UNCONVENTIONAL REBEL

di roughgirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Prologo ***
Capitolo 2: *** 2.Dream ***
Capitolo 3: *** 3.Different ***
Capitolo 4: *** 4.Stars ***
Capitolo 5: *** 5.Snooty people ***
Capitolo 6: *** 6.È guerra ***
Capitolo 7: *** 7.Bad discussion ***
Capitolo 8: *** 8.Locked in with the Devil ***
Capitolo 9: *** 9.Haunted from your eyes ***
Capitolo 10: *** 10.Failed plan ***
Capitolo 11: *** 11.Labbra marchiate ***
Capitolo 12: *** 12.Cena a casa Lewis ***
Capitolo 13: *** 13.SFIDA-Prima parte ***
Capitolo 14: *** 14.SFIDA-Seconda parte ***
Capitolo 15: *** 15.Be strong ***
Capitolo 16: *** 16.LUI È IL PECCATO ***
Capitolo 17: *** 17.Innocent touch ***
Capitolo 18: *** 18.Oscar Jeb Morrinson ***
Capitolo 19: *** 19.IL RAGNO E LA FARFALLA- Prima parte ***
Capitolo 20: *** 20.IL RAGNO E LA FARFALLA- Seconda parte ***
Capitolo 21: *** 21.Coraggio ***
Capitolo 22: *** 22.Lose control ***
Capitolo 23: *** 23.Angelo o demone? ***



Capitolo 1
*** 1.Prologo ***


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Caldo. In quel piccolo salotto così affollato faceva irrimediabilmente, fatalmente caldo.

Jane sentiva una gocciolina di sudore scenderle giù per la nuca fino ad arrivare al collo.
Continuava a guardare le tantissime tonalità che assumevano quelle quattro pareti e i tantissimi pezzi di stoffa che svolazzavano a destra e a sinistra.
Seduta, in mezzo a tutte quelle dame che continuavano a parlottare, sghignazzare, spettegolare e tenere collo e braccia alzate, come se qualcuno le minacciasse con uno di quei giocattoli che aveva visto in una rappresentazione al teatro con sua madre e che aveva visto tante volte anche in mano al padre che diceva dover andare a 'caccia', curiosa com'era gli aveva anche chiesto il nome, si chiamava pittola? O no, forse era pistona.
Ciò che non capiva era perchè le persone ne fossero tanto spaventate, perchè poi alzavano le mani? Era un incantesimo?
Come poteva capire, piccola e ingenua com'era, che quei giocattoli di cui la gente aveva tanto terrore, avrebbero potuto perforare in un millisecondo la sua piccola e già piena di idee testolina?
Lei continuava a muovere stufa le gambe penzoloni su quella sedia, dove la mamma le aveva detto di stare ferma, ma a Jane non piaceva fare la statuina e, seppur piccola, odiava già gli ordini ma ancora di più i rimproveri e le punizioni, quindi si decise a immobilizzare i minuti e piccoli piedini.

'Sono le buone maniere, Jane, quando crescerai mi ringrazierai.'
Diceva sempre così la sua severa mamma.

Voltò la testa, in direzione proprio dei capelli scuri della madre ma prima si soffermò su dei bellissimi e perfetti riccioli d'oro raccolti in una treccia altrettanto perfetta. Quei riccioli d'oro che la sua mamma e il suo papà tanto amavano e che a lei veniva naturale definire 'perfetti' senza sapere il vero significato di questa parola.
Abbassò lo sguardo sul viso della ragazza, sul suo sorriso, sembrava davvero felice, sua sorella. Stava provando un velo sul suo capo, sua madre la stava aiutando a metterlo, mentre parlottava di qualcosa con la sarta.

"Marge, tesoro, sarai favolosa!" Jane, nonostante la lontananza udì queste parole da sua madre che mai aveva visto tanto entusiasta.

Guardò di nuovo Margaret e gli angoli della sua bocca alzati. Sorrideva è vero, era felice è vero, ma perchè le sembrava che mai l'espressione sul viso della sorella fosse stato tanto falso?

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Capitolo 2
*** 2.Dream ***


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"Marge! Perché piangi?" La piccola si avvicinò alla sorella. Erano sole nella sua immensa stanza e Jane era davvero entusiasta: era una delle rare volte che sua sorella aveva accettato di giocare con lei, aveva preso il suo cavalluccio di legno contenta, ma si era bloccata vedendo scendere quella calda lacrima su una delle guance rosee di Margaret. Sapeva cosa significasse: dolore.

"Jane, lo sai cosa vuol dire essere forti, nonostante tutto e tutti?" Gli occhi azzurri della giovane si incatenarono ancora ai suoi nocciola di bambina.

Jane piegò il gomito e strinse la mano in un pugno "Marge perchè papà ha i muscoli ed è forte e io no?" Disse guardando il fine braccino da cui non si alzava niente, come aveva visto fare invece al padre.

La fanciulla dagli occhi azzurri sorrise davanti all'innocenza della bambina, rasserenandosi.

"Eh, Marge?" Continuava a chiedere Jane con un carinissimo broncio sul suo adorabile faccino.

"Perchè sei piccola Jane, quando sarai grande diventerai più forte di papà." Disse carezzandole i morbidi capelli castani.

"E tu allora? Perchè piangevi? Non sei riuscita a diventare più forte di lui?" Margaret sorrise nuovamente, quanto poteva amare quella bambina?

"Più o meno. Ma tu non piangerai, perchè sei forte qui." Mise la mano sul suo petto dove si scontrò con il battito di quel piccolo cuoricino che prometteva già tutto.

"Ora devo andare Jane." E vide la snella figura della sorella allontanarsi.

"No! Marge! Marge! Non mi lasciare da sola! Stai qui con me! Gioca con me! Marge!"

"Signorina Jane! Signorina Jane! Avanti alzatevi!" Marianne, dopo aver aperto le tende per permettere alla luce di filtrare nella stanza, come ogni mattina, continuava a chiamarla e scuoterla come una macchina impazzita e Jane, come ogni mattina, non voleva saperne di alzarsi, ancora intrappolata in un'altra realtà, nel sogno dove incontrava quella figura come ogni notte da ormai sei anni.

Continuava a tenere salda la coperta sulla sua testa, opponendo resistenza alla povera Marianne che, come ogni mattina, sarebbe stata rimproverata dalla signora di casa.

"Avanti signorina, fra quindici minuti esatti avete lezione di letteratura! Immaginatevi se vostra madre viene a sapere della vostra nuova assenza con l' istruttore! Scoppierà un vero e proprio primo conflitto mondiale! E non me ne vogliate, ma mi sento in dovere di salvare l'umanità svegliandovi in tempo, o almeno spero." Jane non potè fare a meno che scoppiare a ridere a tutte quelle sciocchezze sparate a vanvera dalla sua buon vecchia cameriera.

"Devo farvi di questi monologhi tutte le mattine per costringervi ad alzarvi?" Le chiese poco indispettita la camariera. Scosse la testa, che le girava ancora tanto anche a causa di ciò che aveva sognato, e si alzò ritornando seria. Guardò l'orologio a pendolo e, pervinci! Erano già le otto e trenta!

Tra meno di quindici minuti si sarebbe dovuta trovare dall'altra parte della reggia vestita, acconciata e profumata, altrimenti lo sapeva bene, nessuno l'avrebbe salvata dalla furia della madre.
"Dannazione, Marianne! Perché non mi hai chiamato prima?" Si affrettò a infilarsi la lunga gonna, che le arrivava ai piedi e le scarpe di seta.

"Signorina lo sapete che ho fatto di tutto per svegliarvi" disse avvicinandosi alla giovane, con un corsetto rosso abbinato alla lunga gonna.
Jane si spaventò a quella vista, sapeva bene le intenzioni dell'anziana cameriera e si preparò alla quotidiana battaglia mattutina.

"Io quello non lo metto!" Alzò il tono della voce, stringendo i pugni e guardando Marianne con convinzione e cocciutagine, appartenente a pochi.

Se c'era una cosa che odiava dalla più tenera età erano certamente quegli indumenti così stretti che la facevano soffocare: le piaceva essere comoda e già con quelle gonne che non le permettevano di camminare spigliatamente era difficile, figurarsi indossare quell'indumento tanto opprimente , quanto secondo sua madre 'femminile e degno di una signorina per bene'.

Peccato che io non voglia essere una fanciulletta ochetta per bene, di quelle che conoscete e imitate voi, madre.

Si decise a indossarlo, ma solo perché era tardi e non c'era più tempo per discutere con la cameriera.
Imprecò mentalmente quando sentì il corpetto stringerla e far risaltare ancor di più i suoi seni sodi e abbastanza grandi, che molte le invidiavano, ma che lei odiava proprio come quei dannati corsetti.
Perchè non poteva indossare quei comodi e pratici pantaloni maschili?
'Perchè sei una donna, Jane e, con o senza il tuo consenso devi indossare abiti degni della tua portata e della tua sessualità."

Ma quale sessualità, madre? Verrà il giorno in cui non saremo più costrette a coprire le nostre caviglie per paura di passare per sgualdrine.
Maledì di nuovo sua madre mentalmente.
Quanto potere poteva avere quella donna su di lei? Specialmente dopo quell'incidente, la signora di casa Lewis era ossessionata dalla sua educazione, non la lasciava libera un attimo, per paura che la figlia comettesse qualche sciocchezza specialmente in pubblico.

Il nome della sua famiglia era ancora sulla bocca di tutti, nonostante fossero passati già cinque anni dall'accaduto, nei salotti e nei ricevimenti dell'Alta Società c'era sempre qualche pettegola che azzardava sul loro cognome senza pudore nè compassione.

Il signore di casa, sir Charles Arthur Lewis, ovviamente ignorava tutte quelle dicerie transitorie maligne di qualche lingua biforcuta, e voleva che anche la moglie fosse indifferente alle calunnie di quelle bigotte, ma l'intollerante Lydia non ci riusciva affatto, tanto che cercava di rendere perfetta a suo piacimento la secondogenita e si sfogava sulla povera fanciulla ogni qualvolta fosse frivola o scomposta.
Ma la 'povera' Jane non era poi tanto 'povera' dato che faceva dannare la madre e spesso l'aveva secondo la signora ridicolizzata davanti alle signorotte dei circoli.

In sua figlia non sapeva vedere altro che sconfitte.

Perché proprio a lei una figlia tanto intrasigente e ostinata?

La signora Lewis sapeva bene che era nella sua indole essere una ribelle, lo sapeva, ma nella sua mente, troppo dipendente e oppressa dall'epoca, non riusciva a comprenderla e faceva di tutto per soffocarla.
Infondo come poteva? Lei stessa a sua volta era cresciuta rinchiusa in quattro mura, leggendo, studiando, imparando a ballare e a parlare come una gran signora a modo, per diventare alla giovane età di sedici anni moglie e madre.

Lei rivoleva la sua creatura, quella graziosa, innocua e disciplinata creatura che il desino le aveva portato via quel maledetto giorno di sei anni prima quando le vite di tutti e tre erano cambiate.

E Jane, seppur forte, soffriva, stava male, non ce la faceva a veder sua madre in quelle condizioni e si era ripromessa quel giorno maledetto di fare tutto il possibile nel suo limite per non farla addolorare ancora di più a causa sua. Ma sembrava che più ci provasse, più sua madre la odiava.
Odiava.
Sua madre la odiava, non gliel'aveva mai detto, ma da come spesso la guardava, con i suoi occhi scuri pieni di rancore, lo capiva. Perché? Perché non era dolce e carina come Margaret? O più semplicemente perché non era Margaret?

Fatto sta che sua madre le parlava solo per rimproverarla. Non riusciva ancora ad affrontare l'argomento e la giovane non sapeva davvero che fare se non ignorare come tutti in quella casa troppo grande per tre persone, ma troppo piccola per tutto quel dolore.

"Su, avanti, si sbrighi! Spero ce la faccia ad arrivare in tempo." Sorrise a Marianne, l'unica che davvero le dava serenità in quella casa ormai vuota e triste.

Mentre correva verso la biblioteca, pensò agli occhi glaciali della madre, agli sguardi indifferenti che le rivolgeva il padre e, guardando le infinità di margherite, a quelle labbra sottili che aveva sognato un'altra volta, che si piegavano in sorrisi tanto belli quanto falsi e che appartenevano alla persona che l'aveva lasciata in mezzo a quel casino e che portava lo stesso nome di quei magnifici fiori.

Cosa mi volevi dire Marge? Perchè mi hai lasciata sola?

Writer's corner
Questa è la mia prima storia. Ho scelto come ambientazione proprio l'Ottocento prendendo spunto da un film che ho visto, ma soprattutto ispirandomi ad alcuni libri della Austen di cui mi sono innamorata. Comunque questi primi capitoli sono un pò brevi, ma questo per marcare e far conoscere l'ambientazione e la personalità di Jane che già amo. Quando entrerà in scena il protagonista sarranno molto più lunghi. Spero che piaccia perchè ci tengo molto a questa storia.

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Capitolo 3
*** 3.Different ***


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"Jane, stasera dovrai prepararti per una festa nella villa di un personaggio di gran prestigio attualmente."

All'udir quelle parole uscire dalla bocca della madre, la ragazza cercò subito di opporsi: se c'era una cosa che odiava più dei corsetti erano sicuramente i ricevimenti noiosi pieni di gente ipocrita e altezzosa, ma non era quello ciò che più la preoccupava, ma qualcosa che la madre cercava di istigarla a compiere da qualche mese: cercare marito.

Lei non era come le ragazze della sua età che non vedevano l'ora di sposare un riccone e scegliere il loro personale corredo di tazzine da thè.

No, Jane voleva solo essere libera, ancora libera di correre per il suo giardino, libera di prendere la sua Angel dal manto nero e cavalcare, cavalcare, dimenticare, svuotare la testa e riempire i polmoni di profumo di gelsomino e lavanda della sua terra. Ah. Sua madre odiava anche questo: cavalcare era roba da uomini, certamente una ragazza di diciassette anni che cavalcava come un uomo non era vista di buon occhio, nemmeno dalla società.

Perché a Jane non poteva passare il suo tempo con il cucito invece che leggendo libri di Oscar Wilde o di Tolstoj?
Perchè invece che prendere il thè e spettegolare con le sue amiche cavalcava?
Perchè non poteva impazzire per la moda come le sue coetanee e passare le giornate sfogliando riviste di alta moda che lei poteva permettersi?
Quante ragazze avrebbero voluto essere al suo posto, si chiedeva la signora Lewis, e lei non sfruttava ciò che poteva offrirle la vita?

"Madre..." iniziò Jane, ma la madre come sempre la battè sul tempo.

"Jane, non iniziamo una inutile discussione! Quand'è stata l'ultima volta che hai frequentato un salone di alto lignaggio?"

Jane ci pensò su. Dopo il suo debutto un anno prima era andata a sì e no tre feste.

"Insomma Jane, quante amicizie hai? Con quante tue coetanee ti incontri il pomeriggio? Questa sarà una buona occasione per fare anche nuove conoscenze!" Insisteva la signora.

Per cosa avrebbe dovuto incontrarle? Per comunicare cattive dicerie di cui a lei non fregava nulla?

Eppure voi dovreste odiarle queste genere di cose, madre.

"Madre sapete che non ho bisogno di queste conoscenze o finte amicizie! Voglio solo stare in pace per conto mio!" Ribattè stizzita la ragazza.

Vide la madre spostare lo sguardo afflitto su Marianne.
"Lo vedi Marianne, questa mia unica figlia vuole rimanere zitella a vita!" Riprese a guardare la figlia "Perchè non capisci che ora tutto il nostro patrimonio è in mano tua?"

Ci risiamo.

Jane sapeva dove voleva andare a parare, come sempre, ma su quell'argomento non gliel'avrebbe mai data vinta, la vita era la sua, lei si sarebbe sposata quando avrebbe voluto e se avrebbe voluto avrebbe fatto anche dei figli. Non avrebbe di certo cambiato il suo pensiero per due faccette tristi della madre.

A diciassette anni, in quel momento della sua vita, non voleva proprio saperne.

"Madre non voglio nè sposarmi, ne fidanzarmi adesso, lo sapete che sono ancora troppo giovane." Si difese la figlia.

"Troppo giovane? Troppo giovane?" Chiese sbigottita "Alla tua età io ero già sposata con tuo padre ed ero incinta di Margaret!"
Jane sussultò sentendo quel nome dalle labbra severe di sua madre. "E non ho neanche avuto parola in merito al nome del mio futuro sposo! Ti stiamo anche dando questa grande possibilità, Jane, non puoi mandarla all'aria!"

Certo, la possibilità di scegliere chi mi terrà in casa a sfornare bambini!
Penso tra sè e sè Jane.

"Madre, voi non capite. Io posso sopportare tutte le vostre seccature ma questo proprio no!" Lydia l'aveva fatta scoppiare di nuovo, anche se non voleva.

"Tua sorella non mi avrebbe mai risposto così! Lei ha subito accettato l'idea di sposarsi..."
Ecco! Aveva di nuovo scatenato la sofferenza della madre ed era davvero brava in questo, ma sua madre aveva la stessa capacità nello scatenare la sua ira.

Guardò il viso afflitto della madre. E i sensi di colpa riemersero...

"Madre lo sapete che Margaret amava il suo pretendente e non è poco" prese un respiro "e aveva già vent'anni."

"Sì, ma era fidanzata da quando ne aveva sedici!" Rispose prontamente la madre.

"Insomma Jane compredi me e tuo padre, qualora dovessimo improvvisamente venire a mancare, cosa accadrebbe alle nostre ricchezze? Chi le dirigerebbe?"

Jane sentì un altro moto di rabbia salirle per il petto e strinse i pugni "Perchè mai dovreste venire a mancare, madre?"

Non ho già perso abbastanza?

"Jane! È una supposizione ben attendibile! Lo sai anche tu che il destino ci riserva cattive sorprese!"

E su questo la madre aveva pienamente ragione: si era ritrovata dal vedere la sorella prendere il thè in mattinata al pensare nella notte che non avrebbe più rivisto il suo viso.

È spaventoso come tutto può cambiare in un istante.

"E va bene, madre..." scosse la testa la fanciulla, più incredula di sua madre nell' aver sentito quelle parole uscire dalle sue labbra.

Gli angoli della bocca della signora si incurvarono in un sorriso mix di felicità e soddisfazione.

"Andrò a quella festa, ma non chiedetemi di cercare un partito, perchè non sono ancora disposta a farlo!"

"Tranquilla figliola" disse la madre sorridente "saranno i partiti a cercare te. Ci saranno personaggi di gran spicco. Questo ricevimento è stato organizzato da Lord Michael Fisher, un alto funzionario vicino alle più importanti famiglie dell'intero Yorkshire!"
Si rivolse a Marianne "Avanti! cosa aspetti Marianne? Scegli il miglior abito e falla splendere in tutta la sua bellezza."

Jane sbuffò sentendo già il fastidio dei capelli legati e del bustino.

Writer's corner
Nel prossimo capitolo arriverà anche il protagonista. Comunque voglio fare il punto della situazione sui personaggi che ci saranno nella storia.
Jane Lewis: la protagonista
William Henry Stevens:il protagonista
Lydia Lewis: madre di Jane
Charles Arthur Lewis:padre di Jane
Margaret Lewis:sorella morta di Jane
Loren Stevens:madre di William
Jessica Stevens:sorella di William
Donald Stevens:padre di Will
Questi sono i familiari, gli altri appariranno più tardi.

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Capitolo 4
*** 4.Stars ***


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Jane continuava a giocare con una mollettina, stufa di star seduta, mentre Marianne, sua cameriera di vecchia data, le finiva l'acconciatura: un perfetto chignone, in voga da qualche anno, dal quale uscivano a tratti precisi, boccoli naturali della giovane.

"Finito!" Disse Marianne afferrando le spalle di Jane per farla voltare verso il grande specchio vicino l'ingresso della madre.

Jane si guardò ad occhi aperti: quello sfavillante abito lungo, che si apriva a cerchio, faceva risaltare molto la sua figura slanciata, maniche fino al gomito in pizzo rosso, corsetto attillato che già la faceva respirare a fatica e, unica cosa positiva che le permettesse il passaggio d'aria ai suoi polmoni, un'ampia scollatura che le lasciava scoperta buona parte del seno.

Ulteriore cosa che non sopportava:il trucco, le dava davvero fastidio ma, ne era seccata, la rendeva davvero più femminile.

"Jane, siete meravigliosa. Non immagino quanti pretendenti avrete stasera!" Disse euforica la cameriera personale.

"Non è questo il mio obbiettivo, lo sai!" Si smentì subito Jane staccandosi dalla sua minuta immagine riflessa nello specchio per guardare Marianne.
"E poi non sono tanto bella!" Disse sbuffando.

Almeno in assenza della madre, poteva mandare al diavolo la buona educazione.

"Voi non immaginate quanto signorina! Sembrate una principessa, avete in dono un corpo così bello e non lo mettete mai in mostra!"

"Preferisco mettere in mostra altro, come l'intelletto, Marianne. Ora, se hai concluso, posso andare." Disse volgendole le spalle e andando verso la porta.

Per colpa di quel pesante ricevimento, non aveva potuto neanche cavalcare Angel quel pomeriggio nè aveva avuto il tempo di salutarla.

Non perse tempo e, con i suoi, si diresse verso la carrozza.

Il viaggio durò poco.
La famosa villa del Lord si trovava a qualche isolato dalla loro reggia, quasi niente in confronto a quell'enorme palazzo munito anche di giardini.

Appena entrarono nella grandissima sala adornata di lampadari,quadri e tantissima gente, dopo aver ovviamente mostrato l'invito all'ingresso, il silenzio si approprio della sala.

Cos'hanno da guardare? Pensò Jane a disagio.

Il volume della musica sofisticata del pianoforte che imitava il notturno numero 2 di Chopin, colpì molto Jane, ma non la tirò fuori dall' indifferenza che provava per tutto ciò che in quel momento la circondava.

Mentre i balli continuavano, alle orecchie di Jane arrivavano molti chiacchiericci.
Drizzò le orecchie infatti, quando sentì il nome di sua sorella pronunciato da qualche dama mediocre poco più in là.

"Povera fanciulla, così giovane, aveva tutta la vita davanti. " disse una donna bionda abbastanza in carne.
"Sai come sia potuta succedere una cosa del genere?" Le chiese quella affianco a lei.
"Si dice sia stata una brutta malattia, che l'ha sfinita poco a poco."
"Quanto deve aver sofferto!" Intervenne un'altra, che sembrava molto più giovane delle altre due "Ormai gli unici a soffrire sono i suoi genitori: mancavano pochi giorni al suo matrimonio e sono rimasti senza figlia nè erede!"
"E la secondogenita? Quella Jess o Jane? Non può avere lei il patrimonio e sposarsi?" Parlò di nuovo la bionda.
"Oh no." Disse un'altra che sembrava la più anziana, con qualche ruga e capello grigio. Si sporse più vicino alle compagne, come se stesse per confidare un importante segreto "Un compagno di mio marito, amico di suo padre, mi ha riferito che la ragazza è molto testarda e non ha affatto buone maniere! Sua madre, povera donna, sta facendo di tutto per addomesticarla e farla diventare una signorina davvero per bene, ma figurarsi, quella preferisce cavalcare!"
Un 'oh' generale si fece spazio tra quelle pettegole zoticone, a parer di Jane, alla quale si stavano rivoltando le budella a sentire tutte quelle cattiverie e, per poco non si avviò verso quelle quattro zitelle infruttuose a dirgliene quattro, quando sentì la parola 'addomesticare'. Cos'era, un cane? E l'avrebbe anche fatto se sua madre non l'avesse afferrata per un braccio bloccandola.

"Cos'è quella faccia, Jane? Ricorda: siamo ad un ricevimento non ad una festicciola! Niente scandali, niente lingua lunga, niente di niente! Comportati perbene per una buona volta, non farmi innervosire più di quanto già lo sia. Ricordati il motivo per cui sei qui: devi fare conoscenza, non rovinare il nostro nome" Concluse la madre, staccandosi dall'orecchio della figlia dove le aveva sussurrato quelle parole.

Jane rimase scossa da quelle parole, lei voleva difenderlo il suo nome, non rovinarlo!

"Ma madre, quelle donne..."

"Niente ma, Jane! Ora non pensare a loro, vieni con me, ti faccio conoscere il signore di casa."
Jane decise di seguire la madre, ma si bloccò, come la maggior parte delle donne in quella sala, quando vide entrare dal grande ingresso un uomo. Un uomo bellissimo. Bellissimo era dir poco.

Alto, abbastanza robusto ma magro, portamento raffinato, mascella pronunciata, labbra sottili e dei lucenti capelli brizzolati che contornavano il suo viso dai bellissimi lineamenti.
Indossava una semplice camicia di seta grigia e pantaloni dello stesso colore, oltre che ad una cravatta che lo rendeva ancora più facoltoso.
Jane non sapeva davvero che età dargli, ma una cosa era certa: era giovane ed aveva un fascino unico.

Sorrideva e stava parlando con un uomo bassotto e paffutello anziano che continuava a gesticolare, mentre iniziavano ad avvicinarsi molte donne curiose.

Quel tipo era di certo l'uomo più attraente che avesse mai visto. Per un attimo gli occhi scuri di lei si incontrano con i chiari di lui e sentì improvvisamente un brivido scenderle per la schiena.
Jane scosse la testa, vergognandosi per quei pensieri: era solo un comune mortale di sesso maschile, più bello degli altri suoi pari certo, ma sempre un normale uomo, e lei di uomini non voleva proprio saperne.

"Ecco chi volevo presentarti, Jane."
Lydia indicò alla figlia una figura davanti a lei. Un signore sulla quarantina, bruno e con occhi scuri le sorridiva bonariamente.

"Signore di casa, Lord Michael Fisher, a sua disposizione signorina..."

"Jane Lewis, milord." Gli sorrise falsamente e scocciata Jane, quando lui le baciò la mano e s'inchinò.

"Non sapevo che foste così bella, signorina Lewis. Ho sentito molto parlare di voi e finalmente ho l'onore di conoscervi."

Chissà cosa ha sentito...

"Sono io quella onorata tra noi due, mr. Fisher. Mi complimento: avete davvero una splendida reggia." Disse Jane, facendo per andarsene "ora, se volete scusarmi." S'inchinò, per non tralasciare le buone manieri.

"Non vi scuso invece!" Disse con tono quasi disperato. "Dovete concedermi un ballo!"

Jane desiderò di scomparire in quel momento: se c'era una cosa che odiava più dei corsetti e dei ricevimenti era il ballo.
Nonostante fin da bambina la madre avesse pensato di farle prendere lezioni, Jane non era mai stata portata per questo. Ballare con un palo sarebbe stato più facile che farlo con lei. E non stava affatto esagerando.

Eh no, non avrebbe dato alito ad altri pettegolezzi su di lei, non avrebbe fatto un'altra brutta figura, anche se non le importava poi molto, interessava invece ai suoi genitori.

Guardò la madre per cercare aiuto ma in tutta risposta questa spinse la sua schiena con una mano verso il Lord.
"Avanti, Jane, non essere timida! Mr. Fisher sta aspettando di danzare con te." Disse tutta entusiasta Lydia.

Io timida? Vi siete scordata che le mie capacità di ballo sono pari a quelle di una statuina intontita? Ma soprattutto, vedete che quest'uomo ha più del doppio dei miei anni?

No, pensò Jane. Anche Lydia passava molti anni al marito, circa quindici anni, quindi per lei era normalissimo che un uomo tanto vecchio cercasse di 'corteggiare' Jane.

Che visione disgustosa.

"Ma certo, Lord." Jane gli porse la mano, dirigendosi con lui verso la pista da ballo.

Si maledisse per l'ennesima volta in quella giornata tanto sfortunata, ma stavolta la sfortuna c'entrava poco: s'era scavata la fossa da sola.

Quando la musica partì, Jane mise una mano nell'altra del cavaliere e l'altra sulla spalla magra di lui.

Un, due, tre.
Pestò il suo piede destro.

"Scusatemi, io..."

Mr. Fisher le sorrise.
"Tranquilla, continuate."

Quattro, cinque,sei.
E questa volta fu quella del piede sinistro.

Maledizione.

Guardò dispiaciuta l'uomo, che continuava a ballare.

Ma questo non si stanca mai?

Sette, otto, nove.
Pestò entrambi i piedi e, per poco non perse l'equilibrio.

"Scusate, non sono molto portata per queste... arti." Disse impacciata e allontanando Fisher.

"Mi dispiace, con permesso." Disse allontanandosi velocemente da quella stanza.

Avete visto cosa avete ottenuto, madre? Aria. Aveva bisogno di aria fresca.
Non ci pensò due volte e uscì sul grande terrazzo, dove pareva non esserci nessuno.
Lì poteva stare tranquilla a pensare senza dover sentire cattiverie nè dover stare a sentire la madre e neppure ballare con un uomo che sarebbe potuto essere suo padre.

"Ah." Sospirò.

Si appoggiò alla ringhiera colonnata sui gomiti e iniziò a fissare le stelle che quella sera abbondavano particolarmente: sembrano così vicine, ma in realtà sono lontane anni luce. Le ricordavano stranamente sua sorella quando era in vita. Ora non poteva fare più nulla: quei boccoli così luminosi ora erano cenere spenta.

"Cosa ci fa una dama tutta sola su un terrazzo, mentre a pochi metri da lei si tiene una delle feste dell'anno? Vi piace guardare le stelle?" Jane sussultò quando sentì una voce roca e profonda provenire da qualcuno dietro le sue spalle.
Sì voltò di riflesso.
Anche lì fuori dovevano importunarla?

Si pietrificò quando riconobbe che l'importunatore era proprio l'uomo bellissimo dagli occhi di ghiaccio che aveva visto all'inizio della serata.
Ci mise un pò a riconoscerlo, da vicino era ancora più bello. Poteva vedere bene che un accenno di barba gli contornava il viso, le fossette poco profonde sulle sue guance... si risvegliò quando si accorse che quelle fossette si erano formate da un sorriso divertito che piegava le labbra dell'uomo mentre lei continuava a fare scena muta ammirando la sua bellezza.

Sciocca Jane, che ti prende? Eh no, quella giornata era già andata troppo per il verso storto, non avrebbe permesso altre interferenze, non ne aveva voglia, nè la forza.
O forse sì.

"Potrei farvi la stessa domanda milord, ma sono abbastanza educata da non immischiarmi negli affari di uno sconosciuto o"lo fissò con aria di sfida, scocciata già da quella situazione "più semplicemente ho di meglio da fare."
Si compiacque interiormente di quella risposta, sperando che finalmente il misterioso bellissimo sconosciuto l'avrebbe lasciata in pace.

Si stupì quindi, quando vide le labbra dell'uomo incurvarsi in un odiosissimo ghigno.

"Ah si? Meglio da fare? Ah certo, vi riferite al conto delle stelle che stavate portando prima che vi disturbassi." Disse lui sarcasticasticamente irritato. Ora anche i suoi occhi avevano preso tonalità di sfida.

Jane sbarrò gli occhi. Le stava dando indirettamente della stupida!

Eh no! Questo da un impertinente tizio che non sapeva nulla di lei non poteva digerirlo

. Diventò rossa, non di vergogna ma di rabbia e si avvicinò scattante allo sconosciuto.
Quando si fermò, a un passo da lui, sentì la brezza notturna sfiorarle le guance e muoverle i pochi boccoli castani liberi.

"Ripeto, signore, forse è ottuso di comprendonio o non sente molto bene." E va bene, le buone maniere erano andate a farsi un bel viaggetto lontane da lì "non m'importa, ciò che m'importa è che la smetta d'importunarmi! Vorrei avere un pò di tranquillità: possibile che neanche qui possa averla?" Alzò il tono della voce.

Se l'avesse sentita sua madre, l'avrebbe presa a schiaffi. Fortunatamente erano ancora soli su quel grande terrazzo all'aria aperta.

Jane si morse la lingua, maledizione! L'aveva fatta grossa. Si era rivolta, ad un uomo sicuramente più grande di lei, che non conosceva d'altronde, in toni che non appartenevano a nessuna donna del suo rango.

L'uomo intanto la continuava a guardare divertito.

Questo è pazzo. Completamente.

"Bene, vedo che almeno voi vi divertite e dal momento che non siete interessato ad andarvene, lo farò io." Lo guardò ancora irata e senza il suo consenso, lo superò per ritornare in sala.

Insomma, sel'era cercata!

Prima che rimettesse piede in sala però, sentì una forte stretta sul braccio, che la costrinse a bloccarsi e voltarsi. Chi era stavolta?

La sua domanda cessò quando rivide quei meravigliosi occhi cielo.

Di nuovo lui? Non vuole lasciarmi in pace? Oh no! Non vorrà...

"Cosa volete?" Disse guardando intimorita l'enorme mano di lui contornare il suo esile braccio.

"Tranquilla! Non voglio farvi nulla. Voglio solo sapere il vostro nome." Le accennò un altro sorriso sghembo.

"Perchè mai dovrei dirlo alla persona che mi ha rovinato la serata?" Sì, forse ora stava esagerando, era solo una delle tante cause che le avevano rovinato la serata, anzi la giornata.
Gli aveva dato troppa importanza senza volerlo.
"Non vi lascerò finchè non me lo direte!" Disse, stavolta serio.

"Perchè volete saperlo?" Gli chiese ma quando sentì la presa stringere sul suo braccio capì, senza comprenderne il motivo, che non si sarebbe arreso.
Jane scosse il braccio per liberarsi della presa.

"Jane." Affilò gli occhi, non perse tempo ed entrò dentro rivolgendogli le spalle.

"Jane." Sussurrò lui schioccando la lingua.

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Capitolo 5
*** 5.Snooty people ***


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"Jane, questo pomeriggio faremo visita a mrs. Stevens. Ieri ho avuto il piacere di conversare con lei e ho scoperto che ha una figlia di diciotto anni, tua coetanea. È un modo per te per fare finalmente nuove conoscenze."A sentir quelle parole Jane mandò gli occhi al cielo.
Sua madre era davvero ostinata!
E, seppur fosse altamente annoiata di andar a far visita a una riccona snob, decise di non dare origine a altri dibattiti senza fine: infondo era solo un pomeriggio.
"Ci sarò, madre." Annuì Jane.
"Oh, ma su quello non avevo dubbi figliola. C'è un'altra cosa di cui vorrei parlarti." Jane si preparò mentalmente: cosa poteva volere adesso?
"Sai, la famiglia Stevens è di alto livello." Guardò la figlia da complice, ma Jane non ne capì il motivo, cosa c'era di nuovo nel fatto che sua madre se la intendesse con delle persone esibizioniste e milionarie?
"Sai, mrs. Stevens mi ha parlato anche di un'altra persona." La madre continuava a guardare Jane aspettando una risposta, ma questa continuava a non capire.
"Avanti madre, andate al punto!" Disse Jane impaziente di congedarsi.
"Mi ha parlato del suo primogenito, Jane. Dello scapolo più ambito del momento nell'intero Yorkshire!" Disse la madre sprigionando tutto l'entusiasmo che aveva in corpo.
Jane sentì la testa iniziare a pulsare: no, non poteva essere ciò che pensava lei. Era stata chiara con Lydia.
"E...?" Sospirò la ragazza in attesa del continuo.
"E cosa Jane? Hai capito ciò che ho detto? Sono in confidenza con la signora Stevens, e oggi spero ci sarà anche il giovane scapolo d'oro. Quest'uomo è stato anche un valoroso membro della Royal Navy! È tornato da un anno dai viaggi di lavoro per cui si è spinto fino all'India! Capisci, Royal Navy, Jane! E non è un semplice dipendente ma un capitano! Un capitano! Quanti giovani in tutta Inghilterra hanno raggiunto tale ambizione di rilievo? Inoltre ha buonissima reputazione in tutta l'aristocrazia locale. È una possibilità unica figliola!"
Oh no, era davvero ciò che credeva!
"Siete davvero esasperante oltre che ripetitiva, madre. Quante volte vi ho detto che per ora non voglio sposarmi e, mettetevelo bene in testa, se lo farò sarà solo e unicamente per amore, non per arricchire le vostre tasche!" La giovane era diventata rossa di rabbia e la risposta di Lydia non tardò ad arrivare.
"Hai detto bene: questo è quello che vuoi tu! Hai già troppe libertà in questa casa che altri genitori non approverebbero mai. Guarda la realtà Jane: oggi ci si sposa solo per interesse economico e le promesse spose non hanno voce in capitolo riguardo il loro destinato, l'ho già detto troppe volte! Io e tuo padre non solo ti stiamo rispettando troppo, ti stiamo anche dando tempo di scegliere per ora. Devi darti una mossa: ti ho solo chiesto di provare a conoscere meglio quest'uomo. Insomma, quante altre vorrebbero avere quest'occasione?"
Infatti, altre non io.
Sua madre doveva finirla di rinfacciarle quelle poche ore nel pomeriggio che trascorreva con Angel, e che chiamava 'libertà'.
"Cedo volentieri questa rilevante occasione ad altre allora." Rispose decisa "questo pomeriggio verrò all'incontro ma non vi prometto nulla con quest'uomo!" Si voltò e si diresse a passo spedito verso la sua camera.

///// ///// /////
Jane scese dalla carrozza tutta agghindata, sua madre l'aveva costretta a indossare uno dei suoi abiti migliore e a truccarsi, ricattandola su una settimana lontana da Angel. E ovviamente Lydia aveva fatto centro come sempre: sua figlia non avrebbe desistito a nessuna richiesta con quel ricatto.
Sua madre camminava spedita verso un cancello davanti a lei. Ovviamente suo padre non c'era: quelli erano affari 'da donne', come diceva lui
. Intelligente, suo padre.
Come le sarebbe piaciuto dire e scamparsela così come lui.

Quando furono dentro Jane non potè che rimanere ancor più affascinata della sera precedente: quella casa era gigantesca, sembrava di essere in un piccolo paese. C'erano cameriere e dipendenti dappertutto, un enorme cortile porticato di colonne corinzie l'avvolgevano facendola sentire per la prima volta minuscola davanti all'immenso.
Eh già, quella famiglia era davvero potente, non si stupiva che molte dame facessero la fila per il primogenito di quel casato.
Poteva anche essere un bruttone ma così ricco e di grande intelletto che certamente non gli mancavano le pretendenti. Ed era proprio così che se lo immaginava la ragazza: brutto, basso e grassone, magari anche con due baffi che, come molti pensavano, servissero a dare aria di superiorità, ma che in realtà lo rendevano ancora più vecchio di quello che era.
Insomma, se si era ritirato da una compagnia così prestigiosa di già non poteva essere tanto giovane come diceva sua madre. A quel tempo si poteva entrare in marina dopo aver compiuto vent'anni e poi ci sarebbe dovuto un bel pò di tempo per diventare capitano: doveva avere minimo quarant'anni. Il chè non l'avrebbe reso neanche visibile agli occhi di Jane.
"Seguitemi, per favore. La signora Loren e la signorina Jessica vi stanno aspettando in salotto." La voce della cameriera fece risvegliare Jane dai suoi pensieri. La cameriera spalancò varie porte fino ad arrivare a una più grande delle altre, di legno frassino. Vide che la domestica stava indossando dei guanti, poi si accorse del perché: la maniglia era fatta in oro.
Cavoli, questa famiglia non si dà proprio limiti.
Quando entrò si trovò davanti due donne, una, certamente la madre, che sembrava proprio come la figlia una ragazzina: doveva essere molto giovane quando ha avuto il famoso primogenito, pensò Jane. Percorse il suo volto su cui non c'era traccia di rughe e poi i capelli raccolti biondi dello stesso colore della figlia.
Questa a Jane parve bellissima: alta, viso angelico e occhi azzurri. Occhi che parve già conoscere. Eppure non l'aveva mai vista prima.
"Salve, ma che piacere rivedervi, mrs. Lewis." Disse sorridente la donna che doveva essere la madre, Loren, a Lydia che le sorrise di rimando.
"Il piacere è tutto mio. Colgo l'occasione per rinnovare i miei ringraziamenti al vostro invito! Sono molto felice che possiamo continuare a parlare e a conoscerci meglio, mrs. Stevens." Lydia s'inchinò con fare teatrale.
"Ma chiamatemi pure Loren." Poi abbassò lo sguardo su Jane "E voi dovete essere la famosa Jane, sono molto felice di incontrarvi finalmente."
Jane s'imbarazzò molto, perché l'aveva definita 'famosa', chissà quali maldicenze le avevano raccontato e soprattutto chissà perché era così felice di conoscerla.
Così la guardò con fermezza e serietà, s'inchinò e abbozzò un sorriso, continuando a fissare gli occhi scuri della signora. Non sapeva perchè, ma c'era qualcosa in quella donna che la intimoriva, forse il portamento oppure la rigidà dello sguardo: nonostante il sorriso le sembrava così fredda. Inoltre era davvero elegante.
"Spero che questa mia notorietà sia in posititivo, non in negativo, comunque sia non voglio credere che una donna del vostro livello sia tanto frivola da prendere una posizione da qualche commento o leggerezza di qualche donna dalla loquacità superiore alla media. Valuterete voi da sola, madame." Rispose Jane a testa alta e seria, proprio come la guardava mrs. Loren.
Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui la madre le lanciò una delle sue occhiatacce fulminee da 'a casa faremo i conti', ma stavolta Jane non si sentiva colpevole: non aveva fatto niente. No, niente se non accusare una donna super potente di essere superficiale o pettegola.
L'aria tesa che si era creata in quella grande stanza si spezzò improvvisamente con il suono di una risata che fece rimanere tutte di stucco.
La signora Stevens continuava a ridere lasciando Lydia e la figlia a bocca aperta. Jessica invece doveva esserci abituata a quelle uscite, dato che rimase impassibile.
"Voglio darti del tu: mi piaci, Jane. È raro che una ragazza della tua età abbia tanto fegato e sia così diretta. Spero che mi farai cambiare idea sul tuo conto quindi, ora se sei d'accordo potremmo iniziare a prendere il nostro thè." La ragazza era rimasta di sasso: la donna le aveva detto dopo quelle insinuazioni che le piaceva e che l'avrebbe messa alla prova. Anche se a Jane non importava del conto degli altri sulla sua persona, decise di afferare quella specie di esame. Infondo era una delle poche persone che l'aveva fatta rimane di sasso.
"Certo che potete darmi del tu, mrs. Loren. Spero che non me ne vogliate se vi chiamo per nome. Ora, come voi desiderate, possiamo sederci." Così presero tutte posto, Jane e l'altra ragazza su una poltrona e la madre e la signora Stevens su un divanetto, tutte intorno ad un tavolino rotondo, in oro e vetro molto pregiato.
Dopo vari minuti di silenzio mentre la madre e Loren continuavano a parlottare di moda, mariti e altro e in cui Jane pensava a tutto il tempo che stava perdendo lì, la signora Loren si rivolse a lei.
"Quindi è cosi, Jane, ami cavalcare?" Le chiese Loren con falso stupore, prendendo la ragazza alla sprovvista che fino a quel momento non aveva calcolato la conversazione.
"Sì, madame. È uno dei miei passatempi preferiti." Disse Jane predendo a sorseggiare attentamente il tè, per far vedere che anche lei le conosceva, le buone maniere.
"Passione insolita per una donna. Non ti piace lavorare all'uncinetto, ricamare e portare a termine un lavoro di senso compiuto?"
Jane se ne accorse subito dal suo ennesimo sorriso falso, ma gli occhi parlavano da soli: la stava mettendo alla prova. Ma non potè fare a meno che infastidirsi a quelle parole, le stava dicendo apertamente che il tempo passato con Angel era sprecato e non degno di una signorina.
"Non la penso come voi, signora. Vi assicuro che anche se è praticata da quasi nessuna delle mie coetanee, il tempo passato a cavalcare è molto produttivo: prima di tutto vi relazionate con uno degli animali più buoni e meravigliosi della Terra, un animale che non è solo tale, ma diventa pian piano il vostro migliore amico e inoltre un animale la cui compagnia è mille volte migliore di quella di alcune persone." La fissò intensamente negli occhi, per farle capire che la compagnia noiosa a cui si riferiva era proprio la sua "Inoltre, cavalcare è un modo per attivare alcune zone piatte del cervello. Nel tempo che passate con il vostro cavallo potete pensare, rilassarvi o anche sfogare la rabbia." Loren la continuava a fissare con attenzione, severità ma anche meraviglia. "Perchè non provate, madame? Perchè, dico io, doversi privare di tale opportunità e occasione, solo perché considerato uno svago maschile e poco femminile?" Dopo aver concluso il suo discorso abbassò lo sguardo sul suo thè.
Ecco, finalmente l'aveva messa a tacere.
"Io continuo a pensare che questo sia un hobby poco appropriato a una signorina, anche la mia Jess la pensa come me." Jane ci mise poco a capire che la 'sua Jess' era la bellissima ragazza vicino a lei che aveva mantenuto fino a quel momento il silenzio.
"Spero si diverta a passare le sue giornate con un ago in mano allora." Rispose ironicamente e acidamente Jane che ora aveva posato lo sguardo sulla bionda che sembrava alquanto a disagio.
"Credo che ognuno abbia le sue passioni, madre. Che non vadano giudicate o derise." Finalmente aveva aperto bocca, facendo sentire la sua voce impassibile mentre si era distaccata dalla sua tezza per fissare Jane in modo allusivo alla sua ironia. O presa in giro.
"E con questo mi riferisco anche a voi, madre. Che male c'è se le piace cavalcare. La vita è la sua, cosa v'importa?" Jane non potè fare a meno di pensare a quanto fosse saggia quella ragazza, ma nonostante le piacesse il suo essere riservata o quelle piccole perle di saggezza, scorse nei suoi occhi una vanità e altezzosità mai viste prima, che le diedero non poco fastidio.
"Ma la femminilità è donna, figliola, la donna è nata per diventare moglie e madre e l'uomo per occuparsi del lavoro. Ognuno deve stare al suo posto, se iniziamo anche noi ad andare a cavallo, dove finiremo? Ad indossare fra mezzo secolo pantaloni normalmente come gli uomini? La nostra società sta andando a rotoli!"
Bigotta. Se tutti la pensassero come te il mondo andrebbe davvero a rotoli.,pensò Jane.
Le piacque anche l'idea dei pantaloni ma decise di mordersi la lingua.
"Scusate se ve lo dico, signora, ma avete un'idea davvero primitiva dell'evoluzione." Azzardò Jane, prendendosi la seconda occhiataccia della madre in quell'ora.
"Ribadisco che mi piaci, Jane, ma voglio avvertirti che continuando così non troverai mai un pretendente." Jane si sorprese: era furba la signora, volgeva la sua rabbia in ironia sprezzante.
Ma, si disse, magari solo per questo non dovrei sposarmi!
"Oh no, Jane ha già molti pretendenti." Jane si spaventò quando sentì la madre intervenire, non per come si sarebbe arrabbiata ma per la sciocchezza che sicuramente stava per dire. Sperò in quei millisecondi di pausa che non fosse come pensava, fin quando sua madre parlò di nuovo, facendole venire per la prima volta dopo molto tempo voglia di tagliarle le corde vocali e la lingua. Oh, questo sì che è femminile.
"Le ho riferito che avete un figlio molto ambito e ha espresso il desiderio di cono..." la voce di Lydia fu interrotta bruscamente da un'altra.
"Scusate se vi interrompo madre, ma ho un urgente bisogno di andare in bagno" scattò in piedi con nonchalance.
"Certo cara, Georgiana accompagnala al migliore!" Diede l'ordine ad una delle cameriere che annuì dicendo a Jane di seguirla. Prima di lasciare la stanza s'accorse di quanto la ragazza seduta al suo fianco prima, stesse cercando di trattenere una risata.
Bene, aveva fatto un'altra figura delle sue, ma non le importava: il pericolo era scampato, almeno per ora.
Jane seguì la cameriera ammirando la gran divizia di quel posto: statue, materiali preziosi, c'era perfino una piccola fontana in un corridoio che attraversò. Non si stupì pensando quindi che quella donna fosse tanto sprezzante e presuntuosa.
Maledizione, perchè ho accettato di venire? Cosa può succedere ancora?
Finalmente Georgiana si fermò davanti ad una porta, seguitata da lei.
"Ecco il bagno più grande del palazzo, signorina. Se non vi dispiace ora tornerei ai miei compiti." Jane annuì ed entrò, addirittura il bagno più grande, quanti potevano esserci?
Dopo essersi solamente lavata le mani e aggiustata qualche ciocca di capelli sfuggita all'acconciatura, uscì aprendo con malgarbo e rabbia la porta, pensando di voler andarsene al più presto da lì ma sobbalzò quando sentì un forte tonfo e un urlo di dolore.
La ragazza scattò indietro capendo ciò che era appena accaduto: aveva sbattuto appena la porta in faccia a qualcuno e non molto graziosamente.
Poteva andare peggio di così?
Prese tutto il coraggio che aveva e aprì la porta per vedere in volto la sua vittima e scusarsi. Si pietrificò davanti a due furenti occhi azzurri.
Ci ripensò su, sì, poteva andare peggio di così.

Writer's corner
Ciao a tuttee! Ebbene, credo che abbiate capito chi si sia trovata davanti Jane: l'uomo della sera prima cioè William. Nel prossimo capitolo ci sarà il primo e vero scontro tra titani, e ci sarà anche da divertirsi. Ringrazio tutte quelle che continuano a seguire la storia e, soprattutto, chi mi esprime il proprio parere. Alla prossima.

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Capitolo 6
*** 6.È guerra ***


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"Maledizione!" L'ennesima imprecazione che in tre secondi lasciò le labbra dell'uomo, che si accorse del naso gocciolante di sangue e perciò prese un fazzoletto da una tasca dei pantaloni.

Jane colse l'occasione per svignarsela: l'uomo, preso dal dolore, aveva lasciato in secondo piano la collera, senza ancora rivolgersi alla persona che l'aveva 'aggredito'.

La ragazza rivolse quindi la testa dall'altra parte e, senza perder tempo maledicendo il destino, lo sorpassò.

Chi diavolo era quell'uomo? Perchè si trovava lì? Perchè la sfortuna la stava perseguitando in questo modo?

Smise di farsi queste domande quando sentì una stretta al polso che le fece venire di nuovo i brividi sulla schiena
Cavolo, com'era possibile che il tocco di quell'uomo irritante le facesse quell'effetto? Doveva essere certamente per lo spavento.

"Pensavate di scappare?" Chiese con stizza e durezza l'uomo mentre Jane rimaneva immobile sotto quella presa "Voltatevi, donna. Non siate così vigliacca!"
A quell'affermazione Jane si girò senza paura.
"Io.non.sono.vigliacca." scandì bene la giovane.

Quando l'uomo vide quel viso, che era proprio quello da bimba offesa della sera prima, fu prima meravigliato poi spezzò l'incantesimo ricordandosi di ciò che era appena successo.

"Cosa diavolo ci fate voi qui?" Sbraitò quasi urlando. Jane sussultò, restando in silenzio.
Da quando si faceva intimorire da uno sconosciuto?

"Questo dovrei chiedervelo io. Ieri eravate un signore, oggi siete un ladro?" Disse liberandosi dalla presa della grande mano dell'uomo.

"Io qui ci abito!" Affermò lui sicuro di sè: non solo la sera prima l'aveva trattato in quel modo, poi se la trovava il giorno dopo che gironzolava in giro per casa sua e che quasi gli rompeva il setto nasale anzi, senza il quasi.

Jane intanto era rimasta intontita per l'affermazione precedente.
Io qui ci abito
Lo squadrò bene, non poteva certamente essere un dipendente da come era vestito e dalla festa a cui aveva partecipato la sera prima. Ripensò a quel che aveva detto la madre.

Figlio
Primogenito
Scapolo

No, non poteva essere lui quello delle imprese eroiche di cui parlava. Forse era un terzo figlio che aveva tralasciato ma non poteva aver meno di diciotto anni.

Ah. Quindi era così? Era lui il bruttone? Diavolo, non aveva neanche i baffi!

"Vedo che oltre ad essere vigliacca vi piace anche fare la bella addormentata della situazione! Anzi mediocre addormentata." Affermò con il ghigno della sera precedente che Jane aveva iniziato ad odiare. La curiosità che provava stava lasciando spazio alla rabbia per l'impertinenza della ragazza che lo faceva andare fuori di testa, in senso negativo.

Jane desiderò di strangolare quell'uomo dai magnifici occhi che, secondo lei, non meritava. Ora si spiegava dove aveva già visto gli occhi di Jessica: erano identici a quelli del fratello.

"Come vi permettete: mi state dando della brutta, della istupidita e della vigliacca?" Alzò il tono, ormai con la ragione offuscata: quegli aggettivi avrebbero fatto alterare anche una sgualdrina.

"Ma quando siete perspicace" ironizzò lui aspramente.
"Vedremo se mi considererete ancora vigliacca quando vi prenderò a pugni con le mie stesse mani." disse lei digrignando i denti. Ormai la situazione stava degenerando e addio per la seconda volta alle buone maniere con quello sconosciuto.

"Oh, non osereste mai colpire William Henry Stevens, ragazzi..." non finì la frase che si ritrovò cinque dita ben stampate e marcate sulla guancia sinistra.

Gli occhi di Jane ormai erano rossi: di odio e di rabbia. E ormai quei due sentimenti avevano uno stesso nome: William Henry Stevens.

"Come vi permettete?" Sbraitò William portandosi una mano sulla guancia massaggiandosi.
"Siete solo un cafone! Potete essere ricco, voluto e incantare tutte le donne che volete ma rimarrete sempre un maleducato, insignificante e limitato di cervello." Disse con tutto il disprezzo di cui era capace "E se veramente siete entrato in marina, questa ormai può anche andarsene al diavolo con voi essendosi abbassata a tali livelli con una persona tanto squallida!" Questa volta non aspettò neanche la risposta camminando a passo veloce verso il salotto, imprimendosi nel cervello il volto di William stupito e rabbioso.

Aveva esagerato, ma non le importava, in quel momento non riusciva neanche a ragionare per l'adrenalina che le scorreva nelle vene.

"Ce ne hai messo di tempo, cara." Le disse la madre mentre riprendeva posto sulla poltrona ancora intontita per ciò che era appena accaduto.

"Jane, ti senti bene?" Le chiese ora Lydia veramente preoccupata vedendola stordita e con la testa altrove ma la figlia continuava a non rispondere.

"Jane?!" Alzò la voce la madre facendola risvegliare dal suo stato di trans.
No, dannazione, non andava niente bene!
"Sì madre, tutto bene." Abbozzò un sorriso.
"Bene ne sono felice, Jane. Ci stavamo preoccupando, come mai hai ritardato tanto, se posso saperlo?" Le chiese con finta indifferenza mrs. Loren celando la sua curiosità.

Perchè ho incontrato quell'odioso vostro primogenito con cui mia madre mi vuole far accoppiare e che ho schiaffeggiato in casa sua, a cui credo ho rotto, spero proprio di sì, il setto nasale e che fra poco verrà qui per vendicarsi e uccidermi davanti a tutti. Ah, dimenticavo: è anche una delle poche persone che ho mandato apertamente a quel paese. Maledizione, devo inventarmi qualcosa. Non posso rincontrarlo. Non posso permettere che racconti tutto a mia madre!

"Sono un pò indisposta, madre posso chiedervi di tornare..." non finì la frase che all'improvviso sentì sbattere la porta d'ingresso, facendo sobbalzare non solo lei ma anche le altre tre donne.

"Madre, non potete capire ciò che mi è appena successo."

Oh no.
Jane invocò, pregò e supplicò tutti i santi che conosceva, fece un rosario in soli due secondi e promise di comportarsi davvero come una ragazza viziata per bene per il resto della vita se quella voce alterata e calda non fosse appartenuta proprio a quella persona. Proprio a Lui.

Ti prego.
Ti prego.
Ti prego.

"Figliolo ti pare questo il modo di comportarsi? Non vedi che abbiamo degli ospiti?" L'uomo, ancora rosso di rabbia, si accorse finalmente delle altre due donne che affiancavano la sorella e la madre.
Riconobbe la signora rugosa e anzianotta che aveva visto conversare la sera prima a quella noiosissima festa, noiosissima fino all'incontro con quei due occhi insolenti che, fino ad allora, non aveva mai visto su una donna.
Quegli stessi occhi che in quel momento avrebbe tirato fuori dalle orbite per darli in pasto ai cani.

Dopo quello schiaffo, se l'era promesso pochi minuti prima: l'avrebbe cercata, l'avrebbe trovata dovunque ella fosse e poi l'avrebbe torturata e messa al suo posto.
All'inizio aveva pensato fosse una ladra, ma notando il suo abbigliamento, si era convinto che doveva appartenere a qualche illustre famiglia di conoscenza della madre: sarebbe bastato indagare un pò e chiedere il suo cognome per conoscere chi fosse. Conosceva già il suo nome, che pronunciato da quelle labbra gli era sembrato così dolce, ma così irreale in contrasto con la durezza del suo sguardo.
E trovarsela lì, davanti a lui era stato un vero e proprio shock. Ancora più scioccante il modo in cui gli aveva risposto e lo aveva insultato. Certo, anche lui non era stato da meno, ma quella era una donna, non doveva permettersi di offenderlo, ancor più se gli aveva sbattuto la porta in faccia.
Sì, l'avrebbe trovata e le avrebbe fatto pagare quell'affronto in casa sua.

Come avrebbe mai potuto immaginare che quella che stava cercando era proprio la donna seduta davanti a lui, su una poltrona, e che era l'unica che dal suo ingresso non gli aveva ancora rivolto uno sguardo, voltandogli le spalle?

Jane cercò infatti di farsi più piccola possibile, sperando che per una volta la fortuna fosse dalla sua parte, ma quando c'era sua madre questo era impossibile.

"Figliola! Cosa fai lì seduta, su presentati a mr. Stevens." L'uomo le si avvicinò "chiamatemi William, mrs. Lewis." Disse lui con una galanteria che non gli apparteneva ma che cercava di coprire davanti a Loren.

Non si ricordava neanche il nome di quella pettegola, ormai sua madre ne portava a migliaia in casa. Nessuno dei due lo sapeva, ma avevano un'idea molto simile sulle donne dalla gran parlantina.

È anche un bugiardo, pensò Jane sentendo ciò che l'uomo aveva detto. Sua madre ovviamente non poteva conoscere i modi e i pensieri contorti e meschini dell'uomo. Gli aveva parlato due volte e già l'aveva capito che sotto tutta quella bellezza si nascondeva qualcosa di oscuro.

"Ma fatemi il piacere." Si lasciò sfuggire maledicendosi poco dopo.
Infatti senza quasi accorgersene si era alzata dando spettacolo. L'uomo rimase interdetto poco prima di riconoscere quel vestito, quei capelli e quelle piccole spalle.
Allora era lei l'ospite della madre, ecco cosa ci faceva in casa sua! Si stava anche nascondendo da lui, allora non era tanto sciocca.
La sorpresa lasciò presto posto ad un ghigno malefico sul suo volto.
"Cos'hai detto, Jane?" Chiese Lydia.
"Niente, madre" rispose furtiva la ragazza che in quel momento inchiodò i suoi occhi in quelli di William. Strano, l'aveva sentito solo una volta ma lo ricordava così bene.
"Santo cielo, William!" Intervenne Loren "cosa hai fatto al naso?" Si affrettò ad avvicinarsi al ragazzo e a constatare che nulla si fosse rotto, anche se Jane non ne era molto sicura.
E non era neanche sicura che sarebbe uscita viva da quella casa.

"Allora, cosa è successo? William Henry Stevens, esigo una spiegazione!"
Il ragazzo si staccò scocciato dalla madre per guardare beffardo Jane, che paradossalmente lo guardava intimorita: ora ce l'aveva lui il coltello dalla parte del manico. Sarebbero bastate due parole e lei e sua madre sarebbero state cacciate fuori a calci nel sedere. E sicuramente avrebbe potuto dire addio a qualsiasi tentativo di riallacciare i rapporti con i genitori. Tutto era in mano a quell'uomo provocatorio.
Jane lo guardò, mettendo per una delle rarissime volte da parte l'orgoglio, supplichevole, fin quando non sentì una cosa che non si aspettava.

"Ho sbattuto contro una porta, sono stato davvero sbadato, avevo la mente altrove." La signora Stevens fece finta di beversela e guardò dispiaciuta il figlio.
"Basta con questa sceneggiata madre è solo un pò di sangue, non vorrete mica tardare le presentazioni con la nostra ospite per una sciocchezza." Disse con chiaro riferimento a Jane, che in quel momento non potè fare a meno di pensare a quanto l'uomo avrebbe potuto far carriera come attore.

Writer's corner
Salve! Eccoci qui al loro primo scontro-incontro. Come avete potuto vedere non si stanno molto simpatici: William ancora un po' offeso per il battibecco della sera prima, ma anche incuriosito da quella ragazza singolare e impertinente. Jane invece è davvero scossa dal rivederlo in quella casa e oltraggiata dalle parole di lui, tant'è che vede addirittura qualcosa di oscuro in lui. Sarà proprio così? Al prossimo capitolo.

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Capitolo 7
*** 7.Bad discussion ***


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"Sei in debito con me, ragazzina!" Disse l'uomo storcendo le labbra pericolosamente e beffandosi di lei con l'ultima parola.

Jane però era troppo impegnata a pensare a come avrebbe potuto far smettere la madre di far pensieri su di lei con quell'uomo: aveva avuto la magnifica idea di lasciarla sola con lui, istigando le altre due a lasciarli ai loro 'affari', senza permettere che però William e Jane sentissero qualcosa.
Ma Jane aveva la capacità di fiutare gli intrighi della madre a chilometri.
Eh no, doveva escogitare qualcosa altrimenti dopo quarantott'ore si sarebbe ritrovata con un anello al dito con la depressione a mille.

"Ragazzina?" Ripetè William, accortosi del suo stato di trance, per stuzzicarla.
E ci riuscì
. Erano soli, quindi poteva lasciar perdere le buone manieri di finto perbenismo che aveva avuto poco prima, e far cadere come lui le maschere: quell'uomo gli stava proprio antipatico.
"Primo, non vi permetto di darmi del tu." Disse Jane gesticolando con le dita adirandosi mentre l'uomo di fronte a lei se la rideva sotto i baffi "secondo" alzò l'indice "non osate più azzardarvi a chiamarmi ragazzina, ho un nome." Disse prendendo un bel respiro "E terzo, signore, siete un cafone."
L'uomo non potè fare a meno che ridere.
Quante volte gliel'aveva già detto?
Una risata che riempì quella grande stanza, che schiuse le sue bellissime labbra in qualcosa di bello, per una volta.

Bello, se non fosse per deridermi.

"Mi state facendo pentire di essere stato in silenzio." Disse William. Jane scosse la testa. Sul serio, a che gioco stava giocando quell'uomo?
"Siete ancora in tempo per parlare, non aspettatevi le mie scuse, io non vi ho chiesto niente e non vi devo nulla!" Affermò Jane decisa. Una decisione che fece traballare un attimo la compostezza di William, sorpreso dalla sua sfacciataggine così diretta e così...orgogliosa.
"Troppa sicurezza per una ragazzina!" Le disse lui.
"Vi ho detto di non chiamarmi ragazzina!" Gesticolò Jane irritata.
"Ditemi, madame, come dovrei chiamarvi, allora?" Chiese lui falsamente interessato al suo volere.
"Miss. Jane Lewis!" Rispose la giovane ormai stanca di quella situazione.
"Oh, su questo posso accontentarvi, ma rimarrete sempre una ragazzina." Questa affermazione fece andare su tutte le furie Jane che invece in quel momento stava cercando di trovare la calma in qualche zona remota del suo cervello.

Al diavolo anche i buoni propositi!

"Se non ve ne siete accorto, sono una donna, mr. Cafone!"
William ridacchiò beffardo.
"Donna? Quale donna? Io, qui, non ne vedo nessuna. Sì, devo ammettere che siete ben sviluppata" disse soffermando il suo sguardo sui seni di lei, che si coprì d'istinto, facendolo ridere "ma non avete niente di quel che caratterizza una donna: siete solo una ragazzina con maniere da elefante, senza grazia nè femminilità e poco fa l'avete dimostrato. Anzi, devo dire che più che una ragazzina sembrate un maschiaccio."

Ancora! La stava offendendo ancora. Ma questa volta la giovane non si lasciò scappare l'opportunità di deriderlo.
"E voi, invece! Vi credete tanto uomo, ma siete solo un bamboccio da quattro soldi, ottuso di cervello alla sua anziana età. Gli altri vi definiscono scapolo d'oro, ma siete solo un vecchio non voluto!" E con questo Jane si sentì davvero soddisfatta, ancora di più quando vide le sopracciglia di lui aggrottarsi, in un'espressione spaventosa.

"Se avere trent'anni significa essere vecchi, voi siete una donna aggrazziata!" Disse ironicamente, offendendola nuovamente "E poi, vi sbagliate ancora, come avete potuto vedere al ricevimento, io sono molto voluto, ma per ora  voglio ancora divertirmi."
Arrogante. Arrogante. Arrogante!
Arrogante e anche vecchio, pensò. Lei e quell'uomo si passavano esattamente tredici anni. Per lui allora era davvero una bambina, ma non gli avrebbe mai dato questa soddisfazione, non gli avrebbe mai detto la sua vera età.
"Se le donne vi sbavano dietro solo per la vostra bellezza, non vuol dire che vi vogliano in sposo!" Replicò Jane. Sapeva anche lei che quella era una menzogna bella e buona, ma non voleva proprio dargliela vinta.
"Sapete anche voi che questa è una bugia. E poi, dovreste vedere quando m'implorano di farle ricreare" si fermò un attimo guardando il viso della ragazza confusa "Sempre che voi sappiate cosa vuol dire divertirsi" la guardò con un sorrisetto malizioso, un sorrisetto che Jane elaborò in un millisecondo.
Il suo viso diventò di cinque colori diversi e quella reazione così imprevista fece sogghignare William.
Che ragazzina ingenua.
Jane non era una bambina e sapeva bene cosa intendesse, ma quell'uomo faceva di tutto per metterla in difficoltà e, ormai era ovvio, deriderla. Come ci erano finiti a parlare così e ad insultarsi a vicenda? Neanche dopo vent'anni di frequentazione lei avrebbe pensato di parlare di cose del genere con qualcuno! E invece, toh! Guarda tu su cosa doveva ribattere! Ma quello non era un semplice uomo, lo aveva capito da quando l'aveva visto la prima volta: la sicurezza e l'ardore che sprigionavano i suoi comportamenti lo rendevano così dannatamente fastidioso! Ma forse erano proprio quegli attegiamenti che conquistavano tutti gli altri e tutte le altre, pensò, ma non lei.

"Come osate? Parlare così ad una signorina! Non credevo che ora andessero di moda i gorilla arroganti e maleducati. Siete solo un cafone e non concepisco neanche minimamente come una donna, che si possa considerare tale, provi anche solo ad avvicinarsi a voi, figuriamoci toccarvi!"
"A, a, a" la riprese "vi sbagliate ancora. Non solo sono loro le prime a toccarmi, ma sono sempre loro ad implorarmi a continuare. Se ci tenete tanto a vedere con i vostri occhi vi proporrei di assistere agli incontri ma... per ora dovreste continuare a giocare con le bambole."
Calma, Jane. Resta calma, non tentare di rompere quei denti perfetti scagliandogli contro la poltrona su cui eri seduta. Non puoi andare in carcere tanto giovane, o meglio: non puoi far andare in carcere tua madre, che la farebbe finita con te una volta per tutte e tuo padre, che morirebbe di cardiopatia. Almeno, non per questo zoticone.
"Questo è un oltraggio, me ne vado!" Si voltò iniziando a camminare a vanvera, decisa ad andarsene, e si convinse a cercare la madre anche da sola in quell'immensa casa.
"Ci rivedremo presto, ragazzina!" Sentì dietro di lei.
Sì, nei tuoi incubi mentre ti torturo togliendoti organo per organo, viscera per viscera, cellula per cellula, con qualche attrezzo del Medioevo.
Non riusciva più a stare vicino a quell'uomo tanto bello quanto sfrontato. Aveva bisogno di allontanarsi.
Non credeva ancora che avesse dato tanta confidenza ad uno che conosceva da neanche due giorni. Un uomo che oltre che frivolo, arrogante e tremendamente bello, le disse la coscienza facendola irritare ancora di più, era anche un maledetto libertino.
La peggior specie di uomo esistente!
Il peggior uomo che avesse mai conosciuto, pensò, ma non l'avrebbe rivisto mai più, si consolò in quel momento.

Writer's corner
Salve ancora! Allora colgo subito l'occasione per ringraziare tutte le persone che seguono la storia, l'hanno aggiunta ai preferiti o l'hanno commentata, dandomi ancora più voglia di continuarla! Grazie davvero! Mi riempite di gioia. Accetto anche qualsiasi consiglio o critica, ma che sia produttiva! Per quanto riguarda il capitolo, avete visto una parte di ciò che William pensa delle donne, brutto troglodita! Ma il peggio deve ancora venire . Come avete letto Jane pensa di non rincontrarlo più, ma se la testa calda di William invece volesse rivederla? Alla prossima.

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Capitolo 8
*** 8.Locked in with the Devil ***


~Credo che in ogni temperamento vi sia una tendenza a qualche male particolare, un difetto di natura che neanche la migliore educazione riesce a vincere~cit.Darcy {Orgoglio e pregiudizio, Jane Austen}

//// //// ////

"Madre, cosa state dicendo?" Chiese per la decima volta consecutiva Jane, bianca in viso, ancora incredula da ciò che aveva sentito.
"Che mrs. Loren vuole rivederti o meglio, che Lord William vuole rivederti."
Jane se lo sentiva, stava per svenire, l'aria le mancava.
Non per l'incontro in sè che aveva richiesto quell'uomo, ma perchè sapeva bene ciò che significasse: quel tipo arrogante era interessato a lei.

Ma non mi considererava una ragazzina?

Lei non voleva rivederlo mai più, e gliel'aveva anche detto. Perché ora aveva chiesto di lei? Voleva perder tempo?
Una cosa era certa: non era ciò che pensava sua madre, William non la voleva e non era coinvolto da lei.

"Madre, non voglio! Quell'uomo non mi piace." Rispose subito alla madre.
"Non esiste, Jane! Sai cosa significa: un uomo tanto potente e ricco interessato ad una come te. Quando si ripeterà questa occasione?" Le chiese indispettita Lydia che non voleva sentire 'ma'.

Una come me può tranquillamente e felicemente rimanere zitella a vita, madre.

Jane sapeva che quel' 'una come te' si riferiva al suo lato spigliato e indisponente, e lei ne era contenta: anche se gli uomini all'inizio l'avrebbero voluta per la sua bellezza, conoscendola meglio avrebbero rinunciato.
Ed era proprio questo il punto: Perché quell'uomo la invitava conoscendo già questo suo lato?

All'improvviso si agitò, ricordando.
Non vorrà farmela pagare per quello schiaffo?
Le venne in mente che lui non aveva detto niente a sua madre.
"Mi devi un favore, ragazzina." Ecco. Ora aveva capito. Non poteva starsene zitta e buona per una volta?

"E sentiamo, quando ha chiesto di ricevermi?" Sbuffò Jane.
Gli occhi della madre d'illuminarono "tra due ore, Jane. Su, vai a vestirti."

//// //// ////

"Si può sapere perchè mi avete invitata a casa vostra?" Jane non lo salutò neanche quando lo vide entrare nello stesso salotto del giorno prima, con la solita espressione superiore del diavolo. Eh sì! quell'uomo era proprio un diavolo travestito da uomo bellissimo. Quando lo guardò meglio in prospettiva, Jane si accorse che doveva essere alto minimo un metro e ottantacinque, anche lei era alta, uno e settanta, ma in confronto a lui sembrava l'ottavo nano. Nonostante i vestiti non fossero molto aderenti poi, si capiva chiaramente da com'era massiccio che sotto c'erano una miriade di muscoli: in un combattimento corpo a corpo non avrebbe avuto nessuna possibilità.
La mascella ben marcata, le spalle larghe, quei capelli corvini che sembravano tanto morbidi e soprattutto quegli occhi blu: non era sorpresa che molte donne fossero cadute ai suoi piedi.
Ma rimaneva un troglodita.
Un troglodita che adesso era a un passo da lei, solo con lei, che aveva messo le mani sui fianchi indispettita

Vide un cerotto sul suo naso. Allora non era poi così grave la ferita!
Peccato.

"Perchè avete messo il broncio? Non siete felice di vedermi?"
"Felice come mounsier Leopardi lo era di vivere." Mandò gli occhi al cielo quando sentì l'uomo scoppiare a ridere.
"Non sapevo che vi intendeste di letteratura, o meglio non sapevo che voi studiasse in generale."
Ci risiamo.

"Non sapete molte cose di me. Pensavate che fossi una bambina viziata e ignorante? Beh, vi sbagliate, come sempre d'altronde. Ora non mi fate distrarre! Si può sapere perchè mi avete invitata? Non mi consideravate una ragazzina?"
L'uomo sorrise vedendo la smorfia sul volto della giovane.
"Perchè dovrei rispondere quando non mi avete neanche salutato adeguatamente?"
Com'era bravo a rigirare la frittata. E a girarci intorno.
"Ho capito! Bene, me ne vado di nuovo!" Affermò Jane girando i tacchi.
Con William perdeva solo tempo.
Non fece due passi che sentì di nuovo quella stretta così morbida ma decisa, quel tocco intorno al suo polso che le fece venire i brividi. Ancora.
Era la seconda volta che si toccavano ed era la seconda volta che sentiva quell'elettricità scorrerle nelle vene.
Chissà se anche a lui fa lo stesso effetto?
Scosse la testa eliminando quei pensieri dalla testa. Ma a cosa stava pensando? Figurarsi! lei quelli come lui non li sopportava. Ma perché la sua pelle, il suo corpo, reagivano così per un semplice contatto?
Ritirò brutalmente la mano.
"Allora, volete dirmi cosa volete? Se continuate così mia madre si metterà strane idee in testa e penserà che vogliate sposarmi!" Incrociò le braccia al petto.

William scoppiò di nuovo a ridere. Una risata denigratoria. Lui sposato? Certo che a quelle donne di mezz'età pettegole bastava anche solo tendere la mano che credevano volesse portarsele a letto! Poi, dopo ciò che aveva passato non considerava le donne neanche più esseri viventi a cui dare amore e, soprattutto, da cui ricevere amore. Le donne per lui erano semplici macchine con cui soddisfare i proprio bisogni, macchine da intrattenimento. Quello che era strano e che lo faceva rimbambire era che da Jane non si aspettava quel tipo di intrattenimento, o almeno non ancora. Non gli dispiaceva la visione di lei sotto di lui mentre urlava il suo nome e non offese, come fino a quel momento. Di certo provava un'attrazione forte per lei, un'attrazione che doveva tenere a bada.

"Io? Sposato? Con una ragazzina come te poi? Stai scherzando!" la sua incredulità mischiata al disdegno fecero alterare Jane ancora di più.
L'aveva chiamata di nuovo ragazzina e le aveva dato del tu! Ma poi, cosa si credeva? Che lei invece l'avrebbe sposato?
"Giuro che se non la finite di chiamarmi ragazzina vi rompo qualcosa!" S'imbestialì ancora Jane. Possibile che quando le era vicino dovesse sempre farla arrabbiare? Aveva in dono la capacità di uccidere i suoi nervi anche solo pronunciando A.
"Ah sì, cosa? Ma soprattutto, come?" La provocò sghignazzando. Jane ci pensò su: era vero, quella minaccia non poteva sembrare più stupida, con quell'energumeno non avrebbe avuto alcuna possibilità. Questo era ciò che sarebbe potuto sembrare, appunto. Ma lei aveva detto che gli avrebbe rotto solo qualcosa. E quel qualcosa era il punto debole di tutti gli uomini, anche dei più forti e grossi. L'arma segreta di tutte le donne. Non gli conveniva sfidarla.
"Mi state sfidando?" Chiese lei."Non vi conviene, ma soprattutto non ho voglia di giocare con voi. Ditemi il motivo per cui sono qui e facciamola finita."
William vide la determinazione nei suoi occhi ma non demorse.
"E se vi dicessi che voglio sposarvi davvero?" Ovviamente la stava prendendo in giro, ma la falsa serietà che sprigionava il suo viso fece impallidire, letteralmente, quello di Jane. Infondo William, come aveva avuto occasione di capire anche lei, era un grande attore.

No! Non poteva essere vero! Non doveva essere vero! Se lo fosse stato, sarebbe stata rovinata! Infatti, se William avesse davvero chiesto la sua mano, lei sarebbe stata completamente impotente, finendo tra le sue grinfie. Era così ingiusto! Perchè gli uomini potevano giocare così con la vita delle donne?!
Ormai il suo cervello elaborava solo parolacce e imprecazioni.
"State scherzando spero! No! Non potete! Non potete farlo! Voi non mi sopportate! Io non sopporto voi! Non lo volete sul serio: Perché dovreste rinunciare a tutte le vostre donne? Voi dovete restare con loro, io con Angel!" William la fissava divertito mentre camminava avanti e dietro come un razzo con le mani tra i capelli e, preoccupato che potesse venirle sul serio un infarto, stava per dirle che aveva scherzato, ma si bloccò improvvisamente quando sentì quel nome.
Angel.
"Angel?" Alzò un sopracciglio irritato, non sapeva neanche lui da cosa "ma che nome è? Scommetto che è uno di quei bambocci, principi azzurri di ragazzine come te." Lo disse in modo da offenderla, ma in realtà era davvero curioso di sapere chi fosse quell'Angel che lei aveva pronunciato così dolcemente, ma soprattutto era curioso di sapere che rapporto avessero.
Scommetti male.Pensò Jane, facendo spuntare un sorrisetto spontaneo sul suo viso: quella volta era totalmente fuori strada. Non solo Angel non era una persona, ma era anche femmina.
All'improvviso le si accese una lampadina in testa.
Sorrise maliziosa per far sembrare la stupidaggine che stava per dire ancora più vera. "Già, è proprio il mio principe azzurro, lo amo, non potete farmi ehm...farci questo!" Detto da lei, che ai principi azzurri non ci aveva mai creduto poi, sicuro sembrava una bugia.
Abbocca, abbocca, abbocca all'amo.
L'uomo sospirò.
"Tranquilla, stavo scherzando. Puoi far ciò che vuoi con qualunque pivello, non me ne potrebbe fregar di meno."
Doveva essere felice per quelle parole, ma perchè si sentiva quasi delusa? No! No! No! Stop.
"Sempre molto educato... Mi volete dire una stramaledettissima volta perchè mi trovo qui, quando potrei essere con Angel?" Fece la voce da tredicenne pazzamente innamorata, e non le potè venir meglio dato che William si decise finalmente a risponderle.
Si avvicinò pericolosamente a lei e la sua bocca carnosa arrivò a sfiorare il suo orecchio facendola sussultare. "Vi avevo detto che ci saremmo rivisti e volevo farvi capire che tutto ciò che dico io è legge. Capito, giocattolino?" A quelle parole Jane sgranò gli occhi, allibita.
Maledetto! Giocattolino? Chi si credeva di essere?

Occhio per occhio. Dente per dente. È la lex talionis, la legge del taglione, la legge di Jane.

Non aspettò un secondo di più, alzò lo scomodissimo vestito color porpora prendendolo con i lembi tra le mani, per permettersi di fare ciò che stava per fare con più facilità. Si incastrò a lui e poi tac.
Tra le sue gambe William non sentì altro che una fitta, poi un dolore acutissimo. Si piegò in due avvicinando le mani al pantalone.
"Puttana!" Urlò con tutto il fiato che aveva in corpo mentre Jane sorrideva soddisfatta e non si degnò di rispondere neppure a quell'insulto tanto rivoltante, scaturito dalla rabbia.
William ancora stava assimilando ciò che era successo: in sole ventiquattr'ore l'aveva schiaffeggiato, danneggiato il suo naso e, l'uomo sperò di no, tolto la possibilità di procreare.
Non credeva che una donna potesse essere tanto coraggiosa, non credeva che una donna potesse essere tanto stupida.
Lo stava certamente sottovalutando. Da quando permetteva ad una donna anzi, ad una ragazzina immatura di fare una cosa del genere? Ma soprattutto, perchè aveva deciso d'invitarla a casa sua? Era davvero quello di poco prima il motivo? Non lo sapeva neppure lui. Ciò che sapeva bene era che stava per fargliela pagare. Pagare cara. Una buona dose di sadismo non gli poteva fare che bene.

Dolorante, William s'alzò di colpo rosso di rabbia, intento a strozzarla.
Il sorriso compiaciuto di Jane di poco prima svanì dopo pochi secondi vedendo quella terribile espressione sul volto dell'uomo.
Fai bene ad aver paura, ragazzina. Pensò lui.
Stavolta l'aveva fatta grossa, grossa davvero e l'aveva fatto arrabbiare come non l'aveva mai visto prima. Si guardò intorno per trovare una la via d'uscita più vicina da cui scappare.
Si avvicinò alla porta e provò ad aprirla ma...era chiusa!
No! Dannazione! Qualcuno mi aiuti!
Sentì una risata, la risata canzonatoria quanto avvelenata di lui, che le si stava avvicinando.
Accidenti! Quell'uomo era proprio furbo! L'aveva chiusa dentro.

"Cosa stai cercando di fare, ragazzina? Ho detto a tutti di non provare neanche a disturbare il nostro colloquio. Chi pensi che verrà a salvarti?"
Jane emise un basso ringhio infuriata, doveva subito trovare una soluzione o, ne era sicura, William l'avrebbe ammazzata e lei aveva ancora tanto da fare. Almeno salutare Angel e dirle che era stata la sua unica ancora di salvezza in quella casa tanto vuota. Voleva ancora vedere il suo manto lucente nero e accarezzarlo.

Scappò di fretta dall'altro lato della stanza, dalla parte opposta dell'uomo.
"Scappate? Dov'è finito tutto il vostro coraggio?" Sorrise maleficamente William, compiaciuto di farle anche quell'effetto. Amava quando le persone lo temevano, ancora di più quando queste persone erano di una sfrontatezza mai vista prima. Specialmente quando lui aveva la situazione in mano. Specialmente quando era infuriato.
"Che-che volete farmi?" Jane cercò di sembrare decisa, sfidandolo con gli occhi, ma la verità era che aveva davvero paura: lui era quasi il doppio di lei.
William sogghignò "Oh vedrai."
Male. Era passato al tu, molto male.
"È inutile scappare, sono molto più veloce di te, prima o poi ti prendo." Disse deciso William.

Jane pensò a qualcosa, cercò qualunque cosa con cui si sarebbe potuta difendere. Ma non trovò niente. In quel momento il suo campo visivo era offuscato dalla paura.
Le venne un'idea e si avvicinò subito al tavolo seguita a ruota da lui che era proprio di fronte a lei, c'era solo il tavolo a separarli. William fece un passo a destra e di conseguenza anche Jane, se lui andava a sinistra, lei faceva lo stesso: in questo modo non si sarebbero mai incontrati.
Intelligente, la ragazzina, ma non avrebbe potuto continuare all'infinito.
"Stai giocando con il fuoco, ragazzina." Ringhiò lui.
"No, sto giocando con un troglodita!" Sputò più acidamente possibile. Ma proprio in quel momento si fermò per rispondergli, pessimo errore: William ne approfittò per avvicinarsi e prenderla. Una sfuggita che le costò una tirata al braccio, così violenta da farle sfuggire un urlo di dolore.
Dannazione! Neanche un secondo dopo si ritrovò catapultata sul divano con i polsi tenuti sulla sua testa dall'uomo, sopra di lei, il ginocchio sinistro di William tra le sue cosce, così che non potesse muovere le gambe.
Jane iniziò a tremare come una foglia "Cosa diavolo volete farmi? Non vi è bastato chiamarmi giocattolino conoscendomi da neanche quarantott'ore?" Iniziò a dimenarsi e a scalciare.
Ancora, questa donna continua ancora, non capisce in che situazone si trova?
"Voi in quarantott'ore mi avete fatto cose per cui nessun'altro uomo ora sarebbe clemente con voi. Sapete, non ho mai picchiato una donna ma per voi posso fare un'eccezione." Le disse risoluto e arrabbiato.
Jane boccheggiò, le mancava l'aria e non si sentiva neanche più le gambe. Cosa voleva fare? La voleva picchiare? In quel momento la mente di Jane elaborò tutte le possibili e terrificanti vendette che avrebbe potuto subire.
"Cosa volete? Se osate anche solo azzardarvi a farmi qualcosa giuro che passerò la mia vita a vendicarmi di voi! Levat..." non concluse la frase che si ritrovò due labbra sofficissime premere con violenza sulle sue.

Writer's corner
Ciao a tutte! Allora, come credo vi siate accorte, ho cambiato grafia e ho anche cercato di ingrandire il carattere, spero sia visibile, specialmente per chi mi scrive per questo problema'. In questo capitolo si inizia a capire l'interesse di William e pure la sua irascibilità. Insomma, questi non si calmano e si punzecchiano a vicenda. Il calcio di Jane però ci voleva, troppa presunzione e arroganza in William, che però, alla fine dimostra una certa bontà d'animo per il suo tempo, se così vogliamo definire la violenza cui cui l'ha presa e l'ha baciata. Come reagirà lei? William deve far vedere che lui è il maschione della situazione :/ La taedium vitae di Leopardi pure, non mi veniva nessun altro parogone. Ma lo amo infinitamente Leopardi eh. Ringrazio ancora tutte quelle che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite o a quelle da ricordare. Un grazie speciale a chi l'ha recensita e mi incoraggia a continuarla. Un bacio a tutte, alla prossima.

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Capitolo 9
*** 9.Haunted from your eyes ***


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L'aria fresca le sfiorava la pelle, la sfidava, le andava contro, il respiro affannato, i capelli sciolti che le toccavano impetuosamente il viso, la mente vuota.
Continuava ad accelerare, a istigare Angel per farla correre, galoppare, volare. Via dal resto del mondo. Ed era bellissimo, fantastico come realmente ci riuscisse.
Da un'ora circa continuava a cavalcare, nel luogo straripante di camelie del suo grande paese: la brughiera.
In quella zona non c'erano cacciatori ed era molto raro che qualcuno si avventurasse in quei posti sperduti, così Jane, da quando era piccola, aveva preso lezioni di equitazione proprio lì. In realtà non era poi così piccola quando iniziò a cavalcare, aveva undici anni, poco tempo prima che sua sorella morisse, ma la sua passione era nata quando era ancora una bambina: un giorno, facendo una passeggiata con Margaret, aveva visto un uomo galoppare su un cavallo a velocità stratosferica schivando ostacoli e persone.
Era rimasta talmente affascinata, che aveva chiesto alla madre di comprarle un 'giocattolo del genere', ma sua madre ovviamente scoppiando a ridere le aveva detto che quella era 'roba da uomini'.
Crescendo però Jane s'impuntò talmente tanto, come solo lei sapeva fare, che suo padre le comprò il piccolo pony di cui lei subito s'innamorò. Era talmente bella, la sua cavalla, talmente candida con quegli occhioni che le trasmettevano solo dolcezza e calma che decise di chiamarla Angel, paradossalmente al colore del suo manto nero, che invece a prima vista la facevano sembrare aggressiva e pericolosa.

Angel era la cosa migliore che avesse potuto avere e desiderare. Con lei aveva condiviso tutto: anche gli insulti e la contrarietà della madre, che alla fine si era arresa a quella figlia fuori dal comune.
Lei cavalcava, cavalcava, cavalcava. Il sole era ancora alto, mancavano un paio di ore al tramonto.

D'improvviso le venne sete e decise di fermarsi ad un ruscello lì vicino per bere, quando cavalcava i genitori le permettevano d'indossare i pantaloni aderenti, del padre ovviamente, a condizione che non si fosse fatta vedere o scoprire da nessuno. Anche perchè quel tipo di articolo, secondo la madre, era indossato solo da donne 'di facili costumi' per permettere di peccare e far vedere al mondo come mamma le aveva fatte. Sua madre era sempre la solita!
E poi, chi doveva scoprirla là in mezzo? Le farfalle?
A volte però si ritrovavano anche degli uomini intenti a cavalcare proprio come lei, perciò sua madre le aveva proposto, anzi ordinato di non farsi riconoscere: doveva fasciarsi ogni volta i seni e indossare una camicetta, così nonostante i capelli lunghi castani l'avrebbero scambiata per un uomo.
Cavolate! Anche perchè poteva coprire tutto ciò che voleva ma un viso di lineamenti più femminili del suo non esisteva. E di questo Jane non ne era neanche felice: ma che avrebbe dovuto fare? Indossare una maschera?
Così si limitava a vestirsi da uomo e a stare attenta per far contenta la madre.

Mentre beveva si morse sbadatamente le labbra, facendosi un male cane riaprendo quella ferita insanguinata.
Era da tre giorni che non vedeva quell'uomo e ringraziò Dio per questo. Per una volta la fortuna era dalla sua parte, dopo che l'aveva baciata, Jane l'aveva respinto, rendendosi conto di ciò che stava succedendo, ma lui l'aveva ripresa agguantando la sua nuca con la grande mano e l'aveva ribaciata, o meglio, l'aveva azzannata nel proprio senso della parola facendo uscire un bel po' di sangue da quelle labbra mai toccate prima da nessun'altro. Le aveva violate! Aveva violato le sue labbra, quel diavolo. Era un animale. Un animale con i denti sporchi del suo sangue.

Maledetto bastardo! Jane in quel momento gli avrebbe scagliato contro tutto ciò che le fosse passato di mano, se non fosse giunta sua madre 'preoccupata del suo ritardo'. Non sapeva se ringraziarla, per averla salvata dal carcere, o uccidere anche lei, che per l'ennesima volta aveva rovinato i suoi piani.
"Siamo pari" le aveva detto semplicemente l'uomo indicando il suo naso e ordinandole di tacere.

Lo odiava. Era diventato ufficiale: da quel giorno avrebbe passato la sua vita anche ad odiare quel prepotente di William Henry Stevens. Lui, che oltre ad averla offesa per mezza giornata, le aveva rubato il suo primo bacio. Il primo. Certamente non si aspettava di averlo dal principe salvatore delle fiabe, ma almeno da qualcuno per cui provava un sentimento sì. Non aveva detto nulla alla madre: uno, perchè contro di lui, su quel piano non poteva combattere, due, perché lei ne sarebbe stata pure felice! Lo scapolo d'oro aveva baciato sua figlia, wow! Peccato non sapesse quante lui se ne baciasse così facilmente senza intenzioni serie! Quel libertino! Quelle labbra tanto soffici e sporche di chissà quante donne, avevano fatto forza proprio sulle sue. Menomale che era stato solo un tocco, un bacio a stampo, ma quel morso non poteva accettarlo. Non lo avrebbe mai perdonato per quello!
Si toccò il taglio sulle labbra da cui uscì una gocciolina di sangue.
Guarda tu se devo passare i miei pomeriggi a pensare a quel troglodita insipido!
Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto il suo viso, si era già preparata il copione con sua madre, non avrebbe più incontrato quegli occhi tanto magnifici quanto diabolici nè sarebbero più stati nei suoi pensieri.
Certo, quella sarebbe stata l'ultima volta, l'ultima volta se il destino non si fosse impuntato contro di lei, e se quel pomeriggio William non avesse deciso di fare una passeggiata a cavallo con il suo epico amico d'infanzia biondo, George Roberts, per ridere di dame e di quella 'ragazzina sfrontata che si era messa a suo rischio e pericolo contro lui, che da grand'uomo qual'era l'aveva zittita con un bacio' e che, non l'avrebbe mai svelato, con quel viso bello e pungente, stava occupando la maggior parte dei pensieri nel suo cervello in quegli ultimi giorni.
Sì, sarebbe stato perfetto il suo piano, se anche loro non si fossero fermati lì a pochi metri da lei, ancora ignara di quello che sarebbe successo di lì a poco.

Jane prese Angel per la cavezza e la trascinò fin lì per permetterle di bere, quando sentì degli sghignazzi provenire da dietro di lei. Bene, anche lì dovevano infastidirla. Gentaglia, rovinare quel magnifico silenzio della natura!
Prese il cappellino che teneva per nascondere l'ammasso di capelli e si sedette sul prato. Se quei tipi l'avrebbero infastidita con le loro risate se ne sarebbe andata.
Anche questo ottimo piano, se non fosse che sentì qualcuno avvicinarsi alle sue spalle.
"Ehi, amico, hai per caso una borraccia in più? Io e il mio accompagnatore le abbiamo scordate e non abbiamo tempo per tornare indietro."
Jane imprecò mentalmente, cosa doveva fare adesso? Erano due uomini, e se avessero scoperto che lei era donna e l'avessero importunata, lì da sola, non avrebbe potuto difendersi.
L'unica cosa positiva era che l'avevano scambiata per maschio. Certo, come avrebbero potuto pensare che una giovane donna prima del tramonto stesse con il suo cavallo in mezzo alla brughiera invece che a casa a cucire o cambiare pannolini?
"Amico stai bene?" George, in piedi, le toccò una spalla con la mano mentre era ancora rivolta di spalle. D'istinto Jane la scostò bruscamente alzandosi di colpo e mettendosi una mano sulla bocca, per coprire il viso.
"Scusatemi, non mi sento molto bene" tossì falsamente cercando di imitare una voce più rauca possibile, dandogli ancora le spalle.
Vattene dannazione!
"Su, George, lascialo in pace! Non vedi che non ha la forza neppure di parlare? Ce la caveremo in un altro modo."

Oh salvatore delle mie brame!
Ascolta il tuo amico, dai!

"William? Ma se sei stato tu a chiedermelo!"
Fu un attimo. Il cervello di Jane registrò quel nome per poi risintonizzarsi sulla voce di poco prima. Quella voce calda e roca che arrivò come una lama alle orecchie di Jane che, non credeva ai propri occhi, quando si decise ad aprirli per confermare il funzionamento del suo udito.
Eh sì, William Henry Stevens era di fronte a lei in tutta la sua bellezza, con i suoi capelli corvini folti tirati dietro, vestito con semplici pantaloni pratici e camicia bianca, come lei, e di fianco a lui un altro uomo, quello con cui aveva parlato poco prima, che sembrava molto giovane con i suoi capelli biondi che arrivavano a toccargli le spalle, gli occhi verdi e qualche lentiggine, molto carino ma niente a che vedere con la bellezza stratosferica dell'altro. Immaginò dalla loro intesa che dovessero essere grandi amici. E per logica quel biondo doveva essere scimmione come William per essergli amico.

Jane s'accorse che li stava squadrando ad occhi sgranati. Qualcuno doveva avercela con lei!
Cosa ci faceva lì quell'uomo? Voleva perseguitarla? Come ne sarebbe uscita?
Con una mano ancora a coprirsi metà viso indietreggiò piano mentre i due stavano parlando. Sembrava una ladra, ma non voleva attirare l'attenzione. Ma anche quella volta la fortuna non era dalla sua: il suo piede s'imbattè in un ramo lì a terra che scricchiolò attirando nuovamente l'attenzione dei due su di lei.
George la guardò a bocca aperta, ammaliato da quegli occhi felini, proprio come quelli di una tigre, mentre William, dal canto suo, pensò di averli già visti da qualche parte, ma non si ricordava dove. Infondo, occhi del genere non si dimenticano facilmente, pensò.
Il battito cardiaco della ragazza accelerò. Tuttavia era davvero irriconoscibile con i capelli non visibili, vestita in quel modo e con il viso quasi del tutto coperto. Riprese a respire convincendosi di non essere ancora stata scoperta. Di fretta si girò, corse verso Angel, montò e iniziò a cavalcare.
Cosa diavolo ho fatto per subire questa tortura?
Forse era un segno del destino, che le diceva di non sfidarlo, o forse era lei che funzionava ormai da calamita di persone estremamente odiose, altrimenti tutto quello non si sarebbe spiegato.
E non si spiegò neanche il cavallo bianco che ormai le stava alle calcagna e che era montato, a quel punto l'aveva capito, dal suo peggior incubo.

Writer's corner
Ciaoo! Come avete potuto vedere ho dato un volto ai due personaggi, anche se William dovrebbe avere i capelli neri, ma sono dettagli. Per scegliere due foto mi sono scervellata. Ho continuato lo scorso capitolo con un piccolo flashback. Ho dedicato più attenzioni alla passione di Jane, altrimenti sarebbe parsa troppo superficiale e l'ho voluta motivare. E comunque William riappare, proprio la sfiga dietro questo colpo di scena! Ringrazio sempre tutte le persone che hanno aggiunto la storia ai preferiti, seguiti, ricordati e chi ha recensito lo scorso capitolo! Mi rendete davvero felice. Grazie di cuore a tutte, alla prossima.

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Capitolo 10
*** 10.Failed plan ***


E non si spiegò neanche il cavallo bianco che ormai le stava alle calcagna e che era montato, a quel punto l'aveva capito, dal suo peggior incubo.

Perché ora la stava seguendo? Che l'avesse riconosciuta?
Jane accelerò, tenendo ben saldo il berretto sulla sua testa.

"Fermatevi!" Sentì urlare dall'uomo dietro di lei, che aveva abbandonato il suo amico per inseguirla.

È pazzo? Perchè mai dovrei fermarmi? E soprattutto, perchè mi sta seguendo?

Prese una via secondaria per seminarlo, dove c'erano molti più alberi e arbusti e che lei aveva imparato a conoscere bene. Era il percorso ad 'ostacoli' che faceva ogni giorno. Gli 'ostacoli' in realtà non erano veri ostacoli, ma alberi molto vicini tra loro tra cui lei doveva passare ad alta velocità, o rami su cui saltare.
Iniziò quella corsa ad alta tensione mentre William, strabiliato dalla sua scaltrezza e bravura, accettò quella che a lui era parsa una sfida. Già, non aveva capito proprio nulla.

Jane lo maledì quando girandosi vide che anche lui era piuttosto bravo, ma non demorse.
"Fermatevi!" Riurlò lui stufo di dover inseguire quello sconosciuto che lo stava affascinando e incuriosendo sempre di più. Non aveva mai visto qualcuno così bravo a cavallo, muoversi così sinuosamente e sincronizzato a quel modo al suo cavallo, nemmeno suo padre che amava quel passatempo non sarebbe mai stato tanto abile e veloce.
Si risvegliò giusto in tempo dai suoi pensieri per scansare un ramo troppo basso.
"Dannazione!" Imprecò l'uomo ad alta voce.
"Cosa volete?" Urlò Jane, vedendo che William la stava ancora inseguendo e che era intenzionato a bloccare la sua fuga.
"Avete scordato la vostra borraccia! Ve la voglio solo ridare."
Jane non sapeva cosa fare. Doveva fidarsi? Mise una mano nella borsa continuando a guidare Angel con l'altra.
Era vero! La borraccia non c'era.
Poteva anche lasciar perdere, infondo una borraccia non contava niente ma, facendo così, l'avrebbe insospettito e l'avrebbe istigato a inseguirla fino al piccolo maneggio di casa sua, e allora sì che sarebbe stata scoperta.
Jane sentì la testa pulsare.
Da quando pensava così tanto per fare una cosa?
Da quando hai scoperto che la sfortuna cel'ha con te, le rispose il suo subconscio.

Rallentò e si bloccò di colpo, sorprendendo per la seconda volta William che sorrise soddisfatto di ciò che aveva ottenuto. Si fermò anche lui e, scese dal cavallo contemporaneamente a Jane che continuava a nascondere il viso.

"Devo proprio farvi i miei complimenti! Siete un bravissimo cavaliere, devo ammettere che non ne ho mai conosciuto uno tanto bravo." Jane sgranò gli occhi.
Quell'uomo era lo stesso arrogante, violento e irritante del giorno prima? Le stava facendo davvero un complimenti?

Certo-si disse-pensa che io sia un uomo. Non l'avrebbe mai fatto se avesse visto il mio petto un po' più protuberante.

"Tenete." L'uomo allungò la mano per passarle l'oggetto, mentre lei teneva viso e berretto abbassati, desiderando di scappare al più presto da lì. Era quasi fatta.

Quando lei protese il braccio, tenendosi sempre a debita distanza, per un attimo le loro dita si scontrarono e percepì il calore della pelle dell'uomo trasmettersi alla sua infreddolita.
William l'aveva seguita apposta per restituirle quel recipiente. Allora anche lui aveva un lato...gentile? No! Impossibile! Lui era lo stesso essere che l'aveva baciata con la forza e che Dio solo sa cosa le avrebbe fatto dopo, se la madre non fosse arrivata. Sì, se lo ripromise, gli avrebbe fracassato il cranio un giorno.

Ritrasse velocemente la mano e la borraccia in imbarazzo e si diresse verso Angel.
"Non avete la lingua o siete solo un gran maleducato che non sa ringraziare?" La voce infastidita dell'uomo la fece bloccare all'istante.
Ecco! Le sembrava strano, tutta quella gentilezza non faceva parte di lui.
Proprio lui poi le parlava di educazione? Se non lo avesse conosciuto così trasparentemente, avrebbe creduto che quell'uomo fosse davvero di gran regole, a pretendere così tanto il rispetto di solito è chi lo dà a sua volta agli altri. Ma no, lei sapeva che questo non era il suo caso: William Stevens pretendeva e basta, ma non poteva farsi scoprire.
Davvero bizzarro! Lui che dava a lei della maleducata!

Così Jane sbuffò mentalmente e si voltò dalla sua parte liquidandolo freddamente con un "Grazie".
William la scrutò meglio. Quegli occhi, quel collo tanto esile, quelle mani così fini gli erano così familiari, eppure...
"Ci conosciamo?" Jane impallidì e scosse freneticamente la testa. William si avvicinò di più a lei che, d'istinto, indietreggiò. Troppo impegnata a coprirsi il viso, non s'accorse del sasso su cui presto inciampò cadendo all'indietro. Ciò che non s'aspettava era che William, per sostenerla, cadesse con lei, trovandosi per terra completamente spiaccicato sotto di lei.
Quando Jane riaprì gli occhi, incontrò altri due azzurri che brillavano in un mix di meraviglia e repulsione. Non ci mise molto a capire perchè: i suoi capelli castani erano sparsi in tutta la loro lunghezza sul petto di lui. Rialzò lo sguardo su William per rivedere la sua reazione.
"Jane?"

Writer's corner
Salvee. Lo so che questo capitolo è un po' corto, ma dovevo bloccarlo al punto giusto, nel prossimo mi farò perdonare, sarà molto più lungo! William l'ha scoperta, la prenderà ancora in giro facendo l'ipocrita sulla sua bravura? E Jane, povera come reagirà? Sono stata proprio cattiva con lei, ma se l'amore deve apparire un po' deve soffrire XD e chissà se e quando sboccerà questo amore! Non mi dilungo ancora, grazie ancora a tutte le persone che seguono, preferiscono, ricordano e recensiscono la storia! Alla prossima!

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Capitolo 11
*** 11.Labbra marchiate ***


~Odero si potero si non invitus amabo~ {Ti odierò, se potrò, altrimenti ti amerò mio malgrado} PUBLIO OVIDIO NASONE

"Jane?" Soffiò lui sulla sua spalla lasciandola mezzo secondo intontita: non si aspettava che il suo nome fosse pronunciato così dolcemente da quelle labbra.
Si diede cento schiaffi mentali.
Certi pensieri su quel troglodita il suo cervello poteva risparmiarseli!

"Jane? Chi è Jane?" Fece la finta tonta "Mi avete scambiato per qualcun'altra, sicuramente. Io mi chiamo Rebecca!" Disse il primo nome che le venne in mente, fece per alzarsi, ma lui le trattene i fianchi e ribaltò la situazione: ora lui era sopra di lei, sulla distesa verde, e aveva le mani ai lati della testa di Jane per non pesarle.
Alla giovane non piaceva per niente quella situazione: si sentiva in trappola.

"Non prendermi in giro, ragazzina. " un ghigno piegò le sue labbra "ora capisco perché ti coprivi e scappavi!"

Bene, la sua tattica era saltata. Quell'uomo era troppo sveglio, maledizione!

Ne era sicura, da quel momento l'avrebbe presa in giro e torturata a vita e, ovviamente, se avesse deciso di spifferare a tutti ciò che aveva fatto, ridicolizzandola in pubblico, sarebbe stata proprio fritta. La aveva di nuovo in pugno, wow!

Jane sbuffò, voltando il volto per non incontrare il suo sguardo. "Vi devo dire che vi state sbagliando, non ho mai sentito questo nome in vita mia e, gentilmente, gradirei che mi fosse dato del voi per rispetto e che vi togliate da sopra di me." Jane si sdegnò ancor più quando William le scoppiò a ridere in faccia.
"Ma dai, insisti?" Si avvicinò sensualmente al suo orecchio "Credi che non riconosca i marchi che lascio?" Sussurrò toccandole con un dito le labbra facendola sussultare.
"Stronzo" sibilò lei a denti stretti.
William sorrise divertito alzando un sopracciglio "cos'hai detto?" Chiese a mo' di sfida.
"Stronzo." Sbottò di nuovo, impavida.
William, contro ogni aspettativa, rise di nuovo, ma Jane ormai aveva capito il significato di quella risata 'ti direi di scappare finché sei in tempo ma dalle mie grinfie non si scappa'.

"Questi non sono termini che utilizzerebbe una nobildonna femminile e raffinata." La guardò con gli occhi che brillavano di provocazione e divertimento, ma la giovane questa volta non abboccò. Certo, non era solita dire parolacce così volgari, ma l'arroganza di quell'uomo non la faceva più pensare prima di parlare, ma non si pentiva mai di nulla di quel che diceva, perchè, pensava, se in quel determinato momento aveva detto quella cosa, l'aveva fatto per un motivo, proprio come per le azioni. Infatti non sopportava tutta quella falsa ipocrisia: "Mi dispiace" o "Non volevo farlo." o ancora "È stato un errore." Eh no, non è stato un errore se l'hai fatto consapevolmente e irrazionalmente. Poi ci si metteva anche il suo orgoglio...

"Davvero, state diventando peggio di Banquo per Macbeth*." Sentenziò bofonchiando la giovane, vedendo poi negli occhi di lui una scintilla di stupore.
"Prima Leopardi, ora Shakespeare, non ci avrei mai creduto! Sono felice che mi consideriate una dolce persecuzione."
"Una odiosissima persecuzione, se non avete letto questa tragedia fareste meglio a stare in silenzio!" Disse Jane guardandolo fiera e compiaciuta, ma William ovviamente non si scompose.
"Diciamo che io sono più come Romeo per Giulietta, allora." rispose lui stando al gioco, mentre lei ghignò sprezzante. Il prepotente si stava proprio paragonando al romantico Romeo?
"Infatti continuando così mi porterete alla morte!" Replicò la giovane, poggiando le mani delicate sul petto possente dell'uomo, cercando di spingerlo via ma, per quanta forza ci mettesse, lui era troppo forte per lei.
William intanto si stava divertendo alla grande vedendola in difficoltà, mentre Jane si stava infuriando per quella specie di lotta con il petto di lui.
Iniziò a scalciare e dimenarsi per toglierselo di dosso ma ovviamente invano. Si ritrovò proprio come tre giorni prima con i polsi tenuti sulla sua testa.
"Cosa pensi di fare, piccolo animale selvaggio?"
Continuava a darle del tu, ormai Jane ci stava rinunciando!
"Levarmi di dosso un ignobile persecutore che non sa cosa vuol dire la parola educazione!" Rispose prontamente lei. "Vorrei capire però se sono io a originare questa vostra amnesia al rispetto per una dama, o sono stati i vostri genitori che prendendo qualche botta in testa vi abbiano cresciuto inversamente come un troglodita!" Concluse alludendo a poco prima.

"Diciamo che le ragazzine impertinenti, poco sofisticate, piene di sè e che non sanno essere obbedienti mi fanno quest'effetto!" Ridacchiò William, incatenando poi i suoi occhi in quelli della giovane, per scrutare ogni sua reazione.

"Se per obbediente intendete incapace di utilizzare le corde vocali perchè imbarazzata di stare davanti ad un pallone gonfiato come voi, che si crede bellissimo e il migliore del mondo, giuro che amerò per tutta la vita non essere obbediente." William sorrise: solo quella ragazza poteva rispondere con così tanto coraggio e sicurezza. Sapeva bene che però tutta quella sfrontatezza sarebbe scomparsa mettendola a disagio.
Gli piaceva provacarla e, doveva ammetterlo, si sentiva attratto da quella ragazzina come mai prima d'ora, eppure aveva avuto così tante donne! Nessuna gli aveva mai fatto quell'effetto: la volta prima non si era saputo affatto controllare, l'aveva fatto infuriare, se fosse stata un'altra, cosa improbabile, l'avrebbe cacciata a calci nel sedere, diffamandola pubblicamente in tutta l'Alta società. Ma quelle labbra, quelle labbra così pure che avrebbe voluto toccare dalla prima volta in cui si erano visti, erano proprio lì, sotto di lui.

Lui era sempre stato serio, razionale. Aveva trent'anni! Com'è che gli piacevano così tanto quelle provocazioni? Com'è che non riusciva a tenere a freno la voglia di usarle con la giovane? Si stava comportando come un bambino, davvero infantile!

Si sentiva strano: non aveva mai trattato così una donna, nemmeno quelle di genere che non sopportava, eppure gli veniva naturale stuzzicare quella giovane e vedere le sue reazioni, si divertiva da morire.
Se avrebbe dovuto definirla in un solo aggettivo l'avrebbe definita indomabile. O quasi.

"Ma io sono bellissimo!" Disse lui, in un tono che voleva essere sarcastico, ma che riuscì a infastidirla ancor più di prima.

Anche molto modesto a quanto vedo!

Però da quel punto di vista non poteva dargli torto, era davvero carino, no okay, era bello, bellissimo e le costava ammettere che uno scimmione del genere lo fosse.
"Dovevo darvelo più forte quel calcio." Jane non riuscì più a trattenersi spazientita dalla sua "modestia". Guardò l'uomo, ancora occhi contro occhi. Occhi che la dicevano tutta su quanto quell'uomo fosse sadico.
"E io avrei dovuto zittirvi molto più brutalmente, tanto brutalmente che ora non avreste neppure il coraggio di guardarmi ancora negli occhi."
Jane rimase a bocca aperta, nauseata. Era così disgustata e presa dalle sue parole che non si accorse neppure del voi con cui le si era rivolto, quasi a rimettere le distanze, quasi a farle sentire di più che lui era un uomo e lei una donna sconosciuti, quasi a dirle che era una semplicissima ragazzina di buona famiglia per lui, una ragazzina che lo stava provocando un po' troppo con le sue insinuazioni.
"Prendete nota, perchè non ve lo ripeterò più: non osate anche solo azzardarvi a mettere le vostre insulse mani su di me di nuovo o..."
"O cosa?" la bloccò "renderete l'accaduto pubblico? Non credo siate nella posizione di poterlo fare."
Ed aveva ragione, sicuramente avrebbe detto, per ripicca, come lei si 'travestiva' rendendola lo zimbello di tutte quelle donne che non aspettavano altro, e non solo: se lui avesse raccontato alla madre del naso e del calcio nei gioiellini, sarebbe stata sbattuta e rinchiusa per anni, anzi per tutta la vita in qualche prigione, come un riformatorio o un collegio. E l'idea non l'allettava molto. E poi, anche se avesse deciso di raccontare del bacio preso con la forza, nessuno ci avrebbe creduto: primo, lui non aveva bisogno della forza per avere un bacio da qualcuna e secondo, avrebbero pensato che lei fosse la classica amichetta amante che volesse metterlo in cattiva luce, dopo che lui l'aveva illusa per portarsela a letto e poi l'avesse abbandonata.

"Che siate maledetto!" Gli urlò contro."Levatevi di dosso! Immediatamente!" La sua furia catturò l'attenzione dell'uomo.
"Altrimenti che mi fate?" Le sorrise pungente.
Vuole giocare? Bene! Ma se ne pentirà, pensò.
"Si può sempre rimediare!" Disse, riferendosi al calcio. Aveva i pantaloni e questo avrebbe facilitato la sua mossa.Ma proprio mentre stava alzando la coscia che si trovava proprio tra le gambe di lui, William la precedette fermando il suo ginocchio con una delle grandi mani.
Dannazione! All'improvviso si sono risvegliati i suoi riflessi?
Si maledì mentalmente per aver fallito. E poi, cosa poteva aspettarsi da un Royal Navy? Chissà come era riuscita a fregarlo la volta precedente...

"Ah-ah, questo è giocare sporco ragazzina. E poi siete troppo prevedibile, Jane." Sottolineò bene il suo nome.
"Voi siete sporco dentro!" Digrignò i denti, glie l'aveva fatta di nuovo, dannato diavolo!
"Possibile che in casa vostra nessuno vi abbia insegnato il rispetto per un uomo?" Le chiese scocciato William.
"Avete detto bene, per un uomo" ricalcò l'ultima parola "non per un cafone che crede che tutto gli sia dovuto anche solo perchè uomo! Il rispetto si guadagna. Se voi non rispettate me, io non rispetto voi. Facile, no?"
William l'ignorò, perchè sapeva che contro quel discorso non avrebbe potuto vincere. Quella ragazza aveva delle idee troppo strane in testa, troppo diverse rispetto al normale. Non si sarebbe mai aspettato un discorso del genere uscire dalle labbra di una donna, per la sua testa dove aleggiava una gran quantità di maschilismo, era normale che tutte s'inchinassero e si prostrassero ai suoi piedi, e il comportamento di Jane, oltre ad irritarlo, lo intrigava parecchio.

Silenzio. Nessuno dei due in quel momento osò fiatare. Nell'aria aleggiava solo il cantare di qualche pendolino, e il suono dello sbattere d'ali di qualche falco. La giovane chiuse gli occhi ed ebbe modo di inspirare involontariamente il suo profumo. E che profumo. Si lasciò invadere dall'odore dell'acqua di colonia, per poi riaprire gli occhi. I suoi si scontrarono con quelli di William scoprendosi, legandosi. Jane guardava quelle fattezze da angelo, dietro cui si nascondeva un'anima da diavolo. I capelli corvini e setosi, erano così fuori posto ma nello stesso tempo così giusti in contrasto con i suoi occhi chiari.

Fissava dentro quell'azzurro pallido che le stava facendo scordare tutto in quel momento. Accidenti, avevano troppo potere su di lei. Deglutì e piegò la testa di lato, incapace di sostenere ancora quello sguardo.

William fece un mezzo sorriso, pensando che fosse stato lui a farle quell'effetto. Potè osservare ancora più incantato il profilo destro della giovane, i lineamenti delicati, la pelle chiara, la gote arrossata, sicuramente per il freddo, le ciglia lunghe e folte, il naso piccolo e perfetto per il suo viso la facevano sembrare così piccola, indifesa, così ragazzina, così diversa da come era in realtà. Solo i suoi capelli morbidi e arruffati sembravano far capire la sua vera natura, sembravano avvisarti di quanto fosse forte, ambiziosa, affatto delicata, Ribelle, così dannatamente e fastidiosamente Ribelle che William per un attimo la odiò e l'ammirò. Ammirò quella ragazzina che come tre giorni prima che in quel momento era così impotente sotto di lui.
Jane Lewis era davvero strana, quasi incomprensibile: prima gli teneva testa come nessun'altro, poi lo provocava per ripicca, poi s'impauriva, anche se non voleva darlo a vedere, davanti alla sua forza bruta, e ora era...imbarazzata? Certo, era pur sempre una ragazzina... una ragazzina sorprendentemente strana.

Ma non fece nessuna battutina perchè curiosamente e spaventosamente anche a lui gli occhi nocciola di lei avevano fatto lo stesso effetto. Com'era successo? Come si era lasciato incantare da dei semplici tratti femminili? Era solo una donna, solo una ragazzina con idee sciocche e rivoluzionarie in testa.

"Allora, volete dirmi dove avete imparato a cavalcare?" Cambiò discorso, per smettere di pensare ma anche perchè era davvero curioso: non credeva ai suoi occhi quando aveva scoperto che l'uomo che l'aveva tanto stupito fosse lei, era raro che una donna cavalcasse e non aveva mai visto una farlo tanto bene. Quella ragazza era davvero una continua sorpresa: vendicativa, ribelle come nessun'altra e coraggiosa, ma presto tutto quel coraggio le si sarebbe rivolto contro, in una donna non andava bene e William lo sapeva bene.

Jane riprese a guardarlo "Cosa v'importa?"chiese freddamente.
Lui sembrò essere preso alla sprovvista da quella domanda. "Nulla, era solo per curiosità."
Curiosità eh? Patetico.
"Allora non me lo chiedete! Insomma, quando avete intenzione di farmi alzare? Vi deve piacere molto stare in questa posizione, è già la seconda volta! Mi si stanno addormentando le gambe!" Disse esausta, ma lui l'ignorò.
"Se non vi togliete subito, giuro che lancio un urlo talmente forte da far tremare anche l'Irlanda, toglietevi!"
William la guardò fermo e sogghignante, che minaccia era quella?
"Chi pensate vi sentirà in questo luogo disperso?"
"Non mi sentiranno, ma quando troveranno il vostro cadavere poi maledicetevi da solo nell'aldilà." L'uomo ridacchiò.
"Tu rispondi alla mia domanda e forse ti lascerò andare."
"Da quando siamo tornati al tu?" Chiese Jane.
"Da quando non mi rispondi." E da quando osi sfidarmi.
Jane sbuffò "Ho imparato proprio in questa brughiera quando avevo undici anni. Ora mi lasciate?"
"No" Sorrise beffardo "E come mai ci riuscite così bene?"
No, non gliel'aveva chiesto davvero, che razza di domanda era?
"Pensate che non possa essere più brava di voi uomini a cavalcare, solo perchè sono una donna? Beh, se lo pensate davvero siete un ignorante, oltre che un troglodita!"

William strinse gli occhi in due fessure glaciale. Jane sapeva che quella reazione non avrebbe portato a nulla di buono. Eh sì, gli doveva dar proprio fastidio essere chiamato così, o anche semplicemente essere contraddetto. Jane pensò che fosse uno di quelli che aveva sempre tutti ai piedi. E lo constatò poco dopo.
"Tu davvero non capisci quand'è il momento di startene zitta!" Le urlò contro avvicinando il suo viso a quello della giovane "Hai proprio bisogno di un uomo che ti metta a posto e che ti insegni ad essere obbediente. Con le buone" ormai la sua bocca toccava l'orecchio di lei "o con le cattive. Siete davvero provocante, oltre che mascolina, vestita così. E non ci metterei molto a trovare e ad ammaccare il vostro fondo schiena." sorrise malizioso passandosi la lingua sensualmente sulle labbra.

Jane non poteva crederci: si era davvero fatta rapire dagli occhi di un troglodita del genere?
"Siete un porco! Maledetto bastardo pervertito! Sfacciato!" Non capì con quale forza, ma era talmente arrabbiata e disgustata, che riuscì a sgattaiolare via. Si diresse velocemente verso Angel che aveva legato ad un albero lì vicino.
"Vedo che non siete poi tanto coraggiosa se scappate per così poco." Sentì la voce puntigliarla alle sue spalle che fortunatamente non la stava seguendo. Di nuovo? Le stava dando ancora della codarda?
Non resistette all'impulso di rispondergli, così si girò. "Vedo che non capite quanto mi faccia schifo la vostra presenza, anzi" fece finta di pensarci su "Siete proprio voi a far schifo!" E con questo, montò Angel e se ne andò soddisfatta, lasciando l'uomo lì impalato, divertito, desideroso e ancora più incuriosito. Aveva scoperto una cosa nuova: giocare con quella ragazza era divertente come nient'altro ma, la sua testa faticò ad ammetterlo, se ne sentiva irrimediabilmente attratto.

*Nella tragedia di William Shakespeare 'Macbeth', per chi non lo sapesse, l'ombra di Banquo fatto uccidere da Macbeth compare minacciosa in frequenti visioni a sconvolgere il suo uccisore. Per questo Jane ha paragonato William ad un odiosissima persecuzione.

Writer's corner
Ciao a tuttee! Scrivere questo capitolo è stata un po' dura ma cel'ho fatta! Finalmente William e Jane scoprono qualcosa l'uno dell'altro, specialmente William la inizia a vedere come una donna anche piuttosto intelligente, o non è così? Non mi dilungo troppo, ringrazio ancora tutte le lettrici che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite o alle ricordate, grazie a chi l'ha commentata. Ripeto che accetto consigli o critiche che siano costruttive. Alla prossima! ;)

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Capitolo 12
*** 12.Cena a casa Lewis ***


"Loren cara, vuoi un tè?"
Okay, Jane non ne poteva già più di tutte quelle lusinghe e proposte zuccherate, le veniva da urlare, strapparsi i capelli per l'esasperazione, proprio come quando la madre le aveva dato quella notizia.
'Jane stasera avremo degli ospiti.' Okay, fino a qui tutto bene.
'Gli Stevens verranno a farci visita.'
Okay, fino a qui...cosa?
Quando collegò quel cognome, proprio quel cognome a quei due occhi azzurri, sentì salirle il crimine, per la madre, per quell'uomo e per il mondo. Quel cognome la stava perseguitando in quegli ultimi giorni. Era stato già tutto sistemato e addobbato per l'occasione. Non poteva far nulla, era stato deciso tutto il giorno prima a sua insaputa.
Avrebbe potuto non presentarsi, fingendosi indisposta, ma non era brava a fingere e la madre l'avrebbe scoperta subito.
Ed ecco come ora si ritrovava seduta, a sbattere insistentemente le dita sul tavolo del tavolino di legno nel salotto per il nervosismo.
"Loren, sicura che tuo figlio stia bene?" Sentì la voce assordante della madre porgere quella domanda a mrs. Stevens: da quando erano arrivati gli ospiti, Lydia non aveva tenuto la bocca chiusa neppure un attimo, veramente era da quando era nata che non lo faceva, ma quella sera, per l'entusiasmo, era particolarmente insistente.
"Veramente non so dove William sia finito! Mi aveva promesso di essere puntuale!" Quando sentì quel nome i nervi di Jane saltarono ancor di più.
Eh già, cosa stavano facendo tutti in quel salotto ad annoiarsi affamati? Semplice, stavano aspettando da circa mezz'ora il signorino cafone William Henry Stevens che era sparito nella mattinata.
Stava facendo aspettare sei persone per chissà quale motivo. In realtà erano in quattro ad attendere, dato che il signore di casa e Mr. Donald Stevens, si erano rinchiusi nello studio a fumare tabacco e a parlare d'affari, da tipici uomini di famiglia apatici.
"Jane, puoi smetterla?" Le chiese d'un tratto la madre.
"Di far cosa, madre?" Rispose Jane particolarmente suscettibile quella sera.
"Di tamburellare con le dita!" Ordinò la madre al che Jane sbuffò, smettendola, non curandosi delle altre due. Infondo, come le si poteva dare contro se era stufa dopo aver aspettato tutto quel tempo un uomo solo per mangiare?
Assurdo! Se fosse stata una donna a comportarsi così, avrebbe fatto meglio a non presentarsi all'invito o il padre gliene avrebbe fatte passare di brutte e di crude.

E certo! Pensò Jane, lui è il grand'uomo delle caverne! Possiamo aspettarlo fino a domattina.
Come si può essere tanto maleducati e ritardatari? Inaccettabile!

Se fosse stato qualcun'altro, uomo o donna che sia, la madre non avrebbe perdonato un simile comportamento.
Ma lui era lo scapolo d'oro e ricco e se gli avesse dato contro avrebbe perso i rapporti con tutta la famiglia Stevens e soprattutto, non ci sarebbe più stata la possibilità di farlo accoppiare con sua figlia, anche se in quel momento, la signora Loren in particolare, se ne stava vergognando tantissimo.
Jane almeno si era consolata vedendo che l'attegiamento nei suoi confronti della signora non era cambiato: William non aveva raccontato nulla di ciò che era successo il pomeriggio precedente. Si era comportato alquanto stranamente, chissà perchè non l'aveva fatto.

Almeno un po' di umanità cel'aveva anche lui, e da ciò che aveva visto anche di gentilezza, con gli sconosciuti. Con lei si era dimostrato un arrogante infantile. Ma con quell'uomo non si poteva abbassare la guardia, era uno da doppi fini.
Doveva stare attenta, Jane era pronta a scommettere che le avrebbe rinfacciato due favori.
"Vogliamo aspettare l'alba per mangiare?" Domandò ironicamente scocciata la giovane.
"Jane!" La riprese ancora la madre facendole cenno di tacere.
"Non rimproverarla Lydia, ha ragione. Mio figlio si sta facendo attendere troppo, eppure lui non è mai stato un tipo ritardatario, appena arriverà dovrà darci delle spiegazioni molto valide per essere giustificate." Disse Loren, per far capire che anche lei era molto arrabbiata con il figlio ed esigente sulla puntualità.
Proprio quando tutti stavano perdendo le speranze, bussò il campanello. Lydia scattó in piedi ed ordinò a Marianne di aprire. Jessica, mrs. Loren e Lydia erano tutte in piedi ad attenderlo e anche Charles e il signor Donald Stevens con la sua barba bianca, avevano fatto rientro in sala.
Solo Jane rimase seduta, curiosa di vedere con che faccia quell'uomo sarebbe entrato.
Ma la giovane non si meravigliò quando la figura slanciata di William fece la sua scena nella stanza con quella spavalderia e faccia tosta che tanto lo caratterizzava e che Jane aveva conosciuto bene. Ma aveva qualcosa di strano, quella volta, non nelle espressioni, ma da come era conciato: i capelli neri pece più spettinati nel solito, gli occhi infuocati, il viso piuttosto arrossato. Aveva corso una maratona?

"Dovete scusare il mio ritardo, potevate iniziare senza di me, ho avuto un contrattempo." Fece un mezzo sorriso, ricambiato dall'occhiataccia furiosa della madre.
"William, voglio sapere per filo e per segno ciò che è successo! Cosa ti ha intrattenuto? Sapevi che questa sera c'era una cena importante! E tu che fai? Ti assenti senza neppure avvisare!" Alzò il tono della voce Loren, come una mammina che deve rimproverare il figlio di tre anni che ha rubato una caramella di nascosto.
"Madre, non vi devo nessuna spiegazione! Sono un adulto e posso fare ciò che voglio e, come ho già detto, potevate iniziare benissimo senza di me." Ribattè William con una sicurezza che apparteneva soltanto a lui, stizzito.
Stizzito poi? Stizzito? Come si permetteva ad atteggiarsi in quel modo? Invece di ringraziare e dispiacersi... proprio un bambino viziato! Pensò Jane.

Nella sala la tensione era salita alle stelle e ci pensò Lydia a romperla.
"Avanti, non perdiamo tempo in chiacchiere! Iniziamo a cenare!" Disse ordinando alle cameriere di portare i pasti. Presero tutti posto: il padre di Jane, da padrone di casa, a capotavola, accanto a lui la moglie e Jessica, a seguire Loren e di fronte il marito, infine Jane di fronte a...cosa?
Non poteva essere vero, dannata sfortuna!
Esitò un attimo prima di sedersi, e proprio in quel momento i suoi occhi incrociarono quelli quelli ghiacciati di William, che notando la sua indecisione increspò le labbra in un ghigno.
"Ma dai, dopo tutto ciò che è successo, vi curate adesso di fare la timida?" Le chiese in modo che nessuno lo sentisse, ma tanto erano tutti intenti a parlottare.
Jane non rispose, non aveva proprio voglia di discutere con lui, soprattutto dopo il tempo che l'aveva fatta aspettare. Afferrò solo la sedia con una mano e decisa si accomodò con cura, certo stava in silenzio, ma quel gesto era una risposta chiara: figurati se mi faccio intimidire da te.
L'uomo appoggiò i gomiti sul tavolo, iniziando a fissarla. Jane si sentì a disagio, ma non per l'imbarazzo ma per quella vicinanza.
Vicinanza che però poteva sfruttare, per tirargli un piatto di torta in faccia, ad esempio.
William la stava ancora fissando, anche se lei non lo aveva degnato di uno sguardo. Avevano già mangiato i primi pasti, ora era il momento della carne. Jane non ce la fece più, sebbene cercasse di ignorarli, quegli occhi le facevano troppa pressione.
"Cosa avete da guardare?" Sbottò prendendo a guardarlo male.
"Nulla, semplicemente mi stavo accertando delle vostre maniere da elefante anche a tavola. Mangiate come se non ci fosse un domani!" Ridacchiò William, mentre Jane posava le posate, leggermente in imbarazzo. In effetti non poteva dargli torto: aveva sempre un gran appetito e non badava a buone maniere mentre mangiava, come tagliare pezzettini di un millimetro quadro alla volta o abbassare e alzare ogni volta il busto per imboccarsi, che le faceva venire il mal di schiena e un terribile torcicollo.

"Pensate alle vostre di maniere: avete fatto aspettare sei persone senza una ragione plausibile. L'esercito non vi ha insegnato niente, soldatino?" lo stuzzicò Jane decisa.
E sembrò fare centro perchè William le parve infastidito, molto infastidito "Sono un capitano di marina, non un soldato, ragazzina. E non è colpa mia se ho ritardato, sono stato trattenuto."
"Capitano o soldato, sempre un cafone rimanete. E poi, cos'è questa cosa che volete tenere nascosta, che vi ha trattenuto?" L'uomo la guardò impassibile.
"Non credo che vogliate davvero saperlo." Rispose lui sogghignando.
"Insisto!" Lo incitò Jane, che ora si stava davvero incuriosendo, cosa non voleva dire? C'entrava qualcosa l'essere arrivato in quelle condizioni?
"Non so se conoscete, la duchessa Alissa Thompson." La guardò sorridendo malizioso. Perchè?
"No, non la conosco, l'ho solo sentita nominare. Ma...si può sapere cosa c'entra questa donna con il vostro ritardo?" Aggrottò la fronte Jane, non capendoci nulla.
"C'entra perchè è proprio lei la ragione del mio ritardo!" La giovane lo guardava ancora più confusa. Non si faceva ritardo o una visita di un giorno ad una semplice amica. Era la sua fidanzata? No! Lui stesso aveva detto che non era incline al matrimonio o all'amore. E allora?
"Insomma, proprio non capite. Ve lo devo dire esplicitamente?" William la guardò in un modo che la fece sentire stupida e ingenua e quello proprio non le piacque.
"Cosa sono tutti questi indovinelli? Se volete rispondere, rispondete se no, non girateci intorno per farmi sentire una stupida!"
"Non sono io che vi faccio sentire una stupida, voi lo siete e basta, e anche troppo diretta per i miei gusti." Le rispose lui gelandola con gli occhi.
Okay, Jane. Un, due, tre. Mantieni la calma.
"Giusto, mi ero scordata che a voi piacciono i cagnolini che scodinzolano." Ribattè velenosa lei sorridendo amaramente. Ora gli occhi di lui si stavano avvicinando sempre più al ghiaccio, non per colore, ma per espressione, ghiaccio ardente, ardente di rabbia.
"Attenta a come parli, ragazzina." L'avvertì talmente freddamente, che Jane ebbe la sensazione di sentire il gelo di quegli occhi penetrarle la pelle.
Rabbrividì.

"Altrimenti? Che fate? Mi picchierete qui, davanti ai vostri genitori? Ah no, forse mi bacerete di nuovo come uno scimmione fa indistintamente nella foresta per sopraelevare il proprio stupidissimo orgoglio maschile. Ditemi, quale delle due?" Fuoco, con gli occhi si stavano incenerendo a vicenda. A Jane infatti rivenne in mente l'episodio in cui l'aveva baciata, e le salì l'ira a mille. Anzi, a un milione. Si sentì violata, le sue labbra erano state violate da quella sottospecie di scimmione!

Era disgustata al solo pensiero delle sue labbra unite con quelle dell'uomo che tanto disprezzava.
Ancora di più accorgendosi che quell'episodio era stato archiviato e gettato nella spazzatura della mente di William. Certo, tanto per lui, che era abituato a chissà quali cose, cos'era stato quel tocco di labbra? Il nulla! Ma Jane non si aspettava poi chissà cosa, non si sentiva ferita nell'orgoglio, semplicemente odiava il modo in cui mr.Cafone tentava di sopraffare gli altri, in quel caso lei. A che livello poteva arrivare il suo egocentrismo?

"Tranquilla, il mio orgoglio maschile, se non lo avete ancora capito, è abbastanza sopraelevato da non prendere neanche in considerazione le parole di una ragazzina come voi!" Ribattè lui, non togliendo lo sguardo da quello della ragazza. Era una lotta tra occhi, insulti non detti, schiaffi trattenuti e frasi ostili la loro. Nessuno dei due azzardava ad abbassare lo sguardo o la testa.
"Ah, certo! Ed è per questo che mi avete baciato, perchè i miei discorsi non vi stavano dando fastidio."
Bingo.
Gli occhi di William la guardarono ancora più in cagnesco, per poi trasformarsi in un'espressione sadica che Jane ormai conosceva bene.
"Come siete ingenua! Vi ho baciato solo per farvi stare zitta, e per farvi capire che contro di me non conviene mettersi. E poi, devo ammettere che le vostre labbra hanno un certo fascino." Disse prendendole a fissare e passandosi la lingua sulle labbra.
Ripugnante.
Come si permetteva? L'aveva davvero baciata per chiuderle la bocca? Dannato bastardo! Chi si credeva di essere?

Jane stava morendo dentro dalla rabbia per quell'umiliazione, ma non lo diede a vedere, non volle dare a vedere che lei in qualche modo a quel bacio, ci tenesse, seppur pochissimo. Era stato il suo primo, sarebbe dovuto essere importante. Rimase impassibile e falsamente indifferente.
"Siete oltraggioso, oltre che infantile, viziato ed egocentrico."
"Viziato non ve lo permetto, dato che nessuno ha lavorato e si è sudato il patrimonio più di me." E in quello aveva ragione, il suo lavoro era uno dei più difficili e prestigiosi. Come aveva potuto una mente tanto limitata arrivare così in alto? Se lo chiedeva anche Jane.
"Voi siete viziato sotto altri punti di vista, infatti." Ribattè lei.
"Ah. Su questo non posso darvi torto, sapete, mi vizio molto nel gioco e nel divertimento con le donne." La guardò malizioso, facendole intendere cosa intendesse.
Ma quell'uomo sul serio non aveva neanche un pregio?
"Non mi interessa nulla del modo in cui vi viziate!" Ribattè freddamente la giovane.
"Ah no? Non ero io quello che voleva sapere le ragioni del vostro ritardo." Disse William guardandola audace, e attentamente, per analizare impaziente tutte le reazioni che la ragazza avrebbe avuto quando avrebbe inteso le sue parole. E questa infatti non tardò ad arrivare.
Collegò tutti i fili in un attimo. La duchessa Alissa Thompson che era la ragione del suo ritardo. Il suo modo di viziarsi. Il suo comportamento con le donne. I capelli arruffati. Le guance arrossate.
L'acqua che stava bevendo le andò di traverso quando capì cosa intendesse lui per intrattenimento.
Iniziò a tossire e a darsi dei colpetti sul petto, mentre portava l'attenzione di tutti su di lei, incenerendo William, che dal canto suo, non sapeva dove stava trovando la forza per non scoppiare a ridere a crepapelle.

Mrs. Lydia s'alzò preoccupata dalla sedia, correndo vicino alla figlia e dandole dei colpi sulla schiena finchè lei non smise.
"Insomma Jane, affogarsi come una bambina, che figura ci fai fare davanti ai nostri ospiti?! Hai diciassette anni, stai più attenta!" La madre riprese posto e tutti ricominciarono a parlare.
Jane teneva lo sguardo abbassato, sicura che se lo avesse alzato si sarebbe trovata davanti quello divertito e schernitore di William. E ne era esausta.
Bene, la madre gliene aveva rivelata un'altra. E lui ora l'avrebbe presa in giro all'ennesima potenza. Ma lei era ancora scossa per quel che aveva capito: cioè, li aveva davvero fatti aspettare tutto quel tempo per...stare con una donna?
Che schifo, mimò involontariamente con le labbra.
Si aspettava una risposta offensiva a quel suo commento, invece quando alzò gli occhi sull'uomo, sembrava assorto da chissà quali pensieri ed aveva in volto un'espressione stranamente confusa e sorpresa.
"Davvero hai diciassette anni?"
Jane roteò gli occhi, ora si spiegava tutto, ma non proprio tutto: lei si aspettava un'altra reazione, una reazione derisoria. Invece niente. Eh sì, quel tipo era proprio strano. Aveva pure ripreso a darle del tu. Perchè era tanto scandalizzato poi?
"Sì, e levatevi quell'espressione dal volto!" Disse Jane imitando la sua maleducazione "Vado fiera dei miei diciassette anni!"
"Immagino...allora sei davvero una mocciosa!" Eccolo ritornato! L'uomo delle caverne.
"Non posso crederci! Ho davvero baciato una bambina ancora attaccata al seno della madre!"
Il tono disgustato e quasi colpevole che aveva destabilizzò la testa della giovane che si sentì umiliata per l'ennesima volta, non solo per le sue parole, ma anche per il modo con cui le aveva pronunciato: un tono vero, un modo che la stava facendo sentire ancora più insignificante, e ancora più insignificante quel bacio.
Doveva essere lei quella offesa! E invece lui cosa si permetteva a dire? Che quasi quasi erano le sue labbra, povere cucciole, ad essere state violate da una poppante!

Strinse i pugni sulla tavola, ordinando a se stessa di non fare pazzie davanti agli altri ospiti, e davanti ai genitori.
"Quella disgustata qui sono io, È CHIARO?" Alzò la voce di un'ottava, guardandolo truce.
"Non ti riscaldare, ragazzina. Il tuo fidanzatino potrebbe perderti!" Fidanzatino? Quale fidanzatino?
"Mi prendi in giro?" Gli chiese scettica, senza accorgersi di aver preso a dargli del tu.
"Ma non mi dire, Angel ti ha già abbandonata o sei tu una continua sorpresa come bugiarda?" Jane si maledì mentalmente. Si era scordata di quella conversazione, anche per ciò che era accaduto dopo.
"È che lui non è il mio fidanzato ufficiale! Solo un mio amico stretto! E non so neppure perchè sto cercando di giustificarmi con te, dato che non sei nessuno per darmi della bugiarda!" cercò di rimediare.
"Sai bene perchè lo stai facendo, e perchè non ti ricordavi nulla, hai mentito!" Ghignò lui, la giovane non era proprio brava a menire.
"Non è v..."
"Jane, cara, Lord Donald vuole sapere come hai imparato a cavalcare!" La voce squillante della madre la fermò prima che potesse strappare quel ghigno soddisfatto dalle labbra dell'uomo.
Si girò verso la madre stufa di tutte quelle domande sul suo cavallo, ma non lo diede a vedere, cercando di comportarsi a modo. "Sì, milady. Sono molto curioso di sapere dove avete imparato e soprattutto se siete brava come dice vostra madre." A prima impressione lord Stevens sembrava davvero gentile e garbato, che si sapesse comportare molto a modo con le donne, al contrario del figlio. Da chi aveva imparato a comportarsi così quel cafone?
"Certo, milord. Ho imparato quando ero molto piccola, e da allora sono migliorata molto, ma non mi giudico o mi lodo da sola, lascio che siano gli altri a farlo per me." L'uomo le sorrise.
"Lodevole, davvero. Spero di poter accurare questa vostra bravura un giorno. Magari facendo insieme un giro nella brughiera, anche a me piace molto cavalcare! E poi anche William potrebbe unirsi a noi. Che ne dici, figliolo?" Disse l'uomo voltandosi verso il figlio, mentre Jane sperava di aver capito male. Lei, mr. Cafone e suo padre a cavalcare insieme? Assolutamente no.
Ma non poteva tirarsi indietro, infondo Lord Donald era abbastanza vecchio, se ne sarebbe dimenticato con il passare dei giorni.
"Certo, padre. Sarebbe un onore cavalcare al fianco di una raga... donna." Jane strabuzzò gli occhi.
Cosa, cosa, COSA?
Si voltò verso William che era intento ad imboccarsi, e sorrideva sotto i baffi. Maledetto diavolo!
"Che bello! Magari anche la tua Angel così troverà uno stallone con cui passare il tempo!" Le parole della madre la innervosirono parecchio, come se stesse paragonando Jane alla sua cavalla,cosa voleva dire che Angel...aspetta un attimo, aveva davvero detto A n g e l?
Si girò verso William che la stava guardandando con le sopracciglia inarcate, compiaciuto.
"Quindi, madame, la cavalla di vostra figlia ha un così bel nome? Angel eh?"
Beccata e scoperta in pieno.
Dannazione! Mrs. Lydia parlava sempre al momento meno opportuno! Sembrava lo facesse a posta a ridicolizzare la figlia.
Ora lui non solo sapeva che era una bugiarda, ma avrebbe potuto farle fare un'orribile figura davanti a tutti. Certo, sarebbe stato da persona pessima, ma lui ne era capace eccome.
"Sì, nome insolito vero? Jane ha davvero molta fantasia in questo!"
"Smettila, Lydia. Non interessa a nessuno di tutto ciò!" Oh. Suo padre aveva finalmente zittito la madre, indirettamente si ritrovò a ringraziarlo per la sua freddezza. Quella stessa freddezza che dalla morte di Margaret la faceva soffrire da morire. Ma Charles era sempre stato così: distaccato con lei fin dai primi anni d'età. Molto spesso la faceva arrivare a pensare che per lui fosse trasparente, che ci fosse sì, ma solo per far presenza, come un oggetto. Un oggetto, come la vedeva la maggior parte delle persone che la circondavano.
"Cosa succede, ragazzina? Stai per piangere?" La schernì William beccandosi un'occhiataccia da lei.
"No, ma farò piangere voi se non la smettete d'importunarmi." Ribattè lei facendolo ridere malevolmente.
"Non importuno le bugiarde."
Wow. In mezz'ora mr. Cafone aveva scoperto non solo che aveva a che fare con una diciassettenne, non che Jane si preoccupasse di quello solo che adesso William aveva davvero un motivo per chiamarla ragazzina, ma anche che lei gli aveva mentito, che era libera. Non che a Jane importasse qualcosa di lui e di ciò che pensava. Ma ora aveva buoni motivi per prenderla in giro.
"E io non mi lascio importunare dai trogloditi." Continuò a sostenere il suo sguardo.
"Allora, ho una proposta da farti."
Jane aggrottò la fronte. Cosa voleva?
"Una scommessa."
Una scommessa?
"Se vinci tu farò di tutto per uscire completamente dalla tua vita..." Mmh...allettante.
Jane poi aveva un debole per le sfide, soprattuto se queste sfide implicavano quell'uomo, in particolare se quell'uomo l'avrebbe lasciata finalmente in pace.
"Accetto" affermò Jane senza pensarci due volte: poteva finalmente toglierselo di torno, cosa c'era da pensare?
"Bene, ormai avete accettato, senza neppure sapere in cosa consiste la scommessa." La guardò come per dirle 'ti facevo più sveglia'. "Non puoi più tirarti indietro."
E chi voleva tirarsi indietro? Ormai si era fatta avanti, e non avrebbe mai fatto la figura della vigliacca fifona dandogli ragione.
"Domani alle 18:00 a quest'indirizzo" le passò un biglietto dove c'era scritto un nome, sicuramente di un bar.
"Quindi in cosa consiste questa scommessa?"chiese scettica.
"Sorpresa!" Jane scosse la testa, quant'era infantile mr. Cafone? E soprattutto cosa aveva in testa?
"Bene, c'è altro?" Gli chiese.
"Ah, giusto, un'altra cosa." Le sorrise malizioso avvicinando il suo viso a quello della ragazza.
"Cosa?" Corrucciò lei la fronte.
"Togliti quei vestiti da monaca!"

Writer's corner
Salvee! Ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo anche se è solo di transizione per ciò che avverrà dopo. William ha scoperto di essere stato fatto fesso e la vra identità di Angel che ovviamente è stata svelata da Lydia, ad avere una madre così mi sarei già uccisa. Il diavoletto poi ha fatto notare ancora più alla nostra Jane la sua passione per le donne.Comunque, cosa avrà in mente William? E Jane è stata stupida ad accettare? Vi dico solo che forse le cose tra loro un po' cambieranno per quel che succederà. Grazie a chi recensisce la storia dandomi voglia di continuarla e di farmi capire se ciò che scrivo arriva al lettore, è importante. Non so se riuscirò ad aggiornare prima di Natale ma farò il possibile. In caso contrario auguro buone feste a tutte! Alla prossima.

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Capitolo 13
*** 13.SFIDA-Prima parte ***


 

Jane scese dal calesse, confrontando l'indirizzo sul pezzo di carta con il nome della strada e, accertatasi che fosse quello, pagò il condottiero e rimase sola, in quella strada quasi deserta che le metteva una certa inquietudine e ansia.
Faceva anche freddo, dannazione! Il sole stava tramontando e il cielo diventava sempre più grigio. Per fortuna la madre non l'aveva scoperta: le aveva mentito dicendo che avrebbe fatto una passeggiata.

William le aveva pure detto di vestirsi provocante e lei aveva indossato un corpetto nero un po' scollato, che però lasciava intravedere solo una piccola parte del seno, con sopra un vestititino lungo a maniche corte in merletto e pizzo rosso con una gran scollatura sulla schiena, coperta però solo da uno scialle di cotone che le copriva tutta la parte superiore: se Lydia l'avesse vista senza lo scialle, con quel vestito, avrebbe fatto i salti di gioia. Finalmente sua figlia indossava qualcosa di più sensuale.
Non sapeva neanche Jane dove l'avesse pescato, sel'era ritrovato in una scatola nel suo immenso guardaroba e senza pensarci l'aveva indossato.
Senza pensarci, sì. Perchè se l'avesse fatto sarebbe morta di vergogna e si sarebbe sentita a disagio, si sentiva scomoda in quegli indumenti. Nella sua testa, non avrebbe mai immaginato di indossare una cosa del genere ma, per togliersi di torno mr. Cafone, quello e altro.

A proposito, dov'era l'energumeno? Si guardò intorno, ma non c'era nessuna traccia di lui. Perchè era stata così sciocca da accettare? Lui avrebbe benissimo potuto farle uno scherzo. Perchè si era fidata? Chissà che piano machiavellico aveva progettato quel troglodita!

Vide due barboni che stavano bevendo da delle bottiglie di vino per terra e che ora la stavano fissando.
S'affrettò ad allontanarsi. Che razza di posto era quello? Qual'era la sfida?

Una pacca sulla sua spalla la fece sobbalzare, facendo accelerare a mille il suo cuore, si voltò e si calmò quando vide due occhi azzurri fissarla divertiti.
Si mise una mano sul cuore.
"Maledizione! Vuoi farmi venire un infarto?"
"Da quando ti ho dato il permesso di darmi del tu?" Domandò William ignorando le sue parole.
Jane non ci vide più. Chi si credeva di essere quell'egocentrico?
"Da quando ho capito che tu non mi porterai mai rispetto." Ribattè fermandosi a guardarlo euforica e soddisfatta "e da quando so che questa sarà l'ultima volta che ci incontreremo. E per la cronaca, tu non mi dai nessun permesso, al massimo è il contrario."
William alzò gli occhi al cielo. "Vedremo, ragazzina." Poi si soffermò a guardarla "ma come diavolo ti sei vestita? Ti avevo detto provoca..." non finì di parlare che il fiato gli si mozzò in gola quando d'un tratto la giovane si tolse lo scialle.
I capelli lunghi castani le ricadevano sciolti e morbidi sul collo che era scoperto e coprivano anche buona parte delle piccole spalle, il corsetto le faceva i fianchi ancora più snelli di com'erano e, sentì l'eccitazione salire quando si soffermò sui seni grandi stretti e incastrati nel vestito. Desiderò di farli respirare e di liberarli con le sue stesse mani, ma poi si riprese. Quella era solo una ragazzina, una ragazzina impertinente e ingenua, mica una donna matura, esperta e obbediente. Come poteva lasciare che gli facesse quell'effetto?
Era solo un corpo, un corpo come gli altri, un corpo che in uno degli angoli più remoti del suo cervello, sentiva di desiderare come pochi altri.
Riprese a guardare Jane negli occhi, che se la rideva sotto i baffi ed era anche molto compiaciuta di quella reazione. Com'è che aveva detto quell'uomo? Che non era femminile e sembrava un maschiaccio? Si stava riprendendo la sua rivincita! Infondo gli uomini sono tutti uguali, sotto quel punto di vista.
"Allora? Come sto? Abbastanza provocante per essere una ragazzina?" Lo stuzzicò, mettendosi le mani sui fianchi.
"Oh, niente male. Ragazzina, con questo vestito sembri una vera e propria..." si bloccò quando si trovò fulminato dall'occhiataccia di Jane.
"Okay, okay. Diciamo che sei abbastanza seducente." Disse lui cambiando tono e tornando serio.
"Si può sapere cosa ci faccio vestita così?" William alzò un sopracciglio come se quella fosse la domanda più stupida del mondo.
"Cosa vuoi farci vestita così? La puttana!" Un ghigno sadico e malizioso si era formato sul viso dell'uomo, che non era riuscito a trattenere quella squallida battuta, mentre Jane sentì un moto misto di rabbia e indignazione salirle su per lo stomaco. Come si permetteva quell'insignificante a deriderla così? Come osava prendersi tutta quella confidenza?

Alzò il braccio per mollargli uno di quei ceffoni che ti fanno girare la testa a centonovanta gradi, ma lui prevedendo proprio quella reazione, bloccò facilmente il suo polso che rimase a mezz'aria chiuso nella sua mano.
"Sei troppo aggressiva, oltre che debole, tel'hanno mai detto?"
Con uno strattone la giovane si liberò della sua stretta.
"Tu invece sei un grande schifoso, oltre che un grande sfacciato, tel'hanno mai detto?" Jane si portò le braccia al petto, offesa, anche se non voleva darlo a vedere, stando in silenzio per parecchi minuti.
"Ehi, stavo scherzando. So bene che non sei una di facili costumi, e lo sai anche tu, era per prenderti in giro." Disse William tranquillamente, mentre a Jane spuntò un sorriso spontaneo che però subito eliminò. Non poteva dare a vedere che le sue parole facevano un qualche effetto su di lei. Si bloccò un attimo. Dio, da quando dava conto alle parole di William? Se ne stava accorgendo anche lei, e tutto ciò le fece un po' paura.
"Ci mancherebbe altro. Solo, volevo farti sentire un po' in colpa." Gli fece l'occhiolino, mentre lui, dapprima sorpreso dalle sue parole, la guardò strafottente.
"Davvero, Dio ha sprecato tanta bellezza con un maschiaccio impertinente" e orgoglioso, voleva dire "come te." E lo pensava davvero, William.
Jane sussultò un attimo. Le aveva sul serio fatto un complimento?
Certo, ma dietro c'era sempre il trucco, la provocazione.
"Dio, se ne esiste uno, avrebbe dovuto donarti più materia grigia e meno muscoli, a quanto pare! Facile avvalersi della propria forza per sopraffare chi è più debole!"disse lei riferendosi alla volta a casa sua e nella brughiera, oltre che a quando l'aveva fermata  mentre lei stava contrattaccando colpendolo.
William scosse la testa, perchè la ragazza aveva pienamente ragione ma lui quella forza la stava usando solo per difendersi, o almeno lui la vedeva da quella prospettiva.
Essendo stato capitano era stato addestrato per lottare, attaccare, e per non farsi colpire, e in questo era proprio il migliore quando stava in marina, anche se Jane l'aveva proprio fregato con quel calcio e quello schiaffo. Solo a pensarci, gli veniva da farle del male.
"E tu saresti più debole? Davvero, hai una lingua troppo pungente. Andrebbe amputata e addocilita per bene." La guardò malizioso con il solo scopo di farla alterare, e s'inumidì le labbra.
Il suo scopo andò a buon fine.
"Finiscila di scherzare o giuro che me ne torno a casa! Non ho tempo da perdere." Strattonò brutalmente il polso cercando di liberarlo dalla mano di lui, ma lui l'anticipò liberandola di sua spontanea libertà.
"Ragazzina, davvero, che pensi di fare vestita in quel modo?" La provocò ancora e stavolta lei non ci stette.
"Mandarti al diavolo!" Disse girando i tacchi offesa per andarsene, ma una presa la fermò. Di nuovo.
"Va bene, la smetto. Non vorrai mica toglierti questa possibilità?"
Jane ci pensò su, no, certo che no.
"Allora, perchè siamo qui?perchè sono vestita così? Cosa c'entra questo posto con la sfida? E in cosa consiste questa sfida?" Partì come un fiume in piena la giovane facendo innervosire l'uomo.
"Zitta e seguimi!" Ordinò iniziando a camminare, per poi accorgersi che la ragazza era rimasta ferma con le braccia al petto e dov'erano prima, imbronciata come una bambina, ma certe volte lo era davvero.
"Cosa fai?" Le chiese spazientito.
"Dimmi cosa ci faccio vestita così!" Dannazione, era proprio una bambina capricciosa e testarda.
"Se te lo dico mi seguirai?"
"Forse." Rispose Jane saccente.
"Diciamo che devi... confonderti."
"Cosa?" Domandò lei ancora più confusa. Cosa voleva dire che doveva confondersi?
"Seguimi e lo scoprirai."
Che razza di proposta era quella?
Era come dire: segui il diavolo che ti farà del bene.
Jane sbuffò, capendo che non avrebbe avuto nessun'altra risposta se non l'avesse seguito.

*** *** *** *** *** *** *** *** ***

"Che diavolo di posto è questo?" Chiese Jane a quella vista.
Erano appena entrati in un locale pieno di candele ad olio e dove stagnava una tremenda puzza di fumo, una puzza che Jane non sopportava. Il posto era pieno di uomini, donne, tavoli e brocche di vino.
Sulla destra dell'ingresso c'era un bancone e dietro questo un armadio pieno di scaffali colmi di...liquori? Gin, rum, vodka, birra... c'erano proprio liquori di tutti i tipi! Jane non ne aveva mai visti così tanti. Due donne e un uomo erano intenti a servire quelli che Jane pensò fossero clienti.
In fondo alla sala c'erano anche due biliardi e molti uomini intenti a giocare.
Si soffermò meglio sulle persone nel grande salotto. Alcuni uomini giocavano a carte, altri ridevano, altri si...baciavano? Si baciavano con delle donne non molto vestite. Cen'erano a decine vestite solo con una magliettina di seta, che sembrava un pezzo di stoffa ritagliato per quel che copriva. Strabuzzò gli occhi quando ne vide due con i seni scoperti che venivano stomachevolmente palpate da un uomo.
Si coprì gli occhi.
OH NO!
Jane si voltò di scatto verso William stringendo i pugni.
"Un bordello?" Urlò furibonda "Mi hai portata in un bordello?!"
"Perché, non ne hai mai visto uno?" Domandò lui indifferente e menefreghista, come se fosse la cosa più normale del mondo, da tutti i giorni, come svegliarsi al mattino.
"Me ne vado!" Fece per andarsene ma ovviamente William le si parò davandi bloccandola per la seconda volta.
"Mi sa che questa è la tua frase preferita! Avanti, calmati. Stavo scherzando."
Lui stava scherzando, ma Jane no.
"Togliti subito o giuro che tua madre entro domani verrà a sapere che razza di posti frequenti." Azzardò lei con gli occhi traboccanti di rabbia, ma a quelle parole William la fulminò con lo sguardo.
"Non lo faresti mai!"affermò poi lui tranquillo.
Jane sgranò gli occhi ancor più inviperita, pensava che lei fosse tanto stupida e ingenua da non fargliela pagare? Beh! Si sbagliava di grosso.
"E chi te lo dice?! Tu non mi conosci affatto! Appena uscirò di qui andrò a riferirglielo!"
"Mocciosa, provaci e, quanto è vero che mi chiamo William Stevens, ti faccio passare per la mia sgualdrina minorenne di turno, e ti assicuro che nessuno ti guarderà più come ha fatto fin'ora!" Ringhiò William minacciandola malignamente.
"Ti odio! Sporco subdolo, troglodita, violento, egocentrico e limitato!" Sbottò Jane, che aveva una voglia matta di levargli una volta per tutte la possibilità di respirare.
Ma in uno scontro a carte scoperte lei, si ripetette, non avrebbe avuto alcuna possibilità contro quel tipo così furbo e potente, in quella situazione, non poteva far altro che ascoltarlo.
"Ora finiscila! Sono un uomo e in quanto tale esigo rispetto! Punto."
Jane ringhiò "Ora ti atteggi ancora da sporco maschilista, dannazione!" Doveva ripetergli come la pensava sulla questione del rispetto?
"Ti piace proprio insultarmi, eh?" Chiese con tono offeso William. Faceva l'offeso? Ma si era reso conto di come l'aveva minacciata?
"Non ti nascondere dietro queste paroline da vittima sacrificale, e fammi il piacere di ammettere che ciò che dico è vero. Io mi baso sui fatti e su ciò che dici! Sei peggio di un diavolo!"
"I fatti che vedo io invece sono che ora siamo qui, e non ti puoi più tirare indietro, ragazzina. Anche se sappiamo entrambi che perderai, almeno non fare la figura della fifona."
Aveva fatto centro, William. Aveva capito che lei odiava essere considerata, prima di tutto da se stessa, vigliacca e debole e che, davanti alle sfide, non si tirava di certo indietro.
E infatti...
"Allora cosa dovrei fare?" Gli chiese piegando le braccia al petto, brontolando.
"Per ora seguimi. Li vedi quelli laggiù?" Le indicò un gruppetto di uomini in un angolo della sala, mentre giocavano a biliardo. "Quelli sono i miei amici. Alcuni di loro sanno già di te, altri no. Tu stai buona vicino a me e non ti succederà niente!" Le disse serio.
Davvero le stava chiedendo di starsene buona? Vicino a lui?
Sì, glielo avrebbe fatto credere, ormai c'era troppo dentro.

Annuì e William le fece cenno di seguirlo, voltandosi appena in tempo per non vedere la linguaccia della giovane adirata. Quando si fermarono davanti agli uomini, che ne erano circa otto, tutti si girarono a guardarli. Salutarono l'amico, non degnandola di uno sguardo, ma quando s'accorsero della sua presenza, iniziarono a sentirsi fischi e sghignazzi tra loro.
Volevano farla proprio innervosire! Ma il troglodita non li aveva avvisati?
"Che bella gattina ci hai portato, William." Disse uno.
"Già, sono curioso di vedere come miagola e graffia sotto le lenzuola!" Ridacchiò un altro.
Jane sentì salire la nausea, disgustata, ma per chi l'avevano scambiata? Per una poco di buono?
Eh no, aveva sempre difeso e protetto il suo onore, non avrebbe mai permesso che ora venisse calpestato da una mandria di frivoli cafoni. Bastava che vedessero una scollatura tre centimetri più ampia e tac, ecco come venivi (e vieni) etichettata!
"Ma a te devono graffiare il cervello, magari ricomincia a funzionare. Razza di essere sottosviluppato villano ignorante!" Sputò velenosa, stringendo i pugni. Se avesse sentito anche solo un'altra offesa contro la sua persona, qualcuno lì dentro non ne sarebbe uscito vivo, e non è un'esagerazione.
Tutti i presenti intanto erano rimasti a bocca aperta stupiti, alcuni incantati da una reazione del genere, tutti tranne William, che sì, stava sorridendo quasi... compiaciuto.
Quella ragazza non si fermava davanti a nulla, non aveva paura di nulla e, gli costò ammetterlo, si stava rendendo conto che la sua mente elaborava risposte davvero audaci e sveglie, troppo anche per una trentenne.
Anche lui aveva visto la reazione dei suoi compagni, la stessa che aveva avuto lui la prima volta. Ora anche loro sapevano di che pasta era fatta.
Ma doveva comunque darsi una calmata, era comunque una donna! Una ragazzina anzi! Quante possibilità avrebbe avuto contro un uomo?
Il tipo che aveva offeso, arrabbiato, si avvicinò di scatto a lei, che non aspettava altro per sfogare la sua rabbia, stupida idiota pensò William, ma sorprendentemente lui le si piazzò davanti, come uno scudo, rovinandole i piani criminali.
"Calma amico" lo bloccò "la ragazza è un po' nervosa, non vorrai creare uno scandalo per questo piccolo battibecco, lascia perdere." Jane rimase sconcertata nel sentire quella voce roca interromperla: William l'aveva sul serio interrotta per aiutarla? la stava difendendo?! Lei non ne aveva bisogno!

L'altro ci pensò su per poi rispondere "Stavolta ci passo sopra, ma la prossima me la paga, quella puttanella!"
Ma da dove venivano questi?! Dalle discariche?
"Ma puttanella sarà tua sore..." non finì la frase ritrovandosi la grande mano di William a tapparle la bocca.
"Allora tutto apposto!" L'uomo si allontanò, mentre Jane non riusciva più a respirare a causa della pressione della mano di William.
"Ti lascio solo se mi prometti che starai zitta, d'accordo?" Jane, ancora più incavolata, scosse la testa in un deciso 'no' e William fece ancora più pressione, stavolta sul serio non sentiva più l'aria arrivarle ai polmoni e ansimò. Dio, stava per ucciderla davvero!
"Allora, prometti?" Jane annuì offesa e sconsolata, e potè finalmente tornare a respirare.
"Cosa diavolo stavi fac..."
"Eh no! Ora o stai zitta o ti abbandono qui!"
Jane digrignò i denti, per poi mandargli un'occhiataccia fulminante, afflitta.
Non poteva far nulla, se non starlo a sentire. Era arrivata fin lì non poteva rinunciare adesso! Era la sua occasione.
"Non sapevo fosse tanto bella la micetta, Will" Una voce alle spalle di mr.Cafone li interruppe, o meglio, interruppe i loro sguardi infuocati di minaccia e di odio.

Spuntò un uomo giovane, poco più basso di William, biondo con gli occhi verdi...Jane pensò di averlo già visto prima. Si concentrò meglio e...certo! Quello era lo stesso che aveva incontrato nella brughiera e che le aveva chiesto la borraccia mettendola ancor di più nei pasticci! L'aveva dimenticato!

"Primo io non sono una micetta, ho un nome." Iniziò stizzita, lei odiava quei nomignoli o soprannomi "secondo, sapete che è maleducazione chiedere informazioni su una persona in sua presenza. Se avete un pò di coraggio e di educazione porgetele direttamente a me le domande, sono qui!"
Tutti e due rimasero in silenzio per qualche secondo, poi si guardarono tra loro e scoppiarono a ridere.
Cafoni, che avevano da ridere?
Certo, cosa si doveva aspettare dai compagni di un simile individuo?
"Che caratterino" ammiccò l'uomo dagli occhi verdi.
Jane sbuffò, portando ancor più l'attenzione dell'uomo su di lei che ora la scrutava più attentamente.
La giovane si allarmò, che l'avesse riconosciuta?
"Ci siamo già visti da qualche parte?"
Angeli di tutti i cieli, aiutatemi.
"Ehm...ecco..." si ritrovò in difficoltà lei.
"Ma che carina, non sa cosa inventarsi. Tranquilla, cara Jane, il nostro William mi ha raccontato tutto! Certo, nella brughiera eri un po' diversa, ma niente che non si possa risolvere indossando una gonna!" Le fece l'occhiolino e Jane si sentì mancare. William aveva raccontato tutto a quel tizio! Di male in peggio: ora i problemi erano due!
Si girò infuriata verso l'uomo dagli occhi azzurri, che prevedendo la sfuriata della giovane decise di parlare per primo.
"Stai tranquilla! George non dirà nulla, gli ho detto tutto sotto segreto confessionale, almeno fin quando farai la brava."
Farai la brava. Da quando in qua faceva la brava? Giusto, doveva riferirsi alla minaccia di prima sullo spifferare tutto alla madre. Jane sorrise diabolica: la minaccia allora aveva fatto effetto.
"Lo spero per te" proferì falsamente "Anzi no! Questa sarebbe la volta buona per farla finita con la tua vita."
George scoppiò a ridere di nuovo, mentre l'amico s'irrigidì irritato.
"Diavolo amico! Più stronza non potevi trovartela!" Disse George.
"Ehi, ehi. Stronza a chi?" Poi si rivolse a William additandolo "infondo un soggetto come te non poteva che frequentare cafoni del suo stesso genere!"
"Dio, William! Questa ragazza mi piace! L'adoro!" Ridacchiò George rivolgendosi all'altro, che era ormai piuttosto seccato dalle insinuazioni dell'amico e dal loro scambio di battute.
"Sposatela allora! Farai un gran favore all'umanità: magari si scioglie." Sbuffò William.
"Ma come ti..."
"Ragazzina, non contraddirmi, non abbiamo tutta la notte! Vuoi sapere in cosa consiste questa sfida o no?"
Jane ci pensò su indecisa, ma alla fine si morse la lingua: prima finiva quella situazione, prima se lo toglieva di torno.
Annuì.
"Ripetiamo i patti: se vinci tu, ti lascerò in pace per sempre, per il bene di entrambi!"
Sì, è per il bene di entrambi che vuoi farmi perdere, infatti. Pensò la giovane, ma non lo fermò.
"Se vinco io invece..." Fece finta di pensarci per qualche secondo, ma Jane sapeva che l'uomo aveva già deciso la tortura.
"Allora? Sbrigati! L'hai detto tu che non abbiamo tutta la notte!"
William la guardò ghignando "Se vinco io invece, dovrai passare dieci ore con me, dove e quando vorrò e deciderò io."
Perchè volesse passare altro tempo con quella ragazzina irritante, ma si rispondeva che lo faceva divertire, come non faceva da tempo. Jane sospirò, allungò la mano, non si sarebbe mai tirata indietro.
"Affare fatto, soldatino."
William le strinse la mano, si stava scavando la fossa da sola.

Writer's corner
Ciao a tutte! Questo capitolo è più lungo degli altri perchè non credo che riuscirò ad aggiornare prima di Capodanno! Spero vi sia piaciuto il capitolo con la sua atmosfera frizzantina. Auguro buon Natale a tutte e ringrazio ancora tutte le persone che seguono, preferiscono e ricordano la mia storia, oltre quelle che la recensiscono. Ps. Alcune di voi mi hanno fatto notare che a volte commetto qualche errore grammaticale dovuto a distrazione, se ne notate qualcuno ditemelo così almeno mi facilitate a migliorare la scrittura! Ancora buone feste a tutte e grazie di cuore!
Un bacio e alla prossima!

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Capitolo 14
*** 14.SFIDA-Seconda parte ***


~UN UOMO DEVE SAPERSI DISTINGUERE DAI MASCHI. SE NON È IN GRADO DI FARLO, DOVRÀ ACCONTENTARSI DI UNA FEMMINA, DESIDERANDO CONTINUAMENTE UNA DONNA~ Albert Einstein

 

Si stava scavando la fossa da sola. Si era fatta prendere dalla foga, era sicura di vincere e si era scordata della cosa più importante: qual'era la sfida?
Aveva fatto decidere tutto a quell'uomo così scaltro, idiota e, da una parte anche intelligente.
"Allora, qual è questa sfida?" Chiese affatto entusiasta.
"È vero, non tel'ho detto!" Rispose William sarcasticamente. La stava guardando divertito, che aveva in mente?
"Una sfida a biliardo. Giocheremo tre partite: chi ne vincerà almeno due avrà la vittoria in mano."
Cosaa?
Una sfida a biliardo? Ma lei non aveva tenuto mai una stecca in mano! E lui certamente lo sapeva, quello si chiamava giocare sporco!
"E si può sapere perchè diavolo mi hai portata in questo posto per giocarci?!" Quanto cavernicolo era?
William sorrise sghembo "Volevo divertirmi un po' e vedere come ti saresti 'confusa' " fece virgolette mentre il viso di Jane diventava rosso peperone.
"Sei un maiale! Porco!" Disse riafferrando lo scialle per rimetterselo ma lui la bloccò.
"Nulla che tu non mi abbia già detto!"
"E ancora non ti ho detto quanto sei subdolo a propormi questo gioco, sapendo benissimo che io non so giocare?!" Chiese isterica. "Perchè se non l'ho fatto te lo dico ora! Sei solo un subdolo meschino a cui piace vincere facile!"
William alzó le mani, in segno di innocenza. "Quando hai accettato mi hai dato volontariamente campo libero, quindi ora non lamentarti!" Jane si morse il labbro, nervosa. L'uomo aveva ragione, ora non poteva fare l'ipocrita.
"Allora, ti tiri indietro? Sappi che se lo fai, mi regali direttamente la vittoria." Disse William vedendola pensierosa.
Sì, proprio furbo lui.
"Certo che no! Iniziamo!" Stupido, stupidissimo orgoglio! Lui sapeva che non si sarebbe tirata indietro e se ne era approfittato. Così avrebbe certamente perso, non conosceva neanche le regole di quel gioco, ma se avrebbe dovuto perdere, lo avrebbe fatto lottando fino all'ultimo.

 

La sfida iniziò e, ovviamente con l'attenzione di tutti i presenti che scommettevano divertiti da quell'insolita situazione, William vinse la prima manche mentre Jane era già rassegnata. Stava giocando a caso, aveva capito qualcosa vedendo tirare lui.
Prima di riprendere a giocare, William aveva preso a parlare con dei suoi amici liquidandola con un "qualche minuto di pausa". Certo, perché il signorino aveva faticato tanto per vincere.
Gli altri gli stavano chiedendo di lei, sene accorse dalle occhiatine che le mandavano e dalle risatine.
Ad un certo punto non ce la fece più.

 

"Che diavolo avete da guardare?" Urlò per farsi sentire mentre tutti si zittavano e William le intimava di starsene zitta mimando un "fai la brava".
Jane si voltò senza neppure degnarlo di uno sguardo.
Voltandosi si ritrovò davanti un giovanotto moro alto e magro che le sorrideva affabile ed era vestito molto elegante.
"Avete bisogno di qualcosa?" Gli chiese subito Jane.
"Forse siete voi ad aver bisogno di qualcosa, vi ho vista in difficoltà."
Jane lo guardò diffidente "Giusto non mi sono ancora presentato. Sono il conte Bernard Campbell, signorina." Conte? Ma allora quel bordello era apposta per le persone di alta classe e si capiva anche dall'abbigliamento dei presenti, vestiti quasi tutti di pelle e di lino.

 

Si voltò verso William che ora stava parlando con due donne, per poi riportare la sua attenzione sul ragazzo.
"Jane Lewis, piacere" il giovane le prese la mano inchinandosi per baciargliela.
Era di norma presentarsi così. Non di certo con una botta sul naso. "Onorato."
A Jane quel ragazzo fece subito una bella impressione: educato, cortese e, per quanto la riguardava, anche carino. Aveva un bel viso, niente a che fare con quello marcato e unico di William, ma comunque accettabile.
Non era possibile! Aveva di nuovo pensato a lui! Possibile che l'odiasse così tanto da averlo sempre in mente?
"Quindi, siete venuta qui per giocare con...Stevens?" Le chiese, Jane udì una nota di disprezzo quando pronunciò quel cognome, ma forse era solo una sua impressione.
Annuì solamente, finchè vide che William stava "amoreggiando", se così si possono definire occhiatine maliziose e strusciamenti da parte di una donna bionda che gli toccava il petto mentre lui, da perfetto idiota, sorrideva.
Le salì un moto di rabbia involontario. Che diavolo c'era andata a fare lì? Perchè aveva accettato? Perchè doveva toglierselo di mezzo. E se avesse perso? No, non aveva ancora considerato quella opzione, non voleva farlo, anche se le cose si stavano mettendo piuttosto male.
"Sì, se vogliamo dire così: sono qui per giocare con lui." Rispose Jane.
"Strano, non mi sembrate persona che frequenta questi posti." Jane annuì.
"Neanche voi."
Il conte le sorrise "Già, eppure siamo entrambi qui, forse il destino ha voluto fare in modo che ci incontrassimo. E poi, devo dire che siete davvero molto bella." Jane ci rimase di sasso, il tipo ci stava provando?
Pensava che fosse una di quelle che si lasciavano raggirare da due moine o che arrossiva per un banalissimo complimento? Beh, poteva tornarsene a cuccia, aveva sbagliato donna.
"Mi dispiace ma..." non riuscì a finire che venne interrotta da una salda presa che la strattonò contro qualcosa di saldo e duro, William, che stava guardando in cagnesco Lord Bernard.
Ma cosa...?

 

"Campbell, la signorina è con me." Disse rafforzando la presa sul suo braccio, facendole quasi male.
"Tranquillo, Stevens. Stavamo solo parlando." Poi si rivolse a Jane sorridendole e facendole un inchino, in segno di saluto. Jane ricambiò l'inchino, ma non il sorriso, dato che ora aveva altro a cui pensare: William la stava letteralmente fulminando con lo sguardo. Jane non ci stava capendo niente, ma cosa voleva?
Si liberò della sua stretta, per poi piazzarsi davanti a lui con le braccia incrociate al petto.
"Si può sapere cosa diavolo ti prende ora?"
Sul serio, quello era l'uomo più complicato e difficile che avesse mai conosciuto!
William s'avvicinò d'un passo a lei.
"Si può sapere cosa prende a te? Ti lascio un attimo e ti ritrovo a civettare con un altro uomo, a te sconosciuto e che ha chissà quali obbiettivi! Tu sei sotto la mia tutela qui dentro!"
Jane sgranò gli occhi incredula di ciò che avevano appena udito le sue orecchie. Presto si riprese e l'incredulità lasciò posto all'amarezza e al risentimento. Cosa stava cercando di dirle, quell'energumeno? Che lei dava facilmente confidenza agli uomini? Che lei avesse bisogno del suo aiuto? Della sua protezione? No! Lei aveva solo bisogno che lui se ne andasse al diavolo! Strinse i pugni per poi chiudere gli occhi affilati in due fessure.
"In primis non stavo civettando, ci stavo solo parlando!" Si difese "Poi, mi pare che io non abbia bisogno del tuo permesso per far qualcosa, soprattutto se ti stai intrattenendo con qualche tua amica." Sputò sprezzante riferendosi alla bionda di poco prima, che sicuramente 'lavorava' lì.
L'uomo fu davvero sorpreso da quella constatazione. Sembrava che la ragazza gli stesse davvero facendo una scenata, ma non era affatto così: Jane era stanca di passare sempre per la parte in torto tra i due, per quella che dovesse scusarsi. Era proprio bravo lui a rigirare in suo favore le carte in tavola.
"Sei gelosa che dedichi le mie attenzioni ad un'altra donna, per caso?" William la guardò malizioso, mentre Jane non riusciva a credere a ciò che le sue orecchie avevano appena udito. Solo quella ci mancava!
"Non osare azzardarti! Non è gelosia, è rabbia! Non puoi permetterti di darmi della gatta morta quando tu" lo additò "mi hai lasciata da sola per prenderti una pausa relax per fare il dongiovanni!"
Gli occhi di William si illuminarono.
"Non sono io che faccio il dongiovanni, sono loro che mi fanno diventare tale, cercandomi!"
Eh sì, con quella William Henry Stevens si era aggiudicato ufficialmente il premio del re degli arroganti, idioti, narcisisti e furbi di tutto il mondo. Tutte virtù, ovviamente.
"E poi hai ragione" Jane alzò un sopracciglio scettica, su cosa le stava dando ragione? "Non dovevo lasciarti sola, bambina." Le scompigliò i capelli sciolti con la mano, come se fosse un cagnolino, per poi scoppiare a ridere.
"Vai al diavolo!" Affermò Jane scacciando con uno schiaffo non molto leggero la sua mano.
Si voltò dandogli le spalle ed iniziò ad incamminarsi verso l'uscita. Doveva andarsene da quel posto disgustoso, affatto adatto a lei che si stava dando dell'idiota, dell'incosciente, della pazza, della bambina dando per la prima volta ragione a quell'uomo, solo per aver accettato quella subdola proposta.

 

Continuava a scansare donne nude, uomini, in cerca dell'uscita. Non sapeva neanche come sarebbe tornata a casa, ma in quel momento non ci pensava, doveva andarsene.
Una forte presa al braccio la bloccò, facendola infuriare e voltare. Ma contrariamente alle aspettative, davanti a lei non c'era mr. Cafone ma un uomo robusto e alto, con uno strano sorrisino in volto. Jane sentì subito la forte e repellente puzza di alcol che emanava. Dannazione, cosa voleva da lei?
"Ma quanto sei carina! Quanto vuoi per un bel servizietto?" Le chiese avvicinandosi a lei che d'istinto indietreggiò.
Un servizietto? Un servizietto?!
Per chi l'aveva presa quel selvaggio puzzolente, per una meretrice?! Davvero in quel posto c'erano solo donne di quel genere...
Cercò di liberarsi dalla presa, ma quella invece si strinse ancora di più intorno all'esile braccio facendole quasi male.
"Lasciatemi! Lasciatemi immediatamente!" Urlò in preda all'ira, ma non lasciando intravedere neppure un po' di paura.
"Oh, la micia si sta scaldando, che ne dici di far scaldare un po' anche me?" Disse avvicinandosi ancora di più.
Oh angeli! Insisteva ancora!
"Lasciami subito! Non sono una prostituta! Maledetta me e questo posto! Ubriacone togli subito le tue putride mani dalla mia pelle o ti giuro che ti rovinerò la vita!" Jane non sapeva cosa fare se non minacciarlo, ma il suo gesto provocò l' effetto opposto, l'uomo infatti le scoppiò a ridere in faccia facendola storcere il naso per la puzza che ancor più usciva dalla sua bocca.
"Ma come è aggressiva la micetta. Mi piace, ma ora è il momento di farmi eccitare" si avvicinò ancora "anche se già comportandoti in questo modo hai da risvegliare qualcosa." C h e  s c h i f o. L'unica cosa che riuscì a pensare la giovane. Jane entrò nel panico, sentì il battito del suo cuore accelerare. Quell'uomo non era intenzionato a lasciarla andare, anzi addirittura con le sue minacce riusciva solo a farlo...bleh, le stava salendo la nausea.
"Ho detto lasciami!" Continuò a dimenarsi, ma nulla, era troppo forte. Possibile che nessuno la sentisse? Certo, erano tutti intenti ad accoppiarsi!
"Sta' zitta!" Fu la sola risposta che ricevette.

 

Era in quei momenti che avrebbe voluto essere più forte di un uomo, e soprattutto far capire alla madre che le lezioni di autodifesa che tanto desiderava tenere, e che lei considerava 'un altra prova di quanto fosse maschiaccio' a qualcosa sarebbero servite, anzi a più di qualcosa.
"LASCIAMI!" Scandì bene Jane, forse quel tipo aveva qualche problema di comprendonio, tra tutte lì in mezzo perchè doveva importunare lì in mezzo, che non c'entrava nulla con quel posto?

 

"Altrimenti che mi fai micetta?" Ridacchiò l'uomo. A quel punto Jane non ce la fece più e sputò tutta la saliva che poteva, mirando un occhio dell'uomo e facendolo imprecare, urlare e allentare la presa su di lei, che ne approfittò e prese a correre verso l'uscita.
"Puttana! Dove credi di andare?!" L'uomo la riafferrò violentemente per i capelli da dietro facendola urlare dal dolore.
La sbattè violentemente contro il muro più vicino per poi urlare furioso "ora te la insegno io l'educazione." Jane s'impaurì davvero ed iniziò a tremare, l'uomo faceva sul serio questa volta, forse aveva sempre fatto sul serio, e lei non aveva più vie di fuga.

 

Quando lo vide sbottonarsi i bottoni del pantalane, iniziò a tremare e a cercare di spintonarlo ottenendo soltanto qualche risatina malefica in risposta.
Cosa stava succedendo? Era un incubo? Perchè proprio a lei? Solo perchè era vestita in quel modo?
Certo, gli stupri allora erano frequentissimi, ma quando ti trovi proprio tu con la bocca tappata, quasi non ti sembra vero, quasi ti pare surreale, impossibile da credere che un Uomo possa fare ciò ad una Donna solo per avere un po' di piacere, impossible che tale forza, invece di proteggere, sia usata contro un essere impotente per far del male, per diventare ancora più Mostro. Perchè? Era così ingiusto! È così ingiusto! Solo perchè si ha l'utero, poca forza fisica e una scollatura un po' più evidente! Perchè una bestia può approfittarsi così di una donna?

Jane chiuse gli occhi, sentì una lacrima scenderle calda per la guancia destra. Oramai non c'era più niente da fare, si era arresa. Sentì la mano rude dell'uomo afferrarle la gonna alzandola. Così doveva essere rovinata la sua vita, la sua purezza, così il suo animo sarebbe dovuto essere segnato per la vita?

"Margaret..." sussurrò senza rendersene conto, come una preghiera sigillata, come qualcosa di impensabile, come se lei potesse ancora salvarla come quando da piccola usciva di nascosto per vedere la sua Angel, sua madre s'infuriava con lei e sua sorella era l'unica lì a proteggerla e a difenderla. Ah, quante ne aveva scampate grazie a lei! Anche se non parlavano quasi mai, quando sua sorella era ancora in vita (e ora se ne pentiva amaramente), e invidiava tutta la sua grazia e carineria e le attenzioni che i genitori rivolgevano soltanto a lei, nonostante fosse molto più piccola di Margaret, a volte sentiva di odiarla proprio perché, benchè loro non parlassero tanto tra loro, sapeva che sua sorella c'era sempre, lì, a difenderla, e l'avrebbe fatto per sempre.
E così che aveva imparato che il per sempre non esiste, solo due parole accostate, parole con un significato enorme, troppo grande, che le persone usano solo per aumentare la propria sicurezza, prese dal momento o dall'euforia, e neanche si rendono conto del significato inesistente di queste parole, della felicità ingannevole che sprigionano. Perchè niente è per sempre.

Jane pensò il suo nome forse perchè lì in mezzo sarebbe stata l'unica a poterla ascoltare, forse perché lì in mezzo sarebbe stata l'unica a poterla salvare.

La mano dell'uomo percorse tutta la sua gamba per poi fermarsi al ginocchio e poi...non la sentì più. Un forte tonfo la fece sobbalzare, aprì gli occhi e s'accorse di avere la vista offuscata dalle lacrime. Stava piangendo, e neanche se ne era accorta.
Davanti a lei un uomo dagli occhi azzurri che continuava a tirare pugni e a sbraitare contro qualcuno ricoperto di rosso, era sangue. L'uomo era steso a terra e l'altro lo continuava a riempire di pugni e calci. Non seppe perchè ma vedendo Lui lì si sentì rincuorare, sentì dolore e conforto allo stesso tempo. Si accasciò a terra, con la schiena contro il muro. Dov'era finita tutta la sua forza? Era stata spezzata in due da quella fisica di un mostro.
Non riusciva neppure più a pensare.
All'improvviso si sentì afferrare per un braccio, non una presa bruta e violenta come la precedente, ma una presa di sostegno, una presa di conforto. Si sentì trascinare fino a fuori quel dannato bordello. Appena fuori fu lasciata e quasi si sentì cedere. Due occhi azzurri, due occhi di ghiaccio che erano rossi, infuocati per la rabbia, con lei, la mascella irrigidita e le labbra schiuse dicevano tutto.

William la guardava con un'espressione indecifrabile, come se fosse una pazza, un'idiota e lei non seppe che dire, perchè per la prima volta anche lei si sentiva tale, si sentiva debole, debole come non mai.
"Come diavolo ti è saltato in mente di andartene via in quel modo in un posto pieno di pervertiti?!" Ecco, ora si sentiva ancora più stupida. Cosa si aspettava? Che William l'avrebbe confortata? No, lui non era come gli altri che aveva conosciuto, lui la verità te la sbatteva in faccia, non provava compassione nè pietà, e questo da una parte a Jane piaceva: lei odiava essere commiserata, lei odiava la finzione, ma in quel momento non voleva sentire gli insulti di quell'uomo, che era la causa della disgrazia appena sventata, o almeno in quel momento doveva dare a qualcuno la colpa. Si asciugò le lacrime, ma non seppe che dire, la voce rotta in gola, la mente annerata, come i capelli dell'uomo -bellissimo- davanti a lei, neri come la pece, neri come un corvo, neri come il male, neri come la notte, come le tenebre, come le tenebre più luminose che avesse mai visto.
"Io...non..." vide improvvisamente il viso dell'uomo addolcirsi, e poi si sentì afferrare dolcemente, come non si sarebbe mai aspettata, per la nuca. In meno di un secondo si ritrovò con la faccia immersa nel possente petto dell'uomo che tanto odiava. Oddio! La stava abbracciando? Sentiva il calore del corpo di lui, il suo profumo, la dolcezza con cui la stringeva. Dio, la dolcezza in William Stevens! Era qualcosa di improvviso, impensabile e soprattutto dannatamente rassicurante. Si sentiva stordita.

"Tu non puoi capire, ragazzina idiota, quanto mi abbia fatto spaventare!" Oh. Lui spaventato per lei? Davvero?
Certo lo sarebbe stato per chiunque altra, lui era solo preoccupato per il fatto che lei fosse sotto la sua tutela!
L'aveva salvata, protetta, ora si vergognava di se stessa, si sentiva violata, e non era la stessa cosa di quel bacio che lui le aveva preso con la forza, no, perché in quel bacio non aveva trovato nulla di sporco.
Lui però era arrivato in tempo, Lui non aveva permesso che si sentisse tale per il resto dei suoi giorni.
Si allontanò da William e abbassò lo sguardo per terra, ora aveva solo voglia di tornarsene a casa e lui afferrò al volo. "Puoi anche piangere, sai." Le disse prima di fermare una carrozza. Piangere? No, Jane non aveva più forza neanche di fare quello. E poi era meglio così, voleva dimostrare a lui e a se stessa che lei poteva chiuderla lì, che era più forte.
Scosse la testa freneticamente, senza ancora guardarlo. "Troppo orgogliosa e testarda." Sentì sussurrare dall'uomo, però sembrava parlasse a se stesso.

Salirono sulla carrozza, uno di fronte all'altro, sentì William dare delle indicazioni al cocchiere.
"Ti voglio bene, Marge." Sussurrò soltanto, prima di far riposare il suo corpo, ma non la sua mente che già era in preda agli incubi.

Writer's corner
Ed eccoci qui, con questo nuovo capitolo un po' triste e che è l'ultimo che pubblicherò nel 2016! ;) Ho cambiato idea non so quante volte, ma alla fine ho deciso di svilupparlo così,ma la cosa più importante di questo capitolo non è la "sfida" in sè, come vi sarete accorte. William per fortuna alla fine l'ha salvata, facendo la parte dell'angelo e non del diavolo per una volta.! E c'è anche una new entry, cosa succederà con questo Bernard?
Tengo molto a questa parte, anche perchè ci ho messo molto del personale, quando Jane pensa a sua sorella. È proprio così, ci accorgiamo di quanto qualcosa valga per noi solo quando la perdiamo, ma ora bando alle ciance e ancora buone feste a tutti/e! Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Alla prossima. :*

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Capitolo 15
*** 15.Be strong ***


 

Jane continuava a muoversi sotto le coperte, quella notte non era proprio riuscita a chiudere occhio, in preda agli incubi la sua testa continuava a ripetere la stessa identica scena, il suo cuore le stesse sensazioni orribili: il ghigno di quel maiale, le mani sulla sua gamba, la paura.
Le sue narici erano ancora piene della puzza di alcol che emanava. Le era rimasto tutto così impresso, indelebile.

All'improvviso nel sonno sentì qualcosa di caldo e piacevole su una spalla, che le fece venire la pelle d'oca.
"Ragazzina, vuoi svegliarti o devo aspettare fino a domattina?" Quella voce soave e quel respiro caldo la fecero destare e sobbalzare di colpo, mettendola sull'attenti seduta.
Ma che diavolo...?
Le aveva sognate quelle parole?
Sperò di sì...ma la speranza è dei perdenti.
Vide incredula una mano grande e delicata poggiata su quello che lei riconobbe essere il suo letto.
Percorse con lo sguardo tutto il braccio per poi risalire a una mascella marcata, dove accennava un po' di barba, un sorrisetto divertito increspava le labbra carnose e faceva spuntare una fossetta sulla guancia destra, il naso perfetto, come i suoi lineamenti e infine, quei due occhi di ghiaccio che ora si stavano sciogliendo facendo trasparire il divertimento celato dell'uomo. Di quell'uomo. Dell'uomo che ora stava guardando come si potrebbero guardare gli asini volare...

"Ah!" Lanciò un urletto per poi scuotere la testa e mettersela tra le mani, quella doveva essere un'allucinazione, o un altro incubo. Nessuno, oltre Marianne e la madre, aveva il permesso di entrare nella sua camera, nessuno.
Lui non poteva essere davvero lì, sua madre era un'incosciente ma non sarebbe mai arrivata a quel punto, non avrebbe mai potuto far entrare un uomo lì dentro. O forse sì.

"Sì, Jane, non esistono gli unicorni, calmati." Sussurrò a se stessa, rassicurandosi.
"Non esistono gli unicorni, ma esisto io!" La ragazza trasalì di nuovo e si girò a rallentatore verso il padrone di quella voce e di quella risata che ormai stava riempendo tutta la camera.

William Henry Stevens era davvero lì, seduto sul suo letto! Non l'aveva sognato!

"Cosa diavolo ci fai qui?!" Urlò additando l'uomo "Fuori! Immediatamente!" Continuò ma in risposta ottenne un'altra risata.

"Devo spiegarti cosa ci faccio qui o devo andarmene?" Chiese poi William con un pizzico di divertimento nella voce, ma Jane non rispose.
"Sai, è davvero strano!" Disse all'improvviso l'uomo.
"Cosa?"
"Che alla mia domanda non mi abbia sbattuto fuori dalla tua camera." La guardò attento, aspettandosi una reazione violenta e irritante, invece la giovane si limitò a sospirare e a guardarlo freddamente negli occhi, sorprendendolo ancora una volta.
"Vuoi che lo faccia? Perchè non ci metterei nulla."
"Certo che no! Però sai, secondo me sei ancora troppo scossa per ciò che è successo." Ed era vero, ma era normale, no?
Nonostante la sua energia, la sua naturale indole a sapere e volere sempre far capo alle avversità, la sua parte fragile e vulnerabile stava emergendo in quella situazione, e lei doveva coprirla, mascherarla, ma il fare di William, i suoi occhi, parevano già aver capito tutto, parevano già averle letto dentro. Era vero? Lei non voleva mostrare questo suo lato a nessuno, tanto meno a lui! Eppure in quel momento sembrava che tutta la frivolezza, l'arroganza e la prepotenza in lui fossero spariti.
Sembrava.

"Devo chiederti una cosa." Ora sì che la stava mettendo in soggezzione con la veemenza del suo sguardo.
"Sono arrivato in tempo?" Sussurrò un William posato e temperante. Jane abbassò lo sguardo, inconsapevolmente, e si limitò ad annuire.
Sentì l'uomo tirare un sospiro di sollievo.
"Bene, non me lo sarei mai perdonato."
Jane credette di aver capito male.

Non se lo sarebbe mai perdonato.
Cosa? Che le venisse fatto del male o che glielo si venisse fatto quando c'era anche lui di mezzo?  Sicuramente la seconda.
Jane comunque dubitava fortemente che in quell'uomo, che sprigionava sempre così tanta sicurezza e arroganza, potesse esistere qualcosa come i sensi di colpa.
La giovane in quel momento avrebbe voluto urlargli di uscire, cacciarlo via in malo modo ma, a causa dei ricordi che stavano riaffiorando come flash nella sua testa, riuscì solo a voltare la testa verso lo specchio all'altro lato del suo letto, per non guardarlo più.

La sua immagine riflessa nello specchio diceva tutto: i capelli sciolti arruffati più del normale, le terribili borse sotto gli occhi, la pelle pallida come mai, aveva anche un graffio ben visibile sotto il mento, sicuramente procuratosi dall'animale mentre cercava di tenerla ferma, davvero spaventosa! No, non le piacque per niente quella visione, ancor meno quando si vide indosso la sua vestaglia di seta notturna. Lei non ricordava di averla messa. Doveva essere stata per forza Marianne!
Maledizione! E se avesse avuto qualche livido e Marianne l'avesse visto, cosa avrebbe pensato? Si sarebbe insospettita, l'avrebbe detto a sua madre e sicuramente Lydia le avrebbe chiesto spiegazioni fino a sfinirla! Ma c'era un altro piccolo particolare che le sfuggiva: come ci era arrivata in camera sua?

Si voltò di scatto indispettita verso William che ora la guardava serio e cupo, Jane negò da sola nella sua testa, quando credette di vedere nei suoi occhi anche preoccupazione.
Lui non poteva essere preoccupato per Lei. Lei non voleva. Lei odiava essere commiserata.
"Ieri sera ti sei addormentata nella carrozza" Iniziò lui "Se ti stai chiedendo come sei arrivata qui, ti dico che ti ci ho portata io" Cosa? Ma era telepatico? "Tranquilla tua madre non sa nulla, i tuoi stavano già dormendo, quando sono arrivato qui c'era solo la cameriera." Parlava certamente di Marianne "Le ho detto che ti ho incontrata nella brughiera mentre passeggiavi, e che mentre chiacchieravamo sei svenuta, forse per un calo di zuccheri, ma non sembra che ci abbia creduto quindi tu conferma le mie parole."
Jane alzò le sopracciglia, chi avrebbe mai creduto ad una cosa del genere?
"È l'unica cosa che mi è venuta in mente." Sospirò William. Lei si accigliò. Per la prima volta nelle parole di William Henry Stevens non c'era nessun fine provocatorio e nessun accento denigratorio, le sembrava tutto così strano.
"I tuoi genitori fortunatamente ora non sono in casa."
La giovane si sentì confortata da quelle parole: un problema in meno.
Non riusciva neppure a immaginare cosa avrebbe potuto pensare la madre sapendolo lì.

"Quindi per questo sei qui?" Chiese con voce decisa e ferma.
"Sì, volevo rassicurarmi che tu non dicessi nulla di ciò che è successo ieri."
Ecco di cosa si preoccupava! Troppo strano che fosse andato da lei per una visita di cortesia, certo! voleva solo accertarsi che lui non fosse messo in mezzo a nessuno scandalo.
"Solo per questo? Perchè se è così puoi benissimo stare tranquillo! Non dirò nulla." Disse mordace lei.
Con che coraggio quell'uomo credeva che avrebbe potuto dire a qualcuno che era stata in un bordello per una stupida scommessa e che poi era quasi stata violentata?
Era quasi impossibile da credere, e poi allora il corpo violato di una donna corrispondeva alla spazzatura, quella sarebbe stata una donna da buttar via, una donna più voluta da nessuno. Anche se William era arrivato in tempo per l'irrimediabile, nessuno avrebbe creduto a quel colpo di fortuna.

No, lei si sarebbe tenuta tutto dentro, come sempre, lei era forte, poteva farcela da sola a superare tutto, forse già l'aveva superato.

"No, sono venuto anche per altro" Sospirò l'uomo.
"Per cosa?"
Già, per cosa?
"Per vedere se stessi bene."
Jane corrugò la fronte incredula.
L'energumeno preoccupato per lei. Non ci avrebbe creduto neppure se l'avesse visto e invece lui glielo stava dicendo, indirettamente, ma lo stava facendo.
"Bene. Come dovrei stare?" Chiese ancora per poi ricevere un'occhiataccia fulminante da parte di William che si alzò di scatto dal suo letto, stando in piedi e lei, che per continuare a guardarlo negli occhi, dovette alzare non di poco il mento.

"Dannazione! Perchè diavolo non mi dici come stai davvero?! Ti senti più forte stando in silenzio? Sappi che prima o poi tutto quel che tieni dentro ti scoppierà nel petto, sei ancora una ragazzina! Non devi atteggiarti da donna forte e adulta!"
Come...come sen'era accorto?
Lei comunque non gli avrebbe mai detto ciò che sentiva, non si sarebbe mai aperta, non con quell'uomo così superficiale ed egocentrico, e preoccupantemente rassicurante. E poi, la stava trattando davvero come una bambina e lei questo non lo sopportava.

Si alzò in piedi, ancora in vestaglia e a piedi scalzi, per fronteggiarlo e perchè seduta sul suo letto si sentiva piccola e indifesa, e lei non lo era, non voleva esserlo con nessuno. Anche se doveva comunque alzare la testa per guardarlo data l'altezza stratosferica di William.
"Io non mi atteggio proprio a nulla! E poi perchè dovrei piangere? Cosa cambierebbe? Quello che è successo è successo, meglio dimenticare. E tu smettila di far finta di essere preoccupato per me per sentirti più umano!" Ormai stava urlando anche lei, incurante di qualsiasi orecchio indiscreto.
William scosse la testa: quella ragazzina era davvero impossibile! Impossibile da capire, impossibile da addocilire, impossibile da domare.

"Nonostante quello che è successo sei sempre acida e scontrosa!" Constatò l'uomo guardandola male.
Bene, almeno non prova compassione.
"E come dovrei essere con la persona che mi ha portato in quello schifo di posto?" lo guardò ancor più indignata, ripensando alla scommessa a cui aveva stupidamente preso parte.
"Mi stai incolpando per caso? Ragazzina, tu potevi, anzi dovevi rimanere vicino a me! Credo che sei abbastanza grande da sapere cosa si cerca in quel posto." Buttò lì lui da intenditore del cavolo, secondo Jane.
Voleva farla sentire ancora più stupida e ingenua? Perchè non ci sarebbe riuscito.
"Sì che lo so, ma credo che si fosse capito che io non fossi una prostituta. E poi tu continua sempre a fare la parte della vittima. Tanto non sei tu quello con l'utero a rischiare di essere violentato da qualsiasi uomo schifoso!" Sputò lei additandolo.
Cosa poteva capirne lui di come si sentiva?

"Ti ricordo che sono stato io a salvarti!" Replicò William con gli occhi infuocati di ira, proprio come quelli di Jane. Eh no, il loro rapporto non era affatto migliorato anzi, forse era peggiorato.

"Ah certo! Il signore vuole l'applauso?" Fece finta di battere le mani.
"E io invece ti ricordo che sei stato tu a usare per primo la forza! Non sei proprio nella posizione di darmi consigli o fare la parte del mio confidente adulto."
William scosse la testa.
"Sei davvero una ragazzina scorbutica alla fine! E io che sono pure venuto fin qui!" Disse dandole le spalle e fecendo per andarsene, e a quel punto Jane non ce la fece più. Faceva anche l'offeso ora?!

"Bravo, vai via! E spiega a mia madre che razza di troglodita sei ad avermi rubato il mio primo bacio contro la mia volontà e con la forza!" William si bloccò e rivoltò di colpo.
Jane si tappò la bocca consapevole di ciò che aveva appena spifferato mentre vedeva un sorriso genuino e malizioso inarcare le labbra dell'uomo, e spuntare due leggere fossette sulle sue guance. Oh Dio! Non poteva averlo urlato sul serio ai quattro venti! Possibile che la voglia di piegarlo e offenderlo fosse sempre più forte dell'ambita tranquillità?

William si riavvicinò, mentre la giovane rimase impalata.
"Quindi sono stato il primo..." La stava perforando con l'intensità dello sguardo.
Perchè quelle parole a Jane sembravano pronunciate così insulsamente e piacevolmente allo stesso tempo?
Oh, questo sì che la stava irritando. Prima la prendeva in giro dicendo quanto fosse riprovevole baciare una "mocciosa di diciassette anni", testuali parole, e ora? Quasi pareva che se ne volesse vantare, o ancora peggio, che volesse usarlo per sparare chissà quali fandonie o sbeffeggiamenti.
"Io non l'ho mai detto!" Oramai poteva solo negare, così da avvalorare ciò che William aveva realmente sentito.
"Smettila di mentire! L'hai detto eccome e pure forte!" William aveva sentito bene, parola per parola, sapeva di non essersi sbagliato.
"E pure se fosse? Ti sentiresti più maschio ad esserti preso con la forza un bacio da me?" Ecco la seconda tattica della giovane, la prima era saltata: confermare falsamente la tesi per screditarla o sminuirla.
"No, mi sentirei cattivo non solo per aver toccato le labbra di una ragazzina, ma anche per averle inaugurate."
Jane strinse i pugni, aveva capito che l'energumeno volesse farla arrabbiare, e in effetti ci stava riuscendo. E anche molto bene. Ma lo faceva apposta a voler farla sentire debole, piccola, stupida e ingenua?
Jane si rispose di sì, ciò che non aveva capito erano le vere intenzioni dell'uomo: William stava cercando di farle capire che anche lei poteva essere debole, che non doveva sempre mostrarsi forte, certo, con i suoi modi bruschi e sgarbati, ma lo stava facendo, anche se era rimasto davvero meravigliato e lusingato da quella confessione... quindi la piccola indisponente tentatrice era alquanto innocente sotto quel punto di vista. Anche se il nome Jane Lewis accostato a quell'aggettivo, 'innocente', non suonava proprio bene, stonava.

"Sei davvero una mocciosa." La provocò ancora e, come da copione, Jane esplose, non riuscendo più a trattenere la rabbia e la seconda umiliazione da parte di quel troglodita.
"Tu puoi pensarla come vuoi, il tuo parere non mi interessa minimamente." Ecco che ricominciava a urlare, solo lui riusciva a farle perdere le staffe in quel modo. "Ma io so di essere esattamente come un uomo!" Disse mettendosi una mano sul petto mentre l'uomo scoppiava a ridere canzonatorio.
"Ah sì?" William inarcò un sopracciglio. Jane quella volta era più decisa che mai e lui avrebbe fatto di tutto per distruggere quella falsa sicurezza.
"Sì!" Affermò la giovane.
Le scintille che si scagliavano si potevano avvertire anche nell'aria, nonostante la distanza che li separava, distanza che fu presto accorciata dall'uomo.
Quando William si trovava ormai a pochi centimetri da Jane, che non aveva nessuna intenzione di scappare dimostrandogli ancora una volta il suo coraggio, la bocca dell'uomo si trovò improvvisamente e pericolosamente vicino al lobo dell'orecchio della giovane, facendola pietrificare sul posto.
Ma cosa stava facendo? Che voleva?
"In effetti" sussurrò alitandole sul collo "Nonostante tu sia una mocciosa immatura, hai comunque davvero poca consapevolezza: far restare un uomo giovane nella propria stanza, mentre sei ancora in vestaglia con le caviglie in bella vista, senza pensare alle possibili conseguenze, non è affatto da donna responsabile e perspicace, proprio da maschiaccio come te."

Oh. Dio. Aiutami. A. Non. Strozzarlo.

 

Era sicura che lui non le avrebbe mai fatto nulla, anche solo perchè la considerava una ragazzina, il fatto era un altro: lui la stava mettendo alla prova, voleva vederla cadere, gli piaceva vedere le certezze della giovane sgretolarsi e prenderla in giro sulle idiozie, che secondo lui la giovane credeva su se stessa, come essere forte quanto un uomo.
Jane voleva toglierselo di dosso e mollargli un bel ceffone, ma non ci riuscì, il suo corpo sembrava essersi spento, sembrava stesse perdendo il controllo di tutti i suoi muscoli, anche di quello cardiaco, il suo cuore stava battendo involontariamente all'impazzata, per l'ira, per la rabbia, per la paura.
Paura poi? Di cosa?

Jane sapeva che non le avrebbe fatto nulla, salvarla per poi riproporle lo stesso calvario? Non era possibile neanche per uno indecente e immorale come lui.
"Un uomo eh..." Jane poteva sentire le labbra carnose di William sfiorarle l'orecchio "se sei un uomo" il movimento fu talmente veloce, che Jane si accorse della grande mano di William sulla sua spalla solo quando questa strinse la stoffa della sua vestaglia.
"Togliti questa." La sfidò.
"C-cosa?" Farfugliò la giovane, pensando di non aver sentito bene.
"Se sei un uomo non avrai problemi a rimanere a petto nudo, milady." COSAA?
Jane boccheggiò, il fiato le si bloccò in gola. Poteva immaginarlo, vederlo, il sorrisino soddisfatto sulle labbra di quell'uomo. Con che sfrontatezza, con che insolenza, quell'energumeno poteva farle quella proposta?
Era scaltro, davvero scaltro.
Prima che potesse replicare però un forte tonfo fece sobbalzare entrambi e Jane d'istinto spintonò via l'uomo con tutte le sue forze.

William, preso alla sprovvista, quasi perse l'equilibrio, ma poi si ricompose e si mise sull'attenti.
Diavolo! Quella ragazzina così minuta ne aveva di forza!
Marianne li guardava sospettosa, sull'uscio della porta, con una busta di carta in mano.
"Scusatemi signorina, ma volevo avvisarvi che i vostri genitori stanno per far ritorno a casa." La vecchia cameriera si rivolse alla giovane.
"Marianne, non mi interessa il motivo. Quante volte ti ho detto che devi bussare?" Disse indispettita la giovane, che in realtà però voleva ringraziarla per aver interrotto la strage che stava per compiere. Cosa sarebbe successo se Marianne non fosse arrivata?
"Bene, mrs. Lewis, ora che mi sono accertato che state bene posso andare." Jane si voltò di scatto verso il proprietario di quella voce, di cui aveva scordato la presenza.
Mrs. Lewis? Sapeva fingere bene, l'energumeno.
"Spero di rivedervi presto, Lord Stevens." Disse sorridendogli falsamente.
Quella sì che era una bugia colossale. Lei non voleva rivederlo mai più! Voleva che sparisse, che si trasferisse lontano da lì. Lo odiava, lo odiava come non aveva fatto mai con nessuno, quello non era un sentimento nuovo per lei, ma quell'odio per lui era approfondito dal disprezzo che provava. Dovevano far finta che quella fosse una visita di cortesia, che lui non fosse lì per altro, altrimenti Marianne avrebbe riferito chissà quali cose a Lydia.
William sorrise e, prima di uscire dalla camera, Jane vide le labbra dell'uomo schiudersi per pronunciare qualcosa, ma non emise nessun suono.
Lesse il labiale, solo tre parole: ragazzina sei vulnerabile. L'uomo uscì dalla stanza.

Ragazzina quanto vuoi.
Ma vulnerabile mai.

"Marianne si può sapere perchè diavolo hai fatto entrare in camera mia un uomo mentre dormivo?!" Sbottò la giovane ancora adirata per la discussione con quel diavolo.
"Scusate signorina, ma quell'uomo ieri è stato così gentile a riportarvi a casa, che ho pensato vi avrebbe fatto piacere ringraziarlo."
Oh, gentile! Ma stavano parlando della stessa persona?
La cameriera la guardò dispiaciuta e quasi colpevole così Jane non potè fare a meno che addolcirsi.
"Tranquilla Marianne, ormai il guaio è fatto e quell'uomo finalmente se n'è andato, almeno mi hai fatto un favore!" Disse Jane sbuffando e buttandosi come un sacco di patate sul letto, tralasciando tutte quelle manie e fissazioni stancanti che la gente comune chiamava 'buone maniere'. Finalmente! Marianne oramai era abituata a vederla così.
"Ma signorina, state bene davvero? Non potete capire quanto mi sia spaventata ieri sera quando Lord Stevens vi ha portato in braccio fino in camera vostra!"
Jane sgranò gli occhi. Il troglodita l'aveva portata...in braccio?!
Si alzò di colpo, e sentì una forte fitta alla testa, che le fece girare tutto.
"In che senso mi ha portata in braccio?!" Sbottò la giovane mettendosi una mano sulla fronte.
"Nell'unico senso possibile, signorina. Vi ha portata fin qui come si porta una principessa, quando eravate già priva di sensi."
Certo! Lui le aveva detto che l'aveva riportata lui a casa, ma non le aveva detto in che modo.
Jane non concepiva minimamente che in mr. Cafone potesse esserci anche una sola piccola goccia di galanteria. E poi si stava già pentendo di essere rimasta ad ascoltarlo quei due minuti.
"Davvero?!"
"Sì, signorina e mi ha raccontato ciò che vi è successo."
"Certo, Marianne. Gradirei che tu non dicessi nulla a nessuno di quanto accaduto ieri e della visita di quel tro...di Lord Stevens oggi." Si corresse "Non voglio far preoccupare mia madre!"
La cameriera la guardò comprensiva.
"Come volete voi signorina."
Jane si accorse della lettera che aveva in mano e la indicò.
"Cos'è quella?"
Marianne sembrò ricordarsene improvvisamente e le porse subito la missiva.
"Dato che vostra madre e vostro padre sono assenti, sono venuta a portare a voi questa, è appena arrivata."
Jane l'afferrò, se la rigirò tra le mani, e lesse l'intestazione.
'INVITO AL MATRIMONIO'.

Writer's corner
Ciao a tutte care lettrici! Finalmente riesco ad aggiornare. Questo capitolo è molto statico, ma comunque c'è un discorso sostanzioso tra i due protagonisti, il testo parla da sè, quindi non mi dilungo. Nel prossimo le cose inizieranno a movimentarsi molto. Cosa succederà a questo matrimonio? Ringrazio tutte le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate. Grazie a tutte quelle che l'hanno recensita!
Un bacione e alla prossima! ;)

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Capitolo 16
*** 16.LUI È IL PECCATO ***


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Jane sbadiglió, quella doveva essere la terza volta dall'inizio della serata, era davvero stancante salutare così tanta gente, da non ricordarsi addirittura i nomi di molti.
Aveva appena dato gli auguri anche agli sposi, dopo la cerimonia in chiesa, come di rito, tutti gli invitati si erano spostati a casa dei due nuovi coniugi per festeggiare.
C'erano davvero moltissimi ospiti, dovevano essere due centinaia, ma l'enorme salotto poteva contenere anche più persone. Molti ballavano, altri conversavano, altre spettegolavano e altri ancora flirtavano e poi c'era chi, ma molto più raro, come Jane, si annoiava.

La giovane era circondata da tanti giovani rampolli e uomini che l'avevano adocchiata e notata.
In effetti in quell'abito giallo e scomodo che la madre l'aveva costretta a mettere, spiccava e non poco. Aveva due spalline di seta, era molto semplice, poca scollatura, con il bustino ben stretto e aderente, e una gonna che scendeva pomposa contornata di merletti, ma proprio quella semplicità su un corpo così sinuoso aveva attirato l'attenzione.
Era riuscita a convincere Marianne a non infilzarla con tutte quelle mollette per capelli, ma non a lasciare i capelli sciolti poichè ci sarebbe voluto troppo tempo per aggiustare il suo cespuglio, quindi scendendo a patti, era riuscita ad ottenere una semplice treccia da cui usciva qualche boccolo e che le ricadeva morbida sulla spalla destra.
Fortunatamente era riuscita a evitare quella tortura che le altre donne chiamavano 'scarpe col tacco'.
Lei non le sopportava, riusciva a camminarci, grazie alle numerose lezioni di portamento, ma con quelle non riusciva a stare in piedi per più di dieci minuti. Jane pensò a sua sorella e a quanto dovesse essere stato pesante per lei partecipare quasi tutte le sere a ricevimenti e feste con tutta quella gente noiosa e frivola come lì.
Vorrei sapere come lo sopportavi, Marge. Pensò tra sè e sè la ragazza, intristendosi al ricordo della sorella.

S'avvicinò ad un tavolo imbandito di delizie e di bevande. Prese un bicchiere d'acqua e iniziò a bere ma venne interrotta da una voce calda e roca alle sue spalle. Venne interrotta da Quella voce.
"Chi non muore si rivede!" Si voltò incontrando un William ancora più bello del solito se possibile: camicia aderente, che metteva in risalto la sua robustezza e i suoi muscoli, una semplice giacca grigia, i capelli mossi castani non in ordine, gli davano un'aria ancor più sbarazzina e seducente, il solito sorrisetto malefico e poi, tocco di classe, gli occhi di ghiaccio particolarmente accesi.
Anche lì doveva trovarlo?
"Purtroppo!" Sbottò Jane riprendendosi da quella visione.
William sbuffò davanti all'aridità della giovane.
"Perchè sei sempre così acida, Lewis?"
Da "ragazzina" a "Lewis"!
Ne aveva fatta di strada, quanta confidenza osava prendersi?
Anche se la giovane preferiva certamente essere chiamata per cognome, piuttosto che con quel nomignolo così detestabile che la sminuiva.
Jane lasciò il bicchiere d'acqua sul tavolo e si girò per fronteggiarlo.
Davvero le stava chiedendo perchè fosse così acida? Si era scordato di come l'aveva trattata da quando si erano conosciuti? O credeva che solo perchè l'aveva 'salvata' quella sera lei fosse cambiata?
Perchè se lo credeva si sbagliava di grosso, il loro rapporto era sempre lo stesso, specialmente dopo ciò che si erano detti nella camera di Jane. Lei continuava a vederlo allo stesso modo, ad avere lo stesso pensiero sui suoi modi di fare, nonostante si fosse mostrata vulnerabile quella dannata sera in quello squallido posto.
Tutto si era chiuso lì.
"Se non te ne fossi accorto è la tua presenza ad inacidirmi, Stevens. Perchè non vai a cercare qualche dama vogliosa di ballare e passare del tempo con te?" Disse aspramente Jane.
Si trattenne dal dire 'vogliosa di mostrarti la sua pelle' , sarebbe risultata troppo volgare.
"Cel'ho qui davanti la mia dama." Le sorrise malizioso.
Jane ci mise un millisecondo ad intendere quelle parole.
"È davvero comico sai, perchè io non ho voglia nè di ballare nè tantomeno di passare del tempo con te e soprattutto non cercare di sedurmi, soldato, con me non funziona!" Disse seria.
Era davvero stupido se pensava di entrare nelle sue grazie cambiando solo atteggiamento.
Quell'uomo era più furbo di una volpe e lei non si sarebbe fatta abbindolare.
"Ancora soldato?" Alzò un sopracciglio meravigliato e divertito. "Io sono un capitano, e anche uno dei migliori mai esistiti."
Jane scosse la testa davanti a tutta quell'arroganza.
"Tel'ho già detto, è la stessa cosa, soldatino, ciò che conta è la sostanza, che in te manca. Io mi preoccuperei più per quella." Jane si compiacque vedendo il viso dell'uomo irritarsi, stavolta era lei che si stava divertendo.
E poi era lui il primo ad affibbiarle soprannomi come 'ragazzina'. Di che si lamentava?
"Ragazzina-appunto-,questa è l' ultima volta che te lo dico: non osare più offendermi, la prossima volta non sarò tanto clemente con una stupida immatura come te!" Disse lui alzando il tono della voce, spazientito.
A Jane venne da ridere, ma si trattenne: le stava ordinando di non offenderlo offendendola a sua volta. Ridicolo!
"È una minaccia? Perchè se lo è, sei piuttosto scarso anche in questo."
Com'era bello prenderlo in giro, Jane stava capendo che con quell'uomo non c'era bisogno di alterarsi o di sbraitare: non sarebbe servito a nulla, doveva giocare al suo stesso gioco.
"Sì, è una minaccia! Spetta a te decidere se prenderla in considerazione o no, ma stai certa che nell'ultimo caso ci saranno conseguenze non molto piacevoli nè per te nè per il tuo fondoschiena!" Disse William con il solito ghigno odioso stampato in volto, mentre guardava soddisfatto una Jane a bocca aperta.
Ma quello era davvero lo stesso uomo che l'aveva salvata e che poi l'aveva abbracciata per rassicurarla? No, due erano le cose: o qualcuno s' impossessava improvvisamente del suo corpo, e in quel caso avrebbe avuto bisogno di un'esorcista, ma uno proprio bravo, o era bipolare. Jane andava di più per la prima, dato che credeva che lui fosse un Diavolo.

William aveva capito che lei aveva iniziato a giocare al suo stesso gioco, e ovviamente non si sarebbe lasciato sfuggire la possibilità di vincere, di dimostrarle che lui era il migliore in tutto e che non le conveniva sfidarlo ancora.
"Mi dispiace, soldatino" disse Jane ripresasi dal momento di shock e disgusto, e che non aveva nessuna intenzione di dargliela vinta. "Ma il mio fondoschiena appartiene solo a me, e non credo ti convenga metterti contro tutta la mia famiglia!" Ecco, doveva continuare a rispondergli a tono, non perdere la calma.
"Oh! La tua famiglia ne sarebbe molto felice invece, soprattutto tua madre, pensi che sarebbe triste nel sapere che un uomo di tale livello" disse indicandosi con la mano "ti dedichi così tante attenzioni?" Le sorrise sghembo.
Oh, si stava divertendo l'arrogante, si stava divertendo eccome! Altro che farlo infuriare!
Lì l'unica che si stava infuriando era lei, come sempre. Anche perchè sapeva davvero che le sue parole non erano affatto ironiche: sua madre ne sarebbe stata davvero felice!
"No, penso che sarebbe triste vedendo la tua testa alla ghigliottina essere data in pasto alle iene!" Replicò lei sorridendo malignamente, si stava stufando. "Ma resta il fatto che io non ti permetterei mai anche solo di sfiorarmi con un solo dito!" Disse incrociando le braccia al petto.
"Scommettiamo?"
Jane alzò le sopracciglia.
"Meglio di no, sai, non vorrei ritrovarmi di nuovo le mani di qualche sudicio addosso." Disse sarcasticamente con una punta di veleno nel tono, anche in ciò che aveva appena detto in realtà non c'era nulla di ironico.
Erano passati solo tre giorni da quella maledetta sera e i ricordi erano ancora lì, impossibili da smaltire.
"E con sudicio intendo anche te, se non lo sapessi."
Jane voleva farlo sentire in colpa, non era cattivaria, ma ripicca. Voleva fargli capire che, anche se le sue minacce si fermavano alle parole, escludendo quel bacio, lui non poteva dirle quelle cose, certo non poteva affatto paragonarlo a ciò che le aveva fatto quell'uomo, ma in quanto prepotenza neanche lui scherzava.
"Attenta a ciò che dici, ragazzina! Credevo avessimo chiarito!" Disse lui alzando il tono.
Chiarito? Certo, avevano chiarito le sue manie di grandezza e superiorità del cavolo.
"Ci stiamo alterando? Cos'è, questa ragazzina immatura sta ferendo il tuo sciocco e profondo orgoglio da maschione?"
Gli occhi di William diventarono due fessure, la mascella s'irrigidì e lo sguardo divenne furioso.
Colpito e affondato.
Jane si voltò soddisfatta con fare altezzoso, finalmente aveva messo a posto quell'uomo!
O quasi. Si raggelò all'istante sentendo una presa sul suo braccio.
Ma allora era un vizio!
"Cosa vuoi ancora..." si stupì quando s'accorse che a fermarla non era stato William.
Un uomo che le stava sorridendo carinamente.
Jane abbassò lo sguardo sulla presa e lui capendo all'istante, la lasciò subito.
La giovane riconobbe all'istante quegli occhi marroni e i capelli castani, quello era Bernard Campbell!
Dio, cosa ci faceva lì?! Certo, era un conte, era ovvio che ci fosse anche lui.
Lui l'aveva sicuramente riconosciuta. E se avesse raccontato a qualcuno che lei era stata in un bordello?
Maledizione! Perchè da quando era apparso nella sua vita quel soldato troglodita tutto andava per il verso sbagliato?! Non che prima le cose andassero meglio, ma aveva molti problemi in meno, partendo dal fatto che William stesso era un problema vivente.
"Jane Lewis!" Constatò l'uomo sprizzando gioia da tutti i pori, oltre che sorpresa, mentre Jane pensava nel panico a qualcosa, qualsiasi cosa da inventarsi.
"Ma che piacere! Bernard Campbell, sono davvero felice di rivedervi!"mentì spudoratamente per poi fare un inchino.
"Anch'io..."
"Sentite" lo fermò presto la giovane "Lo so che ora vi state chiedendo perchè una donna del mio lignaggio fosse in un bordello! Ma vi assicuro che non è come sem..." l'uomo le mise un dito sulle labbra, zittendola.
"State tranquilla, so perchè eravate lì e non dirò nulla a nessuno."
Jane tirò un sospiro di sollievo, anche se non si fidava affatto, non poteva far altro che confidare nelle sue parole.
"E scusate le mie maniere! Ma eravate così assorta nei vostri pensieri che non ho potuto fare altro." Si scusò l'uomo per come l'aveva fermata poco prima, mentre Jane contraccambiava il suo sorriso.
"Devo farvi i miei complimenti, siete davvero splendida vestita così" disse il giovane grattandosi la nuca "ehm...non voglio dire che in altre vesti non lo siate, ma così lo siete particolarmente." Le sorrise di nuovo, ma Jane non stava facendo caso alle sue parole, distratta dai suoi pensieri.
"State bene?" Jane si riprese, riportando la sua attenzione su Bernard.
"Certo, ditemi."
"Volete ballare con me?" Le chiese carinamente.
Oh, accidenti! Tutto ma non quello!
"Sono un po' indisposta, non mi va molto di ballare." Disse fingendo.
"Oh, non fa niente, che ne dite di fare due chiacchiere?"
Jane si sorprese di quella proposta.
Il ragazzo ci stava provando? Di nuovo? Certo, non le dispiaceva parlare, ma non gli avrebbe dato false speranze se ciò che pensava era vero.
"Va bene...cosa volete sapere?" Chiese la giovane accondiscendente.
"Perchè siete qui?"
"Perché la sposa è una cugina di secondo grado di mio padre, voi invece?" Si portò una ciocca dietro l'orecchio. In realtà non le fregava molto, ma non poteva rispondergli male.
"Perchè lo sposo è cugino di secondo grado di mio padre." Le sorrise.
"Stessa e strana combinazione." Disse Jane.
"Già, abbiamo già qualcosa in comune." Continuò lui sorridendo.
"Quasi in comune." Rispose lei iniziando ad essere infastidita da tutti quei sorrisi.
"Mi dispiace, vi devo lasciare, dovrei andare...in bagno." s'inchinò e, di conseguenza, anche Bernard.
"Certo, spero di rincontrarvi presto, mrs. Lewis." Disse calcando bene l'ultima parola.
"Anch'io, Lord Campbell." Rispose allontanandosi poi velocemente.
Era carino, Bernard, sarebbe stato un buon conoscente e ci avrebbe parlato volentieri ma quella sera era già stufa di tutto ciò che la circondava. Già era iniziata male, avendo fatto quello spiacevole incontro...

"Jane!" Si sentì chiamare da dietro.
Quella voce frastornante e squillante, che era la prima che aveva sentito venendo al mondo, l'avrebbe riconosciuta a chilometri: sua madre.
"Che c'è, madre?" Le chiese evidentemente seccata.
"Cosa stai facendo qui? Vieni con me! Devi conoscere qualche tua coetanea e fare amicizia!"
Ancora? Fare amicizia? Ma cos'era una bambina? Sempre le stesse cose aveva in testa sua madre, doveva sempre scocciarla!
Senza che potesse ribattere, mrs. Lydia la trascinò fino a un divanetto al lato della pista da ballo.
Ma quella donna proprio non lo capiva che lei non voleva nessuno, che voleva stare tranquilla?
"Tu devi essere Jane, la figlia di Charles Lewis!" Disse una donna sulla quarantina, vedendola.
"Sì, sono io." Le sorrise gentilmente Jane.
C'erano molte ragazze sedute che ridevano e sghignazzavano per conto loro, ma anche molte matrone.
"Come sei cresciuta! Sei diventata proprio una bella ragazza. Eri così piccola l'ultima volta che ti ho vista. Come passano in fretta gli anni Lydia!" Disse la donna riferendosi alla madre, che era al suo fianco.
"Noi invecchiamo e loro diventano giovani!"
Jane fece una smorfia involontaria. Ecco perché odiava fare conversazione con le amiche di sua madre: o si spettegolava o, con quelle più vecchie, ne uscivano fuori discorsi sulla vita, sulla vecchiaia, sulla gioventù persa!
Dio, roba da dormire e russarci su.
"Oddio! Ma quello chi è?!" La voce alta e acuta di una ragazza di un gruppetto lì vicino catturò la sua attenzione.
"È bellissimo, vero? Quello" indicò un punto indefinito davanti a loro un'altra "è lo scapolo più voluto del momento nell'intero Yorkshire."
Okay, quelle parole Jane le aveva già sentite.
"Si chiama William ed è uno Stevens." E ti pareva! Sempre lui stava in mezzo! Anche se non fisicamente, davvero la perseguitava.
"Oh cosa gli farei!" Jane scosse la testa, certo che le sue 'coetanee' avevano proprio l'ormone facile!
Ce ne erano di molti più belli in sala. Si guardò intorno, in cerca di begli uomini, per avvalorare la sua tesi: scorse un pelato, uno pieno di rughe con un tic all'occhio destro, uno alto quanto il suo collo e un altro biondo, occhi azzurri, magro, peccato che avesse due dita conficcate nel naso.
Bleh. Jane fece una mossa di disgusto.
Okay, forse era davvero il più bello della sala. Ma solo perchè il livello di bellezza lì dentro era molto basso!
Sì certo, chi voleva prendere in giro?
"Ma chi è quella?! La sua fidanzata o sua moglie? Non è scapolo?" Squittì una.
Jane si voltò nella stessa direzione che stavano puntando loro e i suoi occhi vennero catturati da due figure: mr. Cafone stava ridendo di gusto, nel lato opposto della sala, con un'altra donna, bellissima:occhi azzurri, bionda e da ciò che poteva vedere Jane, anche molto formosa.
Stavano brindando per chissà cosa, William le stava sussurrando qualcosa all'orecchio che la fece scoppiare di nuovo a ridere. Ecco, ora aveva la prova concreta che le donne cadessero ai piedi di quello stupido dongiovanni.
"Ma no! Quella deve essere qualche sua amica!" Rispose l'altra. "Io la conosco! Quella è la duchessa vedova Alissa Thompson, devono essere molto in confidenza quei due!"
Alissa Thompson. Il motivo per cui quel troglodita aveva fatto ritardo. Il vizio che l'aveva trattenuto!
Allora era vero, e quella donna era pure vedova.
Provò compassione e avversione per entrambi, sarebbe dovuta rimanere indifferente, a lei quelle storie non erano mai interessate! Eppure, non riusciva più neanche ad ascoltare.

Fece per andarsene ma venne di nuovo attirata da una scena che le provocò ancor più disgusto e repulsione: la bocca dell'energumeno spiaccicata a quella della bionda con la lingua in bella mostra.
Repellente.
Fare certe cose in pubblico, senza essere neppure fidanzati ufficialmente!
Non ne seppe il motivo, ma sentì una morsa allo stomaco e l'irritazione appropiarsi del suo cervello e del suo corpo, dato che s'immobilizzò in mezzo a tutti quei corpi che ballavano, persone che parlavano, ridevano, lei s'immobilizzò lì in mezzo, sembrava una statua, fissava William e sentiva un moto di rabbia salirle su per lo stomaco fino ad uscirle dalla pelle.
Quando all'improvviso gli occhi dell'uomo scorsero la presenza di quelli della giovane su di lui si staccò da quel bacio e il suo sguardo si intrecciò con quello di Jane per un attimo.
Cosa? Come aveva fatto ad individuarla così facilmente dopo aver appena aperto gli occhi?
La giovane accortasi di essere stata colta in fallo fece dietrofront, si voltò e iniziò a camminare velocemente scansando chiunque le capitasse a tiro.
Meledizione, non deveva fare così! Perchè lo stava facendo?
Ora William chissà cosa avrebbe pensato, che fosse scappata per lui o chissà quale altra scemenza, e non era vero. Ma se non era vero allora perchè continuava ad essere irritata da ciò che aveva visto?
Lei infondo voleva solo essere lasciata in pace e aveva ottenuto ciò che voleva.
Quell'uomo era il nulla per lei, la stuzzicava, la maltrattava, la sottovalutava, ed era un dannatissimo casanova. E quella ne era stata la prova.
Alla rabbia e all'irritazione si unì presto anche l'odio.
Si ricordò, come un flash, di quel bacio che le aveva preso, che le aveva rubato.
Con così tanta leggerezza, proprio come aveva fatto con quella donna. Il suo primo bacio era stato forzato e con quell'uomo. Maledetto alla sesta!
Tutti gli insulti che gli aveva detto non avrebbero dato l'idea di ciò che era quell'uomo.

Si ritrovò presto fuori, sul terrazzo, l'unico posto respirabile dove poteva stare davvero tranquilla durante quelle feste, e si fermò. Sentì però dei passi dietro di lei e si voltò subito.
William era proprio davanti a lei che scrutava la sua figura, che la guardava come se volesse capire qualcosa, come se volesse leggerle dentro.
I loro volti erano illuminati solo dalla Luna e dalle stelle.
"Perchè mi avete inseguita?" Mormorò la giovane a bassa voce, ma William riuscì a sentirla, nonostante la distanza.
L'uomo aggrottò la fronte "Siamo tornati al voi, ora? Credo che noi siamo andati molto oltre tutta questa formalità molto tempo fa!"
E non doveva succedere, pensò Jane.
"Siamo sempre stati al voi, ma qualcuno qui voleva credersi il superiore della situazione." William sbuffò affranto: la giovane quando voleva, sapeva cacciare bene l'odio, così acida e distante.
Ma...cosa gli importava?
"Allora, perchè mi avete seguita?" Gli chiese lei con finta indifferenza.
Già, se lo chiedeva anche lui. Perchè l'aveva seguita? Non lo sapeva, sapeva solo che d'istinto, vedendo quegli occhi affilati nocciola così inflessibili e disgustati su di lui, il suo corpo si era mosso d'istinto, come un animale fa con la sua preda. Aveva abbandonato la duchessa che quella sera era più che accessibile e disponibile, per cosa? Moriva dalla voglia di vendicarsi di quella ragazzina che all'inizio della serata gli aveva rivolto quell'affronto! Sì, gli piaceva irritarla, eccome se gli piaceva, quello stava diventando un ottimo e nuovo passatempo.
"Cosa vuoi? Torna dalla tua fidanzata!" Sbottò lei alzando la voce di un'ottava, per fortuna erano tutti dentro intrattenuti dalla festa, erano soli proprio come durante loro primo incontro.
Lui rise "Quella non è la mia donna, piuttosto è a te che piace molto fare le fusa, a quanto ho visto." Disse esprimendo con il viso il suo ribrezzo.
Jane trasalì confusa, lei fare le fusa? Certo, doveva riferirsi a Bernard, allora l'aveva vista!
"Io non stavo facendo le fusa a nessuno, quello si chiama 'conversare'. Sei tu che vedi corna dappertutto. Ma sai" stava gesticolando per il nervosismo "Non tutti sono come te!" Disse in tono accusatorio, ma William le regalò, in tutta risposta, un sorriso amaro e divertito.
Perchè stava spendendo il suo tempo e il suo fiato con lui?
"E poi dovevo aspettarmelo, un uomo come te, non può che accontentarsi delle cose facili." Borbottò e fece di nuovo dietrofront, pronta ad andarsene.
L'uomo alzò un sopracciglio sorpreso.
"Le cose facili, sono le più piacevoli è vero, ma non mi danno la soddisfazione che vorrei."
William fece un passo in avanti verso di lei, e Jane d'istinto ne fece uno indietro.
"E cos'è che ti dà soddisfazione?" Chiese Jane guardandolo in modalità 'sfida'.
Oh Dio! Cosa diavolo gli aveva appena chiesto? Era impazzita?!
William corrugò la fronte, neppure lui si aspettava una domanda così audace da parte della ragazza.
"Dipende..." un altro passo "Una missione ad alto rischio" si riferì a quando era in marina. Ancora un altro passo "avere la fedeltà di una persona di cui ti fidi."
Cosa? Perchè le stava parlando di fedeltà ora? Che qualcuno non gliene avesse portata?
Un altro passo. "Bere champagne"
Ah, troppo scontato quello. Proprio da lui. Anche se quello, pensò Jane, era l'uomo meno scontato che avesse mai conosciuto. Così imprevedibile! Proprio ciò che lui pensava di lei.
Un altro passo, ancora occhi contro occhi.
"Peccare..."
Oh, questo sì che era da lui! Lui era l'incarnazione del peccato, Lui era il Peccato.
Un altro passo e la schiena di Jane si ritrovò a combaciare con il muro esterno del salotto.
Era di nuovo in trappola.

Writer's corner
Salve! Lo so che il capitolo si ferma in un brutto punto, in realtà non doveva finire così, ma dato che è venuto più lungo del dovuto e che il continuo ancora non finisco di scriverlo, ho deciso di dividerlo in due parti e aggiornare prima. Cosa ve ne pare? In questo capitolo finalmente si avvicinano un po', vi anticipo che nel prossimo se ne vedranno delle belle e delle brutte.
Ringrazio ancora tutte le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate. Un grazie speciale a chi la recensisce e mi invoglia a continuarla.
Un bacio e alla prossima! ;)

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Capitolo 17
*** 17.Innocent touch ***


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-Dallo scorso capitolo-

"E cos'è che ti dà soddisfazione?" Chiese Jane guardandolo in modalità 'sfida'.
Oh Dio! Cosa diavolo gli aveva appena chiesto? Era impazzita?!
William corrugò la fronte, neppure lui si aspettava una domanda così audace da parte della ragazza.
"Dipende..." un altro passo "Una missione ad alto rischio" si riferì a quando era in marina. Ancora un altro passo "avere la fedeltà di una persona di cui ti fidi."
Cosa? Perchè le stava parlando di fedeltà ora? Che qualcuno non gliene avesse portata?
Un altro passo. "Bere champagne"
Ah, troppo scontato quello. Proprio da lui. Anche se quello, pensò Jane, era l'uomo meno scontato che avesse mai conosciuto. Così imprevedibile! Proprio ciò che lui pensava di lei.
Un altro passo, ancora occhi contro occhi.
"Peccare..."
Oh, questo sì che era da lui! Lui era l'incarnazione del peccato, Lui era il Peccato.
Un altro passo e la schiena di Jane si ritrovò a combaciare con il muro esterno del salotto.
Era di nuovo in trappola.

Ma questa volta era diverso, questa volta non si sentiva nella trappola del diavolo, ma nella trappola di due occhi freddi come l'inverno, come il ghiaccio.
Dio! Perchè non riusciva a muovere più un solo muscolo?! Tutti i suoi sensi erano come bloccati, come raggelati.
"Anche ballare con una ragazzina testarda come nessun'altro mi darebbe soddisfazione!" Disse, e fu talmente veloce che Jane s'accorse solo dopo qualche secondo di avere le mani, le sue mani, sulle spalle dell'uomo, appoggiate lì da lui.
"Mi devi un favore, ragazzina, voglio un ballo, sempre che tu ne sia capace." Si beffeggiò di lei che ancora non si rendeva neppure conto di ciò che stava succedendo. Era vero, lei gli doveva un favore, ma non si ricordava neanche quale e perchè.
Ora stava pensando alla seconda parte del suo discorso.
William Henry Stevens le aveva davvero appena detto che l'avrebbe reso soddisfatto un ballo con lei? Ma loro non si tolleravano! La testa le pulsava a non finire.

"Allora? Ho davvero ragione? Non sai ballare."
William ridacchiò vedendola imbrociata e scossa, e capendo che l'aveva azzecata davvero quella volta.
"Ma dai, sai cavalcare in quel modo e non sai ballare?" La voce più roca di William la fece sussultare e risvegliare da quella miriade di pensieri.
Jane ritirò subito le mani dalle sue spalle, come scottata, e strinse gli occhi.
"Io so ballare benissimo!"
Accidenti! Poteva spararne una peggiore? No!
"Ah sì? Dimostramelo!" Disse lui con fare provocatorio, e Jane, orgogliosa com'era, non seppe se tirarsi indietro o fare la figuraccia del secolo davanti all'uomo che più odiava al mondo, oltre che davanti a tutti i membri lì presenti dell'Alta società.
Nella sua indecisione, in men che non si dica, si ritrovò due mani afferrarla forte per i fianchi, con fare possessivo, e ora a distanziare il suo corpo da quello di mr.Cafone c'erano soli pochi centimetri.
"Ehi ehi! Giù le zampe!" Disse la giovane schiaffeggiandogli le mani. William rise, una risata genuina e meravigliosa che fece accelerare il ritmo del suo cuore.
Cosa cosa? Perchè una stupidissima risata le faceva quell'effetto? Eh sì doveva essere quella dannata serata! Qualcuno le aveva lanciato qualche maledizione!
William ovviamente ignorò le sue parole e anzi, ritrascinandola in sala, la portò a centro pista.
Okay, ora sì che doveva scappare,e anche subito. Che pessima figura avrebbe fatto con tutti quegli occhi puntati su di loro, o meglio su William.
Sentì molti sguardi assassini e d'invidia scagliarsi su di lei.
Ma cosa pensavano quelle donnette?
Che lei ci volesse ballare con il loro scapolo d'oro alias troglodita energumeno egocentrico prepotente idiota arrogante infantile e chi ne ha più ne metta?
Ma cosa aveva fatto di male?

Tutte le coppie si misero in posizione, l'orchestra ancora non partiva.
Doveva fare qualcosa! Subito! Immediatamente!
William però le rovinò i piani, facendo aderire tutto d'un colpo i loro corpi facendola boccheggiare, le mise una mano su un fianco dolcemente, poi portò quella della ragazza sulla sua spalla, le afferrò infine l'altra mano e intrecciò delicatamente le loro dita.
Jane era sbigottita, ancora di più adesso, sorpresa da quel tocco di pelle così delicato e innocente, che le fece venire i brividi.
Cosa stava succedendo?
No! Doveva svegliarsi subito!
Alzò lo sguardo scontrandosi con quello rilassato di lui.
"Ma sei impazzito?! Dannazione! Lasciami immediatamente!" Sbottò a bassa voce Jane, in modo però poco convincente.
"Ora balli con me! Hai detto che sai ballare, no?" Le soffiò in faccia.
'Non so ballare! Ti prendevo in giro!' Avrebbe voluto urlare ma ormai era troppo tardi, non poteva più sottrarsi.
La musica partì e non era un lento.
Maledetto diavolo!
Ora la sua reputazione sarebbe stata rovinata per sempre!
Sentì all'improvviso un fiato caldo solleticarle il collo e un brivido percorrerle la spina dorsale.
"Troppo tardi." Sussurrò William sfiorando con le labbra carnose il lobo del suo orecchio.
"Lasciati andare." Disse per poi distanziare i loro visi e sorriderle.
L'unica cosa positiva di quel ballo di coppia era che i corpi non dovevano essere del tutto attaccati, la distanza di qualche centimetro per fortuna c'era.
Un, due, tre.
Jane si sentì persa, persa in quegli occhi così particolari, persa nel battito del suo cuore accelerato, persa in quel tocco. Sembrava come ipnotizzata da quegli occhi caldi e freddi allo stesso tempo.
Svegliati, su! Non vedi che lui si sta solo divertando?! Farai una pessima figura!

Quattro, cinque, sei.
No, no, no! Così non andava bene! Non andava per niente bene! Troppa vicinanza!
Sette, otto, nove.
Perchè si sentiva così bene? E perchè ora si stava sciogliendo così? E soprattutto, perchè il suo corpo si muoveva quasi da solo?
Dieci, undici, dodici.
"Bene, uno avanti, due a destra, tre dietro." Le sussurrò William.
Quello dei loro passi che si muovevano sincronizzati era l'unico rumore che riuscisse a sentire in quel momento.
Tredici, quattordici, quindici.
Vide gli occhi di William staccarsi dai suoi, ed abbassarsi, abbassarsi a fissare...le sue labbra!
Le spuntò un sorriso spontaneo, pensando che il troglodita non la considerasse poi così tanto una bambina, ma presto sentì riaffiorare tutta la rabbia di prima. Chissà se aveva guardato così anche le labbra di quella duchessa così...disponibile. Non era gelosa, no, era solo disgustata dal fatto che lui vedesse le donne solo a quel modo, sempre uguale.
Voleva fargli male, le salì questa voglia innaturale di fargliela pagare, gli calpestò brutalmente di proposito un piede facendogli fare una smorfia di dolore e alzare lo sguardo infuriato su di lei.
"Ma che diavolo ti prende?! Sei impazzita!" Qualcuno si girò verso di loro, ma continuarono a ballare.
Sì, impazzita dalla voglia di spaccarti la testa. E non solo.
Ah! Se la madre avesse avuto il potere di leggerle in testa ora sarebbe già stata scaricata in qualche riformatorio educativo in una qualche terra sperduta coloniale.

"Perchè non hai chiesto a quella donna di ballare, invece di far perdere tempo a me, eh?" Sbottò rossa in volto per la rabbia.
Probabilmente quell'uomo si stava solo prendendo gioco di lei, la stava usando per intrattenersi, per passare tempo.
Beh, lei non si sarebbe fatta trattare in quel modo! Com'è che l'aveva definita quella volta?
Giocattolino!
Giocattolino eh? Ora te lo faccio vedere io il giocattolino!
William all'inizio parve un po' confuso, ma poi si ricordò a quale donna si riferisse.
"Ti ho già detto che ballare con una ragazzina capricciosa mi dà più soddisfazione che passare il tempo con qualcosa di facile."
Okay, quella non se la aspettava! No che non se l'aspettava.
Le aveva davvero dato importanza con quella frase? Le stava dicendo indirettamente, in un modo stranamente carino, che in un certo senso lei era meglio di quella tipa? O solo che prenderla in giro era più divertente che stare in camera da letto con la duchessa? Non ci stava capendo niente.
Era addirittura rimasta paralizzata. Corrugò la fronte e riprese a guardare William che le parve alquanto divertito, il bastardo! Si era accorto dello strano effetto che le aveva fatto quella frase.
Trasalì sentendo ancora qualcosa di caldo sul suo orecchio.
"Ammettilo, ragazzina, eri gelosa!" La schernì lui.
Jane si sentì subito indignata e offesa da quell'affermazione.
"Tu sei pazzo! E di chi dovrei essere gelosa? Di un..."
"Bellissimo uomo, affascinante, intelligente e maturo." Continuò lui facendola ridacchiare.
"Si e anche..."
"Stupefacente, magnifico, forte e sensuale. Sì, lo so."
Avvicinò di nuovo le sue labbra al suo orecchio, mentre continuavano a muoversi a ritmo di musica.
"Ammettilo, ti piace essere toccata da questo sudicio." Disse mentre il viso di Jane passava dal pallido al bordeaux per finire col rosso.
Ti piace essere toccata da questo sudicio.
Perchè percepiva che in quelle parole ci fosse un doppio senso? La stava di nuovo prendendo in giro! Con la differenza che stavolta ci stava cascando, nella trappola del lupo.
Si avvicinò velocemente al viso dell'uomo che, preso in contropiede, s'irrigidì, poi sempre più vicino fino all'orecchio di William.
Jane vide la mascella dell'uomo contratta e si compiacque mentalmente.
L'energumeno davvero pensava che volesse baciarlo?!
"Ammettilo, sei tu che muori dalla voglia di toccare me." Gli sussurrò sensualmente, per poi riallontanarsi."Peccato che io non voglia!"
Oh Dio! Da dove l'aveva cacciata tutta quella audacia?!
Da quando era così tanto coraggiosa con un uomo? Da quando parlava in questo modo così 'intimo' a qualcuno solo per rispondere? E da quando dava tanta confidenza?
Da quando aveva conosciuto quell'uomo e aveva iniziato ad odiarlo, ovvio!
Certo! Era così!
Jane pensò che il suo gesto, incomprensibile anche per lei, a qualcosa fosse servito dato che vide i muscoli dell'uomo contrarsi e la mascella irrigidita.
Ma stava cantando vittoria troppo in fretta, infatti presto l'incredulità lasciò posto al solito ghigno sul viso dell'uomo, che poi scoppiò a ridere.

"Sei davvero divertente quando fai così, ragazzina!" Disse continuando a ridere, quasi a volerla umiliare, ancora. E ci stava riuscendo.
Jane aveva davvero voglia di contorcergli le budella, ma decise di continuare a provocarlo.
Come si permetteva a deriderla così?
"E tu sei davvero bugiardo! Non sono io quella con la bocca aperta e la mascella a terra."
Ed ecco come si fermava la risata derisoria di William Henry Stevens!
"Hai ragione, ragazzina, mi sa che mi hai stupito questa volta." In realtà lei lo stupiva sempre, più in peggio che in meglio.
Jane si meravigliò, non solo per quella confessione, ma anche perchè ora lui la stava guardando serio come poche volte l'aveva viso.
"Dannato destino." Borbottò la ragazza non sapendo cosa fare, cosa dire. E questo era strano, lei sapeva sempre cosa fare, lei non era mai insicura. Ora doveva iniziare ad esserlo?
Poteva solo maledire il destino per averle fatto incontrare di nuovo quella faccia da cavernicolo.
"Ora cosa c'entra il destino?" Le chiese William.
"C'entra perchè ho dovuto incontrarti anche a questo 'amabile' matrimonio!" Sbuffò "Inizio davvero a pensare che qualcuno cel'abbia con me."
William rise.
"Siamo noi che ci costruiamo il nostro destino." Proferì lui, stupendola.
"Questa è una gran cavolata." Replicò Jane "Il destino decide tutto per noi con i suoi brutti scherzi. E si beffa della gente, senza che questa possa replicare. Ed è terribile non poter replicare, dal latino re più plicare, che vuol dire piegare. Piegare le difficoltà! Questa parola potrebbe non significare niente, o potrebbe significare tutto. Per me significa tutto: replicare è una forma di libertà ed il destino non lo permette." E lei lo aveva capito solo dopo aver perso sua sorella e ancor più quando quella sera stava per essere stuprata, il destino è l'unica cosa con cui non si può combattere.
"Davvero un bel discorsetto, infondo ho capito che è proprio replicare che ti piace tanto, ma è proprio la tua idea iniziale che è sbagliata" la guardò intensamente "tu pensi che si possa solo replicare, ma non hai mai pensato ad attaccare. Ad esempio se ora ti baciassi, avresti due possibilità"
Ucciderti tagliandoti la giugulare o l'aorta, questo è il dilemma.Pensò la giovane, ma non parlò.
Lo guardò incuriosita e anche un po' divertita, stava davvero tenendo un discorso del genere con quel prepotente di William Stevens?
"La prima è contrattaccare dandomi uno schiaffo" Jane annuì mentalmente, certo lo avrebbe sicuramente schiaffeggiato in un primo momento, confermando così la sua tesi: era davvero furbo!
"La seconda" si bloccò un attimo a fissarla "la seconda è contraccambiare il mio bacio, attaccando insieme a me" la guardò da gran intenditore. "Allora, quale scegli ragazzina?"
Jane scosse la testa, non aveva mai sentito cosa più stupida e insensata di quella!
"Mi sa che ne hai scordata una terza, soldatino." L'uomo aggrottò la fronte ed alzò un sopracciglio sensualmente, come a dire 'avanti, prova a stupirmi, che tanto non ci riesci'.
"Posso anche afferrare il vaso che è proprio dietro di te, mentre mi baci e romperterlo in testa, davanti a tutti. Che ne pensi? Potrei dire che mi stavi molestando e risparmierei al destino la preoccupazione di mandarti all'inferno, lo farei io per lui."
Eccoti accontentato, soldatino.
Lui scoppiò a ridere di nuovo, da quanto non rideva tanto! per poi guardarla malizioso.
"Allettante" si avvicinò a lei "Ma poi perderesti la possibilità di baciare un gran bell'uomo come me."
Jane scosse la testa, esasperata.
Eh no, con quell'uomo non c'erano proprio speranze.
"Sfacciato!" Proruppe la giovane.
"Impertinente!" Controbattè William.
La musica era finita da un po', tra applausi e meraviglia, ma loro continuavano a fissarsi, immobili, a tenere quell'insolubile contatto visivo che nessuno dei due aveva intenzione di staccare.
Fin quando una figura dietro Jane fece sussultare entrambi. E chi poteva essere se non sua madre?
Dio, ma quella era una doppia persecuzione!
'E dimmi, sono stata io a decidere di farmi vedere con te da mia madre? O di metterle quelle strane idee in testa su di me con te che mi metti un anello sull'altare?' Avrebbe voluto chiedergli, ma sapeva che in risposta avrebbe ottenuto un 'No, ma sei stata tu ad accettare di ballare con me, sapendo che in giro ci fosse tua madre.' Quindi, per non iniziare un'altra discussione che sarebbe continuata fino al giorno dopo, non disse niente. Davvero, perché ora pensava così tanto e soprattutto, perché ora pensava come se fosse nella testa di quell'uomo?
"Jane! Sei scomparsa all'improvviso, ma vedo piacevolmente che sei in ottima compagnia."
Jane si allontanò immediatamente da William, mettendo più distanza possibile e facendolo sorridere di sottecchi.
Mrs. Lydia si rivolse con un sorriso a trentadue denti all'uomo, porgendogli una mano che William baciò annoiato, ma non lo diede a vedere continuando a sorridere.
Jane si preoccupò subito, quando c'erano di mezzo lui e sua madre non c'era modo di stare tranquilli, specialmente se sua madre se lo mangiava con gli occhi, come non aveva mai fatto con nessun'altro uomo. Lydia era sempre stata una donna composta e decorosa.
Ma che diavolo ha questo troglodita di tanto speciale da incantarle tutte? Si chiese la ragazza, osservandolo attentamente. Okay, forse qualcosa ce l'aveva, ma era solo bellezza esteriore, dentro era marcio, vuoto, superficiale!
"Mrs. Lewis devo farvi i miei complimenti! Vostra figlia sa davvero cavalcare bene, sembra quasi un uomo."
La giovane al momento non capì se quello era un complimento o un insulto. Sicuramente il secondo.
"Sì, la mia Jane è davvero molto brava e talentuosa!" Lydia lo guardò con sguardo indagatore, lo sguardo della madre di cui più ci si doveva preoccupare.
Jane non la sopportava quando faceva così.
Prima disprezzava il fatto che andava a cavallo, ma quando ce n'era l'occasione non si sottraeva dal vantarsene.
"Avete avuto già occasione di andare insieme a cavallo?"
Oh! Ecco dove voleva arrivare!
Jane sgranò gli occhi e scosse la testa verso William facendogli segno di 'no' e ottenendo in tutta risposta il solito sorrisetto sadico e malefico, che ora gli increspava le labbra.
Cosa aveva in mente?
"No, ma abbiamo avuto occasione di danzare, vostra figlia ha stregato il mio cuore con la sua bellezza..." Oh Dio! Cosa stava dicendo? "...peccato che anche i miei poveri piedi siano stati stregati dalle sue scarpe!"
Lo sguardo furioso di Jane non si fece attendere e si posò su William nello stesso momento in cui sua madre poggiò il suo incredulo e accusatorio sulla figlia, e poi imbarazzato e dispiaciuto su William.
La ragazza non poteva crederci, come sempre ormai da quando l'aveva conosciuto stava cercando di metterla in ridicolo! Con la madre per giunta.
"Mi dispiace tanto! Jane!" Strillò mrs. Lydia richiamando la figlia.
"Scusati immediatamente con Lord Stevens!" Ordinò irosa. Scusarsi?! Con quel troglodita?! Mai!
Che gran bastardo! Aveva capito cosa stava cercando di fare. Voleva metterle l'orgoglio sotto i piedi, l'energumeno! Voleva fargliela pagare per avergli pestato il piede e forse anche per l'affronto d'inizio serata.
E la madre davvero credeva alle sue parole?
"Madre! Io non ho..." scattò sfrontatamente Jane.
"Non c'è bisogno di scusarsi, mrs. Lydia." La fermò il troglodita, rivolgendosi alla madre.
Ora non c'era più bisogno di scusarsi? Lo faceva apposta? Quale piano malefico aveva in mente?
Quell'uomo aveva sempre qualcosa di maligno in testa, Jane dalle poche settimane che lo conosceva una cosa l'aveva capita bene: lui non faceva mai niente per niente.
"Potrebbe venire a casa mia domani, per scusarsi adeguatamente." Sottolineò l'ultima parola.
Jane sgranò gli occhi perplessa.
Si voltò immediatamente incrociando due occhi di ghiaccio luccicanti di vittoria e malizia.
Maledetto!
Da quello non si sarebbe mai potuta tirare indietro!
Jane non riusciva a pensare a niente, se non a desiderare di aver messo i tacchi per bucargli completamente i piedi e farci degli spiedini di carne umana.
Ah, quanti istinti criminali! E se non ci fosse stata la madre li avrebbe sicuramente portati a termine. No, non era una pazza psicopatica, era solo dannatamente frustata e infuriata con quel diavolo!
Ogni volta che pensava che quella era la cosa peggiore che potesse fare o succedere, mr. Cafone la sorprendeva..
"Mi dispiace ma domani..." cercò di rispondere la giovane.
"Niente ma, Jane, domani andrai a casa di Lord Stevens!" Disse mrs. Lydia sprigionando solo a guardarsi euforia e felicità.
Jane si sentì davvero afflitta.
Doveva ritornare nella tana del lupo, nella stessa tana dove le era stato preso il suo primo bacio.
La giovane non riuscì a fare a meno di scaricare la sua rabbia con uno sguardo carico d'odio su William, pensando che c'era qualcos'altro oltre il destino contro cui non poteva combattere: la madre.

Writer's corner
Ciao a tutte! In questo capitolo c'è un dialogo un po' diverso tra William e Jane, che poverina viene costretta a ballare con lui, anche se come avete letto alla fine non è poi tanto dispiaciuta. Alcune di voi si aspettavano un bacio, ma ho già spiegato che è ancora un po' presto anche se, chi lo sa, dipende dalla situazione e da quel che mi viene in mente, potrebbero anche baciarsi prima di quanto crediate.
Vi anticipo che nel prossimo capitolo si scoprirà qualcosa di nuovo su William, sul suo passato e sul suo lato tenebroso.
Grazie tante a tutte le persone che recensiscono la storia! Un bacione e alla prossima. :*

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Capitolo 18
*** 18.Oscar Jeb Morrinson ***


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Il mattino seguente al matrimonio, William s'alzò davvero presto, e con un gran mal di testa. Il sole era appena sorto, fuori dalla sua finestra si intravedeva la rugiada sulle piante, tipica di quel periodo dell'anno, l'autunno, e il fresco e umido calore, che gli penetrava la pelle, facendolo quasi sudare.

Quella mattina si alzò presto, come al solito, dal momento che soffriva spesso d'insonnia, ma anche per un altro motivo: quel giorno aspettava una visita, una visita davvero speciale.
Oscar Jeb Morrinson aveva trent'anni, la stessa età di William ed era stato un suo pari nella marina britannica, con cui aveva lavorato fino all'improvvisa e sconcertante decisione dello Stevens di lasciarla un anno prima.
Ma Oscar non era stato solo un suo collega in quel periodo, era diventato uno dei suoi più grandi amici e confidenti.

Era il 1865 quando si erano conosciuti, allora entrambi tenenti. Tutti e due erano molto giovani e tutti e due aspiravano molto in alto: William per vocazione, aveva sempre desiderato diventare capitano e, se avesse raggiunto l'apice, anche un ruolo superiore.
Ma questa passione gli scorreva nelle vene, nel sangue: anche suo nonno materno aveva fatto parte della Royal Navy da giovane e, quand'era ancora in vita, gli raccontava spesso, con gli occhi che gli brillavano di felicità, d'amore e di una veemenza travolgente, cosa si provasse a guidare una flotta, ad alzarsi ogni giorno con l'odore del sale e della brezza marina ad inondarti le narici, a stare su una nave in mezzo all'oceano, per giorni e giorni, in mezzo all'infinito, dove l'unica ancora di salvezza erano i tuoi compagni, e tutte le avventure che aveva passato, le più belle della sua vita.
William così giovane, all'età di vent'anni, diplomatosi privatamente con il massimo dei voti, appoggiato da entrambi i genitori, che andavano molto fieri della scelta del figlio, si era arruolato e aveva affrontato durissimi addestramenti.
Ed era proprio durante uno di questi addestramenti che aveva incontrato Oscar, negli occhi del quale scorse lo stesso ardore che vedeva in quelli di suo nonno e, come dicevano molti, nei suoi. Tra loro era subito scattata l'antipatia, un'antipatia che li aveva portati ad una buona e sana competizione.
Ma quando la competizione è anche stima per il nemico, allora può nascere anche una grande amicizia. Loro si erano appoggiati, avevano riso, avevano fatto gli stupidi marpioni con le giovani aiutanti della nave, avevano fatto a pugni, avevano scommesso, avevano lottato, ce l'avevano fatta, avevano scherzato, ma soprattutto avevano scoperto tutto l'uno dell'altro.
William, aveva scoperto presto che infatti negli occhi scuri di Oscar si nascondeva qualcos'altro: una certa malinconia, una celata tristezza.
Presto scoprì che quella tristezza era dovuta ad una perdita. Una perdita che Oscar non aveva mai voluto approfondire, nè raccontare a nessuno, ma che rivelò a William essere stata uno straziante martirio nella sua vita: aveva perso la sua amata in terribili circostanze.
Non gli raccontò altro, ma a William bastò per fargli capire che spesso dietro le apparenze, dietro i sorrisi di una persona, si nascondono orribili e indimenticabili pene, e ora anche lui lo stava provando, ma sulla sua pelle.

Eh sì, la marina gli aveva dato davvero tanto, come lui aveva dato tanto alla marina.
Oscar era stato uno dei suoi più grandi amici.
Era stato, al passato, perché dopo quel che era successo un anno prima aveva deciso di chiudere con quella vita, aveva deciso di lasciarsi alle spalle tutto, aveva deciso di rinunciare persino al suo più grande sogno, che da una parte si era realizzato seppur lasciandolo insoddisfatto, se questo avrebbe significato ricordargli quel che era successo per il resto della sua vita, avrebbe sotterrato tutto, avrebbe dimenticato, nessuno avrebbe scoperto la ragione della sua decisione di lasciare la marina.
Nessuno, tranne Oscar, che ne era stato testimone.
Testimone di quel che aveva cambiato di più William, di quel che aveva permesso che diventasse così distaccato, falsamente superficiale, arrogante e, come aveva scoperto anche Jane, una vera canaglia con le donne. Forse perchè era stato proprio una donna a farlo cambiare tanto...

William finì di sistemarsi la cravatta e il gilet nero, in perfetta sintonia con i suo capelli.
Oscar sarebbe dovuto arrivare a momenti. Da quanto tempo che non lo vedeva! Erano mesi ormai, dopo il suo abbandono l'anno prima si erano rincontrati soltanto due volte.
Da quel che aveva capito Morrinson aveva deciso di prendersi una pausa dal lavoro, se tre mesi possono definirsi così, ormai troppo stressante anche per  la mancanza dell'amico a cui per questo aveva chiesto di essere ospitato per un periodo indefinito, che poteva comprendere una settimana o tutti e tre i mesi.
William su quel favore richiestogli, era stato un po' titubante: sarebbe significato riportare il passato indietro, a casa sua, ma non poteva negare ad una persona che per lui era stata tanto importante una sciocchezza del genere. Anche Oscar, prima di partire, aveva abitato in una cittadina dello Yorkshire, non molto lontana da quella di William.
Proprio uno scherzo del destino, non si erano incontrati quando erano a pochi chilometri di distanza e l'avevano fatto nella lontana terra coloniale d'India.

I genitori di Oscar, che avevano una piccola sartoria nella cittadina, si erano poi trasferiti nella grande Londra perciò, per passare un po' di tempo nella sua terra, aveva chiesto quella permanenza in casa Stevens.
William conosceva bene le condizioni in cui si trovava la famiglia di Oscar, non era povera, apparteneva alla piccola borghesia, ma neppure ricca, infatti era difficile che un giovane del ceto di Oscar diventasse capitano, davvero raro anzi.
Sempre lo stesso sistema: più la tua famiglia è in alto, più possibilità hai, ma entrambi si erano guadagnati quel posto.

Per questo William, quando aveva scoperto le sue umili origini, aveva provato ancora più ammirazione per l'amico, la stessa che l'altro provava per lui.
Il talento ripaga, a volte.

La grande reggia Stevens si divideva su due piani: al primo vi si trovava la sala tè, la stanza musicale (dove sua sorella suonava il pianoforte), l'enorme biblioteca, la sala ballo, la più sfarzosa ed elegante della casa, che era quella dove si tenevano i ricevimenti e le feste, infine lo studio dove suo padre teneva riunioni e dove si discuteva di affari, il secondo piano invece era completamente dedicato alle lussuose e principesche camere da letto e di relax, e ne erano talmente tante che William oramai non se ne ricordava neppure il numero e a notte inoltrata faceva addirittura fatica a riconoscere ed individuare la sua.

Quando sentì bussare al campanello, l'uomo scese subito al piano sottostante. Disse alle cameriere che avrebbe aperto lui.
Quando lo fece, si ritrovò davanti lo stesso amico, proprio come se lo ricordava: stessa robustezza, era poco più basso di lui ma comunque alto, stesse sopracciglia folte, stessi capelli biondi, stessi occhi scuri e stesso sorriso malandrino e buono, che aveva conquistato decine di ragazze e donne.

Sì, Oscar era sempre stato il buono, il gentile tra i due, il razionale.
William ricambiò il sorriso, quando all'improvviso Oscar gli sferrò un mancino letale proprio mirato al suo naso, William che, nonostante non si allenasse più da un anno, non aveva perso la sua forza e i suoi riflessi micidiali, lo scansò in un millisecondo per poi afferrargli il pugno e bloccargli entrambe le mani.
"Va bene, mi arrendo" disse Oscar guaendo per la pressione che l'altro capitano gli stava infliggendo. William allentò la presa e infine la lasciò.
"Vedo che non hai perso il tuo Occhio di falco, amico." Quando sentì quel soprannome, William sorrise: da quanto tempo non lo chiamavano così. In marina tutti lo conoscevano per la sua mira e per i suoi gran riflessi, da lì Occhio di falco.
"Tu invece sei il solito subdolo di sempre. Attaccarmi in quel modo, per un attimo ho creduto fossi impazzito. Dai entra, amico. Ti aiuto con i bagagli." Disse William per poi chiudere la porta alle loro spalle.
"Mi hai preso per una femminuccia, Stevens?" Risero.
Iniziarono a discutere sul viaggio di Oscar e su come era trascorso, ma all'improvviso la loro conversazione fu interrotta dal suono assiduo del campanello.
William ci pensò: lui non aspettava nessun'altro, forse era qualche amica della madre.
Dannazione, ma erano sempre tra i piedi quelle pettegole?

Quando però Georgiana riaprì la grande porta bianca dell'ingresso della reggia Stevens, William combatté con se stesso interiormente per non scoppiare a ridere.
La visione era a dir poco spassosa: Jane Lewis si trovava proprio sullo stipite della porta di casa sua, in un carinissimo e innocentissimo succinto vestito rosa pallido, così diverso da quello del giorno prima: un vestito proprio da lei insomma!
Quello che lo istigiva a ridere però era il solito broncio che aveva sul viso, i capelli abbastanza arruffati, la gote arrossate più del solito e la fronte arricciata.
Sì, era arrabbiata. Ma per cosa?

"Che ci fai qui?" Le chiese allora William, lasciando da parte i convenevoli, mentre Jane accigliata si dirigeva a passo felpato verso di lui, mettendosi una mano su un fianco e l'indice dell'altra a toccargli il petto, additandolo in modo accusatorio.
Oh, com'era  deliziosa quando era arrabbiata con lui! Quindi era sempre deliziosa.

"Cosa ci faccio qui? Cosa ci faccio qui?" Alzò il tono di un'ottava Jane, con la solita 'grazia' di sempre.
"Ti sei scordato di cosa hai detto a mia madre?!" Chiese lei isterica. William si mise una mano sulle tempie. Accidenti, se n'era proprio scordato! Le aveva detto lui di andare a casa sua a quell'ora.
"Hai ragione, è stata una dimenticanza. Mi dispiace, ma ora, come vedi, ho visite e sono impegnato." Disse con nonchalance riprendendo a guardarla e accennando ad Oscar. Ma in quel momento s'accorse che lei non lo stava più guardando, fissava paralizzata, come in trance, un punto dietro di lui: proprio Oscar. Anche lui la fissava allo stesso modo: sorpreso e a bocca aperta.
"Oscar Jeb Morrinson." Sussurrò lei.
"Jane Lewis." Sussurrò Oscar stupendo ancor più l'amico, che non ci stava capendo nulla.

Writer's corner
Ciaoo! Questo capitolo è un po' corto e noioso, lo so, ma ci voleva una bella introduzione per questo nuovo personaggio 'sorpresa' grazie a cui ci saranno nuove rivelazioni e si scoprirà altro su William, e chissà forse anche su Jane.
Prima di continuare, vorrei fare il punto della situazione delle date, dato che, ne sono consapevole, sono troppe e confuse.
1870-l'anno in cui si svolge la storia e Jane ha 17 anni e Will 30
1860-William entra in marina
1865-conosce Oscar
1864-muore Marge
1869-William lascia la marina
Oscar stimolerà a riportare alla luce un po' di cosette. Comunque vi lascio con un interrogativo: che relazione c'è secondo voi tra lui e Jane?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Non credo che prima della prossima settimana riuscirò ad aggiornare, la scuola è ricominciata e ne sono già piena fino al collo, farò il possibile!
Ringrazio tutte/i quelli che seguono, preferiscono, ricordano o commentano la storia, un bacio e alla prossima! ;)

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Capitolo 19
*** 19.IL RAGNO E LA FARFALLA- Prima parte ***


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Jane Lewis se ne stava lì impalata, non credendo ai propri occhi, doveva essere un sogno, un'allucinazione.
Eppure no.
Era lì. Non lo vedeva da sei anni ed ora era proprio lì.
Oscar Morrinson.
Quell'Oscar!

Le venne tutto d'istinto: corse fino a lui, senza preoccuparsi di inciampare nel lungo vestito, si sbilanciò mettendosi sulle punte e lo abbracciò.
"Oscar Morrinson! Sei davvero tu?" Sussurrò la giovane, appoggiando la fronte sulla spalla destra dell'uomo e cingendogli il collo con le braccia.
Sentì il corpo di lui dapprima irrigidirsi e poi rilassarsi fino a percepire il suo sorriso sulla sua guancia, e poi la sua grande mano accarezzarle i capelli.
Gli diede subito del 'tu', era uno dei pochi con cui poteva permetterselo e poi, si conoscevano da una vita.

Se la madre comunque avesse visto quella scena l'avrebbe certamente sgridata per quel gesto così 'indecoroso, sconsiderato e scomposto', abbracciare in modo così disinvolto un uomo, seppur conosciuto e innocuo, era segno di maleducazione e non di certo di una nobildonna del suo livello, ma la madre non c'era, e a Jane non sarebbe importato comunque, in quel momento aveva solo voglia di abbracciarlo, da quanto tempo non lo vedeva!

"La piccola Lewis, quanto sei cresciuta, ormai sei diventata una donnina!"
Lo guardò meglio: gli stessi tratti forti, le stesse gambe massicce, lo stesso busto robusto, stesso sorriso, stessi capelli biondi brizzolati ora tirati ordinatamente indietro, lo stesso sguardo riflessivo e tranquillizzante.
L'unica differenza, che le faceva un po' effetto, era il punto di prospettiva da cui poteva vederlo, era sempre più bassa di lui ma ora non doveva più guardarlo dall'altezza della sua pancia, ma del suo mento.

Quando sentirono qualcuno dietro di loro schiarirsi la voce, per catturare la loro attenzione, si voltarono entrambi, staccandosi, riaccorgendosi dell'altra presenza.
William li guardava un po' confuso un po' annoiato: quella sembrava la scena di un libro, un romanzo rosa, davvero disgustoso!
Aveva invitato a stare l'amico da lui, e ora che scopriva? Che aveva a che fare con quella ragazzina scorbutica e intrigante che si dovertiva a prendere in giro!

Jane arrossì di colpo, quella era l'ultima cosa che avrebbe voluto far vedere a William: la sua parte affettuosa la mostrava a pochissime persone, a quelle più care o in rare occasioni come quella, insomma rivedere dopo sei anni quello che è stato il tuo istruttore di equitazione e uno degli amici più vicini alla tua sorella defunta dopo sei anni, non è cosa da poco!
Si ricordava che lui e la sorella da quando aveva iniziato a prendere lezioni, erano diventati molto affiatati.
Margaret infatti, al contrario suo, era molto molto timida, riservata e misurata, e Oscar era stato l'unico uomo con cui l'aveva vista parlare spigliatamente e apertamente, ricordava che sua sorella rideva sempre quando c'era lui, quando li guardava da lontano, quando poteva ancora vederla, e se n'era accorta anche lei: quelle erano le rare volte in cui sua sorella sorrideva realmente, senza veli nè falsità.

Oscar era stato l'unico uomo che aveva visto parlare con sua sorella, finchè era partita per conoscere il suo promesso sposo, che Jane non aveva mai incontrato personalmente...
Dalla sua scomparsa comunque, non aveva più avuto sue notizie, se non quando i coniugi Morrinson, i sarti della città, nonchè suoi genitori, si erano trasferiti a Londra e Marianne le aveva rivelato che era riuscito ad entrare in una forza armata molto importante, ma non aveva specificato in quale.

C'era rimasta molto male quando se n'era andato senza dirle niente, aveva solo undici anni, Oscar per lei era stato come il fratello maggiore che non aveva mai avuto. Ma si era consolata pensando che almeno non l'aveva perso per sempre come sua sorella, era partito per avverare il suo sogno, questo però non toglieva il fatto che era arrabbiata con lui per non averle spedito neppure una lettera! Comunque, si diceva, avrà avuto i suoi motivi.

Credeva che con sua sorella, prima che succedesse quel che era successo, sicuramente si era confidato sul suo desiderio di partire per lavorare nell'armata britannica.
"Non ci vediamo da..." Jane non riuscì a concludere la frase per non ricordare, anche se lo faceva ogni giorno. In quel momento semplicemente non le andava di pronunciare la parola 'morte' a fianco del nome di Margaret.

"Già..." le sorrise dolcemente e calorosamente.
Non si vedevano dal funerale di Margaret! Lui era sparito, letteralmente.
E ora così...inspiegabilmente e casualmente si rincontravano lì.

Ma... un momento! Cosa ci faceva lui in casa dell'energumeno?
Si voltò immediatamente verso William, e si accorse che la stava fissando con quelle iridi acquose e quel suo brutto mezzo sorriso sulle labbra.
Aprì bocca per parlare, ma non riuscì a dire niente, non sapeva realmente cosa dire così la richiuse.
Nessuno parlava, così ci pensò Oscar a sbrogliare l'atmosfera rigida venutasi a creare.
"Will non sapevo conoscessi questa birbante brillante! Non me ne hai mai parlato nelle lettere!" Dal tono amichevole, troppo amichele, con cui si rivolse a mr. Cafone, capì che i due dovevano essere in confidenza, molto in confidenza.
Stop! Il suo buon vecchio Oscar, così pacato e ragionevole, non poteva essere amico di quel tipo! No! Ci doveva essere una spiegazione logica, magari era lì solo per qualche affare, o forse per giocare a carte, per passare il tempo...
Giocare a carte?! Quale motivazione più stupida poteva darsi per giustificare quei comportamenti tanto confidenziali? Aveva parlato anche di lettere!

"Forse perchè non era cosa che meritasse attenzione o importanza."
Disse l'uomo guardandola con sfacciataggine e strafottenza troppo tipiche di lui, mentre pronunciava quella spudoratezza.

La risposta irruenta di Jane non tardò ad arrivare.
"O forse perchè si vergognava di confessare tutte le prepotenze attuate." Borbottò la giovane.
William le lanciò un'occhiataccia infuocata, si stava arrabbiando!
Ah, e così gli bruciava il fatto che le sue efferate azioni venissero svelate! Che tipo! Piuttosto di vergognarsi delle azioni stesse! O forse era arrabbiato in quanto, abituato a certe donne 'obbedienti', secondo lui non avrebbe dovuto osare rispondergli e contraddirlo così genuinamente?
Pover'uomo, pensò Jane, il suo alto ego e orgoglio di maschio stanno iniziando a scarseggiare!

Sul serio, possibile che fosse così poco abituato ad essere confutato?
Dalle donne sicuramente...
"E quindi voi due vi conoscete!" Cambiò discorso Oscar, consapevole di cosa sarebbe potuto succedere di lì a poco se non fosse intervenuto.
"Sfortunatamente." Sussurrò tra sè e sè la giovane, con le braccia incrociate sul petto, guardando il pavimento ma, fortunatamente o disgraziatamente, nessuno la sentì.
"E tu, Morrinson, come conosci questa bisbetica, indisponente e irrispettosa ragazzina?" Chiese William a Oscar come se Jane non si trovasse solo a pochi passi da lui, con in volto una gran maschera di indifferenza, come se saperlo o meno non gli avrebbe cambiato nulla, ed in effetti era così.
Jane stava rielaborando la definizione che le aveva affibbiato 'Bisbetica indisponente irrispettosa', ma stava parlando di lei o di lui?
Come si permetteva a screditarla così davanti ad Oscar?!
Alzò lo sguardo furibondo sull'uomo senza un briciolo d'esitazione.
"Già, vorrei sapere anch'io come puoi chiamare Will questo troglodita maniaco egocentrico idiota, stolto e ancora stolto!"
Jane ora guardava Morrinson ora Stevens indifferentemente, fino a quando non la vide: una scintilla, un lampo, una scossa, aleggiavano, cadevano, si schiantavano negli occhi di William, così brutale, così animalesco, così arrabbiato.
Oh, era arrabbiato, e non tentava neppure di tenerlo nascosto.

Jane provò una certa soddisfazione nel vederlo così, come sempre. Sicuramente, pensò Jane, in quel momento stava pensando a quanto fosse calpestato così indignitosamente il suo onore, da una donna poi!
L'aveva insultato parecchie volte, ma in 'privato', farlo davanti ad un suo amico...
Chissà quali possibili torture e vendette gli stavano passando ora per la testa! Glielo si leggeva negli occhi, non doveva farlo, non doveva dirlo.
Ma l'aveva detto.
E non se ne pentiva.
All'improvviso, prima che se ne accorgesse, William le fu davanti con un'espressione non molto benevola e cordiale, se vogliamo minimizzarla così tanto per non dire che Jane per un attimo davvero pensò che volesse alzarle le mani addosso, per più di un attimo anzi, e se così fosse stato non si sarebbe di certo tirata indietro, non sarebbe di certo scappata solo perchè aveva espresso il suo parere sulla personalità distorta di quell'uomo.
Potrebbe sembrare irrilevante ma affrontarlo così, a testa alta e pugni stretti, era come non rinnegare la sua persona, non tradire le altre persone, con i suoi stessi ideali, bramante dei diritti che anche lei voleva raggiungere.
Restarono così per un po', uno di fronte all'altra, quando il corpo di Oscar scattò imperturbabilmente vicino a quello della giovane.
"Suvvia Stevens! Sei sempre stato un gentiluomo! Non ti ho mai visto alzare le mani su una donzella, vuoi farlo adesso, in casa tua, con il tuo ospite più caro e gradevole, amico della tua dolce donna invitata?"
Sì, Oscar aveva sempre avuto questa enfasi, questo gran sarcasmo nel dire le cose, nell'essere pacificatore di situazioni irreparabili, riparabili solo da lui.
William sbuffò "Ma questa non è una donna, è un maschiaccio travestito da nobildonna!"
A Oscar scappò una risatina, che naturalmente fu captata da Jane che naturalmente lo trucidò con lo sguardo.

Oscar conosceva meglio di chiunque altro la sua indole affatto femminile, impulsiva, coraggiosa, non per niente era stato lui a insegnarle ad andare a cavallo, ma Jane non aveva nessuna intenzione di darla vinta a mr.Cafone e quindi Oscar non doveva in nessun modo, per nessuna ragione, dargli ragione o dirgli perchè si conoscevano.
"Vedo che andate d'accordo eh Will, non ti ho mai visto discutere con qualcuno per più di trenta secondi dall'alto delle tue convinzioni, e per di più dare del tu ad una donna..." disse Oscar guardando il diretto interessato, che ora aveva di nuovo sul volto stampato il suo disinteressamento totale.
"Ti ho già detto che lei non è una donna, solo un maschiaccio mal cresciuto!" Ribattè l'uomo con tale freddezza che per poco Jane non credette davvero di essere una mocciosa mal cresciuta.
Ma sul serio! Chi si credeva di essere lui?! Che ne sapeva di lei?!
Ad offendere e giudicare così una persona e poi, seppur ti stia anticipata, non dovresti esagerare.
Non che lei ne avesse dette di migliori, ma ora lui doveva darsi una calmata oppure avrebbe trovato pane per i suoi denti! Eppure sapeva che stava generando una guerra infinita con lei, cosa ne avrebbe tratto? Divertimento? Intrattenimento?
Avrebbe potuto vantarsi con se stesso di aver sopraffatto forse l'unico essere di sesso femminile che non gli cascasse ai piedi? O non lo venerasse ogni secondo della giornata? O non arrossisse per ogni stupido sguardo malizioso che aveva come unico obiettivo fargli sentire l'effetto che aveva sulle donne e quindi aumentasse il suo ego?!
Era questo il problema? Una questione di futile e inutile orgoglio maschile?
Che per far rafforzare il suo di orgoglio dovesse distruggere quello di lei?

Provò a dargli una risposta definitiva per quella perduta discussione che le stava facendo perdere già troppo tempo, per poi andarsene e tornare a 'casa' dove già immaginava sua madre pronta ad accoglierla e spillarle tutti i dettagli e i particolari di quell'incontro insensato.
Provò a rispondergli, ma qualcuno la anticipò, qualcuno che Jane si accorse essere molto ma molto divertito dalla situazione e da quello scambio raro di insulti e provocazioni.
"Mi meraviglio di te! William Stevens l'inarrivabile tentatore che discute e maltratta così una donna! Questo evento andrebbe immortalato, i nostri colleghi non ci crederebbero mai!"
"Smettila di scherzare Morrinson!" Proferì un po' troppo seriamente William.
Oscar ridacchiò, mentre Jane si voltò verso di lui, avendo ascoltato con molta attenzione le prime parole e non le ultime.
Inarrivabile? Ma se questo di inarrivabile ha solo lo scarso funzionanento del cervello, certo, la sua stupidità è inarrivabile anche per gli asini!
Stava per rispondere quando la sua mente si ricollegò improvisamente alle ultime parole di Oscar.
"Aspetta un attimo, hai detto colleghi?!" Urlò con una faccia più che sconvolta la giovane.
"Tu hai fatto il soldato con lui!" Disse indicando William, mentre Oscar stava cercando di trattenersi dal ridere, oltre che per quella reazione esagerata, anche per ciò che aveva detto. Soldato?
"Non il soldato, il capitano in marina." Jane fece una smorfia.
Aveva sperato fino all'ultimo che le sue supposizioni fossero solo semplici supposizioni e invece... uno tanto educato, gentile e avvenente come Oscar Morrinson era davvero capace di essere amico di un celebrato cafone prepotente.
Non trovava niente che potesse accomunare i due se non l'eccessiva bellezza, doveva ammetterlo!

"Allora Morrinson? Come fai a conoscere questa... Impertinente?" Questa volta fu William a parlare.
Ah! Ora a 'Bisbetica indisponente irrispettosa' si aggiungeva anche 'Impertinente'!
Però per non sopportarla era piuttosto curioso...

"Perchè..."
"Non sono affari che ti competono o ti riguardino!" Jane fermò subito Oscar mettendosi le mani sui fianchi.
La rabbia di William era molto, molto palpabile, i suoi occhi parlavano chiaro: aveva esagerato, oh sì che aveva esagerato, e ora lui voleva fargliela pagare, pagare cara, in qualche modo si sarebbe vendicato. Ma per ora poteva stare tranquilla, c'era anche Oscar, non le avrebbe fatto niente, per ora.
E, paradossalmente a ciò che vedeva davanti a lei, sentì la risata fragorosa di un Morrinson molto divertito dalla situazione evidentemente, proprio dietro di lei.
"Sei sempre stata coraggiosa e sfrontata piccola Lewis, ma non mi ricordavo così tanto!"
Oscar non credeva sul serio ai propri occhi, non solo perchè era abituato a vedere tutte le donne cadere ai piedi dell'amico, ma anche perchè anche lui era incredulo davanti alla schiettezza della giovane, ancor più perchè lei era molto più piccola di William.

L'unica cosa che riuscì a pensare era a quanto sarebbe stata orgogliosa Margaret di lei, proprio come la sorella anche lei era molto coraggiosa, con la differenza che Jane il suo coraggio non aveva paura a esternarlo e a scagliarlo contro chiunque, persino un uomo, trentenne, potente, ricco, famoso, venerato come un dio e fisicamente venti volte più forte di lei.
Conoscendo la madre poi, la doveva star facendo uscire fuori di testa, forse pensava che fra qualche anno tutta la forza e sfacciataggine della figlia sarebbe scomparsa, povera ingenua, l'indole di una persona puoi provare a cambiarla o frenare quanto vuoi ma prima o poi questa riaffiora sempre e più forte di prima.

Guardò prima lei poi lui, dai loro sguardi infuocati si capiva benissimo che tra loro non scorreva buon sangue, in effetti William non era mai stato incline agli indocili e ai disobbedienti, ancor peggio se si trattava di una donna.
"Porto le valigie in camera e non preoccuparti, mi faccio indicare la strada da una cameriera così voi potete...parlare." disse liquidandoli e fermando la loro guerra aerea di ghiaccio e fuoco.
Jane notò le valigie ai piedi di Oscar che prima di allora non aveva visto.
Aveva detto proprio portare in camera?
Che Oscar non fosse solo un semplice amico, ma un così caro amico che il troglodita acconsentisse ad ospitarlo?
No, no, no, non puoi farmi questo! Non puoi lasciarmi qui con questo diavolo da sola.
Oscar scomparve dietro la scala che portava al piano di sopra prima che lei potesse chiedergli qualunque cosa.
Jane si rigirò verso William che ora la guardava ghignando sadico.
Ora sì che c'era d'aver paura, quando faceva quello sguardo oramai aveva imparato che non ne sarebbe uscito nulla di buono.
Anche se poi ne fosse uscita ancora intatta, sapeva che la vendetta dell'uomo si sarebbe prolungata e fatta sempre più amara. Lui oltre ad essere un ossessionato cinico e sadico, non dimanticava, nulla, mai.

Jane indugiò un po' poi scelse la strada più facile: andarsene. Senza aggiungere neanche una parola si ricompose e, a testa alta, schiena ritta e portamento altezzoso gli passò accanto senza degnarlo di uno sguardo, diritta verso il suo obiettivo, la porta.
William continuò a ghignare, davvero lei credeva di andarsene così?
Certo, ne aveva di impudenza e temerarietà specialmente per la sua età, passare davanti ad un uomo, in casa sua, senza abbassare la testa e quindi senza dimostrare la sua l'inferiorità e disciplina e anzi, far finta che non esista, ma davvero pensava che lui l'avrebbe lasciata andare via così facilmente? Eh no, ormai era sulla sua lista nera, e l'aveva voluto lei. Solo lei.
E infatti...la giovane si sentì afferrare un braccio. Sarebbe dovuta essere più veloce, dannazione! La salvezza era ad un solo passo da lei.
Strizzò gli occhi chiudendoli, prese un gran respiro preparandosi mentalmente a ciò che stava per accadere, anche se non sapeva affatto ciò che stava per accadere. Ovviamente nulla di bello.
Poi si voltò di scatto fissando e impuntando bene i suoi occhi in quelli sogghignanti di lui, lo guardò più stizzita che potè per fargli capire la sua irritazione, ma ovviamente non servì a niente: a William Henry Stevens non fregava nulla della sua irritazione.
"Che fai? Scappi adesso?"
La giovane strattonò in malo modo il braccio per liberarsi dalla presa e ci riuscì.
"Quando si scappa è perchè si ha paura di qualcosa o di qualcuno. E di chi dovrei aver paura io adesso? Di te? Un pallone gonfiato che crede di essere sopra tutti?!" Sorrise derisoria punzecchiandolo di proposito.
Stava iniziando a giocare troppo con il fuoco, e soprattutto con il gelo dei suoi occhi, ma non poteva, non riusciva a starsene zitta davanti alla sua arroganza, le sue labbra si schiudevano prima che potesse ragionare.
"Ti ricordo che è stato questo pallone gonfiato a salvarti in quel bordello. Dovresti mostrarmi più riconoscenza e meno sdegno, ragazzina." Disse con tono fermo William.
La giovane ci pensò un attimo su, certo che a parole non lo batteva nessuno, era proprio bravo a girare la frittata. Il problema era che non poteva dire il contrario dei fatti, perchè quel tipo, le costava ammetterlo, ne faceva anche di fatti.
E il suo punto debole? Dov'era il suo punto debole?
"Nessuno ti ha chiesto di salvarmi e, come ti ho già detto, sei stato tu a portarmi in quel posto schifoso quindi hai fatto solo il tuo dovere!" Disse la giovane tutto d'un fiato.
"Una vera ingrata!" Asserì William corrugando la fronte e guardandola male.
"Invece di ricordare solo le tue azioni positive soldato, dovresti iniziare a fare mente locale anche delle tue azioni maligne. Sai, non ti ho mai sentito parlare così tanto di quelle, su cui invece dovresti riflettere di più invece di auto-lodarti, lascia che siano gli altri a farlo. Sii più umile." Proferì la giovane increspando le labbra nel sorriso più falso che riuscì a fare.
Incrociò le braccia al petto impuntandosi in attesa della risposta velenosa che stranamente non arrivò, perciò decise di approfittarne per fare quello per cui era stata interrotta poco prima ma, appena fece un passo in avanti l'uomo le si piazzò di fronte a mo' di sfida. Quando sarebbe finita?
Maledizione! Come avrebbe voluto aver dei super muscoli per sfasciargli la mandibola e farla finita!
Troppi istinti violenti.
Inspirò ed espirò profondamente.
"Okay, cosa diavolo vuoi?" Gli chiese.
William sorrise, un sorriso che a Jane non era nuovo, un sorriso che l'allertava su cosa stava per stuzzicarla o forse peggio.
S'avvicinò a lei che d'istinto indietreggiò, no no lei non doveva scappare! Eppure perchè il suo corpo ragionava da sè, possibile che anche i suoi nervi percepissero la pericolosità di quell'uomo?

William fece altri passi verso di lei, che ancora ne fece altrettanti indietro sotto lo sguardo divertito di lui. Assurdo! Sicuramente stava pensando che lei davvero lo temesse, almeno da un punto di vista fisico, il che era vero, ma se si fosse trattato solo di quello Jane non avrebbe avuto alcuna paura ad affrontarlo, il fatto era che la sua testa per un qualche motivo ignoto le diceva di allontanarsi e andare via.
William continuò ad avanzare, Jane ad indietreggiare finchè non si ritrovò con le spalle al muro.
Si guardò dietro, eh sì! Non aveva più vie di scampo. Ma che stava facendo? Sembrava una ladra colta in fallo spaventata e impaurita.
Vedendola ad ormai pochi centimetri da lei, pensò a come fare per andarsene. Dannazione! Ma dove erano finite tutte le cameriere e quando tornava Oscar?!
"Allora cosa vuoi?" Ripetè mentre il sorrisetto di William si diventava sempre più malefico.
Avvicinò pian piano il suo viso all'orecchio di Jane e appoggiò una mano sul muro al lato della testa della giovane.
"Io te lo direi anche" le sussurrò "ma poi preparati ad avere le labbra martoriate di sangue e morsi."
Jane sgranò gli occhi incredula, mentre la sua faccia prendeva d'un colpo mille sfumature di rosso.
Chiuse gli occhi, li riaprì d'improvviso e lo spintonò, ma ovviamente non riuscì a spostarlo di un millimetro.
"Spudorato e irrispettoso! Ma per chi mi hai presa?! Per una delle tue donnacce?! Se ti vuoi divertire cercati qualcun'altra ben disposta a mostrarti le sue grazie, ma smettila di far perder tempo a me, già sono venuta fin qui per niente, ora osi anche prendermi in giro?!"
Jane lo disse tutto d'un fiato nella speranza che una volta per tutte le sue parole passassero per il cervello dell'energumeno che la stava sovrastando davanti a lei e non venissero espulse prima di entrare nelle orecchie.
Ma quando William Henry Stevens l'aveva ascoltata?
Solo a ripensare al giorno in cui si erano incontrati!
Maledetto quel giorno! Maledetto il destino! Maledetta lei che era uscita fuori quella splendida e isolata terrazza per non sentirsi oppressa!
Ma oramai era successo, l'aveva incontrato e non riusciva più a liberarsene, sembrava che la sua vita ora avesse un nuovo scopo: cercare di evitare William Stevens il più possibile e, semmai non ci riuscisse, prendere il troglodita come una prova per misurare e rafforzare la sua pazienza. Pazienza?! In lei era inesistente, come faceva a migliorarsi in qualcosa se questo qualcosa neppure c'era! Forse era proprio questo che la distingueva da tutte le altre sue coetanee: la mancanza di pazienza e, soprattutto, di omertà.

"Stai pure tranquilla, non toccherei mai le labbra di una ragazzina insolente se non per chiudergliele definitivamente!" Disse William non smuovendosi nè dalla sua posizione fisica nè da quella mentale.
Oh! Lo stava facendo apposta! Voleva che lei s'intoppasse, sbagliasse, ma Jane si costrinse a mantenere i nervi saldi e lo sguardo alto e fermo, si può lottare e vincere in tanti modi, anche con gli attegiamenti resistenti.
Infatti le parve per un attimo di vedere la sorpresa passare negli occhi di William: si aspettava sicuramente che perdesse le staffe. Ma stavolta no, non sarebbe stata sfogo del divertimento di quell'essere, anzi proprio il contrario.

"Non toccheresti mai, dici? Ti sei dimenticato di quando hai ingiuriato queste stesse labbra con le tue, impudicamente e oscenamente. Dimmi, hai qualche vuoto di memoria o forse vuoi riconsiderarti innocente, onesto e con un po' di morale, in te del tutto mancante, per tutte le povere donne che hai perseguitato e con cui ti sei relazionato in modo peccaminoso, perchè per la prima possibilità non avrei niente da ridire, solo da commiserare, ma per la seconda, mi dispiace dirtelo, il tuo scopo è vano, eri e rimarrai sempre un diavolo indecente e depravato. RIPROVEVOLE!" Marcò bene l'ultima parola la giovane con lo sguardo ancora fisso su di lui che non si decideva a spostarsi o perlomeno vendicarsi, picchiarla, dare qualche segnale.

All'improvviso William si staccò e allontanò di poco da lei, ma Jane si sentiva ancora nella trappola del ragno, difficile che il ragno però abbandonasse la sua preda, anche se questi, al contrario delle farfalle, ne hanno di pazienza. Filano e filano, aspettando giorni, mesi, anni, che la loro preda caschi nella trappola e, quando succede, nonostante vedano come la farfalla non si arrenda, continui a dibattersi per riavere la propria libertà, a loro non importa, hanno aspettato fin troppo per torturare e gustarsi lentamente la loro preda.
"Questi non sono affatto affari tuoi." Disse William in modo curiosamente calmo.
"No! Hai ragione, della tua superficiale vita privata non m'importa nulla! Ma, dal momento che offendi me e tutti gli individui femminili come me, credendoci oggetti da usare, buttare e offendere o intrattenersi e non la smetti di infastidirmi perchè sei uno stupido fanciulletto viziato, egoista, arrogante ed estremamente prepotente, mi riguarda eccome!"
Ah! Maledizione! E questo voleva dire mantenersi calma? Stava cadendo volontariamente nella ragnatela, per cosa poi?
Voleva far capire al ragno che lei non era una stupida preda, eppure comportandosi così lo stava invogliando a catturarla ancor di più.

Writer's corner
Ciaoo! Dopo tanto tempo sono riuscita a riprendere finalmente la storia. Mi dispiace per averci messo tanto, ma sfortunatamente nell'ultimo periodo ho avuto e continuo ad avere qualche problema personale ma, dal momento che ci tengo davvero a questa storia, sto cercando e cercherò di continuarla il prima possibile. Certamente non riuscirò più ad aggiornare come prima e ne sono molto dispiaciuta.
Ora bando alle ciance, sto già scrivendo il prossimo capitolo che sarà molto movimentato e se ne vedranno delle belle e ovviamente sarà il continuo di questo. Come sempre grazie a tutti quelli che seguono, preferiscono e ricordano la storia!
P.s. Sto pensando ad un video per la storia, spero di riuscire a farlo dato che non vado molto d'accordo con la tecnologia!
Alla prossima! :)

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Capitolo 20
*** 20.IL RAGNO E LA FARFALLA- Seconda parte ***


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L'Amore è un demone.
L'Amore è una grave malattia mentale.
L'Amore desidera qualcosa di cui ha bisogno ma che non ha.
L'Amore è un demone. Un demone senza ali.{PLATONE, Simposio}

Voleva far capire al ragno che lei non era una stupida preda, eppure comportandosi così lo stava invogliando a catturarla ancor di più.
E infatti se i ragni avessero faccia umana, ora starebbero facendo proprio la stessa espressione sadica, cinica e falsamente sorridente che ti invoca a scappare, che ora era stampata proprio sul viso di mr. Cafone.

"Prepotente dici?" Sussurrò lui con un'espressione indecifrabile sul viso, sembrava così calmo e allo stesso tempo scoppiettante di rabbia. Quell'uomo davvero era incomprensibile e...impenetrabile.
Sì, quello era l'aggettivo che più gli si appropriava. Rimaneva nascosto nella sua ragnatela, il ragno.

Quando sentì un rumore, proprio al lato della sua testa, sobbalzò di colpo, si voltò a guardare il pugno dell'uomo perfettamente incastonato nel muro sgretolato, e poi di nuovo l'uomo. Era impazzito?
Oh no, forse soffriva di qualche disturbo mentale ancora non scoperto. Aveva letto molti libri a riguardo, con la contrarietà e il dissenso di Lydia certamente. La libreria in casa Lewis era davvero immensa! Peccato che tutti quei libri non venissero aperti e sfogliati da un bel po', alcuni di quelli appartenevano addirittura al suo trisnonno.
Jane guardò a destra, poi a sinistra, ancora incastrata al muro non poteva far altro che affrontarlo a viso aperto.
"Ma sei impazzito?! A me non importa nulla dei danni che procuri ai muri di casa tua, ma ci sono io in mezzo!" Disse isterica lei ma lui non si scompose affatto.
"Ciò che ho appena fatto non giunge nemmeno alla metà dell'essere prepotente, ragazzina. Se non sai ciò che dici, faresti meglio a star zitta. Quale altro uomo ora non ti prenderebbe a schiaffi? Ti permetti di parlare così solo perchè sei ancora sotto la protezione e la tutela di tuo padre! Parli di superficialità ma sei tu la prima superficiale! Offendi e stuzzichi come non ho mai visto fare a nessun'altra donna. Cosa ne vuoi sapere tu di me?"

La giovane strinse i pugni.
Ora faceva la vittima?! È vero: non conosceva il suo passato o i particolari della sua vita e neppure le interessavano, ma dalla prima volta che l'aveva incontrato aveva ben dimostrato le sue 'acerrime qualità'.
Infondo una persona si giudica dal presente, non dal passato, anche se il passato è importante per capire le radici e le cause del presente.

"So più di quanto credi, basta osservarti per capire a che razza di uomo appartieni: a quello che vede le donne solo come esseri inferiori e sottomesse a tutti i suoi voleri e alla sua bellezza, non puoi darmi della superficiale solo perchè invece di stare in silenzio rispondo alle tue umiliazioni e invece di guardare il tuo bel faccino guardo i tuoi ragionamenti, alquanto insensati!
Non puoi avere tutto sotto controllo, io non sono un oggetto soltanto perchè altre dame decidono di farsi trattare come tali da te!" Prese un gran respiro e si portò le braccia al petto"Ma un po' ti capisco sai, anzi ti compatisco, infondo un bambino limitato e viziato come te non può far altro che rimanere nei suoi stupidi preconcetti, abituato com'è ai vizi e alle frivolezze."
Dio! Gliel'aveva detto, aveva detto ciò che l'avrebbe sicuramente mandata all'altro mondo ma non se ne pentiva, anzi si compiaceva dell'irrigidimento della mascella dell'uomo, di come i suoi muscoli si fossero tesi, erano dettagli, ma se c'era una cosa che quell'uomo non riusciva proprio a mascherare era la rabbia.

Lei però voleva saperlo, non gliene sarebbe dovuto importare nulla, eppure voleva scoprire perchè la mente di quell'uomo percepisse le donne solo come esseri destinati al piacere e allo svago, era solo il risultato di una dura e superba educazione o sotto c'era altro?
Jane scosse la testa, ma cosa andava a pensare? Quel troglodita e la sua testa contorta non erano affari suoi! Non doveva mica diventare la sua psichiatra, eppure sentiva questa forte curiosità, che aveva per tutte le cose egualmente intricate e ardue.

Jane quasi si spaventò quando vide gli occhi di lui cambiare colore, sì, proprio cambiare colore, diventando sempre più glaciali, e chiudendosi in due fessure.
"Ragazzina, ti ho sopportato abbastanza." Jane trasalì un attimo.
"All'inizio volevo solo vedere come sarebbe stato giocare con una sgarbata e impertinente donnetta come te, devo ammettere che ne hai di coraggio! Schiaffeggiarmi, sfidarmi, rompermi quasi il setto nasale senza scusarti... Pensavo che prima o poi avresti ceduto a me, e invece nonostante ti abbia salvata quella sera resti un'ingrata e un'indifferente. Mi sono stancato di giocare con una ragazzina che crede di poter essere una paladina della giustizia e dell'uguaglianza con i suoi inutili ideali femministi in un mondo dominato dagli uomini. Dovresti rinunciare, hai solo diciassette anni, cosa ne vuoi capire tu di come gira il mondo? Io rimarrò sempre più forte di te da un punto di vista fisico e tu, anche se cavalchi benino, non potrai mai raggiungere i livelli di un maschio professionista."
William la guardò fisso negli occhi con il suo comportamento impassibile e fastidioso.
Un attimo prima era su tutte le furie e quello dopo così calmo.
Jane avrebbe voluto sapere come faceva a controllare così tanto le sue emozioni.
In quel momento, ad esempio, lei avrebbe voluto alzare il divano dietro di lui e romperglielo in testa con un certo ardore e senza nessuna pietà, e l'avrebbe anche fatto se solo avesse avuto quella maledetta forza fisica mancante!

Rabbia.
Disprezzo.
Odio.
Un sentimento che fino a quando aveva incontrato lui conosceva poco.
Perchè agli altri lei riusciva a dedicare solo indifferenza.
Ma con lui no. Con lui l'odio usciva così spontaneamente, straripava.
Davvero odiava, Odiava il modo in cui lui le diceva quelle cose con tanta tranquillità, con tanta sicurezza, con tanta arroganza.
Era come se volesse sbatterle la realtà in faccia per il puro gusto di vederla crollare, di vedere come pian piano tutto ciò in cui lei credeva si sarebbe sgretolato.
Ma Jane non l'avrebbe mai permesso, perchè se c'era una cosa in cui credeva e avrebbe sempre creduto era la sua determinazione.
"Se io cavalco benino, tu allora sei un'incapace, premesso che lo sei in qualsiasi caso, il punto è che magari tu puoi anche aver visto come funziana, il mondo, ma se avendolo fatto ragioni ancora in questo modo così arretrato, preferisco rimanere un'incoscente o ciò che vuoi!"
Detto ciò, prese a fissare le braccia dell'uomo contratte ai lati della sua testa, lo sguardo si posò poi quasi involontariamente sulle larghe e possenti spalle all'altezza della sua faccia, braccia e spalle da cui non poteva sfuggire.
Sentendo la risata derisoria dell'uomo alzò lo sguardo su di lui.
"Ma dai, ragazzina, dici che sono un incapace eppure ora stai pensando ad un modo per sfuggirmi. Pensi di scappare dopo avermi insultato davanti ad un mio amico in tal modo? Se lo stai facendo non mi consideri tanto incapace, inoltre ti consiglio di rassegnarti, sono molto più forte e veloce di te, non puoi scappare a meno che..."
E qui un ghigno sbieco gli increspò le labbra.
Jane lo guardò male, tutto ciò non voleva dire nulla di buono.
"A meno che?"
"A meno che tu avverando un mio desiderio non mi induca a desiderare di lasciarti andare..."
"Fammi indovinare! Un bel calcio negli stinchi potrebbe indurti a tal desiderio?" Disse acidamente sorridendogli falsamente, poi si morse la lingua.
Dannazione! Non riusciva proprio a chiudersi la bocca! Se fosse andata avanti così, qualcuno non sarebbe uscito vivo da lì dentro.
"Inizio ad odiare anche questo tuo sadico sarcasmo, ragazzina." Ricambiò il sorriso falso lui.
"Non potrei sperar di meglio." Gli rispose sincera la giovane incrociando le braccia sul petto.
William s'innervosì ancora di più.
"Dato che hai detto così, ora per avere via libera dovrai far in modo che io non ti odi più."
William le sorrise maliziosamente.
Le cose stavano prendendo una brutta piega!
Jane iniziò a sudare freddo, che diavolo voleva?

"Non vorrai mica qualcosa di indecente, anche se il tuo essere un maniaco pervertito non sarebbe una novità e ormai non mi meraviglio più di nulla. E, dal momento che sei osceno e anche coerente come un ateo che va in chiesa, scommetto che vorresti ciò che prima hai screditato più della morte, cioè le mie labbra. O sbaglio, soldatino immorale?"
Jane alzò un sopracciglio scettica. Non sapeva perchè ma non credeva che l'uomo volesse chiederle sul serio una cosa del genere, ma nell'imprevedibilità che accadesse sul serio gli stava anticipando lo squallore della sua proposta.
William scoppiò a ridere, ma durò ben poco.
"Ma per chi mi hai preso, ragazzina? Di labbra ne ho a disposizione quante ne voglio e anche assai migliori delle tue! E poi..." si fermò per scrutare bene la giovane che stranamente ancora non dava segnali di vita, era davvero concentrata a guardarlo male e ad ascoltarlo bene "E poi io i baci me li prendo."
Jane non credeva alle sue orecchie!
Arrogante! Ma chi si crede di essere?!

William sorrise mentalmente nel vedere l'espressione allibita della giovane ed avvicinò lentamente il suo viso a quello di lei.
Jane lo fissò ferma e deglutì, sicuramente la stava ancora prendendo in giro, se ora lei avesse reagito in malo modo avrebbe solo incoraggiato il suo divertimento.
Tranquilla, Jane, quando vedrà che tu non reagisci il suo viso si allontanerà di nuovo come una molla. Si disse.

Ma William la stava ancora inchiodando con il solo sguardo e i bellissimi e forti lineamenti di lui le erano sempre più vicini e più chiari. Dannazione!
Aveva davvero un bel viso! Ma la cosa più ipnotizzante in quel momento erano sicuramente i suoi occhi chiari, non le parsero quasi umani quando vide le sue iridi sempre più grandi, glaciali, fredde e, cosa più importante che la fece destare dal suo stato di trance, serie come non aveva mai visto. Il ragno era troppo vicino.

Oh Dio! Faceva sul serio.

Quando ormai le loro labbra erano a pochi centimetri di distanza, Jane d'istinto portò la testa indietro, si ricordò improvvisamente di essere con le spalle al muro, nella trappola del ragno, ma oramai era troppo tardi. Sentì un dolore lancinante alla nuca e imprecò un "Dannazione!" prendendosi a massaggiare ad occhi chiusi la testa nel punto danneggiato.
Quando udì la fragorosa e tagliente risata del troglodita che quasi non si piegava in due per le risate, rimase dapprima sorpresa nel sentire per la prima volta la sua risata, poi quando si rese conto di quanto fosse inopportuna e insensibile le venne voglia di picchiarlo.
"Cosa diavolo c'è da ridere? Che diavolo stavi per fare? Non ero io il maschiaccio?!" Urlò istericamente lei.
Davvero assurdo: prima la insultava come se non ci fosse un domani, diceva che fosse un maschiaccio mal cresciuto, testuali parole, e infine cercava di baciarla!
Quanto era lunatico e incoerente?
"Non ti scaldare tanto ragazzina! Ti stavo solo prendendo in giro, anche se devo ammettere che così sei davvero comica! E poi, a quanto ho potuto vedere, ti piace molto il contatto con il genere maschile."
Ora William le stava sorridendo alludendo sogghignante, Jane non capì all'istante a cosa si riferisse per la sua ambiguità ma, quando comprese la meschinità e l'infamia appena pronunciate, bollì di rabbia e indignazione.
"Quello era solo un abbraccio, partendo dal presupposto che me e il mio rapporto con Oscar non debba interessarti, caro Lord, ti rammento che, mentre quella era solo una innocentissima esternazione d'affetto per una persona non vista per anni, dovresti pensare al tuo di comportamento, non sono io che vado ai ricevimenti per amoreggiare con vedovi o qualsiasi mio ammiratore. Prima di parlare quindi del mio rapporto con il prossimo, ti intimo a guardare il tuo insulso e ipocrita atteggiamento."
Certo che con quell'uomo stava facendo i discorsi più lunghi in vita sua, in più erano anche inutili e inconcludenti a guardare l'espressione divertita di lui.
Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, in più Jane avrebbe scommesso che il sordo in questione era molto fermo sulle sue idee, e che non avrebbe di certo dato conto alle parole di quella che considerava una ragazzina mal cresciuta.
Fatti suoi! Ma non poteva offenderla e insinuare falsità continue sul suo conto.

"Innocentissima esternazione d'affetto eh? Ed 'Oscar', anche questa è una bellissima dimostrazione della tua tenerezza giusto?"
Ancora! Faceva finta di non sentire ancora! Di tutto quel discorso possibile che avesse captato solo la parola 'Oscar'?
Jane si rese appena conto di aver chiamato l'amico per nome, non era mica peccato farlo, ma ciò significava un gran legame affettivo tra loro, specialmente era raro che una donna chiamasse per nome un uomo se non fosse suo fratello, suo padre o suo marito!
"E a te che importa?" Azzardò continuando a sfidarlo con gli occhi. Dio! Non aveva mai guardato con tal disprezzo nessun'altro, e William si era accorto che ormai quella ragazzina scorbutica era irrecuperabile, ma forse era proprio questo che lo intrigava.
Loro continuavano a lanciarsi sguardi infuocati di sfida e occhiate cariche d'odio, se qualcuno in quel momento fosse arrivato o avesse rivolto loro la parola neanche se ne sarebbero accorti, intenti com'erano a quella lotta felina e elettrizzante.

"Ma dov'è che eravamo rimasti?" William con una perfetta maschera di indifferenza sul volto, cambiò come se niente fosse discorso. Com'è che ora tornava al discorso di prima?
La giovane però non provò neppure a chiederglielo, sarebbe stato come sbattere contro un muro.
E poi le conveniva scoprire cosa diavolo volesse e andarsene.
Jane ci pensò, non poteva far nulla per sfuggirgli se non scendere a patti oppure... oppure avrebbe potuto ingannarlo in qualche modo, ma quale modo?
"Avanti, dimmi cosa vuoi, così potrò finalmente andare via." Disse oramai più che seccata da quella situazione ma, per sua sfortuna, le sorprese erano tutt'altro che finite.
"Devi dire che sono migliore di te."
Jane sgranò gli occhi e sbattè le palpebre un paio di volte, per capire se ciò era reale o dopo la brutta botta fosse svenuta e stesse sognando, ma quegli occhi così compiaciuti e fieri non potevano essere irreali.
"Ho capito male? Hai per caso detto ciò che ho sentito?" Chiese per avere la definitiva conferma.
"Hai sentito benissimo mia cara."
Jane sbuffò poi si lasciò sfuggire una risatina che subito catturò l'attenzione dell'uomo.
"Hai forse qualche problemuccio di autostima, soldatino?"
Con questo si sarebbero spiegate molte cose, almeno avrebbe dato un senso a quel ricatto ma Jane sapeva bene  che dove ci sono arroganza ed egocentrismo ci sono tonnellate di autostima.

William rise "Questa mi è nuova, sono venerato come un dio, ho ottenuto un posto prestigioso ambito da tutti in marina, le donne praticamente mi adorano e si concedono a me come..."
"Basta, non essere più squallido di quanto tu già non sia. Allora, perchè diavolo vuoi che lo dica?" Andò dritta al punto la giovane.
William alzò un sopracciglio "Ci deve per forza essere un motivo?"
"C'è sempre un motivo per tutto." Specialmente per le azioni degli stupidi. Avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne desiderando solo di andarsene al più presto.
"Mmh. Può darsi. Anzi hai ragione, un motivo c'è.
Non hai proprio pensato che voglio metterti l'orgoglio sotto i piedi facendoti ammettere l'amara verità?"
Che bastardo di scimmione! E lo diceva tanto serenamente?
Si trattava solo del suo ego!
Quell'uomo era davvero perfido, aveva perfino ammesso la sua cattiveria.
E poi, era davvero così illuso che lei l'avrebbe detto?
Ancora non aveva capito com'era fatta, bene! L'avrebbe capito una volta per tutte! Lei non sarebbe mai sottostata ad un ricatto del genere.

"E se lo facessi, mi lasceresti andare?" Chiese Jane con finta voce dubbiosa e pensante.
William alzò le sopracciglia, convinto di avere la vittoria in mano.
"Sì, dillo e potrai andare via da questa casa."
"Aspetta, fammici pensare."
La giovane appoggiò un gomito sulla mano dell'altro braccio e l'indice sotto il mento, con aria di chi stava decidendo attentamente sul da farsi.

Di colpo sciolse le braccia e le portò ai lati dei suoi fianchi, strinse i pugni, gli occhi di una combattente e lo sguardo di una leonessa.
"Mai!" Sbottò mentre l'uomo corrugò la fronte sorpreso. "Piuttosto che scendere a patti con un despota prepotente, preferisco rimanere qui fino a domattina, tanto prima o poi ti stancherai o perlomeno arriverà qualcuno a cui dovrai dare molte spiegazioni."

La farfalla continuava a dibattersi, il ragno si stava innervosendo.

William scosse la testa, reprimendo una risata sommessa, quella ragazza gli faceva venire il mal di testa e contorcere le budella.
Una testona così testarda, diretta e irritante.
"Bene." Iniziò William "Vorrà dire che rimarrai qui fin quando qualcuno non arrivirà a salvarti."
Fece uno di quei ghigni che neppure Dio sapeva quanto Jane odiasse.
La giovane digrignò i denti, credeva che in quel modo lui si sarebbe arreso invece era ancora più agguerrito di prima.
"Mi consolerò pensando che non sarò l'unica ad aver perso tutto questo tempo." E non sarò io l'unica a perdere, pensò tra sè e sè ma non lo disse, era chiaro che stavano perdendo entrambi ma nessuno dei due l'avrebbe mai ammesso.
"Chi l'ha detto che questa deve essere una perdita di tempo?" Jane alzò un sopracciglio scettica, che cosa intendeva?
Vide William prendere a fissare la sua spalla destra corrugando la fronte, che cosa c'era?
"Aspetta aspetta. Hai un insetto sulla spalla." Jane provò ad abbassare lo sguardo sulla spalla ma le dita di William la precedettero iniziando a sfiorarle il lembo di pelle scoperto dall'estremità della spalla fino ad arrivare delicate e soffici, al suo collo e poi prendendolo a massaggiare.
S'irrigidì e immobilizzò di colpo.
Che stava facendo?!

"Hai paura?" Sussurrò William con voce roca e calda.
Jane sentì la pelle rizzarsi, dannazione! Perchè uno del genere doveva avere quella voce e doveva essere così sensuale?
Sicuramente quella era un'arma che sfoggiava e utilizzava con tutte le sue prede.
"No!" Gli rispose prontamente, troppo prontamente.
L'uomo sogghignò "No?"
William riprese a fissarle la spalla, sfiorandola e avvicinandosi un po' troppo. La giovane lo lasciò fare pensando che volesse toglierle qualsiasi cosa avesse addosso, così si rilassò un attimo prendendolo a fissare in cerca di spiegazioni con gli occhi, ma quando vide ancora un ghigno sulle sue labbra e poi la testa di lui abbassarsi sulla sua spalla capì cosa stava succedendo ma, per sua sfortuna, William fu un millisecondo più veloce di lei e, quando sentì qualcosa di umido e morbido posarsi sul suo collo, spintonò più che potè la massa di muscoli e, con tutta la forza che potè, lo schiaffeggiò senza dargli tempo di comprendere.

"Come ti permetti eh?!  Stupidissimo dongiovanni da quattro soldi! Non ti voglio rivedere mai più! Sei un barbaro senza pudore!" Urlò a squarciagola la giovane mentre l'uomo si massaggiava la guancia per la potenza del colpo e, approfittando della distanza che era riuscita a mettere spingendo l'uomo preso alla sprovvista, sgattaiolò via sotto gli occhi confusi e allertati delle cameriere che erano appena giunte sentendo le sue urla.
Uscì da quella casa non prima di sentire un "Prima o poi cederai, ragazzina" e la stupidissima e allegra risata dell'uomo che ora sicuramente aveva raggiunto il suo obiettivo: farle raggiungere l'esasperazione.

"È successo qualcosa signore?" Chiese la cameriera a William appena Jane fu fuori da quella casa.
William non rispose, continuava a ridere senza un motivo: lo aveva chiamato proprio barbaro senza pudore! La cosa che lo invocava a ridere ancor di più era che quella impertinente aveva proprio ragione! Insomma, lui non si era mai comportato così con nessuna donna! Il pudore aveva sempre saputo di non averlo, ma essere un barbaro, lui poi che era stato cresciuto e addestrato per essere un burattino perfezionista disciplinato fino allo stremo!

Lo schiaffo gli bruciava ancora, si immaginava che reagisse così, infondo cosa poteva aspettarsi da una che gli aveva espressamente e schiettamente espresso il disprezzo che provava nei suoi confronti? Ma doveva provarci.
Quella ragazzina era intrattabile, diversa. Quale altra donna d'altronde l'avrebbe rifiutato? Anzi, quante donne l'avevano rifiutato prima d'allora?
Nessuna!
Se qualcun'altro gli avesse raccontato ciò che stava accadendo a lui, non ci avrebbe creduto.
Stava provando qualcosa di nuovo, nessuna donna lo aveva mai fatto ridere per poi farlo infuriare tanto così repentinamente.
La maggior parte di quelle che aveva conosciuto erano tutte così piatte, tranquille, eleganti, desiderose di attirare la sua attenzione, silenziose e obbedienti, alquanto noiose. Per la prima volta si rese conto che era quella la vera attrattiva di quella ragazzina, quasi iniziava ad apprezzare tutti i difetti che lui odiava in una donna e che si trovavano tutti in quella ragazza tanto selvaggia.

La stessa ragazza che in quel momento stava tornando a casa attraversando la brughiera a piedi più furiosa che mai, non aveva neppure aspettato una carrozza per la fretta e poi camminando avrebbe preso un po' d'aria e si sarebbe calmata.
Quel pervertito mascalzone arrogante! Ancora gli stava lanciando maledizioni quando a metà strada iniziò a riprendere andatura normale e a placarsi.

Per fortuna l'odore dell'erba e il profumo dei fiori le facevano quell'effetto. Quando sentì uno 'splash' e si accorse che era proprio il lembo del vestito di velluto ad essere finito nella pozzanghera si maledì ancora ad alta voce, sua madre l'avrebbe uccisa se non l'avesse fatto prima lei.
Proprio in quel momento però una bellissima farfalla bianca le passò davanti sbattendo continuamente le ali.

Jane pensò a quanto fosse fortunata lei, così lucente, viva e soprattutto libera e la invidiava, la invidiava così tanto.
Non si accorgeva minimamente di quanto in realtà fosse simile a quell'animale.
Lei però, lo sapeva, non sarebbe mai riuscita a spiccare il volo e a sentirsi completamente libera e leggiadra, così bella. No, lei doveva sottostare alle regole terrene non a quelle celesti.
La farfalla è destinata a volare, vive per essere libera, per vedere più cose che può nella sua breve ma intensa vita, mentre il ragno, il ragno si accontenta della sua insipida e limitata ragnatela, passa la sua vita solo a filare questa e ad aspettare che qualche essere colorato dia un po' di luce alla sua oscura trappola mortale per qualche minuto, prima di essere ingiustamente ucciso per riempire la sua pancia.
Jane si chiese per un attimo se in quei pochi istanti in cui la luce della farfalla imprigionata illuminasse la sua ragnatela, il ragno godesse nel vedere la vita dell'essere scivolare via in quel modo, contraendosi, cercando di liberarsi perdendo lentamente e dolorosamente tutte le forze prima della tragica fine, oppure se il ragno negli stessi istanti pensasse a quanto fosse bella, la farfalla, se si domandasse se fosse più bisognoso sfamarsi o vederla volare di nuovo.

Due esseri così diversi.
Una è la luce, l'altro il buio.
Una l'arcobaleno, l'altro il nero.
Una lo splendore, l'altro lo squallore.
Una l'armonia, l'altro lo squilibrio.
Una la preda, l'altro il predatore.
Ma entrambi con una storia, non so decide se nascere e vivere da ragno o farfalla, l'indole è qualcosa di misterioso, affascinante e in alcuni casi spaventoso.
E allora perchè la natura aveva scelto che fosse il ragno a uccidere, mangiare la farfalla e non il contrario?
Perchè uno vivesse per dare più bellezza al mondo, per la libertà, e l'altro per rubarla questa libertà?
Quella volta però, inspiegabilmente la farfalla era riuscita a fuggire. Come aveva fatto, la farfalla, a scappare dal ragno? Perchè il ragno aveva lasciato che scappasse?
No, in realtà non era riuscita a fuggire, semplicemente il ragno stava attendendo il momento giusto per riacchiapparla e godersela di più. La ragazzina dalla lingua serpentina si era messa in un brutto guaio, e ormai c'era dentro fino al collo. Quella farfalla però era capace di pungere come un'ape.

Writer's corner
Ciao! Inizio col ringraziare le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, alle seguite o alle ricordate. Un grazie speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo! Davvero grazie.
Questo capitolo è molto movimentato, e l'ho voluto movimentare apposta per far sì che Jane e William continuino a scambiarsi pareri differenti, ma soprattutto in questo capitolo si capiscono tratti fondamentali del loro carettere, c'è persino un quasi bacio, quasi mi odio da sola per non averlo portato a conclusione ma le cose che si aspettano e desiderano tanto hanno più gusto quando si ottengono. Ho voluto creare una sorta di paragone malato tra loro e appunto gli animali nel titolo, per sottolineare le differenze caratteriali soprattutto.
E finalmente William prende un po' di consapevolezza di Jane che invece continua sulla sua linea a non sopportarlo, anche se inizia a farle effetto da un punto di vista fisico.
Vi anticipo che nel prossimo ci sarà anche una bella parte di storia dedicata alle donne, a pennello per la festa dedicata a noi.
Detto ciò, alla prossima e un bacio! :*

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Capitolo 21
*** 21.Coraggio ***


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Allora, prima del capitolo stesso, volevo iniziare col ringraziare tutte le persone che continuano ad aggiungere questa storia alle preferite, seguite o ricordate, un grazie speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo: OutOfMyMind, ceccia_96, aurora96, Giovy4578 e from2001.
Sapere il parere di persone che apprezzano la storia, mi fa sempre piacere!
Detto ciò, ci ho messo molto impegno a scrivere questo, particolarmente lungo. Aspetto di sapere quel che ne pensate.

P.S. Tutte le notizie storiche sul suffragio universale qui riportate sono assolutamente vere, in quanto accadute contemporaneamente al periodo della storia narrata.

Buona lettura.

~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~ ~~~

"Stringi, Marianne, stringi!"
Ancora, ancora diceva 'stringi'?!
Ma non la vedeva, sua madre, che stava seriamente rischiando di morire per soffocamento?

"Basta, Marianne, non riesco più a respirare!" Controbattè la giovane esausta.
E poi le chiedevano perchè odiasse tanto quei maledetti bustini e ne avesse quasi la fobia.
"Non ascoltare mia figlia, e continua a stringere. Qualche volta deve pur far risaltare la vita stretta che la natura le ha donato! Tu continua a stringere, Marianne. E tu!" Disse puntando sua figlia.
"Tra quindici minuti devi trovarti giù con quel vestito!" Indicò lo stesso sul letto.
Detto ciò, mrs. Lydia girò i tacchi e uscì con il solito portamento altezzoso dalla stanza.

Jane subito ne approfittò per allargarsi quell'oggetto di satana, contorcendosi e agitandosi come una contorsionista senza risultati.
"Dannazione, Marianne allarga questa tortura!" Sbottò con nonchalance la giovane.
"Ma signorina, avete sentito vostra madre, no? Oggi è anche il suo compleanno, cosa vi costa obbendirle?"

Eh già, il motivo di tutta quell'attenzione per il suo abbigliamento era proprio quello, il quarantottesimo compleanno della madre, l'evento dell'anno in cui mrs. Lydia era più agitata e rompiscatole rispetto agli altri 364 giorni dell'anno.

Aveva assunto trenta cameriere solo per quel giorno e una mini orchestra e invitato nientemeno che cento persone tra duci, conti, nobili e alti funzionari dello stato che venivano da tutta Inghilterra.
Solo a pensarci, a Jane veniva un bruttissimo mal di testa.
Il giorno del compleanno di sua madre era la giornata più lunga dell'anno da diciassette anni della sua vita.
Davvero, sua madre non si concedeva limiti in niente per quel pranzo gigantesco. Infondo il titolo ereditato di conte di Lord Lewis grazie al nonno, che aveva lavorato molti anni al fianco di uno dei bracci destri della vecchia regina, a qualcosa doveva pur servire!

Ci mancava solo qualche domatrice di serpenti ad intrattenere la platea e a Jane ciò non piaceva.
Avere tante persone in casa, molte delle quali sconosciute, altre conosciute appena...
Perchè la madre doveva ingigantire sempre le cose? E soprattutto doveva invitare tanta gente?
Quel giorno doveva essere qualcosa di più intimo, passato tra loro, magari cercando di fare i primi passi per riprendere un dialogo che andasse oltre quel corsetto bianco.

Non cedette e se lo fece allargare, indossò lo scomidissimo vestito blu e, anche se doveva ammettere che quel vestito nuovo in lino e merletto era davvero bellissimo, certamente indosso a lei non sarebbe stato bene e, ovviamente, non era nel suo stile, già s'immaginava a incespicare, inciampare e cadere.

Ovviamente lungo fino ai piedi, con doppio strato di gonna, ringraziò il cielo che non vi dovesse mettere la crinolina al di sotto, dal momento che era già molto pomposo di suo, ornato di perle e cristalli che lo rendevano esageratamente e fastidiosamente vistoso, dietro la schiena, all'altezza della vita c'era un grandissimo fiocco bianco i cui lembi ricadevano morbidi fino alle falde sottostanti della gonna, le maniche invece erano strette e arrivavano appena sopra al gomito e una scollatura non molto ampia che lasciava scoperte le spalle.

Mentre poi Marianne, che era particolarmente concentrata a farle l'acconciatura, premette sbadatamente sulla sua testa una di quelle detestabili mollette affilate per tenerle ben fermi i capelli nello chignon, Jane lanciò un urlo così acuto di dolore che persino qualche invitato già presente al piano inferiore se ne preoccupò.
Quanto poteva odiare quelle feste? Quanto?! Lei che in quel momento poteva stare comoda negli stavaletti di cuoio e nei suoi pantoloni sulla sua Angel!
Inoltre non voleva proprio saperne di truccarsi e Marianne dovette far breccia nella sua coscienza per metterle un po' di rossetto, dicendole che Lydia l'avrebbe sicuramente licenziata se non avesse visto sua figlia ben truccata e sistemata.

Sua madre era davvero subdola! Sapeva bene che con quelle minacce sua figlia non si sarebbe opposta, soprattutto se la cara Marianne doveva mantenere niente di meno che sette tra fratellini e sorelline.

Quando la giovane si decise a scendere tutti gli ospiti erano già arrivati: chi chiacchierava, chi già beveva, chi prendeva qualcosa dal buffet nella gigantesca sala sovrastata da un altrettanto gigantesco lampadario di cristallo.
Attirò subito l'attenzione di tutti i presenti, dando via libera a chiacchiericci e silenzi.
Tutti si erano girati a guardare quella giovane che non aveva nulla da invidiare in bellezza ad una rosa rossa appena sbocciata e fiorita.

E mentre alcune pettegole invidiose e vuote ne iniziavano a dire di tutti i colori sul suo modo di essere, sulla sua camminata, sul capello fuori posto dell'acconciatura, altri la fissavano  ammaliati e sorpresi da cotanta bellezza.
Jane, leggermente in imbarazzo, avendo tutti gli sguardi puntati addosso che ignorò, mentre scendeva facendo attenzione a non inciampare (fortunatamente era riuscita a mettere un paio di stivaletti bassi e non i tacchi), iniziò a dare un'occhiata agli ospiti.

Vide con gran sconcerto che tra di loro c'era il giovane che aveva incontrato anche al matrimonio.
Quel Bernard Campbell, o qualunque fosse il suo nome.
Poi notò, con malcontento, mrs. Loren e, dal momento che c'era lei la madre doveva aver invitato tutta la famiglia, e quindi anche lui, il troglodita.

E infatti, proprio a pochi metri dalla madre lo vide, con indosso una camicia bianca, il tipico panciotto di colore nero che testimoniava la pancia piatta e il fisico perfetto, un paio di pantaloni marroni e una cravatta bianca ben allacciata al collo.
Certo, le sarebbe anche sembrato bello e affascinante, se non avesse conosciuto il suo vero carattere.
Rideva e scherzava con una donna bionda, o no, forse era sua coetanea più piccola, molto molto carina, mentre brindavano chissà a quale diavoleria.

Fu un attimo e i loro occhi si incrociarono. Jane subito distolse lo sguardo prendendo a camminare dritta verso il lunghissimo tavolo del pranzo, rispondendo talvolta a qualche saluto velocemente.
Fin quando.
Fin quando non si sentì stringere completamente l'esile braccio, in una presa morbida ma allo stesso tempo decisa.

"Scommetto che quel grido così poco aggrazziato di prima è uscito dalle tue labbra."
Ed ecco il sorrisetto sbruffone e arrogante far capolino sul suo viso.
Ma come poteva disturbarla in quel modo dopo ciò che era successo il giorno prima!
Il pudore e quell'uomo erano certamente due cose opposte. Come lei e lui, d'altronde.

"Vedo che il segno rosso di ieri non ti è bastato ad imparare l'educazione e la galanteria, soldato, ma non preoccuparti, ho ancora il braccio ben funzionante per infliggertene molti altri e aiutarti nell'impresa." Gli sorrise bieco, esprimendo tutto l'astio che portava dentro.
Jane vide sul bellissimo volto di lui, questo non poteva negarglielo, comparire un sorriso malizioso che subito l'infastidì.
"Io conosco molti altri modi che comportano un tempo molto più breve d'apprendimento, maestrina." Accennò, mentre il viso di lei coloriva dal rosa pallido al rosso porpora.
"Maledetto sfacciato!" Alzò i toni, cercando poi di ricomporsi per non attirare troppo l'attenzione.
"Ma cosa cavolo avrò fatto per avere sul mio capo una tale condanna?!" Chiese più a sè che a lui.
"Ho perso il conto di quante maledizioni mi hai lanciato dal nostro primo incontro, ragazzina." Disse lui, versandosi un bicchiere di champagne e guardandola sottecchi ridendo sotto i baffi per la faccia corrucciata e incavolata della giovane.
Dio! Doveva essere davvero innocente per arrossire per un commento del genere, anche se 'innocente' non le si poteva proprio appropriare, e poi era più che sicuro che quel rossore non fosse lì per imbarazzo, ma per l'ira dell'affronto.

"E fidati che, se continuerai ad importunarmi, ce ne saranno di molte peggiori e non si limiteranno a un 'maledetto'."
L'uomo scoppiò a ridere, una risata amara che di divertente non aveva proprio niente.
"Ti rendi conto che tu, una piccola sciocca, stai cercando e osando minacciare me?" Lo disse che così tanta leggerezza e beffa, che ci mancò poco che sul serio lei perdesse di nuovo le staffe.

Ma si rese conto di star attirando un po' troppo l'attenzione generale, infatti molte donne ma anche uomini li guardavano di soppiatto sorpresi.
Che l'ex capitano capace di stendere milioni di donne fatalmente con una sola occhiatina provasse interesse per la piccola figlia del conte Lewis?

Iniziavano a girare voci del genere da quando molti li avevano visti ballare al famoso matrimonio, ma nessuno ci aveva fatto poi tanto caso: si sapeva che il capitano fosse un amante delle donne e dei loro letti, ciò che faceva un po' battibeccare era il fatto che per la prima volto lo scapolo tanto ambito si interessasse ad una donna tanto giovane dal momento che a lui, e l'aveva anche ammesso davanti ai suoi amici, piacevano le donne mature, in tutti i sensi, e tutti sapevano che da nessuna cercava amicizia o roba del genere, poco sentimento tante lenzuola.
Allora perchè ora parlava con Jane Lewis? Era di certo una delle più belle giovani in età da marito ma tutti i presenti sapevano di quanto fosse intrattabile e ne aveva dato spesso dimostrazione. Le voci giravano in fretta.

Jane cercò di sorridere, nonostante tutti gli sguardi, e gli domandò l'unica cosa che realmente voleva sapere da lui, cercando per la sua salute mentale, di ignorare il discorso precedente.
"Vedo che Oscar non è venuto." Lo guardò seria stavolta, poichè davvero voleva conoscere il perchè di quell'assenza e se voleva tirare qualcosa fuori dalla bocca di quell'uomo doveva andarci cauta e non perdere la pazienza.
Non perdere la pazienza. Sembrava facile a dirsi.

Proprio l'unica persona che le interessava non c'era. Il giorno prima, nonostante l'inconveniente con mr. Cafone, era davvero felice di averlo rivisto.
Aveva anche avvertito la madre che era tornato il grande amico della sorella, sprizzando gioia da tutti i pori, ma invece di vedere anche Lydia, per una volta, sorridere e volenterosa di rivedere come e cosa era diventato il figlio della sarta da cui portava lei e Margaret fin da piccole, Jane l'aveva vista stranamente e palesemente turbata, molto turbata, ma aveva abbandonato quei pensieri, forse era solo la sua immaginazione.

"Ti interessa perchè lui non sia qui, ragazzina?" Jane si accorse dal suo sguardo cosa stesse cercando di insinuare.
"Certo che mi interessa! È un mio amico, e non riesco a capire come faccia ad essere anche tuo." Disse acida, facendolo ridacchiare.
"Non pensi che ci sia troppa differenza..."
"Ehi, amico!" Una testa bionda e un paio di smeraldi malandrini spuntarono da dietro William, andando a circondargli le spalle con un braccio, con fare amichevole e confidenziale.
"Com'è che ancora non ti dai da fare? È a riposo oggi?" Accennò a qualcosa in basso sorridendo beffardo, mentre la giovane diventava rossa per la vergogna e l'allusione che il biondino aveva fatto all'amico. E non ci mise molto a ricordarsi di chi fosse.
Come dei flash in successione veloce, le passarono davanti tutti i momenti che aveva passato in quel posto tanto squallido e degradante, il bordello.

Quello era l'amico del troglodita con cui quest'ultimo era, anche quando l'aveva rincorsa e scoperta  a cavallo, inoltre... le aveva dato anche della stronza!
Per poi dirle che l'adorava. Cosa doveva aspettarsi dagli amici di quel troglodita infondo, tranne che da Oscar ovviamente? Com'è che si chiamava? Gils? Gilbert? No, forse era Gib? O Giod? Doveva mangiare più fosforo, la memoria non era di certo il suo forte.

Ma improvvisamente l'assalì il panico.
Quel tipo sapeva...sapeva chi era lei, e che era stata in un bordello.
Dannazione! Cosa doveva aspettarsi? Che appena l'avesse vista avrebbe spifferato tutto a tutti?!
Si trovò per la millesima volta in quella giornata appena iniziata ad imprecare contro la madre.
Ma fino a dove arrivavano i tentacoli di quella donna?!

Improvvisamente Gils Gilbert o Giod smise di sghignazzare, accorgendosi, come se fino ad allora non fosse stata lì, della ragazza, e sgranò gli occhi.
"Dannato Stevens! Perchè non mi hai detto prima che stavi conversando con questa bellissima, graziosa, magnifica e innocua signorina?" Chiese in tono offesso all'amico.
I farfalloni donnaioli non sono mai troppi.Pensò la giovane.

Ma comunque era palese la differenza d'approccio dei due.
Mentre il troglodita sicuramente non sapeva neanche cosa fosse un complimento utilizzando come arma di seduzione solo la sua bellezza, l'altro sicuramente non si risparmiava nelle lusinghe e nelle adulazioni alle donne.
Chissà quante cascavano nella trappola di quel lusingatore. Che tipo!

"Innanzitutto perchè non c'era bisogno che te lo dicessi dal momento che è qui davanti da non so quanto, e poi perchè non si può definire magnifica, graziosa, bellissima e innocua questa ragazzina, George." Disse William con fare provocatorio.
Ecco come si chiamava, George!
"Sei sempre il solito, Stevens." Rispose l'amico.
"Sempre il solito scimmione primitivo villano e cafone, vorrai dire."
George scoppiò a ridere, mentre l'amico gli mandava un'occhiataccia infuocata davvero spaventosa.
"Mi scuso per i modi, milady. Mi ero scordato di quanto diretta e sincera voi foste. È un piacere come sempre rivedervi." E con questo allungò la mano inchinandosi, per il baciamano.
"Barone George Roberts al vostro servizio, l'ultima volta che ci siamo incontrati non ho badato a presentarmi come si deve e neppure alle formalità, per beh... il luogo in cui ci trovavamo fosse quel che fosse."
Jane rimasta leggermente scossa, per ciò che la rievocazione di quel posto le faceva tornare in mente, andò subito al punto.

"Spero che voi...ecco, non parliate con nessuno di me in quel dannato e poco opportuno luogo di ritrovo... voi non sapete che sono stata lì, dimenticatevelo, e non ne riferite parola a nessuno, oppure" e lo guardò con uno sguardo che di amichevole non aveva proprio nulla "non mi tratterrò dal dire in che modo voi vi intrattenete in alcuni pomeriggi, credo nell'ombra della vostra famiglia. Non so se mi sono fatta intendere bene..."
George rivolse un'occhiata sconcertata all'amico in cerca di aiuto o comprensione, ma in tutta risposta William scoppiò a ridere senza trattenersi.

"Allora? Patti chiari, amicizia lunga, Lord Roberts."
"Siete stata cristallina, miss. Lewis."
Poi si rivolse a William.
"Hai ragione, amico, la ragazza di innocuo non ha proprio niente."

Jane sorrise sotto i baffi. Non voleva di certo sembrare una strega malefica, ma doveva pur proteggersi in qualche modo.
E poi era stata onesta e chiara: occhio per occhio, dente per dente.

"Ora se mi volete scusare." Disse riattirando l'attenzione dei due, girò i tacchi lasciando un William divertito e ancor più incuriosito.

La vide allontantanarsi e per la prima volta si concentrò sul modo sinuoso e scattante di camminare e muoversi della giovane. Doveva ammettere a se stesso che quel giorno la ragazzina era davvero bella, forse la più bella della sala e di certo non era passata inosservata agli occhi di nessuno.
Quando si accorse che la sua testa era stata catturata troppo da quei fianchi snelli che si muovevano con leggiadria, da quei capelli color fuoco che continuavano a svolazzare qua e là e da quell'esile figura che si muoveva incosciente degli effetti che poteva provocare al cervello dell'uomo, si diede dello sciocco e del fuori di testa.

Lui non poteva fare certi pensieri su di lei! Era solo una ragazzina! Una ragazzina impertinente, combinaguai e stupida.

*** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** ***

Tutti gli invitati avevano preso posto a tavola, compresa Jane che, essendosi accorta troppo tardi di aver preso posto vicino a Madama Brigitte, una donna di mezz'età logorroica e con la lingua lunga che veniva dalla Francia, ora era costretta a sopportarla e a sentirla parlare per la milionesima volta della storia di cui ormai mezza Gran Bretagna era a conoscenza: di come suo marito l'avesse tradita per poi scappare con l'amante di dieci anni più vecchia di lei, abbandonandola lì sola, depressa e pentita di aver lasciato la sua terra per trasferirsi lì e stare con lui.
Dio! Jane sentiva che la testa le sarebbe scoppiata da lì a poco. E sarebbe successo davvero, ma per un altro motivo e per un'altra persona.

"Avete letto sui giornali la nuova scempiaggine del 1870?"
Dopo aver concluso il solito discorso d'auguri alla moglie, Lord Lewis attirò improvvisamente l'attenzione di tutti i presenti, specialmente quella di Jane che poteva sentirlo bene, distanziando da lui solo pochi posti.
"Nello stato dello Utah, in America, le donne hanno ieri ottenuto una grande conquista" disse ripetendo alcuni versi rimastigli impressi "Il diritto e dovere più ambito ancor oggi in moltissime nazioni del mondo: il suffragio universale!" Recitò ancora Lord Charles con un tono che di serio aveva ben poco.

"Se continueremo così finirà che noi uomini allatteremo e cambieremo pannolini mentre le donne andranno a lavorare per portare pane in casa!"
Tutti scoppiarono a ridere, Lydia e Loren comprese. L'unica rimasta senza parole per quella reazione era Jane. Tante donne stavano combattendo per avere finalmente qualche diritto e raggiungere la parità, e loro che facevano? Ridevano!

Le donne stesse ridevano di altre donne che stavano rischiando l'ergastolo per la loro libertà! Stavano dissotterando la loro dignità! Se fossero state tutte così il mondo non sarebbe davvero mai cambiato, mettendo al centro dell'universo sempre l'essere di sesso maschile!
Cosa c'era da ridere?
Mr. Lewis riafferrò il giornale.
"Ah! Ma il bello deve ancora venire! 'Anche nella nostra grande e potente Inghilterra stanno nascendo nuove Societes for Woman's Suffrage, in città come Bristol, Edimburgo, Birmingham e Londra. Molti alti funzionanti pensano che nella nostra terra molto presto le donne conquisteranno questo grande potere!' " Chiuse il giornale.
"Ma che belle parole, a scriverle deve essere stata sicuramente una donna... e chissà come ha potuto farlo!"
Quelle parole eccitarono di nuovo una risata universale, mentre Jane rimaneva ancora più disgustata dai pensieri loschi e meschini che suo padre aveva appena pronunciato e insinuato con tale disprezzo e divertimento.

La giovane s'accorse che anche William si era unito alla gran risata denigratoria e, non seppe perchè, quello le diede più fastidio di tutto e fu la goccia che fece traboccare il vaso, fecendo definitivamente in modo che il suo coraggio e i suoi pensieri uscissero alla scoperto. Cosa si doveva aspettarsi da quell'energumeno? E da tutti quegli enugurmeni!

"Io non so cosa ci sia di tanto divertente!" Alzò la voce per sovrastare quella risata generale, e all'improvviso la grande sala fu avvolta dal silenzio, con tutti gli occhi puntati su di lei, che non mostrò neanche un attimo di esitazione.
"Quelle donne stanno lottando per noi, per tutta la società! Per raggiungere finalmente la parità dei sessi. E no, cari signori e signore, qui non c'è niente da ridere, ma solo da prenderne esempio!" Esordì la giovane con tono fermo e deciso.

"Le donne devono stare al proprio posto, miss. Lewis., altrimenti dovremo rinunciare alla vita comoda di moglie e madre, alle feste, ai ricevimenti, al teatro solo per poter mettere una croce su un pezzo di carta? La politica lasciamola agli uomini." Prese parola una donna due posti più avanti a lei, che fu applaudita da tutti.

"Non è solo un pezzo di carta, miss. Wilson, è il simbolo della nostra libertà sociale, politica e culturale." Replicò la giovane ancora più stizzita poichè secondo quella, che era una donna come lei, i veri 'privilegi' erano le feste e lo stare a casa senza far nulla.
"E cosa vorreste, che le donne studiassero e lavorassero mentre gli uomini accudiscono la prole in casa?" Chiese ironicamente un uomo anziano, seduto poco più lontano da lei.
Si udirono altri risolini e commenti di sottofondo.
"Perchè no?" Ribattè Jane.

Scoppiarono di nuovo tutti a ridere e lei s'innervosì ancora di più.
"Ma ciò in cui credete è impossibile!" Proferì l'uomo.
"Sapete cosa diceva monsieur Napoleone sulla parola 'impossibile'?" Chiese Jane sorridendogli falsamente.

Nel momento stesso in cui Lord Lewis, intuendo dove volesse arrivare la figlia, le lanciò un'occhiataccia d'ammonimento, che la giovane ignorò, William, dal canto suo, avendo ascoltato con attenzione tutta la conversazione, già se la rideva mentalmente e non sapeva come si sarebbe trattenuto dal farlo davvero se la giovane avesse detto ciò che aveva intenzione di dire.
Era davvero così stupida, coraggiosa e ammirevole dal dire ciò ad un ospite in casa sua, davanti a tutti?
La risposta era sì, e non ne era affatto sorpreso.

L'uomo intanto scosse la testa.
"No, milady, se volete illuminarmi..." disse l'uomo con ironia, facendo ridere molte oche presenti in sala.

Riderete ancora per poco.

"Napoleone, se sapete chi era..." Iniziò a mo' di sfida "Diceva che: 'La parola impossibile è scritta solo nel vocabolario degli stolti.' "
Dopo un secondo di assimilazione da parte di tutti i presenti, nel gran salotto scoppiò il caos più totale: tutti ridevano per come quella giovane avesse saputo rispondere con tanto ardore a quella provocazione, anche se inizialmente sembrava lei quella destinata ad essere offesa, ma soprattutto alcune donne presenti in sala che non avevano avuto il suo stesso coraggio, ora si erano rese conto che non erano le sole a pensarla in quel modo e l'avrebbero persino spalleggiata.

Tutti comunque continuavano a sghignazzare tranne l'uomo affrontato, mr. e mrs. Lewis e lei, che si compiaceva interiormente, anche se davvero non sopportava tutta quella gente ipocrita.
Si era resa conto dei rischi a cui andava incontro prima di dire ciò, anzi in realtà non se n'era affatto resa conto ma aveva risposto e insultato con eleganza, l'aveva fatto per una giusta causa!
Almeno sperava che qualcuno in quella stanza avesse capito che la donna meritasse rispetto, e che pensasse anch'ella con la propria testa, ma di certo a tutta quella gente così ipocrita, flessibile e conservatrice non importava proprio nulla delle possibilità di lavoro per una donna e dei suoi diritti!

Aveva appena offeso, con un aneddoto ingegnoso e chiaro un ospite in casa sua e soprattutto dei suoi genitori.
Si sarebbe dovuta preoccupare dei rapporti che la sua famiglia aveva e doveva mantenere con ognuno dei presenti in sala, ma la verità era che non le importava proprio niente, del potere e delle ricchezze della sua famiglia quando c'erano di mezzo il suo orgoglio, il rispetto e i suoi ideali.
Anzi l'orgoglio, il rispetto e gli ideali di tutte le donne.
Ma non si sentiva affatto coraggiosa, tutt'altro, si sentiva delusa.

Il padre all'improvviso si alzò in piedi bruscamente, mettendo in modo iroso i pugni chiusi sul tavolo e facendo stridere in modo insopportabile la sedia di legno pregiato, facendo subito zittire tutti gli ospiti.
"Jane! Offendere i nostri ospiti in questo modo! Ora..."
Il tonfo della sedia spostata della giovane però lo anticipò.
Ora anche lei era in piedi, di fronte a lui con gli occhi infuocati, come pochi altri ne erano capaci, di determinazione e impudenza.
"Vi risparmio il fiato, padre. Me ne vado di mia spontanea volontà!"

Poi si voltò verso gli invitati.
"Sapete, non mi piace stare in compagnia di persone che ridono di persone dalle quali dovrebbero solo prendere esempio e coraggio." Il suo sguardo fulmineo si scagliò direttamente sulla madre. "Certe risate mi faranno anche venire il voltastomaco, ma non potranno mai abbassare la mia dignità di donna!"

E, sotto gli occhi spalancati di tutti, il silenzio e l'ira e le urla del padre, lasciò la stanza e si diresse velocemente verso le stalle. Dio! Cosa aveva combinato!
L'aveva fatta grossa! Dio, se l'aveva fatta grossa! Ora sì che la sua vita sarebbe stata rovinata a vita! Aveva deliberatamente 'rovinato' il compleanno della madre.

Il padre l'avrebbe uccisa per avergli disobbedito in casa sua!
Che poi, lì le uniche disonarate erano le povere suffragette!
Jane avrebbe potuto pentirsi di ciò che aveva fatto ma non di ciò che aveva detto.
Non aveva offeso nessuno, aveva solo difeso i suoi diritti e quelli di quelle ottuse oche giulive in quella sala.

Era stata così impulsiva, eppure non si pentiva affatto di ciò che aveva detto e fatto, più che altro era preoccupata delle conseguenze!
Ma in quel momento non voleva pensare a quando sarebbe dovuta tornare.
Doveva prendere aria.
Doveva cavalcare.
Doveva vedere Angel.

Si diresse verso il maneggio e le stalle, dove si trovavano tutti gli animali di casa Lewis, curati da molti servitori.
Appena vide i pozzi neri della sua giumenta scrutarla e poi iniziare a nitrire, si affrettò ad aprire e liberarla.
"E così anche tu sei impaziente di prendere aria..." disse accarezzandole il muso. Al contrario della sua padrona, Angel era sempre stata molto tranquilla, Jane con lei non aveva mai rischiato nulla.

Montò e solo allora si accorse di avere indosso ancora lo stesso vestito lungo, stretto e scomodo, ma non aveva tempo di cambiarsi, così lo alzò per accorciarlo fino a sopra le ginocchia per rendere il movimento più facilitato e ordinò al custode di aprire il gran portone sul lato opposto dell'ingresso, che dava direttamente sulla vasta prateria.
Non aspettò un secondo di più, sapeva dove dirigersi. Nel suo luogo, nell'unico posto dove si sentiva a casa, che sentiva davvero suo.

Voleva distaccarsi.
Distaccarsi dal mondo che non riusciva mai a capirla, nessuno riusciva mai a capirla. Era strano, ma era come se sentisse dentro di sè sempre qualcosa di troppo.

La tendenza naturale di tutti a volerla sempre cercare di sopraffare: perchè donna, perchè piccola, perchè considerata incapace di intendere e di volere, perchè aveva un padre e poi avrebbe dovuto avere un marito.

Si sentiva come in una giungla.
Il mondo è una giungla e lei una sognatrice. E una sognatrice in una giungla non sopravvive se non si adegua. Perchè la giungla è sempre lì, pronta a inghiottirti al minimo passo falso, e pronta a darle una gran bastonata per ricordarle chi è il più forte.
E lei non poteva combattere contro la giungla, contro il mondo, perché lei lo sapeva che il mondo era più forte, ma non voleva arrendersi.

L'unico posto dove era libera di pensare era la brughiera.
Cavalcò per circa due ore, senza rendersi conto del tempo che passava e scorreva, fin quando si rese conto di dover tornare a casa, ma il cielo si era improvvisamente fatto scuro, pieno di nuvoloni, si prevedeva pioggia. Anzi, forse era già un po' tardi, dal momento che stava già sgocciolando, alzò gli occhi al cielo, maledizione!
Completamente grigio, ci sarebbe stato a poco un gran temporale.

Che doveva fare? Era lontanissima da casa e se sarebbe partita in quel momento si sarebbe trovata sotto un'acquazzone, ma non poteva fare altro, anche se non aveva nessuna intenzione di tornarci, dal momento che sospettava cosa le sarebbe successo e la punizione che l'aspettava, non di certo leggera.
Anche se non credeva che sua madre o suo padre o entrambi fossero davvero preoccupati per lei e per la sua sclomparsa.

Prese le redini di Angel, facendola correre più che poteva, ma quando un fulmine cadde proprio davanti a loro, la povera cavalla si spaventò e si bloccò di colpo talmente forte che, se Jane non si fosse tenuta tanto forte e stretta al suo collo, avrebbe fatto un volo di sola andata di una ventina di metri in avanti.
Jane scese immediatamente, preoccupata per Angel che continuava a nitrire e lamentersi.

La accarezzò per tranquillizzarla e cercò di farla camminare, ma niente, la cavalla non voleva proprio saperne di muoversi nè tantomeno di correre.
"Dannazione!" Urlò la giovane in un momento di frustrazione.
E ora come sarebbe arrivata a casa?!
Si trovava in aria aperta, con fulmini a portata di mano, era anche pericoloso!
E già stava cominciando a bagnarsi e il riparo più vicino era ad un bel po' di distanza da lì.
Si sedette sotto un albero poggiando la testa all'indietro, rassegnata.

"Ma chi si rivede!" Appena sentì quella voce, proprio la voce di quell'uomo tanto odioso che ora riconosceva alla prima parola, alzò di scatto la testa, sperando di essersi sbagliata, che sul serio fosse qualcuno, ma non che fosse proprio lui.
E invece lo era, era proprio il troglodita, che se ne stava cone un modello dei gran cataloghi di moda che spesso vedeva in mano alla madre su un bellissimo stallone bianco.
Lo stesso che cavalcava quel giorno in cui l'aveva rincorsa, scoprendola.

La stava guardando a metà tra il divertito e il sorpreso.
Certo! Sicuramente lui ci stava godendo a vederla così, dopo ciò che aveva ascoltato.
Così Jane, senza aspettare un'altra parola finalizzata a prenderla in giro, si alzò dal prato riprendendo ad accarezzare Angel, mentre lui continuava a star lì aspettando una risposta della giovane che non arrivò.
"E così sei qui! I tuoi genitori sono molto preoccupati."

La giovane lo guardò male, mentre lui scendeva dal suo cavallo.
"Oh, loro non sono preocupati per me, ma per le loro ricchezze." Rispose lei non degnandolo di uno sguardo.
"Dico sul serio, ragazzina, è tardi, tardissimo, sai quanto tempo è passato?"
Jane alzò lo sguardo su di lui, interessata improvvisamente. Che davvero fosse così tardi?
"No...quanto?"
"Quasi tre ore."
Jane sgranò gli occhi. Tre ore, così tanto e non se n'era proprio accorta, ma cercò di non darlo a vedere.
"Tanto a loro non importa niente."
William corrugò la fronte "Perchè ora parli così?"

Jane stava per rispondere, ma si bloccò si colpo rendendosi conto di una cosa.
"E tu cosa ci fai qua?"
Già, che ci faceva lui lì quando stava per scoppiare un temporale.
"Te l'ho detto, tuo padre è preoccupato per te." Spiegò tranquillamente lui, mentre lei iniziava a farsi mille domande mentale, guardando in quegli occhi azzurri così trasparenti e così in contrasto con il colore del cielo, che le parve di vedere per la prima volta davvero per quanto fossero belli.

"Ma non farmi ridere, soldato, mi stai dicendo che sei venuto apposta per cercarmi?" Disse trattenendo davvero una risatina. Perchè quell'uomo irritante sarebbe dovuto andare a cercare lei? Per infastidirla? No, in quel momento sarebbe potuto stare a fare moltissime altre cose sue, invece di cercare la 'ragazzina' che tanto non sopportava reciprocamente.

E invece...
"E ti ho anche trovata."
Jane era davvero sorpresa.
"Perchè? Ti ha assoldato mio padre?" Chiese lei diffidente.
Sentì la pioggia scendere più forte, ma se ne scordò completamente, la sua testa era concentrata su William. Strano, per una volta non per insultarlo, anche se la voglia non le mancava.
"Ora non ha importanza. Ti sei resa conto che sta per arrivare un temporale memorabile anzi, che è già arrivato?! Che diavolo ci fai ancora qua?"
Jane lo guardò male, ma che pensava quello? Che volesse prendersi un malanno o l'influenza per puro piacere?

"Se non te ne fossi accorto, Angel è spaventata."
Lui fece uno di quei suoi sorrisetti fastidiosi.
"Ah, il tuo caro fidanzato è anche una femmina, oltre che essere un cavallo." Jane sbuffò.
Anche in quel momento doveva dire stupidaggini?
"Non c'è molto da scherzare, non vuole muoversi, un fulmine l'ha spaventata..."

William però non sembrava starla ad ascoltare anzi, guardava come il temporale stava progredendo.
"Ragazzina, fra un po' si scatenerà l'inferno, muoviti e sali." Le disse indicandole il suo cavallo.
La giovane strinse i pugni. Ma era stupido sul serio o faceva finta?
No perchè se faceva sul serio, la malattia era grave.

"Io senza Angel non vado da nessuna parte!" Si portò le braccia incrociate sul petto impalandosi affianco alla giumenta e guardandolo con il solito broncio da bambina offesa che a William faceva o divertire o arrabbiare, dipendeva dalla situazione. E in quel caso lo faceva arrabbiare, e molto.
"Ragazzina!" Tuonò talmente forte, che Jane trasalì.
"La tua cavalla se la caverà! Ho detto sali su questo cavallo, ora!" Scandì bene lui ma Jane si limitò a guardarlo con aria di sfida e a scuotere la testa in un categorico 'no'.
"Ora!"
Un altro assoluto 'no'.
"Te lo sto dicendo con le buone, se non vieni adesso passerò alle cattive. Non mi piace ripetere le cose."

Jane alzò un sopracciglio infastidita.
"Non mi piace ripetere le cose." Gli fece il verso "Ma non farmi ridere, cosa credi che sia, uno stupido cagnolino?! Se a te non piace ripetere le cose, a me non piacciono le minacce, nè tantomeno i cafoni."

Era così intenta a parlare, che non si accorse che in due passi, William si era fiondato davanti a lei e, senza che se ne rendesse conto, al terzo passo si trovava già sulla sua spalla sinistra, caricata stile sacco di patate, ma per William lei doveva essere una piuma.

"Lasciami!" Ordinò iniziando a dargli pugni sulla schiena.
"Lasciami immediatamente!" William sorrise sghembo e Jane s'immaginò che quelle labbra si fossero incurvate proprio per quello, anche se ovviamente non poteva vederlo.
"Oppure?" La provocò ancora, e lei stavolta colse al volo la provocazione.
"Oppure quando ritornerò con i piedi per terra, li userò per farti molto, molto male."
Ma William sembrò non sentire il suo avvertimento, o molto probabilmente fece solo finta.
"Sai, dovresti smetterla di agitarti e muovere così tanto il tuo bel fondoschiena, se continui a sbatterlo così mi ritroverò con la mascella rotta."

Come se fosse vittima di un incantesimo, Jane si fermò di colpo, arrossendo per la prima volta per l'imbarazzo davanti a quell'uomo. E in quel momento fu felice di dargli le spalle.
"Stronzo..."
"Ah ah!" La riprese "Le dame non usano questi termini scurrili."
"Ma io sono un maschiaccio, no?" Disse lei alterata riprendendo le parole con cui lui l'aveva definita davanti ad Oscar.
"Mmh, sempre un maschiaccio con un bel fondoschiena."
Jane scosse la testa.
"Maniaco cafone!" Disse a denti stretti.

Si ritrovò un batter d'occhio sul cavallo di William.
"È troppo tardi per andare a casa, non arriveremo vivi, conosci un rifugio vicino?"
Jane sorrise compiaciuta, ora poteva impugnarlo.

"Sì, peccato che la mia cavalla debba rimanere qui da sola..."
William sbuffò, prese qualcosa dalla sacca della sella e si avvicinò velocemente ad Angel.
Un secondo dopo la sua cavalla si trovava affianco allo stallone bianco.
Jane corrugò la fronte e spalancò gli occhi.
"Come diavolo hai fatto?"

William le sbattè una bustina davanti alla faccia.
"Cosa non fa il cibo."
Jane guardò la cavalla mangiare, mentre William si legava le redini al braccio per far sì che corresse al loro passo.
Jane si sentì più serena, ma allo stesso tempo delusa vedendo come la sua Angel si fosse fatta comprare da quel diavolo e di come si facesse accarezzare, di solito lei era sempre molto diffidente con gli sconosciuti, e chi le doveva piacere? Il peggiore di tutti!

Dopo essersi dato una piccola spinta, William si trovò proprio dietro lei, troppo vicino a lei, pericolosamente vicino a lei, che accortasene si voltò di scatto verso di lui, ma trovandosi il viso perfetto e bellissimo dell'uomo a due cintimetri si rivoltò di colpo guardando un punto indefinito davanti a lei.

"Voglio scendere! Fammi andare sulla mia cavalla!"
"Assolutamente no! Perderemo altro tempo e poi è ancora spaventata."
A Jane sfuggì un mezzo sorriso involontario.
"Allora di qualcuno ti importa..."
Sussurrò appena, ma William la sentì lo stesso.
"Non montarti la testa, lo faccio solo per sbrigarci prima."
Jane roteò gli occhi, ma cosa doveva aspettarsi?
William Henry Stevens era William Henry Stevens.
Un insensibile, limitato, troglodita eccetera eccetera eccetera.

"Tieniti forte!" Disse afferrando le redini e dando un piccolo calcetto al fianco del cavallo che partì immediatamente.
"Tieniti forte? Non sono mica una damigella impaurita che aspetta di essere salvata dal principe azzurro, io." Gli disse acida mentre continuava a indicargli la strada sperando che la memoria non la tradisse.
William ghignò.
"E io non sono un principe azzurro."
"Già, anche i principi azzurri hanno un cavallo bianco, ma il loro animo è puro." Disse la giovane sottolineando il 'puro', paradossalmente a lui che si lasciò sfuggire una risatina beffarda.
Come a dire che lui al contrario del colore del manto del suo bellissimo cavallo, aveva un animo nero e oscuro.

"Non avete paura di questo demone, principessa?"
Jane scosse la testa. Che strana piega stava prendendo la conversazione?
"Io ai demoni stacco la testa, principe."
Gli rispose a tono.
William sorrise.
Che altra risposta poteva aspettarsi da quella ragazzina?
"Non esistono principesse aggressive."
"Neanche principi villani."
William non rispose e neanche Jane continuò quel tortuoso dialogo che stava nascendo.

Sentiva soltanto il calore delle braccia forti dell'uomo che fortunatamente le sfioravano solo i fianchi, mentre lui avvicinandosi un po' di più alla giovane, fu travolto letteralmente da un buonissimo odore di... gelsomino. Inspirò silenziosamente più che poté rendendosi conto di quanto quella insolita e strana ragazzina fosse davvero una continua sorpresa e soprattutto, di quanto iniziasse a sentirsene irrimediabilmente attratto.

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Capitolo 22
*** 22.Lose control ***


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~Ama mihi cum mererem minus, quoniam erit cum ne egerent~
{Amami quando lo merito meno, perchè sarà quando ne avrò più bisogno} CATULLO

 

Il rifugio era una piccola casetta in legno dove spesso si fermavano i cacciatori della zona per una notte o due, dotata di una sola grande stanza con una finestra, un camino, un letto non molto accogliente e nuovo, ma comunque a due piazze e adoperabile per una notte e anche un divano mezzo sfasciato ma utilizzabile.

Arrivarono al rifugio inzuppati di acqua e fortunatamente il tetto a spiovente si prolungava per un po' all'esterno, così che anche i cavalli legati fossero al coperto sotto la gronda.
William fu il primo ad entrare nella casa, completamente buia e fredda proprio come fuori.
Mentre Jane, dietro di lui, se ne stava ferma sulla soglia, William andò a guardare le condizioni del camino di fronte alla porta d'ingresso in cui c'era della legna asciutta e su cui si trovava un pacco di fiammiferi non utilizzati.
Che colpo di fortuna!

Accese presto il fuoco che fece anche luce nella stanza, per poi togliersi la giacca nera fradicia.
William s'accorse che la giovane da un bel po' non pronunciava parola, cosa alquanto strana, si girò e la trovò ferma ancora sulla soglia della porta scricchiolante.
Non le disse nulla, invece iniziò a sbottonarsi la camicia.
Jane sgranò gli occhi "Non avrai mica intenzione di spogliarti davanti a me?!"
Infondo erano pur sempre una donna e un uomo in una stanza chiusa, non poteva farlo sul serio!

La giovane già si sentiva molto in imbarazzo, ma non voleva darlo a vedere e poi, stare chiusa e isolata con l'essere più insopportabile della Terra non faceva di certo parte della lista dei suoi più grandi desideri, neppure dei più piccoli, non si sentiva affatto rassicurata a stare lì con quel tipo.

Se avesse avuto possibilità di scegliere, ne avrebbe fatto sicuramente a meno ma purtroppo il temporale non sembrava volesse dar tregua.
William si sedette sul divano, non degnandola di uno sguardo e ciò la fece infastidire non poco.

"Hai sentito ciò che ho detto?! Non vorrai mica..."
"Sta' zitta per una volta! Dovresti spogliarti anche tu, se non vuoi prenderti un malanno." Le disse in tono non poco scontroso e autoritario. Lo disse come se, se si fosse ammalata o meno, non gli avrebbe fatto nè caldo nè freddo, ed era così, ma doveva dimostrare sempre la sua grande 'intelligenza', pensò la giovane, peccato che nella sua intelligenza primitiva non esistesse la parola 'pudore'.

"Non mi spoglierò mai davanti a te, e neanche tu dovresti farlo!"
Jane però iniziava a tremare per il freddo e a sentire la temperatura corporea alzarsi.
Ma non l'avrebbe mai fatto! Spogliarsi davanti a quel maniaco, cosa ne sapeva di cosa avrebbe potuto fare? Era pur sempre un uomo, idiota ma uomo!

Un uomo che ti ha salvato da morte certa!
Le disse una vocina, ma si diede dell'esagerata.

E poi quello era l'ultimo al mondo di cui poteva fidarsi.
Si sfregò le mani cercando di riscaldarsele ma non servì a molto.

William però la ignorò ancora e si tolse la camicia rimanendo a torso nudo così Jane, indispettita e alquanto imbarazzata, si voltò da tutt'altro lato, mettendosi di fronte alla porta a braccia incrociate, facendo ghignare l'uomo che si alzò d'improvviso andando velocemente verso di lei.

Quando Jane sentì e vide la grande mano di William sbattere e appoggiarsi sulla porta, proprio al lato della sua testa, sussultò ma rimase ferma e composta, nonostante l'uomo fosse proprio dietro di lei che ora si ritrovava intrappolata tra il suo corpo e la porta.

Dannazione! Lo sapeva!
Cosa cavolo voleva quel bruto?
Quando sentì il fiato caldo e regolare di William sull'orecchio non azzardò al minimo movimento: voleva fargli capire che lui non le provocava la benchè minima paura.
"Ti ho già detto che per le ragazzine non provo nessun interesse, e ancor meno ne provo per il loro corpo. Quindi, ragazzina, ora smettila di essere turbata e svestiti." Lo sussurrò con così tanta calma che Jane per un attimo si sentì una vera stupida.

Non aggiunse altra parola neppure lei, non solo perchè con lui voleva avere il minimo contatto possibile, ma anche perchè per una volta, seppur fossero sempre offensive, quelle parole la rassicuravano. Anche se, ovviamente, non ci pensava neppure a spogliarsi.

Si limitò ad avvicinarsi al camino, e a sciogliersi i capelli rossi dall'odiosa acconciatura, lasciandoli cadere bagnati ma comunque morbidi sulle spalle e, senza accorgersene, il suo gesto così delicato catturò l'attenzione dell'uomo.

"Anche tu la pensi come mio padre?" Chiese, quasi senza accorgersene Jane guardando bruciare il fuoco nel camino davanti a lei.

Era una domanda così stupida ma così spontanea, perchè lui era rimasto in silenzio, ma con le sue espressioni e il silenzio stesso aveva ampiamente dimostrato come la pensava.
Chi tace acconsente, no?
E poi.
E poi lei stava cercando una variante, un rifiuto a ciò che aveva detto il padre.
Lo stava cercando, ma nella persona sbagliata, e lo sapeva.
"La donna fa bella figura, è un oggetto decoritivo, ornamentale, basta che obbedisca all'uomo, che stia zitta quando lo vuole l'uomo e che parli sempre quando lo vuole l'uomo, cioè sotto le lenzuola, lussuriosa, per aumentare il vostro ego e il vostro orgoglio!
Ah, giusto, può parlare anche di frivolezze con altre donne, ma non può sapere nulla della vita politica o sociale del proprio marito. Non deve e non può studiare nè letteratura nè tantomeno commercio, perchè l'uomo la vuole stolta e stupida, non sia mai che si ribelli al volere del marito o del padre, o inizi a seguire i cosiddetti 'affari da uomini'. Non può frequentare l'università perchè poi tutti la derideranno, la allontaneranno e la considereranno una pazza, ad andare contro la propria natura.
Deve stare a casa, passare le proprie giornate a cucinare e pulire i pavimenti se è povera, cucire e pettinarsi in trenta modi diversi i capelli se è nobile, giusto?
Però deve essere sincera e fedele al proprio uomo, sì! Altrimenti viene ripugnata, condannata a morte e ghigliottinata come un animale con addosso gli sputi e gli insulti della folla eccitata, che sia ricca o povera. Mentre un uomo, poveretto, è normale che abbia bisogno di un'altra donna, per compiacere i propri bisogni, è normale che tradisca, tanto non è lui che viene considerato un adultero e non è lui a cui la reputazione, anche dopo essergli stata tolta la vita, è infangata per sempre, come per tutta la famiglia da cui proviene, no! Perchè l'uomo è il padrone, il conduttore del mondo e una donna pensante, che non mette grandi scollature ma usa il cervello, è una strega, una da allontanare, una di cui, come per tutte le altre, importerà solo il corpo e le curve, giusto? Basta che stiamo in silenzio e sforniamo bambini, per dare una discendenza e popolare il mondo!" Jane prese un grande respiro, accorgendosi che alla fine di quel discorso ormai le mancava il fiato.

"Già finito?" Chiese William con un tono del tutto impassibile e indifferente, che fece prendere completamente il volo alla calma di Jane.
"Non so neppure perchè sto parlando di tutto questo con un limitato e antiquato essere pensante come te! Anzi non pensante, perchè uno che sta in silenzio davanti a certe affermazioni, ha ben poco di funzionante e pensante." Continuò imperterrita e affranta, per la prima volta. Ci furono alcuni secondi di silenzio carico di tensione e sguardi fugaci, lotte aeree.
"Ragazzina, ora sei tu quella che giudica senza conoscere, tu non sei nella mia testa e come sempre ti sbagli."
Le improvvise parole di William la fecero girare di colpo, suscitando in lei dapprima stupore, e poi sempre più rabbia.
Come poteva Lui dire una cosa del genere?!

"Ma non farmi ridere! Anzi, non farmi piangere! Non sono io quella che ti ha baciato con la forza, che ti ha chiamato giocattolino, che ha cercato di spaventarti a morte in casa propria, non sono io che ti ho portato in un bordello, che ti ho ricattato, che ti ho dato del vigliacco solo per un piccolo incidente, e che ti guarda dall'alto verso il basso..." continuò elencando con le dita "Che ne diresti tu se fossi io a costringerti a prendere parte a tutti i miei stupidi giochetti?" Jane inspirò ed espirò profondamente, si stava liberando di un gran macigno, dopo tutto ciò che le aveva fatto passare e la sua ampia dimostrazione di come vedeva le donne, ora addirittura dopo che aveva riso in quel modo, osava dirle che la pensava come lei!

Oltre che bipolare era anche smisuratamente lunatico!
La scienza si sarebbe potuta divertire molto usandolo come cavia, specialmente la psichiatria, chissà quante nuove scoperte e disturbi mentali sarebbero venuti fuori!

"Soprattuto" William si meravigliò dell'ardore che c'era nei suoi occhi, lo stesso ardore che aveva già visto in una sola altra persona "soprattutto, non sono io a guardare solo quanto è sottile la tua vita e sono larghi i tuoi fianchi. " continuò "Dato che le tue parole non sono certamente finalizzate a consolare questa insignificante ragazzina, almeno non essere ipocrita! Già ne hai troppi di difetti, soldato! È dai difetti che si giudica una persona e dal tipo di difetto, e ti assicuro che, da quanto ho visto, i tuoi sono i peggiori!" Si sfogò.

Jane si pentì un attimo di ciò che aveva detto, non solo perchè non sapeva come avrebbe reagito l'uomo, ma anche perchè sapeva di non conoscerlo a fondo, tanto a fondo da pronunciarsi in quel modo, ma lo conosceva abbastanza per pensarlo, almeno credeva. Poi però si rese conto che di ciò che pensava lei, a quell'uomo tanto venerato da tutti, non doveva importare proprio nulla.

"Anch'io ho una dignità, sai! Non è che perchè tanti altri e altre se la fanno mettere sotto i piedi da un troglodita incantatore come te, io debba fare lo stesso!" Concluse stringendo i pugni, ma William rimase ancora curiosamente imperterrito.
"Io avrò anche tutti i difetti di questo mondo e avrò commesso e continuo a commettere tanti peccati come tutti gli uomini, ragazzina, ma almeno io guardo con i miei occhi, vedo i miei limiti, la mia testa non è piena di falsi e irrealizzabili ideali femministi, per cui rischio il mio posto in famiglia, credendomi paladina e eroina di qualcuno e qualcosa che non si avvererà mai!"
Il tono inflessibile e sprezzante di lui fece traballare un attimo la ragazza, perchè c'era così tanta concretezza, così tanto vero in quelle parole, così tanto di qualcuno che sta con i piedi per terra, non come lei, che aveva la testa piena di cose irrealizzabili.
Ma se anche lei si fosse piegata alla materialità, era ovvio che quelle cose sarebbero rimaste irrealizzabili.
Ma lei ci credeva. Ancora.

"Mai, che parolone, può darsi che muoia prima che ciò avvenga, ma ti assicuro che prima o poi avverrà, e spero che succeda quando tu sei ancora in vita così che quando noi donne ci prenderemo ciò che ci spetta di diritto, tu possa vedere con i tuoi occhi la tua limitatezza non i miei limiti."
William la guardò in modo talmente inespressivo, che Jane si chiese se fosse una persona così tanto fredda e cinica.

"Mi stai augurando infinita vita allora, ragazzina." Disse lui portandosi all'indietro i capelli umidi e scompigliati che gli davano un'aria ancor più attraente, ma Jane era troppo impegnata a guardarlo male per accorgersene.
"No, ti sto augurando morte certa e molto vicina."
Lui scoppiò a ridere. Una risata falsa e ingiuriosa.
"È per questo che non ho intenzione di sposarmi, non voglio tenere nessuno al guinzaglio nè voglio che qualcuno tenga al guinzaglio me." Le disse sorprendendola di nuovo, ora era tornato sul discorso di prima.
"Non è perché così puoi avere tranquillamente tutte le amanti che vuoi e goderti i piaceri della vita senza fastidi?" Lo guardò sghemba.
William rise "Anche per quello."
"Certo, tu puoi decidere della tua vita, puoi rimanere lo scapolo d'oro, non come me, che ho un destino già segnato, e che se entro qualche anno non mi sposo perderò di valore come un oggetto, diventando una zitella sola con il suo cavallo."
"Se continui così è certo che resterai zitella a vita, ragazzina." Ghignò beccandosi un'occhiataccia fulminea.
Ricordava che la madre, mrs. Loren, le aveva detto le stesse parole. In quel caso poteva dire tale madre tale figlio.

"Peccato che se non sceglierò io presto il mio sposo di alto livello, lo farà mio padre!"
Jane sbuffò di nuovo.

"Perchè ti lamenti tanto, ragazzina? Tuo padre tiene a te." Le disse con uno strano e fosco luccichio negli occhi.
"Tiene a me perchè sono la sua unica figlia e unica pedina che può rassicurare la gestione dei suoi beni diventando la schiava di qualche essere con i neuroni spenti e per poter sfornare nipoti."

Ed era proprio così che si sentiva, una pedina, quando non si sentiva una disgrazia ovviamente.
Ciò che le faceva strano era che l'avesse dichiarato così apertamente all'energumeno. Doveva essere per il nervosismo.

"Che gran considerazione che hai di tuo padre e di noi uomini!"
"Non è una considerazione, è una constatazione! Una verità ampiamente dimostrata!" Ribattè brusca alzando il tono della voce. Cosa voleva capirne lui di come reclusa e usata si sentisse lei?
"Quanti problemi che ti fai, ragazzina." Le disse William prendendo da una tasca dei pantaloni un sigaro e un accendino, per poi accenderselo sedendosi svaccato sul divano.
"Potresti diminuire i miei problemi iniziando col finire di chiamarmi ragazzina, e spegnendo quel dannato aggeggio." Disse lei sbuffando alterata e indicando il sigaro.

William rise, ignorandola e facendola imbestialire.
"Questo dannato aggeggio si chiama sigaro, ragazzina, e mi hai dato un motivo in più per continuare a fumarlo. Sai, mi fa sempre molto piacere darti fastidio."
Jane prese un gran respiro, cercando di calmarsi e non strappare con le sue stesse mani il dannato e odiosissimo ghigno sul volto dell' uomo con un sonoro schiaffo, anche due.

William avvicinò il sigaro, posto tra indice e medio con una certa eleganza, alle labbra rosee e carnose.
La giovane rimase incantata da quei movimenti tanto stupidi ma che in mano a quell'uomo sembravano così affascinanti e raffinati, ma ci pensò una risatina beffarda a far sì che si desse della sciocca.
Ma che aveva la sua testa di sbagliato?

"Vedi? È anche per questo che non ci può essere parità, ci vedi voi donne, delicate e sofisticate come siete, a fumare tabacco?"
Allora fumare non rientrava di certo nei compiti e negli svaghi di una nobildonna.

A quel punto Jane fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare: si alzò di colpo, si avvicinò all'uomo e afferrò il sigaro strappandoglielo di mano e, appoggiandolo tra l'indice e il medio, come vedeva spesso fare dal padre quelle poche volte che lo vedeva, se lo portò alle labbra.

Il terribile odore di tabacco le invase subito le narici.
Che schifo! Se c'era una puzza che odiava e non tollerava era proprio quella, ancor più quando provò a inspirare, volendo dar prova che le donne potevano fare esattamente le stesse cose degli uomini senza problemi, tossì di colpo e allontanò dalle labbra il sigaro, facendo una naturale smorfia di disgusto.
William scoppiò a ridere.

"Ora che mi dici ragazzina, ti è piaciuto?" Disse l'uomo con tono sarcastico, come se già lo sapesse.
Jane lo guardò nauseata.
"Non esagero se dico che quella è la peggior macchinazione inventata per distruggere le interna umane! Oltre ad avere un terribile sapore e odore, mi fa venire la nausea." Disse mettendosi una mano sulla pancia massaggiandola.
"Ma non mi dire!" Ridacchiò l' uomo.
"Non so veramente come voi facciate a fumarne decine al giorno, la vostra bocca sarà intossicata a vita!" Chiarì Jane, con chiaro riferimento a tutti i fumatori. "Ma è rilassante, ma tu cosa puoi capirne? Ora però ridammelo! È l'ultimo!" Ordinò William allungando la mano, ma la giovane, che non era mai andata d'accordo con gli ordini, mise subito in atto la sua risposta.
"No!" Asserì subito portandoselo dietro alla schiena e facendo scattare lui in piedi.

Dannazione! Ora che ce l'aveva davanti poteva benissimo vedere le spalle nude che, come si era sempre immaginata, erano davvero larghe e possenti, i muscoli delle braccia e la pancia piatta poi erano sicuramente il risultato di tutti quegli anni passati in marina e di duro allenamento, ed ora in piedi uno di fronte all'altro, Jane sentiva davvero di non avere possibilità, anche per la gigantesca differenza d'altezza di quindici centimentri, lui avrebbe potuto divorarla.

E poi c'era un ultimo dettaglio che sembravano già starla a divorare: quegli occhi gelidi e assottigliati già le riferivano cosa sarebbe successo da lì a poco, anche solo perchè aveva osato sfidarlo per infastidirlo.

Ma sotto c'era molto di più: Jane voleva far vedere a lui, ma soprattutto a se stessa, che non bastava la forza a vincere su una donna, e poi già solo il fatto che gli avesse preso il sigaro, sfidandolo così apertamente era una vittoria.
Ma avrebbe potuto giocare d'agilità.

Quando lui infatti fece un passo avanti verso di lei, Jane ne fece uno indietro per mantenere le dovute distanze.
Anche se, in cuor suo, sapeva che a quel corpo tanto perfetto ed istruito per quelle situazioni, se non di gran lunga peggiori, non sarebbe sfuggita a lungo, specialmente se fuori ancora pioveva tanto, non sarebbe potuta scappare.

"Sai bene che non ti conviene." Le disse lui sfoderando uno di quei suoi sorrisetti presuntuosi e snervanti, tipici di chi sapeva di avere la situazione in mano.
E Jane si sarebbe divertita molto a togliergliela di mano, la situazione.
"Perchè? Non mi fai nessunissima paura!"
Ed era così, anche se il leggero tremore delle braccia dietro la schiena poteva smascherarla. Era solo il freddo, si diceva.

Avrebbe mandato a fine la sua piccola vendetta.
"Non ho mai incontrato donna più intraprendente e stupida di te." Ammise l'uomo continuando ad avvicinarsi e lei ad indietreggiare.
"Ma guarda, io invece non ho mai incontrato uomo più ottuso e troglodita di te." Ancora si sfidavano con gli occhi.
"È così che mi ringrazi per essere venuto fin qui, ragazzina? Facendo la bimba dispettosa?"
"Io non faccio la bimba dispettosa!" Controbattè lei, con una sicurezza e una perseveranza quasi disarmanti.
"Ah no?" Un altro passo.
"No." Soffiò lei stringendo ancora il sigaro nella mano.
"E allora perchè non vuoi ridarmi il mio sigaro, bimba dispettosa?" Chiese stavolta in tono più austero e freddo.
Jane si lasciò sfuggire una risatina, poi corrugò la fronte e alzò un sopracciglio atona.
"Non hai proprio pensato che voglio metterti l'orgoglio sotto i piedi?" Lo disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Nel vedere l'espressione di William mutare in qualcosa di davvero minaccioso, Jane fu dapprima compiaciuta e soddisfatta di avergli rimandato indietro quelle parole arroganti e insopportabili che le aveva detto lui il giorno prima, poi un po' meno.

William infatti scattò in avanti come un felino con la sua preda e Jane, aspettandosi proprio quella mossa corse dietro il divano dove almeno c'era qualcosa a separarla da lui, per quello che il vestito bagnato permetteva.
"Stupida ragazzina! Tu proprio non lo sai cosa sia la disciplina!"
Lo disse in modo così stizzito e severo che Jane per un momento credette davvero di aver fatto una stupidaggine. Per un momento.
"Ah, tu invece lo sai cos'è! È questione di disciplina oppure, dall'alto della tua sciocca e distorta mentalità, ti stai innervosendo perchè anche se donna, ti ho fregato e sto vincendo, soldato?"

E quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, infatti Jane si ritrovò improvvisamente a sbattere contro il muro dietro di lei, così violentemente che sentì davvero qualcosa nella sua schiena rompersi per lo scontro.
"Chi è che mi ha fregato e sta vincendo?" Jane si sentiva talmente frastornata che rimase in silenzio infuriata.
"Ti ho presa, ora ridammi ciò che mi appartiene!" A Jane parve quasi di vedergli il fumo uscirgli dalle orecchie "Subito!" Tuonò.
La giovane affilò gli occhi scuri, sembrava una vera e propria tigre in procinto di attaccare.
Ormai cos'aveva da perdere?

"Cosa, questa?" E cacciò il sigaro dalla mano sventolandoglielo davanti al viso.
Quando William però allungò la mano per riprenderselo, Jane gli rivolse un sorrisetto fiero e compiaciuto sottraendo la mano.

Buttò il sigaro a terra, alzò la gonna del vestito, afferrandone i lembi e lo calpestò ben bene, quanto bastava per spegnerlo e disintegrarlo.
Alzò appena gli occhi, impavida e fiera del suo gesto, per vedere gli occhi glaciali di William sciogliersi in fuoco ardente, che le grandi mani dell'uomo la presero per le spalle buttandola ora sul divano.

Jane ora sì che era infuriata, quasi quanto lui: ma per cosa l'aveva presa? Una bambola da sbattere a destra e a sinistra?
"Sempre molto delicato!" Borbottò rendendosi appena conto della situazione in cui si trovava.

Sotto di lui, sul maledettissimo scomodo divano, distanziavano solo pochi centimetri. Ma la distanza di sicurezza non era ancora calpestata. Per fortuna non gravava con il suo peso su di lei, che altrimenti, invece che per il bustino, sarebbe morta d'asfissiamento sotterrata da un muro umano.
Un muro umano arrabbiato e senza controllo.

Provò subito a sgattaiolare via, cercando di infilarsi sotto le sue braccia, ma ovviamente fu strattonata di nuovo, e stavolta per sicurezza si ritrovava con un ginocchio del troglodita tra le gambe. E così ora non poteva neppure utilizzare le gambe, vincolate anche dal suo vestito.

"Basta giocare, ragazzina." Ringhiò tra i denti e, nonostante sentisse un brivido freddo scenderle per la schiena, Jane non si scompose, anzi continuò a guardarlo in modo provocatorio.
"Sei davvero così frivolo da pensare che ciò che ho fatto fosse per divertimento o per darti fastidio?" Era una domanda retorica, ovviamente "Sai, non per tutti tutto è un gioco, come per te!" Lo accusò.
"Ah no? Eppure mi pare che stai facendo di tutto per mettere a dura prova i miei nervi!" Le si rivolse a tono duro.
"Ahahaha" la giovane formulò una falsa risata, una di quelle detestabili, una di quelle che William amava fare e odiava ricevere.
"Io metterei alla prova i tuoi nervi?! Questa mi è nuova! Io e te non abbiamo alcun rapporto, eppure è dalla prima malettissima volta che ti ho incrociato che fai di tutto per umiliarmi e provocarmi."

L'espressione di William mutò radicalmente, non appena la giovane finì di parlare e l'espressione che gli si formò in volto, tra malefica e sadica, fece tremare la giovane internamente.

"Sai che adesso dovresti essere a casa tua a cucire lenzuola, invece che qui a darmi del cattivo?"
La mascella di Jane cadde letteralmente a terra, la giovane rimase davvero allibita per quelle parole: era un'altra delle sue provocazioni o semplicemente aveva gravi disturbi psicologici?
Fatto sta che l'offesa presto si trasformò in improvvisa audacia e azzardo.
Corrugò la fronte e disse ciò che nessuna donna del suo tempo, o almeno quelle che conosceva lei, non avrebbe detto nemmeno sotto tortura per la troppa ipocrisia e il troppo 'imbarazzo'.
"Tu invece non dovresti essere tra le lenzuola di qualche donna che si accontenta di qualche uomo di basso livello, invece che fare il pallone gonfiato con me?!"
Jane vide William, preso in contropiede, sorpreso e divertito, e lei stessa si meravigliò di quelle parole, ma non desiderava affatto sprofondare per la vergogna, anzi ne fu soddisfatta, con quelle parole gli aveva detto esplicitamente ciò che pensava di lui e di quelli come lui.
E poi perchè si sarebbe dovuta vergognare?
Perchè per le regole della società una del suo 'livello' (che poi non capiva cosa volesse dire del suo 'livello', dal momento che a lei quello pereva il livello degli ottusi), non avrebbe dovuto azzardare su un simile argomento?
La sorpresa di William ritornò presto però alla sua solita ghignante espressione.
"Ma infatti ci sono adesso, con la differenza che al posto di qualche donna c'è un'ingenua ragazzina."
Jane collegò presto quelle parole al sorriso malizioso che mostrava la dentatura bianca e perfetta del troglodita a ciò che aveva detto prima e il braccio partì da sè, come anche furono pronti i riflessi dell'uomo, che le bloccò il sottile polso a mezz'aria, ma subito partì l'altra mano che per un pelo William fermò con l'altra sua mano.
Le strinse un po' troppo i polsi guardandola a metà tra compiaciuto e irato.
Jane, nonostante ora avesse entrambi i polsi bloccati sulla testa da una sola grande e vigorosa mano dell'uomo e le gambe completamente paralizzate, non osò sottrarsi neppure un attimo da quel contatto visivo, a testa alta, fiera e testarda, offrendo bene a quelle bellissime e irritanti iridi azzurre tutto il suo disprezzo, la sua rabbia e la sua cocciutadiggine, ancor più perchè ora lei lo sapeva, sapeva bene quanto lui si stesse divertendo, non ci voleva molto a passare dall'infuriato al divertito e compiaciuto, quando usava la sua forza contro di lei e la prendeva in giro.
E lui lo sapeva, sapeva quanto lei odiasse essere sopraffatta, essere fermata, essere domata, anche se desiderava farlo in altro modo.

"Ti rendi conto in che situazione ti trovi ora?" Chiese lui con voce estremamente bassa e roca, che Jane odiò se stessa quando sentì un orribile formicolio, di nuovo, scenderle lungo la schiena, doveva essere perchè il vestito era ancora umido, certo.
"Ti diverti? Perchè io no! Per niente!" Alzò la voce terribilmente arrabbiata per essere stata tanto stupida da cadere nella tana del lupo.
Vide un ghigno cattivo formarsi sul volto di lui, e non ne capì il motivo finchè sentì improvvisamente qualcosa tra le gambe, il ginocchio di William, scivolare sempre più giù, fino ad arrivare a premere pericolosamente e volutamente contro il suo interno coscia, così tanto che non aveva ormai neppure più un millimetro per muovere le gambe.
"A dire il vero mi sto annoiando, anzi sei proprio tu ad annoiarmi." E a quel punto Jane chiuse gli occhi incapace di vedere la soddisfazione negli occhi di quel bastardo che la stava di nuovo oltraggiando.
E poi.
E poi un fiato caldo sul collo e il pizzicante e forte odore di tabacco, menta, acqua di colonia e di qualcos'altro le fece sgranare gli occhi improvvisamente.

La bocca di William era a un centimetro dal suo orecchio, e si maledì ancora quando sentì un'inspiegabile, ed elettrizzante, e repellente, ed emozionante, e disgustosa carica di brividi attraversarle il corpo.
"Che ne dite di divertirci un po', milady?"
Okay, no, il bianco, che ora stava diventando viola sul viso di Jane per motivi non ancora noti, non era immaginario anche perchè il significato di quel 'divertirci' era molto ambiguo e la giovane era sicura che quello che intendeva lui, per quel termine, non era certo ciò che significava per lei.

"Lasciami andare immediatamente! Brutto maniaco pervertito e mascalzone!" Farfugliò cercando di restare calma, ma ormai era così evidente, anche per se stessa che non lo voleva ammettere, che in quel momento un pizzico di timore si era impossessato di lei, anzi un castello di paura e agitazione era quello, altro che timore.

Era agitata, cavolo se era agitata e per la prima volta il pensiero che quell'uomo potesse farle del male le balanò in mente e, anche se non voleva darlo a vedere, il continuo mordicchiarsi il labbro inferiore lo rendeva evidente.
Sentì la stretta sui polsi accentuarsi e per poco non le sfuggì un gemito di dolore, ma si trattenne. Era troppo orgogliosa.

Brutale. Ecco com'era la forza di quell'uomo, ecco com'era quell'uomo.

Lo guardò malissimo, nel modo peggiore che potè, capace di fargli capire con il solo sguardo tutto l'odio e il rancore che provava per lui, che chiaramente non lo toccavano minimamente, anzi, sembrava quasi felice di suscitarle quei sentimenti da ciò che si poteva capire dal sorrisetto soddisfatto stampato in volto.
Dio! Fra un po' i suoi poveri polsi sarebbero stati frantumati e fatti a pezzettini.
Ma era pazzo?!
Non ce la fece più.
"Lasciami! Mi fai male!" Urlò non lasciando trapelare la sua paura, ma niente, quello stringeva ancora di più.
"Vuoi impaurirmi? Dovresti impegnarti di più!" lo provocò per poi mordersi volutamente l'interno della guancia.
La sua lingua non sapeva proprio quando smetterla. In che guaio si era cacciata!

Le mani incatenate da quelle di lui, le gambe inchiodate dal ginocchio di lui e gli occhi impiantati in quelli di lui.
Che razza di situazione era quella?

Appena pronunciate quelle parole negli occhi cielo di William qualcosa cambiò, e lo notò anche la giovane che non sappe perchè quasi non riuscì a sostenere il suo sguardo. Un insieme di malizia, accusa, sfida, forza, vigore, arroganza e odio.
Sì, ci lesse anche odio in quegli occhi.
Bene, perchè il sentimento era più che contraccambiato!
"Non provocarmi, non sei nella posizione di poterlo fare!"
E fu allora che Jane la sentì. La paura.
Quella paura da cui aveva sempre cercato di stare alla larga, quella paura che ti fa sentire debole e fragile.
Vide le labbra di William incurvarai in un ghigno malefico e si chiese se davvero lui sarebbe stato capace di fare una cosa del genere.
La risposta era chiara. William strinse talmente forte che Jane sentì, o meglio non sentì più il sangue circolare lì, perse di sensibilità.
Sadico.
Malvagio.
Cinico.
Non poteva farlo sul serio, si stava divertendo a vedere come lei stringeva i denti per il dolore e per non iniziare a piagnucolare davanti a lui.

E lei non lo fece, non pianse, anche se ne aveva una gran voglia. Dare una siddisfazione del genere a quel pazzo! No, lo guardò come se volesse riflettere nei suoi occhi tutto il male che stava facendo.
Eppure poteva andarle peggio.
"Cos'è? Non parli più?"
Jane digrignò i denti, che in quel momento avrebbe volentieri usato per sbranarlo.
Mai nessuno, NESSUNO si era permesso di fare una cosa del genere, neppure suo padre!
Si sentiva offesa, offesa e arrabbiata.
Umiliata per la seconda volta dallo stesso uomo.

"Ma non mi dire! La ragazzina in silenzio, questa sì che mi è nuova!" E sorrise, ancora divertito mentre Jane chiuse gli occhi iniziando a sentire gli occhi punzecchiarle, dopo tanto tempo.
Ti avevo promesso che non avrei pianto più, Margaret, e ora guarda per cosa devono bagnarsi i miei occhi.
Ma quelle non sarebbero state lacrime di dolore, solo di rabbia e non se ne lasciò scappare neppure una.
Resistere.

William non voleva proprio saperne di finire il supplizio di quelle esili ossa con le sue grandi mani, voleva vedere fino a quando avrebbero resistito prima di fare crack?
Ma poi ci fu qualcosa, qualcosa che vide anche lui passare negli occhi nella giovane, per la prima volta da quando l'aveva incontrata. Teneva ancora lo sguardo alto e fiero ma qualcosa era cambiato, i suoi grandi occhi nocciola non brillavano più.
Era stanca.
Stanca di suo padre, di sua madre, di se stessa.
Stanca di doversi difendere e non poterlo fare.
Stanca di dover combattere.
Stanca di reprimere se stessa.
Stanca di vedere i suoi sogni e la sua volontà oppressi.
Stanca di essere offesa, umiliata in quel modo.
Stanca di quel mondo.
Stanca di vedere quell'uomo divertito.
Stanca.

"Fa' ciò che vuoi. Sono stufa di dover combattere. Se rompendomi i polsi e soffocandomi troverai una ragione in più per rendere felice la tua inutile e breve vita, continua."
Jane vide che le sue parole per una volta avevano fatto effetto, il viso di William era tramutato nella confusione più totale, glielo si leggeva negli occhi che era sorpreso. Di cosa poi? Che lei si fosse arresa? Non era ciò che voleva?

"Avanti, continua!" Lo incitò alzando la voce e sollevando, per quello che poteva, la testa, tantè che lui sgranò gli occhi per l'incredulità, ma poi qualcosa scattò.
Lui si mosse velocemente verso di lei, su di lei, avvicinandosi a lei, avvicinandosi troppo rischiosamente a lei.
Jane percepì la pelle scoperta delle braccia e delle gambe, completamente paralizzate, bruciare al contatto con la pelle morbida di William.
Cosa vuole?
E non ci mise molto a scoprire cosa voleva.
Dio! Non vorrà soffocarmi schiacciandomi?
Ormai il possente fisico statuario di lui la sovrastava totalmente.

Stupida! Stupida!
Era stata lei a provocarlo, e adesso lui voleva fargliela pagare, ovviamente.
Jane provò a scrutare in quegli occhi azzurri bellissimi, cercando di scoprirvi qualcosa ma niente.
Fermi.
Fissi.
Glaciali.

Non li aveva mai visti così da vicino, quegli occhi. Si era già accorta che avevano qualcosa di strano, di illegibile, di nascosto, ma non riusciva a capire cosa e, forse, non voleva neanche capirlo.
Era come se dicessero niente e allo stesso tempo tutto.
Erano solo due occhi, due magnifici e singolari occhi azzurri, solo due occhi, due mondi.

Infondo gli occhi raccontano ciò che abbiamo vissuto e ciò che siamo.

E lei era sempre stata brava a leggere negli occhi delle persone, molto più veri delle parole, ma quelli non riusciva proprio a capirli. Erano gli occhi di chi aveva vissuto tutto, senza aver ancora iniziato a vivere.

All'improvviso sentì crescere la curiosità di scoprire cosa ci fosse dietro quegli occhi.
Il crepitio del fuoco la fece destare dai pensieri.
Cavolo se stava impazzendo!
L'uomo da lì a poco l'avrebbe sicuramente oppressa.
Uccisa no, certamente, ma se la sarebbe vista brutta.

E invece no.
Pareva che anche lui si fosse soffermato un po' troppo a fissare negli occhi nocciola di lei.
E ormai passavano attimi, secondi, minuti e regnava solo il silenzio. Un profondo silenzio.

Gli occhi di William si spostarono sulle sue labbra per qualche attimo per poi tornare ai suoi occhi, poi di nuovo alle sue labbra.
La giovane arrossì sentendosi terribilmente e fastidiosamente a disagio, quando lo sguardo di lui scese sul suo busto.
William guardò attentamente il collo pallido e sottile di lei per poi scendere sulla clavicola ben sporgente per via della magrezza della giovane finchè si ritrovò a fissare quelli su cui però già aveva indugiato ben più di una volta: i seni morbidi, ritti e sodi seppur ancora in via di sviluppo, erano stretti e soffocati dal bustino che sembrava chiaramente darle fastidio da come, anche in sala, cercava di allargarlo e spostarlo di continuo.
Per una volta l'avrebbe felicemente e piacevolmente aiutata a liberare ciò che sembrava chiedere di essere liberato.

Scosse la testa.
Non doveva fare quei pensieri, non su di lei, non su quella ragazzina che stava facendo di tutto per fargli perdere il controllo, seppur indirettamente.
E lui, il controllo, non poteva perderlo.
È con il controllo di se stessi che si riesce anche a controllare gli altri.
Ma lei, così maledettamente e irritantemente ribelle, metteva a dura prova quello che era riuscito ad ottenere con tanto impegno. Il suo autocontrollo.

"Cosa dovrei farne ora di te? Hai distrutto il mio sigaro, io dovrei fare lo stesso con i tuoi polsi!" Lo disse, con quella sua voce bassa e roca e sprezzante, che sembrava stesse parlando più con se stesso che con lei.

Jane boccheggiò, voleva parlare, sputargli in faccia tutte le maledizioni che le sarebbero passate per la mente fino a non avere più fiato, e invece non riuscì a emettere un suono. Richiuse la bocca, girò la testa a destra, poggiando con la guancia direttamente sul divano, per non dover più sostenere quella situazione e rimproverò se stessa.
Perchè ora si stava comportando così?! Lui non le faceva nessunissimo effetto! Nessunissimo! Giusto?

Poi sentì i polsi liberi, il divano scricchiolare per il sollevamento di William.
"Avvicinati al camino, stai tremando."
La giovane si guardò le mani.
Cavolo! Era vero! Stava tremando come una foglia scossa dal vento.
Si massaggiò i polsi, su cui vide dei segni rossi, ma in quel momento non le importava, si era quasi abituata al dolore, e al posto della rabbia c'era solo stanchezza.
Non si preoccupò neppure di pensare cosa avrebbe potuto pensare sua madre o chiunque altro avrebbe visto quei segni.
Si alzò anche lei, in silenzio.
Si mise a sedere.
Fuori aveva smesso di piovere. Da quando?

Guardò i muscoli dell'ampia e scolpita schiena di William, che le volgeva le spalle, contrarsi mentre s'infilava la camicia e quei capelli corvini scompigliati che gli davano un'aria al contempo seducente e selvaggia.

Non riuscì a capire per un attimo se volesse tirarglieli talmente forte da fargli male o accarezzarli e sentire la loro morbidezza.
Scosse subito la testa, si diede uno schiaffo mentale, si ricompose e si insultò per aver anche solo pensato una cosa del genere.
Stramaledetto inconscio!

Respirò, rendendosi conto solo allora di aver trattenuto il respiro e di avere inspiegabilmente caldo nonostante stesse tremando per il freddo.

Writer's corner
Ciaoo! Mi dispiace davvero d'aver fatto tanto ritardo, spero di essermi fatta perdonare, anche perchè questo capitolo l'ho cambiato per tre volte e ho messo di tutto. Jane si arrabbia con lui perchè ovviamente con qualcuno si deve sfogare, William lo capisce e la lascia fare finchè lo sorprende in negativo di nuovo, schiacciandogli il sigaro. Il resto è chimica, finalmente un po' di contatto! Ringrazio sempre tutte le persone che hanno aggiunto la storia alle preferite, seguite e ricordate, grazie davvero a chi ha recensito lo scorso capitolo!
Aspetto dei vostri pareri e alla prossima! ;)

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Capitolo 23
*** 23.Angelo o demone? ***


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《Sono qui.
Nell'anticamera del Paradiso
vestita di solo desiderio.
Chiudo gli occhi.
Un passo verso di te.
L'inferno.
Le fiamme avviluppano
i nostri corpi
la pelle freme
il cuore batte a ritmo di tango.
Il sangue bolle.
Il vento tace.
Apro gli occhi...
tu non ci sei.
Io non ci sono.》
{Saffo, Tra Inferno e Paradiso}

 

Erano le undici di sera inoltrata quando Jane suonò alla porta di casa sua. Fortunatamente le stalle erano ancora aperte e dopo aver dato la buonanotte ad Angel si era fatta coraggio fino ad arrivare davanti al grande giardino di rose rosse e margherite, che precedevano l'ingresso.
Già s'immaginava cosa le sarebbe spettato lì dentro, per un secondo pensò di scappare per sempre e non farsi più vedere.

No, lei non era una fifona. Non aveva avuto paura davanti a tante persone, doveva averne in quel momento?
Suo padre e sua madre si sarebbero arrabbiati, sì, come sempre con lei, ma al massimo si sarebbero fermati ad una punizione.

E invece si sbagliava.
Infondo si stava parlando di suo padre e di sua madre.
Le cose non vanno mai come ci aspettiamo.
Ad aprire quella porta fu Charles Lewis.
Jane non credeva ai suoi occhi, da quando suo padre si scomodava ad aprire la porta di casa?
Possibile che fosse lei la causa?
Possibile che per una volta fosse preoccupato per lei?

La risposta arrivò un attimo dopo, il tempo di vedere una scintilla di rabbia attraversargli gli occhi verdi, uguali a quelli di Margaret e paf, Jane sentì bruciare la guancia come mai prima d'allora, sentì il sangue affluirle al cervello ancor prima che si rendesse conto di ciò che Lord Charles aveva appena fatto.
Si portò una mano sulla guancia, più che per il dolore per rendersi conto se fosse tutto reale, e quando constatò che lo fosse sentì gli occhi pizzicare.
Suo padre non le aveva mai dato uno schiaffo tanto forte, o meglio gliene aveva dati ma molto tempo prima, quando era ancora una bambina, quando doveva essere educata a stare al suo posto, comportarsi per bene, e a non essere disobbediente.
Da quanto suo padre non la schiaffeggiava, o meglio, non la calcolava!
Dalla morte di Margaret non le aveva rivolto più di due parole limitandosi, le rare volte che lo vedeva durante la giornata al 'Buongiorno' e al 'Silenzio!', ma per sentirlo pronunciare una di queste due parole era sempre prima lei a parlargli. Avrebbe voluto che magari, se suo padre avrebbe voluto parlarle dopo tutto quel tempo, sarebbe stato per rivolgerle parole dolci e comprensive e invece...

Neppure prima era mai stato un padre modello, presente, affettuoso o qualunque cosa spetti fare a un padre con sua figlia.
Guardò in quegli occhi azzurri dove ancora credeva di poter rivedere quelli di Margaret e invece nulla, neanche un po' di gentilezza, neppure una goccia di dolcezza, solo furia e freddezza. Quella freddezza a cui credeva di essersi abituata, e invece sentiva ancora il gelo attraversarle la pelle quando quelle iridi si posavano su di lei.

"Ti rendi conto di ciò che hai fatto?! Svergognata!" Tuonò Lord Charles.
Jane sentì un male al petto.
Forte.
Ogni possibilità che infatti fosse preoccupato per lei svanì con quelle nove parole.
Ecco di cosa era preoccupato suo padre. Non del suo bene, non della sua felicità, non di come sentisse, ma del suo onore, di cosa lei aveva detto alla festa.
Non importava nulla se dopo lei era scappata tutto il pomeriggio, importava solo che il giorno seguente il nome di sua figlia sarebbe stato sulla bocca di mezzo Paese.

Peccato però che per salvare il vostro nome di latifondista e nobile di antiche origini dobbiate sotterrare il rispetto per vostra figlia, padre.

'Salvare' poi! Da cosa! Dall'ignoranza umana! E comunque sia, oramai non si poteva salvare più nulla.
Ma lord Charles non si limitò a un semplice e tagliente 'Svergognata'.
"È così che ringrazi la tua famiglia? Mettendoci contro tutta la nobiltà dello Yorkshire? Questo tuo fare l'eroina e paladina di una giustizia così inutile non è solo sciocco, ma patetico!" Alzò la voce, cosa davvero rara dal momento che Jane l'aveva sentito così arrabbiato solo quando da piccola bambina curiosa e sveglia, si era arrampicata su un albero e non aveva più nessuna intenzione di scendere.
"Cosa pensavi di fare?! Cosa pensi di fare! Cambiare questo mondo cattivo e ingiusto che ogni mattina ti fa svegliare come una principessa e dormire come una regina?! Oppure sei così tanto viziata da voler far un torto alla tua famiglia? Ingrata! Sciocca! Sparire così dalla festa di tua madre! E chissà dove sei finita! Tua sorella non avrebbe mai fatto una cosa del genere! Così rispettosa ed educata!"

Cosa pensava di fare? Far riflettere.
Cambiare il mondo? Era già troppo difficile cambiare se stessa, figurarsi il mondo!
Dormire e svegliarsi su un letto da principessa? Era bello, ma non l'aveva mai chiesto, poteva farne a meno.
Poteva farne a meno se solo avesse avuto un abbraccio in più. Poteva fare a meno di tutti quei fastidiosi vestiti se solo suo padre le avesse sorriso qualche volta.
Avrebbe potuto fare a meno di tutte quelle scarpe col tacco, che d'altronde metteva una volta al mese per far contenta la madre, se solo suo padre le avesse detto anche solo una volta "Ti voglio bene". Avrebbe fatto a meno di tutte quelle cerimonie, feste, balli, di tutto quello sfarzo e quella comodità così vuoti, se solo i suoi le avessero detto qualche volta "Siamo fieri di te."
Perchè è vero che contano i fatti (in quel caso lo stesso assenti), ma le parole e la presenza fanno la differenza.

Miss. Lydia gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla e sussurrando in modo poco convincente.
"Caro, calmati, stai esagerando..."
"Esagerando? Esagerando! Questo non è esagerare, esagerato in questo momento non sarebbe neppure chiuderla in un convento e non rivederla mai più!" Poi ritornò a rivolgersi alla figlia, con la pressione ormai a mille e il viso rosso di rabbia. "Pensi che sia stato facile avere una figlia come te?! Una che invece di imparare a ballare preferisce andare a cavallo? Una che invece di pensare a cucire o dirigere la servirù, pensa a quelle inutili tragedie e commedie che nella vita non servono a nulla? Una che invece di pensare a sposarsi e trovare un marito per dare discendenza alla sua famiglia, pensa a queste stupide rivoluzioni da quattro soldi che mai si avvereranno, e magari a iniziare a studiare commercio, bere alcol e fumare pipe?! Perchè è stata tua sorella a morire? Lei, che era così posata, composta, così... normale. Ci è toccata invece la fonte illimitata di problemi! Sarebbe dovuta esserci lei qui, a rappresentare questa famiglia! Non tu, non una scapestrata ribelle così sbagliata!"
Tutto tacque.
Miss. Lydia tacque.
Marianne lì vicino tacque.
Il personale tacque.
Persino il vento che sbatteva violentemente contro le finestre di vetro pregiato tacque.

E a quel punto Jane desiderò solo essere in camera sua a cacciare tutte le lacrime che non aveva mai cacciato fino ad allora.

S b a g l i a t a

Ecco com'era.
Ecco cos'era. Era sbagliata.
La persona sbagliata.
La persona sbagliata da salvare.
La persona che il destino si sarebbe dovuto prendere al posto di Margaret.
Magari il mondo sarebbe stato migliore.
Sicuramente tutti sarebbero stati più felici.
Forse tutto quel dolore, quel rancore sarebbe finito.

Ma non provava nè odio nè invidia per sua sorella, forse un pò di odio sì: dov'era in quel momento invece di essere lì al suo fianco a sostenerla? Perchè aveva deciso di andarsene e lasciarla lì sola?

Non parlò. Non aveva più nulla da dire, era sicura, sapeva, che nessuno l'avrebbe realmente ascoltata, non quel grido di 'giustizia', che in quel momento neanche sapeva più cosa fosse, ma ascoltato lei, proprio lei, Jane Lewis.
E poi, aveva già parlato.
E per cosa parlare se gli altri non ascoltano, o peggio fanno solo finta di ascoltare?
Infondo lei sapeva che loro nei suoi confronti provavano tutta quella rabbia mista a dolore e delusione, ma sentirselo dire così apertamente...

La furia di mr. Lewis però non si placò neppure dopo aver pronunciato le parole che fanno smettere a un padre di essere tale.
"E poi, spudorata!, come hai osato sparire tutte queste ore?!" Urlò ancora lord Charles ormai fuori di sè e forse anche un po' arrabbiato con sé.
"Cosa vi importa?" Uscì spontaneamente dalle labbra della giovane. E per un attimo vide la stanza girare, sua madre girare, il divano girare, Marianne girare. Se non fosse stato per il suo grande equilibrio, la violenza d'urto di quello secondo schiaffo l'avrebbe sicuramente buttata a terra.
Suo padre le aveva messo di nuovo le mani addosso!
Che umiliazione doveva subire!
Mai nessuno schiaffo fu più doloroso.

"Non osare controbattere! Cos'è che hai fatto tutto questo tempo? Svergognata! Ti rendi conto del modo in cui sei sparita almeno?! Ti rendi conto della vergogna che ci hai fatto provare!"
La giovane strinse i denti, una mano sulla guancia per lo schiaffo.
Ma non pianse.
Chi piange lo fa per dolore, gioia o debolezza e lei non voleva mostrare nessuno di questi sentimenti. Lei era più forte, e poi era abituata a tenersi dentro tutto il dolore.

Non rispose ancora. E stava per arrivare il terzo colpo all'anima, quando una voce, Quella Voce, virile, ferma, determinata come sempre parlò.
"Era con me, Lord Lewis."
Jane spalancò gli occhi, alzò il capo fino ad allora chino per fissare i suoi occhi feriti in quelli dell'uomo, glaciali.
Dio! Da dove era spuntato?! Da quanto tempo era lì? Cosa aveva sentito? Ma soprattutto cosa ci faceva lì?
Appena aveva smesso di piovere era andato dritto a casa sua, e lei aveva fatto la stessa cosa.
E allora, cosa voleva?
Jane vide gli occhi di sua madre illuminarsi e quelli del padre fissare l'uomo moro alto e possente fermo ad un metro da loro.
"Era con me, quando ho abbandonato la sala perchè non mi sentivo molto bene, nel ritornare a casa ho incontrato per caso vostra figlia intenta a tornare qui, ma purtroppo la pioggia le ha impedito di farlo e ci siamo dovuti riparare in un rifugio lì vicino con i cavalli finchè non ha smesso." Si fermò un attimo guardando la giovane che rabbrividì non riuscendo a proferir parola. "Vi assicuro che vostra figlia è davvero responsabile, se non fosse stato per me, sarebbe tornata qui fradicia nonostante la pioggia, con un bel malanno."
William guardò duramente il suo interlocutore. "Non merita un simile trattamento." Disse solo e Jane andò nella confusione più totale mentre suo padre nell'imbarazzo più totale.
William Stevens le aveva rivolto un complimento, forse? Stava cercando di difenderla?!
"Cosa ne volete sapere voi del trattamento che devo riservare a lei?! È mia figlia e in quanto tale posso trattarla come voglio! Voi non ne avete quindi non vi permetto di darmi consigli, Lord Stevens!"
William sorrise sghembo e Jane pensò che fosse davvero stupido. Voleva mettersi contro suo padre? Per cosa poi? Non la credeva a sua volta solo una stupida ragazzina?

"Potrò anche non avere figli, e in tutta verità non ho alcuna intenzione di averne, ma stiate sicuro che se ne avessi darei loro tutto l'affetto e l'amore possibile. Li aiuterei a crescere, li appoggerei se credessero davvero in qualcosa, li sosterrei nei momenti difficili, non li farei mai sentire soli, cercherei di insegnare loro quello che posso insegnare e darei loro tutto ciò che ho da dare senza chiedere nulla in cambio. È questo che dovrebbe fare un padre, no? Affiancare un figlio nelle scelte che lui crede giuste e mollargli uno schiaffo quando queste scelte sono del tutto sbagliate, non di certo mollargli uno schiaffo in entrambi i casi! Lei cosa ne pensa Lord Lewis?"

Per un attimo, solo uno, Jane ammirò lo Stevens.
Lo stesso che solo poche ore prima la teneva ferma su un divano sfasciato per dimostrarle quanto fosse debole.
E per un altro momento, solo un altro pensò che lo avesse fatto per dimostrarle altro, quella debolezza non solo fisica, quella debolezza che lei non voleva ammettere nè mostrare a nessuno, pensò davvero che l'uomo che le aveva preso contro la sua volontà il suo primo bacio fosse un uomo molto più profondo e misterioso di quel che volesse mostrare.
Ma quando suo padre se ne andò infuriato più che mai ascoltando per una volta sua madre, anche se sapeva che quella discussione non sarebbe finita lì, si ricredette presto.
O meglio William Stevens, che le si era avvicinato con due passi, la fece ricredere.

"Allora, sono stato bravo?" Ghignò l'uomo.
Sì! Era sempre lo stesso! Come aveva potuto pensare diversamente? Ma all'improvviso mille domande l'assalirono.
"Cosa ci fai qui?" Gli chiese più dura di quanto volesse.
E soprattutto cosa aveva ascoltato?!
Non le piaceva per niente che lui, proprio lui, avesse sentito quella conversazione con suo padre nè che l'avesse vista essere schiaffeggiata, ma soprattutto, cosa che più odiava: che l'avesse vista in un momento di fragilità, quella fragilità che solo suo padre poteva e sapeva infondere in lei.

"Cosa fai ora, ragazzina? Cacci gli artigli? Perchè non l'hai fatto prima?" E quella domanda bastò a zittirla e a farla girare dal lato opposto, accorgendosi che Marianne era ancora lì e stava fissando tutta la scena. Si rigirò verso l'uomo.
"Non cercare di cambiare discorso e dimmi perchè sei qui!" Abbassò la voce in modo che la sentisse solo lei.
"E va bene, ragazzina, non avevo sonno e mi sono ritrovato per caso qui!"
Jane lo guardò male.
"Non scherzare!"
William sbuffò, la ragazzina quando ci si metteva era davvero insopportabile! Più testarda di un mulo!
"Mentre tornavo ho pensato che una povera ragazzina potesse essere in pericolo rinchiusa in un castello controllato da un drago e sono venuto."

Jane sbattè le palpebre un paio di volte, si tirò persino una guancia in modo poco aggraziato per poi sentire una risata magnifica e cristallina che proveniva proprio da William. Erano attimi, almeno per un secondo poteva sbagliarsi e pensare che la risata di quell'energumeno fosse magnifica o no?! Ma chi voleva prendere in giro? Quella risata avrebbe fatto capitolare ai suoi piedi anche un uomo!

In quel momento si dimenticò persino della sfuriata del padre. Poi sfortunatamente tornò nella realtà maledicendosi.
"Tu devi essere pazzo! Metterti contro mio padre!"
Lui sorrise. "Tu sei pazza, nonostante sia tuo padre non può dirti che sei sbagliata, sciocca ragazzina!"
Jane per una volta non si sentì offesa.
William Stevens era l'unico uomo capace di farla arrabbiare come mai succedeva, da quando era arrivato non succedevano altro che cose negative, eppure quella sera era stato, come dire... gentile?
Forse... forse doveva ringraziarlo?
"Io... vorrei..." Ringraziarti.
"Scusami, ragazzina ma ci sono un letto e del vino che mi aspettano." La fermò e, senza dire altro, si avviò verso la porta, le fece un cenno e sparì lasciandosi dietro solo lo scricchiolio di una porta e un senso di incompiuto e confuso nella giovane impalata e ferma in quel salotto.

* * * * * * * * * * * * * * * * * * * * * *

Erano passati pochi minuti da tutto il caos che c'era stato in casa sua e Jane già si trovava in camera, aiutata quasi con la forza da Marianne per togliersi il corsetto, distrutta e stanca.
Si guardò allo specchio di fronte a loro. Aveva i capelli arruffati, il poco trucco sciolto a imbruttirle il volto, gli occhi semichiusi che non reggevano più la vista di nulla, e una guancia molto più rossa dell'altra a causa dello schiaffo.
Ma quella giornata tanto pesante non era finita lì.

Mentre la fedele e buona cameriera le slacciava l'indumento, guardò la sua padrona nello specchio, incrociando il suo sguardo per poi riabbassarlo sulla sua schiena.
"Signorina, scusate se mi permetto, ma mi sono accorta che voi e quel tale... Lord Stevens, siete piuttosto in confidenza!"
Jane la guardò incredula.
Lei e il troglodita in confidenza?
Okay, forse era vero che da quando l'aveva conosciuto si erano parlati un po' troppe volte, ma era tutto a causa della sorte!
"Ma no, Marianne! Ci siamo solo incontrati un paio di volte!" Asserì sicura poi vide la donna sorriderle.
"Scusate se mi permetto, signorina, ma io ne ho di esperienza, ne ho viste tante di persone e situazioni e pare che dopo tempo finalmente vi siate riavvicinata a qualcuno, qualcuno che tiene d'altronde molto a voi, da ciò che ho visto."
Jane aprì lo bocca, ancor più stupita.
"Non è che solo perchè ci hai visti parlare dobbiamo essere in confidenza o amici!"
"Ma io infatti non parlavo di amicizia, signorina..."
La giovane allora capì cosa intendesse, e cosa stesse insinuando e si preoccupò subito di smentire.
"Marianne! Ma cosa dici! Tu stai dicendo che io e quell'uomo che io e quell'uomo proviamo..." l'ultima parola non riuscì a dirla perchè sentì salire un coniato di vomito al solo pensiero.
"Signorina, ma vi rendete conto di quel che ha fatto? È venuto fin qui per salvarle la pelle da suo padre, ci ha messo la faccia presentandosi qui a quest'ora! Quale altro uomo avrebbe fatto una cosa del genere solo per questo motivo?"

Jame ci pensò un attimo su.
Il ragionamento aveva logica ma quello non voleva dire che lui tenesse a lei o che provasse qualsiasi altra forma di affetto nei suoi confronti! Se c'era davvero qualcosa di impossibile, era proprio quello!

"Tu non lo conosci, Marianne! Ma non c'è uomo più insipido e troglodita di quello! Un uomo senza regole, un arrogante egocentrico, un uomo che non prende nulla sul serio, un libertino! E pensare che è stato perfino un capitano in marina!" Le disse.
La cameriera la guardò poco convinta, ma ancora sorridente.
"Miss. Jane, non credo che un egocentrico vi riporti in braccio a casa" disse ricordando la volta in cui l'aveva soccorsa in quell'infernale bordello "o faccia chilometri di strada per difendervi e spiegarsi con vostro padre.
Ricordate, spesso dietro frivolezza e arroganza si nasconde qualcosa di molto più grande, una ferita molto più grande."

Jane non sapeva più cosa pensare.
Erano successe così tante cose quel giorno. Tanto in così poco. Sentiva che la testa le sarebbe scoppiata da un momento all'altro.

Quelle parole e quella voce le rimbombavano in testa.
-Nonostante sia tuo padre non può dirti che sei sbagliata!-

Prima di chiudere gli occhi ed abbandonarsi tra le braccia di Morfeo pensò solo a una cosa.
William Henry Stevens, sei un diavolo o un angelo?

Ciò di cui era certa era che il giorno dopo avrebbe fatto visita alla persona più incomprensibile sulla faccia della Terra per ringraziarlo.

Writer's corner
Okay, lo so che è passato quasi un mese, e so anche che forse sono da uccidere (spero di no), ma capitemi. Dieci giorni di bronchite asmatica altri dieci in cui davvero non ho trovato il tempo di far nulla talmente avevo da fare, poi ci si è messo anche l'umore ed eccoci qua.
Mi dispiace davvero per il ritardo, lo so che questo capitolo è un po' noioso, pesante e corto, ma si è conosciuto un altro personaggio importante (seppur secondario), che sarà molto coinvolto nelle vicende di Margaret. William poi in questo capitolo è quasi sorprendente, da galantuomo qual è (...), difende Jane e mostra quasi una certa protezione nei suoi confronti, beh un po' glielo deve dopo tutto quello che le ha fatto passare, o no?
Si capisce subito invece il carattere del padre di Jane, che finora ha taciuto, molto attento alle dinamiche familiari e alle apparenze, chissà se davvero con Margaret si è comportato bene... a proposito di lei, ho intenzione di scrivere un capitolo completamente dedicatole, in cui si scopriranno alcune cose.
Prometto che il prossimo capitolo sarà più lungo, anche perchè (come si legge) Jane ha tutta l' intenzione di andare a trovare proprio lui il giorno dopo, vedremo cosa ne uscirà fuori! Concludo col ringraziare tutte le persone che continuano ad aggiungere la storia alle preferite, seguite o ricordate. Un grazie di cuore a Thalia Grace, from2001, Giovy4578, aurora96, dimelaverdad, ceccia_96, OutOfMyMind.
Davvero grazie, i vostri pareri mi aiutano e mi fanno migliorare. Alla prossima! ^^ :*

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