Forgotten - Vite Dimenticate

di BibyD95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** SOGNI ***
Capitolo 3: *** UN RICORDO STABILE ***
Capitolo 4: *** OGGI COME IERI ***
Capitolo 5: *** UN MORTO NELLA CANTINA DI UNA NOBILDONNA ***
Capitolo 6: *** IL GIOCO DEL DESTINO ***
Capitolo 7: *** SE LA MATEMATICA NON E’ UN’OPINIONE ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Premessa
Concepii questa storia nella ormai lontana estate del 2010 basandomi solo su quanto narrato in Assassin’s Creed 2, quindi vi anticipo che non terrò conto di molti eventi presenti nel romanzo Rinascimento e di almeno tre delle Memorie di Cristina di Assassin’s Creed  Brotherhood.
Detto ciò, buona lettura e arrivederci alla fine del primo capitolo ;)
 
 
 
Prologo
 
Un piccolo sospiro, poi un altro più profondo, poi ancora altri silenziosi rapidi e irregolari…
 
Il ragazzo ispirò l’aria densa di un odore acre ed intenso che quasi lo soffocava, poi aprì gli occhi all’oscurità e batté lentamente le palpebre.
Sentiva il corpo pesante, la stessa sensazione che si prova quando si rimane a letto troppo a lungo e poi non si ha più la forza di alzarsi.
Con uno sforzo enorme riuscì a mettersi a sedere, facendo scivolare il telo di stoffa grezza che lo copriva, e si guardò attorno.
Era su un carro coperto dalle assi superiori filtrava la grigia luce della luna e quella giallastra,  più fioca, della lanterna del conducente.
Appena i suoi occhi si furono abituati alla semioscurità, intravide poco distanti da lui due lenzuoli rigonfi. Subito un forte capogiro lo costrinse ad appoggiarsi alle assi del telaio, ma nello stesso istante il carro sobbalzò a causa di una buca facendo scivolare la sua mano nel vuoto e facendolo rovinare giù dalla vettura, oltre il ciglio della strada.
Il carro accelerò, per poi rallentare di nuovo qualche metro più avanti, proseguendo placido il suo viaggio.
Il ragazzo restò per qualche secondo immobile nel terrapieno.
Con grande fatica riuscì ad issarsi sulle braccia per poi ricadere supino.
L’aria gli mancava. Iniziò a tossire convulsamente, poi la tosse scemò in profonde boccate d’aria finché non si placò del tutto ed il respiro tornò ad essere quasi regolare.
Non ricordava nulla: nella sua mente c’era solo un grande vuoto.
La sua attenzione venne richiamata da una fitta al braccio destro, attorno al quale serrò istintivamente la mano sinistra. La sensazione che gli diede il calore del sangue sotto le dita lo riportò parzialmente alla realtà: doveva alzarsi, andare via da lì se non voleva morire dissanguato. E doveva farlo subito.
Prese un respiro profondo e, stringendo i denti ed aiutandosi come poteva con il braccio sano, riuscì a mettersi in piedi. La testa gli girava ancora, ma le gambe sembravano reggerlo.
La luna faceva capolino tra le nubi illuminando la strada che, da una parte si perdeva nelle campagne, mentre dall’altra procedeva dritta verso la luce della lanterna appesa sotto la porta ovest di Firenze.  Continuando a stringersi la ferita iniziò a camminare in direzione della luce.
Fortunatamente era caduto solo a poche decine di metri dalla porta e non impiegò molto a raggiungerla. Nella guardiola il soldato assopito non lo vide passare e lui poté sparire nei vicoli della periferia.
Man mano che avanzava, nella sua testa un mulinello di immagini che turbinavano freneticamente,  senza alcun nesso logico, aveva preso il posto del vuoto iniziale.
La testa non gli girava più tanto, ma iniziava a sentire un lieve ronzio nelle orecchie.
Era solo l’istinto a guidarlo per le strade deserte. 
Non incontrò anima viva.
Cosa strana perché di solito, anche a quell’ora, le vie non erano mai  del tutto vuote.
All’improvviso un rumore, proveniente da un vicolo non lontano da lui, lo costrinse a nascondersi dietro una grande cassa.
Vide passare un piccolo gruppo di soldati mezzi ubriachi,  in compagnia di alcune cortigiane.
Attese che si dileguassero nella notte, e quando fu sicuro di essere di nuovo solo, uscì e si incamminò nella direzione opposta a quella delle guardie.
Continuò a proseguire, stando attento a non incrociare le ronde notturne, tra le vie della città addormentata.
Fu dopo aver imboccato l’ennesimo vicolo per evitare una pattuglia,  che si ritrovò sulla piazza deserta di Santa Trinità.
I ricordi nella sua mente iniziarono a riordinarsi: era li che meno di due sere prima aveva accompagnato suo fratello dal dottore per una ferita al labbro,  dopo una rissa, e si era fatto stupidamente battere nella gara a chi raggiungeva per primo il tetto della chiesa.
Suo fratello aveva poi deciso di far visita alla sua ragazza,  Cristina,  mentre lui,  dopo essersi goduto per un'po' il cielo stellato,  era tornato a casa e,  inventata una scusa per tranquillizzare sua madre, era andato a dormire.
La mattina dopo si era svegliato presto ed aveva svolto delle commissioni per suo padre.  
Nella tarda mattinata aveva fatto un salto al mercato,  dove aveva incontrato Cristina.
Non resistendo alla tentazione, si era messo a prenderla in giro per essersi fatta sorprendere quella mattina in dolce quanto equivoca compagnia. Lei,  sicuramente non dell’umore giusto per reggere alle provocazioni,  lo aveva mandato al diavolo senza troppi complimenti e se ne era andata via stizzita seguita dalla governante.
Dato che non aveva alcuna voglia di tornare a casa per ricevere altro lavoro da fare,  il resto del pomeriggio lo aveva passato in giro per Firenze abbandonandosi al dolce far nulla.
Soltanto quando il sole iniziava a sparire dietro la grande cupola di Santa Maria del Fiore si era deciso a dirigersi verso casa. Appena aveva varcato il cancello,  due guardie lo avevano bloccato,  mentre una terza gli aveva mollato un pugno nello stomaco,  facendogli perdere i sensi.
Dopo tutto era confuso:  ricordava a malapena la notte passata in una cella di Palazzo della Signora.
Poi più nulla.
Era come se da quel momento in poi la sua mente si rifiutasse di richiamare le memorie per dispetto…
O per paura.
Forse quello era solo un sogno,  e tra poco si sarebbe svegliato nel suo letto,  magari con le grida di Annetta  che sbraitava per rimettere a posto la sua camera…
Per un attimo si illuse che potesse essere davvero così.
Dentro di lui però continuava a crescere una strana inquietudine, una paura insensata, insieme alla consapevolezza che era successo qualcosa.
Qualcosa che la sua mente aveva rimosso ma che comunque sapeva.
Qualcosa di brutto.
Mentre camminava assorto nei suoi pensieri,  davanti a lui si aprì deserta Piazza della Signoria.
Al centro, oscuro e impassibile, c’era il patibolo.
Fu un attimo.
Il ricordo lo colpì come una frustata: la piazza gremita di gente. La voce di suo padre. Quella lontana di suo fratello.
Il vuoto.
Il buio.
L’aria gli mancò di nuovo, prese a tossire. Iniziò a correre.
Correva lontano da lì nella speranza di fuggire anche da quello che era successo.
 
“No,  no,  non è vero, non può essere vero, questo deve essere un sogno,  deve essere solo un stupido orribile incubo!”
 
Continuava ad inciampare e a sbattere contro muri e contro le casse. 
Sentiva le forze scivolare via ed il ronzio nelle orecchie aumentare fino a diventare assordante.
Rallentò: la vista gli si stava offuscando.
Era in un vicolo.
Forse.
Si sentì chiamare.
Alzò lo sguardo distinguendo a malapena una figura scura nella cornice di luce di quella che doveva essere una finestra.
Poi tutto piombò nell’oscurità: si accasciò vicino al muro come un sacco vuoto, mentre dei passi veloci e concitati venivano verso di lui...

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Capitolo 2
*** SOGNI ***


CAP 1 - SOGNI

"Lucy? Vieni Lucy, seguimi..."

Davanti a lei la bambina sorrideva. I capelli castano chiaro cadevano in morbidi boccoli sul corpetto rosso.
Lucy fece un passo avanti e lei le tese la mano.

"Vieni con me..."

"Chi sei?"

“…mi chiamo Gìa…”

La bambina si girò e iniziò a correre.
La seguì mentre la nebbia densa si trasformava in una strada e intorno a loro si innalzavano ricchi palazzi signorili....

“...c'è una storia che devi sapere...”

Lucy aprì gli occhi al buio.
L’aveva sognata di nuovo.
Prese un respiro profondo, accese la luce accanto al letto e si mise a sedere.
Da quando erano scappati dall'Abstergo , la bambina era tornata a popolare i suoi sogni…
In realtà la cosa era cominciata anni prima, ma in maniera molto sporadica: adesso invece la vedeva quasi ogni notte.
Il sogno non era sempre uguale: a volte c'era una bambina, a volte una ragazzina sui sedici-diciassette anni, ma era sempre lei. Qualche volta si ritrovava in una sfarzosa dimora cinquecentesca, altre volte per le vie di una città, altre ancora in una atmosfera fumosa e vuota...
Si svegliava sempre prima di arrivare dove la bambina voleva portarla. Ammesso volesse davvero portarla in un posto preciso...
Strinse le ginocchia al petto e si passò le mani tra i capelli.

"…È solo un sogno..."

E se invece stesse cercando davvero di dirle qualcosa?
Poggiò la testa sulle ginocchia.
No: era stato un sogno come gli altri.
Solo in quel momento si rese conto che stavolta c’era qualcosa diverso. La ragazzina aveva risposto alla sua domanda: le aveva detto un nome.
Un pensiero si fece strada nella sua mente: il subconscio non dà nomi alle sue proiezioni.
E se la ragazzina fosse reale?
O meglio fosse stata reale?

“Un’antenata…”

Rise tra sé.
Era un’idea ridicola, se ne rendeva conto, ma conosceva troppo bene le connessioni psichiche che potevano crearsi col passato per sapere che non era così impossibile.
A volte non c’era bisogno di un Animus per riportare alla luce i ricordi di chi ci ha preceduto…
Alzò la testa e guardò l'orologio: segnava le 4:30.
Si distese e spense la luce.
Ma sì, tanto valeva provare no?
Almeno così forse si sarebbe liberata di quel sogno ricorrente. Avrebbe chiesto a Shaun di fare una ricerca veloce nei ritagli di tempo, in modo da appurare che quello che sognava era solo frutto della sua mente.
Chiuse gli occhi.

“…c’è una storia che devi sapere…”

Quell’ultima frase le turbinò ancora nella mente mentre scivolava in un sonno profondo.


- Giovanna Maria detta Gía, nata presumibilmente nel 1488...-
Lucy riconobbe subito nella donna del ritratto sullo schermo la bambina sorridente dei suoi sogni.
- Allora esiste davvero…- mormorò.
- Certo… Perché mi avresti chiesto di cercarla altrimenti?-
- Giusto. Scusami, ho avuto una nottataccia…-
Era incredibile come Shaun fosse riuscito a trovarla in meno di una settimana, includendo il tempo passato a seguire Desmond nell’animus, e avendo solo un nome. Un diminutivo per di più: quel ragazzo aveva davvero talento.
Si appoggiò allo schienale della sedia -…ed è tra i miei antenati quindi? -
- Non lo so: l’unica cosa che sono riuscito a trovare su di lei in così poco tempo è questo ritratto. Era in possesso di un tuo bisavolo o qualcosa del genere…- Shaun aprì delle altre cartelle - …la data di nascita l’ho dedotta dalla dedica sul retro del dipinto, ma è rovinata, quindi non posso dirti nemmeno il suo cognome…- disse senza smettere di digitare sulla tastiera.
-…però ho trovato un collegamento interessante: una nostra conoscenza…-
-Ossia?-
Sul monitor apparve un altro ritratto accanto a quello di Gìa e lui ci tamburellò su con la penna aggiustandosi gli occhiali.
- Cristina Vespucci -
- L’amante di Ezio a Firenze? - chiese Lucy stupita.
- Proprio lei -
- Che genere di collegamento?-
- Quello che rimane della dedica dice che il ritratto è un regalo per lei… se vuoi saperne di più posso fare altre ricerche…-
- No tranquillo, va bene così…-
Osservò meglio i ritratti: la Cristina dipinta sulla tela era più grande di quella che avevano conosciuto a Firenze tramite Desmond. Era diversa. Forse solo più matura…
Lucy scosse la testa: si era fatto tardi e tra poco avrebbero iniziato la seduta.
- Senti puoi mandare tutto ciò che hai trovato sul mio pc così lo leggo con calma? -
- Oh certo, ma ancora non mi hai detto perché ti serve... -
- Curiosità…- rispose lei alzando le spalle - ...se te lo avessi detto dell'inizio tu non lo avresti fatto. Grazie comunque per avermi dedicato tutto questo tempo…-
Shaun sbuffò - mi hai fatto perdere tempo per una tua curiosità?! -
- Ti ho già ringraziato. Ti offro un caffè quando vuoi.-
- Uno solo?! Me ne serviranno almeno una ventina per recuperare le notti che ho perso a fare ricerche per le tue "curiosità"! Cosa è successo? Stare a stretto contatto con Miles ti ha trasmesso la sua deficenza?!-
Lucy rise mentre si sedeva alla sua postazione: sapeva bene che Shaun non aveva perso nemmeno un un'ora di sonno.

- Qualcuno mi ha chiamato? -

Desmond era sulla porta.
- Sì: abbiamo scoperto che sei contagioso -
Il ragazzo guardò Lucy perplesso.
- Lascialo perdere - fece lei scuotendo la testa con una smorfia divertita.
Desmond alzò le spalle e andò ad accomodarsi sulla poltrona rossa dell'Animus 2.0 seguito da Rebecca che si sedette accanto a lui.

Seduta a gambe incrociate sul suo letto, Lucy scorreva i files che Shaun le aveva inviato.
Non era molto: qualche data, alberi genealogici incompleti, scan di vecchie carte e i due dipinti...
Tuttavia le davano conferma che quella che sognava era una persona realmente esistita.
E collegata a lei...
Sprofondò nel cuscino appoggiato alla testiera del letto.
Il fatto di averla sognata senza averne mai sentito parlare la inquietava.
Come aveva fatto quella ragazzina, morta secoli prima che lei nascesse, a insinuarsi nella sua testa?
E soprattutto perché?
Aveva deciso di indagare per liberarsi da un pensiero e adesso ne aveva di nuovi.
Sospirò e il suo sguardo cadde sul monitor del pc.
Si chinó e aprì la finestra con i ritratti.
Rabbrividí nell'accorgersi che ritrovava davvero tutti i particolari del sogno nel volto della donna nel quadro: i boccoli castano chiaro, la curva del naso, le fossette sulle guance, la particolare sfumatura di verde chiaro misto a dorato degli occhi...
Guardò l'altra immagine: già dalla veloce occhiata della mattina aveva notato che Cristina, invece, era diversa da quella che ricordava. Il volto non era cambiato molto da quello della ragazza di diciassette anni che aveva visto insieme agli altri nei ricordi di Ezio. C’era però qualcosa nel suo sguardo ceruleo che ora, nel buio della sua stanza, realizzava esserle tremendamente familiare. Come se lo avesse già visto da qualche parte, anche se non ricordava dove o quando.
La sua attenzione si spostò al collo della donna. Non lo aveva notato la mattina, ma Cristina portava un nastro cui erano appesi una catenina d'oro e un ciondolo. Guardò meglio e trattenne il fiato per qualche secondo. Senza che se ne accorgesse la sua mano corse al petto tirando fuori la collana dalla canottiera: accese la lampada sul comodino e osservò la perla rosa sul palmo della mano.

"Mi prendi in giro..."

Quel ciondolo era un regalo di sua madre: non pensava fosse molto antico.
E invece, Cristina Vespucci, in un ritratto vecchio di almeno 500 anni, aveva al collo una perla rosa a goccia con la calotta in oro, uguale a quella che adesso era sulla sua mano.
Lucy si passò una mano sugli occhi e scosse la testa.
Era impossibile: doveva essere una coincidenza.
La stanchezza faceva strani scherzi: forse era arrivato il momento di smetterla e riposare.
Chiuse il pc e si mise a letto.
Prima di addormentarsi però non poté fare a meno di stringere ancora la perla in mano.
Tutta quella storia era assurda.
Sapeva che in quel momento non poteva permettersi di distrarsi troppo dal suo lavoro ma la voglia di scoprire di più era forte. Anche solo per capire...
Ora più di prima non riusciva a togliersi dalla testa le parole della bambina.

"...c'è una storia che devi sapere..."

Si, ma in che modo?
Lucy chiuse gli occhi: aveva già la risposta...


L’AngoloDiBibi
Bene, da dove cominciare?
Salve a tutti, sono Bibi e questa è la mia prima pubblicazione qui su EFP in circa 6 anni e mezzo di iscrizione.
Meglio tardi che mai.
Come dicevo nella premessa, questa storia è rimasta sul fondo del mio cassetto, nei miei disegni e nella mia testolina per ben sei anni prima che mi decidessi a scriverla seriamente.
All’inizio, l’idea era quella di creare un racconto “parallelo” a quello di Assassin’s Creed 2, che non ci interferisse troppo e che lo sfiorasse solo in alcuni punti: il giocare le Memorie di Cristina in ACB non mi ha fermata dal continuare su questa linea, nonostante già la seconda (fosse solo quella!) tagli letteralmente le gambe a tutta la trama per ovvie ragioni.
Due parole sul tris di personaggi: adorai Federico da Lineage e Cristina e Lucy da AC2, ma purtroppo la cara vecchia Ubisoft, ha ben deciso di farli crepare brutalmente uno dopo l’altro nell’ordine in cui gli ho citati. Già dal primo, decisi che ciò non mi stava bene, e così iniziai ad articolare questa storia, che ho limato e ampliato negli anni riuscendo infine anche (spero!) a trovarle un logico perché…
Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità non tanto per la scelta dei personaggi principali (stupirà l’assenza di Ezio e so che perderò lettori per questo, ma mi dispiace: questa non è la sua storia…) quanto per il modo che avranno di muoversi insieme e sviluppare la trama ;)
Cosa volete farci: da brava bimba hipster racconto storie sui personaggi secondari. Forse anche per dar loro almeno un po’ di quello che la loro storia originale gli nega.
Ho intenzione aggiornare settimanalmente (studio,esami, tesi e incostanza cronica permettendo) almeno per il prossimo mese.
Spero infine di non avervi annoiato, ma se l’ho fatto credete non s’è fatto apposta citando il vecchio Manzo.
Alla prossima!
Bibi
P.S. Un ultimo pensierino piccino piccino va ad Aoboshi, che voleva una mia storia anche qui oltre a tutte quelle che abbiamo creato e continuiamo a creare insieme, e a Bababui, che ha promesso la leggerà lo stesso anche se più o meno sa come va a finire .
P.P.S. Ho imparato a mettere anche le immagini, quindi ora dovrete sorbirvi anche i miei disegni u.u
Eccovi quindi dal mio deviantart il ritratto di Gia che Shaun ha trovato per Lucy.
(Sono ancora fermamente convinta che questo disegno mi abbia fornito la fortuna necessaria a passare l'esame di Latino p.p)

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Capitolo 3
*** UN RICORDO STABILE ***


CAP 2 - UN RICORDO STABILE
 
- Vediamo se ho capito bene: tu vorresti usare l'Animus per rivivere i ricordi di una bambina, presumibilmente tua antenata… -
- Si-
-…perché, parole tue: “c’è qualcosa su di lei che devo sapere” …-
- Esatto - 
Rebecca la guardava con le braccia incrociate. -...e tutto questo senza dirlo agli altri ovviamente...-
 
Erano passate sicuramente le 2 di notte: aveva aspettato che Shaun e Desmond andassero a dormire per parlare con la sua vecchia amica, e ora erano sole nella sala sopra il magazzino.
 - Sì... In sostanza si...- Omettendo il dettaglio che aveva sognato la suddetta antenata: la sua richiesta era già abbastanza folle così.
 
Rebecca sbuffò - Bè ti ricordo che esistono annali e archivi: dai un’occhiata lì dentro o chiedi a Shaun. Questa macchina non è un giocattolo Lu, lo sai...-
Lucy chiuse gli occhi - Certo che lo so Rebecca...- ricordava cosa era successo con il soggetto 16 -...ma ci vorrebbe troppo tempo. Tempo che noi non abbiamo: mi basterà una seduta, al massimo due. So già dove cercare...- Si rendeva conto che la sua ostinazione rasentava la paranoia, specialmente in un momento come quello, ma davvero non riusciva a rassegnarsi. 
Non era per semplice curiosità: era per istinto che sentiva di dover andare avanti.
Rebecca scosse la testa. - Pretendo che un giorno mi insegni a far fare agli altri ciò che voglio Stillman...- fece puntandole il dito -...accomodati...- disse sedendosi alla sua postazione. 
Lucy sorrise e si diresse verso la macchina. 
- In che anno devo cercare?-
- vedi se trovi qualcosa nel 1509…-
Il ritratto di Gia portava quella data: avrebbero iniziato da lì. 
Strinse la stoffa della poltrona mentre il mondo intorno a lei svaniva nell'atmosfera fumosa dell'Animus.
 
Dalla nebbia iniziarono a formarsi delle immagini.
Erano flash che duravano pochi secondi e poi sparivano. 
Una finestra illuminata...L'interno di una chiesa...una città dai tetti rossi vista dall'alto...l'intarsio sull'elsa di una spada...
 
-Non riesco a trovare nulla Lucy…cioè, i ricordi ci sono, ma non riesco ad inizializzarli…-
- Cerca un ricordo stabile, non importa se è precedente…-
-…mmm…dammi un minuto….ecco: proviamo con questo!- 
 
Intorno a lei si formò una stanza familiare. 
Seduti sul tappeto e illuminati dalla luce del sole una donna in vestaglia e due bambini le davano le spalle. Stavano leggendo un libro e la voce dolce della donna riempiva la stanza. 
D'un tratto la bambina si voltò e Lucy la riconobbe.
Gía scattò in piedi e con un ampio sorriso iniziò a correre verso qualcuno che lei non vedeva 
 
- Papà sei tornato! -
 
L'uomo entrò nel suo campo visivo dandole le spalle, prendendo in braccio quasi al volo la bambina e ridendo.
 
In quel momento l'immagine iniziò a farsi confusa, come se ci fosse un'interferenza. 
Il ricordo si stava desincronizzando.
 
 "No aspetta! Non adesso!"
 
Impossibile accedere al ricordo.
 
La voce robotica dell'Animus riempì il bianco in cui era piombato tutto.
Nulla da fare: la sequenza era bloccata, proprio come era successo a Desmond con Altair. 
Avrebbe dovuto cercare le sue risposte da un'altra parte...
 
Ricerca dati ricordi rilevanti
Corrispondenza ricordo trovata
 
L'interferenza ricominciò. Forse Rebecca era riuscita ad agganciare un altro ricordo. 
L'immagine che si formò stavolta Lucy la aveva già vista…
 
I tetti rossi di Firenze si stendevano sotto il manto della notte. Il campanile di Santa Trinità dominava il paesaggio. 
 
"Bella vita la nostra eh fratello?"
"La migliore. Possa non cambiare mai..."
"E possa non cambiare noi..." 
 
Ezio e suo fratello giovani e spensierati, ammiravano la città che pian piano si addormentava.
 
Era surreale: riusciva a sentire il vento fresco e profumato della notte imminente come se fosse stata davvero lì con loro.  Non pensava l’Animus arrivasse a quei livelli di realismo…
 
I due si scambiarono qualche altra parola, poi Ezio saltò giù da campanile.
Ma il ricordo non lo seguì: rimase fisso sul tetto della chiesa. 
Federico, seduto sulle tegole guardava il cielo e sorrise quando una stella cadente brilló per qualche secondo prima di sparire poco lontano dalla cupola del Brunelleschi. Il ragazzo giocó con qualcosa che aveva al dito...forse un anello. Poi si alzó e saltò giù anche lui finendo nella paglia ai piedi del campanile.
Riuscì a vederlo incamminarsi per le vie della città...poi iniziò la desincronizzazione. 
 
Lucy aprì gli occhi e tornò alla realtà. Si mise a sedere. 
-Non so che diamine sia successo Lu…- la voce di Rebecca le arrivava lontana. 
Respiró a fondo: allora era così che ci si sentiva dopo la prima volta in un Animus.
 
-…non riesco ad accedere ai tuoi ricordi…sono…bloccati…- la donna continuava a smanettare furiosamente sul suo computer.
-…pensavo che con un ricordo stabile ci saremmo potute arrivare…con Desmond abbiamo fatto la stessa cosa…-
-…si, ma a quanto pare tu non ne hai…-
Lucy si massaggió le tempie -…cosa è successo alla fine?-
- non lo so…c’è stato un errore. L’Animus ha confuso le tue memorie con quelle di Desmond-
-…capisco...non importa, ci abbiamo provato…-
- forse è meglio se vai a dormire ora Lu…- Rebecca si era alzata e ora era davanti a lei. 
Aveva ragione.
 
-…grazie comunque…- disse mentre entrava nella sua camera.
-…di nulla -
 

 
- Credo di aver capito come fare…-
Rebecca alzò lo sguardo dal computer seccata -…cosa?-
Lucy si sedette accanto a lei sulla poltrona rossa sorseggiando il caffè - Ci ho pensato su in questi giorni e potrei avere la soluzione… - Era passata una settimana da quando aveva cercato di rivivere i ricordi di Gía e, ragionando a mente fredda, era arrivata ad una conclusione. 
-…fammi indovinare: farai una seduta spiritica? - 
La ragazza scosse la testa divertita - userò l’Animus…-
- e con quali ricordi? I tuoi sono tutti instabili o bloccati!-
- ti sbagli…- Lucy rigirava il bicchiere di caffè tra le mani -…La sequenza di Firenze, l’ultima che ho visto - 
- Ma quella era un errore: erano le memorie di Desmond non le tue! - 
- No ascoltami: il ricordo era diverso - Rebecca continuava a guardarla perplessa - Quando Ezio è saltato giù io non l’ho seguito: sono rimasta sul campanile con suo fratello, finchè non è sceso anche lui! - 
- Non capisco dove vuoi arrivare…-
Prese un respiro profondo - L’Animus ha agganciato l’unico ricordo stabile che avevo. Era quello il ricordo stabile! -
Rebecca roteò gli occhi - ma non era un tuo ricordo Lucy! - 
- Ti prego Rebecca, dammi solo un’altra possibilità…- Desmond e Shaun stavano entrando 
-…stanotte- concluse quasi bisbigliando e dirigendosi alla sua postazione.
 

 
- Ecco inserisci anche questo…- disse passando a Rebecca un piccolo componente -…ci ho lavorato mentre eravamo all’Abstergo: ci farà guadagnare tempo…-
Lei lo studiò per qualche secondo - in che modo? -
- dovrebbe alterare le mie funzioni cerebrali mandandomi in fase REM: percepirò il tempo dilatato, come se stessi sognando, così potrò vedere più cose in una sola seduta…-
- fantastico, ma perché? - 
Lucy si accomodò sulla poltrona - perchè i ricordi che mi interessano sono del 1509 mentre il primo ricordo utile è datato 1476…- guardò Rebecca e sorrise -… e io non ho intenzione di stare troppo tempo  qui dentro -
- non potrai interagire però: sarà come vedere un film. E in più non avrai nemmeno il supporto con le informazioni storiche dato che Shaun è tra le braccia di Morfeo…-
- In realtà non dovrei riuscire sentire nemmeno te. Ma comunque non importa… -
- Okay…ma sei sicura non abbia effetti collaterali? Intendo: lo hai usato già altre volte?-
- Tranquilla: sono io l’esperta in neuroscienze cognitive no? -
Lo sguardo di Rebecca era serio.
- Si l’ho già provato e non ci sono state conseguenze…- 
Era quello che voleva sentirsi dire. La ragazza annuì e iniziò a digitare sulla tastiera
- Allora mettiti comoda: iniziamo subito…-
 
Lucy sbattè le palpebre e tutto davanti a lei divenne bianco.
 
 
 
                                                                                                                          
 
 
 
 
 
 
 
 
AdB
Bene: so che il racconto può sembrare lento, ma dal prossimo capitolo si torna nel rinascimento e si comincia con la storia vera e propria.
Non ho molto da dire, a parte ringraziare la mia Bababui e tutti i coraggiosi che sono arrivati fino alla fine del primo capitolo: grazie grazie grazie ^_^.
 
P.S. Se poi qualcuno di questi impavidi lettori sarà così audace da lasciarmi anche qualche parerino piccino piccino  “giuro che non mordo” , anzi mi farebbe davvero tanto tanto piacere =).
Alla prossima ;)!
Bibi.

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Capitolo 4
*** OGGI COME IERI ***


CAP 3 - OGGI COME IERI
 
Cristina aprì la finestra e si sedette sul davanzale. L’aria fredda e profumata della notte entrò nella stanza e fece tremolare la fiammella della candela appoggiata alla toletta. 
La ragazza si asciugò stancamente le guance con il dorso della mano e si strinse nello scialle di seta appoggiandosi alla parete. 
Firenze dormiva sotto un terso cielo stellato, mentre la luna lontana, tonda e bianca splendeva illuminando la cupola del Brunelleschi. Come aveva già fatto il giorno prima. Come avrebbe fatto il giorno dopo e quello successivo. 
Per sempre. 
Sembrava che nulla fosse cambiato.                                                                                                                  
Sospirò.                                                                                                                                                                                                
Era lei ad essere cambiata:  aveva perso una parte di sé, del suo cuore, assieme al ragazzo di cui si era ormai incondizionatamente, stupidamente innamorata. 
Chiuse gli occhi, come per allontanare la malinconia. 
Quanto poteva essere passato dalla prima volta che lo aveva incontrato? Sei mesi?  Forse anche meno… 
Ma lei lo amava. Lo amava tanto. Più di quanto non avesse mai amato nessun altro in tutta la sua vita, e forse anche in futuro… 
 A questo pensiero di nuovo gli occhi le bruciarono e le lacrime scesero sulle guance arrossate, senza che lei facesse nulla per fermarle. 
Non lo avrebbe mai più rivisto.
 
Ne aveva avuto la certezza nel dal momento in cui Matilde, era entrata come una furia nella sua stanza, raccontandole ancora in preda all’affanno dell’arresto di Giovanni Auditore, consigliere del Magnifico,  e dei suoi figli.                                                                                  
-Ezio?  Che gli è successo? Matilde ti prego dimmelo!-                                                                                                      
La donna si era seduta sul letto per riprendere fiato - Non lo so piccola mia,  non lo so...-  aveva detto accarezzandole la testa e abbracciandola forte - …so solo che adesso insieme al padre vi sono il maggiore e il minore dei figli…-                                                                                                                                                                                         
A quelle parole il suo cuore aveva avuto un sussulto e lei era scattata  in piedi:  Ezio non era né il maggiore,  né il minore dei suoi fratelli,  e questo voleva dire che era ancora libero.                
 - Devo trovarlo Matilde,  devo aiutarlo,  devo...-                                                                                                                                    
Era già sulle scale quando una mano la aveva afferrata per un braccio                                                                                       
- No Cristina,  dove credi di andare?-                                                                                                                                        
Lei si era voltata di scatto e si era ritrovata faccia a faccia con suo padre che la guardava con aria severa
- è pericoloso per te uscire adesso,  torna in camera tua per favore -                                                                                                                                   
- ma padre…-
Senza sentire ragioni la aveva riportata gentilmente in camera, dove lei non aveva potuto far altro che piangere,  a pancia in giù sul letto,  con la faccia sprofondata nel cuscino. 
Piangeva per rabbia, per la frustrante consapevolezza di non poter fare nulla per cambiare quella situazione, di essere impotente.                                                                                                      
- Vi prego non piangete bambina mia… - La voce di Matilde era calda e dolce, come le carezze che posava sulle sue spalle - …piangere non serve a nulla,  se non a farvi stare male,  purtroppo l’unica cosa che possiamo fare ora è pregare il signore che tutto si sistemi... - 
Ma lei aveva continuato, facendo finta di non sentire, senza smettere nemmeno quando Matilde era andata via.
Non ricordava quanto tempo ci fosse voluto per far passare la rabbia.
Si era inginocchiata accanto al letto ed aveva pregato, con le mani giunte premute sulla fronte, piangendo in silenzio, che tutto andasse per il meglio, che tutto tornasse come prima.
Poi doveva essere crollata, perché quando aveva riaperto gli occhi, dalla finestra entravano già gli ultimi raggi infuocati del tramonto. 
Accanto a lei c’era Matilde che la guardava affettuosa ma triste. 
- Cosa è successo? - aveva chiesto mettendosi a sedere,  terrorizzata dalla sua espressione. La donna le aveva stretto le mani tra le sue ma non aveva parlato. 
- Matilde? - 
Lei le aveva accarezzato la guancia - Ezio è accusato di tradimento, il gonfaloniere vuole la sua testa… - A quelle parole si era sentita svenire.  
Matilde se ne era accorta e aveva continuato immediatamente -…non disperate bambina mia: l’ultima volta che l’ho visto, stamattina all’esecuzione, scappava dalle guardie. Sapete come è agile e svelto,  sicuramente starà bene ora… - la ragazza aveva ripreso a respirare ma il sangue le si era gelato nelle vene; aveva alzato gli occhi azzurri cercando quelli castani della governante 
- Esecuzione? Oh no Matilde, non… - aveva mormorato portandosi una mano alla bocca.
La donna la aveva abbracciata - Oh mi dispiace tanto piccola mia,  mi dispiace tanto… - 
Lei si era stretta nell’abbraccio - Ti prego fa che lui stia bene, ti prego... -
 
Cristina appoggiò di nuovo la schiena contro il telaio della finestra sforzandosi di non pensare a niente
 
“Cristina, Cristina, credo proprio che con quello che è successo ieri notte tu ti sia preparata un bel posticino nel secondo cerchio dell’inferno”                                                                                                                                                              
“Oh va’ al diavolo, sicuramente non ci arriverò prima di te!“            
 
 La voce allegra di Federico le risuonava nella testa, assieme all’immagine del ragazzo sorridente appoggiato alla bancarella delle stoffe… 
Lei non aveva mai rimpianto ciò che faceva, era sempre  sicura e responsabile delle sue azioni: mandarlo al diavolo quella mattina le era sembrata la cosa più giusta, ma ora il rimorso la tormentava, e le parole che gli aveva detto rimbombavano come una sentenza nel suo cuore. 
In fondo aveva iniziato ad affezionarsi anche a lui. Erano amici e, sperava, sarebbero potuti diventare anche ottimi cognati un giorno.
Ezio le aveva raccontato che era stato lui a spingerlo a venirle a parlare la prima volta che si erano incontrati. 
Una volta scherzando, lo aveva anche ringraziato per questo… 
“Non gli ho nemmeno chiesto scusa...” pensò chiudendo gli occhi “ … e adesso è troppo tardi…” 
Non aveva più forza, né lacrime per piangere, così tutto quello che riuscì a fare fu un profondo sospiro.                           
 
Un rumore di passi dal vicolo di fronte alla sua finestra attirò la sua attenzione. 
La ragazza osservò la strada sotto di lei. 
Dall’oscurità dell’arco emerse una figura barcollante che avanzò lentamente fino ad entrare nel cerchio di luce proiettato dalla lanterna.                                                                                
- Federico…? - sussurrò quasi a sé stessa - Federico! - gridò ancora sporgendosi dal davanzale e sgranando gli occhi celesti. 
Il ragazzo fece qualche passo malfermo. Alzò la testa, come per guardarla, per poi accasciarsi svenuto contro il muro. 
Cristina si precipitò fuori dalla stanza.
Senza curarsi del rumore scese a capofitto le scale, aprì il portone di legno massiccio e uscì in strada. 
Corse dietro l’angolo, nel vicolo, e cadde in ginocchio accanto a lui.                                                                                                                                                                       
- Oh mio dio... svegliatevi! Vi prego svegliatevi, vi scongiuro! - gridò in preda al panico, scuotendolo per le spalle. 
Non sapeva cosa fare. 
Restava ferma con il fiatone a fissarlo, incredula e scioccata: il ragazzo era lì, come uscito dai suoi pensieri. Era ferito, lei poteva sentire l’umido del sangue sotto la mano sinistra. Il volto era cinereo, appena arrossato sulle guance. Respirava a fatica. Cristina gli posò la mano sulla fronte: scottava.                                                                                                                                      
Il rumore del portone che si apriva la fece sobbalzare e, voltandosi di scatto verso l’angolo, vide apparire la snella figura di Matilde in camicia da notte e scialle, con una candela nella mano. 
- Cristina, ma cosa fate? Cosa…? - la donna fece qualche passo verso di loro, strizzando gli occhi per vedere meglio, per spalancali subito terrorizzata, appoggiandosi al muro per sorreggersi 
- Vergine santa...- mormorò con voce tremante facendosi il segno della croce,  per poi prendere fiato e urlare - Guar...! - 
Non finì la parola. Cristina saltata in piedi le aveva tappato la bocca con la mano                            
-  No Matilde ti prego! - supplicò, guardandola negli occhi - Ti prego... è ferito,  ha la febbre,  morirà se non lo aiutiamo! Ti prego!-   
Matilde si liberò - Morirà?! Cristina quel ragazzo è stato impiccato stamattina! È già morto! - 
- No! Matilde no, ti supplico… Se lo trovano le guardie lo uccideranno - replicò la ragazza quasi piangendo,  cadendo in ginocchio davanti alla governante.
Matilde non sapeva che fare: guardò prima Cristina, poi Federico infine fece un sospiro nervoso. 
- Signore dammi la forza. Andiamo aiutami a portarlo dentro… -  la ragazza si alzò e la abbracciò forte 
- Grazie Matilde, grazie -                                                                 
Insieme trasportarono il ragazzo nella piccola stanza adiacente la cantina e lo adagiarono sul vecchio letto. Delicatamente Cristina gli sfilò prima il farsetto, poi la camicia,  mentre Matilde saliva a prendere delle bende ed un catino d’acqua. La luce della candela illuminava il petto del ragazzo, disseminato di lividi, mentre più in basso,  all’altezza dello stomaco,  si estendeva un’enorme chiazza, dalle sfumature violacee. La ferita al braccio andava dalla spalla fino quasi al gomito:  non sembrava troppo profonda, ma gli aveva fatto perdere molto sangue. 
Lo sguardo della ragazza si soffermo un’istante sui segni scuri intorno ai polsi e al collo. 
La porta si aprì, e Matilde entrò: posò il catino per terra e si inginocchiò accanto a Cristina - …Fatemi un’po' vedere… - la ragazza si fece da parte. 
Per prima cosa Matilde posò un panno bagnato di acqua ed alcool sulla fronte del ragazzo , poi pulì e disinfettò la ferita, la ricucì abilmente e la fasciò stretta. 
Infine si alzò, fece un sospiro ed incrociò lo sguardo interrogativo di Cristina - La ferita al braccio dovrebbe guarire in fretta, come anche il resto… ma solo se riuscirà a superare la notte, se la febbre non avrà ragione di lui prima… - 
Cristina si lasciò sfuggire un sorriso amaro - …Se è arrivato fin qui non ha ragione di morire adesso… - Matilde sospirò ancora - Preghiamo che sia così cara… - La ragazza si inginocchiò di nuovo accanto al letto e il suo sguardo ricadde sui lividi che ricoprivano il petto di lui. 
- Le guardie non devono essere state troppo gentili con lui - disse Matilde mentre metteva via le bende sporche e si sedeva sulla sedia accanto al letto.
- Erano innocenti Matilde,  non avevano fatto nulla… - la voce di Cristina era stanca,  eppure era tangibile in essa la rabbia - … per quanto possa spingersi oltre un padre non metterà mai a rischio la vita dei figli coinvolgendoli in un complotto. Suo padre non lo avrebbe mai fatto. Giovanni amava troppo la sua famiglia per permettersi di giocare con le loro vite in quel modo. Sono sicura, Matilde, che se ne avesse avuto la possibilità sarebbe morto tre volte pur di risparmiare loro la vita. No Matilde, li hanno voluti togliere di mezzo,  a che pro altrimenti uccidere anche loro? - disse indicando con un cenno del capo il ragazzo - un ragazzo di vent’anni e un bambino di tredici che colpa potevano avere? Tu mi hai detto che cercavano anche Ezio: pensi che se lo avessero trovato il suo destino sarebbe stato diverso dal loro? Perché uccidere tutti i figli maschi se non per stroncare la famiglia? - concluse prendendo fra le sue la mano di Federico.
Matilde le posò una mano sulla spalla - …Avete ragione bambina mia, ma non possiamo farci niente: ormai sono morti e noi abbiamo fatto tutto quanto potevamo per aiutare lui,  possiamo solo pregare ora… -                                                                     
- Non voglio che muoia Matilde… - la voce di Cristina era spezzata -… adesso lui è l’unica persona che può riportarmi da Ezio...- sospirò -… e poi, non gli ho ancora chiesto scusa,  per ieri, per come mi sono comportata…- mentre parlava una lacrima scintillante come una piccola perla le rotolò giù dalla guancia, senza che se ne accorgesse, e le ricadde sulle mani giunte,  tingendosi nella caduta,  dei riflessi dorati della candela. 
 
 
 

L’AngoloDiBibi

Come promesso eccoci finalmente nel 1400 :D  
Piccolo chiarimento: racconterò la storia senza usare la "prospettiva Animus", ovvero utilizzando i pov dei vari personaggi, indipendentemente se siano essi effettivamente legati a Lucy o meno.
La storia quindi parte da qui (in origine questo era il primo capitolo dopo il prologo!) con una Cristina depressa e innamorata...
Come al solito un gigantesco grazie a tutti gli intrepidi (non importa se silenziosi) lettori.
Alla prossima!
Bibi

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Capitolo 5
*** UN MORTO NELLA CANTINA DI UNA NOBILDONNA ***


CAP 4 - UN MORTO NELLA CANTINA DI UNA NOBILDONNA

 

Vegliarono il ragazzo per tutta la notte,  fino alle prime luci dell’alba, quando la febbre finalmente scese. Tuttavia Federico continuò a rimanere incosciente, come anche il giorno dopo e quello successivo.
Tutto adesso era più semplice perché Antonio, il padre di Cristina, si era trasferito a Bologna proprio la sera dell’esecuzione. 
Succedeva spesso che andasse lì per affari. Qualche volta Cristina era anche andata con lui,  ma stavolta non si sarebbe trattato di un viaggio di qualche settimana: Antonio voleva portare via la figlia dalla città per evitarle altri dispiaceri ed aiutarla a dimenticare tutto quello che era successo. 

Era partito dicendo alle due donne di raggiungerlo appena fossero state pronte: avrebbe poi mandato dei servi a sistemare la casa in un secondo momento.
In casa Vespucci c’erano quindi solo loro tre e per il momento erano al sicuro.
Nessuno sarebbe venuto a cercare un morto nella cantina di una nobildonna.
Cristina non aveva idea di cosa avrebbe fatto quando lui si fosse svegliato, tuttavia non si allontanò quasi mai dal suo capezzale, alternandosi con Matilde.
 
Federico strizzò leggermente le palpebre, poi lentamente le alzò. Sopra di lui c’era un soffitto di mattoni rossi a volta.
Era in un letto. 

Sospirò: che sogno strano aveva fatto. 
Lentamente si mise a sedere e si passò una mano sugli occhi, massaggiandosi il naso.  
Si guardò intorno: adesso riusciva a distinguere meglio ciò che lo circondava.
Sgranò gli occhi, iniziando a girare la testa a destra e a sinistra. 
Non era in camera sua: era in una cantina. 
La porta si aprì e lui si voltò di scatto.                                                        
- Federico! - Cristina corse ad inginocchiarsi accanto al letto. 
Il ragazzo continuava a guardarla come un animale braccato,  respirando velocemente,  quasi a fatica. 
- Federico calmati! Calmati! - disse mettendogli le mani sulle spalle. 
Lui continuava a guardarsi intorno frenetico - Federico,  mi riconosci?! - disse alzando inconsciamente la voce e mettendogli una mano delicata sulla guancia per costringerlo a guardarla. 
Due occhi resi scuri dalla penombra della piccola cantina si fissarono in quelli chiari della ragazza. 
Rimase a guardarla per qualche secondo, come a ripescare nella memoria un ricordo lontano.                                                
-…Cristina?- la sua voce era poco più che un sussurro.

Lei tirò un sospiro di sollievo. Annuì e si lasciò scappare un mezzo sorriso - …bentornato nel mondo dei vivi…- disse facendo scivolare le mani a stringere quelle gelide del ragazzo. 
Federico sembrò calmarsi un’pò. -…Cosa è successo?...Come…sono arrivato qui?- chiese respirando però ancora profondamente.

- Sei svenuto sotto la mia finestra…- iniziò Cristina - …avevi la febbre ed eri ferito…sono quasi quattro giorni che dormi…- spiegò. 
Lui annuì.
- Mio padre? - chiese. 
Cristina prese fiato ma le mancarono le parole.
-…Federico io….-
Il ragazzo la guardò stranito per qualche secondo, poi ebbe un lampo di consapevolezza e chiuse gli occhi
 -…non era un sogno…-
- Mi dispiace tanto…- Cristina gli prese la mano -…non ho idea di come, ma tu sei ancora qui… grazie al cielo…- concluse.
Il ragazzo non disse nulla, forse non comprendendo appieno la situazione.  -…Mia madre…Ezio e Claudia? - chiese dopo un silenzio che a Cristina parve un’eternità. 
Doveva aspettarsi quella domanda
- Io…non lo so…-
Erano cinque giorni che non usciva di casa - Però,  adesso che ti sei svegliato…posso andare a cercarli…- la sua voce cercava di essere rassicurante e speranzosa.
Lui non rispose, girò la testa ed annuì, perdendo il suo sguardo nel vuoto. 
- Mi dispiace tanto Federico…davvero,  non sai quanto…- fece piano senza staccare gli occhi dal volto del ragazzo. 
Federico annuì ancora. 
- …Adesso ti faccio portare qualcosa da mangiare…-
Non ricevette risposta.

Si sedette sul letto e gli posò una mano sulla spalla. 
Stavolta il ragazzo la guardò: uno sguardo triste, ma non disperato come lei immaginava.
 -Li troveremo vedrai… ne sono sicura…-
Quelle parole erano la speranza di entrambi infondo.
Gli strinse le spalle, per poi alzarsi ed uscire dalla stanza, lasciandolo solo.
 
Dopo aver avvertito Matilde del risveglio del ragazzo,  Cristina prese il mantello ed uscì di casa.
Avrebbe rivoltato anche l’intera città se necessario, pur di trovare gli Auditore superstiti.
 
 
Cristina si chiuse alle spalle il grande portone di Casa Vespucci: erano quasi due giorni che frugava ogni angolo della città.
Niente. 
Nemmeno una traccia, o qualcuno che sapesse qualcosa. 
Maria,  Ezio e Claudia sembravano essersi dissolti al freddo di quei primi giorni dell’anno.
Ormai era inutile continuare a cercare: due giorni dopo sarebbe arrivato il carro che le avrebbe portate a Bologna e lei non poteva più rimandare la partenza.
Ripose il mantello e scese direttamente in cantina. 
Sulle scale incrociò Matilde che risaliva - Non ha mangiato nulla nemmeno oggi... - disse preoccupata -… io non so che cosa fare -
Cristina fece un sospiro e scese.
Nei due giorni successivi al suo risveglio,  Federico non aveva quasi toccato cibo.
Ora, comprendendo anche il tempo trascorso in prigione, e quello passato dormendo, il suo digiuno doveva protrarsi da almeno cinque giorni.
La febbre lo aveva indebolito, come anche la perdita di sangue per la ferita al braccio: se continuava di questo passo metteva in serio pericolo la sua vita,  che già una volta era stata graziata.
 
Cristina entrò nella stanza e si sedette accanto al letto.
Federico le dava le spalle e sembrava dormire, ma il respiro veloce tradiva il fatto che fosse sveglio.
 - Nessuno sa niente, è come se fossero spariti nel nulla… -
Rimase qualche secondo in attesa della sua risposta che non arrivò.
- Non hai toccato cibo…se continui così…Federico guardami…- disse piano.
Lui non si voltò. Cristina allora si alzò e girò attorno al letto per guardarlo in faccia.

Aveva gli occhi bassi e le lacrime gli rigavano le guance.
-Non ho saputo proteggerli…io…io non ci sono riuscito…-
La sua voce era spezzata.
La ragazza si inginocchiò e lui alzò gli occhi umidi: alla luce della candela Cristina si accorse per la prima volta che Federico aveva gli occhi verdi. Un verde scuro e intenso, che si schiariva leggermente ai contorni.
Senza pensare lo strinse a sé mentre lui iniziava a singhiozzare violentemente.
- Io volevo…dovevo fare qualcosa. Li dovevo fermare, Cristina! Lo avevo promesso a mio padre…dovevo proteggerli, ma non ci sono riuscito…Appena sono entrato in casa loro…Io…io sono svenuto e non… Oh Cristina ti giuro che volevo fare qualcosa…volevo proteggerli…ma non ce l’ho fatta…non ci sono riuscito…-
Lei continuò a stringerlo e lasciò che si sfogasse.
Sapeva che era il minimo dopo quello che gli era successo.
-Non è stata colpa tua…non avresti potuto fare nulla - per lei quelle non erano parole di circostanza -  E’ stato qualcosa più grande di te, di noi…non lo potevamo evitare… e purtroppo non possiamo cambiarlo. Quello che conta ora è che tu stia bene…-
Lui sembrò calmarsi pur continuando a respirare pesantemente.
- Però adesso qui non sei al sicuro. Domani mattina io e la mia governante partiamo per Bologna: vieni con me. Lì non correrai rischi. Almeno finché le acque non si saranno calmate…-
- Ma Cristina…io devo trovarli…devo proteggerli…-
Cristina lo guardò negli occhi.
- Ti prometto, ti giuro che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarti a ritrovare la tua famiglia. Ma non puoi restare qui, né tantomeno muoverti da solo. Sarebbe troppo pericoloso! A Bologna avresti tutto il tempo di rimetterti e organizzare le ricerche...-
Lui scosse la testa poi tornò a guardarla: sapeva che aveva ragione.
Era consapevole che nella sua attuale condizione l’unica cosa sensata da fare era scappare. Se voleva ritrovare la sua famiglia doveva per prima cosa restare vivo e per farlo doveva allontanarsi il più in fretta possibile da Firenze: al resto avrebbe pensato poi.
Prese un respiro profondo
Poi annuì.
 
- Perché lo stai facendo Cristina? -
Lei era già sulla soglia e si voltò
- Per quanto ne sai, potrei essere davvero un traditore…perché mi stai aiutando?-
Cristina sorrise - Perché ti conosco e so che non lo sei…e poi sei mio amico...-
L’ombra di un vago sorriso guizzò sul volto ancora spaventosamente pallido di Federico.
- …adesso ti prego, mangia qualcosa e riposati: domattina si parte presto…- disse lei per poi voltarsi e iniziare a salire le scale.
- …Grazie…- la voce di lui la raggiunse quando era già a metà della rampa e non poteva più vederla.
 
Arrivata alla porta che immetteva nel corridoio, Cristina si sedette sugli ultimi gradini.
 
“Perché mi stai aiutando?”
 
Nonostante ciò che aveva detto, sapeva che non era solo per pura amicizia.
Per quanto non volesse ammetterlo, la sua motivazione era tremendamente egoista: se Federico ritrovava la sua famiglia lei ritrovava Ezio.
Nascose il volto tra le mani e prese un respiro profondo.
L’amore rende folli.
Quanto era vero.
Era solo per amore di Ezio che stava aiutando suo fratello. Solo per la speranza di poterlo rivedere avrebbe fatto uscire dalla città un condannato a morte, col rischio di essere scoperta.
Sentiva che per lui avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa.
Si alzò e si strinse nelle spalle, poi si diresse verso le scale del primo piano.
Quasi accarezzò il corrimano della scala mentre saliva: quella sarebbe stata l’ultima sera che avrebbe passato nella sua casa fiorentina per molto tempo e lei lo sapeva.
 
Matilde nella sua camera stava riponendo le ultime cose nei bauli.
- Federico viene con noi a Bologna…-
La donna si fermò e la guardò stranita - Siete impazzita bambina mia? -
-No sono seria…- rispose la ragazza tranquilla, prendendo una delle gonne e riponendola in un cofano aperto -…nella lettera Papà ha detto che mandava Guglielmo a prenderci no? Non penso per lui sia un problema avere un passeggero in più…e poi da quanto non viene a Firenze? Otto, nove anni? Non lo conosce nemmeno Federico, figuriamoci se sa che è stato condannato a morte…-
Fin qui il suo ragionamento filava. Se ne sorprese anche lei: in realtà la decisione di portare il ragazzo a Bologna la aveva presa solo pochi minuti prima nella cantina...
- Oh cielo, Guglielmo non lo saprà ma le guardie sì! -
- Le guardie lo hanno visto morire una settimana fa Matilde, vuoi che lo cerchino ancora!? Anche io se mi raccontassero che qualcuno è riuscito a sopravvivere ad un’impiccagione non ci crederei…-
- Vergine Santa, Cristina! Se lo trovano Uberto Alberti taglierà la testa anche a noi oltre che a lui per assicurarsi che siamo morti sul serio! -
- Andiamo Matilde non essere tragica! Abbiamo i permessi per uscire dalla città firmati da mio padre e dal Magnifico: le guardie li controlleranno, vedranno le firme e non ci guarderanno nemmeno in faccia. Cosa ne sanno loro? Possono essere venuti in due da Bologna no? -
- Ci farete uccidere Bambina mia…- Matilde si sedette pesantemente sulla sedia
- E cosa vorresti fare? Lasciarlo qui? -
La donna la guardò per qualche secondo, poi scosse la testa.
Per quanto avesse insistito, l’autoritaria Matilde Andriani era perfettamente consapevole che la sua testarda pupilla non avrebbe cambiato idea: quando Cristina si metteva in testa una cosa, riusciva sempre a farle fare ciò che voleva.
- Ecco appunto…- la ragazza chiuse il cofano e si sedette sul letto - Lo porterò al sicuro Matilde, anche a costo di doverlo chiudere in baule coperto dalle mie gonne! -

Si guardarono per un istante e poi entrambe scoppiarono a ridere.





L’AngoloDiBibi
Ebbene sì gente: non sono morta, rapita daglia alieni o emigrata in Papuasia senza connessione internet. Sono ancora qui, a distanza di quasi 3 mesi (settimana più, settimana meno) ad aggiornare questa storia. Impegni vari, ultimi esami e laurea alle porte (come anche la quasi totale assenza di feedback p.p) non hanno certo aiutato la mia cronica incostanza e pigrizia, ma meglio tardi che mai.  
Che dire? Tutti pronti a partire verso la Città dai Tetti Rossi.
Come d'abitudine, grazie a tutti quelli che leggono e che arrivano fino all'ultimo capitolo.
Grazie che sarebbe ancora più grande se mi lasciassero anche qualche impressione, o almeno battessero un colpo per far sentire la loro presenza e farmi sapere che sono curiosi di sapere come continua questa storia...
Alla prossima!
Bibi

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Capitolo 6
*** IL GIOCO DEL DESTINO ***


CAP 5 - IL GIOCO DEL DESTINO

 

Furono dei passi sopra di lui a svegliarlo.  

Sul comodino accanto al letto brillava ancora una piccola fiammella semisommersa da quello che restava della candela. 

Federico si mise a sedere con cautela. Aveva ancora dolori sparsi qua e là, ma tutto sommato si sentiva bene.  

Forse era la fatica per tutto quello che aveva passato negli ultimi tempi a fare si che, ogni volta che si addormentava, il suo sonno fosse estremamente pesante e profondo.  

Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva sognato ma forse, in fondo, questo era un bene… 

Si alzò e si avvicinò alla piccola finestrella all’angolo tra il muro e il soffitto: fuori era buio, ma non doveva mancare molto all’alba. Un minuscolo frammento di cielo stellato faceva capolino tra i palazzi. 

Mentre cercava di scrutare un po’ meglio fuori, il cigolio della porta lo fece voltare. 

- Ah sei già in piedi, buongiorno…- 

Cristina era sulla porta della cantina.  

Era già vestita: indossava un corpetto verde chiaro ed una lunga gonna azzurra stretta in vita da una fascia di seta verde scuro annodata da un lato. La camicia bianca fuoriusciva in sbuffi dalle maniche dello stesso colore della fascia e, a completare il tutto, al collo aveva un girogola azzurro che lasciava intravedere una catenina d’oro cui era appesa una piccola perla rosa. 

La ragazza entrò nella cantina e lasciò sulla sedia un grande involto - …non ricordavo fossi così mattiniero…- 

- Non lo sono: a quest’ora normalmente vado a dormire…- rispose lui alzando le spalle. 

- Immaginavo. Piuttosto, come va il braccio…- 

- Oh meglio. Molto meglio: non mi fa quasi più male...-   

Sotto la camicia la ferita doveva essersi rimarginata completamente, perché mentre la massaggiava non gli diede alcuna fitta. 

- Benissimo - Cristina mise le mani sui fianchi soddisfatta - Dunque: catino, acqua e sapone sono sulla cassapanca mentre i tuoi vestiti sono in quel pacco sulla sedia. Ho cercato qualcosa che non desse nell’occhio, spero di averci azzeccato coi tuoi gusti…-  

- Ehm…non credo di essere nella condizione di poter fare lo schizzinoso sul mio abbigliamento Cristina…- scherzò lui. 

Lei rise. Questo era il Federico che conosceva: vedere che c’era ancora nonostante tutto, le scaldava il cuore. 

- Ti aspettiamo di sopra…dobbiamo essere sul carro all’alba…- disse mentre iniziava a salire le scale. 

  

Non ci mise molto a prepararsi.  

Salì le scale e si ritrovò nel grande corridoio d’ingresso avvolto nella penombra.  

Aveva intravisto l’interno della casa solo un paio di volte, tuttavia faticò a far coincidere i suoi ricordi con ciò che lo circondava.  

Nella luce azzurra che iniziava ad entrare dalle finestre, si rese conto di quanto fosse vuota: restavano solo pochissimi mobili coperti da teli, mentre le pareti, un tempo tappezzate di arazzi e tele, ora erano completamente spoglie.  

Tutto trasmetteva un senso di velata malinconia. 

A ricordare lo splendore restava solo il raffinato intaglio sulla balaustra della scalone e una specchiera, sulla quale era appoggiata una piccola lampada ad olio. 

Il ragazzo si fermò un momento a guardare il suo riflesso. Non erano certo gli abiti da nobile cui era abituato, ma gli stavano bene. Il grigio scuro del farsetto faceva risaltare i dettagli rossi e la camicia bianca. Ebbe un sussulto quando si accorse di quanto evidenti fossero ancora i segni intorno al suo collo. Distolse lo sguardo e cercò di chiudere il più possibile il colletto, mentre si dirigeva verso una delle stanze, dalla quale proveniva una voce sommessa. 

Aveva la terribile sensazione che quello visto nello specchio fosse un fantasma…                           

  

La cucina si trovava alla fine di un piccolo corridoio con numerose finestre dalle ante chiuse, collegata a quella che doveva essere la sala da pranzo. Non c'era una vera e propria porta, ma un grande arco di mattoni a vista oltre il quale si vedeva l'interno della stanza.  

Mentre si avvicinava, Federico potè osservare meglio la governante che, intenta ad armeggiare sul fuoco e a canticchiare, non lo aveva ancora sentito. 

L’autoritaria Matilde Andriani era l'ombra di Cristina e la accompagnava quasi sempre in giro per la città, al punto che lui, nei primi tempi, la aveva soprannominata “Il Cane da guardia”. 

Forse per questo non le aveva mai realmente prestato attenzione.  

Guardandola meglio ora si accorgeva che era meno anziana di quanto immaginasse: anzi, probabilmente doveva essere anche più piccola di sua madre.  

I capelli che sfuggivano dalla cuffietta candida erano grigi, ma molte ciocche mantenevano ancora una tonalità color legno ben visibile nella luce calda del focolare che creava strani giochi di luce sugli zigomi alti e sul volto squadrato. Per qualche motivo oscuro, Matilde era invecchiata troppo in fretta, tanto che forse il suo viso non se ne era ancora reso conto, e lasciava intravedere ancora qua e là, sprazzi di giovinezza. 

Stando a ciò che Ezio gli aveva raccontato, il suo ruolo era ben diverso da quello di semplice guardiana: la donna era arrivata a Firenze insieme alla moglie di Antonio e serviva in Casa Vespucci da ormai più di vent’anni. Aveva praticamente cresciuto Cristina in seguito alla morte della madre e, per questo, la ragazza le era molto legata, vedendo in lei quella figura che era venuta a mancarle così all’improvviso… 

  

- Buongiorno… - disse timidamente mentre attraversava il grande arco. 

La donna si voltò verso di lui e sorrise - Oh buongiorno Federico, come ti senti oggi?- 

- Benissimo…credo non mi faccia più male nulla…- 

- molto bene, ma io starei comunque attento fossi in te: hai un paio di costole incrinate…- 

Federico stava per rispondere ma fu interrotto dall'arrivo di Cristina, annunciato dal sonoro rumore di passi nel corridoio. 

-Matilde hai visto per caso il pacchetto che ho portato ieri dal mercato?- 

- no bambina mia, non lo ho visto  

La ragazza lo superò, poi si voltò verso e lo squadrò – mi credi se ti dico che vestito così sembri davvero un corriere bolognese? – 

-è quello che spero…- 

-Sta tranquillo: tu non attirare l’attenzione e non guardare negli occhi nessuno.  

Cristina era tranquilla. Troppo per quella situazione. E questo non faceva che agitarlo. 

Sapeva che finché non fossero usciti dalla città non sarebbero stati al sicuro. 

Fecero colazione velocemente e poi lui la seguì nel grande ingresso dove erano riposti i bagagli, mentre Matilde finiva di mettere in ordine e di preparare le ultime cose. 

La ragazza si chinò su uno dei bauli per cercare qualcosa. 

- Ecco dov’era!- esclamò soddisfatta. 

Prima che Federico potesse accorgersene gli mise in testa un elegante basco di velluto rosso, orlato di una tinta più scura. 

-ti sta bene!- 

Il ragazzo si guardò nella specchiera perplesso. Non era abituato a portare cappelli, ma tutto sommato non gli dispiaceva il suo riflesso: il basco si armonizzava perfettamente con il resto dell’abbigliamento, tuttavia gli dava un aspetto diverso rispetto al suo solito. Non avrebbe detto che non si sarebbe riconosciuto ma probabilmente, chi lo avesse visto di sfuggita , magari per strada, difficilmente avrebbe pensato subito si trattasse peroprio di lui… 

-…grazie ma… non capisco quale sia la sua utilità…- 

Cristina sbuffó e gli aggiustó il cappello per coprirgli il viso 

- Renderti meno riconoscibile…spero…- 

- Lo sai che non sarà minimamente sufficiente vero?- 

Lei ncrociò le braccia seccata 

- Tra te e Matilde non saprei chi è più negativo!- 

- Non sono negativo: sono realista Cristina…- 

- Oh ti prego! E poi scusa, non eri tu quello che tutti dicevano essere tremendamente fortunato? 

- Certo: specialmente negli ultimi tempi guarda…- 

Gli sembrava che la ragazza non volesse vedere l’estremo pericolo in cui si trovavano: il suo ottimismo e la sua fiducia iniziavano a dargli seriamente sui nervi. Anche perché non capiva da dove scaturissero. 

Forse Cristina non si era ancora resa conto che nemmeno il suo titolo e i soldi di suo padre avrebbero potuto salvarla dalle guardie se gli avessero scoperti… 

Un rumore di zoccoli sul selciato davanti al portone attirò l’attenzione di entrambi. 

-Questo deve essere Guglielmo- 

Matilde era sbucata dalla sala da pranzo e si accingeva ad aprire il portone di ingresso. 

Fuori tutto era già illuminato da un chiarore grigiastro.  

Sul selciato si fermò un carro da viaggio trainato da un cavallo pezzato. 

Con felina agilità il guidatore saltò giù ed andò a salutare calorosamente la donna.  

Era un ragazzo sulla ventina, non troppo alto e abbastanza robusto. Sotto il pesante mantello vestiva di verde e portava un cappello marrone a falda sui ricci scuri che gli incorniciavano il volto illuminato da due vispi occhi castani. 

- Si chiama Guglielmo Soldieri, è il figlioccio di Matilde…- Cristina si era appoggiata allo stipite del portone - …ci accompagnerà a Bologna -  

Federico continuò a guardare fuori con aria poco convinta: non gli sembrava di averlo mai visto e il fatto che lei lo conoscesse non bastava a tranquillizzarlo.  

- Non farà questioni per un passeggero in più se è per farle un piacere, e poi è completamente ignaro di qualsiasi cosa sia successa a Firenze negli ultimi cinque anni almeno…-  

Il ragazzo scosse la testa e fece un profondo respiro: l’unica cosa che poteva fare era fidarsi. 

La guardò e lei sorrise alzando le spalle, per poi uscire e dirigersi verso il carro, mentre lui restava sulla soglia. 

  

- Cristina! L’ultima volta che t’ho vista eri una bambina!- 

Il nuovo arrivato la abbracciò per poi prenderle le mani. 

-Andiamo Guglielmo, sono cambiata tanto?- 

-…soltanto in meglio- 

Cristina rise e gli diede una pacca sul braccio 

-Tu invece sei identico a come ti ricordavo: forse solo più ruffiano…- 

Stavolta rise anche lui - Matilde mi ha detto che non siamo più solo in tre a partire…-  

- No infatti: Guglielmo, lui è Federico - 

Federico fece qualche passo e si avvicinò a loro stringendo la mano che Guglielmo gli aveva teso fiero.  

-Guglielmo Soldieri, lieto di fare vostra conoscenza Federico…?- 

-Au…- 

-Andriani! E’ mio nipote…- 

Sia Federico che Cristina guardarono straniti Matilde che aveva risposto prontamente. 

La donna li guardava come se fosse la cosa più ovvia del mondo. 

- Davvero? Perché non me lo hai detto subito?- la voce allegra di Guglielmo fece trasalire entrambi. 

- Perché tu non me lo hai chiesto caro…- la governante parlava con disarmante naturalezza, mentre i due ragazzi si rendevano conto di quanto provvidenziale fosse stato il suo intervento: va bene che Guglielmo non aveva idea di chi lui fosse e di cosa fosse successo a Firenze, ma usare il cognome di una famiglia ricercata e condannata non era proprio il massimo della furbizia… 

- Benissimo allora: scusa se adesso non mi dilungo troppo con le presentazioni, ma avremo tre giorni di viaggio per fare conoscenza e io voglio essere in strada prima che sorga il sole…mi dai una mano a caricare i bagagli?-  

Federico annuì seguì il ragazzo nell’ingresso, mentre le due donne iniziavano a sistemarsi sul carro. 

  

- Ci siamo tutti? Su Guiscardo, si parte!-  

Guglielmo fece schioccare le redini e il cavallo iniziò ad avanzare tirandosi dietro il carro. 

Firenze era ancora addormentata nella ormai chiara luce grigiastra dell’alba che illuminava perfettamente la via. 

Federico, seduto con la testa appoggiata ad uno dei finestrini, guardava fuori. 

Le case, le vie, le botteghe, le piazze che fino a poche settimane prima erano state il suo mondo adesso scorrevano veloci davanti ai suoi occhi, immerse in quella luce evanescente che dava loro un aspetto surreale, quasi onirico.  

Stava scappando e non sarebbe più tornato. In fondo lo sapeva.  

Sapeva che quella visione sarebbe stata l’ultima che avrebbe avuto di quei posti: avrebbe ricordato la sua città come il ricordo di un sogno.  

  

Raggiunsero la porta Nord e Guglielmo diede alla guardia i documenti per il controllo. 

Stavano per ripartire quando un’altra guardia gli intimò di fermarsi. Veniva da un drappello appostato poco distante ma non erano semplici guardie cittadine: due di loro erano giganteschi colossi dell’armatura dorata, mentre gli altri due, più esili, portavano degli elmi con un pennacchio. Tra di loro Federico riconobbe il  terzo uomo che la sera dell’arresto gli aveva tirato il pugno nello stomaco. 

L’aria gli mancò e cercò di nascondere il più possibile il viso sotto il basco, mentre il cuore iniziò a martellargli in petto, minacciando di schizzare fuori da un momento all’altro. 

La guardia analizzò il foglio poi diede un’occhiata torva al carro e ai suoi passeggeri. 

- Posso sapere perché qui vedo quattro persone mentre qui ci sono scritti solo tre nomi?- 

Chiese infine serio. 

Cristina sbiancò e si voltò verso Federico terrorizzata. 

- Oh bè messere…in realtà è una storia lunga…- Matilde si era affacciata al finestrino e si era rivolta alla guardia con un candido sorriso - …vede, la sorella della zia della madre di mio nipote, con cui lui viveva, è morta due settimane fa. Ha preso la febbre pover’anima, che Dio l’abbia in gloria…e quindi lui povera stella è rimasto completamente solo, e abbiamo deciso di portarlo con noi. Sa, con quello che sta succedendo a Firenze oggigiorno! E’ stata una cosa improvvisa, ci dispiace aver dimenticato di farlo aggiungere…- 

Seguì un silenzio di tomba: Matilde aveva detto tutte quelle parole ad una velocità pazzesca tanto che anche la guardia era rimasta intontita. 

L’uomo elaborò le informazioni senza staccare gli occhi dal foglio, probabilmente ponderando cosa fare, poi rivolse a Federico un’occhiata interrogativa cui lui annuì vigorosamente senza alzare gli occhi.  

Accanto a lui Cristina, tratteneva il fiato e aveva le unghie conficcate nel sedile di legno.  

La guardia infine annuì e riconsegnò i documenti a Guglielmo - Non si preoccupi, potete andare…ma state attenti: ci sono un mucchio di tipi poco raccomandabili in giro. Per questo abbiamo dovuto intensificare i controlli madonna…- 

-Oh ma certo…arrivederci!- 

  

Fu solo quando il carro si mosse di nuovo per attraversare la porta che i due ragazzi seduti nel retro tornarono a respirare. 

Matilde gli guardò entrambi: Federico era bianco al pari del colletto della camicia, mentre Cristina aveva le guance totalmente rosse nel volto cinereo. 

in realtà, se avesse potuto guardarsi allo specchio, si sarebbe accorta di essere avvampata anche lei.  

Se non fosse stato per il suo sangue freddo probabilmente a quell’ora sarebbero stati già in carcere o peggio. 

Chiuse gli occhi e si appoggiò pesantemente alla spalliera.  

-Non dite una parola…o non sarò responsabile delle mie azioni…- disse a bassa voce. 

Cristina espirò profondamente chiudendo gli occhi e portando entrambe le mani a coppa davanti al viso mentre Federico accanto a lei si accasciava sul sedile. 

- Grazie…- dissero piano quasi all’unisono. 

Matilde rispose con un silenzioso sorriso. 

  

Cristina appoggiò la testa al finestrino e guardò indietro la città si allontanava pian piano. 

Federico seduto accanto a lei faceva lo stesso. 

Sapevano che quello era un addio. 

Non alla città, ma alla vita che ci lasciavano. 

Una vita che era cambiata, contro il loro volere tanto, troppo in fretta. 

Cristina rimase a guardare ancora, mentre lui abbassò lo sguardo. 

Aveva perso tutto: le sue certezze, la sua famiglia la sua intera vita erano state spazzate via dal gioco del destino, e adesso, l’unica ragione per cui andava avanti era ritrovarli. 

Sua madre, Ezio e Claudia erano da qualche parte e prima o poi sarebbe tornato da loro. 

Lanciò un’ultima occhiata alla città che già iniziava a sparire dietro la collina. 

Non avrebbe mai perdonato la sua città per aver permesso tutto quello che era successo. 

Firenze aveva tradito lui, non il contrario. 

 

  

L’AngoloDiBibi
Be dai, sto migliorando: siamo passati da 3 mesi a 20 giorni tra un aggiornamento e l'altro: è un inizio no? Scherzi a parte, la tesi mi sta letteralmente assorbendo e non ho (ne avrò, almeno fino a fine ottobre) tempo nemmeno per respirare :(. 

Dunque: salutiamo Firenze e galoppiamo allegramente verso Bologna (anzi, per ora verso gli Appennini, dato che non siamo Ezio che si sposta in un click da una parte all'altra dell'Italia è.é).

Descrivere la malinconia di Casa Vespucci vuota ha fatto salire il magone anche a me: tra depressione e ansia questo capitolo mi sembra un corridoio universitario prima di un esame. 

In realtà anche la sconfinata positività di Cristina è solo il modo che lei ha per nascondere la sua paura: farsi prendere dal panico o dallo sconforto non serve a nulla e negatività attira cose negative u.u. Quanto al buon Federico, insieme alla sua città lascia anche suo cognome ufficiale, ma non la sua sete di risposte: diciamo che ciò che lo spinge ad iniziare la sua storia adesso, è ritrovare la sua famiglia, come Cristina parallelamente, parte per ritrovare l'uomo che ama. 

Per quanto riguarda il nuovo arrivo, Guglielmo è praticamente modellato, almeno nell'aspetto, sul mitico Guglielmo Scilla (aka WillWoosh, lo youtuber/attore/showman): l'ho sempre immaginato con la sua faccia e la sua parlantina; per ora accompagnerà i ragazzi, ma resterà con loro anche in futuro :D.

Piccola curiosità sulla tremenda fortuna di cui parla Cristina: nelle mie storie, Federico ha sempre (o quasi) la sua buona stella che gli fa andare bene le cose. E' il tipo di persona che troverebbe un assegno in bianco per terra o vincerebbe una partita a poker con una scala reale di cuori contro una di picche per intenderci. Una sorta di Gastone Paperone cinquecentesco, anche se non a livelli inverosimili sia chiaro.

Detto ciò, passo ai Ringraziamenti: un grazie grande quanto una casa (e anche più) va a _Anaiviv per aver messo la storia nelle seguite e per le recensioni ^-^  grazie grazie grazie :*

e grazie anche a tutti gli altri lettori silenziosi che passano comunque a dare un'occhiata ;)

Spero di aggiornare entro fine mese (questo capitolo era già fatto, per questo l'ho postato :C ) ma non posso promettere nulla T.T 

Volo via su una scopa come le streghe che sto studiando: fatemi gli auguri XD.

Alla prossima!
Bibi

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Capitolo 7
*** SE LA MATEMATICA NON E’ UN’OPINIONE ***


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CAP 6 - SE LA MATEMATICA NON E’ UN’OPINIONE

Erano ormai quasi due ore che percorrevano la polverosa strada maestra per Bologna.

Nella tiepida semioscurità della piccola carrozza la testa di Cristina ondeggiava a ritmo con l’andamento della vettura: la tensione dei giorni precedenti l’aveva letteralmente prosciugata di tutte le energie ed ora faticava a tenere gli occhi aperti mentre di fronte a lei Matilde, sdraiata sul baule che fungeva da sedile, aveva già ceduto alla stanchezza e dormiva tranquilla. Lo avrebbe fatto volentieri anche lei se il posto accanto al suo non fosse stato occupato da Federico, che guardava fuori dal finestrino assorto. Cercò di sistemarsi meglio contro la parete di legno, ma la stanchezza era davvero troppa. Trasalí quando, ormai abbandonata al sonno, andò ad urtare la spalla del ragazzo seduto accanto a lei.

-S-scusa, scusami…- biascicó a occhi chiusi rialzandosi subito e cercando di trovare una posizione più stabile.

- No non preoccuparti- fece lui - …tutto bene?- La sua risposta fu un mugolio che Federico interpretò come un assenso. La osservò per qualche secondo mentre cercava di puntellarsi al meglio nell'angolo della carrozza ad occhi semichiusi combattendo contro il sonno imminente. Era davvero buffa e, in un altro momento, si sarebbe anche messo a ridere vedendola così. Scosse la testa.

- Io vado a prendere un po’ d'aria…- disse alzandosi e bussando alla finestrella chiedendo a Guglielmo di fermarsi per farlo scendere. Lei disse qualcosa di incomprensibile mentre finalmente poteva stendersi comoda sul sedile per riposare avvolta nel pesante mantello.

Federico maledí la propria galanteria appena mise piede fuori dal carro: il sole splendeva nel cielo terso, ma l'aria gelida di quei primi giorni dell’anno condensava il respiro in nuvole di vapore e il freddo secco si infilava sotto i mantelli e gli abiti pensati. Si sfregó energicamente le spalle prima di arrampicarsi a cassetta.

- Visto che aria frizzante? –

Guglielmo ripartì con un deciso colpo di redini.

- Frizzante? A me sembra di stare in una neviera… Non mi pareva facesse così freddo a Firenze...-

- Eh no, ma ora stiamo andando verso le montagne, è normale che faccia più freddo…-

- Giusto, non ci avevo pensato…- Federico si strinse nel mantello.

Non si era mai allontanato così tanto da Firenze. In realtà non è che avesse effettivamente mai viaggiato in vita sua. Una volta, quando doveva avere sei o sette anni, era andato a Monteriggioni, ma non ricordava granché a parte il gran caldo.

L’unica memoria nitida era sua madre che lo abbracciava forte nonostante fosse completamente fradicio…

- Federico! Ma cosa t’è saltato in mente?! Vuoi farmi morire?!- aveva quasi urlato Maria tirando fuori di peso il figlio maggiore dall’acqua.

Faceva molto caldo quel pomeriggio, e lei aveva deciso di portare i suoi bambini a giocare vicino al bordo di una cisterna per l’acqua piovana nei giardini della villa. Mentre Federico ed Ezio si divertivano a schizzarsi, lei sedeva poco lontano, facendo giocare la piccola Claudia con l’acqua. Ad un tratto però, il suo anello d’oro si era sfilato, cadendo nella cisterna: essendo l'acqua abbastanza profonda, Maria si era dovuta rassegnare a non poterlo recuperare. Federico però, che già sapeva nuotare abbastanza bene, in un momento di distrazione, aveva preso un grosso respiro e si era buttato sparendo sott'acqua. La donna, aveva subito lasciato la bimba sul prato,sporgendosi sul bordo della vasca e, non vedendolo risalire subito, aveva iniziato a chiamarlo e ad urlare in preda al terrore. Erano passati parecchi secondi, che le parvero secoli, prima che lo vedesse finalmente tornare a galla.

-Ma madre…-

-Sei impazzito?! Si può sapere perché stavi cercando di affogarti?!- aveva continuato lei scuotendolo per le spalle.

Il bambino aveva sorriso ed aveva aperto la mano che aveva tenuta serrata fino a quel momento, rivelando il piccolo cerchio d’oro. Maria aveva sospirato e lo aveva stretto forte, infradiciandosi il vestito…

Il calore di quei ricordi riuscì a scaldarlo un po’ in mezzo a tutto quel gelo…

-È la prima volta che vai a Bologna vero? – la voce di Guglielmo lo riportò al presente.

-Be si…in realtà è la prima volta che lascio Firenze…-

-Ah giusto, ho sentito prima di tua zia…cioè di tua madre…Vabbè della parente…mi dispiace…-

-Oh non preoccuparti…- in realtà non aveva capito bene nemmeno lui che parentela lo legasse alla fantomatica donna con cui avrebbe dovuto vivere.

Ascoltando meglio Guglielmo però, si era accorto della cadenza che aveva nel parlare: lavorando con suo padre qualche volta si era trovato ad ascoltare messi e notai bolognesi, ma quello non era sicuramente accento di quelle terre, né tantomeno toscano. Sembrava qualcosa di più caldo, di più centrale…

-…tu invece? Senza offesa, ma il tuo accento non mi sembra emiliano…- indagò. Aveva bisogno di parlare un po’ con qualcuno.

Guglielmo rise -…nessuna offesa perché non lo è: sono nato a Bologna ma sono cresciuto a Roma…-

"Roma! Ma certo!" Trattavano spesso coi mercanti romani e laziali, ecco perché l'accento gli era familiare.

-Sei a Bologna per lavoro quindi?-

-No, ci vivo-

Federico lo guardò perplesso e il ragazzo alzò le spalle tornando a guardare la strada - ...quando avevo tre o quattro anni siamo andati a vivere a Roma, mamma ed io. Avevamo una bella casetta, vicino al Campidoglio. Mamma faceva la lavandaia e io...bè ero troppo piccolo per fare qualcosa. Stavamo bene nonostante tutto, finchè non si è ammalata...- disse rabbuiandosi un po’ -…Se ne andò in poco meno di cinque giorni e io mi ritrovai completamente solo…poi arrivò Filippo…-

-Filippo?-

-Messer Filippo De Quintis- fece Guglielmo con orgoglio -…è un mercante d’arte: la sua bottega è la prima di Bologna…-

-Forse l’ho sentito nominare…- Maria acquistava tele e dipinti in tutta Italia e, naturalmente, aveva comprato anche a Bologna più di una volta -…ti ha preso come apprendista?-

-Non proprio…diciamo che è in debito con me…-

-In che senso?-

-Gli ho più o meno salvato la vita…-

-Scherzi? –

Guglielmo scosse la testa e iniziò a raccontare -Dopo aver perso mamma, come ti ho detto, non avevo più nessuno. Iniziai a vivere per strada: Roma era, ed è tutt’ora, piena di orfani e ragazzini lasciati a sé stessi. Qualche elemosina, qualche lavoretto, a volte un piccolo furto e si tirava avanti, sperando di non morire di freddo o di fame come facevano tanti. Anche se diciamocelo, quante possibilità vuoi che possa avere un ragazzino di dodici anni di diventare adulto vivendo così? Pochissime. Io però ebbi la mia: un giorno insieme ad un mio compagno ottenni un piccolo lavoro che consisteva nel trasportare alcune tele. Il mercante d’arte ci ricompensò con un ducato d’argento a testa, un tesoro per noi! Ricordo che lo spendemmo tutto all’osteria e mangiammo fino a scoppiare…- rise piano, strappando un sorriso anche al ragazzo accanto a lui - …Ad ogni modo, mentre camminavamo per i vicoli, sentimmo rumore di rissa provenire da una strada senza uscita. Ci avvicinammo e vedemmo un uomo che combatteva da solo contro due sicari in nero. Riconobbi subito il mercante d’arte del mattino e, mentre il mio compagno se la filava, io non ci pensai due volte: afferrai un bastone e mi lanciai contro quello che ci dava le spalle…-

Federico si strinse nel mantello – E lo hai atterrato?-

Il riccio scosse la testa -…No. Fu lui ad atterrare me, con un colpo di piatto della spada dritto sulla capoccia, talmente forte che rimasi dritto in piedi qualche secondo prima di cadere a terra!- risero entrambi di gusto.

-E poi che è successo?-

-Be, il mio “coraggiosissimo” intervento aveva dato all’uomo il tempo di liberarsi del primo sicario, quindi non ci mise molto a disfarsi anche del secondo… Quando ripresi i sensi il mercante, Filippo, mi ringraziò e mi propose di andare con lui a Bologna, promettendo che da allora in poi si sarebbe preso lui cura di me. Colsi la palla al balzo e ora sono quasi sette anni che lavoro per lui, anche se non mi ha mai trattato da garzone o dipendente…-

Federico si appoggiò alla spalliera - Deve essere bello: io non ho mai sentito di datori di lavoro così magnanimi…- I suoi superiori, nei mesi in cui aveva lavorato alla banca dei Medici, sicuramente non erano stati con lui.

-Bè dai: il lavoro è sempre fatica-

-Non se ti trattano con rispetto o se fai qualcosa che ti piace… –

-Anche questo è vero…-

Il carro sobbalzò per una buca e a Federico di colpo mancò l’aria: non seppe spiegarsi perché ma iniziò a tossire allarmando Guglielmo accanto a lui – Ehi, che hai? Tutto bene?- il ragazzo annuì respirando profondamente S-si, si…sto bene, tranquillo…deve essere il freddo…- disse, cercando di convincere più se stesso che il compagno al suo fianco.

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-Dunque, sono quaranta fiorini d'argento per l'alloggio, venti per la cena di ieri sera e la colazione di stamattina, più quello che avete comprato, fanno settanta fiorini d'argento in tutto messere...-

Guglielmo mise sul tavolo 4 fiorini d'oro che l'oste prese subito, restituendo al ragazzo il resto di dieci monete d'argento, e ritornando al suo bancone all'ingresso della fumosa sala. Erano passati ormai due giorni da quando avevano lasciato Firenze e nel pomeriggio sarebbero giunti a destinazione. Avevano appena finito di fare colazione, seduti ad un piccolo tavolo posto poco lontano al grande camino che però non doveva tirare troppo bene dato che l’intera sala era pervasa da una leggerissima nebbiolina. In compenso però, quello doveva essere il tavolo più caldo, data la sua vicinanza alle grandi fiamme sulle quali bollivano diverse casseruole.

-Questa locanda ha prezzi davvero ottimi...- commentò il ragazzo soddisfatto -...sono venuto qui anche all'andata: non è facile trovare qualcuno che ti faccia pernottare a 10 fiorini d'argento, di solito ne chiedono quindici o addirittura un fiorino d'oro...-

-Già...peccato che adesso l'oste se ne sia presi comunque cinque in più di fiorini d'argento...- Seduto accanto a lui Federico giocava con le monete sul tavolo.

-Come scusa?- Guglielmo lo guardò stranito.

-Il resto, è sbagliato...-

-E perché? Gli dovevo settanta fiorini d'argento. Ho pagato con quattro fiorini d'oro e lui mi ha dato il resto di dieci fiorini d'argento: un fiorino d'oro equivale a venti fiorini d'argento no[1]?-

Federico rise e prese in mano una moneta – esatto, ma questi non sono fiorini d'argento, sono bolognini...- disse facendola saltare in aria per poi riprenderla al volo.

-E allora? - chiese Cristina seduta di fronte a loro incrociando le braccia - ..un bolognino non vale quanto un fiorino scusa?-

-Certo, un bolognino d'oro…ma un bolognino d'argento non vale quanto un fiorino d'argento[2], il cambio è diverso – continuò lui senza smettere di giocare con la moneta. Seguì qualche secondo di silenzio: Federico alzò gli occhi e si accorse che Guglielmo e Cristina lo guardavano perplessi. Scosse la testa - Un fiorino d'oro equivale a venti fiorini d'argento o a duecentoquaranta fiorini di rame, e questo vale anche per il ducato, il genovino e quasi tutte le monete che circolano in Italia e nel resto del continente. – spiegò - Il bolognino però fa eccezione: per fare un bolognino d'oro ci vogliono quaranta bolognini d'argento, non venti. Quindi se un fiorino d'oro vale quanto un bolognino d'oro, un fiorino d'argento invece vale....-

Cristina battè il palmo sul tavolo -...due bolognini d'argento!-

-Esatto- fece lui alzando le spalle.

Guglielmo però continuava a guardarli confuso.

-...Tu hai pagato l'oste per settanta fiorini d'argento, con quattro fiorini d'oro, che sono ottanta fiorini d'argento. Lui avrebbe dovuto darti come resto dieci fiorini d'argento, ma t’ha dato 10 bolognini, che in fiorini sono la metà...- spiegò Federico.

Gugliemo si alzò di scatto -...e mo' me sente!- sbottò raccogliendo le monete dal tavolo e dirigendosi a grandi passi verso l’ignaro oste all’ingresso della sala.

- Secondo me ora lo picchia…- fece Cristina appoggiando il mento sul palmo della mano e osservando divertita la scena.

-Oh anche secondo me…e non avrebbe tutti i torti…- concordò lui, incrociando le braccia sul tavolo e sporgendosi per vedere meglio.

- Ma che dite voi due?! Vergine Santa fermatelo prima che si scateni una rissa!- esclamò Matilde alzandosi e correndo dall’altra parte della sala, dove Gugliemo inveiva contro il povero oste che tentava invano di scusarsi, attribuendo l’errore ad una svista.

-Tu comunque come lo sapevi del cambio?- chiese curiosa Cristina appena la governante si fu allontanata, distogliendo l’attenzione dalla rissa verbale al bancone.

-Sono figlio di un banchiere Cristina...se non lo so io...-

-Giusto...eppure pensavo non ti piacesse la matematica, dato che non sei durato molto nella Banca dei Medici…-

-Pensi molto male – rispose lui senza perdere d’occhio i due all’ingresso - A me la matematica piace un sacco...è lavorare che non mi va a genio...- ammise.

Cristina rise. - Ti hanno cacciato perché sei uno scansafatiche insomma...-

-Mi sono fatto cacciare perché non mi piaceva quel posto! Mi sfruttavano come facchino e portalettere...le uniche volte che avevo a che fare con i numeri era quando mi mettevano a copiare, enormi registri con calcoli fatti male per giunta!- disse lui appoggiandosi allo schienale mentre lei continuava a ridere.

- Si certo come no! -

- Non ridere è vero! Non sai quante volte i colleghi bolognesi hanno cercato di fregarci col trucco del bolognino d'argento...- Federico giocava con l'anello che aveva al dito: cercava di essere serio ma la risata della ragazza era contagiosa -...se non avessi avvisato mio padre che i conti erano sbagliati, a quest’ora la banca dei Medici avrebbe perso un bel po' di soldi... Deve ancora ringraziarmi per questo…- Appena finì di pronunciare quelle parole si fermò: si era accorto solo in quel momento che, anche poco prima, aveva parlato di suo padre al presente, come se ci fosse ancora. Strinse il pugno attorno all’anello che aveva al dito: rendersene conto gli faceva male.

-Tu te la cavi bene con la matematica vero Federico?-

Federico aveva deciso di viaggiare a cassetta lasciando alle signore la vettura. In realtà Gugliemo gli era simpatico e parlare con lui riusciva a distrarlo un po’ dai suoi pensieri: dopo aver mancato di poco la rissa alla locanda, aveva passato gran parte del viaggio a raccontare aneddoti su risse e truffe con protagonisti bizzarri che avevano il sapore più di favole che di fatti realmente accaduti. Ascoltarli però era piacevole, anche perché, effettivamente, il solo a parlare era lui.

La domanda aveva quindi colto di sorpresa il giovane fiorentino -ehm...si abbastanza, perché? -

Guglielmo si appoggiò alla spalliera senza distogliere lo sguardo dalla strada – Ti spiego: una settimana fa il nostro contabile, Baldo, ci ha mollati per andare a lavorare a Pavia nella bottega del cognato. Filippo è a Roma e non gli ho ancora detto niente: intanto me ne sto occupando io...della contabilità intendo...-

- E allora?-

- Penso ti sia accorto che io e la matematica non andiamo molto d'accordo. Giuro che ce la sto mettendo tutta, ma penso che se continuo così, quando tornerà Filippo la bottega sarà bella che fallita....-

Federico lo guardò perplesso. -...insomma, mi chiedevo se ti andrebbe di darmi una mano...- continuò Guglielmo.

-...Mi stai chiedendo di farti da contabile? -

-Si...cioè, se non hai già altri progetti a Bologna. L’unico problema è che non potrei pagarti per ora… Ma avresti vitto e alloggio...- si affrettò a precisare.

Federico rimase qualche secondo in silenzio – Ehm…be’ si…Si per me va bene…- Avrebbe dovuto prima parlarne con Cristina, ma accettare al volo era la cosa più sensata da fare. Forse la sua buona stella non lo aveva del tutto abbandonato.

-Dici davvero…Ah! – la gioiosa reazione di Guglielmo aveva quasi fatto impennare il povero Giuscardo davanti a loro, facendo fare alla vettura uno scatto di qualche metro prima di venire prontamente frenato. – E’ fantastico! Sai che me salvi la vita vero? –

Federico rise accomodandosi contro la spalliera - se lo dici tu…-

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Arrivarono in città che era da poco passata la Nona[3].

Bologna era semideserta e dalle osterie e dalle case, uscivano i profumi di varie pietanze e le voci degli avventori impegnati a gustarle. Era diversa da Firenze: al posto dei tozzi palazzi signorili, le strade erano costeggiate da portici di legno e pietra, sotto cui si aprivano botteghe, portoni ed osterie. La cosa che colpì subito Federico fu la presenza delle torri: alte, basse, tozze, ovunque girasse lo sguardo ve ne era una. Alcune presentavano balconi pensili o archi in modo da permettere il passaggio al di sotto. “Bologna la Turrita” ricordava di aver letto da qualche parte: ora comprendeva il perché di quel soprannome.

Procedettero per vie e piazze di cui non conosceva il nome, fino ad arrivare ad un grande portone in quella che Guglielmo disse essere Via degli Orefici.

Antonio era un mercante, un ricco mercante, e le sue ricchezze si riflettevano perfettamente nell’elaborata facciata dell’edificio: eleganti bifore circondate da ricche architetture in risalto erano disposte sui due livelli del secondo e del primo piano, che poggiava su un porticato dai capitelli decorati. Sotto il porticato, oltre alle finestre del piano terra, vi era un grande portone che immetteva nel cortile d’ingresso.

- Eccoci arrivati Madonne: Casa Vespucci…- annunciò Guglielmo frenando il carro davanti al portone - …vi aiutiamo a scendere i bagagli…-

- Lasciateli pure nel cortile: a portarli dentro ci penserà la servitù…- disse Matilde mentre attraversava la piccola porticina ed entrava nel cortile - …vado dentro ad avvisare che siamo arrivati…-

Cristina scese dal carro aiutata da Federico. Era agitata: come avrebbe fatto a spiegare a suo padre la presenza del ragazzo? Aveva rimandato il problema ma adesso doveva affrontarlo. Restò nel piccolo cortile sfregandosi le mani finchè i due ragazzi non ebbero finito di portare dentro i bauli. Guglielmo uscì e lei rimase sola con Federico.

- Meglio entrare se non vogliamo incrociare Papà…- disse iniziando a salire - …la casa è grande, molto più di quella a Firenze: potrai sistemarti negli alloggi della servitù. Mi dispace ma per ora è meglio che mo padre non sappia che sei qui…meglio che gli spieghi io con calma..- fece pronunciando l’ultima frase più per se stessa che per Federico dietro di lei.

- Oh non c’è bisogno Cristina…- La ragazza si voltò e si accorse che lui era rimasto vicino alla soglia.

-Io non resto qui…vado con Guglielmo… – continuò giocando col basco che aveva preso in mano.

- Come? –

Federico si schiarì la voce - Ha detto che posso stare da lui…mi ha proposto di fargli da contabile e io ho accettato…- disse.

- Ah…bene…- sembrava sorpresa, ma nella sua voce Federico non potè fare a meno di notare una punta di risentimento.

- Andiamo sapevamo entrambi che non potevo vivere nella tua cantina per sempre, specialmente ora che c’è tuo padre…- scherzò alzando le spalle.

-no infatti…- Cristina sospirò e lanciò un’occhiata alla porta d’ingresso in cima allo scalone -ma avresti almeno dovuto chiedermi consiglio…-

- va bene scusami – stava rispondendo lui sarcastico, quando l’inconfondibile voce di Antonio che cercava la figlia per salutarla fece sobbalzare entrambi.

Federico uscì e si appiattì dietro il grande battente di legno mentre Cristina si parò davanti alla piccola apertura in modo da coprire del tutto la visone dell’esterno, nel caso suo padre fosse uscito sul pianerottolo.

- Meglio che vada ora…non vorrei fargli prendere un colpo…- disse lui dopo qualche secondo, quando fu chiaro che Antonio si sarebbe limitato a cercare la figlia in casa, convinto che fosse già salita.

Lei annuì - Io non posso muovermi da qui, mio padre non me lo permetterebbe, ma manderò Matilde a Firenze tra qualche giorno…magari ora che si sono calmate le acque potrebbe scoprire qualcosa… sapere dove sono andati. Appena torna, ti dico se ci sono novità…-

- Ve bene…a presto allora…- disse lui correndo verso il carro dove Guglielmo aveva appena finito di premiare il cavallo con una mela, e quasi perdendo il basco nel tragitto. Lei scosse la testa divertita mentre si dirigeva verso il grande scalone di ingresso, ma non aveva nemmeno iniziato a salire i primi gradini che la voce di Federico la fece voltare di nuovo – Ehi Cristina…- il ragazzo era affacciato al alla porticina nel portone d’accesso al cortile - …Grazie…per tutto…- Cristina sorrise. Poi si voltò e, mentre lui raggiungeva il carro, salì in fretta le scale reggendosi la gonna ed entrò nel palazzo – Eccomi Padre!-



[1] La monetazione dell’europa rinascimentale si basa sistema monetario introdotto da Carlo Magno (1 lira = 20 soldi = 240 denari) Per saperne di più date un’occhiata qui su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Fiorino)

[2] Questa differenza nel cambio la lessi su un articolo (che però ho dimenticato di salvare) un po’ di tempo fa: giuro che è vera e non me la sono inventata XD. Appena recupero l’articolo lo inserisco u.u.

[3] L’ ora Nona, secondo la misurazione medievale del tempo, equivale alle 3 del pomeriggio (ora in cui di solito si pranzava N.d.B.)






L’AngoloDiBibi
Salve a tutti gente =D!
Lo so che avevo detto che sarei tornata ad aggiornare a fine ottobre, ma cause di forza maggiore (leggi TESI) mi hanno impedito di scrivere u.u. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene e quindi rieccomi qui più in vena che mai, pronta a scassarvi di nuovo con questa storia =D.
Dunque: come accennato, a differenza del caro Ezio, che si sposta in un click da una parte all'altra dell'Italia (probabilmente dotato dello stesso cavallo a benzina di Marco Bello de "I Medici" p.p), i nostri poveri protagonisti devono sorbirsi tre giorni di viaggio, con tanto di freddo polare perchè siamo a Gennaio. Ne ho approfittato per farvi dare una sbirciatina in qualche tenero ricordo di Federico e per presentarvi un po' meglio Guglielmo (il fatto che ci racconti praticamente la sua vita su due piedi è una sua caratteristica: quando parla non sa fermarsi, è logorroico è.é).
Per quanto riguarda la parte sul resto sbagliato dell'oste, dato che sono anche una persona per niente fissata con la precisione storica, mi sono divertita ad impazzire e a scervellarmi sulle varie monete in corso all'epoca con relativi cambi per mettere su un discorso credibile su bolognini e fiorini, nonostante studi lettere e la matematica sia per me piacevole più o meno quanto
lo stridere di un gesso sulla lavagna -.-".
Infine eccoci a Bologna, tra torri, tetti rossi e portici, dove Federico, grazie alla sua proverbiale fortuna, ha già trovato un posto sicuro, insieme ad un impiego che tutto sommato non dovrebbe gravargli troppo adorado (a differenza della sottoscritta) numeri e matematica in generale...
La mia euforia creativa troppo a lungo repressa si è riversata anche su carta, producendo i due disegni sparsi nel testo (e altri con cui ho aggiornto alcuni capitoli ^_^).
Penso di aver detto tutto quindi posso ringraziare
la mia adorata Aoboshi (che riabbraccio domani <3) e _Anaiviv per le recensioni (che sono state davvero un raggio di sole in un momento nerissimo <3), valepassion95 per aver messo la storia nelle seguite (nell'altro capitolo ti avevo dimenticata scusa T.T) e il mio collega Dott. Giorgio, che anche se non è sul sito sta leggendo la storia <3.
Come sempre, grazie anche a tutti quelli che passano e leggono o danno solo un'occhiata.

Detto ciò
*si aggiusta la corona d'alloro in testa* dato che sono le 3:00 e io tra esattamente 12 ore verrò ufficialmente proclamata Dottoressa in Lettere Moderne, non posso fare altro che dirvi
Alla prossima!

Dott.ssa Bibi





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