru.

«Eccomi. Di che parlate?» si intromise Naruto di ritorno.

«Di un uomo cattivo che vuole fare male ad Ino e Shin.» recitò Kiba in farsetto.

«Ah, me l’ha detto Yuu.» confermò Naruto.

«Kiba, vedi di piantarla. Tu te la faresti sotto al posto loro. Come sarebbe te l’ha detto Yuu? Ma sapevate tutti degli incubi di Shin?» domandò Shikamaru, con un sorriso ironico e in parte infastidito. Non gli piaceva molto scherzarci sopra, quando si trattava della sicurezza della sua famiglia.

«Quali sogni di Shin?» domandò Naruto meravigliato.

Impercettibilmente, e come se avessero ricevuto un ordine verbale, tutti rallentarono.

«Tu, scusa, di cosa stavi parlando? Cosa ti avrebbe detto Yuu?»

«Ah! Ma no… quello sciocchino ha solo sicuramente fatto un brutto sogno. Comunque Shin non c’entra niente, mi aveva detto anzi che a lui non l’avrebbe raccontato per non spaventarlo. Yuu mi ha detto che secondo lui c’è un uomo che ce l’ha con Ino e che si presenta quando tu non ci sei.»

Un improvviso gelo strinse Shikamaru, mozzandogli il respiro. «Con Shin… non ne ha mai parlato?» ripeté, scambiando uno sguardo allarmato con Choji, che era impallidito.

Si erano fermati tutti, e Kiba si era poggiato una mano tra i capelli, come ogniqualvolta era nervoso, mentre Neji teneva gli occhi sgranati su Naruto.

«Te lo assicuro. Me l’ha detto anche stamattina, ha detto che ha sognato l’uomo cattivo che lo guardava dalla finestra mentre dormiva con Sakura. Sapete, lei non ama quando lascio Konoha senza di lei, quindi dorme con lui… ma sono solo chiacchiere di un bambino! Che avete tutti? E poi voi come lo sapete?» esclamò poi sconcertato.

«Stava controllando che tutti stessero effettivamente andando in missione.» comprese Kiba, parlando lentamente

Uno dopo l’altro i brividi continuarono a percorrere la schiena di Shikamaru, e le braccia, e le gambe. Un freddo che non aveva nulla a che vedere con la temperatura del bosco a quell’ora del mattino.

Il modo in cui Ino aveva guardato Shin la sera prima quando le aveva detto che sarebbe stato via qualche giorno.

Il modo in cui lui l’aveva supplicato di restare.

Il modo in cui l’aveva baciato come se non volesse più lasciarlo andare via.

I sogni di Shin ogni volta che lo lasciava per più di qualche ora.

E improvvisamente, le parole del bambino: «Shin, ascolta papà. Non c’è nessun uomo cattivo. E’ solo un brutto sogno.»

«Lo so… l’ha detto anche mamma.»

Ino che sapeva degli incubi di Shin e non ne parlava con lui.

Ino che sapeva qualcosa e non ne parlava con lui.

Ino che sapeva.

Ino che non parlava.

«Dobbiamo tornare indietro.» dichiarò quasi senza voce, evitando volutamente le occhiate comprensive e atterrite degli altri.

«Non è che mi state nascondendo qualcosa, vero?»

«Paranoico, è solo che… beh, ci mancherai.»

 

Sakura fu svegliata da uno strattone al braccio, e si voltò pigramente su un fianco. Gli occhi verdi di Yuu erano puntati su di lei, e accanto a lui altri due occhi castani.

Altri due occhi castani?

Si tirò a sedere di scatto, facendo cadere il lenzuolo.

«Shin, piccolo, che succede?»

Tomoki sorseggiava distrattamente il caffè preparato da Ino, mentre questa si tamponava la ferita alla testa. Era incredibilmente irreale stare seduta a conversare col proprio futuro omicida, con una ferita ancora aperta che sporcava di sangue la poltrona nuova, nell’intimità del proprio soggiorno.

«A che punto ero?»

«Mi stavi raccontando dell’ultima missione con Sanae…» gli ricordò Ino, mordendosi un labbro.

«Giusto. A questo punto abbiamo incontrato un gruppo di jonin piuttosto giovani. Più di noi, sicuramente. Aveva l’aria molto sicura, come se dicessero “finiamo in fretta anche qui e andiamocene a casa”, roba da far salire i nervi. A Sanae almeno, sai, lei non sopporta le persone presuntuose, tranne ovviamente il sottoscritto.»

Ino notò come ne parlasse ancora al presente.

«A quel punto ci siamo divisi. Mi sottovalutavano. Io mi sono trovato a combattere con un tizio dagli occhi bianchi… secondo le mie ricerche sarebbe uno Hyuga, giusto? Altrettanto sicuro di sé, molto serio. Un tipo educato comunque, mi ha permesso di parlare prima di combattere invece che attaccarmi subito. L’ho apprezzato, per questo non l’ho ucciso subito. E poi ora che ci penso è grazie a lui se ho potuto conoscere il nome di Konoha e venirti a trovare.»

Ino annui velocemente, picchiettando le unghie della mano destra contro un ginocchio. «Capisco. I nemici alle volte sono così frettolosi…»

«Esatto, esatto! Te l’ho già detto che mi piaci molto? Hai davvero scelto l’uomo sbagliato.» considerò Tomoki sorridendo affabile. Ino chiuse gli occhi.

«Oh, non prendertela. Sono sicuro che saprai reggere il dolore in modo dignitoso. Un po’ meno i bambini, ma sarò veloce con loro. Ad ogni modo, tornando all’incontro…»

«Aspetta.» lo bloccò Ino, che lo guardava quasi con aria spiritata. «Bambini? Perché hai parlato al plurale?»

«Oh, Ino. Davvero pensavi che se avessi voluto uccidere solo te e tuo figlio lo avrei lasciato fuggire? Perché è scappato, no? Ora il piccoletto mi porterà qui la cara Sakura. Così io avrò modo di uccidere anche il piccolo… Yuu, giusto? Il figlio dell’Hokage. Anche lui mi ha visto, non posso permettergli di restare in vita.»

La donna rimase immobile, lottando contro l’istinto che le diceva di svenire. Ogni cosa stava precipitando nello stesso baratro di orrore in cui era finita lei.

L’angoscia non le permise di perdere i sensi, ma anzi, la tenne ben cosciente. Sentì le lacrime finalmente traboccare, e si mise il fazzoletto che stringeva nella mano sinistra davanti alla bocca, a raccogliere le lacrime e soffocare i gemiti di dolore.

«L’ho sentita ridere, la mia Sanae.» riprese lui come se nulla fosse, «E pensavo che, com’era logico, stesse vincendo. Ma quando ha quasi tagliato la gola a quel bastardo, lui l’ha fregata. Un genio del male, il tuo uomo. L’ha imbrogliata.» sbatté un pugno contro il tavolino, mandandolo in mille pezzi. La mano gli tremava pericolosamente mentre se la poggiava nuovamente tra le gambe. «Ops. Beh, tanto tu non lo useresti più comunque. A quel punto sono fuggito. Non per paura, ma perché ucciderlo non sarebbe bastato. Ho iniziato così le mie ricerche, e sono arrivato a sapere di te e del tuo adorabile bambino. Davvero carino.» commentò, poggiando la schiena contro il divano. Il viso gli si era improvvisamente chiazzato di macchie rosse, segno che stava trattenendo la rabbia per quanto possibile. Afferrò, senza neanche guardare dove metteva le mani, una foto incorniciata poggiata sul tavolino accanto al divano, e la guardò.

Ritraeva loro tre assieme, in una assolata giornata di primavera, intenti a fare un picnic.

«Ha il tuo stesso sguardo. I colori sono quelli del padre, ma le forme quelle della madre. Davvero un bel bambino, come mai non ne avete avuto anche un altro? Era abbastanza perfetto il primo?»

Ino non riuscì a rispondere a quella domanda per via delle lacrime, non lo avrebbe fatto comunque, e lui la ignorò nuovamente mentre rimetteva la foto apposto. «Penso che appoggerò anche quella sul letto con te. Ora, lascia che ti spieghi un’ultima cosa. Nessuno mi ha mai amato. Mi hanno considerato pazzo, pericoloso, un mostro. Ho fatto cose che non puoi neanche immaginare quando non ero in me. Ho fatto a pezzi, letteralmente, donne e bambini, uomini e anziani, senza distinzioni. Ho giocato con loro prima di ucciderle. Ma poi ho trovato lei. Guardami.» ordinò seccamente, ed Ino ne incontrò lo sguardo, che le diceva che quella sera avrebbe riprovato tutte quelle belle cose appena elencate, «Ho trovato la mia Sanae. Lei mi guardava come se fossi un uomo, era l’unica. Ed io con lei non ho più perso il controllo. Stavo diventando una persona migliore, una brava persona. Saremmo stati insieme per sempre. Ma è arrivato lui, Shikamaru Nara, e me l’ha strappata via davanti agli occhi. Ed ora io gli porterò via tutto ciò che fa di lui una buona persona: la sua adorata moglie che, senza offesa, non sarebbe abbastanza da sola, ed il bambino, sangue del suo sangue. Spero tu capisca che non posso limitarmi a tagliarti la gola, ma che dovrò farti molto, molto male. Perché lui dovrà essere distrutto quanto me. Ti assicuro solo che tuo figlio invece non soffrirà poi così tanto. A lui penserò dopo morto. Ma almeno tu devi soffrire proprio per questo. Immagino che tu sia d’accordo. O preferisci forse che faccia una cosa veloce con te e mi occupi per bene del bambino?»

Ino si rese conto di ciò che le stava chiedendo con un secondo di ritardo. Avrebbe preferito che torturasse lei e si accanisse sul corpo morto del suo bambino, o che torturasse lui e poi si accanisse sul cadavere di lei?

«Me lo stai chiedendo davvero?» sussurrò sbigottita.

Lui la guardò senza accennare una risposa o cambiare espressione.

«Non fare del male al mio bambino, ti prego. Non ucciderlo, lascialo. Sarà abbastanza farne a me, te lo giuro, io…» cominciò a supplicare senza neppure rendersene conto.

«No. L’unica cosa che posso concederti e di fare una cosa veloce con lui.» la interruppe freddo.

Le suppliche di Ino si tramutarono in un ringhio di odio. «Maledetto mostro psicopatico… sta lontano dal mio bambino, STA LONTANO DAL MIO BAMBINO!» strillò con tutta la voce che aveva in corpo, e prima di rendersene conto si era già avventata contro di lui, impotente ma non per questo meno combattiva.

Fu disgustosa la facilità con cui lui se la scrollò di dosso, mandandola a sbattere contro il muro di fronte con un pugno allo stomaco. Ino non riuscì ad alzarsi, ma si tirò su con le braccia e lo fissò con ferocia, pronta all’attacco.

«Lontano! Dal mio bambino!» ripeté urlando come impazzita.

«Sapevo che non sarebbe durata…» si lamentò l’uomo, palesemente annoiato e infastidito.

«Sei un mostro…» ringhiò lei con disprezzo. «Un disgustoso mostro!»

Stavolta la smorfia di fastidio si tramutò in una più inquietante, e il rossore sul suo viso si diffuse anche al collo. «Smettila, dannata sgualdrina!» la zittì con voce acuta.

Ino rise priva di allegria, sentendo il sapore metallico e forte del sangue in bocca. «Disgustoso, nauseante mostro…» ripeté marcando bene le parole.

In un battito di ciglia lui le fu nuovamente di fronte, e stavolta le arrivò un calcio dritto in bocca. Sentì la mascella scricchiolare e si ritrovò stesa a terra senza sapere come ci fosse arrivata. Poi qualcosa di pesante, che le sembrava quasi gigantesco, le affondò tra lo stomaco ed il cuore, togliendole il fiato. Non appena riuscì a incamerare nuovamente aria emise un urlo di dolore, che svanì lentamente in un rantolo.

Tomoki alzò la gamba e poi affondò un altro calcio, spezzandole una costola e facendola urlare ancora. «Siete tutti uguali voi, tutti a chiamarmi mostro.» le disse quando l’ennesimo urlo fu scomparso. «I veri mostri però siete solo voi.» le sputò contro, mostrando i denti e le gengive macchiate di sangue, tanto forte aveva digrignato i denti. Tolse il piede, facendola gridare ancora, e la spinse con violenza contro il muro, dove batté la testa. La ferita si riaprì, e lei, totalmente stordita, non riuscì neppure a tentare di spingerlo via mentre le saliva sopra e faceva saltare le bretelle della vestaglia.

Ino lo osservò da vicino, sentendo il suo fiato che sapeva di caffè, guardando gli occhi impazziti che correvano da un punto all’altro del suo corpo, i denti in bella mostra come se volesse mangiarla.

Come se? Mia cara scrofa, lui ti mangerà nel vero senso della parola, quindi vedi di alzarti e corri via.

Avrebbe voluto risponderle che non ci riusciva, ma il mondo scelse quel momento per esplodere. Il doloroso peso del corpo di Tomoki sparì,  lasciandola libera di respirare, per quanto fosse una sofferenza altrettanto forte, e vide soltanto polvere per qualche secondo. Una voce femminile la chiamò, ma in mezzo all’eco del boato non poté sentirla, né tantomeno risponderle qualcosa con la poca voce che le restava. Chiuse gli occhi e sperò soltanto che finisse presto, e che un miracolo salvasse perlomeno il suo bambino.

«Ino!» 

La voce sgomenta di Sakura glieli fece riaprire per un secondo, l’aveva riconosciuta solo perché l’aveva appena sentita chiamarla scrofa nella sua mente, e quasi questo pensiero la fece sorrise. Tomoki aveva previsto bene quasi tutto, tranne il fatto che era ormai giorno e che qualcuno sarebbe venuto a vedere subito, per quanto casa loro fosse isolata. C’era troppo baccano per una semplice lite.

Lei poteva ancora farcela e sopravvivere.

Poi riconobbe più indietro anche gli chignon castani di Tenten.

«Scappate…» sussurrò, consapevole di essere troppo lontana per essere sentita. «Troppo… forte…»

Sakura le corse incontro, inginocchiandosi accanto a lei e parlando a raffica.

«Shin mi ha detto di lui, avrei dovuto credere a Yuu ma…»

«Vuole i bambini.» sussurrò Ino, gemendo poi per il dolore.

«Cosa?» domandò Sakura incredula.

«Anche Yuu.» rispose senza voce, costringendola a leggerle le labbra. Non che fosse difficile poi intuire cosa volesse dirle con quegli occhi.

«Sakura! Dietro!» gridò Tenten.

Un altro rumore di ossa rotte, e stavolta fu Sakura ad urlare, mentre Tomoki quasi le strappava via il braccio e la mandava a schiantarsi contro Tenten.

«Vorrà dire che sarà più veloce del previsto, ma ci saranno più morti.» considerò metodico l’uomo, poco impressionato. Ed improvvisamente esplose in una risata fragorosa e disumana.

No, non era più allo stadio calmo e tranquillo, vistosamente no.

 

La piccola Mai, con i capelli insolitamente sciolti e spettinati, fissava insistentemente lo spazioso giardino della casa, in attesa della madre.

«Stanno tornando?» domandò preoccupata per l’ennesima volta.

«Ma sì, vedrai di sì.» la rincuorò Hinata, incerta. Sakura e Tenten l’avevano pregata di tenere i bambini al sicuro senza spiegarle molto, e si era dovuta affidare al racconto veloce di Yuu, che poi era tornato a giocare ai ninja. Shin invece era rimasto seduto sotto il portico, ben più sconvolto dell’amico, facendo dondolare le gambe e senza aprire bocca.

«Ma c’è davvero un uomo cattivo?» continuò la bambina.

«Spero proprio di no.» commentò Hinata sincera.

Gli occhi di Mai continuarono a seguire ogni suo movimento. «Ma tu mi sembri tesa.»

«E tu sembri tuo padre.» disse lei di rimando, con un sorriso appena accennato. «Sì, sono tesa. Ma sono sicura che la tua mamma e Sakura stanno bene… ed anche Ino.» aggiunse alzando la voce perché Shin potesse sentirla. «Forse era solo un ladro, ed Ino lo avrà sistemato per bene.»

«Non era un ladro.» si intromise Yuu. «L’ho già visto altre volte. Era un uomo cattivo cattivo, teneva Ino qui.» spiegò, e tirò il colletto della propria felpa.

Hinata si morse le labbra aggrottando la fronte, e guardò Shin, che non aveva reagito. Soltanto allora, prestandogli davvero attenzione, si accorse che qualcosa non quadrava. Aveva evitato di fissarlo per non fargli capire quanto in realtà fosse inquieta, ed ora che lo faceva…

Attivò il byakugan.

«Cosa fai, zia Hinata?» domandò Mai incuriosita.

Yuu ridacchiò. «Ah, te ne sei accorta? Shin mi aveva detto di non dirtelo per vedere quando te ne accorgevi!»

«Cosa?» insistette Mai, battendo un piede a terra.

«Quello non è Shin. Ha imparato la tecnica della sostituzione. È bravo anche lui, vero? Io sono di più, però.»

«Geniale.» mormorò Hinata, aggrappandosi ad una colonna per evitare di cadere in ginocchio. Poi gridò, dando l’allarme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note autrice:

E sì che odio il NaruSaku, eppure ecco un’altra NaruSaku.

La Lee non mi travierà, fan del SasuSaku che siete finite qui.

Che dire, spero che vi abbia fatto piacere questo primo capitolo, e che lasciate una recensione, e che io non abbia esagerato con certi particolari, ma non posso farci nulla. Appena ho letto del sogno di Shin, ero convintissima che la storia di Lee sarebbe continuata con un vero uomo cattivo.

Questo, appunto, succede perché sono macabra.

E a me Tomoki fa pena. Paura, ma pena. E non vorrei averlo in casa, di sicuro.

Mentre scrivere di Shikamaru e cricca coi brividi li ha fatti venire anche a me, e ogni volta faccio accadere il peggio a tutti solo perché adoro scrivere le reazioni degli amici XD come sono contorta!

Se state veramente leggendo le note vi ammiro. Ma non spoilererò la fine.

E la gente che ha letto prima di voi mi ha chiesto [imposto] di non uccidere Ino talmente tante volte che:

A) Potrei averla accontentata.

B) Potrei averlo fatto più apposta.

C) Ho seguito il mio istinto iniziale, e non vi dico qual’era.

Tan tan tan… ebbene, vi lascio, al prossimo capitolo.

 

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Capitolo 2
*** II ***


Shin era quasi arrivato a casa. Non importava quello che era successo poco prima, “casa” era il posto sicuro, e lui non poteva stare in altro luogo se non lì, con la sua mamma.

Ma dov’era, la sua mamma?

Si ritrovò disperatamente a sperare che anche il papà fosse già tornato.

Aveva quattro anni, e semplicemente le cose brutte non succedevano mai, se non nelle fiabe, e lì arrivava sempre qualche principe a salvare la signorina in difficoltà. Quindi papà doveva essere tornato, oppure sarebbe stato lui il principe della mamma.

E poi quel signore cattivo sicuramente se n’era andato, non sentiva nessun rumore se non quelli del bosco fitto che stava attraversando. Diede un’occhiata ai cervi, erano due o tre quelli visibili, e notò che erano più lontani possibile da casa: nonostante fossero cerbiatti e non potessero uscire ancora dal recinto si erano comunque appiccicati al legno che delimitava il loro rifugio.

Poi, un urlo disperato a mandare in pezzi il silenzio.

Shin sapeva che la mamma gli aveva detto di stare lontano da lì mille volte, che non era un gioco, e che tutto ciò che contava per lei era che lui fosse al sicuro, ma sapeva anche che quella era la voce della zia Sakura, e quindi il signore cattivo era ancora lì.

E lui era il principe azzurro che doveva salvare la mamma.

Il bambino cominciò a correre in direzione della casa.



2°capitolo.




 

«Sakura, cazzo, e sì che sei forte!» imprecò Tenten, sputando sangue e imbrattando il proprio mento e il pavimento.

Sakura scosse la testa, incapace di parlare. Le aveva lanciate al piano di sopra, facendo sfondare il soffitto ad entrambe.

«Maledizione.» sibilò Tenten, estraendo due kunai. «Non è molto, ma… qualcosa…» scosse anche lei la testa, tentando di ragionare a mente lucida. Da quando erano nati i loro figli l’una aveva smesso di andare in missione e lavorava soltanto in ospedale e l’altra si era data alla casa e a qualche saltuario viaggio per portare documenti e roba simile. Entrambe però non avevano mai smesso di allenarsi, per quanto possibile.

Ma non era abbastanza.

Tenten si pulì il mento con una manica, e cercò di respirare più piano per non sentire troppo dolore. Ogni singolo secondo si stava dilatando in ore, e allo stesso tempo sembrava durare pochissimo ogniqualvolta si rendeva conto che lui era troppo forte per loro, specie dal momento in cui le aveva prese di sorpresa e aver quasi strappato un braccio a Sakura, che era la più potente tra loro.

«Curati. Lo distraggo.» suggerì Tenten a bassa voce.

Sakura la guardò, sgranando gli occhi allarmati. «Stai attenta.» l’ammonì piano, cercando di distendersi sulla schiena per curare il braccio e il resto del corpo.

Tenten annuì, e saltò nel buco del pavimento.

Si guardò attorno, e sconcertata si rese conto di non vederlo. «Ino?» chiamò piano.

Ino non rispose, appoggiata ancora al muro e con la testa reclinata. Il sangue sgorgava copioso, troppo. Tenten strinse gli occhi per mettere meglio a fuoco e supplicò gli dei che non le avesse tagliato la gola mentre lei era di sopra, a cercare di non svenire. «Ino?» ripeté tremante, senza riuscire a muovere un solo passo. Era agghiacciata.

«E’ viva.» dichiarò Tomoki alle sue spalle.

Il corpo di Tenten reagì da solo, fortunatamente non aveva dimenticato le azioni automatiche, e lei saltò via da lì in tempo per evitare un colpo probabilmente avvelenato. Con due salti all’indietro riuscì a mettersi abbastanza a distanza da concedersi di guardarlo. Fin’ora non erano praticamente riuscite a colpirlo, eppure era un uomo normale e non conosceva jutsu particolari, se fossero riuscite a ferirlo anche solo una volta…

«Siete solo donne, non prendertela.» disse lui, e con sbigottimento Tenten si rese conto che cercava non di sfotterle, ma di essere amichevole. Si era appena concesso un’alzata di spalle. «Alla fine non mi importa di essere ucciso, ormai non ho più ragioni di vivere, perciò…» continuò lui, e la kunoichi restò immobile, sconvolta. Stava dicendo che poteva ucciderlo?

«Perciò…» lo assecondò lei, ancora incredula.

«Perciò perché non prendi la tua amica dai capelli rosa e ve ne andate di qui? Mi basta Ino.»

«Fanculo.» sbottò Ino con voce rotta dal dolore, alzando appena la testa. Tenten poté vedere che il sangue scivolava dalla testa anche lungo il suo viso, e dalla bocca, e da un occhio, che un braccio era piegato in modo anormale, un osso era visibile, mentre il resto del corpo era nascosto dalla vestaglia strappata e dal sangue, anche lì. Le si rivoltò lo stomaco a quella vista. «Vattene.» aggiunse, rivolta a Tenten.

«No.» rispose automaticamente l’amica. Resistette all’impulso di lasciarsi cadere a terra, stremata.

«Anche Sanae l’avrebbe detto.» approvò Tomoki. Tenten non capì a chi si riferisse.

«Dico sul serio.» lo ignorò Ino. «Ten…»

«Non fare l’eroina con me, Ino. Tanto ormai ci siamo dentro tutte.» le ricordò lei, e incredibilmente sorrise. «Dai, bionda. Lasciami provare almeno, tutto questo è… imbarazzante, ecco. Pensa al mio orgoglio.» scherzò, senza smettere di tenere d’occhio ogni minimo movimento dell’uomo, che invece seguiva loro con interesse.

Ino represse un gemito a quel sorriso, che aveva amaramente riconosciuto. Erano passati anni e anni, ma mai si sarebbe cancellata dalla memoria il giorno in cui Sakura per la prima volta si era tagliata i capelli per sfuggire a Kin del suono e si era lanciata in un attacco quasi suicida contro Zaku, per salvare Sasuke. Aveva lo stesso sorriso, il sorriso di chi sta per morire ma perlomeno lo fa per qualcuno e non si può contrastare. E lei invece era bloccata lì.

L’avrebbe supplicata se necessario, ma all’ennesimo respiro le salì anche un po’, un bel po’, Ino, di sangue per la gola e si ritrovò a tossire e a quasi vomitare.

Tenten non la vide, vide solo Tomoki muoversi di scatto e si preparò a ricevere il colpo, quando si accorse che non mirava a lei ma all’alto. Alzò la testa giusto in tempo per vedere uno spiedo colpire Sakura ad un braccio, e Sakura sparire in una nuvola di fumo.

Tecnica della sostituzione, neanche a dirlo proprio come quella volta.

Tomoki emise un sibilo di disappunto, e cercò Sakura con lo sguardo. La colse proprio all’ultimo momento e la colpì con un pugno, ma anche questa sparì in una nuvola. Poi un potente pugno lo colpì alla spalla mentre si voltava, e finì con lo sbattere contro il muro accanto, la spalla in frantumi. Con un simile urto avrebbe potuto spezzargli il collo.

«Hai ragione Tenten, sono ancora forte.» si compiacque Sakura, pur insoddisfatta dall’incapacità di mettere tutto il chakra nel pugno, in quelle condizioni. Ogni traccia di ilarità si spense scorgendo Ino, che ancora tossiva, chinata a terra.

Ino alzò appena la testa, ed i loro occhi si incontrarono.

Grazie, frontespaziosa. Sta attenta.

Non morire, Ino. Davvero.

Tenten si lasciò cadere in ginocchio definitivamente, mentre Sakura prendeva la provvidenziale katana appesa al camino. La sfoderò e le parve abbastanza affilata.

«Mamma! Dove sei?»

Sakura chiuse per un momento gli occhi. Come se l’orrore non fosse abbastanza così.

«SHIN!» Ino gridò con quante forze aveva ancora in corpo e anche di più, piegandosi in avanti e comprimendo con una sofferenza terribile le ossa già rotte sotto il suo peso. Ma niente contava, tanto meno il proprio dolore fisico, se il suo bambino era in pericolo.

Tomoki sorrise e fece per rialzarsi in quel momento, ma Sakura fu più veloce e, abbandonando la spada, lo colpì con tutte le sue forze, facendogli sfondare il muro e finendo in giardino.

«Mamma?» il bambino si bloccò, a bocca aperta, alla vista della madre in simili condizioni.

«Shin, Shin devi andartene!» boccheggiò Tenten, costretta a camminare a carponi per raggiungerlo. Allungò una mano tremante e la poggiò sulla spalla del bambino, che fissava la madre imbambolato. «Piccolo, ti prego, vattene!» supplicò la donna.

«La… mamma…»

«La mamma sta be-NO! Shin!» gridò quando questo si divincolò e corse verso la madre. Si guardò attorno atterrita, certa che dal buco nella parete sarebbe ben presto rientrato quel mostro.

Shin si avvicinò alla madre, senza effettivamente capire quanto grave potesse essere tutto quel sangue, essendo lei la mamma.

La mamma non sta mai davvero male, è forte e c’è sempre come sempre c’è stata, questo per lui era ovvio, quindi non riusciva a collocare tutto quel rosso intorno a lei. Non era stupido, ma iniziò a valutare le possibilità che non fosse sangue; del resto quando lui si era fatto male da più piccolo non ne era mai uscito così tanto, e poi lei era la mamma, punto.

«Mamma?» la chiamò incerto. «Mami, sei… stai…?»

Ino represse un altro conato e strinse gli occhi per qualche secondo, cercando di allontanare ogni sensazione di dolore almeno per qualche secondo e apparire tranquilla. E per farlo non doveva pensare al fatto che il suo, probabilmente, assassino fosse in giardino a combattere con la sua migliore amica indebolita dai colpi, né soprattutto al fatto che Shin fosse in pericolo lì davanti a lei.

«Shin.» disse, e la sua voce suonò dolce come sempre. Aprì gli occhi e sorrise. Per il mio bambino, tutto questo è per il mio bambino. «Amore mio, devi andare via. La mamma ha… la mamma e la zia stanno per vincere contro il signore cattivo, ma lui non ti deve trovare, capisci?» spiegò con voce che diventava più tremante, resistendo all’impulso di urlare “Vattene!” col rischio che fosse controproducente.

«Io… Io sono come un supereroe.» dichiarò improvvisamente il bambino.

Ino spalancò gli occhi, e ancora immobile cercò velocemente di capire. Rinunciò. «Cosa?»
«Lo dice sempre zio Naruto! Io sono un supereroe e devo difenderti.» si impuntò il piccolo.

Le emozioni che stava trattenendo cercarono improvvisamente di abbattere il muro dietro cui le tratteneva, sfondandole quasi il petto attraverso il cuore. Si morse le labbra, e tentò ancora una volta di aggrapparsi al proprio autocontrollo con disperazione vera e propria. «Se vuoi difendermi va via

Il bambino sembrò sconcertato, ed Ino sentì le lacrime pungerle gli occhi. «Ti prego… ti prego… va via di qui, Shin. La mamma vuole solo questo. La mamma ti ama, Shin. Lo sai, vero?»

Shin annuì, e poi di punto in bianco scoppiò in lacrime. «T-ti fa male, mamma?»

«Oh, Shin…» Ino non aveva mai desiderato tanto in vita sua abbracciare suo figlio e cullarlo tra le braccia, ma non poteva muoversi, né chiedergli di abbracciarla. Poté solo piangere a sua volta, lasciando finalmente scivolare le lacrime giù per le guance. «Amore… ascoltami bene: io sto bene, non mi fa male nulla. Non mi farà mai male nulla se saprò che sei al sicuro. Hai capito? Ora devi andartene via di qui veloce, velocissimo!» lo pregò, obbligandosi a non muoversi perché la voce non divenisse un urlo, «Ti amo tanto, Shin. Amo te ed il tuo papà, e sono felice sempre anche solo a pensarvi. Questo lo devi  dire a papà, capito? Quando torna, devi dirgli che lo amo tanto e che non sto soffrendo e soprattutto che non è colpa vostra…»

«Ino!» la richiamò con urgenza Tenten, fissando Tomoki che si rimetteva faticosamente in piedi dopo aver atterrato Sakura.

Ino capì che il tempo a loro disposizione era finito. «Shin, non c’è più tempo, obbediscimi. E quando papà tornerà vi prenderete cura l’uno dell’altro, perché tu sei anche il supereroe di papà.»

Shin la guardava con terrore, singhiozzando e strofinandosi il viso con le mani. «E… e tu?»

«Io ci sarò sempre per voi. Ora però corri via, sta arrivando!» lo incitò. Il bambino sembrò indeciso, poi il suo sguardo cambiò e corse via. Ino si rese solo vagamente conto, data la situazione, che era lo stesso sguardo che aveva avuto altre volte in cui aveva tentato di fare il furbo. Se se ne fosse accorta lo avrebbe fatto promettere, funzionava sempre con lui, ma la sua attenzione si focalizzò sul buco nel muro all’angolo di cui stava appoggiata.

Tenten fissò a sua volta le gambe di Tomoki cambiare bruscamente strada. «Sta andando nella tua direzione.» sussurrò.

«Shin?»

«Non lo vedo più da qui. Oddio

A quel mormorio strozzato il cuore di Ino perse un battito. «Che altro c’è? CHE ALTRO C’È?» finì con l’urlare istericamente.

Il viso di Tenten perse ulteriormente colore nel vedere l’orribile scena di Tomoki, appena entrato in casa probabilmente dalla finestra della cucina, in piedi davanti a Shin, che reggeva con mano ferma la katana che Sakura aveva lanciato indietro poco prima.

«Stai attento!» disse Shin, e la sua vocetta suonò particolarmente infantile, quasi a sottolineare la sua età. «Non ti avvicinare alla mia mamma!»

«No… no…» sussurrò Ino, la cui voce si rifiutava di uscire ad un atono accettabile. Cercò di muoversi e scoprì che invece c’era ancora tutta, quando si trattava di urlare per il dolore. «Tenten, fa qualcosa.»

Tenten si era già alzata ed era ricaduta avanti, e, stringendo i denti, tornò a tirarsi in piedi di nuovo, cercando qualsiasi arma.

«Tenten…» ripeté Ino, come ipnotizzata. Vide l’amica preparare il colpo, armata solo di un pezzo di legno. La vide sorridere senza neanche rendersene conto, di quello stesso sorriso di poco prima, di chi sa che sta per morire e vuole fare le cose per bene. E poi la vide fermarsi con la mano a mezz’aria. «Cosa…» cominciò e si interruppe quasi subito.

Nessun rumore dalla cucina, né dall’esterno. Si chiese perché Tomoki non avesse ancora attaccato, ed in un terribile ed eterno secondo ebbe la certezza che l’avesse fatto, e che fosse troppo tardi.

Fu solo un secondo, poi tutto il dolore e la stanchezza la colpirono, e si accasciò sul pavimento, perdendo  conoscenza.

Shikamaru… Shin…

 

Shikamaru non aveva mai corso così veloce in vita sua.

I suoi compagni erano altrettanto veloci e silenziosi, rispettando la sua preoccupazione che piano piano si stava tramutando in angoscia.

Alla vista di casa propria ebbe la sgradevole sensazione che il cuore gli saltasse in gola.

Sentì subito Ino urlare qualcosa, e non sembrò un grido di dolore. Erano i tipici strilli della sua consorte, sicuramente.

Era ovvio, sono partito stamattina presto, non è ancora successo niente, si ripeté speranzoso.

«C’è un odore di sangue orribile.» avvisò Kiba, arricciando il naso.

Un altro tuffo al cuore per Shikamaru, stavolta seguito da nausea.

Era praticamente davanti alla cucina quando si accorse del muro sfondato e che per terra, in giardino, c’era Sakura. Priva di conoscenza, oppure…

«Sa…» cominciò Naruto, e non aveva neppure alzato ancora la voce abbastanza perché fosse udibile, quando sentirono un'altra vocetta, molto più acuta.

«Stai attento! Non ti avvicinare alla mia mamma!»

Shin.

Suo figlio, il suo bambino di quattro anni, tanto coraggioso e dolce... in pericolo?

La furia cieca e violenta esplose nella testa di Shikamaru come mai prima di allora. Poco dopo la morte del suo maestro si era sentito altrettanto pieno di rabbia, ma una rabbia cieca che lo spingeva ad elaborare una strategia perfetta; stavolta invece era soltanto la pura voglia di uccidere chiunque si fosse avvicinato alla sua famiglia e avesse violato la sua casa.

Senza un piano, senza aver studiato prima il nemico, con la sola voglia di cancellarlo, disintegrarlo e raggiungere suo figlio e sua moglie, Shikamaru usò il controllo dell’ombra quasi istantaneamente e senza pensarci. Come una marea questa si spinse avanti velocemente, e incatenò quella leggera di Tomoki. Sentì Naruto nello stesso momento sfrecciare alle sue spalle diretto verso la moglie, Neji accanto a sé attivare il byakugan per trovare Ino e Kiba e Choji mettersi in posizione di attacco.

«Tenten.» disse senza pensarci Neji, sconvolto da ciò che vedeva.

«Kiba, porta via Shin di lì, ora.» ringhiò Shikamaru, e Kiba non se lo fece ripetere due volte.

Tenten lo vide entrare e passare accanto ad un Tomoki immobile, troppo sotto shock per credere che fosse reale. Poi, qualche istante dopo, sentì le braccia di Neji circondarle il corpo e sussultò per il dolore e per l’enorme peso che le era crollato addosso, al pensiero che forse, davvero, c’era la possibilità che fosse reale.

«La mamma!» balbettò Shin terrorizzato, lasciando cadere la spada a terra con un rumore metallico mentre Kiba, incurante di essersi anche ferito, lo sollevava di peso trascinandolo nel soggiorno.

Shikamaru saltò in quel momento dalla finestra con Choji, facendo voltare Tomoki, e quando lo riconobbe non ebbe bisogno di spiegazioni. «Tu…» disse solamente, ed in un lampo ricordò la donna che avevano eliminato tempo fa, ed il pericoloso mukenin fuggito. La donna si chiamava…

«Sanae.» completò il suo pensiero Tomoki, digrignando i denti. I suoi occhi già spiritati per la sorpresa si sgranarono, mentre un sorriso beffardo si faceva spazio tra le sue labbra, conferendogli un’aria ancora più maniacale. «Tu hai preso lei… io ho preso la tua.» disse, tetro come il rintocco di una campana che annunciava morte.

Shikamaru barcollò, colpito dalle sue parole, e l’attimo dopo gli fu addosso. Nessuna tecnica ninja avrebbe potuto prosciugare la sua sete di vendetta dopo quelle parole, se non il colpirlo a mani nude.

«Shikamaru!» gridò Choji, sconvolto dal vederlo reagire in quel modo.

Tomoki ringhiò come un animale, liberandosi con un pugno nello stomaco della presa dell’altro, e lo mandò a sbattere contro i fornelli. Shikamaru era già in piedi però, e lo stava colpendo con un calcio alla bocca, spezzandogli quasi il collo. Si avvicinò, ed impietoso riprese ad infierire, finché l’altro non gli afferrò la gamba, torcendola e facendolo cadere a terra con un lamento. Estrasse velocemente un kunai, non aveva tempo per pensare, voleva solo la sua Ino, ora, e  lo affondò nel ventre dell’altro, che quasi invece scoppiò a ridere.

«Eri molto più… freddo, l’altra volta.» considerò Tomoki, e troppo tardi Shikamaru si accorse che aveva appena estratto uno spiedo.

Per un attimo il suo campo visivo divenne tutto bianco, poi si rese conto che quel lampo era stato Neji, che aveva deviato il colpo. Choji si affrettò a separarli, e Shikamaru si liberò della sua presa alle spalle con uno strattone, innervosito dalle risate convulse dell’altro, che continuavano. Afferrò il primo coltello trovato, e spinse via Neji.

«Shikama…»

«Fallo. Io perlomeno ora la raggiungerò.» li interruppe Tomoki, soddisfatto.

«E allora perché cazzo non ti sei suicidato prima?» la voce di Shikamaru era a stento riconoscibile, «E dov’è Ino?»

«Ino è qui.» rispose per lui la voce di Kiba, dal soggiorno comunicante ma invisibile per via del muro. Neji si morse le labbra, l’aveva vista anche lui del resto, all’angolo della stanza.

«Allora?» lo incitò Tomoki, tenuto a terra da un Choji che aveva appositamente gonfiato le mani e da Neji, tornato a bloccarlo dopo lo spintone.

Shikamaru si lasciò sfuggire un sibilo irritato. Ino è viva, ovviamente. Sono stato troppo precipitoso. Ma quel mukenin avrebbe meritato una tortura più lunga. Si maledisse per non essere in grado di usare tecniche simili a quelle del mangekyo sharingan, per poterlo bloccare in qualche altra dimensione, vivo e solo. Ucciderlo sarebbe stato solo un atto di pietà, e lui non ne aveva a disposizione per lui.

«No, non ti darò questa soddisfazione. Ti porteremo direttamente dall’Hokage.» rispose irato. L’altro cercò di liberarsi, con una smorfia di disappunto.

«Quelle tre mi hanno fatto stancare…» si lamentò come se nulla fosse. Poi sorrise ancora. «Specie Ino. Ha una cicatrice sul petto, vero?»

Shin, acquattato accanto a Kiba che ascoltava i loro discorsi cercando di non sfiorare Ino e al tempo stesso capire se respirava ancora, sentì chiaramente il sibilo di qualcosa che fendeva l’aria, ed un suono soffocato. Poi lo zio Choji dire qualcosa troppo a bassa voce perché potesse sentirlo, ma sembrava davvero arrabbiato.

Kiba si sporse, notando che effettivamente Ino aveva una cicatrice, visibile solo perché la vestaglia era stata squarciata. Lo strappo però si fermava appena sotto il seno, ed era praticamente sicuro che non fosse stata stuprata, ma che lui avesse finto di averlo fatto approfittando di quella vista.

Se era andata così, quel rumore sibilante era stato sicuramente Shikamaru a farlo.

E così ce l’ha fatta… si è fatto uccidere. Figlio di puttana…

«Zio Kiba.» chiamò Shin, e il jonin si riscosse.

«Adesso ci pensiamo noi alla tua mamma, Shin. Come nuova. Vedrai.» lo rassicurò, pur non essendo sicuro che fosse la cosa giusta da dirgli. Davvero Ino sarebbe tornata come nuova?

«Perché non si sveglia?» domandò il bambino con voce tremante.

«Oh. Perché… ecco… riposa.» cercò di spiegare Kiba, sentendo il bisogno di fargli compagnia. Ino era una gran donna ed una grande amica, non meritava tutto questo.

«Kiba, dov’è…» Shikamaru tacque, trovandola in quelle condizioni. Spalancò gli occhi scuri, spostandoli prima sul figlio, che lo guardava in lacrime, e poi sulla moglie, seminascosta da Kiba inginocchiato a terra.

Ma il sangue su entrambe le pareti e per terra, quello era visibile.

«E’…» cominciò con voce strozzata, e Kiba capì subito a cosa si riferisse.

«No! Respira…» si affretto a dire, guardando poi la donna. Trattenne un “ancora” che non avrebbe giovato. Non aveva avuto neanche il coraggio di voltarla, era ancora stesa su un fianco. «E direi che non l’ha neanche sfiorata in…» ricordò che Shin era accanto a sé, «… sensi strani, ecco.»

«Fermati!» sentirono gridare a Naruto, mentre Sakura, barcollando, entrava aiutandosi con le mani poggiate al muro.

Tenten, con la schiena ancora poggiata alla parete che lei usava come sostegno, tentò di mettersi in piedi per aiutarla, ma Neji fu subito su di lei, bloccandola perché non si facesse male, senza dirle nulla.

Naruto entrò subito dopo Sakura, sussultando alla vista di Ino.

«Io posso… posso…» iniziò Sakura a fatica, lasciandosi cadere in ginocchio al fianco di Shin.

«Zia…» mormorò il bambino quasi senza voce.

Shikamaru si mosse come un fantasma, arrivando alle sue spalle e sollevandolo, stringendoselo al petto con forza e facendo qualche passo indietro. Avrebbe voluto chiudergli gli occhi, nascondergli tutto questo, ma era vistosamente troppo tardi. Probabilmente era lì fin dall’inizio, e neanche capiva come mai Sakura e Tenten fossero lì.

Tutto ciò che sapeva è che lui lì, quando avevano avuto bisogno di lui, non c’era. E adesso Ino era in fin di vita. E lui doveva proteggere Shin.

«No, Sakura.» disse Naruto, scuotendo la testa e poggiandole una mano sulla spalla.

«Che ca…» Shikamaru prese un respiro, «Lasciala fare.»

«No. Sakura…» lo ignorò Naruto.

«Devo, Naruto, devo…» cercò di dire lei, e non poté trattenere le lacrime a sua volta, sfiorando il bel viso dell’amica.

«Sei incinta, Dio! Non vedi in che condizioni sei? Finirà male!» esplose Naruto, e tutti li guardarono increduli.

Sakura voltò appena il viso indietro, per poter osservare il viso del marito e perché lui potesse vedere il suo. «Naruto…» disse lei piano, mentre un’altra lacrima scivolava sulla sua guancia ed i suoi occhi gridavano di lasciarla e di perdonarla al tempo stesso, «È la mia Ino-chan.» sussurrò con voce flebile.

E Naruto capì.

Il suo Sasuke e la sua Ino, qualcosa che entrambi avrebbero dovuto fare ad ogni costo, come se fossero nati per questo, anche se inutile. C’erano soltanto loro, dopo anni, dopo vite, sempre e solo loro. E Ino, perlomeno, avrebbe fatto lo stesso.

La mano scivolò dalla spalla di Sakura al suo braccio, e lui si chinò dietro di lei, rafforzando la stretta per dirle che le dava fiducia. Sakura fece un sorriso, flebile quanto la sua voce, e tornò a guardare Ino.

«Hyuga-san!» esordì uno voce estranea dall’esterno. Neji si scostò da Tenten solo quel tanto che bastava per vedere.

«E’ della casata cadetta. Deve essere stata Hinata a mandare tutti qui.»

«Io sono scappata da zia Hinata.» spiegò debolmente Shin, perfettamente udibile nel silenzio spettrale rotto solo dallo sfrigolio del chakra e dal respiro affannoso di Sakura, Tenten e Shikamaru.

«Ho bisogno che ci mandiate più dottori possibile, velocemente!» ordinò allora Neji, tornando a rivolgere la sua attenzione a Tenten. La moglie fissava la schiena di Sakura e i bei capelli biondi di Ino, ora rovinati, sparsi sul pavimento.

«Ehi…» sussurrò, e la donna spostò impercettibilmente lo sguardo, smettendo di vederle. Infine si arrese, voltando il viso.

I loro occhi si incontrarono, ed i due si parlarono in silenzio finché Neji non le poggiò una mano sulla guancia graffiata, accarezzandola lievemente. Tenten reagì subito, sporgendosi in avanti e sfiorando le labbra con le sue, per poi riappoggiarsi al muro con le poche forze rimaste. Neji la guardò ancora, poi annuì e le poggiò una mano sulla testa, avvicinandosi a lei per farsi sentire vicino, un ginocchio a terra al suo fianco e la schiena piegata per poterla abbracciare meglio, aiutandola a rilassarsi mentre aspettavano aiuto.

Sakura iniziò a vedere troppo sfuocato per i suoi gusti, e strinse gli occhi, cercando di rimettere tutto a fuoco.

Spinse con delicatezza il corpo dell’amica, facendola distendere sulla schiena, e comprese che la situazione era peggiore di quello che aveva immaginato. Kiba si trattenne a stento, gli odori lo colpivano crudelmente, poi si alzò e andò direttamente alle scale, al bagno di sopra. Choji invece semplicemente si sedette a terra, con gli occhi offuscati dalle lacrime.

Shikamaru strinse inconsciamente più forte Shin, che poté soltanto ricambiare stringendo le manine gelide sulle braccia che gli circondavano il petto. Ricordandosi solo allora di averlo ancora in quella posizione scomoda lo mise giù, e lo fece voltare per poi abbracciarlo stretto.

«Papà…» pigolò il bambino, solleticandogli il viso col codino alto.

«Mh?» riuscì soltanto a rispondere Shikamaru, privo di voce. Temeva che quel groppo che aveva in gola si sciogliesse e non poteva permetterselo. Non ancora.

«Mamma non sta male, vero? Mamma ha detto che non stava male…»

Shikamaru ebbe l’impressione che qualcuno gli stesse torcendo il cuore, e si schiarì la voce due volte. «Quando?»

«Prima. Ha detto che non stava male.» insistette Shin, «E che ci ama tanto, e non è colpa tua. Perché ha detto che non è colpa tua? Certo che non è colpa tua, è colpa del signore cattivo.»

Shikamaru finì col piangere a sua volta, come Sakura, sin da piccolo, non aveva mai visto l’utilità di trattenersi, ed era certo che sarebbe scoppiato di lì a poco. Accarezzò la schiena del bambino con le mani, annuendo piano. «Mamma dorme, non sente niente.» confermò, con voce spezzata. Vide Choji chiaramente mentre nascondeva il viso tra le mani a quelle parole, e Naruto voltarsi appena a guardarlo, con la compassione dipinta in volto.

«Ed è colpa del signore cattivo. Sì.» ma io vi ho lasciati soli. «Stara bene, quindi sta tranquillo.» sussurrò.

«Dov’è il signore?» domandò ingenuamente Shin, e stavolta Shikamaru non dovette chiedere nulla a Kiba, che era appena tornato giù pallido in viso, e neanche a Choji, che scattò in piedi, ed entrambi si diressero in cucina per spostare il cadavere prima che Shin avesse la malaugurata idea di guardarsi attorno.

«E’ andato via e non tornerà mai più.» promise.

Il piccolo Shin si separò da lui, e lo guardò negli occhi. Shikamaru si rese conto che aveva capito molto di più di quello che lasciava intendere, dato che i suoi occhi erano gli stessi del Naruto bambino che aveva conosciuto.

«Non era un brutto sogno, papà.»

«Lo so. Ora lo so. Mi dispiace tanto.»

Sakura si lasciò sfuggire un ansimo di sorpresa, quando si ritrovò a guardare gli occhi di Ino.

«Ino?» chiamò sconvolta.

Ino represse a malapena un urlo di dolore, chiedendosi dove diavolo fosse e perché soffrisse tanto.

«Mamma! Mamma!» gridò Shin, staccandosi da Shikamaru e correndo verso di lei, seguito dal padre.

«Ino!» esclamò Shikamaru, e il mondo di sollievo che lo stava avvolgendo fu miseramente distrutto da un’occhiata di Sakura, che gli diceva che non era ancora al sicuro.

Ino si lasciò investire dal calore del chakra curativo, che non era poi così piacevole quando si occupava di bloccare le emorragie, e si concesse qualche secondo per osservare attentamente il corpo del bambino.

«Sta bene.» si affrettò a dire Naruto, «E quello è morto. È finita.»

Ino sorrise, sentendosi tirare il viso dolorosamente. Ma niente riusciva a spegnere quel sorriso al sapere che Shin era sano e salvo. Poi i suoi occhi andarono a Shikamaru, traboccanti di amore. Se quello era un addio, voleva sentire solo felicità e amore al momento della fine.

Sakura sentì una prima fitta, e tentò di ignorarla senza che Naruto se ne accorgesse.

«Sei tu a tenermi in vita, vero?» sussurrò Ino, che invece aveva colto un cambiamento nel flusso di chakra, e istantaneamente era stata peggio.

«Il tuo cuore si stava fermando, hai perso troppo sangue. Ma adesso stanno arrivando i dottori, basta aspettare. Solo un po’.» la voce di Sakura sembrava una supplica, e non era che una conferma.

«Sakura, devo darti il mio chakra?» si preoccupò Naruto.

«Non riuscirei ad accettarlo, ho già il chakra del bambino.» negò Sakura, sentendo un’altra fitta, e subito dopo un’altra ancora. Gemette.

«Sakura!» supplicò Naruto, non sapendo cosa chiederle.

Ino tornò a guardare Shikamaru e Shin, sorridendo ancora.

«Perché sorridi così?» non riuscì al trattenersi dal chiedere Shikamaru, che non ne aveva alcuna voglia.

«Perché voi state bene. È tutto ciò che conta.»

«Non tutto.» ribatté Shikamaru, angosciato. Shin riprese a singhiozzare.

«Shin, non piangere. Non vuoi che la mamma sia serena?» mormorò Ino, dolcemente.

Shin si strofinò subito il viso con le mani, annuendo freneticamente.

«Ino.» pronunciò poi la donna.

Tutti la guardarono senza capire, anche Kiba e Choji, appena rientrati in casa.

«Sakura, chiamala Ino. È un nome forte. Come lei. Ce la farà.»

Ed un sorriso scherzoso, ma con uno sguardo orribilmente consapevole, fu l’ultima cosa che Sakura poté vedere prima che una fitta lancinante le togliesse le forze e la facesse cadere svenuta contro le gambe dell’amica.

Ino, ancora sorridendo, chiuse gli occhi e ascoltò l’ultimo battito del proprio cuore stanco.

«MAMMA!»

«NO! Ino! Apri gli occhi, ti prego!»

«Sakura! Ino!»

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo secoli, e sono ancora alla ricerca dell'epilogo perduto. Ringrazio tutti coloro che hanno commentato questa storia, che stavo per abbandonare causa perdita-pc.

Ora manca solo l'epilogo!

 

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