Seven crimes and punishments

di Harry Fine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Danziamo in questo harem ***
Capitolo 2: *** Ma io devo continuare il mio lavoro ***
Capitolo 3: *** Dimostra la tua reverenza alla grande Conchita ***
Capitolo 4: *** Il denaro è il migliore avvocato all'inferno ***
Capitolo 5: *** Ora, pentiti ***
Capitolo 6: *** Ora, inchinati davanti a me ***
Capitolo 7: *** Dormi per la tua felicità ***



Capitolo 1
*** Danziamo in questo harem ***


Nel folto di una foresta colorata di viola sotto la luce della luna, si aggirava una giovane donna riccamente vestita dai lunghissimi e setosi capelli neri, avvolta da un mantello che nascondeva sia il viso grazioso e delicato, sia il corpo dalle forme prosperose ed eleganti. Lei non sentiva alcun senso di paura nell’aggirarsi da sola in quel bosco. Il suo cuore era ricolmo solo di impazienza e fretta di raggiungere il luogo dove lui la stava attendendo. Lui, che l’aveva fatta emozionare così tanto, anche se aveva osservato il suo volto solo per qualche attimo. Ma quei pochi secondi le erano bastati per restare irretita dentro quegli occhi tanto belli. Cercò in ogni dove in maniera sempre più febbrile, finché non vide qualcosa che, sicuramente, non era un albero. Era una villa. Una villa enorme che, a causa della ricchezza dei suoi decori e dello sfarzo che ispirava a chi la osservava, era più paragonabile ad un palazzo reale. Costruita interamente con mattoni di colore viola, che scintillavano sotto la luna, ornati da intarsi di marmo che ne circondavano le innumerevoli finestre e l’ampia scalinata, che conduceva ad un portone enorme. La giovane salì incespicando i gradini bianchi e varcò la soglia. Una volta dentro, vide che il corridoio in cui si trovava era bello esattamente come l’esterno, ma non ci fece poi molta attenzione. Avanzò quasi di corsa, fino ad arrivare ad un secondo portone. Quando lo aprì, si ritrovò in una gigantesca sala, nel mezzo della quale stava un elegante trono, sui cui era seduto un giovane uomo. Teneva le lunghe gambe accavallate, lasciando il corpo slanciato e abbastanza muscoloso in una posa rilassata, mentre gli occhi felini, di un colore blu ametista davvero impressionante, scrutavano con estremo interesse l’esile figura della ragazza da sotto la frangia di capelli blu notte. Quando la fanciulla lo vide, sentì il cuore scoppiare nel petto, vedendo il modo pieno di desiderio in cui lui la guardava, percorrendo con quegli occhi tanto magnetici il suo corpo magro e formoso. Corse più veloce che potè verso di lui, lasciando cadere il mantello e ignorando di nuovo tutto lo sfarzo dato alla sala dalle ampie colonne e dalla luce fioca e leggermente lugubre donata dai molteplici lampadari di cristallo. L’unica cosa che le importava, era raggiungere il suo amore. Appena si ritrovò di fronte a lui, l’uomo, che non poteva avere più di una ventina di anni, si alzò, sovrastandola di molti centimetri, e le tese una mano dalla carnagione nivea, sorridendo in maniera affascinante e tentatrice alla sua nuova preda. La ragazza mise le proprie dita tra le sue e si lasciò andare, danzando con lui un valzer assolutamente splendido, godendo di quel senso di profonda beatitudine ed eccitazione che la presenza e il suo contatto con il corpo forte e slanciato dell’uomo le ispirava. Lui sorrise leggermente di fronte al bel volto di quella ragazza, imbambolato nella sua contemplazione. Sarebbe stata un’aggiunta perfetta al suo harem. Poco dopo la fine della danza, prese la ragazza per le spalle e fece combaciare le loro labbra in un bacio passionale, pieno di desiderio fisico, ma totalmente privo di gentilezza o amore, in una danza di lingue che si cercavano e si respingevano a vicenda. Ma a lei sembrava non importare niente della mancanza di affetto. Voleva solo continuare a sentire quella piacevole sensazione. Poco dopo, seguendo sempre il volere di quell’uomo tanto affascinante e tentatore, entrarono in una gigantesca camera da letto. Questa era piena di giovani donne, tutte assolutamente splendide, che sospirarono sognanti quando videro il giovane. Lui Ridacchiò in maniera leggermente inquietante di fronte al suo harem, composto con tanta pazienza e fatica, ma nessuna delle ragazze presenti ci fece caso. Poi, in un attimo si ritrovarono tutte sulle morbide lenzuola, inclusa la nuova arrivata, aspettando che anche lui venisse da loro, invitandolo con guardi e gesti molto eloquenti e carichi di passione e desiderio. Lui, continuando a sorridere, si avvicinò a loro, permettendo alle loro mani di sfiorare il suo corpo in maniera sempre più frenetica e pronta a sentire la pelle nuda. Il momento dell’inizio dell’atto non si fece attendere molto a lungo. Mentre le pareti di tessuto e le costrizioni della ragione venivano lentamente infrante, Il ragazzo si beava della sensazione del suo corpo premuto contro quello delle giovani, che continuavano a baciare e mordicchiare il suo collo, il suo petto e i suoi lobi, lasciando, pian piano, lunghe scie di macchie viola sulla pelle candida. Ma non era ancora abbastanza. Molto presto, anche le mani di lui iniziarono ad accarezzare le grazie delle sue prede, che si lasciavano toccare senza opporre resistenza, soggiogate dalla presenza del ragazzo. Molto presto, la lussuria vinse su ogni altra cosa, rendendo ancora più passionale ed eccitato ogni tocco, ogni bacio, ogni singolo contatto. I morsi e i graffi che le ragazze lasciavano sul suo corpo scolpito durante l’amplesso, mentre la virilità del giovane combaciava con le loro, lasciavano cadere sottili strisce di sangue che, mescolandosi con il sudore dato dai movimenti e dal calore, si trasformavano in gocce color porpora. Una volta che tutte ebbero raggiunto il massimo piacere, caddero esauste sulle lenzuola macchiate di sangue, continuando a percepire il piacere che lui aveva dato loro. Il giovane, il cui nome era Ikuto, si alzò e si rivestì. Dopodiché, si voltò verso le sue prede. Adorava tutto quel turbine di emozioni lussuriose e piene di desiderio nei suoi confronti da parte delle donne. Erano quelle le notti che aveva sempre sognato fin da quando era più giovane, prima che le sue notti perfette avessero inizio, prima che la sua vera vita avesse inizio. Quel ricordo gli fece perdere di colpo il sorriso malizioso che aveva sempre ornato le sue labbra. Quei tempi e quelli avvenimenti erano ormai svaniti come semplice fumo, ma, a volte, tornavano a fargli visita alcuni dei fantasmi del suo passato. Tutti i volti delle persone che lo avevano deriso ed isolato in passato, iniziarono a passare nella sua mente, con le loro facce crudeli e le loro risate mentre lo ridicolizzavano. Ma lui scacciò subito quei pensieri. Aveva iniziato anni prima a vendicarsi di tutti loro, stringendo un patto col demonio per raggiungere il suo scopo tramite la sua magia. In cambio della sua anima immortale, lui gli aveva donato il potere di ammaliare e riempire di desidero qualsiasi donna lo avesse guardato anche solo per un attimo. Aveva passato ogni giorno degli anni seguenti per le strade della città, per irretire col suo fascino ogni donna abbastanza bella che gli fosse capitata a tiro, creando pian piano il suo splendido harem, e iniziando a soddisfare ampiamente il suo desiderio carnale, ogni notte. Ma per lui non era mai abbastanza. Lui Desiderava continuare all’infinito. Dopo aver lasciato la camera da letto, si mosse molto rapidamente verso un’altra stanza in particolare. Era senza dubbio la più bella di tutto il palazzo. Lì dentro, l’ambiente era illuminato dal fuoco scoppiettante di un caminetto, tra le fiamme del quale si poteva vedere un ritratto di Ikuto stesso quasi del tutto trasformato in cenere. Accanto ad esso, c’era un letto a baldacchino, nel quale dormiva una delle tantissime ragazze che vivevano accanto a lui, ma lei era molto diversa rispetto alle altre. Le forme del corpo nudo erano meno visibili, il corpo più esile e giovanile, il viso con due labbra delicate e rosee che portava ancora qualche traccia della sua fanciullezza. Quest’ultimo era incorniciato da una lunghissima chioma color rosa confetto. Quella vista lo fece sorridere in maniera più dolce e amorevole rispetto alle altre volte. La svegliò dolcemente, facendo spalancare un paio di grandi e dolci gemme d’oro, leggermente offuscate dal desiderio evidente che provava nei suoi confronti. Gli sorrise gentilmente, mentre entrambi si lasciavano andare ad un bacio delicato e meno passionale e violento, molto diverso da quelli che aveva dato quella sera. Ikuto non potè fare a meno di provare sempre quella sensazione di felicità che provava quando lei si concedeva a lui in quel modo. Era a causa di quella ragazza che aveva deciso di rinunciare a sé stesso, diventando il mostro, l’incarnazione della lussuria, che tutti ormai conoscevano, ma non avevano mai visto in volto. Era stato a causa sua, se lui era diventato ciò che era. Solo a causa della folle passione mista ad affetto e sete di vendetta che, fin da subito, lui aveva sentito nei suoi confronti, ma che, purtroppo, non era mai stata ricambiata. Ecco che cosa lo aveva reso tanto folle da stringere quel patto maledetto, perdendo la sua umanità. Ma considerava questo come il più bello dei regali. Infatti, con lei, decise di essere molto più delicato, nonostante l’impellente bisogno di farla sua per l’ennesima volta. Lasciò che fosse lei a guidare la danza antica e passionale dei loro corpi, sempre ricolmi di quella lussuria che lui ispirava a chiunque lo guardasse. Con lei, cercava sempre di essere il migliore tra quei pochissimi che avevano avuto la fortuna anche solo di sfiorare il suo corpo. Quando si fusero in una sola entità, ad entrambi parve di assaporare qualcosa di molto simile al paradiso. Una volta che la loro unione si sciolse in piacere, lui se ne andò, lasciano riposare la sua preda più importante e preziosa. Nonostante avesse avuto molte donne nel suo letto a fargli compagnia, solo lei gli dava quel senso di appagamento totale che provava ogni volta che gli si concedeva. Solo lei ne era capace. La sua confettino, come la chiamava quando erano bambini. Sorrise di nuovo, ricordando quel soprannome, pensando a come agire, per continuare a vendicarsi degli abitanti del villaggio è mettere a segno l’ultimo atto di questo suo progetto. Nei giorni seguenti, decise di ritornare in città, andando alla ricerca di nuove prede da ammaliare. Non poteva resistere alla tentazione di farlo. Soprattutto, perché sperava di Trovare delle vergini e togliere loro la purezza. Quello era sempre stato una delle sue più grandi passioni. Osservò molte donne, sorrise loro con quella sua tipica aria felina e accattivante, facendo cadere ai suoi piedi praticamente tutte le donne del villaggio. Esse, quella notte stessa, abbandonavano le loro case senza lasciare traccia. Pian piano, le donne erano scomparse. Alcune erano mogli, altre figlie. Nessuna fece ritorno. Erano state tutte catturate dalla lussuria del mostro, progenie di Asmodeo, che le aveva rinchiuse con sé nel suo palazzo, per soddisfare i suoi desideri carnali inestinguibili. Ormai, sembrava che non ci fosse più speranza di riaverle indietro. Durante quell’ultima notte, il cui cielo era illuminato da una luna piena più luminosa del solito, un’altra fanciulla, probabilmente L’ultima del villaggio, giunse alla porta del giovane. I lunghi capelli viola erano raccolti in una coda, che faceva sfuggire qualche ciuffo, che ricadeva davanti agli occhi castani. Quando Ikuto la vide, sorrise, come sempre. Le tese la mano, come sempre. La avvolse in un abbraccio, come sempre. Ma, stavolta, qualcosa di diverso accadde. Un potente dolore al petto colse l’uomo mentre teneva la ragazza tra le braccia. Si allontanò da lei, mentre osservava il suo sangue purpureo sgorgare copioso dalla ferita, mescolandosi al sudore, e imbrattare i suoi abiti. La ragazza sorrise, tenendo sempre stretto il coltello con cui aveva distrutto definitivamente il demone, mentre si scioglieva la coda, rivelando il suo vero aspetto di ragazzo, che aveva cercato e trovato la casa del demone per ritrovare il suo amore svanito. Subito, il giovane uomo dai capelli blu fu colto da un mancamento, che lo fece cadere a terra. In quello stesso istante, le sue illusioni si ruppero, facendo in modo che le donne, una volta che si furono risvegliate dalla loro trance, iniziassero a scappare via da lui, abbandonando il palazzo. L’ultima a lasciarlo, la sua confettino, si volse un secondo a guardarlo, prima di fuggire via. 《ASPETTA!》 Urlò lui. 《Non ti ho ancora detto…. Che ti amo!》 Disse, prima che il coltello del ragazzo travestito calasse per L’ultima volta su di lui.

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Capitolo 2
*** Ma io devo continuare il mio lavoro ***


Nel quartiere giapponese di Enbizaka, viveva una giovane donna di nome Amu che possedeva una sartoria. Era una ragazza molto molto bella, sempre gentile con tutti e con una reputazione decisamente ottima e molto popolare tra la sua gente, che la trattava con rispetto e ammirazione ogni qual volta la incontravano per le strade. Ma, nonostante tutto questo, un pensiero sgradevole e continuo occupava costantemente la sua mente, rodendola come un tarlo, e intaccando spesso i suoi dolci sorrisi. Il continuo imbroglio della persona che amava. Ecco cosa la preoccupava così tanto. Ogni giorno che passava, lui si faceva vivo presso di lei sempre meno spesso, ignorandola e lasciandola inesorabilmente da sola, con l’unica compagnia delle sue amate forbici: l’ultimo ricordo che le era rimasto di sua madre, morta molti anni prima. Infatti, dopo aver trascorso le lunghe ore di lavoro a cucire e riparare abiti per tutte le donne del villaggio che le chiedevano un aiuto, passava il tempo ad affilarle con estrema attenzione, così che tagliassero sempre meglio e compissero il loro compito nel migliore dei modi. Un giorno come tanti altri, mentre passeggiava per le ampie e tranquille vie di ciottoli, che decoravano il piccolo e leggermente pittoresco villaggio, composto da eleganti pagode di vari colori e varie altezze, vide qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. L’uomo che le aveva rubato il cuore era in compagnia di un’altra bella e giovane donna, proprio nel bel mezzo della via principale, e lui sembrava veramente felice di stare in sua compagnia. La povera sarta, nonostante lo shock, dovette ammettere che l’elegante kimono rosso le stava davvero molto bene. Il suo splendido colore si sposava perfettamente con quello dei lunghi capelli biondi di lei, raccolti in due codini, e avvolgeva con grazia il corpo formoso e femminile, esaltandone la figura. Entrambi stavano parlando e si sorridevano l’un l’altro senza il minimo ritegno, prendendosi apertamente gioco di lei, come se non esistesse o non fosse in grado di vedere il loro atto peccaminoso. Perché lui non le aveva mai sorriso in quel modo così pieno di amore? Perché quell’altra donna aveva il privilegio di essere di suo gusto, mentre lei non lo era abbastanza? La ragazza non potè fare a meno di fuggire da quel posto, che, ormai, non le comunicava altro che infelicità, ma anche qualcos’altro. Un sentimento molto più velenoso e pericoloso, che, però, non era ancora in grado di identificare. Quella stessa sera, mentre le sue dolci guance le si bagnavano con le lacrime piante dai suoi occhi dorati, lei utilizzava le sue dita delicate e gentili per brandire le sue amate forbici, leggermente sporche, e ricucire con cura il kimono sul suo piano da cucito. Perché, dopotutto, lei doveva concentrarsi solo sul suo lavoro, non poteva assolutamente fermarsi. Alla fine, grazie al suo duro impegno e al suo profondo amore, avrebbe ottenuto ciò che più desiderava e sarebbe stata finalmente felice. Ecco cosa pensava con uno strano sorriso sulle labbra. Il giorno seguente, mentre passeggiava per il quartiere come al solito, le parve che ci fosse una strana atmosfera. Gli abitanti del quartiere erano diventati leggermente agitati e preoccupati. Girava, infatti, la voce che una giovane donna fosse stata assassinata in casa sua e denudata da qualcuno. Ma quella era l’ultima cosa che le interessava in quel momento. Quando si era fermata un secondo, aveva notato il suo amore seduto presso il ponte, in compagnia di un’altra giovane donna. Lui sembrava veramente tristissimo e aveva appoggiato la testa sulla spalla della ragazza, mescolando i suoi capelli d’oro con i bellissimi capelli viola di lei, che lo stava confortando come meglio poteva. La giovane sarta strinse i pugni, sentendo gli occhi pizzicare. Perché lui non aveva svelato le sue preoccupazioni a lei, che era sempre al suo fianco e lo amava davvero? Perché non aveva chiesto il suo conforto? Perché quella donna era più di suo gusto rispetto a lei? Nonostante la sofferenza che provava di fronte a quello spettacolo di orribile presa in giro nei suoi confronti, la sarta osservò che il raffinato Obi verde le stava davvero d’incanto, fasciandole con grazia la vita sottile. Cercò di essere forte, ma non servì a nulla. La ragazza corse via, facendo ondeggiare i lunghissimi capelli rosa nel vento, mentre i suoi occhi si facevano sempre più rossi e gonfi di tristezza. Quella stessa sera, la giovane cercò nuovamente di trovare rifugio nella sua sartoria, continuando a lavorare fino a che il cielo non venne ornato dalle stelle. Le sue forbici, sempre più taglienti e bagnate di lacrime e altro, erano strette tra le sue mani e tagliavano le imperfezioni dell’Obi, in modo che potesse essere riparato. D’altronde, sarebbe bastato solo un po’ di pazienza in più. Il suo lavoro era a buon punto, e presto, lei sarebbe stata una donna perfetta per il suo amore. Il giorno dopo ancora, nel villaggio si stava diffondendo lentamente un certo senso di terrore. Sembrava che un’altra giovane donna fosse stata assassinata in circostanze misteriose, per poi essere spogliata dei suoi abiti. La ragazza, però, non sembrava curarsene, e continuava a sorridere a tutti quelli che incontrava sul suo cammino in maniera gentile, esattamente come ogni altro giorno. Ma il sorriso morì sulle sue dolci labbra, proprio appena passò di fronte al negozio di fermacapelli. Il suo amato era al suo interno, in compagnia di una ragazza, poco più che appena adolescente, a cui sorrideva in maniera dolcissima e piena di tenerezza, mentre le applicava sui corti capelli rame un bellissimo ornamento giallo. Lei, osservando il regalo, gli gettò le braccia al collo, venendo subito ricambiata. La ragazza sentì di nuovo quel sentimento velenoso pervaderla. Perché lui non era mai stato così buono e dolce con lei? Perché quella ragazzina, che sembrava anche troppo giovane per lui, era una donna di suo gusto e lei no!? Quell’uomo non aveva proprio limiti! Ora, dopo essersi interrogata più e più volte su quella sensazione che le intorpidiva il cuore in quei giorni, capì che non era altro che pura e velenifera invidia. La ragazza fuggì, capendo, finalmente, in che modo avrebbe potuto completare il suo più grande progetto e diventare una donna abbastanza affascinante e degna per diventare l’unica che lui avrebbe mai potuto e voluto guardare. Quella stessa sera, mentre si domandava se le sue forbici fossero sempre state di quel colore così strano che adesso le imbeveva, lavorò di nuovo duro con esse, come non aveva mai fatto. E non versando neanche una lacrima stavolta. Alla fine, osservando il suo operato, un sorriso molto strano e spaventoso le ornò il bel viso, mentre gli occhi scintillavano per un attimo di uno strano bagliore rosso veramente inquietante. 《Ho finalmente terminato il mio lavoro.》 Disse con estrema soddisfazione. 《E se non sarai tu a venire da me, sarò io ad incontrarti.》 Affermò con un tono veramente agghiacciante. Avvolse la sua figura snella e longilinea con il raffinato kimono rosso, strinse intorno alla vita sottile il pregiato Obi verde e ornò i suoi lunghi e morbidi capelli rosa con il fermacapelli giallo. Ora, finalmente, lei e il suo amato avrebbero potuto essere come le due lame delle forbici, che si dovevano toccare e lavorare in coppia per poter svolgere il loro compito al meglio. O, almeno, questo era ciò che le ripeteva sempre sua madre quando era ancora una bambina. Una volta che si fu preparata a dovere, uscì dalla sartoria per cercare il suo sposo. “Stavolta non potrà evitare di notare quanto sono diventata bella” pensò la progenie di Leviathan, sempre con quello strano sorriso. Il giorno dopo, la giovane vide che il quartiere era sprofondato nel panico più totale. Sembrava che un’altra ragazza e un giovane uomo fossero stati uccisi e denudati dei loro capi d’abbigliamento. In questa maniera, una famiglia di quattro era stata sterminata da qualcuno. Ma a lei non importava. Dopotutto, lui si stava comportando in modo crudele. Quando gli si era presentata, lui l’aveva trattata come se fosse una semplice estranea. Ora le sue forbici erano tinte di rosso. Più le avrebbe affilate, meglio avrebbero tagliato.

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Capitolo 3
*** Dimostra la tua reverenza alla grande Conchita ***


In un grande castello di marmo bianco e rosso pieno di un vile odore, poco distante da un villaggio molto meno sfarzoso rispetto ad esso, stava per iniziare una nuova cena. Proprio in una delle sale più grosse ed eleganti di tutto il palazzo, ovvero la sala da pranzo, di fronte ad un’immensa tavola riccamente imbandita con le pietanze più strane e raccapriccianti che si fossero mai viste, e che avrebbero sicuramente fatto rabbrividire qualsiasi uomo normale, sedeva una giovane donna con dei lunghissimi codini biondi che divorava tutto ciò che trovava sui suoi pitti con foga e con un ampio sorriso soddisfatto sulle labbra, brandendo le posate come se fossero state armi. Il nome di costei era Utau Conchita, padrona incontrastata di quella casa e anche colei che tutti i suoi compaesani avevano sempre indicato come una vera e propria regina culinaria. In passato, infatti, lei aveva permesso sempre e solo al cibo più raffinato e squisito di toccare il suo palato sopraffino, diventando un’esperta nell’arte del gustare, ma, alla fine, ciò che più di tutto aveva desiderato mangiare, erano stati gli alimenti più orridi e indicibili che esistevano su questa terra. Ma nessuno doveva assolutamente azzardarsi a criticare i suoi gusti. Bisognava inchinarsi e dimostrare somma reverenza alla grande Conchita, poiché ogni ingrediente del mondo apparteneva a lei e soltanto a lei. E, proprio per questo, quella donna voleva solo divorare tutto ciò che di commestibile c’era in questo nostro mondo, nonostante le rimanesse sempre e comunque uno spazio nello stomaco, mangiando quei “manicaretti” finché non rimanevano più nemmeno le ossa e, nel caso non le fossero bastate neanche quelle, avrebbe masticato perfino i piatti. Era chiaro che, per lei, la pura felicità danzava sulla punta della lingua. E non le importava nulla se, ormai, destava un muto ribrezzo e un profondo disgusto dentro chiunque la guardasse. Anzi, questo la faceva ridere di gusto. Dopotutto, le era sempre piaciuto un sacco mangiare. Sentire come si mescolavano i sapori, addirittura vedere i colori di tutti quei cibi tanto orribili, quanto favolosi per lei, era la cosa migliore che potesse fare per impegnare le sue giornate. Addirittura il veleno più letale, colorato di un bel blu lucente, a suo parere, non sarebbe stato nient’altro che una dolce spezia. E i suoi gusti e desideri dovevano essere sempre soddisfatti all’istante, senza proteste o lamentele da parte di nessuno. Ogni giorno che passava, infatti, i suoi due camerieri gemelli e il suo cuoco personale, il quindicesimo di quell’ultimo anno, ricevevano l’ordine di cucinare e servire in tavola delle pietanze all’apparenza sempre più immangiabili e sempre più frequentemente in una singola giornata, anche nelle ore più impensabili e tremende. Ma tutti loro sapevano che non potevano rifiutarsi di ubbidire ai desideri dello stomaco della loro signora, e non dovevano azzardarsi nemmeno a lamentarsi di essi. Dovevano assolutamente essere fedeli alla loro grande Conchita, cercando di soddisfarne l’insaziabile appetito ogni qual volta lei ne avesse avuto bisogno. Un giorno, il cuoco, l’uomo che donava alla sua padrona anche altri piaceri oltre a quelli del palato, ebbe l’ardire di chiedere alla sua padrona una semplice e breve vacanza per rivedere la sua famiglia, da cui mancava ormai da diversi mesi. Costei rise di gusto, rifiutandosi di concedergli quel piccolo favore, definendolo anche inutile come persona, dato che non era in grado di soddisfare solamente i suoi voleri, intimandogli di ubbidire e tornare a cucinare qualcosa di unico per la cena imminente. Quella stessa sera, l’uomo, ovviamente eseguendo gli ordini della sua signora, stava portando in tavola un piatto molto speciale e dal condimento particolarmente “prezioso”, striato di uno scintillante azzurro dall’aria apparentemente deliziosa, ma il poveretto non aveva pensato alle possibili conseguenze di quel gesto tanto sconsiderato. E se ne rese conto troppo tardi, quando sentì due braccia sottili e terribili stringersi da dietro possessivamente attorno al suo collo, scatenando il suo terrore più assoluto. Ogni singolo abitante e qualsiasi servitore di quel luogo conosceva il proprio imperativo dovere. Erano obbligati ad inchinarsi e dimostrare somma reverenza e rispetto alla loro grande Conchita, poiché tutti coloro che l’avrebbero tradita, sarebbero stati costretti a pagare un prezzo terribilmente alto. Ecco cosa pensava lei, mentre osservava con aria folle e famelica il collo dell’uomo, che aveva già assaporato diverse volte. Ma, ormai, a lei non importava più nulla. Non voleva che divorare tutto ciò che c’era in questo mondo, non le interessava altro. Soprattutto perché quel giorno ci sarebbe stato un menù di carne e verdura davvero molto più speciale e raffinato del solito, ornato da capelli di un bel rame scintillante, un ottimo contorno per la sua insalata. Si beava grandemente di quel sapore tanto inebriante, mentre le sue labbra si tingevano di un innaturale rosso, lo stesso colore del suo bellissimo e sfarzoso abito da sera, anche quello ormai macchiato in più punti da gocce di quel colore tanto strano e saporito. Ma, dato che per lei non era ancora abbastanza, decise di passare anche al secondo. 《Hey, mio piccolo servo.》 Disse con uno strano tono, afferrando il suo cameriere più vicino per i lunghi capelli viola. 《Di che cosa sai!?》 Chiese, spalancando gli occhi e anche le fauci di denti aguzzi, ancora sporchi di rosso, con aria famelica, scatenando subito il terrore più profondo del povero sventurato. Brandendo di nuovo le posate come spade, la donna ricominciò a gustare grandemente quel sapore tanto raffinato e particolare di cui, ormai, non poteva fare più a meno. Infatti, una volta assaggiato quel piacere tanto perfetto, la donna, diretta discendente di Bezelbù, non voleva più smettere di sentire quel impressionante paradiso sulle sue “raffinatissime” papille. E ogni giorno che passava, l’atmosfera nel castello si faceva sempre più tesa a causa delle continue sparizioni di vari membri del personale. Il cuoco ed entrambi i due camerieri più fidati della padrona erano spariti nel nulla, portandosi dietro gran parte dei maggiordomi e delle donne addette alla pulizia della tenuta, creando un forte senso di allarme negli abitanti rimasti, ma tutti coloro che ancora vivevano in quel luogo maledetto cercavano di non darlo a vedere. Poi, pian piano, i piatti che la loro signora chiedeva ai cuochi si erano focalizzati su un tipo di carne sconosciuta che lei stessa forniva e la quale non poteva più smettere di bramare. Ma non erano queste le cose più terrificanti che turbavano l’anima della gente. Le urla lo erano. Ogni notte, si sentivano grida e implorazioni disperate. Quelle di persone braccate da qualcosa di mostruoso e famelico, che lanciavano mentre invocavano aiuto disperatamente, nella vana possibilità di essere tratti in salvo prima che fosse troppo tardi. A causa di questo, nessuno degli abitanti del villaggio vicino, nemmeno il più spericolato o incosciente, si azzardava anche solo ad avvicinarsi a quel luogo, percependone l’aura di terrore e pericolo. Come se percepissero il sangue che era stato versato e poi avidamente gustato in quel castello. Ma poi, le urla, così come erano misteriosamente cominciate, misteriosamente finirono. Al suo interno, non era rimasto più niente e nessuno. A parte la grande Conchita. Era rimasta da sola senza niente da mangiare. Non importava quanto disperatamente cercasse, anche i cibi più immondi erano terminati. Alla fine, era riuscita sul serio a divorare tutto in questo mondo. Ma poi, osservò la sua mano destra. 《C’è ancora qualcosa che non ho mangiato.》 Disse con un sorriso orribile. L’ultimo inquietante pasto di Utau Conchita. E gli ingredienti erano proprio... se stessa. Costei si consumava con felicità, fino a che non Terminò davvero i suoi disgustosi cibi. Ecco il corpo che aveva divorato qualsiasi cosa, ma nessuno saprà mai qual è il suo sapore.

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Capitolo 4
*** Il denaro è il migliore avvocato all'inferno ***


In una città molto antica, composta completamente da alti edifici di pietra grigia e leggermente muffita, senza la minima traccia di colore, e perennemente avvolta da una spessa ed tetra nebbia bianca, un edificio in particolare svettava tra le case del quartiere più ricco di quel luogo intriso di infelicità, il tribunale. Un luogo composto, esattamente come tutti gli altri, da pietre senza nessun colore. Al suo interno, nelle aule piastrellate di bianco, si svolgevano i processi che avrebbero deciso il destino degli accusati. Ma lì dentro, i concetti di innocenza e colpevolezza erano diventati entrambi relativi, poiché l’esito del processo era tutto in mano ad Hotori, il giudice corrotto di quella corte maledetta. Costui era un uomo di grande ricchezza, ma anche provvisto di un altrettanto grande desiderio di accumulare sempre più denaro, senza curarsi di chi calpestava o del destino di chi ingiustamente puniva, anzi, godendo della disperazione degli sconfitti. Non importava l’età, il sesso, il lavoro o il ceto sociale di fronte ai suoi occhi sempre gelidi e impassibili. Per lui, se volevi avere salva la vita, dovevi essere semplicemente disposto a pagarlo bene. 《Il denaro è il migliore avvocato qui.》 Diceva sempre lui, sorridendo malvagio a chi gli chiedeva aiuto. Perché bastava donargli una cospicua somma prima del processo, rendendone scontato il risultato. Così facendo, si era guadagnato la reputazione di essere la persona più infima e pericolosa di tutta quella lugubre città. Il malcontento era moltissimo in quei luoghi da quando lui era diventato il signore della giustizia, creando sempre più vittime innocenti, e liberando i criminali per le strade. Infatti, moltissime persone che avevano commesso gli atti più atroci, arrivando persino a nuocere gravemente dal punto di vista fisico ai propri compaesani, erano stati rimessi in libertà in un attimo, visto che, grazie ai loro molteplici crimini, erano in grado di pagare molto di più rispetto a quei poveracci dei bassifondi che avevano subito il torto. Ma a lui non importava nulla. Se gli oppressi non erano in grado di guadagnarsi il suo favore, allora sarebbero stati semplicemente schiacciati dal battere del suo ingiusto martello. Non era un argomento di particolare interesse per lui, gli bastava solo ricevere il suo denaro. Ogni singolo giorno, l’uomo indossava la sua toga, di un bel nero lucente, in contrasto coi suoi capelli platinati, e puntava i suoi gelidi occhi sanguigni prima sul pagamento a lui offerto, poi sulla sua corte maledetta. Senza indugio o il minimo problema, batteva sul suo banco l’innocenza del criminale, mentre colui che era dalla parte del giusto e i suoi parenti si scioglievano in lacrime frustrate sotto il suo sguardo, soddisfatto per la somma recentemente guadagnata. Ma anche lui, come tutti gli altri, aveva un pensiero fisso che, quando nessuno poteva vederlo, lo portava a rendersi fragile come il vetro. E quest’ultimo era la sua adorata “figlia”. Lei, che con la sua dolcezza e la sua innata e delicata purezza faceva sbocciare dei piccoli sorrisi sul volto cadaverico del padre, era confinata su una sedia a rotelle fin dalla sua nascita prematura, avvenuta quattordici anni prima. All’uomo corrotto non importava niente e nessuno, se non la sua “piccola” e della sua condizione di paralisi, ma, soprattutto, cercava da anni il modo di guarirla. Ecco cosa lui desiderava, ed ecco perché era tanto ossessionato dall’arricchirsi, anche se in maniera scorretta, e dal liberare i peggiori criminali come se fossero semplici persone innocenti. Voleva vedere la sua “bambina” crescere sana e forte, cosa che, fino ad allora, nonostante tutta la bellezza donatale dai lunghi e ricci capelli biondo platino e i grandi occhioni blu, le era stata negata dal corpo gracile, molto simile a quello di una bambola di porcellana. E gli interessava soltanto questo, non si curava del dolore e dell’infelicità che stava facendo dilagare tra le strade di quel luogo tetro e spettrale. Infatti, aveva scoperto da poco il modo in cui la sua Lulù avrebbe potuto essere come le altre fanciulle della borghesia cittadina, senza che lui fosse costretto a dare via la sua fortuna. Se, tramite i suoi giudizi ingiusti, fosse riuscito a mettere insieme tutti i sette peccati capitali nella sua corte, avrebbe visto realizzato il suo desiderio, vedendo la sua “bambina” riuscire a muoversi e a vivere sul serio, senza essere costretta a rimanere confinata per tutta la sua vita nella loro enorme villa. In un giorno in particolare, però, era stato portato al suo cospetto un generale dell’esercito che, essendo corrotto e ricco tanto quanto lui, aveva commesso diversi omicidi di massa pur di farsi pagare profumatamente, ed era stato accusato proprio di questo. Al giudice Hotori venne allungata la somma più alta che avesse mai ricevuto per liberare un criminale come quello, affinché quell’uomo fosse rimesso in libertà. Quello era ovviamente un peccato mortale, proprio quello di cui lui aveva bisogno. Facendo oscillare per l’ennesima volta il suo ingiusto martello, proclamò l’innocenza di quell’assassino, guardando freddamente quei poveracci, probabilmente i parenti degli assassinati, che si stavano disperando davanti a lui, godendo di quel dolore. Quest’ultimo atto non fu più tollerabile per il popolo. Ogni uomo, donna, bambino o anziano dei bassifondi insorse con ogni arma a loro disposizione contro di lui e contro i torti continuamente subiti da parte sua e dalla sua corruzione, venendo capeggiati da una ragazza piuttosto bassa dal passato molto particolare. L’assassino di massa fu preso d’assalto da tutta la loro forza, venendo fatto letteralmente a pezzi dall’ira dei popolani. Appena la folla dei rivoltosi giunse alla villa del giudice, il fuoco la arse, con tutto ciò che vi era dentro. Hotori e la “figlia” erano entrambi all’interno, immersi in quel mare di fuoco, ma la “ragazza”, nonostante stesse per morire ingiustamente, era rimasta al fianco di suo padre, non avvertendo la paura o il calore delle fiamme causate dalle terribili azioni che quell’uomo, figlio di Mammona, aveva compiuto senza pensarci un secondo. Mentre i muri venivano arsi da quel terribile turbine arancione, l’uomo poggiò la sua testa sulla spalla della “giovane” paralitica, abbracciandola amorevolmente come faceva ogni giorno, mentre i corpi di entrambi venivano divorati senza pietà dal calore. Il giorno dopo, i compaesani esultavano, vedendo la villa ridotta in cenere e due corpi bruciati tra le ben poche macerie rimaste, senza sapere che cosa realmente era accaduto. Ma il giudice non aveva ancora terminato la sua corruzione e la sua sete di denaro. Quando aveva riaperto gli occhi sanguigni, aveva visto davanti a sé la gigantesca figura del giudice infernale. Era seduta su un trono di pietra e ossa, che faceva anche da colonna portante per la caverna buia in cui si trovavano. Il fisico snello e il corpo estremamente minuto le davano un’aria molto giovanile ed innocente, esattamente come i lunghissimi capelli biondi e molto mossi che le arrivavano alle ginocchia, ma quest’aria fanciullesca era rovinata dalla sua pelle innaturalmente cadaverica e dal mantello nero, simile alla sua toga, che avvolgeva completamente il suo corpo, mentre i suoi occhi erano celati sotto ad una maschera di ferro argentato. Forse era solo una sua impressione, ma gli sembrava di aver già visto quella ragazza dentro casa sua. I due rimasero in silenzio, sapendo entrambi che cosa si sarebbero detti. Di colpo, sul volto del giudice infernale si dipinse un ghigno inquietante tanto quanto lo erano i suoi mentre osservava gli innocenti venire puniti al posto dei criminali. 《Sai, anche l’uomo peggiore può essere liberato qui, basta che paghi bene.》 Disse, sorridendo in maniera maligna. 《Il denaro è il migliore avvocato.》 Terminò, mostrando tutta la cattiveria nei suoi sorrisi, la stessa che mostrava lui quando decideva su liberare un criminale, utilizzando proprio quella stessa frase. Anche il giudice Hotori sorrise, avvicinandosi lentamente al giudice infernale. Quando giunse al suo cospetto, appoggiò delicatamente la testa sulla spalla del demone, esattamente come faceva da vivo con la sua adorata “figlia”, avvolgendola in un abbraccio. Poi, si avvicinò gentilmente all’orecchio della donna. Infine, con un ghigno repellente sul volto, le disse 《Non ti darò mai la mia fortuna.》. L’uomo si allontanò con aria soddisfatta, dirigendosi verso la porta dell’inferno, ma, di colpo, le fiamme demoniache emersero con forza dal terreno, richiudendosi sul giudice corrotto come una morsa, trascinandolo con loro nei meandri più profondi e oscuri dell’aldilà, dai quali non c’è speranza di ritorno. Alla fine, mentre ardeva insieme alle altre anime dannate, sperò che quei luoghi potessero diventare l’utopia per lui e sua “figlia”.

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Capitolo 5
*** Ora, pentiti ***


In una città composta interamente da edifici di pietra grigia e senza colore, perennemente avvolta da una lugubre nebbia biancastra, una sola macchia di colore spiccava. Era una casa. Una casa che stava venendo lentamente divorata da un enorme incendio, i cui colori arancioni, rossi e dorati erano le uniche sfumature colorate che si vedevano in tutto quel grigiore. Il silenzio assoluto che, solitamente, avvolgeva quel luogo, era infranto dalle grida furiose e piene di odio di una folla inferocita, composta da uomini, donne, bambini e anche anziani, che si era radunata proprio ai piedi della casa in fiamme. Al suo interno, c’erano due persone che, incuranti del fuoco che avvolgeva le pareti, si stavano guardando senza dire una parola. La prima figura era quella di un uomo adulto dagli occhi sanguigni e dei capelli platinati, che si mischiavano con l’incarnato cadaverico. Lui era il giudice corrotto, colui che aveva distrutto quella città con i suoi giudizi ingiusti, guidati solo dalla smania di raccogliere sempre più denaro per sé stesso. E in quel momento stava fissando con sguardo arrogante la pistola che l’altra persona, la giovane ragazza che aveva guidato la rivolta ancora in corso fuori, gli puntava contro, con la bocca delicata digrignata per il disgusto e l’odio che aveva provato fino a quel momento nei suoi confronti. I suoi grandi occhi caramello erano coperti da una maschera metallica, mentre le esili braccia reggevano la sua più fedele compagna. La pistola che aveva ricevuto al suo undicesimo compleanno. Le dita sottili erano premute sul grilletto con decisione, ma non avevano ancora fatto abbastanza pressione da far partire il colpo. L’uomo che le stava davanti era senza dubbio l’essere più infimo che avesse mai conosciuto. Ma sua madre le diceva sempre che ogni persona, anche la peggiore di questo mondo, doveva avere la possibilità di salvarsi, se era disposta a pentirsi dei suoi errori. E lei avrebbe continuato a seguire i suoi insegnamenti, anche se la sua mente e il suo cuore le dicevano di sparare e basta. 《Se restituisci tutto il denaro che hai rubato, avrai salva la vita.》 Disse con freddezza, mentre i lunghissimi e mossi capelli biondi si muovevano e si mischiavano con lo scintillio del fuoco. Lui le sorrise un’altra volta con tutta la sua arroganza, digrignando i denti. 《Non ti darò mai la mia fortuna.》. Quelle parole non fecero altro che ingigantire ancora di più l’odio che la ragazza portava nel cuore. Quello stesso odio che l’aveva consumata per anni, bruciando lentamente la sua anima fino a quando della vecchia se stessa, la ragazza dolce e spensierata che desiderava solo farsi nuovi amici, non era scomparsa del tutto, lasciando solo un inutile guscio vuoto dietro di sé, quella pallida ombra che ora era lì, in quella casa avvolta dalle fiamme. Lui aveva rovinato tutta la sua vita, facendola diventare ciò che era ora. Ed aveva iniziato a fare questo quando gliel’aveva donata lui stesso in prima persona. Solo che quel mostro non lo aveva mai saputo. Lei era nata nella foresta, rimanendo nascosta accanto a sua madre, l’unica persona che le volesse davvero bene e che l’aveva cresciuta con dolcezza e premura. Quando era ancora una bambina, si era chiesta più volte come fosse suo padre, ma quando lo aveva scoperto da adulta, non era stata felice come aveva sempre pensato. Quando sua madre, esalando l’ultimo respiro, glielo aveva rivelato, le era crollato il mondo addosso. Lui era stato la rovina per lei fin da prima della sua nascita. E non importava quanto lei volesse che non fosse vero, perché lo era. Lui poteva rivendicare la sua appartenenza alla sua stirpe corrotta. E, anche se non lo sapeva, l’aveva fatto già da molto tempo. Era stato lui, per proteggere uno dei tanti criminali che lo avevano pagato per salvarsi, ad obbligarla a tingere le sue dita col rosso sangue del suo amato. Il suo Nagihiko. L’unica persona, oltre sua madre, ad averle mostrato un amore puro ed incondizionato e ad averla fatta sentire speciale, era stata spezzata da un proiettile della stessa medesima pistola che adesso stava puntando contro quel mostro che l’aveva concepita. Ormai, solo il suo odio e la sua sete di vendetta le permettevano di andare avanti. Ma c’era un’altra persona che odiava ancora di più di quell’uomo. Se stessa. Perché non era stata abbastanza forte da andare avanti senza sua madre. Perché non era stata abbastanza gelida da far allontanare Nagihiko da lei prima di innamorarsene. Perché non era riuscita a guardare l’ultimo di quei suoi sorrisi aperti che la facevano sempre emozionare prima di premere il grilletto. Ma, più di tutto, si odiava perché non era stata in grado di essere la Rima che le sarebbe piaciuto diventare, senza essere corrotta da suo padre. Infatti, dopo la morte del suo amato, aveva sparato anche a sé stessa per raggiungerlo e smettere di soffrire, ma non era morta. Non poteva farlo. Non prima di aver portato a termine la sua vendetta. Infatti, aveva deciso di aizzare contro il giudice tutta la collera repressa dei suoi compaesani, affinché attaccassero la casa di quell’uomo. Così, i due si erano ritrovati faccia a faccia. Il mandante e il cecchino. Il demone Mammona e il demone Satana. Finalmente, era arrivata la sua occasione di vendicarsi. Finalmente, stava per farlo. Stava per ottenere ciò che aveva sempre desiderato. Così, avrebbe finalmente trovato la pace che agognava da tanto tempo. Stava per premere il grilletto, quando vide che il maestro della corte corrotto stava confortando una strana bambola di porcellana con i capelli biondi leggermente arricciati sulle punte e gli occhi blu, chiamandola “Lulù”, il nome della sua vera figlia. La ragazza sentì, per un attimo, un certo dispiacere per quell’uomo, che aveva rimpiazzato la figlia con un suo simulacro per il dolore. Infatti, effettivamente, lui aveva avuto una figlia, un tempo, ma era morta annegata ormai da molti anni. “Mia sorella.” Pensò amaramente Rima. Sentì di nuovo la collera montare. Perché era successo proprio a lei? Perché non aveva potuto avere una famiglia normale come chiunque altro? Perché non aveva potuto stare accanto alla sorella minore prima che precipitasse tra le onde? Perché non aveva mai neanche saputo di avere avuto una sorella minore!? Alla fine, sentendo la rabbia scorrere dentro ogni fibra del suo essere, si decise. Puntò con più decisione la pistola verso di lui. Ma il giudice le si avvicinò, cogliendola di sorpresa, e stringendola in un abbraccio quasi paterno. Poi, il giudice le sorrise in maniera quasi folle. 《Non ti darò mai la mia fortuna. Arrenditi.》 Ripeté al suo orecchio, continuando a stringere la bambola al petto, come se fosse stata davvero una persona in carne e ossa. Poi, si volse indietro, allontanandosi da lei. “Mamma, ma come hai fatto ad amare un uomo così?” si chiese la discendente di Satana con amarezza. Poi, ripensando a sua madre, a Nagihiko e alla vita che avrebbe potuto avere, trovò finalmente la forza che le mancava, e accadde. Fu un attimo. Il suo dito premette con più forza per un secondo. Un colpo secco attraversò l'aria e suo padre era caduto riverso sul pavimento, senza più vita, mentre il sangue gli imbrattava i suoi capelli platinati e gli abiti scuri. La ragazza rimase lì, ferma come una statua. Perché, adesso che era riuscita finalmente a premere quel dannato grilletto con abbastanza forza da porre fine all’esistenza di quel mostro, non ne ricavava alcun piacere? Perché compiere la sua vendetta non le aveva dato la pace che sperava? Rima tolse la maschera di metallo dagli occhi, incurante della cenere. Dopotutto, stava piangendo lo stesso. Un’ultima domanda sorse nella sua mente. Perché non poteva essere amata da qualcuno, senza vederlo sparire come era già successo con sua madre e Nagihiko? Lacrime di infelicità e frustrazione continuarono a cadere dai suoi occhi, mentre sentiva le fiamme, che stavano finendo di consumare la casa del giudice, lambire anche il suo corpo. Non le importava più. Il dolore non era niente. Alla fine, cadde a terra, sfinita dal fumo e dal fuoco, senza più forze. E, mentre il suo campo visivo si annebbiava, vide Nagihiko che le tendeva la mano. Uno di quei sorrisi che tanto le piacevano gli ornavano le labbra. Il giorno dopo, i cittadini festeggiavano sulle ceneri e sulle macerie del luogo in cui due vite su erano spezzate, urlando di gioia di fronte alla vista dei due corpi carbonizzati e alla loro ritrovata libertà.

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Capitolo 6
*** Ora, inchinati davanti a me ***


In un tempo molto antico, esisteva un regno potentissimo, chiamato Lucifenia, che era detto anche Patria del male, e che nessuno osava sfidare. Tutto in quel luogo era di un bellissimo colore dorato, dalle piccole e povere case di legno, ai ciottoli delle strade. Ma, in quel luogo maledetto e apparentemente infelice e senza risorse, si distingueva un enorme palazzo reale, dove abitava la regina di quelle terre. Era una costruzione imponente ed elegante, realizzata completamente in marmo dello stesso colore del sole, esattamente come quello delle molte rose che crescevano rigogliose nel gigantesco giardino della reggia, che svettava verso il cielo con tutta la sua bellezza e perfezione. Ma quel posto, tanto elegante e splendido, stonava profondamente con l’estrema povertà che mostrava il resto della città. E, al suo interno, seduta su un enorme trono, stava seduta la regnante, una ragazzina di appena quattordici anni riccamente agghindata, che sorrideva in maniera soddisfatta di fronte alle suppliche inutili dei suoi sudditi, ridotti allo stremo dalle tasse. Anche lei, tanto dolce all’apparenza, stonava fortemente con il comportamento freddo e crudele, dettati dal suo cuore di pietra, che mostrava a chiunque la guardasse. Molti la consideravano un vero demone. Un mostro, all’apparenza innocente, pronto a distruggere ogni cosa con la sua superbia e crudeltà, portando rovina e disperazione ovunque andasse. Anche solo per il semplice gusto di farlo. Ma a lei non importava dei desideri o delle opinioni delle altre persone. Dopotutto, tutte le ricchezze di quel luogo le appartenevano e le aspettavano per diritto di nascita. E quindi, in quanto regina, le avrebbe giustamente pretese. Il dolore altrui non suscitava affatto il suo interesse o la sua pietà. E non era nemmeno un suo cruccio se tutta la popolazione soffriva per i suoi continui capricci e le sue decisioni crudeli ed egoiste. Lei voleva solo che anche il più banale dei suoi voleri fosse accontentato all’istante, e non le importava se tutti la detestavano per questo. Le bastava avere accanto il suo fedele servo, un ragazzo dall’animo gentile con cui condivideva i suoi lunghissimi capelli viola e i grandi occhi castani, che l’avrebbe sempre amata, servita e protetta in ogni situazione, per poter essere veramente felice. E poi, se qualcuno non aveva il denaro sufficiente per pagare le tasse che aveva “giustamente” imposto, prosciugando la popolazione di tutto ciò che aveva, per lei non era affatto un qualcosa di rilevante. Bastava che costui o costei penzolasse da una corda per sistemare la questione. Non era un suo problema. E tutti quelli sciocchi che pensavano di poterla sfidare o addirittura spodestarla, erano solo un branco di poveri illusi che si dovevano solo prostrare davanti ai suoi piedi. Quella giovane regina poteva essere considerata come un fiore del male. Una meravigliosa rosa gialla, che però estendeva i suoi rovi spinosi e implacabili nel giardino dove cresceva, prosciugando le altre piante e nutrendosi di loro. Ma, nonostante tutto il suo potere e la sua freddezza, la piccola regnante aveva un suo punto debole. Qualcosa che le faceva male nel profondo. Da diverso tempo, il suo cuore palpitava incessantemente per un bel giovane giunto qualche mese prima in paese. Un forestiero, nonché un giovanissimo re, proveniente dal lontano regno di Marlon, il paese oltre l’oceano. Costui era un uomo affascinante dagli occhi blu ametista, profondi come i mari che separavano i due regni e i capelli dello stesso colore marino. Però, purtroppo per lei, costui scelse un’altra fanciulla come sua sposa, una giovane nata nel paese di Elphegort. Costei era una ragazza sorridente dalla bellezza sconvolgente, i cui occhi scintillavano d’oro come due gemme e i capelli rosa accarezzavano delicatamente la figura gentile. La giovanissima regina ne era tristemente a conoscenza, ma non avrebbe mai accettato un affronto simile nei suoi confronti. E decise che, se non avesse potuto essere lei l’unico oggetto dell’amore di quel ragazzo, allora avrebbe cancellato per sempre chi le aveva impedito di farlo tanto impunemente. Così, la superba sovrana, generata direttamente dal puro male di Lucifero, scelse di fare qualcosa che avrebbe cambiato per sempre il corso del suo destino e di quello di qualcun altro a lei molto vicino. Sussurrò semplicemente all’orecchio del suo primo ministro, così da non essere udita: 《Il paese di Elphegort cesserà di esistere.》. Quel giorno stesso, i soldati, tra cui si distingueva anche il servo più fedele della sovrana, marciarono senza nessuna pietà sulle case e sugli abitanti innocenti del paese accanto, che , colto di sorpresa, non potè evitare di soccombere. La guerra fu orribile e senza pietà, esattamente come il desiderio che le aveva dato inizio. Le abitazioni bruciarono, scintillando di arancione e rosso nella notte oscura, venendo rase al suolo, e molte spade tinte di rosso spezzarono impietosamente diverse voci senza peccato, che non sarebbero mai più state udite da nessuno. E, soprattutto, tutte le ragazze dagli occhi dorati furono sterminate senza il minimo rimorso. In particolare, una fanciulla dai lunghi capelli rosa perse la vita per mano del servo della sovrana, mentre gli occhi del ragazzo piangevano lacrime amare sulle morbide spalle della sventurata. Quest’ultimo atto fu veramente troppo per tutti. I contadini, tanto a lungo oppressi dai capricci e dal cuore di pietra della loro giovanissima regina, decisero di smettere di nascondersi e insorsero, guidati dal re di Marlon, spinto dal suo desiderio di vendicare la sua amata, e da una furiosa mercenaria di rosso vestita, lo stesso colore che ora accendeva i suoi occhi, un tempo viola. Quest’ultima era una delle tantissime donne che avevano inutilmente implorato la pietà della sovrana, e che aveva giurato a sé stessa e a tutti i suoi compaesani che sarebbe finalmente riuscita a mettere fine alla vita di quel demone. Il palazzo reale fu preso d’assalto dai contadini, che, non avendo più niente da perdere, attaccarono la corte con i loro attrezzi di lavoro, mentre la giovane regina osservava tutto quello spettacolo con sguardo preoccupato dalla sua finestra. Straordinariamente, i soldati, ancora esausti dalla guerra appena sostenuta, non erano più in grado di resistere. Vennero tutti sopraffatti dalla furia implacabile ed inestinguibile dei rivoltosi. Una volta che entrarono all’interno del palazzo, tutta la servitù era ormai fuggita per mettersi in salvo. Solo la “piccola sovrana” era rimasta all’interno. Quando vide la spada che la mercenaria in rosso “le” stava rivolgendo contro, sorrise gentilmente, lasciandosi portare via dai cittadini infuriati senza opporre nessuna resistenza, non facendo intuire a nessuno l’inganno che era stato tremato poco prima tra la regina e il suo servitore, e osservando un’ultima fuggitiva fuggire da quel luogo maledetto. “La ragazzina” fu subito rinchiusa in una delle tante celle del suo stesso palazzo, in attesa di essere “punita” con la ghigliottina quel giorno stesso alle tre, quando le campane della chiesa avrebbero risuonato. La stessa ora in cui due gemelli erano nati quattordici anni prima. Quando l’ora giunse, l’intera popolazione era riunita, pronta per assistere all’esecuzione del demone che li aveva torturati per tanto tempo. “La ragazzina” salì gli scalini di legno e appoggiò la testa sullo spazio di legno con fierezza, senza mostrare preoccupazione o paura sul suo viso. Anzi, sentendo il suono delle campane, disse perfino 《Oh. È l’ora della merenda.》. Non importava se faceva infuriare ancora di più il popolo con la sua sfacciataggine. Stava cercando semplicemente un viso in particolare in mezzo alla folla di persone. Un bel volto incorniciato da lucidi e lunghi capelli viola, che aveva spesso visto ornato da una dolcissima espressione di riso innocente. Il viso delicato della sua adorata gemella maggiore. Quando finalmente lo vide, arrossato, affranto e celato sotto un mantello lacero e sporco, gli rivolse il suo sorriso più aperto e sincero, consapevole di aver compiuto con successo il suo dovere di servitore e di gemello minore. Lei lo ricambiò quasi subito, anche se con gli occhi lucidi, ringraziandolo indirettamente per tutti gli anni di fedeltà e pazienza che aveva mostrato nei suoi confronti e anche per tutta la felicità che le aveva portato ogni giorno della sua vita fino a quel momento, ma chiedendogli anche perdono per tutto quello che aveva gli aveva fatto con quelle lacrime non ancora versate. Poi, il giovane re di Marlon diede il segno e la lama scintillante della ghigliottina calò implacabile sul suo collo, mentre il suo volto restava comunque illuminato dalla sua gentilezza gioiosa. La stessa espressione che la ragazzina gli aveva mostrato fino a poco prima, ma che ora si era irrimediabilmente sciolta in un pianto disperato, pentito ed infelice, ma anche consapevole di essere stata lei la causa di tutto ciò.

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Capitolo 7
*** Dormi per la tua felicità ***


In una ricca città dell’epoca vittoriana, in cui normalmente regnava un’atmosfera tranquilla e serena, si era rapidamente diffusa un’aria festosa e allegra. Questo perché nella chiesa si stava svolgendo una cerimonia dell’unione matrimoniale veramente molto particolare. Un’unione combinata, voluta dai genitori di lui, ma comunque molto apprezzata dalla sposa. Costei era la giovane figlia del dottore della città. La sua casa era provvista di una grande ricchezza materiale, ma anche lei lo era, e non solo per il suo denaro, ma anche per la sua rara bellezza. Gli splendidi occhi blu risaltavano sulla pelle candida del viso a cuore, incorniciato dai lunghi capelli biondi leggermente arricciati sulle punte. Purtroppo, lei era anche una persona dal cuore fragile e apparentemente gentile, che provava una assoluta devozione per il suo sposo. Ma lui, nonostante le promesse di eterna fedeltà che si erano reciprocamente scambiati da ragazzini, non era veramente affezionato a lei, ne come sposo, ne come amico. Gli interessava solamente della ricca dote che lei gli aveva portato con la loro unione. Non gli importava nulla se la sua povera consorte soffriva per la sua continua lontananza dalla loro casa o per i suoi svariati tradimenti, che non tentava nemmeno di celare ai suoi occhi, pensando che non avrebbe mai potuto ribellarsi a lui. Ma lei era felice lo stesso. Nonostante tutto, non aveva problemi di alcun tipo. Aveva capito molto tempo prima, non senza un velo di malinconia, che lui non era più la stessa persona che l’aveva conquistata con quel suo sguardo cremisi tanto buono e timido, perennemente nascosto sotto la frangia bionda, ma solo un semplice casanova buono a nulla. E lo aveva accettato senza protestare, nonostante il forte dolore. Ma non del tutto. Non era mai riuscita a perdonarlo sul serio per questo suo cambiamento. Comunque, rimaneva sempre buona e gentile con lui, come sempre. Ma notando anche che il suo sposo appariva in qualche modo sempre più stanco e teso alla fine di ogni giornata che trascorreva al suo fianco, ma lei sapeva già che cosa fare per aiutarlo a stare meglio. Da tempo aveva iniziato a preparare, grazie all’uso di alcune erbe molto speciali e particolari, un’ottima medicina per dormire, che portava un dolcissimo e profondo sonno. Un suo regalo per permettere a chiunque la bevesse di poter godere del benessere di un lungo sonno ristoratore, lontano dai guai quotidiani. Gliela consegnò mantenendo il suo solito sorriso, fin troppo gentile, dicendogli di berla se avesse voluto dormire profondamente per un po’ di tempo e lasciarsi andare. E non la consegnò solamente a lui. Aveva visto molto spesso, in giro per le strade della città, persone che apparivano infelici o attanagliate dalla preoccupazione per cose come la famiglia, il lavoro, sentimenti non ricambiati. Insomma, nessuno in quel luogo appariva felice da sveglio. E tutti questi pensieri negativi non portavano ad altro che a notti insonni e senza riposo, che peggioravano solo la situazione. Perciò, lei incominciò a preparare ogni notte quella stessa medicina che aveva regalato a suo marito, che adesso aveva finalmente trovato la pace che tanto agognava. Aveva deciso di fare questo affinché ogni persona a lei cara riuscisse a trovare un po’ di meritato ristoro dalle preoccupazioni e dalle tristezze di ogni giorno. “Dopotutto, qual è il modo migliore per ottenere la felicità, se non perdere la cognizione dei propri problemi per un po’? E io sono la principessa che induce al sonno. Quindi, sarò proprio io a donare a tutti l’eterna pace.” continuava a ripetersi la bellissima ragazza, mentre uno strano sorriso, leggermente inquietante, le ornava sempre più spesso le labbra rosee e sottili. Ogni giorno che passava, lei dormiva sempre meno, ma, in compenso, grazie ai suoi sforzi moltissime persone avevano deciso di accettare e bere la sua medicina per il sonno, immergendosi nella profonda pace del mondo dei sogni. E non escluse nessuno. Suo padre. Sua madre. I suoi parenti. I suoi domestici. I suoi amici. I suoi concittadini. Nessuno perdette quell’opportunità di lasciar perdere ogni preoccupazione. Tutti bevettero il suo regalo, lasciandosi avvolgere dal dolce manto del sonno. Ogni persona, quasi istantaneamente, chiudeva gli occhi e cadeva nel loro stato dormiente, dolce e tranquillo, proprio come quello di un bambino. Solo che questo stato era qualcosa di estremamente profondo, da cui sembrava non si potesse più tornare indietro. Ma lei sapeva che solo in quella maniera tutti quanti avrebbero ottenuto la felicità che si meritavano, lei compresa. Una volta che tutta la città ebbe bevuto il suo pericoloso regalo per il sonno, nessuno di loro emetteva più il minimo suono, mantenendo sempre le palpebre chiuse, mentre una stranissima nebbia bianca, simile al velo denso, ma impalpabile, di un fantasma avvolgeva quei luoghi, un tempo pieni di vitalità, portando con sé un innaturale silenzio e un’atmosfera inquietante e profondamente strana per chiunque guardasse la città dall’esterno. Solo una persona in tutto quel luogo, ormai senza speranza, era ancora sveglia. La bellissima e dolce figlia del dottore. Lei passeggiava per le strade della città, come aveva sempre fatto, fin da bambina, beandosi e sorridendo di fronte a quell’atmosfera fin troppo agghiacciante e spettrale, che non si era mai vista in nessun altra città, e che avrebbe di sicuro impregnato di terrore il cuore di chiunque si fosse avventurato per quelle vie. A tutti, ma non a lei. Perché lei aveva realizzato i suoi più oscuri desideri in quel luogo, generando lei stessa il veleno che era stato la causa di tutto ciò che era accaduto. 《Adesso che ognuno dei miei amici sta dormendo, tutti sono finalmente felici. E anche io lo sono. Ho ottenuto la libertà che volevo e nessuno me la porterà via.》 Disse a sé stessa, sorridendo sinistramente, come faceva ormai da molti giorni. Dopotutto, quello che era successo nella sua città era stato il modo perfetto per avere quello che aveva sempre desiderato. Ora, avrebbe finalmente smesso di essere trattata da tutti come una semplice bambola decorativa, che mai aveva avuto da nessuno la considerazione o l’amore di cui necessitava e che le spettava di diritto, ed era stata spezzata in mille pezzi tantissimo tempo prima, mantenendo sopita la sua natura infelice e assetata di vendetta sotto finti sorrisi gentili e parole buone. E adesso, diventando la principessa che induce al riposo eterno, era finalmente riuscita nel suo intento di vendicarsi e prendere ciò che si meritava fin dalla nascita. Il regalo, che secondo lei aveva portato solo felicità e pace assoluta a tutti, e che aveva preparato per molto tempo e con tanta fatica, aveva impregnato e contaminato la sua patria, trasformandola in una grande città fantasma e stroncato ogni vita, anche la più infima o la più innocente, avvolgendo ogni cosa con una nebbia densa e spettrale, personificazione della tristezza e all’infinita ingiustizia che quello stesso dono aveva diffuso a causa sua, ma non le importava più del crimine che aveva commesso. Poiché quel regalo, che non era altro che un potentissimo veleno, era un’ottima medicina per chiunque, soprattutto per lei, terribile figlia di Elphegort. E, adesso, era finalmente arrivato anche il suo momento di dormire per l’eternità. Dopo aver baciato il calice per ringraziare quel veleno tanto potente che le aveva dato ciò che aveva sempre sognato, bevette il contenuto tutto in un sorso, così che anche lei potesse finalmente concedersi della pace del sonno. Diventando dalla principessa che induce al riposo eterno, alla bella dormiente.

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